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@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dodona.\n### Descrizione: Dodona (in greco Δωδώνη?) era un'antica città situata nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, dove si trovava un oracolo dedicato a due divinità Greche, Zeus, il dio del fulmine re dell'Olimpo, e la Dea Madre, identificata con Dione (mentre in altri luoghi era associata a Rea o Gaia). Secondo quanto riportato dallo storico del V secolo Erodoto, Dodona fu il più antico oracolo di tutta la Grecia; sicuramente sorto in epoca pre-ellenica, è forse risalente al II millennio a.C.\nLo studioso di Oxford e membro della British Academy Martin Litchfield West ha sostenuto nel 2007 che il sito religioso di Dodona nell'Iliade di Omero era un'istituzione illirica e che la dea Demetra ha un'etimologia correlata all'illirico 'Da-' (Alb. 'dhe' [ terra]).\n\nCulti e storia del santuario.\nA Dodona, Zeus fu associato ad un altro dio pre-ellenico sconosciuto, e veniva adorato col nome di Zeùs Molossòs o di Zeùs Nàios. Originariamente dedicato alla sola Dea Madre, il sito fu poi condiviso sia da Zeus sia da Dione, la forma femminile di Zeus a volte associata come sua sposa e il nome della quale, così come Zeus, significa semplicemente 'divinità'. Tuttavia, durante l'epoca classica, Dione venne destinata a ricoprire un ruolo di minor rilevanza, poiché la consorte del re degli dèi era considerata la gelosissima Era.\nAll'epoca in cui Omero compose l'Iliade (800-750 a.C. ca.), non era presente nessun edificio nel sito, e i Selloi, i sacerdoti del culto, dormivano sul terreno senza alcun riparo. Precedentemente al IV secolo a.C. c'era invece un piccolo tempio in pietra dedicato a Zeus. Da quando Euripide nominò Dodona nella sua opera Melanippo, ed Erodoto scrisse dell'oracolo, si installò anche un corpo di sacerdotesse.\nIl culto, incentrato attorno alla quercia sacra a Zeus, prevedeva l'interpretazione da parte dei Selloi del fruscío delle foglie dell'albero sacro a Zeus, in una prima fase, mentre con l'avvento del collegio femminile di sacerdotesse, l'oracolo veniva probabilmente divinato attraverso deliri mistici e transe ispirate dal dio, in modo simile a quanto avveniva nei santuari di Delfi o della Sibilla Eritrea d’Asia Minore. Gli uccelli, come le colombe selvatiche o l'aquila (uccello sacro a Zeus), avevano un ruolo centrale nell'oracolo, in qualità di intermediari fra il mondo dei vivi e la divinità.\nNonostante non riuscisse ad eclissare la fama e ricchezza dell'oracolo di Apollo a Delfi, Dodona acquistò allo stesso modo una certa importanza e celebrità fra i Greci. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, la narrazione dei viaggi di Giasone e degli Argonauti, la nave di questi ultimi aveva la capacità di profetizzare perché un'asse della sua carena era stata intagliata nel legno di una quercia proveniente da Dodona.\nNel III secolo a.C., Pirro, re dell'Epiro, fece ricostruire il santuario di Zeus in maniera grandiosa, aggiungendo molti altri edifici, con festeggiamenti che prevedevano giochi atletici, agoni musicali e tragedie da rappresentarsi nel nuovo teatro. Furono costruite delle mura che circondavano l'oracolo e gli alberi sacri, così come vennero edificati i templi di Eracle e Dione.\nNel 219 a.C., gli Etoli invasero la regione e bruciarono il tempio fino alle fondamenta. Nonostante Filippo V di Macedonia avesse fatto ricostruire tutti gli edifici più grandi e belli di quanto fossero mai stati, e avesse aggiunto al complesso uno stadio per i giochi annuali, l'oracolo di Dodona non si riprese mai completamente. Nel 167 a.C. il centro fu nuovamente distrutto e poi saccheggiato dalla tribù trace dei Maedi. Fu poi ancora riedificato, per l'ultima volta, nel 31 a.C. grazie all'imperatore Augusto. Quando il geografo e viaggiatore Pausania vi sostò nel 167 d.C., Dodona era ridotta ad una singola quercia. I pellegrini ad ogni modo continuarono a consultare l'oracolo fino al 391 d.C., quando i cristiani abbatterono l'albero. Anche se ciò che rimaneva della città era un insignificante agglomerato di casupole, il vecchio sito pagano dovette sembrare di una certa importanza alla comunità cristiana, visto che il vescovo di Dodona partecipò al Concilio di Efeso nel 431.\nScavi archeologici durati ben più di un secolo hanno riportato alla luce diversi manufatti, molti dei quali sono ora conservati al Museo Archeologico Nazionale di Atene, altri al museo archeologico sito vicino a Ioannina.\n\nErodoto e le origini di Dodona.\nQuando nel V secolo a.C. Erodoto giunse per i suoi studi a Tebe (in Egitto), alcuni sacerdoti della città gli raccontarono che due grandi sacerdotesse erano state rapite dai Fenici molto tempo addietro, e che una fu venduta come schiava in Libia, l'altra in Ellade; costoro furono le fondatrici dei due più importanti santuari dedicati al dio supremo: Dodona (nel quale era adorato Zeus) e Siwa in Libia (ove si venerava Amon, divinità egizia che i greci identificarono con il padre degli dei olimpici). Secondo tradizioni mitologiche, l'oracolo di Amon nell'oasi di Siwa in Libia e quello epirota di Dodona sarebbero stati ugualmente antichi, similmente trasmessi dalla cultura fenicia, e con una forte somiglianza nelle forme di divinazione a causa dell’origine egizia comune ai due culti.\n\nEcco come Erodoto racconta di ciò che gli fu riferito dalle sacerdotesse stesse, chiamate peleiades ('colombe'), a Dodona:.\n\nL'elemento della colomba potrebbe essere comparato all'etimologia popolare del nome arcaico con cui si indicavano le donne sacre, che non aveva perso di significato. L'elemento pel- di peleiadi potrebbe essere collegato con l'omografa radice (traducibile con 'nero', 'fangoso') nei nomi 'Peleo' o 'Pelope'.\nErodoto aggiunge:.\n\nThesprotia, sulla costa a ovest di Dodona, non sarebbe stata mai accessibile ai navigatori Fenici, che già i lettori di Erodoto ritenevano non essere penetrati così tanto all'interno da raggiungere Dodona.Molti secoli dopo, anche i cristiani rimasero affascinati dal mito delle colombe, che interpretarono come un veicolo dello spirito di Dio.\n\nGalleria d'immagini.\nDodona.
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### Titolo: Dolopione.\n### Descrizione: Dolopione è un personaggio della mitologia greca, citato nell'Iliade di Omero.\n\nMitologia.\nDolopione era un troiano, suddito di Priamo e suo coetaneo. Era padre del bellissimo Ipsenore, il gran sacerdote del fiume Scamandro: entrambi erano tenuti in grande considerazione dai loro concittadini. A causa dell'età avanzata Dolopione non poté combattere nella guerra di Troia. S'ignora la sua sorte dopo la caduta della città.
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### Titolo: Dolos (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Dolos (in greco antico: Δόλος) era lo spirito di trucchi, inganni, astuzie e artifici. Era il figlio di Gea ed Etere o Erebo e Notte.Dolos è un apprendista del titano Prometeo e un compagno degli Pseudologi (Bugie). La sua controparte femminile è Apate, che è la dea della frode e dell'inganno. Il suo equivalente romano è Mendacio. Esistono anche alcune storie in cui Dolos inganna gli dei attraverso bugie.
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### Titolo: Domus di Amore e Psiche.\n### Descrizione: La domus di Amore e Psiche è una domus tardoantica della città romana di Ostia, costruita in opera listata nel secondo quarto del IV secolo, su una precedente fila di taberne di II secolo.\nL'ingresso si apre su un diverticolo di via del tempio di Ercole, nel settore a nord di via della Foce, poco fuori dalla porta occidentale dell'antico castrum. Nella numerazione data dagli scavatori l'edificio è il n.5 dell'isolato XIV della regione I (I,XIV,5).\nPrende il nome da un piccolo gruppo statuario con Amore e Psiche, rinvenuto in uno dei cubicoli (stanze da letto) e sostituito da un calco in gesso danneggiato da azioni vandaliche.\nDue delle taberne sul lato ovest, con ingresso indipendente su via del tempio di Ercole, sono rimaste in attività, espandendosi anche nel portico che in origine le precedeva.\n\nDescrizione.\nL'accesso è da un vestibolo sul lato sud, con banchi in muratura rivestiti in marmo, addossati alle pareti. Il vestibolo si apre con una porta laterale su un ambiente centrale con banco addossato all'estremità sud e pavimentato con un mosaico geometrico policromo. Di fronte all'ingresso un corridoio accede ad una piccola latrina privata.\nA sinistra si aprono tre piccole stanze (probabilmente cubicoli, o stanze da letto). Le due laterali sono pavimentate con mosaico geometrico in bianco e nero e una aveva pareti affrescate. Il cubicolo centrale aveva pavimento in opus sectile e rivestimento in lastre di marmo della parte bassa delle pareti; al centro un sostegno marmoreo reggeva un piccolo gruppo scultoreo sempre in marmo con Amore e Psiche, che ha dato il nome alla casa.\nSul lato opposto dell'ambiente centrale, quattro arcate su colonne danno su un piccolo giardino interno, con ninfeo (fontana monumentale) sul lato di fondo. Il ninfeo presenta un podio con cinque nicchie semicircolari, con un piccolo scivolo scalettato in marmo per far scendere l'acqua; al di sopra la parete presenta altre cinque nicchie per statue, alternativamente rettangolari e semicircolari, in origine rivestite a mosaico, inquadrate da colonnine in marmo lunense.\nSul fondo sopraelevata con un gradino, si apre la sala di rappresentanza, che probabilmente doveva avere un'altezza di due piani, con pavimento in opus sectile di grande qualità e con parte inferiore delle pareti rivestita in marmo. Sulla parete di ingresso è una nicchia con fontana. Dalla sala si apre sul lato sinistro l'accesso alla scala interna per il piano superiore che probabilmente si estendeva solamente sulle quattro stanze più piccole.
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### Titolo: Doro (mitologia greca).\n### Descrizione: Doro (in greco antico: Δῶρος?, Dṑros) è un personaggio della mitologia greca, eponimo e capostipite dei Dori.\n\nGenealogia.\nSecondo Apollodoro è il figlio primogenito di Elleno e della ninfa Orseide ed è fratello di Suto e Eolo ed i suoi figli furono Tettamo, Egimio e Iftime.\nEuripide presenta una genealogia leggermente diversa: Doro e Acheo sarebbero, secondo questo autore, i figli di Suto, figlio di Elleno, mentre Ione sarebbe il loro fratello adottivo, in realtà figlio di Apollo.\nInfine Apollodoro apparentemente distingue due personaggi di nome Doro: il primo è il figlio di Elleno e Orseide, il secondo è un etolico, figlio di Apollo e Ftia e padre di Santippe.\n\nMitologia.\nDoro si fermò nel Peloponneso, dove diede origine alla stirpe dei Dori.\nSecondo Diodoro Siculo, suo figlio, Tettamo, ha portato il reinsediamento di Eoli e Pelasgi a Creta.\n\nInterpretazione.\nIl mito apparentemente collega i vari popoli ellenici, che invasero la Grecia nel II millennio a.C., in un'unica stirpe, discendente da Deucalione, il patriarca che sopravvisse alla versione greca del diluvio universale. Mentre gli Eoli si identificarono con questo mito, e rivendicarono la discendenza da Eolo, i cui figli hanno largo spazio nella mitologia, i Dori preferirono invece identificare in Eracle il loro antenato, tanto che nel mito il personaggio di Doro ha in realtà poco spazio, e l'invasione dorica è rappresentata prevalentemente dai racconti sul ritorno degli Eraclidi, ovvero i discendenti di Eracle.
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### Titolo: Drachio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Drachio è un guerriero acheo nella guerra di Troia citato nel libro XIII dell'Iliade.\n\nIl mito.\nDrachio è ricordato nel tredicesimo libro dell'Iliade tra gli Epei che seguono Mege per battersi nella guerra contro Troia, in Asia Minore. Nel secondo giorno di battaglia cantato nel poema epico Drachio accorre al seguito del capo epeo (in cui compare anche il guerriero Anfione) e saldamente respinge le orde troiane che affluiscono sulla spiaggia sospinte da Ettore per appiccare fuoco alle navi.
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### Titolo: Drago greco.\n### Descrizione: I draghi greci (in greco antico: δράκων?, drákōn, dal verbo δέρκομαι dérkomai, 'guardare attentamente', probabilmente per le credenze popolari sullo sguardo paralizzante del serpente) sono creature leggendarie serpentiformi ricorrenti nella mitologia greca, dove talvolta giocano un grande ruolo. Alcuni autori parlano di drakaina (δράκαινα) per designare le femmine di drago, ad esempio nella storia di Pitone contenuta negli inni omerici dedicati a Febo.\n\nDescrizioni.\nA differenza dell'iconologia dei draghi medievali, alla quale sono stati assimilati e paragonati, presentano principalmente fattezze serpentiformi, raramente con ali e zampe.\nGli antichi testi si riferiscono ai dragon come a dei grandi serpenti, alcuni dei quali con favolosi attributi: un respiro velenoso, molte teste, ecc. altre volte questi dragoni sono stati designati nei testi antichi semplicemente con il nome di óphis (ὄφις, 'serpente'). Così nella Teogonia di Esiodo, il drago Ladone è designato dalla parafrasi δεινὸν ὄφιν, 'il terribile serpente'.\nQueste creature mostruose sono spesso poste dagli Dèi a protezione di tesori e/o luoghi sacri, come descritto nelle fonti greche che utilizzano il termine drákōn per riferirsi sia a serpenti di grossa taglia sia a questi mitici draghi custodi. Questo doppio significato evidenzia così il ruolo di sorveglianti e custodi che gli vengono attribuiti.\n\nElenco dei draghi greci.\nLadone.\nLadone sorvegliava le mele d'oro attorcigliato attorno all'albero nel giardino delle Esperidi. Veniva anche descritto con un centinaio di teste. Fu ucciso da Eracle. Dopo pochi anni, gli Argonauti passarono nello stesso punto, durante il viaggio di ritorno sotterraneo dalla Colchide al lato opposto del mondo, e avvertirono il lamento dell'Aquila del Caucaso (Æthonem aquilam: Igino Fabulae), per gli spasmi dell'uccisione di Ladone che ancora non erano cessati (Argonautiche, libro IV). È associato con la costellazione Draco.\nLadone è affibbiato da diverse miti arcaici a varie ascendenze, quali quella di «Ceto, unitasi in amore con Forco» (Esiodo, Teogonia, 333) o di Tifone, che era lui stesso un drago-serpente dalla vita in giù, ed Echidna (Biblioteca 2.113; Igino, prefazione a Fabulae), oppure dalla sola Gaia, o anche, nella sua manifestazione olimpica, da Era, dato che «il Drago che custodiva le mele d'oro è stato il fratello del leone Nemeo» asserito da Tolomeo Efestione in una sua opera andata perduta (Storia nuova), ma sintetizzata nella Biblioteca di Fozio.\n\nIdra di Lerna.\nL'Idra di Lerna, figlia di Tifone ed Echidna, era un drago-fluviale, conosciuta oltreché per le sue emanazioni velenose dal respiro, dal sangue e dalle zanne, anche per il numero dei suoi capi, da cinque a cento, anche se la maggior parte delle fonti la ritraggono con un numero di teste che inizialmente va da sette a nove all'incirca, poi per ogni testa tagliata, una o più d'una ricrescevano di nuovo al posto di quella mozzata (Diodoro di Sicilia; Ovidio, Metamorfosi). Tra le sue teste una sola aveva la caratteristica di essere immortale rimanendo in vita anche se fosse elisa dal corpo. Alcuni resoconti sostengono che il capo immortale fosse fatto d'oro. Visse in una palude nei pressi di Lerna e spesso terrorizzò la gente del paese fino a quando fu sconfitta da Eracle, che compiendo una delle sue fatiche, recise tutte le teste dell'Idra, aiutato del nipote Iolao, che ripassava i monconi con un tizzone ardente per prevenire eventuali ricrescite di nuove teste. Era provò a inviare un granchio gigante per distrarre Eracle, ma egli lo schiacciò semplicemente sotto il suo piede. In seguito Era lo pose nel firmamento come costellazione del Cancro. Dopo aver ucciso il serpente, Eracle seppellì la testa immortale sotto una roccia e immerse le sue frecce nel sangue della creatura per renderle fatali contro i suoi nemici. In una versione, le frecce avvelenate si sarebbero dimostrate la rovina del suo maestro centauro Chirone, poi collocato nei cieli come la costellazione Centaurus.\n\nPitone.\nNella mitologia greca Pitone era il dragone terreo che sorvegliava Delfi, da sempre rappresentato nelle pitture vascolari e da scultori come serpente. Miti diversificati ritraggono Pitone di volta in volta o come un maschio o una femmina (drakaina). Pitone era il nemico ctonio di Apollo, che uccise per rimpossessarsi del suo oracolo, il più celebre in Grecia.\nSono narrate varie versioni della nascita di Pitone e della sua morte per mano di Apollo; nel primo inno omerico ad Apollo, oltre al dettaglio della lotta del Dio celeste con il serpente. La versione riportata da Igino sostiene che quando Zeus concepì con la dea Leto, Artemide e Apollo, Era inviò Pitone per perseguitarla ovunque si fosse recata, così facendo il sole, che era portato da Apollo, splendeva sempre ogni giorno circolando a causa della fuga. Quando Apollo crebbe decise di sconfiggere la sua nemesi, facendosi strada verso il Parnaso dove il dragone dimorava, incoraggiato da un oracolo di Gaia a Delfi, penetrò attraverso il recinto sacro e lo/la uccise con le sue frecce accanto alla fessura della roccia dove la sacerdotessa sedeva sul suo cavalletto. La sacerdotessa dell'Oracolo venne poi intesa come Pizia, dal toponimo Pito, a causa della putrefazione (πύθειν) del corpo del serpente dopo che era stato ucciso.\n\nDrago della Colchide.\nIl drago della Colchide (in georgiano კოლხური დრაკონი?), figlio di Tifone ed Echidna, custodisce il vello d'oro. Gli fu ordinato di non riposare mai per non abbassare la vigilanza. Secondo Ovidio (Metamorfosi) il mostro aveva una cresta e tre lingue. Quando Giasone partì per recuperare il Vello, la strega Medea gli consigliò di far addormentare il dragone con la sua magia e con un siero soporifero, ma anche di utilizzare il talento musicale di Orfeo per assopirlo con la sua lira. In seguito, Medea lo mise tra i suoi draghi da traino per il carro.\n\nDrago Ismeneo.\nIl drago ismeneo, o ismenio, cioè della terra della ninfa Ismene (figlia di Asopo), nei pressi di Tebe, è stato ucciso da Cadmo. Figlio di Ares, in seguito il dio della guerra tramutò l'eroe che lo uccise in un serpente.
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### Titolo: Driante (figlio di Ares).\n### Descrizione: Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ares.\n\nIl mito.\nPartecipò alla caccia al cinghiale di Calidone e combatté a fianco dei Lapiti contro i Centauri. Il fratello Tereo, fraintendendo la risposta di un oracolo, lo uccise, temendo che fosse proprio Driante il congiunto che avrebbe assassinato il suo figlioletto Iti.\n\nInterpretazione.\nProbabilmente la scena della morte di Driante in realtà mostrava una quercia (Driante significa quercia) e un sacerdote che prevedeva il futuro, al modo druidico.
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### Titolo: Driante (figlio di Licurgo).\n### Descrizione: Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licurgo re della Tracia.\nTrovò la morte ancora fanciullo quando il padre, impazzito per il volere degli dei, lo colpì più volte con un'accetta scambiandolo per un tralcio di vite, pianta sacra al dio Dioniso, il cui culto Licurgo aveva cercato di estirpare. Dopo questo tragico evento le terre di Licurgo, inorridite per l'accaduto, divennero sterili.\n\nFonti.\nRobert Graves, I miti greci.\nIgino, Fabulae.\nPausania, Periegesi della Grecia, Libro I.\nApollodoro, Libro III.\nSofocle, Tereo, frammenti.
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### Titolo: Driope (Iliade).\n### Descrizione: Driope è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nDriope era un guerriero troiano che combatté contro Achille quando questi ritornò al combattimento infuriato per la morte dell'amico Patroclo ucciso da Ettore sotto le mura di Troia. Fu il primo guerriero a essere assalito da Achille (dopo che questi non era riuscito a colpire Ettore), che lo ferì mortalmente al mento con la lancia, lasciandolo quindi disteso sul terreno cosparso di sangue.
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### Titolo: Driope (re dei Driopi).\n### Descrizione: Driope o Driopo (greco antico: Δρύοψ, Dryops) è un personaggio della mitologia greca, re ed eponimo del popolo dei Driopi.\nDriope era figlio del dio-fiume Spercheo e della danaide Polidora, oppure di Apollo e Dia, figlia del re Licaone di Arcadia.. Secondo la mitologia, regnò sul Monte Eta, e fu il padre di Driope (Δρυόπη, Dryòpē), una principessa che fu trasformata in ninfa, e di Cragaleo, noto per la sua saggezza.\nIl nome Driope (Δρύοψ), così come quello della figlia Driope (Δρυόπη), omonima in italiano, e del popolo dei Driopi (Δρύοπες), hanno una radice comune, derivata da δρῦς drys, ovvero quercia. Driope potrebbe perciò significare 'uomo-quercia'.
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### Titolo: Duello pianistico.\n### Descrizione: Con duello pianistico si intende una sfida tra due pianisti, una pratica divenuta celebre del Settecento e dell'Ottocento grazie a contese tra musicisti famosi.\nL'evento prevede l'alternarsi di momenti musicali in cui gli strumentisti, a turno o insieme, dimostrano le proprie capacità virtuosistiche esibendosi nel proprio repertorio o in improvvisazioni su un tema assegnato. Solitamente le sfide erano riservate all'ambiente aristocratico e ai salotti della nobiltà.\n\nOrigini.\nPossiamo trovare i primi esempi di duello musicale tra i miti del mondo greco-latino. Nell'undicesimo libro delle Metamorfosi di Ovidio (vv. 146-174) viene narrata la contesa tra Pan e Apollo. Dopo aver disprezzato i canti di Apollo, Pan è chiamato a dimostrare la propria bravura in una gara. Giudice è il monte Tmolo, luogo in cui si svolge il duello. Pan è il primo a intonare un canto con la zampogna; a seguire Apollo suona la sua cetra ed ottiene la vittoria. Solo re Mida, testimone della contesa e devoto a Pan, è contrario al verdetto. Apollo è protagonista di un ulteriore duello musicale raccontato nel libro sesto delle Metamorfosi (vv. 382-400). A sfidarlo è il satiro Marsia, entrato in possesso del flauto della dea Atena. La sfida si conclude nuovamente con la vittoria di Apollo.\n\nMozart - Clementi.\nIl 24 dicembre 1781, alla corte imperiale di Giuseppe II a Vienna, Wolfgang Amadeus Mozart e Muzio Clementi furono protagonisti di una celebre competizione musicale. Tra il 1781 e il 1782 Clementi compì una tournée che lo portò a Parigi, Strasburgo, Monaco e Vienna. Lo stesso Mozart in una sua lettera al padre del 22 dicembre 1781 riporta l'incontro con il pianista italiano a corte.\nIn una seconda lettera al padre datata 16 gennaio 1782 Mozart racconta come si è svolto il duello con Clementi. I due, dopo essersi scambiati reciprocamente i complimenti di rito, assecondarono le richieste da parte dei reali. L'Imperatore Giuseppe II decise che a cominciare sarebbe stato Clementi, il quale preludiò ed eseguì per intero una sonata. A seguire Mozart suonò una serie di variazioni su un tema. Al termine delle due esibizioni la granduchessa Sofia Dorotea di Württemburg presentò ai due sfidanti lo spartito da lei trascritto di alcune sonate di Giovanni Paisiello, suo maestro di musica a San Pietroburgo. Mozart dovette suonare il tempo Allegro della sonata mentre Clementi l'Andante e il Rondò. Infine i due si alternarono su due pianoforti nell'esecuzione di una serie di variazioni sul tema. Nella lettera Mozart sottolinea come l'imperatore avesse voluto mettere alla prova il maestro italiano assegnandogli uno strumento scordato e con tre tasti bloccati.Secondo il compositore austriaco l'unica dote di Clementi era una solida capacità tecnica. Al contrario Clementi si espresse in termini più generosi. Sebbene Mozart fosse considerato il vincitore del duello ciò non lo aiutò ad ottenere lo sperato incarico presso la corte viennese.\n\nI duelli di Beethoven.\nBeethoven - Gelinek.\nNon sono chiare le circostanze in cui si svolse il duello tra Ludwig van Beethoven e Josef Gelinek. Il giovane Beethoven rappresentava la novità nel panorama musicale mentre Gelinek rispondeva a pieno alla richieste del gusto viennese dell'epoca. Beethoven, ancora sconosciuto ai più, aveva ottenuto il sostegno di figure autorevoli dell'aristocrazia. Probabilmente il contesto in cui si svolse la sfida era stato creato dai sostenitori di Beethoven per introdurlo nell'ambiente nobiliare di Vienna. Carl Czerny, pianista e compositore contemporaneo ai due sfidanti, riporta le considerazioni di Gelinek dopo il duello nelle sue memorie Erinnerungen aus meinem Leben.\nSebbene non vi siano testimonianze circa il verdetto del duello, date le parole dello stesso Gelinek, è lecito pensare ad una netta vittoria da parte di Beethoven.\n\nBeethoven - Wölfl.\nNel marzo 1799, presso la casa del Barone Raimund von Wetzlar, Ludwig van Beethoven e Joseph Wölfl si sfidarono in un duello musicale. Se contro Gelinek e, successivamente, contro Steibelt la vittoria per Beethoven fu schiacciante, altrettanto non si può dire in questo caso. Nei dieci anni precedenti al duello Wölfl aveva conquistato popolarità presso il pubblico viennese mentre la carriera di Beethoven era legata principalmente ai salotti aristocratici. Wölfl era un pianista eccellente e dalle doti fisiche peculiari: le sue mani molto grandi gli permettevano virtuosismi tecnici preclusi a molti. La sfida metteva a confronto due diversi ambienti musicali: la spettacolarità virtuosistica e la limpidezza nell'esecuzione di Wölfl, amato da un pubblico vasto, e la potenza espressiva e dinamica di Beethoven, sostenuto dall'aristocrazia colta. Ignaz von Seyfried, testimone della sfida, descrive lo svolgimento del duello. Tra i sostenitori di Beethoven spiccava la figura del Principe Karl Lichnowsky, mentre tra i sostenitori di Wölfl il più attivo era sicuramente il Barone von Wetzlar, uomo colto e brillante, nonché ospite del duello. I due virtuosi incominciarono ad esibirsi con i brani più recenti di loro composizione. In alcuni momenti sedevano contemporaneamente ai due pianoforti e si alternavano improvvisando su temi proposti l'un l'altro, dando vita a Capricci a quattro mani. Il duello si concluse con una sostanziale parità tra i due sfidanti sebbene col tempo la fama di Beethoven portò a considerarlo vincitore della contesa.\n\nBeethoven - Steibelt.\nDaniel Steibelt, uno dei più rinomati pianisti europei, giunse a Vienna nel 1800. Incontrò Ludwig van Beethoven presso la dimora del Conte Fries. Ferdinand Ries, in una delle prime biografie del compositore, Biographisce Notizen über L. van Beethoven, descrive lo svolgimento del duello. Steibelt suonò un quintetto di sua composizione ottenendo grandissimo successo. Successivamente si esibì in un'improvvisazione sul tema conclusivo dell'ultimo movimento di un trio di Beethoven. Secondo Ries tale improvvisazione risultò palesemente preparata in anticipo e studiata accuratamente. A seguire Beethoven si sedette al pianoforte e cominciò ad improvvisare. Prese la parte di violoncello del quintetto suonato da Steibelt in apertura e, dopo averla rigirata al contrario, suonò il primo tema con un dito solo. Il palese affronto provocò in Steibelt una rabbia tale da spingerlo ad abbandonare la sala prima ancora che Beethoven avesse terminato. Si narra che in seguito al duello Steibelt non volle più incontrare Beethoven e per ogni invito ricevuto era sua premura accertarsi che il rivale non comparisse tra la lista dei presenti.\n\nLiszt - Thalberg.\nLa sera del 31 marzo 1837, a Parigi, nella dimora della Contessa Cristina Belgiojoso, donna di estrema cultura e fascino, si tenne il celebre duello tra Franz Liszt e Sigismond Thalberg. Liszt frequentava assiduamente il salotto della Belgiojoso dunque l'ambiente in cui si svolse la sfida era per lui congeniale. La fama di Thalberg a Parigi crebbe a tal punto da attirare l'attenzione del pubblico parigino che cominciò a prendere le parti di uno o dell'altro a seconda del gusto o dell'estrazione sociale. Ne nacque una vera e propria querelle alimentata dalla stampa e, alla fine, il duello si considerò pari. Lo si può vedere con ciò che scrisse il critico Jules Janin quanto la sfida nel Journal des Débats del 3 aprile 1837.[2][3].
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### Titolo: Dulichio.\n### Descrizione: Dulichio (in greco Δουλίχιον, Dūlìchion, «Isola lunga») è un'isola citata a più riprese nell'Odissea di Omero.\nSecondo il testo omerico, Dulichio è molto vicina ad Itaca (la patria di Ulisse) e alle altre isole greche occidentali: Zacinto, Samo, Asteris. Tuttavia mentre Itaca, Zacinto (oggi Zante) e Samo (cioè Cefalonia, sulla quale esiste ora la città di Sami; da non confondere con l'attuale isola di Samo, che si trova nel Mar Egeo e non nello Ionio) sono tuttora conosciute, oggi non siamo in grado di identificare Dulichio né Asteris. Sull'isola regnava un certo Niso: suo figlio Anfinomo era uno dei Proci.\n\nEsistenza reale.\nMolti studiosi hanno indagato il mistero della perduta isola di Dulichio, e gran parte hanno osservato che i molti luoghi dell'Odissea in cui si parla di Itaca mal si accordano con la posizione dell'isola attualmente chiamata Itaca: essa dovrebbe essere più a occidente e più a sud, e fra essa e Samo dovrebbe trovarsi l'isola di Asteris, anch'essa non riconoscibile. Fra le attuali Itaca e Cefalonia esiste solo la piccolissima isola di Daskalio (grande meno di un campo di calcio) che non può certo ospitare due porti come detto nell'Odissea.\nIn generale si conclude che l'Odissea è un'opera di poesia e non ha senso prestare attenzione a questi particolari.\nTuttavia alcuni ricercatori hanno recentemente suggerito una possibile soluzione. La vera Itaca potrebbe essere la parte più occidentale della attuale Cefalonia (chiamata Paliki), che al tempo di Omero era - secondo la loro congettura - un'isola a sé stante; in tal caso Samo sarebbe la parte orientale della attuale Cefalonia, e di conseguenza Dulichio sarebbe l'attuale Itaca. In tal modo si potrebbe identificare anche Asteris nella penisola di Argostoli - bisognerebbe però supporre che Omero usasse la stessa parola sia per isola che per penisola.\nUna soluzione completamente diversa è stata proposta da Felice Vinci nel suo libro Omero nel Baltico: egli ritiene che l'ambientazione originale dei poemi omerici fosse in realtà il Mar Baltico e identifica questo gruppo di isole con un arcipelago della Danimarca. Dulichio, in particolare, sarebbe l'isola di Langeland (che in danese significa 'isola lunga', proprio come Dulichio in greco).
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### Titolo: Ea (ninfa).\n### Descrizione: Ea era una ninfa, delle Naiadi, che chiese l'aiuto degli Dei per sfuggire al fiume Fasi che la corteggiava e venne tramutata in un'isola.\nEra anche il nome di una regione della Colchide, ma fu usata da Valerio Flacco come un sinonimo della Colchide stessa.
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### Titolo: Eaco.\n### Descrizione: Èaco (in greco antico: Αἰακός?, Aiakòs; in latino Aeăcus) è un personaggio della mitologia greca. Nasce dalla ninfa Egina con cui Zeus un giorno si accoppiò trasformandosi in aquila e portando con sé la ninfa sull'isola di Enopia, che prese dalla ninfa il nome di Egina.\n\nMitologia.\nLe leggende narrano che Era, sposa di Zeus, quando seppe della nascita di Eaco, scaricò la sua gelosia sull'isola avvelenando i corsi d'acqua ed ordinando ai venti meridionali di soffiare senza tregua. Fu così che tutti i raccolti andarono perduti e ciò che seguì fu una grave carestia ed il caldo torrido portato dai venti meridionali costrinse gli abitanti a bere le acque dei fiumi avvelenati uccidendoli tutti. Vedendo il suo regno alla rovina, Eaco si rivolse al padre Zeus e questi fece cadere sull'isola una pioggia fresca, che fermò i venti e ricambiò le acque avvelenate, poi trasformò le formiche dell'isola in esseri umani ed Egina ritornò fiorente grazie ai Mirmidoni (da murmex che significa appunto formica). Eaco spartì i suoi possedimenti tra i suoi sudditi e l'isola ritrovò la pace.\nIn seguito Eaco sposò Endeide, figlia di Scirone (o Chirone, secondo l'erronea traslitterazione del nome da parte di Igino) e di Cariclo, da cui ebbe i figli Telamone e Peleo. Peleo fu il padre di Achille, che fu accompagnato alla guerra di Troia da un esercito di mirmidoni.\nEaco ebbe un ulteriore figlio dall'unione con la ninfa Psamate, una delle figlie di Nereo, che per sfuggirgli si trasformò in foca ma lui si unì lo stesso a lei e nacque un figlio chiamato Foco. In seguito Telamone, geloso del fratellastro Foco, lo uccise e lo seppellì con l'aiuto di Peleo. Quando Eaco scoprì il fatto, cacciò entrambi i figli dall'isola.\nPindaro indica in Eaco il costruttore delle mura di Troia, con l'aiuto di Apollo e Poseidone.\nEaco era considerato un uomo profondamente giusto e per questo era chiamato spesso a fare da arbitro nelle contese. Dopo la sua morte Zeus lo nominò giudice negli Inferi. Platone cita come giudici dell'Ade Minosse, Radamante, Eaco e Trittolemo.\nLa leggenda inoltre narra che Eaco era custode delle chiavi dell'Ade e che doveva occuparsi delle anime di provenienza europea.\n\nNella cultura di massa.\nIl nome Eaco viene dato ad un personaggio del manga Saint Seiya; in esso (e nella versione animata) ha il nome Eaco di Garuda è presentato come uno dei tre generali di Ade, re degli Inferi, nonché giudice dei morti (un riferimento mitologico); Tuttavia, poiché l'autore Masami Kurumada utilizzò la dizione greca del nome (Aiakos), all'epoca della prima edizione italiana del manga (edita da Granata Press) il nome venne tradotto erroneamente in Aiace; anni dopo, l'edizione della Star Comics utilizzò invece i nomi greci per i tre Giudici, quindi Eaco venne riferito semplicemente come Aiacos; ma in seguito l'adattamento italiano della versione animata e del prequel The Lost Canvas ripristinò stabilì l'uso definitivo di Eaco. Nel sequel Next Dimension il personaggio viene chiamato Suikyo, ed è un ex cavaliere d'argento passato dall'esercito di Atena a quello di Ade; comunque, in The Lost Canvas verso la fine della storia Aaron (il giovane che ospita lo spirito di Ade) spoglia Eaco di cosmo e armatura, sigillando l'anima di specter che lo possedeva e ridandogli il suo vero nome: Suikyo! Questo espediente narrativo potrebbe essere un omaggio dell'autrice Shiori Teshirogi nei confronti di Kurumada (autore dell'opera originale e di Next Dimension); in un'intervista Teshirogi spiegò che inizialmente le due opere dovevano procedere di pari passo e narrare la stessa storia da punti di vista differenti; ma proseguendo i due autori finirono per scrivere due trame differenti.
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### Titolo: Eagro.\n### Descrizione: Eagro (in greco antico: Οἴαγρος?, Óiagros) è un personaggio della mitologia greca, possibile padre di Orfeo. Dopo la morte sarebbe divenuto un dio fluviale.\n\nGenealogia.\nLe tradizioni variano sulla sua genealogia: è detto essere figlio di Carope (al quale succedette come re di Tracia), oppure figlio di Piero, a sua volta figlio di Macedone, e della ninfa Metone. Un'altra versione ancora, registrata dalla Suda, lo considera figlio di Piero, figlio di Lino, figlio di Apollo.\nApollodoro afferma però che Eagro potrebbe essere stato generato dalla musa Calliope e dal dio Apollo. Le Dionisiache di Nonno di Panopoli fanno menzione di Eagro, l'audace figlio di Ares, dio della guerra (Libro XIII,428).\nPer quanto riguarda la discendenza, Eagro è ricordato soprattutto per essere il padre di Orfeo, in genere avuto da una musa, Calliope o Polimnia. Fonti tarde lo considerano anche il padre di Marsia, Lino il cantore, secondo Apollodoro di Atene (Libro I, III, 2), per il quale è fratello di Orfeo (Libro I, IX, 16), e Cimotone.
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### Titolo: Ebe.\n### Descrizione: Ebe (in greco antico: Ἥβη?, Hḕbē) nella mitologia greca è la divinità della giovinezza, figlia di Zeus e di Era. La sua figura appare più volte nei poemi omerici e viene citata anche da Esiodo.\nNel monte Olimpo Ebe era l'enofora, ovvero l'ancella delle divinità, a cui serviva nettare e ambrosia (nell'Iliade, libro IV). Il suo successore fu il giovane principe troiano Ganimede. Nel libro V dell'Iliade è anche colei che immerge il fratello Ares nell'acqua, dopo la battaglia con Diomede.\nNell'Odissea (libro XI) è la sposa di Eracle (anche se l'autenticità del brano non è certa). Euripide comunque la cita nelle Eraclidi.\nA Sicione Ebe era inoltre venerata come dea del perdono e della misericordia.\nIl suo opposto nella mitologia greca è Geras, dio della senilità, mentre la dea corrispondente nella mitologia romana è Iuventas.\n\nMito.\nÈ citata nella Teogonia come figlia di Zeus e di Era, sorella di Ilizia e Ares.\nEppure, una tradizione vivida vuole che lei sia figlia solamente di Era - sedutasi su una lattuga, precisa una fonte tarda.\nOleno fa di Era la madre di Ebe e di Ares, senza menzionare il padre; Pindaro fa lo stesso per Ebe e Ilizia.\nNell'Iliade la sua ascendenza è citata tre volte: serve agli Dèi da coppiera, versando loro l'ambrosia e il nettare; cura le ferite che Diomede ha inflitto a suo fratello Ares; aiuta Era ad agganciare il suo carro. Il primo ruolo di coppiera non sembra essere la sua attività principale: è menzionato solo una volta, e anche Efesto viene riferito a questo ufficio. Iris è più frequentemente associata a questo ruolo, sia nei testi sia nell'iconografia, prima di essere sostituita da Ganimede.\nSecondo l'Odissea, la Teogonia e Il catalogo delle donne, ella sposa Eracle (o Ercole) dopo l'apoteosi di questo. Ne ha due figli, Alessiare e Aniceto.\nNonostante ciò, il tema della salita al cielo dell'eroe, che può essere datato dal VI secolo a.C., sembra far ipotizzare che queste citazioni siano interpolate. Aristarco di Samotracia aveva già smentito il passaggio incriminato dell'Odissea, considerandolo contraddittorio con quello dell'Iliade in cui Ebe fa il bagno ad Ares, dicendo che il fatto di lavare qualcuno è dovere delle giovani ragazze - a torto, poiché il bagno è preparato piuttosto dalle serve domestiche.\nConsiderando che l'eterna giovinezza è una delle caratteristiche degli dèi dell'Olimpo è difficile valutare esattamente il suo ruolo. Forse in un periodo arcaico del mito la sua presenza era necessaria per conferire agli dèi la loro perenne giovinezza.\n\nCulto.\nAd Ebe era dedicato un famoso tempio a Corinto ed era particolarmente venerata a Sicione, a Flio e ad Atene dove vi era un altare a lei dedicato, nel ginnasio ateniese di Cinosarge, vicino a quello di Eracle.\n\nRappresentazioni.\nNell'arte greca, Ebe è la maggior parte delle volte rappresentata in compagnia di Eracle. Un ariballo di Corinto e qualche vaso attico, dalle figure nere o rosse, dipingono anche le sue nozze con un eroe sull'Olimpo.\nAppare ugualmente come coppiera di Zeus o di Era su dei vasi attici dalle figure rosse, ma senza che la sua identificazione sia certa. Inoltre, è spesso dipinta come compagna della dea Afrodite. La si vede spesso come una dolce giovane ragazza.\nIn arte, è una nota statua di Antonio Canova, di cui esistono quattro versioni: la definitiva si trova ai musei di San Domenico a Forlì; le altre sono custodite presso l'Alte Nationalgalerie di Berlino e al museo dell'Ermitage a San Pietroburgo.\n\nEvocazioni artistiche.\nLes Fête di Hébé è un'opera lirica di Jean-Philippe Rameau. Ebe è anche un personaggio de Les Indes galantes dello stesso Rameau.\nIl canto di Ebe, dal Lucifero di Mario Rapisardi, Edizioni Ricordi, t.s. 1883.\n\nInfluenza culturale.\nA Ebe sono intitolati l'Hebes Chasma e l'Hebes Mensa su Marte.
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### Titolo: Ecamede.\n### Descrizione: Ecamede (in greco antico: Ἑκαμήδη) è un personaggio della mitologia greca, menzionata nell'Iliade.\nFiglia di Arsinoo, venne catturata da Achille nella conquista dell'isola di Tenedo mentre lo stesso si recava a Troia. Successivamente divenne schiava di Nestore.
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### Titolo: Ecate.\n### Descrizione: Ecate (Ècate; alla greca Ecàte; in latino Hecata, in greco antico: Ἑκάτη?, Hekátē), conosciuta anche come Zea (con questo nome fu venerata particolarmente ad Atene), è un personaggio di origine pre-indoeuropea che fu ripreso nella mitologia greca e romana e trasportato poi nella religione greca e romana.\nEcate era la dea della magia e degli incroci ed era la potente signora dell'oscurità, regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti. Era invocata da chi praticava la magia e la necromanzia.\nEra una delle numerose divinità adorate nell'antica Atene come protettrice dell'oikos (famiglia), insieme a Zeus, Estia, Hermes e Apollo.Negli scritti post-cristiani degli Oracoli caldaici (II-III secolo d.C.) era anche considerata con (un certo) dominio su terra, mare e cielo, nonché un ruolo più universale come Salvatore (Soteira), Madre degli Angeli e l'Anima del Mondo Cosmico.Riguardo alla natura del suo culto, è stato rimarcato che 'è più a suo agio ai margini che al centro del politeismo greco. Intrinsecamente ambivalente e polimorfa, si trova a cavallo dei confini convenzionali ed elude la definizione'.La più antica rappresentazione di Ecate è stata ritrovata a Selinunte in Sicilia.\nIl più noto santuario dedicato a Ecate si trova a Lagina, in Turchia sudoccidentale.\n\nGenealogia.\nA seconda degli autori è figlia di Zeus e di Asteria o del Titano Perse e Asteria.\nSecondo Apollonio Rodio fu madre di Scilla avuta da Forco mentre secondo Diodoro Siculo fu madre di Circe, Medea ed Egialeo avuti da Eete.\nVa però considerato che gli autori che attribuiscono a Ecate queste progenie sono posteriori ad altri che la citavano come vergine.\nLe sue ancelle erano demoni femminili chiamate Empuse.\n\nNome e etimologia.\nSia l'etimologia del nome Ecate (Ἑκάτη, Hekátē) che il paese d'origine del suo culto sono sconosciuti, ma diverse teorie sono state proposte.\nSecondo alcuni, il suo nome avrebbe la stessa radice della parola greca “cento”, allude alle molte forme che lei può assumere: Ecate, discendente dei Titani, la “multiforme”.\n\nOrigine greca.\nChe il culto di Ecate sia nato in Grecia o no, alcuni studiosi hanno suggerito che il nome potrebbe derivare da una radice greca, e hanno identificato diverse parole da cui potrebbe derivare. Per esempio, ἑκών 'desiderio, volere' (colei che fa il suo volere o dispensatrice di desideri), potrebbe essere connesso col nome Ecate. Tuttavia, nessuna fonte indica il volere o la volontà come un attributo importante di Ecate, che rende questa possibilità improbabile.Un'altra parola greca suggerita come l'origine del nome Ecate è Ἑκατός Hekatos, un raro epiteto di Apollo tradotto in moltissimi modi, come “che opera da lontano e che colpisce”. Ciò è stato suggerito mettendo a confronto gli attributi della dea Artemide, fortemente associata con Apollo e spesso comparata con Ecate nel mondo classico. Promotori di questa etimologia sostengono che Ecate era inizialmente considerata un aspetto di Artemide, prima della sua adozione all'interno del pantheon Olimpico. In quel periodo, Artemide sarebbe stata associata fortemente con la purezza e la verginità da un lato, mentre i suoi attributi originali più oscuri, come la magia, le anime dei morti e la morte, sarebbero invece state venerate separatamente, sotto il suo nominativo Ecate. Anche se spesso considerata l'origine greca più probabile, la teoria Ἑκατός non tiene conto della sua venerazione nell'Asia minore, dove la sua associazione con Artemide sembra essere stata un'evoluzione successiva, e delle teorie che l'attribuzione dei suoi aspetti più oscuri e della magia non erano originariamente parte del culto di Ecate.R. S. P. Beekes ha rifiutato un'etimologia greca e ha suggerito un'origine precedente ai greci.\n\nOrigine egizia.\nUna forte possibilità per l'origine del nome potrebbe essere Heket (ḥqt), una divinità egizia della fertilità e della rigenerazione, con la testa a forma di rana, e che, come Ecate, era associata con ḥqꜣ. La parola 'heka' nel linguaggio egizio è sia la parola utilizzata per la magia che il nome del dio della magia e della medicina, Heka.\n\nOrigine e forme della divinità.\nHecate, Hekate o Hekat era in origine una dea delle terre selvagge e del parto proveniente dalla Tracia, dalla Tessaglia o dalla Caria e i culti popolari che la veneravano come una dea madre inserirono la sua persona nella cultura greca come Ἑκάτη.\nNell'Alessandria tolemaica essa in ultima analisi ottenne le sue connotazioni di dea della stregoneria e il suo ruolo di Regina degli Spettri e in queste vesti fu poi trasmessa alla cultura post-rinascimentale.\nOggi viene vista spesso come una dea delle arti magiche e della stregoneria.\nEcate era una divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei morti. Spesso è raffigurata con delle torce in mano, proprio per questa sua capacità di accompagnare anche i vivi nel regno dei morti (la Sibilla Cumana, a lei consacrata, traeva da Ecate la capacità di dare responsi provenienti, appunto, dagli spiriti o dagli dei).\nNell'iconografia Ecate viene rappresentata spesso con tre corpi o con sembianze di cane o, accompagnata da cani infernali ululanti in quanto veniva considerata protettrice dei cani.\n\nMitologia.\nDea degli incantesimi, degli spettri e protettrice degli incroci di tre strade. In quest'ultimo aspetto essa è raffigurata come triplice e le sue statue venivano poste negli incroci (trivi), a protezione dei viandanti (Ecate Enodia o Ecate Trioditis).\nDai romani era chiamata Trivia.\nEcate veniva associata anche ai cicli lunari così come avveniva con altre divinità femminili: Perseide rappresentava la luna nuova, Artemide (Diana per il latini) rappresentava la luna crescente, Selene la luna piena ed Ecate la luna calante.\nFu Ecate a sentire le grida disperate di Persefone, rapita da Ade presso il Lago Pergusa e portata negli Inferi, e fu sempre lei ad avvertire Demetra di quanto era accaduto. Si riteneva anche che Ecate accompagnasse Persefone nei suoi viaggi periodici tra il mondo dei morti e quello degli dei.\n\nRappresentazioni.\nL'iconografia spesso associata ad Ecate è quella nella sua triplice forma, che rispecchia il suo aspetto terrestre, lunare e ctonio.\nLe prime rappresentazioni di Ecate, invece, sono singole. Lewis Richard Farnell sostiene che: «La testimonianza lasciata dai monumenti sulle caratteristiche e il significato di Ecate è altrettanto ricca di quella trasmessa dalla letteratura, ma solo nel periodo più tardo essi esprimono la sua natura molteplice e mistica. Prima del quinto secolo è quasi certo che fosse spesso rappresentata come una singola forma, come ogni altra divinità, ed è così che la immaginò il poeta della Beozia, perché nulla nei suoi versi allude a una divinità dalla triplice forma. Nel 2017 i geologi dell’Università di Camerino hanno individuato sotto Selinunte - con una termocamera caricata su un drone - la più antica raffigurazione di tutto il mondo greco di Hekate, risalente a circa 2700 anni fa. Il monumento più antico rinvenuto è una piccola terracotta trovata ad Atene, con una dedica a Ecate (tavola XXXVIII. a), in una scrittura tipica del sesto secolo. La dea è seduta su un trono e ha una corona attorno alla testa; non ha nessun tratto o caratteristica distintivi e l'unico valore dell'opera, che è chiaramente di un tipo comune ed è degna di menzione solo per l'iscrizione, è che prova come la forma singola fosse quella originale e che ad Atene era conosciuta prima dell'invasione persiana».\n\nPausania sosteneva che Ecate fosse stata raffigurata per la prima volta nella forma triplice dallo scultore Alcamene durante il periodo greco classico, verso la fine del quinto secolo. Alcuni ritratti classici, come quello illustrato qui in basso, mostrano la dea in forma triplice mentre regge una torcia, una chiave e un serpente. Altri continuano a rappresentarla in forma singola. Nell'esoterismo greco, di derivazione egiziana, con riferimento a Ermete Trismegisto e nei papiri di magia della Tarda Antichità è descritta come una creatura a tre teste: una di cane, una di serpente e una di cavallo. La triplicità di Ecate è espressa in una forma più ellenica, con tre corpi, mentre prende parte alla battaglia contro i titani nel vasto fregio del grande altare di Pergamo, ora a Berlino. Nell'Argolide, vicino al sacrario dei Dioscuri, Pausania, grande viaggiatore nel corso del II secolo dell'era cristiana, vide il tempio di Ecate davanti al santuario di Ilizia: «L'immagine è opera di Scopas, realizzata in pietra, mentre le immagini in bronzo che si trovano davanti, che hanno come soggetto sempre Ecate, furono realizzate rispettivamente da Policleto il Giovane e suo fratello Naucide, figlio di Motone» (Description of Greece ii.22.7).\nUn rilievo in marmo del IV secolo d.C. di Crannone in Tessaglia recava una dedica di un proprietario di cavalli. Il rilievo mostrava Ecate, in compagnia di un cane, mentre posa un serto sul capo di una cavalla. Questa statua si trova nel British Museum, inventario n. 816. La cagna è la sua compagna e il suo equivalente animale e una delle forme più usuali di offerte era lasciare della carne ai crocicchi. A volte gli stessi cani le venivano sacrificati (un giusto accenno alle sue origini non elleniche, dato che i cani, insieme con gli asini, raramente venivano tenuti in così alta considerazione negli antichi rituali greci).\n\nInfluenza culturale.\nA Ecate sono intitolati l'Hecates Tholus su Marte e l'Hecate Chasma su Venere.\nEcate appare nel Macbeth di Shakespeare ed è una delle streghe della tragedia. Le sue arti magiche e l‘iconografia a tre corpi vengono evocate nell‘Amleto di Shakespeare dall'attore Luciano (lll, ii): '... tu fetida mistura d‘erbe raccolte a mezzanotte e dal male d‘Ecate tre volte unte ed infette, la tua magia spontanea, la tua atroce virtute usurpano di colpo ogni vital salute...'. Ecate compare nelle saghe di Percy Jackson ed Eroi dell'Olimpo scritte da Rick Riordan. La figura di Ecate viene inoltre citata della serie TV Penny Dreadful quando viene introdotto il personaggio di Hecate Poole, strega figlia di Evelyn Poole e nella serie TV Le terrificanti avventure di Sabrina, quando alla fine della terza stagione la congrega della protagonista decide di venerarla al posto di Lucifero e delle altre entità infernali, e lo farà per tutto il corso della quarta stagione.\nEcate è impersonificata in Touhou 15: Legacy of Lunatic Kingdom da Hecatia Lapislazuli, anche lei capace di viaggiare liberamente tra mondi, avendo persino tre corpi. Ecate appare nei romanzi di Michael Scott della serie I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale. Ecate è un personaggio di grande rilevanza nella serie a fumetti Sandman, di Neil Gaiman.\nEcate, indicata con la variante Hekate, è il simbolo dell'omonimo Boot loader alternativo per la console portatile Nintendo SwitchEcate appare nei libri Eroi Dell’Olimpo La casa di Ade e Eroi dell'Olimpo: il sangue dell'Olimpo di Rick Riordan. Nella saga aiuta Hazel Levesque, a dominare la foschia, che le sarà utile per sconfiggere Pasifae e in seguito aiuterà la figlia di Plutone nello sconfiggere Clizio (gigante). Ne “Il sangue Dell’Olimpo” è nel gruppo di Dei che accorrono in aiuto dei semidei nel corso della battaglia ad Atene contro i giganti.\nEcate viene nominata nella canzone Hecate's Nightmare, composta dai Children of Bodom e presente nell'ultimo loro album Hexed, pubblicato nel 2019 dalla Nuclear Blast.\nLa figura di Ecate, nella sua raffigurazione triplice viene citata nel romanzo Cherudek di Valerio Evangelisti appartenente alla saga di Nicholas Eymerich.\nUna versione di Ecate in tempi moderni è presente nei romanzi fantasy La Morte degli Dèi di Franz Palermo, in cui riveste il ruolo di antagonista dopo essere rinata in tre corpi mortali.\nEcate è presente in Saint Seiya - Next Dimension - Myth of Hades dove aiuta Athena e i suoi cavalieri a salvare la vita di Seiya.\n\nEcate viene citata nella serie Riverdale quando Cheryl usa la magia e la necromanzia.
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### Titolo: Ecatonchiri.\n### Descrizione: Gli Ecatonchiri (in greco antico: Ἑκατόγχειρες?, Hekatóncheires, 'che hanno cento mani'; in latino Hecatonchīres o Centimanī) sono figure della mitologia greca.\nErano figli di Urano (il cielo) e di Gea (la terra), che venne fecondata dalla pioggia che Urano fece cadere dal cielo.\nGli Ecatonchiri furono tre, di nome Cotto, Briareo e Gige. Ognuno di loro aveva cento braccia e cinquanta teste che sputavano fuoco.\nIl padre, che temeva la loro forza, li gettò nel Tartaro, ovvero la parte più remota ed oscura degli inferi, assieme ai Ciclopi, loro fratelli, controllati dal terribile mostro Campe (servitrice di Crono, re dei Titani). Da qui furono liberati da Zeus che dopo averli rifocillati con nettare e ambrosia, li coinvolge nella Titanomachia, dove diverranno così decisivi, e che si concluderà con la sconfitta dei titani alleati di Crono e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Poseidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani.\nIn seguito si ribellarono anch'essi a Zeus, come racconta la Gigantomachia, ma non riuscirono a sopraffare gli Olimpi.\n\nI nomi.\nI tre giganti sono chiamati Cotto, Briareo e Gige. Il primo era un nome comune della Tracia e molto probabilmente legato a quello della dea Kotys. Il secondo, anche detto Obriareus, deriva dal greco βριαρός che significa “forte”. L’ultimo, che troviamo anche come Gyes, si rifaceva al re greco Ogyges (Ὠγύγης).\nNell’opera Teogonia, di Esiodo, si fa riferimento ai giganti in due modi: o li si indica come “gli dei che Zeus ha tirato fuori dalle tenebre” o si usano i loro singoli nomi. I sostantivi 'ecatonchiri', che deriva dal greco ἑκατόν (hekaton, 'cento'), e χείρ (cheir, 'mano” o 'braccio') non sono mai utilizzati.\nL’Iliade utilizza semplicemente l’aggettivo 'ecatonchirio'(ἑκατόγχειρος), i.e. 'dalle cento mani' per descrivere Briareus. Tuttavia, il primo a usufruire del termine è Apollodoro.\n\nMitologia.\nGli esseri dalle cento mani.\nI fratelli Cotto, Briareo e Gige sono tre dei diciotto figli di Urano e Gea. Secondo Esiodo, sono gli ultimi della progenie; secondo Apollodoro i primi. Nella mitologia esiodea, i tre giocano un ruolo chiave nella trasmissione del mito greco, perché raccontano come Crono spodesta il padre Urano. Secondo il mito, i tre vengono imprigionati dal padre insieme ai loro fratelli Ciclopi. Urano incorona Crono signore del cosmo e questi, con la sorella Rea, dà vita a una lunga discendenza. Tuttavia, i figli sono ingoiati uno a uno poco dopo la loro nascita. Solo l’ultimo, Zeus, riesce a salvarsi e a liberare i fratelli, dando origine agli dei olimpici. Così inizia la Titanomachia, la lotta tra la nuova e la vecchia generazione per il controllo del cosmo.\nSeguendo il consiglio di Gea, Zeus libera dalla schiavitù gli “esseri dalle cento mani” e vince la guerra, imprigionando poi i Titani nel Tartaro e facendoli sorvegliare dai Centimani.\nIl poema epico Titanomachia, purtroppo disperso, contiene versioni diverse degli eventi: qui, la lotta dei Centimani è contro i nuovi dei, al fianco dei Titani, e non il contrario.\nSecondo Palefato, Cotto e Briareo non sono giganti, bensì uomini, (chiamati in quel modo perché provenienti da Hecatoncheiria. i.e. 'Centomani'), che aiutano gli dei olimpici per scacciare i Titani dalla loro città.\n\nBriareo/Aegaeon.\nTra i tre fratelli, Briareo è forse il più importante. Come scritto in Teogonia, è il più buono e, per questo, viene ricompensato da Poseidone, che gli dona in sposa sua figlia Cimopolea.\nOmero spiega che Briareo è il nome utilizzato dagli dei, mentre Aegaeon è quello assegnatogli dagli uomini. Nell'Iliade, l’autore racconta che Era, Poseidone e Atena vogliono incatenare Zeus e chiamano in loro soccorso “colui dalle cento mani, che gli dei chiamano Briareo e gli uomini Aegaeon. Questi si sedette accanto a Zeus e gli dei olimpici ebbero paura di lui”.\nIl secondo nome (Aegaeon) non sembrerebbe un’invenzione omerica. Già Apollonio Rodio, poeta del terzo secolo a.C. conosce entrambi gli appellativi e nel poema epico Titanomachia erano presenti tutti e due.\n\nAlleato dei Titani.\nSe per Esiodo e Omero, il potente centimani Briareo è un fedele alleato di Zeus, nella Titanomachia ci viene raccontato ben altro: Aegaeon è figlio di Gea e Pontus (re del mare prima di Poseidone), non di Urano, e combatte per i Titani, non per gli dei. A quanto detto da Apollonio Rodio, inoltre, il gigante è sconfitto da Poseidone.\nAnche per i poeti latini Virgilio e Ovidio, Briareo è nemico degli dei. Nell’Eneide, infatti, vediamo Aegaeon in guerra contro di loro, “con cinquanta scudi e cinquanta spade”. In Fasti, l’autore racconta che, per restaurare il potere dei Titani, il gigante sacrifica un bue, bruciando poi le sue interiora, come vuole la profezia.\n\nLegame con il mare.\nNella Titanomachia, Aegaeon è figlio di Pontus e vive nel mare. L’associazione con l’acqua è presente già in Omero e Esiodo, secondo cui il gigante viveva lontano dai fratelli, con la ninfa Cimopolea, figlia di Poseidone.\nAnche il nome greco Αἰγαίων᾽ ci dà un indizio. La radice αἰγ- è tipica delle parole associate al mare: αἰγιαλός riva, αἰγες e αἰγάδες,onde.\nIn Metamorfosi, Ovidio lo descrive come “un re del mare scuro, le cui forti braccia possono sconfiggere enormi balene” e Plinio dice che il gigante fu il primo a salpare su una “lunga nave”.\n\nEuboea.\nBriareo/Aegaeon ha un legame particolare con l’isola greca Euboea.\nProbabilmente, Briareo e Aegaeon erano due entità separate all’inizio. Spiega lo scrittone romano Solino che Briareo venne portato a Carystus, mentre Aegaeon a Calcide.\nUn'altra ipotesi è quella secondo cui Aegaeon è il nome di un regnante di Carystus e che Briareo fosse il padre di Eubobea, alla quale venne intitolata l’isola.\n\nPoseidone.\nIl gigante è legato anche alla figura di Poseidone. Secondo Omero, il suo palazzo si trova proprio ad Aegae e il dio stesso viene chiamato anche Aegaeon o Aegaeus (Αἰγαῖος).\nUn'altra possibilità, è quella secondo cui Aegaeon sarebbe un patronimico: “figlio di Aegaeus” o “l’uomo di Aegae”.\nUna leggenda corinzia dice che Briareo fa da moderatore in una disputa tra Poseidone ed Elio (Sole) per Corinto: il centimano dà al primo la parte della città più vicina al mare e al secondo l’acropoli.\n\nSepolto sotto l'Etna e inventore dell'armatura.\nIl poeta Callimaco e lo scrittore Filostrato dicono che Briareo, scambiato per un gigante, viene seppellito sotto l’Etna. Questi, muovendo le spalle da una parte all’altra, sarebbe stato la causa dei terremoti.\nSecondo i papiri di Ossirinco, “il primo a utilizzare un’armatura di metallo fu Briareo; fino a quel momento gli uomini avevano utilizzato la pelle degli animali”.\n\nPossibili origini.\nL'entità Briareo/Aegaeon può anche essere legata alla figura di un mostro marino, così che possa spiegare la forza incontrollabile del mare.\nPotrebbe anche essere un dio precedente a Poseidone, o la versione greca del mito orientale che vedeva scontrarsi Yammu (mare) e Baal (tempesta).\n\nFonti principali.\nTeogonia.\nSecondo Esiodo, Urano e Gea hanno diciotto figli: dodici Titani, tre Ciclopi e, per ultimi, tre centimani. L’opera recita: “Poi, dall’unione tra Cielo e Terra nacquero altri tre figli, giganteschi, forti e presuntuosi: erano Cotto, Briareo e Gige. Cento braccia si sviluppavano dalle loro spalle e cento teste da ciascuna spalla; la loro forza era immensa'.\nUrano odia i suoi figli, tanto che 'li legò, non curante della loro stazza, e li imprigionò nelle profondità della Terra, dove doloranti e sofferenti rimasero a lungo, con la tristezza nel cuore”. È il titano Crono a castrare il padre Urano e liberare i suoi fratelli (tranne i Centimani), diventando così il nuovo dio del cosmo. Crono sposa la sorella Rea, da cui ha cinque figli, tutti inghiottiti appena nati, tranne l’ultimo, Zeus, salvato dalla madre e cresciuto dalla nonna Gea. Quando Zeus cresce, costringe il padre a “restituirgli” i suoi fratelli. Ecco che comincia la Titanomachia, guerra che vede Zeus e i suoi fratelli, da una parte, e Crono e i Titani, dall'altra.\nGrazie alla profezia di Gea, secondo cui Zeus avrebbe potuto vincere solo con l’aiuto dei Centimani, i tre fratelli giganti rivedono la luce. Prima di unirsi alla guerra, il dio fa mangiare loro nettare e ambrosia. Cotto, parlando anche per i fratelli Centimani, ringrazia Zeus di averli tirati fuori dalle tenebre e slegato le loro catene, cosa che pensavano non potesse succedere. Ecco, quindi, il motivo per cui avrebbero partecipato con entusiasmo alla guerra contro i Titani.\nCon un masso in ciascuna mano, Cotto, Briareo e Gige eclissano i Titani. Seguendo l’esempio di Urano, i tre fratelli li legano e li fanno affondare quanto più possibile nelle profondità della Terra.\nIl destino dei Centimani è poco chiaro: all’inizio di Teogonia, ci viene detto che i tre fratelli ritornano a Tartaro, vicino le prigioni dei Titani; più avanti, leggiamo che Cotto e Gige vivono in ville sull’oceano, mentre Briareo, premiato da Poseidone per la sua bontà, sposa Cimopolea, figlia del dio del mare.\n\nL'Iliade.\nIn quest’opera, il nome di Briareo è accennato dall’autore quando: dice che il gigante ha in realtà anche un secondo nome, Aegaeon; si parla della guerra tra titani e dei; in un episodio della vita di Achille. Il guerriero, chiedendo alla madre di intercedere per lui con Zeus, le ricorda di quando lei gli raccontava di avere salvato il dio, in lotta con i fratelli, dopo aver portato Briareo sull’Olimpo.\n\nLa Titanomachia.\nNon possiamo dirlo con certezza, perché il poema epico è disperso, ma, basandoci sul titolo, l’argomento trattato doveva essere la guerra tra gli dei dell’Olimpo e i titani. Nonostante fosse stata scritta dopo, Titanomachia presentava una versione dei fatti diversa da quella riportata in Teogonia. Apollonio Rodio, infatti, scrive che Briareo è figlio della Terra e del Mare, dove vive, e combatte al fianco dei titani.\n\nIone di Chio.\nAnche il poeta del quinto secolo A.C. scrive che Aegaeon vive nel mare ed è figlio di Talassa.\n\nVirgilio.\nVirgilio, come Esiodo, racconta che i Centimani vengono dal sottosuolo, insieme a creature bestiali quali centauri, Scilla, l’Idra di Lerna, la Chimera, le gorgoni, le arpie e Gerione.\nNell’Eneide, il poeta rappresenta Briareo con cento braccia e cento mani, tutti con una spada e uno scudo per proteggersi dai fulmini di Giove. Capiamo, quindi, che secondo Virgilio i Centimani combattono al fianco dei titani nella guerra contro gli dei.\nAnche Servio sembrerebbe conoscere due versioni diverse della Titanomachia: una in cui i centimani combattono a fianco degli dei olimpici e una in cui si alleano ai Titani.\n\nOvidio.\nIl poeta latino fa riferimento a Briareo e Gige nei suoi poemi. In Fasti, Briareo appare come “la stella del Nibbio” (probabilmente un astro o una costellazione che prendono il nome dal volatile) che arriva per dimorare nei cieli. Secondo Ovidio, la madre Terra dà vita a un figlio mostruoso, parte toro e parte serpente, a cui viene predetto che chi avrebbe bruciato le sue interiora, sarebbe riuscito a sconfiggere gli dei. Avvisato dalle tre Moire, il fiume Stige chiude il gigante in un bosco oscuro senza vie di fuga. Dopo che i Titani sono sconfitti, Briareo sacrifica il toro con un’ascia, ma mentre sta per bruciare le interiora, i nibbi inviati da Giove riescono a sottrargliele e portarle via. Come ricompensa, il dio olimpico gli dedica una costellazione.\nIn Metamorfosi, Ovidio descrive Aegaeon come un dio marino di colore scuro, le cui braccia forti possono sconfiggere le balene più forti.\nIn entrambi i poemi, lo scrittore segue la tradizione mitologica riportata nella Titanomachia, dove Briareo è figlio di Pontus e alleato dei Titani.\nIn Amores, viene citato anche Gige, nell’episodio in cui la Terra tenta debolmente di vendicarsi e arrivare a Ossa e in Fasti, vediamo Cerere (Demetria) lamentarsi del rapimento di sua figlia e dire: “quale destino peggiore avrei sofferto se Gige avesse vinto e fossi stata io la sua prigioniera”. In entrambi i poemi, Ovidio confonde i centimani con i Giganti (un’altra discendenza di Gea), che invece assaltano l’Olimpo nella Gigantomachia.\n\nApollodoro.\nCome Ovidio, anche lo storico greco Apollodoro parla dei centimani, ma in modo diverso. Secondo lui, i tre fratelli sono i primi figli di Urano e Gea, seguiti poi dai Ciclopi e i Titani.\nLo storico li descrive “di statura senza eguali e con cento mani e cinquanta teste”. Urano imprigiona i centimani e i ciclopi nel Tartaro, “un posto buio nell’Ade, tanto distante dalla Terra quanto quest’ultima lo è dal cielo”, ma, contrariamente a quanto dice Esiodo, non vengono incatenati. Dopo aver sconfitto Urano, i Titani liberano i fratelli e fannodi Crono il loro sovrano. È proprio Crono, però, a segregare di nuovo i sei familiari.\nNel decimo anno dall’inizio della Titanomachia, Zeus apprende da Gea che per vincere, avrebbe avuto bisogno di centimani e ciclopi: ecco che li libera.\n\nAltri.\nIn Leggi, Platone cita brevemente “Briareo e le sue cento mani”.\nOrazio menziona due volte Gige, associandolo alla Chimera. i due diventano esempi di un potere malvagio, odiato dagli dei.\nAnche Servio sembrerebbe conoscere due versioni diverse della Titanomachia: una in cui i centimani combatterono a fianco degli dei olimpici, come dice anche Esiodo, e una in cui furono alleati dai Titani, come scritto nella versione perduta del poema.\nNel suo Dionisiache, Nonno di Panopoli menziona Briareo con le sue “mani scattanti” e Aegaeon come il “protettore delle leggi di Zeus”.\n\nNella letteratura.\nBriareo viene citato due volte nella Divina Commedia di Dante: è il primo gigante che troviamo nel nono cerchio dell’Inferno ed è un esempio di superbia, scolpito nella pavimentazione della prima cornice del Purgatorio.\n\nNella cultura di massa.\nNel romanzo Lunedì inizia sabato dei fratelli Strugatskij (1965), Briareo, Cotto e Gige vivono nel vivarium dell'istituto di ricerca per la magia e la stregoneria di Solovets e alle volte vengono impiegati per lavori di fatica, come trasportare e caricare sui camion le attrezzature scientifiche.\nNel videogioco per PlayStation 3 God of War: Ascension l'ecatonchiro Briareo si ribella a Zeus, con il quale era stato alleato nel corso della Titanomachia. Avendo tradito il suo patto di alleanza con Zeus, Briareo scatena l'intervento delle Erinni, che lo catturano, lo torturano e trasformano il suo corpo in una gigantesca fortezza vivente nella quale rinchiudono i traditori da loro puniti. In questa fortezza verrà anche rinchiuso per breve periodo il protagonista Kratos per avere violato il suo patto di fedeltà con Ares.\nBriareo compare nel quarto volume della saga di Percy Jackson e gli dei dell'olimpo. È tenuto prigioniero da Campe nel carcere di alcatraz, terrorizzato dal ritorno dei titani. Viene salvato da i protagonisti Percy Jackson, Annabeth Chase, Tyson e Grover. Una volta liberato, e convinto a combattere da Tyson e Dedalo, si unisce prima alla Battaglia del labirinto e poi alla guerra dei titani unendosi con gli dei contro Tifone nel quinto e ultimo volume della prima saga.\nIn Street Fighter V di Capcom Hecatoncheires è il nome di una delle mosse speciali appartenenti a Seth, con la quale può scagliare una violenta raffica di pugni come se fosse dotato, appunto, di molte braccia.\n\nRiferimenti.\nAelian, Historical Miscellany, tradotto da Nigel G. Wilson, Loeb Classical Library No. 486. Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1997. ISBN 978-0-674-99535-2. Online version at Harvard University Press.\nApollodorus, Apollodorus, The Library, with an English Translation by Sir James George Frazer, F.B.A., F.R.S. in 2 Volumes. Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press; London, William Heinemann Ltd. 1921. Online version at the Perseus Digital Library.\nApollonius Rhodius, Argonautica, edito e tradotto da William H. 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Online version at Harvard University Press.\nWellauer, Augustus, Apollonii Rhodii, Argonautica, Volume 2, sumtibus et typis B.G. Teubneri, 1828.\nWillcock, Malcome M., A Companion to the Iliad, University of Chicago Press, 1976. ISBN 9780226125848.\nAnna Maria Carassiti, Dizionario di mitologia greca e romana, 3ª ed., Roma, Newton & Compton, 2005, ISBN 88-8289-539-4.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ecatonchiri.
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### Titolo: Ecbaso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ecbaso era il nome di uno dei figli di Argo che fondò una città chiamata con il suo nome diventandone re.\n\nIl mito.\nArgo da sua moglie Evadne ebbe diversi figli fra cui Criaso, Peranto e lo stesso Ecbaso. Egli crebbe e sposandosi ebbe un figlio, Agenore (o Arestore); fu nonno del mostro Argo Panoptes, che per ordine di Era tenne a bada Io, colei che Zeus voleva, che in realtà essendo figlia di Inaco a sua volta era una discendente del fratello di Ecbaso, Peranto.
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### Titolo: Echela.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Echela (in greco antico: Ἐχέλαος) era il nome di uno dei figli di Pentilo.\n\nIl mito.\nPartì con il suo gruppo, fra cui vi era Sminteo, decisi a colonizzare l'isola di Lesbo. Durante il viaggio giunsero innanzi ad uno scoglio noto con il nome di Mesogeon. A quel punto dovevano appagare le richieste avanzate dall'oracolo tempo addietro: dovevano sacrificare un toro e una donna, il primo per soddisfare il dio dei mari Poseidone, il secondo sacrificio era per placare le ire possibili delle Nereidi. Scelsero a caso la fanciulla da sacrificare e il destino scelse la figlia di Sminteo. Enalo, un ragazzo innamorato della ragazza si gettò con lei, e forse si salvarono.
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### Titolo: Echidna (mitologia).\n### Descrizione: Echidna (in greco antico: Ἔχιδνα?, Échidna) è un personaggio della mitologia greca che aveva la forma di un corpo di donna che terminava con una coda di serpente al posto delle gambe.\n\nGenealogia.\nLa figura di Echidna è stata ripresa da vari autori.\nEsiodo cita dei riferimenti all'oceanina Ceto e senza specificare che il padre sia il marito Forco ma poi la definisce figlia di Crisaore e di un'altra oceanina (Calliroe) e quindi sorella di Gerione. Pausania cita come madre l'oceanina Stige, mentre Apollodoro scrive invece che sia figlia di Tartaro e Gaia.\nLe sono stati attribuiti molti figli mostruosi, avuti non sempre dallo stesso compagno. Unendosi a Tifone generò Ortro Cerbero, la Sfinge, l'Idra di Lerna e la Chimera. Unendosi al figlio Ortro generò il Leone di Nemea e, secondo Esiodo, sempre da Ortro e non da Tifone partorì anche Sfinge.Secondo alcuni anche il drago Ladone e l'avvoltoio che torturava il titano Prometeo, quando quest'ultimo era incatenato sul Caucaso, erano figli di Echidna. Pare che anche la scrofa di Crommio fosse figlia di Tifone ed Echidna. Anche Porcete e Caribea (i due serpenti che assalirono e uccisero Laocoonte e i suoi figli) e il Drago della Colchide (che custodiva il Vello d'Oro) erano figli di Tifone ed Echidna.\nSi racconta che Echidna ebbe anche tre figli da Eracle: Agatirso, Gelono e Scite (capostipite degli sciti). Infatti, mentre l'eroe stava conducendo da Euristeo la mandria di Gerione durante la decima sue fatiche, Echidna gli rubò la mandria e le cavalle e glieli riconsegnò solo dopo aver goduto dell'eroe.\n\nMitologia.\nViveva rinchiusa in una caverna della Cilicia, nel paese degli Arimi. Altre tradizioni la pongono nel Peloponneso: qui sarebbe stata uccisa da Argo dai Cento Occhi, perché aveva l'abitudine di divorare i passanti.\nGli abitanti delle colonie greche del Ponto Eusino raccontavano una leggenda su Echidna piuttosto diversa. Secondo loro, una volta giunto in Scizia Eracle mise i suoi cavalli a pascolare prima di addormentarsi; una volta risvegliatosi, non li trovò più. Cercandoli, trovò il mostro Echidna che viveva in una caverna e che gli promise di restituirgli i cavalli se avesse acconsentito a unirsi a lei. Eracle accettò ed essi ebbero tre figli: Agatirso; Gelono, eponimo della città di Gelona; e Scite, che dette il nome alla stirpe degli Sciti.
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### Titolo: Echione (figlio di Ermes).\n### Descrizione: Echione (in greco antico: Ἐχίων?, Echìōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ermes e Antianira.\n\nEtimologia del nome.\nIl nome Echione (greco antico: Ἐχίων, gen.: Ἐχίονος), deriva da ἔχις èchis 'vipera'.\n\nMitologia.\nFu tra i partecipanti alla caccia del cinghiale di Calidone e fece parte degli Argonauti che conquistarono il vello d'oro come araldo del gruppo.
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### Titolo: Echo stoa.\n### Descrizione: L'Echo Stoà era una stoà del Santuario di Olimpia. Fu costruito intorno al 350 a.C., ad est dell'Altis. Delimitava il recinto orientale del santuario.\n\nL'edificio.\nLo stadio, cessando di essere un luogo di culto, si trasferì fuori dall'area sacra dell'Altis. C'era una zona vuota tra il versante orientale del nuovo stadio e i limiti del sito sacro dove arrivavano le macerie della nuova tribuna. Per abbellire l'area e dare un contenimento alle terre è stato costruito l'Echo stoà.Una serie di dettagli tecnici e artistici suggeriscono che è stato costruito nella stessa epoca del Philippeion Con entrambi gli edifici fu abbellito l'Altis, e in questo modo Filippo II di Macedonia ha voluto ingraziare i greci dopo la battaglia di Cheronea.Le sue dimensioni erano 96,50 m di lunghezza e 12,50 m di profondità. La facciata aperta che si affacciava sull'Altis era costituita da 44 colonne doriche. Un secondo colonnato in stile ionico sosteneva il soffitto a volta. La parte finale dell'edificio consisteva in uno spazio della stessa lunghezza totale dell'edificio, stretto e diviso in diversi compartimenti che probabilmente servivano per il deposito delle attrezzature sportive. Il muro di fondo fungeva da muro di confine e contenitore dell'argine della tribuna ad ovest dello stadio.Di fronte alla facciata che dava sull'Altis, sorsero numerose figure di ex-voto e statue, alcune le cui fondamenta sono ancora apprezzabili.Secondo Pausania, l'edificio fu chiamato anche Pecile perché le sue pareti erano precedentemente decorate con dipinti. Aggiunge, che si chiamava anche Stoà dell'Eco, perché dalla sonorità del suo recinto, il suono di un urlo veniva ripetuto sette volte o anche più dall'eco. Così l'altro nome era anche Eptafono.Sotto il mandato dell'imperatore romano Adriano furono eseguite diverse riforme e riparazioni nell'edificio di cui a malapena rimase traccia dopo essere stato smantellato nell'anno 267, per usare i suoi materiali nella costruzione del muro difensivo contro l'invasione degli Eruli.
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### Titolo: Ecuba.\n### Descrizione: Ecuba (greco: Ἑκάβη Hekábē; latino: Hecuba) o Ecabe è un personaggio della mitologia greca che fu regina di Troia, seconda moglie di Priamo e madre della maggior parte dei suoi figli.\nALBERO GENEALOGICO.\n\nLa sua genealogia era oggetto di controversia nell'antichità. Esistevano due tradizioni: una ne faceva la figlia di Dimante, re di Frigia ; l'altra, quella di Cisseo, re di Tracia e di Telecleia. Nel primo caso ella discende dal fiume Sangario. Una variante di questa tradizione faceva del Sangario non un suo bisnonno, ma suo padre, il quale l'avrebbe avuta dalla ninfa Evagora. Le si attribuiva, altresì per madre, la figlia di Xanto, Glaucippe. La moglie di Dimante invece era la ninfa Eunoe ed aveva avuto un altro figlio, Asio.\nLa tradizione che ricollega Ecuba a Dimante e alla Frigia è quella dell'Iliade. Le origini tracie sono preferite dai Tragici, particolarmente da Euripide. Nelle fonti che vogliono Ecuba figlia di Cisseo, ella ha due sorelle, Teano, sposa di Antenore, e un'altra di cui non si conosce il nome, molto più giovane, moglie di Ifidamante, l'ultimogenito di Teano.\nIl problema genealogico posto dalla figura di Ecuba era così complesso che l'imperatore Tiberio, di facile ironia, amava proporlo ai grammatici del suo tempo.\n\nMito.\nMatrimonio con Priamo.\nIl re di Troia Priamo sposò dapprima Arisbe, figlia del veggente Merope, e lei gli dette un figlio di nome Esaco, anch'egli indovino. Ma quando fu stanco di lei, la ripudiò affidandola a Irtaco, che a sua volta generò con lei due figli, Asio e Niso, gli Irtacidi, i quali in seguito presero parte alla guerra di Troia.\nPriamo prese dunque in seconde nozze Ecuba, che allora era molto giovane e di cui egli si era profondamente innamorato. Ella generò al marito diciannove dei cinquanta figli che Priamo ebbe in totale, tra cui Ettore, Paride, Cassandra, Eleno e il primo Polidoro. Priamo istituì la poligamia per poter sposare anche Laotoe, figlia del re dei Lelegi, che gli diede altri due figli (Licaone e il secondo Polidoro), mentre tutti gli altri furono generati con concubine e schiave. Ma ciò è smentito da Euripide, che portava a cinquanta il numero dei figli e li considerava tutti procreati dalla sola Ecuba.\nApollodoro invece parla solo di quattordici figli:.\n\nil primogenito fu Ettore, sebbene egli fosse ritenuto figlio di Apollo e della regina;.\nParide, soprannominato Alessandro, la cui nascita fu annunciata da un sogno profetico, era il secondogenito;seguirono poi quattro figlie:.\n\nIliona (che la maggior parte degli autori non riporta), andata in sposa a Polimestore, re di Tracia; questa prima figlia fu seguita da:.\nCreusa, sposa di Enea;.\nLaodice, la più bella;.\nPolissena, la più giovane di queste quattro;seguirono poi figli maschi, e tra di loro la profetessa Cassandra; l'ordine sarebbe questo:.\n\nDeifobo;.\nEleno;.\nCassandra, (che secondo una versione è sorella gemella di Eleno);.\nPammone;.\nPolite;.\nAntifo;.\nIpponoo.\nPolidoro, che secondo alcuni autori fu però generato in Ecuba da Apollo.\nL'ultimo nato fu Troilo, il più amato della famiglia, secondo alcune leggende generato anch'egli da Apollo. Le si attribuiva anche un quindicesimo figlio, chiamato Polidamante.Il matrimonio con Priamo permise ad Ecuba di affiancarlo nel governo della città e nelle esigenze dei loro sudditi. La regina, alternando alla politica l'allevamento e l'educazione dei suoi figli, si rivelò un'abile donna, anche capace di dare consigli utili al marito e alla sua numerosa prole. Durante questo periodo, Ecuba si rivelò fedele a Priamo nei suoi doveri coniugali, sebbene alcuni autori raccontino delle sue avventure erotiche con il dio Apollo. La divinità, delusa dall'ostinato rifiuto amoroso di una figlia di Ecuba, Cassandra, si consolò con la regina con la quale giacque per una notte. Dall'unione sarebbe nato Polidoro (che altrove è ritenuto figlio di Priamo), e probabilmente anche Troilo, il quale, secondo un oracolo annunciato dallo stesso Apollo, se avesse compiuto venti anni avrebbe risparmiato alla città su cui governavano i suoi genitori una fine triste. Stesicoro attribuiva a questi amori segreti anche il concepimento dell'eroe Ettore.\n\nPremonizioni di Ecuba.\nEcuba ebbe numerosi figli dal matrimonio con Priamo, alcuni dei quali, in particolar modo, si rivelarono prodigiosi a causa di doni o benefici concessi loro dagli dèi stessi. Più volte la regina troiana si trovò ad essere la testimone di questi eccezionali doni, o addirittura l'intermediaria tra la divinità e la sua progenie, attraverso sogni, visioni, o incubi notturni.\nDopo la nascita del primogenito Ettore, la regina rimase incinta di un secondo bambino, ed era ormai sul punto di darlo alla luce. La notte del parto, tuttavia, Ecuba sognò di partorire dal suo ventre una fascina di legna, ricolma di serpenti; contemporaneamente vedeva una torcia accesa, che nasceva sempre dal suo ventre, appiccando fuoco alla roccaforte di Troia e all'intera foresta del monte Ida. La regina si svegliò urlando per l'orrenda visione, il che spaventò Priamo che ordinò immediatamente di condurre i migliori indovini a corte. Il primo ad essere consultato fu suo figlio Esaco.\n\nLa tragica fine.\nLa figura di Ecuba assume un ruolo di primissimo piano in due tragedie di Euripide: Le Troiane e Ecuba. Nella prima Ecuba viene destinata come schiava ad Ulisse e le tocca di assistere alla morte del nipote Astianatte. Nella seconda, dramma personale, si esalta l'orgoglio e l'amore di una regina che vede i suoi figli perire uno ad uno. La morte del figlio Polidoro per mano del re del Chersoneso Polimestore viene da lei vendicata con l'accecamento dello stesso Polimestore. Ecuba s'accese d'ira per la caduta di Troia e l'uccisione dei suoi abitanti e uccise Elena, la nipotina frutto dell'amplesso di Paride con Elena.\nEcuba fu destinata in schiava ad Ulisse e salpò alla volta del Chersoneso, in Tracia, ma ricoprì d'insulti Ulisse e la sua ciurma per la loro mancanza di parola e crudeltà al punto che i soldati la misero a morte. Il suo spirito assunse l'aspetto di un'orrenda cagna nera che segue Ecate, si tuffò in mare e nuotò sino all'Ellesponto. Fu sepolta in un luogo, che prese il nome «Cinossema' o 'Tomba della Cagna». Sarebbe effettivamente esistito presso l'odierna Gallipoli (Turchia), sullo stretto dei Dardanelli, in epoca antica un alto cumulo di pietre in riva al mare, che serviva come punto di riferimento ai marinai. Un mito successivo aggiunge che Ecuba fu posta da Zeus tra le stelle del firmamento, divenendo la costellazione dell'Orsa Minore, così che con la Stella Polare orienta i naviganti, come sulla Terra fa la Cinossema.\nSecondo un'altra versione, Ecuba rinvenne il corpo del piccolo Polidoro sulla spiaggia, su cui era stato sospinto dalle onde del mare. Il fanciullo era infatti stato affidato da Priamo al re Polimnestore, ma l'uomo lo uccise per appropriarsi dell'oro destinato alla sua educazione. Ecuba richiamò Polimnestore con il pretesto di dovergli rivelare la posizione di un tesoro reale celato tra le ceneri di Troia. Quando il re accorse in fretta insieme ai due figlioletti al cospetto della regina, Ecuba estrasse una spada dalle sue vesti, uccise i due bambini e accecò Polimnestore affondandogli le dita con forza nelle orbite. L'uomo, imbestialito per il tradimento, supplicò Agamennone di punire la donna, ma il re di Micene prese le difese di Ecuba e ribadì che Polimnestore era stato così punito per la sua avidità. Polimnestore predisse in risposta l'uccisione di Agamennone e Cassandra.\nI nobili del Chersoneso s'avventarono allora furenti contro Ecuba per vendicare il loro re scagliandole sassi e dardi, ma essa si tramutò in una cagna chiamata Mera e iniziò a correre in tondo latrando e frantumando le pietre con i denti, al punto che tutti si ritrassero impauriti.\n\nEcuba di Shakespeare.\nNella tragedia Amleto di William Shakespeare nell'atto secondo, il principe Amleto, meditando la sua vendetta, chiede a una compagnia di attori di recitare quel momento della presa di Troia quando Pirro uccide selvaggiamente il vecchio re Priamo. L'attore, quando descrive la regina Ecuba disperata, sbianca e piange calde lacrime. Amleto ne rimane colpito, pensando a sua madre e riflettendo che Ecuba è solo un personaggio antico, mitico, eppure è capace suscitare in un uomo così lontano dalla sua epoca queste forti emozioni, per cui esclama: «E tutto ciò per nulla!... Per Ecuba! Che cos'è Ecuba per lui, o lui per Ecuba, perch'egli possa piangere così?».
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### Titolo: Edilogo.\n### Descrizione: In mitologia greca, Edilogo (greco antico: Ἡδυλόγος Hēdýlogos) era il dio delle dolci parole sussurrate, dell'adulazione, dell'adorazione, delle chiacchiere e delle lusinghe e uno degli dei dell'amore alati chiamati eroti, insieme a Pothos, Eros, Anteros, Imero ed Imene.\nNon è menzionato in nessuna letteratura esistente, ma è raffigurato su antiche pitture vascolari greche. Un esempio di sopravvivenza su una pisside a figure rosse della fine del V secolo a.C. mostra Edilogo insieme al fratello Pothos disegnare il carro di Afrodite.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Edilogo, su Theoi Project.
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### Titolo: Edipo a Colono.\n### Descrizione: Edipo a Colono (in greco antico: Oἰδίπoυς ἐπὶ Κολωνῷ?, Oidìpus epì Kolōnō) è una tragedia scritta da Sofocle e rappresentata postuma nel 401 a.C. L'opera viene a volte indicata anche come Edipo coloneo o Edipo secondo, in quanto costituisce la prosecuzione della vicenda raccontata dallo stesso Sofocle nell'Edipo re. La storia collettiva della famiglia di Edipo viene chiamata saga dei Labdacidi.\n\nTrama.\nEdipo, ormai mendico e cieco, nel suo vagabondare insieme alla figlia Antigone, arriva a Colono, un sobborgo nei pressi di Atene, in obbedienza ad un'antica profezia che diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo, conosciuta la sua identità, vorrebbero allontanarlo, ma il re di Atene, Teseo, gli accorda ospitalità e protezione. A questo punto Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli Ateniesi la sua tomba preserverà i confini dell'Attica.L'altra figlia, Ismene, li raggiunge portando la notizia dello scontro fra i fratelli Eteocle e Polinice, anch'essi figli di Edipo. Secondo un oracolo avrebbe ottenuto la vittoria quello dei fratelli che fosse riuscito ad assicurarsi l'appoggio paterno. Arriva anche Creonte, re di Tebe, per convincere Edipo a tornare in patria ma, visto il rifiuto di quest'ultimo, Creonte prende in ostaggio le figlie, che vengono però messe in salvo da Teseo. Giunge poi Polinice nel tentativo di ingraziarsi le simpatie del padre, ma, dopo un litigio nel quale maledice lui e il fratello Eteocle (i due moriranno l'uno per mano dell'altro, come viene raccontato nei Sette contro Tebe di Eschilo), viene scacciato da Edipo. Infine si manifestano una serie di prodigi divini che fanno capire ad Edipo che la sua fine è vicina.Egli viene accompagnato da Teseo in un boschetto sacro alle Eumenidi e lì sparisce per volontà degli dei, dopo aver predetto al re di Atene lunga prosperità per la sua città. Antigone e Ismene vorrebbero correre a vedere il luogo in cui il loro padre ora riposa ma Teseo le ferma: a nessuno è lecito accostarsi a quel luogo. Le due sorelle si preparano allora a fare rientro a Tebe.\n\nCommento.\nLa riabilitazione di Edipo.\nGiunge a conclusione la vicenda umana di Edipo, un re che aveva conosciuto grandi glorie e ancor più grandi sventure. Aveva ottenuto il trono grazie ad un'impresa mai riuscita ad altre persone: aveva risposto correttamente all'enigma posto dalla Sfinge. Edipo era dunque un re carismatico, illuminato e rispettato, ma senza sua colpa perse tutto quanto aveva ottenuto, perché si seppe che, sia pure senza saperlo, aveva ucciso il proprio padre Laio, per poi procreare figli con Giocasta, la propria madre. Edipo diventò dunque in breve tempo un mendicante in esilio, cieco e disprezzato da tutti. Con l'Edipo a Colono quel cieco, che aveva subito le peggiori sventure senza averne colpa, viene alla fine riabilitato, poiché la sua sparizione nel boschetto di Colono significa in primis la sua trasformazione in un prescelto, un eroe protettore della città.\n\nUna riflessione sulla morte.\nSofocle, che era nativo proprio di Colono, scrisse questa tragedia quando aveva novant'anni, pochi mesi prima di morire. Non può essere quindi un caso che l'autore ormai anziano abbia scelto di trattare proprio il tema della morte di Edipo, intrecciando quindi il mito con aspetti chiaramente autobiografici. Un esempio è il primo stasimo dell'opera, un commosso inno alle bellezze di Colono, alle sue piante, ai suoi cavalli e al mare, che nasconde probabilmente il nostalgico ricordo della giovinezza dell'autore nel suo paese natale. Verso la fine dell'opera, poi, quando Edipo è prossimo a recarsi nel boschetto dove incontrerà il suo destino, il coro si lancia in una riflessione sulla morte che indubbiamente riflette le convinzioni degli antichi greci sul punto, nonché, forse, dello stesso autore. La vita umana è un mistero, pieno di sofferenze ed apparentemente insensato, su cui infine si distende la morte come una forma di liberazione.
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### Titolo: Edipo.\n### Descrizione: Edipo (in greco antico: Οἰδίπους?, Oidípūs, che significa 'dai piedi gonfi' da οἶδος òidos 'rigonfiamento' e πούς pūs 'piede'; in latino Oedĭpus) è un eroe della mitologia greca.\n\nIl mito.\nLa nascita e il destino di Edipo.\nLaio, marito di Giocasta e re di Tebe, era afflitto dalla mancanza di un erede: consultò quindi in segreto l'oracolo di Delfi, che gli spiegò come quella che sembrava una benedizione, fosse in realtà una disgrazia, dato che suo figlio non soltanto l'avrebbe ucciso ma avrebbe anche sposato la madre, dando inizio a uno spaventoso susseguirsi di disgrazie che avrebbero provocato la rovina della casa. Sperando di salvarsi Laio ripudiò la moglie senza spiegazioni ma, ubriacatolo, Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte.\n\nQuando, nove mesi dopo, la donna partorì un bambino, per evitare il compimento dell'oracolo, Laio lo strappò dalle braccia della nutrice, gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo fece 'esporre' (lo abbandonò cioè in una foresta) da un servo; il piccolo venne poi trovato dal pastore Forbante che lo portò da Peribea, moglie del re di Corinto Polibo, presso la cui corte il bimbo crebbe credendo di essere figlio del re. Al bambino venne dato il nome Edipo, che in greco vuol dire 'piede gonfio', a causa delle ferite che aveva nelle caviglie.Anni dopo un nemico di Edipo, volendolo offendere, gli disse che lui non era figlio di Polibo ma un trovatello: turbato, il giovane interrogò il re di Corinto il quale, dopo molte reticenze, mentì dicendogli che quella non era affatto la verità. Edipo, ancora incerto, stabilì di interrogare l'oracolo di Delfi per sapere chi fossero i suoi genitori ma quando giunse al santuario la Pizia, inorridita, lo cacciò predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Edipo, atterrito dal vaticinio, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe.\nDurante il cammino verso la Focide, Edipo si imbatté in un cocchio guidato da Laio e diretto al santuario delfico per chiedere alla Pizia come liberare Tebe dalle calamità che la tormentavano (in particolare una Sfinge imponeva indovinelli a chi passava e, se l'interrogato non riusciva a rispondere, lo divorava): vedendo il giovane l'araldo di Laio, Polifonte (o Polipete), gli ordinò di lasciare passare il re, ma poiché Edipo non obbediva Polifonte uccise uno dei suoi cavalli e avanzò con il carro ferendogli un piede; incollerito, Edipo balzò sul cocchiere uccidendolo mentre Laio si trovò incastrato nelle redini dei cavalli ed Edipo, gettatolo a terra e frustate le bestie, lo trascinò nella polvere fino a ucciderlo. La prima parte della profezia si era compiuta.\nAlla notizia della morte di Laio i tebani elessero come re Creonte, fratello di Giocasta, il quale fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e dato in moglie la sorella a colui che avesse risolto l'enigma della sfinge.\n\nL'enigma della Sfinge.\nEdipo giunse quindi a Tebe e incontrò la Sfinge accovacciata sul monte Ficio: la creatura, figlia di Tifone e di Echidna, era un mostro con la testa di donna, il corpo di leone, una coda di serpente e ali di rapace ed era stata inviata contro i tebani da Era perché in passato Laio aveva rapito e violentato Crisippo, figlio del re Pelope, il quale si era poi suicidato.\nA ogni passante la creatura esponeva un enigma insegnatole dalle Muse: «Qual è l'essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre e che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?»; esisteva anche un altro enigma: «Esistono due sorelle, delle quali l'una genera l'altra, e delle quali la seconda, a sua volta, genera la prima. Chi sono?». Una versione forse più antica raccontava che ogni giorno i Tebani si incontravano nella piazza della città per cercare di risolvere in comune l'indovinello e ogni giorno, a conclusione della seduta, la Sfinge divorava uno di essi.\n\nDopo avere ascoltato gli enigmi Edipo comprese quali erano le risposte: quella al primo indovinello era l'uomo, perché esso cammina durante l'infanzia a quattro gambe, poi a due e infine si appoggia a un bastone nella vecchiaia; al secondo erano il Giorno e la Notte. La Sfinge, indispettita, si precipitò dall'alto della rupe sulla quale era appollaiata mentre, secondo altre versioni, fu Edipo stesso a spingerla nell'abisso. Creonte, soddisfatto dell'impresa e soprattutto di vedere vendicata la morte di suo figlio, cedette il trono a Edipo, il quale sposò Giocasta andando ad avverare fino in fondo la tremenda profezia: dalla loro unione nacquero due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene.\nDopo un lungo e felice periodo di regno, la peste si abbatté sulla città di Tebe ed Edipo inviò Creonte a chiedere all'oracolo di Delfi la ragione di quel flagello: Creonte ritornò riportando la risposta della Pizia secondo cui la peste sarebbe cessata soltanto se la morte di Laio fosse stata vendicata. Edipo pronunciò allora contro l'autore di quel delitto una maledizione condannandolo all'esilio e poi interrogò l'indovino Tiresia per chiedergli chi fosse il colpevole. Tiresia, che grazie alle sue facoltà era a conoscenza della verità, tentò di evitare la risposta e così Edipo sospettò che lo stesso Tiresia e Creonte fossero gli autori del delitto.\nGiocasta mise quindi in discussione la chiaroveggenza di Tiresia e a prova di questo riportò la profezia che lui stesso aveva fatto: Laio doveva infatti morire per mano del figlio ma era stato ucciso dai briganti a un trivio. Edipo temette quindi di essere l'assassino di Laio e si fece descrivere il precedente re e la carovana che lo portava, quando giunse da Corinto un araldo che lo informò della morte dell'uomo che lui credeva suo padre, Polibo. Giocasta e Edipo credettero così che la profezia fosse stata scongiurata, ma l'araldo disse a Edipo che in realtà Polibo non era suo padre: ormai scoperta la tremenda verità Giocasta si impiccò ed Edipo si trafisse gli occhi con la spilla della moglie-madre.\n\nL'esilio e la fine di Edipo.\nPer qualche tempo Creonte, rieletto re, tenne nascosta la vicenda finché i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, scoperta la verità gli chiesero di cacciarlo da Tebe: disgustato dal loro comportamento, Edipo li maledisse predicendo loro che si sarebbero divisi e sarebbero morti l'uno per mano dell'altro; successivamente l'ex re, accompagnato dalle figlie, cominciò a peregrinare per il Paese chiedendo l'elemosina.\n\nDopo lunghi anni, in cui vagò per tutta la Grecia, Edipo giunse infine con le figlie a Colono presso il bosco dedicato alle Erinni, nel quale si addentrò per attendere la morte: ebbe così modo di trovare Teseo, il giusto e sapiente re di Atene, che lo confortò e lo accolse ospitalmente nella sua reggia. Avendo un oracolo dichiarato che il paese che avesse accolto la tomba di Edipo sarebbe stato benedetto dagli dei, Creonte cercò di convincere Edipo a tornare a Tebe ma l'ex re si rifiutò in modo che la benedizione legata alla sua morte andasse a ripagare l'ospitalità di Teseo.\nPoiché aveva saputo che la fine gli sarebbe stata annunciata da tuoni e fulmini, al primo tuono fece chiamare Teseo: assieme a lui Edipo giunse nei pressi di un abisso, presso il quale alcuni gradini di bronzo conducevano agli Inferi. Edipo si sedette, si tolse gli abiti sporchi, si fece lavare e vestire dalle figlie e con loro intonò il lamento funebre; appena terminato il canto si sentì la voce di un dio che chiamava Edipo e subito dopo risuonò un altro tuono, così forte che Teseo si coprì la faccia con il mantello. Quando tolse le mani dagli occhi, Edipo non c'era più.\n\nEdipo nella psicoanalisi.\nL'Edipo re viene citato a proposito di uno dei più importanti concetti elaborati dallo psicoanalista Sigmund Freud, denominato complesso di Edipo. Esso descrive le pulsioni, anche di tipo sessuale, di ogni maschio nei confronti dei genitori, in particolare in età infantile, e può essere descritto come un desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore dell'altro sesso, accompagnato conseguentemente dal desiderio di morte e di sostituzione del genitore dello stesso sesso. Per quanto riguarda le donne è stato elaborato il concetto parallelo di complesso di Elettra.\n\nGenealogia.\nEdipo nell'arte.\nPittura.\nJean-Auguste-Dominique Ingres, Edipo e la Sfinge (1827) - Museo del Louvre, Parigi.\nGustave Moreau, Edipo e la Sfinge (1864) - Metropolitan Museum, New York.\n\nLetteratura.\nEdipo (Oedipe) di Pierre Corneille.\nEdipo di Francisco Martínez De La Rosa.\nEdipo (Oedipus) di John Dryden e Nathaniel Lee.\nEdipo di Eschilo (opera perduta).\nEdipo di Euripide (opera perduta).\nEdipo (Oédipus) di Lucio Anneo Seneca il giovane.\nEdipo (Oedipe) di Voltaire.\nEdipo a Colono di Sofocle.\nEdipo e la Sfinge di Hugo von Hofmannsthal.\nEdipo nel bosco delle Eumenidi di Giovanni Battista Niccolini.\nEdipo re di Sofocle.\nEdippo - Tragedia di Giovanni Andrea Dell'Anguillara.\nL'Edipo romantico di August von Platen-Hallermünden.\nEdipodia (opera perduta), poema epico forse di Cinetone di Sparta.\nTebaide di Stazio.\nLa machine infernale di Jean Cocteau.\nMes Oedipes di Jacqueline Harpman.\nLa morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt.\nEdipo sulla strada di Henry BauchauAnche il dramma di Pedro Calderón de la Barca La vita è sogno è riconducibile, pur con alcuni elementi traslati verso il Cristianesimo, alla vicenda di Edipo.\n\nMusica.\nEdipo (Oedipus) di Henry Purcell per l'Edipo re di Sofocle.\nOedipe, opera di George Enescu in quattro atti, libretto di Edmond Fleg.\nEdipo a Colono di Flor Alpaerts, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Felix Mendelssohn Bartholdy, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Heinrich Bellermann, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Eduard Lassen, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Frank Martin, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Joseph Guy Ropartz, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Gioachino Rossini, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Antonio Maria Gaspare Sacchini, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Nicola Antonio Zingarelli, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo ad Atene di Modest Petrovič Musorgskij.\nEdipo re di Eduard Lassen, musiche di scena per l'Edipo re di Sofocle.\nEdipo re di Ruggero Leoncavallo.\nEdipo re di Ildebrando Pizzetti, musiche di scena per l'Edipo re di Sofocle.\nEdipo re di Max von Schillings.\nEdipo re di Charles Villiers Stanford.\nEdipo re (Oedipus Rex), opera-oratorio di Igor' Fëdorovič Stravinskij, libretto di Jean Cocteau.\n\nCinema.\nEdipo re di Giuseppe De Liguoro (1910).\nEdipo re di Pier Paolo Pasolini (1967).\nEdipo Sindaco di Jorge Alì Triana (1996).\nEdipo relitto di Woody Allen (1989), contenuto in New York Stories.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Edoné.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Edoné (Hedoné, Ἡδονή), è una divinità di straordinaria bellezza, figlia di Eros e Psiche, è l'incarnazione del piacere. Può essere annoverata fra le divinità dette Astrazioni.\nNella mitologia romana è chiamata Volupta.\n\nIl mito di Psiche e la nascita di Edoné.\nAfrodite era gelosa della bellezza di una donna mortale di nome Psiche (Psyché, Ψυχή). Chiese quindi a Eros di usare le sue frecce dorate per farla innamorare dell'uomo più brutto della terra. Eros accettò ma si innamorò egli stesso di Psiche (o pungendosi inavvertitamente con una delle sue frecce). Nel frattempo, i genitori di Psiche erano ansiosi perché temevano che la figlia rimanesse senza marito. Consultarono un oracolo che disse loro che Psiche non era destinata ad un amante mortale, ma ad un mostro che viveva in cima ad una certa montagna. Psiche era rassegnata al suo destino e scalò la cima della montagna. Lì, Zefiro, il vento dell'ovest, la sospinse gentilmente verso il basso. Psiche entrò in una caverna di detta montagna, sorpresa di trovarla piena di gioielli e abiti lussuosi. Eros la visitò ogni notte nella caverna ed ebbero dei rapporti sessuali. Eros le chiese solo di non accendere mai alcuna lampada, poiché non voleva che lei sapesse chi egli fosse (avere le ali lo rendeva individuabile). Le due sorelle, gelose di Psiche, la convinsero a trasgredire e così una notte ella accese una lampada, riconoscendo Eros all'istante. Una goccia di olio bollente cadde sul petto di Eros svegliandolo e facendolo fuggire.\nQuando Psiche disse alle sue sorelle maggiori che cosa era successo, esse gioirono in segreto e ognuna si recò separatamente in cima alla montagna per ripetere il modo in cui Psiche era entrata nella caverna, sperando che Eros avrebbe scelto loro. Zefiro invece non le raccolse ed entrambe morirono precipitando fino ai piedi della montagna.\nPsiche andò in cerca del suo amante vagando per la Grecia, quando infine giunse a un tempio di Demetra, il cui pavimento era coperto da mucchi di granaglie mischiate. Psiche iniziò a suddividere i semi per tipo e quando ebbe finito, Demetra le parlò, dicendole che il modo migliore per trovare Eros era quello di trovare la madre di costui, Afrodite, e guadagnarsi la sua benedizione. Psiche trovò un tempio di Afrodite e vi entrò. Afrodite le assegnò un compito simile a quello del tempio di Demetra, ma le diede anche una scadenza impossibile per terminarlo. Eros intervenne, dato che la amava ancora, e fece sì che delle formiche sistemassero i semi per lei. Afrodite si infuriò per il successo e quindi inviò Psiche in un prato dove pascolavano delle pecore dorate per procurarsi della lana dorata. Psiche andò al pascolo e vide le pecore, ma venne fermata dal dio del fiume che avrebbe dovuto attraversare per entrare nel pascolo. Egli le disse che le pecore erano cattive e pericolose e l'avrebbero uccisa, ma se avesse aspettato fino a mezzogiorno, le pecore sarebbero andate a cercare l'ombra dall'altra parte del campo per mettersi a dormire; Psiche avrebbe quindi potuto raccogliere la lana rimasta impigliata tra i rami e sulle cortecce degli alberi. Psiche fece così e Afrodite si infuriò ancor più per lo scampato pericolo ed il successo. Alla fine Afrodite sostenne che lo stress del doversi prendere cura del figlio, depresso e malato per via dell'infedeltà di Psiche, le aveva fatto perdere parte della sua bellezza. Psiche doveva recarsi nell'Ade a chiedere a Persefone, la regina degli Inferi, un po' della sua bellezza da mettere in una scatola nera che le era stata consegnata da Afrodite. Psiche andò fino ad una torre, avendo deciso che il modo più rapido per raggiungere gli inferi era quello di morire. Una voce la fermò all'ultimo minuto e le rivelò un percorso che le avrebbe permesso di entrare e fare ritorno ancora viva, oltre a dirle come passare oltre Cerbero, Caronte e altri pericoli sul percorso. Psiche placò Cerbero, il cane a tre teste, con un dolce al miele e pagò a Caronte un obolo perché la portasse nell'Ade. Lungo il percorso vide delle mani che spuntavano dall'acqua. Una voce le disse di lanciare loro un dolce al miele. Una volta arrivata, Persefone le disse che sarebbe stata lieta di fare un favore ad Afrodite. Al ritorno Psiche pagò nuovamente Caronte, gettò il miele alle mani e ne diede ancora a Cerbero.\nPsiche lasciò gli Inferi e decise di aprire la scatola e prendere per sé una piccola parte della bellezza, credendo che così facendo Eros l'avrebbe sicuramente amata; nella scatola c'era però un 'sonno infernale' che la sopraffece. Eros, che l'aveva perdonata, volò da Psiche e le tolse il sonno dagli occhi, quindi implorò Zeus e Afrodite affinché dessero il loro consenso a sposarla. Essi accettarono e Zeus la rese immortale. Afrodite danzò alle nozze di Eros e Psiche e i due ebbero una figlia chiamata Edoné, o (nella mitologia romana) Volupta.\n\nVoci correlate.\nAmore e Psiche.\nEros.\nPsiche (mitologia).\nAfrodite.\nEdonismo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Edoné.
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### Titolo: Eea.\n### Descrizione: L'isola di Eea (in greco antico: Αἰαίη?, Aiáiē o Αἰαία, Aiáiā, in latino Aeaea) viene nominata nell'Odissea come dimora della maga Circe e prendeva il nome da Eos, l'aurora.\nChe la sede di Circe fosse un'isola è ben chiaro nel libro X dell'Odissea in quanto Ulisse, salito su una roccia scorse nella sua interezza il contorno dell'isola:.\ne il pelago tutto d'intorno la stringe e ghirlanda.\nTale isola è stata identificata, fin dall'antichità (lo testimonia Strabone), con l'attuale promontorio del Circeo. Tuttavia il Circeo non è che un promontorio e in passato era una penisola; si è ipotizzato quindi che in epoca antica dovesse essere separato dalla terra e circondato dal mare o collegato alla terra da una spiaggia.\nA ricordo di questa sede ipotetica esiste ancora una grotta indicata come 'della Maga Circe', dove il termine maga (di uso popolare e letterario non greco) sostituisce quello originario di dea, nonché le rovine del cosiddetto 'Tempio di Circe (o di Venere)', dove fu rinvenuta la testa di una statua, attribuita alla divinità.\nLa dimora di Circe era al centro dell'isola, in un'aprica pianura e in giro si vedevano ampie strade.Come si può notare sia l'isola che le ampie strade lasciano dei dubbi sull'identificazione di Eea con il Circeo, tuttavia il promontorio del Circeo, visto da Gaeta o Sperlonga, può sembrare proprio un'isola.\n\nUn autore, Fernando Jaume, identificò l'isola di Circe con Didyma, o isola di Salina, le 'rocce erratiche' essendo i Faraglioni di Lipari, accanto all'Isola delle Sirene e all'Ade in Sicilia, forse altrettante evocazioni del vulcanismo di questo arcipelago. La spiaggia stretta, le foreste dedicate a Persefone sarebbero lì, ad Acquedolci.\nAlcuni storici hanno ipotizzato che l'isola corrispondesse all'acropoli di Terracina o comunque in una zona vicina a Terracina. Inoltre a Terracina il tempio della dea Feronia sembra potersi identificare proprio con Circe.\nAltri hanno ipotizzato, invece, che fosse l'isola di PonzaPiù di recente altri ancora, come il professore e storiografo neozelandese L.G. Pocock, studiando e ripercorrendo approfonditamente gli eventi descritti nell'Odissea di Omero, hanno identificato Eèa nell'Isola di Ustica, la quale, anche per lo scrittore Marco Carlo Rognoni, sembra corrispondere al luogo più plausibile a motivo della sua particolare storia, posizione e morfologia.\nSecondo Robert Graves '... Si suppone che gli Argonauti abbiano navigato lungo il Po, di fronte alla cui foce, sull'altra sponda dell'Adriatico, si trovava Eea, ora chiamata Lussino...'.\nAltre interpretazioni collocano l'isola prossima alla Sardegna ed in alcuni casi l'isola stessa; molte persone attribuiscono la forma dell'isola, simile ad una donna sdraiata, alla “Maga Circe” della tradizione popolare.
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### Titolo: Eete.\n### Descrizione: Eete (in greco antico: Αἰήτης?, Aiḕtēs) o Eeta oppure Eeto, è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nEra figlio del dio Elio e di Perseide, nonché fratello di Circe, Perse e Pasifae, moglie di Minosse e regina di Creta.\nEbbe il figlio Apsirto da una ninfa del Caucaso di nome Asterodea.\nDa Idia, figlia di Oceano, ebbe Medea e Calciope.\n\nMitologia.\nIl viaggio verso est.\nEete ebbe la terra dell'Efira nel Peloponneso da suo padre Elio e ne divenne re, ma lasciò quel luogo a uno dei suoi uomini fidati (Buno), che fu posto come reggente della città, e partì verso oriente, attraversando l'Ellesponto ed il Mar Nero fino a raggiungere le regioni costiere del Caucaso, dove s'insediò. Fondò la città di Aia sul fiume Fasi, nella regione della Colchide.\n\nFrisso, gli Argonauti ed il vello d'oro.\nEete fu raggiunto da Frisso, che fuggiva dalla Beozia volando su un ariete con il manto d'oro (il Crisomallo) e doni che cedette in cambio della mano di Calciope. Una volta sacrificato l'ariete a Zeus, Frisso ne donò il manto a Eete, che lo fece inchiodare a una quercia.\nQuando Giasone e gli Argonauti giunsero ad Aia con lo scopo di recuperare il vello d'oro e riportarlo a Pelia, Eete, cui un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto, per tutta risposta si infuriò, burlandosi del comandante e dei suoi compagni, e ordinandogli di fare ritorno ai propri luoghi d'origine.Giasone non rispose alla collera con l'ira: i suoi modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea, ma pose comunque delle condizioni inaccettabili. Per recuperare il vello d'oro Giasone avrebbe infatti dovuto:.\naggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti; fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno;.\ntracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago: quelli, pochi e perduti, che Cadmo aveva seminato tempo addietro a Tebe.Nell'udire le condizioni Giasone rabbrividì, ma in suo aiuto intervenne il favore degli dei: Eros, il dio dell'amore, fece sì che Medea si innamorasse del giovane comandante.\n\nLa maga Medea.\nInnamoratasi di Giasone e temendo che fosse ucciso dai tori, Medea, nata in Colchide e diventata maga, promise all'uomo di aiutarlo a superarli e di consegnargli il vello solo se avesse giurato di sposarla e di portarla con sé nel viaggio di ritorno in Grecia. Lui giurò di farlo e ottenne da lei un unguento che lo avrebbe protetto per un solo giorno, da usare ungendo lo scudo, la lancia ed il corpo, così da poter sfidare i tori senza temere il loro fuoco o i loro zoccoli.\nMedea mise anche in guardia Giasone del fatto che quando i denti del drago sarebbero stati seminati, subito dalla terra sarebbero spuntati degli uomini armati e destinati ad avventarsi su di lui, suggerendogli di lanciare delle pietre contro di essi, così da distrarli e cogliere il momento per attaccarli..\nQuando, grazie ai consigli della donna, Giasone ebbe sconfitto i tori e ucciso i nemici, Eete rifiutò lo stesso di cedere il vello e così Medea, rivoltandosi al padre, addormentò per una notte il drago che difendeva il vello e lo portò a Giasone il quale, salito a bordo dell'Argo si preparò a salpare con lei e il resto dell'equipaggio. Sopraggiunse anche Apsirto, fratellastro di Medea, che si imbarcò con gli Argonauti.\n\nL'inseguimento.\nQuando Eete scoprì il furto del vello, prese anch'esso il mare e partì all'inseguimento della nave, ma Medea, spietata, uccise Apsirto e ne tagliò il corpo in pezzi, gettandoli in mare e costringendo così Eete a fermarsi per raccoglierli, e a tornare indietro per dare al figlio un degno funerale.\nEete mandò molte persone alla ricerca dell'Argo e della figlia, ma queste non tornarono mai.\n\nL'epilogo della tragedia.\nEete un giorno uccise Frisso poiché un oracolo gli aveva predetto che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso.\nTempo dopo Eete fu deposto dal trono da suo fratello Perse, così Medea ritornò in Colchide per uccidere lo zio e rimettere sul trono il padre.
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### Titolo: Eetione (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eetione (in greco antico: Ἠετίων) era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell'Iliade.\n\nIl mito.\nSotto tale nome ritroviamo:.\n\nEetione o Ezìone, padre di Andromaca e di Pode.\nEetione, di Imbro, colui che riscattò comprando a caro prezzo Licaone, il figlio di Priamo che Achille aveva catturato e venduto come schiavo.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLa figura di Eetione di Imbro è misteriosa perché viene citata soltanto una volta da Omero e nessun altro mitografo si interessa di lui benché abbia svolto un ruolo importante nelle vicende di Licaone ed Achille.
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### Titolo: Egemone (divinità).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Egemone (in greco antico: Ἡγεμόνη?) o Egemona era la divinità greca delle piante; le veniva attribuita la capacità di farle fiorire e prosperare. Il suo nome significa potere.Secondo Pausania, il nome di Egemone era uno dei nomi attribuiti ad Artemide.Egemona era, secondo gli ateniesi, una 'grazia'.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nMentre Omero parla di due sole grazie e lo stesso fecero gli ateniesi cambiando però il nome. Soltanto successivamente furono portate a tre, ed infatti ancora oggi sono note tre Grazie.
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### Titolo: Egeone.\n### Descrizione: Egeone (Iliade 1.403-404) è il dio greco delle mareggiate. Ha combattuto nella battaglia tra Titani e dei dalla parte di Crono, a differenza di Oceano che non si è schierato da nessuna delle due parti. È nato da Gea (madre) e Ponto (padre). Ha un fratello di nome Nereo. È padre di Melite.
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### Titolo: Egeria.\n### Descrizione: Nella mitologia romana Egeria è una delle antiche divinità latine delle acque sorgive, le Camene.\n\nLeggenda.\nSecondo la leggenda, fu amante, consigliera e moglie del re Numa Pompilio. Quando il re morì, Egeria si sciolse in lacrime, dando vita a una fonte («…donec pietate dolentis / mota soror Phoebi gelidum de corpore fontem / fecit…» Ovidio, Metam. XV 549-551), che divenne il suo luogo sacro e che la tradizione identifica con la sorgente esistente presso la Porta Capena. Esiste anche un'altra fonte Egeria nel bosco di Aricia, sui monti Albani, vicino a Roma.A Egeria venivano offerti sacrifici da parte delle donne incinte per il buon esito del parto. Era chiamata anche Camena, che significa cantante, vaticinatrice, e per questa ragione la valle in cui si trovava la fonte di Egeria era detta Vallis Camenarum. I colloqui tra la ninfa e il Re si svolgevano nella grotta nel Bosco delle Camene. Insieme a Virbio, altra divinità minore del pantheon latino, la si ritrova associata al culto di Diana Nemorensis, nel Nemus Aricinum, l'insieme dei boschi che circondavano il lago di Nemi presso Aricia.\nAlla sua figura è stato dedicato l'asteroide 13 Egeria.\nNella lingua italiana alla polirematica 'ninfa egeria' è rimasto, per antonomasia, il significato di ispiratrice e consigliera segreta. Ancora oggi, in francese, il termine égérie ha il significato di 'musa ispiratrice', specialmente nel campo della moda.
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### Titolo: Egesta.\n### Descrizione: Egesta è un personaggio della mitologia greca.\nEsistono varie leggende che ruotano attorno alla venuta di questa Troiana in Sicilia. Servio racconta che quando Laomedonte si rifiutò di pagare Apollo e Poseidone, poiché avevano costruito le mura di Troia, gli dei scagliarono sciagure contro il suo paese: Poseidone lo devastò con un mostro marino e Apollo con un'epidemia; quest'ultimo, interrogato, rivelò il rimedio contro il mostro di Poseidone. Egli disse che occorreva dare in pasto all'animale giovani nobili del paese. Così numerosi Troiani mandarono rapidamente i loro figli all'estero, e come tanti, Egesta venne affidata dal padre Ippote ad alcuni mercanti che la portarono in Sicilia. Qui Crimiso, un dio-fiume, la sposò e generò con lei Aceste, il fondatore della città di Segesta.\nSecondo Licofrone, invece, Egesta fu figlia del Troiano Fenodamante, che aveva suggerito ai suoi compagni di dare in pasto al mostro la figlia di Laomedonte, Esione, che, per vendicarsi, diede ai marinai le tre figlie di Fenodamante, perché le esponessero alle belve in Sicilia. Le tre fanciulle sfuggirono il pericolo aiutate da Afrodite. Una di loro, Egesta, sposò Crimiso, con cui ebbe Egeste, il quale fondò tre città: Segesta, Erice ed Entella.\nUn'altra tradizione racconta che Egesta, figlia di Ippostrato, ritornò dalla Sicilia a Troia, dove dal marito Capi aveva avuto il figlio Anchise.\n\nVoci correlate.\nEryx.
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### Titolo: Egialea.\n### Descrizione: Egialea (in greco antico: Αἰγιάλεια?, Aigiáleia) o Aegiale (in greco antico: Αἰγιάλη?, Aighiálē) o Eurialeia è un personaggio della mitologia greca. Fu una regina di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Adrasto e di Anfitea (figlia di Pronace), sposò Diomede.\nNon sono noti nomi di progenie.\nPotrebbe essere figlia di Egialeo anche se in genere è ritenuta sua sorella.\n\nMitologia.\nDurante la guerra di Troia, ad Argo girava voce che alcuni uomini stessero tradendo le mogli con delle donne troiane e che quando la guerra fosse finita sarebbero tornati indietro portandole con loro. Così Aegiale si lasciò tentare da Comete e dopo aver tradito il marito al suo ritorno lo cacciò impedendogli di entrare in città (Diomede), lui fuggì verso l'Italia e lungo le coste del mare Adriatico.
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### Titolo: Egialeo (re di Sicione).\n### Descrizione: Egialeo (in greco antico: Αἰγιαλεύς?, Aighialéus) è un personaggio della mitologia greca, re di Egialea, figlio del dio fluviale Inaco e dell'oceanina Melia, anche se nella tradizione locale di Sicione fu autoctono, ovvero nato direttamente dalla terra.\nSe era figlio di Inaco, era inoltre fratello di Foroneo e di Io.\n\nMitologia.\nStoricamente è considerato il colono originario del Peloponneso e fondatore della città di Aegialea più tardi conosciuta come Sicione.\nSecondo Pausania ebbe un figlio di nome Europo mentre secondo Apollodoro non ebbe figli e dopo la sua morte il regno fu governato da Foroneo.
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### Titolo: Egida.\n### Descrizione: L'ègida (dal latino aegis, a sua volta calco del greco aigís) è lo scudo di Zeus e un tipo di protezione indossato da Atena.\nGeneralmente si pensa che sia fatta di pelle di capra, ma da un'opera di Eschilo si è ipotizzato che in origine l'egida fosse immaginata come una nube tempestosa (e precisamente il cerchio di nubi che si addensa sulla testa di Zeus al momento del tuono divino). Infatti vi è somiglianza tra i termini aix, aigòs (= capra) e kataigís (= uragano).\nL'egida usata da Atena è una corta corazza con le frange oppure uno scudo magico, dove in alcune versioni dal suo centro spicca la testa della Gorgone, attorniata da Lotta, Paura, Forza e Inseguimento.\nPer traslato, nel lessico quotidiano egida significa 'protezione, difesa, riparo'.\n\nDiverse egide.\nL'egida era la magica sacca di pelle di capra contenente una serpe e protetta dalla maschera della Gorgone. Erodoto lo conferma, e descrive come l'abbigliamento delle donne libiche fosse caratterizzato da grembiuli di pelle di capra, ornati di frange. I Greci ne presero esempio, ma al posto dei serpenti posero delle striscioline di cuoio.\nLe prime due versioni del mito:.\n\nPerseo uccise Medusa mozzandole la testa, la quale era in grado di pietrificare all'istante chiunque la guardasse. Atena in seguito si appropriò del talismano (la testa di Medusa) inserendolo in uno scudo fatto di pelle di capra, ed esso divenne il suo scudo magico in grado di pietrificare all'istante i suoi nemici.\nIl gigante Pallante tentò di violentare Atena, ma la dea lo uccise e lo scorticò; il gigante era ricoperto, al posto di pelle umana, di pelle caprina, con la quale Atena si fabbricò l'egida, uno scudo magico che nessuna arma poteva infrangere.Leggende più tarde (così anche Omero nell'Iliade) vogliono che l'egida fosse stata fabbricata da Efesto con la pelle di Amaltea, la capra balia di Zeus. Efesto ne fece uno scudo indistruttibile e resistente perfino alla folgore. Zeus è definito Egioco proprio perché fornito di egida.\nZeus non la usa come scudo da combattimento, ma per scatenare tempeste, agitandola.\nMolto più tardi Pseudo-Apollodoro, nella Biblioteca, racconta che, durante un combattimento fittizio tra Atena e la sua giovane compagna di giochi, la libica Pallade figlia di Tritone, Zeus gettò l'egida (una cosa che si poteva legare al petto) distraendo Pallade che non vide arrivare il fendente di Atena che la uccise. Estremamente rattristata dal fatto, Atena modellò un'immagine di Pallade di legno e attorno al petto legò l'egida che l'aveva spaventata. Poi posò la statua accanto a Zeus e la onorò.\nNell'Iliade, l'arma viene usata a volte anche da Apollo.
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### Titolo: Egipan.\n### Descrizione: Egipan (in greco antico Αἰγίπαν, Aegipan) era una divinità della religione e della mitologia greca, alcune volte considerato un aspetto del dio Pan, altre volte come una divinità distinta.\n\nMitologia.\nSecondo Igino era figlio di Zeus (alcune fonti dicono di Apollo) e di Ega (chiamata anche Betea o Beroe), e fu trasferito nelle stelle. Altri ancora fanno di Egipan il padre di Pan. Sia Pan che Egipan erano in genere rappresentati come uomini con i piedi caprini, simili a un satiro, o ancora come metà capre e metà pesci. Nell'arte greca, Egipan è quindi spesso raffigurato come un capricorno, la mitica creatura rappresentata nella costellazione del Capricorno.\nQuando Zeus nella sua lotta con i Titani fu privato dei tendini delle sue mani e dei suoi piedi, Ermes ed Egipan glieli restituirono segretamente e li sistemarono al loro posto.Secondo una tradizione romana citata da Plutarco, Egipan era nato dai rapporti incestuosi di Valeria di Tuscolo e suo padre Valerio, ed era considerato solo un nome diverso per il dio Silvano.\n\nLetteratura successiva.\nIn seguito i termini 'Egipan' o 'Egipani' furono usati per descrivere una razza di uomini selvaggi simili a satiri che si dice risiedessero in Libia. Questa rappresentazione è stata continuata nei bestiari medievali dove il termine veniva talvolta usato per descrivere creature scimmiesche o bestiali. Un riferimento agli egipani come specie appare anche ne La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe.
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### Titolo: Egitto (mitologia).\n### Descrizione: Egitto (in greco antico: Αἴγυπτος?, Áigyptos) è un personaggio della mitologia greca e fu l'eponimo e re della zona nordafricana la cui cultura si sviluppò in simbiosi con quella greca e che oggi viene identificata con lo stato d'Egitto.\n\nGenealogia.\nFiglio di Belo e della ninfa naiade Anchinoe, ebbe cinquanta figli (detti Egittidi) da donne diverse come Argifia, Caliadne, Gorgo ed Efestine.\n\nMitologia.\nFratello di Danao, ebbe dal padre il regno dell'Arabia mentre al fratello spettò la Libia. Così visse in Arabia e soggiogò in seguito la terra dei Melampodi che prese in seguito il nome di Egitto.\nDopo le dispute con Danao, Egitto ordinò ai suoi figli di partire per Argo e di chiedere al fratello Danao di pacificare le loro dispute.\nLa sua tomba si trovava a Patrae.\nSuo figlio Linceo divenne re di Argo dopo essere succeduto a Danao.
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### Titolo: El Puerto de Santa María.\n### Descrizione: El Puerto de Santa María è un comune spagnolo di 85.117 abitanti (2007) situato nella comunità autonoma dell'Andalusia. El Puerto de Santa María è situata sulle rive del fiume Guadalete nella provincia di Cadice. La città di El Puerto de Santa María è situata a 10 km a nord della capitale regionale Cadice ed è conosciuta per essere stato il porto dal quale Colombo partì per il suo secondo viaggio verso le Americhe.\n\nGeografia fisica.\nEl Puerto de Santa María è situato in corrispondenza della foce del Guadalete nell'Oceano Atlantico.\n\nStoria.\nSecondo la leggenda narrata nell'Odissea, dopo la guerra di Troia un ufficiale greco conosciuto come Menestheus scappò con le sue truppe attraverso lo stretto di Gibilterra e raggiunse il fiume Guadalete e qui venne fondato il Porto di Menesteo (Μενεσθέως λιμήν).\nNel 711 d.C. arrivarono dal Nord-Africa gli Arabi invadendo il sud della Spagna. Nominarono il luogo Alcante o Alcanatif che significa 'Porto del sale', vista la presenza dell'antica industria del sale attiva sia ai tempi dei Fenici che dei Romani.\nNel 1260 Alfonso X di Castiglia conquistò la città togliendola agli arabi e la rinominò Santa María del Puerto. Riorganizzò la distribuzione delle terre che divennero dominio della Corona di Castiglia.\nNel 1480 Colombo visitò El Puerto e ricevette incoraggiamenti per il progetto dei suoi nuovi viaggi. Incontrò anche Juan de la Cosa, creatore nel 1500 del primo mappamondo che mostra le terre del Nuovo Mondo.\nDurante il XVI e XVII secolo la città divenne il porto invernale delle galee reali.\nNel XIX secolo divenne il quartier generale dell'esercito francese durante la guerra d'indipendenza spagnola sotto il regno di Giuseppe Bonaparte (1801–1812).\n\nAmministrazione.\nGemellaggi.\nLa Güera.\nErmoupoli.\nCoral Gables.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su El Puerto de Santa María.\n\nCollegamenti esterni.\n\nSito ufficiale, su elpuertodesantamaria.es.\n(EN) El Puerto de Santa María, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Elasippo (figlio di Emone).\n### Descrizione: Elasippo (in greco antico: Ἐλάσιππος) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Emone (non il re di Tebe).\n\nMitologia.\nSu Elasippo, guerriero molto fiero (come lo descrive Quinto Smirneo), si abbatté la furia di Pentesilea, la regina delle Amazzoni, che lo uccise in battaglia, arricchendo la pianura di cadaveri di guerrieri achei da lei personalmente massacrati.
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### Titolo: Eleadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Eleadi (in latino Eleionomae, in greco Ελειάδες) sono le Naiadi che vivono nelle paludi.\nLe Eleadi sono una razza timida, di semi-rettili acquatici, che sono stati elevati allo status di umanoide dalla magia antica. Abitano principalmente lungo le paludi e corsi d'acqua di Teti dove abitano sulle piante con i pesci di fiume e gli uccelli. Come popolo, le eleadi sono sostanzialmente solitarie e schive, solo raramente interagiscono con le altre razze. Quando interagiscono con gli esseri umani, lo fanno come guide o come animali da traino.Solitamente queste ninfe vivono in villaggi nascosti, che si trovano nel bel mezzo delle paludi su isole artificiali, protette da mostri acquatici. La società delle Eleadi non riconosce la differenza tra i sessi e le classi sociali. Hanno molteplici capacità di sopravvivenza, ma poche artistiche, per questo sono avide di gioielli ed oggetti lucidi, in particolare di oro.
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### Titolo: Eleio.\n### Descrizione: Eleio (in greco antico Ἕλειος Hèleios) è un personaggio della mitologia greca ed il più giovane dei figli di Perseo e di Andromeda.\n\nMitologia.\nNato a Micene, fu un eroe del tempo che insieme ad Anfitrione dichiarò guerra all'isola di Tafo e dopo la conquista divise con Cefalo il luogo e il regno.\nFra i suoi viaggi fondò Elo, situata nella Laconia ed in seguito divenne il capo degli Epei antrando in guerra contro Ossilo.
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### Titolo: Elena (mitologia).\n### Descrizione: Elena (in greco antico: Ἑλένη?, conosciuta anche come Elena di Troia o Elena di Sparta, per le città a cui è associata) è una figura della mitologia greca assurta, nell'immaginario europeo, a icona dell'eterno femminino. Proprio questa sua caratteristica archetipica fa sì che, nell'immensa letteratura nata attorno alla sua figura, soprattutto quella di stampo femminista, Elena venga raramente considerata responsabile dei danni e lutti provocati dalle contese nate per appropriarsi della sua bellezza.\nSecondo alcune versioni del mito, la madre di Elena, Leda, era moglie di Tindaro, re di Sparta. Leda partorì quattro bambini, di cui due, Polluce ed Elena, sarebbero stati figli di Zeus, che si era congiunto a Leda sotto forma di cigno, mentre negli altri due nati, Castore e Clitennestra, consisterebbe il frutto dell'unione con Tindaro.Un'altra versione della sua nascita racconta invece che venne al mondo uscendo da un uovo frutto dell'unione tra la dea Nemesi e Zeus, il quale la inseguì per quasi tutto il globo per ottenerla, sotto forma di diversi animali.\n\nGiovinezza.\nElena fu allevata in casa di Tindaro e ancora giovinetta fu al centro di numerosi miti di seduzione: Teseo la rapì che era ancora fanciulla. Elena infatti era ritenuta la donna più bella del mondo, e poiché i pretendenti erano numerosi, Tindaro, sotto consiglio di Ulisse, lasciò che ogni decisione fosse della ragazza, onde evitare che una sua interferenza potesse causare una guerra. La scelta cadde su Menelao, principe di Micene, che sposandola divenne re di Sparta. Dalla loro unione nacque Ermione. La sorella Clitennestra sposò invece Agamennone, fratello di Menelao.\n\nI pretendenti e il «giuramento di Tindaro».\nQuando fu in età da marito tutti i capi Greci pretesero la sua mano. Siccome la loro rivalità rischiava di generare un conflitto, su suggerimento di Ulisse, Tindaro sacrificò un cavallo sulla cui pelle fece salire i pretendenti per farli giurare che, chiunque fosse stato il fortunato sposo, tutti avrebbero dovuto accorrere in suo aiuto nel caso qualcuno avesse tentato di rapirgli la sposa.\n\nQuando era ormai moglie di Menelao Elena venne rapita dal principe troiano Paride e il patto di solidarietà stipulato tra i pretendenti alla sua mano spinse gli stessi, con a capo Agamennone, a dichiarare guerra a Troia.\n\nElena durante la guerra di Troia.\nPer vendicare il rapimento di Elena da parte del principe troiano Paride (al quale Afrodite aveva promesso la più bella delle donne) Menelao e suo fratello Agamennone organizzarono una spedizione contro Troia chiedendo aiuto a tutti i partecipanti al patto di Tindaro.\nNell'Iliade Elena è un personaggio tragico, obbligata a essere la moglie di Paride dalla dea Afrodite. Nessuna colpa le può essere rinfacciata, data la sua incolpevole bellezza, anche se le si dà la colpa della guerra che insanguina Troia e se lei stessa si rimprovera continuamente di essere la causa di tanti mali, sebbene sia consapevole che, in definitiva, quanto accaduto è dovuto al Fato. Non è una donna felice, disprezza Paride ed è invisa a molti troiani: solo Priamo ed Ettore si mostrano gentili con lei, e in occasione della morte di quest'ultimo, Elena proverà un sincero dolore.\nAlla morte di Paride, Elena è costretta a sposare il fratello Deifobo. I greci fanno irruzione nella camera da letto, trovando Deifobo addormentato e ubriaco. Le versioni a questo punto divergono: sia per quanto riguarda l'identità dell'uccisore di Deifobo (Menelao, Ulisse o entrambi), sia sul fatto che il troiano si fosse risvegliato o no.\nNel secondo libro dell'Eneide, durante l'incendio di Troia, Enea vede da lontano Elena ed è preso dall'impulso di ucciderla, ma ne viene dissuaso dalla madre Venere, che lo esorta a fuggire dalla città con i familiari.\n\nFine di Elena.\nControversa fu la sua fine.\nNell'Odissea Elena appare riconciliata con il marito e tornata a Sparta per regnarvi al suo fianco, anche se malvista dai sudditi. Si narra anche che Oreste avesse cercato di ucciderla.\nSecondo altre versioni ebbe una fine misera. Altre ancora la divinizzano insieme ai fratelli Castore e Polluce.\n\nUn'altra versione vuole che, dopo la morte di Menelao, due figli naturali di costui cacciassero Elena e la costringessero a rifugiarsi presso Rodi, dove Polisso la fece impiccare per avere causato la morte di tanti eroi sotto le mura di Troia, fra cui suo marito Tlepolemo.\nIl mito di Elena è descritto nell'Iliade e nell'Odissea, ma molti poeti successivi a Omero modificarono il personaggio e la sua mitologia. Alcune leggende la indicano figlia di Nemesi, la dea della vendetta e della giustizia. Euripide, nella tragicommedia Elena, segue quel filone mitico secondo cui Elena non fu mai rapita da Paride né visse a Troia né fu ripresa da Menelao, ma sempre visse nascosta in Egitto, costretta da Era che mise al posto suo, a Sparta, un'immagine d'aria, un simulacro vivente, per ingannare Paride e vendicarsi di non essere stata scelta al posto di Afrodite. Così sono esistite due Elena, una in Egitto e una a Troia.\nInoltre, secondo altri miti, le anime di Elena e Achille, dopo la morte e la discesa nel Tartaro, furono assunte nell'Isola dei Beati (o Campi Elisi) per i loro meriti, e lì ebbero un figlio, Euforione. Secondo una variante del mito, fu Elena, divenuta dea dopo la morte, a discendere negli Inferi attratta dall'ombra di Achille per giacere con lui generando il semi-dio Euforione. I personaggi di Elena ed Euforione, seppure con molte varianti, sono ripresi da Goethe nel suo Faust.\n\nOmonime.\nUna seconda Elena è citata in poemi posteriori come figlia di Egisto e Clitennestra. Era sorella di Alete ed Erigone e fu uccisa da Oreste che la scovò nella reggia di Micene dopo avere vagato alla ricerca dei sostenitori di Egisto e la madre, che uccise accecato dalla vendetta.Esiste anche una terza Elena: figlia di Elena di Troia e di Paride, venne uccisa ancora bambina dalla nonna paterna, Ecuba, che si accese d'ira alla caduta di Troia per la morte dei suoi abitanti e decise di uccidere la figlia della donna che aveva causato la guerra.\n\nDiscendenza.\nElena diede a Menelao una figlia, Ermione. A seconda delle fonti, potrebbe avergli dato anche uno o più figli, chiamati Nicostrato, Eziola, Megapente e Plistene, che secondo altri erano figli di Menelao da diverse concubine.\nA Paride, Elena diede tre figli, Bugono, Agano e Ideo, e una figlia, anche lei chiamata Elena, che venne uccisa dalla nonna paterna Ecuba al momento della caduta di Troia: folle di dolore, la donna si vendicò sulla bambina per le colpe della madre.\n\nInfluenza culturale.\nA Elena è intitolata la Helen Planitia su Venere.Film:.\n\nElena di Troia;.\nHelen of Troy - Il destino di un amore;.\nTroy;.\nElena sì... ma di Troia (parodia).
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### Titolo: Elena egizia.\n### Descrizione: Elena egizia (Die ägyptische Helena) è un'opera lirica in lingua tedesca che venne eseguita la prima volta il 6 giugno 1928 alla Semperoper di Dresda. La musica è del compositore tedesco Richard Strauss, il libretto dello scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, che è basato sull'Elena di Euripide.\n\nTrama.\nLa vicenda narrata in due atti vede una Elena fidanzata e non sposata a Menelao, per accontentare la censura del periodo, che deve essere punita dal compagno. Interviene la ninfa Etra, che ha ruolo di protettrice dell'amore e di Elena, ingannando con una pozione Menelao che invece di uccidere la compagna si scaglia su di un fantasma (elemento preso dalla tradizione Stesicorea). Quando Menelao ritorna viene convinto dalla ninfa che a Troia è stato portato solo il fantasma della bella Elena, mentre quella vera è rimasta in Egitto e adesso la stessa attende nella stanza accanto. A questo punto si chiude il primo l'atto.\nIl secondo atto si apre in una atmosfera esotica in cui Elena si trova contesa dai potenti del luogo, e Menelao è in dubbio sull'identità della donna: crede infatti che ella sia il fantasma. La vicenda si conclude con l'intervento di Etra che in pieno stile deus ex machina toglie l'incanto a Menelao e questi riconosce in Elena colei che lo aveva tradito; ma vedendola sorridere decide di non ucciderla permettendo il trionfo dell'amore.\n\nOrganico orchestrale.\nLa partitura di Strauss prevede l'utilizzo di:.\n\nLegni: 8 flauti (III e IV. anche ottavino),(V e VI anche flauto dolce,(VII e VII anche flauto indiano, 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti (III. anche controfagotto).\nOttoni: 6 corni (VI anche flicorno), 6 trombe, 3 tromboni, tuba.\nPercussioni: timpani, grancassa, piatti, tamburo, tam-tam.\nAltri strumenti: glockenspiel, celesta, 2 arpe, organo.\nArchi: 16 violini I, 14 violini II, 10 viole, 10 violoncelli, 8 contrabbassi.\nSul palco: 6 oboi, 6 clarinetti, 4 corni,1 flicorno, 2 trombe, 4 tromboni, timpani, 4 triangoli, 2 tamburelli, macchina del vento.\n\nDiscografia parziale.\nElena egizia - Antal Doráti/Gwyneth Jones/Matti Kastu/Barbara Hendricks, 1979 Decca.\n\nAudio files.\nSalisburgo, 29 luglio 2003 - Fabio LuisiATTO I e ATTO II [1].
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### Titolo: Eleno.\n### Descrizione: Eleno (in greco antico: Ἕλενος?, Hélenos) è una figura della mitologia greca e romana. Indovino, figlio di Priamo e di Ecuba, era fratello gemello di Cassandra.\n\nIl mito.\nOrigini.\nEleno e Cassandra, nel giorno genetliaco del loro padre, durante la festa nel santuario di Apollo Timbreo, si addormentarono in un canto, mentre gli incauti genitori rientrarono a casa senza i due fanciulli. Quando Ecuba ritornò al tempio, vide che i sacri serpenti stavano leccando le orecchie e la bocca dei bambini e urlò terrorizzata. I serpenti subito sparirono strisciando in un cespuglio di alloro, ma da quel momento Eleno e Cassandra ebbero il dono della profezia.\n\nImprese.\nEleno era un valoroso guerriero oltre che un indovino e benché avesse messo in guardia Paride dal disastro che avrebbe provocato il suo viaggio a Sparta, quando scoppiò la guerra combatté coraggiosamente, facendo vittime illustri come Deipiro e, secondo Tolomeo Efestione, riuscì persino a ferire il grande Achille. Dopo la morte di Paride, ucciso da una freccia scagliata da Filottete, Eleno e Deifobo si disputarono la mano di Elena e Priamo appoggiò le pretese di Deifobo affermando che egli si era dimostrato il più valoroso in battaglia. Eleno, irritato, lasciò immediatamente la città e andò a vivere presso Irtaco e Arisbe sulle pendici del monte Ida. Verso la fine dell'assedio, Calcante rivelò ai Greci che soltanto Eleno conosceva i segreti oracoli che proteggevano Troia, e Agamennone incaricò Odisseo di trascinarlo al campo greco. Eleno si trovava nel tempio di Apollo Timbreo, ospite di Crise, quando Odisseo andò a cercarlo, e si dichiarò pronto a rivelare gli oracoli segreti purché i Greci gli consentissero di rifugiarsi al sicuro in qualche terra lontana. Egli aveva abbandonato Troia, disse, non perché temesse la morte, ma perché non poteva perdonare il sacrilego assassinio di Achille compiuto da Paride in quello stesso tempio, tanto più che nessun sacrificio espiatorio era stato offerto ad Apollo. Eleno predisse dunque che Troia poteva essere conquistata a tre condizioni: se un certo osso di Pelope fosse portato nel campo greco; se Neottolemo, figlio di Achille, avesse preso parte alla guerra; se il Palladio di Atena fosse stato sottratto ai Troiani. Altre condizioni imposte da Eleno furono: che Filottete tornasse a Troia a combattere con l'arco e le frecce avvelenate di Eracle; di utilizzare un cavallo di legno per introdurre i guerrieri segretamente all'interno delle mura.\nLe profezie di Eleno si avverarono e Troia cadde.\n\nDopo la guerra di Troia.\nSecondo la più comune leggenda, Eleno con Andromaca venne assegnato come bottino di guerra a Neottolemo nelle cui grazie entrò perché, rivelandogli il futuro disastro della flotta greca, lo indusse a tornare in patria per via di terra. Allorché Neottolemo fu assassinato a Delfi, dove era andato a consultare l'oracolo, trasmise morendo a Eleno, che aveva portato con sé in Epiro, il regno e Andromaca, chiedendogli di sposarla. Da Andromaca, Eleno ebbe un figlio chiamato Cestrino. Neottolemo consentì a Eleno di costruire la città di Butrinto nell'Epiro, e quando Enea passò da quel paese nel suo viaggio verso l'Italia (Virgilio, Eneide, III), trovò Eleno che governava tranquillamente con Andromaca una nuova 'Troia'. L'indovino accolse con premura i suoi compatrioti, diede incoraggianti consigli a Enea e lo mise in guardia contro le difficoltà del lungo viaggio che lo aspettava. Eleno, morendo, trasmise il regno a Molosso, figlio di Neottolemo.
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### Titolo: Elettra (Strauss).\n### Descrizione: Elettra (Elektra) è un'opera in un atto di Richard Strauss su libretto di Hugo von Hofmannsthal, che lo derivò dalla sua tragedia Elettra, la quale si rifà alla tragedia omonima di Sofocle.\n\nInsieme a Salomè rientra nel primo periodo del teatro musicale di Strauss, caratterizzato in chiave espressionista. L'orchestra, estremamente nutrita, tiene i fili di un discorso musicale caratterizzato da aspre dissonanze e sonorità parossistiche, spesso travolgendo le voci a cui è affidato un canto prevalentemente declamatorio.\n\nTrama.\nL'azione si svolge nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra di Troia al palazzo degli Atridi a Micene.\nClitemnestra ha assassinato, con l'aiuto dell'amante Egisto, il marito Agamennone, dopo che costui ha fatto ritorno dalla guerra di Troia. Adesso Clitemnestra ed Egisto sono marito e moglie e governano insieme Micene. Le figlie di Clitemnestra, Elettra e Crisotemide, vivono penosamente.\nElettra vive come un animale, camminando sempre nello stesso angolo della corte del palazzo, in silenzio, senza comunicare con nessuno, con l'aspetto trasandato e lo sguardo perso. Per Clitemnestra, la presenza di Elettra è come quella di un fantasma accusatore che la incolpa in ogni istante di essere la causa dell'assassinio di Agamennone e per questo motivo cerca di evitarla.\nLe ancelle si burlano della giovane, mentre lei non smette di vegliare al solito posto nella corte. Solamente un'ancella sembra avvertire compassione per la figlia di Clitemnestra e per questo viene malamente percossa dalle compagne. Elettra è l'unica persona del palazzo che sa che proprio in quel luogo è sepolta l'ascia con cui è stato ucciso il padre.\nSopraggiunge la bella e delicata Crisotemide, sorella di Elettra. La giovane è terrorizzata: Egisto e Clitemnestra hanno deciso di recludere Elettra in una torre. Crisotemide vorrebbe soltanto fuggire da lì ed essere felice creandosi una famiglia; per questo motivo incalza la sorella affinché modifichi il suo atteggiamento nei confronti della madre, la quale, è convinta che Elettra sia colpevole della terribile atmosfera che grava sul palazzo.\nIn risposta, Crisotemide, riceve dalla sorella uno sguardo strano e inquietante. Appare allora Clitemnestra che, accompagnata dai propri sudditi, si incammina verso il tempio senza evitare l'atroce scambio di sguardi con la figlia. L'assassina di Agamennone vuole dedicare alcuni istanti della preghiera per chiedere agli dei di allontanare i fantasmi che popolano i suoi sogni e che la tormentano senza tregua. La notte precedente ha sognato il figlio Oreste, che aveva allontanato dal palazzo quando ancora era in giovane età.\n\nClitemnestra si avvicina al luogo dove si trova Elettra e chiede alla figlia cosa dovrebbe fare perché i suoi incubi la abbandonino definitivamente. Elettra rompe il silenzio dopo tanti anni e replica alla madre che solo un sacrificio molto speciale potrebbe porre fine ai suoi tormenti. Clitemnestra esige di conoscere immediatamente il miracoloso rimedio, al che la figlia le risponde che deve trattarsi di un sacrificio umano: deve morire una donna sposata per mano di un suo famigliare.\nPoi Elettra chiede alla madre perché si oppone al ritorno del fratello Oreste. Un brivido turba nuovamente la pace di Clitemnestra, ma proprio in quel momento sopraggiunge un'ancella che le riferisce a bassa voce un messaggio, che la soddisfa enormemente. Dopo aver rivolto l'ennesimo sguardo di odio alla figlia, Clitemnestra entra nel palazzo.\nMa ecco che Crisotemide sopraggiunge correndo e piangendo sconsolatamente: ha ricevuto la notizia che Oreste è morto. Elettra pare commossa: per molto tempo aveva custodito l'arma con cui il fratello avrebbe dovuto uccidere la madre, adesso, dovrà occuparsi personalmente della vendetta. Supplica allora la sorella di aiutarla e, per convincerla, la rassicura che dopo vivranno finalmente in pace. Ma Crisotemide fugge atterrita.\nElettra non può attendere, lo farà senza l'aiuto della sorella e, come impazzita, scava per terra alla ricerca dell'arma criminale. Ma un'ombra misteriosa la coglie di sorpresa e impaurita rivolge lo sguardo verso la presenza inquietante: il misterioso personaggio rivela di essere Oreste; Elettra si lascia trasportare dall'emozione e crolla ai piedi del fratello.\nAppaiono tre vecchi servi che si prostrano ai piedi del nuovo arrivato. Elettra avverte una felicità smisurata e finalmente riferisce al fratello le proprie disgrazie e reclama vendetta. Oreste è disposto a fare giustizia, effettivamente è venuto per castigare gli assassini. Entra nel palazzo e, mentre Elettra attende nella corte in uno stato d'animo che rasenta l'isterismo, si odono in lontananza le grida raccapriccianti di Clitemnestra. Le urla della moribonda sono causa di grande scompiglio nel palazzo.\nAppaiono Crisotemide e i servi seguiti da Egisto alla ricerca dell'amante, ed è la stessa Elettra che lo guida con una torcia; Oreste uccide anche lui. Elettra sprofonda in uno stato di trance: l'unico sogno che la manteneva in vita ora si è realizzato. Nonostante tutto è dispiaciuta di non aver consegnato al fratello l'arma con la quale i criminali avevano assassinato il padre. Elettra si alza in piedi e, dopo aver fatto alcuni passi, inizia una danza delirante con la quale celebra il suo trionfo fino a che cade a terra esanime. Crisotemide, che ha assistito alla tragica fine della sorella, percuote la porta del palazzo invocando il nome di Oreste.\n\nOrganico orchestrale.\nLa partitura, che rappresenta l'organico orchestrale più grande nel normale repertorio d'opera, prevede l'utilizzazione di:.\n\n4 flauti e 2 ottavini; 3 oboi e 1 corno inglese; 1 heckelphone; 4 clarinetti e 1 clarinetto in Mib; 1 clarinetto basso; 2 corni di bassetto, 3 fagotti e 1 controfagotto.\n8 corni che suonano anche 4 tube di Wagner; 6 trombe; 1 tromba bassa; 2 tromboni tenori; 1 trombone basso; 1 trombone contrabbasso; 1 basso tuba.\n6-8 timpani, tamburo, grancassa, piatti, triangolo, tam-tam, tamburello, nacchere, glockenspiel.\ncelesta (ad libitum).\n2 arpe.\narchi (24 violini, 18 viole, 12 violoncelli, 8 contrabbassi).\n\nPrincipali rappresentazioni.\nL'opera fu rappresentata in prima assoluta alla Königliches Opernhaus di Dresda il 25 gennaio 1909, diretta da Ernst von Schuch e con Annie Krull nel ruolo eponimo, raccogliendo scarso successo. Il 22 febbraio successivo avviene la prima all'Opera di Amburgo diretta da von Schuch, il 24 marzo al Wiener Staatsoper, il 6 aprile al Teatro alla Scala di Milano, come Elettra il italiano, con Solomija Krušel'nyc'ka alla presenza del compositore e il 1º febbraio 1910 al Manhattan Center di New York nella traduzione francese di Henry Gauthier-Villars. La fortuna dell'opera iniziò il 19 febbraio seguente, quando fu eseguita la prima nel Regno Unito al Royal Opera House, Covent Garden di Londra, diretta da Thomas Beecham e ancora una volta con la Kroll nel ruolo della protagonista.\nIl 25 aprile successivo avviene la prima al Teatro Nazionale di Praga, il 26 maggio al La Monnaie/De Munt nella traduzione di Gauthier-Villars e nel 1912 il 7 febbraio con Emma Carelli al Teatro Costanzi di Roma, in italiano e il 1º aprile a Glasgow per la Denhof Opera Company, in inglese.\nAllo Staatsoper di Vienna fino al 2015 l'opera è andata in scena per 325 recite.\nIl 1º gennaio 1930 avviene la prima al Teatro Regio di Torino diretta da Franco Capuana con Maria Caniglia, il successivo 19 gennaio all'Opera di Lipsia ed il 29 ottobre 1931 avviene la prima statunitense in tedesco all'Academy of Music per la Philadelphia Grand Opera Company diretta da Fritz Reiner con Nelson Eddy.\nIl 25 febbraio 1932 avviene la prima all'Opéra national de Paris ed il 3 dicembre successivo al Metropolitan Opera House di New York dove fino al 2009 vanno in scena 101 recite.\nIl 17 agosto 1934 avviene la prima diretta da Clemens Krauss con Viorica Ursuleac al Festival di Salisburgo, l'11 febbraio 1936 al Teatro Verdi (Trieste), il 21 marzo 1937 in concerto alla Carnegie Hall di New York con la Caniglia, il 30 aprile 1938 con Maria Pedrini diretta da Nino Sanzogno, alla presenza di Strauss, al Teatro La Fenice di Venezia ed il 24 ottobre successivo al San Francisco Opera diretta da Reiner con Kerstin Thorborg.\nNel 1950 avviene la prima al Teatro Comunale di Firenze diretta da Dimitri Mitropoulos con Martha Mödl, nel 1956 al Teatro San Carlo di Napoli, nel 1964 al Grand Théâtre di Ginevra con la Mödl, nel 1969 al Teatro Nuovo di Torino con la Mödl, Gino Sinimberghi, Mario Carlin ed Angelo Nosotti, nel 1975 all'Opera di Chicago.\nIl 6 maggio 1977 Carlos Kleiber presentò la prima a Londra al Covent Garden con il soprano Birgit Nilsson.\nNel 1980 fu rappresentata a Santa Fe (Nuovo Messico) con Rosalind Elias ed a San Diego, nel 1981 allo Sferisterio di Macerata diretta da André Rieu, nel 1983 all'Opéra municipal de Marseille, nel 1985 a Melbourne nella prima in Australia, nel 2003 al Teatro Filarmonico di Verona e nel 2007 a Bilbao.\n\nDiscografia parziale.\nDVD parziale.\nElettra, Birgit Nilsson / Leonie Rysanek / Mignon Dunn / Donald McIntyre, dir. James Levine, Metropolitan Opera, regia Paul Mills, registrato 1980 (concerto dal vivo); Deutsche Grammophon (2006).\nElettra, Leonie Rysanek / Astrid Varnay / Catarina Ligendza / Dietrich Fischer-Dieskau, dir. Karl Böhm, Wiener Staatsopernchor e Wiener Philharmoniker, regia Götz Friedrich, registrato 1981 (opera-film); Deutsche Grammophon (2005).
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### Titolo: Elettra (figlia di Agamennone).\n### Descrizione: Elettra è un personaggio della mitologia greca. Era figlia di Agamennone, re di Micene, e Clitennestra; era la sorella di Oreste, Crisotemi e Ifigenia.\n\nMito.\nDopo la morte del padre Agamennone per mano di Clitennestra e col contributo di Egisto, suo amante, Elettra (che sarebbe dovuta convolare a nozze con lo zio Castore, prima che egli morisse e divenisse semidio) rimase sola a palazzo, in balia dei due amanti. Nonostante i migliori prìncipi di Grecia si disputassero la sua mano, Egisto, che temeva che essa generasse un figlio desideroso di vendicare il padre, comunicò che nessun pretendente sarebbe stato soddisfatto. Egli propose di eliminarla per paura che si giacesse in segreto con uno degli ufficiali di palazzo e desse alla luce un bastardo, ma Clitennestra, che non provava vergogna per aver cospirato contro Agamennone e non voleva far ricadere su di sé l'ira degli dei, lo dissuase dal complotto. Ciononostante concesse che Elettra andasse in matrimonio a un umile contadino miceneo.\nElettra istigò il fratello Oreste, giunto nel frattempo, a vendicare il padre, con l'aiuto di Pilade, figlio di Anassibia, una delle sorelle di Agamennone, e quindi loro cugino, che aveva seguito quest'ultimo; dopo che Oreste compì la vendetta uccidendo Egisto e Clitennestra, Elettra sposò il cugino.\n\nElettra nella letteratura.\nLa figura di Elettra ha ispirato numerose opere letterarie.\nEra, probabilmente, tra i protagonisti della Orestea di Stesicoro, da cui avrebbe attinto, anche per altri particolari, Eschilo, che vi dedicò una trilogia intitolata Orestea: il primo dramma (Agamennone) raccontava l'omicidio di Agamennone da parte di Clitennestra ed Egisto, suo amante; il secondo (Le coefore) riproponeva il matricidio di Clitennestra e l'omicidio di Egisto perpetrati da Oreste; il terzo (Le eumenidi) vede l'assoluzione di Oreste dall'orrendo crimine commesso grazie all'istituzione da parte di Atena del tribunale dell'Areopago.\nIn Attica, dove i Pelopidi erano ben noti, la tragedia di Sofocle ebbe un notevole successo, tanto che, dopo di lui, il dramma di Elettra e della sua famiglia venne portato in scena anche da Euripide, che dedicò a Elettra la tragedia omonima, dando voce a una mentalità che era molto più distante da quella eschilea.\nIn età moderna, notevoli furono Idomeneo, opera di Mozart in cui si immagina che Elettra, dopo la morte di Clitennestra, abbia trovato rifugio a Creta e s'innamori infelicemente di Idamante, figlio del re, e la tragedia di Prosper Jolyot de Crébillon, oltre alle tragedie Oreste ed Agamennone di Vittorio Alfieri.\nIn età contemporanea, si possono ricordare, tra gli altri drammi, Il lutto si addice ad Elettra (Mourning Becomes Electra) di Eugene Gladstone O'Neill, Elettra (Electre) di Benito Pérez Galdós, la Tragedia in lingua ungherese di Péter Bornemisza, la Elettra (Elektra) di Hugo von Hofmannsthal, che fu la base per l'omonima opera lirica di Richard Strauss. Ancora, si ricordano Elettra di Jean Giraudoux ed Elettra o la caduta delle maschere, un dramma di Marguerite Yourcenar.\nPer quanto riguarda il cinema, dopo Elettra (Elettra), lungometraggio prodotto da Aquila Films (1909), si ricordano la Elettra (Ηλέκτρα) di Michael Cacoyannis (1962), * Elettra, Amore Mio (Szerelmem, Elektra) - lungometraggio di Miklós Jancsó (1974), Elettra (Elettra) di Tonino De Bernardi (1987) e il mediometraggio elektraZenSuite (elektraZenSuite) di Alessandro Brucini (2006).\nAnche a livello musicale, l'eroina ha ispirato la cantante britannica Marina che, per il suo secondo album in studio, Electra Heart, ha creato un personaggio di finzione ispirato per l'appunto ad Elettra.\nIn psicoanalisi il complesso di Elettra non è altro che il complesso di Edipo al femminileː nel primo è la ragazza che ama il padre ed è gelosa della madre; in quello di Edipo il ragazzo detesta la presenza del padre.\n\nGenealogia.
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### Titolo: Eleusi (demo).\n### Descrizione: Eleusi (in greco antico: Ἐλευσίς?, Eleusís) era un demo dell'antica Attica, situato a 21 chilometri da Atene, al confine tra l'Attica e Megara. Era molto importante per il culto di Demetra e Persefone e per i misteri eleusini, celebrazioni misteriche in onore di esse, tanto che, fino alla fine del paganesimo, fu ritenuto uno dei luoghi più sacri della religione greca.\n\nPosizione.\nEleusi si trovava sul versante orientale di una bassa altura a breve distanza dal mare e parallela alla costa, di fronte all'isola di Salamina. La sua posizione gli garantiva tre vantaggi: l'essere collocato sulla strada che andava da Atene all'Istmo di Corinto, la vicinanza di una pianura molto fertile e la dominanza su un vasto golfo, formato su tre lati dalla costa dell'Attica e chiuso a sud dall'isola di Salamina: si dice che da Eleusi Serse assistette alla disfatta della sua flotta nella battaglia di Salamina.\n\nStoria.\nNel territorio del demo si insediarono abitanti sin dall'antichità, forse già nell'epoca micenea. Probabilmente il suo nome deriva dalla venuta (in greco antico: ἔλευσις?, héleusis) di Demetra, anche se alcuni fanno risalire il toponimo ad un eroe di nome Eleusi. Eleusi, prima del sinecismo voluto da Teseo, fu una delle città della dodecapoli in cui fu divisa l'Attica in età arcaica. Durante il regno di Eumolpo su Eleusi scoppiò una guerra con Atene, governata da Eretteo, in cui gli Eleusini furono sconfitti e furono costretti a riconoscere la supremazia di Atene in tutto, fuorché nella celebrazione dei misteri, di cui gli Eleusini mantennero la gestione.Eleusi divenne in seguito un demo dipendente da Atene, ma a conseguenza della sua importanza religiosa le venne permesso di mantenere il titolo di pólis, cioè di città, e di coniare una propria moneta, un privilegio posseduto da nessun'altra città dell'Attica ad eccezione di Atene. In seguito la storia di Eleusi si identificò con quella di Atene.\nUna volta all'anno una grande processione percorreva la strada da Atene ad Eleusi lungo la via Sacra. L'antico tempio di Demetra fu incendiato dai Persiani nel 484 a.C. e, fino all'età di Pericle, non venne fatto alcun tentativo per ricostruirlo. Quando il governo dei Trenta tiranni venne rovesciato (403 a.C.), gli oligarchi si ritirarono ad Eleusi, che avevano fortificato in precedenza, ma dopo un breve periodo furono uccisi a tradimento dagli Ateniesi, che avevano restaurato la democrazia.Durante l'età Romana Eleusi godette di grande prosperità, dato che l'iniziazione ai suoi misteri divenne una moda tra i nobili romani. Fu distrutta da Alarico nel 396 d.C. e da quel momento scomparve dalla storia. Quando Jacob Spon e George Wheler visitarono il sito nel 1676, questo si presentava in stato di totale abbandono. Nel secolo successivo fu restaurato ed Eleusi venne rifondata, ed ora è una piccola cittadina.\nNel 2001 la moderna Eleusi contava 29879 abitanti.\n\nDescrizione.\nL'estremità orientale della collina dove sorgeva la città venne livellata artificialmente per accogliere il santuario di Demetra e gli edifici sacri annessi; poco più in alto si trovava l'acropoli. La città si sviluppava in uno spazio triangolare di circa 500 metri di lato, compreso tra la collina e la costa; sul lato orientale della cinta muraria era stato realizzato un terrapieno artificiale a partire dalla bonifica di alcuni terreni paludosi, su cui, in epoca bizantina, fu costruita una fortificazione. Il terrapieno fu prolungato fino al mare in modo da formare un molo per riparare un porto artificiale: tale porto era formato da tre moli lunghi circa 100 metri ed era secondo solo al Pireo nel traffico marittimo del golfo Saronico.\nGli altri templi presenti nel demo erano un tempio di Trittolemo, uno di Artemide Propilea e uno di Poseidone Padre; inoltre era presenta un pozzo chiamato Callicoro, dove le donne eleusine ballavano e cantavano in onore della dea.\nSi diceva che nella pianura vicina alla città fu coltivato per la prima volta il mais e che l'orzo coltivato lì era usato per le torte sacrificali. Tale piana è menzionata anche nell'inno omerico ad Afrodite, ma non si sa con certezza dove fosse collocata. Vicino ad Eleusi c'era un monumento a Tello, menzionato da Erodoto. Eleusi, essendo a guardia della strada che conduceva a Megara, era la sede del secondo anno dell'efebia.\n\nIl tempio di Demetra.\nIl tempio di Demetra, a volte chiamato ὁ μυστικὸς σηκός (ho mystikòs sekós, il recinto arcano) o τὸ τελεστήριον (tò telestérion, il luogo sacro per le iniziazioni), era il più grande di tutta la Grecia e, secondo Strabone, era capace di contenere un grandissimo numero di persone, tante quante un teatro. La pianta dell'edificio fu progettata da Ictino, uno degli architetti del Partenone, ma la costruzione venne completata molti anni dopo, cosicché molti altri architetti si sono succeduti.\nIl portico di 12 colonne fu costruito al tempo di Demetrio Falereo (318 a.C. circa) dall'architetto Filone. Al termine di questo intervento era ritenuto uno dei quattro migliori esempi di architettura greca in marmo. Era rivolto a sud-est. Il suo sito è occupato dal centro del paese moderno, quindi è difficile analizzare tutti i dettagli dell'edificio; si stima che la cella fosse grande 166 metri quadrati e il suo tetto era coperto da tegole di marmo, come i templi di Atene; era sostenuto da 28 colonne doriche, di diametro (sotto il capitello) di quasi un metro; le colonne erano disposte in due file doppie attraverso la cella, una vicino alla parte anteriore, l'altra vicino alla parte posteriore, ed erano sormontate da serie di colonne più piccole, come nel Partenone. La cella era preceduta da un portico di 12 colonne doriche, che misuravano 1,5 metri di diametro alla base. La piattaforma sul retro del tempio era sopraelevata di 6 metri rispetto al pavimento del portico. Si accedeva a questa piattaforma attraverso una scalinata collocata all'angolo nord-occidentale del tempio; poco lontano un'altra scalinata portava ad un piccolo portale ornato da due colonne che metteva in comunicazione il tempio con l'Acropoli.\n\nResti archeologici.\nNell'Ottocento il sito di Eleusi presentava alcuni interessanti resti archeologici. La prima cosa che si vedeva avvicinandosi da Atene erano le tracce di una grande pavimentazione, che terminava in alcuni cumuli di rovine: si trattava di ciò che rimaneva di un propileo, di grandezza e struttura simili a quello di Atene. Prima di quello, alla metà della pavimentazione, c'erano i resti di un piccolo tempio, lungo 12 metri e largo 6: si trattava senza dubbio del tempio di Artemide Propilea. La peristasi, che confinava con il propileo, formava la recinzione esterna del tempio di Demetra. A 50 metri dal propileo si trovava l'angolo nord-est del recinto interno, della forma di un pentagono irregolare. L'ingresso si trovava in quest'angolo, dove la roccia era stata scolpita per costruire un altro propileo, molto più piccolo del primo, che consisteva in un'apertura ampia 9,7 metri tra due pareti parallele di 50 metri di lunghezza.\nIn questa zona fu trovato un busto colossale in marmo pentelico: si pensò che fosse un frammento della statua di Demetra che veniva venerata nel tempio ma, a giudicare dalla posizione in cui è stato rinvenuto e dall'aspetto grezzo della superficie, la statua sembra essere appartenuta alla decorazione architettonica del tempio, come le Cariatidi nell'Eretteo di Atene.\nNon sono state trovate rovine riconducibili al tempio di Trittolemo o a quello di Poseidone. Il pozzo Callicoro potrebbe essere identificato con quello visibile ai piedi del versante nord della collina di Eleusi, al bivio tra le strade che conducono a Megara ed Eleutere.\nLa città di Eleusi e le sue immediate vicinanze erano esposte a inondazioni del fiume Cefiso, che era quasi asciutto durante la maggior parte dell'anno ma si gonfiava in autunno fino a sommergere gran parte della pianura. Demostene allude alle inondazioni di Eleusi e l'imperatore Adriano fece costruire alcuni argini in conseguenza ad un'inondazione verificatasi mentre stava trascorrendo l'inverno ad Atene. Nella piana a circa un miglio a sud di Eleusi sono visibili i resti di due antichi tumuli, che sono probabilmente ciò che rimane degli argini di Adriano. Lo stesso imperatore dotò Eleusi di un acquedotto per la fornitura di acqua potabile, le cui rovine sono ancora visibili nel nord-est della pianura eleusina.
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### Titolo: Eleusi.\n### Descrizione: Eleusi (in greco Ελευσίνα?, Elefsina) è un comune della Grecia situato nella periferia dell'Attica (unità periferica dell'Attica Occidentale) con 29.879 abitanti secondo i dati del censimento 2001.\nA seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011, che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 37 km² e la popolazione è passata da 25.863 a 29.879 abitanti.\nSi trova di fronte all'isola di Salamina, 20 km a nord-ovest di Atene.\nNel 2021 è stata scelta per essere capitale europea della cultura, insieme a Timișoara e Novi Sad; a seguito della pandemia di COVID-19 si è deciso di modificare il calendario delle capitali europee della cultura, per cui Eleusi deterrà il titolo nel 2023 insieme a Timișoara e Veszprém.\n\nStoria.\nEleusi fu una città-stato indipendente fino al VII secolo a.C., epoca in cui entrò nello stato attico alleandosi con Atene. La città divenne un centro importante per il culto della dea Demetra, a cui era dedicato un tempio di epoca micenea, nell'acropoli. Il tempio era noto per la celebrazione di riti di iniziazione detti Misteri eleusini. Riferimenti alla città e ai Misteri si trovano in diversi miti greci. Eleusi era collegata ad Atene tramite la via sacra utilizzata dagli iniziati per compiere un pellegrinaggio di iniziazione. Parte del tracciato esiste tuttora, mentre per buona parte è coperto dalla Iera odòs.\nAlla fine del 404 a.C. i Trenta tiranni, sconfitti dai ribelli guidati da Trasibulo, si trasferirono a Eleusi.\nNel 125 d.C. l'imperatore Adriano fece costruire un ponte romano lungo la via sacra per agevolare l'attraversamento del fiume Kefisso. I resti del cosiddetto Ponte di Adriano (lungo 50m e largo 5,30 m) sono ancora visibili appena fuori dalla città.\nIl santuario fu chiuso da Teodosio I nel 381. Pochi anni dopo Eleusi fu presa e saccheggiata dai barbari, e nel 396 venne abbandonata.\n\nArcheologia.\nNella zona di Eleusi si iniziò a scavare nel 1882. Gli scavi riportarono alla luce le rovine di un edificio sacro dove si svolgevano le cerimonie, parte delle mura, e alcuni edifici legati al culto dei misteri eleusini.\nL'edificio principale, dove si svolgeva la cerimonia, è chiamato Telesterion. È una tipologia architettonica sviluppatasi dall'antico tempio di Demetra di epoca arcaica che ha assunto la forma di un anaktoron all'interno della struttura principale. Sotto l'epoca classica raggiunse la sua massima elaborazione con il progetto di Ictino, autore del Partenone. Il Telesterion era una stanza di notevoli dimensioni con addossate alle pareti 7 gradini per gli spettatori del culto. Al centro si ergevano, secondo il progetto di Ictino mai terminato, 76 colonne doriche su due ordini.\nAll’interno del sito di Eleusi è presente il Museo archeologico di Eleusi.\n\nMitologia.\nEleusi, o Eleusino, è anche l'eroe della città di Eleusi. Figlio di Ermes e Deira, sposato con Cotone, padre di Trittolemo. Perì per mano di Demetra.
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### Titolo: Elicaone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elicaone (o Licaone) era uno dei figli del vegliardo troiano Antenore e di Teano, sua moglie legittima e sacerdotessa di Atena. Insieme a tutti i suoi fratelli, egli partecipò alla guerra di Troia, ma molto probabilmente non compì azioni molto rilevanti, dato che non è quasi mai ricordato come in battaglia.\n\nIl mito.\nElicaone poco prima della guerra di Troia aveva preso in moglie una delle figlie del re Priamo, chiamata Laodice. Riuscì a mettersi in salvo col padre durante la caduta della città.
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### Titolo: Elicona.\n### Descrizione: L'Elicona (in greco antico: Ἑλικών?, Helikṑn, 'il (monte) tortuoso', a sua volta da ἕλιξ, hélix, 'spirale, zigzag'; in greco Ελικώνας?) è un monte situato nella regione di Tespie anticamente in Aonia e oggi in Beozia (Grecia); con i suoi 1.748 metri è la vetta più alta della regione.\n\nMitologia.\nL'Elicona è reso celebre dalla mitologia greca per la presenza della sorgente Ippocrene, sacra alle Muse e toponimo formato sulla radice hippo- 'cavallo', giacché la tradizione voleva che fosse stato uno zoccolo del cavallo Pegaso a farle zampillare e i fiumi Olmeo e Permesso che da esse discendevano, erano reputati in grado di fornire l'ispirazione a coloro che vi si fossero dissetati.\nSulle sue pendici si trovava il villaggio di Ascra, dove nacque il poeta Esiodo (VII secolo a.C.), il quale racconta di avere incontrato le Muse mentre, giovinetto, era intento a pascolare le greggi sui fianchi della montagna, dove Eros e le Muse avevano già allora santuari e un terreno per le danze vicino alla cima. Furono esse - egli sostiene - a ispirargli la Teogonia, che si apre perciò con questa invocazione:.\n\nLe Muse lo avrebbero dunque ispirato, e grazie a loro egli iniziò a cantare le origini degli dei. Fu così che l'Elicona divenne un simbolo dell'ispirazione poetica.\nOltre alle fonti sopra ricordate (e citate dallo stesso Esiodo), la tradizione vuole che si trovasse sull'Elicona anche la fonte in cui Narciso si specchiò rimanendo colpito dalla propria bellezza.\nNell'inno omerico a Posidone, il dio viene apostrofato, in una breve invocazione, come 'signore dell'Elicona'.\n\nPatrimonio dell'Umanità.\nIl monastero di Ossios Loukas (XI secolo), che si trova sul fianco occidentale dell'Elicona, è stato dichiarato dall'UNESCO 'Sito patrimonio dell'Umanità'.\n\nRiferimenti letterari.\nNumerosissimi sono i riferimenti letterari all'Elicona. Ai vv. 37-42 del ventinovesimo canto del Purgatorio Dante Alighieri, in procinto di descrivere la mistica processione celeste che precede l'apparizione di Beatrice così chiede aiuto alle Muse:.\n\nO sacrosante Vergini, se fami,.\nfreddi o vigilie mai per voi soffersi,.\ncagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.\nOr convien che Elicona per me versi,.\ne Uranìe m’aiuti col suo coro.\nforti cose a pensar mettere in versi.Un altro riferimento si trova nel famosissimo settimo sonetto del Canzoniere di Francesco Petrarca:.\n\ned è sì spento ogni benigno lume.\ndel ciel, per cui s'informa umana vita,.\nche per cosa mirabile s'addita.\nchi vuol far d'Elicona nascer fiume.Un celebre passo è contenuto nella seconda ottava del primo canto della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso:.\n\nO Musa, tu che di caduchi allori.\nnon circondi la fronte in Elicona...nel prologo dell'Orfeo di Claudio Monteverdi:.\n\nQuince a dirvi d’Orfeo desio mi sprona,.\nd´Orfeo che trasse al suo cantar le fere.\ne servo fe’ l’Inferno a’ sue preghiere,.\ngloria inmortal di Pindo e d’EliconaPiù irriverente l'accenno di Carlo Porta nel suo Sonettin col covon sul Romanticismo, in cui, atteggiandosi a 'classicista' nella polemica con i Romantici, comprova questa sua affermazione con la sua frequentazione dell'Elicona.\n\nAltro.\nL'Elicona ispirò le danze che il compositore ungherese Leó Festetics teneva nel suo castello nei pressi di Keszthely. Festetics chiamò anche Biblioteca dell'Elicona la biblioteca che fondò per promuovere la letteratura e la cultura nella sua città natale.\nSempre dall'Elicona prende il nome la Helicon Arts Cooperative, un ente no-profit che opera nell'ambito dell'arte e della produzione di film a Hollywood.
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### Titolo: Elimo.\n### Descrizione: Elimo (in greco antico: Ἔλυμος?, Élymos) è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nSecondo alcuni autori Elimo era figlio illegittimo di Anchise e dunque fratellastro di Enea, che seguì nel suo esilio fino in Sicilia; qui egli decise di fermarsi, fondando poi numerose città insieme al re Aceste che aveva accolto i profughi troiani. Dette il suo nome al gruppo di coloni Troiani con lui immigrati che formarono in seguito il nucleo del popolo elimo.\nSecondo il libro V dell'Eneide, invece, Elimo non è parente di Enea, bensì suddito di Aceste: egli partecipa ai giochi funebri in onore di Anchise a Drepanon.
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### Titolo: Elle (mitologia).\n### Descrizione: Elle (in greco antico: Ἕλλη?, Hèllē) o Atamantide (in greco antico: Ἀθαμαντίς?, Athamantìs) è una figura della mitologia greca, figlia di Atamante re di Beozia e di Nefele.\nSorella di Frisso, secondo le leggende più diffuse morì in mare dopo essere caduta dal Crisomallo ma secondo alcune versioni fu salvata da Poseidone e dal dio cui partorì Peone (a volte chiamato Edono) ed il gigante Almopo.\n\nMitologia.\nElle, a causa della gelosia della matrigna Ino (che aveva sposato il padre dopo che questi ne ripudiò la madre), dovette fuggire assieme al fratello (Frisso) aggrappandosi al dorso del Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro) iniziando così uno straordinario viaggio che li portò a sorvolare i mari e le terre fino a quando oltrepassarono la Penisola Tracia.\nElle si addormentò e lasciò la presa, così cadde in mare ed annegò nello stretto che da quel momento prese il nome di Ellesponto, cioè 'il mare di Elle' e che corrisponde all'attuale stretto dei Dardanelli. Secondo Luciano di Samosata, il corpo della ragazza venne recuperato dalle Nereidi e seppellito nella Troade, mentre secondo Igino fu invece salvata da Poseidone.
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### Titolo: Elleno.\n### Descrizione: Elleno (in greco antico: Ἕλλην?, Héllēn) è un personaggio della mitologia greca, re di Ftia, città della Tessaglia ed eponimo degli Elleni.\nFiglio di Deucalione e Pirra e fratello di Anfizione e di ProtogeniaApollonio Rodio invece scrive che sia figlio di Zeus e di Dorippé.\n\nMitologia.\nElleno sposò la ninfa Orseide che lo rese padre di Doro, Eolo e Xuto. Dalla loro discendenza si formarono le quattro tribù della Grecia continentale (gli Elleni) la cui patria è l'Ellade.\nDal figlio Eolo discesero gli Eoli;.\nDal figlio Doro discesero i Dori;.\nDal figlio Xuto nacquero due figli:.\nDa Acheo discesero gli Achei.\nDa Ione discesero gli IoniSecondo Tucidide essi conquistarono l'area greca della Ftia e successivamente diffusero il loro dominio sulle altre città greche continentali e la gente di quelle zone fu così chiamata 'Hellenes' dal nome del loro antenato.\nL'etnonimo Ἕλληνες Hèllēnes risale ai tempi di Omero: nell'Iliade infatti, Ἑλλάς Hellàs e Ἕλληνες erano nomi della tribù (chiamata anche 'Mirmidoni') stabilitisi in Ftia e guidata da Achille.
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### Titolo: Elpis.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elpìs (in greco antico: ἐλπίς, ἐλπίδος?) era la personificazione dello spirito della speranza. Nell'opera del poeta greco antico Esiodo Le opere e i giorni essa è tra i doni che erano custoditi nel vaso regalato a Pandora donna creata da Efesto.\nPandora (dall'aggettivo πᾶς, pas, 'tutto' e δῶρον, dòron, 'dono', quindi 'tutti i doni'), aveva avuto l'ordine di non aprire mai il vaso, ma la curiosità fu più forte e la donna aprì il vaso facendo così uscire tutti i mali, soltanto Elpìs rimase dentro perché Pandora riuscì a richiudere il vaso. Solo un dono non riuscì ad uscire dal vaso, la speranza.\nNella mitologia romana, l'equivalente dell'Elpìs è la Spes.\n\nElpìs nell'opera Le opere e i giorni.\nLa più famosa versione del mito di Pandora è quella contenuta nel poema di Esiodo, Le opere i giorni. Il mito narra infatti che Pandora avesse con sé un vaso che non doveva aprire, ma che aprì spinta dalla curiosità infliggendo all'umanità tutti i mali.\n\nEsiodo non ha mai spiegato il motivo per il quale Elpìs sia l'unico dono a rimanere all'interno del vaso di Pandora.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Elpis, su Theoi Project.
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### Titolo: Emitea (figlia di Stafilo).\n### Descrizione: Emitea (in greco antico: Ἡμιθέα?, Hēmithéā), conosciuta anche come Molpadia, è un personaggio della mitologia greca, figlia di Stafilo e Crisotemi e sorella di Reo e Parteno.\n\nMitologia.\nEmitea e la sorella Parteno furono incaricate di sorvegliare il vino del padre Stafilo, ma si addormentarono e, mentre dormivano, il vaso fu rotto dai maiali che la famiglia possedeva.\nQuando si svegliarono e videro che cosa era accaduto, temendo dell'ira del padre si gettarono da una scogliera, ma Apollo, che era innamorato della sorella Reo, salvò le sorelle dallo schianto e le portò in Asia, nella regione di Cherson, dove entrambe ricevettero onori divini.\nEmitea prese questo nome dopo essere giunta in questo luogo, poiché il nome avuto alla nascita era Molpadia.\nPartenio aggiunge che la donna sposò Lirco (figlio di Foroneo) e che da lui ebbe un figlio, Basileo.
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### Titolo: Emitea.\n### Descrizione: Emitea (in greco Hμιθέα) e un personaggio della mitologia greca, principessa della polis di Tenedo, sorella di Tenete (fondatore della polis) e quindi figlia di Apollo o di Cicno e di Procleia.\n\nIl mito.\nSecondo la leggenda, la storia di Emitea è legata a doppio filo a quella del fratello Tenete: quando questo rifiutò l'amore della matrigna Filonome (che si era da poco unita a Cicno), quest'ultima ordinò di gettare in mare i due giovani. A salvarli fu però il dio Poseidone, del quale erano nipoti, che li fece approdare sull'isola di Leucofri, della quale il fratello divenne re e rinominò Tenedo, partendo dal proprio nome. Quando scoppiò la guerra di Troia Tenete, contrario ai Greci, cercò di impedirne lo sbarco sull'isola ma questi vi approdarono comunque ed Achille uccise Tenete. Dopo la morte di Tenete, Achille cercò di violentare Emitea che però fuggì e cadde nelle viscere della Terra a causa di una voragine.\n\nVoci correlate.\nApollo.\nDistretto di Tenedo.\nTenete.
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### Titolo: Emone.\n### Descrizione: Emone (in greco antico: Αἵμων?, Hàimōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Euridice e di Creonte, il re di Tebe.\nSvolge un ruolo importante nell'Antigone di Sofocle.\n\nMitologia.\nQuando Edipo lasciò il trono di Tebe, i suoi due figli, Eteocle e Polinice si accordarono di avvicendarsi sul trono ogni anno e, non mostrando alcuna attenzione per il padre, quest'ultimo li maledisse.\n\nDopo il primo anno, Eteocle rifiutò di lasciare il trono e Polinice attaccò Tebe, scatenando una guerra durante la quale, dopo che entrambi i fratelli morirono in duello, Creonte ascese al trono di Tebe e decretò che Polinice non fosse seppellito: al che Antigone, sua sorella, disobbedì all'ordine, ma fu scoperta e Creonte ordinò che fosse seppellita viva, nonostante fosse stata promessa a suo figlio, Emone.\n\nGli dei, attraverso il profeta cieco Tiresia, espressero la loro disapprovazione e lo convinsero a revocare l'ordine: Polinice fu seppellito ma, quando Creonte arrivò alla tomba dove la nipote sarebbe stata sotterrata, si scoprì che Antigone si era suicidata piuttosto che essere seppellita viva.\nEmone, disperato, attaccò il padre, denunciandone la crudeltà e poi si uccise. Ne seguì la fine dell'intera famiglia, con il suicidio della madre e dello stesso Creonte.\n\nLa stirpe.
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### Titolo: Empusa.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Empuse (sing. Empusa, greco: Έμπουσα, Empousā) sono mostri soprannaturali femminili, appartenenti alla cerchia di Ecate, di cui erano ancelle, e aventi l'abitudine di terrorizzare i viaggiatori.Esse spaventavano o addirittura divoravano coloro che percorrevano i sentieri o le strade da esse frequentate. Le Empuse potevano assumere qualsiasi forma: le più ricorrenti erano quelle di cagna o di vacca e, per attirare le proprie vittime, potevano mutare l'aspetto in quello di una donna debole o seducente; in quest'ultimo caso si potevano intrufolare nei letti dei giovani. Nonostante la metamorfosi, a uno sguardo più attento esse rivelavano ancora caratteri mostruosi o bizzarri, come una gamba di sterco d'asina e una di bronzo.\nTalvolta avevano il retro d'asina e sandali di bronzo. Nella loro forma naturale, oltre alle strane gambe, possedevano lunghi artigli, piccole ma affilate zanne, occhi completamente rossi, pelle pallida, erano molto veloci e quando morivano diventavano fuoco che poteva divampare e procurare un incendio. Le Empuse più potenti potevano divampare per sfuggire al nemico e il loro volto comparire nel fuoco.\nAnche le Empuse, come le lamie, possono venire considerate una sorta di vampiro ante litteram in quanto si nutrivano di sangue e carne umana.
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### Titolo: Enalo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Enalo (in greco antico: Ἔναλος) era il nome di un eroe di cui si raccontano le gesta nel mito.\n\nIl mito.\nDi ricca famiglia, si unì al gruppo guidato da Echela alla volta dell'isola di Lesbo con l'intento di colonizzarla. Durante il viaggio conobbe la figlia di Sminteo e se ne innamorò. Un oracolo consultato prima della partenza aveva ordinato fra le altre cose il sacrificio di una giovane ragazza (per placare le Nereidi) e fu scelta proprio la ragazza. Prima che fosse gettata in mare intervenne Enalo che l'abbracciò gettandosi con lei, si persero nei flutti mentre la nave si allontanò. In seguito alcuni delfini giunsero e portandoli suo loro dorso li portarono in salvo. Quando il gruppo giunse a Lesbo incontrarono lo stesso Enalo che raccontò loro i fatti accaduti.
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### Titolo: Endimione.\n### Descrizione: Endimione (in greco antico: Ἐνδυμίων?, Endymíōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Etlio e di Calice.\n\nGenealogia.\nSposò la naiade Ifianassa da cui ebbe Etolo, Peone ed Epeo ed una figlia di nome Euricida.\nSecondo Pausania il nome della moglie era diverso e poteva essere Asterodia, oppure Cromia figlia di Itono, od anche Iperippe figlia di Arcade.\n\nMitologia.\nLe storie che lo riguardano sono discordanti a seconda delle regioni da cui provengono; in alcune egli è un pastore o cacciatore della tribù degli Eoli, mentre in altre è un giovane principe che si diceva vivesse ad Elis o nella zona circostante dell'Elide, ma fu anche venerato sul Monte Latmo in Caria - sulla costa più occidentale dell'Asia Minore - ove s'affermò da parte dei cittadini di Eraclea al Latmo potesse trovarsi il luogo del suo sonno senza fine. Altri infine dicono sia stato sepolto ad Olimpia in Peloponneso.\nUna fonte più tarda lo considera uno studioso di astronomia; Plinio il Vecchio cita Endymion come esser stato il primo uomo ad osservare con estrema attenzione le fasi lunari, origine simbolica del proprio amore. Nel suo ruolo assunto nel mito di amante di Selene, la divinità lunare greca arcaica, questa professione fornisce una qualche giustificazione al racconto che lo vuole trascorrere tutto il suo tempo sotto lo sguardo della Dea personificazione della Luna.\n\nVersioni del mito.\nApollonio Rodio è solo uno dei tanti poeti a narrare di come Selene fosse perdutamente innamorata di questo bellissimo mortale, tanto che giunse fino al punto di chiedere al padre degli Dèi di concedergli un'eterna giovinezza di modo che lei non sarebbe mai stata costretta a smettere d'amarlo; un'alternativa vuole invece che, mentre lo osservava con commossa ammirazione mentre egli dormiva inconsapevole all'interno di una grotta nei pressi della città di Mileto, Selene pregò ardentemente Zeus di mantenerlo eternamente in quello stato.\nCome che sia, in entrambi i casi il desiderio venne esaudito e Endimione sprofondò in un sonno ed una giovinezza eterna. Ogni notte Selene scendeva dall'alto dei cieli per fargli visita, là ove egli continuava a dormire; le cinquanta figlie che si attribuiscono loro vengono da alcuni studiosi equiparate ai 50 mesi che debbono trascorrere da un'edizione dei giochi olimpici antichi all'altra.\nSecondo un passaggio del Deipnosophistai di Ateneo di Naucrati, l'esponente della sofistica nonché poeta di ditirambi Licinnio di Chio racconta invece una storia differente, in cui fu Hypnos, il dio del sonno, a rimanere affascinato oltre ogni dire dalla sublime bellezza del giovane uomo: gli donò così la facoltà di 'dormire ad occhi aperti', così da permettere al dio di poter ammirare a pieno il suo volto.\n\nLa Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro scrive che la ninfa Calice ed il re Etlio ebbero un figlio di nome Endymion il quale guidò in seguito la popolazione degli Eoli dalla Tessaglia in direzione sud fino a fondare Elis; ma altri giungono ad affermare fosse in realtà uno degli innumerevoli figli di Zeus. Era d'insuperabile bellezza e capitò che anche la Luna s'innamorò di lui.\nZeus gli permise di scegliere la sua sorte e lui volle poter dormire per sempre, immortale e senza età.\nSi dice anche che Endimione avesse avuto da Ifianassa, una naiade, un figlio di nome Etolo il quale uccise il figlio di Foroneo, Apis, trovandosi in tal modo obbligato a fuggire fino al paese ove risiedevano i Cureti - tra l'Acheloo e il golfo di Corinto - e qui uccise i suoi ospiti Doro, Laodoco e Polipete, i figli di Apollo e Pizia, dando infine al paese il nome di Etolia.\nPausania, che descrive la storia antica degli Elei nella sua Periegesi della Grecia, indica Endimione come colui che aveva deposto il precedente re di Olimpia Climeno, asserendo vi fosse anche conservata una sua statua nel 'tesoro di Metaponto'.\n\nProperzio (Elegie Libro 2, el. 15), Cicerone nelle sue Tusculanae disputationes (Libro 1) e Teocrito discutono ampiamente il mito di Endimione, ma ribadiscono le opinioni già esistenti senza aggiungervi nulla di veramente nuovo. Le circostanze della sua vita e morte sono state poi ampliate e rimaneggiate nel corso dell'era moderna da autori come Henry Wadsworth Longfellow e John Keats, quest'ultimo nel suo poema narrativo del 1818 intitolato per l'appunto Endymion.\nMeleagro di Gadara, autore di alcuni fra i più begli epigrammi contenuti nell'Antologia Palatina, cita Endimione in un suo componimento, più precisamente il numero 165 del libro V, quando, chiedendo aiuto alla notte, auspica che il nuovo e sconosciuto amante della sua amata Eliodora venga colpito dallo stesso sonno eterno del giovane, così da rimanere «inerte sul suo seno».\nAltre fonti ancora parlano di un amore segreto e proibito niente meno che con Era, la regina degli Olimpi; una volta scoperto da Zeus, venne maledetto. Il giovane venne costretto a 50 anni di sonno continuo dal re degli dei, anche se nella Biblioteca (1.7.5) è - come s'è visto - lui stesso a chiedere il dono di non dover affrontare la vecchiaia. Una variante invece sostiene che il giovane fu costretto da Zeus a dormire per trent'anni in una caverna sul monte Latmo senza mai svegliarsi, come punizione per aver cercato di insidiare Era. Secondo tale versione del mito la dea Artemide scoprì Endimione dormiente, e incantata dalla sua bellezza si recava ogni notte a guardarlo.\n\nAstronomia.\nNel 1935 l'Unione astronomica internazionale ha dato il nome del presunto amante della Luna ad un cratere lunare, cratere Endymion.\n\nNella cultura di massa.\nEndimione dormiente, dipinto rinascimentale di Giovanni Battista Cima.\nEndymione, antologia rimata rinascimentale del Chariteo.\nEndimione dormiente, statua neoclassica di Canova.\nEndymion, storia fantastica scritta dal romanziere Dan Simmons, il cui titolo è tratto dal poema di Keats.\nGli Endymion sono un gruppo musicale olandese.\nIl personaggio di Mamoru Chiba è ispirato a Endimione.\nEndymion, Il Mago Maestro è un mostro incantatore del gioco di carte Yu-Gi-Oh!.\nEndymion (poema), poema del poeta inglese John Keats.\n\nNelle arti.
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### Titolo: Enea, Anchise e Ascanio.\n### Descrizione: Enea, Anchise e Ascanio è un gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini, eseguito tra il 1618 e il 1619, conservato nella Galleria Borghese a Roma.\n\nStoria.\nBernini, figlio di Gian Lorenzo, attribuiva l'opera al padre quindicenne, datandola quindi al 1613, proponendo una datazione che verrà accettata anche da Filippo Baldinucci. Il ritrovamento di una nota di pagamento per il piedistallo risalente al 1619 ha posticipato la realizzazione del gruppo scultoreo a ridosso di questa data (1618-1619): l'opera sarebbe stata quindi realizzata da un Gian Lorenzo ventiduenne e con la sola collaborazione del padre Pietro.Di fatto è comunque il gruppo scultoreo più antico dei quattro che il cardinale Scipione Borghese commissionò al giovane e già riconosciuto talento (gli altri sono l'Apollo e Dafne, il Ratto di Proserpina, e il David). L'opera, che arreda la villa di Scipione Borghese fuori Porta Pinciana sin dall'ottobre 1619, è esposta dal 1888 nella Sala del Gladiatore alla Galleria Borghese, a Roma.\n\nAnalisi.\nIl soggetto è ripreso dal secondo libro dell'Eneide di Virgilio, dove si racconta della rocambolesca fuga di Enea, Anchise e Ascanio da Troia in fiamme; la materia, pur essendo desunta dal testo virgiliano, è comunque interpretata da Bernini con un ampio ricorso a spunti personali e una grande profondità di pensiero. Enea ha sulle spalle il vecchio padre Anchise, paralizzato nelle gambe e con la schiena ricurva, che reca in mano il vaso con le ceneri degli antenati (i Lari Tutelari). Il terzo personaggio è il piccolo Ascanio, figlio di Enea, che segue i due parenti stringendo nella mano l'eterno fuoco custodito nel tempio di Vesta che accenderà la nuova vita di Roma.\nLa diversa età dei tre protagonisti ha dato occasione all'artista di esibire il suo virtuosismo tecnico nella resa della pelle dei tre soggetti: vellutata e morbida del bambino, vigorosa e turgida di Enea, molle e raggrinzita di Anchise. Notevole, inoltre, il dinamismo non solo fisico (con la composizione ascendente a spirale, ancora legata alle vecchie forme manieriste), bensì anche psicologico che anima il marmo. Anchise, pur timoroso, è ottimista e sostiene amorevolmente in alto il simbolo della patria abbandonata; Enea è segnato da una virile rassegnazione, e dai presagi che lo vogliono fondatore della nuova civiltà romana, mentre il riccioluto Ascanio è spaventato eppure speranzoso, proprio come il nonno Anchise.L'opera, in un certo senso ancora sperimentale, rivela inoltre una meditata riflessione su numerosi brani pittorici. Tra i riferimenti iconografici più significativi troviamo il San Girolamo di Caravaggio, cui Bernini si rifece per la figura di Anchise, ma anche l'Ultima comunione di San Girolamo di Domenichino, l'Incendio di Borgo di Raffaello Sanzio e il Tondo Doni di Michelangelo.
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### Titolo: Enea.\n### Descrizione: Enea (in greco antico: Αἰνείας?, Ainèias; in latino Aenēās, -ae) è una figura della mitologia greca e romana, figlio del mortale Anchise (cugino del re di Troia Priamo) e di Afrodite, o Venere, dea della bellezza.\nPrincipe dei Dardani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero molto valente, fu un eroe troiano secondo solo a Ettore, ma assume un ruolo di minor rilievo all'interno dell'Iliade di Omero. Enea è il protagonista dell'Eneide di Virgilio, poema in cui si narrano le vicende successive alla sua fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite causate dall'ira di Giunone. La vicenda si conclude con il suo approdo sulle sponde del Lazio e con il suo matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino.La figura di Enea, archetipo dell'uomo obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Virgilio e a Omero, come Quinto Smirneo nei Posthomerica.\n\nMito di Enea.\nOrigini.\nUn tempo, Zeus, il padre degli dèi, che non aveva mai giaciuto con la figlia adottiva, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, architettò di umiliare la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale.\nIl prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, figlio di Capi e di Temiste (oppure, secondo altre leggende, di Egesta), che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida.\nAfrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori.\nUna notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l'aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, figlia del re Otreo, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell'Ida.Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento e, sdraiatasi accanto al giovane, si accoppiò con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell'amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell'alba, Afrodite rivelò all'uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.\nTuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.\nMa allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.\n\nLa punizione di Anchise.\nAlcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avrebbe preferito passare una notte con una figlia di Priamo o con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall'ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.\nUdita la temeraria vanteria, Zeus dall'alto dell'Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore con l'intenzione di incenerirlo.\nMa Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.\nIl giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato dall'ira divina, e la stessa Afrodite perse ogni interesse per lui dopo aver generato Enea. Si racconta anche che Zeus lo punì privandolo della vista.\n\nNascita, infanzia e giovinezza dell'eroe.\nAfrodite diede alla luce Enea sul monte Ida, e qui lo allevarono le ninfe nei primissimi anni di vita. Fu poi educato, secondo alcuni, dal centauro Chirone. A cinque anni fu affidato dal padre al giovane Alcatoo, che di Enea era cognato per aver sposato la sorellastra Ippodamia. Qui Enea fu cresciuto sino alla maggiore età. Enea non fu l'unico figlio che Anchise generò: qualche autore vuole infatti che dall'unione della dea con il mandriano nascesse anche Lirno (o Liro), morto senza figli. Virgilio racconta che Enea sarebbe stato allevato sin dalla tenera età da una nutrice chiamata Caieta, alla quale l'eroe era molto affezionato e quando ella morì le riservò ogni sorta di riguardo. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio. Pausania racconta che dalla moglie Enea avrebbe generato anche un'altra figlia, Etia.\nPrima dello scoppio della guerra contro gli Achei, Enea partecipò ad alcune spedizioni militari nell'ambito della politica espansionistica intrapresa da Priamo, legando in particolare il suo nome alla conquista dell'isola di Lesbo (la cui capitale allora era Arisbe), che divenne un avamposto strategico dei troiani.\n\nGuerra di Troia.\nSecondo le fonti più antiche della saga troiana, Enea avrebbe avuto una parte nel ratto di Elena: fu sua madre Afrodite a ordinare all'eroe di rapire la regina di Sparta, che era sposata con Menelao, che era il premio che la dea aveva fatto a Paride per averle consegnato il pomo della bellezza:.\nEnea era molto amico di Ettore, ebbe invece spesso contrasti con Priamo, come è detto più volte nell'Iliade. Nel canto XIII, l'eroe siede sul campo di battaglia rancoroso per il trattamento che il re aveva nei suoi riguardi. Era contrario alla guerra e inizialmente si rifiutò di combattere ma una volta indossate le armi non si tirò indietro.\n\nPrimi combattimenti.\nEnea partecipò alla guerra di Troia ponendosi a capo di un contingente di Dardani. L'Iliade racconta che, durante un periodo di fittizia pace, l'eroe era allora mandriano del bestiame paterno sul monte Ida quando, nel corso di una scorreria nei pascoli della Troade, Achille riuscì a separarlo dai suoi armenti di buoi, li depredò e lo inseguì lungo le pendici boscose dell'Ida ma il troiano riuscì a sfuggirgli.\n\nLo scontro con Diomede.\nFu eroe valoroso, secondo solo a Ettore, e spesso supportato dagli dèi. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest'ultimo venne ucciso da Diomede, ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.\n\nAffrontò dunque Diomede, rimanendo ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, ferì anche lei e la costrinse alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze.\n\nLa battaglia presso le navi.\nEnea combatté valorosamente anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace Telamonio, e uccidendo Medonte, fratellastro di Aiace Oileo, e Iaso, condottiero ateniese. In questa circostanza perse però sia i suoi luogotenenti, Archeloco e Acamante, che erano due dei tanti figli di Antenore, sia il cognato Alcatoo.\n\nLo scontro con Achille.\nDopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo.\n\nAchille balzò contro Enea: Poseidone, che pur essendo divinità ostile ai troiani apprezzava Enea per la reverenza che aveva verso gli dèi, decise di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell'esercito. Poseidone infatti sapeva che Enea avrebbe dovuto perpetuare la sua stirpe dopo la fine di Troia.\n\nFuga da Troia.\nLa notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d'aspetto, che gli annunciò l'inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l'incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio. Durante la fuga perse però la moglie Creusa che, sotto forma di fantasma, gli rivelò il suo futuro di fondatore di un grande popolo.\nNella Iliou persis, invece, Enea scappava da Troia con i suoi seguaci subito dopo la fine di Laocoonte, avendo intuito grazie a quell'episodio l'imminente caduta della città.\nSecondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade; la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.\n\nViaggio di Enea, eroe nell'Eneide.\nEnea fuggì da Troia via mare: insieme a lui si aggregarono molti troiani e anche vari guerrieri provenienti da altre regioni che avevano preso parte al conflitto come alleati. Giunse dapprima nel Chersoneso Tracico, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò che si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso l'isola. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell'Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto.\n\nEleno, dotato del dono della profezia, annunciò all'amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l'Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell'attuale Salento, a Castro. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono in Sicilia, a Trapani (Eneide libro-3-vv-692-718: ... hinc Drepani me portus accipit ... ), benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d'odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l'Africa.\n\nLì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l'eroe narrò le sue dolorose vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina.\n\nDidone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. La flotta troiana sbarcò di nuovo a Drepana (odierna Trapani), dove per l'anniversario della morte di Anchise furono celebrati alcuni giochi in suo onore, i ludi novendiali, ai quali parteciparono sia atleti troiani sia atleti siciliani (libro V).\nNella città di Drepanon, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la Sibilla con la quale scese vivo nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della Sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone.\n\nIncontrò in seguito l'anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso a Enea in Italia.\n\nTornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche il Circeo: qui morì Caieta, la sua nutrice, ed egli la fece seppellire nel luogo che si sarebbe poi chiamato Gaeta in suo ricordo. Il re di Laurento, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l'ira di Turno, il re dei Rutuli, cui la fanciulla era stata promessa. Durante una battuta di caccia Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, l'aitante Almone, giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest'ultimo consigliò inoltre all'eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l'assenza di Enea il campo troiano venne assediato da quattordici giovani condottieri italici, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e alcuni guerrieri che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi comandati da Tarconte, ai Liguri di Cunaro e Cupavone, e agli Arcadi guidati da Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni. Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e venne meno alla sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise Lauso, il figlio del tiranno, intervenuto in sua difesa. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L'eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo assalì la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla rimase uccisa. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall'uccidere il nemico; ma riconoscendo addosso a Turno le armi di Pallante e ricordando il dolore di Evandro per la morte del figlio, gli conficcò la sua spada nel petto (...vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).\n\nLa critica storica.\nLe prime versioni del mito di Enea sono antiche, tanto che sono già note in Etruria prima del VI secolo a.C. e in Grecia nel V secolo a.C. e farebbero derivare il nome di 'Roma' da quello di una donna troiana con il significato di 'forza'.\n\nRiassunto della leggenda.\nEnea è un principe Troiano, nativo delle falde del monte Ida nella Troade, e partecipa solo alla fase finale della guerra di Troia; è imparentato con il re Priamo avendone sposato la figlia Creusa e in quanto il padre Anchise è cugino del re. Enea piace ai Romani quale capostipite perché gli permette di affondare le radici in una civiltà dal passato fulgido pur distinguendosi dai Greci.\nAnche la leggenda di Romolo e Remo, all'inizio separata da quella di Enea, viene successivamente integrata nel suo mito. In un primo momento i due gemelli vengono indicati come suoi figli o nipoti.\nEratostene di Cirene si accorge tuttavia che, essendo la data della caduta di Troia all'incirca il 1184 a.C., né Enea né i suoi più diretti discendenti potevano aver fondato Roma nel 753 a.C., data alla quale la mitologia fa risalire la nascita di Roma.\nCatone il Censore rende plausibile la storia. Secondo la sua versione, accettata poi come definitiva, Enea fugge da Troia e giunge nel Lazio. Qui, dopo aver sposato Lavinia, fonda Lavinium. Ascanio è invece il fondatore di Alba Longa e i suoi successori danno origine alla dinastia dalla quale, dopo varie generazioni, Rea Silvia darà alla luce Romolo e Remo e in seguito la gens Giulia, con Giulio Cesare e il primo imperatore Augusto.\n\nLa fine di Enea.\nSecondo la leggenda, dopo quattro anni di regno, Enea sarebbe stato assunto in cielo trionfante tra lampi e tuoni durante una battaglia contro gli Etruschi nelle vicinanze del fiume Numico e ricevuto nell'Olimpo insieme agli dèi. È interessante notare che anche a Romolo viene decretata la stessa sorte, permettendo successivamente di deificare anche Giulio Cesare e Augusto, suoi lontani discendenti. Ciò serviva a rendere incontrovertibile la tesi delle origini divine dei fondatori di Roma.\nEsiste poi una versione completamente diversa, secondo cui il cosiddetto Heroon di Enea, situato a Pratica di Mare (nella provincia di Roma), viene identificato come la sua tomba.\n\nAltre versioni sulla discendenza di Enea.\nNelle leggende più arcaiche, Romolo non ha un gemello ed è figlio di Zeus; le successive elaborazioni sono analoghe, ponendo Romolo e Remo come figli di Marte e Rea Silvia, (in alcune versioni lei era una sacerdotessa) e perciò di discendenza divina.\nUn'ulteriore versione della leggenda, indica Rea Silvia come figlia di Enea e un suo nome aggiuntivo sarebbe Ilia, per ricordare il collegamento di Roma con Troia ('Ilio' in greco).\nPer la versione romana tramandataci da Ennio, ebbe due figlie da Creusa, come si ricava dal frammento da cui è tratto Il sogno di Ilia.\n\nAlbero genealogico.\nDa Bruto di Troia (oppure da Prima e da suo marito Proculo Giulio) si genera la gens Iulia storica. Silvio è considerato in alcune versioni il figlio di Ascanio e sarebbe quindi nipote di Enea, in altre il figlio secondogenito di Enea.\n\nVittime di Enea.\nEnea uccise ben 69 nemici tra Achei e Latini: un bilancio di poco inferiore a quello dell'acheo Achille che fece in tutto 77 vittime fra Troiani e loro alleati.\n\nCretone, guerriero acheo, gemello di Orsiloco e figlio di Diocle, discendente del fiume Alfeo. (Omero, Iliade, libro V, versi 541-560.).\nOrsiloco, guerriero acheo, gemello di Cretone e figlio di Diocle, discendente del fiume Alfeo. (Omero, Iliade, libro V, versi 541-560.).\nAfareo, valoroso guerriero acheo, figlio di Caletore e fedele compagno di Idomeneo. (Omero, Iliade, libro XIII, versi 541-545.).\nMedonte, capitano acheo, figlio illegittimo di Oileo e fratellastro di Aiace Oileo. Sostituì Filottete alla guida della sua flotta. (Omero, Iliade, libro XV, verso 332.).\nIaso, capo di un contingente di Ateniesi a Troia, figlio di Sfelo e nipote di Bucolo. (Omero, Iliade, libro XV, verso 332.).\nLeiocrito, guerriero acheo, figlio di Arisbante, fedele compagno del capitano Licomede. (Omero, Iliade, libro XVII, versi 344-345.).\nAlcimedonte, comandante di un contingente di Mirmidoni, figlio di Laerce, aveva aiutato Automedonte, auriga di Achille, a uccidere Areto. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, versi 448 ss.).\nAnfione, compagno di Epeo, il mitico acheo costruttore del Cavallo di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, verso 111.).\nAndromaco, guerriero acheo proveniente da Creta. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI, verso 41.).\nAntimaco, guerriero cretese, compagno di Idomeneo nella guerra di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro VI, verso 622.).\nAristoloco, guerriero acheo. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro VIII, verso 93.).\nBremone, guerriero acheo, proveniente da Licto, città di Creta. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI, versi 41 ss.).\nDeileonte, compagno di Epeo, il mitico acheo costruttore del Cavallo di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, verso 111.).\nTossechine, scudiero di Filottete. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI.).\nDemoleonte, guerriero acheo, di cui poi Enea prese la corazza. (Virgilio, Eneide, libro V).\nAndrogeo e tredici achei ai suoi ordini, entrati a Troia nella notte della sua distruzione.\nTerone: guerriero latino, primo assalitore di Enea, sulla battigia del Tevere.\nLica: giovane guerriero latino. Ferito mortalmente dal colpo di spada di Enea, rimane a lungo agonizzante.\nCisseo: guerriero latino armato di clava, come l'antico Eracle.\nGia: guerriero latino, fratello di Cisseo, anche lui armato di clava.\nFaro: guerriero latino ucciso in maniera efferata. Mentre avanza verso Enea, sulle rive del Tevere, questi gli scaglia contro una lancia che penetra nella sua bocca spalancata.\nClizio: giovanissimo e biondo guerriero latino.\nMeone: guerriero latino.\nAlcanore: guerriero latino e fratello di Meone.\nMago: la prima vittima di Enea mentre l'eroe cerca Turno, uccisore dell'alleato e amico Pallante.\nEmonide: ovvero un figlio (di cui il poeta non fa il nome) del latino Emone; giovane sacerdote di Apollo e Diana.\nCeculo: capo italico, semidio figlio di Vulcano.\nUmbrone: giovane sacerdote e capo dei Marsi.\nAnxure: guerriero latino. Enea gli tronca la mano sinistra con la spada, dopo avergli trapassato lo scudo.\nTarquito: giovane semidio, figlio della ninfa Driope e del mortale Fauno, omonimo del dio italico. Dopo essere stato sconfitto in duello, chiede a Enea di essere risparmiato, ma il capo troiano per tutta risposta lo decapita con la spada e getta testa e busto nelle acque del fiume Tevere, privando così la sua vittima di ogni rito funebre da parte dei genitori e della patria.\nAnteo: guerriero rutulo, luogotenente di Turno.\nLuca: guerriero rutulo, anche lui vicinissimo a Turno.\nNuma: guerriero latino.\nCamerte: giovane signore di Amyclae, figlio di Volcente.\nLucago: guerriero latino, gettato a terra dal carro con la lancia piantata nell'inguine.\nLigeri: guerriero latino, fratello di Lucago, gettato a sua volta a terra dal carro e trafitto da un colpo di spada al petto.\nLauso: figlio del tiranno etrusco Mezenzio, ucciso dall'eroe nel tentativo di difendere il genitore, ferito dallo stesso Enea.\nMezenzio: il tiranno etrusco, ucciso da Enea in un formidabile duello dopo la morte di Lauso.\nSucrone: ucciso da Enea in maniera selvaggia, dopo che Turno, per la seconda volta, gli era sfuggito. Ferito dapprima al fianco con la lancia, viene trucidato da un colpo di spada che gli disintegra ogni costola del petto.\nTalone: guerriero latino.\nTanai: guerriero latino.\nCetego: guerriero latino.\nOnite: guerriero latino.\nMurrano: guerriero latino, imparentato con Turno, e intimo amico di quest'ultimo. Enea gli scaraventa addosso un macigno e lo catapulta a terra giù dal carro; Murrano viene finito dagli zoccoli dei suoi stessi cavalli, che, scambiandolo per un nemico caduto, lo dilaniano.\nCupenco: guerriero e sacerdote latino. Il suo petto viene trapassato da una spada, dopo che questa ha oltrepassato lo scudo di bronzo.\nTurno: l'antagonista principale di Enea nella guerra tra troiani e italici, uccisore di Pallante e di tanti altri guerrieri. Duella con Enea e viene ferito dapprima a una coscia dalla lancia del nemico, e infine ucciso con un colpo di spada in pieno petto.\nNifeo: guerriero latino sbalzato dal suo cocchio a opera di Enea, non per sua mano, ma indirettamente a causa del suo arrivo; questo avviene nei pressi del Tevere subito prima della morte di Lucago e Ligeri.\nQuattro guerrieri rutuli, figli di Sulmone, da lui immolati sul rogo di Pallante.\nQuattro guerrieri equi, figli di Ufente, uguale come sopra.Enea uccise anche Rebo, il cavallo di Mezenzio.\n\nOmaggi.\nAll'eroe troiano è stato dedicato il cratere Aeneas.\nIl comune di Roma gli ha intitolato una via.\n\nEnea nella letteratura postclassica.\nDidone abbandonata - melodramma di Pietro Metastasio.\nCassandra - romanzo di Christa Wolf (1983).
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### Titolo: Enigma della sfinge.\n### Descrizione: L'enigma della sfinge è il primo enigma della storia di cui si abbia documentazione. Nella mitologia greca veniva posto dalla sfinge all'ingresso della città di Tebe ai passanti e chi non fosse stato in grado di risolverlo sarebbe stato strangolato o, secondo alcune fonti (Eschilo), divorato dal mostro.\n\nFonti.\nL'indovinello viene citato da vari autori, come ad esempio Pseudo-Apollodoro, che descrive la Sfinge in modo classico, ossia un leone con volto da donna ed ali da uccello. L'enigma che essa, inviata da Era ed accovacciata sul Monte Ficio, propone è:.\n\nEssa saltava sui tebani che non rispondevano e li divorava. Creonte, dopo aver perso anche il figlio Emone, stabilì che chi l'avesse sconfitta avrebbe avuto il regno e la mano della vedova di Laio, Giocasta. Edipo ebbe successo, spiegando che la risposta era 'l'uomo', che gattona da neonato, cammina su due gambe da adulto e si appoggia su un bastone da anziano. La Sfinge si suicidò dall'acropoli dopo la sconfitta.\nDiodoro Siculo propone una versione simile:.\n\nAteneo di Naucrati cita Asclepiade di Tragilo, che avrebbe riferito l'enigma in questo modo:.\n\nNé Sofocle, né Euripide citano l'enigma, pur citando lo scontro fra Edipo e la Sfinge. Pausania afferma di aver visitato il monte su cui la Sfinge sedeva.\nNeppure Igino, che considera la Sfinge figlia di Tifone.\nLa sconfitta della Sfinge è rappresentata drammaticamente da Seneca nella sua tragedia, l'Edipo.\n\nEtà moderna.\nL'alchimista Michael Maier riporta in latino l'enigma della Sfinge nel 39° epigramma del suo trattato Atalanta fugiens del 1617:.\n\nNella cultura di massa.\nLa figura della sfinge compare ne La storia infinita di Micheal Ende, dove Atreiu, per avere colloquio con l'Oracolo del Sud, deve attraversare tre portali. Il primo di questi è difeso da due sfingi, le quali tuttavia non pongono alcun quesito e concedono il passaggio solamente a chi ne sia ritenuto realmente degno.\n\nCuriosità.\nEsiste una kylix a figure rosse del 470 a.C. che rappresenta Edipo dinanzi alla Sfinge. A fianco del primo vi è la parola 'ΟΙΔΙΠΟΔΕΣ' mentre la Sfinge pronuncia la parola 'ΚΑΙΤΡΙ[ΠΟΝ]' ('e i Tripodi'), scritta al rovescio. Potrebbe essere un gioco di parole, essendo ΟΙΔΙΠΟΔΕΣ trasformabile in ΟΙ ΔΙΠΟΔΕΣ, ossia da una variante del nome 'Edipo' a 'i bipedi'. In tal caso 'i bipedi' avrebbe come risposta 'ΚΑΙ ΤΡΙ[ΠΟΝ]' (e i tripodi) che a sua volta è una citazione da varie forme dell'indovinello.\n\nSimili enigmi non greci.\nEnigmi simili a quelli della Sfinge sono stati registrati in molte culture differenti, come ad esempio fra i mongoli del Selenga, fra le tribù centrali africane un tempo colonie inglesi e fra quelle della Guascogna.
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### Titolo: Enio (divinità).\n### Descrizione: Enio (in greco antico: Ἐνυώ?, Enūṓ) è una figura della mitologia greca, figlia di Zeus e Era, che personifica l'urlo furioso della battaglia.\nSi tratta di una divinità femminile associata alla guerra, e in particolare al dio Ares, di cui è sposa e sorella. Non ha una propria mitologia, anche se il figlio Enialio appare in uno stralcio del libro XX dell'Iliade. V'è anche la possibilità che Enialio sia uno pseudonimo dello stesso Ares.\nNella mitologia greca, Enio era a volte assimilata alla dea della discordia Eris. Corrisponde alla dea italico-romana chiamata Bellona, e presenta anche similarità con la divinità anatolica Ma.
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### Titolo: Enipeo.\n### Descrizione: Enipeo (in greco antico: Ἐνιπεύς? Enipèus) è un personaggio della mitologia greca. Era il dio fluviale della Tessaglia, di cui s'innamorò Tiro.\n\nMitologia.\nEnipeo era considerato il più bello tra gli dei-fiumi. Poseidone prese le sue sembianze per giacere con Tiro e con lei generò i gemelli Pelia e Neleo.
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### Titolo: Ennomo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ennomo (in greco antico: Ἔννομος) era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re del grande regno di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell'Iliade.\n\nIl mito.\nSotto tale nome ritroviamo soltanto guerrieri che si schierarono dalla parte di Troia:.\n\nEnnomo, condottiero dei Misi;Ennomo, guerriero troiano.\n\nEnnomo di Misia.\nEnnomo di Misia fu inviato a combattere dal re Telefo, che era parente e alleato di Priamo. Ennomo era un augure che profetizzava osservando il comportamento degli uccelli in volo, spesso esortato da Ettore durante le tante battaglie, ma alla fine cadde per mano di Achille, che gettò poi il suo cadavere nello Scamandro; non però nella battaglia fluviale descritta nell'Iliade, ma in un poema successivo del ciclo troiano, a noi non pervenuto, mentre nell'Iliade viene fatta solo un'anticipazione della sua morte.\n\n(Omero, Iliade, libro II, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti).\nL'anima di Ennomo non poté raggiungere i cancelli dell'Ade, essendo rimasto insepolto il suo corpo.\n\nEnnomo di Troia.\nEnnomo fu un abile guerriero troiano, ucciso da Odisseo (Ulisse).
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### Titolo: Enomao.\n### Descrizione: Enòmao (in greco antico: Οἰνόμαος?, Oinómaos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Pisa.\n\nGenealogia.\nFiglio del dio Ares e di Arpina (o di Sterope), sposò Evarete figlia di Acrisio (o Sterope ) e fu padre di Ippodamia, Leucippo e Alcippe.\nSecondo altre fonti ha genitori mortali (Alcione o Hyperochus) come padri ed Eurythoe come madre o moglie.\n\nMitologia.\nTemendo una profezia secondo cui sarebbe stato ucciso da suo genero, si guardava dal permettere a sua figlia Ippodamia di sposarsi.\nL'espediente da lui trovato era di esigere che ogni corteggiatore lo sconfiggesse in un agone, il cui percorso si svolgeva partendo dalla sua reggia per raggiungere l'altare di Poseidone situato sull'istmo di Corinto. Se il rivale avesse vinto avrebbe avuto la mano della figlia ma se avesse perso, lui stesso l'avrebbe ucciso.\nE aveva già appeso diciotto teste alle colonne del proprio palazzo, dei cui sconfitti Pausania ne elenca i nomi.\nIl suo carro era guidato dall'auriga Mirtilo, figlio di Ermes e tra i vantaggi di Enomao c'erano anche le due cavalle che trainavano il cocchio, Arpina e Psilla ricevute in dono dal padre Ares che erano le più veloci della Grecia e più rapide addirittura del vento del Nord.\nQuando fu il turno di Pelope, non si accorse che la figlia si era incantata per lui e nemmeno che il suo auriga (Mirtilo, che era innamorato di lei), per compiacerla manomise le ruote del suo carro rimuovendo i fermi dai mozzi e sostituendoli con dei pezzi di cera.\nDurante la corsa le ruote si staccarono, il carro si distrusse e lui, rimasto impigliato nelle redini, fu travolto a terra e morì.
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### Titolo: Enopione.\n### Descrizione: Enopione (in greco antico: Οἰνοπίων?, Oinopíōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Chio.\n\nGenealogia.\nFiglio di Dioniso e Arianna, ebbe dalla ninfa Elice i figli Mela, Talus, Evante, Salago, Atamante e la figlia Merope.\n\nMitologia.\nFondò la città di Chio nell'isola omonima ricevuta da Radamanto e di cui divenne re.\nSi narra che dato il suo nome (l'origine derivava dal greco e significava 'bevitore di vino') avesse diffuso l'arte di coltivare le viti nei suoi territori.\n\nL'ospite Orione.\nRicevette il gigante cacciatore Orione che, giunto a Chio per cacciare la numerosa selvaggina dell'isola, fu in seguito accolto con un banchetto dove assalì sua figlia Merope.\nPer vendicarsi, Enopione lo fece ubriacare e quando si assopì lo pugnalò negli occhi e lo buttò giù dall'isola. Efesto ebbe pietà del cieco Orione e gli diede come guida il suo servitore Cedalione che lo condusse verso est, dove il sole nascente gli restaurò la vista.\nOrione volle a sua volta vendicarsi e cercò di uccidere Enopione, ma questi si nascose in una fortezza costruita dai Chiani e in seguito fuggì a Creta.\nIgino scrive che non andò a Creta ma fu rapito da Eos.\nPausania scrive che la sua (presunta) tomba si trovava a Chio nel tempo del suo viaggio.
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### Titolo: Eolia (mitologia).\n### Descrizione: Eolia è una località leggendaria della mitologia greca.\nNell'Odissea di Omero (libro X) e nell'Eneide di Virgilio (libro I), Eolia è l'isola in cui dimora Eolo, re dei venti, che custodisce i venti stessi in una caverna. Nel poema omerico Eolia è descritta un’isola galleggiante, con coste alte e rocciose, circondata da una muraglia di bronzo.L'isola era situata nel Mediterraneo, vicino alla Sicilia. Questi elementi hanno portato alcuni autori ad ipotizzare che Eolia vada identificata con l'isola di Lipari, la maggiore delle Isole Eolie, o con la vicina isola di Stromboli.
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### Titolo: Eolo (figlio di Elleno).\n### Descrizione: Eolo (in greco antico: Αἴολος?, Àiolos) è un personaggio della mitologia greca, eponimo e capostipite degli Eoli, la seconda popolazione di origine ellenica che invase l'antica Grecia nel II millennio a.C.\n\nIl mito.\nSecondo Pseudo-Apollodoro è figlio terzogenito di Elleno e della ninfa Orseide, è fratello di Doro e Suto e sposando Enarete divenne padre di sette maschi e cinque femmine che presero il nome di Eoliani. Eolo regnò in Magnesia.. I nomi e l'identità dei figli variano tra gli autori: Il catalogo delle donne di Esiodo enumera Sisifo, Atamante, Creteo, Salmoneo, Deioneo, Periere, Magnete, e le figlie Pisidice, Alcione, Calice, Canace e Perimede. Altri autori includono Cercafo, Macareo, Macedone, Suto, Etlio, Ceice, Minia, Mimante, Tanagra e Tritogenia.\nIn una versione del mito, Eolo è invece figlio di Xuto e fratello minore di Iono e Acheo.\nSecondo una versione del mito, Eolo ebbe anche una figlia di nome Arne o Melanippe. Eolo sedusse Ippe, la figlia del centauro Chirone, che rimase incinta. Temendo l'ira di Chirone, con l'aiuto di Poseidone si trasformò in cavalla, e il dio del mare pose la sua immagine nel cielo. La figlia nata fu una puledra dal nome di Melanippe o Arne, e Poseidone se ne invaghì. Dalla loro unione nacquero due gemelli, Beoto ed Eolo, che furono adottati da Teano, moglie di Metaponto, re dell'omonima città della Magna Grecia. I due gemelli in seguito fondarono insediamenti, rispettivamente nella Beozia e nelle isole Eolie. Secondo una tradizione minoritaria, questo secondo Eolo sarebbe il custode dei venti di cui parla l'Odissea, ma l'Eolo omerico è in genere considerato un personaggio a sé stante, distinto sia da Eolo figlio di Elleno che da Eolo figlio di PoseidoneEolo viene citato anche nell'Iliade (libro VI, v. 154).\n\nEsegesi.\nProbabilmente le due storie che raccontano la violenza fatta da Eolo e Poseidone verso due cavalle, si riferiscono al medesimo evento, e cioè il prevalere degli Eoli sui Pelasgi adoratori del cavallo o della dea dei cavalli.Rendere Eolo e Ione figli di Suto, e non Elleni della prima generazione, significava condannare Ioni ed Eoli che con il tempo si erano piegati al culto titanico dei Pelasgi. Infatti solo gli Achei riuscirono a imporre il proprio olimpo (titanomachia).
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### Titolo: Eolo (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Eolo (in greco antico: Αἴολος?, Aíolos) è un personaggio della mitologia greca, il cui mito si confonde spesso con quello di un altro Eolo, figlio di Ippote.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e di Arne, aveva un fratello gemello, Beoto.\nOmero scrive che fu padre di sei maschi e sei femmine e che li fece sposare tra di loro. Igino ed Ovidio ne citano due, Macareo e Canace.\n\nMitologia.\nSua madre (Arne), non fu creduta dal padre quando gli confessò di essere rimasta incinta dal dio Poseidone e così il padre (un altro Eolo, il figlio di Elleno) la consegnò ad uno sconosciuto di nome Metaponto (che in quel periodo soggiornava nella loro città) e che si fece carico di portarla a Metaponto nella Magna Grecia.\nCosì Eolo fu partorito a nella città di Metaponto assieme al gemello Beoto, ed i due bambini furono adottati da Metaponto che, essendo senza figli, accolse con favore il responso di un oracolo che gli consigliò di tenerli con sé.\nCresciuti, i due gemelli approfittarono di una ribellione per impadronirsi del regno del padre adottivo con la forza ma tra la loro madre ed Autolita, moglie di Metaponto, ebbe luogo una lite che culminò con l'uccisione di Autolita da parte dei due fratelli. Così Metaponto scaccio i tre che furono portati in mare e dopo questo episodio i due gemelli si divisero.\nEolo prese possesso delle isole del Mar Tirreno che ora portano il suo nome (le Eolie) e fondò una città a cui diede il nome Lipari.\nBeoto invece si diresse verso la terra del nonno (il padre di Arne).\n\nL'incesto e i latini.\nMentre per i greci il matrimonio tra consanguinei era una cosa possibile, per gli autori romani l'incesto era vergognoso e scioccante.\nIgino ed Ovidio infatti, presero spunto dai matrimoni tra i figli di Eolo per scrivere due poemi in cui i due fratelli, anziché essersi sposati per volere del padre, furono puniti dallo stesso per il loro rapporto incestuoso. Così.\nMacareo fu espulso dalla città , il neonato fu dato in pasto a cani feroci ed infine a Canace fu consegnata una spada con l'invito a suicidarsi.
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### Titolo: Eono.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eono (in greco antico: Οἰωνός) era il nome di uno dei figli di Licimnio e di Perimede.\n\nIl mito.\nAveva due fratelli, Argeio e Mela erano alleati di Eracle morendo negli scontri con Eurito.\nEono era amico di Alcmena, la sorellastra di suo padre e cugina di Eracle, il suo compagno di avventure. Si racconta che un giorno mentre viaggiavano per le strade di Sparta un cane lo aggredì e nel difendersi lo colpì facendo infuriare il suo padrone (Ippocoonte) che insieme ai suoi figli lo uccisero, colpendolo più volte con bastoni ed altre armi improvvisate.\nEracle faticò a vendicarsi, uccidendo alla fine lo stesso Ippocoonte e tutti i suoi venti figli e rimettendo sul trono Tindaro, il fratello di quest'ultimo.\nSecondo Pausania il suo sepolcro si trovava accanto al santuario di suo cugina.
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### Titolo: Eos (divinità).\n### Descrizione: Eos (in greco antico: Ἠώς?, Ēṑs) o Eo è un personaggio della mitologia greca. È la dea greca dell'alba e corrisponde alla divinità romana Aurora e a quella etrusca Thesan.\n\nGenealogia.\nFiglia di Iperione e Tia, ebbe da Astreo i quattro venti (Zefiro, Borea, Austro e Apeliote), gli Astri (le stelle), Fosforo, Vespero e Astrea.\nDai mortali Titone ebbe i figli Emazione e Memnone, da Cefalo ebbe Fetonte e da Clito ebbe Cerano.\nTra i suoi padri, Ovidio e Gaio Valerio Flacco aggiungono Pallante, mentre tra gli altri figli a lei attribuiti c'è un altro Titone.\n\nMitologia.\nAl termine di ogni notte Eos giunge da est a bordo di una biga trainata da due cavalli (Faetonte e Lampo).\nOmero la descrive mentre è intenta ad aprire le porte del paradiso affinché il sole sorga e con la veste color zafferano e ricamata o tessuta con fiori con le dita rosee e le braccia dorate ed è raffigurata nella Ceramica greca come una bella donna, incoronata con una tiara o un diadema sul capo e con le grandi ali di uccello.\n\nTra i suoi amanti divini ci fu Orione, che portò con sé a Delo e Ares, il dio della guerra, con cui condivise più volte il suo letto.\nOffesa per il tradimento, Afrodite punì la dea sua rivale, condannandola a innamorarsi continuamente di comuni mortali e la maledizione ebbe il suo effetto poiché Eos, durante una sua passeggiata presso la città di Troia, intravide Titone, un giovane di straordinaria bellezza e di sangue reale. Così un giorno lo rapì e lo condusse con sé in Aethiopia e dalla loro unione nacquero i figli, Emazione e Memnone, quest'ultimo ucciso da Achille nella Guerra di Troia.\nDa quel giorno, ogni mattina Eos piange inconsolabilmente il proprio figlio e le sue lacrime formano la rugiada.\nEos rapì anche Cefalo (che portò in Siria) e Clito, che portò con sé nella dimora degli dei.
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### Titolo: Epafo.\n### Descrizione: Épafo (in greco antico: Ἔπᾰφος?, Épăphos) o Munanzio è un personaggio della mitologia greca, re d'Egitto e figlio di Zeus ed Io. Un'altra versione meno diffusa lo descrive come figlio di Protogenia. Épafo ebbe una sorella di nome Ceroessa e fu sposo di Menfi da cui ebbe due figlie, Lisianassa e Líbia.\nNella mitologia romana Épafo è il padre di Líbia avuta però dalla sposa Cassiopea.\nNella Religione egizia Épafo era identificato con Apis.\n\nMitologia.\nÉpafo nacque sulle rive del fiume Nilo dopo un lungo peregrinare di sua madre che, trasformata in una mucca dalla gelosia di Era (la moglie di Zeus), aveva percorso gran parte del mondo conosciuto fuggendo da un tafano che questa le aveva mandato per mortificarla. Quando infine giunse in Egitto le carezze di Zeus le restituirono la sua figura umana.\nPerò la rabbia di Era non era ancora sfumata poiché questa ordinò ai Cureti di sequestrare il neonato e coloro che furono scoperti da Zeus furono annientati da un suo fulmine prima che rivelassero dove avevano nascosto Épafo ancora infante.\nCosì la madre Io intraprese un nuovo viaggio per cercarlo e lo ritrovò in Siria, dove scoprì che veniva allattato da una sposa (Astarte o Saosis) del re Malcandro di Biblos.\nQuando Épafo fu riportato in Egitto la madre sposò il re Telegono a cui Épafo successe dopo la morte del patrigno.\nÉpafo si sposò con Menfi, una figlia del dio Nilo ed in suo onore fondò la città di Menfi che divenne con il tempo la nuova capitale del regno.\nCon Menfi ebbe una figlia chiamata Lisianasa e con la stessa o con Cassiopea, fu padre di Líbia.\nDa tali unioni discesero i libici, gli etiopi ed i pigmei, avendo così questi popoli un'origine comune argivo.\nSecondo Eschilo nel suo Prometeo incatenato, fu uno di questi discendenti (precisamente il tredicesimo) quello che liberò il titano dalle catene.\nÉpafo era grande amico di Fetonte al quale somigliava molto, ma gli scherzi o meglio le offese di Épafo durante una disputa, incitarono Fetonte a chiedere a suo padre di poter condurre per un giorno il carro del sole e con le conseguenze disastrose e che intristirono profondamente Épafo.\nDopo un regno glorioso Épafo ebbe una morte orribile ed il vedere il figlio bastardo di suo marito convertito in re di un luogo così bello accese ancora di più la sete di vendetta di Era, che decise che Épafo doveva morire mentre cacciava, e convinse i titani a ribellarsi contro suo marito. Sebbene questa ribellione risultò infruttuosa, i titani divorarono Épafo prima che Zeus e gli altri dei dell'Olimpo li gettassero nel Tartaro.\n\nAlbero genealogico.
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### Titolo: Epiales.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Epiales (anche Epialos, Epioles o Epialtes) (in greco: Επιάλης, Επιάλτης), era uno spirito (dàimon) e personificazione degli incubi.\n\nNella cultura di massa.\nEpiales appare nel libro 'Luce e Tenebra' di Rick Riordan e Mark Oshiro, come antagonista secondario.\n\nVoci correlate.\nOneiroi.\nFobetore.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project - Epiales.
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### Titolo: Epidauro (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Epidauro era il nome di uno dei figli di Argo e Evadne.\n\nNel mito.\nDi lui racconta Apollodoro, che rimane fra le varie versioni la più importante, racconta di sua madre la figlia del dio mare Strimone e dei suoi fratelli: Ecbaso, Pira e Criaso. Pausania racconta che gli Elei si discostavano da questa interpretazione, tipica degli Argivi, vedendo in Epidauro un figlio di Pelope.
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### Titolo: Epidauro.\n### Descrizione: Epidauro (in greco antico in greco Ἐπίδαυρος? Epìdauros, in greco moderno Επίδαυρος Epìdavros) è un comune della Grecia nella periferia del Peloponneso (unità periferica dell'Argolide) conosciuta principalmente per il suo santuario dedicato ad Asclepio e per il suo teatro, ancora utilizzato al giorno d'oggi per accogliere rappresentazioni teatrali.\n\nStoria.\nEpidauro era indipendente da Argo e non era inclusa nell'Argolide fino al tempo dei Romani. Con il suo territorio, formò la piccola area chiamata Epidauria. Conosciuta per essere stata fondata o nominata come l'Epidauro Argolide, e per essere il luogo di nascita del figlio di Apollo Asclepio il guaritore. Epidauro era nota per il suo santuario situato a circa 8 km dalla città, così come il suo teatro, che è ancora in uso oggi. Il culto di Esculapio a Epidauro è attestato nel VI secolo a.C., quando il santuario più antico di Apollo Maleatas non era più abbastanza spazioso.\nL'asclepeion di Epidauro era il centro di guarigione più celebrato del mondo classico, il luogo in cui i malati andavano nella speranza di essere curati. Per scoprire la cura giusta per i loro malanni, trascorrevano una notte nell'enkoimeteria, una grande camera da letto. Nei loro sogni, il dio stesso avrebbe consigliato cosa avrebbero dovuto fare per riguadagnare la loro salute. All'interno del santuario c'era un edificio per i pellegrini con 160 camere. C'erano anche sorgenti minerali nelle vicinanze, che potevano essere state utilizzate per la guarigione.\nAsclepio, il più importante dio guaritore dell'antichità, portò prosperità al santuario, per cui nel IV e III secolo a.C. si intraprese un ambizioso programma di costruzione per l'ampliamento e la ricostruzione degli edifici monumentali. La fama e la prosperità continuarono per tutto il periodo ellenistico. Dopo la distruzione di Corinto nel 146 a.C. Lucio Mummio visitò il santuario e vi lasciò due dediche. Nell'87 a.C. il santuario fu saccheggiato dal generale romano Silla. Nel 74 a.C. una guarnigione romana sotto Marco Antonio Cretico era stata installata nella città causando una mancanza di grano. Tuttavia, prima del 67 a.C. il santuario fu saccheggiato dai pirati. Nel II secolo d.C. il santuario godette di una nuova ascesa sotto i Romani, ma nel 395 i Goti fecero irruzione.\nAnche dopo l'introduzione del cristianesimo e il silenzio degli oracoli, il santuario di Epidauro era ancora conosciuto fino alla metà del V secolo, sebbene fosse diventato un centro di guarigione cristiano.\nA seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 340 km² e la popolazione è passata da 4.471 a 8.710 abitanti.\nÈ inserita dal 1988 nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.\n\nIl santuario di Asclepio.\nIl santuario di Epidauro in età ellenistica divenne il centro per eccellenza dedicato al culto di Asclepio, divinità salutare del pantheon greco, che guariva i fedeli che si recavano in pellegrinaggio ad Epidauro durante le feste in suo onore, denominate Asclepiei.\n\nL’abaton.\nLe guarigioni dei fedeli avvenivano in un edificio detto ἄβατον (àbaton, 'impenetrabile'): prima di accedervi, infatti, il pellegrino doveva aver compiuto le lustrazioni di purificazione necessarie. L'abato si trova nel centro del santuario, nella spianata dove sorgono gli edifici di carattere più propriamente religioso (abaton, tempio, tholos).\n\nIl katagogion.\nMa non tutti i fedeli che giungevano ad Epidauro trascorrevano la notte nell'abaton: questo edificio aveva infatti una funzione prettamente sacra mentre l'accoglienza dei forestieri avveniva in un altro edificio posto a nord del santuario, il cosiddetto καταγώγιον katagṑghion (dal verbo κατάγω katàgō, 'ospitare').\nIl katagogion è un edificio di pianta quadrata, suddiviso in quattro quadrati più piccoli. Ogni quadrato è formato da un cortile sul quale si affacciano delle stanze, diverse per forma e numero in ciascuna sezione. All'interno delle camere erano disposte le κλῖναι klìnai (sing. κλίνη klìnē), sulle quali venivano consumati i pasti, mentre, per dormire, i pellegrini potevano utilizzare le porzioni di spazio lasciate libere. Il katagogion si data al III secolo a.C., ma gli attuali resti risalgono ad un rifacimento del I secolo a.C., ad opera del senatore Antonino.\nMa i pellegrini che ogni anno, in primavera, arrivavano da tutta la Grecia per festeggiare Asclepio erano molto più numerosi di quanti potevano trovare alloggio nel katagogion: questo edificio, infatti, era una sorta di albergo dal carattere elitario, mentre la gran massa dei fedeli dormiva nelle tende disposte fuori dal τέμενος tèmenos, il recinto dello ἱερόν hieròn, il tempio.\n\nIl tempio di Asclepio.\nIl tempio fu costruito nelle vicinanze dell'abaton tra il 380 e il 375 a.C. Era uno dei più piccoli peripteri dorici della Grecia, in marmo e tufo di Corinto, con undici colonne sui lati lunghi, sei sui lati minori e due colonne in antis. Si conservano le fondamenta e, nella cella a navata unica, resta visibile la base sulla quale doveva ergersi la statua di culto. Una fossa lungo la parete meridionale della cella ospitava probabilmente il tesoro di Asclepio. Una lastra in calcare, recante le iscrizioni relative alle spese di costruzione (I.G., IV², 102), riporta il nome di Teodoto quale architetto. La ricca decorazione interna del tempio era opera di Trasimede di Paro che fu forse anche autore della statua di culto crisoelefantina con l'immagine di Asclepio.\nQuest'ultima, descritta da Pausania (Paus. II.27.2) come una figura seduta, affiancata da un cane e da un serpente, è stata riprodotta sulle monete di Epidauro del IV secolo a.C. e su alcuni rilievi votivi, uno dei più fedeli conservato a Copenaghen (Ny Carlsberg Glyptotek 1425).\n\nIl teatro.\nIl teatro è stato realizzato nel 350 a.C. su progetto dell'architetto Policleto il Giovane. Malgrado non manchino testimonianze di edifici dell'epoca, come i teatri di Eretria, Delo, Priene, nessuno eguaglia per perfezione e armonia di proporzioni l'architettura di Epidauro. Per non parlare dell'eccezionale acustica ottenuta soltanto su basi empiriche.L'orchestra di 20,28 m di diametro è posta tangenzialmente alla scena ed è avvolta per circa due terzi dalle gradinate del pubblico. Uno dei pregi maggiori di questo teatro, dovuto probabilmente a un attento calcolo delle dimensioni della σκηνή (skēnḕ, spazio scenico o scena) e della curvatura della cavea (l'insieme di grandinate), è l'acustica perfetta che consente di far giungere la voce sin nei ripiani più alti, amplificando ogni minima emissione sonora.\nInizialmente fu adibito alla rappresentazione di tragedie.\nNel 1954 fu parzialmente restaurato in quanto si era conservato quasi perfettamente nel corso dei secoli. Il 24 agosto 1960 fu utilizzato per la prima volta per la rappresentazione di un'opera lirica, la Norma di Vincenzo Bellini, con Maria Callas nel ruolo della protagonista. L'anno seguente, il celebre soprano diede anche alcune recite della Medea di Luigi Cherubini.\n\nRiferimenti letterari.\nLa cittadina viene più volte citata nel libro Il colosso di Marussi di Henry Miller.
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### Titolo: Epigoni.\n### Descrizione: Gli Epigoni, figure della mitologia greca, sono i figli dei sette capi che combatterono contro Tebe (vedi I sette contro Tebe).\nIl nome 'epigoni', dal greco ἐπίγονος ('nato dopo'), significa 'coloro che vennero dopo', ossia una generazione successiva (non necessariamente quella subito dopo la prima). Il termine 'epigono' conserva, in italiano, il significato di 'continuatore'/'imitatore'. Del mito degli epigoni esiste anche la tragedia chiamata appunto Gli Epigoni di Sofocle.\nSecondo Apollodoro gli Epigoni furono: Anfiloco e Alcmeone (figli di Anfiarao), Egialeo (figlio di Adrasto), Diomede (figlio di Tideo), Promaco (figlio di Partenopeo), Stenelo (figlio di Capaneo), Tersandro (figlio di Polinice), Eurialo (figlio di Mechisteo).\nPausania aggiunge Polidoro e Timea.\n\nMito.\nDieci anni dopo la vicenda dei loro padri, per vendicarne la morte, gli Epigoni ripresero la guerra contro Tebe, guidati da Alcmeone o da Adrasto. Cominciarono col saccheggiare i villaggi attorno alla città, provocando l'intervento dei tebani che, guidati dal re Laodamante, furono sconfitti. Nella battaglia morì Egialeo ucciso da Laodamante che a sua volta fu ucciso da Alcmeone.\n\nEpigoni dei diadochi.\nSono detti epigoni (greco: Επίγονοι, Epigonoi, 'discendenti'), nella storia ellenistica, i figli e i discendenti dei diadochi (i generali macedoni che alla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C., si contesero il controllo del suo impero).
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### Titolo: Epimenide.\n### Descrizione: Epimenide di Creta (Cnosso, VIII secolo a.C. – VII secolo a.C.) è stato uno scrittore e filosofo greco antico.\n\nBiografia.\nLe principali notizie sulla sua vita sono fornite in particolare da Plutarco e Diogene Laerzio.\nNacque a Cnosso o a Festo, tra l'VIII e il VII secolo a.C. Seguendo una tradizione diversa, Platone, lo colloca circa un secolo dopo.\nSi ricava da Diogene la notizia che Epimenide, da giovane, inviato dal padre a rintracciare una pecora nei campi, si fosse addormentato in una caverna e avesse dormito per cinquantasette anni: una volta risvegliatosi e tornato in quella che avrebbe dovuto essere la sua casa, non trovandovi più alcuno che conoscesse, si era imbattuto nel fratello, ormai anziano, comprendendo quanto era successo. Da quel momento capì di essere caro agli dei e di avere un legame particolare con loro, in particolare con Apollo delfico, di cui si fa interprete. Viene, infatti, considerato sommamente abile nella divinazione.\nGrazie alla sua fama di uomo vicino alla divinità ed esperto di cose sacre, verso il 600 a.C. viene invitato ad Atene per purificare la città: gli Ateniesi, in particolare la famiglia degli Alcmeonidi, verso il 630 a.C. si erano macchiati di un sacrilegio, avendo ucciso Cilone e i suoi seguaci, che avevano tentato di impadronirsi del potere e si erano rifugiati presso gli altari delle divinità. Violando la protezione divina, gli Alcmeonidi li avevano strappati dagli altari ed eliminati: per questo motivo una maledizione era ricaduta sulla città e, secondo Diogene, una pestilenza imperversava nell'Attica. Chiamato da Solone, Epimenide purifica la città ordinando il tipo e il modo dei sacrifici da celebrare, regolamenta le istituzioni religiose e inizia la città ai sacri misteri. Quindi ritorna a Creta senza accettare ricompense. Plutarco e Diogene connettono la permanenza ad Atene con Solone, in un periodo collocabile verso la fine del VII secolo; secondo Platone, invece, Epimenide sarebbe giunto ad Atene dieci anni prima la spedizione persiana del 490 a.C.\nLa nascita di due differenti cronologie è dovuta, probabilmente, all'erronea correlazione fra Epimenide e l'esilio che gli Alcmeonidi subiscono più volte nel corso della storia ateniese. Infatti, gli Alcmeonidi colpevoli dell'omicidio di Cilone e dei suoi seguaci vengono esiliati dopo la purificazione di Epimenide, i loro discendenti rimangono colpiti dalla maledizione e si hanno notizie di altri periodi di esilio sotto Pisistrato e al momento della cacciata dei Pisistratidi (508/7 a.C.): chi ha considerato di collocare l'esperienza ateniese di Epimenide verso il 500 a.C. ha verosimilmente fatto confusione tra questi momenti. Secondo Diogene, che riporta diverse tradizioni, Epimenide sarebbe morto a Creta, non molto tempo dopo essere tornato da Atene, a circa centocinquant'anni di età.\n\nOpere e pensiero.\nDiogene fornisce una lista di opere attribuite a Epimenide, su cui permangono molti dubbi: avrebbe composto, in versi, la Nascita dei Cureti e dei Coribanti, la Teogonia, la Costruzione della nave Argo, il Viaggio di Giasone tra i Colchi, Minosse e Radamanto, e, in prosa, i Sacrifici e la Costituzione di Creta. Dalle testimonianze pervenute si può senza dubbio attribuire a Epimenide un forte interesse per il mito, che sottopone ad analisi critica.\n\nIl mito e la critica 'storica'.\nSecondo una testimonianza, alle origini, come una sorta di arché, Epimenide poneva Aere e Notte, dai quali nasceva il Tartaro. Egli, secondo quanto tramandato, ebbe fama di 'teologo', in quanto nelle opere attribuitegli sistematizzò le generazioni degli dei, secondo il principio della generazione matrilineare; in realtà, se di una sua 'teologia' si può parlare, sembra anche esservi una critica della tradizione, come, ad esempio, evidente da Plutarco, che riporta il suo criticismo verso la tradizione delfica che individuava nel luogo sacro ad Apollo l'ombelico del mondoːAlla critica della tradizione sembra si debba connettere anche il frammento riportato da Paolo, da cui già gli antichi trassero la nozione del paradosso del mentitore: «Cretesi sempre bugiardi, bestie malvagie, oziosi ghiottoni». A Epimenide, esperto di cose sacre, iniziato ai misteri e interprete della divinità, sembra vada dunque ascritto il merito di aver applicato, per primo o tra i primi, il metodo dell'analisi critica alla tradizione e di aver sottoposto a controllo tutta la conoscenza mitica e cosmologica precedente. Secondo lo storico Santo Mazzarino a Epimenide andrebbe anche riconosciuta una capacità critica in chiave storica; lo si dedurrebbe dal passo di Aristotele, in cui si dice:La disposizione di Epimenide verso il passato è intesa quale capacità di sottoporre ad analisi e interpretazione la vicenda umana: Epimenide si presenterebbe, quindi, come uno dei primi creatori del pensiero storico.\n\nIl paradosso del mentitore.\nSecondo alcuni il cosiddetto 'paradosso del mentitore' nacque proprio dall'affermazione di Epimenide che «tutti i Cretesi sono bugiardi»; essendo egli cretese avrebbe dovuto conseguentemente essere bugiardo e perciò l'affermazione è falsa poiché pronunciata da un bugiardo. Ma se così non fosse, se cioè Epimenide fosse stato un cretese che, almeno in questa occasione, non diceva il falso, l'affermazione sarebbe risultata ugualmente falsa poiché non tutti i cretesi sono bugiardi.\nNon è tuttavia noto se l'affermazione di Epimenide fosse intesa come un paradosso del mentitore. Inoltre, la proposizione, così come è formulata, non è un paradosso: se infatti egli stesso fosse un cretese falso fra altri onesti, allora l'affermazione iniziale falsa porta ad affermare logicamente che qualsiasi conclusione dichiarata, per quanto assurda, sia vera. Non conosciamo il contesto in cui Epimenide fece questa affermazione; fu solo più tardi di nuovo citata come, appunto, il paradosso del mentitore.
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### Titolo: Epiphron.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Epiphron (in greco: Ἐπίφρων) era il figlio di Erebo e Notte; spirito di prudenza, accortezza, pensosità e sagacia.
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### Titolo: Epipola.\n### Descrizione: Epipola è un personaggio della mitologia greca, figlia di Trachione.\n\nStoria.\nIl padre ricevette l'ordine di recarsi in Aulide per partecipare alla guerra di Troia. Era però troppo anziano per combattere e non aveva figli maschi da mandare in guerra. Allora sua figlia Epipola radunò gli schieramenti del padre e al suo posto si recò al porto di Aulide, mascherata da uomo. Palamede, che già aveva scoperto l'inganno di Ulisse, riuscì a svelare l'identità di Epipola e, nonostante le proteste di Achille, al quale la giovane aveva chiesto aiuto, la fece uccidere a sassate dall'esercito acheo.\nL'unica fonte antica che riferisce su questo personaggio è un passo di Tolomeo Chenno, citato dal patriarca Fozio nella sua Biblioteca (cod. 190).
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### Titolo: Epistrofo (figlio di Eveno).\n### Descrizione: Epistrofo (in greco antico: Ἐπίστροφος?, Epístrofos) è un personaggio della mitologia greca, fratello di Minete e cognato di Briseide.\n\nMitologia.\nEpistrofo, figlio di Eveno, viveva in tranquillità nella città di Lirnesso in Cilicia.In tale città era stata portata in segreto Briseide per salvarla dalle grinfie di Achille che la desiderava, ma questi alla fine la raggiunse: dopo aver ucciso Epistrofo e Minete, distrusse la città intera e rapì Briseide per tenerla come amante e schiava.
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### Titolo: Epito (figlio di Cresfonte).\n### Descrizione: Epito (in greco antico: Αἴπυτος?, Aípytos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Messenia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Cresfonte e di Merope, ebbe un figlio di nome Glauco.\nIgino nelle Fabulae chiama Telefonte questo personaggio, mentre invece gli altri autori scrivono che Telefonte fosse uno dei suoi fratelli.\n\nMitologia.\nEra il più giovane dei figli di Cresfonte, re di Messene che fu assassinato assieme agli altri suoi figli nel corso di una insurrezione e solo lui, che era ancora un bambino e si trovava nella casa del nonno Cipselo, scampò alla strage. Il trono del regno venne usurpato da Polifonte, appartenente anch'egli alla stirpe degli Eraclidi, il quale costrinse inoltre Merope a diventare sua sposa.\nDivenuto un adulto, Epito fece ritorno a Messene riuscendo a riconquistarla, a punire gli assassini ed anriprendere il trono grazie all'aiuto degli Arcadi e dei Dori. Epito è ricordato per aver governato con grande giustizia ed in suo onore i suoi discendenti cambiarono l'appellativo da Eraclidi ad Epitidi.
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### Titolo: Era Farnese.\n### Descrizione: L'Era Farnese è una scultura marmorea del I secolo d.C. conservata presso il museo archeologico nazionale di Napoli.\nProbabilmente si tratta di una copia romana da un originale bronzeo greco del V secolo a.C. di Policleto.\nFacente parte di una statua colossale acrolitica, il busto mostra la dea Era con un'espressione severa in volto. Proprio questa caratteristica spinse i primi archeologi che la videro ad attribuirla ad Era, seppure più recentemente si è sollevata l'ipotesi che si trattasse di Artemide.\nEntrata a far parte della collezione Farnese di Roma, la scultura fu trasferita a Napoli intorno al 1844 dall'archeologo tedesco Heinrich von Brunn.
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### Titolo: Eracle.\n### Descrizione: Èracle (in greco antico: Ἡρακλῆς?, Hēraklḕs, composto da Ἥρα, Era, e κλέος, 'gloria', quindi 'gloria di Era') è un eroe e semidio della mitologia greca, corrispondente alla figura della mitologia etrusca Hercle e a quella della mitologia romana Ercole. Era figlio di Alcmena e di Zeus, quest'ultimo bisnonno della stessa Alcmena, poiché padre di Perseo e nonno di Elettrione. Egli nacque a Tebe ed era dotato di una forza sovrumana. Il patronimico poetico che lo definisce è Alcide, derivante da Alceo, suo nonno paterno putativo.\n\nIl mito.\nLa nascita e il nome.\nElettrione, re di Micene, figlio di Perseo, aveva una figlia, chiamata Alcmena, di straordinaria bellezza. Anfitrione, giovane re di Tirinto e nipote dello stesso Elettrione, in quanto figlio di suo fratello Alceo, si invaghì di lei e decise di prenderla in sposa. Elettrione decise di dare il proprio consenso a patto che il pretendente sconfiggesse in guerra la popolazione dei Tafi che, alcuni anni prima, avevano sterminato i figli del re. Anfitrione accettò la sfida ma, durante una battaglia, uccise a causa di un incidente lo stesso Elettrione. Sconfitto da Stenelo fratello del defunto re, Anfitrione fu costretto a trovare rifugio presso Tebe dove il re locale, Creonte, gli diede in dono un magnifico palazzo, degno di un ospite tanto nobile.\nPoco dopo, Anfitrione riprese la guerra contro i Tafi, riuscendo così a compiere la vendetta promessa. Durante la sua assenza, Zeus, invaghitosi di Alcmena, prese le forme del marito e si unì a lei, facendo persino in modo che la notte durasse ben tre volte di più. Frutto di questa relazione fu appunto Eracle, il futuro eroe greco. Ermes, che aveva accompagnato il padre presso il palazzo di Tebe, rimase fuori, facendo in modo che nessuno potesse mai disturbare i due amanti. Anfitrione, tornato dalla guerra proprio in quel momento, mandò il proprio servitore, Sosia, ad avvertire la moglie del suo ritorno. Il servitore però si trovò davanti Ermes, sotto le sembianze dello stesso Sosia, che, tra un pugno e l'altro, lo convinse di non essere in realtà quello che lui credeva. Questa serie di equivoci fu fonte d'ispirazione per Plauto, che scrisse appunto una commedia chiamata 'Anfitrione'.\nAnfitrione, rientrato nelle proprie stanze, ignaro di tutto, si unisce alla propria sposa. Da questo incontro sarebbe nato Ificle, futuro guerriero e compagno del fratello in molte avventure.\nPoco prima che Eracle nascesse, Zeus si vantò di questo suo imminente figlio che avrebbe regnato sulla casa di Tirinto. Era, gelosa, ritardò allora il parto di Alcmena e accelerò quello di Nicippe, moglie di Stenelo, zio di Alcmena. Il figlio di questi ultimi, Euristeo, nacque perciò un'ora prima di Eracle e ottenne così la primogenitura. Eracle nacque dunque insieme a Ificle, e Anfitrione, ancora ignaro della relazione segreta, così come ignara era anche Alcmena, credeva di aver generato due gemelli. Fu Tiresia, il grande indovino, a rivelare alla donna la straordinaria origine del figlio.\nAlcmena capì che il piccolo sarebbe stato perseguitato dai famigerati furori della regina dei cieli, e non osando allevarlo con le sue sole forze lo portò all'aperto, in un campo, confidando che Zeus non avrebbe negato al frutto del suo seme la divina protezione. Il padre degli dei ordinò dunque al fedele Ermes di attuare un astuto stratagemma. Mentre Era dormiva il celere messaggero divino, portando in braccio il bambino lo avvicinò al seno della dea, facendogli così succhiare un po' del suo latte che, essendo divino, rendeva il fortunato un invincibile eroe. Era però, svegliatasi a causa di un morso del bambino, ebbe un moto di terrore. Quel repentino movimento fece cadere, dal seno della dea, una piccola parte del suo latte che fu dunque origine della Via Lattea, denominata così proprio in ricordo di tale evento.\nIl nome di Eracle significa letteralmente 'gloria di Era', e il motivo di ciò ha avuto varie spiegazioni, sin dall'antichità: forse perché fu a motivo delle persecuzioni di Era che Eracle dovette compiere le sue imprese ed ottenere la gloria, o forse perché fu allattato dalla dea, che può dunque vantarsi di avere allattato un eroe così forte. C'è anche un'altra spiegazione: dopo che Era fece impazzire Eracle, che fuori di sé uccise i propri figli, l'eroe si recò all'oracolo di Delfi, dove la sacerdotessa d'Apollo gli ingiunse di andare a Tirinto dal cugino Euristeo, dove avrebbe dovuto servirlo e compiere tutte le imprese che lui gli avrebbe imposto, e ciò l'avrebbe dovuto fare per la gloria di Era, e da allora in poi si sarebbe chiamato 'Eracle', cioè 'gloria di Era' (precedentemente il suo nome era Alcide).\n\nLa gioventù.\nTornando alle storie dell'infanzia di Eracle, Era non accettò l'affronto e covò contro il piccolo, frutto del tradimento del marito, propositi omicidi: qualche mese più tardi mise due serpenti velenosi nella camera dove dormivano Eracle e Ificle. Quando questi si svegliò, con il pianto fece sopraggiungere i suoi genitori, che giunsero in tempo per vedere il piccolo Eracle strangolare i serpenti, uno per mano.\nSecondo un'altra versione del mito, i serpenti non erano velenosi, ma furono messi nella camera dei gemelli da Anfitrione, che voleva sapere quale dei due fosse suo figlio, poiché aveva saputo anche lui dall'indovino Tiresia che uno dei due gemelli non era figlio suo.\nAnfitrione non risparmiò comunque nessuna cura nell'allevare quello straordinario figlio adottivo. Egli stesso insegnò al bambino a domare i cavalli e a guidare il cocchio. Da ogni angolo della Grecia vennero convocati i più rinomati maestri: Chirone, primo fra tutti, gli insegnò l'arte della medicina e della chirurgia, Eurito fu maestro di tiro con l'arco, Castore lo allenò nell'utilizzo della spada e delle armi, Autolico nello sforzo fisico e nel pugilato, materia che il giovane Eracle apprezzò grandemente. Non ebbero la stessa sorte però arti come ad esempio la musica.\nLino, discendente del divino Apollo, era suo maestro di musica. Il giovane allievo, rude nei movimenti, non era in grado di trattenere la propria forza fisica, distruggendo, letteralmente, la lira che avrebbe dovuto suonare. Lino, un giorno, non riuscendo a sopportare l'incredibile insensibilità musicale dell'allievo, lo rimproverò aspramente e lo costrinse a un severo castigo. Eracle, di carattere piuttosto focoso, sebbene inconsapevolmente, non riuscendo a trattenere la propria forza, colpì con la lira il maestro, che cadde morto a causa dell'urto.\nA causa di ciò Anfitrione fu costretto a mandarlo a vivere fra i guardiani dei suoi greggi, in montagna: qui Eracle si riconciliò col maestro Chirone e imparò dal saggio mentore non solo leggi scientifiche ma anche, e soprattutto, leggi morali. Cresciuto forte e bello, rimase presso le greggi del monte Citerone fino all'età di diciotto anni. Secondo alcuni autori raggiunse la statura di 4 cubiti e 1 piede (2,33 m), ma viene raffigurato dagli artisti come un uomo di statura normale.\nPrima di ritirarsi da questa vita faticosa ma felice, durante una meditazione, Eracle incontrò sulla via due donne affascinanti, ognuna delle quali lo invitava a raggiungerla sul proprio cammino. La prima, di aspetto florido e stupendamente vestita, rappresentava il piacere e mostrava al giovane un sentiero erboso e idilliaco. La seconda donna, in abiti solenni, era invece il dovere, che avrebbe condotto l'eroe presso un sentiero sassoso e terribile. Eracle, benché affascinato dalle proposte del piacere, preferì seguire il dovere, segnando tutta la sua vita al servizio dei più deboli.\n\nPrime imprese di Eracle.\nIn seguito alla scelta del Dovere, Eracle cominciò a prodigarsi per il bene altrui, sconfiggendo banditi e ladruncoli che imperversavano nelle pianure. Eracle si vantava di non aver mai cominciato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.\nSul monte Citerone misurò la sua forza sconfiggendo un terribile leone che faceva stragi di pecore. Durante la sua ricerca egli si fermò presso il re Tespio. Simbolo di virilità, Eracle diede esempio di grande prestanza fisica durante questo periodo di ritiro. Il re Tespio aveva cinquanta figlie e, desiderando che avessero un figlio da Eracle, mentre questi era ospite presso il suo palazzo, ne inviò una ogni notte dall'eroe, a cominciare dalla primogenita Procri e facendo credere all'eroe che fosse sempre la stessa. Secondo alcuni una sola, desiderando restare vergine, rifiutò. Eracle si unì alle altre figlie di Tespio: in tutto loro ebbero cinquanta figli, poiché la primogenita partorì due gemelli.\nAl ritorno incontrò per strada i messi del re di Orcomeno, Ergino, che si recavano a Tebe per riscuotere il tributo di cento buoi che la città gli doveva. Durante una festa infatti un tebano, tale Periere, uccise il padre del re, Climeno, scatenando così una guerra fra i Mini di Orcomeno e gli abitanti della città di Tebe. Questi ultimi persero e furono dunque costretti a pagare tributo ai vincitori. Gli araldi, mandati in città, trattavano però con brutale superiorità gli sconfitti. Questo accese il furore del giovane Eracle che, di carattere piuttosto impetuoso, li assalì e tagliò loro naso e orecchie. Gli araldi, orribilmente mutilati, tornarono presso il loro re chiedendo vendetta.\nErgino, accesosi d'ira, preparò il proprio esercito e marciò verso Tebe. I tebani, fra i quali figuravano Anfitrione, Ificle e lo stesso Eracle, non erano però disposti a cedere. Nello scontro che ne seguì l'eroe, dotato di invincibili armi, dono degli dei (frecce da Apollo, una spada da Ermes, uno scudo da Efesto), e soprattutto dalla protezione della dea Atena, dimostrò tutto il proprio coraggio e la propria tenacia, uccidendo con le proprie mani l'invasore Ergino. Tebe riuscì dunque a vincere la guerra ma gravi furono le perdite. Fra i caduti vi era anche Anfitrione, il padre adottivo di Eracle, che si era dimostrato tanto affettuoso nei suoi confronti.Creonte re di Tebe diede a Eracle come segno di riconoscenza sua figlia Megara in sposa.\n\nEracle argonauta.\nEracle partecipò alla spedizione degli Argonauti portandosi dietro il giovane e bellissimo scudiero Ila. Durante il viaggio gli Argonauti fecero sosta a Cizico, dove furono ospitati dal sovrano omonimo, che era il giovanissimo figlio di un amico defunto di Eracle. Ripresero quindi la navigazione, ma una tempesta li ricacciò nella terra di Cizico in una notte senza luna. Cizico li scambiò per pirati, gli Argonauti da parte loro non lo riconobbero, e si arrivò a uno scontro armato che vide cadere il re giovinetto e dodici suoi uomini, due dei quali vennero uccisi da Eracle. All'alba gli Argonauti capirono cosa era successo e in preda allo strazio seppellirono le loro vittime in una grande tomba. La nave arrivò quindi in Misia e qui Ila scese a terra in perlustrazione, venendo rapito dalle Naiadi del luogo. Non vedendolo tornare Eracle si mosse alla sua ricerca; i Boreadi, che nutrivano una profonda antipatia per Eracle, convinsero i compagni a ripartire senza di lui. Così Eracle, che non era riuscito a ritrovare il compagno, restò solo e decise di trattenersi per qualche tempo a Cizico, per allevare i figlioletti del re accidentalmente ucciso dagli Argonauti.\nSecondo alcuni autori, Eracle s'imbarcò prima di compiere le dodici fatiche per Euristeo, secondo altri dopo una di esse.\n\nMatrimonio con Megara.\nRitornato in Grecia, Eracle visse alcuni anni felici con la moglie Megara, dalla cui unione nacquero ben otto figli. Durante un'assenza dell'eroe, però, Lico decise di prendere in pugno la città di Tebe. Questi uccise il vecchio re Creonte e divenne un sovrano dispotico e arrogante. Lico inoltre, affascinato dall'eccezionale bellezza di Megara, volle stuprarla. Eracle, tornato in tempo per fermare questo oltraggio, aggredì l'usurpatore e lo uccise, dando giusta vendetta al suocero.\nEra non intendeva tuttavia concludere le persecuzioni contro il figliastro. In combutta con Lissa, la Rabbia, fece sconvolgere la mente dell'eroe e questi, in preda al furore, uccise di propria mano moglie e figli (o, secondo altre versioni più tarde, solo i propri figli e alcuni del fratello Ificle). Tornato in sé e resosi conto dell'accaduto, l'eroe decise di suicidarsi per porre fine alle proprie sofferenze. Fu Teseo, il giovane ateniese, a farlo desistere dal suo gesto disperato, mentre il re Tespio, che celebrò un minimo rito di purificazione, gli consigliò invece di recarsi a Delfi per chiedere al celebre oracolo un modo per cancellare dal proprio animo tutto quel sangue versato. Questa storia diede spunto per la trama della celebre tragedia Eracle di Euripide.\n\nLe dodici fatiche presso Euristeo.\nLa risposta dell'oracolo lo costrinse a mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Questi gli ordinò di affrontare dodici incredibili fatiche, simbolo della lotta fra l'uomo e la natura nella sua forma più selvaggia e terribile.\n\nIl Leone di Nemea.\nPrima fatica fu l'uccisione di un terribile leone, figlio di Tifone e di Echidna, che terrorizzava la zona fra Micene e Nemea.\nNella sua ricerca, giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a offrire un capro a Era come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero sacrificato il capro a Zeus Salvatore.\nIl leone viveva in una grotta nei pressi della zona di Nemea. Non appena Eracle vide comparirsi dinanzi la belva mostruosa tentò di colpirla con il proprio arco ma questi, dotato di una pelle invulnerabile, non venne nemmeno scalfito.\nDeciso a non arrendersi, l'eroe sradicò un enorme ulivo usandolo come clava contro l'animalesco avversario. Anche questo tentativo fu però inutile. Le sue stesse braccia sarebbero divenute armi invincibili. L'eroe riuscì infatti a soffocare il terribile mostro utilizzando semplicemente le proprie mani. Il cadavere della belva venne condotto festosamente alla presenza di Euristeo che, stupefatto, decise di affidargli una seconda prova ben più difficile della prima.\nCon la pelle invulnerabile del leone Nemea, tagliata con gli stessi artigli della belva (i soli in grado di penetrarla), Eracle si fece un mantello che l'avrebbe dunque protetto dalle armi degli altri uomini.\n\nL'Idra di Lerna.\nViveva in una palude a Lerna, in Argolide, un serpente enorme, figlio anche lui, come il Leone di Nemea, di Tifone ed Echidna. Questo mostro era immortale e aveva sette (o nove) teste, di cui una immortale, mentre le altre rinascevano appena recise. Divorava chiunque capitasse, impestava l'aria e isteriliva le terre con il suo fiato pestilenziale.\nEracle, giunto presso la tana del mostro con il proprio carro, guidato dal nipote Iolao, cominciò a colpire l'entrata della caverna con le proprie frecce, al fine di far uscire dal suo covo la terribile idra. Non appena vide apparirsi dinanzi il mostro, Eracle cominciò a decapitare le sue molteplici teste con la sua spada, ma queste ricrescevano in numero doppio non appena tagliate. L'eroe ebbe però una geniale intuizione e, grazie all'aiuto di Iolao, riuscì a bruciare i tronconi prima che le teste potessero riformarsi, impedendone così la ricrescita. L'ultima testa, immortale, venne schiacciata sotto un gigantesco masso.\nPer rendere nulla la vittoria di Eracle, Era mandò contro di lui un granchio gigante, che l'eroe riuscì comunque a sconfiggere schiacciandogli il guscio. La regina degli dei fece in modo che i due mostri sconfitti divenissero costellazioni, quelle che gli antichi denominarono 'Idra' e 'Cancro'.\nVincitore anche in questa seconda fatica, l'eroe intinse le proprie frecce nel sangue dell'idra, rendendo le ferite causate da esse inguaribili. A causa del veleno di queste frecce sarebbero morti in seguito Chirone e Paride, figlio del re di Troia Priamo.\n\nLa cerva di Cerinea.\nEuristeo, ancor più stupito per l'eccezionale efficacia di Eracle, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno.\nEracle non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per riportarla in patria.\nLungo la strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire, e ottenne da lei il permesso di portare la cerva a Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.\n\nIl cinghiale d'Erimanto.\nLa quarta fatica fu quella di catturare un feroce cinghiale selvatico che devastava le alture di Erimanto, fra l'Attica e l'Elide. Riuscì a stanarlo fuori dalla foresta fino alla nuda cima del monte, dove lo sfinì con serrati inseguimenti nei profondi cumuli di neve, fino a che fu in grado di legarlo con delle corde robuste e portarlo vivo al suo signore Euristeo che, per la paura, si rinchiuse dentro una botte.\n\nLo scontro con i centauri.\nLungo la strada che l'avrebbe portato a Erimanto, Eracle incontrò un suo amico centauro, Folo, che decise di imbandire un banchetto in suo onore. Il pasto non poteva però essere coronato con del vino, poiché l'unico disponibile era quello donato dal dio Dioniso alla comunità dei centauri che non poteva essere utilizzato senza il permesso dei compagni di Folo.\nEracle riuscì a convincere il suo ospite a trasgredire il patto: ma non appena il fortissimo aroma del vino raggiunse i boschi vicini, un'orda di centauri, armati con sassi e rami d'abete, saltò fuori da ogni cespuglio. Rabbiosi per la perdita del prezioso liquido, essi assalirono l'eroe, il quale prese a difendersi scagliando contro di loro le sue frecce mortali, costringendoli a rifugiarsi nella grotta di Chirone, suo antico precettore.\nNella mischia che ne seguì il saggio e anziano centauro venne colpito da una freccia vagante: il sangue velenoso dell'Idra nel quale era stata intrisa da Eracle condusse Chirone a una lenta agonia, senza che le sue arti di guaritore potessero arrestare il fatale processo. Anche Folo, l'ospite gentile, messosi al fianco dell'amico, morì nello scontro.\n\nGli uccelli del Lago di Stinfalo.\nQuinta prova per Eracle, fu quella di eliminare i mostruosi uccelli che devastavano la zona adiacente al lago di Stinfalo, in Arcadia. Questi micidiali volatili avevano penne, ali, artigli e becco di bronzo, uccidevano lanciando le loro penne come frecce e si nutrivano di carne umana.\nErano allevati da Ares ed erano così numerosi che quando prendevano il volo oscuravano il cielo. La palude da loro abitata inoltre emanava un odore nauseabondo a causa dei cadaveri di coloro che avevano tentato di eliminare questi feroci avversari.\nAtena consegnò a Eracle, prima di cominciare lo scontro, delle nacchere di bronzo, dono di Efesto, che avrebbero spaventato gli uccelli facendoli volare via e rendendoli quindi facilmente raggiungibili dalle frecce dell'eroe. Quest'ultimo fece quanto gli aveva consigliato la dea e, non appena suonò le nacchere, i mostruosi volatili si librarono nell'aria spaventati, diventando così suo facile bersaglio. Alcuni di loro vennero uccisi, altri riuscirono a fuggire nell'isola di Aretias, vicino alla Colchide.\n\nLe stalle del re Augia.\nLe immense stalle del re dell'Elide, Augia, non erano mai state ripulite dal letame ed erano circa trent'anni che vi si accumulavano escrementi. Euristeo ordinò dunque a Eracle di recarsi nell'Elide e ripulire in un solo giorno le stalle del re Augia. L'eroe, recatosi presso il sovrano, ricevette da questi una solenne proposta: se fosse riuscito a compiere una fatica simile avrebbe ricevuto in cambio metà delle sue ricchezze.\nEracle, che di certo era molto furbo oltre che forte, deviò le acque dei fiumi Alfeo e Peneo, riversandole all'interno delle stalle che, in un baleno, furono totalmente ripulite. Fiero della propria impresa l'eroe tornò da Augia che non volle però rispettare i patti accusandolo di aver agito con l'astuzia e non compiendo una fatica vera e propria. A parer di ciò, intentò un processo contro Eracle prendendo come testimoni i principi d'Elide suoi figli. Tutti testimoniarono a favore del padre, solo Fileo, uno di essi, osò difendere l'eroe, causando così l'ira di Augia, che lo cacciò dal suo regno insieme con l'eroe. Quest'ultimo, prima di andarsene, giurò che si sarebbe presto vendicato sul re e sui suoi figli.\nDurante il viaggio di ritorno difese la giovane Desamene dalle grinfie di un brutale centauro che venne prontamente sconfitto dall'eroe. Questi tornato da Euristeo ricevette una terribile risposta: dato che avrebbe ricevuto metà delle ricchezze di Augia, se questi avesse rispettato i patti, la fatica non avrebbe avuto più valore.\n\nLe cavalle di Diomede.\nDiomede, figlio di Ares, era re dei Bistoni, popolo di guerrieri, provenienti dalla Tracia. Questo sanguinario sovrano allevava con cura quattro cavalle, che nutrì, dapprima, con la carne di soldati caduti in battaglia, in seguito con la carne degli ospiti che egli invitava periodicamente nel proprio palazzo. Euristeo ordinò a Eracle di portare a Micene queste mitiche giumente, non rivelandogli però le loro terribili abitudini alimentari, sicuro che l'eroe sarebbe caduto nel tranello.\nIn compagnia di un gruppo di giovani compagni, fra i quali figurava Abdero, Eracle affrontò il terribile Diomede e, mentre teneva occupato quest'ultimo, ordinò ai suoi di catturare le cavalle. Abdero, che tentò per primo di catturarle, venne divorato dalle mostruose giumente. Furente, Eracle sconfisse Diomede e lo costrinse a condividere il destino delle sue vittime: anche lui divenne pasto delle sue belve. In onore del defunto amico Abdero, egli fondò, nel luogo della sua morte una città. Tornato da Euristeo gli presentò le mitiche cavalle e il sovrano, spaventato da tali animali, ordinò che venissero portati via.\nSecondo la leggenda, Bucefalo, cavallo di Alessandro Magno, era discendente da tali giumente.\n\nLa resurrezione di Alcesti.\nBenché fosse impegnato nelle fatiche impostegli da Euristeo, Eracle non era però deciso a smettere di aiutare il prossimo e a seguire il sentiero del Dovere, così come aveva scelto in gioventù.\nDurante un viaggio l'eroe trovò rifugio nel palazzo del re di Fere, Admeto, che lo accolse con tutti gli onori. Questi però nascondeva al nobile ospite un triste segreto: Apollo gli aveva infatti detto che, se qualcuno della sua famiglia si fosse sacrificato per lui, sarebbe scampato alla morte imminente. Tuttavia né il padre né la madre del re, benché anziani, avevano accolto questa richiesta, solo Alcesti, la moglie, era pronta a sacrificarsi pur di rendere felice il marito e, a tale scopo, era scesa agli Inferi poco prima dell'arrivo di Eracle.\nL'eroe ignaro dell'accaduto, cominciò a gozzovigliare mentre gli abitanti della casa piangevano nelle proprie stanze. Un servo, furioso per un simile comportamento, rimproverò l'ospite per la propria maleducazione, raccontandogli tutto l'accaduto. Vergognatosi per il proprio atteggiamento, Eracle decise allora di ripagare la gentilezza dell'ospite. Giunse presso la tomba di Alcesti, dove Thanatos aveva già dato inizio al rito funebre. Come Eracle descrisse precedentemente al servo, tese un agguato al dio, lo stritolò con la propria forza finché egli non si arrese, liberando la donna. Dunque, prese Alcesti con sé e la riportò fra i vivi, ma prima di riconsegnarla al marito Admeto, mise alla prova la fedeltà di questi, fingendo che la donna con lui fosse frutto di una vittoria a dei giochi e che necessitasse ospitalità. Admeto superò brillantemente la prova, rifiutandosi anche solo di toccare la donna; sarà Eracle il quale, provata la fedeltà dell'uomo, lo spingerà a prendere per mano Alcesti e, solo in quel momento, lui riconoscerà la moglie.\n\nIl Toro di Creta.\nEuristeo ordinò a Eracle di catturare un terribile toro, che in quel tempo devastava i domini di Minosse, sovrano di Creta. Poseidone aveva infatti mandato al re un toro possente perché lo offrisse a lui in sacrificio. Poiché Minosse non lo fece, il dio del mare rese furiosa la bestia che prese così a devastare tutta l'isola di Creta. Secondo alcune interpretazioni fu proprio questo il toro con cui si unì Pasifae, moglie di Minosse, che generò il Minotauro, per una maledizione dello stesso Poseidone.\nEracle catturò la belva, richiudendola in una rete, e la riportò presso Euristeo che ordinò di liberarla. Il toro finì i suoi giorni presso la piana di Maratona, dove verrà ucciso da Teseo.\n\nIl cinto di Ippolita.\nSu richiesta di Admeta, figlia di Euristeo, desiderosa di avere la stupenda cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, dono di suo padre Ares, Eracle dovette recarsi nel regno di queste temibili donne guerriere per compiere così la nona fatica. Insieme a un nutrito gruppo di eroi, fra i quali figurava anche Teseo, Eracle partì verso Temiscira, capitale del regno di Ippolita.\nDurante una sosta, presso l'isola di Paro, uno dei guerrieri venne ucciso per ordine di alcuni figli del re Minosse, che dimoravano in quella zona. Eracle, indignato per tale comportamento, si scontrò con questi e, grazie all'aiuto dei suoi compagni, riuscì a eliminare i principi inospitali. Il viaggio però era ancora lungo e pieno di pericoli: ospite presso il re Lico, in Misia, difese questi dall'esercito dei Bembrici, guidato da Migdone, uccidendone il comandante e costringendo i soldati nemici alla fuga.\n\nGiunti a Temiscira, gli eroi vennero accolti calorosamente da Ippolita, disposta a cedere pacificamente il proprio cinto ai suoi nobili ospiti. Era però suscitò alcune Amazzoni che, convinte che Eracle volesse rapire la propria regina, si armarono, decise a uccidere lui e i suoi compagni. Nello scontro che ne seguì la stessa regina Ippolita trovò la morte (secondo un'altra versione essa fuggì insieme con Teseo e divenne madre di Ippolito).\nDurante il viaggio di ritorno, con il prezioso cinto ben conservato, Eracle e i suoi uomini giunsero presso il lido di Troia, dove un terribile mostro marino, divoratore di uomini, stava per cibarsi della principessa Esione, figlia del re Laomedonte. Eracle, mosso a compassione, affrontò la terribile creatura e la uccise. Laomedonte, che aveva promesso all'eroe una giusta ricompensa, non rispettò i patti, scatenando così l'ira dell'eroe, pronto a ritornare a Troia dopo aver concluso le fatiche.\nNel suo tragitto Eracle incontrò ancora terribili avversari, come per esempio Sarpedonte, figlio di Poseidone, un brigante assetato di sangue. Presso Torone, fu invece ospitato da due figli di Proteo, Poligono e Telegono, abili pugili e atleti che, felici di avere nel proprio regno un simile concorrente, lo sfidarono in alcune gare. Eracle però, che spesso non riusciva a trattenere la propria forza, li uccise inconsapevolmente durante un incontro di lotta.\n\nI buoi di Gerione.\nDecima fatica per Eracle fu quella di catturare i leggendari buoi rossi di Gerione. Quest'ultimo era un mostro che dalla cintura in su aveva tre tronchi, tre teste e tre paia di braccia. Geloso dei suoi splendidi animali, il gigante aveva posto come custodi delle sue mandrie un mostruoso cane, Ortro, figlio di Echidna, e il terribile vaccaro, Eurizione, figlio di Ares.\n\nI possedimenti di Gerione erano posti agli estremi confini della terra allora conosciuta. Eracle separò così i due monti Abila e Calipe, in Europa e in Libia, e vi piantò due colonne, le cosiddette 'Colonne d'Ercole' (il moderno Stretto di Gibilterra). Mentre le attraversava osò lanciare le sue frecce contro il cocente Elio, il Sole. Il dio, ammirato per il suo coraggio, gli consentì di usare il suo battello d'oro a forma di coppa per raggiungere il nemico.\nNell'isola di Erythia vi fu lo scontro con Gerione, sia lui sia i suoi due fedeli, vennero sconfitti dai terribili colpi di Eracle che non esitò a colpire perfino la dea Era, accorsa in aiuto del mostro contro l'odiato figliastro.\nImpossessatosi della mandria, Eracle partì alla volta della Grecia, percorrendo la terra italica, colma di terribili briganti. Nella zona del Lazio viveva il gigante Caco che esalava fumo e fiamme dalle fauci. Questi rubò le bestie migliori della mandria approfittando del suo sonno. Per non lasciare tracce del furto, egli trascinò per la coda gli animali verso la caverna che gli serviva da rifugio. Ingannato dal trucco del gigante, Eracle cercò invano gli animali. Dandoli per dispersi si apprestava a riprendere il viaggio quando sentì le bestie dal fondo di una grotta. Per liberarli Eracle dovette affrontare il gigante, il quale si rese conto troppo tardi di chi aveva osato derubare.\nIn una sosta in Calabria, fu ospitato dal suo amico Crotone figlio di Eaco. Un ladro del luogo, chiamato Lacinio, rubò i tanto splendidi buoi; subito Eracle, insieme a Crotone, andò a stanarlo nel luogo dove abitava ma nella seguente colluttazione oltre al ladro morì Crotone, ucciso proprio per mano dall'eroe stesso. Eracle pianse la morte del caro amico e, senza indugio, provvide alla costruzione di un reale monumento funebre, supplicando gli Dei di far sì che su quella tomba sorgesse una delle città più fiorenti dell'antica Magna Grecia. Accolte le suppliche, Apollo, per bocca dell'oracolo di Delfi, inviò degli Achei nelle terre italiche che fondarono l'omonima città di Crotone. Secondo la versione di fondazione di Crotone di Ovidio, invece è direttamente Ercole che appare in sogno a Miscello da Ripe, obbligandolo a partire per fondare la città, nonostante che la legge della sua città vieta di partire e per chi vuole cambiare patria vi è la pena di morte.\nIn Sicilia venne sfidato in una gara di pugilato da Erice, figlio di Afrodite, che rimase ucciso; il suo luogo di sepoltura diede nome all'omonima cittadina. Non contenta, Era mandò contro le mandrie un tafano che causò la loro dispersione. Eracle le seguì freneticamente fino alle distese selvagge della Scizia. Nonostante queste disavventure riuscì comunque a portare le bestie sane e salve in Grecia, dove Euristeo voleva usarle per sacrificio, ma Era non volle per non riconoscere la gloria di Eracle. Così l'eroe tenne per sé i buoi.\nL’impresa gerionica, che è codificata come decima fatica dell’eroe, ben si presta, per la struttura narrativa in forma itineraria e diegetica, ad accogliere elaborazioni successive e connessioni secondarie e collaterali, di ambito locale e particolarmente nei miti di fondazione nell'ambito del mondo coloniale della Magna Grecia, ove la figura di Eracle diviene rilevante per la sua connotazione iconografica di creatura al margine fra natura e civiltà: molte delle avventure eraclee in occidente sono basate sulla contrapposizione fra l’eroe e il mondo degli animali, e sottolineano il suo ruolo di “eroe culturale”, cioè di civilizzatore; in altri termini, attuando la liberazione del mondo dalle creature mostruose, Eracle rese possibile agli uomini la colonizzazione. La presenza di Eracle è maggiormente evidente nelle zone poste a confine tra le colonie e le realtà indigene preesistenti, in particolare «nell’area delle colonie achee di Crotone e Sibari, la cui regione a lungo necessitò di ridefinizioni territoriali fra i coloni e gli indigeni dell’entroterra». È, nelle sue funzioni, compagno assiduo e fedele dei coloni greci, ed è indubbiamente sotto le sembianze dell’eroe tradizionale che viene adottato da molte città nel IV secolo ed accompagna la penetrazione dell’ellenismo tutta l’Italia meridionale.\n\nI pomi delle Esperidi.\nA Eracle venne ora ordinato di prendere tre mele d'oro dal giardino delle Esperidi, che era stato donato da Gea, la madre terra, a Zeus ed Era come dono di nozze. Il nome del giardino derivava dalle quattro ninfe, figlie della Notte, che lo abitavano, insieme con il dragone Ladone, dalle cento teste, che aveva l'incarico di vigilare sul giardino. Nessuno sapeva però in quale remoto angolo si trovasse il giardino delle Esperidi.\n\nLo cercò dapprima nelle zone più sperdute della Grecia, dove si scontrò con il terribile Cicno, un brigante sanguinario deciso a edificare un tempio al padre Ares con le ossa degli stranieri che passavano per il suo territorio. Eracle lo uccise, scontrandosi poi anche con Ares che fu costretto a ritirarsi sconfitto.\nPresso il fiume Eridano (Po) incontrò le splendide ninfe che lì abitavano e che gli consigliarono di recarsi presso il vegliardo Nereo, divinità marina, che aveva il dono dell'onniscienza. E così fece Eracle, il quale piombò addosso a Nereo mentre questi dormiva e lo tenne saldamente legato, nonostante questi cercasse di sfuggire utilizzando i suoi poteri di metamorfosi, così come gli avevano narrato le ninfe. Nereo infine si arrese e acconsentì a soddisfare le richieste di Eracle, indicandogli la strada per raggiungere l'isola dove si trovava il giardino delle Esperidi.\n\nDurante il viaggio egli ottenne poi altre informazioni da Prometeo, che da tanti anni si trovava incatenato sulla roccia del Caucaso, esposto alle angherie di un'aquila. Eracle eliminò il rapace con le sue frecce e, raggiunto il luogo dove Prometeo stava incatenato, lo liberò senza difficoltà. Il buon titano, grato per la recuperata libertà, si sdebitò con l'eroe fornendogli preziosi consigli per la sua impresa. Gli disse di cercare suo fratello Atlante, il titano padre delle Esperidi, e di far cogliere a lui stesso i preziosi pomi d'oro.\nGiunto in Africa, Eracle attraversò dapprima l'Egitto, dove incappò nell'odio del re Busiride per gli stranieri. Anni prima infatti la sua terra era stata devastata da una terribile carestia, e un indovino di Cipro aveva profetizzato che l'ira degli dei poteva essere placata soltanto col sacrificio di uomini nati in altre terre. Busiride aveva compiuto il primo sacrificio utilizzando proprio il malcapitato indovino, e da allora ogni anno uno straniero cadeva vittima di questo crudele rito propiziatorio. Eracle stesso, catturato per tale bisogno, ebbe però gioco facile a spezzare le catene, uccidere il re sul suo stesso altare e allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati della popolazione egiziana. Passò poi in Etiopia, dove uccise il tiranno Emazione, affidando il trono al fratello di costui, il giovanissimo Memnone, che già regnava in Persia. In Libia si scontrò con un avversario più temibile, il gigante Anteo, che aspettava al varco tutti i viaggiatori per sfidarli a una lotta all'ultimo sangue. Anteo, essendo figlio di Gea, aveva la possibilità di riprendere forza ogni volta che veniva a contatto con il terreno. L'eroe greco però, abile quanto forte, trovò il modo di impedire all'avversario di servirsi di questo vantaggio tenendolo a mezz'aria con le poderose braccia e lo strozzò.\nDopo un lungo viaggio, egli trovò finalmente Atlante, il quale reggeva sulle poderose spalle il peso della volta celeste. Eracle si offrì di sostituirlo nel gravoso compito per qualche tempo, se questi avesse acconsentito a raccogliere per lui le mele d'oro del giardino delle Esperidi, e Atlante acconsentì. Ma quando questi fece ritorno con le tre mele rubate, niente affatto voglioso di riprendere l'immane fardello, cercò di lasciarne per sempre la responsabilità a Eracle, e quest'ultimo riuscì a sottrarsi soltanto con la sua astuzia. Fingendosi onorato del delicato incarico egli chiese ad Atlante di riprendere solo per un momento la volta celeste sulle spalle, in modo da consentirgli di intrecciare una stuoia di corde che alleggerisse la pressione sulla sua schiena. Il titano riprese dunque il fardello, ma prima che potesse rendersi conto di essere stato giocato con i suoi stessi mezzi il furbo Eracle era già fuggito lontano, portando con sé il bottino delle mele d'oro.\n\nLa cattura di Cerbero.\nEuristeo scelse come ultima prova un'impresa che sembrava impossibile per ogni essere mortale, catturare Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste, guardiano delle regioni infernali. Eracle si preparò a questa prova con un pellegrinaggio iniziatico presso Eleusi, dove partecipò ai misteri detti appunto eleusini, mondandosi della colpa dello sterminio dei centauri. Quindi egli raggiunse Tenaro laddove una buia spelonca introduceva a una delle porte dell'Ade. Sotto l'autorevole guida di Ermes egli si addentrò in quel gelido mondo sotterraneo.\n\nSolo la terribile Medusa, fra tutti gli spiriti incontrati, osò affrontarlo, ed Eracle stava già per colpirla quando Ermes gli fermò la mano, ricordandogli che le ombre dell'Ade sono solo fantasmi. Anche l'ombra di Meleagro, celebre eroe vincitore del cinghiale calidonio, si apprestò con una pacifica proposta: pregava il nuovo arrivato di proteggere, una volta tornato nel mondo dei vivi, sua sorella Deianira.\nPresso le porte dell'Ade Eracle trovò inoltre due uomini legati, che riconobbe molto presto. Erano Teseo, suo compagno in svariate avventure, e Piritoo, il re dei Lapiti. Entrambi erano scesi nel mondo sotterraneo per rapire Persefone, ma erano stati scoperti dal dio Ade e condannati a restare eternamente prigionieri nel mondo dei morti. L'eroe riuscì a salvare l'amico Teseo ma, quando si apprestò a recuperare anche Piritoo, fu costretto ad allontanarsi per colpa di un terremoto.\nAde, conoscendo personalmente l'arditezza dell'eroe, che l'aveva già ferito poco prima e che aveva steso con pochi colpi il suo mandriano, si convinse che valeva la pena di ascoltare le sue ragioni. Acconsentì così a dargli il cane Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza usare armi. Così, dopo una lotta disperata, il mostruoso guardiano fu costretto ad arrendersi quando l'eroe riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base dei tre colli.\nEuristeo, vedendo Eracle tornare con il mostro infernale sulle spalle, si sentì morire per la paura e ordinò che Cerbero venisse rimandato presso il proprio padrone. Il re, avendo visto come l'eroico cugino era riuscito a vincere su tutte le prove che gli aveva commissionato, si diede per vinto e lo liberò dalla sua prigionia, ponendo così fine alle sue dodici fatiche.\n\nLe ultime imprese.\nEurito, la figlia Iole e l'omicidio di Ifito.\nEracle decise adesso, essendo passato molto tempo dalla morte di Megara, di trovarsi una nuova compagna. Si invaghì così di Iole, figlia di Eurito, che durante la sua fanciullezza era stato il suo maestro di tiro con l'arco. Il rinomato arciere offriva la figlia in sposa a chi avesse superato in una gara lui e i suoi tre figli. Eracle, partecipando alla contesa, sconfisse il suo antico maestro, ma quando egli pretese Iole in premio, Eurito cercò di impedire il matrimonio fra la sua adorata figlia e un uomo che non aveva esitato a uccidere la propria moglie.\nFra i figli del re solo Ifito prese le parti dell'eroe, da lui grandemente stimato; dal canto suo Eracle, quando si vide negare la sposa regolarmente conquistata, andò su tutte le furie.\nAccadde intanto che certi buoi appartenenti a Eurito venissero rubati dal noto ladro Autolico. Il re fece credere a tutti che il furto fosse stato attuato da Eracle per vendetta, ma Ifito non accettò nemmeno adesso l'ipotesi che l'amico potesse aver compiuto un'azione così meschina. Unitosi a Eracle, si mise sulle tracce del vero responsabile dell'azione. Durante il percorso, mentre costruivano una torretta per avvistare il bestiame rubato, Eracle venne però ripreso dalla furia, scagliatagli ancora dalla matrigna Era, e fece pagare al giovane lo sgarbo di Eurito scagliandolo giù dalla torre. Quando ritornò in sé e si accorse di aver ucciso il suo migliore amico, Eracle cadde in una profonda prostrazione.\nEracle aveva commesso uno degli atti più spregevoli: aveva ucciso un ospite nella propria casa. Questa volta, però nessuno volle compiere il rito di purificazione ed Eracle preferì tornare a Delfi per avere la punizione per il suo delitto. La pitonessa, tuttavia, non aveva intenzione di compiere il rito per un essere impuro: di nuovo in preda alla rabbia, Eracle riportò lo scompiglio nel tempio, impadronendosi del tripode sacro e minacciando di compiere il rito da sé. La Pizia, allora, invocò Apollo, che decise di affrontare Eracle. Lo scontro fu tanto cruento, che Zeus fu costretto a intervenire, separando i duellanti e imponendo alla Pizia di dire a Eracle come potesse purificarsi dall'omicidio di Ifito e dalla profanazione dell'oracolo.\n\nLa schiavitù presso Onfale.\nSotto la guida di Ermes, Eracle si imbarcò verso l'Asia, dove quasi nessuno lo conosceva, e si fece vendere per tre talenti a Onfale, regina della Lidia. Ella capì ben presto che razza di schiavo eccezionale avesse acquistato. Ma quando seppe che quello schiavo portentoso altri non era che il famoso Eracle, pensò di utilizzarlo come compagno di vita invece che come servitore.\nSotto il suo comando, egli riuscì a liberare Efesto dai Cercopi, dei mostruosi uomini scimmia che importunavano i viandanti, talmente bizzarri e simpatici che l'eroe alla fine li liberò sorridendo. Stessa sorte non toccò a Sileo, re dell'Aulide, che catturava i viaggiatori e li uccideva dopo averli obbligati a lavorare nella sua vigna.\nMa il lusso e le mollezze della vita orientale riuscirono a sopraffare l'eroe, che dovette comunque passare la maggior parte del tempo come passatempo preferito della regina, che giocava con la sua clava e la sua pelle di leone e si divertiva a vestirlo con abiti femminili e a impiegarlo nella filatura della lana.\nDopo tre anni trascorsi in questo modo, Eracle decise di dire addio a questa vita così poco adatta a un eroe che aveva scelto il Dovere come propria ragione di vita, e lasciò per sempre Onfale, con la quale nel frattempo aveva generato un figlio, Ati.\n\nLa vendetta contro i trasgressori.\nEracle si propose di punire tutti coloro che in qualche modo si erano comportati scorrettamente con lui. Le sue prime vittime furono i due Boreadi, che egli sorprese mentre facevano ritorno alla loro terra dopo aver vinto due gare sportive. Eracle li stese morti a colpi di clava, ma subito dopo si pentì di ciò che aveva fatto e seppellì personalmente i corpi dei due giovani.\nA Tirinto Eracle radunò un gruppo di compagni armati, fra i quali figuravano Iolao, Oicle re di Argo, Peleo e Telamone per muovere guerra, con solo sei navi, contro Laomedonte, il primo trasgressore, colui che, benché Eracle avesse salvato sua figlia, non aveva voluto dare il compenso promesso, e anzi aveva scacciato l'eroe in malo modo dal proprio regno, sotto insulti e imprecazioni.\nL'esercito di Eracle sconfisse Laomedonte uccidendo lui e i suoi figli maschi, risparmiando Podarce, che aveva denunciato l'imbroglio del padre: secondo una variante Podarce era stato fatto prigioniero dall'eroe e riscattato dalla sorella Esione. Oltre a lui, vennero risparmiate anche le figlie del re, Esione, Etilla, Cilla, Astioche, Procleia e Clitodora. In realtà alla morte scamparono anche altri due maschi: Titone, che da tempo era stato rapito da Eos, e Bucolione, ceduto in fasce da Laomedonte a una coppia di pastori. Vennero uccisi invece Lampo, Clitio, Icetaone e Timete. Tuttavia Omero afferma che l'eroe uccise solo il vecchio re.\nEsione sposò poi Telamone e dall'unione con lui nacque Teucro, valoroso guerriero durante l'assedio di Troia.\nPodarce divenne re di Troia e, in ricordo del riscatto pagato dalla sorella per liberarlo, decise di cambiare il suo nome in Priamo (che significa 'il riscattato').\nMa la vendetta personale dell'eroe non era ancora conclusa, vi era infatti un altro impostore da punire: Augia. Questi venne ucciso insieme con tutto il suo esercito, i suoi domini ceduti al figlio, Fileo, l'unico che aveva professato il vero e difeso Eracle in presenza del padre. La morte di Augia e dei suoi uomini scatenò le ire dei suoi alleati, che mossero così contro l'eroe.\nEracle invase i loro territori e li sterminò, uno per uno, a partire da Neleo, re di Pilo, che non aveva voluto purificarlo dopo l'uccisione di Ifito. Questo sovrano venne ucciso insieme con i suoi figli, unico sopravvissuto fu Nestore, che in quel tempo era lontano dalla propria patria.\nStessa sorte toccò ad Attore, uno degli Argonauti, a Ippocoonte e ai suoi figli, che avevano cacciato dal regno ingiustamente i fratelli Icario e Tindaro (quest'ultimo prenderà in seguito il posto di Ippocoonte, divenendo re di Sparta e futuro padre adottivo di Elena, la donna che fu causa della famosa guerra di Troia), e a molti altri usurpatori e trasgressori dei patti, alleati di Augia, tutti caddero sotto l'avanzata di Eracle, pagando con la stessa vita le loro nefandezze.\nDurante questa serie di massacri, Eracle si invaghì della figlia di Cefeo, uno dei suoi alleati, la sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe Telefo, futuro re di Misia e marito della principessa troiana Astioche, che l'avrebbe reso padre di Euripilo, valoroso condottiero nella guerra di Troia (come alleato di Priamo).\n\nLa fine terrena di Eracle.\nDeianira e il centauro Nesso.\nEracle capitò a Calidone per vedere Deianira, figlia di Eneo, alla quale doveva riferire un messaggio che il fratello Meleagro le inviava dal regno dei morti. Eracle, che già sapeva della bellezza della fanciulla, si innamorò di lei e la portò con sé come sposa, dopo un'ardua contesa con un rivale, il dio fluviale Acheloo.\nQuest'ultimo era capace di assumere le forme più disparate, mutandosi in serpente e poi in toro durante lo scontro con l'eroe. Vinto da questi però fu costretto a fuggire con un corno spezzato, gettandosi poi nel fiume Toante. Dalle gocce di sangue del corno reciso nacquero le sirene.\nI due decisero di trasferirsi a Trachis, in Tessaglia, per vivere lì insieme. Arrivati però a un corso d'acqua in piena, Eracle e la nuova moglie incontrarono il centauro Nesso, che si offrì di traghettarli sulla riva opposta portandoli sulla schiena. Dal canto suo Eracle non aveva bisogno di un tale aiuto, e dopo aver gettato sull'altra riva la clava e la pelle di leone, si gettò a nuotare agilmente nel fiume in piena; affidò, però, la moglie a Nesso.\nSubito quel rude centauro, infiammato dalla bellezza della donna, avrebbe voluto stuprarla, ma Eracle sentì le grida della moglie e con una delle sue frecce avvelenate abbatté il centauro. Negli spasimi dell'agonia, il vendicativo essere sussurrò a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell'abito magico avrebbe rinverdito alla bisogna l'amore di Eracle per lei.\n\nLa tunica fatale.\nCome trasgressore dei patti anche Eurito, re d'Ecalia e maestro d'arco, che in precedenza non aveva voluto cedere in sposa Iole a Eracle, venne sconfitto dall'eroe e ucciso insieme con i suoi familiari. Questa la sua ultima impresa, secondo un decreto dell'Oracolo di Dodona.\nDeianira, vedendo tornare lo sposo vincitore, notò che, fra gli ostaggi catturati, vi era anche Iole, antica fiamma di Eracle, e venne così presa dalla gelosia. Decisa di mettere in pratica l'incantesimo che le aveva rivelato il centauro Nesso, senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla freccia che Eracle stesso aveva scagliato, Deianira gli inviò un vestito che era stato immerso in quel veleno e l'eroe l'indossò per celebrare i riti di ringraziamento per la vittoria. Non appena il fuoco acceso sull'altare ebbe riscaldato il veleno con cui era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin nelle vene, ed egli, impotente per la prima volta nella sua vita, non poté far altro che subire l'agonia, uccidendo nella disperazione il servo Lica che, ignaro, gli aveva portato la veste fatale.\nCon le sue ultime forze, Eracle sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il coraggio di accenderlo, così Eracle fu costretto a chiedere a un pastore di nome Filottete di farlo. Questi ubbidì ed Eracle gli donò le sue armi, che si renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri.\nMentre Eracle cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse, e lo portò con sé nell'Olimpo, dove l'eroe si riconciliò con Era e sposò Ebe, la coppiera divina.\nSi era avverata la profezia dell'oracolo, che prevedeva la fine terrena di Eracle per opera di un morto.\nIolao, dopo aver osservato tale prodigio, costruì un tempio in onore dello zio e Illo, su ordine dello stesso Eracle, sposò Iole. Deianira, quando seppe ciò che era successo, in preda ai sensi di colpa si uccise.\n\nEracle nella tradizione letteraria.\nI poemi omerici.\nLe prime attestazioni letterarie su Eracle sono contenute nei poemi omerici. Omero, citando di passaggio alcuni episodi delle sue imprese, sembra conoscere puntualmente le vicende narrate da testi letterari che oggi non ci sono pervenuti.\nL'aspetto caratteristico che traspare subito dall'immagine omerica di Eracle è la sua straordinaria forza fisica, l'eroe è infatti rappresentato nell'atto di distruggere Pilo o di ferire gli dei in battaglia. In Omero Eracle non indossa ancora il suo abbigliamento tradizionale, la pelle di leone, e non è armato di clava, ma veste schinieri, corazza, elmo, scudo e adopera tutte le armi tipiche di un guerriero miceneo.\nNel testo dell'Iliade di lui parla Nestore a Patroclo, raccontando delle guerre della sua gioventù, Eracle era stato anche per Pilo dove uccise i migliori guerrieri della sua generazione.\n\nTlepolemo, re di Rodi, è un figlio di Eracle, ricordato con questo patronimico già nel libro II meglio conosciuto come 'Catalogo delle navi'. Nel libro V, il guerriero rodio ingaggia un duello con Sarpedonte di Lidia, figlio di Zeus. Durante il combattimento disprezza l'avversario ritenendolo poco potente rispetto al padre, anch'egli prole di Zeus, ma a suo dire di tutt'altra forza.\n\nNel XV libro il poeta invece, raccontando le gesta degli eroi principali, sofferma il suo sguardo su Ettore, che uccide Perifete, nunzio di Euristeo presso Eracle, citato anche in questo caso per la sua possanza fisica, che, è evidente, in questo contesto non appare aver un ruolo significativo.\n\nSempre nell'Iliade vi è inoltre il racconto dell'inganno che Era tesse alle spalle di Zeus a proposito della nascita di Eracle ed Euristeo.\n\nNell'Odissea invece minori sono i riferimenti a Eracle ma il connotato principale dell'eroe rimane comunque la forza fisica.\nNel libro VII è presente un ennesimo, analogo riferimento alla potenza guerresca di Eracle come esempio della potenza delle generazioni del passato rispetto a quelle del presente:.\n\nEracle è spesso presentato come figura brutale e dedita alla violenza, in particolar modo nel XXI libro, dove si trova un passo relativo alla morte di Eurito:.\n\nI testi di Esiodo.\nNella Teogonia di Esiodo abbondano i riferimenti alle vicende di Eracle, ma non troviamo nel poema una trattazione continua delle sue imprese. Galinsky osserva come egli ne celebri le imprese, le fatiche, la vita di sofferenze che gli guadagnarono l'accesso all'Olimpo (Theog. 954-5). Questa immagine di Eracle è solitamente considerata come paradigma dell'eroe 'culturale', portatore cioè della civiltà contro la barbarie.\nTale immagine positiva e 'morale' di Eracle si afferma anche in uno dei poemi pseudoesiodei, Lo scudo di Eracle, poemetto di 480 esametri che narra la storia dello scontro tra Eracle e Cicno figlio di Ares. In questo caso Eracle si fa portavoce non solo di un valore culturale di fronte alla barbarie, ma addirittura gioca un ruolo etico nella difesa della pietas religiosa verso il dio Apollo, i cui fedeli venivano uccisi dal mostruoso brigante.\nAnche in questo poemetto l'eroe veste ancora l'armatura del guerriero omerico: indizi cronologici interni ed esterni al testo suggeriscono che l'opera appartiene a una epoca anteriore alla rivoluzione iconografica dovuta a Stesicoro, il quale lo descrisse con la celebre pelle del leone nemeo sulle spalle e la clava.\n\nLe tragedie.\nIl quinto secolo è la grande stagione della tragedia attica: tra le opere sopravvissute fino ai nostri giorni Eracle è protagonista di quattro di esse: Le Trachinie e il Filottete di Sofocle; l'Alcesti e l'Eracle di Euripide.\n\nDalle testimonianze antiche sappiamo, però, che l'eroe aveva una parte ampia anche nella produzione di Eschilo. Holt dedica molto spazio all'analisi dei presunti frammenti degli Eraclidi di Eschilo e suppone che ci fossero riferimenti alla morte dell'eroe e alla sua apoteosi.\nL'eroe aveva certamente spazio nella terza tragedia della trilogia prometeica, il Prometeo Liberato. Egli è rappresentato nell'atto di liberare il titano che, in segno di riconoscenza gli dona una profezia sui suoi futuri vagabondaggi in Occidente e le sue fatiche successive. L'eroe assume l'immagine tradizionale di benefattore dell'umanità (come già in Esiodo e Pindaro), caricandosi di un significato altamente religioso. Eracle ha la funzione di esempio morale, in quanto rappresenta il rovescio della figura tracotante di Prometeo: come il titano si era mostrato ribelle alla volontà divina e motivo di ira per il padre degli dei, così l'eroe figlio di Alcmena è l'immagine dell'obbedienza alla divinità e strumento di riconciliazione tra il dio e l'umanità.\nSofocle si è spesso ispirato nella sua produzione a episodi della vita di Eracle. Nelle due tragedie superstiti, il Filottete e le Trachinie, abbiamo due immagini differenti dell'eroe: nella prima assume il ruolo del deus ex machina, che dopo la morte viene a dirimere la contesa che oppone lo sfortunato eroe abbandonato a Lemno e i capi greci; nella seconda offre al pubblico un'immagine decisamente più umana, di eroe al termine della vita di fronte all'inevitabilità della morte. Nel dramma di Filottete Eracle è, dunque, assunto nel ruolo di strumento della volontà divina, simile a quello giocato nel Prometeo liberato di Eschilo, ed è posto sullo stesso piano di qualsiasi altra divinità olimpica che ex machina soprattutto nei drammi euripidei viene a risolvere le vicende. Egli ha conquistato tale ruolo divino attraverso le sofferenze e le fatiche compiute durante la vita terrena al servizio di Zeus e a favore dell'umanità.\nPiù problematico è, invece, l'Eracle delle Trachinie, che sembra segnare un passo indietro rispetto all'evoluzione che la sua figura aveva assunto nel corso del VI e del V secolo a.C. Egli è raffigurato, infatti, come un eroe violento e brutale, schiavo di passione e ira, indotto alla distruzione di una città solo per conquistarne la figlia del re. L'eroe pare soccombere al suo destino a causa di un errore della dolce sposa, da lui poco considerata, che tenta di mantenerlo legato a sé con l'impiego di quello che crede un filtro d'amore. La morte causata accidentalmente dalla donna, che gli invia una tunica intrisa del sangue avvelenato del Centauro Nesso, è in realtà voluta dal destino: l'eroe deve espiare le sue mancanze e pagare le azioni superbe di cui si è reso colpevole. L'intento di Sofocle è di dimostrare come nelle vicende umane sia sempre presente lo sguardo divino, di fronte al quale neppure il più forte degli eroi può nulla. Nel corso dell'opera il protagonista è oggetto di una evoluzione, una presa di coscienza delle sue colpe e giunge ad ammettere tutto il peso delle sue azioni, riconoscendo la superiorità e la giustizia della volontà divina. Al termine del dramma, infatti, sostiene che è meglio ubbidire al padre Zeus, accettando serenamente la morte destinatagli.\n\nEuripide fornisce un'interpretazione alquanto originale anche della figura di Eracle. La prima opera in cui appare l'eroe è l'Alcesti, tragedia problematica per la sua stessa struttura e posizione all'interno della tetralogia: occupa, infatti, il quarto posto - quello tradizionalmente riservato al dramma satiresco - ed è originale per il suo lieto fine. Tra i personaggi, Eracle è quello più discusso: non appare un eroe tragico, anzi, per la sua ingordigia nel mangiare e nel bere che lo apparenta all'immagine di lui diffusa nella commedia attica, sembra un buffone da dramma satiresco. Nonostante tutto si inserisce nel dramma in un momento centrale. Dopo aver conosciuto la verità si sveste infatti dei panni del beone per assumere quelli tradizionali di benefattore, adoperandosi per il suo ospite Admeto.\nL'Eracle di Euripide è una tragedia tipica del grande poeta, problematica validità della religione olimpica e la precarietà dell'uomo di fronte al divino. Eracle è al termine delle sue fatiche, di ritorno presso la moglie Megara e i figli, insidiati dal tiranno Lico. L'arrivo dell'eroe garantisce l'immediata liberazione dei perseguitati, ma segna anche la loro fine. Euripide ha inteso creare intorno all'eroe il vuoto totale: al culmine della gloria, egli diviene oggetto della peggiore delle catastrofi per sua stessa mano, l'uccisione della moglie e dei figli. Euripide modifica alcuni particolari della storia - nel racconto tradizionale le fatiche erano imposte a Eracle in qualità di espiazione dell'assassinio di Megara e dei figli - per fare di Eracle l'eroe di fronte alla tragedia della vita. Il doloroso rimprovero agli dei, in particolare a Era, che per gelosia di una mortale ha permesso tanta sofferenza, è il grido dell'uomo impotente di fronte al fato.\nL'umanizzazione dell'eroe dinanzi al dolore è disarmante e ancora più sconvolgenti sono le motivazioni addotte da Teseo per consolare l'amico, secondo cui: «Nessuno è senza colpa, né uomo né Dio». Euripide ha inteso modificare il ruolo di Eracle rispetto alla tradizione che va da Pindaro in poi, secondo una idealizzazione etica nuova e umana.\n\nAmanti e figli di Eracle.\nEracle si sposò quattro volte, con Megara, Onfale, Deianira e infine con Ebe, ed ebbe un numero imprecisato di relazioni extraconiugali, sia con donne che con uomini, per i quali, a causa dei molti miti che lo riguardano, è difficile ricostruire un ordine cronologico. Segue una lista (non esaustiva) dei principali figli di Eracle citati nella mitologia. I figli e i discendenti di Eracle sono conosciuti collettivamente con il nome di Eraclidi.\n\nUomini amati da Eracle.\nEracle aveva anche un certo numero di amanti maschili. Plutarco, nel suo dialogo Sull'amore (Eroticos) sostiene che 'erano oltre ogni possibile conteggio'; quello a lui più strettamente legato era il tebano Iolao: secondo un mito, Iolao era auriga e scudiero dell'eroe. Eracle, alla fine, lo aiutò addirittura a trovarsi una moglie. Plutarco riporta che fino al suo tempo le coppie maschili sarebbero andate in pellegrinaggio alla tomba di Iolao a Tebe a prestare giuramento di fedeltà eterna reciproca davanti al sepolcro.\nUno degli amanti di Eracle maggiormente rappresentato sia nell'arte antica sia in quella moderna è Ila (Hylas). Anche se la vicenda è di epoca più recente (datata all'incirca al III secolo a.C.) di quella con Iolao, questa aveva temi di mentoring nei modi di relazione guerresca e di aiuto per fargli trovare alla fine una sposa degna. Tuttavia va notato che non vi è nulla di tutto ciò se non nel racconto di Apollonio Rodio, il quale suggerisce apertamente che Ila fosse anche un amante sessuale, in contrasto con la semplice qualifica di compagno e servitore.\nUn altro presunto amante maschio dell'eroe è Elacatas, suo eromenos, che è stato onorato a Sparta con un santuario e giochi annuali, gli 'Elacatea'. Il mito del loro amore è assai antico.\nVi è poi l'eroe eponimo della città di Abdera, Abdero. Si dice che è stato aggredito e ucciso dalle carnivore cavalle di Diomede di Tracia. Eracle fondò la città di Abdera proprio per onorare la sua memoria, dove è stato ricordato anche con giochi atletici.\nUn altro mito riguarda Ifito.\nAltra storia è quella che narra del suo amore per Nireo che fu «l'uomo più bello che fosse giunto sotto le mura di Troia» (Iliade, 673). Ma Tolomeo aggiunge che alcuni autori hanno rivelato invece che Nireo potesse essere uno degli stessi figli di Eracle.\nPausania il Periegeta fa menzione di Sostrato di Dyme in Acaia come uno dei probabili amanti di Eracle; si dice ch'egli sia morto giovane e che sia stato sepolto dall'eroe stesso appena fuori dalla città. La tomba si trovava lì ancora in epoca storica, e gli abitanti di Dyme onoravano Sostrato come fosse un eroe. Il giovane sembra sia stato anche indicato come Polystratus.\nC'è anche una serie di amanti che sono o invenzioni successive, o concetti puramente letterari. Tra questi Admeto, che l'ha assistito durante la caccia del cinghiale calidonio; poi Adone, Corito iberico e Nestore, che si diceva fosse amato per la sua saggezza.\nUno scholiasta delle Argonautiche elenca i seguenti amanti maschili di Eracle: 'Hylas, Filottete, Diomo, Perithoas e Phrix'. Altri nomi, menzionati da Plutarco, sono quelli di Eufemo e Frisso.\n\nAltre figure legate al mito.\nFamiliari, compagni e amici.\nAbdero, giovinetto da lui amato e suo compagno.\nAdmeto, suo ospite.\nAlcesti, sposa di Admeto.\nAlcmena, sua madre.\nAnfitrione, suo padre adottivo.\nAntore, suo compagno in alcune imprese.\nArgone, suo discendente.\nAthys, suo allievo.\nAuge, madre di suo figlio Telefo.\nAventino, suo figlio avuto da Rea.\nChirone, centauro suo precettore.\nCizico, giovanissimo re dell'omonima città, figlio del suo compagno d'armi Oineo.\nCreonte, padre di sua moglie Megara.\nDeianira, sua seconda moglie.\nDiomo, ragazzo di cui si innamorò.\nEumede, figlio avuto da Lise.\nEvandro, re di Pallanteo, che lo ospitò.\nFilottete, colui che accese il suo rogo.\nFolo, centauro suo amico.\nIficle, suo fratello gemello.\nIla, giovinetto da lui amato e suo scudiero.\nIllo, figlio avuto con Deianira.\nIolao, figlio di Ificle.\nIole, donna da lui amata.\nLica, suo araldo.\nMegara, sua prima moglie.\nMelampo, suo compagno in alcune imprese.\nMeleagro, suo cognato.\nOineo, suo compagno nelle prime imprese, re dei Dolioni e padre di Cizico.\nOnfale, regina di Lidia e madre di uno dei suoi figli.\nTelefo, il figlio avuto da Auge.\nTlepolemo, altro suo figlio.\nTeseo, suo alleato in molte imprese.\nZeus, suo padre. Fin dalla nascita, Eracle è stato il figlio mortale preferito di Zeus, tanto da essere elevato a divinità dal padre.\n\nNemici.\nAcareo, sfidante a una gara di pugilato.\nAcheloo, dio fluviale.\nAnteo, gigante figlio di Gea.\nAugia, re dell'Elide.\nBusiride, sovrano d'Egitto.\nCaco, brigante italico.\nCalaide e Zete, i due alati figli di Borea.\nCarcino, granchio.\nCerbero, cane a guardia degli inferi.\nCercopi, uomini simili a scimmie.\nCicno, figlio di Ares.\nCinghiale di Erimanto.\nDiomede, re dei Bistoni.\nEmazione, re d'Etiopia figlio di Eos.\nErgino, re di Orcomeno.\nErix, re dei Siculi.\nEuristeo, colui che gli impose le dodici fatiche.\nEurito, suo antico maestro d'arco.\nGerione, gigante dell'isola di Erythia.\nIdra di Lerna, mostro a nove teste.\nLadone, custode del giardino delle Esperidi.\nLaomedonte, re di Troia.\nLeone di Nemea, animale invulnerabile secondo alcuni fratellastro di Eracle.\nLico, usurpatore del regno di Tebe.\nNesso, centauro.\nOrtro, cane di Gerione.\nToro di Creta.\nUccelli del lago Stinfalo.\n\nAlbero genealogico.\nAnalisi critica.\nLa vicenda di questo eroe non è raccontata in una sola opera, ma ne sono state scritte molte che lo vedono protagonista, marginalmente o particolarmente. Celebri le sue incredibili imprese, quali ad esempio le dodici fatiche che lo vedono affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni dalla pelle impossibile da scalfire, uccelli in grado di sparare piume affilate come lame e molti altri mostri che l'eroe, sia per coraggio sia per astuzia, riuscì sempre a sconfiggere.\nMaggiore eroe greco, divinità olimpica dopo la morte, Eracle fu venerato come simbolo di coraggio e forza, ma anche di umanità e generosità, anche presso i Romani. Era ritenuto protettore degli sport e delle palestre. Fu onorato in numerosi santuari sparsi in tutta la Grecia e le sue tante imprese, espressione dell'altruismo e della forza fisica, lo fecero credere il fondatore dei Giochi olimpici antichi. In alcuni casi, mettendo in luce la generosità con la quale affrontava avversari temibili, si rese dell'eroe un'immagine dall'intensa forza morale, oltre che puramente fisica.\nLa sua complessa personalità, l'ambientazione di certe sue imprese e il fatto che la maggior parte di esse sia legata ad animali, assimilano talvolta l'immagine di Eracle agli antichi sciamani, dotati di poteri soprannaturali, e una certa comunanza di aspetti si rintraccia anche in eroi fenici come Melqart. Il nome stesso di Eracle, per alcuni studiosi, va fatto risalire al nome del dio sumero 'Erragal', epiteto di Nergal. Le dodici fatiche, poi, possono avere qualche correlazione con i segni dello zodiaco, molti dei quali sono appunto rappresentati da animali.\nNel mondo romano Ercole presiedeva alle palestre e a tutti i luoghi in cui si faceva attività fisica; considerato anche una divinità propizia, gli si rivolgevano invocazioni in caso di disgrazie, chiamandolo Hercules Defensor o Salutaris.\nÈ inoltre da ricordare che fin quasi all'età moderna lo Stretto di Gibilterra era noto come 'Colonne d'Ercole', con espressione chiaramente evocativa: un ricordo dei viaggi e degli spostamenti dell'eroe che, nel corso delle sue imprese, toccò paesi dell'Asia Minore e del Caucaso e raggiunse l'Estremo Oriente e il Grande Oceano, che delimitava le 'terre dei vivi'. La leggenda era d'origine fenicia: il dio tirio Melqart (identificato poi dai Romani con Ercole stesso e detto Hercules Gaditanus, per il famoso tempio di Gades/Gadeira a lui dedicato) avrebbe posto ai lati dello Stretto due colonne, che furono poi considerate l'estremo limite raggiunto da Ercole e, soprattutto nel Medioevo, il confine posto dal dio affinché gli uomini non si spingessero nell'Oceano Atlantico.\n\nAttraverso i contatti e gli scambi culturali legati alle invasioni di Alessandro Magno nei regni orientali, soprattutto nella regione della Sogdiana, la cultura greca ha incontrato e influenzato quella buddista. La figura di Eracle in particolare viene associata a quella di Vajrapāṇi, ossia il protettore del Buddha con stilizzazione greca e la tipica clava.\n\nNell'arte.\nNella pittura, si possono ricordare, di Rubens, Ercole e Onfale (1603), Ercole nel giardino delle Esperidi (1638 circa), L'origine della Via Lattea (1636-1638); L'origine della Via Lattea di Tintoretto; La scelta di Ercole di Annibale Carracci (1596). Una delle sale più importanti del Palazzo dei Normanni di Palermo, che prende appunto il nome di 'Sala d'Ercole', è decorata da magnifici affreschi parietali che raffigurano le imprese dell'eroe greco.\nPer la scultura, sono celebri Ercole e Caco di Baccio Bandinelli (1534), Piazza della Signoria, Firenze; Ercole e Lica di Antonio Canova (1795-1815), Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea, Roma; Ercole epitrapezios di Alba Fucens - I sec. a.C. Museo archeologico nazionale d'Abruzzo, Chieti; Ercole Curino - bronzo, scuola di Lisippo, Museo archeologico nazionale d'Abruzzo, Chieti.\nPer l'architettura, a Vicenza vi è il famoso Teatro Olimpico di Andrea Palladio, decorato con le imprese di Ercole.\n\nCinema.\nDagli anni sessanta in poi furono girati numerosi film di genere peplum (mitologico misto a kolossal) in cui i protagonisti, oltre a Eracle (o Ercole per i romani) in questo caso ribattezzato Hercules, erano noti eroi della mitologia greca e romana, ma nel maggior caso delle volte anche inventati. Alcune trame sono basate su avvenimenti della vicenda mitica del famoso personaggio, seguendo a volte anche le tragedie di Eschilo o Euripide, ma spesso le vicende degli altri film, molto rielaborate dagli sceneggiatori, ottenevano in pubblico scarso successo. Ciò avvenne anche per i personaggi di Maciste e di Ursus, tuttavia il primo, essendo stato creato da Gabriele D'Annunzio e interpretato nei primi film muti da Bartolomeo Pagano, ottenne più successo.\n\nLe fatiche di Ercole, regia di Pietro Francisci (1958).\nErcole e la regina di Lidia, regia di Pietro Francisci (1958).\nGli amori di Ercole, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1960).\nLa vendetta di Ercole, regia di Vittorio Cottafavi (1960).\nErcole alla conquista di Atlantide, regia di Vittorio Cottafavi (1961).\nErcole al centro della Terra, regia di Mario Bava (1961).\nMaciste contro Ercole nella valle dei guai, regia di Mario Mattoli (film parodistico del 1961 con protagonisti Franco e Ciccio).\nErcole, cortometraggio tedesco per la regia di Werner Herzog (1962).\nErcole contro Moloch, regia di Giorgio Ferroni (1963).\nErcole sfida Sansone, regia di Pietro Francisci (1963).\nErcole contro i tiranni di Babilonia, regia di Domenico Paolella (1964).\nErcole contro Roma, regia di Piero Pierotti (1964).\nErcole l'invincibile, regia di Alvaro Mancori (1964).\nErcole contro i figli del sole, regia di Osvaldo Civirani (1964).\nIl trionfo di Ercole, regia di Alberto De Martino (1964).\nErcole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili, regia di Giorgio Capitani (1964).\nIl magnifico gladiatore, regia di Alfonso Brescia (1964).\nLa sfida dei giganti, regia di Maurizio Lucidi (1965).\nHercules, regia di Luigi Cozzi (1983).\nHercules nell'inferno degli dei, film per la televisione per la regia di Bill L. Norton (1994).\nHercules e il regno perduto, film per la televisione per la regia di Harley Cokeliss (1994).\nHercules e il cerchio di fuoco, film per la televisione per la regia di Doug Lefter (1994).\nHercules e le donne amazzoni, film per la televisione per la regia di Bill L. Norton (1994).\nHercules nel labirinto del Minotauro, film per la televisione per la regia di Josh Becker (1994).\nHercules, film animato della Walt Disney Pictures, diretto da Ron Clements e John Musker (1997).\nHercules: The Legendary Journeys, serie televisiva andata in onda dal 1995 al 2000.\nYoung Hercules, spin-off della serie televisiva Hercules, in onda dal 1998 al 2002.\nHercules - La leggenda ha inizio, film del 2014.\nHercules: il guerriero, film del 2014 con Dwayne 'The Rock' Johnson nei panni di Eracle.\n\nManga.\nNel manga di Record of Ragnarok, Eracle è uno degli dei che combatte al torneo del Ragnarok.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Eraclidi.\n### Descrizione: Gli Eraclidi (in greco antico: Ἡρακλεῖδαι?, Hēraclêidai), nella mitologia greca, sono sia i figli di Eracle, in particolare di Eracle e Deianira, sia i loro discendenti. Gli Eraclidi svolgono un ruolo di primo piano nella mitologia greca, in quanto conquistarono il Peloponneso e altre aree dell'antica Grecia nei decenni successivi alla guerra di Troia. Gli storici e i mitografi hanno individuato un parallelismo tra il cosiddetto ritorno degli Eraclidi e l'invasione dorica, evento storico avvenuto verso il 1100 a.C.. Le dinastie che rivendicavano una discendenza da Eracle governarono la Grecia e la Macedonia per molto tempo, e anche Alessandro il Grande faceva risalire la sua dinastia a Temeno, discendente di Eracle.\n\nFigli di Eracle e Deianira.\nIllo.\nCtesippo.\nGleno.\nOnite.\nMacaria.\n\nDiscendenti.\nCleodemo (figlio di Illo).\nAristomaco.\nCresfonte.\nTemeno.\nAristodemo.\n\nFigli di Eracle ed Onfale.\nVengono definiti Eraclidi anche i discendenti di Eracle e della regina della Lidia, Onfale, figlia del fiume Iardano. La discendenza di Eracle avrebbe governato sulla regione per 505 anni, per essere poi detronizzata, dopo Candaule, da Gige, fondatore della dinastia mermnade. Tale ramo degli Eraclidi affermava di discendere dal dio del Sole che i Lidi chiamavano Sandone e i Greci identificavano, appunto, con Eracle.\n\nAltri Eraclidi.\nI capitani achei Tlepolemo, Fidippo e Antifo, che parteciparono alla guerra di Troia, possono essere annoverati tra gli eraclidi, in quanto rispettivamente figlio e nipoti di Eracle.\nUna delle tribù di Atene e alcuni re di Corinto venivano fatti risalire a Antioco, figlio di Eracle e della principessa dei driopi Meda.\n\nMitologia.\nQuando Eracle ascese tra gli dei, i suoi figli, per sfuggire alla persecuzione di Euristeo, si rifugiarono presso Ceice, re di Eraclea Trachinia; ma Euristeo, minacciando guerra, chiese a Ceice di consegnarli. Gli Eraclidi allora lasciarono Eraclea Trachinia e si dispersero per tutta la Grecia. In seguito chiesero la protezione degli Ateniesi, di cui era re Teseo, che non solo non li consegnò, ma dichiarò guerra al loro persecutore. I figli di Euristeo caddero in battaglia, e lo stesso Euristeo fuggì, ma, presso le Rocce Scironidi fu raggiunto e ucciso da un figlio di Eracle, Illo. Questi tagliò la testa ad Euristeo e la portò in dono alla madre di Eracle, Alcmena. Secondo Pausania e Pindaro Euristeo fu invece ucciso da Iolao, nipote di Eracle, e figlio del fratellastro di questi, Ificlo. Secondo Strabone invece Euristeo cadde in battaglia a Maratona.\nPausania riporta però una versione differente. Racconta, infatti, che fu lo stesso Ceice a suggerire agli Eraclidi di rifugiarsi presso Atene, poiché questa «aveva forze sufficienti per proteggerli»; Teseo si rifiutò di consegnarli a Euristeo, e questo provocò la guerra. Secondo un oracolo, Atene l'avrebbe vinta se uno dei figli di Eracle fosse stato sacrificato: Macaria, figlia di Eracle e Deianira, si uccise, e gli Ateniesi, vittoriosi, le dedicarono a Maratona una fonte, chiamata appunto fonte Macaria. Secondo Euripide gli Eraclidi si rifugiarono non da Teseo, ma dai suoi discendenti.\n\nIl ritorno in patria.\nDopo la morte di Euristeo, secondo Apollodoro, gli Eraclidi tornarono nel Peloponneso, ma a un anno dal loro ritorno una pestilenza si abbatté sulla Grecia, e l'oracolo disse che ciò era avvenuto perché erano tornati troppo presto in patria. Così abbandonarono nuovamente il Peloponneso e tornarono a Maratona. Illo, che nel frattempo, come voluto dal padre aveva sposato Iole si recò a Delfi per consultare l'oracolo e sapere quando sarebbero potuti tornare. Questi rispose che sarebbero potuti tornare “alla terza messe”. Illo pensò che significasse tre anni, e, lasciato passare quel tempo, ritornò in Attica con il suo esercito, che venne però attaccato e sconfitto da Tisameno, figlio di Oreste, che allora regnava su Sparta. Gli Eraclidi allora consultarono nuovamente l'oracolo e appresero che con “terza messe” non s'intendevano tre anni, bensì tre generazioni.\nTemeno, figlio di Aristomaco, che apparteneva alla terza generazione dopo Illo stava organizzando l'esercito e la flotta per invadere il Peloponneso, quando si presentò un indovino, di nome Carno, che predisse la distruzione dell'esercito se fossero andati nel Peloponneso; allora Ippote, uno degli Eraclidi, lo uccise. Dopo l'omicidio la flotta andò distrutta e l'esercito fu vittima di una carestia. Temeno allora consultò l'oracolo, e il dio disse che l'uccisore dell'indovino dovesse essere esiliato per dieci anni. Aggiunse che dovevano eleggere come capo un “trioculo”, qualcuno con tre occhi. Gli Eraclidi si misero in cerca di quest'uomo e infine si imbatterono in Ossilo. Questi era in sella ad un cavallo con un occhio solo. Gli Eraclidi ritennero che Ossilo fosse il personaggio indicato dall'oracolo e lo fecero loro comandante. Con Ossilo a capo dell'esercito tornarono nel Peloponneso, e uccisero Tisameno, re di Sparta.\n\nRiferimenti storici.\nIl ritorno degli Eraclidi sarebbe il ricordo leggendario dell'invasione dorica, avvenuta verso il 1100 a.C. Secondo altri, poi, gli Eraclidi furono anche i fondatori di Sparta, dopo aver distrutto la Sparta micenea (più precisamente Lacedemone). Da loro discesero secondo la tradizione i due Re di Sparta esistenti in epoca storica, tra cui Leonida I.
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### Titolo: Erasippo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Erasippo era il nome del figlio di Lisippe e di Eracle.\n\nIl mito.\nLa madre rimase incinta come le sue 49 sorelle dall'eroe che era venuto ospite in casa del padre, Erasippo e gli altri facevano parte dei Tespiadi.
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### Titolo: Ercina.\n### Descrizione: Ercina, in greco Herkyna o Herkynna, è la ninfa della Beozia nella mitologia greca.\nÈ una delle compagne di Persefone, figlia di Demetra.\nUn giorno, giocando con Persefone nel bosco sacro di Trofonio, si lasciò scappare un'oca con cui Persefone era solita giocare. Le due fanciulle inseguirono l'oca che andò a nascondersi sotto una pietra. Tolta la pietra, Persefone notò che cominciò a sgorgare dell'acqua il cui flusso formò poi una sorgente e quindi un fiume a cui fu dato il nome di Ercina. Dopo ciò il terreno si apri e da lì uscì Ade, il dio degli inferi, che rapì Persefone.In questo punto fu in seguito costruito un piccolo tempio con un simulacro di Ercina con in mano l'oca.
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### Titolo: Ercole (Händel).\n### Descrizione: Ercole (Hercules HWV 60) è un Dramma musicale, oggi classificato come oratorio in tre atti di Georg Friedrich Händel, composto nel luglio e agosto 1744. Il libretto in inglese era del reverendo Thomas Broughton, basato su Le Trachinie di Sofocle e sul nono libro de Le Metamorfosi di Ovidio.\n\nStoria delle esecuzioni.\nErcole fu dato la prima volta al King's Theatre a Londra il 5 gennaio 1745 sotto forma di concerto. Erano previste solo due esecuzioni nella produzione originale Il ruolo di Lica era in origine una piccola parte per tenore, ma fu riscritto più lungo, con sei arie, per Susanna Cibber, che tuttavia, era troppo malata la prima sera per cantare e la musica fu omessa o ridistribuita in quella volta. Cantò nella seconda rappresentazione il 12 gennaio, ma la musica per il coro Wanton God e l'aria Cease, ruler of the day non è mai stata eseguita in quest'opera: la seconda fu adattata per il coro finale di Teodora. Il lavoro fu un fallimento totale e costrinse Händel a sospendere la stagione. Ercole fu eseguita altre tre volte, due nel 1749 e una nel 1752 e in quest'ultima fu completamente soppresso il ruolo di Lica e anche gran parte del resto della musica fu tagliata.Ercole era stato originariamente eseguito in teatro, ma come un oratorio, senza azione scenica. Si sostiene che questo abbia contribuito al suo abbandono in seguito, in quanto non aveva fatto la sua transizione verso la chiesa né la sala da concerto. La sua rinascita pertanto avvenne attraverso una rivalutazione nel contesto di una rappresentazione teatrale, quando fu acclamato dai Romain Rolland, Henry Prunières, Paul Henry Lang e dagli altri come uno dei capolavori supremi del suo periodo. La prima esecuzione moderna è stata a Münster nel 1925. Hercules viene talvolta messo in scena come opera completa, ad esempio in una produzione di Peter Sellars alla Chicago Lyric Opera nel 2011.\n\nRuoli.\nTrama.\nAtto I.\nLa corte piange il dolore inconsolabile di Deianira, che è convinta che il marito, Ercole, sia rimasto ucciso durante una spedizione militare che lo ha tenuto lontano da lei. Una volta consultati, gli oracoli indicano che l'eroe è morto e le cime del monte Eta sono incendiate e brillano per le fiamme. La profezia conferma i timori di Deianira; tuttavia, il loro figlio, Illo, si rifiuta di rinunciare alla speranza. Mentre quest'ultimo si prepara a partire alla ricerca del padre, Lica arriva e annuncia che Ercole è tornato in vita dopo aver conquistato Ecalia. Tra i prigionieri vi è la principessa Iole di leggendaria bellezza. La sua situazione lascia Illo profondamente commosso. Pur avendo devastato il suo paese e sacrificato il padre, Ercole rassicura Iole che, anche se in esilio, si può considerare libera.\n\nAtto II.\nIole è colta da un desiderio struggente per una semplice, umile forma di felicità lontano dalle macchinazioni del potere. Nel frattempo, Deianira, convinta che Ercole le sia stato infedele, considera la bellezza di Iole come una prova del suo tradimento, anche se i suoi sospetti sono decisamente confutati dalla sua presunta rivale. Anche Lica osserva la progressione incontenibile della gelosia di Deianira. Illo, da parte sua, dopo aver dichiarato il suo amore per la principessa prigioniera, soffre l'agonia del suo rifiuto. Mentre Ercole è chiamato a celebrare i riti della sua vittoria, Deianira dà a Lica un indumento per il marito come un segno di riconciliazione. È il mantello, intriso di sangue, affidatole da Nesso mentre stava morendo sconfitto da Ercole, apparentemente dotato del potere di condurre un cuore di nuovo alla fedeltà. Nel frattempo, Deianira mette grande impegno per convincere Iole di essere dispiaciuta per le sue accuse.\n\nAtto III.\nLica racconta come Ercole riceve il dono di Deianira al Tempio e come il mantello sia impregnato di un veleno mortale. Mentre suo figlio sta guardando, l'eroe, imbattuto fino ad oggi, muore fra terribili sofferenze maledicendo la vendetta di Deianira. Le ultime volontà espresse dal padre al figlio, di venire trasportato fino alla cima del monte Eta e adagiato su una pira funeraria, gettano una luce tardiva sul significato dell'oracolo del primo atto. Deianira viene informata della gloriosa accoglienza riservata ad Ercole sull'Olimpo. Scoprendo che è stata lei lo strumento della sua morte, Deianira sprofonda nella follia. Tale sventura suscita la pietà di Iole. Giove ordina il matrimonio tra Illo e Iole, un decreto che viene ricevuto con gioia da Illo e con obbedienza da Iole.\n\nRegistrazioni.\n1968 – Louis Quilico (Hercules), Maureen Forrester (Dejanira), Teresa Stich-Randall (Iole), Alexander Young (Hyllus), Norma Lerer (Lichas), Baruch Grabowski (Priest), Gerhard Eder (Trachinian), Martin Isepp (clavicembalo), Brian Priestman (direttore), con la Vienna Radio Orchestra, LP, RCA SER 5569-71.\n1982 – John Tomlinson e Sarah Walker, John Eliot Gardiner (Direttore), Archiv Produktion 2742 004, pesantemente tagliato.\n2002 – Anne Sofie von Otter e Gidon Saks, Marc Minkowski (direttore), Archiv Produktion 469 532-2.\n2005 – William Shimell, Joyce DiDonato, William Christie (Direttore) e Les Arts Florissants, Una rappresentazione completa su DVD realizzata da Bel Air Classique.\n2008 – Peter Kooy e Liselotte Kuhn, Joachim Carlos Martini, Naxos label Naxos 8.557960-62.
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### Titolo: Eretteo.\n### Descrizione: L'Eretteo (in greco antico: Ἐρέχθειον?, Eréchtheion) è un tempio ionico greco del V secolo a.C., che si trova sull'Acropoli di Atene. È un tempio duplice.\n\nStoria.\nNonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Ekatónpedon, poi il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città, costituendo il vero nucleo sacro dell'Acropoli e dell'intera città. In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia, un pozzo di acqua salata da cui sarebbe uscito il cavallo, dono del dio, e l'olivo, donato dalla dea Atena alla città. Qui il re Cecrope, metà uomo e metà serpente, avrebbe consacrato il Palladio, la statua della dea caduta miracolosamente dal cielo. Il santuario ospitava inoltre le tombe di Cecrope, di Eretteo e un luogo di culto dedicato a Pandroso, la figlia di Cecrope amata dal dio Ermes.\nL'Eretteo venne costruito in sostituzione del tempio arcaico (VI secolo a.C.) avente la stessa funzione votiva, di cui restano le fondamenta tra l'edificio più recente e il Partenone; in epoca romana il nuovo edificio prese il nome di 'Eretteo' (Erechtheíon, ovvero 'colui che scuote'), dall'appellativo di Poseidone.\nIniziata da Alcibiade nel 421 a.C. in un momento di relativa pace, la costruzione fu interrotta durante la spedizione in Sicilia (Guerra del Peloponneso) e ripresa negli anni 409-407 a.C., come attestano i rendiconti finanziari conservati al Museo epigrafico di Atene e al British Museum.Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è opera dell'architetto Filocle. La necessità di ospitare i diversi culti tradizionali, collocati su un'area con un forte dislivello (più elevata a sud-est e più bassa di circa 3 m a nord-ovest) determinò una pianta insolita.\n\nDescrizione.\nIl tempio è prostilo (ovvero con colonne nella parte anteriore), con sei colonne ioniche sulla fronte a est; a ovest gli intercolumni (spazi tra le colonne) sono chiusi da setti murari dotati di ampie finestre e le colonne si presentano all'esterno come semicolonne sopraelevate sul muro di 3 metri costruito per superare il dislivello del terreno. L'interno era suddiviso in due celle a livello diverso e non comunicanti tra loro: quella orientale, più alta, alla quale si accedeva dal pronao esastilo, che ospitava il Palladio, e quella occidentale più in basso, suddivisa in tre vani: un vestibolo comune dava accesso a due vani gemelli che ospitavano i culti di Poseidone e del mitico re Eretteo. Al corpo centrale si addossano la loggia con le Cariatidi a sud, che custodisce la tomba del re Cecrope, e un portico a nord, più sporgente del corpo centrale verso ovest, costruito per proteggere la polla di acqua salata fatta sgorgare da Poseidone. Il portico è costituito da quattro colonne in fronte e due di lato; da qui si accede sia alla cella per il culto di Poseidone e di Eretteo, sia ad una zona a cielo aperto davanti al basamento pieno che sorregge le semicolonne della fronte occidentale, dove si trovavano l'ulivo di Atena e la tomba di Pandroso (Pandroseion).\nLe colonne si presentano particolarmente snelle ed eleganti e il tempio era ornato da una raffinata decorazione: le basi delle colonne, la fascia decorativa che sormonta e corre lungo le pareti del corpo centrale con un motivo di fiori di loto e palmette; il fregio continuo lungo l'esterno della costruzione, in pietra scura di Eleusi, sulla quale erano applicate figure scolpite in marmo bianco (con un gusto che, come annota Bianchi Bandinelli, sembra anticipare quello tardo ellenistico dei cammei in vetro a fondo azzurro). Particolarmente ricche le decorazioni del portico a nord, negli intrecci sulle colonne e nel fregio ornamentale della porta d'ingresso. Bronzi dorati, dorature, perle vitree in quattro colori sottolineavano la ricchezza dell'alzato.\n\nI lavori di restauro.\nI primi lavori di restauro sul monumento iniziarono tra il 1837 e il 1846, poi tra il 1902 e il 1909. Più recentemente tra il 1979 e il 1987. L'ultimo intervento ripristinò delle parti e tolse le cariatidi originali per sostituirle con delle copie. Le Cariatidi, forse opera dello scultore Alcamene, sono conservate nel Museo dell'Acropoli. Mentre una delle cariatidi angolari, rimossa da lord Elgin, si trova al British Museum di Londra.\nNel biennio 2014-2015 sono stati eseguiti degli interventi sulle fondazioni che oggi permettono di mostrare i resti dell'antica basilica costruita nel VII sec d.C.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Ergino (argonauta).\n### Descrizione: Ergino (in greco antico: Ἐργῖνος?, Erghînos) è un personaggio della mitologia greca e fu l'argonauta che prese il timone della nave Argo dopo la morte del timoniere Tifide.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone o di Periclimeno.\n\nMitologia.\nRisiedeva nella città di Mileto in Caria e fu reclutato da Giasone per la spedizione in Colchide.\nA Lemno ed in giovane età, durante giochi funebri indetti da Ipsipile in onore del defunto padre Toante, partecipò ad una gara di corsa podistica dove il suo avversario era un Boreade.\nAll'avvio, e per causa dei suoi capelli già ingrigiti, fu deriso dalle donne del posto ma il suo passo fu molto veloce e vinse.\nAlcuni autori lo confondono con un altro Ergino e che fu re di Orcomeno.
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### Titolo: Erice (gigante).\n### Descrizione: Erice (Eryx in greco antico), è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Afrodite e di Poseidone.\n\nMito.\nFu re di Eryx, un territorio della Sicilia occidentale (l'odierna Erice). Sicuro della sua forza straordinaria e della reputazione come pugile, sfidava tutti coloro che incontrava: e questi il più delle volte rimanevano uccisi. Ebbe il coraggio di misurarsi con Eracle, che passava per la Sicilia con il bestiame di Gerione. In palio furono messi da un lato la mandria dell'eroe greco, e dall'altro il regno del semidio dei siciliani elimi. L'incontro finì tragicamente, con la morte del re siciliano che fu sepolto nel tempio dedicato alla madre Afrodite a Erice (Venere ericina), mentre il suo nome fu invece dato al monte presso il santuario.\nEracle costernato per la morte dell'avversario lasciò il regno al suo popolo dicendo (nelle Heracleidae) che uno dei suoi discendenti ne avrebbe un giorno preso possesso.\n\nFonti.\nPseudo-Apollodoro, Bibliotheca 2.5.10.\nDiodoro Siculo, Bibliotheca historica 4.22.6–23.3, 4.83 1–4.\nVirgilio, Eneide V, 387–484.\nOvidio, Metamorfosi 5.195 s.
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### Titolo: Eridano (mitologia).\n### Descrizione: L'Eridano (AFI: /eˈridano/; in greco antico: Ἠριδανός?, Hēridanós) era un fiume della mitologia greca. Fetonte vi precipitò morendo.\nNell'antichità fu spesso identificato con fiumi reali: secondo la maggior parte degli scrittori coincideva col Po; Eschilo lo identificò col Rodano; altri come Ecateo lo localizzavano nel Nordeuropa.\nVirgilio cita l'Eridano come uno dei fiumi degli Inferi (Eneide, VI, 659).
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### Titolo: Erifile.\n### Descrizione: Erifile (in greco antico: Ἐριφύλη?, Eriphǜlē) era figlia di Lisimaca e Talao, re di Argo e sorella di Adrasto. Da questi fu data in moglie a uno dei principi argivi, Anfiarao, in seguito a un contenzioso fra i due cugini, come segno di riconciliazione.\n\nMitologia.\nErifile tradì il marito ai tempi della spedizione dei Sette contro Tebe e in seguito anche il figlio Alcmeone, inducendoli a marciare su Tebe. In cambio ottenne la collana e il manto di Armonia, rispettivamente da Polinice e dal figlio di lui Tersandro. Alcmeone, scoperta la corruzione di Erifile, uccise la madre, ma fu da questa maledetto e per ciò perseguitato dalle Erinni.\nLa vicenda di Erifile è narrata da Pseudo-Apollodoro, Pausania, Diodoro Siculo e Igino. Della omonima tragedia di Sofocle sono rimasti invece solo dei frammenti.\nAnfiarao, suo marito, era un veggente, e aveva previsto che la guerra a Tebe si sarebbe risolta con la morte di tutti gli eroi che vi avrebbero partecipato, con l'eccezione di Adrasto, che frattanto era succeduto a Talao sul trono di Argo. Per questo, disobbedendo agli ordini del re, rifiutava di partecipare alla spedizione. Tuttavia, in precedenza, durante una feroce discussione con Adrasto, quando ormai i due avevano sfoderato le armi, Erifile si era frapposta fra i contendenti e li aveva riportati alla ragione, facendosi giurare solennemente che per ogni futuro diverbio si sarebbero appellati al suo giudizio. Tideo, principe di Calidone in esilio ad Argo, venne a sapere di questo giuramento; del pari sapeva quanto Erifile temesse di perdere la propria bellezza. Ora, Adrasto aveva promesso a Tideo di reinsediarlo nel proprio regno solo dopo la marcia su Tebe; così questi suggerì a Polinice di offrire a Erifile la collana della sua ava Armonia, regalo della dea Afrodite, che donava la bellezza a chiunque la indossasse, a patto che la donna convincesse Anfiarao a intraprendere la spedizione. Erifile si lasciò corrompere, Anfiarao partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe e, come aveva predetto, vi perse la vita insieme agli altri eroi.\nIn seguito i figli dei sette, noti come gli Epigoni, giurarono di vendicare la morte dei loro padri. L'Oracolo di Delfi predisse loro la vittoria su Tebe solo se Alcmeone, figlio di Erifile e Anfiarao, avesse guidato l'attacco. Il giovane però, contrariamente al fratello Anfiloco, era restio a intraprendere la guerra, e per questo i due avevano rimesso la decisione alla madre. Tersandro, figlio di Polinice, memore dello stratagemma usato in precedenza dal padre, offrì a Erifile il manto di Armonia, e la donna si risolse in favore della guerra. Così, dieci anni dopo la spedizione dei Sette, Tebe cadde. Tersandro, però, si gloriò pubblicamente d'aver corrotto Erifile e di avere dunque il merito della vittoria. Quando Alcmeone udì quelle parole, apprendendo che la donna era responsabile della morte del padre, decise di interrogare l'Oracolo di Delfi sul destino da riservarle. L'oracolo rispose che Erifile meritava di morire, e Alcmeone, interpretando erroneamente il responso come un'autorizzazione al matricidio, la uccise. Prima di morire, però, Erifile maledisse il figlio, che per questo fu a lungo perseguitato dalle Erinni, prima di trovare la morte a Psofide per mano di re Tegeo.\nSecondo Igino, invece, Anfiarao si era nascosto per sfuggire alla sua sorte, e fu lo stesso Adrasto a offrire a Erifile un monile d'oro e gemme per sapere dove si trovasse suo marito. Anfiarao, vistosi tradito, ordinò allora ad Alcmeone di vendicarsi sulla madre dopo la propria morte.\nL'ombra di Erifile apparve poi a Odisseo, insieme a quelle di altre donne illustri, nel corso del viaggio nell'Ade intrapreso dall'eroe per incontrare Tiresia. Anche Omero, tuttavia, non menziona specificatamente la collana di Armonia, ma si limita a dire che Erifile tradì il marito per dell'oro. Un riferimento sembra esserci anche in Rutilio Namaziano (De reditu I,359): aurea legitimas expugnant munera taedas 'i doni dell'oro espugnano anche nozze legittime'.
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### Titolo: Erigone (figlia di Egisto).\n### Descrizione: Erigone (in greco antico Ἠριγόνη Ērigònē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Egisto e Clitennestra.\n\nIl mito.\nNata dalla sventurata unione di Egisto con Clitennestra, Erigone è sorella di Alete e di Elena (una figlia di Egisto e Clitennestra, da non confondersi con Elena di Troia). Sopravvissuta alla furia di Oreste, che le uccise entrambi i genitori ed anche la sorella Elena, lo incolpò di avventato matricidio a fianco del nonno Tindaro (o il cugino Perilao, secondo Pausania) di fronte ai membri dell'Areopago e richiese la sua morte. Quando, per intervento di Atena, Oreste venne assolto da ogni accusa, Erigone, disperata, s'impiccò.\nSecondo un'altra versione, Erigone, che stava per essere uccisa da Oreste similmente al fratello Alete, venne salvata da Artemide che la trasportò ad Atene, dove la rese una sua sacerdotessa.\nUn'altra tradizione, accolta da Pausania, riferisce che Erigone si riconciliò con Oreste (suo fratellastro), perdonandogli l'uccisione della madre, divenne sua sposa e gli diede un figlio, Pentilo.\n\nFonti.\nFonti primarie.\nPseudo-Apollodoro, Epitome, 6, 25.\nMarmor Parium, 40, in Fragmenta historicorum Graecorum, a cura di Karl Wilhelm Ludwig Müller, I, p. 546 (Die Fragmente der griechischen Historiker (FGrHist), 239 A 25).\nEtymologicum Magnum, s. v. 'Αἰώρα'.\nIgino, Favole, 122.\nPausania, II, 18, 6.\nScolia in Euripide, Oreste, 1648.