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@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Erilo.\n### Descrizione: Èrilo è un semidio mostruoso della mitologia classica con tre vite e tre corpi.\nFiglio della dea italica Feronia e del re di Preneste, attuale Palestrina, ereditò il regno dal padre. Venne ucciso da Evandro, e la sua morte verrà ricordata nell'Eneide nel libro VIII, durante l'addio di Evandro al figlio Pallante.
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### Titolo: Eris (divinità).\n### Descrizione: Eris (in greco antico: Ἔρις?, «sfida, conflitto, lite, contesa», in italiano anche Eride) era, nelle religioni e nella mitologia dell'antica Grecia, la dea della discordia.\nIl nome corrispettivo di Eris in latino è Discordia.\nL'episodio più significativo cui la dea è legata è quello della mela della discordia, raccontato nei Canti Ciprii: furiosa per l'esclusione dal banchetto nuziale di Peleo e Teti, Eris giunse perfino a contemplare l'idea di scagliare i Titani contro gli altri Olimpi, che erano stati tutti invitati, e detronizzare Zeus.\nPoi, però, scelse una via più subdola per compiere la sua vendetta. Giunta sul luogo in cui si teneva il banchetto, fece rotolare una mela d'oro, secondo alcuni presa nel giardino delle Esperidi, dichiarando che era destinata 'alla più bella' fra le divine convitate. La disputa che sorse fra Era, Atena e Afrodite per l'assegnazione del frutto e del relativo titolo condusse al giudizio di Paride e in seguito al ratto di Elena, che originò la guerra di Troia. Inizialmente la scelta spettava a Zeus, ma egli non voleva scegliere, perché avrebbe scatenato le ire delle dee 'perdenti' in eterno. Decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare. Atena gli promise l’imbattibilità, Era la ricchezza, mentre Afrodite la donna più bella, che ai quei tempi era Elena, moglie di Menelao, re di Sparta.\nParide scelse Afrodite.\n\nNatura di Eris.\nTutti i mitografi convengono nel descrivere Eris come una dea spietata, animatrice dei conflitti e delle guerre tra gli uomini, delle quali gode.\nOmero ne offre un illuminante ritratto, descrivendola come «una piccola cosa, all'inizio» che cresce fino ad «avanzare a grandi falcate sulla terra, con la testa che giunge a colpire i cieli», seminando odio fra gli uomini e acuendone le sofferenze. Forse per questo il poeta le attribuisce anche l'epiteto di “signora del dolore”.\nUna simile rappresentazione si ritrova anche in Quinto Smirneo: mentre Eris cresce a dismisura, la terra trema sotto i suoi piedi, la sua lancia ferisce il cielo, dalla sua bocca si sprigionano fiamme spaventose, mentre la sua voce tonante accende gli animi degli uomini.\nLo stesso tema viene ripreso in una delle favole di Esopo: Eracle sta attraversando uno stretto passaggio, quando nota una mela che giace sul suolo. La colpisce ripetutamente con la sua clava, ma ad ogni percossa la mela raddoppia le sue dimensioni, fino ad ostruire completamente il cammino dell'eroe. Atena, avvedendosi della cosa, spiega allora a Eracle come quella mela sia in realtà Aporia ed Eris: se lasciata a sé stessa, rimane piccola, ma a combatterla si ottiene solo di ingigantirla.\nEsiodo rammenta comunque come la dea abbia, oltre a quella violenta, anche un'altra natura, che se compresa può essere d'aiuto ai mortali: quando si presenta nella forma della competizione, Eris è di stimolo agli uomini, spingendoli a superare i propri limiti e permettendo loro di conseguire risultati che la loro innata pigrizia renderebbe altrimenti irraggiungibili. Di natura umana in condivisione con il consorte, è considerata protettrice dell'umanità, infatti permette ad ogni essere una battaglia per salvare se stessi dopo la morte.\nAdorata e venerata da tutti gli dei, è onorata come protettrice dalla distruzione finale dell'universo.\n\nOrigine, stirpe e progenie.\nQuattro sono i miti sulle sue origini:.\n\nStando a Omero e Quinto Smirneo, Eris è sorella minore di Ares, e dunque figlia di Era e Zeus.\nUn altro mito, riportato da Ovidio e dal Primo Mitografo Vaticano, vuole che Eris sia stata concepita da Era semplicemente toccando un fiore, senza che la dea giacesse con il divino consorte Zeus.\nPer Esiodo invece sua madre fu la Notte, che la generò senza bisogno di accoppiarsi.\nSecondo Igino la Notte la concepì con Erebo.In quest'ultimo mito Eris risulterebbe allora appartenere all'era preolimpica, e in effetti il suo ruolo nel mito è frequentemente quello tipico delle altre personificazioni di concetti: la dea è un'incarnazione di una delle forze cui sono soggetti i mortali e le stesse divinità, ma non ha una storia propria né caratteristiche che la individuino, oltre a quelle strettamente legate alla sua funzione.\nSono fratelli e sorelle di Eris:.\n\nMoros, il destino avverso.\nKer, la morte violenta.\nTanato, la morte.\nIpno, il sonno.\nLa tribù degli Oneiroi, i sogni.\nMomo, la colpa, il biasimo.\nOizys, la miseria.\nNemesi, la vendetta o la giustizia divina.\nApate, l'inganno.\nPhilotes, l'amicizia.\nGeras, la vecchiaia.\nLe Esperidi, ninfe guardiane del giardino dei pomi d'oroA questo elenco, Igino aggiunge:.\n\nLetum, la dissoluzione.\nLysimele, l'affetto.\nEpifrone, la prudenza.\nStyx, l'odio.\nEufrosine, la benevolenza.\nPorfirione.\nEpafo.\nContinenza.\nPetulanza.\nMisericordiaSempre secondo Esiodo, Eris diede alla luce:.\n\nDisnomia, la disobbedienza alle leggi, il malgoverno.\nAte, l'errore, la rovina.\nLe Makhai, spiriti delle battaglie.\nPonos, il travaglio, la fatica.\nLethe, l'oblio, la dimenticanza.\nLimós, la fame.\nAlgos, i dolori.\nIsminai, i combattimenti.\nFonoi, gli omicidi.\nAndroktasiai, le stragi.\nNeikea, i litigi.\nPseudo-logoi, le bugie.\nAmfilogie, le dispute.\nHorkos, il giuramento. Per quest'ultimo figlio fu assistita nel parto dalle Erinni, cui sarebbe poi spettato il compito di perseguitare e uccidere chiunque non tenga fede ai propri voti.\n\nIl ruolo di Eris nel mito.\nPur essendo una divinità, il ruolo di Eris nella mitologia greca è marginale, limitato per lo più a brevi apparizioni sui campi di battaglia, specie durante la guerra di Troia. La dea vi è sovente appositamente inviata da Zeus per aizzare con le sue grida gli spiriti dei combattenti: non solo quelli dei greci,ma anche quelli dei troiani. Il suo accanimento supera però quello del fratello, al punto che Eris spesso rimane a gioire del sangue versato dagli uomini anche dopo che gli altri dei si sono ritirati, e ama passeggiare fra i corpi dei morti e dei morenti quando lo scontro si è già concluso.\nDi lei sappiamo che forgiò l'alabarda con cui l'amazzone Pentesilea, figlia di Ares, combatté nella guerra di Troia, e che apparve in sogno a Dioniso, sotto le mentite spoglie di Rea per rimproverare al dio i suoi ozi ed esortarlo a riprendere la battaglia con il re d'India, allettandolo con la prefigurazione della sua prossima ascesa all'Olimpo.\nAiutò Efesto a forgiare la collana di Armonia, che svolse il suo ruolo funesto nelle vicende dei Sette contro Tebe e dei loro Epigoni.\nStando a Nonno, fu l'ancella di Tifone durante la battaglia del mostro con Zeus, che invece era fiancheggiato da Nike.\nEris ebbe un ruolo anche nella vicenda del vello d'oro, nell'epoca in cui questo era entrato in possesso di Tieste, consentendogli di diventare re di Micene, ai danni dell'altro pretendente al trono, Atreo. Zeus, che prediligeva quest'ultimo, ottenne da Tieste la promessa che avrebbe ceduto il trono se il sole avesse cambiato il suo corso. Quindi, il dio inviò Eris sul cammino del carro di Elio, e la dea pose il sentiero della sera sotto gli zoccoli del cavallo dell'alba, di modo che il sole quel giorno, giunto a metà della volta celeste, invertì il suo normale tragitto e tramontò a oriente.\nInfine, quando Politecno e Aedona di Colofone vantarono di amarsi più di Zeus e Era, la dea infuriata inviò Eris fra di loro per far nascere una disputa, il cui esito finale fu l'assassinio del marito da parte di Aedona.\n\nRappresentazioni di Eris.\nEris era raffigurata sullo scudo di Eracle, nell'atto di volteggiare intorno a Phobos (la paura), e la sua immagine terrificante era riprodotta anche sullo scudo di Achille.\nVirgilio la pone all'ingresso dell'Ade, con serpi in luogo dei capelli, che tiene annodate con bende intrise di sangue.\nEris viene rappresentata come una donna con i lunghi capelli neri corvini che fluttuano ed antagonista principale nel film animato Dreamworks Sinbad - La leggenda dei sette mari con la voce originale di Michelle Pfeiffer. Il suo principale scopo è rubare il libro della pace, un mistico oggetto custodito a Siracusa per poter dare il via ad una serie di eventi che avrebbe gettato la città nel caos. Nel film dimostra di essere attratta da Sinbad (ma in particolare dai suoi aspetti negativi quali l'egoismo e l'arroganza). La sua casa è il Tartaro che si trova ai confini del Mondo. Nonostante sia una dea molto potente, Eris viene vincolata da ciò che promette, punto debole che Sinbad sfrutterà per sconfiggerla e recuperare il libro.\n\nUsi scientifici del nome.\nEris, il pianeta nano del sistema solare, prende il nome dalla divinità.\nEris è il nome di un genere di ragni.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Erito.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Erito o Eurito, dal greco Ἐρυτος era uno dei figli di Ermes.\n\nIl mito.\nEurito, figlio del divino Ermes avuto con Antianira, era il fratello gemello di Echione.\n\nLa spedizione degli Argonauti.\nEurito Secondo Apollonio Rodio, ed altre fonti minori, partecipò alla spedizione degli argonauti, il viaggio per il recupero del vello d'oro a cui capo vi era Giasone, ma nel mito non vi sono tracce significanti del suo ruolo in quelle avventure.
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### Titolo: Erittonio (re).\n### Descrizione: Erittonio (in greco antico: Ἐριχθόνιος?, Erichthònios) è un personaggio della mitologia greca, successe ad Anfizione divenendo il quarto mitologico re di Atene. Secondo Pausania era figlio di Efesto e Gea ed invece nella Biblioteca di Apollodoro risulta figlio di Efesto ed Atena (o di Efesto ed Attide). Sposò la naiade Prassitea che lo rese padre di Pandione.\n\nEtimologia.\nIl nome di Erittonio secondo etimologie popolari, deriverebbe da ἔρις èris (contesa) e χθών chthṑn, (terra), oppure per quanto riguarda la prima parte da ἔριον èrion (lana, con cui Atena deterse lo sperma di Efesto). Un'altra tradizione indica come traduzione corretta del nome 'terra dell'erica'. Alcune leggende fanno derivare il nome dall'azione della dea Atena: Erittonio, cadendo sulla terra, finì su un monte ricoperto di erica.\n\nMitologia.\nPoseidone, ancora arrabbiato per la città di Atene che non gli era stata assegnata, aveva convinto Efesto che Atena sarebbe andata per amoreggiare con lui usando la scusa di cercare un'armatura nuova. Atena si recò effettivamente da Efesto desiderosa di farsi fabbricare delle armi ma questi, da poco abbandonato da Afrodite e preso dal desiderio di possederla, iniziò a inseguirla. Atena fuggì e, quando Efesto riuscì a raggiungerla, non si lasciò possedere. Il dio sparse sulle gambe di Atena il proprio seme che la dea scagliò a terra con ribrezzo, dopo essersi ripulita con un panno di lana. A causa di questo gesto, Gea (Gaia, la Terra) divenne gravida, e da questa gravidanza nacque Erittonio che, rispecchiando l'aspetto deforme del padre, nacque con due serpenti al posto delle gambe.\nAtena, però, ne ebbe pietà, e lo raccolse chiudendolo in una cesta che affidò ad Aglauro, Pandroso ed Erse (le figlie di Cecrope), imponendo loro di non aprirla. Le ragazze però, incuriosite, disobbedirono alla dea che, per punizione le spinse a gettarsi dalla rocca di Atene. L'unica ad essere risparmiata fu Pandroso, che aveva distolto all'ultimo lo sguardo. In altre versioni del mito invece tutte e tre le sorelle aprirono il cesto e morirono poi, vittime di Atena.\nLa dea, così, si occupò di Erittonio, nutrendolo e allevandolo nel recinto dell'Eretteo. Erittonio, cresciuto, scacciò Anfizione e divenne il nuovo re di Atene, poi mise nell'Acropoli una statua lignea di Atena e istituì le feste Panatenee (secondo Plutarco, le feste sarebbero state invece istituite da Teseo). Poi prese in moglie la naiade Prassitea, dalla quale nacque Pandione. Il fatto che Erittonio fosse stato nutrito nel recinto chiamato di Eretteo, ha dato forse adito alla confusione che spesso vi è tra Erittonio e il nipote Eretteo.\nIl nome di Erittonio viene ricordato inoltre perché gli viene accreditata l'invenzione della quadriga (per nascondere le sue gambe serpentiformi) e l'introduzione del denaro.
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### Titolo: Erma (scultura).\n### Descrizione: L'erma (in greco antico: ἑρμῆς?) è una tipologia di statua originata nell'antica Grecia.\nSi trattava di una scultura costituita da una piccola colonna di sezione quadrangolare, di altezza variabile tra 1 e 1,5 m, sormontate da una testa scolpita a tutto tondo e - in origine - con un fallo sulla sezione quadrangolare. Diffuse a partire dalla fine dell'età arcaica (ultimo quarto del VI secolo a.C.), erano collocate lungo le strade, ai crocevia, ai confini delle proprietà e dinanzi alle porte per invocare la protezione del dio Hermes (da cui forse il nome), cui veniva attribuita, fra le altre cose, la protezione dei viandanti. Successivamente furono adottate dai Romani, mentre nel Rinascimento furono realizzate sotto forma di telamoni.\n\nDescrizione.\nL'erma deriva da una delle prime forme arcaiche di rappresentazione delle 'dimore' di una divinità, il cosiddetto betile che veniva posto a protezione delle vie e delle soglie. A volte le teste erano due, contrapposte per la nuca, secondo il tipo Giano bifronte o addirittura quattro (come sul Ponte dei Quattro Capi, all'Isola Tiberina). Ancor prima dell'epoca arcaica non esisteva nemmeno la testa (o, come a volte avveniva, gli organi genitali) ma solo una pietra tronco conica o di altra forma con evidenti allusioni di natura fallica con cui si augurava la fertilità (vedi le analoghe forme tipo lingam di Siva di culture e religioni orientali o i menhir di origine celtica).\nLa trasformazione da erma di Ermes a erma-ritratto deve essere avvenuta dall'assimilazione di Ermes quale psychopompòs, cioè funerario, che andava ad assumere i tratti fisici del defunto. Questo processo dovette svolgersi nella tarda età ellenistica o nell'epoca romana, come testimoniano le numerosissime erme romane sia in marmo che in bronzo. In ambito italico era dopotutto diffuso il cippo funerario sormontato dalla testa del defunto (negli esemplari più antichi individuabile solo dal nome, con sembianze del tutto generiche), e fu forse l'innesto di questa tradizione con l'elegante forma greca a originare le erme-ritratto. Spesso le erme presentano un fallo propiziatorio scolpito.\nSplendide le erme, di epoca augustea, del Museo Palatino a Roma in marmo nero e a forma di canefora (portatrici di cesti) che con uno gesto vezzoso accennano alla ripresa delle vesti, così come negli originali greci.\nNello stesso museo la lastra con le fanciulle che adornano un grande e splendido betile con simboli di Apollo.\nSempre nel Palatino, nel tempio della Magna Mater, ai bordi del Germalus, nello stesso periodo, era stato portato e conservato il Betile della dea Cibele, cui era dedicato il tempio: una pietra nera a forma conica.\n\nAlcibiade e il sacrilegio delle erme.\nNel 415 a.C. ad Atene, la notte prima della partenza della spedizione in Sicilia, furono mutilate molte erme delle città. Del fatto fu accusato Alcibiade, che per questo ripiegò a Sparta.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Ermanubi.\n### Descrizione: Ermanubi (o Hermanubi; in greco: Ἑρμανοῦβις, Hermanùbis) è un dio greco-egizio nato dalla fusione di Ermes (Ἑρμῆς) e Anubi (Ἄνoυβις). Era considerato figlio di Seth e Nefti.\n\nCaratteristiche.\nLa grande somiglianza fra Anubi ed Ermes (entrambi divinità psicopompe, ovvero guide delle anime nell'aldilà) portò alla formazione sincretistica, nell'immaginario religioso egizio ed ellenistico d'epoca tolemaica, del dio Ermanubi. Fu popolare durante la dominazione romana dell'Egitto, epoca delle sue prime raffigurazioni, e nella stessa Roma fino al II secolo. Benché la tradizione accomunasse Ermes a Thot (difatti, le dottrine che si credeva provenissero da Thot furono definite ermetiche), la sua funzione di guida delle anime nell'aldilà incoraggiò la sua fusione con Anubi, che svolgeva la medesima funzione nell'immaginario egizio.\nRaffigurato con corpo d'uomo e testa di sciacallo, con in mano il sacro caduceo che era uno degli attributi principali del dio greco Ermes, Ermanubi rappresentava il sacerdozio egizio e la sua ricerca della verità.\n\nNome.\nIl nome Ἑρμανοῦβις compare in una manciata di fonti epigrafiche e letterarie, la maggior parte delle quali di epoca romana. Plutarco lo cita come manifestazione di Anubi nel suo aspetto funerario, mentre Porfirio si riferisce a lui come σύνθετος, composito, e μιξέλλην, mezzo greco.\nBenché combinare i nomi di due dei in questo modo fosse insolito per la tradizione greca, non si trattò di un caso unico: la figura di Ermafrodito è molto più antica, risalendo al IV secolo a.C., benché costituisca l'unione dei nomi delle due divinità che l'avrebbero generato, Ermes e Afrodite, piuttosto che di una assimilazione come nel caso di Ermanubi.\n\nIconografia.\nLe sue rappresentazioni sono piuttosto rare. Una sua statua, rinvenuta ad Alessandria d'Egitto, lo raffigura con il tipico mantello greco, l'himation, e un cestello sul capo, simbolo di abbondanza, decorato con un fiore di loto, antichissimo simbolo egizio. Impugna un ramo di palma, simbolo di vittoria sulla morte ed eternità, e un cane, o uno sciacallo, è ai suoi piedi.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ermione (opera).\n### Descrizione: Ermione è un'opera - nel libretto indicata come 'azione tragica' - musicata da Gioachino Rossini su testo di Andrea Leone Tottola tratto dalla tragedia Andromaque di Jean Racine, a sua volta basata sull'Andromaca di Euripide.\n\n'Fortune' dell'opera.\nDebuttò al teatro San Carlo di Napoli il 27 marzo 1819, con poco successo (ma alcune cronache parlano addirittura di un vero e proprio fiasco). L'insuccesso dell'opera fu in parte dovuto al soggetto (il pubblico gradiva poco i finali tragici, basti pensare al lieto fine che Rossini dovette approntare per l'Otello), e in parte alla musica, forse troppo 'rivoluzionaria': la Sinfonia che apre l'opera viene due volte interrotta dal Coro che lamenta la caduta di Troia; la Gran Scena della protagonista posta non come finale, ma a metà del Secondo atto.\nA causa dell'insuccesso, l'opera non venne più ripresa in nessun altro teatro, e Rossini poté riutilizzarne parte della musica per altre opere (Bianca e Falliero, Eduardo e Cristina, Zelmira, Moïse et Pharaon).\nLa prima ripresa in tempi moderni avvenne in forma di concerto alla Chiesa dell'Annunziata a Siena nel 1977, diretta da Gabriele Ferro e sempre in concerto nel 1986 all'Auditorium Pollini di Padova diretta da Claudio Scimone con Cecilia Gasdia, Chris Merritt ed Ernesto Palacio. Invece, la prima rappresentazione in forma scenica avvenne nel 1987 al Rossini Opera Festival, protagonista Montserrat Caballé, con Marilyn Horne, Rockwell Blake, Merritt e la direzione di Gustav Kuhn. In seguito l'opera fu replicata in Italia, Europa e America, pur non essendo entrata nel consueto repertorio.\nOltre alla già citata Caballé, il ruolo di Ermione conta importanti interpreti quali Cecilia Gasdia (che per prima incise l'opera con Claudio Scimone), Anna Caterina Antonacci (riprese il ruolo a Roma, Londra, Buenos Aires, Glyndebourne) e Sonia Ganassi (la cui applaudita interpretazione al Rossini Opera Festival è testimoniata dalla registrazione video). Importanti interpreti del ruolo di Pirro sono stati Chris Merritt (che affrontò anche il ruolo di Oreste) e Gregory Kunde. Come Oreste vanno infine ricordati Rockwell Blake e Bruce Ford.\n\nCast della prima assoluta.\nTrama.\nAntefattoPoco dopo la caduta di Troia, Pirro è tornato a Buthrote, capitale del suo regno, portandosi con sé alcuni prigionieri troiani tra cui Andromaca, vedova di Ettore, e il figlio Astianatte (Tottola si discosta dal mito lasciando in vita il figlio dell'eroe, che in realtà venne scagliato giù dalle mura di Troia da Ulisse). Pirro, benché una promessa di matrimonio lo leghi a Ermione, figlia dell'eroe Menelao, si innamora di Andromaca e vuole farla sua regina: ciò desta la gelosia di Ermione e lo sdegno dei condottieri Achei, che temono di veder salire su un trono greco l'ultimo erede degli odiati troiani.\n\nAtto I.\nUn coro di prigionieri troiani (ostaggi di Pirro) lamenta la sconfitta e la distruzione della loro amata città. Tra loro vi è anche Andromaca, vedova di Ettore, che veglia il sonno del figlio Astianatte, e rivede nel suo volto le sembianze del mai dimenticato marito (Mia delizia un solo istante): invano Cefisa, sua ancella, e Fenicio, consigliere di Pirro, cercano di consolarla. A raddoppiare i suoi tormenti sono le continue insistenze di Attalo, confidente del re, che rinnova le profferte amorose del suo signore, il quale, innamorato di Andromaca, le promette di salvare la vita al piccolo Astianatte (e di accettarlo come figlio) se lei acconsentirà a sposarlo. Ma il fatto che il bambino, figlio del più grande nemico degli Achei, possa diventare l'erede al trono del figlio di Achille, fa temere a Fenicio una nuova guerra per la Grecia: il precettore spera che Pirro mantenga l'impegno di sposare Ermione (figlia di Menelao ed Elena). Ma se Ermione ama sinceramente Pirro, egli la disprezza, preferendo a lei la 'schiava frigia'.\nCleone, a capo di un coretto di confidenti di Ermione, cerca di consolare l'amica, ma invano, poiché la principessa è a conoscenza della sua imminente sciagura. A rovinare il suo umore è l'incontro con Pirro, che passeggiava vagheggiando di Andromaca; subitaneo e violento è il loro scontro: Ermione rinfaccia all'uomo la sua infedeltà, e Pirro minaccia e umilia la donna (Non proseguir! Comprendo!). Proprio in quel momento viene annunciato a Pirro l'arrivo di Oreste, a capo dei condottieri greci, giunto a Buthrote proprio per far rinsavire Pirro e imporgli il rispetto dei patti. Pirro rimane turbato dall'arrivo del figlio di Agamennone, mentre Ermione è lieta per il ritorno del suo 'liberatore'.Infatti Oreste è a sua volta innamorato di Ermione, la quale però, sia perché è sua cugina, sia perché è innamorata di Pirro, non ricambia il suo sentimento. Appena arrivato a palazzo, infatti, il giovane lamenta all'amico Pilade il suo infelice amore (Che sorda al mesto pianto). Pilade esorta Oreste a non pensare all'amore e a concentrarsi sul compito che deve svolgere. Pirro riceve l'ambasciata con tutta la sua corte (tra cui anche Ermione e Andromaca stessa), e Oreste, a nome della Grecia intera, impone a Pirro il sacrificio di Astianatte, minaccia per la sicurezza dopo la pace seguita alla guerra di Troia. La corte teme la reazione violenta di Pirro, il quale afferma con arroganza la legittimità delle sue scelte (in quanto figlio del maggiore condottiero acheo) e, con sommo dispetto dei greci e di Ermione, annuncia a tutti il suo imminente matrimonio con Andromaca (Balena in man del figlio). I condottieri sono scandalizzati, e Andromaca stessa, che vuole serbare la sua fede ad Ettore, rifiuta la mano del principe.Cleone consiglia a Ermione, sconvolta per la decisione di Pirro, di usare Oreste per vendicarsi della pubblica umiliazione. E proprio Oreste arriva in quel momento: il giovane rinnova le sue promesse d'amore ad Ermione, la quale, incerta, non se la sente di usare il suo corteggiatore come strumento della sua vendetta (Anime sventurate).Ma proprio in quel momento entra Pirro, con tutta la corte. Il giovane, infuriato per il rifiuto di Andromaca, decide di mantenere i patti: promette di sposare Ermione e di consegnare Astianatte ai condottieri greci. La decisione suscita diversi sentimenti: la speranza di Ermione e Fenicio, la preoccupazione di Andromaca e Pilade, la gelosia di Oreste (Sperar poss'io?). Mentre Pirro fa per consegnare il bambino a Oreste, Andromaca si inginocchia e supplica il principe di concedergli tempo per cambiare idea. Pirro si rallegra, ma Ermione monta su tutte le furie, e minaccia di colpire il bambino. L'atto si conclude con il turbamento generale, e il timore che qualcosa di terribile sta per avvenire (Pirro, deh serbami la fè giurata).\n\nAtto II.\nAttalo comunica a Pirro la tanto attesa decisione: Cefisa, cedendo alle sue richieste, ha convinto Andromaca a sposare il principe (il dialogo viene spiato da Cleone che si affretta a riferire tutto alla sua padrona). Pirro, entusiasta, promette ad Andromaca il trono e la salvezza per Astianatte, ma la donna, credendo di vedere il fantasma di Ettore sdegnato, cerca di frenare il suo impeto, temendo 'd'avversa stella il barbaro rigor' (Ombra del caro sposo). I piani della vedova troiana, infatti, sono ben altri: ella ha intenzione di suicidarsi dopo il matrimonio, dopo aver però ottenuto da Pirro il solenne giuramento di salvare la vita al figlio.\nMa in quel momento arriva Ermione, seguita da Fenicio e Cleone, e le due rivali si fronteggiano: la principessa achea insulta la rivale, accusandola di aver usato le sue 'arti' per arrivare al trono, mentre Andromaca, regale e altera, invece che rispondere agli insulti perdona la giovane rivale e si allontana. La gelosia e il timore iniziano a rodere il cuore di Ermione (Essa corre al trionfo!), la quale supplica Fenicio di ricordare a Pirro le sue promesse d'amore. Ma ciò è del tutto inutile, poiché risuona fuori scena la marcia nuziale che guida Pirro e Andromaca al tempio. Ermione si accascia a terra disperata: un coro di confidenti cerca di consolarla e le promette vendetta, e tra loro è presente anche Oreste. Ermione, allora, decide di approfittarne: in nome dell'amore che nutre per lei, impone al cugino di uccidere l'ingrato e di riportargli il pugnale macchiato del suo sangue. Dapprima titubante, Oreste corre a svolgere il suo criminoso compito (Se a me nemiche, o stelle).\nFenicio non è riuscito a far ravvedere Pirro, il quale l'ha scacciato, e, insieme a Pilade, lamenta il triste destino che attende la Grecia (A così trista immagine).Ermione si aggira per la reggia, in preda al rimorso, poiché si è accorta di amare ancora Pirro, e cerca invano Oreste per fermarlo, ma è tutto inutile: Oreste arriva, con un pugnale insanguinato. All'allucinata e sconvolta donna, il giovane racconta l'uccisione di Pirro (Già d'Andromaca sul crine), portando come pegno d'amore all'amata l'arma con cui è stato ucciso. Ma Ermione lo insulta e lo respinge, disperata, e gli rivela di essere sempre stata innamorata di Pirro, e fu solo in un attimo di follia che gli aveva chiesto la sua uccisione. Oreste, deluso e disperato anch'esso, invoca la morte, mentre Ermione invoca le Eumenidi per vendicare l'omicidio. Ma in quel momento arriva Pilade alla testa di un gruppo di fedeli di Oreste: il popolo di Buthrote è infuriato per l'uccisione di Pirro, e minaccia il linciaggio di tutti i congiurati. A Ermione, disperata, non resta che maledire Oreste, il quale viene portato via a forza dai suoi, in preda al delirio.\n\nStruttura dell'opera.\nSinfonia con coro.\n\nAtto 1.\n1 Introduzione Troja qual fosti un dì! (Coro, Fenicio, Andromaca, Cefisa, Attalo).\n2 Coro Dall'Oriente l'astro del giorno (Cleone).\n3 Duetto con coro Non proseguir! Comprendo! (Ermione, Pirro).\n4 Cavatina con pertichini Reggia abborrita! (Oreste, Pilade).\n5 Marcia, scena e cavatina con coro Balena in man del figlio (Pirro).\n6 Finale primo:.\nDuettino Amarti? (Ermione, Oreste).\nMarcia e coro Alfin l'eroe da forte.\nTransizione Dal valor de' detti tuoi (Pirro, Cleone, Pilade, Fenicio, Andromaca, Cefisa, Attalo, Oreste, Ermione).\nNonetto Sperar poss'io? (Ermione, Pilade, Pirro, Andromaca, Oreste, Cleone, Cefisa, Attalo, Fenicio).\nTempo di mezzo A me Astianatte! (Pirro, Andromaca, Ermione, Oreste, Pilade, Fenicio).\nStretta Pirro, deh serbami la fè giurata (Ermione, Pirro, Cleone, Cefisa, Oreste, Pilade, Attalo, Andromaca, Fenicio, Coro).\n\nAtto 2.\n8 Duetto Ombra del caro sposo (Andromaca, Pirro).\n9 Gran scena di Ermione:.\nScena Essa corre al trionfo! (Ermione).\nCavatina Dì che vedesti piangere (Ermione).\nRecitativo Ah, voglia il ciel (Fenicio, Cleone, Ermione).\nAria Amata, l'amai (Ermione).\nTempo di mezzo Ma che ascolto?, marcia e coro Premi Amore sì bella costanza (Cleone, Ermione).\nCantabile Un'empia mel rapì! (Ermione).\nTempo di mezzo Il tuo dolor ci affretta (Coro, Ermione, Oreste).\nStretta Se a me nemiche, o stelle (Ermione, Cleone, Coro).\n10 Duettino A così trista immagine (Fenicio, Pilade).\n11 Finale secondo Che feci? Ove son? (Ermione, Oreste, Pilade, Coro)Alcuni pezzi dell'opera furono riutilizzati in altre opere: parte della scena di Ermione diventò una cavatina alternativa per la Zelmira rappresentata a Parigi, la cavatina di Oreste diventò un'aria alternativa per Giacomo de La donna del lago (mantenendo anche alcuni versi) sostituendo la più celebre O fiamma soave e venne riutilizzata (pure mantenendo parte del testo originale) come aria del protagonista maschile nella versione originale (romana) di Matilde di Shabran.\n\nIncisioni discografiche.\nRegistrazioni video.\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ermione.\n\nCollegamenti esterni.\n\nErmione, in Archivio storico Ricordi, Ricordi & C..\n(EN) Spartiti o libretti di Ermione, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.\n(EN) Ermione, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ermione.\n### Descrizione: Ermione è una figura della mitologia greca, figlia di Menelao e di Elena.\nNonostante il nonno materno Tindaro l'avesse promessa in sposa a Oreste, il padre Menelao la fece sposare con il figlio di Achille, Neottolemo. Quando la guerra di Troia finì, a Neottolemo venne assegnato insieme al bottino di guerra anche la moglie di Ettore, Andromaca. Ma Ermione, che non sopportava la presenza di Andromaca, tramò contro di lei e contro il figlio che questa aveva avuto da Neottolemo, Molosso. Molosso e la madre Andromaca vennero tuttavia messi in salvo dal padre di Achille, Peleo. Neottolemo, nel frattempo, si trovava a Delfi per consultare l'oracolo sull'infecondità di Ermione, e qui fu raggiunto e ucciso da Oreste.\nErmione quindi si unì a Oreste e dal loro matrimonio nacque Tisameno.\nLe sue vicende erano l'oggetto dell'Hermiona del tragediografo latino Marco Pacuvio, che trasse l'opera, a sua volta, da un originale greco di cui oggi non è rimasta traccia, probabilmente un'omonima tragedia di Sofocle.\nIl mito di Ermione è al centro dell'Andromaca di Euripide, dell'ottava lettera delle Eroidi di Ovidio, dell'Andromaca di Jean Racine e dell'Ermione di Gioachino Rossini.\nSempre da Ermione prende il nome la figura femminile (probabilmente la sua amante Eleonora Duse) che accompagna il poeta Gabriele D'Annunzio nella poesia La pioggia nel pineto.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Ero e Leandro.\n### Descrizione: Ero e Leandro sono i protagonisti di una struggente storia d'amore giunta sino a noi attraverso due autori classici: Publio Ovidio Nasone, poeta latino del I secolo d.C.; e Museo Grammatico, autore greco del V/VI secolo d.C.\nL'amore appassionato fra i due e il tragico epilogo della vicenda hanno nel tempo ispirato vari autori i quali hanno rivisitato il mito arricchendolo via via di pathos, levigandone le vicende e accrescendone il dramma. In tempi e luoghi diversi, Bernardo Tasso e Christopher Marlowe hanno entrambi esaltato in un poemetto l'amore della giovane coppia.\nSi racconta che Lord Byron abbia voluto provare sulla propria persona la veridicità della storia attraversando da solo, a nuoto e di notte, l'Ellesponto.\nFranz Liszt e Robert Schumann sono tra i compositori che hanno dato veste musicale al mito.\n\nLeggenda.\nEro e Leandro sono due giovani innamorati e bellissimi che vivono sulle sponde opposte di uno stretto braccio di mare, attraversato da correnti fortissime e da moltissime navi. L'opposizione delle famiglie al loro amore e la distanza non li scoraggia: Leandro, forte della sua gioventù intrepida e del suo amore, ogni notte si tuffa nelle acque inquiete e pericolose per raggiungere di nascosto l'amata. Ero, consapevole dei pericoli che Leandro corre per lei attraversando le terribili acque agitate, l'attende alla finestra della sua casa affacciata sullo stretto con una candela accesa in mano, affinché la luce possa far da guida all'amante indicandogli la rotta da seguire.Una notte però la fiamma improvvisamente si spegne e, prima che Ero se ne accorga, Leandro smarrito perde la vita nell'impetuoso mare e, stremato, vi trova la morte.\n\nLa versione di Ovidio.\nLa storia d'amore, con la prova di coraggio e fedeltà costante, e l'attesa reiterata e speranzosa della giovane amante ha ispirato Ovidio, che include Ero e Leandro tra le coppie celebrate nelle sue Eroidi e rintraccia nella tragica vicenda temi cari alla sua poetica (l'attesa, l'amore fedele, la speranza vacillante di chi non si crede più amata).\nLe lettere dedicate alla coppia sono la XVIII (Leandro a Ero) e la XIX (Ero a Leandro).\n\nLettera XVIII.\nLeandro descrive con vivide immagini il suo amore assoluto e devoto per Ero. Dice Leandro alla giovane amata che traversando il mare egli è nello stesso tempo atleta e naufrago:.\n\nL'arrivo del maltempo, le tempeste sul mare, rendono impossibile la traversata; l'angosciata costatazione che occorrerà aspettare del tempo per rivedersi offre l'occasione ad Ovidio per inserire, nel contesto di questa storia d'amore travagliata, un'altra vicenda: l'allusione ad Elle e Frisso, elegante citazione mitologica, evoca già un destino di morte e annientamento:.\n\nLeandro, con commozione, sfoga la sua frustrazione per la distanza che lo separa da Ero e per il mare in tempesta; promette, infine, di raggiungere presto l'amata, anche a costo di morire:.\n\nLettera XIX.\nLa risposta di Ero a Leandro apre una porta sulla vita in tempi passati, sulle differenti occupazioni in cui sono impegnati uomini e donne, guardando ogni cosa da una delicata prospettiva giovane ed innamorata, molto femminile:.\n\nLa ragazza, turbata e in ansia per l'assenza dell'amato, anche se da lui ha ricevuto conferme e promesse d'amore, vacilla e si abbandona ad un accenno di gelosia: che l’indugio di Leandro sia dovuto a un’altra causa?.\n\n\nLa lettera si chiude con un presagio di morte, che Ero ipotizza sia determinata dal tradimento di lui, spingendo, di fatto, con la sua insistita impazienza, Leandro tra i flutti in tempesta, mandandolo incontro a un triste destino.\n\nIl testo di Museo.\nRisale al tardo V secolo d.C. un poemetto, Τὰ καθ’ Ἡρὼ καὶ Λέανδρον, di cui è sopravvissuto il solo epillio, 343 esametri, dedicato ai due giovani amanti, opera di Museo Grammatico, influenzato da trame e peripezie proprie del romanzo greco d'età ellenistica.\nDopo l'invocazione alla Musa, Museo entra nel vivo della vicenda presentando i due giovani protagonisti; sappiamo così che Ero è di Sesto e Leandro è di Abido:.\n\nLeandro, vista Ero durante una festa, se ne innamora follemente; la ragazza è sacerdotessa di Afrodite e inizialmente è ritrosa e resiste all'amore, tuttavia Leandro insiste e non demorde, nonostante le resistenze, ed Ero, alla fine, cede all'amore per il ragazzo:.\n\n\nDecisiva per la divulgazione della favola antica in età umanistica fu la stampa dell'idillio di Museo nel 1495 ad opera di Aldo Manuzio, a cui segui, per cura dello stesso, la traduzione latina con testo a fronte tra il 1495 e il 1497; le edizioni aldine ebbero lunga fortuna e furono ristampate più volte con pochi ritocchi e costituirono un testo di riferimento per edizioni successive. Vi accennano anche altri autori, ma deve la sua fortuna soprattutto a un poemetto in esametri di Museo Grammatico, del V o VI secolo dopo Cristo.\nIl giovane Leandro, che viveva ad Abido, amava Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla costa opposta, e attraversava lo stretto ellespontino a nuoto ogni sera per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo a orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte una tempesta spense la lucerna e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. All'alba Ero vide il corpo senza vita dell'amato sulla spiaggia e, affranta dal dolore, si uccise gettandosi da una torre.\n\nAltre narrazioni del mito.\nIl geografo greco Strabone conosce la storia dei due amanti poiché chiama «torre di Ero» un'antica torre ai suoi tempi visibile nella città di Sesto (XIII 22: ἐπὶ τὸν τῆς Ἡροῦς πύργον), probabilmente un faro che dava la rotta ai naviganti negli attraversamenti notturni dell’Ellesponto.\nLa leggenda era così celebre da essere raffigurata sulle monete locali di Sesto e Abido; il mito è anche presente su alcune pitture parietali pompeiane (Casa dei Vettii).\nVirgilio allude alla leggenda in un passo del III libro delle Georgiche (III, 219-282).\nUna fonte ignota di età ellenistica aveva narrato la leggenda, come testimoniano i trimetri giambici sopravvissuti e custoditi nel Papiro di Ossirinco 864 e gli esametri del Papiro Rylands 486.\nPetrarca paragona i due amanti infelici ad altri in Trionfi II, v. 21: «Leandro in mare et Ero a la finestra».\nLa fortuna della favola di Ero e Leandro crebbe a partire dalla prima meta del '300 e fino alla meta del secolo successivo grazie alla diffusione di Ovidio: il fiorentino Filippo Ceffi volgarizzò le Heroides; il veneziano Giovan Girolamo Nadal nell'ultimo quarto del '300 compose la Leandreide, lungo poema in terzine in cui la vicenda dei due amanti diviene pretesto per parlare di poesia e di Ovidio; il senese Domenico da Monticchiello riprese il volgarizzamento di Ceffi dandogli nuova veste metrica.\nL'avventura amorosa di Ero e Leandro, il topos degli ostacoli, umani e naturali, che impediscono agli amanti di riunirsi, hanno ispirato anche la novellistica volgare, dove l'insegnamento è che la passione d'amore, se non trova giusti confini, può rovinare e portare alla morte; in Le Piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola, del 1550, è raccontata una novella i cui protagonisti, pur nell'inversione dei ruoli, ricordano la favola di Museo: Malgherita di notte a nuoto si recava presso l'amante Teodoro guidata da una fiaccola posta sugli scogli; una notte i fratelli della donna, per ostacolare la relazione tra i due, con uno stratagemma le fecero perdere l'orientamento mentre nuotava e la ragazza annegò; il suo corpo, spinto dalle onde sulla scogliera, fu sepolto da Teodoro.\nL'Ovide moralisé, testo del XIV secolo di un autore anonimo.\nDante Alighieri cita il mito nel XXVIII Canto del Purgatorio: Dante, andando incontro a Matelda, la trova al di là di un corso d'acqua ed è indispettito per non potersi avvicinare, allo stesso modo, egli dice, di Leandro impossibilitato a raggiungere Ero a causa delle condizioni proibitive del mare.\nBernardo Tasso dedica alla Favola di Leandro e d'Ero un poemetto in endecasillabi, all'interno del Terzo libro de gli amori (1537); per ammissione del suo stesso autore, la scrittura era stata mediata da una traduzione latina ed era frutto di una particolare simbiosi con il testo di partenza.\nChristopher Marlowe scrisse un poemetto Hero and Leander pubblicato nel 1598.\nGarcilaso de la Vega nel sonetto 29 cita la storia di Ero e Leandro.\nLope de Vega all'inizio del secondo atto de El caballero de Olmedo (1620) paragona alle vicissitudini amorose di Leandro i continui viaggi da Olmedo a Medina che il protagonista, Don Alonso, intraprende per far visita alla sua amata Doña Inés.\nFabio Planciade Fulgenzio (V-VI sec.), nella Fabula Ero et Leandri, presenta il mito in una luce negativa, vedendovi un’allegoria dei pericoli dell’amore sensuale: «Amor cum periculo sepe concordat et dum ad illud solum notat quod diligit, numquam uidet quod expedit». Fulg., Mit. III, 4, Fabii Planciadis Fulgentii V. C. Opera, a cura di R. Helm [1898]. Questa condanna morale della passione che sconvolge l’animo dei giovani amanti si ritrova nella narrazione dei tre Mitografi Vaticani (IX-XII sec.) Vedi Le premier mythographe du Vatican, a cura di N. Zorzetti, trad. fr. di J. Berlioz, Parigi 1995, VII-XLIV.\nUn significativo adattamento in versi della storia di Ero e Leandro è dell’abate Baudri di Bourgueil (1046-1130) la cui opera poetica comprende 256 componimenti e che, in uno dei suoi poemi più lunghi, il c. 154, traspone liberamente in distici elegiaci l'antico mito. L’autore vi introduce, fra l’altro, una significativa variante del mito, attribuendo alla gelosa Ero lo spegnimento della lampada: «Extinctis facibus ad limina uirgo recedit / Nec superexpectat, qui properans aderat» (vv. 1179-1180).\nIl mastro calzolaio e poeta Hans Sachs (1494-1576), protagonista dell’opera di Richard Wagner Die Meistersinger von Nürnberg (1862-1867), ha letto il mito di Ero e Leandro in chiave morale nella sua Historia. Die unglückhafft lieb Leandri mit fraw Ehron (1541), segnando l’inizio della fortuna di Museo nel Rinascimento.\nJuan Pérez de Moya (1513-1596), il letterato e matematico autore di un importante trattato spagnolo di mitologia classica, la Philosophia secreta, del 1585, racconta di Ero e Leandro nel V libro (cap. 9) che «Contiene fábulas para exortar a los hombres huyr de los vicios y seguir la virtud».\nGabriel Bocángel y Unzueta (1603-1658), uno dei maggiori esponenti del Barocco spagnolo, pubblica il suo poema Hero y Leandro a Madrid nel 1627. Il poeta dà vita ad un sottile gioco intertestuale fra tre precedenti versioni del mito (le Heroides di Ovidio, l’epillio di Museo e la Historia di Boscán), a cui sovrappone la storia di Didone nell’Eneide. Vedi Isabel Torres, « A Small Boat », 154.\nNel 1735 Hugh Stanhope, pseudonimo dietro cui si cela William Bond, un oscuro autore di tragedie e saggista, dà alle stampe a Londra, sotto il titolo antologico The Fortunate and Unfortunate Lovers, due storie: Dorastus and Fawnia ed Hero and Leander, una versione in prosa ispirata all’incompleto poema di Marlowe (1598). Si trattava di un chapbook, ossia uno di quei libriccini tascabili che, a partire dal XVI sec., cominciarono ad essere venduti porta a porta dagli ambulanti in Inghilterra, ed ebbero, soprattutto nell’Ulster, una enorme importanza per la diffusione della cultura anche nelle zone rurali. Il libro conobbe numerose riedizioni; la Preface to the Reader rivela quali fossero gli intendimenti dell’autore nel proporre alla gente comune una storia come quella di Ero e Leandro: «and let Children learn from the Example of the infortunate Hero, not to dispose of themselves without obtaining their Father’s Consent, or at least not without asking it».\nTra gli epigoni del Mitografo, il benedettino Pierre Bersuire (ca. 1290-1362), nel XV libro del Reductorium morale, quell’Ovidius moralizatus che influenzò il capolavoro di Chaucer, i Canterbury Tales, ed ebbe una larga circolazione nei monasteri, propone una lettura allegorica e una cristianizzazione del mito. La sua interpretazione vede in Leandro il genere umano, nella città il mondo, nel mare la vita mortale, nella lanterna il paradiso, in Ero la sapienza divina. L’amore tra i due giovani viene spiegato come un anelito di Ero (= sapienza divina) verso Leandro (= genere umano) che porta la prima a condividere il destino mortale del secondo. Successivamente, Bersuire si spinge fino a una interpretazione tipologica del mito ed afferma che Leandro prefigura il Cristo che si è incarnato ed ha accettato di morire per amore dell’umanità.Troviamo riflessa nel romanzo Miri Jiyori (1894) dello scrittore di lingua assamese Rajanikanta Bordoloi (1869-1939), e dall’altro riaffiora, sullo sfondo drammatico dell’immigrazione clandestina, nel film Welcome (2009) di Philippe Lioret.\nPierre-Jacques-René Denne-Baron scrisse il poema in 4 canti Héro et Léandre, ispirandosi alla versione originale di Museo Grammatico.\nFranz Liszt scrisse la sua ballata n. 2 per pianoforte ispirandosi al mito.\nLuigi Mancinelli scrisse un'opera nel 1896, che fu un gran successo a New York (1902-1903).\nByron fu talmente coinvolto dalla vicenda che volle verificarne la credibilità attraversando lui stesso l'Ellesponto a nuoto.\nRobert Schumann compose nel 1837 il ciclo degli otto Fantasiestücke op. 12 per pianoforte; il quinto pezzo, In der Nacht, è noto perché Schumann ne scrisse: «Dopo averlo finito, ho trovato, con sommo piacere, che conteneva la storia di Ero e Leandro […] Mentre suono In der Nacht non riesco a liberarmi di quest'idea.».\nAnche August Von Platen scrisse una poesia sul mito, tradotta dal Carducci nelle Odi barbare.\nNel 1871 Arrigo Boito scrisse Ero e Leandro, tragedia lirica in due atti.\nAlfredo Catalani compose nel 1885 il poema sinfonico omonimo.\nJohn Keats scrisse un sonetto intitolato Su un quadro che raffigura Leandro.\nLo scrittore serbo Milorad Pavić riprende il mito in chiave moderna ne Il lato interno del vento (Garzanti, 1992).\n\nCuriosità.\nPlinio il Vecchio si prende la briga di calcolare l'effettiva distanza tra le due città a guardia dell'Ellesponto, calcolando la distanza in sette stadi, ovvero 1350 metri (Nat. Hist., 2: «invitis hoc accidisse terris indicio sunt tot angustiae atque tam parva naturae repugnantis intervalla, ad Hellespontum DCCCLXXV. ad Bosporos duos vel bubus meabili transitu unde nomen ambobus , etiam quaedam in dissociatione germanitas concors: alitum quippe cantus canumque latratus invicem audiuntur, vocis etiam humanae commercia, inter duos orbes manente conloquio, nisi cum id ipsum auferunt venti» trad.: “La prova che questo sia accaduto contro la volontà delle terre sono i tanti stretti e i tanto piccoli spazi della natura che si oppone, all'Ellesponto con 875 miglia, ai due Bosfori con un passaggio transitabile anche con buoi- da cui il nome per entrambi-, oltre una certa concorde affinità nel distacco: giacché scambievolmente sono uditi i canti dei volatili e i latrati dei cani, persino scambi di voce umana, rimanendo il dialogo fra le due zone, a meno che i venti non impediscano questo stesso”).\nA. Köchly (filologo classico tedesco che si interessò alla questione) definisce l’epillio di Museo «ultimam emorientis Grecorum litterarum horti rosam» (“ultima rosa del giardino in declino della letteratura greca”).
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### Titolo: Erope (figlia di Catreo).\n### Descrizione: Erope (in greco antico: Ἀερόπη?, Aeròpē) o Aèrope è un personaggio della mitologia greca, figlia di Catreo e quindi discendente di Minosse, re di Creta.\n\nMitologia.\nErope viveva a Micene quando vi giunsero i due fratelli Atreo e Tieste (figli di Pelope ed Ippodamia), scacciati dallo stesso padre poiché avevano ucciso il fratellastro Crisippo.\nErope sposò Atreo re di Argo (dopo che la prima consorte, Cleola, morì dando alla luce un figlio malato, Plistene) e dalla loro unione nacquero i figli Agamennone, Menelao e Anassibia Erope tuttavia amava Tieste e, avendolo sedotto, istigò l'amante ad uccidere il marito.\nSecondo alcune fonti Plistene era in realtà figlio di Erope e di Tieste. Secondo altre, Erope era invece la sposa di Plistene, e madre con lui di Agamennone, Menelao e Anassibia.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Ersa (divinità).\n### Descrizione: Ersa ( Ἔρσα, Érsa oppure Ἕρση, Hérsē), nella mitologia greca, è la dea e personificazione della rugiada.\nViene indicata come una figlia di Zeus e Selene, e pertanto sorella di Pandia, con la quale è talvolta identificata.
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### Titolo: Esaco.\n### Descrizione: Esaco (in greco antico: Αἴσακος?, Áisakos; in latino Aesacus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Priamo re di Troia e Arisbe, sua prima moglie.\nSecondo Apollodoro, Esaco (come i fratellastri Eleno e Cassandra) aveva il dono della veggenza, in particolare era noto per l'interpretazione dei sogni che aveva ereditato dal nonno materno Merope.\n\nMitologia.\nPer la maggior parte delle fonti, tra cui le Metamorfosi di Ovidio, Esaco era il primogenito del re Priamo e l'unico figlio che il re ebbe dalla sua prima moglie Arisbe, secondo altri la madre di Esaco sarebbe stata la ninfa Alessiroe figlia del fiume Granico.\n\nPrima della guerra di Troia.\nPrima della nascita di Paride, Ecuba sognò di generare una fascina di legna piena di serpenti, di svegliarsi e gridare che Troia era in fiamme. Priamo subito consultò Esaco per comprendere quel sogno, egli esclamò: 'Il bimbo che sta per nascere sarà la rovina della nostra patria! Ti supplico di liberartene!'.\nPochi giorni dopo Esaco fece una nuova profezia: 'Le principesse troiane che partoriranno oggi dovranno essere uccise e così i loro figli!' e Priamo uccise così sua sorella Cilla e il figlio di lei Munippo, nato quella mattina.\nAnche Ecuba partorì quel giorno suo figlio ma Priamo non li uccise.\n\nLa fine di Esaco.\nEsaco era perdutamente innamorato di Sterope, figlia del fiume Cebreno che morì morsa da un serpente. Esaco non riuscì a darsi pace e cercò più volte la morte, mai trovandola, gettandosi in mare da un'erta rupe.\nAlla fine, mossi a compassione gli dei lo tramutarono in uno smergo, uccello che può abbandonarsi alla sua ossessione, senza offendere il creato.\nSecondo altre tradizioni, Esaco partecipò alla guerra di Troia: ebbe modo di distinguersi in battaglia, ma venne ucciso per mano di Agamennone.
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### Titolo: Esione.\n### Descrizione: Esione (in greco antico: Ἡσιόνη?, Hēsiónē) è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglia di Laomedonte e di Strimo o Placia (figlia di Otreo) o Leucippe, ebbe da Telamone il figlio Teucro e in seguito partorì Trambelo.\n\nMitologia.\nFu una principessa troiana, figlia di un uomo crudele e irrispettoso degli dei. Laomedonte offese infatti gli dei Apollo e Poseidone che avevano innalzato le mura di Troia, rifiutando di versare il compenso pattuito e fu punito in modo tale che un mostro marino devastasse i raccolti del suo regno rovesciando acqua marina nei campi e divorasse gli abitanti.\nLaomedonte consultò l'oracolo di Zeus Ammone e seppe che il suo regno avrebbe ritrovato la pace se avesse offerto la propria figlia Esione in pasto alla bestia ma si rifiutò di ascoltare il consiglio e pretese che fossero i nobili troiani a sacrificare per primi le loro figlie ed essi consultando a loro volta l'oracolo di Apollo videro che era irato non meno di Poseidone e che s'astenne dall'emettere responsi.\nLaomedonte cercò allora di appropriarsi delle tre figlie di un certo Fenodamante e lo istigò a esporle sulla spiaggia ma questi sbottò sollevando i presenti all'assemblea contro Laomedonte e urlò che il re era l'unico responsabile delle loro disgrazie e che quindi dovesse sacrificare Esione esponendola al mostro.\nLa discussione si risolse con un sorteggio e la sfortunata fu la stessa Esione che fu così incatenata in lacrime a una roccia completamente nuda e adornata solo da gioielli e qui fu scorta da Eracle in cammino dopo essersi battuto con le Amazzoni.\nL'eroe la liberò dai ceppi e si recò in città per offrirsi di stroncare il mostro marino in cambio di una coppia di bellissimi cavalli, dono di Zeus a Laomedonte per risarcirlo del ratto di Ganimede.\nIl re premiò poi l'eroe dandogli in sposa la stessa Esione, ma lo invitò ad andarsene lasciando sia la fanciulla sia i cavalli in città.\nEracle tornò a Troia anni dopo radunando un imponente esercito ed espugnandola, uccidendo Laomedonte e i suoi figli maschi, eccetto Podarce e poi concesse a Telamone (un suo compagno nella spedizione), di prendere in sposa Esione e a essa permise di riscattare uno dei prigionieri, così lei scelse il fratellino Podarce e lo riscattò con il velo dorato con cui era coperta. Da allora egli prese il nome di Priamo, che significa «riscattato».\nEsione seguì il suo nuovo compagno, Telamone, sull'isola di Salamina dove gli diede il figlio Teucro.\nNuovamente incinta lasciò il marito recandosi in Asia Minore e raggiungendo a nuoto Mileto, dove fu trovata in un bosco dal re Arione e partorì Trambelo, bambino che il re allevò come se fosse proprio.\nSpesso la madre di Trambelo è Teanira, una prigioniera troiana.\n'Aesiona' è anche il titolo di una cothurnata di Nevio, la cui trama era appunto la storia di Esione salvata da Telamone. La trama assomiglia molto a quella dell'Andromeda, tragedia scritta da Livio Andronico.
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### Titolo: Et in Arcadia ego (Guercino).\n### Descrizione: Et in Arcadia ego è un dipinto a olio su tela (82x91 cm) realizzato dal Guercino e attualmente conservato presso la Galleria nazionale d'arte antica di palazzo Corsini a Roma. Citato per la prima volta come opera di Guercino nell'ínventario di Antonio Barberini del 1644 (Lavin 1975, p. 168), il dipinto passò nel 1812 al ramo Colonna di Sciarra, con un'attribuzione a Bartolomeo Schedoni che conservò fino al 1911 quando Hermann Voss la restituì a Guercino.In diretta connessione con l'Apollo e Marsia della Galleria Palatina, eseguito da Guercino per il Granduca di Toscana nel 1618, nel quale compare lo stesso gruppo dei due pastori. Secondo Mahon (1968) la tela Barberini non può essere esistita come composizione indipendente prima del dipinto fiorentino, ma è stata eseguita successivamente e trasformata nel tema morale autonomo del memento mori con l'aggiunta del teschio con il verme e il moscone, e della scritta 'Et in Arcadia ego'. Opera giovanile di Guercino eseguita dopo il suo viaggio a Venezia, dove erano particolarmente diffuse le allegorie moraleggianti, ma prima del suo soggiorno romano (1621-23), la tela è stata datata tra il 1618 (Mahon) e il 1622 (Wild).\nL'iconografia del memento mori in ambito pastorale, derivata dalle Egloghe di Virgilio, ebbe ampia diffusione in ambito veneziano e romano a partire dal periodo rinascimentale, viene qui esplicitato con l'aggiunta dell'inscrizione per la prima volta nella storia dell'arte e della letteratura (Cola, 1996).La frase riportata alla base del dipinto può tradursi letteralmente, 'Anche in Arcadia io': dove Et sta per etiam (anche) e viene sottinteso: sum (sono presente) o eram (ero).\nSembra quindi volersi intendere con l'iscrizione.\nsia l'onnipresenza nel tempo e nello spazio della morte (sum - Io sono presente anche in Arcadia),.\nsia la transitorietà di fronte alla morte della gloria letteraria del defunto (eram - Anche io ero in, facevo parte dell', Arcadia).
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### Titolo: Et in Arcadia ego.\n### Descrizione: Et in Arcadia ego è un'iscrizione che si può leggere in alcuni importanti dipinti del Seicento, fra cui uno del Guercino, realizzato fra il 1618 ed il 1622.\nEssa appare anche come iscrizione tombale nel dipinto 'I pastori di Arcadia' (circa 1640), del pittore francese Nicolas Poussin. La frase può tradursi letteralmente: 'Anche in Arcadia io', dove Et sta per etiam (anche), viene sottinteso: sum (sono presente) o eram (ero).\nSembra quindi volersi intendere con l'iscrizione:.\n\nsia l'onnipresenza della morte nel tempo e nello spazio (sum - Io sono presente anche in Arcadia);.\nsia la transitorietà, di fronte alla morte, della gloria letteraria del defunto (eram - Anche io ero in, facevo parte dell'Arcadia).\n\nOrigine.\nLa prima apparizione dell'espressione non si trova nell'antichità classica, bensì in epoca moderna. Compare nel quadro del Guercino, dipinto tra il 1618 e il 1622 (ora nella Galleria nazionale d'arte antica, a Roma), nel quale due pastori fissano un teschio posto su una maceria recante l'iscrizione del motto.\nLa frase è un memento mori, solitamente interpretata come «Anche io in Arcadia» o «Io anche in Arcadia», come pronunciata dalla Morte personificata. Il biografo di Poussin, André Félibien, la interpretò come «La persona sepolta in questa tomba è vissuta in Arcadia»; con altre parole, «la stessa persona che una volta ha goduto dei piaceri della vita, adesso giace in questa tomba». Questa lettura era comune nel XVIII e XIX secolo. Per esempio, William Hazlitt scrisse che Poussin «descrive alcuni pastori in una mattina di primavera, e giungendo alla tomba con questa iscrizione, 'Anche io ero un Arcade'.» Attualmente, è la prima interpretazione a godere di maggiore riconoscimento; l'ambiguità della frase è il soggetto di un saggio dello storico dell'arte Erwin Panofsky. In entrambi i casi, il sentimento era teso a rappresentare un ironico contrasto tra l'ombra della morte e il solito fermo ricordo che le ninfe e i cigni dell'antica Arcadia si pensava incarnassero.\n\nLa prima apparizione di una tomba con iscrizione memoriale (a Dafni) nell'ambientazione idilliaca dell'Arcadia si ha nelle Ecloghe di Virgilio V 42 e ss. Virgilio prende degli idealizzati 'rustici' siciliani, che erano prima apparsi negli Idilli di Teocrito, e li pone nel primitivo distretto greco di Arcadia (si veda Ecloghe VII e X). L'idea fu nuovamente ripresa da Lorenzo de' Medici negli anni sessanta e Settanta del XV secolo, durante il Rinascimento fiorentino. Nella sua opera pastorale Arcadia (1504), Jacopo Sannazaro fissa la prima percezione moderna dell'Arcadia come un mondo perduto di felicità idilliaca, ricordata versi colmi di rimpianto. Negli anni novanta del XVI secolo, Philip Sidney fece circolare copie del proprio romanzo Countess of Pembroke's Arcadia, che presto andarono in stampa.\n\n'Et in Arcadia ego' appare nei titoli di famosi dipinti di Nicolas Poussin (1594–1665). Si tratta di dipinti pastorali raffiguranti pastori ideali dell'antichità classica, raggruppati attorno ad una tomba austera. La seconda versione del dipinto, più famosa, che misura 122 per 85 centimetri, è nel Museo del Louvre, a Parigi, con il nome di 'Les bergers d'Arcadie' (I Pastori di Arcadia). Il dipinto, in passato proprietà del ricchissimo ministro Nicolas Fouquet (che l'aveva avuto da Poussin stesso), poi del re di Francia Luigi XIV e dei suoi successori, è stato di grande influenza nella storia dell'arte, e recentemente è stato associato con la pseudostoria del Priorato di Sion, resa popolare dai libri Holy Blood, Holy Grail e The tomb of God.\nLa prima versione del dipinto di Poussin (ora a Chatsworth House) fu probabilmente commissionata come una rivisitazione della versione del Guercino. È dipinta in uno stile barocco più avanzato rispetto all'ultima versione, caratteristico dei lavori del primo Poussin. Nel dipinto di Chatsworth i pastori scoprono attivamente una tomba seminascosta dai rampicanti, e leggono l'iscrizione con espressione curiosa. Il modo di posare della pastorella, sulla sinistra, mostra un fascino sessuale, molto differente dalla più austera controparte delle versioni successive, che è contraddistinta anche da una composizione più geometrica e da figure più contemplative. La faccia somigliante ad una 'maschera' della pastorella è conforme al canone classico del 'profilo greco'.\n\nVersioni scolpite.\nIl rilievo in marmo dello 'Shepherd's Monument', risalente ad una data imprecisa nella metà dell'XVIII secolo, è una struttura nel giardino della Shugborough House, nello Staffordshire, in Inghilterra, codificata come 'Iscrizione di Shugborough', benché non ancora decifrata. Questa composizione invertita dimostra il fatto che fu copiata da una tomba, le composizioni delle quali sono spesso invertite poiché copie dirette in piano producono immagini speculari sulle stampe.\nNel 1832 un altro rilievo fu scolpito a segnare la tomba di Poussin a Roma, sulla quale il rilievo è posizionato sotto la scultura del busto dell'artista. Le parole dello storico dell'arte Richard Verdi, lasciano intendere che i pastori stanno contemplando 'la morte del loro stesso autore.'In congiunzione con John Andrew, l'artista Ian Hamilton Finlay creò una scultura in marmo intitolata 'Et in Arcadia ego' nel 1976. Scolpite sotto il titolo ci sono le parole 'After Nicholas Poussin' (Nello stile di Nicholas Poussin). Gran parte della scultura mostra un carro armato su uno sfondo pastorale.\n\nElaborazioni pseudostoriche.\nBenché la frase 'et in Arcadia ego' sia ellittica di verbo, essa è frequentissima in latino anche con le forme di sum. Alcuni pseudostorici, considerando alcuni aspetti della grammatica latina, hanno concluso che la frase è incompleta del verbo, e hanno speculato sul fatto che questa frase possa celare un qualche messaggio esoterico, occultando un codice (probabilmente anagrammatico). In The Holy Blood and the Holy Grail, Baigent, Leigh, e Lincoln, sotto la falsa impressione che 'et in Arcadia ego' non sia una vera e propria frase latina, hanno proposto che si trattasse dell'anagramma di I! Tego arcana Dei, che si tradurrebbe in 'Vattene! Io celo i misteri di Dio', suggerendo che la tomba contenga i resti di Gesù o di un'altra importante figura biblica. Gli autori hanno sostenuto, inoltre, che Poussin fosse a conoscenza di questo segreto e che il dipinto rappresenti una località realmente esistente. Gli autori non hanno spiegato perché la tomba dipinta nella seconda versione dovrebbe contenere questo segreto, mentre quella distintamente differente nella prima versione, presumibilmente no. In ultimo, la visione suggerita dai suddetti autori è stata scartata dagli storici dell'arte.\nNel loro libro The Tomb of God, Richard Andrews e Paul Schellenberger, sviluppando queste idee, hanno teorizzato che alla frase latina manchi un 'sum'. Hanno così arguito che la frase latina completa dovrebbe essere Et in Arcadia ego sum, che può essere un anagramma di Arcam Dei Tango Iesu, che dovrebbe significare 'Io tocco la tomba di Dio — Gesù'. Le loro argomentazioni danno per assunto che:.\n\nla frase latina sia incompleta;.\nla parola mancante estrapolata sia corretta;.\nla frase, una volta completata, sia un anagramma.Andrews e Schellenberger dichiarano anche che la tomba ritratta sia quella di Les Pontils, vicino a Rennes-le-Château. Comunque, Franck Marie nel 1974 e Michel Vallet (altrimenti noto come 'Pierre Jarnac') nel 1985 durante le loro ricerche avevano già concluso che la costruzione della tomba fu iniziata nel 1903 dal proprietario della terra, Jean Galibert, che aveva lì sepolto sua moglie e sua nonna in una semplice tomba. I corpi furono riesumati e reinteterrati da qualche altra parte dopo che la terra fu venduta a Louis Lawrence, un americano del Connecticut che era emigrato in quel luogo. Egli seppellì sua madre e sua nonna nella tomba e costruì il sepolcro in pietra. Marie e Vallet intervistarono entrambi Adrien Bourrel, figlio di Lawrence, che testimoniò che la costruzione della tomba cominciò nel 1933 quando era ancora un bambino. Pierre Plantard, il fautore delle teorie sul Priorato di Sion, cercò di arguire che la sepoltura di Les Pontils fosse un 'prototipo' per il dipinto di Poussin, ma situata nelle immediate vicinanze di una fattoria (dietro il fogliame) e non 'in mezzo al niente' nella campagna francese, come solitamente si pensa. Il sepolcro è comunque stato demolito.\n\nAltre citazioni.\nErcole Silva fece scolpire Et in Arcadia ego su un sarcofago collocato all'interno del parco della sua villa a Cinisello, primo esempio di giardino all'inglese in Italia.\nAubrey Beardsley usa la frase nel N°8 della rivista The Savoy. Si tratta sicuramente di una allusione al dipinto di Poussin.\nEvelyn Waugh ha usato la frase come titolo del primo libro del suo romanzo Ritorno a Brideshead.\nUn'opera teatrale di Tom Stoppard del 1993, Arcadia prende il nome da questa frase, ed usa la frase stessa come tema principale. Un personaggio nell'opera traduce la frase latina in inglese secondo il senso di Félibien, mentre un altro adotta la versione più comunemente accettata. Nella seconda scena dell'opera, un personaggio si rivolge ad un altro che frequenta Oxford definendolo come 'Brideshead Regurgitated', espressione che costituisce un doppio riferimento all'indietro, verso l'utilizzo che Waugh faceva della frase.\nÈ il titolo di un poema di Wystan Hugh Auden datato 1965.\nÈ il titolo del secondo maggiore arco di storie della serie di libri esoterici a fumetti di Grant Morrison, The Invisibles, che incorpora i dipinti di Poussin.\nL'urlo e il furore di William Faulkner contiene la citazione 'et ego in Arcadia'.\nLa frase (tradotta in inglese) è riportata nel commento al verso 286 di Fuoco pallido di Vladimir Nabokov.\nLa frase appare in un'iscrizione sulla carabina del Giudice Holden, antagonista nel romanzo di Cormac McCarthy, Meridiano di sangue. L'iscrizione Et In Arcadia Ego, che è il nome dell'oggetto, è riportata in filo d'argento sulla parte posteriore della carabina. «C'è qualcosa di letale in questo oggetto», osserva il narratore del libro, notando che non è comune per un uomo dare un nome alla propria carabina in lingua antica.\nIl dipinto è stato usato come riferimento dal lavoro di Ian Hamilton Finlay.\nIl poeta Johann Wolfgang von Goethe usò una traduzione letterale tedesca (anche senza il verbo 'essere') — 'Auch ich in Arkadien' — durante una reminiscenza di un viaggio formativo in Italia fatto da giovane.\nI due dipinti di Poussin sono citati come fonte d'ispirazione da Simon Le Bon e Nick Rhodes, per la scelta del nome 'Arcadia' di un gruppo musicale dalla vita breve ma molto significativa nella metà degli anni ottanta.\nLa serie TV Millennium (1996-1999) era famosa per i suoi titoli arcani e misteriosi, ed un episodio della seconda stagione era intitolato 'In Arcadia Ego'.\nNel romanzo del 1990 The War of Don Emmanuel's Nether Parts di Louis de Bernières (a p. 367 dell'edizione inglese), è detto che Padre Garcia scolpirà un giorno questa 'famous phrase' alla base dell'obelisco a Cochadebajo de los Gatos.\nLa frase è apparsa su una maglietta usata dalla band ...And You Will Know Us by the Trail of Dead, relativa al loro EP The Secret of Elena's Tomb.\nIl dipinto è un oggetto importante nel gioco della Sierra Online del 1999, Gabriel Knight 3: Il mistero di Rennes-le-Château, i cui personaggi trovano nell'opera importanti idee per l'indagine che stanno seguendo.\nLa frase era stampata su alcuni biglietti dei concerti dei Tool della prima parte del 1997.\nLa frase ed il bassorilievo di Shugborough giocano un ruolo importante nel romanzo fantasy The Hounds of Avalon, parte della serie The Dark Age, di Mark Chadbourn.\nIl libro a fumetti Rex Mundi, edito dalla Dark Horse Comics, utilizza il dipinto di Poussin e la frase come parte integrante della trama.\nÈ il titolo di un libro scritto dal critico letterario italiano Emilio Cecchi, pubblicato nel 1936 da Hoepli e nel 1942 da Arnoldo Mondadori Editore, che riporta le impressioni di un viaggio in Grecia effettuato nel 1934.\nIl tredicesimo capitolo del romanzo Il pendolo di Foucault di Umberto Eco inizia con la frase.\nL'associazione della frase con Rennes-le-Château, e la nozione dell'anagramma, appaiono anche nel quarantottesimo capitolo del romanzo L'ultima cospirazione di Steve Berry.\nLa frase è usata da Laurence Bergreen come titolo del tredicesimo capitolo del suo libro Over the Edge of the World: Magellan's Terrifying Circumnavigation of the Globe.\nIl romanzo di Anthony Powell, The Fisher King (1986) ha un personaggio che traduce il senso della frase in «La morte governa anche in Arcadia.» Powell ha avuto un grande interesse per Poussin, prendendo il titolo per il suo romanzo in venti volumi, A Dance to the Music of Time, da quello di un dipinto di Poussin che mostra figure idilliache a rappresentare le stagioni che danzano in cerchio suonando la lira, intorno ad un vecchio con la barba, il Tempo.\n'Et Ego in Arcadia Fui' è l'epigramma al saggio di Walter Pater su Winkelmann, incluso nel suo libro Il Rinascimento (1873).\nNell'edificio Glass House di Philip Johnson, l'intera casa e pavimenti fanno riferimento all'Arcadia. Una rappresentazione di Poussin appare nella Glass House, il cui pavimento include la miniatura di un tempio greco su di un lago. È inverosimile che si possa trattare di riferimenti casuali, che non sono propri dei grandi architetti.\nIl programma TV The Secret Adventures of Jules Verne usava la frase in riferimento ad un dipinto, anch'esso supposto essere di Poussin, che costituiva la chiave per raggiungere un tesoro, nell'episodio Lord of Air and Darkness.\nLa frase viene citata dal protagonista del romanzo The Rotters' Club (2001) di Jonathan Coe.\nLa frase viene usata nella serie di libri fantasy Ulysses Moore di Pierdomenico Baccalario.\nEt in Arcadia Ego è titolo e filo conduttore della mostra collettiva di arti visive allestita nella Cittadella dei Musei di Cagliari.\n'Et in Arcadia Ego' (parte1 e parte 2) sono il titolo degli ultimi due episodi della prima stagione di Star Trek: Picard.\n'Et in Arcadia Ego' è il titolo di un capitolo della seconda parte (p. 119 ss.) del romanzo 'Autobiografia di Pedra Delicado' di Alicia Gimenez-Bartlett.
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### Titolo: Ethon.\n### Descrizione: Ethon o Etone o ancora Aithon è, nella mitologia greca, il nome della mostruosa aquila che rosicchiava ogni giorno il fegato di Prometeo dopo che egli fu incatenato da Zeus sul Caucaso. Figura presente in molti mitografi, è tuttavia nominata dal solo Igino nelle sue Fabulae.\nSecondo una tradizione, l'aquila era una delle tante creature generate da Tifone ed Echidna. Una variante invece afferma che il mostro fu creato da Efesto insieme a Zeus, che gli avrebbe quindi infuso vita.\nL'aquila venne uccisa con una freccia da Eracle, che liberò quindi Prometeo.
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### Titolo: Etia.\n### Descrizione: Etia (in greco antico Ετίας, in latino Etias) è un personaggio eponimo della mitografia greca e romana, figlia di Enea e di sua moglie Creusa. Come riportato da Pausania in 'Periegesi della Grecia', Enea - nel corso della sua fuga da Troia - fondò a suo nome la città di Eti che sorgeva sulla costa della Laconia di fronte a Citera.
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### Titolo: Etilla.\n### Descrizione: Etilla (in greco antico: Αἴθιλλα?, Áithilla) è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglia di Laomedonte.\nNon ci sono notizie di sposi o progenie.\n\nMitologia.\nEtilla, sorella di Priamo sopravvisse alla guerra di Troia e fu fatta prigioniera dagli uomini di Protesilao insieme a due delle sue sorelle (Medesicasta ed Astioche).\nIl lungo viaggio fu percorso via mare e la ragazza cercò di coinvolgere tutte le schiave della nave per bruciarla e riuscendo nel loro intento, costrinsero i greci attraccare alla terra più vicina ed una volta stabilitisi fondarono una città chiamata Scione.\nApollodoro posiziona l'evento in Italia e vicino al fiume Nauaethus e scrive che le schiave (chiamate Nauprestides) ed i greci si stabilirono lì.\nSecondo Strabone, il fiume siciliano Neaethus (una variante per 'Nauaethus') fu chiamato così perché quando i greci che si erano allontanati dalla flotta sbarcarono li vicino e si diressero nell'entroterra per esplorare il paese, le donne troiane che erano con loro, osservarono la fertilità della terra e decisero di incendiare le navi per ottenere che gli uomini restassero lì.
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### Titolo: Etiopia (mitologia greca).\n### Descrizione: L'Etiopia (in greco antico: Αἰθιοπία?, Aithiopia) appare come termine geografico nei documenti classici in riferimento alle attuali regioni attorno al fiume Nilo superiore ed a certe zone a sud del deserto del Sahara.\n\nEtimologia.\nIl nome greco Αἰθιοπία (da Αἰθίοψ, Aithiops, 'etiope') è un composto derivato da due parole greche, αἴθω + ὤψ (aitho 'io brucio' + ops 'viso'), che diventano 'viso bruciato'. Tale composta fu usato già nei poemi omerici per definire le popolazioni dalla pelle scura.\n\nGeografia.\nNell'antichità classica, con il nome Etiopia ci si riferiva alle parti del deserto libico-nubiano (eccetto l'odierno Egitto), che comprendevano la terra del deserto nei pressi del fiume Nilo meridionale fino al Mar Rosso ed il protrarsi di questa parte di Africa fino alle sorgenti del Nilo Azzurro.\n\nStoria.\nOmero.\nLe prime menzioni risalgono ad Omero che sia nell'Iliade che nell'Odissea scrive dell'esistenza di questa terra.\nI poemi omerici sono infatti i primi a menzionare il termine 'Etiopi' (in greco antico: Αἰθίοπες? e in greco antico: Αἰθιοπῆες?) ed ad affermare che essi si trovano all'estremità est ed ovest del mondo, divisi tra il mare 'orientale' (all'alba) e quello 'occidentale' (al tramonto). Nell'Iliade, Teti si reca all'Olimpo per incontrare Zeus e mentre attende l'incontro visita la terra degli Etiopi.\n\nErodoto.\nErodoto usa specificamente questo appellativo per riferirsi a parti dell'Africa già a quei tempi conosciute ed abitabili e dal suo punto di vista, l'Etiopia è tutta la terra abitata che esiste a sud dell'Egitto e di Elefantina (la moderna Assuan).\nNelle Storie (440 a.C. circa) infatti, Erodoto raccoglie alcune delle informazioni più antiche e dettagliate sull'Etiopia e riferisce di aver viaggiato personalmente lungo il Nilo fino a Elefantina.\nEgli descrive una capitale a Meroe, aggiungendo che le uniche divinità ivi venerate erano Zeus (Amon) e Dioniso (Osiride). Riferisce inoltre che durante il regno del faraone Psammetico I (circa 650 a.C.), molti soldati egiziani abbandonarono il loro paese per insediarsi tra gli Etiopi.Nel libro III, Erodoto definisce l'Etiopia come la regione più lontana della 'Libia' (ossia l'Africa), dicendo: 'Dove il sud declina verso il sole che tramonta si trova il paese chiamato Etiopia, l'ultima terra abitata in quella direzione. Abbondano elefanti enormi, con alberi selvatici di ogni genere ed ebano, e gli uomini sono più alti, più belli e più longevi che altrove.'.
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### Titolo: Etna (divinità).\n### Descrizione: Etna è una dea della mitologia greca.\nEra considerata figlia di Urano e Gea e diede il nome all'omonimo vulcano, le cui distruttive eruzioni erano causate dal drago Tifone, che viveva nelle sue viscere.La Sicilia, terra di vulcani e frumento, era causa di dispute tra Efesto e Demetra, dei rispettivamente del fuoco e delle messi. Etna fece da arbitro. Viene a volte ritenuta madre dei Palici.
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### Titolo: Etna.\n### Descrizione: L'Etna (detto anche Mongibello, Muncibbeḍḍu in siciliano) è uno stratovulcano complesso della Sicilia originatosi nel Quaternario, ed è il più alto vulcano attivo della placca euroasiatica. Le sue frequenti eruzioni nel corso del tempo hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante e in tante occasioni hanno costituito una minaccia per gli insediamenti abitativi nati nel tempo alle sue pendici. Il 21 giugno 2013, la XXXVII sessione del Comitato UNESCO ha inserito l'Etna nell'elenco dei beni costituenti il Patrimonio dell'umanità.\n\nGeografia fisica.\nL'Etna sorge sulla costa orientale della Sicilia, a sud-ovest dei Monti Peloritani e a sud-est dei Monti Nebrodi (Appennino siculo), entro il territorio della città metropolitana di Catania ed è attraversato dal 15º meridiano est, che da esso prende il nome. Con un diametro di oltre 40 chilometri e un perimetro di base di circa 135 km, occupa una superficie di 1 265 km². La regione etnea, delimitata dal corso dell’Alcantara e da quello del Simeto, ha un perimetro di 212 km e una superficie di 1 570 km².[1].\n\nIl vulcano è classificato tra quelli definiti a scudo a cui è sovrapposto uno stratovulcano, l'edificio attuale (eruzioni degli ultimi 15 000 anni).\nLa sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne determinano l'innalzamento o l'abbassamento. Nel 1900 la sua altezza raggiungeva i 3 274 m e nel 1950 i 3 326 m; nel 1978 era stata raggiunta la quota di 3 345 m e nel 1981 quella di 3 350 m. Dalla metà degli anni 1980 l'altezza è progressivamente diminuita: 3 340 m nel 1986, 3 329 m nel 1999. Le più recenti misure, effettuate da due squadre indipendenti con GPS ad altissima risoluzione, hanno rivelato che l'altezza dell'Etna era di 3 326 m a luglio 2018. In data 25 luglio 2021 è stata misurata l'altezza di 3 357 m. La vetta più alta è sull'orlo settentrionale del cratere di sud-est.L'Etna ha una struttura piuttosto complessa a causa della formazione, nel tempo, di numerosi edifici vulcanici che tuttavia in molti casi sono in seguito collassati e sono stati sostituiti, affiancati o coperti interamente da nuovi centri eruttivi. Sono riconoscibili nella 'fase moderna' del vulcano almeno 300 tra coni e fratture eruttive. La zona risulta anche a moderato rischio sismico per effetto anche del tremore del vulcano.\nI quattro crateri sommitali sono: la Voragine e la Bocca Nuova, che si sono formate all'interno del Cratere Centrale rispettivamente nel 1945 e 1968, il Cratere di Nord-Est, che esiste dal 1911 e il Cratere di Sud-Est, che è attualmente il punto più alto dell'Etna.\nLa sua superficie è caratterizzata da una ricca varietà di ambienti che alterna paesaggi urbani, folti boschi che conservano diverse specie botaniche endemiche ad aree desolate ricoperte da roccia magmatica e periodicamente soggette a innevamento alle maggiori quote.\n\nAmbiente.\nIl territorio del vulcano presenta aspetti molto differenti per morfologia e tipologia in funzione dell'altitudine. Coltivato fino ai 1 000 metri dal livello del mare (in alcuni casi i frutteti arrivano a oltre 1 500 m s.l.m.) e fortemente urbanizzato sui versanti est e sud si presenta selvaggio e brullo sul lato occidentale dove predominano le 'sciare', specie nel versante nord. Poco urbanizzato, ma di aspetto più dolce, il versante nord con il predominio dei boschi al di sopra di Linguaglossa. Il versante est è dominato dall'aspetto inquietante della Valle del Bove sui margini della quale si inerpicano fitti boschi.\nIl circondario ha caratteristiche che ne rendono le terre ottime per produzioni agricole, grazie alla particolare fertilità dei detriti vulcanici. La zona abitata e coltivata giunge quasi ai 1 000 m s.l.m. mentre le zone boschive arrivano fino ai 1 500 metri. Ampie parti delle sue pendici sono comprese nell'omonimo parco naturale. Il versante sud del vulcano è percorso dalla strada provinciale SP92 che si arrampica sulla montagna fino a quasi 2 000 m di quota, generando circa 20 km di tornanti. L'infrastruttura non permette di raggiungere la cima in auto ma, raggiunta la stazione turistica attorno alla Funivia dell'Etna, continua poi il suo percorso per altri 20 km circa in direzione di Zafferana Etnea.\nIn inverno è presente la neve che, alle quote più elevate, resiste fin quasi all'estate. Le aree turistiche da dove si può partire per le escursioni in cima al vulcano sono raggiungibili agevolmente dai versanti sud e nord-est in cui si trovano anche le due stazioni sciistiche del vulcano (Etna sud ed Etna nord). Da quella sud, dallo storico Rifugio Sapienza nel territorio di Nicolosi è possibile ammirare il golfo di Catania e la valle del Simeto. Dalle piste di Piano Provenzana a nord, in territorio di Linguaglossa, sono visibili Taormina e le coste della Calabria.\n\nClima.\nNelle parti più alte del vulcano il clima è di tipo alpino. Le temperature medie annue variano dai 13-14 °C della base ai 2-3 °C della vetta.\n\nStoria.\nI primi riferimenti storici all'attività eruttiva dell'Etna si trovano negli scritti di Tucidide e Diodoro Siculo e del poeta Pindaro; altri riferimenti sono per lo più mitologici. Secondo Diodoro Siculo, circa 3 000 anni fa, in seguito a una fase di attività violentemente esplosive (probabilmente sub-pliniane) dell'Etna, gli abitanti del tempo, i Sicani, si spostarono verso le parti occidentali dell'isola.\nI primi studiosi a intuire che il vulcano fosse in realtà costituito da un grande numero di strutture più piccole e variamente sovrapposte o affiancate furono il Lyell, Sartorius von Waltershausen e il Gemmellaro; questi riconobbero nell'Etna almeno due principali coni eruttivi, il più recente Mongibello e il più antico Trifoglietto (nell'area della Valle del Bove).. Tale impostazione non venne rivista fino agli anni sessanta quando il belga J. Klerkx (sotto la guida di Alfred Rittmann) individuò nella predetta valle una successione di altri prodotti eruttivi precedenti al Mongibello. Studi successivi hanno rivelato una maggiore complessità della struttura che risulta costituita da numerosissimi centri eruttivi con caratteristiche tipologiche del tutto differenti.\nL'attività maggioritaria in tempi storici è stata connessa a quella del sistema centrale, che in tempi più recenti ha interessato altre nuove bocche sommitali: il Cratere di Nord-Est, formatosi nel 1911, la Voragine nata all'interno del Cratere centrale nel 1945 e la Bocca Nuova originatasi sempre al suo interno, nel 1968.\nNel 1971 si è formato il nuovo Cratere di Sud-Est. Infine, nel 2007, è nato il Nuovo Cratere di Sud-Est che in seguito all'intensa e frequente attività stromboliana e alle fontane di lava, tra il 2011 e il 2013 ha assunto dimensioni imponenti raggiungendo l'altezza dei crateri precedenti.\n\nEtimologia del nome.\nL'etimologia del nome Etna è da sempre dibattuta. Sembrerebbe derivare dal toponimo Aἴτνα (Aitna), nome che fu attribuito alle città di Katane e Inessa e che deriverebbe dal verbo greco αἴθω (àithō), cioè 'bruciare'. L'Etna era infatti conosciuto dai Greci come Αἴτνη (Àitnē) e dai Romani come Aetna. Non è comunque esclusa la possibile origine indigena del termine, attribuendolo al sicano *aith-na ('ardente'), comunque derivante dalla radice protoindoeuropea ai-dh ('bruciare; fuoco').\nGli scritti in lingua araba si riferivano a esso come Jabal al-burkān (montagna del vulcano) o Jabal Aṭma Ṣiqilliya ('montagna somma della Sicilia') o Jabal an-Nār ('montagna di fuoco'). Questo nome fu più tardi mutato in Mons Gibel, letteralmente 'monte Gibel' (dal latino mons 'monte' e dall'arabo jabal (جبل) 'monte'), da cui il siciliano Muncibbeḍḍu, reso poi in italiano come Mongibello (o anche Montebello). Secondo altri questo termine deriverebbe dal latino Mulciber (lett. 'colui che addolcisce [i metalli nella forgia]' o “il fonditore”, epiteto riferito al dio Efesto).Il nome Muncibbeḍḍu è tuttora di uso comune, anche se le popolazioni locali si riferiscono all'Etna anche semplicemente attraverso il siciliano 'A Muntagna'.\n\nStoria geologica.\nGenesi del vulcano.\nL'Etna si è formato nel corso delle ere con un processo di costruzione e distruzione incominciato intorno a 570 000 anni fa, nel periodo Quaternario, durante il Pleistocene medio. Al suo posto si ritiene vi fosse un ampio golfo nel punto di contatto tra la zolla euro-asiatica a nord e la zolla africana a sud, corrispondente alla catena dei monti Peloritani a settentrione e all'altopiano Ibleo a meridione. Fu proprio il colossale attrito tra le due zolle a dare origine alle prime eruzioni sottomarine di lava basaltica fluidissima con la nascita dei primi coni vulcanici, al centro del golfo primordiale detto pre-etneo, nel periodo del Pleistocene medio-superiore 700 000 anni fa.\nDi tali attività restano gli splendidi affioramenti della Riviera dei Ciclopi con i loro prismi basaltici (l'isola Lachea e i faraglioni di Aci Trezza), le brecce vulcaniche vetrose (ialoclastiti) e le lave a pillow della rupe di Aci Castello, ma anche i basalti colonnari affioranti nel terrazzo fluviale del Simeto, esteso nei versanti sud occidentale e sud orientale da Adrano e Paternò fino alla costa Ionica. Il sollevamento tettonico dell'area, unitamente all'accumulo dei prodotti eruttivi, determinò l'emersione della regione e la formazione di un edificio vulcanico a scudo che è quello che costituisce il basamento dell'attuale.\nTra i 350 000 e i 200 000 anni fa, da un'attività di tipo fessurale, spesso anche subacquea, scaturirono lave estremamente fluide che diedero luogo alla formazione di bancate laviche tabulari di elevato spessore (fino a 50 m), i cui resti sono gli imponenti terrazzamenti visibili nell'area sud occidentale dell'edificio vulcanico a quote comprese fra i 300 e i 600 m s.l.m.Gli studi sulla composizione di queste lave hanno messo in evidenza che questi prodotti vulcanici (sia subacquei sia subaerei) rappresentano le cosiddette vulcaniti tholeiitiche basali, cioè magmi simili, anche se con delle differenze, a quelli che vengono prodotti in aree del mantello terrestre caratterizzate da alti gradi di fusione parziale di grande attività distensive, tipiche delle dorsali e delle isole oceaniche. Le tholeiiti costituiscono una percentuale assai limitata dei prodotti dell'area etnea e sono state eruttate in più riprese a partire da circa 500 000 anni fa, questa è infatti l'età dei più antichi prodotti etnei. Allo stesso periodo geologico si attribuisce anche la formazione del notevole Neck di Motta Sant'Anastasia, una rupe isolata di lave colonnari su cui è edificato il centro storico della cittadina etnea.\nSi ritiene che tra 200 000 e 110 000 anni fa ci fu uno spostamento degli assi eruttivi verso nord e verso ovest con un contemporaneo mutamento nell'attività di risalita e nei meccanismi di effusione, accompagnati da una variazione nella composizione chimica dei magmi e nel tipo di attività. La nuova fase eruttiva vide come protagonisti coni subaerei che emettevano lave di tipo 'alcalino'. L'attività si concentrò lungo la costa ionica in corrispondenza del sistema di faglie dirette denominato delle Timpe. I prodotti alcalini costituiscono la gran mole del vulcano etneo e vengono eruttati ancora oggi. La distinzione tra i termini viene effettuata mediante i rapporti tra le percentuali di alcuni ossidi e in particolare SiO2 e K2O+Na2O ritenuti indicativi delle condizioni di genesi dei magmi stessi.\nDurante il Tarantiano, 110 000-60 000 anni fa, l'attività eruttiva si sposta dalla zona Val Calanna-Moscarello verso l'area adesso occupata dalla depressione della Valle del Bove. Da un'attività di tipo fissurale, come quella che ha caratterizzato le prime due fasi, si passerà gradualmente a un'attività di tipo centrale caratterizzata da eruzioni sia effusive sia esplosive. Questo tipo di attività porterà alla formazione di diversi centri eruttivi. Il principale dei coni, che viene denominato dagli studiosi Monte Calanna, è inglobato al di sotto del vulcano.\nCessata l'attività di questo, circa ottantamila anni fa entrò in eruzione un nuovo complesso di coni vulcanici, detto Trifoglietto, più a ovest del precedente, che a dispetto del grazioso nome fu un vulcano estremamente pericoloso, di tipo esplosivo caratterizzato da eruzioni pliniane polifasiche, come ad esempio il Vesuvio e Vulcano delle isole Eolie, che emetteva lave di tipo molto viscoso. L'attività vulcanica si spostò poi ancor più a ovest con la nascita di un'ulteriore bocca vulcanica a cui vien dato il nome di Trifoglietto II (dai 70 000 ai 55 000 anni fa). Il collasso di questo edificio ha dato origine all'immensa caldera della già citata Valle del Bove, profonda circa mille metri e larga cinque chilometri, lasciando esposti sulle pareti di questa gli affioramenti di rocce piroclastiche che evidenziano lo stile particolarmente esplosivo della sua attività. L'esplosività è probabilmente collegata alle grandi quantità di acqua nell'edificio che vaporizzandosi frammentava il magma.\nIntorno a 55 000 anni fa circa si verifica un ulteriore spostamento dell'attività eruttiva verso nord-ovest dopo la fine dell'attività dei centri della Valle del Bove. È la fase detta dello stratovulcano. Tale spostamento porterà alla formazione del vulcano Ellittico, il più grosso centro eruttivo che costituisce la struttura principale del monte Etna. Il nome Ellittico deriva dalla forma, appunto di ellisse (2 km asse maggiore e 1 km asse minore), della caldera che ha segnato la fine della sua attività. I suoi prodotti, sia colate laviche sia piroclastiti, costruirono un edificio di dimensioni notevoli che, prima del collasso calderico avvenuto 15 000 anni fa, doveva probabilmente raggiungere i 4 000 metri di altezza. Le eruzioni laterali dell'Ellittico hanno prodotto la graduale espansione laterale dell'edificio vulcanico attraverso la messa in posto di colate laviche che hanno causato un radicale cambiamento dell'assetto del reticolo idrografico principalmente nel settore nord e nord-orientale. In quest'area le colate laviche colmarono antiche paleovallate come quella del fiume Alcantara generando numerosi fenomeni di sbarramento lavico del paleoalveo del fiume Simeto.\nL'intensa e continua attività effusiva degli ultimi 15 000 anni riempirà del tutto la caldera del vulcano Ellittico coprendo in gran parte i suoi versanti e formando il nuovo cono craterico sommitale. Tale attività effusiva, originata sia dalle bocche sommitali sia da apparati eruttivi parassiti, porterà alla formazione dell'edificio vulcanico che forma il complesso in attività: il Mongibello.\nNel corso del tempo si sono avute fasi di stanca e fasi di attività eruttiva, con un collasso del Mongibello intorno a otto-novemila anni fa; nei prodotti del Mongibello è stata osservata una generale transizione da termini più antichi e acidi (relativamente arricchiti in SiO2) a più recenti e basici (cioè relativamente povere di SiO2) e porfirici (ricchi di minerali cristallizzati in profondità prima dell'emissione), le lave sono quindi ritornate a essere di tipo fluido basaltico e si sono formati altri coni di cui alcuni molto recenti.\nA periodi abbastanza ravvicinati entra in eruzione incominciando in genere con un periodo di degassamento ed emissione di sabbia vulcanica a cui fa seguito un'emissione di lava abbastanza fluida all'origine. Talvolta vi sono dei periodi di attività stromboliana che attirano folle di visitatori d'ogni parte del mondo per via della loro spettacolarità.\nNonostante i vulcani eruttino prevalentemente dalla loro cima, da uno o più crateri sommitali, l'Etna si caratterizza per essere uno dei pochi vulcani al mondo in cui è stato possibile osservare a memoria d'uomo la nascita di nuove bocche eruttive sommitali, formatesi prevalentemente nel secolo scorso. Il vulcano attuale era costituito fino agli anni 2000 essenzialmente da quattro crateri sommitali attivi: il cratere centrale o Voragine, il cratere subterminale di Nord-est formatosi nel 1911 (NEC), la Bocca Nuova del 1968 (BN) e il cratere subterminale di Sud-est (del 1971) (SEC).\nTuttavia, solo nell'ultimo decennio, per la prima volta, i vulcanologi sono riusciti ad applicare un moderno approccio multidisciplinare per monitorare la nascita di un nuovo cratere sommitale e cercare di comprendere cosa renda tanto instabile un vulcano come l'Etna in corrispondenza delle bocche sommitali: alla fine del 2011 dove prima c'era un cratere a pozzo (o pit crater) alla base orientale del SEC, si è infatti sviluppato quello che ormai gli studiosi hanno ribattezzato Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC). L'edificio vulcanico del Nuovo Cratere di Sud-Est, formatosi lungo una frattura orientata lungo una direzione Nord-Ovest Sud-Est, è successivamente cresciuto con grande rapidità sull'orlo di una parete a strapiombo della Valle del Bove, alta circa mille metri, presentando quindi una relativa instabilità che caratterizza tutto il fianco nord-orientale del vulcano e mantiene alta l'attenzione degli scienziati.\nQuesti hanno recentemente stabilito che il vulcano subisce ciclicamente nel tempo dei fenomeni di inflazione (rigonfiamento), seguiti da deflazione (sgonfiamento) che possono durare per un periodo di alcuni mesi fino a qualche anno. Come riferito da Marco Neri, coordinatore del lavoro di studi e primo ricercatore presso l'Osservatorio etneo dell'INGV (INGV-OE), durante un recente periodo di inflazione, «il fianco nord-orientale dell'Etna si è deformato, seguendo traiettorie di 'traslazione' semi-circolari: la porzione sommitale si è spostata verso Nord-est, la parte intermedia verso Est e infine la parte distale, in prossimità del Mare Ionio, è traslata verso Sud-est. Lo spostamento verso Nord-est della parte sommitale del vulcano ha favorito l'apertura di numerose fessure eruttive orientate in senso Nord-ovest Sud-est e la conseguente nascita del Nuovo Cratere di Sud-est». La traslazione verso lo Ionio è confermata anche dagli studi condotti dalla Open University.\nDurante una campagna di misurazioni con GPS effettuata dall'INGV nel gennaio del 2014 si è constatato che il punto più alto del nuovo cono si era assestato a una quota di 3 290 m s.l.m. facendone di fatto una delle bocche sommitali più alte del grande vulcano. Nel corso della seconda metà degli anni 2010, la sella intracraterica del Sud-Est viene notevolmente sconvolta con le attività del 2016, 2017, 2018. Nel 2020, a dicembre, inizia un ciclo eruttivo che stravolge totalmente l'assetto della zona terminale: a seguito di attività esplosive, infatti, il nuovo cono intracraterico del Sud-Est superava i 3 357 m s.l.m. tra il 13 e il 25 giugno 2021 assestandosi quale nuova vetta, in sostituzione del NEC.\nL'Etna presenta inoltre diverse piccole bocche laterali sparse a varie altitudini, dette crateri avventizi, prodotte dalle varie eruzioni laterali nel tempo. Esistono poi dei centri eruttivi eccentrici caratterizzati dalla non condivisione del condotto vulcanico con il vulcano principale, ma del solo bacino magmatico, quali i monti Rossi e il monte Mojo.\n\nEruzioni notevoli in periodo storico.\nIn genere le eruzioni dell'Etna pur fortemente distruttive delle cose, non lo sono per le persone se si eccettuano i casi fortuiti come quello di Bronte del 25 novembre del 1843 in cui a causa di una falda freatica la lava esplose colpendo una settantina di persone delle quali persero la vita almeno 36 o di palese imprudenza come nel 1979 quando un'improvvisa pioggia di massi uccise nove turisti, avventuratisi fino al cratere apparentemente spento, e ne ferì un'altra decina. Le fonti della memoria storica ricordano centinaia di eruzioni di cui alcune fortemente distruttive.\nL'eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614. Il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano. Le colate ebbero origine a quota 2 550 e presentarono la caratteristica particolare di ingrottarsi ed emergere poi molto più a valle fino alla quota di 975 m s.l.m., al di sopra comunque dei centri abitati. Lo svuotamento dei condotti di ingrottamento originò tutta una serie di grotte laviche, visitabili, come la grotta del Gelo, la grotta dei Lamponi, la grotta delle Palombe, il Complesso Immacolatelle e Micio Conti.\nNel 1669 avvenne l'eruzione più conosciuta e distruttiva, che raggiunse e superò, dal lato occidentale, la città di Catania; ne distrusse la parte esterna fino alle mura, circondando il Castello Ursino e superandolo creò oltre un chilometro di nuova terraferma. L'eruzione fu annunciata da un fortissimo boato e da un terremoto che distrusse il paese di Nicolosi e danneggiò Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Poi si aprì un'enorme fenditura a partire dalla zona sommitale e, sopra Nicolosi, si iniziò l'emissione di un'enorme quantità di lava. Il gigantesco fronte lavico avanzò inesorabilmente seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo e Misterbianco oltre a villaggi minori dirigendosi verso il mare. Si formarono i due coni piroclastici che sono denominati Monti Rossi, a nord di Nicolosi. L'eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi.\nNel 1892 un'altra eruzione portò alla formazione, a circa 1 800 m di quota, del complesso dei Monti Silvestri.\nNel 1928, ai primi di novembre, ebbe inizio l'eruzione più distruttiva del XX secolo. Essa portò, in pochi giorni, alla distruzione della cittadina di Mascali. La colata fuoriuscì da diverse bocche laterali sul versante orientale del vulcano e minacciò anche Sant'Alfio e Nunziata.\nL'eruzione del 5 aprile del 1971 ebbe inizio a quota 3 050 da una voragine dalla quale l'emissione di prodotti piroclastici formò il cono sub-terminale di Sud-est. Vennero distrutti l'Osservatorio Vulcanologico e la funivia dell'Etna. Ai primi di maggio si aprì una lunga fenditura a quota 1 800 m s.l.m. che raggiunse Fornazzo e minacciò Milo. La lava emessa fu di 75 milioni di metri cubi.\nL'eruzione del 1981 ebbe inizio il 17 marzo e si rivelò abbastanza minacciosa: in appena poche ore si aprirono fenditure da quota 2 550 via via fino a 1 140. Le lave emesse, molto fluide, raggiunsero e tagliarono la Ferrovia Circumetnea; un braccio si arrestò appena 200 metri prima di Randazzo. Il fronte lavico tagliò la strada provinciale e la Ferrovia Taormina-Alcantara-Randazzo delle Ferrovie dello Stato, proseguendo fino alle sponde del fiume Alcantara. Si temette la distruzione della pittoresca e fertile vallata, ma la furia del vulcano si arrestò alla quota di 600 m.\nIl 1983 è da ricordare oltre che per la durata dell'eruzione, 131 giorni, con 100 milioni di metri cubi di lava emessi (che distrussero impianti sciistici, ristoranti, altre attività turistiche, nuovamente la funivia dell'Etna e lunghi tratti della S.P. 92), anche per il primo tentativo al mondo di deviazione per mezzo di esplosivo della colata lavica. L'eruzione si presentava abbastanza imprevedibile, con numerosi ingrottamenti ed emersioni di lava fluida a valle, che fecero temere per i centri abitati di Ragalna, Belpasso e Nicolosi. Pur tra molte polemiche, e divergenze tra gli studiosi, vennero praticati, con notevole difficoltà, date le altissime temperature che arrivavano a rovinare le punte da foratura, decine e decine di fornelli per consentire agli artificieri di immettere le cariche esplosive. La colata venne parzialmente deviata; l'eruzione ebbe comunque termine di lì a poco.\nIl 14 dicembre del 1991 ebbe inizio la più lunga eruzione del XX secolo (durata 473 giorni), con l'apertura di una frattura eruttiva alla base del cratere di Sud-est, alle quote da 3 100 m a 2 400 m s.l.m. in direzione della Valle del Bove. L'esteso campo lavico ricoprì la zona detta del Trifoglietto e si diresse verso il Salto della Giumenta, che superò il 25 dicembre 1991 dirigendosi verso la Val Calanna. La situazione fu giudicata pericolosa per il comune di Zafferana Etnea e venne messa in opera una strategia di contenimento concertata tra la Protezione civile e il Genio dell'Esercito. In venti giorni venne eretto un argine di venti metri d'altezza che, per due mesi, resse alla spinta del fronte lavico. La tecnica fu quella dell'erezione di barriere in terra per mezzo di lavoro ininterrotto di grandi ruspe ed escavatori a cucchiaio.\nQuesta tecnica in seguito si rivelerà efficace nel tentativo di salvataggio del rifugio Sapienza e della stazione turistica di Etna Sud nel corso dell'eruzione 2001, e sarà oggetto di studio da parte di équipe internazionali, tra cui esperti giapponesi. Tutto si rivelò efficace nel rallentare il flusso lavico guadagnando tempo ma ancora una volta non risolutivo in caso di persistenza dell'evento eruttivo. Furono chiamati gli incursori della Marina che operarono nel canale principale, a quota 2 200 m, con cariche esplosive al plastico (C4) e speciali cariche esplosive cave per deviare il flusso di lava nel canale d'invito e inviarla così nella valle del Bove, riportando la posizione del fronte lavico a quella di circa sei mesi prima. L'operazione riuscì perfettamente, utilizzando una carica di C4 pari a 7 tonnellate e trenta cariche cave; il tutto, fatto esplodere in rapidissima successione, fece crollare il diaframma che separava il magma dal canale d'invito. Successivamente venne ostruito con grandi macigni di pietra lavica il canale principale che scendeva pericolosamente verso Zafferana Etnea.\n\nAttività vulcanica.\nL'Etna è un vulcano attivo. A differenza dello Stromboli, che è in perenne attività, e del Vesuvio, che alterna periodi di quiescenza a periodi di attività parossistica, esso appare sempre sovrastato da un pennacchio di fumo. A periodi abbastanza ravvicinati entra in eruzione (eruzione esplosiva) incominciando in genere con un periodo di degassamento ed emissione di sabbia vulcanica a cui fa seguito un'emissione di lava abbastanza fluida all'origine. Talvolta vi sono dei periodi di attività stromboliana che attirano visitatori d'ogni parte del mondo per via della loro spettacolarità. Negli ultimi anni l'area sommitale dell'Etna è cambiata, si trasforma continuamente. Oggi presente cinque crateri in continua attività (Cratere di Sud-est, Nuovo Cratere di Sud-est, Bocca Nuova, Voragine, Cratere di Nord-est). Il cratere considerato il ''più giovane'' è il Nuovo Cratere di Sud-Est (2007) che negli ultimi tredici anni di attività ha avuto parecchie eruzioni e parossismi (attività vulcanica attuale 2021 - in corso caratterizzata da esplosioni e attività stromboliana (VEI 1) che si verifica in modo ordinario con la presenza di cenere vulcanica che si propaga nel territorio).\n\nAttività vulcanica attuale.\nTurismo.\nL'Etna è meta ininterrotta delle visite di turisti interessati al vulcano e alle sue manifestazioni in quanto si tratta di uno dei pochi vulcani attivi al mondo a essere facilmente accessibile. Sono presenti infatti anche guide specializzate e mezzi fuoristrada che in sicurezza portano i visitatori fino ai crateri sommitali.\n\nSport.\nSci.\nL'Etna si presta particolarmente agli sport invernali quali sci alpino, sci di fondo, scialpinismo, snowboard, sleedog. L'abbondante innevamento consente l'apertura stagionale degli impianti delle due stazioni sciistiche presenti (una nel versante sud e l'altra in quello nord) in genere dalla metà di dicembre a primavera inoltrata. Nel versante sud (Etna Sud), dal Rifugio Giovannino Sapienza (Nicolosi) si può usufruire di una cabinovia da 6 posti, di una seggiovia biposto e di tre skilift per raggiungere le piste. Il comprensorio meridionale offre circa 10 km di piste. Il versante nord (Etna Nord, Piano Provenzana, Linguaglossa, situato a 1 825 m), è dotato invece di tre skilift e di una seggiovia. Nel versante est è presente il rifugio Citelli, in comune di Sant'Alfio.\nEntrambe le stazioni sciistiche hanno subito, in due eruzioni differenti, la quasi totale distruzione delle strutture da parte di colate laviche. In particolare le piste di Nicolosi sono state danneggiate dall'eruzione dell'estate del 2001 quando una colata lavica ha distrutto la stazione d'arrivo della funivia e il centro servizi passando a pochi metri dallo stesso 'Rifugio Sapienza'. Le piste di Piano Provenzana sono state colpite dalla colata dell'autunno del 2002. Tuttavia dopo qualche anno di interruzione è avvenuta l'apertura degli impianti.\nNegli anni settanta del XX secolo le piste del versante sud hanno accolto la Tre giorni Internazionale dell'Etna, gara di sci alpino che vedeva alla partenza grandi nomi dello sci alla fine delle gare della Coppa del Mondo di sci alpino.\n\nEscursionismo.\nIl vulcano è meta frequente per l'escursionismo sia montano sia legato all'attività vulcanica.\n\nAlpinismo.\nIl Monte Etna, nell'antichità, fu meta di una visita dell'imperatore Adriano e la leggenda narra che fu anche il luogo di morte del filosofo Empedocle. Negli anni trenta la Valle del Bove, lungo il versante orientale dell'Etna, fu meta di alcuni alpinisti che esplorarono alcuni speroni rocciosi tracciandovi brevi itinerari poi caduti nell'oblio. Negli anni successivi l'evoluzione dei materiali e dell'arrampicata (soprattutto quella su ghiaccio) ha portato all'esplorazione sistematica delle pieghe della valle con l'apertura di grandiosi itinerari che sono tra i più lunghi e completi del Mezzogiorno d'Italia quali Serra Cuvigghiuni (1 000 m, AD ma con passi fino al VI-); Serra Giannicola Grande (1 000 m, PD+); Cenerentola (300 m, AD) e molti altri.\n\nCiclismo.\nLa salita Sud-Est dell'Etna fino al Rifugio Sapienza (circa 1 900 m s.l.m.) dalla costa catanese, classificabile come salita lunga e dalle medie pendenze, presenta un dislivello di circa 1 850 m con pendenze medie del 6-7% ed è una delle salite più dure del Centro-Sud Italia. Oltre il Rifugio Sapienza la salita prosegue tortuosa su terreno sterrato per altri mille metri di dislivello circa fino alla Torre del Filosofo (2 900 m circa) che ne fanno complessivamente la salita con il più elevato dislivello in Europa assieme al Pico del Veleta in Spagna, al Teide nelle Isole Canarie e al Colle della Bonette in Francia. L'Etna conta molteplici versanti di ascesa, quelli più noti sono sette di cui cinque posti sul versante Sud e due sul versante Nord-Est.\nDal 2019 è attivo il Parco Ciclistico Etna che mette in palio dei brevetti speciali per coloro che riescono a completare da uno a sette versanti in un unico giorno solare.\n\nGiro d'Italia.\nIl Giro d'Italia è arrivato sull'Etna in diversi arrivi di tappa:.\n\nNel 2011 Contador è stato successivamente squalificato. La vittoria di tappa è passata a José Rujano (Venezuela).Dal 1980 al 2004 è esistito, in ambito professionistico, il Giro dell'Etna.\n\nCorsa a piedi.\nIl 22 agosto 1982, per la prima volta, venne corsa una maratona di beneficenza; i partecipanti indossavano una maglia bianca con la scritta Corri Catania.Dal 2004, il vulcano è sede della SuperMaratona dell'Etna, maratona difficile con i suoi tremila metri di dislivello. La manifestazione sportiva parte dalla spiaggia di Marina di Cottone sul livello del mare e si conclude, appunto, sul vulcano a quota tremila.\nDal 2010, intorno a metà luglio, sull'Etna si corre l'Etna Trail, insieme di gare di trail running su diverse distanze, dai 12 ai 94 km.\n\nAutomobilismo.\nSulle strade del versante sud si è disputata, sin dal 1924, una gara automobilistica, la Cronoscalata Catania-Etna con partenza da Catania. Motivi di sicurezza e di circolazione suggerirono in seguito di spostare il punto di partenza a nord di Nicolosi.\n\nNell'arte e nella cultura.\nMitologia.\nLe eruzioni regolari della montagna, a volte drammatiche, l'hanno resa un soggetto di grande interesse per la mitologia greca e romana e le credenze popolari che hanno cercato di spiegare il comportamento del vulcano tramite i vari dei e giganti delle leggende romane e greche.\nA proposito del dio Eolo, il re dei venti, si diceva che avesse imprigionato i venti sotto le caverne dell'Etna. Secondo Esiodo e il poeta Eschilo, il gigante Tifone fu confinato nell'Etna e fu motivo di eruzioni. Un altro gigante, Encelado, si ribellò contro gli dei, venne sconfitto da Atena e sepolto sotto un enorme cumulo di terra che la dea raccolse dalle coste del continente. Encelado soccombette, si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Si racconta che il suo corpo sia disteso sotto l'isola con la testa e la sua bocca sotto l'Etna che sputa fuoco a ogni grido del gigante. Di Encelado sepolto sotto l'Etna parla pure Virgilio. Su Efesto o Vulcano, dio del fuoco e della metallurgia e fabbro degli dei, venne detto di aver avuto la sua fucina sotto l'Etna e di aver domato il demone del fuoco Adranos e di averlo guidato fuori dalla montagna, mentre i Ciclopi vi tenevano un'officina di forgiatura nella quale producevano le saette usate come armi da Zeus. Si supponeva che il 'mondo dei morti' greco, il Tartaro, fosse situato sotto l'Etna.\n\nSi racconta che Empedocle, un importante filosofo presocratico e uomo politico greco del V secolo a.C., si gettò nel cratere del vulcano per scoprire il segreto della sua attività eruttiva. Il suo corpo sarebbe stato in seguito restituito dal mare al largo della costa siciliana, anche se in realtà sembra che sia morto in Grecia.\nRe Artù risiederebbe, secondo la leggenda, in un castello sull'Etna, il cui celato ingresso sarebbe una delle tante e misteriose grotte che la costellano. Il mitico re dei Britanni appare anche in una leggenda, quella del cavallo del vescovo, narrata da Gervasio di Tilbury. Secondo una leggenda inglese l'anima della regina Elisabetta I d'Inghilterra risiederebbe nell'Etna, a causa di un patto che lei avrebbe fatto col diavolo in cambio del suo aiuto per governare il regno.\n\nLetteratura.\nL'Etna ha ispirato nell'antichità diverse opere letterarie, tra cui la Teogonia di Esiodo e una perduta tragedia di Eschilo, intitolata Le Etnee, il dramma satiresco Il ciclope di Euripide, ispirato alla figura omerica di Polifemo e ambientato alle balze dell'Etna, e il poemetto pseudovirgiliano Aetna compreso all'interno dell'Appendix Vergiliana. Da menzionare poi nel Rinascimento il De Aetna, un saggio in latino di Pietro Bembo, in cui la descrizione del vulcano e della sua ascensione è un pretesto per discutere dei classici. L'Etna ha poi ispirato anche diverse poesie nell'età moderna; esempi significativi possono essere la Fábula de Polifemo y Galatea, opera scritta nel 1616 da Luis de Góngora ispirata alla leggenda di Aci e Galatea e ambientata in una caverna etnea, A' piè dell'Etna di Alfio Belluso e All'Etna di Mario Rapisardi.\nÈ stata anche citata nel primo monologo di Segismundo ne La vida es sueño di Pedro Calderón de la Barca, come metafora della forza umana.\nLa salita sul vulcano viene descritta negli ultimi capitoli del libro Il Bel Paese di Antonio Stoppani.\nNel 2021 La nave di Teseo ha pubblicato 'Il sangue della Montagna' di Massimo Maugeri, romanzo ambientato sull'Etna e che indaga sul rapporto tra uomo e vulcano (candidato all'edizione 2022 del Premio Strega da Maria Rosa Cutrufelli).\n\nOsservatorio astronomico.\nSull'Etna è presente l'Osservatorio astronomico di Serra la Nave nel territorio di Ragalna, una struttura dedicata all'osservazione del cielo sul visibile.\n\nLuoghi di culto.\nInfluenza culturale.\nAll'Etna sono stati intitolati il Mongibello Mons su Io, un satellite naturale di Giove, e un asteroide, 11249 Etna. La sagoma del vulcano figura inoltre negli stemmi comunali di diversi comuni della città metropolitana di Catania: Adrano, Belpasso, Mascalucia, Milo, Misterbianco, Nicolosi, Piedimonte Etneo, Ragalna, Santa Venerina, Tremestieri Etneo e Zafferana Etnea.\n\nGalleria d'immagini.\nEruzioni storiche.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nXXI secolo.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Etra (figlia di Pitteo).\n### Descrizione: Etra (in greco antico: Αἴθρα?, Áithrā, 'serenità', 'cielo splendente') è un personaggio della mitologia greca moglie di Egeo e madre di Teseo.\n\nMitologia.\nFiglia di Pitteo il re di Trezene fu data in moglie ad Egeo il re di Atene da cui ebbe come figlio Teseo.\nSecondo altre versioni i padri di Teseo sarebbero Poseidone e Climeno.\nEtra ricevette il compito di custodire lo scudo, la spada ed i calzari di Egeo sotto una roccia con l'impegno di consegnare tali oggetti a Teseo una volta divenuto adulto ed in grado di combattere.\nDopo la salita al trono di Atene di Teseo, Etra fu catturata dai Dioscuri nella guerra che essi mossero contro suo figlio per recuperare Elena. Ridotta al ruolo di servitrice della principessa, che seguì con Tisadia a Troia, fu liberata solo alla presa della città su richiesta dei nipoti Demofonte e Acamante. Secondo un'ulteriore fonte, Etra fu condotta direttamente a Troia, dove accudì il figlio della principessa Laodice e di suo nipote Acamante, per poi divenire, una volta che la regina di Sparta giunse presso la città, schiava di quest'ultima.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Etra (moglie di Falanto).\n### Descrizione: Etra è una figura della mitologia greca, moglie dell'eroe spartano Falanto.\n\nMito.\nEtra viaggiò con suo marito Falanto e l'esercito di Partheni per fondare la loro unica colonia spartana, l'attuale Taranto.\nPrima di partire, Falanto consultò l'Oracolo di Delfi alla ricerca di un responso circa il proprio futuro. L'oracolo di Apollo, tramite la Pizia, così sentenziò:.\n'Vi concedo di abitare Saturo e siate la rovina degli Iapigi.'Falanto chiese anche un segno con cui capire quando sarebbe giunto il momento opportuno, e l'oracolo sentenziò:.\n'Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città.'Raggiunte le terre degli Iapigi, venne un giorno in cui le ambizioni e le delusioni di Falanto, lo videro sedere per terra con il capo poggiato sulle ginocchia della moglie, la quale stanca e scoraggiata, cominciò a piangere e a bagnarlo con le sue lacrime. Ma il nome della moglie Etra (in greco antico Αἴθρα) ha proprio il significato di 'cielo sereno', per cui Falanto comprese che le parole dell'oracolo erano riferite alle lacrime della moglie. Si accinse quindi a fondare la sua città partendo proprio dalla zona di sbarco, Saturo, località ancora esistente a pochi chilometri da Taranto, in cui si trova un'un'importante zona archeologica.
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### Titolo: Età dell'argento.\n### Descrizione: Età dell'argento è un nome spesso dato a un periodo particolare all'interno di una storia successiva all'età dell'oro mitologica della quale è una replica, essendo altrettanto prestigiosa e ricca di eventi, ma meno della precedente. In molte culture l'argento è generalmente prezioso ma meno dell'oro.\n\nMito greco.\nL'età dell'argento originale (Αργυρόν Γένος) è stata la seconda delle cinque 'età dell'uomo' descritte dall'antico poeta Esiodo nel suo poema Le opere e i giorni, dopo l'età dell'oro e prima dell'età del bronzo. Queste persone vivevano per cento anni da bambini senza crescere, poi improvvisamente invecchiavano e poco dopo morivano. Zeus distrusse queste persone, a causa della loro empietà, nel diluvio ogigiano.\nDopo che Crono fu esiliato, il mondo fu governato da Zeus. Come risultato del fatto che Pandora versava i mali sul mondo, nacque una seconda generazione di uomini e l'età fu chiamata d'argento perché la razza umana era meno nobile di quella dell'età dell'oro.\nNell'età dell'argento Zeus ridusse la primavera e ricostruì l'anno in quattro stagioni, così che gli uomini, per la prima volta, cercarono rifugio nelle case e dovettero faticare per rifornirsi di cibo.\nFurono seminati i primi semi di grano poiché ora l'uomo doveva provvedere al proprio cibo. Un bambino cresceva a fianco di sua madre per cento anni, ma l'età adulta durava poco. Essendo meno nobile dell'età dell'oro, l'umanità non poteva trattenersi dal combattersi, gli uni contro gli altri, né onorare e servire adeguatamente gli immortali. Le azioni della seconda generazione fecero infuriare Zeus, che per punizione la distrusse.\n\nAltre età dell'argento.\nIl termine è stato applicato a una serie di altri periodi successivi all''età dell'oro', tra cui:.\n\nIl Treta Yuga nella suddivisione vedica delle età del mondo.\nL'età dell'argento della letteratura latina.\nL'età dell'argento della poesia russa.\nThe Silver Age of Comic Books, la serie del 2000 DC Comics Silver Age prende il nome dal periodo.\nL'età dell'argento dell'alpinismo.\n\nVoci correlate.\nEtà dell'oro.\n\nCollegamenti esterni.\nMitologia greca: Silver Age.\nAbout.com: Hesiod's Ages of Man Archiviato il 24 ottobre 2005 in Internet Archive.
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### Titolo: Età dell'oro.\n### Descrizione: L'età dell'oro (o età aurea) è un tempo mitico di prosperità e abbondanza, ricorrente in varie tradizioni antiche, come quella greca, corrispondente nell'induismo al satya yuga. L'espressione italiana ricalca il latino aurea aetas.Secondo le leggende, durante l'età dell'oro gli esseri umani vivevano senza bisogno di leggi, né avevano la necessità di coltivare la terra poiché da essa cresceva spontaneamente ogni genere di pianta. Non esisteva la proprietà privata, non c'era odio tra gli individui e le guerre non flagellavano il mondo. Era sempre primavera e il caldo ed il freddo non tormentavano la gente, perciò non c'era bisogno di costruire case o di ripararsi in grotte. Con l'avvento di Giove finisce l'età dell'oro e ha inizio l'età dell'argento.\n\nLa visione di Esiodo.\nL'idea di un''epoca dorata' compare per la prima volta nel poema Le opere e i giorni di Esiodo (metà dell'VIII secolo a.C.).\nSecondo il poeta si tratta della prima età mitica, il tempo di «un'aurea stirpe di uomini mortali», che «crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull'Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come dèi passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro […] tutte le cose belle essi avevano» (Le opere e i giorni, versi 109 e seguenti).Esiodo descrive altre quattro ere che sarebbero succedute all'età dell'oro in ordine cronologico:.\nl'età dell'argento,.\nl'età del bronzo,.\nl'età degli eroi.\nl'età del ferro.Tale involuzione della condizione umana imposta da Zeus è dovuta alla creazione, ad opera degli dèi, di Pandora, la prima donna, donata all'uomo perché fosse punito dopo aver ricevuto dal Titano Prometeo il fuoco, rubato da quest'ultimo agli dèi. Pandora ha un ruolo simile a quello di Eva nei testi biblici: come Eva, a causa del peccato originale, nega all'uomo la vita felice nell'Eden, così Pandora apre un otre nel quale erano segregati tutti i mali che durante l'età dell'oro erano sconosciuti dagli uomini.\n\nLa visione di Virgilio.\nVirgilio teorizza nella quarta egloga delle Bucoliche l'arrivo di un misterioso fanciullo. L'avvento di questo puer è caratterizzato dall'arrivo di una nuova età dell'oro, facendo così propria una visione ciclica della storia, scandita dalle età teorizzate da Esiodo precedentemente.In tale egloga egli espone l'argomento in modo volutamente oscuro e incomprensibile: tale puer potrebbe essere identificato o in Ottaviano, o nel figlio che si sperava nascesse dal matrimonio tra Ottavia, sorella di Ottaviano, e Marco Antonio, o ancora nel console Pollione, o suo figlio.\nIn epoca augustea il mito dell'età dell'oro assume anche importanza specifica come fattore di propaganda politica. In epoca augustea l'età dell'oro rappresenta l'idealizzazione della nuova realtà politica:.\n\n\nIl regno di Saturno succede a un tipo di società quasi ferina. Saturno è presentato come sinecista, come ordinatore politico e legislatore, soprattutto come garante della pace, compromessa dalla belli rabies e dall'amor habendi dell'età successiva. La figura così caratterizzata di Saturno anticipa quella di Augusto, che avrebbe appunto riportato gli aurea saecula secondo la profezia di Anchise prima citata (Eneide, 6, 791-95).\nNel suo poema didascalico, le Georgiche (I, vv. 121-54), Virgilio riprende il tema dell'evolversi del mondo dall'età dell'oro all'età del ferro, anzi dal regno di Saturno (ante Iovem) al regno di Giove.\nSecondo i Cristiani del I secolo d.C., tale figura è da identificare in Cristo, tant'è che lo stesso Dante Alighieri sceglierà Virgilio come guida spirituale nell'Inferno e nel Purgatorio, proprio per la predizione del poeta.\nSecondo Karl Büchner, il puer predetto da Virgilio sarebbe solo il simbolo della generazione aurea di cui si attende l'arrivo, e non un bambino storicamente esistito. Inoltre, questa ipotesi sarebbe convalidata dal fatto che Virgilio, nella IV ecloga, diviene interprete del comune desiderio di rigenerazione e di miglioramento che i romani dell'età tardo repubblicana provavano.\nCertamente in questa quarta ecloga, pare chiara la necessità di un rinnovamento e di una rigenerazione dalle lotte civili del 50 a.C., possibile grazie alla probabile riconciliazione tra Ottaviano e Antonio, che sembrava preannunciare l'avvento di una nuova era di pace.\n\nLa fortuna letteraria e storica.\nLa concezione di Esiodo ebbe fortuna per tutta l'antichità e ritorna ad esempio nell'opera di Platone e del poeta romano Publio Ovidio Nasone. Quest'ultimo scrive nelle sue Metamorfosi:.\n\nIl poeta Tibullo nella terza elegia del primo libro narra di aver lasciato Roma a malincuore per seguire Messalla in Oriente. Gravemente ammalatosi, il senso della solitudine e della lontananza fa scattare l'appassionata rievocazione del tempo di Saturno, quando la terra non aveva ancora aperto le vie ai lunghi viaggi (vv. 35-50). Nel carme 64 di Catullo vi è, specie nell'epilogo, una opposizione fra l'età vissuta dal poeta e l'età mitica degli eroi. Al mitico passato, rispettoso della pietas, il poeta oppone il presente, che ha rifiutato la giustizia e ha meritato l'abbandono da parte degli dei.\nIn Seneca tragico (Phaedra, 525-27) l'età dell'oro rappresenta il paradigma ideale su cui Ippolito proietta lo stato felice della vita agreste. Il mito dell'età dell'oro è sfruttato in chiave moralistica da Giovenale all'inizio della satira sesta (qui la decadenza dell'umanità è vista come l'allontanamento dalla terra della Pudicitia personificata).\nIl concetto di età dell'oro è stato ripreso da Dante nella Divina Commedia. Dante si limita ad esprimere il suo pensiero al riguardo del paradiso terrestre che, a parer suo, era il luogo a cui si riferivano gli antichi greci. Come sua abitudine non esprime direttamente queste considerazioni, ma le fa pronunciare ad una fanciulla che incontra e che si rivelerà chiamarsi Matelda (Dante, Divina Commedia, Purgatorio - Canto ventottesimo, 139-144).\nOltre che nell'antichità, il tema dell'età dell'oro fu ripreso nel Cinquecento e nel Settecento. La sua ambientazione viene nel Rinascimento ripresa anche da Iacopo Sannazzaro nella sua Arcadia, e rimarrà come tema popolare non solo di tipo leggendario e utopico, ma anche politico, ad esempio in Rousseau come progetto di ritorno a uno stato di natura.\nAnalogamente nell'esoterismo moderno l'età dell'oro viene ricondotta ad una condizione primordiale di contatto diretto dell'umanità col mondo celeste, un'epoca di innocenza e beatitudine simile all'infanzia, talora collocata in continenti ancestrali come Lemuria e Atlantide, dopo la quale sarebbe scaturita un'inevitabile e progressiva decadenza, ma di cui resta un bagliore nelle dottrine e nelle tradizioni spirituali tramandatesi fino ad oggi: l'origine di questa sapienza perenne sarebbe appunto di natura non storica né umana, bensì divina.
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### Titolo: Eubuleo.\n### Descrizione: Nell'antica religione greca e nella mitologia greca, Eubuleo (in greco antico: Εὐβουλεύς?, Eubouléus, 'buon consigliere' o 'saggio nel consiglio') è un dio conosciuto principalmente da inscrizioni devozionali di religioni misteriche. Il nome appare molte volte nel corpus delle cosiddette lamine orfiche, scritto variamente, con forme come Εὔβουλος, Εὐβούλεος e Εὔβολος. Potrebbe essere l'epiteto di un dio fondamentale nell'Orfismo, come Dionisio o Zagreo, o di Zeus in un'inusuale associazione con i misteri eleusini. Gli studiosi della fine del XX secolo e degli inizi del XXI avevano iniziato a considerare Eubuleo indipendentemente come 'un dio maggiore' delle religioni misteriche, basandosi sulla sua preminenza nelle iscrizioni. La sua raffigurazione nell'arte come un portatore di fiaccola suggerisce che il suo ruolo fosse di guidare le anime fuori dall'Ade.\n\nGenealogia e identità.\nI testi letterari forniscono solo scarse testimonianze riguardo a Eubuleo. Egli non è menzionato nell’Inno Omerico a Demetra. Differenze tra genealogie e identificazioni incrociate con altri dei portano a domandarsi se tutte le fonti che usano una forma del nome si riferiscano al dio. Diodoro Siculo dice che era figlio di Demetra e padre di Carme, e perciò nonno di Britomarti. Una delle tavole orfiche lo identifica come figlio di Zeus, così come fa anche uno degli Inni orfici. Esichio di Alessandria lo identifica con Plutone, che è anche acclamato come Euboulos nell’Inno Orfico a Plutone, ma altri contesti distinguono tra i due.\n\nNell'arte.\nNelle raffigurazioni Eubuleo assomiglia a Iacco. Infatti entrambi sono spesso rappresentati con un'espressione 'sognante' o 'mistica' e con lunghi capelli acconciati in maniera particolare, ed entrambi sono raffigurati come portatori di fiaccole. Eubuleo è qualche volta identificato come una delle figure sulla cosiddetta Regina Vasorum ('Regina dei Vasi'), un'hydria della metà del IV secolo a.C. proveniente da Cuma, che raffigura varie figure dai miti eleusini.Una testa di una scultura perlopiù attribuita all'artista ateniese Prassitele è stata a volte identificata con Eubuleo. Scoperta dagli archeologi nel 1883 nel Ploutonion di Eleusi, potrebbe rappresentare Trittolemo. In alternativa, la testa potrebbe essere un ritratto idealizzato di Alessandro Magno, o forse di Demetrio I Poliorcete, in quanto combacia bene con la descrizione fattane da Plutarco. L'identificazione con Eubuleo si basa sul confronto con altre teste di sculture che hanno il nome iscritto, e sulla presenza del nome su una base trovata separatamente, ma anche all'interno del Ploutonion di Eleusi.\n\nMito.\nGli scolii a Luciano affermano che Eubuleo era un guardiano dei porci che dava da mangiare ai suoi maiali vicino all'entrata dell'Ade quando Persefone fu rapita da Ade. I suoi maiali era stati inghiottiti dalla terra insieme a lei. Lo scoliaste presenta questo elemento narrativo come un aition per il rituale celebrato durante le Tesmoforie in cui dei maialini venivano gettati dentro un pozzo sacrificale (megaron) dedicato a Demetra e Persefone. Le donne che partecipavano al rituale, chiamate 'attingitrici' (ἀντλήτριαι, antlêtriai), poi si calavano dentro il pozzo e recuperavano i resti putrefatti, che venivano posti sugli altari, mescolati con dei semi, e infine piantati. Pozzi ricchi di materia organica ad Eleusi sono stati usati come prova per il fatto che le Tesmoforie fossero celebrate lì, come in anche in altri demi dell'Attica.\nIn linea con il suo approccio ritualistico al mito e con altre sue opinioni nel Il ramo d'oro, James Frazer pensò che i maiali, invece di accompagnare semplicemente Persefone nella sua discesa nell'Ade, fossero un elemento originale della storia e rappresentasero lo 'spirito del grano' che sara più tardi antropomorfizzato nella figura della giovane dea.\n\nRuolo nel culto.\nIl 'Decreto dei primi frutti' (V secolo a.C.) richiede sacrifici per Demetra, Kore ('La fanciulla', solitamente identificata come Persefone) e Trittolemo, Theos (Dio), Thea (Dea) ed Eubolos. Un'iscrizione recante un bassorilievo di Lakrateides identifica la persona officiante la cerimonia come un sacerdote del dio e della dea — ovvero del Re e della Regina dell'oltretomba, in riferimento al culto misterico — e di Eubuleo. Nelle tavole orfiche, Eubuleo è invocato quattro volte insieme a Eucle ('Buona Fama'), in seguito a una dichiarazione nella prima riga alla Regina dell'oltretomba, Persefone. È invocato anche nel Papiro di Gurob di metà III secolo a.C.Poiché Eubuleo sembra essere un essere umano nella storia accennata dagli scolii a Luciano, egli è stato qualche volta considerato a eroe che veniva venerato con un culto, come sono Trittolemo e pure Iacco.
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### Titolo: Euchenore.\n### Descrizione: Euchenore (in greco antico Εὐχήνωρ) è un personaggio della mitologia greca ed un combattente acheo che partecipò alla guerra di Troia all'interno dell'esercito degli Atridi.\n\nNella mitologia.\nLa profezia del padre.\nEuchenore, prode guerriero di Corinto, era figlio dell'indovino Polido, il quale aveva ricevuto dagli dei il dono della preveggenza.\nGià da fanciullo il padre l'aveva messo in guardia da una morte violenta, la quale lo avrebbe colpito solo se avesse accompagnato Agamennone e Menelao nella loro guerra contro Troia; nello stesso tempo, l'indovino gli rassicurava anche una morte piacevole nella sua casa, ma sempre a condizione che non avesse partecipato alla guerra.\nIl giovane rifiutò sin dall'infanzia queste raccomandazioni, ma anzi disse di voler preferire una morte gloriosa ad una ignominiosa e da reietto. In tal modo Polido non poté fare altro per convincere il figlio.\n\nNella guerra di Troia.\nQuando i fratelli Atridi passarono in rassegna le città achee per reclutare le truppe, Euchenore si offrì come volontario e 'ben conscio della Chera funesta', partì con le navi che provenivano da Corinto.\nL'eroe combatté nella guerra fino al decimo anno, rivelandosi molto più fortunato degli altri suoi compatrioti che erano morti in guerra precedentemente.\nLa profezia legata alla vita di Euchenore doveva comunque compiersi cosicché, durante i combattimenti presso le navi degli Achei, mentre il soldato lottava per difendere i suoi navigli dalle torce nemiche, venne trafitto da una freccia scagliata da Paride stesso, la causa della guerra, il quale volle vendicarsi della morte del suo amico Pilemene, eroe dei Paflagoni.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLa vicenda di Euchenore, vittima del destino e costretto a scegliere tra una morte serena, in patria, o violenta, nei combattimenti, è accomunata a numerose altre che riguardano gli eroi, per esempio lo stesso Achille.
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### Titolo: Eudoro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eudoro era figlio di Ermes e il secondo dei cinque generali di Achille nella guerra di Troia. Secondo l'Iliade, egli comandava dieci gruppi di cinquanta uomini ciascuno e cinquemila Mirmidoni. Nel libro XVI dell'Iliade, quando Patroclo prepara gli uomini di Achille, Omero parla di lui in quindici versi - molti di più rispetto agli altri generali nel passo. Egli è anche il secondo più importante dei cinque, battuto solo da Fenice.\nEudoro era figlio di Ermes e Polimela, la quale danzava nel coro di Artemide. Filante, padre di Polimela, si occupò del bambino dopo che la figlia sposò Echeclo. Eudoro era molto veloce, e un ottimo combattente. Il guerriero accompagnò Patroclo in guerra, ma cadde ucciso da Pirecme, il re dei Peoni. Patroclo, per vendicarlo, uccise a sua volta quest'ultimo.Una versione di Eudoro appare nel 2004 nel film Troy. Qui Eudoro è interpretato da Vincent Regan. Egli è il secondo comandante dei cinquanta Mirmidoni di Achille (non appare evidente che ce ne siano altri). È il più vecchio amico di Achille, e assume particolarmente il ruolo di Fenice come maestro e seguace di Achille. Quando i Greci arrivano la prima volta a Troia, la coppia dei due eroi infuria sulla spiaggia insieme. Egli cattura Briseide e la conduce da Achille. È presente quando Patroclo viene ucciso, e riferisce la notizia ad Achille. Achille, accecato dal dolore, lo percuote scaraventandolo a terra; egli più tardi si scusa e incita Eudoro ad abbandonarlo a Troia e di tornare a casa con i Mirmidoni.
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### Titolo: Eufemo (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Eufemo (in greco antico: Εὔφημος?, Eὔphēmos) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti e partecipò alla caccia del Cinghiale calidone.\n\nGenealogia.\nSecondo Igino era figlio di Poseidone e di Europa (figlia del gigante Tizio), altri autori citano diverse madri come Doris (figlia di Eurota) o Mecionice (figlia di Orione).\nSu alcuni scholia è annotato che fosse il marito di Laonome, sorella di Eracle.\nEbbe una figlia di nome Leucofane avuta da una donna di Lemno (Malicha, Malache, o Lamache) e che lo rese antenato di Batto, il fondatore di Cirene.\n\nMitologia.\nOriginario della Beozia visse a Taenarum in Laconia e si unì all'equipaggio degli Argonauti come timoniere.\nAvuta dal padre Poseidone la facoltà di camminare sulle acque si tuffò nelle acque delle Simplegadi per accertarsi che la nave potesse passarci.\n\nColonizzazione della Libia.\nEufemo è spesso citato nelle leggende della colonizzazione greca della Libia ed alla fondazione di Cirene, imprese che cercò di compiere dopo una profezia di Medea.\n\nPindaro.\nNel quarto libro delle Pitiche, Pindaro scrive che nel suo viaggio con gli Argonauti e durante una sosta presso il lago Tritonis in Libia, un altro figlio di Poseidone (Euripilo di Cirene) gli fece dono di una zolla di terra che lui accettò accordando di gettarla a terra una volta giunto di fronte all'entrata dell'Ade a Taenarum per ottenere che i suoi discendenti avrebbero governato la Libia dalla quarta generazione.\nMa la zolla fu sbarcata per errore dalla nave e portata a Thera e fu così che la Libia fu invece colonizzata da Batto di Thera, un suo presunto discendente dopo diciassette generazioni.\n\nApollonio Rodio.\nNe Le Argonautiche, Apollonio Rodio racconta invece che quando si fermarono presso il lago Tritonis fu Tritone a presentarsi come Euripilo e che solo più tardi gli avesse rivelato la sua vera identità.\nIn seguito Eufemo sognò di gocce di latte fuoriuscire dalla zolla di terra e che da ciò prendesse forma una donna con cui fece l'amore.\nSognò anche che la donna piangesse e che dopo le sue cure lei gli rivelasse di essere figlia di Tritone e di Libia e che lo avrebbe ricambiato prendendosi cura della sua progenie se lui l'avesse affidata alle cure delle Nereidi. Infine la donna gli promise che in futuro sarebbe tornata per fornire una casa ai suoi figli.\nEufemo rivelò il sogno a Giasone il quale gli disse di gettare la zolla in mare. Questa però non si sciolse ma si trasformò nell'isola di Calliste (Thera), che fu in seguito colonizzata dai discendenti di Eufemo già espulsi in precedenza da Lemno e che non furono accolti a Sparta.\nEufemo fu ritratto sul petto di Cipselo come il vincitore della corsa dei carri ai giochi funebri di Pelia.
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### Titolo: Euforione (mitologia).\n### Descrizione: Euforione è un personaggio della mitologia greca, noto solo da fonti tarde (Tolomeo Efestione, Novae Historiae). Era figlio di Achille ed Elena, nato dopo la loro morte nelle Isole dei beati, o nei Campi Elisi.\nEra una creatura soprannaturale dotata di ali. Si narra che la sua bellezza suscitò l'amore di Zeus, che però il giovane rifiutò. Fuggì così nell'isola di Melo, dove fu fulminato da Zeus. Impietosite le ninfe lo seppellirono, ma per vendicarsi Zeus le trasformò in rane.\nSecondo una variante del mito, fu Elena, divenuta dea dopo la morte, a discendere negli Inferi attratta dall'ombra di Achille per giacere con lui, generando così il semi-dio Euforione.\nI personaggi di Elena ed Euforione, seppure con molte varianti, sono ripresi da Johann Wolfgang von Goethe nel suo Faust.
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### Titolo: Eufrosine.\n### Descrizione: Eufròsine (dal greco gioia e letizia o serena letizia; in greco antico: Εὐφροσύνη?, Euphrosýnē) è una figura della mitologia greca e viene definita dea della Castità.\n\nMitologia.\nÈ una delle tre Grazie (mitologia), o Cariti.\nCome Aglaia e Talia era figlia di Zeus e della ninfa Eurinome.\nIn quanto musa, è citata da Ugo Foscolo ne Le Grazie, Inno terzo, Pallade: 'E a me un avviso / Eufrosine, cantando / Porge, un avviso che da Febo un giorno / Sotto le palme di Cirene apprese ...'.Viene inoltre rappresentata nella Primavera di Sandro Botticelli insieme alle altre due Grazie e a Venere.
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### Titolo: Eumede.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eumede era il nome di uno dei figli di Eracle e di Lise.\n\nIl mito.\nEracle durante i suoi viaggi si innamorò di Procri, una delle figlie di Tespio, e volle giacere con lei. Il padre invece voleva che l'eroe ingravidasse tutte le sue cinquanta figlie, che a turno ogni notte sostituivano Procri. Da tale unione, avuta con Lise, nacque Eumede, che diventato adulto si stabilì a Troia.\nEgli ebbe sei figli, cinque femmine (tra cui Acallaride) ed un maschio, Dolone, che partecipò alla guerra di Troia.
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### Titolo: Eumelo di Fere.\n### Descrizione: Eumelo di Fere, figlio di Admeto e di Alcesti, e re di Fere, fu sposato con Iftime (sorella di Penelope).\nEra uno dei pretendenti di Elena al giuramento di Tindaro e prese parte con undici navi alla guerra di Troia.\nContese il premio della corsa dei carri nei giuochi funebri dati da Achille in onore di Patroclo; sarebbe stato vincitore con le cavalle nutrite dallo stesso Apollo, se ad opera di Atena, fautrice di Diomede, non gli si fosse spezzato l'asse del carro.\n\nNella cultura di massa.\nEumelo di Fere appare, insieme ad altri personaggi legati alle vicende della guerra di Troia, nel romanzo Il mio nome è Nessuno-il giuramento, primo della trilogia Il mio nome è Nessuno, di Valerio Massimo Manfredi.
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### Titolo: Eumolpo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eumolpo (in greco antico: Εὔμολπος?, Èumolpos) era il figlio di Poseidone e Chione (o di Hermes e Aglauro). Secondo alcuni autori, era invece figlio di Museo, discepolo di Orfeo.\n\nIl mito.\nSecondo la Bibliotheca, dello Pseudo-Apollodoro, Chione, figlia di Borea e di Oritia, incinta di Eumolpo da Poseidone, spaventata dalla reazione di suo padre, gettò il bambino nell'oceano. Poseidone si prese cura di lui e lo portò sulle rive dell'Etiopia, dove Bentesicima, una figlia di Poseidone ed Anfitrite, crebbe il bambino, che sposò poi una delle due figlie di Bentesicima, avute da suo marito Etiope. Eumolpo tuttavia amava l'altra figlia e fu esiliato per questo. Si recò allora con suo figlio Ismaro in Tracia. Lì, fu scoperto quale complice di un complotto volto a rovesciare il re Tegirio, e perciò si rifugiò ad Eleusi.\nAd Eleusi, Eumolpo divenne uno dei primi sacerdoti di Demetra ed uno dei fondatori dei Misteri Eleusini. Egli iniziò a tali misteri l'eroe Eracle.. Quando Ismaro morì, Tegirio andò a cercare Eumolpo; i due si riappacificarono ed Eumolpo ereditò il regno di Tracia.. Eumolpo era un eccellente musicante e cantore; suonava l'aulos e la lira. Egli vinse una gara musicale ai giochi funebri in onore di Pelia ed insegnò la musica ad Eracle.\nDurante una guerra tra Atene ed Eleusi, Eumolpo si schierò con Eleusi. Suo figlio, Immarado, fu ucciso dal re di Atene Eretteo. Secondo alcune fonti, Eretteo uccise anche Eumolpo, e Poseidone chiese a Zeus di vendicare la morte di suo figlio. Zeus, allora, uccise Eretteo con un fulmine; secondo altri, Poseidone spaccò la terra ed inghiottì Eretteo. Eleusi perse la battaglia contro Atene ma gli 'Eumolpidae' e i 'Kerykes', due famiglie di sacerdoti di Demetra, continuarono i Misteri Eleusini. Fu il figlio minore di Eumolpo, Cerice, a fondare entrambe le stirpi.
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### Titolo: Euneo.\n### Descrizione: Euneo, nella mitologia greca, era il figlio di Giasone e della regina di Lemno, Ipsipile.\nAlla morte della madre regnò sull'isola. Durante la guerra di Troia fornì vino agli Achei.\nDa Achille comprò Licaone, figlio di Priamo, riscattato poi da Eezione d'Imbro.\n\nFonti.\nPseudo-Apollodoro, Bibliotheca, 1. 9. 17.\nIgino, Fabulae, 15; 273.\nOvidio, Heroides, 6. 119.\nPublio Papinio Stazio, Thebaide, 6. 464.\nOmero, Iliade, 7. 465 ; 23. 747.
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### Titolo: Eunomia (mitologia).\n### Descrizione: Eunomia (in greco antico: Εὐνομία?, Eunomía) è, secondo la mitologia greca, una delle Ore e figlia di Temi e Zeus. Il poeta greco Alcmane la nomina invece come figlia di Prometeo e sorella di Tiche e Peito.\nEra una divinità connessa con la legge e la legislazione. Nella mitologia romana aveva il nome di Disciplina.
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### Titolo: Eupalamo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eupalamo (in greco antico: Εὐπαλάμος) era il nome di uno dei figli di Metione.\n\nIl mito.\nSecondo una versione del mito era il padre di Dedalo. In altre fonti gli sono attribuiti padri diversi: Palamone o il figlio stesso di Eupalamo Metione (infatti secondo una versione minore Eupalamo non era il figlio di Metione ma il padre).\nEbbe una figlia, Metiadusa.
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### Titolo: Euprassia (mitologia).\n### Descrizione: Euprassia (in greco Eὐπραξία), nell'antica religione greca, era la personificazione del benessere. È stata citata una volta da Eschilo, che cita un proverbio secondo il quale Euprassia è la figlia di altri due personificazioni, Peitharchia e Soter.
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### Titolo: Eurialo (argonauta).\n### Descrizione: Eurialo (in greco antico: Εὐρύαλος?) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti e partecipò alla guerra di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Mechisteo re di Argo.\n\nMitologia.\nEra uno dei sette Epigoni che dopo la morte di suo padre Mechisteo, caduto nella guerra dei sette contro Tebe, cercò di vendicarlo ritentando lui stesso l'impresa.\nQuando Giasone in seguito partì alla caccia del vello d'oro, chiedendo l'aiuto di tutti gli eroi disponibili all'epoca, Eurialo rispose all'appello salpando con lui sulla nave Argo.\n\nDopo le avventure degli Argonauti.\nDurante la guerra di Troia, accompagnò Diomede, figlio di Tideo e di Deipile, e Stenelo figlio di Capaneo. Tra i troiani da lui uccisi ci furono i due figli di Bucolione.
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### Titolo: Euribaro.\n### Descrizione: Euribaro (in greco antico: Εὐρύβαρος?, Eurybaros), noto anche come Euribato (Εὐρύβατος) o Euribate (Εὐρυβάτης), è un personaggio della mitologia greca, figlio dell'eroe Eufemo e discendente della divinità fluviale Axios.\n\nMitologia.\nIl giovane Euribaro si imbatté nel bellissimo Alcioneo sulla strada che dalla città Krisa porta al monte Cirphis, dove avrebbe dovuto essere sacrificato per placare le ire della dragonessa Sibari. Euribaro si innamorò di Alcioneo a prima vista e chiese al bel giovane dove si stesse recando. Resosi conto di non poter aiutare l'amato nella lotta contro il mostro, Euribaro strappò la corona dal capo di Alcioneo, la indossò e diede ordine di essere condotto al luogo del sacrificio in sua vece.\nEntrato nella caverna, Euribaro afferrò Sibari, la trascinò fuori dalla sua grotta e la scagliò giù dalla rupe. Nel punto in cui il mostro colpì il terreno con la testa prima di volatilizzarsi sgorgò una fontana, che i locali battezzarono appunto Sibari.
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### Titolo: Euridamante.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Euridamante era uno dei fieri membri dell'equipaggio di Argo, la nave alla cui guida Giasone partì alla conquista del vello d'oro.\n\nIl mito.\nNon si sa molto di Euridamante, detto il Dolopio, visto che veniva da Ctimene la città dei Dolopi, più precisamente dalle rive del lago Siniade. Egli era figlio di Ctimeno, il fondatore della città.\nPartecipò alla spedizione degli Argonauti senza però mettersi particolarmente in luce. In seguito si stabilì a Troia.\nEuridamante era famoso ed abile ad interpretare i sogni di chiunque ma non altrettanto bravo nel prevedere le sorti dei suoi figli Abante e Polido: infatti i due giovani, venuti in soccorso di Priamo con la benedizione del padre, furono uccisi da Diomede.
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### Titolo: Euridice (Anouilh).\n### Descrizione: Euridice (Eurydice) è una tragedia di Jean Anouilh, scritta nel 1941 e portata in scena per la prima volta a Parigi nel 1942. Ambientato negli anni 30, il dramma è una rivisitazione amaramente ironica del mito di Orfeo ed Euridice, in cui lo scetticismo sull'amore si fonde al misticismo.\n\nTrama.\nEuridice è la figlia della primadonna di una compagnia teatrale di terz'ordine, che aspetta alla stazione del treno di partire per la prossima tappa della tournée. Orfeo lavora come violinista nel ristorante della stazione e i due giorni si vedono e si innamorano a prima vista. Innamorata di Orfeo, Euridice rifiuta la advances di Matthew, un attore della compagnia e suo amante. Orfeo è disgustato dal fatto che Matthew abbia toccato la sua donna, ma Euridice lo rassicura di essere stata con solo due uomini prima di lui; il violinista è scettico e le fa notare che i suoi occhi cambiano colore quando mente. Intanto Matthew, con il cuore infranto, si getta sotto un treno e i due amanti fuggono per evitare il senso di colpa e la vergogna. I due vengono seguiti dal misterioso Monsieur Henri e da Dulac, l'impresario della compagnia. In una camera da letto Orfeo ed Euridice discutono su dove sia radicata l'identità di una persona, se nel passato o nel presente, e la giovane si sente a disagio quando realizza quanto importanza il violinista attribuisca al passato. Mentre Orfeo è fuori, Euridice riceve una lettera e quando l'amante torna la giovane esce, dicendo di dover sbrigare delle commissioni. Rimasto solo, Orfeo riceve la visita di Dulac, che afferma di essere un altro degli amanti di Euridice: Orfeo non gli crede, ma la discussione tra i due viene interrotta dall'arrivo della notizia che Euridice è stata uccisa in un incidente d'auto. Il sospetto insinuato in Orfeo da Dulac sembra trovare un riscontro nella morte della giovane: Euridice è stata uccisa non mentre andava al mercato (come aveva annunciato), ma mentre cercava di lasciare la città.\nIl misterioso Monsieur Henri, commosso dal dolore di Orfeo, fa un patto con lui: se Orfeo riuscirà a passare la notte fianco a fianco con Euridice alla stazione del treno senza guardarla mai negli occhi prima dell'alba allora potrà riavere l'amante in vita. Orfeo accetta e passa la notte accanto al fantasma di Euridice nella stazione; tuttavia, il violinista non riesce a resistere alla tentazione di farle domande su Dulac e quando Euridice nega di essere stata la sua amante, Orfeo non riesce a controllarsi e si volta per vedere dal colore degli occhi se sta mentendo. La donna ammette di essere stata l'amante di Dulac, ma la verità si rivela essere più oscura e intricata: Euridice andava a letto con l'uomo solo perché era costretta, dato che l'impresario minacciava di licenziare un'orfanella della compagnia se si fosse rifiutata. Orfeo viene raggiunto dall'agente di polizia che gli aveva comunicato la morte di Euridice il giorno prima: il poliziotto ha trovato una lettere della fanciulla sul luogo dell'incidente. Nella lettera, Euridice confessava che fuggiva perché sapeva che il suo passato promiscuo sarebbe sempre stato un problema per Orfeo, anche se il suo amore per lui l'aveva resa nuovamente pura. Il fantasma di Euridice scompare, lasciando Orfeo solo e sconvolto dal rammarico. Monsieur Henri lo consola dicendo che la relazione ideale che sognava con Euridice è ancora possibile, ma solo nella morte: se i due fossero rimasti insieme, infatti, entrambi avrebbero eventualmente sofferto per le delusioni dell'amore. Felice di potere essere felice con l'amata nell'aldilà, Orfeo si suicida e si ricongiunge felicemente ad Euridice, con cui starà insieme per l'eternità.\n\nAdattamento cinematografico.\nNel 2012 Alain Resnais ha diretto il film Vous n'avez encore rien vu, liberamente ispirato a due opere di Anouilh: Eurydice e Cher Antoine ou l'Amour raté.
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### Titolo: Euridice (ninfa).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Euridice (pronuncia: /euriˈditʃe/; oppure, alla latina, /euˈriditʃe/; in greco antico: Εὐρυδίκη?, Eurydíkē) è una ninfa delle Amadriadi.\n\nMito.\nSposò Orfeo e morì per il morso di un serpente in un prato mentre correva tentando di sottrarsi alle attenzioni del pastore Aristeo.\nOrfeo, intonò canzoni così cariche di disperazione che tutte le ninfe e gli dei ne furono commossi.\nGli fu consigliato di scendere nel regno dei morti per tentare di convincere Ade e Persefone a far tornare in vita la sua amata, così fece e le sue canzoni fecero persino piangere le Erinni.\nAde e Persefone si convinsero quindi a lasciare andare Euridice, a condizione che Orfeo camminasse davanti a lei e non si voltasse a guardarla finché non fossero usciti alla luce del sole. Durante il viaggio Orfeo non si voltò poiché sapeva che, se lo avesse fatto, non avrebbe più rivisto la sua amata. Arrivato finalmente alla luce del sole, Orfeo si voltò per guardare la sua amata; Euridice, però, non era ancora completamente uscita dal regno dei morti e dunque, quando Orfeo posò gli occhi su di lei, fu trascinata di nuovo nel mondo dei morti. Disperato, Orfeo voleva tornare negli inferi, ma Ermes lo fermò spiegandogli che si era voltato troppo presto e che perciò aveva perso Euridice per sempre. Così Orfeo, desolandosi e piangendo, rimase muto e solo, senza mangiare né bere, finché non giunse alla fine dei suoi giorni.\n\nEuridice nell'arte.\nCinema.\nLa trilogia che il poeta, scrittore e regista francese Jean Cocteau dedica al mito greco: Il sangue di un poeta (Le sang d'un poète, 1930), Orfeo (Orphée, 1949) e Il testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée, 1960).\nOrfeo negro (1959), rivisitazione moderna del mito di Orfeo ed Euridice ambientata nel Brasile degli anni cinquanta.\nPelle di serpente (1960), di Sidney Lumet, con Marlon Brando e Anna Magnani, basato sul dramma teatrale Orpheus Descending di Tennessee Williams.\n\nLetteratura.\nEuridice, egloga di Ottavio Rinuccini musicata da Jacopo Peri e Giulio Caccini (1600).\nEuridice, poesia di Curzio Malaparte (1932).\nEurydice, dramma teatrale di Jean Anouilh (1941).\nOrpheus descending, dramma teatrale di Tennessee Williams (1958), versione moderna del mito ambientata nel profondo sud degli Stati Uniti.\nIl ritorno di Euridice, racconto di Gesualdo Bufalino incluso nella raccolta L'uomo invaso (1986).\nLei dunque capirà, racconto dello scrittore triestino Claudio Magris (2006).\n\nDanza.\nOrfeo ed Euridice, ballo di Florian Johann Deller.\n\nOpera.\nEuridice, melodramma di Jacopo Peri (1600).\nEuridice, melodramma di Giulio Caccini (1600).\nL'Orfeo, opera lirica di Claudio Monteverdi (1607).\nOrfeo ed Euridice, opera-ballo di Heinrich Schütz (1638).\nOrfeo ed Euridice, opera lirica di Christoph Willibald Gluck.\nOrfeo ed Euridice, opera lirica di Johann Gottlieb Naumann.\nOrpheus und Eurydike - Opera lirica di Ernst Křenek.\nL'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice, opera lirica di Franz Joseph Haydn.\nOrphée aux Enfers - Opera (o Operetta) di Jacques Offenbach.\n\nMusical.\nOrfeo ed Euridice, opera teatrale in musica rock di Nicola e Gianfranco Salvio 2007.\nHadestown, opera teatrale in musica folk di Anaïs Mitchell, 2010-2020.\n\nCanzone.\nEuridice, canzone dell'album Blumùn di Roberto Vecchioni, 1993.\nOrfeo, canzone dell'album Stato di necessità di Carmen Consoli, 2000.\nEuridice, canzone dell'album Profumo di Violetta di Gianluigi Trovesi, 2002.\nEuridice, canzone dell'album Cronache occidentali di Midrash.\nCaliti junku, canzone dell'album Apriti sesamo di Franco Battiato, 2012.\nAwful Sound (Oh Eurydice) e It's Never Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album Reflektor degli Arcade Fire, 2013.
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### Titolo: Euridice (opera teatrale).\n### Descrizione: Euridice (Eurydice) è un'opera teatrale di Sarah Ruhl, debuttata a Madison nel settembre 2003. Il dramma racconta il mito di Orfeo ed Euridice con una particolare attenzione al potere della parola.\n\nTrama.\nPrimo movimento.\nOrfeo ed Euridice sono una coppia molto innamorata: lui è un talentuoso musicista, lei è un'accanita lettrice. Il ragazzo chiede a Euridice di sposarlo e nell'Oltretomba il padre defunto di Euridice scrive una lettera al futuro genero, ma non sa dove imbucarla. Orfeo ed Euridice si sono sposati e durante il ricevimento la ragazza si allontana per andare a bere a una fontana; qui incontra uno strano uomo che le dice di avere una lettera per lei da parte del padre ed Euridice lo segue al suo appartamento. Qui, la ragazza si sente a disagio e cerca di andarsene, ma cade dalle scale e muore.\n\nSecondo movimento.\nEuridice arriva nell'Oltretomba su un ascensore e prima che le porte si aprano dal soffitto piove acqua dal fiume della dimenticanza. Euridice entra ufficialmente nell'Oltretomba e viene accolta dal coro delle Tre Pietre; la fanciulla non ha più memoria del mondo dei vivi. Il padre di Euridice la trova e cerca di comunicare con lei, ma la ragazza non lo riconosce. Con pazienza e dedizione, il padre insegna di nuovo alla figlia a scrivere e ricordare, finché Euridice non ricorda tutta di Orfeo, del padre e del mondo che ha lasciato alle spalle. Il Signore dell'Oltretomba, un bambino su un triciclo, si invaghisce di lei; Orfeo le scrive lettere dal mondo dei vivi e le manda anche una copia delle Opere di William Shakespeare. Orfeo decide di andare a cercare la sua amata Euridice e, grazie al potere della sua musica, arriva fino alle porte dell'Inferno e bussa.\n\nTerzo movimento.\nIl Signore dell'Oltretomba concede a Orfeo di riportare Euridice nel mondo dei vivi ma alla condizione che non si volti mai a guardarla finché si trovano nel mondo dei morti. Euridice è estasiata, ma poi si rende conto che questo significa lasciare il padre ancora una volta e non si sente di compiere questa scelta: decide allora di chiamare il marito ad alta voce, Orfeo si volta e la perde per sempre.\nIl padre, intanto, è sopraffatto dal dolore di aver perso la figlia ancora una volta e si immerge nel fiume della dimenticanza per cancellare il ricordo di Euridice. Quando esce dal fiume, il padre ha dimenticato tutto e si addormenta. Euridice torna dal padre, lo trova addormentato e le Tre Pietre le raccontano cos'è successo. Il Signore dell'Oltretomba torna da Euridice e le dice di prepararsi per il loro imminente matrimonio. La fanciulla, desolata, scrive una toccante lettera a Orfeo e alla sua futura moglie, l'affida a un verme, e si immerge a sua volta nel fiume della dimenticanza. Orfeo, nel frattempo, è morto e arriva sull'ascensore, ma quando su di lui piove l'acqua del Lete si dimentica di tutto, anche della sua amata Euridice. Orfeo trova la lettera, la scruta, ma ha dimenticato come si legge.\n\nProduzioni.\nIl dramma ha debuttato a Madison, Wisconsin, nel settembre 2003 e da allora altre produzioni sono andate in scena a Berkeley, Yale, Atlanta, Filadelfia, Seattle, New York e Londra.
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### Titolo: Eurileone (mitologia).\n### Descrizione: Eurileone o Eurileonte (in greco antico Ευρυλεων, Euryleon) è un oscuro personaggio della mitologia greca, anche se in realtà è legato perlopiù a quella romana. Il nome viene dai termini greci ευρυς (eurys, 'grande', 'vasto') e λεων (leon, 'leone'), e viene interpretato da alcune fonti come 'leone dall'ampia portata' (ossia 'che raggiunge anche chi è lontano').\nÈ menzionato da alcuni mitografi, come Egesianasse (citato da Dionigi), che attribuiscono all'eroe troiano Enea altri tre figli oltre al noto Ascanio: Eurileone, Rhomylos (Romolo) e Rhomos (Remo, quest'ultimo eponimo della città di Roma). Si tratta di una delle numerosissime varianti sulla leggenda di Enea, al quale vengono attribuiti di volta in volta un numero variabile di figli e figlie.\nSecondo Dionigi, Eurilone era invece semplicemente il nome originale di Ascanio, cambiato dopo la fuga da Troia.
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### Titolo: Eurimede.\n### Descrizione: Eurimede (in greco antico: Εὐρυμήδη?, Eurümḕdē) o Eurinome (in greco antico: Εὐρυνόμη?, Eurünòmē), è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Megara.\n\nGenealogia.\nFiglia di Niso e Abrota, sposò Glauco.\nFu madre di Ipponoo (più conosciuto come Bellerofonte) avuto da Poseidone o dal marito Glauco e di Deliade (conosciuto anche come Alcimene o Peirene).\n\nMitologia.\nDonna saggia e di grande bellezza, imparò da Atena le arti della sapienza e del combattimento. Glauco le si propose come sposo ma Zeus stabilì che da lui non avrebbe mai potuto avere figli ed è per questo che (secondo Esiodo) Bellerofonte è figlio di Poseidone.
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### Titolo: Eurinome.\n### Descrizione: Eurinome (in greco antico: Εὐρυνόμη?, Eurynómē) è un personaggio della mitologia greca. È un'oceanina e titanide nonché dea dei prati e dei pascoli d'acqua.\nPotrebbe essere identificata con la sposa di Ofione e sua omonima.\n\nGenealogia.\nFiglia di Oceano e di Teti ebbe da Zeus le Cariti.\nApollodoro, tra i figli della coppia aggiunge Asopo ma nello stesso passo in cui scrive di Asopo scrive anche di altri probabili genitori.\n\nMitologia.\nSi prese cura di Efesto (assieme a Teti) dopo che questo fu gettato dall'Olimpo dalla madre Hera. Eurinome e Teti lo allattarono sulle rive del fiume che circondava la terra (Oceano).\nPausania scrive che gli abitanti di Figaleia (una città dell'Arcadia) credevano che Eurinome fosse un nome relativo ad Artemide e che solo una volta all'anno commemoravano il giorno in cui raccolsero Efesto aprendo il santuario a lei dedicato, ma aggiunge che se lo Xoanon a lei dedicato la raffigurava con il corpo di pesce al posto delle gambe, era di sicuro figlia di Oceano e viveva nel mare, quindi non poteva essere come Artemide.\nPausania conferma ancora che questa divinità fosse collegata alle acque poiché scrive anche che era venerata alla confluenza dei fiumi Neda e Lymas.\n\nL'omonimia.\nLa sua omonima (e moglie di Ofione) è una titanide definita 'regina dei cieli'. Oltre alla comune origine divina, un'altra similitudine tra i due personaggi è il 'cadere nel fiume Oceano' che per questo personaggio consiste nella caduta di Efesto dopo che fu gettato da Hera, mentre la sua omonima cade con il marito dopo che entrambi furono sconfitti da Crono e Rea.\nGenealogicamente però, non possono essere la stessa persona in quanto una titanide è figlia di Urano mentre un'oceanina è figlia di Oceano.\nRobert Graves fa invece di Eurinome e Ofione i protagonisti del 'mito pelasgico della creazione', emersi dal Caos, mito che egli attribuisce ad una società matriarcale pre-ellenica.
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### Titolo: Euripilo (figlio di Telefo).\n### Descrizione: Euripilo (in greco antico: Εὐρύπυλος?, Eurǜpülos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Telefo ed Astioche.\n\nMitologia.\nLe origini.\nOriginario della città di Teutrania, in Misia, era discendente di Eracle da parte paterna e parente di Priamo da quella materna, poiché sua madre era Astioche. Quando la città di Troia venne assediata dai greci Telefo proclamò la propria neutralità per via della promessa fatta ad Achille dopo che questi lo guarì dalla ferita. Priamo allora corruppe Astioche donadole ricchi monili ed ella gli inviò (contro la volontà di Telefo), un contingente di uomini guidato da Cromio ed Ennomo tenendo però a casa Euripilo che era ancora un fanciullo.\nMa questi una volta cresciuto, cedette all'offerta di Priamo con cui gli concedeva la mano della figlia Cassandra e pregò il padre di lasciarlo partire. Si dice che anche in questo caso furono decisivi i maneggi di Astioche che avrebbe spinto il figlio alla vendetta contro i greci. Secondo l'Odissea e tra tutti coloro che presero parte alla guerra di Troia, Euripilo nella bellezza era secondo solo a Memnone.\n\nLa morte.\nIl giovane eroe cominciò a combattere nel decimo anno di guerra, dopo la morte di Ettore ed Achille, conducendo con sé uno squadrone di misiaci ed ittiti. Egli si era appena sposato con una donna di cui non si conosce il nome: dopo la partenza di Euripilo sua moglie scoprì di essere incinta, e partorì un maschio, Grino. Durante gli scontri Euripilo, che esibiva un grande scudo rotondo recante la raffigurazione delle dodici fatiche compiute da suo nonno Eracle, uccise Macaone, il medico degli Achei (ma per alcuni autori questi venne ucciso da Pentesilea, regina delle amazzoni).\nIl suo destino si compì secondo alcune fonti la notte della caduta di Troia, o, secondo altre, pochi giorni prima: in ogni caso Euripilo, dopo aver ucciso il capo greco Nireo, fu aggredito da Neottolemo, il figlio d'Achille; balzò sul suo carro per fuggire, ma venne trafitto dalla lancia dell'acheo. Secondo un'altra versione, a uccidere l'eroe misio fu invece Peneleo, che qualche autore inserisce invece tra le sue vittime. Grino, il figlio di Euripilo, fu allevato da Telefo e divenne re dopo la sua morte; strinse una grande amicizia con Pergamo, il figlio di Neottolemo.\n\nVittime di Euripilo.\nEchemmone, guerriero acheo.\nAntifo, guerriero acheo.\nBucolione, guerriero acheo.\nCromione, guerriero acheo.\nMacaone, figlio di Asclepio.\nNireo, capo acheo.\nPeneleo, capo del contingente dei beoti (secondo una versione).
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### Titolo: Euristeo.\n### Descrizione: Euristeo (in greco antico Εὐρυσθεύς Eurysthèus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Stenelo e Nicippe e cugino di Alcmena.\n\nMitologia.\nZeus aveva stabilito che i troni di Tirinto e di Micene sarebbero stati destinati al primo nato della stirpe di Perseo cercando, in questo modo, di far salire al trono suo figlio Eracle. Sua moglie Era, però, intervenne facendo in modo che prima di Eracle nascesse Euristeo, che divenne così il re delle due città.\nEra fece in modo che Eracle fosse anche sottomesso ad Euristeo, che ne sfruttò le potenzialità per fargli compiere una serie di imprese al di là di ogni forza umana, divenute note come le dodici fatiche di Eracle.\nTemendo una vendetta degli Eraclidi (i figli di Eracle), Euristeo li braccò ovunque, fino ad Atene, dove fu respinto. Illo, figlio di Eracle, lo inseguì e lo uccise, tagliandogli la testa e consegnandola alla nonna Alcmena, che oltraggiò il cadavere di Euristeo strappando via gli occhi dalle orbite.\nEgli aveva una figlia, Admeta ed un figlio, Alessandro.\nE proprio per la figlia Admeta, desiderosa di avere il Cinto di Ippolita, che Eracle, per ordine di Euristeo, compì la nona delle dodici fatiche: combatté contro la Amazzoni, riportò la vittoria e conquistò il cinto per la giovane Admeta. Secondo altre fonti (Pindaro su tutte), non fu Illo ad uccidere Euristeo bensì Iolao, nipote di Eracle, ringiovanito miracolosamente per l'occasione.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Euristeo.\n\nCollegamenti esterni.\n\nEuristeo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\n(EN) Eurystheus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Euritemi.\n### Descrizione: Euritemi (in greco antico: Εὐρύθεμις?) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Cleobea e madre di Ipermnestra, Plessippo, Evippo, Euripilo Altea, Leda ed Ificlo avuti da Testio.\nGli ultimi tre nomi sono citati come suoi figli anche da Igino che però la cita con il nome Leucippe (in greco antico: Λευκίππη?).\n\nMitologia.\nEuritemi è il nome attribuitole da Apollodoro che la indica come madre di sette degli undici figli di Testio mentre Igino cita il nome di Leucippe come madre di tre dei sette figli di cui scrive Apollodoro.\nIgino però, visse in un'epoca successiva rispetto ad Apollodoro ed inoltre scriveva in latino (non in greco), pertanto il nome Leucippe si può ricondurre ad Euritemi sia per una errata tradizione filologica del mito che per la similitudine dei nomi dei figli citati che delle loro avventure mitologiche.
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### Titolo: Euritione (re di Ftia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Euritione, Eurizione o Eurito fu un re di Ftia. È anche contato tra gli argonauti e tra i partecipanti alla caccia del cinghiale calidonio, dove trovò la morte.\n\nGenealogia.\nEuritione era figlio di Iro, figlio di Attore, figlio di Mirmidone, oppure figlio di Attore. Se era figlio di Iro, la madre era Demonassa ed era fratello di Euridamante, anch'egli argonauta. La figlia Antigone andò in sposa a Peleo e fu madre di Polidora, sorella di Achille.\n\nMitologia.\nQuando Peleo fuggì da Egina a causa dell'omicidio del suo fratellastro Foco, fu ricevuto e purificato da Eurizione. Inoltre, il re offrì anche a Peleo una terza parte del regno da governare e sua figlia Antigone in moglie.\nEuritione partecipò al viaggio degli argonauti, e si lasciò crescere i capelli fino a quando non fu di nuovo al sicuro a casa. Insieme a suo genero, si recò anche a Calidone per rispondere alla chiamata del re Oineo per uccidere il cinghiale calidonio che stava devastando la sua terra. Durante la caccia, Peleo scagliò con forza una lancia che mancò il gigantesco animale ma colpì inavvertitamente il suocero. Eurizione morì nel bosco, a causa di quella ferita mortale al petto, mentre Peleo fuggì da Ftia e si recò a Iolco, dove fu purificato per questo omicidio dal re Acasto. In seguito, Peleo radunò molte pecore e bovini e li condusse presso il padre di Eurizione, Iro, come prezzo di sangue per l'uccisione del figlio, ma Iro non accettò e lo mandò via.
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### Titolo: Eurota (re della Laconia).\n### Descrizione: Secondo la Mitologia greca, Eurota in greco Εὐρώτας? fu un re della Laconia, figlio di re Milete e nipote di Lelego, antenato eponimo dei Lelegi. Non aveva eredi maschi, ma aveva una figlia di nome Sparta e sua moglie Clete. Eurota lasciò in eredità il regno a Lacedemone, il figlio di Taigete, da cui prende il nome il fiume Taigeto, e Zeus, secondo Pausania. Lacedemone sposò Sparta e ribattezzò lo stato dopo sua moglie.\nPausania dice: 'Fu Eurota che incanalò l'acqua delle paludi dalle pianure tagliando verso il mare, e quando la terra fu prosciugata chiamò il fiume che era rimasto lì a scorrere Eurota.' Il 'taglio attraverso' è visto dal traduttore e commentatore di Pausania, Peter Levy, S.J., come spiegazione del canyon di Eurota (o Vrodamas), un burrone a nord di Skala dove il fiume taglia le colline del Taigeto dopo aver cambiato direzione ad ovest della valle.\n\nVarianti.\nLa Biblioteca offre una leggera variante della generazione mitologica di Eurota: quest'ultimo è figlio di Lelego, nato nella terra e Cleocaria.\n\nEurota nell'arte.\nGli dei fluviali sono tipicamente rappresentati nell'arte greca, come soggetti delle monete, come figure con i corpi di toro e i volti umani. Se appare solo la faccia, potrebbero indossare le corna e avere capelli mossi o essere accompagnati dai pesci. Claudio Eliano afferma che l'Eurota e altri fiumi sono rappresentati come tori.
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### Titolo: Eusebeia.\n### Descrizione: Eusebeia (in greco: εὐσέβεια, da 'ευ' che significa 'bene', e 'σεβομαι' che significa 'riverenza', 'venerazione', 'profondo rispetto', a sua volta formato da SΕΒ che significa 'sacro', 'timore reverenziale', 'riverenza' soprattutto nelle azioni) è una parola greca abbondantemente usata nella filosofia greca, dal significato di interiore pietà, maturità spirituale, o di devozione. La radice SEB- (σέβ) è collegata a pericolo e fuga, e quindi il senso di riverenza originariamente descriveva una sana paura degli Dèi.Il termine fu usato nella Grecia Classica dove significava 'personale pietà nello svolgimento dei rapporti umani'.\nFu anche espresso concretamente ed esternamente l'adempimento agli atti di venerazione agli Dèi (doni, sacrifici, devozione pubblica) e con l'estensione di onorare gli Dèi mostrando il proprio rispetto agli anziani, ai maestri, ai governanti e a tutto ciò che era sotto la protezione degli Dèi.\nL'Eusebeia e la Saggezza rappresentavano gli ideali dell'antica Sparta. Per i Platonisti l'Eusebeia rappresentava la giusta condotta nei confronti degli Dèi e per gli Stoici la conoscenza di come le Divinità debbano essere venerate.\nProgressivamente, nel più ampio mondo ellenistico della koinè, Eusebeia venne a designare 'pietà interiore', o spiritualità, un dovere interiormente dovuto agli Dèi.\nNella Mitologia Greca, il concetto di Eusebeia è antropomorfizzato, con il Demone (Ευσέβεια) della pietà, della lealtà, del dovere e del rispetto filiale. Secondo una fonte, suo marito è Nomos (Legge), e la loro figlia è Dike, la dea della giustizia e dell'equo giudizio. In altre narrazioni, Dike è la figlia del dio Zeus e/o la dea Temi (Legge Divina).Nella mitologia greca Ευσέβεια (Eusebeia) è una Dèa, la personificazione della Pietà stessa.\nGli Inni Orfici chiamano Ευσέβεια (Eusebeia) «μέγα όνειαρ» (= grande beneficio). Il filosofo Empedocle domanda alla Musa di inviargli un carro di Pietà. Il Tempio della Divinità era a Plovdiv in Bulgaria. Su delle monete di rame di Alessandria, è rappresentata la Pietà romana sotto forma di una donna che porta un velo.\nL'imperatore indiano Ashoka nel 250 a.C. nei suoi Editti usò la parola 'eusebeia' come una traduzione greca per il concetto centrale Buddhista di 'dharma'.\nIl termine Ευσέβεια ricorre anche nove volte nel Nuovo Testamento: 1 Timoteo 4,7; 1 Timoteo 4,8; 1 Timoteo 6,3; 1 Timoteo 6,5; 1 Timoteo 6,6; 1 Timoteo 6,11; Tito 1,1; 2 Pietro 1,3; 2 Pietro 1,6.
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### Titolo: Evemerismo.\n### Descrizione: L'evemerismo è una posizione della filosofia della religione che sostiene che gli dei rappresentino soggetti umani divinizzati, attraverso processi di trasformazione e di ricezione di eventi reali attraverso le strade della tradizione orale che ne ha tramandato la memoria e modificato i contenuti.\nL'atteggiamento filosofico prende il nome dal suo assertore, Evemero da Messina, storico e filosofo di età ellenistica.\n\nOrigini e sviluppo.\nIn realtà un'attitudine simile non era una novità nella cultura greca, trovandosene espressione già nel pensiero di Senofane, Erodoto, Ecateo di Mileto, Eforo.. Erodoto, tra gli altri, presenta resoconti 'razionalizzati' del mito di Io e di eventi della Guerra di Troia, mentre il suo predecessore Ecateo, nelle Genealogie, si era soffermato su episodi del mito quali quello di Eracle e Cerbero, cercando di razionalizzarli alla luce del buonsenso.\nLa trattazione più completa di questo tipo di filosofia si riscontra, tuttavia, nell'eponimo della teoria, ossia Evemero da Messina, vissuto nel periodo di transizione seguito alla morte di Alessandro Magno, al seguito di Cassandro, nuovo sovrano del Regno di Macedonia, per il quale svolse mansioni militari e diplomatiche: secondo la tradizione, Cassandro lo incaricò di effettuare dei viaggi di esplorazione nella zona del Golfo Persico, partendo dalla Penisola arabica. Il viaggio dovette collocarsi senz'altro prima del 297 a.C. (data della morte di Cassandro) e da esso Evemero trasse spunto per comporre un'opera dedicata al sovrano macedone.\nL'opera di Evemero, la Ἱερὰ ἀναγραφή (Hierà anagraphé, 'sacro resoconto' o 'sacra scrittura'), si inserisce in un filone letterario a lui contemporaneo, in cui storiografia, etnografia e opportunismo politico erano commisti a scapito del rigore intellettuale che aveva generalmente caratterizzato la storiografia del secolo precedente.\nL'opera non ci è giunta intera, ma grazie al compendio in Diodoro Siculo e ai numerosi frammenti della traduzione di Quinto Ennio intitolata Euhemerus, abbiamo un'idea complessivamente adeguata del contenuto di questo scritto, probabilmente diviso in tre libri, corrispondenti alla descrizione geografica (I), politica (II), teologica (III) di un arcipelago dell'Oceano Indiano visitato dall'autore a seguito di una tempesta che lo aveva portato fuori rotta.\nNel primo libro, l'isola principale di tale arcipelago, chiamata Panchea (Παγχαία), è descritta come una terra sacra ricca di alberi di incenso e altre essenze vegetali adatte ai sacrifici ed ai riti religiosi. Su di essa non vivevano solo indigeni, ma anche immigrati di provenienza orientale, come Oceaniti e Indiani, nonché Sciti e Cretesi, popoli di grande saggezza: essi abitavano nella capitale, Panara, dotata di leggi proprie e retta da tre magistrati annuali, che si occupavano della giustizia ordinaria coadiuvati dai sacerdoti. A dieci chilometri da Panara, in una pianura, era stato eretto il tempio di Zeus Trifilio, ossia delle tre tribù primitive dell'isola, i Panchei, gli Oceaniti e i Doi. La zona del tempio era ricchissima di flora e fauna, così come notevole era il tempio, lungo 60 metri, al quale si accedeva tramite un viale lungo 720 metri e largo 30. Dominava la piana il monte Olimpo Trifilio, sede dei primi abitatori dell'isola e di osservatori astronomici naturali.\nEvemero doveva poi dedicare il secondo libro alla descrizione della costituzione e della società di Panchea. La società era tripartita: alla prima 'casta', quella dei sacerdoti, spettava la direzione degli affari pubblici e delle controversie giuridiche. La seconda 'casta', degli agricoltori, si occupava della lavorazione della terra e dell'immagazzinamento dei prodotti per l'uso comune: come incentivo al lavoro, i sacerdoti stilavano una classifica dei più meritevoli, il primo dei quali riceveva un premio. Ultima casta era quella dei soldati, che, stipendiati dallo Stato, proteggevano il paese, vivendo in accampamenti fissi e tenendo lontani i briganti che attaccassero gli agricoltori. Principale arma da guerra, come nella Grecia omerica, era il carro.\nIl terzo libro, infine, svolgeva l'argomento da cui l'intera opera traeva il nome e lo scopo 'politico': la religione ideale dei Panchei. Ritornando alla descrizione del tempio di Zeus Trifilio, Evemero descriveva brevemente il culto tributato agli dèi dai Panchei e la struttura interna del tempio, nel quale era posta una stele d'oro che recava iscritte, in geroglifici, le imprese degli dèi che i sacerdoti cantano negli inni e nei riti divini.\nSecondo la casta sacerdotale di Panchea, gli dèi erano nati a Creta ed erano stati condotti a Panchea dal grande re Zeus, di cui Evemero narrava la genealogia e le imprese. Dopo essersi dilungato ad esporre le complesse trame di potere che portarono Urano a divenire il primo re del mondo abitato e ad essere onorato per la sua conoscenza dell'astronomia come dio del cielo, Evemero riporta che dopo una guerra Crono, figlio minore di Urano, spodestò il legittimo erede, il fratello Titano, e, sposata Rea (Ops in Ennio), sua sorella, generò Zeus, Era e Poseidone.\nUltimo gran re fu appunto Zeus, figlio di Crono, che liberò fratelli e zii dalla prigionia in cui Crono li aveva costretti e, con diversi matrimoni, si assicurò una numerosa discendenza. Assicuratasi l'alleanza con Belo, re di Babilonia, Zeus conquistò poi la Siria e la Cilicia, nonché l'Egitto, dove ricevette il titolo onorifico di Ammone e con questo nome vi venne onorato sotto le spoglie di un ariete, poiché in battaglia indossava un elmo aureo ornato appunto da corna d'ariete.\nPercorsa cinque volte la terra e beneficatala con i semi della civiltà e della religione, Zeus, in tarda età, prima di morire, condusse appunto a Panchea i suoi discendenti, ai quali lasciò compiti specifici di governo: suo fratello Poseidone governò i mari ed i percorsi marittimi, così come Ade si occupò dei riti funebri ed Ermes presiedette all'alfabetizzazione ed alla diffusione della cultura. Morto Zeus, che aveva fatto incidere su una stele d'oro le imprese sue e dei suoi avi, gli fu eretto un tempio, appunto di Zeus Trifilio, ed Ermes incise sulla stele le imprese dei suoi discendenti, che come lui sono onorati come dèi dagli uomini per le grandi imprese compiute.\n\nIl significato dell'evemerismo e la sua fortuna.\nLa narrazione di Evemero, di forma romanzesco-storiografico-etnografica, risentiva, fondamentalmente, dal punto di vista letterario, delle opere mature e tarde di Platone (padre del mito di Atlantide), ed era presente nella storiografia alessandrina, ad esempio negli Indikà di Megastene. Reminiscenze siciliane collegano il toponimo Panara alla quasi omonima isola dell'arcipelago delle isole Eolie.\nInoltre, dal punto di vista politico, la narrazione pone a capo di tali società ideali i discendenti di uomini divinizzati; con la pretesa di veridicità storica, mira a dare legittimazione teorica alla concezione orientale del culto divino tributato ai sovrani, che già all'epoca di Alessandro aveva suscitato scalpore.\nDal punto di vista filosofico, la razionalizzazione critica del patrimonio religioso si può ricollegare all'influenza della speculazione sofistica che da Atene si irradiò in tutto il mondo greco. Luigi Enrico Rossi ricollega la riflessione di Evemero a quella del sofista Prodico di Ceo; secondo l'antropologia, la tripartizione della società in Sacerdoti, Guerrieri e Lavoratori rispetta pienamente la ripartizione societaria indoeuropea, riscontrabile sia in India sia in Persia, presente alla coscienza greca grazie ad autori quali Megastene.\nLa spiegazione del divino presente nella 'Hierà anagraphé' ebbe, comunque, inizialmente poco seguito; la sua prima ricezione la ricaviamo dal rifiuto di Callimaco, che ribadì l'origine degli dei nell'Inno a Zeus. Va registrata l'ammirazione di Ennio, che tradusse e rielaborò l'opera, i romanzi di Dionisio Scitobrachione e l'epitome di Diodoro Siculo, mentre ìCicerone mostra di conoscere tale teoria nel De natura deorum. All'indirizzo dell'evemerismo la critica più recente ha ricondotto pure le Res Gestae di Augusto.Tuttavia, in assenza di sintesi elaborate dai suoi predecessori, la spiegazione storico-razionalistica di Evemero restò l'unica sistematizzazione sull'origine degli dei: paradossalmente, venne ampiamente utilizzata negli apologisti cristiani come Cipriano, Arnobio, Lattanzio ed Eusebio di Cesarea, sia per confutare la natura soprannaturale degli dei pagani, sia per avvalorare la duplice natura umana e divina di Gesù.\nTale interpretazione restò di fatto l'unica, fino al sorgere del metodo comparativo nella storia delle religioni (XVIII secolo), che, tuttavia, non ha invalidato la teoria evemeristica, ponendosi invece come alternativa interpretativa. Lo stesso Isaac Newton, ad esempio, nei suoi studi di cronologia antica, aderì al principio evemerista nel tentativo di di confutare la precedenza temporale delle civiltà pagane rispetto a quella ebraico-cristiana. E a loro volta Hume e la filosofia dei Lumi chiamarono in causa l'evemerismo proprio per screditare il Cristianesimo. Anche Giambattista Vico condivide l'ipotesi di Evemero secondo cui gli antichi dei erano uomini divinizzati; in seguito anche Ugo Foscolo fa sua questa convinzione, ponendola come base ideale di alcune sue composizioni poetiche, come l'ode All'amica risanata, ma anche il carme Dei sepolcri e il poemetto Le Grazie.\nLa teoria degli antichi astronauti sorta nel XX secolo è considerata una forma di neo-evemerismo a sfondo ufologico.
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### Titolo: Evere (figlio di Pterelao).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Evere (in greco antico Εὐήρης Euḕrēs) era il nome di uno dei figli di Pterelao.\n\nIl mito.\nDurante la guerra fra Micenei e Tafi, si osservò una strage dei figli dei due rispettivi re: Elettrione di Micene perse tutti i suoi figli maschi, tranne Licimnio, solo per la sua età visto che era ancora un bambino.\nStessa sorte toccò a Pterelao a cui rimase solo un figlio: Evere che era rimasto in disparte non prendendo parte alla guerra, infatti a lui era stato dato il compito di fare la guardia alle navi.
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### Titolo: Fabula di Orfeo.\n### Descrizione: La Fabula di Orfeo, nota anche come La favola di Orfeo, oppure Orfeo, od ancora L’Orfeo, è un'opera teatrale scritta dall'umanista Angelo Poliziano tra il 1479 e il 1480.\n\nTrama.\nIl poeta tracio Orfeo è disperato per la morte della sua amata Euridice e decide di recarsi nell'Ade per riportarla indietro. Lì il suo canto impietosisce Plutone e Proserpina, cosicché gli viene concesso di poter riavere la sua donna, però nel tragitto dal mondo infernale al mondo terreno non deve voltarsi indietro. Il poeta, credendo di essere giunto sulla terra, si volta e perde così Euridice.\nIl mito poi racconta anche la morte del poeta, il quale viene 'risucchiato' nuovamente nell'Ade da Proserpina che, dopo aver visto non essere mantenuto il suo accordo col giovane poeta, lo condanna per sempre a restare negli Inferi, con la sua anima sotto dominio della donna e il suo corpo tra le mani irresistibili di Plutone, divenendo il suo schiavo sessuale. Tuttavia viene persino narrato che, anche oltraggiato nell'Ade, Orfeo non ha perso il suo dono divino, il canto, che continua a risuonare ed a invocare Euridice.\nQuesto mito fu letto da Dante nel Convivio in chiave allegorica e anche nel XV secolo umanisti come Ficino ritenevano che questa storia rappresentasse la capacità della poesia di resistere alla violenza umana.\nPoliziano, diversamente, conclude la sua rappresentazione con il coro delle Menadi che trionfano per il loro crimine. Dunque è probabile, come sostenuto da Vittore Branca, che il poeta di Montepulciano non credesse che la poesia e la bellezza vincano sulla violenza. Infatti Firenze, culla della poesia nel XIV secolo, fu sconvolta dagli avvenimenti legati alla congiura dei Pazzi del 1478, e di conseguenza Poliziano riteneva la teoria degli umanisti solo un'illusione.\n\nStoria.\nQuesto testo si configura come la prima opera drammatica in lingua italiana di argomento non religioso ed è un testo importante per il Rinascimento poiché si tratta di un'esaltazione della poesia. Tema caro al Rinascimento è, infatti, l'esaltazione della poesia poiché funzionale alle sue capacità civilizzatrici di poter vincere sul tempo e sulla morte. La datazione è incerta, forse l'opera fu scritta quando il poeta abbandonò Firenze per un contrasto con Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico, riguardo all'educazione del figlio Piero. Probabilmente Poliziano si recò nell'Italia settentrionale perché alcuni termini usati nell'opera sono di origine lombardo-veneta come nel caso delle rime mi, ti del verso: «i’ vo bevere ancor mi! Gli è del vino ancor per ti», che rappresentano probabilmente uno scherzo o omaggio alla parlata del committente e del suo pubblico.\nLa Fabula di Orfeo è la prima opera teatrale di tema profano e racconta il mito di Orfeo, seguendo Virgilio (Georgiche) e Ovidio (Le metamorfosi).Non è chiaro a quale genere l’opera appartenga e non esiste una sua edizione critica. Inoltre Poliziano non allude mai alla fabula in altre opere, sebbene bisogna ricordare che la sua produzione giovanile ha avuto gravi perdite, spesso a causa dell’incuria dello stesso autore.\nUn documento importante rimasto è la lettera a Carlo Canale scritta da Poliziano, la quale contiene notizie e giudizi sull’opera. Grazie a questo documento conosciamo il committente della fabula, il cardinale Francesco Gonzaga, e conosciamo la durata della stesura, di soli due giorni. La committenza delle opere teatrali era sempre pressante poiché agli autori veniva concesso poco tempo. In seguito i committenti diventavano i proprietari dell’opera commissionata, la quale acquisiva una vita autonoma senza più rapporti con l’autore e poteva essere soggetta ad adattamenti in funzione di nuove rappresentazioni. Sappiamo inoltre che l’opera fu composta in stile volgare per essere meglio compresa dagli spettatori.\nLa fabula è distinta in tre forme testuali. La prima è l’ode saffica al cardinale Gonzaga, la seconda è un’ottava pronunciata da Minosse e la terza i due distici in latino cantati da Orfeo dopo la liberazione di Euridice, che sono un centone da Ovidio.\n\nTempi della composizione.\nLa datazione della fabula è vexata quaestio, mentre invece è chiaro che l’opera è stata scritta e rappresentata a Mantova. Nella princeps della lettera di Poliziano a Canale si trova un’altra lettera, con la quale Alessandro Sarti dedica al protonotario Galeazzo Bentivoglio le Cose vulgare. Le notizie date da Sarti riguardo alla composizione mantovana dell’Orfeo non possono essere ricordi diretti poiché Sarti non ha avuto contatti con il cardinale Gonzaga e con Poliziano negli anni che interessano l’Orfeo. Vi è un’interpretazione della lettera di Poliziano a Canale, riprodotta nella princeps, trattandosi di un’opera commissionata dal cardinale Gonzaga, il cardinale mantovano, l’opera diventa automaticamente mantovana. Tuttavia il cardinale non risiedeva spesso né a lungo a Mantova poiché la sua sede come legato pontificio dal 1471 era Bologna. La corte mantovana in quegli anni era in lutto per la morte di Margherita Gonzaga avvenuta il 12 ottobre 1479, il lutto per la corte comportava l’assoluto divieto di dare feste e spettacoli teatrali per un anno. Perciò si esclude che il cardinale facesse rappresentare a Mantova l’Orfeo in quel periodo e, siccome per ammissione esplicita di Poliziano, la fabula fu scritta con urgenza in soli due giorni, si conclude che non può essere stata scritta in quel periodo. L’unico fatto certo è la morte del cardinale, avvenuta a Bologna nel 1483: l'opera è stata certamente scritta prima.\n\nIl mito di Orfeo.\nIl mito di Orfeo è stato oggetto di molte interpretazioni allegoriche o simboliche. Per Poliziano le favole antiche rappresentano un patrimonio culturale vivo; esse possono offrire, per l’inesauribile capacità di significato del mito, la rappresentazione più immediata e nobile di intuizioni e pensieri. La vicenda narrata nella fabula può essere letta come esempio degli effetti nefasti dell’amore: la duplice morte di Euridice è conseguenza della passione di Aristeo e del troppo amore di Orfeo. Nella fabula tuttavia non è il troppo amore a portare effetti negativi, quanto l’amore per la donna in sé stesso che è giudicato negativamente. L’antefatto pastorale creato da Poliziano, che non si trova né in Virgilio né in Ovidio, rappresenta l’età aurea la cui serenità è dapprima minacciata dall’amore di Aristeo a livello personale e nell’intero contesto sociale ed è definitivamente annullata dalla serie dei tragici eventi ai quali la passione di Aristeo ha dato inizio.\n\nIncertezza del genere.\nLa fabula di Orfeo appare irregolare rispetto ai generi teatrali noti e perciò vi è incertezza riguardo alla sua classificazione. L’opera è stata definita talvolta sacra rappresentazione di contenuto pagano, talvolta egloga rappresentativa, favola mitologica, favola o dramma pastorale, dramma mescidato. Dobbiamo ipotizzare che fosse una rappresentazione conviviale che si teneva durante i banchetti organizzati dal Cardinale Gonzaga, dei quali ci sono rimaste testimonianze. I banchetti-spettacolo erano frequenti anche nelle case signorili in occasioni speciali, soprattutto per delle nozze. A volte dopo un banchetto erano tenute rappresentazioni nella stessa sala dove venivano introdotte costruzioni teatrali complesse apparentemente semoventi, perché trasportate dagli stessi attori nascosti al loro interno. Le rappresentazioni erano brevi ma avevano uno sviluppo drammatico ed erano concluse da una danza. L’intenzione della committenza era dunque di avere un testo adatto ad uno spettacolo da rappresentarsi in una sala durante o dopo un convito, l’unica occasione teatrale possibile in un’epoca in cui ancora non era previsto nelle corti e nelle case cardinalizie un luogo teatrale apposito.\nL’indagine sull’intenzione del Poliziano nel settore specifico dei generi teatrali, in assenza di dichiarazioni esplicite dell’autore in merito, può basarsi soltanto sull’analisi della fabula stessa e insieme sull’esame delle conoscenze che Poliziano aveva dei generi teatrali classici. Uno dei filoni di ricerca più vivaci dell’attività filologica di Poliziano è l’attenzione ai peculiari aspetti tematici e retorici dei generi letterari antichi spesso in funzione della sua propria opera imitativa. Poliziano disserta più volte sul teatro antico nelle premesse dei commenti ai comici o ai tragici ma anche nei commenti ai satirici per distinguere i tre tipi di satira: la fabula satirica greca, specificatamente teatrale, e i due generi latini, la satira menippea e la satira di Orazio, Persio e Giovenale. L’individuazione dei tre generi teatrali è precisa ed inequivoca e l’attenzione per la fabula satirica è molto vivace nel Poliziano e maggiore rispetto ai suoi contemporanei. Poliziano afferma come la fabula satirica sia stilisticamente intermedia tra la tragedia e la commedia in quanto ammette tra i suoi personaggi, oltre ai satiri e a Sileno, dèi minori e altre figure mitologiche di tipo rustico; è ambientata nelle selve e nelle campagne e deve contenere scene lacrimevoli, ma terminare in letizia.
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### Titolo: Falanto.\n### Descrizione: Falanto (in greco antico: Φάλανθος?; in latino Phalantus) è una figura della mitologia greca, ecista dei coloni Parteni provenienti da Sparta, marito di Etra.\nFiglio di Arato, secondo la leggenda la sua figura è fortemente legata alla città di Taranto, in quanto Falanto sarebbe il fondatore effettivo dell'antica colonia greca.\nIl mito di fondazione di Taranto ad opera di Falanto, è rappresentato nel Borgo Antico della città su un pannello ceramico realizzato nel 2005 dall'artista Silvana Galeone, su idea e progettazione del Centro Culturale Filonide.\n\nIl mito.\nRacconta Strabone nella sua Geografia, come Sparta rischiasse di non avere più una giovane generazione di guerrieri a causa della lontananza degli uomini dalla città, per via delle lunghe guerre messeniche in cui Sparta era contrapposta alla vicina Messenia, vincolati da un solenne giuramento di non fare ritorno a casa prima di aver conquistato la città e i terreni che le appartenevano. Per risolvere il problema della natalità, gli Spartiati acconsentirono affinché i Perieci, cioè i cittadini che non godevano di tutti i diritti politici propri degli Spartiati, potessero unirsi alle donne per procreare. Ma i nuovi nati, detti poi Partheni, nonostante addestrati come guerrieri, non potevano godere di tutti i diritti garantiti nella poleis.\nGiunse quindi il momento in cui i Partheni, guidati da Falanto, organizzarono una sommossa insieme agli schiavi, per ottenere dall'aristocrazia i diritti loro negati: la sommossa fallì e i rivoltosi, non potendo essere condannati a morte al pari degli schiavi, furono obbligati a lasciare la città alla ricerca di nuove terre.\nPrima di partire, Falanto consultò l'Oracolo di Delfi alla ricerca di un responso circa il proprio futuro. L'oracolo di Apollo, tramite la Pizia, così sentenziò:.\n«Vi concedo di abitare Saturo e siate la rovina degli Iapigi».Falanto chiese anche un segno con cui capire quando sarebbe giunto il momento opportuno, e l'oracolo sentenziò:.\n«Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città».Dopo aver affrontato un naufragio e raggiunte le terre degli Iapigi, presero possesso del promontorio di Saturo.\nVenne un giorno in cui le ambizioni e le delusioni di Falanto lo videro sedere per terra con il capo poggiato sulle ginocchia della moglie, la quale stanca e scoraggiata, cominciò a piangere e a bagnarlo con le sue lacrime. Ma il nome della moglie Etra (in greco antico Αἴθρα) ha proprio il significato di 'cielo sereno', per cui Falanto, ricordandosi dell'oracolo, ritenne giunto il momento di fondare una città: guidando i suoi uomini verso l'entroterra fondò così Taranto, richiamandosi all'eroe greco-iapigio del luogo chiamato Taras. Mentre gli indigeni riparavano a Brindisi, Falanto poté finalmente costituire in Italia una colonia lacedemone, retta dalle leggi di Licurgo.In seguito a contrasti con i concittadini (per seditionem), Falanto venne scacciato con ingratitudine da Taranto e si rifugiò a Brindisi, proprio presso gli Iapigi che aveva sconfitto. In quel luogo morì e ricevette un'onorata sepoltura dai suoi ex nemici.Sul letto di morte, tuttavia, Falanto volle far del bene ai suoi ingrati concittadini: convinse i brindisini a spargere le sue ceneri nell'agorà di Taranto, perché così facendo si sarebbero assicurati la conquista della città. In realtà, l'oracolo aveva predetto a Falanto che Taranto sarebbe rimasta inviolata se le sue ceneri fossero rimaste entro le mura. Così Falanto, ingannando i brindisini, fece un favore ai tarantini che da allora gli resero l'omaggio dovuto ad un ecista.
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### Titolo: Falche (re di Sicione).\n### Descrizione: Falche (in greco antico: Φάλκης?, Fálkēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide che divenne re di Sicione.\n\nGenealogia.\nFiglio di Temeno, fu padre di Regnida.\n\nMitologia.\nCosì come fecero anche i suoi fratelli, Falche non condivise la decisione del padre di concedere i suoi affetti a sua sorella Irneto e nemmeno la decisione dell'esercito che, dopo la morte del padre assegnò il trono al cognato Deifonte (il comandante dell'esercito e marito di Irneto), così si recò ad Epidauro dove risiedevano i due sposi per convincere lei a lasciare il marito.\nAl rifiuto della donna la rapì e caricatola sul proprio carro fuggì mentre, inseguito da Deifonte, vide il fratello Cerine morire colpito da una freccia e strinse più forte a sé Irneto (che era incinta) fino ad ucciderla.\nIn seguito divenne re di Sicione, città che conquistò con l'aiuto dei Dori in un attacco notturno e rispettò la vita di Lacestade (il re sconfitto ed anch'esso un Eraclide) scegliendo di condividere con lui il trono. Infine eresse un Heroon ad Hera poiché sosteneva che la dea lo avesse guidato sulla strada per Sicione.\nDopo la sua morte il trono passo al figlio Regnida.
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### Titolo: Falero.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Falero, figlio di Alcone, era l'eroe eponimo del porto di Atene (il Falero), che prese parte alla spedizione degli argonauti.\n\nIl mito.\nFiglio del grande arciere Alcone, Falero ebbe un giorno un brutto incontro con un gigantesco serpente, che lo avvolse completamente nelle spire fin quasi a soffocarlo. Intervenne allora il padre, che scoccò una freccia dal suo arco: la sua abilità era tale che colpì a morte il serpente senza neanche scalfire il figlio.\nEbbe una figlia di nome Calciope (o Calcippe).\n\nGli Argonauti.\nFalero prese dal padre l'abilità nel maneggiare l'arco, partecipando, in qualità di rappresentante del popolo ateniese, al viaggio verso il vello d'oro.\n\nElementi storici.\nSi presuppone che tali avventure non fossero prive di un retroterra storico: i vari viaggi dovrebbero rappresentare gli antichei tragitti dei mercanti e Falero, al pari di altri eroi, dovrebbe appunto rappresentare i mercanti ateniesi.
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### Titolo: Fantaso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Fantaso (in greco Φάντασος, Phántasos, il cui nome significa 'l'apparizione') è uno dei figli di Ipno (Hypnos), il dio del sonno che è figlio della Notte e fratello gemello di Tanato. Con i fratelli Morfeo e Fobetore fa parte dei tre Oniri, coloro i quali governano i sogni: ognuno di essi ne impersonifica una particolare forma. Ogni oggetto inanimato che appaia in un sogno è generato da Fantaso.\nSi differenzia dal fratello Morfeo per via delle continue menzogne: egli, infatti, non annuncia mai la verità.\n\nNella cultura di massa.\n• Fantaso è presente in I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade dove, per ordine di suo padre Hypnos, cattura Tenma di Pegasus, Yato dell'Unicorno e Yuzuriha della Gru, portandoli nel Mondo dei Sogni.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fantaso.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Phantasus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Faone.\n### Descrizione: Faone (greco antico: Φάων, traslitterato: Phaon, 'Splendente') è un personaggio leggendario della mitologia greca.\n\nLa leggenda.\nEgli era un anziano barcaiolo che offriva servizio di traghettatore dalla costa dell'Asia Minore fino a Lesbo. Un giorno traghettò una vecchietta senza farsi pagare; si trattava della dea Afrodite, che per ricompensare la sua generosità gli regalò un unguento capace di ringiovanirlo e farlo diventare molto bello.\nIl commediografo Menandro (fine del IV secolo a.C.) lo menziona nel suo Leucadia. Secondo Ovidio, che riprende probabilmente un motivo anteriore, Faone fu amato dalla poetessa Saffo la quale, non corrisposta, si gettò in mare da una rupe dell'isola di Leucade, nel Mar Ionio; infatti un tuffo da quel luogo era in grado di spegnere la passione. Già Deucalione, si racconta, vi si era buttato per dimenticarsi di Pirra. Faone, invece, diventato troppo superbo e orgoglioso della sua rinnovata bellezza, fu ucciso dagli uomini di Lesbo. Faone era considerato anticamente il fondatore di un santuario dedicato ad Afrodite a Leucade; nella stessa località vi era anche un santuario dedicato ad Apollo da dove venivano gettati in mare i condannati a morte. Probabilmente la leggenda del legame fra Faone e Saffo, ossia fra un personaggio leggendario e un personaggio storico, e la leggenda del suicidio di Saffo devono essere interpretate nel contesto di questi riti.\nIn uno specchio etrusco conservato nel Museo gregoriano etrusco, Faone è rappresentato mentre suona la lira accompagnando la danza di una donna indicata come 'Rutapis', mentre di fronte a lui c'è una donna velata; in uno specchio analogo conservato nel British Museum, la donna velata davanti a Faone viene indicata col nome di 'Sleparis', nome probabilmente etrusco. Non è noto il significato di queste raffigurazioni.
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### Titolo: Fasi (città).\n### Descrizione: Fasi (greco antico: Φάσις, Phasis) era una città antica e dell'alto Medioevo situata sulla costa orientale del Mar Nero, fondata nel VII-VI secolo a.C. come colonia dei greci milesi alle foci dell'eponimo fiume della Colchide, nei pressi dell'odierna città portuale di Poti, Georgia.\n\nEtimologia.\nI nomi dell'antica Fasi e dell'odierna Poti sono apparentemente collegati fra loro, ma l'etimologia viene disputata tra gli studiosi. Il termine Fasi ('Phasis') viene per la prima volta menzionato nella Teogonia di Esiodo (700 a.C. circa) come un nome di fiume e non di città. Il primo insediamento greco deve essere stato fondato qui non molto prima della fine del VII secolo a.C., e probabilmente all'inizio del VI secolo a.C., ricevendo il nome dal fiume. Fin da quando Erich Diehl, 1938, per prima ipotizzò un'origine non-ellenica del nome, asserendo che il nome Fasi possa essere stato un derivato di un idronimo locale, molte spiegazioni sono state proposte, collegando il nome al *Poti georgiano-zan, allo svan *Pasid e anche a una parola semitica, che significa 'fiume d'oro'. L'uso collettivo dell'etnico Φασιανοί (Phasianoi), fasiani, viene attestato in Senofonte ed Eraclide Lembo.\n\nStoria.\nFasi appare in numerose fonti classiche e medievali come pure nella mitologia greca, particolarmente nel ciclo delle Argonautiche. Il nome della città viene altresì riportato da Eraclide, Pomponio Mela e Stefano di Bisanzio come fondata dai milesi. Fasi viene riferita come una polis Hellenis nel Periplo di Pseudo-Scilace e Ippocrate la chiama emporion, ovvero 'luogo di commercio'. Secondo le fonti classiche, Fasi ebbe la sua costituzione, incluso il Corpus Aristotelicum di 158 politeiai.Fu probabilmente una città mista ellenica-'barbarica' e sembra sia stata una componente vitale della presunta rotta commerciale che andava dall'India al Mar Nero, attestata dagli autori classici Strabone e Plinio. Durante la Terza guerra mitridatica, Fasi finì sotto il controllo romano. Qui, il comandante in capo romano, Pompeo, avendo attraversato la Colchide dall'Iberia, incontrava il legato Servilio, ammiraglio della sua flotta sull'Eusino nel 65 a.C. Dopo l'introduzione del Cristianesimo, Fasi fu la sede della diocesi greca, e uno dei suoi vescovi, Ciro, divenne patriarca di Alessandria tra il 630 e il 641 d.C. Durante la guerra lazica tra gli imperi romano d'oriente e sasanide iranico (542–562) Fasi venne attaccata dall'armata iranica, ma senza successo.\n\nUbicazione dell'antica Fasi.\nLa ricerca della città di Fasi ha una lunga storia. Il viaggiatore francese Jean Chardin, che visitò la Georgia nel 1670-1680, cercò, sebbene invano, di trovare le prove riguardo all'esistenza dell'antica polis greca alle foci del fiume Fasi (Rioni). Il primo tentativo di identificazione scientifico, basato sull'analisi degli autori classici e bizantini e la sua propria ricerca sul campo, appartiene allo studioso svizzero Frédéric Dubois de Montpéreux, che viaggiò in quella regione tra il 1831 e il 1834.La conclusione principale di Dubois – condivisa dai principali studiosi di oggi – fu che, a causa dei mutamenti geomorfologici avvenuti nella zona, Fasi dovrebbe essere cercata a est dell'odierna Poti, e che l'antica città fosse stata nel corso del tempo in diversi luoghi. Sulle orme di Dubois, la maggioranza degli studiosi ha identificato la fortezza descritta dall'antico storico greco Arriano con le rovine chiamate dai locali Najikhuri, che letteralmente significa 'sito di una precedente fortezza'. Esso è stato utilizzato come uno dei punti di riferimento principali. Tuttavia, quando agli inizi degli anni '60, gli studiosi georgiani Otar Lordkipanidze e Teimuraz Mikeladze iniziarono studi archeologici su vasta scala dell'area, queste rovine risultavano essere già state demolite dalle autorità sovietiche durante la costruzione di un campo di aviazione tra il 1959 e il 1960.Dopo molti anni di incertezza e dibattiti accademici, il sito di questo insediamento adesso sembra sia stato identificato, grazie all'archeologia subacquea, praticata in condizioni difficili. Apparentemente il lago che Strabone riportava come confinante con un lato di Fasi adesso si trova del tutto, o in parte, inabissato. Inoltre, una serie di problemi riguardanti l'esatta ubicazione della città e l'identificazione delle sue rovine restano ancora aperti a causa dei grandi processi geomorfologici accaduti, nel corso dei secoli, nell'area più bassa del Rioni e del mutamento del corso del fiume attraverso la zona umida. La zona lungo il fiume Fasi era una componente vitale di una presunta rotta commerciale che dall'India arrivava fino al Mar Nero, attestata da Strabone e Plinio. Anche Agazia (536-582/594 d.C. circa) allude ad un lago nelle vicinanze, ora identificato con il lago Paliastomi, teatro di molte spedizioni archeologiche subacquee. Lo studente georgiano del XVIII secolo, il principe Vakhushti, concorda con queste attestazioni, riferendo che.\n\n'a sud di Poti, chiuso dal mare, vi è il grande lago Paliastomi, il cui canale sbocca nel mare. Le navi entrano da qui e vengono ad ancorarsi nel lago. […] Si è detto che una volta ci fosse qui stata una città, attualmente sott'acqua'.
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### Titolo: Favole e riflessi.\n### Descrizione: Favole e riflessi (The Sandman: Fables and Reflections) è un volume antologico che raccoglie un ciclo di storie pubblicate originariamente nella serie a fumetti Sandman pubblicata nel 1993 negli Stati Uniti d'America dalla DC Comics, scritta da Neil Gaiman e illustrata da vari disegnatori negli anni novanta. Fa parte di una serie di volumi del quale rappresenta il sesto numero.\n\nStoria editoriale.\nIl volume contiene i numeri dal 29 al 31, dal 38 al 40, il 50 della serie regolare oltre all'albo fuoriserie Sandman Special n. 1 e alla storia presente in Vertigo Preview n. 1, usciti fra il 1991 e il 1993: si tratta di una serie di storie brevi ambientate nel mondo di Sandman. Le storie sono state tutte scritte da Neil Gaiman e disegnate da uno staff di disegnatori che comprendeva Bryan Talbot, Stan Woch, P. Craig Russell, Shawn McManus, John Watkiss, Jill Thompson, Duncan Eagleson, Kent Williams, Mark Buckingham, Vince Locke e Dick Giordano; la colorazioni vennero invece realizzate da Danny Vozzo e Lovern Kindzierski della Digital Chameleon, e il lettering da Todd Klein. Il volume presenta un'introduzione di Gene Wolfe e venne pubblicato nel 1993 in due diverse edizioni, con copertina flessibile e con copertina rigida.\nCome la terza raccolta (Dream Country), e l'ottava (World's End), il volume è una raccolta di storie auto-conclusive. La maggior parte di esse non contribuiscono direttamente alla storia principale della serie a livello testuale, piuttosto ne commentano i temi e forniscono i sottotesti. L'unica eccezione è la storia 'Orfeo', originariamente stampata come l'auto-conclusivo Sandman Special, che è fondamentale per la storia principale della serie.Il fumetto contiene quattro storie sotto il titolo di 'Distant Mirrors' (dall'inglese, Specchi Distanti), che narrano di imperatori e la natura del potere. Questi numeri sono tutti intitolati come mesi dell'anno ('Thermidor', 'August', 'Three Septembers and a January' e 'Ramadan'). Tre di questi numeri fanno parte di 'Distant Mirrors' che fu pubblicato tra le storie di Season of Mists e A Game of You. L'ultimo, 'Ramadan', fu scritto contemporaneamente, ma a causa del ritardo delle illustrazioni la DC lo pubblicò nel n. 50, dopo la storia 'Brief Lives'.\nAltre tre storie comparvero nel volume, pubblicate come la storia 'Convergence', e anche queste erano storie auto-conclusive in cui Morpheus comparve poco. Ognuna di queste storie raccontò nei dettagli gli incontri dei vari personaggi con gli altri, e ognuna fu strutturata come una storia dentro una storia. 'Convergence' comparve tra le storie 'A Game of You' e 'Brief Lives'.Dato che il volume è partecipe di così tanti elementi, alcuni credettero nella mancanza di tematiche o consistenza artistica che è presente anche nelle altre raccolte di storie brevi. Forse nello sforzo di rendere queste differenze meno apparenti, la DC mischiò i numeri nel volume invece di presentarli cronologicamente con 'Distant Mirrors' sul davanti e 'Convergence' sul retro. Alcuni lettori poterono scegliere di leggere questo volume da copertina a copertina dopo 'A Game of You', mentre altri lessero le storie individuali nel loro posto come pubblicate originariamente.\nData la natura di raccolta di storie brevi, il volume è probabilmente il volume meno essenziale della serie in termini di trama di superficie di The Sandman (con l'eccezione di 'Orfeo'), ma forse il più accessibile in quanto i lettori potevano addentrarsi e uscire dalle storie senza nel frattempo necessitare di una conoscenza accurata dei personaggi e delle storie precedenti. Questo fece sì che alcune delle storie di il volume fornissero la chiave al sottotesto che era inestimabile per il lettore più attento nel tentativo di comprendere le motivazioni di Morpheus nel resto della serie.\n\nElenco delle storie e trame.\nTutte le storie sono state scritte da Neil Gaiman.\nPaura di volare (Fear of Falling): tratta da Vertigo Preview n. 1, è un breve racconto su un autore in crisi che grazie al Sandman riesce a superare il blocco.\nTre settembre e un gennaio (Three Septembers and a January): incentrato sul personaggio realmente esistito di Joshua Abraham Norton, un autoproclamato 'imperatore degli Stati Uniti d’America'. La storia si intreccia con una sfida tra Morfeo e sua sorella Disperazione.\nTermidoro (Thermidor): è ambientato durante la Rivoluzione francese e incentrata sul personaggio di Lady Johanna Constantine che cerca di recuperare la testa di Orfeo in mano ai rivoluzionari.\nCaccia (The Hunt): un vecchio racconta alla nipote di un giovane scopre di appartenere a una razza di uomini dotati di poteri e dalla vita lunghissima. Alla fine ci si rende conto che il protagonista del racconto non è altro che il vecchio.\nAugusto (August): l'imperatore Augusto si finge per un giorno mendicante per poter riflettere senza essere osservato dagli dei.\nTerre soffici (Soft Places): Marco Polo durante l'attraversata del deserto del Gobi rimane isolato dalla sua carovana e incontra Rustichello da Pisa. Poi si scopre che i due sono in realtà prigionieri in una terra indefinita e grazie a Sogno riesce a liberarsi e a ritrovare la carovana.\nOrfeo (The Song of Orpheus): Morfeo partecipa alle nozze di Orfeo ed Euridice; Euridice muore per il morso di un serpente e Orfeo implora Death di lasciarlo entrare nell'Ade per ritrovare l'anima dell'amata.\nParlamento dei corvi (The Parliament of Rooks) Daniel Hall fa un viaggio nel sogno fino alla casa di Caino e Abele e con Matthew, il corvo, e a Eva, si raccontano delle storie.\nRamadan: Hārūn al-Rashīd, un califfo illuminato regna su Bagdad e la sua corte è frequentata da grandi saggi e pensatori. Per evitare la decadenza del suo regno invoca Sandman proponendogli di portare la sua città nel regno dei sogni per renderla eterna; Sogno accetta e al suo posto della città resta una versione che ricorda quella reale contemporanea.
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### Titolo: Fegeo (Iliade).\n### Descrizione: Fegeo (in greco antico: Φηγεύς?, Phēghéus) è un personaggio della mitologia greca menzionato nel V libro dell'Iliade.\n\nMitologia.\nFegeo era un giovane guerriero troiano figlio di Darete e fratello di Ideo, insieme al quale combatté valorosamente in difesa di Troia. Fu ucciso da Diomede, dopo aver tentato di colpirlo.\n\nArte.\nL'episodio è stato immortalato da Giulio Romano nel dipinto Diomede combatte contro Fegeo e Ideo, conservato al Louvre.
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### Titolo: Femonoe.\n### Descrizione: Femonoe (in greco antico: Φημονόη?, Phemonoe) è una leggendaria profetessa e poetessa greca dell'era precedente a Omero. Diversi autori le hanno attribuito l'invenzione del verso esametro e, di conseguenza, dell'epica; in particolare secondo gli Anecdota Graeca raccolti da Cramer, ella avrebbe inventato questo tipo di metro, così come Tespi avrebbe inventato la tragedia ed Epicarmo la commedia.Secondo Pausania, fu la prima profetessa di Apollo, di cui declamava gli oracoli in esametri. In Guida della Grecia, l'autore tramanda un suo oracolo secondo il quale Apollo avrebbe ucciso con una freccia un uomo che aveva saccheggiato due volte il tempio di Delfi:.\n\nNel suo trattato sulle vibrazioni Peri palmon mantikes, Melampo citò Femonoe per le sue doti di divinazione.A lei è attribuito anche il motto «Conosci te stesso» iscritto all'ingresso del succitato tempio delfico di Apollo. In base a ciò, Femonoe potrebbe fare riferimento a un'origine femminile della tradizione filosofica, oltre che oracolare, dell'antica Grecia, per la valenza che Platone stesso attribuiva alla massima per gli albori del pensiero filosofico. Inoltre, Artemidoro nella sua opera Onirocritica descrive una Femonoe impegnata in una disquizione filosofica sulla distinzione tra ciò che esiste in natura e ciò che esiste per convenzione, tema tipico degli esordi della filosofia greca.Secondo due passi della Storia naturale di Plinio il Vecchio, Femonoe si dedicava all'ornitologia e/o all'oniromanzia: nel primo caso, le si attribuisce la descrizione di una varietà di aquila; nel secondo caso, Femoneo avrebbe classificato come uccello di buon auspicio il triorche, una specie di falco.
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### Titolo: Ferea.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ferea (Φεραία) era uno degli appellativi o dei soprannomi della dea greca Ecate, considerata secondo alcune leggende figlia di Ferea.\nIl dato è riportato da Giovanni Tzetzes, Scoli a Licofrone, 1180.\n\nNella mitologia.\nSecondo una leggenda, Ferea era una figlia di Eolo, il figlio di Elleno, la quale era stata amata da Zeus ed era rimasta incinta di una bambina, la dea Ecate. Tuttavia alla sua nascita, la giovane rifiutò di allevare la neonata e la abbandonò in fasce presso un crocicchio; qui fu intravista da un pastore di Fere, il quale raccolse la piccola e l'allevò come se fosse sua figlia.
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### Titolo: Festino degli dei.\n### Descrizione: Il Festino degli dei è un dipinto a olio su tela (170x188 cm) di Giovanni Bellini, databile al 1514 e conservato nella National Gallery of Art di Washington. È firmato e datato: «IOANNES BELLINVS VENETVS P[inxit] MDXIV», sul cartiglio appeso al tino di legno, in basso a destra. L'opera venne poi ritoccata da Dosso Dossi e da Tiziano nel paesaggio.\n\nStoria.\nI contatti con Isabella d'Este.\nÈ nozione comune che Bellini non amasse dipingere quadri di soggetto mitologico. D'altra parte qualcuno sostenne che gli mancarono solo le occasioni, dato che la gran parte della sua clientela non prediligeva questi soggetti; la sua amicizia con umanisti come Bembo o Leonico Tomeo proverebbe invece un grande interesse per il mondo classico.\nTuttavia nemmeno Bembo riuscì a convincere l'artista a venir incontro al desiderio di Isabella d'Este di ottenere dal pittore una 'favola' per lo studiolo, nonostante la raccomandazione «di tenere ben disposto il Bellino et di componere la poesia ad sua satisfactione»: la marchesa di Mantova si sarebbe dovuta arrendere. Lo stesso Bembo, pur mostrandosi fiducioso con la marchesa, ci dà però un'idea della fiera opposizione dell'artista: «Insomma gli avemo dato tanta battaglia che il castello al tutto credo si renderà».\n\nAlfonso I.\nNon si capisce, con queste premesse, come mai Bellini accettò invece la commissione del duca di Ferrara, Alfonso I d'Este, fratello della marchesa, di un quadro a soggetto mitologico da sistemare nel 'camerino d'alabastro' che il duca progettava di costruire.\nIl risultato complessivo dell'opera non dovette soddisfare il committente, e l'artista intervenne più volte ad opera finita sul dipinto, recandosi di persona a Ferrara per seguire da vicino la sistemazione del quadro. Qui apportò alcune modifiche, scoprendo il seno ad alcune figure femminili a destra e poi, sempre nell'intento di rendere più 'tizianamente orgiastico' il quadro, aggiunse alcuni particolari. In occasione di questo viaggio, infatti, Bellini probabilmente vide l'affresco del Mese di Aprile di Francesco del Cossa (1470 circa) nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia: il gesto di Nettuno che insinua una mano fra le cosce di Cibele è un'esplicita citazione dell'affresco ferrarese.\nIl Festino degli dei fu dunque il primo dei quadri ordinati da Alfonso per il suo camerino: dopo aver invano atteso dipinti da Fra' Bartolomeo e da Raffaello, e aver ottenuto invece un dipinto da Dosso Dossi, pittore di corte a Ferrara, si rivolse a Tiziano che dipinse poi per lui la Festa di Venere, il Bacco e Arianna e infine il Baccanale degli Andrii.\n\nDiscordanze sull'inizio dell'opera.\nDell'opera belliniana, oltre alla firma e la data, si conosce anche il documento di pagamento a saldo di 85 ducati che il cancelliere ducale degli Este versò al pittore il 14 novembre 1514. Nonostante ciò gli studiosi hanno preso diverse posizioni circa la data di inizio dell'opera: Wind (1948), ad esempio, sostenne che forse il dipinto poteva essere stato cominciato qualche anno prima per Isabella d'Este, prendendo le notizie date dal Bembo alla marchesa nel 1505 come indicative dell'inizio di una collaborazione, poi sospesa per ignote ragioni. A favore di questa tesi si pronunciarono anche Pallucchini (che propose il 1509), Arslan, Pignatti e Bottari, che accolsero alcune notazioni stilistiche già rilevate da Vasari (una certa incisività 'tagliente' nei panneggi, derivata dall'esempio di Dürer), riferibili agli anni immediatamente precedenti, dopo il 1505-1506: quest'ultimo biennio rappresenta l'ipotesi più precoce riguardo alla genesi dell'opera, sostenuta da Bonicatti, che pure non prese opinione circa l'ipotesi legata alla committenza di Isabella.\nIpotesi più recenti, sebbene riscontrino le differenze stilistiche tra alcuni panneggi e il primo piano sassoso rispetto alle altre forme d'impasto corposo e caratterizzate da una stesura tonalista del colore, tendono a scartare la possibilità di una sospensione di qualche anno tra l'avvio e la conclusione dell'opera, anche perché lo stesso soggetto pare legato alle nuove tematiche pastorali e profane del giorgionismo, non compatibili con una datazione troppo precoce.\n\nI ritocchi.\nVasari testimoniò come Tiziano intervenne successivamente sul dipinto di Bellini, poiché non finita. In realtà, le indagini a raggi infrarossi eseguite nel 1956 hanno chiarito che effettivamente sono presenti tre stesure diverse sul dipinto: una prima, originale e belliniana, e due ritocchi a distanza di poco tempo, uno ascrivibile al Dosso e l'altra a Tiziano e riguardanti essenzialmente il paesaggio boscoso. Bellini aveva infatti dipinto un paesaggio luminoso, con pochi e radi alberi dal fogliame leggero, che vennero coperti prima da un'alberatura più fitta e frondosa e, nell'apertura a sinistra, da un paesaggio con case e rovine nella prima ridipintura, e dallo sperone roccioso su un cielo carico di nubi nella seconda e definitiva. Appare evidente che questi interventi erano mirati ad adeguare l'opera a quelle successive che si vennero collocate nel camerino.\nAd alcune figure vennero inoltre mutati il gesto o la veste, o resi più evidenti gli attributi per facilitarne l'identificazione: a Nettuno venne messo in mano il tridente, ad Apollo la lira, ecc.\nSecondo Shapley due ultime correzioni più grossolane sono invece da riferire a un quarto pittore, meno dotato: il braccio sinistro di Cibele e quello destro di Nettuno.\n\nVicende successive.\nPassata Ferrara sotto il dominio dello Stato Pontificio, il legato di Papa Clemente VIII, il cardinale Aldobrandini, si impadronì delle opere del 'camerino', fra cui il Festino. Il dipinto rimase proprietà degli Aldobrandini fino al 1796-1797, quando fu venduto a Vincenzo Camuccini, il cui nipote, Giovanni Battista, lo vendette all'estero nel 1855.\nFinito nelle collezioni del quarto duca di Northumberland (Alnwick Castle, Northumberland, Inghilterra), passò ai suoi eredi finché non venne di nuovo ceduto nel 1906 a una società londinese, che nel 1922 lo vendette a sua volta a Peter A. B. Widener, magnate americano le cui collezioni vennero poi donate al da poco istituito museo americano, nel 1942.\n\nDescrizione e stile.\nSecondo le interpretazioni più correnti, l'episodio sarebbe tratto dai Fasti di Ovidio e narrerebbe 'un'impresa' del deforme Priapo: dopo un festino degli dei, il semidio, approfittando del torpore generato dal vino, cerca di possedere nel sonno la ninfa Lotide o, secondo un'altra interpretazione, la dea della castità Vesta; essa però viene svegliata dal raglio dell'asino di Sileno, tra lo scorno del farabutto e le risate degli altri dei. Un'allusione al segreto scoperto sarebbe il fagiano sull'albero, simbolo di promiscuità e ciarlaneria, perciò di tradimento che fa scoprire il segreto. Sarebbe quindi effigiato l'istante sospeso immediatamente anteriore alla scoperta, una raffinata istantanea scattata prima della tempesta.\nGli dei sono riuniti in olimpico convito: un lungo, estenuante banchetto durato tutta la notte: adesso, verso l'alba, mentre alcuni son colti dal sonno, sfiancati dal vino e dalle libagioni, Nettuno, al centro, può prendersi qualche libertà, con la mano destra nell'intimità di Cibele, con la sinistra sul fondo schiena di Cerere; qua e là si vedono satiri intenti al servizio, mentre a sinistra è presente Sileno, con l'asino, e il giovane Bacco, che riempie una brocca alla botte: la sua figura si trova anche in un altro dipinto di Bellini di quegli anni, il Bacco fanciullo nello stesso museo americano. Tra le figure ben riconoscibili, in primo piano al centro, si vede Mercurio mollemente sdraiato: nella sua postura si è talvolta letta un'anticipazione della Danae di Tiziano (1545).\nLa scena dovrebbe avere un carattere lascivo ed erotico, ma invece il tutto appare un po' rigido e freddo: non tanto per un deficit qualitativo (essendo la tecnica perfetta e la raffinatezza dei particolari altissima), ma piuttosto per un approccio tutto sommato casto e moderato al tema, tipico di altre opere come la Giovane donna nuda allo specchio.\nIl tentativo di aggiungere dettagli più espliciti da parte dell'artista non riuscì tuttavia a movimentare questa scampagnata divina, tantomeno a renderla fascinosamente erotica: lo scarto di cultura e di mentalità col secolo che entrava - con i suoi nuovi astri nascenti - era evidentemente troppo abbondante. In definitiva a Bellini interessava creare un tono di pacata ed arcaica fiaba mitologica, caratteristica che neanche le modifiche successive alterarono.\n«Eppure, anche per le mani di altri, resta non sfiorata la purezza della poesia di Giovanni, che era quella di uomo che meditava [...] sulla bellezza dell'esserci dell'uomo al mondo».\nCosì, a ben vedere, il dipinto è attraversato da una sorridente e blanda ironia, che evita di fermarsi sui particolari più crudi del racconto del poeta latino, per meditare invece nel considerare amabilmente le divine debolezze degli dei.\nPhilipp Fehl ha avanzato anche un'altra ipotesi, cioè che l'opera rappresenti un passo dell'Ovidio volgarizzato (traduzione delle Metamorfosi), pubblicato da Giovanni de' Buonsignori, piuttosto che dei Fasti. In quel testo il festino è in realtà un baccanale, i cui convenuti non sono dei ma uomini: solo in un secondo momento la composizione sarebbe stata mutata per adeguarla all'altra fonte letteraria. Nella redazione originale belliniana infatti solo i satiri e il Bacco fanciullo sono manifestamente divini, a indicare lo svolgimento dei misteri bacchici, gli altri personaggi non è detto che lo siano.\n\nAltri dipinti del «camerino d'alabastro».
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### Titolo: Fidippo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Fidippo (in greco antico: Φείδιππος) fu re di Coo, figlio di Tessalo e Calciope, e, attraverso il padre, nipote di Eracle.\nIgino lo ricorda nelle schiere di pretendenti di Elena. Si legò al giuramento di Tindaro, padre della giovane, con cui tutti i pretendenti promisero di accorrere in aiuto dell'uomo che il sorteggio avrebbe scelto come sposo della fanciulla. Elena fu presto rapita da Paride e il suo consorte Menelao s'appellò alla promessa che avrebbe chiamato in causa i moltissimi prodi anni prima. Fidippo raccolse trenta navi e veleggiò verso Troia assieme al fratello Antifo.\nI Greci imboccarono però la strada sbagliata e approdarono in Misia, regione asiatica alleata di Priamo e dominata da Telefo, figlio d'Eracle. Prima di ricorrere alla violenza, si tentò dapprima una soluzione pacifica, e Fidippo fu mandato insieme al fratello e allo zio Tlepolemo presso la corte di Telefo per rammentargli il legame parentale che li univa.Fidippo s'introdusse assieme al fratello nel Cavallo di Troia, ma forse Antifo non visse abbastanza a lungo per salirvi. All'indomani della caduta di Troia, l'eroe sbarcò sull'isola di Andro e infine a Cipro, dove s'insediò coi suoi compagni.\n\nCuriosità.\nA Fidippo è intitolato l'asteroide troiano 17351 Pheidippos.
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### Titolo: Filammone.\n### Descrizione: Filammone (in greco antico: Φιλάμμων?, Filàmmōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Apollo e di Chione. In un'altra versione è figlio di Apollo e di Leuconoe, o ancora figlio di Efesto. Secondo Pausania il padre fu Apollo e la madre fu Crisotemi figlia di Carmanore.\n\nMitologia.\nChione, figlia di Dedalione, giunta in età da marito destò l'interesse di due dei, Apollo e Ermes, che tramite l'inganno si unirono a lei nella stessa notte. Da Ermes ebbe Autolico, e da Apollo Filammone, 'bravissimo nel canto e nella cetra'. Indovino, Filammone fu amato dalla ninfa Argiope, dalla quale ebbe un figlio, Tamiri, che divenne un cantore. Pausania riferisce che 'Argiope abitò per un certo tempo sul Parnaso, ma quando rimase incinta, si recò presso gli Odrisi, perché Filammone non voleva condurla nella sua casa.'.\nA Filammone si attribuiscono sia l'istituzione dei misteri di Demetra a Lerna sia le frasi in prosa e poesia che accompagnavano il rito. Si diceva poi avesse inventato i cori femminili. Morì combattendo contro i Flegei, a fianco dei Delfii.
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### Titolo: Filante (figlio di Antioco).\n### Descrizione: Filante (in greco antico Φύλας Phýlās) è un personaggio della mitologia greca figlio di Antioco che a sua volta era figlio di Eracle.\n\nMitologia.\nNipote del primo Filante re dei Driopi, ebbe dalla moglie Leipefilene i figli Ippote e Tero, che venne sedotta da Apollo e da cui nacque Cherone.
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### Titolo: Filemone e Bauci.\n### Descrizione: Filèmone e Bàuci sono i protagonisti di un episodio della mitologia classica tramandato nell'ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Il mito di cui i due personaggi sono protagonisti è uno di quegli avvenimenti che venivano raccontati per provare che la virtù dell'ospitalità era ricompensata.\n\nMito.\nUn giorno Zeus ed Ermes, vagando attraverso la Frigia con sembianze umane, cercarono ospitalità nelle case vicine. I soli che li accolsero furono Filemone e Bauci, una coppia di anziani. «Bussando a mille porte, domandavano ovunque ospitalità e ovunque si negava loro l'accoglienza. Una sola casa offrì asilo: era una capanna, costruita con canne e fango. Qui, Filemone e Bauci, uniti in casto matrimonio, vedevano passare i loro giorni belli, invecchiare insieme sopportando la povertà, resa più dolce e più leggera dal loro tenero legame».\n\nLa coppia si offrì di lavare i piedi ai viaggiatori, e diede poi loro da mangiare un pranzo campestre: olive, corniole, radicchio e latte cagliato. Quando però versavano il vino, questo non finiva mai, per cui iniziarono a sospettare della finta identità della divinità. Volevano sacrificare la loro unica oca, ma l'animale aveva intuito che erano dei e andò a nascondersi tra le loro gambe.\nDopo il pranzo gli Dei si palesarono e Bauci e Filemone furono condotti sopra un'alta montagna vicina alla capanna e venne loro comandato di guardare all'indietro: mentre Zeus scatenava la propria ira contro i Frigi, videro tutto il borgo sommerso e distrutto tranne la loro povera capanna che venne trasformata in un tempio maestoso. Zeus si offrì di esaudire qualunque loro desiderio. Filemone e Bauci chiesero solo di diventare sacerdoti del tempio di Zeus e di poter morire insieme. Dopo aver vissuto ancora molti anni, i due coniugi furono trasformati in alberi: Filemone in una quercia e la moglie in un tiglio, uniti per il tronco. Questa meraviglia vegetale, che si ergeva di fronte al tempio, fu venerata per secoli.\nI nomi di Filemone e di Bauci sono passati in proverbio per indicare due vecchi sposi che in passato hanno trascorso i loro giorni in un amore reciproco, e ne conservano vivo il sentimento.\n\nFilemone e Bauci nell'arte.\nFilemone e Bauci, dipinto ad olio di Adam Elsheimer.\nMercurio e Giove nella casa di Filemone e Bauci , dipinto ad olio su legno di Philip Gyselaer (~1625).\nFilemone e sua moglie Bauci ospitano Giove e Mercurio travestiti da viaggiatori, dipinto ad olio su rame di Hendrick Goudt degli anni 1620.\nFilemone e Bauci visitati da Giove e Mercurio, dipinto ad olio su pannello di Rembrandt (1658).\nPaesaggio con Filemone e Bauci, dipinto ad olio su tela di Rubens (~1620).\nGiove e Mercurio visitano Filemone e Bauci come stranieri , dipinto su tela di Orest Kiprensky (1802).\nFilemone e Bauci al tempio e La trasformazione di Filemone e Bauci, dipinti ad olio su tela di Janus Genelli (1801).\nFilemone e Bauci, scultura in alluminio fuso di Claudio Prestinari (2017).\n\nFilemone e Bauci nella musica.\nFilemone e Bauci, canzone del gruppo Amor Fou e dell'omonimo EP autoprodotto del 2009.
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### Titolo: Filezio.\n### Descrizione: Filezio (in greco antico: Φιλοίτιος) è un personaggio dell'Odissea. È il bovaro di Odisseo.\n\nIl personaggio.\nÈ un giovane e vigoroso guardiano del bestiame, preso ancora ragazzo da Odisseo stesso per accudire gli animali.\nFilezio viene introdotto come personaggio nel canto XX, quello successivo al riconoscimento di Euriclea: egli si manifesta molto fedele nei confronti del padrone, del quale tesse una lode dopo aver visto il mendicante che era stato ospite di Eumeo, ossia Odisseo stesso. Nel canto successivo, il XXI, Odisseo prende in disparte Eumeo e Filezio e si svela loro facendo vedere la propria inequivocabile cicatrice. A questo punto, chiede a Filezio di chiudere tutte le porte che potrebbero permettere ai pretendenti la fuga e di rassicurare le ancelle, affinché esse non si spaventino per le grida e sentendole rimangano a lavorare. Filezio chiuderà le porte assieme ad Euriclea. Appare poi in varie azioni collettive nella mnesterofonia, sempre affiancato da Telemaco, Odisseo ed Eumeo, insieme ai quali si reca il successivo giorno da Laerte e intraprende un'azione militare contro i concittadini fomentati da Eupite, poi sedata nella pacificazione proposta ai contendenti da Atena.
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### Titolo: Filocoro.\n### Descrizione: Filocoro (Atene, 340 a.C. circa – Atene, 262/261 a.C.) è stato uno storico ateniese, attidografo, con funzioni di indovino, aruspice ed esegeta.\n\nBiografia.\nFiloconservatore, permeato da antichi ideali ateniesi, si schierò dalla parte della coalizione antimacedone quando Tolomeo II, alleatosi con Atene e Sparta, tentò di arrestare l'influsso macedone nell'Egeo. A seguito della sconfitta ateniese nella cosiddetta Guerra Cremonidea (267 a.C. - 263/262 a.C.), secondo una testimonianza della Suda, venne giustiziato per ordine di Antigono Gonata, re di Macedonia.\n\nOpere.\nDelle opere di Filocoro sono pervenuti 230 frammenti e diversi titoli.\n\nOpere minori.\nDi tipo monografico erano opere come Sulla tetrapoli, Fondazione di Salamina, una Storia di Delo in 2 libri, Sui misteri ateniesi, Sugli agoni ad Atene e le Olimpiadi in 2 libri.\nRiguardavano la letteratura opere quali Sui tragici, i 5 libri Sui soggetti di Sofocle, Su Euripide, Lettera ad Asclepiade (sulla tragedia), Su Alcmane.\nOpere di tipo antiquario erano i 4 libri Sulla profezia (Περὶ μαντικῆς, direttamente legati all'attività augurale ed esegetica di Filocoro), Sui sacrifici (Περὶ θυσιῶν), Sulle feste (Περὶ ἑορτῶν), Sui giorni (Περὶ ἡμερῶν), Sulle purificazioni, Epitome dell'opuscolo di Dionigi sui riti (Ἐπιτομὴ τῆς Διονυσίου πραγματείας περὶ ἱερᾶν), Iscrizioni attiche (Ἐπιγράμματα Ἀττικά), Sui governanti ad Atene (Περὶ τῶν Ἀθήνησι ἀρξάντων), Lettera ad Alipio e, infine, nel solco della retorica isocratea, il trattato Sulle invenzioni. A questo tipo di opere erudite si legavano forti interessi sul pitagorismo, testimoniati dai titoli Sui simboli, Rassegna di eroine e donne pitagoriche (Συναγωγὴ ἡρωΐδων, ἤτοι Πυθαγορείων γυναικῶν).\n\nAtthis.\nCapolavoro di Filocoro era l'Atthís (Ἀτθίς), in 17 libri, rimasta incompiuta per la morte dell'autore: in essa si narrava la storia dell'Attica dagli inizi mitici fino alla morte dell'autore (262/261 a.C.). Di quest'opera restano 72 frammenti, che consentono di ricostruirne contenuto e ossatura: nei primi due libri, Filocoro si occupava dei sovrani mitici, da Cecrope in poi, con una descrizione particolareggiata delle istituzioni della città per poi dedicarsi, nel III libro, alle riforme di Solone e Clistene. Il quarto libro riguardava l'età di Pericle.\nI Libri dal VII al XVII coprivano, con ampiezza di particolari, il periodo dal 338 al 262 circa, anche se degli ultimi sei libri non resta alcun frammento.
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### Titolo: Filofrosine.\n### Descrizione: Filofrosine (in greco:Φιλοφροσύνη) era, nella mitologia greca, lo spirito di gentilezza, benvenuto, amicizia e benevolenza. Le sue sorelle erano Euthenia, Eufema, e Eucleia. Insieme con le sue sorelle, è stata considerata come un membro delle Cariti più giovani. Secondo i frammenti orfici, Filofrosine era la figlia di Efesto e Aglaia.
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### Titolo: Filottete.\n### Descrizione: Filottète (in greco antico: Φιλοκτήτης?, Philoktétēs) è una figura della mitologia greca, figlio di Peante e Demonassa o della ninfa Metone (secondo una diversa tradizione).\n\nIl mito.\nPossessore dell'arco di Eracle.\nFamoso arciere originario della penisola di Magnesia, possedeva le frecce e l'arco di Eracle, donati a lui (o al padre Peante) da Eracle stesso, che voleva in tal modo ringraziarlo per aver appiccato il fuoco alla sua pira sul monte Eta.\n\nSoggiorno forzato a Lemno.\nIl Catalogo delle navi presente nell'Iliade afferma che, nella spedizione achea contro Troia, Filottete guidasse un contingente di sette navi provenienti da Metone, Taumacia, Melibea e Olizone, ognuna con cinquanta rematori abili nel tirare coll'arco.Filottete, tuttavia, non giunse a Troia con gli altri capi: durante lo scalo, fu morso da un serpente velenoso al piede. La ferita diventò ben presto così infetta da emanare un puzzo insopportabile e Ulisse non fece alcuna fatica a convincere gli altri capi ad abbandonarlo a Lemno, quando la flotta passò vicina a questa isola.\nFilottete rimase per dieci anni su quell'isola allora deserta e vi sopravvisse uccidendo uccelli con le frecce d'Eracle.\n\nAmbasceria greca a Lemno.\nDurante il decimo anno della guerra di Troia gli Achei ricevettero una profezia secondo la quale non avrebbero mai conquistato Troia se Neottolemo ed il possessore dell'arco e delle frecce di Eracle (cioè Filottete) non avessero combattuto con loro.Quasi tutte le fonti attribuiscono la profezia all'indovino troiano Eleno; fa eccezione Quinto Smirneo, il quale, adottando una versione marginale del mito (riportata solo dall'epitome dello Pseudo-Apollodoro) attribuisce la profezia a Calcante, che nel suo poema ha il ruolo fisso di 'consigliere e indovino 'ufficiale' degli Achei'.Ulisse partì dunque in ambasciata verso Lemno, accompagnato da Neottolemo e Diomede, e convinse Filottete ad unirsi a loro promettendogli la cura dei figli d'Asclepio, i medici delle schiere greche.\n\nImprese nella guerra di Troia.\nSi attribuiscono all'arciere molti meriti in guerra; le sue stragi furono considerevoli e le sue vittime davvero eccellenti. Igino riferisce che l'eroe uccise tre avversari. Secondo altre fonti egli uccise il troiano Admeto, come ci tramanda Pausania, e poi altri guerrieri troiani, Deioneo, Peiraso e Medonte, figlio di Antenore. Secondo alcuni autori, sarebbe stato lui ad uccidere con le sue frecce Acamante, figlio di Antenore, fino a segnare le sorti della guerra, uccidendo Paride.\n\nDopo la guerra di Troia.\nNell'Odissea Nestore narra che Filottete fu tra coloro che, finita la guerra, tornarono felicemente in patria.Secondo tradizioni posteriori, invece, fu scacciato dalla patria (Melibea in Tessaglia) in seguito ad un’insurrezione e, venuto in Calabria lungo la costa a nord di Crotone, fondò i centri di Krimisa, Petelia, Macalla e Chone, facendo costruire un tempio a Cirò Marina dedicato ad Apollo, l'antica Krimisa, ove depose l'arco e le frecce di Herakles.\nControversa è la sua morte. I Sibariti, poiché Filottete veniva sentito come eroe proprio al quale si facevano risalire le origini della città, lo presentano come morto in combattimento contro i barbari presso Sibari. La principale tradizione vuole, invece, che l'eroe, dopo aver operato nella Crotoniatide, tra Krimisa e il Neto, sia morto combattendo per mano degli Ausoni Pelleni, popolazione achea già presente nella zona del Neto, in difesa dei Rodii che volevano stanziarsi nell’Italia meridionale.\n\nFonti.\nLe principali fonti antiche in cui fu narrato il mito di Filottete sono:.\nnell'ambito della poesia epica la Piccola Iliade (perduta) e, in età tardo-antica, le Posthomerica di Quinto Smirneo;.\nnell'ambito della lirica la Pitica I di Pindaro e un ditirambo di Bacchilide (perduto);.\nnell'ambito della tragedia attica il Filottete di Eschilo (perduto), il Filottete e il Filottete a Troia (perduto) di Sofocle e il Filottete di Euripide (perduto, tranne che per il prologo, conservato da Dione Crisostomo nell'orazione 59); i tre Filottete vengono confrontati nell'orazione 52 di Dione Crisostomo;.\nnell'ambito delle opere mitografiche in prosa l'Eroico di Lucio Flavio Filostrato e la Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro.
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### Titolo: Fineo (figlio di Agenore).\n### Descrizione: Fineo (in greco antico: Φινεύς?, Phinéus) è un personaggio della mitologia greca, connesso con la spedizione degli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro. Fu un indovino nonché re della città di Salmidesso in Tracia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Agenore o di.\nPoseidone o di Fenice e di Cassiopea, sposò Cleopatra (figlia di Borea), da cui ebbe Plexippo e Pandione (o Partenio e Crambis). Fineo in seguito ripudiò Cleopatra.\nDalla seconda sposa Idea (citata anche come Dia), o da Eidotea (sorella di Cadmo), od Eurizia, oppure da una concubina, fu anche padre di Mariandi, Tino, Eraseia, Arpiria ed Olizone.\n\nMitologia.\nFineo fu un indovino Tracio incontrato dagli Argonauti durante il viaggio verso la Colchide e la sua vicenda viene approfondita principalmente da tre autori greci ed uno romano i quali, nelle loro rispettive opere, descrivono situazioni e dettagli a volte diversi ed altre contrastanti.\n\nApollodoro.\nApollodoro racconta che a Salmidesso (in Tracia e come figlio di Agenore o di Poseidone), l'indovino Fineo viene incontrato da Borea e dagli Argonauti che lo puniscono poiché reo di avere accecato i suoi primi figli (Plexippo e Pandione avuti da Cleopatra), ingiustamente accusati di aver cercato di possedere la sua seconda moglie (Idea).\nNella medesima opera, Apollodoro aggiunge che la causa del suo accecamento fu una punizione degli dei per aver predetto il futuro all'umanità, od inflittagli dagli Argonauti perché aveva accecato i propri figli, oppure effettuata Poseidone perché Fineo aveva indicato ai figli di Frisso la rotta da seguire per raggiungere la Grecia partendo dalla Colchide.\nFineo è inoltre perseguitato dalle Arpie (inviate dagli dèi), che lo aggrediscono dal cielo rubandogli il cibo e sporcandogli quello che ne rimane, così gli Argonauti si offrono di liberarlo dalla piaga in cambio delle sue predizioni. Zete e Calaide (i figli di Borea), scacciano ed inseguono le due Arpie fino a quando una (Aello) cade in un fiume del Peloponneso e l'altra (Ocipete) presso le isole Strofadi.\ned in cambio Fineo rivela agli Argonauti il modo per superare le isole Simplegadi senza restarne schiacciati.\n\nApollonio Rodio.\nApollonio Rodio posiziona la casa di Fineo sul mare e di fronte alla Bitinia ed aggiunge che è già cieco al momento dell'incontro con gli Argonauti, ma non parla affatto dei due figli in punizione e delle dispute tra le due mogli, dilungandosi invece sulla situazione della salute di Fineo, che definisce povero e caduto in disgrazia a seguito di una punizione stabilita da Zeus.\nFineo dice agli Argonauti di essere stato il re dei Traci ed anche in questa versione le incursioni delle Arpie vengono affrontate dai due Boreadi che, mentre cercano di colpirle con le spade, vedono apparire la dea Iris (sorella delle Arpie) intervenuta dapprima per difenderle ed in seguito per stabilire che gli Argonauti lascino la terra di Fineo e che le Arpie facciano ritorno nella loro tana (l'isola di Creta), smettendo definitivamente di perseguitare Fineo.\nApollonio Rodio è l'unico che spiega l'origine delle facoltà profetiche Fineo, poiché nella maggior parte dei dialoghi lo fa parlare con il 'figlio di Leto' (Idmone, un discendente di Leto) ed Argonauta a cui il protagonista riconosce di averle ottenute durante un loro precedente incontro.\n\nDiodoro Siculo.\nDiodoro Siculo non parla delle Arpie e definisce Cleopatra sorella di Zete e Calaide (in quanto figlia di Borea ed Orizia) e non cita mai i nomi due figli puniti da Fineo, ma dice che gli Argonauti li trovano imprigionati in una tomba, dove vengono colpiti con continui colpi di frusta perché creduti rei di aver offeso la madre di Idea, divenuta seconda moglie di Fineo e quindi la loro matrigna.\nLei però, mentendo a Fineo li aveva accusati di aver compiuto l'infame gesto per compiacere Cleopatra (prima moglie di Fineo e madre dei due) e quando Eracle e gli Argonauti sopraggiungono, Fineo non vuole sentire ragione di scagionarli ed in malo modo invita gli Argonauti a non interferire.\nMa Zete e Calaide spezzano le catene e liberano i due giovani, facendo sì che Fineo e i suoi uomini ingaggino battaglia contro gli Argonauti, i quali riescono a sconfiggerli uccidendo Fineo. Dopodiché liberano i due giovani e gli consegnano il regno del padre.\nI due giovani infine, per mediazione di Eracle non compiono alcuna vendetta contro Idea, preferendo unirsi agli Argonauti dopo aver consegnato il regno a Cleopatra.\n\nGli autori romani.\nIgino, Ovidio e Virgilio solo accennano alla vicenda di Fineo mentre Gaio Valerio Flacco racconta che Fineo, cieco, perseguitato dalle Arpie ed in disgrazia, attende gli Argonauti sulle rive di un fiume e dimostra la sua veggenza gridando di conoscere i fatti già avvenuti degli Argonauti durante il loro viaggio verso di lui e di essere il re del ricco fiume Ebro.\n\nFineo dice anche di subire la punizione di perché in precedenza aveva predetto il destino dell'umanità e di attendere che i figli di Aquilo (Borea) facciano in modo che le Arpie cessino di tormentarlo. Così i Boreadi di fronte al nuovo attacco (gli autori romani, parlano di tre Arpie aggiungendo Celeno alle due 'greche' Aello ed Ocipete), si sollevano in cielo nel tentativo di contrastarle ma suscitano l'intervento di Tifone che, prendendo la difesa delle Arpie e pur dicendo che sono state mandate come punizione degli dei, fa sì che se ne vadano per sempre cessando di tormentare Fineo. Giasone infine, si rivolge a lui chiedendo del destino degli Argonauti e Fineo, rinvigorendosi con le pratiche magiche che compie prima di parlare del futuro, gli risponde dando consigli sul resto del viaggio verso la Colchide ma non gli rivela se riuscirà ad ottenere il Vello d'oro.\n\nAltre tracce.\nLe storie dell'accecamento dei figli di Fineo e della persecuzione della Arpie furono rappresentate in due drammi perduti di Sofocle intitolati Fineo e probabilmente anche in un terzo denominato Tympanistae, purtroppo anch'esso perduto. Quest'ultimo potrebbe anche non essere stato un dramma distinto dagli altri due.\nAnche Eschilo scrisse un'opera intitolata Fineo, mentre Lucio Accio scrisse i Phinidae.
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### Titolo: Fineo (figlio di Belo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Fineo era figlio di Belo e della ninfa Anchinoe, e dunque discendente da Poseidone per parte di padre e dal Nilo per parte di madre, nonché fratello di Danao, Egitto e Cefeo.\n\nIl mito.\nPerseo aveva ottenuto in sposa Andromeda, figlia di Cefeo re d'Etiopia, dopo aver ucciso il mostro marino al quale essa era stata offerta in pasto. Fineo, zio della ragazza, ordì un piano per riprendersi Andromeda con la forza dato che la giovane donna in precedenza era stata promessa in sposa a lui. Secondo il racconto di Ovidio, Fineo radunò un gran numero di guerrieri - sia etiopi sia orientali - coi quali irruppe nella reggia di Cefeo mentre era in corso il banchetto nuziale di Perseo e Andromeda, ingaggiando quindi lotta armata contro l'eroe greco e i suoi compagni. Perseo uccise con varie armi alcuni seguaci del rivale, tra cui il giovanissimo indiano Ati e il caucasico Abaride, per poi impietrire Fineo e i duecento suoi uomini ancora vivi mostrando loro il volto della Gorgone. Secondo la versione più antica del mito, invece, Fineo tentò di rapire Andromeda col solo aiuto di Abaride, e furono entrambi trasformati in pietre.\n\nLa figura di Fineo nella cultura moderna.\nOpere d'arte.\nPerseo affronta Fineo con la testa di Medusa, dipinto di Sebastiano Ricci.\nPerseo, protetto da Minerva, pietrifica Fineo, dipinto di Jean-Marc Nattier.\nPiatto con lotta tra Perseo e Fineo, opera decorativa di artista ignoto.\n\nMusica.\nCarl Ditters von Dittersdorf, Sinfonia n. 5, Kr. 77, una delle Sinfonie sulle Metamorfosi di Ovidio.
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### Titolo: Flauto di Pan.\n### Descrizione: Il flauto di Pan è un tipo di strumento aerofono a fiato, costituito da più canne, il cui numero può variare, di lunghezza diversa e legate o unite tra loro. Per ottenere il suono si soffia trasversalmente sulle aperture superiori delle canne. Prende il nome da Pan, divinità della religione greca antica, corrispondente al romano Silvano.\nNella classificazione Hornbostel-Sachs, i flauti di Pan costituiscono una famiglia di strumenti denominati 'serie di flauti con imboccatura a un'estremità', e sono indicati con il codice 421.112.\nTra i flauti di Pan più noti ci sono la siringa dell'antica Grecia e la zampoña della musica andina.\n\nDescrizione e storia.\nIl flauto di Pan è l'antenato dell'organo a canne e, non avendo fori per le dita, dell'armonica a bocca. Ma mentre quest'ultima è uno strumento ad ance libere, il flauto di Pan è un aerofono labiale.\nNella religione greca antica Siringa è una ninfa naiade. Seguace di Artemide, fu inseguita dal dio Pan desideroso di possederla e sfuggendogli giunse fino alle rive del fiume Ladone, dove invocò l'aiuto delle Naiadi. Da loro fu trasformata in canne palustri che al soffio del vento emettevano un suono delicato. Udendo quel suono Pan decise di costruire un nuovo strumento musicale (il Flauto di Pan) a cui diede il nome della ninfa. Pan (un satiro, cioè metà capra e metà umanoide, con corna, orecchie a punta e pizzetto) suonava questo flauto per incantare e irretire i viandanti: è per questo che si chiama flauto di Pan. La Sýrinx viene suonata anche dalle sirene per accompagnare i defunti nell'oltretomba.\nNelle fonti latine i flauti di Pan venivano anche chiamatolo con altri nomi, collegati alla loro forma o al materiale usato per costruirli, per esempio arundo (“canna”), fistula (“tubo”) o buxus (“legno di bosso”).\nNei paesi dell'America Latina, il flauto di Pan detto zampoña è utilizzato soprattutto negli altopiani andini, e in paesi come Bolivia, Ecuador, Argentina, Perù, Colombia e Cile. Il suo sviluppo è iniziato intorno al V secolo dell'era cristiana, la cultura Huari o Wari, che si trova in Perù ed oggi possono essere raggruppati in tre gruppi principali: il siku o sikuri (in lingua aymara significa 'tubo che dà suono'), la antara e il rondador.\nUna variante chiamata firlinfeu, è tradizionalmente in uso nella Brianza; il paese europeo dove lo strumento conosce il maggior successo è probabilmente la Romania; è presente anche in altre regioni del mondo, quali ad esempio la Cina o le Isole Salomone.\n\nStruttura.\nIl flauto di Pan classico, chiamato anche siringa, è composto da un numero variabile di canne. Il materiale più comunemente usato è il bambù, talvolta è utilizzato il legno d'acero. Le canne sono disposte verticalmente e unite orizzontalmente con corde o cera, guardando il suonatore in modo decrescente da sinistra a destra.\nLe forme fondamentali del Flauto di Pan sono quattro:.\n\nForma semplice: è la forma più utilizzata, le canne vengono disposte a zattera, le canne più corte devono essere alla sinistra del musicista.\nForma scavata in un sol pezzo: prendendo un pezzo rettangolare del materiale (di solito vengono usati materiali di legno), si scava la forma del Flauto di Pan.\nForma doppia: sono due forme semplici affiancate fra loro.\nForma a fascio: le canne sono raggruppate e unite a forma di grappolo d’uva.\n\nModo di suonare.\nIl flauto di Pan va suonato tenendo la fila di canne inferiori, se disposto su due file come da modello andino, rivolte verso di sé, e comunque con le canne più corte, che emettono suoni acuti, verso la sinistra di chi suona.\nIl soffio deve essere emesso a labbra strette, in modo da lasciare una fessura né troppo stretta né troppo larga, abbastanza per far passare un flusso d'aria leggera e veloce, da spingere sgonfiando i polmoni senza movimenti dei muscoli addominali. Inoltre, bisogna accertarsi che il Flauto di Pan non abbia le canne secche, poiché se le canne si seccano man mano che lo strumento viene suonato l'intonazione cambia e cala. Alcuni costruttori (Italia Plaschke) consigliano di umidificare con olio di vaselina l'interno.\ndelle canne con cadenza mensile, a tale scopo sono in commercio appositi kit. Da notare che durante la umidificatura delle canne di agire con delicatezza onde evitare di spostare i fondelli di regolazione del tono di ciascuna canna, e di conseguenza l'intonazione di base (440 Hz.) Normalmente, riguardo alle tonalità, le siringhe si rifanno ai luoghi d'origine, le siringhe africane sono senza tonalità fissa, anche se la nota più grave è sempre un do e quella più acuta è spesso un sol, le siringhe dei mahori sono in diverse tonalità che si possono paragonare, come estensione, ai flauti soprano, contralto, tenore e basso.\n\nUtilizzo.\nIl flauto di Pan è uno strumento che viene molto usato nella musica andina, più precisamente in Perù, Argentina, Colombia, Bolivia, Ecuador e Cile. È proprio in quest'ultima che viene utilizzato di più da gruppi come gli Inti-Illimani e i Quilapayún, tanto da renderlo uno degli strumenti tipici della cultura andina.\nTra i gruppi svizzeri che lo hanno utilizzato ci sono Peter, Sue & Marc. Il rumeno Gheorghe Zamfir è attualmente considerato l'artista più virtuoso nell'utilizzo di questo strumento tra i flautisti dell'epoca contemporanea.\nEssendo uno strumento di origine greca, anche i compaesani Aphrodite's Child ne hanno fatto largo uso.
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### Titolo: Flegias.\n### Descrizione: Flegias (in greco Φλεγύας Phlegýās) è una figura della mitologia greca, citata anche da Dante nell'Inferno.\n\nGenealogia.\nFlegias è indicato come figlio di Ares e di Crise (figlia di Almo), da Pausania, o di Ares e Dotis (altrove sconosciuta) dallo Pseudo Apollodoro. Secondo quest'ultimo autore non ebbe figli, mentre altrove è indicato come padre di Coronide, amata da Apollo, e di Issione. Secondo una versione, la sposa di Flegias e madre di Coronide fu Cleofema, a sua volta figlia della musa Erato e del mortale Malo.\n\nNella mitologia antica.\nFlegias fu re dei Lapiti, una popolazione della Tessaglia, ma secondo Pausania successe a Eteocle come re di Orcomeno, in Beozia, e fondò nei paraggi una città a cui diede il suo nome.\nPer vendicare la morte della figlia Coronide, uccisa da Artemide su ordine di Apollo, Flegias tentò di incendiare il tempio del dio a Delfi, uno dei santuari più importanti della Grecia: per questo affronto Apollo, dopo averlo crivellato di frecce, lo scaraventò nel Tartaro e lo condannò a stare per l'eternità con un enorme masso sempre sul punto di cadergli addosso. La sua storia è narrata nell'Eneide e nella Tebaide di Stazio.\nUn altro mito racconta che venne ucciso dai re di Tebe Lico e Nitteo.\n\nNella Divina Commedia.\nNell'ottavo canto dell'Inferno Dante e Virgilio si trovano davanti alla palude dello Stige, dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi: qui ricevono aiuto da Flegias, le cui sembianze e il cui vero ruolo sono taciuti.\nSe sembra improbabile che sia un traghettatore per i peccatori di passaggio ai cerchi inferiori, essendovi le anime spedite direttamente da Minosse dopo il suo giudizio, potrebbe essere colui che getta i peccatori nella palude; in ogni caso Dante si preoccupa solo di citare la sua sovreccitazione, testimoniata dalle sue grida sia all'arrivo che alla discesa dei due poeti sulla sua barca.\n\nEtimologia del nome.\nIl nome Flegias indica un avvoltoio dal piumaggio rosso e richiama il termine greco 'phlego' e il termine latino 'flagro', tradotti entrambi come 'incendio': questa derivazione e la storia stessa del personaggio lo rendono appunto emblema di un'ira fulminea e deflagrante.
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### Titolo: Flias.\n### Descrizione: Flias, Fliante o Fliaso è un personaggio della mitologia greca, un figlio di Dioniso e contato tra gli argonauti.\n\nGenealogia.\nFlias è in genere indicato come figlio del dio Dioniso, ma non c'è accordo su quale fosse la madre. Secondo Apollonio Rodio era figlio di Dioniso e Ctonofila. Pausania cita una versione secondo cui il padre sarebbe stato Ciso, ma afferma che secondo lui era figlio di Dioniso e Aretirea, figlia di Arante ed eponima della città di Aretirea, mentre Ctonofila, figlia di Sicione, sarebbe stata sua moglie e madre di suo figlio Androdamante. Igino lo chiama 'Fliaso' (Phliasus) e lo considera figlio di Dioniso e Arianna. Infine, nelle Argonautiche orfiche si dice soltanto che sua madre fu una ninfa, senza che sia menzionato il nome.\nSecondo una versione, diede il nome alla città di Fliunte, a volte identificata con l'antica Aretirea.
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### Titolo: Flotta greca in Aulide.\n### Descrizione: Flotta greca in Aulide è uno degli affreschi realizzati nel 1757 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza.\n\nDescrizione.\nSituato nel corpo principale della villa, il dipinto occupa una delle porzioni nella Sala di Ifigenia ed è pertanto in relazione col Sacrificio d'Ifigenia, che si trova sulla parete al centro. Vi sono rappresentati alcuni soldati achei che assistono al sacrificio della figlia di Agamennone, voluto da Diana, che però all'ultimo momento salverà la fanciulla. Le loro navi sono visibili sullo sfondo.
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### Titolo: Fobetore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Fobetore (in greco Φοβητώρ, Phobētṑr, 'spaventoso') o Icelo (Ἴκελος, Íkelos, 'somigliante') è uno degli Oniri, figlio di Ipno e fratello di Morfeo e Fantaso.\nNelle Metamorfosi di Ovidio viene descritto come la personificazione degli incubi, nei quali appare con sembianze di animale. Gli dei lo chiamano Icelo, mentre gli uomini Fobetore.\n\nInfluenza culturale.\nA Fobetore è stato intitolato l'esopianeta Fobetore.Ispirato al dio degli incubi è il Pokémon Darkrai.Il personaggio appare in DanMachi, dove ricopre il ruolo di antagonista.Fobetore, col nome di Icelo, compare in I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade, dove rapisce l'anima di Sisifo del Sagittario e combatte contro El Cid del Capricorno, arrivando a mozzargli il braccio destro.\n\nFonti.\nOvidio, Metamorfosi, XI, 640-642.
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### Titolo: Foco.\n### Descrizione: Foco (in greco antico: Φώκος?, Phṑkos) è un personaggio della mitologia greca, era figlio della nereide Psamate e di Eaco, re di Egina.\n\nMitologia.\nEstese i territori della Focide, che però prende il nome da un altro Foco, figlio di Ornizione e padre di Panopeo e Criso.\nFu ucciso dai fratellastri Peleo e Telamone durante una gara di lancio del disco.\nPrima di Foco, Eaco aveva infatti avuto da Endeide altri i figli Telamone e Peleo che vivevano anch'essi ad Egina.\nA causa della sua bellezza quasi divina, il re aveva una predilezione per lui ed inoltre Foco eccelleva nelle gare atletiche, provocando così l'invidia di Telamone.\nAvvedutosi della cosa, Foco lasciò Egina con un gruppo di cittadini e si diresse in Focide, che allora constava solo delle regioni circostanti il Parnasso e Titorea, proseguendone la colonizzazione. I suoi figli ne avrebbero poi esteso ulteriormente i confini.\nIn seguito, Eaco fece ritornare Foco ad Egina. Endeide, temendo che il re volesse sceglierlo come proprio erede al trono, convinse i propri figli ad ucciderlo e questi lo sfidarono ad una gara di pentathlon ed il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone.\nI due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi (Peleo e Telamone) che dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.\nI mitografi offrono versioni leggermente divergenti del racconto, in particolare riguardo alle ragioni della morte di Foco.\nPer alcuni fu ucciso per iniziativa di Telamone e Peleo si limitò ad aiutare il fratello a nascondere il corpo.\nStando a Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccise Foco fu lanciato da Peleo ma per il primo il colpo è puramente accidentale mentre per il secondo è intenzionale.\nPer altri ancora Peleo finì il giovane con un'ascia ed Igino attribuisce semplicemente la responsabilità della morte a entrambi i fratelli.
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### Titolo: Fontana di Pirene.\n### Descrizione: La Fontana di Pirene o Fontana inferiore di Pirene (in greco Πειρήνη?) è il nome di una fontana o una sorgente della mitologia greca, situata a Corinto precisamente all'interno del sito dell'Antica Corinto.\n\nMitologia.\nSi diceva che fosse l'abbeveratoio preferito del cavallo Pegaso, nonché luogo sacro alle Muse. I poeti viaggiavano lì per bere e ricevere ispirazione.\nNel II secolo, il viaggiatore Pausania descrive il mito di Pirene, amante di Poseidone, la quale si dissolse in fonte a causa delle morte del fratello ucciso da Artemide. Egli racconta così:.\n\nEsiste anche un'altra versione, secondo cui la fontana fu creata dallo zoccolo di Pegaso che colpiva il suolo. Ad ogni modo, la leggenda di Pausania è molto più diffusa.\nLa sorgente superiore di Pirene, legata al racconto eziologico di Pausania, si trova sull'Acrocorinto, acropoli di Corinto.Si ritiene che il primo re di Corinto Sisifo, cercando di risolvere il problema della scarsità d'acqua in città, si ritrovò nei pressi della rocca, dove vide Zeus con una bella ninfa di nome Egina che era figlia del dio fluviale Asopo, rapita dallo stesso Zeus.Il dio Asopo si presentò allora a Sisifo nelle sembianze di un vecchio e gli chiese notizie di sua figlia. Sisifo disse di averla vista, senza però rivelare subito chi l'aveva rapita preferendo chiedere una fonte d'acqua per la sua città in cambio dell'informazione. Asopo promise che gli avrebbe dato la fonte e Sisifo mantenedo il patto rivelò che la ninfa era stata rapita da Zeus.Soddisfatto, Asopo fece dono al re della sorgente perenne detta Pirene.\nIn questo abbeveratoio, Bellerofonte riuscì a domare il cavallo Pegaso grazie a una briglia d'oro donata da Atena, permettendogli poi di compiere l'impresa della chimera.\n\nArcheologia.\nLe prime pietre della costruzione risalgono al periodo arcaico (VII secolo a.C. o, più probabilmente, al VI secolo), costituendo in virtù dell'epoca storica una delle prime costruzioni di Corinto, assieme al tempio di Afrodite sull'Acrocorinto e alle mura settentrionali. La fontana ha subito non meno di nove trasformazioni nella sua storia.L'attuale forma della fontana risale al restauro operato da Erode Attico (vissuto nel 101-177 d.C.) in epoca imperiale romana, ma vi sono anche ulteriori modificazioni realizzate nel periodo bizantino.
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### Titolo: Fonte Castalia.\n### Descrizione: La fonte Castalia si trova nelle vicinanze del santuario di Delfi, a metà cammino tra Marmaria e il santuario stesso. In età antica i pellegrini, prima di entrare nel recinto sacro di Delfi, si purificavano presso questa fonte.\nUn'altra fonte minore, «Kassotis», era situata all'interno del temenos, nel luogo in cui la Pizia o pitonessa realizzava delle abluzioni prima di pronunciare i suoi auguri. Si dovevano purificare presso la fonte anche i sacerdoti e le persone che volevano avere un consulto dell'oracolo.\n\nUbicazione.\nSi trovava sul monte Parnaso, nella gola delle rocce Fedriadi, ai piedi della roccia di Hiampea, (ora chiamata Flembuco), luoghi dai quali sorgevano diverse fonti che formavano distinte sorgenti, sebbene Pausania indichi che l'acqua di Castalia si pensava provenisse da alcune sorgenti del fiume Cefiso. La fontana era circondata da una foresta di allori consacrata ad Apollo.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia greca, il suo nome deriva della ninfa Castalia, figlia del fiume Acheloo e moglie del re di Delfi. Essa avrebbe avuto un figlio chiamato Castalio, il quale sarebbe divenuto re alla morte del padre. Secondo un'altra tradizione la fonte deve il nome a una ragazza di Delfi chiamata Castalia che, inseguita da Apollo, si sarebbe immersa nella fonte.Un altro mito descrive che la fonte fosse custodita da una dragonessa —il serpente Pitone —, che sarebbe stata uccisa da Apollo; in un'altra versione del mito, il serpente a custodia della fonte sarebbe stata figlia di Ares e sarebbe stata uccisa da Cadmo, il quale in seguito, con la semina dei suoi denti, avrebbe fatto nascere gli Sparti.La leggenda racconta che sul monte Parnaso e vicino a questa fonte corressero le ninfe coricie. Si diceva che l'acqua scendesse ribollente grazie all'influenza di Apollo, quando questi emetteva un oracolo.\n\nFunzioni della fonte.\nLa fonte di Castalia è citata come un luogo riguardante direttamente Apollo e il suo oracolo; essa serviva per la purificazione rituale tanto della pizia, quanto degli altri sacerdoti dell'oracolo, che lavavano i loro capelli con le sue acque, come avveniva nel tempio di Apollo. Inoltre si purificavano nella fonte coloro che chiedevano un consulto dell'oracolo.Si riteneva che l'acqua della fonte Castalia favorisse l'ispirazione dei poeti.\n\nDati storici.\nSi sono conservate due fonti alimentate dalla sorgente sacra.\nLa prima, quella più antica (inizio VI secolo a.C.), citata da autori come Pindaro o Erodoto, ha un pilone rivestito di marmo circondato da panchine. La seconda, situata circa 50 metri sopra la precedente, è di età ellenistica o romana (probabilmente appartenente al I secolo a.C.) ed è quella che vide Pausania, con nicchie scavate nella roccia per ricevere i doni votivi.\nLa fonte del periodo arcaico fu trovata da Anastasios Orlandos negli scavi di 1960. ; quella più moderna è stata scoperta dopo gli scavi realizzati a partire dal 1878.
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### Titolo: Fonte di Acidalia.\n### Descrizione: Con fonte di Acidalia ci si riferisce a un'antica fonte dell'antica Grecia, situata nei pressi di Orcomeno in Beozia, dove, secondo la mitologia greca, si lavavano le Grazie devote alla dea Venere, figlie sue e di Bacco. Venere veniva perciò anche definita Acidalia mater.
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### Titolo: Fonti letterarie della mitologia greca.\n### Descrizione: Il corpus letterario della mitologia greca è costituito da un numero elevato di fonti, giunte a oggi in maniera estremamente frammentaria. Pochissime opere sono conservate in maniera integrale, mentre di un numero elevato di opere si ha conoscenza solo indiretta, attraverso le sintesi dei grammatici di tutte le epoche, o grazie a corpose citazioni di altri autori del mondo classico e medievale. Nell'elenco che segue sono raccolti gli autori più importanti di cui sono pervenuti dei frammenti significativi. Gli autori sono citati in ordine alfabetico, e suddivisi in tre categorie: fonti letterarie greche (senza distinzione tra età classica, alessandrina e tarda), latine e bizantine.\nTra le fonti importanti si deve ritenere anche la Suda, che non è annoverata nell'elenco in quanto non attribuibile ad alcun autore.\n\nFonti letterarie greche.\nAgia di Trezene.\npoeta epico greco (forse VII sec. a.C.). Gli si attribuisce il poema Nostoi (Νόστοι), cioè i 'Ritorni', che narrava il rientro in patria dei maggiori eroi greci dopo la presa di Troia. Ci restano solo frammenti.Antonino Liberale.\ngrammatico greco (II sec. d.C.). Conosciamo poco o nulla della sua vita, forse era un liberto. È stato autore de Le Metamorfosi, una raccolta di 41 racconti di argomento mitologico, pervenuta in un codice con un prezioso indice delle fonti.Apollonio Rodio.\npoeta epico greco (III sec. a.C.). Nato probabilmente ad Alessandria d'Egitto e morto a Rodi, dopo averci a lungo vissuto. Allievo di Callimaco, diresse per anni la Biblioteca di Alessandria, finché entrato in polemica con il maestro, che sosteneva la lirica pura, dovette lasciare l'Egitto. La sua opera maggiore infatti, Le Argonautiche (Τά Ἀργοναυτικά) in quattro libri che conserviamo quasi integralmente, ridiede vita alla poesia epica, da lungo tempo oramai abbandonata.Archiloco.\npoeta greco (VII sec. a.C.). Nato nell'isola di Paro, divenne soldato mercenario, visitando moltissimi paesi, tra cui forse anche la Magna Grecia. La tradizione vuole che sia morto in battaglia a Nasso. Aveva uno stile vivo e ricco di spunti polemici, spesso al limite dell'invettiva. Ci sono rimasti circa trecento frammenti, nei quali parla dei suoi due temi preferiti: la guerra e l'amore.Arctino di Mileto.\npoeta epico greco (VIII-VII sec. a.C.). Lo si ritiene il più antico cantore dello stile epico. Gli vengono attribuite diverse opere: l'Ethiopide (Αἰθιοπίς), in 5 libri, l'Iliupersis (Ἰλίου πέρσις) in 2 libri, entrambe sulla materie del Ciclo Troiano, e una Titanomachia. Ci restano solo pochi frammenti.Bacchilide.\npoeta lirico greco (Iuli, isola di Ceo, 516 ca. a.C. - 451 ca. a.C.). Era nipote di Simonide e contemporaneo di Pindaro, col quale si trovò spesso a competere. Nel 476 a.C. accompagnò lo zio Simonide in Sicilia, presso il tiranno Ierone; poi fu esiliato, per ragioni politiche, nella terra di Peloponneso. In vecchiaia tornò in patria, dove morì. Ci restano, oltre a qualche frammento, 14 epinici (Odi) e 5 ditirambi, in cui canta con stile chiaro i temi tradizionali della lirica greca, con occhio rivolto più verso l'elemento umano piuttosto che quello mitologico.Callimaco.\npoeta e filologo greco (305 ca. a.C. - 240 a.C.). Studiò ad Atene, ma visse ad Alessandria. Oltre che poeta ed erudito, fu chiamato alla carica di rettore della Biblioteca. Della sua produzione letteraria ci sono pervenuti integri solo 6 Inni alle divinità. Possediamo poi ampi stralci di un poema mitologico in 4 libri, gli Aitia (Αἴτια), cioè 'le Cause', che narravano le origini di molte feste e tradizioni. Quest'ultima opera fu notissima e a lungo imitata anche da Catullo, che traspose in latino la Chioma di Berenice. Ci sono giunti anche frammenti dell'Ecale, un componimento poetico sul tema mitologico dell'incontro tra Teseo e la vecchia Ecale. Conosciamo però i sunti di tutti i suoi componimenti.Diodoro Siculo.\nstorico greco (Agirio, Sicilia, 90 a.C. - 27 a.C.). Vissuto al tempo di Giulio Cesare, soggiornò forse a Roma e certamente ad Alessandria, come si ricava dalla sua opera in 40 libri, la Bibliotheca historica (Βιβλιοθήκη ἱστορική), una storia universale dei Greci, Romani e barbari, dalle origini mitiche al tempo di Cesare. A noi rimangono solo i primi 5 libri, sulla preistoria di Europa, Asia ed Africa e i libri XI-XX, che contengono notizie sul V-IV sec. a.C., oltre a numerosi frammenti. Gran parte dell'opera è costituita da parafrasi o citazione di altri autori, altrimenti perduti.Dionigi di Alicarnasso.\nstorico e retore greco (I sec. a.C.). Si trasferì a Roma durante il regno di Augusto, dedicandosi però solo allo studio e all'insegnamento. Scrisse moltissime opere di retorica e di erudizione. Lo ricordiamo per la voluminosa opera storica Antichità Romane (Ῥωμαική ἀρχαιολογία), in cui si raccontava la storia del mondo antico dalle origini alla Prima Guerra Punica. Dell'opera ci sono rimasti solo 11 dei 20 libri.Esichio di Alessandria.\ngrammatico greco (forse Alessandria d'Egitto, V sec. d.C.). Autore del Lexicon, un enorme glossario di parole ed espressioni greche, molte delle quali rare od oscure. L'opera, costituita da circa 51.000 voci in ordine alfabetico, è importante nella ricostruzione del testo degli autori classici in generale, e particolarmente di scrittori che usavano parole ricercate, e riporta anche molti fatti meno noti riguardo alla religione della Grecia antica. L'opera è derivata da altri glossarii più antichi, ed è giunta a noi in forma probabilmente interpolata.Eschilo.\npoeta tragico greco (Eleusi 525 a.C.- Gela 456 a.C.). Le notizie biografiche sono in massima parte leggendarie. Partecipò alle battaglie di Maratona, di Salamina e forse di Platea. Fu accusato di aver svelato i misteri eleusini, ma poi, non essendovi stato iniziato, riuscì a scagionarsi. Nel 484 a.C. andò a Siracura presso il tiranno Ierone, che ospitava in quel periodo anche Simonide, Bacchilide e Pindaro, dopo 16 anni tornò ad Atene. Sconfitto nel 468 a.C. In un concorso da Sofocle, l'anno successivo vinse con la Trilogia tebana, e nel 458 con l'Orestea (Ὀρέστεια). Nel 457 a.C. tornò in Sicilia, dove morì. Scrisse circa 90 drammi, di cui ne conserviamo per intero solo sette: I Persiani, I Sette contro Tebe, le Supplici, Prometeo incatenato, e la trilogia nota come l'Orestea, comprendente Agamennone, le Coefore e le Eumenidi. Della rimanente opera ci rimangono circa 700 frammenti.Esiodo.\npoeta greco (VIII-VII sec. a.C.). Visse ad Ascra, in Beozia, dove fece il rapsodo. Vinse una gara poetica a Calcide, ma non si sa dove morì. Le sue opere ci sono giunte certamente con interpolazioni successive. La Teogonia (Θεογονία) è un poema di 1022 versi (ma gli ultimi 50 non sono sicuramente autentici), che elenca le generazioni degli dei, dal regno di Urano a quello di Crono, per giungere, dopo il racconto del mito di Prometeo e della Titanomachia, a quello di Zeus, che è visto come il regno dell'ordine e della giustizia. Le Opere e i Giorni (Ἔργα καὶ Ἡμέραι) sostengono, attraverso il racconto della decadenza umana seguita all'Età dell'Oro, che solo l'operosità riscatta la vita. Dubbia invece la paternità dello Scudo di Eracle e dell'Eoie (o Catalogo delle donne).Eugammone di Cirene.\npoeta greco (VI sec. a.C.). Gli viene generalmente attribuita la Telegonia (Τηλεγόνεια), un poema del Ciclo Troiano, che raccontava le vicende di Ulisse e del figlio Telegono, a partire dalla strage dei Proci. Telegono arrivava ad Itaca, dove non riconoscendo il padre lo uccideva. L'opera si concludeva con il matrimonio di Telegono e Penelope.Euripide.\npoeta tragico greco (Atene 484 ca. a.C. - Pella 406 a.C.). Abbiamo notizie in gran parte leggendarie, che lo volevano erroneamente nato nell'anno della battaglia di Maratona (490 a.C.) e figlio di un'erbivendola. In realtà ebbe un'accurata istruzione, impegnandosi in gare sportive e frequentando eminenti intellettuali tra cui Anassagora, i sofisti e lo stesso Socrate. Visse appartato a Salamina, dove la leggenda mostrava una caverna nella quale il poeta si ritirava per comporre e dove si diceva tenesse una grande collezione di libri. Nel 408 a.C. si recò in Macedonia presso il re Archelao, dove morì, secondo un'altra leggenda, sbranato da un cane da caccia. Scrisse circa novanta drammi, dei quali ne conserviamo interamente diciotto: Alcesti, Medea, Eraclidi, Ippolito coronato, Andromaca, Ecuba, Supplici, Eracle furente, Troadi, Elettra, Elena, Ifigenia in Tauride (o Taurica), Ione, Fenicie, Oreste, le postume Baccanti e Ifigenia in Aulide, e infine il dramma satiresco il Ciclope. A questi alcuni aggiungono Reso, di incerta attribuzione. Dei drammi perduti rimangono inoltre circa 1200 frammenti, alcuni dei quali molto lunghi, che ci permettono di ricostruire anche tragedie come Antiope, Cresfonte, Eretteo, I Cretesi, Melanippe la saggia, Melanippe incatenata, Telefo, Stenebea, Issipile, Fetonte.Eutichio Proclo.\ngrammatico greco (Costantinopoli 412 d.C. - Atene 485 d.C.). Fece opera di sistemazione sia nel campo filosofico che nel campo letterario greco. A questo proposito ricordiamo la Crestomazia (Χρηστομάθεια θεια γραμματιχῄ), una raccolta antologica della produzione letteraria ellenica, divisa per stili (poesia, tragedia, commedia, epica, etc.). È utilissima perché ci fornisce dei riassunti, a volte anche estesi, di opere altrimenti perdute. È la fonte più autorevole per la conoscenza delle principali opere perdute del Ciclo Troiano (Ciprya, Iliupersis, Ethiopide, Piccola Iliade, Nostoi, Telegonia).Filostrato il vecchio.\nscrittore e retore greco (Lemno, III sec. d.C.). Autore delle Immagini (Εἰκόνες), opera in forma di dialogo tra un sofista e alcuni allievi durante una visita guidata in una villa vicino a Napoli, in cui si descrivono le 64 pitture esposte nelle stanze.Ione di Chio.\npoeta e storico greco (V sec. a.C.). Scrisse drammi satireschi, inni, elegie e ditirambi; inoltre opere in prosa quali le Memorie e i Racconti di viaggio (Ἐπιδημίαι), in cui descriveva i suoi incontri con personaggi celebri, quali Eschilo e Sofocle. Lo ricordiamo per nove tragedie (tra cui Agamennone, Argivi, Fenice, Laerte, Teucro). Ci sono giunti solo frammenti.Lesche.\npoeta epico greco (VII-VI sec. a.C.). Forse nato a Mitilene. Gli si attribuisce il poema Piccola Iliade (Ἰλιὰς μικρά), ma qualcuno gli attribuisce anche l'Iliupersis, che i più assegnano invece al suo rivale Arctino. Restano solo dei frammenti.Licofrone.\npoeta tragico greco (IV-III sec. a.C.). Nacque a Calcide, ma soggiornò a lungo nella Magna Grecia, a Reggio. Fu poi chiamato ad Alessandria dove diresse la Biblioteca. I titoli della sua produzione rivelano una predilezione per Euripide. Conserviamo per intero la cosiddetta Alessandra di Licofrone, una tragedia in forma di monologo in cui si narra di un nunzio che riferisce a Priamo i presagi di Cassandra. Il testo è, secondo la moda alessandrina dell'epoca, pieno di arcaismi e artifici da risultare a tratti oscuro.Luciano di Samosata.\nscrittore greco (Samosata, Siria, II sec. d.C.). Scrittore fecondissimo e versatile. Ci restano un'ottantina di opere, tra le quali ricordiamo i Dialoghi degli Dei, un'opera parodica sullo stile menippeo, e due opere su argomento mitologico: Prometeo o il Caucaso, e il Concilio degli Dei.Mnasea di Patrasso.\nscrittore e storiografo greco (Patrasso o Patara, Cappadocia, III-II sec. a.C.). Di lui si conservano pochi frammenti sparsi (circa 60). Si ritiene esser stato allievo di Eratostene. Nonostante la scarsità del materiale tramandato, Mnasea, che è citato anche da Plinio il Vecchio, è degno di nota per aver svelato alcune notizie e alcuni dettagli sui culti esoterici.Nonno di Panopoli.\npoeta greco (Panopoli, Egitto, V sec. d.C.). Poco o nulla sappiamo della sua vita. La sua opera principale è costituita dalle Dionisiache, in 48 libri e 25.000 esametri, che raccontano la spedizione del dio Dioniso in India per stabilirvi il suo culto.Omero.\nil massimo poeta greco (VII-VI sec. a.C.). Si è per molto tempo dubitato persino della sua reale esistenza (dalla esegesi dell'Abate di Aubignac a Wolf, passando per Vico). Un'interpretazione errata del suo nome lo fece ritenere a lungo un poeta cieco. Nato in Asia Minore, forse a Chio o a Smirne, dovette vivere presso un re esercitando la professione di rapsodo. A Chio fiorì una scuola di rapsodi che a lui si ispiravano, e che furono chiamati omeridi. Gli si attribuiscono parecchie opere. I due capolavori sono certamente l'Iliade (Ἱλιας) e l'Odissea (Ὀδνσσεἳα), che oggi si ritiene composti integralmente da lui sulla base di antichi canti popolari, giunti a noi con alcune interpolazioni (come ad esempio la cosiddetta Telemachia - Odissea I-IV). A lui vengono anche attribuiti 33 componimenti in esametri, gli Inni, scritti in onore di divinità (tra cui Demetra, Apollo ed Ermes).Partenio di Nicea.\ngrammatico e poeta greco (Bitinia, I sec. a.C.- I sec. d.C.). Fu fatto prigioniero durante le guerre contro Mitridate, quindi deportato a Roma. In seguito fu maestro di greco per Virgilio. L'unica opera giunta a noi sono le Pene d'amore (Eroticà Pathèmata), una collezione di 36 storie di innamorati infelici, tratte dalla letteratura greca e alessandrina.Pausania, detto il 'Periegeta'.\nscrittore greco (Magnesia, Asia Minore, II sec. d.C.). La sua opera più rilevante è la Periegesi della Grecia (Περιήγησις τῆς Ἑλλάδος), in 10 libri. È una descrizione di città e santuari greci ordinata secondo due itinerari, uno da Atene verso il Peloponneso, l'altro da Atene alla Grecia centrale. L'opera è ricca di excursus mitografici ed etnografici e di descrizioni di prodigi e fatti rari. Oggi la si ritiene derivata da autori minori.Pindaro.\npoeta greco (Cinocefale, Tebe 518 a.C. - Argo, 438 a.C.). Di nobile famiglia, viaggiò a lungo per la Grecia e le colonie (fu anche alla corte dei tiranni di Siracusa e Agrigento). Visse lontano dalla vita politica, in una sorta di aristocratico isolamento. Compose poesie liriche di ogni genere, ma della sua vastissima produzione ci sono pervenuti solo gli epinici: 44 odi, divise in 4 libri (14 Olimpiche, 12 Pitiche, 11 Nemee e 7 Istmiche), più alcuni frammenti. La composizione delle odi prendeva spunto dalle feste a cui erano dedicate; cominciavano con l'elogio dei vincitori, per poi continuare con l'esposizione di un mito in qualche modo connesso con l'atleta o la città, o la sua stirpe. Il mito però era raramente evocato per intero, anzi spesso era ricordato attraverso scorci, fatti di passaggi arditi e metafore illuminanti (i cosiddetti 'voli pindarici'), in una lingua piena di neologismi e perifrasi, a volte persino oscuri.Platone.\nuno dei massimi filosofi greci (Atene, 427 a.C. - 347 a.C.). In alcuni suoi dialoghi (ad es. Protagora) fece ricorso a celebri episodi mitografici (ad es. quello di Prometeo), arricchendoli di particolari e sfumature assolutamente inedite e originali.Plutarco.\nscrittore greco (Cheronea, Beozia 46 d.C. - 127 ca. d.C.). Dopo lunghi viaggi si dedicò allo studio, distratto solo da qualche carica onorifica, come quella di arconte o di sacerdote del tempio di Delfi. Lo ricordiamo per l'opera Le vite parallele (Βίοι Παράλληλοι), una raccolta di 50 biografie di personaggi greci e romani, di cui 46 disposte a coppia, sulla base di analogie di vita o di carattere (ad esempio, Teseo e Romolo, Temistocle e Camillo, Pericle e Fabio Massimo, Pirro e Mario, Alessandro e Cesare, Demostene e Cicerone, etc.). Le biografie, narrate singolarmente, sono infatti seguite da un'appendice che contiene il confronto tra i due personaggi. L'opera voleva dimostrare che la Grecia aveva da contrapporre ai nuovi eroi romani, altrettanti personaggi illustri, senza però cadere nel nazionalismo.Pseudo-Apollodoro.\nautore non ancora identificato, a cui si attribuisce convenzionalmente la Biblioteca, opera colossale della quale rimangono frammenti. Il nome deriva dal fatto che un tempo si credeva fosse stata scritta da Apollodoro di Atene, detto il Mitografo, scrittore greco (II sec. a.C.), autore tra le altre cose di una cronaca che tratta gli avvenimenti dalla Guerra di Troia al 144 a.C.Pseudo-Eratostene.\nautore a cui si attribuisce il saggio i Catasterismi, in cui sono descritte 42 costellazioni con i miti che le danno il nome. Nel XX secolo si è dimostrato che l'estensore fu Eratostene (Cirene, 276 a.C. – Alessandria d'Egitto, 194 a.C.), filosofo, matematico, astronomo, geografo e scrittore.Quinto Smirneo.\npoeta epico greco (IV sec. d.C.). Della sua vita non si sa nulla, e si crede che sia nato a Smirne solo dall'interpretazione di alcuni suoi versi. Scrisse un'opera epica in 14 libri, le Postomeriche (Τὰ καθ' Ὅμηρον), che narravano le vicende intercorse tra la fine dell'Iliade e l'inizio dell'Odissea. Il manoscritto del poema fu rinvenuto solo nel XV sec. in un monastero di Otranto.Simonide.\npoeta greco (Isola di Ceo 550 ca. a.C. - Siracusa 467 ca. a.C.). Fu poeta di professione e viaggiò molto, componendo su commissione. Di talento e memoria prodigiosa, pare fosse venale. Compose encomi, epinici, elegie, giambi, inni e soprattutto canti funebri. Ci restano solo frammenti, tra i quali uno che narrava il mito di Danae.Sofocle.\npoeta tragico greco (Colono 496 a.C. - Atene 406 a.C.). Figlio di un ricco fabbricante d'armi, godette una gioventù agiata e di un'ottima educazione. Partecipò intensamente alla vita pubblica e politica del paese, ricoprendo anche cariche pubbliche: fu stratega, insieme a Pericle, durante la guerra contro Samo; poi fu ambasciatore presso varie città e anche uno dei dieci probuli cui fu dato provvisoriamente il governo di Atene dopo la disastrosa spedizione in Sicilia del 412 a.C. Morì novantenne, pochi mesi dopo la morte di Euripide, di cui aveva fatto l'elogio funebre. Scrisse circa centotrenta opere, di cui ci sono state tramandate per intero 7 tragedie: Aiace, Antigone, Edipo Re, Elettra, Edipo a Colono, Filottete, Trachinie. Delle rimanenti opere ci rimangono circa 1100 frammenti di varia lunghezza.Stasino di Cipro.\npoeta epico greco (VII sec. a.C.). Gli si attribuisce il poema Ciprya (Κύπρια), che però altri attribuiscono ad un certo Egesia o Egerino, suo compatriota. Del poema restano solo scarsi frammenti.Stesicoro.\npoeta lirico greco (VI sec. a.C.). Visse ad Imera, in Sicilia, prese parte alla vita politica, ma negli ultimi anni della sua vita pare si trasferì a Catania. La sua opera, divisa dai grammatici alessandrini in 26 libri, era ricca di celebrazioni di miti eroici: la Gerioneide, Cicno, Erifile, la Caccia al cinghiale, la Caduta di Troia, l'Orestea, Elena. A quest'ultima opera è legata la leggenda secondo la quale Stesicoro fu accecato dai Dioscuri per aver diffamato la loro sorella Elena; il poeta la avrebbe riacquistata quando, scrivendo la Palinodia, affermò che non Elena, ma un suo simulacro aveva seguito Paride a Troia. Di tutta l'opera ci restano solo frammenti.Strabone.\nstorico e geografo greco (58 ca. a.C. - tra il 21 e il 25 d.C.). Di ricca famiglia, fece studi importanti, intraprendendo poi anche lunghi viaggi in Grecia e Egitto. Nel 20 a.C. si trasferì a Roma, e negli ultimi anni della vita visse in Campania. Scrisse un'opera storica in 47 libri, i Commentari Storici, di cui abbiamo una conoscenza indiretta, essendo stata fonte per la composizione di innumerevoli opere successive. La Geografia (Γεωγραφικά), opera in 17 libri, invece ci è giunta per intero, ed è preziosa perché riporta anche molte notizie importanti sulle tradizioni e sulla religione delle varie regioni della Grecia.Teocrito.\npoeta greco (Siracusa 315 a.C. - 260 ca. a.C.). Dimorò per qualche tempo a Cos e poi ad Alessandria, dove entrò in amicizia con Callimaco. Compose moltissimo, ma ci sono giunti solo gli Idilli (Είδύλλια), una raccolta di 30 brevi componimenti, di cui 21 certamente autentici. Alcuni di questi sono espressamente di contenuto mitologico e sono detti Epilli, anche se certamente più celebri sono quelli di stile bucolico, che furono fonte di ispirazione per tantissimi poeti posteriori (ad es. Virgilio e L'Arcadia del '700).\n\nFonti letterarie latine.\nApuleio, Lucio.\n(lat. Lucius Apuleius), scrittore filosofo e retore latino (Madaura, Algeria 125 ca. d.C. – 170 ca. d.C.). Autore de Le Metamorfosi, noto anche con il titolo de L'Asino d'oro, romanzo in undici libri che racconta la storia allegorica di Lucio, trasformato per incidente in asino, che attraversa varie vicende grottesche prima di riguadagnare le sembianze umane. Contiene molte digressioni di stampo mitologico. È l'unico romanzo latino giunto a noi integralmente.\nIgino detto 'l'Astronomo'.\n(lat. Hyginus) poeta latino (II-III sec. d.C.). Lo ricordiamo per l'opera le Favole (Fabulae), raccolta di 277 racconti mitologici ad uso delle scuole, suddivisa in tre parti (genealogie, favole, indici), utilissima per ricostruire molte tragedie greche perdute.Ovidio, Publio Nasone.\n(lat. Publius Ovidius Naso), poeta latino (Sulmona, 43 a.C. - Tomi, Mar Nero 17 o 18 d.C.). Di famiglia ricca, intraprese la carriera politica, dedicandosi però ben presto alla poesia, campo in cui ottenne subito entusiastici consensi. Poi, per lo scoppio di un oscuro scandalo, fu esiliato da Augusto sul Mar Nero, dove morì. Ebbe una vastissima produzione, specie nel campo della poesia galante e amorosa. Alla maturità appartengono però le sue due opere maggiori, le Metamorfosi (Metamorphoseon libri) in 15 libri, e i Fasti, in 6 libri. La prima è una raccolta di miti, argutamente legati tra loro in una trama che va dai primordi del mondo alla trasformazione di Cesare in astro. Il secondo è una spiegazione mitica del calendario romano, mese per mese, da gennaio a giugno. Fu in tutte le epoche stimato come uno dei massimi poeti dell'antichità.Servio Mario Onorato.\n(lat. Servius Marius Honoratus), grammatico e commentatore latino (IV sec. d.C.). Autore di alcuni Commentarii alle opere di Virgilio, dai quali si possono ricostruire molti episodi mitologici minori.Stazio, Papinio Publio.\n(lat. Publius Papinius Statius), poeta latino (Napoli, 45 ca. d.C. - 96 d.C.). Ereditò dal padre la passione poetica, giungendo presto a Roma, dove partecipò alla vita di corte, esaltando le imprese militare di Domiziano. Lo ricordiamo per la Tebaide (Thebais), poema epico in 12 libri, che narra la lotta di Eteocle e Polinice, figli di Edipo, per il trono di Tebe. Stazio non segue la poesia ciclica greca, bensì una tradizione dotta che rielabora con fantasia e originalità. Scrisse anche un altro libro epico, basato sulle gesta di Achille, l'Achilleide (Achilleis), rimasto incompiuto al secondo libro.Valerio Flacco, Setino Balbo Gaio.\n(lat. Gaius Valerius Flaccus Setinus Balbus), poeta epico latino (I sec. d.C.). Compose un'opera, l'Argonautica (Argonautiche), rimasta interrotta all'VIII libro. È ispirata all'analoga opera di Apollonio Rodio, ma solo nelle linee generali del mito, perché per il resto il poeta indugia molto in digressioni ed episodi che incontravano il gusto dell'epoca. Influenzò certamente Stazio.Virgilio, Publio Marone.\n(lat. Publius Vergilius Maro), poeta latino (Mantova 70 a.C. - Brindisi 21 a.C.). Ebbe un'accurata istruzione, e strinse amicizia con molti letterati, tra cui Orazio. Conquistata l'amicizia del ministro di Augusto, Mecenate, visse sotto la sua tutela a Napoli, fino a quanto, dopo aver intrapreso un viaggio in Grecia, dovette rientrare precipitosamente in patria dove morì. Lo ricordiamo per l'Eneide (Aeneis), il più grande poema epico latino, nel quale è narrata la fuga del troiano Enea dai lidi della sua città, fino al suo approdo nelle coste del Lazio.\n\nFonti letterarie bizantine.\nEustazio di Tessalonica.\nletterato ed erudito bizantino (Costantinopoli, 1110 ca. d.C. – 1198 d.C.). Monaco dalla vastissima cultura, fu professore di eloquenza a Costantinopoli e poi arcivescovo di Tessalonica, città in cui morì. Scrisse alcuni Commentari alle opere epiche di Omero, conservati in forma autografa, che contengono una mole impressionante di citazioni, spesso lunghe ed integrali, tratte da opere oramai perdute di grammatici e critici di ogni epoca, dall'età classica a quella alessandrina.Tzetzes, Giovanni.\nfilologo bizantino (XII sec. d.C.). Lo ricordiamo per aver scritto molte opere e commenti sulle fonti letterarie mitologiche, tra cui le Questioni su Ilio (Ἱλιαχά), una specie di raccolta di tutte le fonti sulla Guerra di Troia.
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### Titolo: Forbante (figlio di Lapite).\n### Descrizione: Forbante (in greco antico: Φόρβας?, Phòrbās) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe della Tessaglia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Lapite e di Orsinome (figlia di Eurinome), sposò Irmine (Ὑρμίνη, figlia di Epeo), con cui ebbe i figli Augia, Attore e Tifide, anche se secondo altre fonti il padre naturale di Augia potrebbe essere Eleo.\n\nMitologia.\nGià principe della Tessagia, si stabilì ad Elea dove si alleò con il re della città (Alettore) il quale, preoccupato della rivalità con Pelope, ottenne i favori di Forbante dandogli in cambio una parte del suo regno. Questi territori in seguito furono ereditati Augia ed Attore.Si dice anche che sia stato un amante eromenos di Apollo.
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### Titolo: Forbante (figlio di Triopa).\n### Descrizione: Forbànte (in greco antico: Φόρβας?, Phórbās) è un personaggio della mitologia greca. Eroe dell'isola di Rodi.\n\nGenealogia.\nFiglio di Triopa e di Hiscilla (figlia di Mirmidone) (od Orisinome figlia dei mirmidoni). Fu padre di Pellene, eponimo della città di Pellene.\n\nMitologia.\nQuando il popolo dell'isola di Rodi fu vittima di una piaga composta da masse di serpenti, un oracolo profetizzò di chiamare un uomo chiamato Forbante che, una volta coinvolto purificò l'isola dei serpenti e in segno di gratitudine fu venerato come un eroe.\nDopo la sua morte, Apollo lo collocò nella costellazione del Serpentario.\nSecondo Omero, Forbante era più attraente di Apollo.\nIl fatto viene citato nell'opera Astronomica di Igino:.
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### Titolo: Forbas e Anfimedonte.\n### Descrizione: Forbas e Anfimedonte sono due personaggi della mitologia classica, menzionati nelle Metamorfosi di Ovidio. Il secondo dei due non deve essere confuso con uno dei più noti pretendenti di Penelope.\n\nMito.\nForbas e Anfimedonte erano due dei tanti guerrieri che si aggregarono a Fineo quando questi pianificò di riprendersi la nipote Andromeda, figlia di suo fratello Cefeo: la ragazza gli era stata promessa in moglie ma poi Cefeo aveva finito per assegnarla a Perseo. Fineo fece dunque irruzione nella reggia proprio durante il banchetto nuziale, con un gran numero di uomini provenienti perlopiù dall'Africa e dall'Asia, tra cui Forbas e Anfimedonte. Entrambi facevano parte del contingente africano: Forbas infatti era originario di Siene, in Egitto, mentre Anfimedonte era di origine libica, ed è possibile che i due non solo già si conoscessero ma fossero anche amici, dato che si mossero insieme per assalire Perseo. Ma essi scivolarono sul sangue di Ati, il giovanissimo semidio indiano, e del suo amante Licabas, che erano stati uccisi dall'eroe greco poco prima. Ciò provocò la loro caduta a terra: i due guerrieri africani fecero quindi per rialzarsi, ma Perseo fu più rapido, conficcando la sua spada nella gola di Forbas e quindi nella schiena di Anfimedonte.
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### Titolo: Fortificazioni di Micene.\n### Descrizione: Le fortificazioni di Micene sono le mura difensive della città antica di Micene, in Grecia, costruite con l'uso della muratura ciclopica. Con la cittadella costruita su un rilievo, gli architetti hanno creato una protezione non solo per la classe superiore che viveva all'interno delle mura, ma anche per gli agricoltori delle classi inferiori nelle zone circostanti, che potevano trovare rifugio in tempi di guerra. A causa dell'alta competizione nell'età del bronzo tra la metà e la tarda età, la parete della cittadella si espanse significativamente con l'inclusione della Tomba circolare A e l'aggiunta della Porta dei Leoni.\n\nMura della cittadella (espansione e inclusione della Tomba circolare A).\nMicene aveva un muro di grosse pietre irregolari che venivano deposte insieme senza malta. Le mura della cittadella si estesero durante il periodo tardo elladico III (TE III), motivo per cui si riteneva fosse la competizione tra regioni. Nel periodo TE IIIB, la competizione tra le regioni ha portato all'allargamento delle città. Questa espansione non includeva solo la creazione della Porta dei Leoni della Porta posteriore, ma anche l'inclusione della Tomba circolare A all'interno delle mura della cittadella. La porta posteriore nella parte posteriore della cittadella era ritenuta un ingresso per i cittadini provenienti dall'area circostante per entrare nei momenti di attacco.\n\nMuratura ciclopica.\nLa muratura utilizzata per costruire la cinta muraria che circondava Micene era di pietra calcarea. A causa delle dimensioni e del peso di queste pietre, troppo pesanti per essere sollevate da un umano medio, i Greci che successivamente scoprirono queste fortificazioni credettero che fossero il lavoro dei Ciclopi. Pertanto, il progetto delle pareti in pietra è stato chiamato muratura 'ciclopica', in quanto si credeva che questi 'giganti' costruissero muri. Tuttavia, gli archeologi ritengono che le mura siano state ispirate dalle fortificazioni della capitale ittita di Hattusa. Il primo muro 'ciclopico' fu costruito nel periodo del tardo elladico IIIA, quindi ampliato fino a includere la Tomba circolare A nel periodo TE IIIB.\n\nPorta dei Leoni.\nLa struttura dell'ingresso principale aveva uno svantaggio nell'attacco militare. Per entrare, un esercito invasore avrebbe dovuto girare a destra attorno a un alto bastione che sporgeva dal lato destro del cancello. I guerrieri del periodo, tradizionalmente, tenevano i loro scudi sul braccio sinistro e le loro armi nella mano destra, che veniva visualizzata nei reperti del tempo, incluso un anello d'oro con una scena di battaglia. Essendo il lato destro dei guerrieri rivolto verso il bastione, consentiva ai micenei di colpire il lato esposto dei guerrieri. Un altro fatto significativo della Porta è che sopra la porta c'erano due figure di felini giganti. A causa di questo fatto, l'ingresso è stato opportunamente chiamato il 'Porta dei Leoni' Ciò che è insolito in questo fatto è che i leoni non sono originari della Grecia. Il simbolismo complessivo dei leoni sopra la porta non è del tutto chiaro, ma si ritiene che sia stato ispirato anche dall'ingresso principale di Ḫattuša.
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### Titolo: Frisso.\n### Descrizione: Frisso (in greco antico: Φρίξος?, Phríxos) è una figura della mitologia greca, figlio di Atamante re di Beozia e di Nefele.\nFratello di Elle, ebbe dalla sposa Calciope i figli, Argeo, Mela, Frontide e Citissoro. Pausania attribuisce alla coppia anche un quinto figlio di nome Presbone.\n\nMitologia.\nFrisso, a causa della gelosia per la sorella Elle della matrigna Ino (che aveva sposato il padre dopo che questi ne ripudiò la madre) rischiò di essere sacrificato con lei per placare una carestia (sempre causata dagli inganni di Ino) e per evitarlo chiese aiuto alla madre (Nefele) che per salvarlo assieme alla sorella chiese aiuto alla dea Era che gli diede il Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro) con il quale i figli avrebbero potuto fuggire e sottrarsi alla minaccia.\nCosì Nefele inviò l'animale ai suoi figli ed una volta raggiunti questi parlò a Frisso, infondendogli coraggio e convincendoli a salirgli in groppa per volare via, iniziando così uno straordinario viaggio che li portò a sorvolare i mari e le terre fino a quando Elle si addormentò lasciando la presa e cadendo in mare annegandovi.\n\nFrisso invece, proseguì nel suo viaggio e raggiunse la Colchide dove regnava il re Eete, figlio di Elio e di Perseide e fratello della maga Circe.\nQuesti l'accolse benevolmente e gli diede in sposa la figlia Calciope ricevendo in cambio il sacrificio dell'ariete a Zeus ed il suo manto (il vello d'oro) per sé. Eete così lo consacrò ad Ares e lo fece inchiodare ad una quercia in un bosco sacro e mettendovi di guardia un drago che non dormiva mai.\nFrisso visse così presso la corte di Eete fino a giungervi anziano ma un giorno Eete venne a sapere da un oracolo che sarebbe morto per mano di un discendente di Eolo e così uccise Frisso.\nI suoi figli invece riuscirono a ritornare ad Orcomeno dove ritrovarono il loro regno.
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### Titolo: Frontide (figlio di Frisso).\n### Descrizione: Frontide è un personaggio della mitologia greca, figlio di Frisso e di Calciope e fratello di Citissoro, Argeo e Mela.\n\nMitologia.\nDurante un viaggio verso la Colchide la nave dei quattro fratelli subì un naufragio presso l'isola di Ares e così, quando gli Argonauti li salvarono, si unirono a loro nel viaggio verso la conquista del vello d'oro.
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### Titolo: Frontide (la troiana).\n### Descrizione: Frontide è un personaggio della mitologia greca, sposa di Pantoo, indovino e sacerdote di Apollo.\n\nMitologia.\nFrontide mise al mondo diversi figli: i più noti sono Polidamante, Iperenore ed Euforbo.
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### Titolo: Frontoni del tempio di Asclepio a Epidauro.\n### Descrizione: I frontoni del tempio di Asclepio a Epidauro costituiscono, insieme agli acroteri, la decorazione scultorea in marmo pentelico del piccolo tempio eretto tra il 380 e il 375 a.C. nel principale santuario dedicato ad Asclepio, tra quelli della Grecia propria e delle colonie.\nI frammenti superstiti, conservati nel Museo di Epidauro e nel Museo archeologico nazionale di Atene, sono stati riuniti da Nicholas Yalouris ed esposti nel museo di Atene; malgrado la loro frammentarietà rappresentano il migliore esempio, quanto a conservazione, di sculture frontonali appartenenti al IV secolo a.C. e il momento culminante del manierismo postfidiaco, o stile ricco, nelle sue tendenze espressioniste.Entrambi i frontoni si caratterizzano per una evidente drammaticità che si manifesta nelle composizioni intrecciate e nelle figure distorte, nei movimenti spiraliformi e nelle pose di tre quarti che tendono alla creazione dello spazio tridimensionale intorno alle figure.\n\nStoria.\nL'iscrizione su lastra calcarea, rinvenuta negli scavi del tempio da Panagiotes Cavvadias nel 1885, che enumera le spese di costruzione per l'edificio (I.G. IV2 102), ha tramandato in parte i nomi degli scultori attivi alla decorazione dei frontoni e degli acroteri del tempio. Timoteo risulta essere l'esecutore di non meglio specificati rilievi, se questo è il reale significato della parola typoi, la quale viene invece interpretata da Nicholas Yalouris come 'modelli', cioè bozzetti, indicando dunque una partecipazione più ampia di Timoteo alla progettazione della decorazione scultorea del tempio. È certo, in base al resoconto delle spese, che egli dovette eseguire gli acroteri che sormontavano uno dei due frontoni, che si ritiene più frequentemente essere quello occidentale. Il frontone orientale viene attribuito a Hektoridas, e i relativi acroteri a Teodoto, menzionato anche come architetto. Ancora privo di autore resta il frontone occidentale, il cui nome potrebbe essere quello non più leggibile a causa di una lacuna sulla lastra.\n\nDescrizione.\nSu ciascun frontone si distribuivano circa 20 figure, a rappresentare a ovest una animata Amazzonomachia, con un'amazzone centrale a cavallo circondata da gruppi di figure, fino ai due guerrieri sdraiati negli angoli (Atene, 4747 e 4492), e a est una Ilioupersis con figure più grandi rispetto a quelle presenti sul frontone opposto, ma di misura decrescente procedendo verso gli angoli, e la cui ricostruzione risulta maggiormente problematica.\nGli acroteri del frontone occidentale erano costituiti da due Aure, probabilmente opere della bottega di Timoteo, e da una figura centrale di Nike attribuita alla mano di Timoteo stesso. Il frontone orientale era sormontato ai lati da due Nikai giunte in stato frammentario, e da un gruppo centrale costituito probabilmente da Apollo (Atene, 4723) e Coronide, genitori di Asclepio.\n\nStile.\nFrontone occidentale.\nNel frontone occidentale, quello sormontato dagli acroteri scolpiti da Timoteo, lo stile sembra aderire a quello diffuso nelle gigantomachie dipinte sui vasi ateniesi intorno al 400 a.C., che presentano tratti simili nelle pose, negli scorci e nelle sovrapposizioni delle figure, si vedano ad esempio la pelike del Museo archeologico nazionale di Atene 1333 e l'anfora del Louvre S1677. Il trattamento morbido della superficie marmorea è affiancato al ritmo frantumato tipico dello stile ricco. Le teste invece mantengono l'inespressività classica. Nella struttura dei corpi è rintracciabile quella tendenza alla posa di tre quarti e alla torsione che si ritroverà nelle opere attribuite a Skopas; esemplari in questo senso sono le due figure sdraiate agli angoli del frontone e in particolar modo la figura di destra, dove si evince lo stesso tipo di torsione che si ritrova nella Menade di Dresda.\n\nFrontone orientale.\nNel frontone orientale il trattamento del corpo sembra seguire più da vicino la rigida schematizzazione policletea e un ritmo più compatto nel panneggio, il quale copre il corpo più che rivelarlo. Tra le figure identificate vi sono una Cassandra che si aggrappa al Palladio (Atene, 4680 e 4681) e Neottolemo che afferra Priamo per i capelli. L'espressione di terrore sul volto di quest'ultimo è un esempio dell'atteggiamento dello scultore verso l'espressione delle emozioni (Atene, 144).
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### Titolo: Fuga da Troia.\n### Descrizione: Fuga da Troia è un dipinto del pittore italiano Mattia Preti, realizzato a olio su tela (186x153 cm) intorno al 1630. È conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini a Roma.\n\nVicende storiche.\nLa tela viene citata nell'inventario dei beni di Giovanni Torlonia, nel 1824, come opera attribuita a Simon Vouet, mentre in successivi inventari la sua paternità è attribuita ad Alessandro Turchi detto l'Orbetto. Sarà infine Longhi ad assegnare la tela alla mano dell'artista (1916), collocandola nei suoi primi anni di attività.\n\nDescrizione.\nL'opera rappresenta Enea, Ascanio e Anchise fuggenti da Troia in fiamme, secondo quanto raccontato da Virgilio nell'Eneide.
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### Titolo: Fuga di Enea da Troia.\n### Descrizione: La Fuga di Enea da Troia è il soggetto di due dipinti di Federico Barocci di cui, dopo lo smarrimento di uno di essi, si conosce solo la versione custodita nella Galleria Borghese.\nQuest'ultimo dipinto è firmato e datato con l'iscrizione apposta sull'alzata del gradino più in basso della scala sulla sinistra della composizione che recita: FED•BAR•VRB/FAC•MDXCVIII (Federico Barocci Urbinate, fece nel 1598).\n\nStoria.\nLa tela della Galleria Borghese costituisce la seconda versione di un dipinto realizzato su richiesta dell'imperatore Rodolfo II d'Asburgo. Il sovrano, grande amatore d'arte e collezionista, desiderando un'opera del Barocci si rivolse, nel 1586, al duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere, al cui servizio il Fiori operava, chiedendo un quadro del pittore da collocare nelle sue straordinarie raccolte praghesi. Fu lo stesso Rodolfo a dare la precisa indicazione che l'opera non dovesse avere contenuto religioso. Questo spiega la singolarità del soggetto, praticamente l'unico dipinto di historia (quindi, ovviamente, produzione ritrattistica a parte) di tema laico licenziato dal Barocci nell'arco della sua carriera.\nQuesta prima versione della fuga di Enea giunse a Praga nel 1589 e vi rimase fino al 1648 quando la capitale boema fu messa a sacco dalle truppe svedesi sul finire della Guerra dei Trent'anni. Gli svedesi razziarono la collezione asburgica e molte delle opere che ne facevano parte presero la via di Stoccolma.\nIn seguito, il quadro del Barocci fu tra quelli che Cristina di Svezia dopo l'abdicazione portò con sé a Roma. Alla morte della regina la sua cospicua collezione romana, compreso il dipinto in questione, subì vari passaggi di proprietà: l'ultima notizia nota del quadro fatto per Rodolfo d'Asburgo ne attesta l'arrivo in Inghilterra nel diciannovesimo secolo, poi se ne perde ogni traccia e si ignora se esso sia ancora esistente o se sia andato distrutto. Di questa prima versione della fuga da Troia si è conservato il cartone in scala 1 a 1 usato per la stesura della traccia del disegno sulla tela, custodito al Louvre.\nA distanza di alcuni anni monsignor Giuliano Della Rovere, nipote del duca di Urbino, ordinò al Barocci la realizzazione di una seconda versione del dipinto. Si ignora il perché di questa seconda commissione, ma è probabile che l'intento fosse quello di farne dono alla famiglia Borghese, nei cui inventari l'opera è documentata sin dal 1613. Non si sa peraltro se il dono fosse indirizzato a Camillo Borghese (poi asceso al soglio pontificio con il nome di Paolo V) o al di lui nipote Scipione Borghese, cardinale (dal 1605) nonché uno dei maggiori collezionisti e mecenati della Roma del tempo.\nAnche alcuni elementi iconografici del quadro (sui quali più avanti) fanno pensare che esso sia stato realizzato per una destinazione romana il che probabilmente avvalora l'ipotesi che esso sin dall'inizio fosse riservato ai Borghese.\n\nDescrizione e stile.\nCon ogni probabilità la scelta del tema del dipinto destinato a Rodolfo II non fu casuale ma è stata il presumibile veicolo di un omaggio encomiastico alla Casa d'Asburgo che si pretendeva discendente di Enea. Omaggio dinastico verosimilmente connesso ai forti legami del Ducato di Urbino con gli Asburgo (sia del ramo spagnolo che germanico).\nUn nesso altrettanto diretto tra il soggetto della fuga di Enea da Troia e i Borghese, probabili destinatari della seconda versione dell'opera, non sembra invece facilmente individuabile: le proposte critiche in questo senso si limitano a più generici riferimenti alla pietas di Enea - di cui l'episodio raffigurato è certamente esemplificativo - da secoli reinterpretata in chiave di prefigurazione della religione cristiana, o di allusione ai miti fondativi di Roma, concetti che sembrano coniugabili ad un casato, i Borghese appunto, che aveva assunto una posizione preminente nelle gerarchie pontificie e quindi sull'Urbe.\nLa scena raffigurata dal Barocci è narrata nel secondo libro dell'Eneide: Enea resosi ormai conto dell'inutilità della difesa di Troia, all'interno della quale gli invasori Greci già dilagano, fugge dalla città in fiamme portando via con sé la sua famiglia, cioè l'anziano padre Anchise, che porta in braccio, il piccolo figlio Ascanio e sua moglie Creusa.\nEnea e la sua famiglia si trovano all'interno di un edificio dalla rifinite architetture classiche. A terra già si accumulano delle macerie ed una sorta di natura morta di armi e vessilli militari a simboleggiare la caduta della Rocca di Priamo. Dalla finestra a sinistra e dall'arco al centro si vedono baluginare le fiamme dell’incendio appiccato dagli Achei che si danno alla strage dei vinti: il gesto di Ascanio di proteggersi le orecchie evoca l'assordante fragore della devastazione in corso.\nLa cupa atmosfera notturna è interrotta dalle sgargianti tonalità degli incarnati e soprattutto delle vesti dei protagonisti in cerca di scampo.\nMentre Enea, Anchise ed Ascanio formano un gruppo a sé, col bambino che si aggrappa ad una gamba del padre e il vecchio che è sorretto dal giovane eroe, Creusa è relativamente isolata, già qualche passo indietro rispetto agli altri membri della sua famiglia. Con questa scelta compositiva Barocci prefigura la scomparsa di Creusa che avverrà durante la fuga, quando Cibele porterà la moglie di Enea nell'oltretomba. L'espressione e la posa di Creusa, col capo reclinato ed una mano al petto, sembrano quasi evocare la raffigurazione di una Madonna annunciata che si sottomette al volere divino: anche Creusa non può che accettare il fato. La sua scomparsa è infatti necessaria affinché Enea una volta giunto nel Lazio possa dare vita alla nuova stirpe che porterà alla fondazione di Roma.\n\nCirca la posizione di Creusa distanziata dal gruppo familiare si reputa che possa essere stato un plausibile modello compositivo seguito dal Barocci un affresco di identico soggetto di Gerolamo Genga, conterraneo e parente del pittore, dove si osserva la stessa separazione in due gruppi della famiglia in fuga, con la donna distaccata e che sta per essere inghiottita dalla terra.\nSi riscontra poi anche una certa assonanza con il celebre Incendio di Borgo, affresco di Raffaello delle stanze vaticane, ove parimenti compaiono Enea e i suoi in cerca di salvezza: da questo illustre precedente il Barocci probabilmente riprende alcune idee compositive generali ed alcuni dettagli dello sfondo.\nAttraverso l'arco su cui si apre l'ambiente occupato da Enea e i suoi, si vedono in secondo piano alcuni edifici e monumenti che chiaramente riprendono delle reali architetture di Roma. Il tempio circolare è una riproduzione del Tempietto del Bramante di San Pietro in Montorio, mentre la colonna è identificabile con la Colonna Traiana. La Roma moderna e la Roma antica. Probabilmente il senso di questa quinta architettonica è quello di sottolineare che il percorso che Enea sta intraprendendo con l'abbandono della sua patria porterà un giorno alla fondazione di Roma.\nMettendo a raffronto lo sfondo architettonico della replica Borghese con il cartone del Louvre (relativo alla prima versione inviata a Praga), si osservano sostanziali differenze: si ipotizza che il cambiamento, con l'inserimento di reali edifici capitolini, nel primo quadro presumibilmente assenti (non essendocene traccia nel cartone), possa essere dovuto alla destinazione romana della seconda versione (concepita per l'appunto come dono ai Borghese).\nPer la capacità di resa degli affetti dei protagonisti del dipinto e l'efficace restituzione della concitazione degli eventi messi in scena, nella Fuga di Enea da Troia si coglie a livello critico una delle prove del Barocci dalle più spiccate qualità proto-barocche, anticipatrice della pittura del secolo successivo.\n\nL'incisione di Agostino Carracci.\nL'ampia fortuna critica che la Fuga da Troia del Barocci riscosse ai suoi tempi, annoverata tra i maggiori capolavori del maestro urbinate, si ritiene in parte dovuta alla notevole incisione che ne trasse Agostino Carracci, stampa che contribuì a diffondere la conoscenza del dipinto.\n\nCircostanza che ha dato luogo ad un lungo dibattito critico è costituita dal fatto che l'incisione del Carracci è datata 1595, mentre la versione Borghese del Barocci reca una datazione di tre anni successiva. In un primo momento se ne è dedotto che la stampa riproducesse la prima versione dell'opera, cioè quella voluta da Rodolfo d'Asburgo. Questo quadro, tuttavia, al tempo della realizzazione dell'incisione si trovava a Praga già da alcuni anni ed è escluso che Agostino Carracci possa averlo visto. Inoltre nello sfondo della stampa compaiono la Colonna Traiana e il Tempietto del Bramante, dettagli che verosimilmente, come osservato, non erano presenti nel dipinto di Praga, ma solo in quello Borghese, che però è successivo all'incisione.\nIl dilemma è stato risolto (almeno in ipotesi) sostenendo che prima di licenziare la seconda versione Barocci abbia messo a disposizione di Agostino Carracci uno studio preparatorio in cui già compariva l'ambientazione romana dello sfondo.\nA questo proposito vi è nelle collezioni reali di Windsor Castle un disegno ripassato ad olio che per lungo tempo si è pensato fosse stato vergato da Agostino Carracci proprio quale preparativo della sua stampa. Una revisione critica di questa attribuzione ha però successivamente assegnato il foglio inglese allo stesso Barocci, individuandovi il possibile modello - antecedente alla stesura su tela della seconda versione della Fuga, ma già contenente i dettagli di sfondo poi inseriti anche nel quadro - che il Fiori avrebbe messo a disposizione di Agostino Carracci per consentirgli la realizzazione dell'incisione.\n\nIl gruppo del Bernini.\nDiversi anni dopo l'ingresso della tela del Barocci nelle collezioni dei Borghese, il cardinale Scipione Borghese commissionò ad un giovanissimo Gian Lorenzo Bernini un gruppo scultoreo di identico soggetto, licenziato nel 1619 e anch'esso tuttora in Galleria Borghese.\nUn'antica descrizione delle raccolte d'arte situate nel Casino nobile della Villa pinciana edificata dal Cardinal Nepote, risalente al 1650, attesta che l'Enea berniniano era situato proprio davanti (di spalle) alla tela del Barocci. Si ritiene però probabile che sin dall'inizio sia stata questa la collocazione destinata alla statua, in diretta e voluta relazione con il dipinto del pittore urbinate.\nSi pensa infatti che il gruppo del Bernini possa essere stato commissionato da Scipione Borghese per dar vita ad un paragone tra le due opere, cioè un esempio di quella virtuosa competizione tra pittura e scultura che sin dal Rinascimento era oggetto di interesse e dibattito tra i teorici, gli amatori d'arte e gli artisti.\nOltre alla generale ripresa del tema, il Bernini, secondo alcune prospettazioni critiche, avrebbe mutuato dal dipinto anche alcune soluzioni compositive ed in particolare la figura del piccolo Ascanio, simile per espressione e per la capigliatura copiosamente riccioluta a quello del Barocci.\n\nDisegni preparatori.\nIn merito alla Fuga di Enea da Troia si conserva un numero piuttosto cospicuo di disegni preparatori. È difficile stabilire se essi facciano riferimento alla prima o alla seconda versione del dipinto, salvo il caso in cui contengano particolari dello sfondo relativi ai monumenti romani che dovrebbero più agevolmente riferirsi alla versione Borghese, assumendo che lo sfondo della prima versione fosse diverso. Tra questi si segnalano uno studio del Tempietto del Bramante e un abbozzo dell'insieme della composizione dove in sfondo si vedono lo stesso edificio rinascimentale e la Colonna Traiana.
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### Titolo: Galantide.\n### Descrizione: Galantide (greco Γαλινθιάς, latino Galanthis) è la figlia del tebano Proteo ed è amica o ancella di Alcmena. Si ritrova Galantide nel mito della nascita di Alcide, che verrà in seguito chiamato Eracle. Alcmena, ormai giunta in prossimità del parto del figlio di Zeus, era ostacolata da Era, che aveva inviato la figlia Ilizia e le Moire per impedire ad Alcmena di partorire. Galantide inganna con astuzia Ilizia e Moire dicendo che il parto era già avvenuto nonostante il loro restare a gambe incrociate per impedire la nascita del bambino. Le quattro, stupite che il sortilegio non avesse funzionato, entrarono nella stanza di Alcmena, dove scoprirono che erano state truffate da Galantide.\nEra, irata dalla nascita del figlio di Zeus e dall'imbroglio di Galantide, tramutò quest'ultima in donnola condannandola a partorire i figli dalla bocca.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Galantide.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Galinthias, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Gamelii.\n### Descrizione: I Gamelii (in greco: Γαμήλιοι θεοί) erano le divinità protettrici dei matrimonii nell'antica Grecia.\n\nStoria.\nSecondo Plutarco, coloro che si sposavano richiedevano la protezione di cinque divinità: Zeus, Hera, Afrodite, Peito e Artemide. Ma è probabile tuttavia che quasi tutti gli dei potessero essere considerati protettori dei matrimonio, sebbene i cinque citati da Plutarco lo fossero più degli altri. Gli ateniesi chiamavano Gamelione il settimo mese del calendario attico a causa di queste divinità.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ganimede (mitologia).\n### Descrizione: Ganimede (in greco antico: Γανυμήδης?, Ganymḕdēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe dei Troiani. Omero lo descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo.\n\nIn una versione del mito viene rapito da Zeus in forma di aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo: la storia che lo riguarda è stata un modello per il costume sociale della pederastia greca, visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente accettato tra un uomo adulto e un ragazzo. La forma latina del nome era Catamitus, da cui deriva il termine catamite, indicante un ragazzo che in una relazione, o durante un semplice rapporto, assume un ruolo passivo-ricettivo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Troo e di Calliroe (o di Acallaride).\nLe varianti della sua ascendenza sono molte, Marco Tullio Cicerone scrive che sia figlio di Laomedonte, Tzetzes che sia figlio di Ilo, per Clemente Alessandrino è figlio di Dardano e secondo Igino suo padre fu Erittonio oppure Assarco.\nNon risulta aver avuto spose o progenie.\n\nMitologia.\nIl tema mitico fondante di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono sia il re di Creta Minosse sia Tantalo ed Eos, come infine il re degli dei Zeus, così come si racconta nelle varie versioni della stessa leggenda.\nNell'Iliade di Omero, Diomede racconta che il Signore degli Dei, affascinato dalla sublime beltà rappresentata dal ragazzo, lo volle rapire nei pressi di Troia in Frigia, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro: il padre si consolò pensando che suo figlio era ormai divenuto immortale e sarebbe stato d'ora in avanti il coppiere degli Dei, una posizione che era considerata di gran distinzione.\nZeus per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da enorme aquila; sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando il suo gregge sulle pendici del monte Ida, nelle vicinanze della città iliaca, se lo portò quindi sull'Olimpo dove ne fece il suo amato. Per questo motivo nelle opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila, abbracciato a essa, o in volo su di essa, e, in varie opere d'arte, è quindi raffigurato con la coppa in mano.\nWalter Burkert ha trovato un precedente riguardante il mito di Ganimede in un sigillo in lingua accadica raffigurante l'eroe-re Etana di Kish volare verso il cielo a cavalcioni proprio di un'aquila. Da alcuni viene anche associato con la genesi della sacra bevanda inebriante dell'idromele, la cui origine tradizionale è proprio la terra di Frigia.Tutti gli dei erano riempiti di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a loro, con l'eccezione di Era; la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito. Il padre degli Dei ha successivamente messo Ganimede nel cielo come costellazione dell'Acquario la quale è strettamente associata con quella dell'Aquila e da cui deriva il segno zodiacale dell'Acquario.\n\nMito iniziatico.\nLa coppia Zeus-Ganimede costituisce il modello mitico del rapporto omoerotico tra maschio adulto e giovinetto, relazione colorantesi spesso di un significato iniziatico (vedi la pederastia cretese) in quanto finalizzata - anche attraverso il legame sessuale - all'inserimento del giovane nella comunità dei maschi adulti. Questi amori 'paidici' di un adulto amante-erastès che rapiva simbolicamente un giovinetto passivo-eromenos potevano venir praticati attraverso schemi rituali imitanti i veri e propri rapporti matrimoniali e dove, in un luogo appartato, avveniva la sua iniziazione sessuale.Zeus e Ganimede, rappresentando la perfetta coppia di amanti maschili, sono stati come tali cantati dai poeti. Il cosiddetto 'tema di Ganimede' era adottato durante il simposio a modello dell'amore efebico: se anche il Signore degli dei fu incapace di resistere alle grazie di un fanciullo, come avrebbe potuto farlo un mortale e poter rimanerne immune?.\nCertamente nella mitologia greca si riscontra la grande voglia di Zeus nel sedurre le Dee, ninfe, ecc.; per questo a volte si considera il padre degli dei strettamente d'accordo all'eterosessualità.\n\nFilosofia.\nPlatone rappresenta l'aspetto pederastico del mito attribuendo la sua origine a Creta e ponendo, quindi, il rapimento sull'omonimo monte Ida dell'isola: la sua è una critica dell'usanza della pederastia cretese che aveva oramai perduto quasi completamente la sua funzione originaria, accusando quindi i Cretesi di essersi inventati il mito di Zeus e Ganimede per giustificare i loro comportamenti.\nNel dialogo platonico poi Socrate nega che il bel giovane possa mai esser stato l'amante carnale del padre degli Dei, proponendone, invece, un'interpretazione del tutto spirituale: Zeus avrebbe amato l'anima e la mente o psiche del ragazzo, non certo il suo corpo.\nIl neoplatonismo ci offre una rappresentazione mistica del rapimento di Ganimede; esso sta a significare il rapimento dell'anima a Dio, e in questo senso è stato usato, anche in opere d'arte funerarie e anche durante il Neoclassicismo, sia nell'arte figurativa sia in letteratura. Si veda, per un esempio, il Ganymed di Johann Wolfgang von Goethe del 1774.\n\nPoesia.\nIn poesia Ganimede divenne un simbolo dell'attrazione e del desiderio omosessuale rivolto verso la bellezza giovanile dell'adolescenza. La leggenda fu menzionata per la prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica; di essa parla anche il poeta latino Publio Ovidio Nasone nella sua opera Le metamorfosi, poi Publio Virgilio Marone nell'Eneide all'interno del proemio, Apuleio e infine anche Nonno di Panopoli nel suo poema epico intitolato Dionysiaca narrante la vita e le gesta del dio Dioniso.\nVirgilio ritrae con pathos la scena del rapimento: il ragazzo che lo accompagna tenta invano di trattenerlo con i piedi sulla terra, mentre i suoi cani abbaiano inutilmente contro il cielo. I cani fedeli che continuano a chiamarlo con latrati disperati anche dopo che il loro padrone è sparito nell'alto dei cieli è un motivo frequente nelle rappresentazioni visive e vi fa riferimento anche Stazio.\nMa egli non è sempre raffigurato come acquiescente: ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio ad esempio Ganimede risulta essere furibondo contro Eros per averlo truffato nel gioco d'azzardo con gli astragali, Afrodite si trova così costretta a rimproverare il figlio di barare come un principiante.\nNell'opera Come vi pare di William Shakespeare il personaggio di Rosalind si traveste da uomo quando deve andare nella foresta di Arden, scegliendo il nome di Ganimede: ciò ha portato ad approfondire lo studio del rapporto che si era creato tra Rosalind e sua cugina Celia, il quale andava ben oltre la semplice amicizia, avendo dei tratti molto simili all'amore, in questo caso omosessuale.\n\nAstronomia.\nPer il rapporto esistente fra Giove e Ganimede, il maggiore satellite naturale del pianeta Giove - il pianeta più grande del sistema solare e per questo chiamato per omologia come la versione latina di Zeus, ovvero Giove - è stato battezzato appunto Ganimede da Simon Marius. Gli è inoltre stato dedicato l'asteroide scoperto nel 1925, 1036 Ganymed.\n\nNelle arti.\nNella scultura una delle immagini più famose di Ganimede è il gruppo scultoreo di Leocare del IV secolo a.C. (lo stesso a cui viene attribuito anche l'Apollo del Belvedere) e tanto ammirato da Plinio il Vecchio: «Leocare [ha realizzato] un'aquila che trattiene con forza Ganimede; innalza il fanciullo piantandogli gli artigli nella sua veste.» Questo particolare del rapimento tramite l'aquila è stato spesso elogiato anche in seguito. Stratone di Sardi lo evoca in uno dei suoi epigrammi, così come fa anche Marco Valerio Marziale.\nLa leggenda di Ganimede ha ispirato anche un gruppo in terracotta, probabilmente originario di Corinto e oggi conservato nel Museo Archeologico di Olimpia: questo è uno dei pochi esempi di grande scultura in terracotta, e una rappresentazione scultorea molto rara della coppia in cui Zeus si mantiene in forma umana.\nNella ceramica il tema di Ganimede si ripete spesso, di solito raffigurato nei crateri, quei particolari grandi vasi entro cui venivano mescolati acqua e vino durante i banchetti (o simposi) che si svolgevano solo tra uomini, in cui gli ospiti gareggiavano in immaginazione poetica e filosofica per celebrare i meriti dei loro rispettivi eromenos. Tra i più famosi è incluso il cratere a figure rosse che ritrae da un lato Zeus in pieno esercizio, dall'altro Ganimede mentre sta giocando con un grande cerchio, il simbolo della sua giovinezza: il ragazzo è completamente nudo, così come vuole la tradizione antica sportiva di origine in parte pederastica (vedi nudità atletica).\n\nIl Rinascimento ha visto riapparire innumerevoli rappresentazioni di questo mito, con artisti quali Michelangelo Buonarroti, Benvenuto Cellini e Antonio Allegri tra tutti. In questo periodo è anche uno dei temi con più forte significato omoerotico, divenendo una sorta di icona gay ante litteram almeno fino al XIX secolo inoltrato.\nQuando il pittore-architetto Baldassarre Peruzzi include un pannello riguardante il rapimento di Ganimede in uno dei soffitti di Villa Farnesina a Roma (1509-1514 circa), i lunghi capelli biondi del ragazzo e l'aspetto effeminato contribuiscono a farlo rendere identificabile a prima vista: si lascia difatti catturare verso l'alto senza opporre la minima resistenza.\nNel Ratto di Ganimede di Antonio Allegri detto Il Correggio la sua figura e l'intera scena è più contestualizzata intimamente. La versione del Ratto di Ganimede di Pieter Paul Rubens ritrae invece un giovane uomo. Ma quando Rembrandt dipinse il suo Ratto di Ganimede per un mecenate calvinista olandese nel 1635, ecco che un'aquila scura porta in alto un bambino paffuto in stile putto, che strilla e si fa la pipì addosso per lo spavento.\n\nGli esempi di Ganimede nel XVIII secolo in Francia sono stati studiati da Michael Preston Worley. L'immagine raffigurata era invariabilmente quella di un adolescente ingenuo accompagnato da un'aquila, mentre gli aspetti più omoerotici della leggenda sono stati raramente affrontati: in realtà, la storia è stata spesso 'eterosessualizzata'. Inoltre, l'interpretazione del mito data dal Neoplatonismo, così comune nel Rinascimento italiano, in cui l'amore per Ganimede ha rappresentato la salita alla condizione di perfezione spirituale, sembrava non essere di alcun interesse per i filosofi e i mitografi dell'Illuminismo.\nJean-Baptiste Marie Pierre, Charles-Joseph Natoire, Guillaume II Coustou, Pierre Julien, Jean-Baptiste Regnault e altri hanno contribuito ad arricchire le immagini di Ganimede nell'arte francese tra fine XVIII e inizio XIX secolo.\nLa scultura che ritrae Ganimede e l'aquila di José Álvarez Cubero, eseguita a Parigi nel 1804, ha portato all'immediato riconoscimento dell'artista spagnolo come uno degli scultori più importanti del suo tempo.\nL'artista danese Bertel Thorvaldsen, di gran lunga il più notevole degli scultori danesi, ha scolpito nel 1817 una scultura dedicata alla scena di Ganimede e l'aquila.\n\nAltro.\nNel linguaggio corrente il nome di Ganimede è passato a indicare un bellimbusto, un damerino o anche un giovane amante omosessuale.\n\nAlbero genealogico.