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### Titolo: Monastero di Iviron.\n### Descrizione: Il monastero di Iviron o Iveron (in greco Ιβήρων?, in georgiano ივერთა მონასტერი?, iverta monasteri) è uno dei venti monasteri ortodossi del Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato a nord-est della penisola.\nIl monastero a statuto idiorritmico occupa il terzo posto nella gerarchia monastica della Repubblica. Da questo monastero dipende la skita di San Giovanni Battista Pròdromos omonima di quella che dipende dalla Grande Laura.\nÈ dedicato alla Dormizione di Maria, festa votiva ricorrente il 15 agosto.\n\nStoria.\nIl monastero è stato fondato nel 979.\nLe vicende della fondazione del monastero sono strettamente legate al burrascoso periodo che l'Impero bizantino attraversò alla morte di Giovanni I Zimisce. Un monaco presente presso la lavra di Sant'Atanasio, che prima di ritirarsi a vita monastica era stato un generale georgiano, venne sollecitato dal giovane monarca Basilio a accorrere in suo aiuto contro l'usurpatore Barda II Foca. Il monaco si chiamava Tornike Eristavi (Eristavi significa il Duca in Georgiano), egli dopo molte reticenze e sollecitato dai suoi compagni monaci, si recò presso il re georgiano David III e da lui ottenne un esercito di dodicimila cavalieri. Con questo esercito tornò in Cappadocia e nella battaglia di Pancaglia del 24 marzo 979 portò un decisivo supporto al giovane imperatore che riuscì a sconfiggere gli usurpatori. Tornike tornò alla Santa Montagna e con la ricompensa e l'appoggio dell'Imperatore iniziò la costruzione della lavra di Iviron. Fu aiutato nell'impresa da due suoi conterranei e parenti che prima di lui erano giunti presso Sant'Atanasio. Essi si chiamavano Giovanni e suo figlio Eutimio. Il padre fu il primo igumeno del nuovo monastero e suo figlio gli succedette alla sua morte. Iviron rimase un importante centro monastico georgiano fino al XVI secolo a cui fecero seguito monaci greci. Ancora oggi la biblioteca del convento possiede molte opere risalenti al periodo Georgiano.\n\nOrigine del nome Iviron.\nIviron significa il monastero 'degli Iberi', come il monastero degli ortodossi italiani viene chiamato Amalfion (degli amalfitani). Con 'iberi' non si intendono gli spagnoli o i portoghesi, in quanto è un antico termine per indicare i georgiani, ovvero gli abitanti dell'Iberia caucasica.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Iviron.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EL) Sito ufficiale, su imiviron.gr.\n(EN) Iviron, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Monastero di Karakalou.\n### Descrizione: Il monastero di Karakalou (greco: Καρακάλλου) è uno dei venti monasteri della Santa Montagna, la Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nÈ situato a sud-est della penisola e occupa l'undicesimo posto nella gerarchia dei monasteri atoniti.\nÈ dedicato ai santi apostoli Pietro e Paolo, festeggiati il 29 giugno (12 luglio). Il monastero è retto a regola cenobitica dal 1813 e nel 1990 contava trenta monaci.\n\nStoria.\nVenne costruito alla fine del X o all'inizio dell'XI secolo, da un monaco chiamato Nicola Karakalas, da cui prende il nome. Nel XIII secolo mostra un forte declino causato da continui attacchi di pirati e crociati. Alla fine di questo secolo si riprende con l'aiuto degli imperatori bizantini. Dal XVI al XVII secolo fu sostenuto dai principi moldavi e georgiani.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn venne edificato tra il 1548 e il 1563. Nel complesso monastico sorgono cinque cappelle e custodiscono numerose reliquie di santi. La biblioteca conta 279 manoscritti e circa 2500 libri stampati.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Karakalou.\n\nCollegamenti esterni.\n\nSito ufficiale, su inathos.gr.
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### Titolo: Monastero di Konstamonitou.\n### Descrizione: Il monastero di Konstamonitou (in greco Κωνσταμονίτου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della penisola del Monte Athos in Grecia.\nSorge nel sud-est della penisola atonita.\nOccupa il ventesimo rango nella gerarchia della comunità monastica della Santa Montagna, ed è retto a regola cenobitica; nel 1990 contava 30 monaci.\nÈ dedicato a Santo Stefano protomartire (festa votiva il 26 dicembre (3 agosto)).\n\nStoria.\nLa tradizione vuole come suo fondatore Costantino I o suo figlio Costanzo II. Altre fonti fanno risalire la fondazione a un anacoreta di nome Kastomonites, da cui il monastero prende il nome. Le prime testimonianze scritte risalgono all'XI secolo. Fonti storiche possono tracciarne la storia solo a partire dal XIV secolo, quando il monastero cadde in rovina per le incursioni dei pirati. Nel XV secolo si riprese con l'aiuto dei principi serbi.\nPiù tardi le tassazioni da parte del governo turco costrinsero i religiosi a indebitarsi; questa situazione mise la comunità in grande difficoltà e la portò alla quasi completa rovina. Nel [1705], grazie all'intervento del console francese Armand, la comunità monastica si risollevò. Nel 1717 un incendio distrusse l'ala est. Nel 1818 con l'aiuto della moglie di Alì Pascià di Tepeleni, Kyra Vassiliki, l'abate Chrysanthos poté iniziare la riscostruzione. A metà dei quel secolo l'estrema povertà del monastero lo costrinse a mettersi sotto la tutela della Santa Comunità atonita. Un altro abate, Simeone, riuscì a raccogliere fondi per costruire nel 1867 un nuovo katholikon sulle rovine del precedente. Ancora oggi dei monasteri della Santa Montagna risulta essere il più povero, questa situazione è in gran parte dovuta alla sua posizione sfavorevole e difficilmente raggiungibile, sprofondata in una foresta a un'ora di cammino dalla costa.\n\nPatrimonio artistico.\nIl monastero consta di cinque cappelle edificate all'interno del monastero stesso e di quattro esterne. Famose sono le icone di Santo Stefano dell'VIII secolo e due icone della Vergine Maria chiamate Hodeghetria e Antiphonetria. Tra le reliquie un frammento della Vera Croce. La biblioteca possiede 110 manoscritti e oltre 5000 libri stampati.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Konstamonitou.\n\nCollegamenti esterni.\nKonstamonitou monastery at the Mount Athos website, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2016).
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### Titolo: Monastero di Koutloumousiou.\n### Descrizione: Il monastero di Koutloumousiou (in greco Κουτλουμουσίου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa del Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato al centro della penisola, presso il capoluogo Karyes ed occupa il sesto posto nella gerarchia dei monasteri atoniti.\nÈ dedicato alla Trasfigurazione di nostro Signore, che si festeggia il 6 agosto, (19 agosto).\nAttualmente conta una ventina di monaci che seguono la regola cenobita. Da questo convento dipende anche la skita di San Panteleimon.\n\nStoria.\nSecondo una corrente di pensiero il monastero venne fondato nell'XI secolo da un membro della famiglia turca dei Kutlumusìu. Altri fanno risalire la fondazione del monastero a una comunità monastica della Palestina in quanto Kutlumus in dialetto palestinese significa Cristo Salvatore. Il primo documento che porta il nome di un abate di questa comunità risale al 1169. Nei primi secoli subì molte depredazioni e devastazioni da parte dei pirati e dei crociati. Dal XIV secolo al XVII secolo fu abitato da monaci rumeni e sostenuto dei principi moldavi e valacchi. L'attuale katholikòn venne edificato nel 1540 dopo che il precedente fu distrutto da un incendio nel 1497. L'ultimo devastante incendio ebbe luogo nel 1767.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn e affrescato in stile della scuola cretese.\nLa biblioteca conta 662 manoscritti di cui 95 in pergamena e circa 3500 volumi.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Koutloumousiou.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Présentation du monastère sur le site du Patriarcat œcuménique de Constantinople, su ec-patr.org.
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### Titolo: Monastero di Osiou Grigoriou.\n### Descrizione: Il monastero di Osiou Grigoriou (in greco Μονή Γρηγορίου?, Moní Grigoríou) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa al Monte Athos in Grecia.\nÈ situato al sud-ovest della penisola atonita ed occupa il diciassettesimo rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato a San Nicola, festa votiva il 6 dicembre (19 dicembre).\nÈ retto a regola cenobitica dal 1840 e nel 1990 contava 71 religiosi.\n\nStoria.\nLa sua fondazione risale al 1345 ad opera di Gregorio il Siriano. In precedenza l'anacoreta Gregorio Sinaita vi aveva insediato una comunità di eremiti. Da questi monaci il monastero prende il nome. La comunità monastica dovette abbandonare pochi anni dopo il monastero per le minacce turche. La comunità trovò rifugio in Serbia sotto la protezione del despota Stefan Lazar Hrebeljanović. Agli inizi del XVI secolo il voivoda della Moldavia Ştefan cel Mare lo restaurò completamente. Nel 1761 subì un devastante incendio. Pochi anni dopo venne completamente ricostruito.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn edificato nel 1779 fu affrescato dagli artisti Gabriele e Gregorio di Castoria. Vi si venera una icona della Vergine che allatta detta Galaktotrofusa, tema molto raro nell'iconografia bizantina. La biblioteca conta 163 manoscritti.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Osiou Grigoriou.\n\nCollegamenti esterni.\nGregoriou monastery at the Mount Athos website, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).\nHoly Monastery of Gregoriou Greek Ministry of Culture.\nparrocchie.it, http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/MONTE%20ATHOS.htm#iviron.
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### Titolo: Monastero di Pantokratoros.\n### Descrizione: Il monastero di Pantokratoros (in greco Μονή Παντοκράτορος?) è uno dei venti monasteri ortodossi della repubblica del Monte Athos, in Grecia. Retto da una regola idorritmica fino al 1990, attualmente cenobitico vi vivono una sessantina di monaci.\nSituato al centro della penisola, occupa il settimo rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato alla Trasfigurazione di Gesù, festeggiata il 6 agosto.\nNel 1990, contava 66 monaci.\n\nStoria.\nIl monastero venne fondato nel 1363, da due fratelli, Alessandro e Giovanni con l'aiuto dell'imperatore Giovanni V Paleologo. I due fratelli prima di dedicarsi a vita monastica furono comandanti militari al servizio di Bisanzio. Venne chiamato Pandokratoros in ricordo del mausoleo e monastero fatto costruire a Costantinopoli da Giovanni II Comneno che portava lo stesso nome.\n\nPatrimonio artistico.\nIl monastero è di piccole dimensioni come il katholikòn. Gli affreschi della chiesa sono del XIX secolo. La biblioteca possiede 234 manoscritti e ca. 3400 libri. Tra i manoscritti si annovera il testo greco in scrittura onciale Codex 051.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Pantokratoros.\n\nCollegamenti esterni.\nGreek Ministry of Culture: Holy Monastery of Pantokrator, su culture.gr. URL consultato il 13 marzo 2009 (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2006).\nPantocrator on his website on Athos, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).\nPantocrator, su hri.org.
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### Titolo: Monastero di Philotheou.\n### Descrizione: Il monastero di Philotheou (greco: Φιλοθέου) è uno dei venti monasteri della Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nÈ situato a sud-est della penisola a un'altitudine di 370 metri. Possiede un porto sulla costa orientale.\nOccupa il dodicesimo posto nella gerarchia dei monasteri atoniti ed è dedicato all'Annunciazione, festa votiva il 25 marzo (7 aprile).\nÈ retto a statuto cenobitico dal 1973 nel 1990 contava settantanove monaci. Molte skite sono legate al monastero, attualmente cinque sono attive.\n\nStoria.\nLa tradizione indica come fondatore Filoteo, da cui il complesso monastico prende il nome, che verso la fine del X secolo con l'aiuto dei compagni Arsenio e Dionisio diede vita al complesso monastico. L'esistenza è documenta dal 1015. Dal XIV al XVI secolo fu abitato in prevalenza da monaci provenienti dalla Bulgaria. Nel 1871 un incendio devastò parte del complesso monastico risparmiando il katholikòn e gli edifici centrali.\n\nPatrimonio artistico.\nIl refettorio possiede degli affreschi di scuola cretese. Nella chiesa è custodita una icona della Madonna con bambino detta Glicofilusa (dal dolce bacio), dove Maria è dipinta mentre bacia il Creatore. La biblioteca possiede 250 manoscritti e circa 2500 libri di cui 500 in lingua russa e rumena.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Philotheou.
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### Titolo: Monastero di San Panteleimon.\n### Descrizione: Il monastero di San Panteleimon (in greco Μονή Αγίου Παντελεήμονος?) o monastero russo (Ρωσσικόν/Rossikon) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nSorge a metà della penisola atonita sulla costa occidentale ed occupa il diciannovesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa montagna.\nÈ dedicato a San Panteleimon medico (Anargyre) e martire, festa commemorativa il 27 luglio (9 agosto).\nÈ retto dalla regola cenobitica. Nel 1990 contava 35 monaci contro i 1446 del 1903. In questi ultimi anni il cambio di regime in Russia ha fatto aumentare notevolmente il numero di monaci provenienti da quella nazione. Dal monastero dipendono le skite della Nuova Tebaide e di Xylùrgu o Bogoròditsa letteralmente la Madre di Dio, essendo dedicata alla Dormizione di Maria.\n\nStoria.\nIl grandioso monastero attuale, non circondato da mura, venne fondato nel 1765 e gran parte delle costruzioni risalgono dal XIX secolo. I primi insediamenti di monaci russi, risalenti all'XI secolo, occuparono l'attuale skita di Xylàrgu. Nel 1169 la comunità monastica atonita donò ai monaci russi il monastero di San Panteleimon, costruito nel X secolo. Dopo il 1237 con l'invasione tartara della Russia il flusso di monaci verso la Santa montagna cessò. Essi vennero sostituiti da religiosi serbi, che occuparono il monastero fino all'occupazione ottomana. Dal 1480 al 1735 il gruppo monastico tornò sotto protezione russa. La Guerra russo-turca (1735-1739) interruppe la presenza di monaci da quella regione. Fino al 1821 vennero rimpiazzati da religiosi greci sostenuti dai monarchi moldavi e valacchi, in quel periodo la comunità era retta a regola idiorritmica. Con il patrocinio del boiardo di Moldavia Scarlatos Kallimachis tra il 1812 e il 1821 venne costruito l'attuale katholikòn. Dal 1821 ritornò l'afflusso di monaci dalla Russia. Nel 1888 venne eretta la splendida chiesa in stile russo della Protezione della Vergine, la torre campanaria possiede una campana di oltre 8 metri di altezza e di 2.71 metri di diametro pesante tredici tonnellate. Nel 1892 venne costruito l'immenso refettorio e nel 1899 la chiesa della skite di Sant'Andrea. Agli inizi del XX secolo, dei settemila monaci presenti nella penisola, quasi la metà erano di provenienza russa. Con la rivoluzione sovietica del 1917, l'apporto di religiosi dalla Russia si interruppe e il monastero a poco a poco si spopolò. Nel 1968 un devastante incendio distrusse parte degli edifici. Il 9 settembre del 2005 venne visitato dal presidente russo Vladimir Putin alla vigilia della commemorazione della fondazione della Pečerska Lavra, il primo monastero russo fondato nel 1051 da monaci atoniti.\n\nPatrimonio artistico.\nLa biblioteca possiede 1320 manoscritti in lingua greca e 600 in lingua slava di cui 99 su pergamena. Tra i più antichi un Nuovo Testamento Codex Athous Panteleimonos (Codex 052) del X secolo in scrittura onciale.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di San Panteleimon.\n\nCollegamenti esterni.\nwww.parrocchie.it, su parrocchie.it.
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### Titolo: Monastero di Simonopetra.\n### Descrizione: Il monastero di Simonopetra o monastero di Simonos Petras (in greco Σίμωνος Πέτρας?) è uno dei venti monasteri ortodossi della Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nÈ situato a sud-ovest della penisola atonita e occupa il tredicesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato alla Natività del signore, festa votiva il 25 dicembre (7 gennaio), viene detto la Nuova Betlemme.\nNel 1990 contava ottanta religiosi che vivono in regola cenobitica.\n\nStoria.\nIl monastero è stato fondato nel 1357 da un anacoreta di nome Simone. Il nome significa la pietra di Simone. L'eremita, durante la notte di Natale, ebbe la visione di una stella che si posava sopra la roccia dove oggi sorge il complesso monastico. Egli interpretò questa visione come la volontà divina di edificare un monastero. Con il sostegno del signore di Macedonia, Giovanni Ugles, e dal fratello il re di Serbia, Vukašin Mrnjavčević, riuscì a portare a termine l'ardita impresa. Il complesso monastico subì molti e devastanti incendi nel 1580, 1626 e 1891 ogni volta ricostruito nello stesso stile, tipico dei monasteri atoniti, con alte pareti sormontate da logge e ballatoi. L'ultimo intervento nel XIX secolo fu sostenuto dallo zar Nicola II.\n\nPatrimonio artistico.\nTutta la biblioteca è andata distrutta durante l'incendio del 1891.\n\nCoro.\nI monaci in questi ultimi anni hanno acquisito una certa notorietà con la pubblicazione di una decina di dischi di canti corali monastici bizantini.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Simonopetra.
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### Titolo: Monastero di Stavronikita.\n### Descrizione: Il monastero di Stavronikita (in greco Σταυρονικήτα?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa al Monte Athos, in Grecia.\nÈ posto al centro est della penisola atonita ed occupa la quindicesima posizione nell'ordine gerarchico dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato a San Nicola che si festeggia il 6 dicembre (19 dicembre).\nIl monastero è retto a statuto cenobitico che nel 1990 contava una trentina di monaci.\n\nStoria.\nIl complesso monastico è il più piccolo dei monasteri del Monte Athos, fondato probabilmente nel IX secolo inizialmente fu uno skita del Monastero di Philotheou. Nel 1533 il primo igumeno del monastero Gregorio Geromeriatis lo riscattò assieme a tutto il territorio circostante e ottenne nel 1541, dal Patriarca di Costantinopoli Geremina I, lo statuto di monastero a pari diritti con gli altri monasteri atoniti.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn di Stavronikita è il più piccolo della penisola, dedicato a San Nicola, fu edificato nel XVI secolo sulle rovine di una chiesa molto più antica dedicata alla Vergine Maria (Theotókos). La chiesa è decorata da affreschi di Teofane di Creta (Theophanes), di questo pittore è presente anche una icona.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Stavronikita.\n\nCollegamenti esterni.\nStavronikita monastery at the Mount Athos website, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2016).\nGreek Ministry of Culture: Holy Monastery of Stavronikita, su odysseus.culture.gr.
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### Titolo: Monastero di Vatopedi.\n### Descrizione: Il monastero di Vatopedi (in greco Βατοπαιδί?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della Repubblica del Monte Athos.\nSi trova nella parte nord della penisola.\nOccupa il secondo posto nella gerarchia dei monasteri del Monte Athos. Il Katholikon principale è dedicato all'Annunciazione. Nel 1999 contava ottanta monaci molti dei quali originari di Cipro. Nell'agosto 2013 i monaci presenti sono 112 (fonte orale di un monaco).\nIl monastero è stato fondato nel 972. In passato ospitò comunità di monaci ortodossi dell'Armenia chiamati dzaith.\n\nIl monastero era proprietario fino al 1925 dell'isola di Ammouliani. Le principali skita soggette a questo monastero sono quella di sant'Andrea a Karyes e quella di san Dimitri presso lo stesso monastero. La biblioteca del monastero possiede 2.000 manoscritti e 35.000 volumi stampati. Tra i manoscritti si annoverano il Codex 063 e il Codex 0102 scritti in onciale.\nNel 2008 il monastero è stato coinvolto in uno scandalo immobiliare, per transazioni di permuta di terreni tra il convento e il governo greco del primo ministro Kōstas Karamanlīs.
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### Titolo: Monastero di Xenophontos.\n### Descrizione: Il monastero di Xenophontos (in greco : Μονή Ξενοφώντος?) è un dei venti monasteri della Chiesa ortodossa presenti sul Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato al nord-ovest della penisola atonita ed occupa il sedicesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato a San Giorgio, festa votiva il 23 aprile (6 maggio).\nNel 1990 contava 57 religiosi. Da questo monastero dipende la skita dell'Annunciazione, che sorge più in alto sulla montagna. Il monastero è retto a regola cenobitica.\n\nStoria.\nVenne fondato nel 1010 dal monaco Senofonte Xenofon, con l'appoggio dell'imperatore Basilio. L'ammiraglio di Niceforo III Botaniate Stefano, fattosi monaco con il nome di Simone, divenne igumeno del monastero e lo ingrandì. Subì un forte spopolamento nel XV secolo in seguito fu occupato da monaci serbi e bulgari. Nel 1817 un grande incendi distrusse gran parte delle strutture. Nel XIX secolo venne ricostruito.\n\nPatrimonio artistico.\nIl complesso monastico possiede due katholikòn il più moderno è anche la chiesa più grande della penisola, mentre quello antico risparmiato dagli incendi, possiede affreschi del XVI secolo del Antonios mentre la Cappella di San Giorgio, pure risparmiata, fu affrescata da Teofane di Creta. Sono presenti anche due icone del XII secolo a San Giorgio e San Demetrio. La biblioteca conta 163 manoscritti.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Xenophontos.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EL) Sito ufficiale, su imxenophontos.eu.
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### Titolo: Monastero di Xeropotamou.\n### Descrizione: Il monastero di Xeropotamou (in greco Μονή Ξηροποτάμου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della Repubblica del Monte Athos, Grecia.\nÈ posto a sud-ovest della penisola, duecento metri al di sopra del porto di Dafni.\nOccupa l'ottavo rango nella gerarchia dei monasteri atoniti ed è dedicato ai Quaranta martiri di Sebaste, che si festeggia il 9 marzo (22 marzo).\nNel 1990 contava quaranta monaci che vivevano sotto la regola idiorritmica.\n\nStoria.\nÈ uno dei monasteri più antichi della Santa Montagna. Una certa tradizione lo vuole fondato dalla regina Pulcheria nel V secolo. Altri la fanno risalire a un monaco di nome Paolo figlio dell'imperatore Michele I Rangabe, altri a un monaco di nome Paolo Xiropotaminos, che ebbe l'autorizzazione dall'imperatore Romano I Lecapeno nel X secolo.\n\nPatrimonio artistico.\nVi sono custodite molte reliquie tra le più famose uno dei frammenti più grandi della Vera Croce lunga 31 e larga 16 centimetri e con uno spessore di 25. La biblioteca conta 405 manoscritti e circa 600 libri stampati.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Xeropotamou.\n\nCollegamenti esterni.\nSite Web du monastère, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2016).\nMinistère grec de la Culture : monastère de Xeropotamou, su culture.gr. URL consultato il 4 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2007).
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### Titolo: Monastero di Zografou.\n### Descrizione: Il monastero di Zografou (bulgaro Зографски манастир, Zografski manastir; greco Μονή Ζωγράφου, Moní Zográphou) è uno dei venti monasteri del Monte Athos, appartenente alla Chiesa ortodossa bulgara. Situato nel nord della penisola, occupa il nono rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna ed è dedicato a San Giorgio, patrono della Bulgaria festeggiato il 23 aprile (6 maggio).\n\nStoria.\nLa tradizione lo vuole fondato alla fine del IX secolo o agli inizi del seguente, da tre monaci bulgari provenienti da Ocrida ed è da sempre il monastero dei monaci della Bulgaria. Il nome proviene da San Giorgio che i monaci chiamano Zogrifos. La tradizione vuole che i tre fondatori del monastero Mosè, Aronne e Giovanni, per stabilire a chi dedicarlo, misero una tavola di legno nella chiesa e dopo lunghe preghiere la tavola si dipinse da sé con l'immagine di San Giorgio. L'icona è tuttora conservata nel monastero e fatta oggetto di grande venerazione. La comunità monastica subì una prima devastazione nel 1275, ad opera di crociati al soldo di Michele VIII Paleologo con l'uccisione di 26 religiosi, venerati come santi martiri dalla Chiesa ortodossa il 10 ottobre. Essi si opposero, come la gran parte del monaci della penisola, all'unione della chiesa di Bisanzio con quella di Roma, siglata dall'imperatore nel concilio di Lione. All'inizio del secolo successivo furono mercenari della Compagnia Catalana a devastare per due anni il Santo Monte.\nIl monastero si riprese con il sostegno dei Paleologi e dei Principati danubiani. Il monastero possedeva anche molte metochion (proprietà legate al monastero) in Romania, Bulgaria, Russia, Grecia e Turchia. Attualmente questi possedimenti sono presenti solo in Grecia.\nL'attuale monastero è stato costruito tra il XVI secolo e il XIX secolo: l'ala sud, edificata nel 1750, quelle a est nel 1758, la piccola chiesa nel 1764, e la più grande nel 1801. L'ala nord e ovest sono state costruite dopo la metà del XIX secolo, le costruzioni terminarono nel 1896 con l'edificazione della chiesa dei santi Cirillo e Metodio e del campanile. Tra i molti oggetti sacri e icone presenti nel monastero spicca l'icona lignea della Theotókos di Akathist, festeggiata il 10 ottobre (23 ottobre).\nNel 2011, la Bulgaria ha dedicato al monastero di Zografou una moneta fondo specchio (proof) da 10 leva, in argento 925 e prodotta in soli 6.000 pezzi dalla zecca di Sofia. Il peso è di 23,33 grammi, il diametro di 38,61 millimetri. I conii sono stati incisi da Ivan Todorov e Todor Todorov.\n\nBiblioteca.\nLa libreria del monastero contra 388 manoscritti in lingua slava e 126 in lingua greca e circa 10.000 libri stampati.
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### Titolo: Monetazione di Elis.\n### Descrizione: La monetazione di Elis è l'insieme di emissioni monetarie battute dall'antica città greca Elis. A Elis si trova Olimpia. Per questo motivo le emissioni sono anche indicate come monete di Olimpia.\nSi tratta di diverse serie di monete d'argento coniate in grande quantità. Gli stateri erano coniati secondo il piede eginetico, con un peso di circa 12,2 g. Le denominazioni comprendevano dracme, emidrachme e oboli. Frazioni minori furono monetate in una quantità più limitata e hanno nelle emissioni un ruolo minore.\n\nStoria delle emissioni.\nLe emissioni delle monete di Elis iniziano molto probabilmente poco dopo la fondazione della città verso il 471 a.C.Durante questo periodo, a quanto pare, ci fu una vasta ristrutturazione delle alleanze e si può supporre che, con l'inizio della costruzione del Tempio di Zeus a Olimpia ci sia stato un aumento della ricchezza degli abitanti del luogo. Questa crescente pretesa di rilevanza politica della polis può essere considerato come un aspetto importante per l'inizio della produzione di una serie di monete propria.\nCome nel resto del Peloponneso, ha inizio nella prima metà del IV secolo a.C., una sorta di periodo di massimo splendore nelle monetazioni. Dopo la fine della guerra del Peloponneso, che aveva avuto un forte impatto sull'economia locale, ora le singole entità politiche ottennero una maggiore indipendenza. Ciò portò tuttavia a un conflitto tra Elis e la Lega arcadica, che nel 365 a.C. attaccò il territorio di Elis. Olimpia fu occupata e fu instaurato un 'regime fantoccio', con sede in Pisa, che doveva prendere il controllo del santuario. Come pagamento dei protettori arcadici ci fu in seguito l'emissione delle uniche monete d'oro conosciute del Peloponneso (triemioboli e oboli). Per queste emissioni tuttavia fu usato abusivamente l'oro preso dal tesoro del tempio, il che fu considerato dalle altre polis come un sacrilegio; il che poi ha costretto la Lega arcadica a rinunciare all'occupazione.\nDopo questa breve fase Elis coniò ulteriori serie di monete fino alla fine del III secolo a.C.; al più tardi nel 191 a.C., dopo che Elis era stata costretta ad aderire alla Lega achea, ebbe fine la coniazione degli stateri di Elis.\n\nEmissioni templari?.\nQuasi tutte le monete di Elis hanno, nei tipi usati, un diretto riferimento a entrambe le divinità di Olimpia: Zeus ed Hera. Le emissioni sono in uno stretto rapporto con Olimpia, il principale santuario della Regione. Charles T. Seltman ha dedotto dalle raffigurazioni, che si tratti di cosiddette „coniazioni templari“ Da allora, numerosi numismatici hanno seguito questa teoria. Secondo questo punto di vista si dovrebbero identificare due zecche distinte, a seconda di quale divinità sia raffigurata al dritto. Quindi ci sarebbe stata un'officina associata al tempio di Zeus e una associata a quello di Hera, in cui erano prodotte le monete corrispondenti.\nSarebbe prendere come luogo di coniazione Olimpia e non la città di Elis, dopo tutto, perché né Zeus né Hera sono le principali divinità di Elis. Olimpia era di importanza fondamentale per Elis. Accanto ai Giochi olimpici, nella zona del santuario ci sono altri atti sovrani. Durante i Giochi si svolgeva regolarmente anche un grande mercato. Nel santuario bisognava preoccuparsi tutto l'anno per l'arrivo di numerosi visitatori, pellegrini e viaggiatori. Soprattutto il tempo dei giochi era associato a un grande sforzo organizzativo per gli abitanti. Ne consegue così una forte domanda, sproporzionata, di monete, il che potrebbe spiegare i benefici di officine di coniazione operanti localmente nell'area del santuario. Elis aveva la possibilità di stabilire che solo le monete coniate secondo il proprio standard potessero essere utilizzate per le transazioni finanziarie all'interno di Olimpia e al mercato. Con questo punto di vista si sarebbe potuto cambiare, entrando nel santuario, le monete degli altri stati in quelle coniate secondo il piede monetario locale. Gran parte del metallo per i tondello necessari alla coniazione, proveniva probabilmente dalla fusione di monete delle altre città greche.\nContro l'ipotesi, che situa la produzione delle monete di Elis a Olimpia, si può sostenere che le attività industriali sembrano piuttosto incongrue in un santuario. Finora gli scavatori a Olimpia non hanno trovato nessuna traccia archeologica che indichi una produzione di monete. Tuttavia, non è escluso che le officine di coniazione si siano potute trovare più lontano, alla periferia del santuario. Allo stesso modo non è ancora stato finalmente risolta la questione se le singole coniazioni possono essere attribuite esclusivamente ai rispettivi templi. Le 'monetazioni templari' erano più probabilmente coniate dai mezzi finanziari del santuario, il cosiddetto 'tesoro del tempio' di un Dio.\nDi norma, come autorità emittente, sulle monete ci avrebbe dovuto essere il nome del Dio, al genitivo. Tuttavia su nessuna monetazione olimpica c'è il nome di Zeus (in greco antico ΔΙΟΣ) o di Era (ΗΡΑΣ). C'è invece la legenda (ϜΑ digamma-alfa, le prime lettere del nome della città nel dialetto locale, cioè Ϝάλις, Walis).\nL'accoppiamento delle rappresentazioni sulle monete e templi non può essere dimostrato con assoluta certezza. Così l'immagine di Era su alcune monete di Elis potrebbe rappresentare solo una delle diverse sfaccettature, che si riferiscono al capo degli Dei, Zeus.\n\nTipi e datazione delle monete.\nLe monete di Elis impressionano per la loro qualità artistica e per la varietà dei tipi raffigurati. Lo studio della cronologia delle singole serie in un periodo di coniazione è controversa. La maggior parte degli approcci si basa ancora sulla cronologia relativa elaborata nel 1921 da Charles Seltman. Un problema per la datazione e la creazione di una cronologia assoluta è rappresentato anche dal fatto che spesso mancano gli accoppiamenti dei conii, che è il motivo per cui Seltman si era dovuto orientare verso criteri stilistici, che tuttavia non possono essere valutati con assoluta certezza in una sequenza cronologica.\nSoprattutto per quanto riguarda i ritmi di coniazione ed emissione delle monete, che a quanto pare non uscivano molto dal loro territorio, la questione di importanza se Elis abbia coniato solo o preferibilmente in concomitanza con l'allineamento dei giochi olimpici. Il rapporto tra la coniazione delle emissioni e i giochi non è stata stabilita ed è quindi problematico, mettere in rapporto cronologico le monete con una distinta Olimpiade. Inoltre, si può presumere che Elis, oltre ai giochi, avesse altri motivi importanti per la creazione di un proprio sistema monetario (ad esempio i lavori di costruzione a Elis e Olimpia).\nAl fine di separare i singoli tipi uni dagli altri, ha senso classificarli in diverse fasi di coniazione.\nCome prima monetazione dopo il 471 a.C., c'è una serie sul cui dritto è raffigurata l'aquila di Zeus.\nQuesto tipo è stato quindi coniato continuativamente per circa 50 anni in varie maniere. È sempre mostrata un'aquila che ha catturato qualcosa (serpente, coniglio, agnello, tartaruga). L'aquila è rappresentata con ali aperte o chiuse o stante sul terreno, che strappa la preda. Inoltre ci sono alcune raffigurazioni, tipo un ritratto, in cui c'è solo la testa dell'aquila. Le diverse rappresentazione dell'aquila si applicano come criterio per una differenziazione cronologica delle prime coniazioni. Le immagini sono elaborate dettagliatamente e sono molto vicine a una rappresentazione della natura estremamente precisa. Al rovescio della 'moneta con aquila' è rappresentato prevalentemente il fulmine di Zeus. La forma apparentemente ornamentale del cosiddetto 'fiore di fuoco' come insegna del Dio si sviluppò in una rappresentazione standardizzata e si trova, con poche varianti nel tipo, anche in numerose monete successive.\nUn altro tipo del rovescio, che si trova sulle monete sia presto che tardi, è la rappresentazione della dea della vittoria olimpica Nike, in diverse varianti. Una volta è mostrata la Nike in volo, dinamica, in fuga, che porta una corona. In altre immagini la Dea siede ferma, su una roccia, la corona tenuta nella mano poggiata.\nUna nuova tappa nella sequenza delle singole serie è segnata, dal 421 a.C. circa, dalle quasi contemporanea presenza delle teste-ritratto di Zeus ed Era. Zeus è incoronato da alloro e barbato, ed Era dal suo tipico diadema (polos). Nei ritratti di Era c'è un cambiamento stilistico, da cui si può desumere uno sviluppo cronologico. Nelle monete più recenti il diadema diviene progressivamente più piccolo.\nIn alcuni casi su queste monete successive, in combinazione con le teste del dritto, al rovescio è raffigurata l'aquila di Zeus seduta. L'aquila appare sulle monete come una specie di stemma, probabilmente un cenno alla maestosa potenza dell'immagine della divinità presente al dritto.\nNelle ultime serie di Elis al dritto è rappresentata una nuova testa femminile. La bellezza della testa di ninfa può essere interpretata come l'eroina eponima Olimpia, una ninfa che probabilmente dovrebbe rappresentare l'intera regione.\n\nPesi.\nSeltman ha pesato le monete conosciute al suo tempo e ne ha tratta la conclusione che il piede monetario usato è di 12,44 grammi, quindi vicino al piede eginetico.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Monetazione di Elis.\n### Descrizione: La monetazione di Elis è l'insieme di emissioni monetarie battute dall'antica città greca Elis. A Elis si trova Olimpia. Per questo motivo le emissioni sono anche indicate come monete di Olimpia.\nSi tratta di diverse serie di monete d'argento coniate in grande quantità. Gli stateri erano coniati secondo il piede eginetico, con un peso di circa 12,2 g. Le denominazioni comprendevano dracme, emidrachme e oboli. Frazioni minori furono monetate in una quantità più limitata e hanno nelle emissioni un ruolo minore.\n\nStoria delle emissioni.\nLe emissioni delle monete di Elis iniziano molto probabilmente poco dopo la fondazione della città verso il 471 a.C.Durante questo periodo, a quanto pare, ci fu una vasta ristrutturazione delle alleanze e si può supporre che, con l'inizio della costruzione del Tempio di Zeus a Olimpia ci sia stato un aumento della ricchezza degli abitanti del luogo. Questa crescente pretesa di rilevanza politica della polis può essere considerato come un aspetto importante per l'inizio della produzione di una serie di monete propria.\nCome nel resto del Peloponneso, ha inizio nella prima metà del IV secolo a.C., una sorta di periodo di massimo splendore nelle monetazioni. Dopo la fine della guerra del Peloponneso, che aveva avuto un forte impatto sull'economia locale, ora le singole entità politiche ottennero una maggiore indipendenza. Ciò portò tuttavia a un conflitto tra Elis e la Lega arcadica, che nel 365 a.C. attaccò il territorio di Elis. Olimpia fu occupata e fu instaurato un 'regime fantoccio', con sede in Pisa, che doveva prendere il controllo del santuario. Come pagamento dei protettori arcadici ci fu in seguito l'emissione delle uniche monete d'oro conosciute del Peloponneso (triemioboli e oboli). Per queste emissioni tuttavia fu usato abusivamente l'oro preso dal tesoro del tempio, il che fu considerato dalle altre polis come un sacrilegio; il che poi ha costretto la Lega arcadica a rinunciare all'occupazione.\nDopo questa breve fase Elis coniò ulteriori serie di monete fino alla fine del III secolo a.C.; al più tardi nel 191 a.C., dopo che Elis era stata costretta ad aderire alla Lega achea, ebbe fine la coniazione degli stateri di Elis.\n\nEmissioni templari?.\nQuasi tutte le monete di Elis hanno, nei tipi usati, un diretto riferimento a entrambe le divinità di Olimpia: Zeus ed Hera. Le emissioni sono in uno stretto rapporto con Olimpia, il principale santuario della Regione. Charles T. Seltman ha dedotto dalle raffigurazioni, che si tratti di cosiddette „coniazioni templari“ Da allora, numerosi numismatici hanno seguito questa teoria. Secondo questo punto di vista si dovrebbero identificare due zecche distinte, a seconda di quale divinità sia raffigurata al dritto. Quindi ci sarebbe stata un'officina associata al tempio di Zeus e una associata a quello di Hera, in cui erano prodotte le monete corrispondenti.\nSarebbe prendere come luogo di coniazione Olimpia e non la città di Elis, dopo tutto, perché né Zeus né Hera sono le principali divinità di Elis. Olimpia era di importanza fondamentale per Elis. Accanto ai Giochi olimpici, nella zona del santuario ci sono altri atti sovrani. Durante i Giochi si svolgeva regolarmente anche un grande mercato. Nel santuario bisognava preoccuparsi tutto l'anno per l'arrivo di numerosi visitatori, pellegrini e viaggiatori. Soprattutto il tempo dei giochi era associato a un grande sforzo organizzativo per gli abitanti. Ne consegue così una forte domanda, sproporzionata, di monete, il che potrebbe spiegare i benefici di officine di coniazione operanti localmente nell'area del santuario. Elis aveva la possibilità di stabilire che solo le monete coniate secondo il proprio standard potessero essere utilizzate per le transazioni finanziarie all'interno di Olimpia e al mercato. Con questo punto di vista si sarebbe potuto cambiare, entrando nel santuario, le monete degli altri stati in quelle coniate secondo il piede monetario locale. Gran parte del metallo per i tondello necessari alla coniazione, proveniva probabilmente dalla fusione di monete delle altre città greche.\nContro l'ipotesi, che situa la produzione delle monete di Elis a Olimpia, si può sostenere che le attività industriali sembrano piuttosto incongrue in un santuario. Finora gli scavatori a Olimpia non hanno trovato nessuna traccia archeologica che indichi una produzione di monete. Tuttavia, non è escluso che le officine di coniazione si siano potute trovare più lontano, alla periferia del santuario. Allo stesso modo non è ancora stato finalmente risolta la questione se le singole coniazioni possono essere attribuite esclusivamente ai rispettivi templi. Le 'monetazioni templari' erano più probabilmente coniate dai mezzi finanziari del santuario, il cosiddetto 'tesoro del tempio' di un Dio.\nDi norma, come autorità emittente, sulle monete ci avrebbe dovuto essere il nome del Dio, al genitivo. Tuttavia su nessuna monetazione olimpica c'è il nome di Zeus (in greco antico ΔΙΟΣ) o di Era (ΗΡΑΣ). C'è invece la legenda (ϜΑ digamma-alfa, le prime lettere del nome della città nel dialetto locale, cioè Ϝάλις, Walis).\nL'accoppiamento delle rappresentazioni sulle monete e templi non può essere dimostrato con assoluta certezza. Così l'immagine di Era su alcune monete di Elis potrebbe rappresentare solo una delle diverse sfaccettature, che si riferiscono al capo degli Dei, Zeus.\n\nTipi e datazione delle monete.\nLe monete di Elis impressionano per la loro qualità artistica e per la varietà dei tipi raffigurati. Lo studio della cronologia delle singole serie in un periodo di coniazione è controversa. La maggior parte degli approcci si basa ancora sulla cronologia relativa elaborata nel 1921 da Charles Seltman. Un problema per la datazione e la creazione di una cronologia assoluta è rappresentato anche dal fatto che spesso mancano gli accoppiamenti dei conii, che è il motivo per cui Seltman si era dovuto orientare verso criteri stilistici, che tuttavia non possono essere valutati con assoluta certezza in una sequenza cronologica.\nSoprattutto per quanto riguarda i ritmi di coniazione ed emissione delle monete, che a quanto pare non uscivano molto dal loro territorio, la questione di importanza se Elis abbia coniato solo o preferibilmente in concomitanza con l'allineamento dei giochi olimpici. Il rapporto tra la coniazione delle emissioni e i giochi non è stata stabilita ed è quindi problematico, mettere in rapporto cronologico le monete con una distinta Olimpiade. Inoltre, si può presumere che Elis, oltre ai giochi, avesse altri motivi importanti per la creazione di un proprio sistema monetario (ad esempio i lavori di costruzione a Elis e Olimpia).\nAl fine di separare i singoli tipi uni dagli altri, ha senso classificarli in diverse fasi di coniazione.\nCome prima monetazione dopo il 471 a.C., c'è una serie sul cui dritto è raffigurata l'aquila di Zeus.\nQuesto tipo è stato quindi coniato continuativamente per circa 50 anni in varie maniere. È sempre mostrata un'aquila che ha catturato qualcosa (serpente, coniglio, agnello, tartaruga). L'aquila è rappresentata con ali aperte o chiuse o stante sul terreno, che strappa la preda. Inoltre ci sono alcune raffigurazioni, tipo un ritratto, in cui c'è solo la testa dell'aquila. Le diverse rappresentazione dell'aquila si applicano come criterio per una differenziazione cronologica delle prime coniazioni. Le immagini sono elaborate dettagliatamente e sono molto vicine a una rappresentazione della natura estremamente precisa. Al rovescio della 'moneta con aquila' è rappresentato prevalentemente il fulmine di Zeus. La forma apparentemente ornamentale del cosiddetto 'fiore di fuoco' come insegna del Dio si sviluppò in una rappresentazione standardizzata e si trova, con poche varianti nel tipo, anche in numerose monete successive.\nUn altro tipo del rovescio, che si trova sulle monete sia presto che tardi, è la rappresentazione della dea della vittoria olimpica Nike, in diverse varianti. Una volta è mostrata la Nike in volo, dinamica, in fuga, che porta una corona. In altre immagini la Dea siede ferma, su una roccia, la corona tenuta nella mano poggiata.\nUna nuova tappa nella sequenza delle singole serie è segnata, dal 421 a.C. circa, dalle quasi contemporanea presenza delle teste-ritratto di Zeus ed Era. Zeus è incoronato da alloro e barbato, ed Era dal suo tipico diadema (polos). Nei ritratti di Era c'è un cambiamento stilistico, da cui si può desumere uno sviluppo cronologico. Nelle monete più recenti il diadema diviene progressivamente più piccolo.\nIn alcuni casi su queste monete successive, in combinazione con le teste del dritto, al rovescio è raffigurata l'aquila di Zeus seduta. L'aquila appare sulle monete come una specie di stemma, probabilmente un cenno alla maestosa potenza dell'immagine della divinità presente al dritto.\nNelle ultime serie di Elis al dritto è rappresentata una nuova testa femminile. La bellezza della testa di ninfa può essere interpretata come l'eroina eponima Olimpia, una ninfa che probabilmente dovrebbe rappresentare l'intera regione.\n\nPesi.\nSeltman ha pesato le monete conosciute al suo tempo e ne ha tratta la conclusione che il piede monetario usato è di 12,44 grammi, quindi vicino al piede eginetico.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Monte Athos.\n### Descrizione: Il Monte Athos, ufficialmente Stato Monastico Autonomo del Monte Athos (in greco Αυτόνομη Μοναστική Πολιτεία Αγίου Όρους?, Aftónomi Monastikí Politía Agíou Órous), è un territorio autonomo della Grecia, dotato di uno statuto speciale di autogoverno (art. 105 della Costituzione greca). Confina per una sottile striscia di terra con la Macedonia Centrale.\nL'amministrazione del territorio è affidata a un collegio, la Sacra comunità (Ιερά Κοινότητα, Ierà Kinòtita), che riunisce i rappresentanti dei 20 monasteri atoniti, alle cui dipendenze vi è un comitato esecutivo di quattro membri, la Ιερά Επιστασία (Ierà Epistasìa), presieduta a rotazione dal rappresentante di un monastero, il Protos. La repubblica è soggetta alla giurisdizione ecclesiastica del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e a quella politica del ministero degli affari esteri greco: lo Stato greco è infatti rappresentato da un Governatore con l'incarico di sovrintendere alla amministrazione del territorio e di farne rispettare lo statuto, con responsabilità esclusiva per la salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza.\nEssendo parte di uno Stato membro dell'Unione europea, il territorio del Monte Athos ne è esso stesso parte ed è soggetto, quasi interamente, alla legislazione comunitaria. Da un punto di vista fiscale, il suo territorio non rientra nell'area europea dell'Imposta sul valore aggiunto (art. 7 comma 1 lettera b numero 1 d.p.r. 633/1972), mentre è compreso nell'area Schengen. Tuttavia, è previsto che l'applicazione della normativa Schengen tenga conto dello status speciale del Monte Athos: 'Riconoscendo che lo statuto speciale accordato al Monte Athos, garantito dell'articolo 105 della Costituzione ellenica e dalla Carta del Monte Athos, è giustificato esclusivamente da motivi di carattere spirituale e religioso, le Parti contraenti cureranno di tenerne conto nell'applicazione e nella futura elaborazione delle disposizioni dell'Accordo di Schengen del 1985 e della Convenzione di applicazione del 1990'.\nPertanto l'ingresso è sottoposto a una peculiare giurisdizione restrittiva: per entrarvi è infatti necessario uno speciale permesso di soggiorno, il Diamonitirìon (Διαμονητηρίων), che permette di visitare Monte Athos per 4 giorni. Si può comunque richiedere in loco un rinnovo per altri 2-3 giorni. Inoltre è vietato l'ingresso alle donne. Proprio per il timore che potesse portare alla rimozione di questo divieto, che ha dietro di sé una storia secolare, i monaci dello Athos si erano strenuamente opposti all'ingresso della Grecia nell'area Schengen.\nL'Unione postale universale (U.P.U.) ha autorizzato, nel 2008, l'emissione di propri francobolli al Monte Athos, pur nell'ambito delle carte valori della Grecia, al fine di valorizzare le tradizioni ortodosse e far conoscere i tesori artistici conservati da secoli nei monasteri. La bandiera è gialla con l'aquila bicipite coronata nera, mentre la sigla automobilistica è AO.\n\nOrganizzazione.\nLa repubblica teocratica si trova nella lingua più orientale ('terzo dito') della penisola Calcidica ed è abitata da circa 1500 monaci ortodossi distribuiti in 20 monasteri o lavre, in 12 skite (comunità di monaci singoli sorte intorno a chiese) e in circa 250 celle (eremi isolati). Tutte le skite e le celle sono autonome per quel che riguarda la loro vita interna, ma ricadono sotto la giurisdizione di uno dei 20 monasteri principali per quel che riguarda i problemi generali della vita monastica e quelli amministrativi.\nOgnuno dei 20 monasteri elegge un proprio superiore e i rappresentanti per la Sacra Comunità che esercita il potere legislativo su tutto il Monte Athos.\nLa principale delle due città è Karyès, che funge da capoluogo: qui hanno sede le istituzioni della Repubblica Monastica, la tesoreria, gli alloggi dei rappresentanti dei vari monasteri, la farmacia, le poste, un piccolo ospedale, alcune botteghe e una foresteria. Vi risiede anche il Governatore dello Stato greco. La città, al centro della penisola dell'Athos e a 375 m. s.l.m., è stata costruita intorno al IX secolo, in un sito nelle cui vicinanze sorgeva nell'antichità un santuario dedicato alla dea Artemide. A Karyès è conservato il Tragos, un rotolo di pergamena redatto nel 971 dagli igùmeni dei monasteri athoniti e controfirmato e sigillato dall'imperatore Giovanni Zimisce, che sancisce l'indipendenza perpetua del Monte Athos.\nIl potere esecutivo delle diverse comunità monastiche è affidato a quattro segretari (epìstati). I monasteri sono di due tipi: i cenobi, dove i religiosi formano una stretta comunità governata da rigide regole, e gli idiorritmi, nei quali i monaci vivono di risorse personali, riunendosi solo per funzioni religiose e festività. L'abate eletto a vita (igúmeno) è assistito da un consiglio di monaci (epitropía). Vivono monaci veri e propri (calógeri), novizi (díkmi) e conversi dediti a lavori manuali (paramikri); il monaco incaricato di accogliere visitatori e ospiti è detto archontáris. Si devono poi aggiungere monaci eremiti che vivono in meditazione, preghiera e solitudine estrema. Sui monti, sulle pareti di roccia in grotte naturali o in celle inaccessibili vivono gli anacoreti. I sarabaiti formano gruppi di due/tre casupole isolate. Vi sono infine i 'girovaghi', monaci mendicanti senza fissa dimora.\n\nMezzi di trasporto.\nL'unico mezzo per arrivare in questa Repubblica è il traghetto proveniente quotidianamente dalla città greca di Uranopoli: questo arriva al porto di Dafne, l'altro centro abitato della repubblica, donde un torpedone porta alla minuscola capitale. Per spostarsi tra i vari monasteri occorre fare affidamento sulle poche corriere, sui mezzi degli stessi monasteri, che all'occorrenza trasportano i visitatori, sui battelli che collegano i monasteri o le skite sulla costa e, soprattutto, sulle proprie gambe. I sentieri, specie nella parte sud, sono spesso impervi e scoscesi, inadatti a chi soffre di vertigini.\nVi è un secondo battello, più piccolo, che collega i monasteri della costa di levante partendo dal porto di Ierissòs. Esso viaggia solo in caso di bel tempo e quindi i collegamenti non sono sempre garantiti e sicuramente mai nella stagione invernale.\n\nIl divieto di ingresso alle donne.\nTrattandosi di un territorio abitato da monaci, per tradizione nel Monte Athos possono entrare solo uomini. Il controllo viene effettuato all'imbarco da Uranopoli e, se necessario, viene ripetuto all'arrivo a Dafne. Questo divieto è stato così rigoroso nel corso della millenaria storia dell'Athos, che solo poche volte è stato infranto: ciò è capitato, per esempio, durante la seconda guerra mondiale, quando un gruppo di partigiani comunisti greci, tra cui alcune donne, entrò nella montagna sacra.\nL'interdizione si estende anche agli animali domestici di sesso femminile, ad esclusione di gatti, insetti e uccelli.\n\nL'ospitalità monastica.\nUna delle caratteristiche principali del Monte Santo è che i visitatori sono ospitati dai vari monasteri. Per questa ragione il loro ingresso è limitato e l'accoglimento delle richieste può richiedere molti mesi. Solo il 10% circa dei 30 000 visitatori annui ammessi sono stranieri. È buona norma assicurarsi, mediante prenotazione, che il monastero dove si è previsto di fare tappa abbia posti disponibili nella foresteria. Non è infrequente, infatti, che pellegrini provenienti dal paese di origine dei monaci di quel monastero (ne esistono di russi, serbi, bulgari eccetera) abbiano già riempito la foresteria. In tal caso il monastero è visitabile, ma occorre dormire in un altro luogo.\nI pellegrini vengono accolti al loro arrivo da un monaco che offre caffè greco, lokum (dolcetti molto zuccherati), rakı (acquavite) e acqua. Vengono poi accompagnati nell'archontarìke (foresteria), dove si viene alloggiati in camerate con servizi comuni.\n\nGli spostamenti fra i vari monasteri e la vita nel loro interno sono regolati dalle varie rigide regole monastiche, non ammettendosi solitamente deroghe nel comportamento che deve essere irreprensibile, anche dal semplice punto di vista dell'abbigliamento. Vigono, a seconda del posto, differenti calendari e misure del tempo. Il tramonto, secondo l'antica consuetudine, corrisponde alla mezzanotte e i monaci si svegliano all'ora sesta del loro orologio tradizionale per la preghiera. Il pranzo può essere servito in prima mattinata e la cena intorno alle 17. I visitatori possono mangiare con i religiosi e tutto si svolge in non più di 15 minuti in assoluto silenzio, mentre un monaco legge le Scritture; mangiare, infatti, distrae dalla preghiera, scopo principale della loro vita. Naturalmente i visitatori, che si comportano da veri e propri pellegrini religiosi, possono partecipare alle varie funzioni liturgiche.\n\nLe ricche testimonianze storiche, artistiche, documentali e mistiche.\nL'Athos custodisce numerosi tesori artistici: antichi manoscritti, icone e affreschi dipinti dai più illustri rappresentanti della pittura bizantina, come Teòfane il Greco e Manuel Panselinos. Fin dalle origini, la Santa Montagna ha ospitato mistici e maestri spirituali, i cui scritti - assieme a quelli di molti altri autori cristiani - furono raccolti nella Filocalìa, una celebre antologia del XVIII secolo, la quale ha influenzato profondamente il mondo ortodosso. Il penultimo monaco canonizzato (1988) della Santa Montagna è il mistico Silvano del Monte Athos (1866-1938), le cui opere sono state tradotte nelle principali lingue occidentali.\nL’ultimo monaco canonizzato il 27 novembre 2013 dal Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è Porfirio di Kafsokalyvia (1906-1991), la cui memoria si celebra il 2 dicembre (Vita e detti di san Porfirio ed. Lipa).\n\nIl canale di Serse.\nIl monte Athos è una penisola. Ma vi è stato almeno un lasso di tempo, in età non geologica ma storica, in cui è stata separata dal continente divenendo, tecnicamente, un'isola. Ciò è documentato dalla seconda spedizione delle guerre persiane, quando Serse, memore della precedente sfortunata missione navale di Mardonio, fece costruire un canale navigabile per risparmiare alla sua flotta il periplo del promontorio, le cui insidie avrebbero potuto rivelarsi ancora una volta determinanti.\n\nLista dei centri abitati.\nI venti monasteri.\nGrande Lavra (Μεγίστη Λαύρα, Megísti Lávra).\nVatopédi (Βατοπέδι o Βατοπαίδι).\nIvìron (Ιβήρων; ივერთა მონასტერი, iverta monasteri) - costruito dai georgiani.\nHilandar (Χιλανδαρίου, Chilandariou; Хиландар) - serbo.\nDionysiou (Διονυσίου, Dionusiou).\nKoutloumousiou (Κουτλουμούσι, Koutloumousi).\nPantokratoros (Παντοκράτορος, Pantokratoros).\nXeropotamou (Ξηροποτάμου).\nZografou (Ζωγράφου, Зограф) - bulgaro.\nDochiariou (Δοχειαρίου).\nKarakalou (Καρακάλλου).\nPhilotheou (Φιλοθέου).\nSìmonos Petra (Σίμωνος Πέτρα o Σιμωνόπετρα).\nSan Paolo (Αγίου Παύλου, Agiou Pavlou).\nStavronikìta (Σταυρονικήτα).\nXenophòntos (Ξενοφώντος).\nOsiou Grigoriou (Οσίου Γρηγορίου).\nEsphigmenou (Εσφιγμένου).\nSan Pantaleone (Αγίου Παντελεήμονος, Agiou Panteleimonos; Пантелеймонов; o Ρωσικό, Rossikon) - russo.\nKonstamonitou (Κωνσταμονίτου).\n\nPrincipali skite.\nKafsokalyvia.\nLakkoskete (Lacu, Sfântul Dumitru - romeno).\nNeà Skita.\nPròdromos o del Battista (Prodromu, Sfântul Ioan Botezătorul - romeno).\nProvata.\nSkita di Sant'Anna.\nSkita di San Basilio.\nSkita di Ivìron.\nSkita di Koutloumousiou.\nSkita di Pantokratoros.\nSketa di Vatopedi.\nSkita di Xenophontos.\nSkita di Sant'Andrea, conosciuto anche come Sarai (Σαράι).\n\nCentri abitati.\nKaryes (238 ab.), capitale della Repubblica Monastica.\nDafne (38 ab.), porto principale.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Monte Cinto (Grecia).\n### Descrizione: Il monte Cinto (in greco Kynthos) si trova sull'isola di Delo nell'arcipelago delle Cicladi.\nNella mitologia greca Latona diede alla luce sull'isola Apollo ed Artemide, dopo essere sfuggita ad Hera, la moglie di Zeus che era estremamente gelosa della relazione che il marito aveva avuto con lei.\nAi giorni nostri, l'isola è un importante sito archeologico, nonché una delle mete predilette dai turisti.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monte Cinto.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Monte Cronion.\n### Descrizione: Il monte Cronion è una collina, dell'altezza di meno di 100 metri, che domina l'antico sito di Olimpia, che si trova in una piccola pianura dell'Elide, sulla riva destra del Alfeo in Peloponneso.\nTrae il suo nome da Crono padre di Zeus.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monte Cronion.\n\nCollegamenti esterni.\nOlimpia in rapporto al monte Cronion, su educnet.education.fr. URL consultato il 30 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2006).
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Monte Ditte.\n### Descrizione: Il monte Ditte (in greco antico Δίκτη, Dìktis) è una montagna della parte orientale dell'isola di Creta.\nCon i suoi 2.148 m è la più alta delle cime dell'omonimo massiccio montuoso che sovrasta la piana di Lasithi.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia greca Rea partorì Zeus nella grotta di Psychro situata sul monte per nascondere il figlio dal padre Crono.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monte Ditte.
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### Titolo: Monte Eta.\n### Descrizione: Il monte Eta (in greco antico: Οἴτη?, anticamente anche Καταβόθρα) è una montagna sita nella parte meridionale della Tessaglia, che si dirama a partire dalla catena del Pindo in direzione sudorientale.\n\nGeografia.\nL'Eta si sviluppa verso sud-est e costituisce la barriera settentrionale della Grecia centrale: l'unico accesso alla Grecia centrale dal nord è quello stretto passo che si apre tra il Monte Eta e il mare, detto passo delle Termopili.\nIl monte Eta è oggi noto come Katavóthra ed è alto 2152 metri. La cima sopra le Termopili è invece chiamata monte Callidromo sia da Strabone sia da Tito Livio; quest'ultimo evidenziò come Callidromo fosse il nome dato alla cima più elevata del Monte Eta e Strabone concorda con lui nel descrivere come cima più elevata del gruppo quella che domina le Termopili. Quest'ultima affermazione risulta però essere scorretta in quanto il monte Patriótiko, che si innalza più ad ovest, è più elevato. Strabone afferma correttamente che la lunghezza del gruppo era pari a 200 stadi, ossia a circa 35,4 km.\n\nMitologia.\nIl monte Eta è indicato nella mitologia come il luogo della morte di Eracle. Lucio Anneo Seneca fu probabilmente l'autore della tragedia Hercules Oetaeus, dove il nome dell'eroe è affiancato dall'epiteto che prese per via del luogo di morte: secondo la tradizione Eracle, asceso il Monte Eta dopo che il veleno nel quale era stata immersa la tunica donatagli da Deianira ebbe fatto effetto, con le sue ultime forze sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il coraggio di accenderlo ed Eracle fu costretto a chiedere di farlo al pastore Filottete. Questi ubbidì, ed Eracle donò le sue armi al padre di questi, Peante: tali armi si renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri.\nMentre Eracle cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse e lo portò con sé nell'Olimpo, dove l'eroe si riconciliò con Era e sposò Ebe, la coppiera divina. Si era avverata la profezia dell'oracolo, che prevedeva la fine terrena di Eracle ad opera di un morto.\n\nStoria.\nUna delle pendici orientali di questo monte, dominante il passo delle Termopili, nota in passato col nome di Anopea (Ἀνόπαια) e oggi con quello di Lithitza, deve la sua fama al fatto che attraverso una sua gola, lungo la sponda destra del fiume Asopo, passava un sentiero tortuoso, scoperto dagli abitanti del luogo al tempo delle lotte tra Tessali e Focesi. L'esistenza di questo sentiero non era conosciuta agli Alleati ellenici.\nQuesto sentiero fu indicato ai Persiani dal traditore Efialte durante la battaglia delle Termopili (480 a.C.): percorrendolo, i Persiani attaccarono la retroguardia nemica e riuscirono ad annientare i Greci guidati dal re di Sparta Leonida I.\nLa medesima gola venne attraversata nel 278 a.C. dai Galli.\n\nToponomastica.\nIl monte è eponimo pure del distretto meridionale della Tessaglia, che è detto Etea (dal greco Οἰταῖα, Oitâia) ed era abitato dagli Etei (Οἰταῖοι, Oitâioi).\nVi era pure una città che prendeva il nome da questo monte, Eta, che si dice sia stata fondata da Anfisso, figlio di Apollo e Driope, e che Stefano di Bisanzio descrive come una città della Malide. William Martin Leake affermò che tale città era sita alla base del monte Patriótiko, ed ipotizzò fosse quella che da Callimaco era stata menzionata come città sacra.\n\nParco nazionale.\nNel 1966, il Monte Eta è diventato il sesto dei parchi nazionali della Grecia in conformità con il regio decreto 218/1966. Con una superficie di 7.000 ettari, di cui 3.370 costituiscono la zona centrale e 3.630 la periferia, il parco copre circa un quarto dell'area montuosa ed è il terzo più grande della Grecia. Qualsiasi attività umana che abbia un impatto sull'ambiente locale in qualsiasi modo è vietata all'interno dei confini del parco nazionale.\n\nInfluenza culturale.\nAll'Eta è stato intitolato l'Oeta Chasma su Mimante.
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### Titolo: Monte Ida (Grecia).\n### Descrizione: Il monte Ida (in greco: Ἴδα), conosciuto anche come monte Psiloritis (in greco: Ψηλορείτης, 'il più alto') è il rilievo più alto dell'isola di Creta (2.456 m).\n\nDescrizione.\nAd est una sella a quota 2321 m lo separa dal vicino monte Agathias, mentre ad ovest il crinale continua verso il monte Stolistra (2336 m). Sulla sua vetta si trova una costruzione in pietra utilizzata come bivacco di emergenza e come cappella. Non lontano dal monte Ida, sulla cima secondaria di Skinakas, è collocato l'osservatorio astronomico dell'Università di Creta. Interessanti caratteristiche della montagna sono il pianoro di Nida e la foresta di Ruva sul versante orientale. Il monte Ida si trova sullo spartiacque che divide il versante meridionale dell'isola di Creta, affacciato sul Mar libico, da quello settentrionale, tributario del Mare Egeo.\n\nEtimologia.\nIl nome Ida è connesso con quello di un'antica dea Ida o Da il cui nome è conservato nella divinità di Demetra: la forma con cui noi conosciamo questo nome era quella dello ionico-attico, il dialetto di Atene, Dē-mētēr, mentre negli altri dialetti greci antichi il nome era Dā-mātēr, 'la Madre Da'; in miceneo è ancora attestato I-DA-MA-TE, cioè Idā-mātēr). Tracce del culto di questa divinità (I)da vi sarebbero anche nell'uso della sillaba da in antiche formule rituali.\n\nMitologia.\nLa montagna era sacra, secondo la mitologia greca a Demetra e successivamente, ai tempi dell'età di Pericle, alla titanide Rea, madre dei primi dei olimpici, tra cui Zeus. Per questo, nella mitologia romana, Rea (identificata con Opi) è detta Magna Mater deorum Idaea.\nSui fianchi del monte si trova la grotta di Psychro, visitatissima dai turisti, in cui secondo la leggenda lo stesso Zeus (partorito sul monte Dikti, sempre sull'isola di Creta) sarebbe stato nascosto al padre Crono, che era solito divorare i figli.\nNella mitologia, la montagna era anche la dimora dei Dattili, antiche divinità che scoprirono la lavorazione dei metalli.Nonostante l'omonimia, esso non va confuso con il monte Ida sito in Asia Minore, nei pressi di Troia, dove Paride (figlio del re Priamo) sarebbe vissuto pascolando gli armenti, e dove avrebbe ricevuto l'invito a giudicare la più bella tra Era, Afrodite ed Atena creando l'antefatto che portò poi alla guerra di Troia narrate nell'Iliade.\n\nTutela naturalistica.\nIl massiccio del Monte Ida, assieme ad una vasta zona che si stende fino alla costa nord di Creta, è incluso dal 2001 nel Parco naturale dello Psiloritis, un'area protetta della rete europea European Geoparks Network e della rete UNESCO Rete di geoparchi globale .\n\nAccesso alla vetta.\nIl monte Ida può essere raggiunto per sentiero da più parti. In particolare la sua cima è toccata dall'itinerario del Sentiero europeo E4.\n\nDediche.\nL'asteroide 243 Ida è stato così chiamato con riferimento al monte Ida.
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### Titolo: Monte Ida (Turchia).\n### Descrizione: Monte Ida (in turco: Kazdağı) è un monte nei pressi dell'antica Troia, nell'attuale provincia di Balıkesir, distretto di Edremit, nel nordovest della Turchia. Non va confuso con l'omonimo greco dell'isola di Creta.\n\nEtimologia.\nVi è ragione di credere che il monte micrasiatico sia stato ribattezzato Ida ad opera dei Teucri, una popolazione dell'Età del bronzo, che si sarebbero ispirati al monte cretese, mentre in precedenza esso avrebbe avuto un altro nome, forse Gargar. Se ciò fosse vero, l'etimologia sarebbe la stessa del monte di Creta, ossia deriverebbe da un'antica dea di nome Ida o Da. È comunque assodato che così come l'Ida greco, anche l'Ida micrasiatico fosse considerato fin dall'antichità sede di importanti culti di una dea locale.\n\nMitologia.\nFu qui che Paride visse da giovinetto tra i pastori, e fu dal monte Ida che Zeus avrebbe rapito Ganimede per farne il suo amante: qui infine si trasferì Arisbe, la moglie ripudiata di Priamo, col suo nuovo sposo Irtaco. Fu sempre su questo monte che si svolse la gara di bellezza tra le dee Era, Atena e Afrodite. La cima più alta era il Gargaro, menzionato anche nell'Iliade (Γάργαρον).\nNell'antichità era dedicato al culto della dea Cibele, che a Roma era nota come Idaea Mater.\nLa più antica collezione di profezie sibilline, i Libri sibillini, sembra essere stata prodotta all'epoca di Ciro a Gergis, sul monte Ida; attribuiti alla Sibilla d'Ellesponto, furono conservati nel tempio di Apollo a Gergis. Da Gergis passarono ad Erythrae dove divennero famosi come gli oracoli della Sibilla Eritrea. Pare che sia stata questa collezione di profezie ad essere portata a Cuma, dove fu associata alla Sibilla Cumana, e di lì a Roma.\n\nDall'Eneide.\nDal libro IX dell'Eneide:.\n'Nisus erat portae custos, acerrimus armis,.\nHyrtacides, comitem Aeneae quem miserat Ida.\nuenatrix iaculo celerem leuibusque sagittis,.\net iuxta comes Euryalus, quo pulchrior alter.\nnon fuit Aeneadum Troiana neque induit arma, 180.\nora puer prima signans intonsa iuuenta.'.\n(da The Latin Library).
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### Titolo: Monte Menta.\n### Descrizione: Il monte Menta o Minthe o Minta (in greco Μίνθη) (1.221 m s.l.m.) si innalza nella regione detta Trifilia (Triphylia) appartenente al distretto dell'Elide in Grecia. È ricordato fin dall'antichità per la sua vicinanza ad un santuario di Ade.\n\nMenta e Ade.\nRobert Graves spiega il nome della zona in cui sorge il monte e quello del monte stesso col fatto che la pianta della menta cresceva nei pressi del santuario consacrato ad Ade.Del resto, la Menta ha un collegamento mitico evidente con l'aldilà, se si pensa alla sua discendenza dal Cocito, uno dei fiumi del regno dei morti, e al suo ruolo di amante di Ade.\nNell'antica Grecia, inoltre, la menta era usata nei riti funebri insieme al mirto e al rosmarino per bilanciare l'odore della decomposizione. Tuttavia aveva anche una funzione rituale in quanto veniva utilizzata nel kukeòn (in greco κυκεών), il preparato di orzo assunto dai partecipanti ai misteri eleusini, nei quali era offerta agli iniziati una vita nell'aldilà.Poiché l'elemento nth (traslitterazione del greco νθ) è caratteristico della classe di parole prese in prestito dal linguaggio pre-greco, come acanto, labirinto, Corinto ecc., si può ipotizzare che il sito dell'Elide sia un complesso cultuale molto antico. Così come il mito di menta contiene elementi ctonii che fanno parte di una religiosità arcaica.\n\nTrifilia.\nIl fiume Alfeo, secondo Strabone, divideva la Pisatide dalla Trifilia (Triphylia).\nIl distretto delle Trifilia o Triphalia, come lo chiama Polibio, facendone derivare il nome da Trifalo, garzone arcade, si estendeva lungo il mare dalla foce dell'Alfeo a quella della Neda, dove si racconta che Zeus appena nato fosse stato lavato, terminando l'Elide verso la Messenia.\nTra la città di Pilo e Scillunte sorge il monte Menta, detto dagli antichi Minthe, oggi Smyrne.\nAlle falde del monte era un luogo sacro ad Ade mentre di là dalla pianura di Pilo vi era un bosco sacro a Demetra.\nPare di leggere in questa topografia sacra che l'eros è infero, inconscio, viene da Ade, e Demetra vi presiede per organizzarlo. Mintha è una ninfa, amante del re degli inferi, e la pianta, frutto della sua metamorfosi, non può che mantenere questo potere afrodisiaco e di comunicazione con l'aldilà.Che si tratta di un luogo consacrato alle ninfe lo testimonia anche la presenza dell'antro delle Anigridi. Sempre secondo Strabone infatti la spiaggia fra l'Anigro e lo Iardano ebbe il nome di Samico. Nel Samico 100 stadi distante dall'Anigro e presso il mare si vedeva il tempio di Nettuno soprannominato Samio, situato entro un bosco di olivi selvatici ed un antro presso il fiume Anigro dove risiedevano le ninfe.
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### Titolo: Monte Partenio.\n### Descrizione: Il monte Partenio ('monte della vergine', in greco antico: Παρθένιο?) è una montagna che confina con l'Arcadia e l'Argolide, nel Peloponneso in Grecia. Si eleva a 1 215 m. s.l.m. ed è situato tra i villaggi di Achladokampos a nord-est e di Parteni a sud-ovest. Si trova a 16 km ad est di Tripoli.\nNell'antica Grecia, divideva la piccola piana di Isie da quella di Tegea. Il monte Parenio è la montagna dove da bambino venne esposto l'eroe greco Telefo. Alle sue pendici si trova Tegea. Pan sembra vi abbia incontrato Filippide prima della battaglia di Maratona nel 490 a.C. Il dio lo chiamò e gli ordinò di chiedere agli Ateniesi che non gli riservassero alcun onore, anche se egli era ben intenzionato verso di loro, era stato loro utile molte volte in passato e lo sarebbe stato di nuovo in futuro. Di conseguenza gli Ateniesi realizzarono un altare a Pan, ai piedi del Partenone.
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### Titolo: Monti Rodopi.\n### Descrizione: I Monti Ròdopi (in bulgaro: Родопи, Rodopi, di solito accompagnati da un articolo definito posposto: Родопите, Rodopite, a volte chiamati Родопа, Rodopa o Родопа планина, Rodopa planina; in greco: Ροδόπη, Rodopi, 'aspetto rosso') sono una catena montuosa nell'Europa meridionale, compresa per più dell'83% nell'area della Bulgaria meridionale e per il resto in Grecia (vedi Parco nazionale dei Monti Rodopi).\nLa cima più alta della catena, il Goljam Perelik (Голям Перелик - 2.191 m s.l.m.), è la settima vetta più alta della Bulgaria. La regione è particolarmente importante e nota per le aree carsiche presenti, con le loro profonde gole solcate da torrenti, ampie caverne e particolari forme di scultura naturale, come quelle della gola di Trigrad. I Monti Rodopi sono altresì noti per la scoperta di una nuova pianta, (in Bulgaria), da parte del botanico Carl Constantin Christian Haberle.\n\nGeografia e clima.\nI Rodopi coprono un'area di più di 14.737 km², dei quali 12.233 km² sono in Bulgaria. Le montagne della catena si estendono per una lunghezza di circa 220 km in direzione ovest-est, mentre occupano un'area di larga circa 100–120 km in direzione nord-sud, con un'altitudine media di 785 m s.l.m. Le autorità hanno istituito ben 15 riserve naturali nella regione dei Monti Rodopi, alcune delle quali sotto la protezione dell'UNESCO. Sono presenti numerosi sorgenti d'acqua minerale, le più famose delle quali sono Velingrad, Devin e Narečen.\n\nSuddivisioni.\nRodopi occidentali.\nI Rodopi occidentali rappresentano l'area montana più estesa (66% del gruppo montuoso) e presentano le montagne più alte, dotate di maggiore infrastrutture e maggiormente visitate della catena. Le vette più alte e maggiormente conosciute sono comprese in questa regione, che vanta più di dieci cime superiori ai 2.000 m s.l.m. La più alta è il Goljam Perelik (2.191 m). Tra le altre vette più famose, si possono ricordare: il Širokolăški Snežnik (Широлъшки Снежник - 2.188 m), il Goljam Persenik (Голям Персеник - 2.091 m), il Bataški Snežnik (Баташки Снежник - 2.082 m) ed il Turla (Турла - 1.800 m).\nAlcune delle gole più profonde dei Rodopi si trovano nell'area occidentale. In particolare in quest'area va segnalato il fenomeno roccioso chiamato Čudnite Mostove (Чудните мостове - gli splendidi ponti). Alcune fra le maggiori aree lacustri sono i laghi Chaira e gli specchi d'acqua formati dalle dighe Dospat, Batak, Široka Poljana, Goljam Beglik e Toškov Čark.\nLa città bulgara di Batak è inoltre situata in questa zona, come del resto i frequentati luoghi di villeggiatura di Smoljan, Velingrad, Devin, Čepelare, la stazione turistica invernale di Pamporovo, il monastero cristiano ortodosso di Bačkovo, le rovine delle fortezze della dinastia Asen, le grotte di Djavolsko Gărlo, di Jagodinska e molte altre. Il villaggio più alto dell'intera Bulgaria, Manastir (sorto ad un'altezza di più di 1.500 m), è raggruppato ai piedi della vetta Prespa. Una serie di aree protette per la conservazione di architetture naturali, come Široka Lăka, Kovačevica, Momčilovci e Kosovo sono inoltre situate nella zona.\n\nRodopi orientali.\nI rilievi dei Rodopi orientali, molto più bassi, sono sparsi in un territorio che comprende il 34% della catena montuosa. Le grandi dighe artificiali Kărdžali e Studen Kladenec si trovano in questa zona delle montagne. La regione è ricca in sorgenti termali minerali. Le acque attorno a Džebel godono di fama nazionale come acque curative per diverse malattie e indisposizioni. Belite Brezi è un importante centro curativo per le malattie respiratorie e altre affezioni.\nLe maggiori città dell'area sono Haskovo e Kărdžali, seguite dalle più piccole Momčilgrad, Krumovgrad, Zlatograd e Kirkovo. I Rodopi orientali, essendo significativamente più bassi, sono più popolati di quelli occidentali.\n\nRodopi meridionali.\nI Rodopi meridionali sono la parte della catena montuosa situata in Grecia. La prefettura dei Rodopi, nella parte settentrionale del Paese, prende il nome della catena montuosa.\n\nClima.\nLa posizione dei Rodopi, localizzati nella parte sudorientale della Penisola balcanica, fa in modo che i monti subiscano l'influenza sia dell'aria fredda proveniente da nord sia della brezza più calda proveniente dal vicino Mar Mediterraneo.\nLa temperatura media annuale sui Rodopi orientali è di circa 12–13 °C, la massima quantità di precipitazioni è in dicembre, la minima in agosto. Nei Rodopi occidentali le temperature variano tra i 5° e i 9 °C e le precipitazioni più rilevanti sono nel periodo estivo.\nIl clima piacevole e relativamente temperato, unito ad altri fattori, facilita lo sviluppo di stazioni e attività turistiche. La località invernale di Pamporovo, dove un particolare microclima permette la caduta di massicce nevicate invernali che si prolungano per un lungo periodo, ne è un eccellente esempio.\nTemperature di −15 °C sono comunque comuni nel periodo invernale, e per questo i Rodopi sono il luogo più meridionale nei Balcani dove sono diffuse specie come l'abete rosso (Picea abies) e la betulla d'argento (Betula pendula).\n\nPopolazione.\nI Monti Rodopi sono abitati da popolazione sparsa e non particolarmente numerosa. Essi rappresentano un'area di diversità etnica e religiosa da secoli. Oltre ai Bulgari e ai Greci, cristiani ortodossi, i monti divennero il luogo dell'insediamento di alcune comunità musulmane, inclusi i Bulgari musulmani, chiamati localmente Pomacchi (помаци, pomaci), presenti in particolare nei Rodopi occidentali, mentre i Turchi di Bulgaria si sono stabiliti in maggioranza nelle aree orientali. Le montagne sono inoltre una delle regioni frequentate dai Sarakatsani, una popolazione nomade di religione cristiano-ortodossa e di origine incerta, che tradizionalmente erra tra la Tracia settentrionale e il Mar Egeo.\n\nMitologia.\nI Rodopi sono considerati molto spesso il luogo mitologico di nascita del leggendario cantante e suonatore di lira Orfeo e della moglie Euridice. In aggiunta, sono presenti siti archeologici relativi al culto di Dioniso, che si estendono in gran parte della regione; importante in particolare il sito dell'antica città tracia di Perperikon.\nSecondo la mitologia greca, la coppia formata dalla regina Rodope di Tracia e del re Emo si dimostrò particolarmente vanitosa e sdegnosa e per questo venne punita da Zeus ed Era che decisero di trasformarla nella catena dei Rodopi.
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### Titolo: Mopso (figlio di Ampice).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Mopso (in greco Μόψος Mòpsos) era un oracolo ed indovino, figlio di Ampice e della ninfa Cloride.\nÈ a volte identificato con il suo omonimo, anch'esso indovino. Il loro mito è comunque presentato separatamente e in contesti diversi, per cui i due sono in genere considerati personaggi distinti.\n\nIl mito.\nMopso partecipò alla Centauromachia, ai giochi funebri in onore di Pelia e alla caccia al cinghiale calidonio. Nel corso della lotta con i Centauri Mopso uccise Odite e, in una fase successiva dello scontro, vide Ceneo librarsi in volo nelle sembianze di un uccello, dopo essere stato ucciso.\nPrese in seguito parte alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro e morì durante il viaggio di ritorno, morso nel deserto libico da un serpente.
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### Titolo: Mopso (figlio di Manto).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Mopso (Μόψος in greco antico) era un indovino, figlio di Apollo (o Racio) e di Manto, a sua volta discendente da Tiresia. È a volte confuso con il suo omonimo, figlio di Ampice e argonauta, ma si tratta in realtà di due figure distinte.Secondo la leggenda, assieme alla madre Manto avrebbe fondato, a Claro, il Santuario dell'Oracolo di Apollo. A questo seguì un altro santuario ad Aspendo, nella regione della Panfilia e poi altri santuari in varie poleis della Cilicia, fra cui Mopsuestia, Mopsucrene e Mallo.\nRacconta Strabone che Mopso regnava sulla città cilicia di Mallo, da lui fondata assieme al fratello Anfiloco. Quando quest'ultimo aveva riguadagnato la sua città natale, Mopso assunse da solo le redini del comando - prima tenuto in coreggenza -, ma dovette presto far fronte alle richieste di Anfiloco, il quale, tornato in Cilicia, chiese di essere riassociato al trono. Mopso rifiutò e, addivenuti ad un duello, gli sfidanti si uccisero a vicenda.Dopo la morte, le ombre di Mopso e Anfiloco si unirono in amicizia, andando a costituire un oracolo che si diceva essere più veritiero di quello delfico.
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### Titolo: Mori (Iliade).\n### Descrizione: Mori (in greco antico Μόρυς) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ippotione.\n\nMitologia.\nEra un giovane frigio che insieme ai fratelli Palmi e Ascanio prese parte alla difesa di Troia assediata dagli Achei.\nMori fu ucciso da Merione nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus.
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### Titolo: Mormò.\n### Descrizione: La Mormò (Μορμώ, Μορμών) è una divinità minore dell'antica Grecia.\nNella superstizione greca Mormò era uno spettro femminile che si cibava del sangue dei bambini in fasce e che provocava disordine in case e botteghe; per questo motivo era generalmente nominata come spauracchio per i fanciulli.\n\nFonti.\nLa principale fonte relativa a Mormò è Aristofane e due sue commedie: Gli Acarnesi (582 sgg.) e La Pace (474 sgg.), ma sono anche presenti fonti minori, come gli scholia a Teocrito.
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### Titolo: Mosaico di Dioniso.\n### Descrizione: Il Mosaico di Dioniso è il più grande mosaico del 'Complesso Archeologico di Dion' (Dion), ai piedi del Monte Olimpo. Raffigura il corteo trionfale del dio greco Dioniso. È stato sottoposto ad un accurato restauro tra il 2015 e il 2017.
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### Titolo: Museo (autore mitico).\n### Descrizione: Museo (in greco antico: Μουσαῖος?, Mūsàios) è un personaggio leggendario associato ad Orfeo.\n\nIl personaggio tra mito e realtà storica.\nLe notizie su Museo sono diverse e spesso contrastanti, ma non si sa nulla della sua vita: il suo nome significa 'appartenente alle Muse' e gli studiosi moderni tendono a vedere in Museo un personaggio inventato per offrire la paternità a vari scritti orfici non attribuiti a Orfeo.\nLa Suda e Clemente Alessandrino lo ricordano come un poeta molto antico, che visse ai tempi di Cecrope II o di Acrisio; secondo Sesto Empirico visse prima di Omero, mentre secondo due Vitae omeriche Museo fu un suo predecessore. A seconda delle fonti è figlio di Orfeo oppure discepolo di questo e figlio di Selene oppure maestro di Orfeo oppure ancora figlio di Antiofemo; la mitologia narra sia stato cresciuto dalle ninfe. Non vi è una tradizione coerente neppure sulla provenienza: sarebbe di Atene o trace o nato ad Eleusi. L'associazione ad Eleusi è attestata anche in altri modi: secondo alcuni autori avrebbe presieduto ai misteri eleusini, mentre secondo altri sarebbe stato suo figlio Eumolpo (presentato più spesso come figlio di Poseidone) ad istituirli.\nA Museo, poeta e divinatore, la tradizione attribuisce oracoli, una Titanomachia, un Inno a Demetra, un poema di 4000 versi ricordato come Consigli (al figlio Eumolpo), una Eumolpia, una Sfera, un libro Sui Tesproti e l'introduzione dell'Attica dei misteri d'Eleusi. Delle opere attribuitegli si sono conservati pochi frammenti poetici di argomento teogonico e mitologico.\nSecondo Giorgio Colli la figura di Museo potrebbe essersi originata isolando gli elementi apollinei della figura dominante di Orfeo, che si sarebbe così caratterizzata più compiutamente in senso dionisiaco.\nNell'Eneide di Virgilio Enea e la Sibilla incontrano Museo nei Campi Elisi, tra gli spiriti beati più degni, 'che svetta con ampie spalle' (VI, 660-678). E sarà lui, su richiesta della Sibilla, a guidarli verso il sentiero che li condurrà ad Anchise. Museo spiega loro anche la non stabile sede delle anime del luogo (nulli certa domus), e la loro collocazione sparsa tra ameni e confortevoli luoghi naturali (...lucis habitamus opacis / riparumque toros et prata recentia rivis / incolimus).
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### Titolo: Museo archeologico di Eleusi.\n### Descrizione: Il Museo Archeologico di Eleusi è un museo a Eleusi, in Attica, Grecia.\n\nIl museo.\nIl museo si trova all'interno del sito archeologico di Eleusi. Costruito nel 1890, su progetto dell'architetto tedesco Kaverau per conservare i reperti degli scavi, e dopo due anni (1892) fu ampliato sotto i piani dell'architetto greco J. Mousis.\nVi è una collezione di oggetti risalenti al V secolo a.C., quando la reputazione del tempio era panellenica, e il numero di credenti che si trasferirono lì per partecipare alle cerimonie dei misteri eleusini era aumentato significativamente.\n\nMolte delle scoperte sono associate a queste cerimonie. Il maialino votivo ricorda il sacrificio di questi animali per la purgazione dei credenti al Faleron, che ha avuto luogo in alcune fasi preparatorie delle cerimonie, e il kernos, un vaso cerimoniale che veniva usato per i sacrifici e alle offerte fatte per gli altari e i templi, durante il ritorno dei simboli sacri attraverso la via Sacra dall'Antica Agora, di nuovo sino al Santuario per l'iniziazione finale.Tra gli oggetti più importanti del museo sono inclusi: la monumentale anfora protoattica dalla metà del VII secolo a.C., con la raffigurazione della decapitazione della Medusa da parte di Perseo, il famoso 'kore in fuga' dal periodo arcaico, che deriva probabilmente dal progetto architettonico della Sacra Casa, la grande statua senza testa della dea Demetra, probabilmente l'opera della scuola di Agoracrito - uno studente di Fidia - e la Cariatide dal tetto del piccolo Propileo, portando in testa la ciste, il contenitore contenente gli articoli sacri della cerimonia, con un'apparizione in rilievo dei simboli del culto eleusino, che sono: la spiga del grano, i papaveri, i rozete e il kernos.\nLe due scoperte più importanti di Eleusi sono state trasferite al Museo Archeologico Nazionale di Atene mentre al Museo di Eleusi esistono solo le loro copie. Il primo è il rilievo del V secolo a.C., altezza 2,20 m, che mostra Demetra, Kore e il re di Eleusi Trittolemo, che si prepara a insegnare l'agricoltura al mondo, secondo le istruzioni della dea. Il secondo è il tavolo in argilla noto come Tavoletta di Ninnione con un timpano, dedicato da Ninnione, del IV secolo a.C., con scene delle cerimonie nel tempio di Demetra, il cui significato consiste nell'informazione che fornisce i rigorosi rituali segreti dei misteri eleusini.\nInoltre, il museo ospita una collezione completa di ceramiche, risalenti al Medio Evo elladico (2000 o 1950-1580 a.C.) fino ai primi tempi cristiani, con tavole scritte, oggetti metallici, iscrizioni e rilievi, tra cui l'importante rilievo votivo di Rheitoi, con Demetra, Kore, Athena e un uomo eleusino, che in fondo ha le istruzioni per colmare il lago di Rheitoi (lago Koumoundourou).\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Museo archeologico di Olimpia.\n### Descrizione: Il Museo archeologico di Olimpia è uno dei principali musei della Grecia ed ha sede ad Olimpia nell’Elide.\nDipende dal Ministero della Cultura greco (VII eforato delle antichità preistoriche e classiche). È stato il primo museo creato fuori dalla capitale. Ospita le scoperte fatte sull'Altis, nel sito di Olimpia: oggetti che vanno dalla preistoria all'epoca romana fino al VI - VII secolo. I suoi capolavori sono Hermes con Dioniso di Prassitele, i frontoni del tempio di Zeus, la Vittoria di Paionios e la coppa che apparteneva a Fidia. La dimensione della sua collezione di bronzi antichi la rende la più grande del mondo.Il museo è ospitato in due edifici: l'edificio principale con dodici sale espositive (organizzate tematicamente e cronologicamente: preistoria, geometrica e arcaica, arcaici e ceramiche classiche, scultura monumentale in terracotta, frontoni e metope del tempio di Zeus, 'Vittoria di Paionios', laboratorio di Fidia, Hermes con Dioniso di Prassitele, ellenistica, romana, statuaria romana e ultimi anni del santuario) e un'ala con servizi per i visitatori. Un altro edificio, dedicato al negozio del museo, è un po’ fuori mano, a metà strada verso il sito archeologico.\n\nStoria del museo.\nIl primo museo.\nIl museo fu costruito dalla parte opposta del sito degli scavi nella valle nord-ovest della collina Kronion. Il filantropo banchiere Andreas Sygros finanziò (per 220.000 dracme) e affidò il progetto a architetti e archeologi tedeschi, che hanno iniziato lo scavo del sito, Friedrich Adler e Wilhelm Dörpfeld. Un edificio neoclassico fu eretto sulla collina di Drouva all'uscita della città, sulla strada per il santuario. Completato nel 1888, fu il primo museo greco costruito fuori dalla capitale. Danneggiato da un terremoto nel 1954, era diventato troppo piccolo per ospitare tutte le collezioni. La costruzione di un nuovo museo fu decisa negli anni 70. Per lungo tempo inutilizzato, l'edificio ospita dal 2004 il Museo della storia dei giochi olimpici antichi.\n\nIl museo attuale.\nProgettato da Patroklos Karantinos e iniziato nel 1966, il 'nuovo museo' fu completato nel 1975, ma il trasferimento di opere richiese tempo. La mostra definitiva fu inaugurata solo nel 1982 dall'allora Ministro della Cultura, Melina Merkouri. La museografia fu dovuta a Nikolaos Gialouris, poi Eforo delle Antichità, a Ismini Trianti e allo scultore S. Trianitis che fu incaricato di installare la Vittoria di Paionios su un piedistallo specifico. Ma non è stata visibile fino al 1994. Il museo è stato rinnovato come parte dei preparativi per i Giochi olimpici del 2004 ed è stato chiuso da settembre 2003 al 24 marzo 2004. Le collezioni sono state riorganizzate mantenendo lo spirito della prima presentazione. Le stanze sono state ingrandite: luce, ventilazione e aria condizionata rivisti; il negozio è stato spostato; l'Hermes di Prassitele fu installato in una stanza interamente dedicata, su una base anti-terremoto; vennero create nuove stanze: il laboratorio di Fidia e gli ultimi anni del santuario, mentre la mostra sugli antichi Giochi Olimpici, trasferita in un museo specifico.L'attuale museo è organizzato in due edifici. Le collezioni sono nelle dodici sale espositive dell'edificio principale. L'ala est di quest'ultimo è dedicata ai servizi per i visitatori (caffetteria e servizi igienici), mentre i suoi scantinati contengono riserve e laboratori di conservazione (terracotta, bronzi, pietra e mosaici). Il negozio (oggetti e libri) è installato in un altro edificio, tra il museo e il sito archeologico.\n\nCollezioni.\nIl museo è preceduto da un grande peristilio a corte quadrata dove sono esposti vari elementi architettonici e statue (tra cui il busto di una statua colossale di Augusto dal Metrooon), mentre nella hall vi è un modello del sito al suo apice (epoca romana) con tutti gli edifici che sono stati costruiti, ciò permette di visualizzare meglio le due visite (quella del museo e quella del sito stesso).\n\nCollezione preistorica e protostorica.\nLa sala 1 (a sinistra della hall) è dedicata al periodo preistorico, grazie alle scoperte fatte sul sito ma anche nella regione di Olimpia. I frammenti esposti qui e risalenti al periodo neolitico (4300 - 3100 a.C.) sono stati rinvenuti nell'argine settentrionale dello Stadio Olimpico. Sono indicazioni di un'occupazione molto antica del sito. Gli oggetti più antichi (ceramiche fatte a mano e strumenti in pietra) risalgono agli Antico elladico II e III (2700-2000 a.C.). Alcuni provengono dal 'tumulo di Pelope' (tra il tempio di Hera e l'altare di Zeus sul sito archeologico) che viene proposta anche una ricostituzione. Altri sono stati scoperti anche in abitazioni, i più antichi edifici del sito. I vasi esposti sono caratteristici di questo periodo: brocche di tipo, vasi la cui forma è vicina all'anfora, phiale con un solo manico, cantharos e askoi. Le brocche e le phiiale hanno un decoro, in rilievo o inciso, sul labbro, sul manico o sulla base che mostra i rapporti con l'elladico antico tra Olimpia e la cultura di Cetina (nell'attuale Croazia). I legami con la regione dalmata continuarono a lungo, come dimostrano le ceramiche e gli strumenti del Medio elladico (2000 - 1600 a.C.).\nIl periodo miceneo (1600 - 1100 a.C.) è rappresentato da oggetti (terracotta, pietra o bronzo) trovati in varie tombe a tholos della regione, principalmente sulle colline di Zouni e Kalosaka vicino al museo. I vasi micenei, con una semplice decorazione lineare, qui presentati sono principalmente anfore che conservavano olio, anfore a staffe per oli aromatici, alabastro, ovoidali o cilindrici, per unguenti e kylix (vasi per bere). È inoltre possibile vedere gli idoli in terracotta delle donne a forma di ψ, gioielli (collane in pasta di vetro), utensili igienici (rasoi), intagli, armi (punte di lancia), elmi e zanne di cinghiale.La sala termina con tre lastre di bronzo dell'Assiria risalenti al periodo neo-ittita (VIII secolo a.C.). Testimoniano le relazioni tra le due regioni. I loro set evocano una processione con sacerdoti che portano animali al sacrificio e una sfilata di guerrieri (cavalieri e fanti con corazze). Sono stati riutilizzati per coprire oggetti in legno, ora mancanti.\n\nI bronzi.\nQuesta ampia camera (la nº 2) espone oggetti in bronzo, per lo più dei periodi geometrico e arcaico (X e VI secolo a.C.): armi, scudi, elmi, gambali, lebes (vasi) di tutte le dimensioni (miniatura, dimensioni normali o monumentali) come il più antico calderone monumentale superstite su un treppiede risalente al IX secolo a.C., treppiedi, statuette e targhe ornate. Questa è la più grande collezione di bronzi antichi al mondo. Le offerte a Zeus costituiscono la grande maggioranza e dimostrano l'influenza e la ricchezza del santuario in questo periodo.Le offerte a Zeus provengono dall'enorme altare fatto dalle ceneri degli animali sacrificati sull'Altis. Tra queste ceneri, gli archeologi hanno trovato un gran numero di figurine di bronzo umano e animale (e talvolta di argilla) provenienti da tutto il Peloponneso: sono rappresentati i laboratori di Argolide, Corinzia, Laconia ed Elide. I più antichi (IX secolo a.C.) sono quasi astratti. Quanto segue aggiunge poco a poco dei dettagli. Varie interpretazioni sono state proposte per queste statuette. Le figure maschili rappresenterebbero Zeus, a volte guerriero quando c'è l'elmo o la figura di un auriga, a volte un'epifania del dio. Potrebbero anche rappresentare i fedeli nella posizione di pregare. Le figure femminili potrebbero essere Era o un adoratore. Possiamo vedere una figura femminile che cavalca un'amazzone (2 ° quarto dell'VIII secolo a.C.). Un gruppo di sette donne nude che danzano in cerchio potrebbero essere ninfe (VIII secolo a.C.). Le figure animali sono spesso cavalli o tori. I calderoni (di tutte le dimensioni) erano anche un tipo di offerta ricorrente a Zeus. La stanza esibisce tutta la varietà, così come le maniglie (decorate con cavalli nei primi tempi e poi sempre più figure umane o divine come Telchini). Un cavallo (inizi del VII secolo a.C.) in bronzo (ghisa piena) più grande di altre statuette simili esteticamente (e fisicamente nella stanza) segna il passaggio dall'era geometrica all’epoca arcaica. Dal VII secolo a.C. sviluppa uno stile 'orientalizzante' che incorpora nuovi motivi, come leoni, sirene e soprattutto grifoni. Appare anche un nuovo tipo di calderone, il calderone a 'serbatoio inchiodato', che sostituisce il calderone 'serbatoio mobile'. I nuovi modelli sono applicati al bordo del serbatoio. Protomi di sirene o grifoni sono applicati nella decorazione.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nL'epoca arcaica segna un primo apogeo del Santuario e gli oggetti in bronzo di questo periodo sono abbondanti: figurine, placche di bronzo, ma anche armi e scudi (offerte reali o in miniatura). Gli oggetti in bronzo martellato presentati sono notevoli per la loro rarità, come il genio femminile alato. È lo stesso per le lastre di bronzo che coprivano gli oggetti di legno ora mancanti (cassapanche, porte). La placca martellata e scolpita raffigurante un grifone alato è un esempio unico. Le maniglie degli oggetti di uso quotidiano sono sempre più elaborate: il guerriero, il vecchio appoggiato al bastone (550 a.C.), korai (inizi del V secolo a.C.), sfingi opposte su ciascun lato di una pianta (570 - 560 a.C.), un sileno con una candela (530-520 a.C.). I guerrieri o le città vittoriose in battaglia hanno dedicato le loro armi e le armature a Zeus, o piuttosto armi e armature simboliche: non sono tutte sulla stessa scala. Spesso sono incise con un'incisione votiva (con il nome del donatore) o una decorazione. Un'armatura votiva (650-625 a.C.) trovata lungo l’Alfeo, opera di un laboratorio Ionio, dove è decorato in primo piano, Zeus e Apollo (con una cetra) e in secondo piano, dietro Zeus, due divinità maschili; dietro Apollo, due figure femminili identificate come Muse o Vergini iperboree, tutte sullo sfondo di piante e animali fantastici. Gli scudi votivi portano spesso le gorgoni come episodi apotropaici. Caschi votivi sono stati trovati anche a centinaia sul sito: i più numerosi sono quelli di tipo corinzio, poi arrivano gli Illiri e infine i Calcidici.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nLa sala espone anche il parterre centrale, restaurato, in terracotta del tempio di Hera. Le interpretazioni divergono. La più comune è che essa simboleggia la stella solare. Un capo monumentale della dea, in stucco, potrebbe anche venire dal tempio da quando è stato scoperto nelle vicinanze. Opera di un'officina del Peloponneso (circa 600 a.C.), è caratteristica della scultura arcaica, con un sorriso arcaico e occhi a mandorla. Alcune interpretazioni dicono che proviene da un gruppo votivo di Zeus e Hera all'interno del tempio stesso. Altri propongono di vedere una testa sfinge.Una tra le offerte votive più importanti per il santuario di Zeus sono gli elmi dei Dinomenidi offerti dal tiranno di Siracusa Ierone I in occasione della vittoria sugli etruschi nella Battaglia di Cuma del 474 a.C. Negli elmi, due corinzi e uno etrusco vi è un'iscrizione dedicatoria uguale per tutti gli elmi. Un terzo elmo è al British Museum. L'iscrizione recita: ΗΙΑΡΟΝ Ο ΔΕΙΝΟΜΕΝΕΟΣ / ΚΑΙ ΤΟΙ ΣΙΡΑΚΟΣΙΟΙ / ΤΟΙ ΔΙ ΤΙΡΡΑΝΟΝ ΑΠΟ ΚΥΜΑΣ (Ierone figlio dei Dinomenidi e dei siracusani a Zeus dal Tirreno a Cuma).\n\nLe terrecotte.\nLa piccola stanza n. 3 (l'ultima a sinistra) offre principalmente oggetti in terracotta: vasi (prodotti localmente o laconici) ma anche decorazioni architettoniche nei colori conservati dai tesori di Megara e Gela in particolare: frammenti di cornici e frontoni. Si possono anche vedere gioielli in bronzo. Tutti questi oggetti risalgono alla fine del periodo arcaico e all'inizio del periodo classico. Nel mezzo della stanza, un leone, opera di un'officina corinzia, è uno dei primi esempi di scultura monumentale (circa 680-670 a.C.). La parete sud propone il restauro della trabeazione di uno degli unici due tesori che sono stati identificati sul sito: quello di Megara, grazie ad un'iscrizione risalente al periodo romano sull'architrave. Il frontone (5,70 m di lunghezza e 0,75 m di altezza) rappresenta una gigantomachia di cui solo una delle undici figure (un gigante) si trova in un discreto stato di conservazione. Gli dei Zeus, Atena, Heracles, Poseidone e Ares, tuttavia, sono divinizzati. Serpenti e mostri marini completano l'arredamento agli angoli.\n\nSculture monumentali in terracotta.\nLa stanza n. 4 ospita esempi molto rari (a causa della loro fragilità) di terracotta monumentale statuaria. Il gruppo più famoso è quello di Zeus che rapisce Ganimede, rappresentato dello stile severo e opera di un laboratorio corinzio (480-470 a.C.): Zeus ha ancora il 'sorriso arcaico', ma i suoi occhi sono già espressivi. Deve essere stato l'acroterium centrale di uno dei tesori. Sono esposti anche altri tesori di acroteri: un delfino che salta sulle onde (circa 400 a.C.), un leone seduto (metà del V secolo a.C.) o una testa di Atena, con gli occhi a mandorla che indossa un elmo attico e una corona decorata con un fiore di loto (circa 490 a.C.). La stanza esibisce anche oggetti in bronzo. Gli elmetti di Milziade e Gerone erano dedicati a Zeus. Milziade offrì l'elmo (che si trovava nell'argine meridionale dello stadio) che indossava durante la battaglia di Maratona (490 a.C.). Un elmetto assiro, bottino di questa stessa battaglia, consacrata dagli Ateniesi, viene successivamente esposta. L'elmo offerto da Gerone celebra la sua vittoria contro gli Etruschi nella battaglia di Cuma (474 a.C.): un elmo con un'iscrizione simile è nel British Museum. Una testa di ariete di bronzo trovata vicino alla parete ovest dello stadio, un unico antico esempio, risalente alla prima metà del V secolo a.C., è decorato con una testa di ariete.\n\nFrontoni e metope del tempio di Zeus.\nLa grande sala centrale (n. 5) del museo è dedicata al Tempio di Zeus. La sua lunghezza corrisponde alla larghezza del tempio, in modo da esporre i frontoni (42 statue in totale), in stile severo, nella loro interezza. Il frontone è (sulla sinistra mentre entrate dalla sala) rappresenta i preparativi per la corsa dei carri tra Pelope ed Enomao. Il frontone occidentale rappresenta la battaglia tra i Centauri e Lapiti, sotto gli occhi di Apollo, la figura centrale. Le statue sono tutte di marmo Paros, tranne sul frontone occidentale dove le figure sono in marmo pentelico, un segno di restauro durante l'antichità: una donna nell'angolo sinistro (sostituita nel IV secolo a.C.). e le due donne nell'angolo destro (sostituite nel I secolo a.C.). Tracce di colore mostrano che i frontoni furono dipinti.\n\nFrontone est.\nQuesto frontone (datato 470-456 a.C.), con una larghezza di 26,39 m e un'altezza massima di 3,15 m, rappresenta, con 21 statue, i preparativi per la corsa dei carri tra Pelope ed Enomao, uno dei miti fondatori degli antichi Giochi Olimpici. Pausania lo attribuisce allo scultore Peonio di Mende. Le versioni più recenti parlano del 'maestro di Olimpia'. Il frontone risale alla metà del V secolo a.C. Le statue, nella scala 1,5, sono tutte a tutto tondo, tranne tre cavalli. Nessuna delle statue è completa. Nessuna traccia delle carrozze (in bronzo come le armi dei personaggi) è stata trovata tranne dove erano collegati ai cavalli. Il posto delle figure è stato fissato in base al luogo in cui sono stati trovati durante gli scavi, da cui le interpretazioni talvolta divergono contraddittorie.Le ricostruzioni più recenti propongono come figura centrale Zeus, con la saetta in mano. Considerato invisibile ai concorrenti, si rivolse a Pelope, che preferiva. Sulla sinistra, si trova Enomao, con elmetto, una lancia, scomparsa, in mano, poi sua moglie Sterope, con una mano sul mento, come segno di ansia. Poi vengono i cavalli di Enomao. Ai loro piedi c'è una statua le cui interpretazioni variano: alcuni vedono uno sposo sconosciuto, altri Mirtilo, l'auriga di Enomao. Poi vengono un indovino (Clizio o Amitaone), un giovane che potrebbe essere l'auriga Mirtilo di nuovo e, infine, la personificazione del fiume Cladeo in un angolo del frontone, o l'Alfeo secondo altre interpretazioni. Sulla destra, Pelope, con elmo, una lancia scomparsa, nella mano destra e uno scudo scomparso nella mano sinistra. Alla sua destra, la sua futura moglie, il premio per la corsa dei carri, Ippodamia, solleva una sezione del suo peplo, un gesto rituale della sposa. Una giovane donna si prende cura dei cavalli. Poi arriva un indovino (Clizio, Iamo o Amitaone), il viso esprime angoscia perché pianifica l'esito della gara. La seguente figura è di un bambino che gioca con il suo dito del piede. Infine, la personificazione del fiume Alfeo (o Cladeo) all'angolo del frontone.\n\nLe metope.\nAnche in questa stanza ci sono metope (1,50 m per 1,60 m) dal tempio l’opistodomo che rappresenta le opere di Ercole, alcune delle quali sono copie di quelle originali che sono state nel Museo del Louvre a fronte della campagna di Morea. Le quattro metope meglio conservate sono gli uccelli del lago Stinfalo, la terza metopa sul lato ovest (originale al Louvre e copia ad Olimpia); il toro di Creta, la quarta metopa sul lato ovest (originale al Louvre e copia ad Olimpia); le mele d'oro del Giardino delle Esperidi, la quarta metopa sul lato est (l’originale è ad Olimpia) le scuderie di Augia, la sesta metopa sul lato est (originale ad Olimpia). Tutte le metope sono in marmo pario e sono attribuite al 'maestro di Olimpia'.\n\nNike di Peonio.\nUna stanza speciale, la n. 6, è stata riservata alla 'Nike di Peonio', un esempio rappresentativo dello 'stile ricco'. A causa di Peonio, uno scultore di Calcide che firmò il piedistallo, fu dedicata a Zeus nel 421 a.C. dai Messeni e dai lepantini dopo la sconfitta di Sparta a Sfacteria nel 425 a.C. O una delle ultime battaglie della cosiddetta fase di 'guerra archidamica' nella guerra del Peloponneso. La statua, alta 2,11 o 2,90 m secondo le fonti, era su un piedistallo alto 8,81 m a sud-est del tempio di Zeus sull'Altis. È considerata la prima statua monumentale di Nike ('Vittoria') della storia. È anche la prima rappresentazione conosciuta di una Nike in volo. Realizzata in marmo Paros, è danneggiata. Mancano le ali, l'himation (cappotto) che galleggia dietro di lei e il suo viso, ma il suo movimento è ancora visibile. Lei scende dall'Olimpo e sta mettendo piede sul terreno. Ha ancora le ali spiegate. Il suo chitone (tunica), molto vicino al corpo, rivela tutte le forme e le proporzioni. Tracce di pittura hanno mostrato che era dipinto di rosso. Sotto i suoi piedi c'era anche un'aquila di cui rimane solo la testa (le sue ali erano fatte di metallo).\n\nBottega di Fidia.\nIl laboratorio dello scultore Fidia, nella parte occidentale del sito, fu definitivamente identificato nel 1958 grazie alla scoperta di un oinochoe recante il nome del suo proprietario. Questo oinochoe è esposto in questa stanza (n. 7) con strumenti e stampe che sono state usate per realizzare la statua crisoelefantina di Zeus, una delle sette meraviglie del mondo.\n\nL’Hermes di Prassitele.\nLa stanza 8 è stata progettata appositamente per ospitare la statua di Hermes con Dioniso di Prassitele. La statua in marmo di Paros alta 2,13 m ha infatti una base antisismica e un'illuminazione specifica basata sulla luce naturale. L'Hermes fu scoperto nel 1877 nella cella del tempio di Era e fu identificato grazie alla descrizione lasciata da Pausania. Tuttavia, questa attribuzione continua a suscitare polemiche tra gli specialisti. Quando fu scoperta, la statua era in discreto stato di conservazione. Tuttavia, la gamba sinistra sotto il ginocchio, l'intera gamba destra e la parte inferiore del tronco dell'albero dovevano essere restituite. Hermes, appoggiato a un tronco d'albero, è nudo e porta sul braccio sinistro Dioniso ancora piccolo. Nella sua mano sinistra, doveva tenere un caduceo che è scomparso oggi. La mano destra (scomparsa con l'intero braccio tagliato sopra il gomito) doveva contenere un grappolo d'uva che Dioniso stava cercando di afferrare. Tracce di vernice rosso-marrone sono state trovate nei capelli e su un sandalo di Hermes, così come tracce delle intonaco.\n\nLa collezione ellenistica.\nLa collezione ellenistica che copre il periodo dal IV al I secolo a.C. è raggruppata nella piccola stanza n. 9. La collezione è davvero molto ridotta rispetto alle statue offerte al santuario nel corso del tempo. I pezzi sono quasi tutti scomparsi: forse rimossi per adornare Costantinopoli, come la statua crisoelefantina di Zeus, forse distrutta in seguito all'editto di Teodosio II e poi terremoti o forse scomparsi nelle fornaci di calce nei secoli seguenti. In questa stanza, oltre alla ceramica, possiamo vedere una piccola statua maschile allungata, talvolta identificata in Dioniso (IV o III secolo a.C.), una statua di una donna seduta (I secolo a.C.), una testa di Afrodite del tipo 'Afrodite cnidia', così come altri frammenti di statue ed edifici (Leonidaion e Philippeion).\n\nIl ninfeo.\nLa sala 10 contiene la prima parte della collezione romana del museo: le statue del ninfeo eretto da Erode Attico e sua moglie Regilla nel 160 per risolvere i problemi di approvvigionamento idrico del santuario.Su un lato della stanza, le statue, più o meno complete, del piano superiore della fontana dell'esedra sono presentate secondo un arco che richiama la forma originale del monumento. Rappresentano la famiglia allargata di Erode Attico: la testa di M. Appio Bradua (nonno di Regilla); il corpo senza testa di Régillus (figlio di Erode e Regilla); Athenais (figlia minore di Erode), del tipo 'piccola Ercolanese'; il corpo senza testa di Tito Claudio Attico Erode (padre di Erode); una statua centrale di Zeus, del tipo 'Dresda', una copia marmorea di un originale in bronzo del 430 a.C.; una statua femminile senza testa del tipo 'grande ercolanese' e identificata come quella di Regilla; la statua anche acefala di Appio Annius Gallo (padre di Regilla); Attilia Caucidia Tertulla (anch'essa appartenente alla famiglia) e infine Elpinice (figlia maggiore di Erode). Al centro della stanza, come il centro del bacino superiore del toro-fontana, in marmo con una scritta che indica che è stato dedicato a Zeus da Regilla, moglie di Erode e sacerdotessa di Demetra Chamyne. Dall'altra parte della stanza, accanto alle finestre, sono esposte le statue del livello più basso del ninfeo che rappresenta i membri della famiglia imperiale: la statua acefala di Marco Aurelio è stata posta in un naiskos (da cui proviene anche un capitello corinzio esposto nella stessa stanza); Faustina la vecchia (moglie di Antonino Pio); Faustina la Giovane (figlia di Antonino Pio e moglie di Marco Aurelio); una statua di una ragazza che potrebbe rappresentare Lucilla o Annia Faustina, le figlie di Marco Aurelio; la testa di Lucio Vero giovane. È anche possibile vedere una statua completa di Marco Aurelio, una statua di Adriano e, infine, una statua acefala identificato come Erode Attico e anche dal naiskos.\n\nMetrooon ed heraion.\nIl Metroon è un piccolo tempio dorico situato sull'Altis tra i tesori e il tempio di Era. Fu dedicato alla Madre degli dei nel IV secolo a.C. e poi convertito in epoca romana nel tempio di Augusto e Roma. La piccola stanza n. 11 su un lato espone statue di questo edificio (Agrippina minore, madre di Nerone, sacerdotessa, la testa coperta con la sua imazione e Tito) e l'altra quelli del tempio di Era (Herai): una statua di una nobile non identificata, una statua di Poppea (la seconda moglie di Nerone) e una statua di Domizia (moglie di Domiziano).\n\nGli ultimi anni del santuario.\nLa stanza 12 è dedicata agli ultimi 'anni' o ai secoli del santuario. Si può vedere vasi e utensili per la casa in terracotta, così come gli oggetti in bronzo e altri metalli (asce, zappe, vanghe, martelli, ecc) che coprono un periodo che va dal II secolo fino alla fine del VI secolo, inizio del VII secolo quando il sito fu definitivamente abbandonato. Oggetti trovati durante gli scavi del cimitero romano di Frangonissi, due chilometri a est di Olimpia, usati dal I al IV secolo d.C., sono in mostra qui: gioielli, giocattoli (bambole e figure di animali) e soprattutto vasi di vetro, che a volte i vasi più grandi, come un'oinochoe in vetro del V secolo a.C. Gli ultimi articoli cronologicamente e museograficamente sono vasi di terracotta, fatti a mano e prodotti da tribù slave ambientate nella regione nel VI e VII secolo.\n\nI pezzi famosi.\nL'Hermes con Dioniso di Prassitele.\nLa Nike di Peonio di Mende.\nZeus e Ganimede.\nFrontoni del tempio di Zeus.\nIl casco di Milziade.\nMiniatura in bronzo di un cavallo.La statua di Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus era raffigurata sulla banconota da 1000 dracme dal 1987 al 2001.
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### Titolo: Museo di Troia.\n### Descrizione: Il Museo di Troia (in Turco Troya Müzesi o Truva Müzesi) è un museo archeologico situato vicino al sito archeologico dell'antica città di Troia, nel nord-ovest della Turchia. Inaugurato nel 2018, espone sette sezioni in un edificio contemporaneo i manufatti storici di Troia e di altre antiche città limitrofe e dalle isole vicine. Il direttore del museo è Ali Atmaca.\n\nEdificio del museo.\nIl Museo di Troia si trova a circa 800 m a est del sito archeologico della città di Troia nel villaggio di Tevfikiye, nel distretto di Ezine nella provincia di Çanakkale, Turchia nordoccidentale.Il concorso di progettazione per l'edificio del museo è stato vinto da Yalın Mimarlık nel 2011. Mimarlık ha progettato l'edificio in uno stile architettonico semplice e contemporaneo. La costruzione è iniziata nel 2013, si è interrotta nel 2015 e ha ripreso nel 2017.\nL'edificio a forma di cubo di quattro piani a pianta quadrata è rivestito in acciaio antichizzato color ruggine per dare l'impressione che sia stato estratto dal sito archeologico. L'altezza dell'edificio è equivalente alla profondità dello scavo nel sito archeologico di Troia. Le aree espositive coprono 2,700 m per un totale di 12,750 m di area interna. Le aree espositive di 32 m × 32 m sono racchiuse da luoghi di lavoro, magazzini e sale conferenze. Il piano interrato è riservato alle funzioni di servizio. L'ingresso al museo è a 12 m tramite un'ampia rampa che conduce a un cancello sotterraneo.\nIl costo totale dell'edificio è stato di ₺ 45 milioni (circa $ 8 milioni). Il museo è stato inaugurato il 10 ottobre 2018, l ''Anno di Troia' come dichiarato in Turchia.\n\nL'esposizione.\nLe nicchie sui muri della rampa d'ingresso contengono lapidi, statue di grandi dimensioni, scene e fotografie di dimensioni murali provenienti dai vari livelli degli scavi di Troia. All'ingresso vengono spiegate al visitatore le informazioni sulla scienza archeologica, i metodi di datazione e i termini come la conservazione e il restauro del patrimonio culturale, i tumuli e i periodi preistorici del Neolitico, Calcolitico, Età del Bronzo ed Età del Ferro a scopo di orientamento. Il museo presenta anche design grafici visivi, diorami e display interattivi.\nIl museo contiene sette sezioni. Il piano terra è riservato ai manufatti della regione della Troade, oggi penisola di Biga. Si tratta di resti archeologici delle antiche città di Asso (Behramkale), Tenedo (Bozcaada), Pario, Alessandria Trode (Eski Stambul), Smintheion, Lampsaco (vicino a Lapseki), Thymbra, Tavolia e Imbro (Gökçeada). In mostra ci sono circa 2.000 pezzi della collezione del museo di circa 40.000 manufatti diversi, che sono stati trasferiti dal Museo Archeologico di Çanakkale, Musei Archeologici di Istanbul e Museo delle Civiltà Anatoliche. È stato richiesto il trasferimento di monete di Troia dal Museo archeologico di Smirne. Le mostre includono raccoglitori di lacrime, bottiglie di profumo in vetro e terracotta, statuette, pezzi d'oro, collane e braccialetti, monete, ornamenti, oggetti e strumenti in osso, contenitori di metallo, ceramiche in terracotta, armi, asce e taglierine, pietre miliari, iscrizioni, altari, sarcofagi sculture e molti altri pezzi speciali della storia di 5.000 anni della zona. Tra i pezzi notevoli ci sono il sarcofago di Polissena scavato nel 1994 e la statua del dio greco Tritone scoperta nel 2012. Manufatti in pietra, colonne, stele e capitelli di colonne sono esposti nel cortile del museo.
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### Titolo: Nannaco.\n### Descrizione: Nannaco (in greco antico Ναννακός Nannakos), in mitologia, è un re antediluviano della Frigia.\n\nLa leggenda.\nSecondo un oracolo, alla sua morte sarebbe avvenuto il Diluvio universale. Per evitare che la profezia si avverasse, il re cercò di convincere gli dei con incessanti preghiere, assieme a tutto il suo popolo. Nacque così l'espressione proverbiale 'lamentarsi con Nannaco'.\nSecondo un'altra versione del mito, Nannaco morì all'età di 300 anni e, immediatamente dopo, un'imponente alluvione distrusse completamente il territorio della Frigia.\n\nFonti.\nIpponatte.
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### Titolo: Napee.\n### Descrizione: Le Napee (dal greco ναπη, 'valle boscosa') sono le ninfe che presidiano nelle valli e nei prati. Amano la solitudine, ma a volte avevano delle relazioni d'amore con qualche eroe, dal quale esigevano un'assoluta fedeltà.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Napaea, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Naponos.\n### Descrizione: Nàpònòs fu una divinità adorata nelle colonie sicule della Magna Grecia, tipicamente tra Gela e Butera.\n\nDescrizione.\nMorfologicamente Naponos tendeva ad assumere sembianze umane, ma era dotata di tre occhi, di cui il terzo simboleggiava la conoscenza interiore.\n\nResti archeologici.\nTra i ritrovamenti delle fattorie greco-romane nelle campagne buteresi sono state trovate numerose incisioni inneggianti a Naponos; i siti archeologici di Fontana Calda, Desusino e Suor Marchesa hanno dei reperti che citano direttamente la divinità.\nNaponos viene citato nei manoscritti ritrovati nella tomba di Eschilo, a Gela, oltre che nelle numerose incisioni sulle Mura Timoleontee.\nQuesti manoscritti raffigurano la divinità impegnata a concedere la sua saggezza interiore al figlio Minchas, nato dalla sua unione con Stichia, ancella di Venere.
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### Titolo: Narciso (mitologia).\n### Descrizione: Narciso (in greco antico: Νάρκισσος?, Nárkissos) è un personaggio della mitologia greca, un giovane cacciatore, famoso per la sua bellezza. Figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso (o, secondo un'altra versione, di Selene ed Endimione), nel mito appare incredibilmente crudele, in quanto disdegna ogni persona che lo ama. A seguito di una punizione divina, s'innamora della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d'acqua e muore cadendo nel lago in cui si specchiava.\nEsistono diverse versioni del mito: una proviene dai Papiri di Ossirinco ma non è attribuita a Partenio; un'altra si trova nelle Narrazioni di Conone, datata fra il 36 a.C. e il 17 d.C., mentre le più note sono la versione di Ovidio, contenuta nelle Metamorfosi, e quella di Pausania, proveniente dalla sua Guida o Periegesi della Grecia.\n\nLa versione ellenica.\nLa versione ellenica del mito appare come una sorta di racconto morale, nella quale il superbo e insensibile Narciso viene punito dagli Dei per aver respinto tutti i suoi pretendenti di sesso maschile e, in un certo qual senso, lo stesso Eros. Il racconto è quindi pensato come una storia di ammonimento rivolto ai giovani.Fino a poco tempo fa, le due fonti per questa versione del mito erano un compendio delle opere di Conone, un greco contemporaneo di Ovidio, conservato nella Biblioteca di Fozio e un brano di Pausania, vissuto circa 150 anni dopo Ovidio. Un racconto molto simile è stato però scoperto nel 2004 tra i papiri di Ossirinco, che si crede messi per iscritto da Partenio. Questa versione precede quella di Ovidio di almeno cinquant'anni.\nIl mito greco narra che Narciso aveva molti innamorati, che lui costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo un giovane ragazzo, Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse l'addome davanti alla sua casa, avendo prima invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta.La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di se stesso. Completando la simmetria del racconto, preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise trafiggendosi il petto. Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue, si dice che spuntò per la prima volta l'omonimo fiore.\n\nLa versione romana.\nNel racconto di Ovidio, probabilmente basato sulla versione di Partenio, ma modificata al fine di aumentarne il pathos, Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di un giovane vanitoso di nome Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope. Cefiso aveva circondato Liriope con i suoi corsi d'acqua e, avendola così intrappolata, aveva sedotto la ninfa, che diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza. Preoccupata per il futuro del bimbo, Liriope consultò l'indovino Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia 'se non avesse mai conosciuto se stesso.'Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età era un giovane di tale bellezza, che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, s'innamorava di lui; ma Narciso, orgogliosamente, respingeva tutti. Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi, desiderosa di rivolgergli la parola, ma era incapace di parlare per prima, perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto; era stata infatti punita da Giunone, perché l'aveva distratta con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove, si nascondevano.\nNarciso, quando sentì dei passi, gridò: 'Chi è là?', Eco rispose: 'Chi è là?' e così continuò, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa, dicendole di lasciarlo solo. Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce.Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso. Il ragazzo, mentre era nel bosco, s'imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, s'innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso. Solo dopo un po' si accorse che l'immagine riflessa apparteneva a se stesso e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell'amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia.\nQuando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore, al quale fu dato il nome di narciso. Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso.\n\nLa versione di Pausania.\nPausania individua la fonte di Narciso a Tespie, in Beozia. Lo scrittore greco trova poco credibile che qualcuno non sia in grado di distinguere un riflesso da una persona reale e cita una variante meno nota, alla quale dà più credito.\nIn questa versione, Narciso aveva una sorella gemella, del tutto somigliante a lui, con la quale andava spesso a caccia. Narciso alla fine s'innamorò di lei e, quando questa morì, recandosi alla fonte, capì di vedere la propria immagine, ma quel viso assomigliava così tanto alla sorella amata, che gli era di grande consolazione.\nPausania, inoltre, fa notare che il fiore narciso doveva esistere ben prima del personaggio omonimo, visto che il poeta epico Pamphos, vissuto molti anni prima, nei suoi versi narra che, quando Persefone fu rapita da Ade, stava raccogliendo proprio dei narcisi.\n\nNella cultura di massa.\nIl mito di Narciso è stato un'assidua fonte d'ispirazione per gli artisti fino ai giorni nostri, anche ben prima che il poeta latino Ovidio includesse una versione del mito nel libro III delle sue Metamorfosi.\n\nPittura.\nFra i principali pittori che hanno dedicato opere al mito di Narciso si possono citare: Caravaggio (Narciso, 1600 ca.), Nicolas Poussin (Narciso ed Eco, 1630 ca.), François Lemoyne (Narciso, 1728), William Turner (Narciso ed Eco, 1804), John William Waterhouse (Eco and Narciso, 1903), Salvador Dalí (Metamorfosi di Narciso, 1937).\n\nLetteratura.\nIl mito e la figura di Narciso sono stati ripresi in secoli più recenti da vari poeti, ad esempio John Keats e Alfred Edward Housman.\nIl mito ha influenzato la cultura omoerotica dell'era vittoriana, attraverso lo studio di André Gide del mito (Il Trattato di Narciso, 1891) e l'opera di Oscar Wilde, soprattutto il romanzo Il ritratto di Dorian Gray.\nFëdor Dostoevskij utilizza in alcune poesie e romanzi personaggi con un carattere simile a Narciso (come Jakov Petrovic Goljadkin ne Il sosia, 1846).\nNel romanzo di Stendhal Il rosso e il nero (1830) il personaggio di Mathilde mostra un tipico carattere narcisista; dice difatti il principe Korasoff a Julien Sorel: 'Guarda solo se stessa, invece di guardare voi, e così non vi conosce'.\nHerman Melville fa riferimento al mito di Narciso nel suo romanzo Moby Dick, quando Ismaele spiega che il mito è la chiave di tutto, riferendosi alla questione se sia possibile ritrovare l'essenza della verità all'interno del mondo fisico.\nNei Poemi Conviviali il poeta italiano Giovanni Pascoli dedica il poemetto I Gemelli a Narciso, traendo ispirazione dalla variante riportata da Pausania.\n\nLo scrittore e poeta Rainer Maria Rilke visita il carattere e il simbolismo di Narciso in molte delle sue poesie.\nNarciso ha ispirato anche Edgar Allan Poe nel suo William Wilson.\nNel 1930 la figura di Narciso è riproposta dallo scrittore tedesco Hermann Hesse col romanzo Narciso e Boccadoro, nel quale il personaggio è presentato in veste di monaco medievale; qui il 'narcisismo' si basa sulla sua intelligenza, piuttosto che sulla bellezza fisica.\nUn personaggio del Santuario (1931) di William Faulkner viene denominato Narcissa; è la sorella di Orazio, la quale prova una sorta di amore incondizionato nei confronti del fratello.\nAnche il libro di Paulo Coelho L'alchimista (1988) inizia con un riferimento a Narciso.\nSéamus Heaney cita Narciso nel suo poema Personal Helicon dalla sua prima collezione Death of a Naturalist.\n\nMusica.\nA Narciso è dedicato il secondo pezzo del trittico dei Miti op. 30 per violino e pianoforte, del compositore polacco Karol Szymanowski.\nSono state dedicate varie canzoni a questo tema: License to Kill di Bob Dylan si riferisce indirettamente a Narciso; il gruppo metal greco Septic Flesh ha inciso una canzone su Narciso (intitolata Narcissus) nel suo album Communion; il testo della canzone Reflection dei Tool è parzialmente incentrato sul mito di Narciso; altre canzoni inerenti al mito sono: Narcissus di Alanis Morissette, The daffodil lament di The Cranberries e Deep six di Marilyn Manson.\nFra gli autori italiani si può citare: Narciso, tratta dall'album Pierrot Lunaire del gruppo omonimo, La lira di Narciso, tratta dall'album Bianco sporco dei Marlene Kuntz, Parole di burro tratta dall'album Stato di necessità di Carmen Consoli, Una storia d'amore e di vanità di Morgan (Da A ad A. Teoria delle catastrofi), La Cantata del Fiore di Nicola Piovani, Eco e Narciso di Francesco Camattini ed Eco e Narciso-il musical di Nicola e Gianfranco Salvio. Tra i brani di rap italiano ispirati alla figura di Narciso, figurano Specchio di KenKode & Rancore, Narciso di Mattak, Narciso di Beba e Narciso di Lanz Khan presente nell'album Jack Di Fiori.\n\nSu pellicola.\nPink Narcissus (1971) è un film artistico di James Bidgood sulle fantasie di un ragazzo dedito alla prostituzione maschile.\nL'autore Norman McLaren ha concluso la sua carriera nel 1983 con un cortometraggio intitolato Narciso, nel quale racconta la leggenda greca attraverso il balletto.\nNel film tunisino del 2005 Bab'Aziz - Il principe che contemplava la sua anima diretto da Nacer Khemir il mito di Narciso viene interpretato dalla figura di un antico principe, il quale sta seduto davanti ad un laghetto cercando di guardarvi dentro, giorno dopo giorno, il riflesso della propria anima.\n\nAdozione del termine 'narcisismo' in psicologia.\nNel 1898 Havelock Ellis, un sessuologo inglese, usa il termine narcissus-like in un suo studio sull'autoerotismo, in riferimento alla 'masturbazione eccessiva', in cui la persona diventa il proprio unico oggetto sessuale.Nel 1899, Paul Näche è la prima persona ad utilizzare il termine 'narcisismo' in uno studio sulle perversioni sessuali.\nNel 1911, Otto Rank pubblica il primo scritto psicoanalitico specificamente centrato sul narcisismo, collegandolo alla vanità e all'auto-ammirazione.Nel 1914, Sigmund Freud pubblica un saggio sul narcisismo, intitolato Introduzione al narcisismo, nel quale amplia il significato del termine, introducendo i concetti di narcisismo primario e di narcisismo secondario o protratto.\nAttualmente un disturbo della personalità è denominato disturbo narcisistico di personalità e, in generale, col termine 'narcisismo' si viene ad indicare l'amore, spesso esagerato, che una persona prova per la propria immagine e per se stesso.
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### Titolo: Nasso (isola).\n### Descrizione: Nasso (detta anche Naxos o in greco Νάξος?) è la più grande (428 km²) delle Cicladi, isole della Grecia situate nel Mar Egeo. Faceva parte della Prefettura delle Cicladi e attualmente fa parte dell’unità periferica di Nasso che fa a sua volta parte della Periferia dell'Egeo Meridionale.\nLa sua città più grande nonché capitale è Chora (Χώρα) che conta 12.000 abitanti. I più importanti villaggi sono Filoti, Apiranthos, Tragea, Koronos, Sangri e Apollonas.\nNasso è una conosciuta destinazione turistica con diverse località archeologiche di facile accesso, degni di nota sono la Portara, ovvero la porta del Tempio di Apollo, il Tempio di Demetra e la chiesa di San Giorgio Diasoritis. Possiede molte spiagge considerate molto belle dai turisti quali Sant'Anna, San Procopio, Alikos, Kastraki, Mikri Vigla, Plaka e San Giorgio, la maggior parte delle quali situate sul lato occidentale dell'isola.\nÈ l'isola più fertile delle Cicladi e al suo interno si erge il monte Zas (1004 m).\n\nGeografia.\nIsola montuosa (la cima più alta è quella di Zas, 1004 m), la più alta di tutte le Cicladi.\n\nStoria.\nPrimi abitanti ed epoca arcaica.\nSecondo il mito, raccontato spesso con alcune varianti, Arianna, che aveva aiutato Teseo a uccidere il Minotauro, fu abbandonata a Nasso (da cui l'espressione 'piantare in Nasso', diventata poi 'piantare in asso'), allora chiamata Dia. Dopo poco sopravvenne Dioniso su un carro tirato da pantere che, conosciutala, volle sposarla.\nNasso fu abitata per la prima volta, secondo la tradizione, dai Traci che vi portarono anche il culto del dio Dioniso. Furono seguiti dai Cari. Fu anche il centro della civiltà cicladica (3200-2100 a.C.).\nIn località Apollonas e Fleriò sono stati rinvenuti 2 Kouroi del VII secolo a.C.. E sempre tra il VII secolo a.C. e il VI secolo a.C. vennero costruiti i magnifici 5 leoni (che in origine erano 9) donati al santuario di Apollo a Delo.\nNel 547 a.C., con l'aiuto di Pisistrato, Ligdami divenne tiranno di Nasso. Ligdami inoltre iniziò la costruzione della Portara nel 530 a.C. e sempre nello stesso anno iniziò la costruzione del tempio di Demetra che insieme a quello di Apollo erano atti a simboleggiare lo sviluppo urbanistico prendendo ispirazione da Pisistrato ad Atene. Il tempio situato.\nnelle vicinanze del villaggio di Angri, venne poi abbandonato e riutilizzato come chiesa nel V secolo d.C. per poi essere saccheggiato e distrutto dai pirati ed infine i suoi marmi essere usati per le abitazioni durante il periodo veneziano e ottomano.\n\nGuerre persiane.\nNel 502 a.C. gli abitanti di Naxos si ribellarono al giogo dell'impero persiano. Questa rivolta incitò in Asia Minore la rivolta ionica che a sua volta condusse alla I Guerra Persiana. Nel 499 a.C. Aristagora e Artaferne assediarono l'isola dando il via alle guerre persiane.\n\nPeriodo bizantino.\nDurante il VII e VIII secolo Naxos è il centro commerciale più importante delle Cicladi. Sempre sotto il dominio bizantino, nell'XI secolo nelle vicinanze del villaggio di Halki venne costruita la chiesetta di agios Georgios Diasoritis sui resti di un tempio paleocristiano. L'edificio all'interno è ricoperto di affreschi del secolo rappresentati il cristo coronato dagli arcangeli, le principali scene dei Vangeli e ovviamente san Giorgio. La chiesa è a croce greca e la cupola è sorretta da 4 pilastri.\n\nI Duchi di Naxos.\nDopo la quarta crociata essendo sul trono di Costantinopoli un imperatore favorevole alla Serenissima, il veneziano Marco Sanudo conquistò l'isola e di lì a poco anche il resto delle Cicladi, nominandosi Duca di Naxos o anche Duca dell'Arcipelago. Le Cicladi furono governate fino al 1566 da 21 duchi divisi in due dinastie, fino a quando il pirata ottomano Khayr al-Dīn Barbarossa la conquistò ponendola sotto il dominio ottomano. Il controllo veneziano dell'Egeo continuò su alcune isole fino al 1714. Sull'isola sono presenti varie abitazioni in stile veneziano in particolare il capoluogo conta alcune splendide residenze veneziane con i rispettivi stemmi nobiliari; una di queste ospita il 'Museo Veneziano della Rocca-Barozzi'. Grazie ai veneziani inoltre si diffuse il cattolicesimo nelle Cicladi e in particolare sull'isola che conta anche una cattedrale, nonostante la maggioranza rimanga ortodossa.\n\nNaxos ottomana.\nL'amministrazione ottomana che successe al Ducato di Naxos lasciò sostanzialmente tutto nelle mani dei veneziani, essendo soddisfatti con le entrate fiscali delle isole. Pochi furono i turchi che si trasferirono alle cicladi e l'influenza turca è tutto sommato trascurabile. La sovranità turca durò fino alla rivolta del 1821.\n\nCucina.\nNel territorio dell'isola è coltivata una patata, IGP dal 29 novembre 2011.\n\nIl mito di Arianna e la possibile origine della locuzione 'piantare in asso'.\nSecondo una nota ricostruzione, la frase idiomatica italiana 'piantare in asso' deriverebbe per corruzione linguistica dall'originaria espressione 'piantare in Nasso' e affonderebbe le proprie radici nella mitologia greca: Arianna, dopo aver aiutato con il suo filo l'eroe ateniese Teseo a sconfiggere il Minotauro e a uscire dal labirinto di Cnosso, fuggì insieme agli ateniesi, ma fu abbandonata ('piantata') da Teseo sull'isola di Nasso, per motivi che il mito non chiarisce.\nStudi più recenti, tuttavia, suggeriscono un etimo differente per la locuzione popolare, ossia «fare il punto più basso (l'uno)» alle carte o ai dadi». In base a tale ricostruzione, per 'piantare in asso' deve intendersi «lasciare solo, abbandonare inaspettatamente o bruscamente, presa la similitudine dall'asso, che sta solo ed è il punto peggiore (...)».\nSecondo l'Accademia della Crusca, 'piantare in asso' avrebbe apparentemente un'origine anteriore a 'piantare in Nasso': l'impiego della seconda forma risulta comunque formalmente corretto, essendosi attestato nel corso dei secoli parallelamente alla prima.\n\nGalleria d'immagini.
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### Titolo: Nauplio (mitologia).\n### Descrizione: Nauplio (in greco antico Ναύπλιος, Nàuplios) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Clitoneo e padre di Palamede, Eace e Nausimedonte.\n\nMitologia.\nFu il fondatore della città di Nauplia e re dell'Eubea. Per vendicare il figlio lapidato dai suoi stessi compagni insinuò il dubbio tra le donne dei comandanti greci circa la condotta dei loro mariti, i quali a suo dire spendevano buona parte del tempo in compagnia di concubine locali che in seguito intendevano riportare in Grecia. Conseguenza di questo gesto fu tra l'altro il tradimento di Clitennestra con Egisto.\nFu sempre Nauplio che fece pervenire ad Anticlea, madre di Ulisse, la falsa notizia che il figlio era morto in combattimento, cosa che portò la donna al suicidio. Non pago ingannò la flotta achea di ritorno da Troia: durante la notte fece accendere dei fuochi lungo la scogliera, sul monte Cafareo; molte navi della flotta, credendo di essere in prossimità di un porto, vi andarono a naufragare.Lo scopo principale di Nauplio era la morte di Ulisse, il responsabile dell'inganno contro Palamede, ma saputo che egli si era salvato, il re dell'Eubea si uccise. Secondo un'altra versione fu lo stesso Zeus che, per punire la vendetta troppo cruenta, gli fece fare un'analoga fine a quella che aveva procurato ai nemici, facendo schiantare la sua nave contro alcuni scogli.\nNauplio è citato anche fra gli Argonauti e, grazie alle sue abilità al timone, guidò in alcune occasioni la nave Argo dopo la morte del timoniere Tifi.\n\nNauplio figlio di Poseidone.\nNella mitologia greca è presente un altro Nauplio, figlio del dio del mare Poseidone e della danaide Amimone. I miti sui due a volte si confondono, e anche questo Nauplio è indicato come fondatore della città di Nauplia e provetto navigatore. Apollonio Rodio però distingue chiaramente tra i due e fornisce anche una linea genealogica che li collega: Nauplio I –Preto – Lerno – Naubolo – Clitoneo – Nauplio II.
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### Titolo: Neade.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le neadi (Νηαδες, Nêades) erano animali mitologici che avevano abitato Samo in tempi antichi. Si trattava, secondo le leggende, di mostri giganteschi, feroci e pericolosi, il cui ruggito assordante era in grado di squarciare la terra, provocando terremoti. Tale caratteristica era proverbiale; Claudio Eliano cita infatti un modo di dire tipico dell'isola di Samo, ossia 'ruggisce più forte delle neadi'. Secondo alcune versioni del mito, riportate dallo storico greco Euagone, le creature vennero tutte uccise da una grande frana provocata da un terremoto.
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### Titolo: Nebris.\n### Descrizione: Nebris (o nebride, sostantivo femminile, dal greco νεβρίς-ίδος, derivato da νεβρός, cerbiatto) è una pelle di cerbiatto, simile a un'egida, originariamente indossata come capo d'abbigliamento di cacciatori e poi attribuito a Dioniso (Euripide, Le Baccanti, 99, 125, 157, 790; Aristofane, Le rane, 1209; Dionigi il Periegeta, 702, 946; Rufo Festo Avieno, 1.129), e adottato di conseguenza dai suoi adepti in processioni e cerimonie che si tenevano in suo onore durante le celebrazioni liturgiche delle Dionisie.\nUna xilografia dall'opera Vases di Sir William Hamilton (I, 37), riproduce una sacerdotessa di Bacco nell'atto di offrire un nebris al dio o a uno dei suoi ministri.\nNelle opere di arte antica la si vede non solo indosso a menadi e baccanti maschi, ma anche a figure di Pan e di Satiri.\nÈ comunemente indossata allo stesso modo dell'egida, o pelle di capra, legando le due zampe anteriori sopra la spalla destra in modo da permettere al corpo della pelle di coprire il lato sinistro di chi la indossa (Ovidio, Metamorfosi, VI, 593).
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### Titolo: Neikea.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Neikea (in greco: Νείκεα; singolare: Νεῖκος Neikos) erano le dee di litigi, faide e rancori. La Teogonia di Esiodo le identifica come figlie di Eris attraverso partenogenesi e sorelle di Ponos, Lete, Limós, Algos, Hysminai, Makhai, Phonoi, Androktasiai, Pseudea, Logoi, Amphillogiai, Disnomia, Ate e Horkos.
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### Titolo: Nekyia.\n### Descrizione: Nella cultura e nella letteratura greca, la Nekyia (in greco antico: νέκυια?) è un rito attraverso il quale spettri o anime di defunti venivano richiamati sulla terra e interrogati sul futuro, ovvero un rito che oggi definiremmo 'necromantico'. Una Nekyia, tuttavia, non è necessariamente assimilabile ad una catabasi (discesa nel mondo degli inferi).\n\nBenché entrambe le possibilità offrano l'occasione di parlare con i defunti, solo la catabasi è il viaggio fisico vero e proprio nell'aldilà, intrapreso da diversi eroi della mitologia greca e romana, come ad esempio Enea (Eneide, VI).\nIn ogni caso, nella sua comune accezione, il termine Nekyia è usato per riferirsi ad entrambi gli eventi, e ciò accade fin dalla Tarda Antichità, visto che Olimpiodoro il Giovane (vissuto tra il 495 e il 570 d.C.) affermava che tre miti platonici erano classificati come Nekyia.\n\nInterrogare i fantasmi.\nUn certo numero di siti, in Grecia e in Italia, erano interamente o in parte dedicati a questa pratica. 'L'Aldilà comunicava con la terra tramite canali diretti. Questi erano caverne le cui profondità erano insondate, come quella di Eraclea Pontica. Il più importante era il Necromanteion, nella città di Ephira (attuale Kichyro), nella Grecia Nord-occidentale. Altri oracoli della morte si trovavano a Capo Matapan e a Cuma, in Italia. Queste località specializzate, tuttavia, non erano le sole dove la Negromanzia era praticata. Il rito poteva essere celebrato anche vicino ad una tomba. Gli dèi associati con la Nekyia erano Ade e sua moglie Persefone, così come Ecate ed Hermes (nel suo ruolo di psicopompo, ovvero la figura che accompagna i defunti nell'Oltretomba).\n\nL'Odissea.\nIl più antico riferimento a questa pratica ci viene dal Libro XI dell'Odissea, che nell'antichità classica era chiamato Nekyia. Odisseo era stato incaricato di compiere un viaggio di un tipo molto diverso rispetto a quello cui era abituato, trovando la via per le sale dell'Ade, attraverso il Fiume Oceano, passando per la terra dei Cimmeri. Lì egli consulta l'anima dell'indovino Tiresia (egli, infatti, mantiene la sua facoltà intellettiva solo perché Persèfone glielo concede) riguardo alle possibilità di ritornare a casa, ad Itaca, in un contesto oscuro di sacrificio negromantico, pieno di rumori inquietanti e circondato da spiriti. Odisseo sacrifica un montone ed una pecora nera (e prima di questi una offerta di latte e miele, poi di vino, una terza di acqua, il tutto cosparso di farina d'orzo) in una fossa, per permettere a Tiresia di berne il sangue e incontrare e parlare con le anime degli eroi defunti.\nLa storia del viaggio di Odisseo nell'Ade fu seguita da altri racconti di viaggi simili intrapresi da altri eroi, come quello di Enea, sebbene ve ne siano altri, come la Catabasi (dal greco κατάβασις) di Eracle, che, nella sua tradizione, presenta elementi vistosamente diversi dalla Nekyia. Questo viaggio nel mondo dei morti è diventato un topos (in grecο τόπος).\nIl drammaturgo ateniese Eschilo rappresentò l'uso di 'Nekyiai' vicino alle tombe in due sue opere, I Persiani e le Coefore. fine da mei.\n\nJung.\nCarl Gustav Jung usò il concetto di Nekyia come parte integrante della sua Psicologia Analitica. 'La Nekyia (...) è l'introversione della mente cosciente negli strati più profondi della psiche incosciente'. Per Jung 'la Nekyia non è una caduta nell'abisso distruttiva e priva di scopo, ma una significativa Catabasi, il cui obiettivo è il ripristino dell'intero uomo'.\nJolande Jacobi aggiunse che 'Questa 'grande Nekyia' è intrecciata con innumerevoli esperienze di Nekyiai minori'.\n\nUn Viaggio Notturno sul Mare.\nJung usò le immagini della Nekyia, del 'viaggio notturno sul mare, la discesa nell'ombelico del Mostro (viaggio all'inferno)' e della Catabasi (discesa nel mondo inferiore) in modo quasi interscambiabile. I seguaci a lui più vicini le vedevano come indistinguibili metafore per 'una discesa nei caldi, oscuri orizzonti dell'inconscio, un viaggio verso l'inferno e la morte', enfatizzando per esempio il fatto che 'il grande arco del viaggio notturno sul mare include diversi ritmi minori, archi minori sullo stesso modello primordiale'. Proprio come la Nekyia.\nIl Post-Jungiano James Hillman, in ogni caso, fece alcune chiare distinzioni tra le due cose:.\n'La discesa nell'Oltretomba può essere distinta in diversi modi dal viaggio notturno sul mare dell'eroe: egli ritorna dal viaggio in una forma migliore per affrontare i doveri della vita, dove invece la Nekyia trascina l'anima nel profondo solo per la sete di se stessa, e quindi non ha un 'ritorno'. Il viaggio notturno è ulteriormente marcato dalla costruzione di un impeto interiore, dove invece la Nekyia va al di sotto di questo contenimento sotto pressione, temperando il fuoco della passione, fino ad una zona di freddo assoluto. L'immagine del Diavolo ancora perseguita le paure del nostro inconscio e le latenti psicosi che presumibilmente si celano lì, e ancora ci rivolgiamo ai metodi del Cristianesimo (moralizzazione, varietà di emozioni, condivisione, e ingenuità infantile) come propiziazione contro le nostre paure, invece della classica discesa al loro interno, la Nekyia dentro l'immaginazione. Solo dopo questa Nekyia Freud, come Enea, che ha trasportato l'anziano padre sulla spalle, può finalmente entrare a 'Roma''.\n\nRiferimenti Culturali.\nLa concezione della Nekyia di Thomas Mann attinge abbondantemente dalle dottrine dell'Oriente, dalla Gnosticismo e dall'Ellenismo.\nJung considerava il primo periodo blu di Picasso come un simbolo della Nekyia, una discesa nell'inferno e nell'oscurità.\nOggi 'Nekyia' è un nome assunto da diversi gruppi artistici e musicali.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su nekyia.\n\nCollegamenti esterni.\n\nnèkyia, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\nnékyia, su sapere.it, De Agostini.
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### Titolo: Neleo.\n### Descrizione: Neleo (in greco antico Νηλεύς Nēlèus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Tiro, figlia di Salmoneo, fratello gemello di Pelia e fratellastro di Esone, Fere ed Amitaone, che Tiro ebbe da Creteo.\n\nMitologia.\nLa madre di Neleo, Tiro, si innamorò di Enipeo, il dio-fiume della Tessaglia. Poseidone, che desiderava Tiro, saputo ciò assunse le sembianze del fiume e la sedusse. Terminato l'atto prese nuovamente le proprie sembianze e le rivelò la verità, profetizzandole che avrebbe avuto entro l'anno due 'splendidi figli'. Tiro così partorì Pelia e Neleo per poi sposare lo zio paterno Creteo, che adottò i gemelli.\nSecondo Apollodoro invece, una volta partoriti i gemelli Tiro li espose. Mentre i bambini giacevano abbandonati, una cavalla ne colpì uno con lo zoccolo e gli provocò un livido. Il mandriano che raccolse i bambini chiamò Pelia (dal greco πελιόν peliòn, livido) quello colpito e Neleo l'altro. Divenuti adulti ritrovarono la madre e uccisero Sidero, la seconda moglie del nonno Salmoneo, che maltrattava Tiro. In seguito però i due gemelli entrarono in conflitto tra loro e Neleo fu costretto dal fratello ad abbandonare Iolco.\nNeleo trovò ospitalità presso lo zio Afareo, che gli cedette la parte costiera della Messenia, dove fondò Pilo. Per Pausania invece, non fu Neleo a fondare Pilo, ma si limitò a governarla.\nIn Messenia Neleo sposò Clori, figlia di Anfione, dalla quale ebbe una femmina, Però, e dodici maschi, dei quali il più noto è Nestore. Un altro dei figli di Neleo, Periclimeno, ottenne dal nonno Poseidone, il potere di cambiare aspetto a suo piacimento. Gli altri suoi figli sono: Ipsenore, Alastore, Asterio, Pilaone, Deimaco, Euribeo, Epilao, Frasio, Eurimene, Evagora e Tauro.\nApollodoro racconta poi che Eracle, in seguito all'omicidio di Ifito a causa di uno dei suoi ricorrenti accessi di follia, per purificarsi da quel delitto si recò a Pilo da Neleo, che però lo scacciò a causa dei rapporti di amicizia che lo legavano a Eurito, che aveva accusato Eracle di averlo derubato delle sue mandrie. In seguito, durante la guerra contro Pilo, Eracle uccise Neleo e tutti i suoi figli eccetto Nestore, che allora si trovava a Gerenia. Pausania riferisce però un'altra versione della morte di Neleo, che non sarebbe stato ucciso da Eracle, ma che sarebbe morto a Corinto 'a causa di una malattia, e fu sepolto presso l'istmo.'.\n\nLetteratura latina.\nLa vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei.
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### Titolo: Nemea.\n### Descrizione: Nemea (in greco Νεμέα?) è un comune della Grecia situato nella periferia del Peloponneso (unità periferica della Corinzia) con 7.286 abitanti secondo i dati del censimento 2001A seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 205 km² e la popolazione è passata da 4.249 a 7.286 abitanti.\nA pochi chilometri a nord-est dell'attuale paese sorge il sito archeologico della Vecchia Nemea, chiamata anche Eraclea o Iraklion, in onore dell'eroe che qui compì una delle sue dodici fatiche.\n\nStoria.\nNella mitologia greca, Nemea, retta dal re Licurgo, forse lo stesso Licurgo divenuto famoso come legislatore di Sparta, e dalla regina Euridice, è famosa per essere la patria del Leone Nemeo, ucciso dall'eroe Eracle in una delle sue dodici fatiche. Nemea era inoltre la sede dei Giochi Nemei, una delle maggiori manifestazioni sportive dell'Antica Grecia. Tali giochi si tenevano ogni due anni ed erano dedicati a Zeus. Secondo la leggenda, questa manifestazione venne creata dai sette guerrieri capeggiati da Polinice, protagonista della tragedia di Eschilo, I sette contro Tebe, colpevoli accidentalmente della morte del principe Ofelte, morto in tenera età.\nUna seconda versione della leggenda narra che i giochi siano stati creati da Eracle dopo aver sconfitto il Leone Nemeo.\n\nLa Battaglia di Nemea.\nNel 394 a.C., durante la guerra di Corinto, vi si combatté una battaglia tra le truppe della Lega Peloponnesiaca, comandate dallo spartano Aristodemo, e una coalizione di città formata da Atene, Argo, Tebe e Corinto, decisa a mettere fine all'egemonia spartana, alla cui origine vi era la vittoria su Atene nella guerra del Peloponneso.\nNonostante l'evidente inferiorità numerica, 18000 opliti tra spartani e alleati contro 24000 opliti della coalizione guidata dagli ateniesi, la battaglia fu vinta dalla Lega Peloponnesiaca, che alla fine della giornata lasciò sul campo 2800 guerrieri nemici, contro le 1100 perdite subite.\n\nIl sito archeologico.\nL'Antica Nemea, chiamata anche Eraclea, è posta immediatamente a est-sudest dell'attuale sito. Nell'antico centro aveva sede il Tempio di Zeus di Nemea, presso il quale, dal 573 a.C., si tenevano ogni due anni i Giochi di Nemea. Del tempio rimangono ancora 3 colonne risalenti al IV secolo a.C. mentre altre sei sono state restaurate e nuovamente erette, due nel 2002 e altre quattro nel 2007. Il complesso attorno al tempio è stato recentemente riportato alla luce, facendo emergere l'altare, i bagni e l'albergo destinato ai facoltosi spettatori dei Giochi. Il tempio si erge sul sito di un precedente tempio, risalente al periodo arcaico, del quale rimane visibile oggi solamente una parte di fondamenta.\nLo stadio adibito ai Giochi, è stato scoperto recentemente, insieme al suo ben conservato tunnel d'accesso, datato intorno al 320 a.C. e su cui sono stati trovati antichi graffiti.\nNel 2021 il sito archeologico ha ottenuto il Marchio del patrimonio europeo.\n\nEconomia.\nL'economia locale è basata principalmente sull'agricoltura e sulla viticoltura, caratteristica comune anche agli altri piccoli villaggi della zona, come Koutsi, Petri, e Leriza. Nemea ospita inoltre una sede della DK Distributors.\n\nRegione vinicola.\nCollocata nel Peloponneso, poco distante da Corinto, la zona di Nemea, era già nota in tempi antichi per la fiorente produzione vinicola, tanto che Omero chiamo la zona Ampelóessa, 'colma di vini'. Oggi la denominazione di Nemea è la più importante tra le Denominazione di Origine Controllata della Grecia meridionale, e probabilmente di tutta la Grecia. A Nemea l'Agiorgitiko, un tipo di uva a bacca rossa, è utilizzato per produrre un vino noto come Sangue di Eracle o di San Giorgio, famoso per il suo colore rosso profondo tendente al blu e al viola, per il suo aroma complesso e per il suo gusto persistente.
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### Titolo: Nerito.\n### Descrizione: Nerito o Nerite (in greco antico: Νηρίτης?, Nērítēs), è un personaggio della mitologia greca ed unico figlio maschio di Nereo e di Doride e quindi fratello delle cinquanta Nereidi.\n\nMitologia.\nDalle sorelle e dai genitori aveva ereditato un bellissimo aspetto, tanto da far innamorare Afrodite nel periodo in cui la dea viveva nel mare. Quando Afrodite dovette salire sull'Olimpo volle portare con sé Nerito ma il giovane preferì restare con il padre Nereo e le sorelle e la dea lo trasformò in una conchiglia.\nIn un altro mito tale metamorfosi è attribuita alla gelosia che Elio provava per la rapidità con cui Nerito, amante di Poseidone, seguiva il dio tra le onde.
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### Titolo: Nesea.\n### Descrizione: Nesea è un personaggio della mitologia greca. È una delle Nereidi, ninfe del mare figlie di Nereo e protettrici dei naviganti. Fu la nutrice di Aristeo e compagna di sua madre, la ninfa Cirene.
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### Titolo: Nestore (mitologia).\n### Descrizione: Nestore (AFI: /nèstore/; in greco Νέστωρ) è una figura della mitologia greca. Appare nell'Iliade e nel III libro dell'Odissea.\n\nIl personaggio.\nFiglio del re di Pilo Neleo e di Cloride, divenne re dopo l'uccisione del padre e dei fratelli da parte di Ercole.\nFu il più vecchio e il più saggio tra i sovrani greci che, sotto la guida di Agamennone, assediarono Troia. Ancora oggi molti modi di dire lo citano come sinonimo di vecchio saggio.\nIn gioventù Nestore fu un valente guerriero e partecipò a molte imprese importanti, tra le quali la lotta dei Lapiti contro i centauri, la caccia al cinghiale di Calidone sotto la guida di Meleagro e la ricerca del vello d'oro con gli Argonauti.\nSalito al potere a Pilo, Nestore sposò Anassibia (o Euridice, a seconda delle versioni), la quale gli diede numerosi figli: Antiloco (che morì a Troia), Trasimede (che fu tra coloro che entrarono nel cavallo di legno), Echefrone, Stratio, Perseo (omonimo dell'eroe figlio di Zeus), Areto, Pisistrato (che Omero ci dice essere l'unico scapolo), Pisidice e Policasta (la più giovane).\nBenché già anziano, quando iniziò la guerra di Troia partì con gli altri eroi greci per combattere contro i Troiani. Avendo governato per generazioni, godeva fama di uomo saggio e giusto e dispensò consigli ai Greci durante il conflitto. Dopo la caduta di Troia, Nestore ritornò a Pilo, dove ospitò Telemaco quando il giovane vi si recò per informarsi sul destino di suo padre Ulisse. Dopo questo punto non si hanno più fonti riguardo alla storia e al destino di Nestore.\nIl nome di Nestore ricorre anche in un'iscrizione poetica incisa su una coppa detta appunto di Nestore, il più antico documento di lingua greca, coevo ai poemi omerici.
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### Titolo: Ninfa (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le ninfe (in greco antico: νύμφη, -ης?, nymphē ('fanciulla, sposa'); in latino nympha, -ae) sono divinità femminili minori legate alla natura. A differenza delle altre dee greche, le ninfe sono generalmente considerate personificazioni della natura e sono tipicamente legate a un luogo o a una forma di terra specifica. Erano immortali come le altre dee, ad eccezione delle amadriadi, la cui vita era legata a un albero specifico. Oltre che potenze divine legate ai boschi, ai monti, alle acque, alle sorgenti e agli alberi, le ninfe erano personificazione anche delle regioni o delle città o degli stati.\nLa natura delle ninfe corrisponde all'ambito della potenza divina dell'aidos (in greco antico: αἰδώς?, aidōs ('pudore')), dunque alla riservatezza e allo stupore di fronte a ciò che è immacolato e quindi silenzioso. Compagne della dea Artemide, essa stessa appellata come Αἰδώς, sono caratterizzate, come la dea, da una bellezza incomparabile.\nLe ninfe sono spesso suddivise in gruppi (a loro volta suddivisi in sottogruppi): le epigee (ninfe terrestri), le idriadi (ninfe acquatiche), le uranie (ninfe celesti), e, talvolta, le ninfe ctonie (ninfe appartenenti agli Inferi).\n\nEtimologia.\nLa parola greca νύμφη (nýmphē, 'fanciulla, sposa') ha la stessa radice del verbo latino nubere, 'prendere marito' (da cui la nostra 'nubile'). Altri lettori riferiscono la parola (e anche il latino nubere e il tedesco Knospe) ad una radice che esprime l'idea di 'gonfiore' (secondo Esichio di Alessandria uno dei significati di νύμφη è 'bocciolo di rosa'). Ciononostante, l'etimologia del sostantivo νύμφη rimane agli studiosi ancora incerta. La forma dorica ed eolica (omerica) è νύμφα (nýmphā).\n\nNella mitologia greca.\nNella concezione greca, le ninfe sono bellissime e snelle giovinette, dalle movenze graziose, dalla testa leggiadra ornata di fiori, dalle vesti leggere e svolazzanti, raramente nude. Sono benefattrici e rendono fertile la natura. Proteggono le coppie di fidanzati che vanno a bagnarsi nelle loro sorgenti, ispirano gli esseri umani, alcune di esse, in particolare le Naiadi, sono anche guaritrici di mali e di ferite. Amanti di dei e di comuni mortali, le ninfe cantano felici nel luogo a loro consacrato. Dalle loro unioni con mortali nacquero molti semidei ed eroi. Teoricamente potevano accoppiarsi anche con divinità, e in tal caso sarebbero nati figli immortali.\nTra le ninfe più celebri, si può nominare Eco, la ninfa del monte Elicona; Era le tolse la possibilità di proferire parola, così Eco non poté più ripetere altro che le ultime parole pronunciate da altri. Un'altra ninfa famosa, mortale, fu Euridice, moglie di Orfeo (vedi: Orfismo). Molto nota è la ninfa Calipso menzionata nell'Odissea: essa trattenne Ulisse per sette anni nell'isola di Ogigia. Nella mitologia romana la ninfa Egeria fu la segreta consigliera del re Numa Pompilio. Si ricordano inoltre le Naiadi che rapirono il giovane argonauta Ila.\nLe ninfe greche sono state assimilate in epoca successiva alle divinità romane delle fontane, sorgenti e fiumi.\n\nLe ninfe sono personificazioni della creatività e del favorire le attività della natura, il più delle volte identificato con il deflusso vitale dei corsi d'acqua a seguito di inondazioni:.\n\nGenealogia.\nLe ninfe, il cui numero è incalcolabile, sono classificate in tre macrocategorie: le ninfe terrestri, le ninfe acquatiche e le ninfe celesti, ripartizione già presente in Omero e nei poeti più antichi. Come il mitologo Herbert Jennings Rose afferma, tutti i nomi per le varie classi di ninfe sono aggettivi femminili plurali concordando con il sostantivo nymphai, e non v'era un tipo di classificazione unica che potesse essere vista come canonica ed esauriente. Così le classi di ninfe tendono parzialmente a sovrapporsi, il che viene a complicare il compito di una classificazione precisa. Rose parla di driadi e amadriadi come ninfe degli alberi in generale, meliai come ninfe dei frassini e di naiadi come ninfe d'acqua, ma non ne aggiunge altre in particolare. Le ninfe meliadi erano figlie di Urano ed i loro miti sono legati a divinità maggiori come Artemide, Apollo, Poseidone, Demetra, Dioniso, Pan, Ermes o a divinità minori come Fonto.\n\nClassificazione.\nA seconda dell'ambiente naturale in cui vivono, le ninfe si distinguono nello specifico. Tutti i nomi delle varie categorie di ninfe presentano forme aggettivali al femminile plurale. Non esiste una classificazione univoca e completa che possa essere considerata canonica: alcune categorie di ninfe tendono a sovrapporsi, rendendo così complesso il compito di una classificazione precisa. Ad esempio, le driadi e le amadriadi sono considerate ninfe degli alberi in generale, mentre le meliadi sono specificamente associate ai frassini.\n\nEpigee.\nLe epigee comprendono tutto l'insieme delle ninfe terrestri. Si dividono in due gruppi: le driadi (con le amadriadi) e le oreadi.\n\nIdriadi.\nLe idriadi sono identificate come le ninfe acquatiche. Si dividono in tre gruppi: le naiadi, le nereidi e le oceanine.\n\nUranie.\nLe uranie sono le ninfe celesti.\n\nAltre ninfe.\nOfferte e sacrifici.\nI rituali d'offerta alle ninfe comprendevano sacrifici di agnelli e capretti, ma in prevalenza queste offerte consistevano in latte, olio, miele, frutta e offerte rustiche.\n\nConnotazioni sessuali moderne.\nA causa della rappresentazione delle ninfe mitologiche come femmine che si accoppiano con uomini o donne di loro spontanea volontà, e che sono completamente al di fuori del controllo maschile, il termine è spesso usato per le donne che sono percepite come comportarsi allo stesso modo (per esempio, il titolo del romanzo poliziesco riguardante Perry Mason 'Il caso della ninfa negligente' (1956) di Erle Stanley Gardner è derivato da questo significato della parola).\nIl termine ninfomania è stato creato dalla moderna psicologia come riferito a un 'desiderio di impegnarsi in comportamento sessuale umano ad un livello abbastanza alto da essere considerato clinicamente significativo', ninfomane essendo la persona che soffre di un disturbo. A causa dell'ampio uso del termine tra laici (spesso abbreviato in ninfo) e gli stereotipi collegati, i professionisti al giorno d'oggi preferiscono il termine ipersessualità, che possono fare riferimento a maschi e femmine allo stesso modo.\nLa parola ninfetta viene utilizzato per identificare una ragazza sessualmente precoce. Il termine è stato reso famoso nel romanzo Lolita da Vladimir Nabokov. Il personaggio principale, Humbert Humbert, usa molte volte il termine, di solito in riferimento al personaggio del titolo, una ragazzina appena tredicenne di cui è fortemente invaghito.\n\nNella letteratura.\nQuando il dio Pan suona il flauto divino, echeggiando l'armonia del silenzio primordiale, le ninfe muovono passi di danza, vagando sui monti e cantando in modo melodioso. Le ninfe sono le potenze di un fiume oppure di un mare o di un lago e anche quando la loro potenza divina risiede sulla terra, il loro collegamento con l'acqua resta fondante:.\nSempre in forma di fanciulle, facevano parte spesso del corteo di un dio, come Dioniso, Ermes o Pan, o di una dea, in genere la cacciatrice Artemide. La mitologia greca annovera molte ninfe, il cui aspetto di bellissime fanciulle eternamente giovani attirava molti uomini mortali ed eroi.\nVi è un'ampia varietà di miti su di esse; questi racconti le associano spesso ai satiri, di cui erano il frequente bersaglio e da cui proviene il nome moderno dato alla tendenza sessuale della ninfomania.\n\nNelle arti.\nIconografia nelle arti visive.\nNelle arti visive le ninfe sono di solito rappresentate come bellissime fanciulle, generalmente nude e incoronate di fiori. Le ninfe dell'acqua in particolare sono mostrate mentre tengono delle giare o brocche sulle loro teste (vedi ad esempio in La sorgente di Ingres. Opere d'arte famose dell'antichità sono alcune statue di Prassitele, un gruppo marmoreo di Arcesilao e bassorilievi eseguiti da diversi maestri.\n\nFrancesco Albani: Venere con ninfe e amorini.\nJacob Jordaens: Ninfe alla Fontana d'Amore.\nJacob Jordaens: Ninfe e Cupido nel sonno.\nLucas Cranach il Vecchio: Menzogne di ninfa.\nPieter Paul Rubens: Diana e le sue ninfe sorprese da un Fauno.\nRembrandt: Il Bagno di Diana e Atteone e Callisto.\nArnold Böcklin: Il gioco delle Naiadi (e molte altre immagini).\nJean-Baptiste-Camille Corot: Danza delle Ninfe.\nJean-Baptiste-Camille Corot: Una ninfa gioca con Cupido.\nWilhelm Neumann Torborg: Fauno e Ninfa (1890).\nÉdouard Manet: Sorpreso dalla ninfa (1861).\nAuguste Rodin: Fauno e Ninfa (1886).\nTiziano: Ninfa e pastore (1570).\nHenryk Siemiradzki: Il gioco delle naiadi (1880).\nPaul Aichele: Nymph (1891).\n\nMusica.\nIl compositore francese Jean-Philippe Rameau ha composto nel 1745 l'opera 'Platée', una commedia musicale. L'ingenuità di una ninfa è utilizzata da Giove per ingelosire la moglie Giunone.\nIl compositore francese Claude Debussy ha composto nel 1913 il pezzo 'Syrinx' per flauto. Il pezzo breve si riferisce alla leggenda di Pan e Siringa; la ninfa sfugge alle insidie del dio lubrico e si trasforma in una canna che suona al vento. Pan inventa allora lo strumento musicale che porta il suo nome.\nIl compositore finlandese Jean Sibelius compone nel 1894 il poema sinfonico per orchestra, Op. 15, Skogsrået (The Nymph Wood).\nRusalka (Dvořák) è l'opera di maggior successo di Antonín Dvořák. Il libretto risale ai miti slavi popolari sul Rusalki (spiriti dell'acqua, sirene), ed è simile al racconto tedesco 'Undine' di Friedrich de la Motte Fouqué e alla fiaba di Hans Christian Andersen intitolata La sirenetta.\nIl compositore italiano Claudio Monteverdi compose nel 1614 'Lagrime d'amante al Sepolcro del Amata', il lamento funebre del pastore Glauco davanti alla tomba della sua amata ninfa Corinna.\n\nLetteratura.\nLa figura della ninfa appare innumerevoli volte, soprattutto durante il Rinascimento e l Romanticismo.\nNel suo romanzo Lolita (Nabokov) Vladimir Nabokov inventa i termini ninfetta e lolita (termine) per indicare un tipo di ragazzina precoce e sessualmente attraente.\n\nFantasy.\nNei libri di Licia Troisi le ninfe sono bellissime ragazze fatte d'acqua. Hanno occhi puri e capelli molto lunghi. Nelle Leggende del Mondo Emerso, si scopre che il loro sangue è immune al morbo (malattia), che invece contagia gli altri popoli del Mondo.\nNei romanzi delle Cronache di Narnia sono divinità della natura: sono quindi graziose, esili; abitanti delle fonti (Naiadi) e degli alberi (Driadi e Amadriadi); sono le figlie di dei e dee; servono Aslan. Nel libro sono presenti anche ragazze associate alle ninfe ma che sono in realtà creature femminili delle foreste (come le donne-alberi).\nNei libri di Geronimo Stilton esistono le Ninfe dei Boschi: Alena, una delle protagoniste dei suoi libri, è la prima Ninfa dei Boschi a diventare Cavaliere della Rosa d'Argento.\nPossono anche essere rappresentate come elementi della natura, fatte d'acqua, aria e luce. In Paranormalmente, libro di Kiersten White, la madre del fidanzato di Evie (protagonista) è l'equivalente di una ninfa: dimora in un lago, è fatta solamente d'acqua e pratica la magia.\nNei libri di Rick Riordan - la serie Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo e poi, in seguito, Eroi dell'Olimpo - vi sono diverse apparizioni di ninfe, spesso interagenti e aiutanti dei personaggi protagonisti. Sono presenti ninfe dei boschi, dell'acqua e perfino dell'aria. Nota è, ad esempio, la driade Juniper, fidanzata del satiro Grover. Viene descritta come completamente verde, inclusi gli occhi, i quali hanno rivoli - ovvero, venature - di clorofilla. Molte di loro sono timide e finiscono per tramutarsi in pianta (ciascuna diversa a seconda della ninfa) per nascondersi.Un altro esempio è quello di una ninfa che fa parte delle esperidi, mitologiche figlie di Atlante. Si tratta di Zoe Nightshade.\nNella serie animata Winx Club la sorella di Bloom, Daphne è la Ninfa Suprema delle nove ninfe di Magix, onnipotenti fate che controllano la Dimensione Magica. Custode della Fiamma del Drago fino alla nascita della sorella. Perse il suo corpo a causa delle Tre Streghe Antenate che maledirono il suo potere di Fata/Ninfa Sirenix. Successivamente sua sorella Bloom spezzò la maledizione restituendole la vita. Altra Ninfa di Magix è Politea che si trasforma in un mostro a causa delle Tre Streghe Ancestrali, dopo aver abbandonato Daphne. Successivamente scomparirà quando le Trix le succhieranno il potere Sirenix.
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### Titolo: Niobe.\n### Descrizione: Niobe (in lingua greca: Νιόβη Niòbē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Tantalo e sorella di Pelope, punita dagli dei per la sua superbia.\nIl nome di sua madre è discusso dai mitografi; talvolta è ritenuta Eurianassa, figlia del dio fluviale Pattolo, oppure Euritemiste, figlia del fiume Xanto; ma sono conosciute ancora altre variazioni: una la vuole figlia di Clizia, una delle figlie di Anfidamante, un'altra della ninfa Dione.\nSecondo un'altra tradizione, era invece figlia di Assaone.\n\nMitologia.\nApollo aveva il potere di mandare i mali a coloro che voleva punire, come le morti improvvise. Per esempio lanciò frecce col suo arco d'argento per l'ingiusto oltraggio fatto al sacerdote Crise e così diffuse la peste nel campo greco, come è detto nel I libro dell'Iliade. La sua vittima più infelice fu Niobe. Nella Frigia c'era un ricco re, Tantalo, che era protetto dagli dèi celesti, tanto da essere invitato sull'Olimpo. Tuttavia Tantalo fraintese la benevolenza divina e divulgò alcuni segreti che Zeus gli aveva confidato. Per questo fu cacciato nel Tartaro e condannato a un eterno supplizio. Tantalo, in vita, aveva avuto parecchi figli, tra cui Pelope e Niobe, che aveva sposato Anfione dal quale aveva avuto sette robusti figli maschi e sette bellissime figlie femmine. Niobe si vantava di essere più feconda di Leto, madre di Apollo e Artemide, e pretendeva che a lei spettassero gli onori divini. Questa superbia arrivò alle orecchie di Leto che incaricò i suoi figli di punire Niobe. Infatti Apollo uccise con il suo arco di argento i suoi sette figli e successivamente anche Artemide sterminò le sette figlie (o, secondo una variante del mito, ne lasciarono in vita solo due, rispettivamente un maschio, Amicla, ed una femmina, Cloride). La sventurata Niobe pianse amaramente, riconoscendo ormai troppo tardi la propria colpa e, ammettendo di essere stata punita giustamente, pregò Zeus di trasformarla in pietra. Il suo corpo venne tramutato in roccia conservando la sua forma. Anche in pietra Niobe continua a piangere e piangerà in eterno.Secondo l'Iliade di Omero i giovani uccisi rimasero insepolti per dieci giorni, finché gli dèi stessi non si occuparono della tumulazione. Secondo quanto narra Ovidio, oppure anche Anacreonte, Niobe, in lacrime, si tramutò in blocco di marmo dal quale scaturì una fonte. In una roccia che si trova sul monte Sipilo in Lidia, presso Magnesia, si è voluta scorgere la Niobe divenuta pietra.\nIl mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni, e il suo significato pedagogico (evitare la superbia) è evidente. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute.\n\nInfluenza culturale.\nIl mito di Niobe ispirò gli artisti greci dell'età classica, che raffigurarono la strage dei Niobidi nei vasi e in gruppi di sculture altamente drammatiche, di cui restano alcune copie romane come la Niobide degli Horti Sallustiani a Roma e la Niobe che protegge la figlia agli Uffizi.\nIl mito di Niobe era noto agli etruschi, come dimostra la rappresentazione della strage dei suoi figli sul sarcofago di Velthur Vipinana, ritrovato nella Necropoli di Carcarello a Tuscania.\nDa Niobe prende il nome la Niobe Planitia su Venere.\nNiobe compare nella Divina Commedia di Dante Alighieri, nel XII canto del Purgatorio (versi 37,39) come esempio di superbia contro gli dei.\nCarducci, nella poesia Per la morte di Napoleone Eugenio nelle Odi barbare definisce corsa Niobe (cioè Niobe della Corsica) Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, a causa delle morti dei suoi figli.\nAlberto Savinio, La morte di Niobe, tragedia mimica in un atto; compone la musica e scrive il libretto. L'opera va in scena a Roma il 14 maggio 1925 al Teatro Odescalchi (dal nome del palazzo che lo ospitava) con la compagnia del Teatro dell'Arte, gruppo di autori e attori nato nel 1924 e guidato da Luigi Pirandello.\nNel 2005, il compositore italiano Marco Taralli, su commissione dell'Associazione Operation Smile ha composto la cantata “Niobe – In memoria dei bambini di Beslan”, per mezzosoprano, ottavino, coro di voci bianche ed orchestra, su libretto di Fabio Ceresa. La cantata è stata eseguita nel marzo 2005 dall'Orchestra del Teatro di Rostov sul Don diretta da Maurizio Dones presso l'Auditorium del Parco della Musica di Roma.\n\n\n\n\n\n\n\nNiobe è il nome di uno dei capitani più abili della flotta di Zion dell'universo di Matrix. Il personaggio riflette le caratteristiche dell'omonimo mitologico tra cui la superbia, il carattere forte e la determinazione.\nNiobe è anche il titolo di un'opera lirica, in due atti, del compositore Giovanni Pacini.\nIl niobio, elemento chimico di numero atomico 41, prende il nome da Niobe, trovandosi sopra il tantalio, il cui nome deriva proprio da suo padre Tantalo.\nNiobe è un personaggio del manga Saint Seiya, tipico nel fare riferimenti alla mitologia greca.
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### Titolo: Nireo.\n### Descrizione: Nireo (in greco antico: Νιρεύς?, Nireas) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Simi ed un capo acheo nella guerra di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Caropo e della ninfa Aglea.\nNon ci sono notizie su spose o progenie.\n\nMitologia.\nDi origini semidivine, governava sull'isola di Simi ed era un giovane capo greco. Era un giovane di straordinaria avvenenza ed Omero racconta che per bellezza fosse secondo solo ad Achille tra tutti i guerrieri greci che lottarono nella guerra di Troia.\nCome numerosi altri pretendenti desiderò sposare Elena che però divenne sposa di Menelao.\nNireo, legato per un giuramento quando la donna fu rapita da Paride, si unì alla flotta achea con un ausilio di solo tre navigli come si legge dal Catalogo della Navi nell'Iliade.\nDurante lo sbarco in Misia, gli Achei si scontrarono con Telefo (figlio di Eracle e re della Misia) che mosse il suo esercito e quello di donne guerriere guidato da sua moglie Laodice (o Iera od Astioca) contro di loro.\nNireo uccise Laodice e vide Telefo essere colpito da una lancia da Achille.\nSecondo una tradizione, Nireo venne ucciso la notte della caduta di Troia da Euripilo, figlio di Telefo, il quale era giunto in aiuto di Priamo dalla Misia, insieme ai suoi uomini. I Greci lo seppellirono con onore.\nPare che in epoca storica moltissimi viaggiatori si fermassero nella Troade ad ammirare la sua presunta tomba. Una seconda versione sostiene che Nireo non morì ucciso in questa guerra ma che avesse accompagnato l'amico Toante nei suoi viaggi, dopo la presa di Troia.
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### Titolo: Nisa (monte).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, il Monte Nisa (in greco Νῦσα, Nysa) era la dimora delle ninfe dette appunto 'ninfe Nisee' e della ninfa Nisa. La sua esatta ubicazione varia di molto nelle fonti, ed esso è localizzato alternativamente in Etiopia, Libia, Frigia, India, Arabia, Beozia, Eubea o Nasso.\nSul Monte Nisa Dioniso trascorse la fanciullezza; da qui l'epiteto di 'Niseo'.
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### Titolo: Nisa (ninfa).\n### Descrizione: Nisa è il nome attribuito alla ninfa che allevò Dioniso sul monte Nisa assieme alle sorelle.\nZeus, volendo proteggere dalla rabbia di Era il figlio Dioniso concepito con Semele, lo affidò ad Ermes, il quale lo portò dalle ninfe che abitavano sul monte Nisa.\nIn seguito Zeus trasformò le ninfe in stelle per ringraziarle, costituendo la costellazione delle Iadi.\nOmero fa riferimento alle ninfe nel suo XXVI inno dedicato a Dioniso.
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### Titolo: Nittimene.\n### Descrizione: Nella mitologia romana, Nittimene (chiamata anche Nyctimene o Nictímene) era la figlia di Nitteo, il re di Lesbo. Sedotta dal padre, fu trasformata da Atena in una civetta e scelta come animale a lei sacro.La sua storia - e l'unica fonte a cui possiamo fare riferimento - viene raccontata da Coronea nel II Libro delle Metamorfosi ovidiane (II.589-595):.\n\nCuriosità.\nOltre ad essere legato ad una specie di pipistrelli (Nyctimene), il nome di Nyctimene è stato dato anche ad un asteroide (2150 Nyctimene).
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### Titolo: Nodo gordiano.\n### Descrizione: L'espressione nodo gordiano trae origine da una tradizione letteraria e leggendaria a cui è legato anche un aneddoto sulla vita di Alessandro Magno. Con il tempo, l'espressione ha assunto, in varie lingue, una valenza metaforica, andando a indicare un problema di intricatissima soluzione, che si presta a essere risolto, alla maniera di Alessandro, con un brutale taglio. Da questo aneddoto derivano espressioni come «recidere, o tagliare, il nodo gordiano...»:.\n\n'Portategli il discorso su argomenti,che richiedano acume e sottigliezza,.\nvi saprà sciogliere il nodo gordianodi tutto, come la sua giarrettiera'(William Shakespeare, Enrico V, Atto primo, scena prima. 45-47).\n\nTradizione leggendaria.\nL'aneddoto risale già all'VIII secolo a.C., periodo in cui il popolo dei Frigi stava costituendo un proprio Stato con una struttura politica, nell'entroterra dell'Anatolia (l'attuale Turchia), ma non era ancora stato eletto un re.\nL'oracolo di Telmisso (o Telmesso, l'attuale Makri), l'antica capitale della Licia, predisse che il primo uomo che fosse entrato in quella nuova città su un carro trainato da dei buoi sarebbe diventato re. Il primo a entrare fu un misero contadino di nome Gordio, che, in conformità all'oracolo, fu nominato re e la cittadina prese il suo nome (che oggi corrisponde all'attuale Yassihüyük). Tale previsione fu interpretata anche mediante un segno degli dei, attraverso un'aquila atterrata sul carro stesso. Secondo lo storico Arriano, il figlio adottivo di Gordio, Mida (il noto re che trasformava in oro tutto ciò che toccava), dedicò quindi il sacro carro del padre alla divinità frigia Sabazio (che i Greci identificavano con Dioniso).\nIl carro fu legato permanentemente a un palo, assicurandone la stanga con un intricato nodo di robusta corda in corteccia di corniolo (Cornus mas), rimanendo così il saldo simbolo del potere regale e politico dei successivi re di Frigia, ben saldo nel tempio di Gordio, fino a quando non vi giunse Alessandro Magno nel IV secolo a.C., epoca in cui la stessa Frigia fu ridotta a satrapia (provincia) dell'impero persiano.\nLa profezia oracolare volle che chi fosse stato in grado di sciogliere quel nodo sarebbe diventato imperatore dell'Asia minore.Dopo l'inverno 333-332 a.C., l'esercito di Alessandro Magno, in espansione dalla Licia verso l'entroterra, entrò prima a Sagalassos e poi a Gordio. Qui, il condottiero provò a sciogliere il nodo, ma, non riuscendovi, decise semplicemente di tagliarlo a metà con la spada. Da questo, ancor oggi, si usa dire soluzione alessandrina per indicare la risoluzione di un problema intricato in modo netto, semplice, rapido e deciso.\nLo storico Plutarco mise comunque in discussione la pretesa secondo cui Alessandro Magno avrebbe tagliato il nodo con un colpo di spada, e riferisce che, secondo Aristobulo di Cassandrea, Alessandro lo avrebbe semplicemente sfilato dalla staffa. Ad ogni modo, Alessandro andò alla conquista dell'allora Asia conosciuta, fino all'Indo e all'Oxus, facendo, così, avverare la profezia.\n\nFonti.\nAlessandro era un personaggio di eccezionale celebrità, e l'episodio del nodo gordiano era noto a ogni persona istruita dell'antichità e senza dubbio anche a tanti altri che non lo erano, dal III secolo a.C. fino alla fine dell'antichità e ben oltre. Le fonti letterarie sono Arriano, il propagandista di Alessandro (Anabasis Alexandri 2.3.1-8), Quinto Curzio Rufo (Historiae Alexandri Magni Macedonis, 3.1.14), Giustino nella sua epitome delle Storie Filippiche di Pompeo Trogo (11.7.3), e Claudio Eliano (Sulla natura degli animali 13.1).\n\nInterpretazioni.\nIl nodo potrebbe esser stato, in realtà, un monogramma in forma di nodo, conservato da sacerdoti e sacerdotesse di Gordio. Robert Graves suggerisce che esso avrebbe potuto simboleggiare il nome ineffabile di Dioniso che, annodato come un monogramma, si sarebbe trasmesso attraverso generazioni di sacerdoti per essere rivelato unicamente ai re di Frigia.\nA differenza della fiaba, pochi elementi di un mito risultano completamente arbitrari: questo, ad esempio, preso nel suo complesso, sembra essere concepito per conferire una legittimazione a un cambio dinastico in questo regno centro-anatolico: così il 'taglio brutale del nodo... pose fine a un antico ordinamento.' Il carro trainato da buoi sembra alludere a un viaggio più lungo, piuttosto che a uno spostamento locale, forse collegando Gordio/Mida con un mito di fondazione attestato in Macedonia, di cui è molto probabile che Alessandro fosse consapevole. A giudicare da questo mito, la dinastia frigia non poteva vantare un'origine risalente a tempi immemorabili, ma solo una genesi maturata all'interno di una classe subalterna locale, estranea alla casta sacerdotale, rappresentata dal contadino Gordio sul suo carro di buoi. Altri miti greci legittimano una dinastia sulla base del diritto di conquista, come nel caso di Cadmo, ma il tema dell'oracolo che conferisce legittimità, declinato in questo mito, suggerisce che la dinastia precedente fosse una casta di re-sacerdoti connessa alla divinità oracolare.\nEsiste un'altra interpretazione legata ad Alessandro, in contrasto con la precedente, che sostiene che il macedone non risolse il nodo, aggirando il problema, per cui non riuscì a conquistare l'intera Asia, dovendo ritirarsi giunto 'solamente' in India.«Le nature forti - o dovremmo piuttosto dire deboli? - non amano sentirsi porre questo problema; preferiscono quindi escogitare un qualche eroico al di lá del bene e del male, e tagliano il nodo gordiano invece di scioglierlo.» Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell'inconscio collettivo, ed. ristampa marzo 2019, traduzioni di Elena Schanzer e Antonio Vitolo, pag. 39.\nUn'ultima interpretazione giustificherebbe la tradizione del nodo credendo che la cultura gordiana fosse una cultura dell'attesa, esattamente come quella ebraica nei confronti del Messia (identificato qui con colui che scioglierà il nodo). In questo modo si recupera la piena storicità dell'episodio, la sua valenza ideologica e anche una piccola parte delle strutture mentali dell'antico popolo frigio-gordiano.
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### Titolo: Nomos (mitologia).\n### Descrizione: Nella religione dell'antica Grecia il Nomos (in greco: Νόμος) era lo spirito delle leggi, degli statuti e delle ordinanze. La moglie di Nomos è Eusebia (pietà) e la loro figlia è Dike (giustizia).\nUn chiaro modo di concepire il nomos è ben descritto da Erodoto:.
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### Titolo: Notte (mitologia).\n### Descrizione: Notte o Nyx (in greco antico: Nύξ?, Nýx, 'notte') è una delle divinità primordiali della mitologia greca.\n\nMitologia.\nSecondo la Teogonia di Esiodo, Notte era figlia di Caos, mentre nella cosmogonia orfica era figlia di Phanes; nelle Fabulae, Igino la dice figlia di Caos e di Caligine. Sempre secondo Esiodo, Notte era la personificazione della notte terrestre, in contrapposizione al fratello Erebo, che rappresentava la notte del mondo infernale. Era inoltre contrapposta ai suoi figli Etere (la luce) ed Emera (il giorno).\nNotte era una delle divinità più antiche, e dimorava nel cielo; secondo Omero, anche Zeus ne aveva paura. Ad essa è intitolato il Nyx Mons su Venere, così come uno dei satelliti naturali di Plutone, Notte.\nQuesta divinità fu ripresa nella mitologia romana con il nome di Nox.\n\nFigli di Notte.\nNotte fu madre di alcune delle altre divinità primordiali: secondo Esiodo (Teogonia) e Cicerone (De natura deorum), da suo fratello Erebo Notte ebbe Etere ed Emera; secondo Cicerone e Igino fu madre anche di Eros, sempre da Erebo; Bacchilide afferma invece che Emera la concepì con Crono.\nOltre a questi figli, le è attribuita la maternità anche di numerose altre figure della mitologia greca, perlopiù daimones (a volte detti 'personificazioni'). Nella Teogonia, Esiodo dice che, senza controparte maschile, Notte da sola generò:.\n\nOrfeo la dice madre del cosmo e di Eros dall'Uovo cosmico.\nAnche Igino le attribuisce più o meno gli stessi figli, ma stavolta generati con Erebo:.\n\nCicerone le attribuisce, sempre con Erebo:.\n\nAltre fonti le attribuiscono poi diversi altri figli: ad esempio, sia da Cicerone che nell'Argonautica Orphica è detta madre di Urano; Bacchilide (Frammento 1b) le attribuisce Ecate; la maternità delle erinni le viene attribuita da Eschilo (Le Eumenidi), Licofrone (Alessandra), Ovidio (Le metamorfosi) e Virgilio (Eneide). Nell'Eracle di Euripide è detta anche madre di Lissa, concepita quando venne a contatto col sangue che Urano perse quando venne evirato da Crono.\n\nDai romani era considerata anche madre di Erumna (Aerumna in latino), la dea dell'incertezza e dell'inquietudine, in costante compagnia del Dolore e del Timore.
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### Titolo: Nuli.\n### Descrizione: I Nuli, conosciuti anche con i nomi di Nuloi o Nouloi (in greco: Νυλοι, Νουλοι) erano una leggendaria razza di uomini dotate di piedi con otto dita rivolti all'indietro, che vivevano in India, sul monte Nulus, per certi versi simili agli Antipodi.\n\nFonti antiche.\nIl popolo dei Nuli viene descritto dallo storico greco Megastene nella sua Indica.\nVengono menzionati anche in certi bestiari medievali, come per esempio nelle Cronache di Norimberga.
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### Titolo: Numa Pompilio.\n### Descrizione: Numa Pompilio (Cures Sabini, 754 a.C. – 673 a.C.) è stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò 42 anni.\n\nLeggenda.\nNuma Pompilio, di origine sabina, per la tradizione e la mitologia romana, tramandataci grazie soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrisse anche una biografia, era noto per la sua pietà religiosa e regnò dal 715 a.C. fino alla sua morte nel 673 a.C. (ottantenne, dopo quarantatré anni di regno) succedendo, come re di Roma, a Romolo.\nNuma era un re pio, e in tutto il suo regno non combatté nemmeno una guerra.\n\nRegno (715 - 673 a.C.).\nAscesa al potere.\nL'incoronazione di Numa non avvenne immediatamente dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo i Senatori governarono la città a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità di governo, dopo un anno i Senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re.La scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori Romani che proponevano il senatore Proculo ed i senatori Sabini che proponevano il senatore Velesio.\nPer trovare un accordo si decise di procedere in questo modo: i senatori romani avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, che abitava nella città sabina di Cures ed era sposato con Tazia, l'unica figlia di Tito Tazio. Sembra che egli fosse nato nello stesso giorno in cui Romolo fondò Roma (21 aprile). Numa, concittadino di Tito Tazio, era noto a Roma come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine, tanto da meritare l'appellativo di Pius. I Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome.Furono dunque inviati a Cures Proculo e Velesio (i due senatori più influenti rispettivamente fra i Romani ed i Sabini) per offrirgli il regno. Inizialmente contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei costumi di Roma, Numa vi acconsentì solo dopo aver preso gli auspici degli dei, che gli si dimostrarono favorevoli; Numa fu quindi eletto re per acclamazione da parte del popolo.\n\nRiforme politiche e religiose.\nLa leggenda afferma che il progetto di riforma politica e religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale, ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al punto da renderlo suo sposo.A Numa viene attribuito il merito di aver creato una serie di riforme tese a consolidare le istituzioni della nuova città, prime tra tutte quelle religiose, raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae, che andarono perduti nel sacco gallico di Roma (387 a. C.).Sulla base di queste norme di carattere religioso, i culti cittadini erano amministrati da otto ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici.Numa stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e le tradizioni dei Romani e dei Sabini residenti a Roma per eliminare le divisioni e le tensioni fra questi due popoli, riducendo l'importanza delle tribù e creando nuove associazioni basate sui mestieri.Appena divenuto re nominò, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio Quirino, gli dei più importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui diede precise regole ed istruzioni.Proibì ai Romani di venerare immagini divine a forma umana e animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con tali immagini e, durante il suo regno non furono costruite statue raffiguranti gli dei. Istituì il collegio sacerdotale dei Pontefici, presieduti dal Pontefice Massimo, carica che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito di vigilare sulle vestali (vedi sotto), sulla moralità pubblica e privata e sull'applicazione di tutte le prescrizioni di carattere sacro.Istituì poi il collegio delle vergini Vestali assegnando a queste uno stipendio e la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro della città; le prime furono Gegania, Verenia, Canuleia e Tarpeia (erano dunque quattro, Anco Marzio ne aggiunse altre due portandole a sei).Istituì anche il collegio dei Feziali (i guardiani della pace) che erano magistrati-sacerdoti con il compito di tentare di appianare i conflitti con i popoli vicini e di proporre la guerra una volta esauriti tutti gli sforzi diplomatici.Nell'ottavo anno del suo regno istituì il collegio dei Salii, sacerdoti che avevano il compito di separare il tempo di pace e di guerra (per gli antichi romani il periodo per le guerre andava da marzo ad ottobre). Era, questa funzione, molto importante per gli abitanti dell'antica Roma, perché sanciva, nel corso dell'anno, il passaggio dallo stato di cives (cittadini soggetti all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive) a milites (militari soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e dediti alle esercitazioni militari) e viceversa per tutti gli uomini in grado di combattere. Migliorò anche le condizioni di vita degli schiavi, per esempio permettendo loro di partecipare alle feste in onore di Saturno, i Saturnalia assieme ai loro padroni.La tradizione romana rimanda a Numa Pompilio la definizione dei confini tra le proprietà dei privati, e tra queste e la proprietà pubblica indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica dei confini a Jupiter Terminalis, e l'istituzione della festività dei Terminalia.Nel Foro, fece costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece costruire la Regia e lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le cui porte potevano essere chiuse solo in tempo di pace (e rimasero chiuse per tutti i quarantatré anni del suo regno).Secondo l'enciclopedista Marco Verrio Flacco (secc. I a.C. - I d.C.), riportato dal lessicografo Sesto Pompeo Festo, il re, ordinando la costruzione del tempio di Vesta, volle che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè della stessa forma del mondo, in quanto egli era un convinto sostenitore della sfericità della terra, tesi dunque evidentemente già in voga in quei lontani tempi.Secondo Dionigi di Alicarnasso Numa poi incluse nella città il Quirinale, anche se questo a quell'epoca non era ancora cinto da mura.\n\nCalendario Romano.\nA lui viene ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355 giorni (secondo Livio invece lo divise in 10 mesi, mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo), con l'aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo dicembre (l'anno iniziava con il mese di marzo; da notare la persistenza dei nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre).\nIl calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e nefasti, durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re seguì i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste decisioni.\n\nL'anno così suddiviso da Numa, non coincideva però con il ciclo lunare, per cui ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze politiche.\n\nFeste religiose.\nCome sopra scritto, Floro racconta che Numa insegnò i sacrifici, le cerimonie ed il culto degli Dei immortali ai Romani. Creò anche i pontefici, gli auguri ed i Salii. La tradizione vuole che Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la Festa di Quirino e la Festa di Marte. La prima festa si celebrava a febbraio, mentre la festa dedicata a Marte si celebrava a marzo, e veniva officiata dai Salii. Numa partecipava di persona a tutte le feste religiose, durante le quali era proibito lavorare.\nA queste riforme di carattere religioso corrispose anche un periodo di prosperità e di pace che permise a Roma di crescere e rafforzarsi, tanto che durante tutto il suo regno le porte del tempio di Giano non furono mai aperte.\n\nMorte e sepoltura.\nMorì ottantenne e non di morte improvvisa, ma consunto dagli anni (per malattia secondo Livio), quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, aveva solo cinque anni, circondato dall'affetto dei romani, grati anche per il lungo periodo di prosperità e pace di cui avevano goduto. Alla processione funebre parteciparono anche molti rappresentanti dei popoli vicini ed il suo corpo non fu bruciato, ma seppellito insieme ai suoi libri in un mausoleo sul Gianicolo.Dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua saggezza fornire un saldo equilibrio alla nascente città.\nDurante il consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, nel 181 a.C., due contadini ritrovarono il luogo della sua sepoltura, contenente sette libri in latino di diritto pontificale, ed altrettanti in greco di filosofia. Per decreto del senato i primi furono conservati con cura, mentre i secondi furono pubblicamente bruciati.\n\nDiscendenza.\nIl senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia Pompilia, si candidò alla successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si lasciò morire di fame per la delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio era nato Anco Marzio che diverrà re dopo Tullo Ostilio. Alcune fonti raccontano di un secondo matrimonio di Numa Pompilio con una certa Lucrezia da cui sarebbero nati quattro figli: Pompone, Pino, Calpo e Memerco dai quali avrebbero avuto origine le casate romane dei Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci.\n\nLa critica storico-archeologica.\nLa reale esistenza di Numa Pompilio, come accade per quella di Romolo, è discussa. Per alcuni studiosi la sua figura sarebbe principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo, teso a creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla guerra e ai disordini, diametralmente opposto al suo predecessore, il re guerriero Romolo. L'origine stessa del nome (secondo alcuni Numa viene da Nómos = 'legge' e Pompilio da pompé = 'abito sacerdotale') indicherebbe l'idealizzazione della sua figura.
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### Titolo: O protos thanatos.\n### Descrizione: La prima morte (Ο πρώτος θάνατος) è un romanzo dell'autore greco Dimitris Lyacos, che costituisce la terza parte della trilogia Poena damni. Il libro narra la storia di un uomo abbandonato su un'isola deserta in una sequenza di quattordici sezioni di poesie che raccontano la sua incessante lotta per la sopravvivenza e la sua disintegrazione fisica e mentale. L'opera allude contemporaneamente a un moderno Filottete, a una versione rovesciata di Crusoe e al mito dello smembramento di Dioniso. Le immagini dense e da incubo della poesia, come di senso allucinatorio, delirio, sinestesia e putrefazione, sono paragonabili a opere di Lautréamont, Trakl e Beckett. Nonostante sia il primo della trilogia di Poena damni in ordine di pubblicazione, La prima morte è cronologicamente l'ultimo nella sequenza narrativa.\n\nTitolo.\nIl titolo del libro si riferisce alla contraddizione tra prima e seconda morte nell'Apocalisse di San Giovanni il Divino, la prima morte riferita al fine naturale della vita (morte del corpo) contrapposta alla seconda morte (annientamento e morte dell'anima). La prima morte non è di tipo spirituale, non è considerata come 'morte reale', cioè annientamento. In tale senso spirituale, il protagonista del libro vive in un tipo di esistenza 'infernale', presumibilmente in attesa del verificarsi della futura redenzione o dell'estinzione definitiva. Il titolo si riferisce anche al realizzarsi della prima morte nel contesto della storia biblica del genere umano, ovvero l'assassinio di Abele da parte del fratello Caino.\n\nTrama.\nLa prima morte racconta la prova di un uomo di 40 anni arenato su un'isola deserta. Il libro inizia con una descrizione del suo corpo mutilato che macina contro le rocce. Il poema approfondisce il tema del suo continuo degrado, fisico e mentale, poiché anche i meccanismi della memoria sono dislocati e smembrati. Eppure, il legame tra persona e corpo fa sì che la vita persiste, 'in quel punto senza sostanza / dove il mondo si scontra e decolla', gli istinti meccanici del cosmo rimbombano e rifilano questa sostanza irriducibile nello spazio; suggerendo, forse, una futura rigenerazione.\n\nTemi.\nLa prima morte racconta il risultato del viaggio del protagonista verso l'annientamento. Il suo corpo e la sua mente sono sull'orlo della dissoluzione mentre combattono per la continuità e la sopravvivenza. Indicato come una vittima della natura e presumibilmente espulso dalla società, è rappresentato sia come un naufrago che come un aborto, morto prima di aver mai raggiunto la nascita. L'opera descrive la sua tortura, mappando un deserto e un'isola rocciosa come luogo della sofferenza. La sua esclusione e solitudine alludono alla tragedia greca, soprattutto a Filottete, mentre le immagini di mutilazione e smembramento si riferiscono a sacrifici e rituali dell'antica Grecia. Viene anche accennato al mito dello smembramento di Dioniso da parte dei Titani poiché il testo ricorre al concetto di sparagmos (in greco antico: σπαραγμός?, da σπαράσσω sparasso, 'stracciare, strappare, fare a pezzi'), un atto di lacerazione o maciullamento, Altri riferimenti classici obliqui sono ugualmente incorporati nel testo, come la presenza di Orfeo. Nel suo ruolo di epilogo della trilogia Poena damni, il poema testimonia anche le conseguenze dell'imminente violenza del primo volume, Z213: Exit.\n\nStile.\nIl testo originale in greco utilizza una lingua moderna non convenzionale, accogliendo una varietà di parole greche antiche e integrandole nel flusso del testo. Contrariamente al precedente libro della trilogia, Me tous anthropous apo ti gefyra, che fa uso di frasi semplici e prevalentemente nude in un contesto teatrale, La prima morte è scritto in uno stile denso. Ciascuna sezione poetica dipana una stratificata concatenazione di immagini per illustrare il tormento incessante del protagonista del libro. Spesso, la pesantezza dell'astrazione surreale conferisce all'opera un'atmosfera metafisica, investendo così la prova subita dal protagonista con una qualità simile al sublime mentre, nonostante tutto, continua la sua lotta per la limiti dei suoi poteri. Immagini di natura viziata, marcia e mutilata, manufatti, architettura e soprattutto corpi sono descritti con dettagli così ricchi da assumere una dimensione inquietante, atroce e paradossale. Il libro mette in evidenza aspetti descrittivi che sono a loro volta accoppiati con rappresentazioni feroci ed espressionistiche di un'ambientazione da incubo. La prima morte è considerata una delle opere più violente della letteratura neogreca.\n\nStoria editoriale.\nIl libro è stato originariamente pubblicato in greco nel 1996 ed è stato tradotto in inglese, tedesco, spagnolo e italiano. La prima edizione inglese è apparsa nel 2000 ed è andata fuori stampa nel 2005. Una seconda edizione inglese rivista è stata lanciata come e-book nella primavera del 2017 e successivamente è stata data alle stampe nell'autunno dello stesso anno. La nuova edizione contiene delle note di traduzione che spiegano i riferimenti al greco antico del testo greco originale.\n\nCritica.\nEssendo il primo libro a essere stato pubblicato della trilogia di Poena damni, La prima morte ha ricevuto una serie di recensioni che abbracciano oltre due decenni. Alcuni critici sottolineano lo stretto legame dell'opera con la letteratura greca antica per il suo carattere linguistico ibrido e le sue allusioni alla tragedia' mentre altri vedono un forte legame con l'attualità. Il critico Toti O'Brien osserva: 'Mentre leggo La prima morte immagino il tappeto di cadaveri lungo il Mediterraneo. Strati e strati di arti, ora ossa, si sono accumulati negli ultimi decenni, tutti appartenenti a carichi di navi di migranti in cerca di fuga attraverso l'Europa. Non posso fare a meno di collegare la poesia sotto i miei occhi con questo preciso scenario. Le immagini più potenti e inquietanti che Lyacos dipinge hanno senso in questo contesto in cui si inseriscono naturalmente.'.
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### Titolo: Occupazione di Poti.\n### Descrizione: L'occupazione di Poti fu una battaglia tra le forze russe e georgiane svoltasi tra il 9 e il 19 agosto 2008.\n\nBattaglia.\nGli attacchi aerei iniziali.\nPoti è un importante porto della Georgia che si affaccia sul Mar Nero.\nNella giornata del 9 agosto 2008 l'aviazione russa bombardò il porto e le sue strutture e una base aerea che si trovava lì vicino.\n\nLa conquista di Senaki.\nLa città di Senaki, che è distante molte miglia da Poti, fu occupata dalle forze russe l'11 agosto. Così Poti fu isolata dall'intera Georgia perché l'unica strada principale passava proprio da Senaki. Anche se i russi si ritirarono il giorno dopo, l'occupazione di questa città dimostrò l'impotenza e l'incapacità di resistere dei georgiani.\n\nLa vittoria russa.\nIl 14 agosto fu il giorno in cui le truppe russe occuparono la città e affondarono le navi della Marina georgiana.\nIl 19 agosto 2008, le truppe russe catturarono 22 soldati georgiani e sequestrarono quattro Humvee blindati nella città di Poti.\n\nRisultati.\nL'UNOSAT, un progetto dell'UNITAR attuato per la ricerca nucleare, ha effettuato l'analisi di immagini satellitari di Poti, trovando sei barche sommerse georgiane. Oltre a questo non ci sono altri danni visibili nella valutazione..
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### Titolo: Ocipete.\n### Descrizione: Ocipete (in greco antico: Ὠκυπέτη?, Ōküpètē) è un personaggio della mitologia greca era una delle Arpie, figlie di Taumante e di Elettra.\nOcipete viene da ὠκύπους (ōkupous), 'piede veloce' e inoltre vuole significare 'scorrere' quindi significa 'colei che scorre veloce' ὠκύθοος (ōkuthoos).\n\nMitologia.\nOcipete sorvegliava le sue sorelle e le aiutava a tormentare Fineo, accecato e punito dagli dei, impedendogli di mangiare alcun cibo. Fineo aveva il dono della profezia e gli Argonauti andarono a consultarlo.\nFineo chiese loro di liberarlo dalle arpie e i due figli di Borea, Calaide e Zete uscirono per attaccarle. Ocipete fu sconfitta e cadde nel Peloponneso.\nOcipete chiese agli dei pietà per lei e le sue sorelle, Iris si rivolse a Calaide e Zete per fermarli e, in cambio della pace, le Arpie promisero di smettere di tormentare Fineo. Dopodiché si nascosero in una grotta di Creta.
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### Titolo: Ociroe (figlia di Chirone).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ociroe fu una figlia del centauro Chirone e della ninfa Cariclo: era nata sulle rive di un ruscello. Ebbe il dono della divinazione, e si lasciò sfuggire la rivelazione delle vicende segrete legate al futuro di Asclepio. Per punizione, venne trasformata in cavalla.
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### Titolo: Oclaso.\n### Descrizione: Oclaso è il nome di un personaggio della mitologia greca. È citato come pronipote di Cadmo, fondatore e primo re di Tebe.\nÈ figlio del re Penteo, a sua volta figlio di Agave (figlia di Cadmo), e dunque appartenente alla famiglia reale di Tebe.\nNon gli sono attribuite gesta, è nominato in relazione alle vicende del padre, smembrato dalla propria madre e le sue sorelle, per volere e vendetta di Dioniso. Non fu mai re .\n\nLa stirpe.
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### Titolo: Ocno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca e romana, Ocno (in greco Ὄκνος, in latino Ocnus), noto anche con il nome di Bianore, era il figlio del dio Tiberino e dell'indovina Manto.\n\nCitazioni.\nSecondo Virgilio fu il fondatore e primo re di Mantova: egli compare tra gli alleati etruschi di Enea nella guerra contro i Rutuli:.\n\nMitologia.\nFu condannato a trascorrere l'eternità nel Tartaro, intrecciando una corda di paglia. Come raffigurato nell'immagine di Polignoto, dietro di lui c'è il suo asino che mangia la corda con la stessa velocità con cui viene realizzata.\nA differenza di altri detenuti del Tartaro, non viene menzionato alcun crimine che spieghi la condizione di Ocno. Il filologo classico ed epigrafista Reinhold Merkelbach suggerisce che ciò sia dovuto al fatto che Ocno era stato 'ritardatario' nel chiedere l'iniziazione ai Misteri Eleusini, ma non ci sono prove dirette di ciò nelle risorse letterarie superstiti. Il filologo classico Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff considera la condizione di Ocno come una punizione per la debolezza morale, la mancanza di coraggio e la timidezza nei confronti di ciò che egli concepisce come obbligo di decisione. Secondo Wilamowitz, questo potrebbe avere effetti positivi se tiene lontano dalle azioni malvagie, ma è egoistico perché l'evitare gli ostacoli che richiedono una decisione di agire fondamentalmente non aiuta nessuno. Il filosofo Norbert Wokart rifiuta tuttavia questa nozione e ritiene che Ocno sia solo un'immagine o un mero simbolo, che mostra allegoricamente il creativo e il distruttivo, e astrattamente il fragile equilibrio tra il positivo e il negativo, perché il positivo diventerebbe positivo solo attraverso il contrasto del negativo.Julius Evola, un esoterista italiano, ritiene che la storia sia una rappresentazione simbolica della nascita e della morte dell'uomo come forma di immortalità accidentale, che elude l'individuo. In questo caso, Evola vede Ocno come l'eterna madre, che tesse la corda infinita dell'umanità fino alla bocca dell'asino, che simboleggia la morte.
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### Titolo: Ofiotauro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, l'Ofiotauro (dal greco Οφιοταυρος, Ofiotauros, composto di ὄφις, ofis, 'serpente', e ταῦρος, tauros, 'toro') era un essere mostruoso, il cui corpo taurino terminava con una coda di serpente.\nL'unico frammento testuale pervenutoci riguardo alla creatura si trova nei Fasti di Ovidio. Qui viene detto che le viscere dell'animale, partorito dalla Terra, conferiscono, a chi le brucia, il potere di rovesciare gli dei. Lo Stige, avvertito dalle Parche, imprigionò l'Ofiotauro (per impedire che fosse ucciso) in un bosco circondato da un triplice strato di mura. Durante la Titanomachia, il mostruoso ibrido fu ucciso con un'ascia adamantina da Briareo, un alleato dei titani, ma prima che le interiora potessero essere bruciate Zeus inviò gli uccelli a trafugarle. Quello che gliele riportò fu il nibbio: allora, per ricompensarlo del servizio resogli, Zeus lo elevò al cielo trasformandolo nella costellazione dell'Aquila.\n\nInfluenza culturale.\nL'Ofiotauro compare ne La maledizione del Titano, il terzo libro della serie di 'Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo'. Percy Jackson lo salva e, credendolo una femmina, lo battezza 'Bessie'. L'Ofiotauro crede che Percy sia il suo guardiano. Più tardi, la creatura viene portata sull'Olimpo e posta sotto la tutela del padre di Percy, Poseidone. L'Ofiotauro appare brevemente anche ne La battaglia del labirinto e Lo scontro finale.
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### Titolo: Ogigia.\n### Descrizione: Ogigia (in greco antico: Ὠγυγίη? Ōgyghìē), nel libro V dell'Odissea di Omero, è l'isola dove Ulisse si trovò a sostare per sette anni dopo lunghe avventure e pericoli corsi durante il suo ritorno dalla guerra di Troia. Quest'isola viene descritta da Omero come un posto paradisiaco della felicità e dell'immortalità, benché Ulisse trascorra la maggior parte della sua prigionia piangendo per la distanza dalla sua patria, per l'impossibilità della sua partenza e per la mancanza dei suoi cari - Penelope e Telemaco -; spesso si rifugiava sul promontorio dell'isola dal quale osservava i flutti in attesa di partire. Altri luoghi dell'isola sono la grande spelonca, ove risiedeva la ninfa, che vi dormiva con Ulisse, benché nolente; attorno alla grotta vi erano un lussureggiante bosco, pieno di uccelli e svariati prati di sedano e viole, e dei rigogliosi tralci di vite domestica con quattro sorgenti d'acqua nei pressi.\nUlisse vi giunse a causa di un naufragio che lo fece andare alla deriva fin sulle coste dell'isola, ove Calipso lo salvò e lo accolse. Essa s'invaghì dell'eroe itacese a tal punto da trattenerlo quasi come prigioniero, fin quando giunse un ordine esplicito di Ermes, in qualità di messo di Zeus a lasciarlo tornare in patria. La ninfa malvolentieri ne informò Ulisse, ma questi diffidava di lei, paventando infatti un attentato alla propria vita come vendetta; dopo il solenne giuramento di Calipso, Ulisse, rinfrancato, si preparò a partire. Costruitosi una zattera (e qui reperiamo preziose informazioni sulle tecnologie dell'epoca), partì, ma avendolo visto il suo acerrimo nemico Poseidone, gli scatenò una tempesta contro; ciononostante, grazie all'intervento salvifico di Atena e della ninfa Leucotea, giunse alle coste di Scheria, l'isola dei Feaci, ove otterrà di essere finalmente accompagnato e sbarcato alla natia Itaca.\n\nIdentificazione.\nSono diverse le collocazioni attribuite a Ogigia nella geografia reale: appena fuori dallo stretto di Gibilterra oppure, secondo tradizioni locali della Dalmazia, l'isola di Meleda; secondo altri autori invece è l'isola di Gozo nell'arcipelago maltese, dove è possibile visitare la grotta 'di Calipso' che sovrasta la spiaggia rossa della Baia di Ramla; ancora, l'isola di Gavdos a sud della Grecia. Secondo alcuni recenti studi, Ogigia si troverebbe di fronte ai monumenti alla costa calabra del Mar Ionio, in corrispondenza della Secca di Amendolara o nei pressi di Punta Alice a Cirò Marina. Per altri ancora si tratterebbe dell'isola di Pantelleria. Ciò che deduciamo da Omero, vero o no che sia, è che era un'isola assai remota, distante da centri abitati: così Ermes diceva a Calipso presentandosi: 'Zeus m'ha costretto a venire quaggiù, contro voglia;/ e chi volentieri traverserebbe tant'acqua marina,/ infinita? Non è neppure vicina qualche citta di mortali,/ che fanno offerte ai numi, elette ecatombi.'Sulla base di un passo del 'De facie in orbe Lunae' dello scrittore greco d’età romana Plutarco del II secolo d.C., lo studioso italiano Felice Vinci ('Omero nel Baltico', 1995) ha ipotizzato che l’isola di Ogigia si trovi, citando letteralmente Plutarco, 'a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, in direzione Occidente' ossia 'verso il tramonto del sole', identificandola in una delle attuali Isole Fær Øer anche sulla base di altre considerazioni, ad esempio di carattere storico, geografico, meteorologico, linguistico. A partire da quest’affermazione di Plutarco, il Vinci arriva a ipotizzare lo svolgersi di tutte le vicende narrate da Omero nell’attuale Mar Baltico, ipotesi che, pur non priva di critiche, è corredata da tutta una serie di calzanti e affascinanti coincidenze che meriterebbero ulteriori approfondimenti.\n\nInfluenza culturale.\nAll'isola Ogigia è intitolato l'Ogygia Chasma su Teti.
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### Titolo: Ogigo.\n### Descrizione: Ogigo (in greco antico: Ὤγυγος?) oppure Ogige (in greco antico: Ὠγύγης?) è un personaggio della mitologia greca, di antichissime origini e probabilmente autoctono della Beozia, che fu considerato un re delle terre della Beozia quando la città di Tebe non era ancora stata fondata e quando le terre al suo intorno erano inabitate.\nSecondo altre tradizioni fu un re dell'Attica e durante il suo regno si sarebbe verificato un diluvio.\n\nMitologia.\nAnche le storie della sua discendenza sono molto diverse e se a volte viene considerato un figlio di Poseidone, per altri è invece un figlio di Beoto o di Cadmo mentre Teofilo di Antiochia nell'Apologia ad Autolico scrive che sia stato uno dei Titani.\nEusebio di Cesarea nei suoi scritti cita la Chronographia di Giulio Africano e stima l'esistenza Ogigo ai tempi dell'Esodo degli Ebrei dall'Egitto.\nFu il marito di Tebe (probabilmente eponima della stessa città di Tebe) e padre dei maschi Eleusi (eponimo dell'antica città di Eleusi) e di Cadmo (che potrebbe invece essere il padre e che è considerato l'eponimo della Cadmea) e delle femmine Alalcomenea (eponima di Alalcomene in Beozia), Aulide (eponima di Aulide) e Telsinia (o Delcinia); queste ultime sono definite anche Prassidiche, nutrici di Atena e dispensatrici della 'giusta punizione'.
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### Titolo: Oileo.\n### Descrizione: Oileo (in greco antico: Ὀϊλεύς?, Oīlèus) è un personaggio della mitologia greca. Re della Locride ed Argonauta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Odoidoco (figlio di Cino e nipote di Opo) e di Agrianome (figlia di Perseon), sposò Eriope (figlia di Fere e detta anche Alcimache) e fu padre di Aiace Oileo e di Medonte, quest'ultimo avuto dalla ninfa Rene.\nSecondo Igino, Rene è anche la madre di Aiace.\n\nMitologia.\nViaggiò con gli Argonauti verso la Colchide alla ricerca del vello d'oro ed al suo ritorno fu ferito alla spalla durante l'attacco degli uccelli del lago Stinfalo mentre si trovava sulla nave Argo e ricevette aiuto dal compagno Eribote.\nSuo figlio Medonte combatté nella guerra di Troia con Aiace ed i greci quando parlavano di loro li chiamavano gli Olionidi.
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### Titolo: Oinotrope.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elaide, Eno e Spermo, dette le Oinotrope (o le Vignaiole; letteralmente 'trasformatrici in vino') erano le tre figlie di Anio, figlio di Apollo e re di Delo, e di sua moglie Dorippa.\nSiccome il padre le aveva consacrate a Dioniso, il dio dotò rispettivamente Eliade, Spermo ed Eno del potere di trasformare tutto quanto veniva toccato in olio, grano e vino; i loro nomi si riferiscono per l'appunto a questi tre beni. Grazie a questa dote delle sue figlie, Anio poté soddisfare le richieste di rifornimenti dei greci in partenza per la guerra di Troia.\nAgamennone inviò a Delo Menelao e Odisseo per chiedere ad Anio di consegnargliele, cosicché potesse portarle con sé in guerra per garantire il nutrimento ai soldati, ma il padre delle Oinotrope rispose che, secondo il volere degli dèi, Troia non sarebbe stata conquistata prima di dieci anni ed invitò i Greci a rimanere nella sua isola per tutto quel periodo, promettendo che sarebbero stati nutriti dalle sue figlie. Tuttavia, il condottiero acheo aveva dato il preciso ordine di requisirle con la forza, qualora Anio non avesse accondisceso al suo desiderio. Odisseo allora incatenò le giovani, caricandole sulla propria nave. In seguito, riuscirono tutte a fuggire; due ripararono in Eubea, la terza ad Andro. Di fronte alle intimazioni di Agamennone, che inviò delle navi e minacciò la guerra, si arresero, ma, dopo aver invocato Dioniso, furono tramutate dal dio in colombe bianche. Da quel momento Anio ruppe definitivamente con gli Achei e iniziò a parteggiare per i Troiani.
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### Titolo: Oizys.\n### Descrizione: Oizys (in greco antico: Οϊζύς?, Oizýs) nella mitologia greca era la dea della miseria e della sventura.\nEra una figlia della Notte e gemella del dio Momo.\nIl suo nome latino era invece Miseria.\nÈ anche la dea dei veleni, ed è rappresentata seduta su una roccia, magrissima con le vesti lacere. Le guance sporche di sangue, come se se le fosse graffiata lei stessa. Tiene appoggiato a terra lo scudo di Ercole, dove è rappresentata lei in quella stessa posizione. La leggenda dice che Ercole pose Oizys sul suo scudo, così l'ultima immagine che i suoi nemici avessero avuto prima di morire sarebbe stata proprio la dea della Miseria.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Oizys, su Theoi Project.
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### Titolo: Oleno (cantore).\n### Descrizione: Oleno (in greco antico: Ὠλήν?, Olēn) è un personaggio della mitologia greca.\nÈ menzionato come mitico cantore di esistenza anteriore ai più noti Panfo, Museo, Lino, Orfeo ed Omero.\n\nMitologia.\nOriginario della Licia o del paese degli Iperborei, già Erodoto lo reputava il primo autore di inni e canti epici, inventore dell'esametro, profeta di Apollo a Delo, Delfi ed a Creta. In particolare, avrebbe trasportato il culto di Apollo e di Artemide dalla Licia a Delo, dove celebrò la loro nascita tra gli Iperborei con inni mitologici e cosmogonici che, secondo Erodoto, a Delo si tramandarono a lungo.\nAnche Pausania lo ricorda come il primo innografo, menzionando i suoi inni a Giunone ed a Lucina.
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### Titolo: Oleno (figlio di Efesto).\n### Descrizione: Oleno (in greco antico: Ὤλενος?, Olĕnus) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Efesto e di Aglaia fu padre delle ninfe Elice ed Ege.\n\nMitologia.\nLe sue figlie (Elice ed Ege) furono le nutrici di Zeus sul monte Ida a Creta.\nIn alcune fonti è citata come sua figlia anche Amaltea, dai più rammentata invece come la capra che allattò Zeus (in Eustazio Oléniè aïx, la «capra Olenia»).\nDa questo Oleno deriverebbe il nome una città in Aulide.
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### Titolo: Olimpo Orientale.\n### Descrizione: Olimpo Orientale (in greco Ανατολικός Όλυμπος?) è un ex comune della Grecia nella periferia della Macedonia Centrale di 9.374 abitanti secondo i dati del censimento 2001.È stato soppresso a seguito della riforma amministrativa, detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011 ed è ora compreso nel comune di Dion-Olympos.
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### Titolo: Olimpo.\n### Descrizione: Il Monte Olimpo (in greco antico: Ὄλυμπος?) è, con i suoi 2917,727 m, la montagna più alta della Grecia. È situato nella parte settentrionale del paese, tra la Tessaglia e la Macedonia, non lontano dal mare Egeo. Nel 1938 è diventato sede del parco nazionale del Monte Olimpo.\nNella mitologia greca, la vetta del monte (perennemente circondata da nubi bianche) era considerata la casa degli dei olimpi, ed era dunque ritenuto impossibile raggiungerla senza il permesso degli dei stessi.\n\nEtimologia.\nIl nome Όλυμπος (olympos) non ha origine certa. È stata accostata a termini greci come ollumi (tagliare, radere, distruggere), oloos (distruttore), oulē (intaglio), mentre il suffisso -mpos, è attestato in diversi linguaggi indoeuropei nella formazione degli aggettivi con significato di posizione. Queste tesi tenderebbero a concepire la parola olympos come 'impedimento', 'ostacolo', 'barriera', e infatti dagli antichi l'Olimpo era considerato una frontiera che separava la Tessaglia dalla Macedonia.\nUn'altra etimologia si avvale di parole più prettamente indoeuropee come le radici *wel- ('girare') e *ombh- ('rotondità', ma anche 'sommità'). Il senso quindi potrebbe essere 'dalla cima circondata', con riferimento alle nubi che ne nascondevano spesso la cima. Secondo altri, invece, 'cima circondata dalla neve', e da qui il concetto di 'Olimpo luminoso', per il consueto bagliore delle nevi.\n\nClima.\nIl clima dell'Olimpo varia a seconda della stagione e dell'altitudine. Sulle basse pendici è tipicamente mediterraneo, con estati calde e secche e inverni miti ma abbastanza piovosi. Nella zona di media montagna l'estate è fresca e piuttosto secca. Piove spesso in primavera e in autunno, mentre l'inverno è abbastanza rigido e freddo, con frequenti nevicate.\nNella zona alta, sopra i 2000 m, le estati sono brevi, con piogge frequenti. Pioggia e freddo prevalgono in primavera e autunno, mentre l'inverno è estremamente pesante e lungo, con frequenti nevicate.\n\nAlpinismo.\nLa prima ascensione del Monte Olimpo avvenne il 2 agosto 1913 ad opera del greco Christos Kakkalos e degli svizzeri Frédéric Boissonas e Daniel Baud-Bovy.\nLa via normale di accesso alla Cima Mitikas risale il versante orientale della montagna. Le almeno 13 ore di percorrenza fanno tipicamente prevedere uno svolgimento di minimo 2 giorni con pernottamento in quota. Parte dalla località Prionia a 1100 m s.l.m., raggiungibile in auto dalla città di Litochoro, dalla quale si raggiunge il rifugio Spilios Agapitos a 2100 m s.l.m.. Dal rifugio si raggiunge la Cima Skala a 2866 m s.l.m., terza vetta della Grecia e punto di arrivo per la maggior parte degli escursionisti. L'itinerario prosegue poi verso nord per la Cresta Kakoskala diventando alpinistico, le difficoltà aumentano e la forte esposizione al vuoto richiede di procedere legati in sicurezza mediante tecniche alpinistiche, fino alla celebre Cima Mitikas, vetta più alta della Grecia, posta a quota 2917 m s.l.m..\n\nMitologia.\nUn'ipotesi sul perché l'Olimpo sia stato considerato sede degli dèi della Grecia è presente nel Trattato fisico-storico dell'Aurora Boreale, ponderoso lavoro dell'astronomo e géomètre francese Jean Jacques Dortous de Mairan, discepolo 'eretico' del padre Malebranche, nonché successore di Bernard le Bovier de Fontenelle come segretario dell'Accademia delle Scienze di Parigi.\nDal 1716, per oltre un decennio, nei cieli europei fu ben visibile il fenomeno dell'aurora boreale. A esso Fontenelle riservò per cinque anni consecutivi l'apertura dell'Annuario dell'Accademia parigina delle Scienze, sottolineando tra l'altro come il fenomeno potesse chiarire anche una serie di credenze popolari:.\n\nAncora nel 1726 Fontenelle e l'Histoire de l'académie royale des sciences tornarono ad occuparsi del fenomeno in questi termini:.\n\nPer Mairan è proprio l'aurora boreale, vista incombere dai greci pre-omerici sulle pendici della catena montuosa dell'Olimpo, ad aver determinato la nascita del mito che ivi localizza la sede degli dèi.\nLa luminosità a cui l'Olimpo dovrebbe il suo nome non è il consueto bagliore delle nevi inondate dal sole, o lo splendore di una cima che emerga improvvisa al di sopra delle nubi, ma la più sorprendente e fantastica luce che l'aurora boreale accende nel cuore della notte.\nIl monte Olimpo, accompagnato dal motto FIDES, venne utilizzato come impresa dal duca di Mantova Federico II Gonzaga.
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### Titolo: Omofagia.\n### Descrizione: Con omofagia (dal greco ὠμοϕαγία, da ὠμός ōmós 'crudo' e ϕαγεῖν phagêin 'mangiare') si intende il consumo di carne cruda.\nOmofagia è un termine riferito ad un insolito rituale caratterizzato dalla consumazione di carni crude, in uso presso gli antichi Greci ed adottato da associazioni mistiche (per esempio il 'menadismo') dedicate al culto del dio Dioniso, visto come liberatore dell'energia vitale, colui che torna dall'oltretomba alla vita. Normalmente, il sacrificio di animali a favore delle divinità, così come era istituzionalizzato all'epoca, prevedeva anche la consumazione delle carni della vittima, che avveniva dopo regolare cottura. L'omofagia, al contrario, si proponeva come una “rivisitazione trasgressiva” del rituale ordinario. Il rito si svolgeva con la caccia a un animale selvatico, in genere di piccola taglia, che veniva ucciso, spesso fatto a pezzi a mani nude e poi divorato crudo dai partecipanti. L'animale era identificato con la divinità ed il rito simboleggiava l'unione con la stessa. Tale pasto sacrificale realizzava non solo l'unione tra il sacrificante e la divinità destinataria del sacrificio, ma consentiva anche una sorta di fratellanza mistica tra tutti i commensali. Tale comunione mistica di gruppo avveniva attraverso l'identificazione dei sacrificanti con la vittima sacrificale, a sua volta già coincidente con la divinità stessa.\nI rituali di comunione mistica sono rintracciabili anche tra le culture primitive, come la comunione totemica delle popolazioni australiane.\nSaranno più tardi rintracciabili nel cristianesimo, dove il termine comunione è usato nel senso di eucaristia (uno dei sacramenti della religione cristiana), con particolare rilevanza al carattere comunitario (greco koinonía) della Santa Cena.
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### Titolo: Onfalo.\n### Descrizione: Col termine ònfalo (in greco ὀμφαλός omphalòs, ossia 'ombelico') nell'antichità si indicava una pietra o un oggetto dal valore religioso. Nell'antica Grecia la pietra scolpita era situata a Delfi, nel Tempio di Apollo, da cui la Pizia diffondeva i suoi vaticini. Nel museo di Delfi si conserva una copia marmorea della pietra, raffigurata coperta da cordoni intrecciati.\n\nIl mito.\nIl tempio di Apollo delfico era il più importante di tutto il mondo greco, e l'onfalo indicava che Delfi, col suo santuario, era il centro del mondo, il suo ombelico. Secondo il mito, Zeus, per determinare il centro del mondo, aveva liberato due aquile che erano volate in direzioni opposte e si erano ritrovate a Delfi.\nInoltre, con lo stesso termine ci si riferiva anche al masso che Rea fece ingoiare a Crono al posto del figlio Zeus e che venne rigettato dallo stesso Crono. Ciò avvenne quando Zeus nell'intento di liberare i fratelli ingoiati dal padre, nel timore d'essere spodestato, secondo il mito, gli fece bere con l'inganno un veleno che fece vomitare a Crono dapprima la pietra, ingoiata al posto di Zeus in fasce, per poi liberare le altre divinità.
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### Titolo: Onihitokuchi.\n### Descrizione: Gli Onihitokuchi (鬼一口) sono degli Oni carnivori con un solo occhio.\n\nLeggenda.\nNella sesta parte dei racconti di Ise del Periodo Heian, è riportato ciò:' Un uomo frequentava una donna da tanti anni, ma il loro differente status sociale ne proibiva l'unione. Così, una notte fuggirono assieme nel cuore di una notte tempestosa e si ripararono dalla pioggia in una grotta sperduta e, fatta entrare la donna al suo interno, il giovane fece la guardia all'ingresso con l'arco di sua proprietà. Quando all'alba entrò nella caverna, non trovò la sua compagna, perché lei era stata divorata in un sol boccone da un Oni che viveva lì e le sue urla erano state coperte dal frastuono dei fulmini'.La storia fu illustrata da Sekien Toriyama nel Konjaku Hyakki Shūi sotto il titolo 'Onihitokuchi'.Inoltre, nella collezione di setsuwa è raccontato come un Onihitokuchi si sia camuffato da giovane per sedurre una donna e divorarla, mentre nel Konjaku Monogatarishū la ragazza viene semplicemente rapita mentre passeggiava di notte.Si ipotizza che queste storie cercassero di spiegare le sparizioni improvvise nei periodi di guerre o carestie.
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### Titolo: Oniri.\n### Descrizione: Nella mitologia greca gli Oniri (Ὄνειροι), talvolta in italiano anche nella traduzione diretta Sogni, sono dèi minori generati da Notte, consistendo nei sogni dei mortali. Essi ne sono la personificazione e si troverebbero sulle sponde dell'oceano dell'ovest, in una caverna confinante con il dominio di Ade, il dio degli Inferi. Questi dèi inviano i sogni ai mortali attraverso due cancelli o portali: l'uno costruito con corna, l'altro in avorio. Dal primo prendono forma i sogni veri, dal secondo quelli ingannatori.\nI tre fratelli Oniri sono:.\n\nMorfeo (Morpheus).\nFobetore (Phobetor), chiamato anche Ìcelo (Icelus).\nFantaso (Phantasos)Ognuno di essi ha il proprio ruolo nel plasmare i sogni dei mortali.\n\nL'influenza degli Oniri nei sogni.\nMorfeo.\nIl più potente degli Oniri, è 'il modellatore', colui che fa prendere forma al sogno. Permette la manifestazione di esseri umani all'interno dei sogni.\nSecondo la mitologia, Morfeo sfiorava le palpebre dei sognatori con un mazzo di papaveri per assumere la forma della persona sognata e si riteneva che fosse circondato da folletti che creavano l'immaginazione.\n\nFobetore.\n'Lo spaventoso'; egli compare nei sogni sotto forma di esseri aberranti, quali bestie o mostri.\n\nFantaso.\n'L'apparizione'; sono generati da lui tutti gli oggetti inanimati sognati dai mortali.
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### Titolo: Oniro.\n### Descrizione: Oniro, nella mitologia greca più arcaica, è la personificazione del sogno. Figlio del Sonno (Hypnos) e della Notte, riunisce in sé i poteri dei tre oneiroi (Morfeo, Fobetore e Fantaso); forse anche per questo, non possiede una personalità ben definita.\nNei culti oracolari, grazie al rito dell'incubazione, faceva da tramite tra il volere divino ed il fedele attraverso il sogno, trovando la sua collocazione adeguata.\nIl personaggio di Oniro viene rappresentato nell'Iliade come un messaggero di Zeus.
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### Titolo: Opistodomo.\n### Descrizione: Nel tempio greco l'opistodomo è lo spazio posto dietro la cella (dal greco ὀπισθόδομος, composto da ὄπισθεν 'di dietro' + δόμος 'stanza').\nEsso poteva contenere le suppellettili utili al rito e ai sacrifici. Dato che l'opistodomo ospitava anche le ricche offerte consacrate agli dei, era chiuso con cancellate metalliche. Vi potevano accedere solo i sacerdoti. Ma solitamente e principalmente l'opistodomo era costruito solamente per creare quella perfezione, identificata nell'analoghìa. Infatti, la sua costruzione creava simmetria, in relazione al pronao.\nNei templi di età arcaica l'opistodomo è più ampio del pronao e le sue ante non sono allineate con le colonne laterali della peristasi, mentre in età classica esso tende ad assumere dimensioni uguali o minori e ad allinearsi con la terza colonna del colonnato laterale. Generalmente si trova nella configurazione del vano 'distilo in antis' ovvero con due colonne (distilo) tra le ante.\nC'era anche un opistodomo nel tempio periptero, cioè interamente circondato da colonne, e nello pseudoperiptero; nel tempio dei ditteri, cioè con due ordini di colonne.\nIl Partenone, che era un tempio periptero, aveva un opistodomo in cui era custodito il tesoro pubblico di Atene .\nL'opistodomo, caratteristico all'inizio dell'ordine dorico, iniziò ad essere costruito per la prima volta nel tempio ionico di Atena a Priene, dall'architetto Pitide intorno al 340 - 330 a.C.
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### Titolo: Opsicella.\n### Descrizione: Opsicella (talvolta anche Ossicella) è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nOpsicella fu compagno del troiano Antenore durante la fuga da Troia distrutta dagli Achei e assieme a lui risalì l'Adriatico ed il Medoacus (l'attuale Brenta). Separatosi da Antenore, secondo la leggenda, fondò la città di Monselice. Ripreso quindi il suo viaggio giunse in Biscaglia dove avrebbe fondato un'altra città dandole il suo nome.\n\nIl personaggio nelle arti visive.\nAd Opsicella è dedicata una delle statue presenti in Prato della Valle a Padova eretta per volere degli abitanti di Monselice nel 1777. Eseguita da Pietro Danieletti, la statua tiene in mano il bastone del comando e ai piedi vi sono uno scudo e una faretra.
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### Titolo: Oracoli caldaici.\n### Descrizione: Gli Oracoli caldaici sono una raccolta di rivelazioni sapienziali appartenenti alla tradizione misterica greco-romana realizzata probabilmente alla fine del II secolo d.C. da Giuliano il Teurgo.\n\nContenuto.\nLa raccolta si compone di esametri omerici in cui viene rivelata la sapienza divina.\n\nA differenza del Corpus Hermeticum che si ricollega alla sapienza egizia, gli Oracoli caldaici fanno riferimento alla sapienza babilonese, tanto che furono attribuiti al profeta Zoroastro dal filosofo umanista Giorgio Gemisto Pletone.Pervenutaci soltanto in frammenti, l'opera è incentrata sul culto del Sole e del fuoco, oltre che sulle pratiche della teurgia, tipiche dell'età ellenistica.
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### Titolo: Oracoli sibillini.\n### Descrizione: Gli Oracoli sibillini (latino: Oracula Sibyllina), talvolta detti Pseudo-sibillini, sono 12 libri in greco di contenuto assai eterogeneo, scritti in esametri e contenenti varie profezie circa eventi storici futuri; prendono il nome dai Libri sibillini.\nGeneralmente catalogati tra gli apocrifi dell'Antico Testamento, sono suddivisibili in due parti in base al loro contenuto: giudaico-ellenistico quello più antico, giudaico-cristiano quello più recente. Il loro nucleo originario (libri 3-5) fu composto tra il II e il I secolo a.C., ed è da mettere probabilmente in relazione con le comunità della diaspora giudaica in Egitto; il testo originario fu poi rielaborato e ampliato in ambiente cristiano, tra il I e il VI secolo, con evidente scopo apologetico.\nEbbero grande fortuna presso i Padri della Chiesa, tra cui pseudo-Giustino, Teofilo di Antiochia, Clemente Alessandrino, Lattanzio, Eusebio di Cesarea, Agostino d'Ippona e Ambrogio da Milano, che li ritennero oracoli autentici.\n\nContenuto.\nIl contenuto degli Oracoli è stato definito «una straordinaria miscellanea il cui contenuto rispecchia una varietà di dottrine, assimilando le caratteristiche della letteratura profetica orientale e della cultura ellenistica».Il nucleo più antico è infatti il risultato della rielaborazione delle collezioni di oracoli attribuiti alle Sibille, che tanta fortuna avevano presso il mondo ellenistico-romano; gli oracoli furono prodotti a scopo propagandistico, in modo che ne fosse esaltato il senso apocalittico e che potessero convogliare un messaggio monoteistico e messianico. Questo nucleo, infatti, è riconducibile al mondo culturale ebraico di Alessandria d'Egitto, dove gli Ebrei della diaspora vissero a contatto con la cultura ellenistica, a partire dal III secolo a.C. o dalla prima metà del II secolo a.C.Successivamente il materiale fu rielaborato in ambiente cristiano, adattando le profezie giudaiche (profezie apocrife) in modo che prefigurassero l'avvento del Cristianesimo (come avvenuto nel caso della reinterpretazioni delle profezie dell'Antico Testamento all'interno dei vangeli canonici). La Sibilla, in particolare la Sibilla Eritrea, diventa dunque un'occasionale medium per la trasmissione delle profezie ispirate da Dio.\nI primi otto libri furono raccolti insieme da un autore anonimo, che compose anche il Prologo, il cui intervento si fa risalire al VI secolo.I libri più antichi sono quelli attualmente numerati come III, IV e XI; successivamente furono composti i libri I e II, collocati prima dei precedenti in quanto fanno riferimento alle fasi della creazione del mondo. Un gruppo a parte è costituito dai libri XI-XIV, nei quali si nota una fusione di temi escatologici-apocalittici con un carattere prevalentemente storico. A partire dall'antichità fino all'epoca romana, gli oracoli riportano eventi, storici o inventati, riconducibili a eventi luttuosi che colpiscono coloro che si oppongono al popolo scelto da Dio; in particolare sono evidenziate le difficoltà incontrate dai Romani, di cui viene sottolineata l'ostilità nei confronti degli Ebrei e la contrapposizione tra il loro dominio e il Regno del Figlio di Dio.\n\nComposizione.\nLa data e il luogo di composizione dei libri che compongono gli Oracoli sono i seguenti.\n\nStoria del testo.\nI primi otto libri degli Oracoli sibillini furono ritrovati in un manoscritto della biblioteca di Augsburg (oggi a Monaco di Baviera) da Betuleius, il quale li pubblicò nel 1545; l'anno successivo Sebastiano Castellione stampò a Basilea, presso l'editore riformato Oporino, una traduzione metrica latina degli oracoli. Lo stesso Castellione curò poi nel 1555 una riedizione del testo greco, per la quale mise a frutto un nuovo codice (oggi a Vienna) che era stato segnalato da Marco Antonio Antimaco. Una nuova edizione fu poi pubblicata a Parigi dal filologo calvinista Johannes Opsopoeus nel 1599 (ma è probabile che già nel 1589 vi sia stato un primo tentativo di pubblicazione, abortito per via della guerra di religione divampata): Opsopoeus per primo mise in dubbio il fatto che si trattasse effettivamente di testi divinamente ispirati e che le Sibille avessero predetto l'avvento di Cristo con alcuni secoli di anticipo.\nL'edizione di Opsopoeus, pur contestata in ambienti cattolici, divenne canonica e fu, ad esempio, ristampata nel 1689 da Gallaeus, insieme ad un fittissimo apparato di annotazioni storiche e antiquarie. Non molto aggiunse l'edizione curata da Andrea Gallandi nella Bibliotheca Veterum Patrum (1765, 1788). La vera novità si ebbe quando nel 1817 l'allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Angelo Mai, identificò un nucleo di quattro nuovi libri (numerati da XI a XIV), che riconobbe anche in due manoscritti della Biblioteca Vaticana allorché vi si trasferì. Così nel corso del XIX secolo si successero altre edizioni (Charles Alexandre, Alois Rzach) fino a quella, oggi fondamentale, di Johannes Geffcken (1902).\nNelle moderne edizioni degli Oracoli i libri sono 12, numerati da I a VIII e da XI a XIV. Il IX libro generalmente non è pubblicato poiché coincide con il VI e con alcune parti del VII e dell'VIII, mentre il X coincide con il IV. Un presunto XV libro è formato da pochi versi ad inizio del libro VIII.\n\nEdizioni.\n(LA, GRC) Charles Alexandre (a cura di), ΧΡΗΣΜΟΙ ΣΙΒΥΛΛΙΑΚΟΙ. Oracula sibyllina, 2ª ed., Parigi, Firmin Didot, 1869.\n(LA, GRC) Alois Rzach (a cura di), ΧΡΗΣΜΟΙ ΣΙΒΥΛΛΙΑΚΟΙ. Oracula sibyllina, Vienna, F. Tempsky, 1891.\n(DE, GRC) Johannes Geffcken (a cura di), Die Oracula Sibyllina, Lipsia, J.C. Hinrichs'sche Buchhandlung, 1902.\nMariangela Monaca, Oracoli sibillini, Città Nuova, 2008, ISBN 978-88-311-8199-0.
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### Titolo: Oracolo di Anfiarao.\n### Descrizione: L’oracolo di Anfiarao (in greco antico: Ἀμφιαρεῖον?, Amphiarèion) ad Oropo è un sito archeologico, descritto da Pausania nel I libro della Periegesi della Grecia. Esso fa parte del santuario di Oropo, collocato vicino Psafi, consacrato all'eroe Anfiarao, divinizzato dopo la morte.\nSi narra infatti che Anfiarao, uno dei Melampodidi, ovvero i discendenti di Melampo, dal quale aveva ereditato il dono di prevedere gli eventi futuri, sopravvisse alla battaglia per Tebe. Inseguito da Periclimeno, fuggì sul cocchio, guidato da Batone, un altro dei Melampodidi (o Melampidi), in direzione dell'Ismeno; qui, grazie alla protezione offerta da Zeus ed Apollo, la terra si aprì e lo inghiottì insieme al suo carro.\nSecondo alcuni, l'eroe argivo avrebbe continuato a vivere sotto terra come un dio.\n\nIl complesso architettonico.\nDal V al I secolo a.C. Oropo, città confinaria tra l'Attica e la Beozia, ha assunto una notevole importanza grazie soprattutto al santuario (Amphiareion) che ospitava l'oracolo di Anfiarao.\nIl tempio di Anfiarao risale al IV secolo a.C. Il bomòs (l'altare) sorgeva a est del tempio, a sua volta disposto verso oriente.\nPausania sostiene che l'altare fosse dedicato a cinque gruppi di divinità:.\nHeracles, Zeus e Apollo Παιών.\nEroi e consorti degli eroi.\nEstia, Ermes, Anfiarao e Anfiloco, uno dei figli dell'eroe.\nAfrodite, Panacea, Iaso, Igea e Atena Παιώνα.\nLe ninfe e Pan; i fiumi Acheloo e CefisoA est dell'altare si trova una struttura avvolgente a gradoni che potrebbe essere stata utilizzata come area teatrale prima della costruzione del teatro del II secolo a.C. Immediatamente a est di questo insieme si trova lo fonte sacra.\n\nLa fonte di Anfiarao.\nLa fonte, in prossimità del tempio, è consacrata ad Anfiarao, perché si dice che se ne fosse servito per risalire sulla terra dall'Ade.\nQui non venivano mai fatti sacrifici né si faceva uso dell'acqua per le lustrazioni o le abluzioni.\nTuttavia, ancora Pausania, riferisce l'uso di coloro che, una volta riacquistata la sanità per l'oracolo di Anfiarao, gettavano monete d'oro e di argento nella fonte.\n\nLa stoà.\nÈ datata nello stesso periodo del tempio e presenta 39 colonne doriche esterne e 17 colonne ioniche interne. Lungo il perimetro della struttura sono presenti delle panche in marmo dove i pellegrini dormivano adagiandosi nelle pelli di arieti appena sacrificati, attendendo il sogno in cui la divinità dava indicazioni per l'ottenimento della guarigione. Prima della sua distruzione, ai lati del portico, sono state ricavate due piccole stanze separate dal resto della struttura da due colonnati, probabilmente destinati anche questi all'accoglienza dei pellegrini.Nel territorio italiano, una struttura simile è presente nell'area archeologica La Cuma, a Monte Rinaldo.\n\nTradizione e uso dell'oracolo.\nLa tradizione dell'oracolo nascerebbe dalle profezie che Anfiarao avrebbe pronunciato davanti agli Argivi in occasione della spedizione contro Tebe. Iofonte Gnossio avrebbe poi provveduto a trascrivere gli oracoli in versi esametri.\nAnfiarao, oltre che veggente, era anche interprete di sogni, tanto che stabilì la loro divinazione.\nIl rito, finalizzato al manifestarsi del sogno risanatore che, debitamente interpretato, doveva guarire il pellegrino, consisteva nell'incubazione, ovvero nel riposo notturno, all'interno delle apposite strutture del santuario definite λουτρὰ Ἀμφιαράου.\nPrima dell’incubatio era necessario eseguire una purificazione. La lunga stoà che si trova oltre la fonte, edificata contemporaneamente al tempio, composta da 41 colonne e due file di panche di marmo, serviva al sonno rituale dei pellegrini.\n\nAnche il figlio di Anfiarao, Anfiloco, aveva un oracolo a Mallo, in Cilicia, che Pausania considera il più veridico ai suoi tempi.
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### Titolo: Oracolo di Delfi.\n### Descrizione: L'Oracolo di Delfi o “Delfo” è l'oracolo più prestigioso della religione greca del periodo arcaico.\n\nFondazione nella tradizione letteraria.\nCon l'eccezione dell'autore degli inni omerici ad Apollo, che gli attribuisce la fondazione dell'oracolo, i mitografi sono divisi in due gruppi: per il primo il dio ricevette l'oracolo in dono da altre divinità, come Pan o Zeus,.\nl'altro, parla di una lotta col serpente Pitone (Πύθων) che era il guardiano dell'oracolo, allora posseduto da Gea (Γῆ, la principale divinità ctonia) per ottenerne il controllo.\nPito (Πυθώ o anche Πυθών) era in effetti l'antico nome dell'oracolo e deriverebbe dal πύθω (far imputridire, marcire). Per scontare l'uccisione del serpente, Apollo dovette adattarsi a servire come pastore per sette anni sotto il re Admeto, che peraltro lo trattò sempre con rispetto e considerazione. Alla fine del periodo di pena, Apollo rientrò trionfalmente a Delfi sotto forma di delfino, il che va interpretato come una spiegazione paraetimologica per il nuovo nome dell'Oracolo.\n\nStoria.\nCollocato a 500 metri di altitudine, in linea d'aria, a 8 km dal Golfo di Corinto, il santuario panellenico di Delfi, di cui il tempio è la principale costruzione, risale all'Età micenea, mentre le prime figurine testimonianti della sua attribuzione ad Apollo risalgono al VIII secolo a.C.. Dipendente dalla città di Delfi (che decideva ad esempio la promanzia), a partire dal VI secolo a.C. il santuario passò sotto il controllo dell'Anfizionia (ἀμφικτυονία) pilaico-delfica.\nAlla metà, nel 548 a.C., il tempio fu distrutto da un incendio. Nel 505 terminerà la sua ricostruzione, avviata grazie ai finanziamenti dei Greci e non solo (contribuì anche il faraone Amasis), e prenderà il nome di tempio degli Alcmeonidi, per via dell'importante ruolo svolto nella ricostruzione dalla famiglia ateniese degli Alcmeonidi, qui esiliata. Nel 373 a.C., il tempio venne nuovamente distrutto, questa volta quasi certamente da un terremoto. La sua ricostruzione tarderà fino al 325 a.C. per via della Terza guerra sacra (356-346).\nI Persiani nel 480 a.C. e in seguito i Galli, nel 279 a.C., razziarono la regione del golfo di Corinto, ma il santuario subì pochi danni. L'elevazione nel 168 a.C. di un monumento alla vittoria di Pidna da parte di Lucio Emilio Paolo Macedonico, trasformando una statua equestre di re Perseo di Macedonia, segna l'appropriazione del santuario da parte dei conquistatori Romani. Interventi di riparazione e ripristino del culto vennero da parte di Augusto, Domiziano e Adriano. Il culto di Apollo perdurò a Delfi fino al III secolo.\n\nDescrizione.\nAnche se il tempio più antico scavato dagli archeologi risale al VII secolo a.C., il tempio più recente (e le cui rovine sono visibili a Delfi) risale al IV secolo a.C.Il tempio è periptero, misura 21,64 per 58,18 metri, ha sei colonne doriche sulla facciata e 15 per ogni lato. All'entrata del tempio c'era la scritta: 'ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ', 'Conosci te stesso'.\nIl suo interno è diviso in tre vani: il prónaos (πρόνᾱος), dal lato delle colonne ancora rimaste in piedi), il naós (νᾱός) e l'opisthódomos (ὀπισθόδομος). Il prónaos raccoglieva le 'massime' dei Sette Sapienti. Il naós, dalla pianta molto allungata, ospitava invece alcuni altari tra cui quello di Estia e quello di Poseidone. Un locale posto sotto il tempio fungeva da ádyton (ἄδυτον), il luogo dove la Pythía (Πυθία, anche 'pizia') pronunciava gli oracoli (χρησμός, chrēsmós).\nNella cella del tempio, davanti alla statua di culto, bruciava un fuoco perenne, alimentato solo da legno di abete. Dal tetto pendevano innumerevoli ghirlande d'alloro. Al centro del pavimento vi era una crepa, detta Χάσμα, da cui si sprigionavano vapori capaci di indurre una specie di trance. Al di sopra di questa crepa era piazzato il tripode su cui la pizia sedeva durante le sessioni oracolari. L'effetto dei fumi viene descritto come molto ineguale. Per lo più si limitava a indurre un delirio durante il quale la pizia pronunciava suoni e parole sconnesse, che venivano accuratamente trascritte e successivamente interpretate e comunicate all'interrogante. Talvolta l'effetto dei fumi era talmente violento da provocare alla pizia forti convulsioni, giungendo anche a ucciderla. Erodoto e altri riferiscono di occasioni in cui la voce del dio era stata udita direttamente da postulanti, senza il tramite della pizia. All'interno vi era anche una fonte d'acqua: la Kassotis, alla quale si abbeveravano la Pizia, i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli.\n\nL'oracolo.\nEvidenze archeologiche hanno dimostrato che il sito in cui era collocato l'oracolo fu luogo sacro fin dall'epoca pre-greca. In epoca antica la consultazione dell'oracolo conservava una periodicità annuale avvenendo il 7 del mese di Bisio (febbraio/marzo), in epoca classica tale periodicità acquisì una regolare cadenza mensile più le consultazioni considerate straordinarie. L'organizzazione templare risultava articolata: i sacerdoti (ἱερεύς) di Apollo erano due e venivano nominati a vita, essi avevano cura del culto al dio e conservavano la sua statua; seguivano gli hósioi (Ὄσιοι) in numero di cinque, nominati anch'essi a vita controllavano il rispetto dei riti lì celebrati; i prophétes (προφήτης) assistevano invece la Pizia, che viveva nel santuario; seguiva altro personale addetto ai sacrifici (μάγειροι), alle pulizie, all'amministrazione.\nLa personalità più in vista era la Pizia, la profetessa, scelta tra le donne di Delfi senza alcuna selezione in base all'età e nominata a vita. Potevano esservi più profetesse, fino a tre, la loro esistenza sacra era regolata dalla purezza rituale e dalla continenza, condizione esibita anche per mezzo di un preciso abbigliamento e per un'alimentazione regolata.\nNel caso delle consultazioni ordinarie (mensili), chiunque poteva chiedere responsi e il sacrificio che precedevano i riti era offerto dalla città di Delfi; per quanto attiene invece le consultazioni 'straordinarie', il sacrificio che le precedeva era a spese proprie del consultante il quale, se straniero, poteva procedere solo se accompagnato da un prosseno di Delfi. L'ordine della consultazione seguiva secondo alcune rigide regole: i Greci avevano la precedenza sui barbari e tra i Greci, i cittadini di Delfi avevano la precedenza; a seguire, i cittadini dell'anfizionia pilaico-delfica. Nel caso si fosse presentata la condizione di uguale diritto, si tirava a sorte. La città di Delfi si riservava comunque il diritto di riconoscere per decreto la promanzia (προμαντεία), ovvero la possibilità offerta a un consultante di essere ricevuto dall'oracolo prima di altri.\nPrima di ogni singolo oracolo, il consultante doveva offrire il πέλανος (pelanós), una libagione in natura, e pagare una tassa il cui ammontare si differenziava in base al fatto se il consulto atteneva alla sfera privata o a quella pubblica. Seguiva un primo sacrificio cruento detto πρόθυσις (próthysis) che corrispondeva generalmente a una capra e, infine, il consultante doveva deporre sul tavolo sacro un'ulteriore parte di un'altra vittima sacrificale. A questo punto si avviava la consultazione: secondo i testi, la pizia entrava nel tempio e faceva bruciare farina d'orzo e foglie di alloro sulla hestía (εστία) dal fuoco perenne, quindi scendeva nell'ádyton (ἄδυτον), il sacro locale posto sotto la pavimentazione del tempio dove era collocato anche l'omphalós (ὀμφαλός), la sacra pietra che indica il centro del mondo. Lì, seduta su un calderone sacrificale (lebēs, λέβης) chiuso da un coperchio e poggiato su un tripode (trípous, τρίπους), tenendo un ramo d'alloro (dáphnē, δάφνη) tagliato fresco e circondata da misteriosi vapori provenienti da una fenditura del terreno che salivano verso un'apertura verticale come quella di un pozzo, ella pronunciava gli oracoli che il προφήτης metteva per iscritto in esametro 'omerico', un verso che sarebbe anzi stato inventato da Phemonoe, la prima pizia. La lingua era generalmente dialetto ionico, ma sono noti oracoli in dorico. Non si sa dove il consultante si collocasse, né se la sua domanda venisse o meno trascritta, ma questa domanda era proposta per mezzo di un'alternativa a cui la pizia rispondeva.\n\nI responsi celebri.\nDiversi sono i responsi dell'oracolo riportati dalla tradizione greca e giunti a noi sino a oggi.\nUn responso riguarda la fondazione di Siracusa e di Crotone. Gli ecisti Archia e Miscello che insieme chiesero un consiglio su dove fondare le nuove colonie. Ma l'oracolo prima di dare responso chiese cosa stessero cercando se ricchezza o salute. Archia scelse la ricchezza, mentre Miscello la salute. L'oracolo quindi indirizzò il primo a Siracusa e il secondo a Crotone.\n\nVicende legate all'oracolo di Delfi.\nLa contesa del tripode.\nUn episodio mitologico riguarda l'eroe Eracle giunto a Delfi un tempo nota come Delfo, per un responso mentre era in preda ad uno stato di alterazione, tanto da indurre la pizia a non formulare il responso. Eracle, adiratosi, prese il tripode su cui sedeva la pizia con la volontà di impossessarsene, ma in quel momento giunse Apollo a difesa. Ne nacque una contesa per cui ebbe la meglio Apollo, salvando il tripode sacro.\n\nPitagora.\nNella sua biografia di Pitagora delle Vite e dottrine dei filosofi illustri, Diogene Laerzio (III secolo d.C.) cita la dichiarazione di Aristosseno (IV secolo a.C.) per cui la sacerdotessa delfica Temistoclea insegnò a Pitagora le sue dottrine morali:Porfirio (233-305 d.C.) la chiama 'Aristoclea' (Aristotele), anche se si riferisca alla stessa persona che è stata l'insegnante di Pitagora.
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### Titolo: Oracolo.\n### Descrizione: L'oracolo (dal latino oraculum) è un essere o un ente considerato fonte di saggi consigli o di profezie, un'autorità infallibile, solitamente di natura spirituale. Lo stesso termine può riferirsi anche a una predizione del futuro dispensata dagli dei attraverso oggetti o forme di vita ma anche grazie a delle sacerdotesse che, cadute in estasi, assumevano il dio nel proprio corpo.\nIl volere degli dei veniva comunicato agli uomini in vario modo: con segni sulle viscere delle vittime sacrificali, con i movimenti della statua del dio durante la processione o degli oggetti gettati in una fonte, attraverso lo stormire delle fronde di un albero sacro, oppure attraverso la bocca di un essere umano, come nel caso di Delfi, in Grecia. Nell'antichità molti luoghi guadagnarono la reputazione di dispensare oracoli: divennero noti anch'essi come 'oracoli', così come le profezie stesse.\n\nGli oracoli nel mondo ellenico.\nI grandi templi oracolari dell'antichità erano soprattutto greci. Nella civiltà ellenica l'oracolo più noto era la Sibilla Delfica, o più esattamente la Pizia del tempio del dio Apollo a Delfi, da cui deriva l'oracolo. Oltre a questo si ricordano quelli di Zeus a Dodona e Olimpia.\nUn aspetto caratteristico, non solo della religione greca ma anche della società ellenica, fu la grandissima diffusione degli oracoli, dei quali Delfi fu il più ricco e il più prestigioso. Santuari di consultazione oracolare sorgevano in ogni angolo del mondo greco, alcuni di importanza locale, altri noti e visitati da folle di pellegrini. Il fenomeno inoltre fu durevole nel tempo: se talvolta un oracolo cadeva in rovina, altri nascevano, anche in epoca tarda. La risposta dell'oracolo era di solito espressa in termini allusivi, poco comprensibili nell'immediato: la traduzione infatti seguiva diversi metodi di divinazione.\nL'oracolo di Dodona, in Epiro, era posto sotto la tutela del padre della famiglia divina, Zeus, e collocato in un luogo misterioso e arcano. A gestire questo oracolo erano dei sacerdoti chiamati Selli (Σελλοί), sottoposti a severe regole di comportamento (non potevano lavarsi i piedi e dovevano dormire sulla terra senza alcuna forma di protezione contro gli insetti, come un telo o una stuoia). Più tardi, le mansioni divinatorie passarono a un collegio di profetesse.\n\nGli oracoli in Tibet.\nGli oracoli tibetani sono molto consultati dai monaci buddhisti e dal governo in esilio, un tempo presieduto dal Dalai Lama, per richiedere il parere delle divinità tutelari.\nTramite il medium che presta il suo corpo in uno stato di sacra trance, la divinità in questione si manifesta per esprimere un giudizio sull'identificazione della reincarnazione di un influente lama defunto o sui rapporti con l'estero.\n\nGli oracoli in Arabia.\nL'oracolo arabo nasce nella Bassa Mesopotamia negli anni 2600-2700, diffondendosi poi in tutto il bacino del Mediterraneo e trasformandosi progressivamente sino a scomparire, nel corso dei successivi secoli, in modo quasi definitivo. Solo sul territorio italiano, e in particolare in Sicilia, all'interno della quale l'occupazione araba è sopravvissuta sino all'XI secolo, si sono conservate alcune tracce e scritti di astrologia che fanno riferimento al sapere ancestrale e alla cultura millenaria dell'oracolo arabo. Secondo l'astrologia araba l'uomo è collocato in posizione intermedia tra i concetti di destino e di libero arbitrio. Ogni segno zodiacale è associato a un determinismo di partenza e uno di arrivo, ma ogni uomo può, nel corso della propria vita e sulla base delle proprie scelte, determinare il proprio percorso.
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### Titolo: Oreadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Oreadi od Orestiadi (in greco antico: Ὀρεάδες?, a sua volta da ὄρος, 'montagna' o Όρεστιάδες), erano le ninfe che vivevano sulle montagne e nelle valli. Erano figlie di Gea, avute per partenogenesi.\nLe Oreadi differivano tra loro a seconda del luogo dove vivevano: le Idee abitavano il monte Ida, le Peliadi il monte Pelio, le Ditee il monte Ditte, le Corice una grotta del Parnaso, ecc.\nLa più nota delle Oreadi è forse Eco, compagna di Pan, innamoratasi di Narciso.\nQueste ninfe erano associate ad Artemide, divinità che cacciava preferibilmente tra le montagne ed i precipizi.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Oreadi.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Oread, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
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### Titolo: Oreste (Händel).\n### Descrizione: Oreste ('Orestes', HWV A11, HG 48/102) è un'opera di Georg Friedrich Händel in tre atti. Il libretto in italiano è di anonimo, adattato da 'L'Oreste' di Giangualberto Barlocci (1723, Roma), che a sua volta era stato adattato da Ifigenia in Tauride di Euripide.Quest'opera è un pasticcio (pastiche), il che significa che la musica delle arie è stata assemblata da lavori precedenti, soprattutto altre opere e cantate anche di Händel stesso. I recitativi e parti di danze sono gli unici pezzi originali composti appositamente per questo lavoro. Händel aveva messo insieme opere simili prima, unendo la musica di arie preesistenti alle nuove parole, ma questa fu la prima volta che fece un'opera in questo modo, utilizzando interamente la propria musica. Assemblò una raccolta delle sue arie degli anni precedenti, che vanno da Agrippina del 1709 a Sosarme del 1732, unendo la musica preesistente senza soluzione di continuità con i recitativi di recente scritti, per creare un nuovo dramma musicale.L'opera è in italiano, sebbene scritta ed eseguita in Inghilterra. Il ruolo principale fu scritto per il castrato Giovanni Carestini. Viene al giorno d'oggi eseguita indifferentemente da un controtenore o da un soprano.\n\nStoria delle esecuzioni.\nL'opera debuttò al Covent Garden Theatre il 18 dicembre 1734. Una notizia nella stampa locale diceva:.\n\n\nIl lavoro fu eseguito tre volte durante tutta la vita di Händel e fu ripreso per la prima volta solo nel 1988. Fra le altre esecuzioni, Oreste fu messo in scena dal English Bach Festival al Linbury Studio Theatre nella Royal Opera House, Londra nel 2000, e fu messo in scena per la prima americana negli USA alla Juilliard School nel 2003.\n\nRuoli.\nOrchestra.\nLa partitura dell'opera è scritta per due oboi, due corni, archi, liuto e gli strumenti del basso continuo: (violoncello, liuto, clavicembalo).\n\nTrama.\nLuogo.\nTauride (l'attuale Crimea),.\nPeriodo.\nnella leggendaria antichitàAnni prima che si svolgano i fatti raccontati in quest'opera, la giovane principessa Ifigenia aveva scampato la morte cui era destinata per un sacrificio dalla mano stessa di suo padre, Agamennone. All'ultimo momento la dea Diana, alla quale il sacrificio doveva essere fatto, era intervenuta e aveva sostituito Ifigenia sull'altare con un cervo, salvando la ragazza e trascinandola via a Tauride. È stata poi fatta sacerdotessa nel tempio di Diana a Tauride, una posizione in cui aveva il compito raccapricciante di sacrificare ritualmente gli stranieri che sbarcavano sulle coste del re Toante.\nIfigenia odia la sua servitù religiosa forzata e ha avuto un sogno profetico di suo fratello minore Oreste e crede che sia morto. Nel frattempo, Oreste ha ucciso la madre Clitennestra per vendicare il padre Agamennone con l'aiuto del suo amico Pilade. Egli viene perseguitato dalle Erinni per aver commesso il reato e passa attraverso attacchi periodici di follia.\nA questo materiale mitologico tratto da Ifigenia in Tauride di Euripide, Oreste aggiunge il personaggio della moglie di Oreste Hermione, che lo cerca per aiutarlo nel suo tentativo di recuperare la sua mente e la pace dello spirito, e aggiunge anche un altro personaggio, Filotete, non presente nella tragedia di Euripide.\n\nAtto 1.\nBosco Sacro di Diana con una statua della dea - Oreste è tormentato sia dal rimorso personale per l'uccisione di sua madre che dalle Furie. Vagando per il mondo in una ricerca inquieta per trovare sollievo, è naufragato sulla costa della Tauride. Egli prega la dea per la pace ed il perdono (Aria:Pensieri, voi mi tormentate). Ifigenia entra con un seguito di sacerdoti e non riconosce lo sconosciuto come suo fratello, che lei non ha visto fin dall'infanzia e che crede essere morto (Aria:Bella calma). È dovere di Ifigenia sacrificare sconosciuti che compaiono nel regno di Diana, ma lei non lo vuole fare e consiglia lo straniero di rifugiarsi nel tempio di Diana, al che lui acconsente (Aria:Agitato da fiere tempeste). Filotete, capitano delle guardie del re Toante, che è innamorato di Ifigenia e lei di lui, arriva e promette di aiutarla a cercare di salvare il giovane straniero dalla morte, per cui Ifigenia gli è grato (Aria:Dirti vorrei). Rimasto solo, Filotete è felice che Ifigenia si fidi che lui l'aiuti ed attende il suo amore come un premio (Aria:Orgogliosetto va l'augelletto).\nUn porto con le navi alla fonda - Ermione è arrivato in Tauride, alla ricerca del marito Oreste (Aria:Io sperai di veder il tuo volto). Lei incontra Pilade, fedele amico di Oreste, ma vengono entrambi arrestati da Filotete come stranieri. Re Toante decreta che a norma di legge sia Ermione e Pilade devono essere messi a morte come sacrifici umani alla dea Diana, ma cambia idea, ed ordina che solo Pilade sarà ucciso. Rimasto solo con Ermione, lui le dice che è innamorato di lei e salverà la sua vita se lei sarà sua. Lei rifiuta questa offerta, al che lui la mette in guardia di stare attenta alla sua ira (Aria:Pensa ch'io sono). Rimasto solo, Ermione si lamenta del suo destino (Aria:Dite pace e fulminate). L'atto si conclude con una serie di danze per i marinai greci.\n\nAtto 2.\nIl piazzale del tempio di Diana - L'atto comincia con una sinfonia iniziale. Oreste è nel tempio dove ha trovato rifugio per consiglio di Ifigenia, quando vede il suo amico Pilade trascinato in catene pronto per essere sacrificato alla dea. Oreste giura che combatterà per salvare il suo amato amico (Aria: Empio, se mi dai vita). Ifigenia interviene tuttavia, e sfruttando l'amore di Filotete per lei, lo persuade a consentire a Oreste di lasciare il tempio liberamente (Aria: Se'l caro figlio). Oreste è riluttante a lasciare Pilade in pericolo, ma Pilade insiste perché Oreste salvi se stesso (Aria: Caro amico, a morte io vo), e viene poi portato via. In Un recitativo accompagnato e aria, Oreste si scaglia contro gli dei per la loro crudeltà (Aria: Un interrotto affetto).\nGiardino reale con un cancello che porta al mare - Ifigenia mostra ad Oreste la strada per il mare e lo spinge a fuggire (Aria: Sento nell'alma). Da solo, Oreste esprime i suoi ringraziamenti agli dei per avergli inviato la 'nobile vergine' che lo ha salvato, ma si sente in colpa per aver lasciato il suo amico Pilade in pericolo di morte (Aria: Dopo l'orrore). Ermione ha seguito i passi di Oreste ed è felice di aver trovato il marito (Aria: Vola l'augello). Re Toante entra e vedendoli abbracciati ordina che vengano giustiziati. Oreste ed Ermione si salutano l'un l'altro affettuosamente e si dicono addio (Duetto: Ah, mia cara). Un insieme di danze conclude l'atto.\n\nAtto 3.\nLa stanza del Re - Toante offre a Ermione di liberare lei e Oreste se lei sarà sua (Aria: Tu di pietà mi spogli) Lei disprezza questa offerta, preferendo le catene e la morte e, rimasta sola, si lamenta per il suo crudele destino (Aria:Piango dolente il sposo).\nIl tempio di Diana con un altare e una statua - Ifigenia, il cui compito sarà quello di sacrificare ritualmente vittime umane, vorrebbe invece poter morire lei (Aria: Mi lagnerò, tacendo). Viene portato Oreste per essere sacrificato e Ifigenia ora lo riconosce come suo fratello. Ermione e poi il re arrivano e lei gli chiede pietà, come fa Pilade che si offre di morire al posto di Oreste. Toante respinge tali richieste, anche quando Ifigenia rivela che Oreste è suo fratello. Il Re le ordina di uccidere sia Oreste che Pilade, ma Ifigenia minaccia invece di ucciderle lui invece, aiutata in questo da Filotete. Ne consegue un combattimento e il re viene ucciso. I sacrifici umani saranno ora terminati, fratello e sorella, marito e moglie possono essere riuniti. Oreste esprime la sua gioia (Aria: In mille dolci modi). Una suite di danze segue, poi un coro conclusivo con tutti che festeggiano il buon esito degli eventi.\n\nContesto e analisi.\nHändel, di origine tedesca, dopo aver trascorso una parte della carriera iniziale in Italia, nella composizione di opere e altra musica, si stabilì a Londra, dove nel 1711 aveva portato l'opera italiana per la prima volta con la sua opera Rinaldo, che aveva riscosso un enorme successo. Rinaldo aveva creato una vera e propria mania per l'opera seria italiana a Londra, una forma musicale all'epoca basata prevalentemente sulle arie solistiche per i cantanti virtuosi. Nel 1719, Händel fu nominato direttore musicale di un'organizzazione chiamata la Royal Academy of Music, non collegata con l'attuale conservatorio di Londra, una società sotto la protezione del re per la produzione di opere italiane a Londra. Händel non doveva solo comporre opere, ma assumere i cantanti migliori, supervisionare l'orchestra e i musicisti e adattare le opere provenienti dall'Italia per le esecuzioni a Londra.La Royal Academy of Music fallì alla fine della stagione 1728-1729, in parte a causa degli enormi compensi pagati ai cantanti più in vista. Händel entrò in società con John James Heidegger, l'impresario teatrale che deteneva il contratto di locazione del King's Theatre di Haymarket, dove venivano rappresentate e diede vita ad una nuova compagnia d'opera con una nuova prima donna, Anna Maria Strada.\nNel 1733 fu fondata una seconda compagnia d'opera, L'Opera della Nobiltà, per rivaleggiare con Händel, impiegando molti degli ex cantanti di Händel, tra cui il celebre castrato Senesino. Il contratto di locazione di Händel al King's Theatre di Haymarket era scaduto alla fine della stagione 1733-1734 e l'Opera della Nobiltà si trasferì in quella che era stata la casa artistica di Händel per anni. Oltre al Senesino, l'azienda d'opera rivale aveva anche assunto il celebre castrato Farinelli, che ha creato una sensazione. Questi furono considerati gravi contrattempi per Händel come l'autore francese Antoine François Prévost scrisse nel 1734:.\n\nma, imperterrito, Händel si trasferì in un nuovo teatro, il Theatre Royal Covent Garden, costruito da John Rich in gran parte del ricavato della grande successo de L'opera del mendicante che aveva parodiato l'opera italiana del genere che Händel aveva scritto per Londra. Rich aveva dotato il suo nuovo teatro delle ultime tecnologie in macchine da palcoscenico e anche impiegato una troupe di ballerini, che non c'erano al King's Theatre di Haymarket. Händel aprì la sua prima stagione al Covent Garden con una rielaborazione del suo precedente Il Pastor Fido con un prologo completamente nuovo, Tersicore, con la ballerina francese di fama internazionale Marie Sallé. Il pasticcio Oreste, che seguì, prevede anche delle danze a differenza delle opere che Händel aveva precedentemente composto per Londra. Anna Strada, sola fra le star della compagnia precedente di Händel che non aveva disertato per andare alla compagnia d'opera rivale, era nel cast di Oreste, com'era stata in tutte le grandi opere vocali di Händel dal 1729 al 1737. Fu raggiunta dal celebre castrato Carestini, del quale Charles Burney, musicologo XVIII secolo scrisse:.\n\nUn altro che si unì al cast di Oreste c'era il diciassettenne tenore John Beard, che in questa stagione iniziò una collaborazione con Händel che durò fino alla fine della vita del compositore, creando molti ruoli nelle sue opere. Un conoscente di Händel scrisse al suo amico in quel periodo:.\n\nRegistrazioni.\nMary-Ellen Nesi (Oreste), Maria Mitsopoulou (Ermione), Mata Katsuli (Iphigenia), Antonis Koroneos (Pilade), Petros Magoulas (Toante), Nicholas Spanos (Filotete).Camerata Stuttgart, George Petrou, direttore. CD:MDG Cat:LC 6768 registrato 2003.
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### Titolo: Oreste (figlio di Agamennone).\n### Descrizione: Oreste (in greco antico: Ὀρέστης?, Oréstēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio del re Agamennone e di Clitennestra e fratello di Ifigenia, Elettra e Crisotemi.\nLa sua leggenda si è particolarmente arricchita insieme a quella della sorella Ifigenia. Il suo ruolo di vendicatore del padre era già conosciuto nei poemi omerici, sebbene Omero non citi l'episodio dell'uccisione della madre Clitennestra, se non per un passo nel quale Nestore, dopo aver ricordato l'uccisione di Egisto, aggiunge: 'offrì un banchetto funebre ai Danai, per la madre indegna e per Egisto il vile'.\n\nMito.\nIl piccolo Oreste venne alla luce in occasione della festività delle Erinni. Si racconta che, ancora in fasce, Oreste fu sottratto dalla culla e sfiorato dalla spada di Telefo, con la complicità di Clitennestra, che giurò di uccidere il neonato se Achille non avesse acconsentito a risanarlo.\nOreste era ancora molto giovane quando Agamennone di ritorno dalla guerra di Troia venne assassinato dall'amante della madre, Egisto.\nElettra, preoccupata per la sorte del fratello, con l'appoggio del vecchio tutore di Agamennone, avvolse il fratello in un lenzuolo ricamato con effigi di bestie feroci, che essa stessa aveva intessuto, strumento con il quale sarà operato il riconoscimento di Oreste da parte della sorella, e lo fece evadere segretamente dalla città per affidarlo alle cure dello zio Strofio, re della Focide. Alcuni affermano che la sera stessa in cui fu consumato il delitto, Oreste, che aveva dieci anni, fu salvato dalla misericordia della sua nutrice Arsinoe (citata anche come Laodamia o Gilissa) che, fatto coricare il proprio figlio nel letto del principino, lasciò che Egisto lo uccidesse al posto del bambino. Per alcuni Clitennestra stessa lo mandò nella Focide all'indomani dell'eccidio per sbarazzarsene.\nDopo essere rimasto nascosto per qualche tempo tra i pastori presso il fiume Tano, che delimita il confine tra l'Argolide e la Laconia, il tutore riuscì a raggiungere la meta trasportando Oreste nella reggia di Strofio, simpatizzante della casata di Atreo, che dominava Crisa. Costui aveva sposato la sorella di Agamennone, Anassibia (citata anche come Astiochea o Cindragora).\nA Crisa Oreste conobbe un inseparabile compagno di giochi in Pilade, il figlio di Strofio, che era di qualche tempo più giovane di lui, con cui strinse un'amicizia che divenne proverbiale celebrata nell'immaginario collettivo. Tramite il vecchio tutore venne a sapere che il corpo di Agamennone era stato confinato fuori dal palazzo e riservato a una sepoltura frettolosa da parte di Clitennestra senza libagioni e rami di mirto, e che la stessa aveva vietato al popolo di Micene di presenziare alle esequie. La notizia lo sconvolse profondamente.\nEgisto dominò Micene per sette anni, sedendo sul trono di Agamennone, impugnando il suo scettro, dormendo nel suo letto, sperperando il suo patrimonio. Quando era ubriaco, Egisto lanciava pietre sulla tomba di Agamennone, esclamando: 'Vieni, Oreste, vieni a prenderti quel che ti spetta'. Elettra stessa mandava frequenti messaggi a Oreste implorandone il soccorso per concretizzare la vendetta che si aspettava da lui.\nOrmai adulto, Oreste visitò l'oracolo di Delfi per sapere se doveva riservare una punizione agli assassini di suo padre. Il responso emesso da Apollo, autorizzato da Zeus, diede consenso annunciando che se non avesse onorato la memoria di Agamennone vendicandone la morte sarebbe stato relegato ai margini dalla società.\nDiventato adulto, Oreste decise di tornare in patria, per assolvere il compito affidatogli dall'oracolo di Delfi. In compagnia del cugino Pilade, tornò ad Argo e vendicò la morte del padre, uccidendo Egisto e Clitennestra.\n\nReso pazzo dal matricidio, Oreste venne perseguitato dalle Erinni e giunse ad Atene. Qui subì un processo, dal quale venne assolto, grazie all'intervento di Atena.\n\nLe altre versioni del mito.\nSugli eventi, però, vi sono diverse versioni.\nOmero, secondo la tradizione greca, e anche il poeta Stesicoro, che nella sua Orestea ambienta questi avvenimenti a Sparta, narra che le Erinni o Furie (il cui compito era di punire i gravi delitti) lo assalirono ma Apollo diede a Oreste un arco con cui scacciarle lontano.Eschilo ed Euripide narrano invece che le Furie fecero impazzire Oreste immediatamente dopo la morte della madre e lo perseguitarono senza tregua. Prima della pazzia, secondo altri autori Oreste fu giudicato a Micene per volere di Tindareo, padre di Clitemnestra. Eace, che ancora odiava Agamennone per la morte di Palamede, chiese l'esilio di Oreste.\nMa, secondo Euripide, Oreste ed Elettra vennero condannati a morte. Furono salvati da Menelao il quale, costretto da Apollo, convinse la gente di Micene ad accontentarsi di punire i due fratelli con un anno d'esilio.\nAtena, in quanto presidente dell'Areopago (l'antico tribunale fondato dagli dei dopo la morte di Alirrozio, figlio di Poseidone), diede il suo voto in favore di Oreste, giudicando la morte della madre meno importante di quella del padre.\nMa nemmeno allora le Furie abbandonarono Oreste.\nAllora Apollo gli disse che per trovare pace doveva recarsi nel Chersoneso, terra dei Tauri, rubare l'antica statua lignea di Artemide e poi recarsi in un luogo ove scorreva un fiume formato da sette sorgenti, Metauros (oggi Petrace), indicato dall'oracolo di Delfi. Questo è tutt'oggi un fiume alimentato da sette sorgenti. Appena vi si immerse, Oreste riacquistò il senno. La leggenda narra che in quel luogo vi fondò una città che da lui prese il nome (Porto Oreste).\nAl ritorno gli spettò il trono di Micene e Argo (dopo avere ucciso il fratellastro Alete) e, alla morte di Menelao, anche quello di Sparta. Pilade sposò Elettra, e Ifigenia divenne sacerdotessa di Artemide in Grecia.\n\nLa tomba di Oreste.\nSecondo quanto riportato da Erodoto, Oreste sarebbe stato sepolto a Tegea: ritrovandone il corpo, Lica, uno dei cinque Spartiati detti Valenti, riuscì a procurare la vittoria di Sparta sulla città di Tegea, in conformità con quanto detto dalla Pizia.\n\nGenealogia.\nNell'arte.\nLetteratura.\nOrestea - opera di Stesicoro.\nOrestea - trilogia di tragedie di Eschilo (Agamennone, Coefore ed Eumenidi).\nOreste - tragedia di Euripide.\nOreste schiavo - tragedia di Marco Pacuvio.\nOreste - tragedia di Blossio Emilio Draconzio.\nOreste - tragedia di Vittorio Alfieri.\nOreste - tragedia di Giovanni Rucellai.\nOreste - tragedia di François-Marie Arouet ('Voltaire').\nLe mosche - opera teatrale di Jean-Paul Sartre.\n\nMusica.\nOreste - opera musicale di Domenico Cimarosa rappresentata a Napoli nel 1783.\nOreste - opera musicale di Francesco Morlacchi rappresentata a Parma nel 1808.\nOreste - opera musicale di Konradin Kreutzer del 1818.\n\nCinema.\nLuna rossa - film di Antonio Capuano del 2001 ispirato all'Orestea di Eschilo che è qui trasposta nella Campania dei giorni nostri e dove Oreste, interpretato da Domenico Balsamo, è giovane membro della famiglia camorrista dei Cammarano.
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### Titolo: Orfeo (Cocteau).\n### Descrizione: Orfeo (Orphée) è un'opera teatrale di Jean Cocteau, portata al debutto a Parigi nel 1926.\n\nTrama.\nOrfeo tenta di decifrare il messaggio che un cavallo bianco cerca di trasmettere battendo lo zoccolo. La moglie Euridice è gelosa del fatto che il marito passi così tanto tempo dedicandosi ad attività supernaturali, ma Orfeo risponde seccato affermando che il cavallo gli comunica versi migliori di tutte le poesie del mondo. La poesia che il cavallo sta componendo recita 'Madame Euridice tornerà dall'inferno' ('Madame Eurydice Reviendra Des Enfers'), ma la commissione a cui Orfeo la sottopone la rifiuta, dato che le prime lettere della poesia formano l'acrostico 'MERDE'.\nMentre Orfeo si trova al concorso, Euridice viene uccisa dalle sue vecchie amiche, le baccanti. Ritornato a casa, Orfeo decide di salvare la moglie dalla morte e, passando attraverso lo specchio, arriva nell'aldilà. Il poeta ci riesce, ma gli dei dell'oltretomba gli hanno imposto la condizione che una volta sulla terra Orfeo non guardi più Euridice. Ciò rende la vita di coppia impossibile ed Orfeo viene perseguitato dalle baccanti, che lo accusano di aver scritto una poesia oscena. Le donne decapitano Orfeo ed Eudice lo guida nell'oltretomba attraverso lo specchio. Un angelo pone la testa mozzata di Orfeo su un piedistallo; un commissario di polizia chiede di chi siano i resti umani e la testa risponde 'Jean Cocteau'.\n\nLa prima.\nOrphée fu portato al debutto al Théâtre Hébertot di Parigi il 17 giugno 1926. L'allestimento della pièce, prodotta da Georges Pitoëff e Ludmilla Pitoëff, si avvaleva dei costumi di Coco Chanel e le scenografie di Jean Hugo. I coniugi Pitoëff interpretarono i due protagonisti, mentre gli altri ruoli erano ricoperti da Marcel Herrand (Heurtebise), Mireille Havet (Morte), Jean Hort (impiegato), Leon Larive (commissario di polizia), Alfred Penay (Azrael) e Georges de Vos (Raphael).\n\nAdattamento cinematografico.\nNel 1950 Cocteau diresse un adattamento cinematografico omonimo del suo dramma con Jean Marais nel ruolo di Orfeo e François Périer in quello di Heaurtebise.\n\nEdizioni italiane.\nOrfeo, traduzione di Marisa Zini, Collezione di teatro, Einaudi, Torino 1963, ISBN 9788806065102.
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### Titolo: Orfeo (Ducasse).\n### Descrizione: Orfeo (Orphée) è un mimodramma in tre atti, con la musica di Jean Roger-Ducasse, autore anche del libretto. È la prima composizione per il teatro del compositore francese.\nL'azione teatrale si basa su un'insolita combinazione di pantomima, danza e musica.\nCommissionato da, e dedicato a, Aleksandr Il'ič Ziloti, importante musicista pietroburghese, il mimodramma fu pubblicato nel 1913 ma fu eseguito per intero solo nel 1926, a Parigi, con protagonista la celebre ballerina Ida Rubinstein.In precedenza furono eseguiti in concerto tre «Frammenti sinfonici» ricavati dal mimodramma: Orphée évoque le dieu, Hymen - Course du flambeau e Bacchanale.
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### Titolo: Orfeo (Jáuregui).\n### Descrizione: Orfeo è un poema in cinque canti del poeta sivigliano Juan Martínez de Jáuregui, pubblicato a Madrid nel 1624, dedicato al mito di Orfeo.\nI cinque canti riprendono le vicende delle Metamorfosi di Ovidio. Il primo canto narra delle nozze tra Orfeo ed Euridice, nel secondo Orfeo scende agli inferi in cerca della sua sposa, nel terzo Orfeo ritrova Euridice ma poi la perde di nuovo per aver infranto la condizione di non guardarla, il quarto canto è incentrato sulla musica di Orfeo, e il quinto sulla morte del protagonista causata dalle Baccanti.\nL'opera, pur criticata da Félix Lope de Vega, suscitò molto interesse, al punto da spingere il rivale Juan Pérez de Montalbán, discepolo di Lope de Vega, a pubblicare nello stesso anno un Orfeo en lengua castellana sullo stesso tema.
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### Titolo: Orfeo (Moreau).\n### Descrizione: Orfeo è un dipinto a olio su legno del pittore simbolista francese Gustave Moreau, realizzato nel 1865 e conservato al Museo d'Orsay di Parigi.\n\nDescrizione.\nIn quest'opera, presentata al Salon del 1866, Moreau si riallaccia a un celebre mito classico, quello di Orfeo, di cui la versione più nota era quella dell'undicesimo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Era Orfeo un sommo cantore e musico, talmente abile da aver piegato al suono della sua lira le bestie più feroci e l'intero regno dei Morti. Il suo fascino magnetico non venne meno neanche dopo la morte dell'amata Euridice: egli, infatti, infatuò le Menadi, senza tuttavia cedere alle loro offerte. Avvelenate dal rifiuto del musico, le Menadi lo avrebbero sbranato.\nMoreau in quest'opera decide di prolungare leggermente il racconto mitologico di Orfeo. Secondo la tradizione, infatti, le Menadi dopo aver ucciso il musico ne avrebbero gettato immediatamente le membra nel fiume Ebro. Secondo l'interpretazione proposta da Moreau, invece, il suo corpo mutilato viene scovato da una donna tracia che, mossa a pietà e indignata dal truce delitto delle Menadi, depone il capo dell'illustre musico su quella che fino a poco tempo prima era la sua lira. Gli occhi ormai esanimi di Orfeo e lo sguardo della donna si incontrano e, anzi, si contemplano vicendevolmente, dando vita a una compenetrazione indissolubile che probabilmente durerà per sempre. Sullo sfondo si estendono sereni paesaggi di leonardesca memoria, i quali con la loro bucolica calma stemperano l'atrocità del delitto appena perpetrato. Nell'angolo in basso a destra, infine, troviamo due tartarughe: sono stati i loro intestini, secondo il mito, ad aver fornito le corde della prima lira mai esistita, fabbricata dal dio Ermes.Il vago sapore mistico-fantastico che permea l'opera, la sua atmosfera suggestiva, sensuale, eppure lievemente inquietante, i dolci passaggi chiaroscurali e la tavolozza giocata sulle tonalità dorate sono tutte peculiarità riscontrabili in questo quadro e in una parte abbastanza rilevante della quadreria di Gustave Moreau, che a ragione si può definire uno degli interpreti più convinti e sensibili del Simbolismo in pittura. L'Orfeo, non a caso, fu tra le prime opere del Moreau a essere consacrata all'ufficialità del museo del Luxembourg, che lo aveva acquistato nel 1866 in ragione delle sue singolari qualità stilistiche.\n\nIl canto di Orfeo, che echeggia dopo la sua morte, simboleggia la sua simbiosi con la natura e l'eternità della poesia.\nMoreau interpreta liberamente il mito, cinge la testa di Orfeo con alloro apollineo, simbolo d'immortalità. Il tema della vittoria del canto sulla caducità della vita rinvia al potere universale dell'arte.\n\nOrfeo e Michelangelo.\nMoreau realizzò il volto di Orfeo dopo aver eseguito numerosi studi su quello dello Schiavo morente di Michelangelo, di cui aveva un calco in gesso. La rielaborazione della scultura dell'artista fiorentino ne evidenzia la componente eterna ed immateriale, ossia l'idea divina. Infatti Moreau riteneva che l'evocazione dell'ideale in Michelangelo fosse una caratteristica delle più significative.\nMoreau pare identificare il disagio del proprio secolo nel torpore mortale della dolorosa malinconia.
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### Titolo: Orfeo (Rossi).\n### Descrizione: Orfeo è un'opera lirica in un prologo e tre atti di Luigi Rossi su libretto di Francesco Buti rappresentata in prima assoluta il 2 marzo 1647 nel palazzo del defunto Cardinale di Richelieu (Palais Cardinal), divenuto da poco Palais-Royal, a Parigi.\n\nVicende e caratteristiche dell'opera.\nFu il cardinale Mazarino a chiamare Luigi Rossi a Parigi, affidandogli il libretto di Buti, nel quale il mito di Orfeo era stato liberamente adattato al fine di inserirvi alcune simbologie volte a glorificare il potere sovrano del re di Francia, paragonando in particolare la lira d'Orfeo al giglio di Francia. Lo spettacolo durò sei ore, inframmezzato da azione coreografiche, secondo il gusto del teatro musicale francese alle cui convenzioni l'opera di Luigi Rossi, benché in lingua italiana, si adattò completamente. La coreografia fu affidata a Giovan Battista Balbi e la scenografia a Giacomo Torelli. L'esito fu trionfale nonostante il libretto sia stato sin da allora giudicato disorganico. Accanto alle arie, l'opera include cori e terzetti (quelli fra le tre Grazie e le tre Parche) di fattura eccellente, dai quali emerge la sapienza contrappuntistica del compositore pugliese.\nLa partitura, considerata a lungo perduta, fu ritrovata nel 1888 da Romain Rolland presso la Biblioteca Chigi di Roma, ma inizialmente non fu attribuita a Luigi Rossi. La prima ripresa in tempi moderni ha avuto luogo l'11 giugno 1985 al Teatro alla Scala, sotto la direzione di Bruno Rigacci e per la regia di Luca Ronconi.\n\nPersonaggi e interpreti.
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### Titolo: Orfeo (film 1950).\n### Descrizione: Orfeo (Orphée) è un film del 1950 diretto da Jean Cocteau.\nIl film tratta in chiave moderna la tragedia di Orfeo ed Euridice.\n\nTrama.\nLa morte, impersonata da una principessa, si innamora di Orfeo, mentre il suo autista, Heurtebise, si innamora di Euridice. Attraverso uno specchio nella sua camera da letto, Orfeo compie un viaggio nel regno dei morti dove incontra la principessa e gli confessa il suo amore. Heurtebise riuscirà a far uscire Orfeo dal mondo dell'aldilà e fargli incontrare Euridice. Ma i due verranno severamente puniti per la loro trasgressione.\n\nCritiche.\nIl film ha ricevuto critiche contrastanti. Il Dizionario Morandini gli conferisce un voto scarso; definendolo un film bislacco, artificioso, recitato con teatralismo esecrabile oltre ad essere terribilmente datato. Al contrario la guida Farinotti lo definisce una poeticissima rivisitazione del mito classico realizzata dal grande uomo di cinema e di teatro francese.
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### Titolo: Orfeo (film 1985).\n### Descrizione: Orfeo è un film del 1985 diretto da Claude Goretta.\nLa pellicola, di genere musicale, trae ispirazione dal mito classico di Orfeo ed Euridice.\n\nTrama.\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Orfeo, su IMDb, IMDb.com.\n(EN) Orfeo, su AllMovie, All Media Network.\n(EN) Orfeo, su Box Office Mojo, IMDb.com.
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### Titolo: Orfeo (musica).\n### Descrizione: Il mito di Orfeo è stato sin dalle origini legato all'elemento musicale. In epoca moderna la storia del cantore solitario, capace di comunicare attraverso il suono della sua lira con gli animali della terra e le creature dell'oltretomba, è stato oggetto di innumerevoli versioni musicali.\nSulla sua storia d'amore con la ninfa Euridice si basa il libretto della prima opera: Euridice di Ottavio Rinuccini (1600); ma il soggetto ha avuto grande fortuna durante tutta la fase iniziale della storia dell'opera, sia per il legame tra il nuovo genere teatrale e il dramma pastorale, sia perché la presenza di un musico come protagonista era in grado di soddisfare il principio di verosimiglianza.\nIl soggetto tornò in auge nel teatro musicale del Settecento, grazie all'Orfeo ed Euridice di Gluck, prima delle opere della riforma gluckiana. Nel tentativo di riportare il melodramma alle sue origini ideali, ripristinando un equilibrato rapporto tra musica e dramma, Gluck e il librettista Calzabigi scelsero non a caso il mito di Orfeo.\nAltrettanto significativa è la scelta di questo soggetto da parte di Igor' Fëdorovič Stravinskij, per uno dei più importanti lavori del suo periodo neoclassico.\nLa fortuna musicale della favola di Orfeo ebbe la sua fase di maggiore eclissi nell'Ottocento, rivisitata in teatro solo da Jacques Offenbach, in chiave parodistica.\n\nMusica classica.\nEuridice - La favola di Orfeo scritta da Poliziano nel 1479.Favola drammatica di Ottavio Rinuccini, messa in musica da Jacopo Peri (Palazzo Pitti, Firenze, 6 ottobre 1600).\nEuridice - Giulio Caccini (Palazo Pitti, Firenze, 1 dicembre 1602). È considerata la prima opera lirica in senso stretto, il cui libretto sia stato musicato da cima a fondo.\nL'Orfeo - Favola in musica di Claudio Monteverdi su libretto di Alessandro Striggio. L'opera è tratta dalla Fabula di Orfeo di Poliziano. Si compone di un prologo ('Prosopoea della musica') e cinque atti. Fu rappresentata per la prima volta il 24 febbraio del 1607 nel Palazzo Ducale di Mantova.\nOrfeo dolente - Opera musicale di Domenico Belli. La composizione - suddivisa in cinque intermezzi - fu eseguita per la prima volta a Palazzo della Gherardesca di Firenze, abitazione di Ugo Rinaldi, nel carnevale del 1616.\nLa morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale in cinque atti di Stefano Landi su libretto di Alessandro Mattei. La prima ebbe luogo il 1º giugno 1619 a Roma.\nOrfeus und Euridice - Opera-ballo di Heinrich Schütz. La prima ebbe luogo a Dresda il 20 novembre 1638.\nOrfeo - Opera musicale di Luigi Rossi (marzo 1647). Presentata al Palazzo reale di Parigi sotto gli auspici del cardinale Mazarino, fu una delle prime opere italiane rappresentate in Francia. Lo spettacolo durò sei ore, inframmezzato da strani ed eterogenei balletti, secondo il gusto del teatro francese dell'epoca.\nOrfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e Louis Lully. Jean-Baptiste pose mano all'opera del fratello Louis, che ne fu ufficialmente l'autore. L'opera fu rappresentata a Parigi l'8 aprile 1690, ma non ebbe fortuna.\nOrfeo ed Euridice - Opera lirica di Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de' Calzabigi. L'opera nacque dall'incontro tra lo scrittore ed il musicista a Vienna, nel 1761, dove fu rappresentata al Burgtheater il 5 ottobre 1762.\nOrfeo ed Euridice - Ballo di Florian Johann Deller scritto secondo le nuove teorie mimico-drammatiche del coreografo francese Jean-Georges Noverre (1763).\nOrfeo ed Euridice (Orpheus og Eurydike) - Opera lirica di Johann Gottlieb Naumann, su libretto di Charlotta Dorothea Biehl liberamente basato su quello di Ranieri de' Calzabigi per Gluck. La prima assoluta ebbe luogo a Copenaghen il 31 gennaio 1786, l'opera fu replicata per dodici sere.\nL'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Franz Joseph Haydn. Scritta nel 1291, su libretto di Carlo Francesco Badini, fu rappresentata postuma al Teatro della Pergola di Firenze il 11 giugno 104.\nOrpheus - Poema sinfonico di Franz Liszt (1854).\nOrfeo all'inferno - Operetta in due atti e quattro quadri di Jacques Offenbach, su libretto di Hector Crémieux. Fu rappresentata a Parigi nel 1858. Fu ripresa e rimaneggiata dagli autori in quattro atti e dodici quadri nel 1874.\nOrphée - Mimodramma in tre atti di Roger Ducasse, su libretto dello stesso Ducasse (1913). L'azione teatrale si basa su un'insolita combinazione di pantomima, danza e musica. Fu pubblicato nel 1913 ma fu eseguito per intero solo nel 1926, a Parigi, con protagonista la celebre ballerina Ida Rubinstein. In precedenza furono eseguiti in concerto tre «Frammenti sinfonici» ricavati dal mimodramma: Orphée évoque le dieu, Hymen - Course du flambeau e Bacchanale.\nOrpheus und Eurydike - Opera lirica di Ernst Křenek su libretto di Oskar Kokoschka. Scritta nel 1923, fu rappresentata a Kassel nel 1926.\nOrpheus - Balletto neoclassico in tre quadri di Igor' Fëdorovič Stravinskij, composto nel 1947. La prima ebbe luogo il 28 aprile 1948 al New York City Center of Music and Drama per la Ballet Society di New York, con la coreografia di George Balanchine.\nOrfeu da Conceiçāo - Dramma musicale di Vinícius de Moraes (1947). Ha ispirato il film di Marcel Camus Orfeo negro (1959).\nOrfeo9 - Opera rock teatrale scritta da Tito Schipa Jr. da cui è stato tratto il film prodotto dalla RAI nel 1973, ambientato in una Roma percorsa dal fermento dei nuovi musicisti pop, tra cui alcuni dei cantanti protagonisti sono diventati famosi.\nJackie O - Il mito di Orfeo rivisitato - al contrario - nell'opera del 1995 di Michael Daugherty e Wayne Koestenbaum che ha come personaggio protagonista Jacqueline Kennedy Onassis.\nLa nuova Euridice (2015) di Salvatore Sciarrino mette in musica versi di Rilke (tratti da Orpheus, Euridike, Hermes e da An die Musik), in una traduzione messa a punto dal compositore.\n\nMusica leggera.\nL'onnicomprensività del mito è riuscita a lasciare una traccia non banale anche nella musica leggera.\nLa canzone Euridice, di Roberto Vecchioni, trova in Orfeo un anti-eroe che decide apposta di voltarsi, nella comprensione del fatto che la donna appartiene ormai alla dimensione della morte, e nulla potrebbe tornare come prima.\nCarmen Consoli, dal canto suo, ha proposto Orfeo (dall'album del 2000 Stato di necessità), un brano in cui chiede all'amato di rinascere alla vita.\nLa band canadese Arcade Fire, nell'album Reflektor (2013), ha inserito due canzoni ispirate al mito di Orfeo ed Euridice.\nAll'interno del videogioco Hades è presente una soundrack, Lament of Orpheus, composta da Darren Korb ed ispirata al mito di Orfeo ed Euridice.