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| 91946-1950
| Amici abruzzesi, sono venuto tra voi per impostare nei suoi termini precisi e nelle sue decisive prospettive la campagna elettorale e per illustrarvi l’atteggiamento della Democrazia cristiana nei riguardi degli altri raggruppamenti politici ed in particolare nei riguardi del Fronte cosiddetto popolare che serve a nascondere dietro il simbolo di Garibaldi le vere mete che si propone il Partito comunista, cui fa da scudiero il Partito socialista. Togliatti e compagni, si preoccupano di ciò che io farò dopo il 18 aprile. So anche che in alcuni centri del Nord è stato emanato l’ordine di far correre sulle piazze la notizia allarmante che io sarei fuggito o starei per fuggire all’estero avendo perduto al governo il controllo della situazione. Si è detto anche di altri ministri che terrebbero pronti gli aerei per partire. Queste sono naturalmente delle fandonie che calcolano sulla presunta ignoranza ed eccitabilità delle folle. Ad ogni modo è opportuno precisare: dopo il 18 aprile tutti i ministri si riuniranno a Roma per constatare la vittoria della libera democrazia italiana, vittoria che ormai non è solo probabile, ma, per tutti i segni che si possono avere sullo stato della pubblica opinione, certa ed immancabile. Ci sarà frattempo un altro Consiglio dei ministri per affari di ordinaria amministrazione. Poi, come si è già decretato, il giorno 8 maggio si riuniranno le nuova Camere, che il 9 eleggeranno le proprie presidenze ed il 10 si convocheranno in seduta comune per la nomina del presidente della Repubblica. È in questo momento che nuovi poteri della Repubblica sono costituiti ed entrano in funzione ed è da questo momento che la regola democratica della responsabilità verso le due Camere deve avere la sua attuazione. Non voglio intervenire nella polemica giornalistica, in quanto si occupa della procedura, ma quello che è fuori di ogni dubbio è che ogni governo dovrà attenersi al principio e alla prassi democratica parlamentare, per cui la decisione formale e definitiva sul governo e sul programma spetta al Parlamento, il quale come prevede l’articolo 94 della Costituzione «accorda e revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale». Questa è l’essenza del metodo democratico e della nostra Costituzione. Le fantasie giacobine di coloro che vorrebbero precedere le decisioni delle Camere con dimostrazioni di piazza e improvvisazioni demagogiche si infrangeranno di fronte alla maturità del popolo italiano e alla vigilanza del governo. Il 18 aprile si eleggono i deputati e i senatori. Dobbiamo fare ogni sforzo perché il voto sia libero. Poi l’8 maggio si riuniranno le Camere. Dobbiamo essere vigilanti perché i rappresentanti del popolo possano esercitare il loro mandato in libertà e nella pienezza della loro funzione. Il Partito comunista non tralascia di attaccarmi in ogni modo e con tutte le maniere, anche le più spregiudicate e le più spregevoli. Eppure tre anni or sono ero ritenuto degno di dirigere gli esponenti della democrazia dagli stessi che oggi mi chiamano traditore e tentano di farmi passare come l’austriacante. Io non starò a ripetere ancora una volta la mia difesa perché non ho bisogno, ma è bene che ricordi che il sistema degli attacchi alla mia persona usato oggi dai comunisti rassomiglia troppo a quello usato dal fascismo quando la lotta si fece più accesa e il «Popolo d’Italia» mi accusava di antipatriottismo. Oggi «l’Unità» e i giornali satelliti adoperano il medesimo frasario. Si accusa anche il governo in campo economico e costruttivo: facile demagogia per chi vuole ignorare che in Italia la lira dal 1934 in poi è andata sempre più svalutandosi e che durante il tripartito la discesa continuava vorticosamente. Il governo ha arrestato la caduta della lira e questo è almeno evidente a tutti: perché se non avesse fatto altro, sarebbe già al suo attivo questo risultato portentoso. Il governo fino ad oggi ha speso 400 miliardi per la ricostruzione e la pubblica assistenza. Dove li ha presi? Dall’aiuto americano. E perché dunque l’atteggiamento comunista è così ostile? Perché questo è l’ordine di Mosca: ne abbiamo le prove inconfutabili. Così come abbiamo le prove inconfutabili dell’atteggiamento autonomo e contrapposto a quello governativo per quanto riguarda il problema di Trieste per il quale abbiamo avuto di recente favorevoli incoraggiamenti dai governi occidentali. D’altra parte non va dimenticato che attraverso il sistema dell’affitto e prestiti, la Russia stessa ha ricevuto molti miliardi dall’America; perché mai dovrebbe ora rifiutarli l’Italia? Quando il governo votò miliardi per la assistenza, «l’Unità» scrisse che De Gasperi non avrebbe saputo dove prenderli; ebbene svelo oggi il segreto a Togliatti: li prendo dal fondo lire, che è la rendita del fondo americano. Tutto mi si rimprovera e tutto è male quello che faccio, perfino la telefonata con la quale, in un momento drammatico per il popolo italiano cui mancava il pane, chiamai Fiorello La Guardia . Infatti, ora mi si domanda perché non abbia telefonato alla Russia! Mentre è evidente che se mi sono rivolto all’America è perché questa aveva grano a sufficienza, mentre la Russia non ne aveva. Abbiamo poi preso una iniziativa per soccorrere nella stagione invernale alle prime necessità dei disoccupati ed abbiamo istituito un fondo di solidarietà nazionale, presieduto dal vice presidente del Consiglio onorevole Saragat e nella cui apposita commissione c’è anche l’onorevole Di Vittorio: ebbene sono molto lieto che le entrate di questo fondo ascendono a tre miliardi e oltre 600 milioni e le uscite fino ad oggi a oltre tre miliardi. Tutti gli sforzi, come si vede, tendono ad una rapida ricostruzione ed è perciò che siamo sicuri che il popolo italiano saprà vagliare nella piena libertà del voto, l’opera fattiva dell’attuale governo. |
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| 91946-1950
| Cari amici, in questa ultima fase della campagna elettorale è diventata di moda nei comizi degli avversari la preoccupazione di quello che avverrà dopo il 18 aprile. Io ritengo che voi condividerete la mia opinione: dopo il 18 aprile la Democrazia cristiana e i partiti al governo celebreranno una grande vittoria. Il governo, poi, oltre che garantire al popolo la libertà di voto ha il compito di vigilare sino alla convocazione delle due Camere (8 maggio) affinché la volontà della nazione sia rispettata. Sino a quel momento, il governo deve impedire a qualcuno, che potrebbe averne voglia, di ricorrere alla piazza, al complotto, alle dimostrazioni insurrezionali, alle flessioni di forza tipo Romania e Cecoslovacchia. Eletto il presidente della Repubblica, in quel momento il governo sa che si trova di fronte alla maggioranza parlamentare che deve decidere. Posso assicurare che si sbagliano quelli che dicono che io prenderò l’aereo e con i miei colleghi di governo e di partito fuggirò all’estero. Così come dovrà ricredersi chi teme che la Democrazia cristiana prenda il governo definitivamente una volta per sempre. Questo avviene nei paesi balcanici, non avverrà da noi. Con questa mia risposta credo di avere tranquillizzato l’onorevole Togliatti. Cari amici, ricordate quanto ebbi a dire alla Basilica di Massenzio, inaugurando questa campagna elettorale: queste elezioni non hanno soltanto lo scopo di formare un governo; c’è una questione più alta, più grave: c’è un tentativo bolscevico di conquistare l’Italia e queste elezioni devono sventarlo; e queste non sono fantasie, come non è fantasia il Cominform e le dichiarazioni fatte alla riunione di Varsavia . E non dimenticate che alla nuova internazionale comunista partecipano due esponenti del Partito comunista italiano, che gli ordini al Cominform vengono dal segretario generale del partito e ora posso aggiungere che ho chiesto invano una smentita a quelle dichiarazioni ufficiali della Conferenza che tutto il mondo conosce. Dal settembre in qua siamo stati oggetto di tentativi di conquista e vi ripeto che non si tratta solo di formare un governo; queste sono elezioni straordinarie. Ce ne saranno una ogni secolo in Italia che potrà avere la stessa importanza; perché questa volta si tratta di salvare la libertà e la indipendenza del paese. Altro aspetto del tutto particolare è la campagna rivolta contro il Vaticano e nei confronti dei rapporti fra governo e Vaticano. È di ieri l’arresto dell’autore di due volumi di falsi documenti, autore che ha confermato l’assoluta non rispondenza al vero di quanto asserito; posso comunque precisare che dal giorno in cui sono al governo ho messo piede in Vaticano soltanto una volta, quando accompagnai l’onorevole De Nicola nella visita al pontefice . Ma le panzane sui contatti fra me e il Vaticano sono tali da non meritare alcuna smentita: eppure sono raccontate con tanta verisimilità da far pensare che gli autori siano stati presenti ai colloqui: speriamo almeno che li abbiano pagati bene! Oltre alle accuse ora ci si rivolgono anche delle minacce e da più parti ci si ricorda piazzale Loreto, cercano cioè di usare una delle armi più potenti: la nostra paura. Ma debbo dire loro che il popolo italiano ha finito di avere paura: ora basta con la paura! Quello che più offende il mio sentimento patriottico sono le solite accuse che ogni tanto si rinverdiscono sulla mia attività di deputato al Parlamento austriaco: a questo proposito io sfido ancora una volta a compulsare i documenti del Parlamento austriaco: li sfido a trovare una parola sola che sia di viltà o di remissione da parte mia. Non la troveranno! Ho sempre difeso l’italiana libertà del popolo italiano. Quanto alle accuse di scarsa sensibilità sociale la risposta mi è facile: quando avremo creata una solida base alla nostra economia allora cominceremo a fare nuove riforme; ho la intima convinzione che in Italia così non si potrà continuare. La distribuzione della proprietà terriera dovrà essere diversa, specialmente nel Mezzogiorno: ne prendo impegno solenne davanti al popolo e davanti ai lavoratori italiani. Non si deve tornare all’antico, non si devono tutelare privilegi di sorta. Non bisogna peraltro dimenticare i risultati finora ottenuti dal nostro governo sia per la ricostruzione ma, soprattutto, perché esso ha gettato le basi per l’azione futura frenando la svalutazione della lira che fortunatamente si è arrivati a frenare e poi ad arrestare. Certo abbiamo potuto fare questo anche e forse soprattutto perché ci sono venuti aiuti dall’America: questo è il segreto di questa meravigliosa rinascita del popolo italiano: e per nostra fortuna questi aiuti non ci verranno meno ma saranno attuati attraverso il piano Marshall. E a questo proposito debbo categoricamente smentire le forti accuse dell’opposizione che ci accusa di asservimento all’America; noi non stiamo per cadere sotto la dittatura politica od economica americana, ma ci inseriamo in un piano di cooperazione fra i popoli europei per evitare che l’Europa si disgreghi e non torni a cadere sotto nuove dittature e non sia funestata da nuove guerre. Questo è il vero significato del piano che porterà, come spero, alla formazione degli Stati Uniti di Europa. Ed un’ultima parola voglio aggiungere a proposito della raccolta della solidarietà che abbiamo indetto per l’inverno e che ci ha dato dei buoni risultati: io ho qui il resoconto dettagliato della distribuzione del ricavato ma è veramente infame l’accusa che ci è stata lanciata e che asserisce che ci siamo serviti dei fondi raccolti per fini elettoralistici. Cari amici, la nostra vita ed il nostro futuro sono garantiti dalla nostra tradizione di civiltà e di cristiana solidarietà. Ed è per la libertà che noi combattiamo contro le sopraffazioni e contro tutte le nostre dittature! |
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| 91946-1950
| Genovesi, richiamo la vostra attenzione sopra alcune poche cose che dovrò dirvi, ma che sono essenziali e cercherò, al di là di frasi sonore, di parlare alla vostra mente ragionatrice e al vostro buon senso. Qual è oggi il compito principale e quale era ieri il compito principale di un governo in Italia? Il compito principale di un governo, ieri e oggi, e sarà anche domani, è quello di creare nelle istituzioni e nel costume uno Stato veramente democratico che abbia un’autorità imparziale sui partiti e che difenda la libertà di tutti. Per arrivare a questo è necessario che una volta finalmente il popolo italiano accetti e attui il disarmo dei partiti, è necessario che si rinunci, una volta per sempre a tutti gli squadrismi bianchi, neri o rossi; è necessario che le forze armate dello Stato siano soltanto in mano al governo e agli organi costituzionali del potere esecutivo e che nessuno possa ricorrere a queste forze per interesse di parte o per sopraffazione verso altri partiti. Io voglio annunziare questa semplice verità o proclamarla con fermezza, perché è una delle poche cose che si dimenticano, che sono facili ad essere oggetto di equivoche dichiarazioni e che pure rappresentano la linea dirimente tra coloro che vogliono assicurare in Italia la democrazia e coloro che la considerano come riserva, con sospetto e stanno in posizione di agguato. Io mi rivolgo anzitutto verso destra e dico a coloro i quali hanno delle nostalgie per la dittatura passata e per alcune glorie di questa dittatura proclamata, io dico: noi democratici siamo d’accordo, bisogna una volta comporre il conflitto che ci ha diviso, bisogna arrivare alla pacificazione nazionale e universale, bisogna spezzare quella che Silvestri dice «la spirale della vendetta». Basta con le rappresaglie, bisogna arrivare ad una equa giustizia per tutte le parti ed anche per tutti i delitti politici e insufficienze politiche che si sono compiute in passato. Però, questa pace verso gli spiriti, anche nazionalmente accesi, è possibile e desiderabile e utile alla patria ad una condizione: che anche costoro non pensino più a squadrismi, non pensino più alla difesa della propria idea e del proprio partito con le armi alla mano, né a conquiste attraverso l’applicazione di violenze, manganelli ecc. Bisogna che su questo punto siamo chiari: che siamo certi che questa tentazione non prenderà più nessuna parte del popolo italiano. Ma detto questo a chi possa avere delle aspirazioni nostalgiche verso il passato, va aggiunto che il pericolo maggiore, il pericolo attuale, il pericolo che può essere mortale se non ci leviamo a tempo a resistere per creare un baluardo morale, il pericolo ci viene dalla estrema sinistra e soprattutto da un partito che, pur partecipando in una forma o in un’altra alla vita pubblica, al governo, al Parlamento, ai Consigli dei ministri, si riserva eventualmente di ricorrere alla forza di parte e di creare nel segreto o di tentare di creare e mantenere una milizia di parte. Questo pericolo è particolarmente grave perché tale tentativo non si compirebbe per la forza interna di un movimento nazionale italiano, ma sarebbe la quinta colonna di un movimento più grande e quasi universale che, attraverso le azioni di parte e di milizie, cercherebbe di influire sul popolo italiano con uno spirito disgregatore e proprio nel momento della disgregazione e della paura, cercherebbe in tal modo di conquistare senza procedure democratiche il potere politico. E non si dica che io dipinga fantasmi dinanzi alla fantasia dei miei uditori. Non si dica che cerco in tal modo artificiosamente di provocare la reazione degli uomini di ordine. Abbiamo esempi recenti: se avete letto, in quei giorni in cui si faceva a Praga la costituzione del nuovo governo, il presidente della Repubblica si è trovato di fronte, non soltanto e quelle che erano le forze normali di polizia, che erano naturalmente contenute dagli ordini dati dal ministro degli Interni comunista, ma soprattutto, si è trovato contro un attivismo quale era la iniziativa della milizia di parte . E questa milizia rossa, entrata in Praga occupava tutte le posizioni importanti, lasciando capire che qualora il presidente della Repubblica non avesse ceduto e non avesse in tal modo portato il comunismo al potere, essi avrebbero fatto ricorso alla forza. Ecco l’esempio di ieri, ma questo esempio di ieri non è che la conferma di moti altri esempi che si sono avverati in passato. C’è dunque un movimento il quale affida l’avvenire del suo partito e l’avvenire dello Stato, non semplicemente alle libere discussioni, alle folle di popolo che si radunano dinanzi ad un oratore, alle discussioni che possono essere fatte nei parlamenti, ma si tiene in riserva di ricorrere alle armi, di ricorrere alle iniziative di una specie di esercito privato, di milizia privata. Ecco perché il governo ha il dovere sacrosanto di passare al disarmo dei partiti e cerca e fruga, attraverso la diligente opera dei carabinieri, cerca in tutte le regioni d’Italia le armi, non per darle ad altri partiti, ma per mantenere soltanto la difesa delle istituzioni libere dello Stato. Ecco perché, in questi giorni, in parecchie città di Italia il popolo ha salutato con tal senso di liberazione e con tale speranza l’esercito rinnovato che veniva passato in rassegna. Ed io, a nome vostro, di questa innumerevole folla genovese, mando un saluto particolare a questo esercito, il quale, riprendendo le armi e lo stile degli eserciti organizzati e degli eserciti normalmente disciplinati, non fa opera di parte ma si asside imparziale in mezzo ai partiti per difenderne la libertà e la democrazia. Che cosa è, amici miei, il regime democratico? Poiché anche questa è una idea semplice ma che viene fatta oggetto di mistificazione e viene interpretata insidiosamente, è doveroso ripetere: il regime democratico è quello dove esiste una maggioranza che governa e una minoranza che controlla. Non è vero che tutti i partiti devono essere rappresentati al governo; non è vero che tutti devono esser d’accordo su un programma; il programma di idee e di azione si forma secondo le esigenze del momento politico ed economico; quei partiti, quei movimenti, quegli uomini, quei gruppi parlamentari che sono d’accordo su un dato programma e rappresentano la maggioranza devono tenere il governo; gli altri rappresentano la minoranza e, se veramente cercano il bene del paese, cercheranno, tenteranno anche con la loro critica costruttiva, se sono capaci di farlo, se non sono troppo faziosi cercheranno con la critica costruttiva, il controllo e la vigilanza di contribuire anche essi a trovare quelle soluzioni adatte che, in un certo momento, si impongono per ogni problema nazionale. Queste forze dell’esercito, cui ho accennato, queste forze di carabinieri e di polizia in genere, questi organi dello Stato li abbiamo visti ricostruirsi in energia e con alta moralità in questi ultimi mesi. Ma non è vero che noi vogliamo farne degli organi di repressione contro chicchessia: prova ne è che questi organi sono qua per difendere la nostra libertà ma anche quella degli altri. La prova è anche che durante questa campagna elettorale, tutti i partiti ed anche quelli di estrema hanno potuto svolgere la loro azione liberamente; la prova è che queste forze dello Stato presidieranno le urne e le sezioni elettorali perché ognuno voti secondo coscienza e agisca secondo le direttive della sua mente e del suo programma. Si è detto, qui a Genova, da Di Vittorio che io sarei un reazionario e che voglio reprimere gli scioperi. No: sta scritto nella Costituzione che lo Stato garantisce ai lavoratori la libertà di sciopero e, aggiunge, però, nel quadro di un regolamento della legge. Cioè si suppone che ci siano alcune norme che tendano a far sì che lo sciopero venga usato come un’arma di legittima difesa tutte le volte che gli altri modi di pressione, di convinzione, di persuasione, non sono adatti o non sono sufficienti a fare ottenere giustizia. Quindi se lo sciopero esiste, esiste come esiste il diritto alla legittima difesa. Ma se ci deve essere anche qualche regola per il diritto di legittima difesa, così anche per lo sciopero ci deve essere una regolamentazione che io non voglio anticipare, ma che penso debba rispettare non solo la libertà di sciopero ma soprattutto la forza propulsiva delle organizzazioni operaie, perché devo ammettere che fino a tanto che non avremo regolato e saputo frenare e contenere le altre forze che stanno al di sopra, cioè quelle che possiedono gli strumenti del lavoro, un’arma deve essere lasciata alle classi operaie. Ma lo sciopero deve essere regolato e non essere lecito ogni momento: devono essere esperite trattative normali e amichevoli affinché in ogni momento non sia lecito, dando l’ordine attraverso quattro o cinque persone, di mettere la produzione nazionale in difetto e di creare danni immensi per i terzi che appartengono alla classe dei consumatori o per i lavoratori di altre categorie. Qui ci vuole evidentemente un freno ed un limite. Se parlare così è parlare da uomo ragionevole o parlare da uomo reazionario, lascio giudicare a voi. In ogni modo, ditemi, amici, che cosa dobbiamo attendere noi per regolare questa difficile situazione la quale è strettamente connessa con l’ordine pubblico, col diritto della libertà, che cosa dobbiamo attendere forse che ci venga anche qui un regime come quello russo ove lo sciopero è proibito? In verità, nel regime bolscevico russo, è proibito lo sciopero, e si dice è proibito perché là tutti i lavoratori lavorano per la nazione e perché i proprietari e i direttori di imprese sono rappresentati da organi dello Stato. Ma vi domando: qui abbiamo anche intorno a Genova delle industrie che in realtà sono industrie nazionalizzate e gestite dallo Stato; avete mai sentito che commissioni operaie, abbiano dichiarato che trattandosi di imprese che sono dello Stato, non si possa ricorrere allo sciopero o almeno che esso si debba limitare? Avete mai sentito che questo riguardo si possa usare per imprese che sono municipalizzate, che sono del governo? Sì lo riconosciamo, talvolta si fanno delle eccezioni per i fornai e per gli infermieri: ma sono eccezioni rare a confronto dei danni che vengono portati alle varie categorie ed alla collettività. Ecco perché il mio discorso su questa materia vuole essere un discorso franco, libero, da uomo responsabile. E badate bene, a voi che siete organizzati in tutte le federazioni del lavoro, anche a quelli della corrente cristiana, noi non chiediamo che veniate meno alla solidarietà di classe e alla solidarietà di lavoratori. No, fate il vostro interesse, fate l’interesse della vostra classe: chiediamo soltanto che davanti alla Confederazione difendiate il principio della libertà sindacale, cioè quel principio di libertà che fa sì che nelle agitazioni ristrette o generali, in tutte le misure che si possono prendere per rappresentare e premere in favore degli interessi di categoria, si abbia dinanzi anche il diritto altrui, il diritto alla libertà degli altri e degli altri interessi, quando sono legittimi e soprattutto degli interessi delle grandi masse operaie che hanno sempre diritto di essere presenti alla nostra mente, ogni volta che si pensa di decidere gli interessi che ci riguardano direttamente come categoria. Non bisogna poi dimenticare che dello sciopero, che è arma di legittima difesa quando si tratta di difesa economica, si abusa e talvolta si abusa per scopi meramente politici o di partito, che non hanno niente a che fare con gli interessi dell’operaio. In verità Di Vittorio accusava il governo di non aver fatto nulla per gli operai e diceva che, se non fosse stata la Confederazione a premere con uno sciopero dopo l’altro i salari non sarebbero aumentati e le condizioni dei lavoratori sarebbero ancora così cattive come tre anni fa. Ora ammettiamo pure che i salari siano aumentati sotto le ragionevoli pressioni, anche perché per forza svalutandosi la moneta bisognava che i salari aumentassero. Ma se il governo non avesse contribuito a risolvere il problema, si sarebbe arrivati alla inflazione, alla svalutazione totale della moneta. È solo l’intervento del governo che ad un certo momento è riuscito ad arrestare la svalutazione della lira, che ha potuto dare un valore reale ai salari; è soltanto cercando ed ottenendo un certo livello nella stabilità dei prezzi (dico un certo livello perché i prezzi oscillano sempre, anche in tempi normali) che si è arrestata la svalutazione della lira mediante provvedimenti di Governo e creata quella solidarietà di interessi e quel senso di fiducia e di garanzia economica che era necessaria per arrivare ad una regolamentazione generale degli interessi di classe. E non è che noi non abbiamo tenuto conto delle condizioni particolari degli operai, in quanto abbiamo favorito attraverso l’opera di conciliazione del ministro del Lavoro quei movimenti che avevano giusta ragione di essere. Ma accanto agli interessi degli operai il governo ha fatto sforzi notevoli, nonostante le difficoltà del momento, per venire incontro alle necessità degli statali: la spesa che lo Stato deve sostenere per i loro stipendi è infatti passata dai 148 miliardi del gennaio 1948 ai 377 miliardi della fine di febbraio di quest’anno con un aumento di 299 miliari pari al 155%. Inoltre, quando recentemente l’indice del carovita è sceso prima da 190 a 183 e poi a 174, non è stata operata nessuna corrispondente riduzione della indennità di contingenza, come vorrebbe il meccanismo della scala mobile. Con ciò lo Stato ha sacrificato quasi altri 6 miliardi. E quando pensiamo che con le misure di aumento che abbiamo dato e le misure riguardanti l’assicurazione di previdenza sociale, si sono trasferiti in favore della classe operaia 94 miliardi in quest’ultimo periodo, possiamo ben dire che l’onorevole Di Vittorio non ha alcuna ragione, non ha alcuna ragione di lagnarsi perché il governo ha fatto tutto quello che poteva per le classi dirigenti. E se volete aggiungere il piccolo ma iniziale sforzo ulteriore per i pensionati, i mutilati e le indennità date ad altre categorie varie, decise proprio nell’ultimo Consiglio dei ministri, vedrete che il governo ha avuto veramente la preoccupazione di non far patire la fame a nessuno e di dare almeno quello che era necessario, assolutamente necessario. E lo so che nessuno si accontenta perché i tempi sono tristi e siamo ben lontani ancora dall’essere arrivati a quello che era il reddito dell’anteguerra nella produzione nazionale. Si aggiunga, poiché si parla di sgravi fiscali, che il governo non ha mai mancato, tutte le volte che è stato possibile, di alleggerire le imposte sulla ricchezza mobile e di ridurre i contributi per le proprietà da 7 a 12 ettari, con i famosi contributi unificati, di modificare o rateare l’imposta patrimoniale progressiva. Di Vittorio ha detto a Genova che noi abbiamo tradito i piccoli, applicando l’imposta proporzionale e ottenendo il riscatto di questa imposta, che è una vecchia imposta, accumulandola in un breve tempo. Allora mi sono messo una mano sulla fronte e ho pensato al mio calendario di governo e mi sono chiesto: quando è stata varata questa legge relativa a questa imposta? Non era Scoccimarro ministro delle Finanze? E infatti Scoccimarro nel discorso pronunciato alla Costituente nella seduta del 12 febbraio 1947 ha detto secondo il processo verbale (pag. 1181) le seguenti testuali parole: «Noi abbiamo nel nostro sistema una imposta istituita nel 1919 per ragioni di guerra: l’imposta straordinaria sul patrimonio. Ora logicamente questa imposta oggi bisognerebbe abolirla perché la guerra è finita; io penso, però, che se la guerra è finita le conseguenze della guerra stanno ancora dinanzi a noi ed allora si può organizzare il riscatto di questa imposta che servirà a facilitare una opera di ricostruzione. Questa imposta ha oggi l’imponibile di lire 2.500 miliardi e basterebbe chiedere a mio parere il 3 per cento per il riscatto e realizzare una entrata di 75 miliardi» . Come vedete, sua è l’iniziativa, sua è l’idea del riscatto ed egli non presupponeva quelle esenzioni che oggi vengono proposte, come sicuro merito del Fronte popolare, se mai il popolo italiano avrà la disgrazia che esso vada al governo. Non pensava a queste eccezioni. Ora, amici miei, qui a Genova, vicino a Sestri Ponente devo anche dire che lo Stato ha dato attraverso il Fim (l’Istituto di finanziamento per le industrie meccaniche) e attraverso l’Iri (l’Istituto di riorganizzazione industriale) quasi 100 miliardi quest’anno per potere sostenere le industrie e li abbiamo dati sotto la pressione e la considerazione che, altrimenti, migliaia di operai sarebbero stati messi sul lastrico: li abbiamo dati per ragioni sociali, non perché pensassimo che ci fosse un sicuro rendimento. Ebbene, che nel mezzogiorno i contadini abbiano potuto dirmi: avete fatto male perché quei denari li avete presi dalla cassa comune, lo capisco. Ma che Di Vittorio che sta a capo della Cgil, e che in genere, in un manifesto, i candidati del Partito comunista facciano un rimprovero proprio a noi di avere dato questi contributi, forse perché rappresentano un contributo in favore degli operai che essi solo dicono di rappresentare, questo è irrazionale, questo non è possibile accettarlo come cosa ragionevole e questo presuppone che essi credono che gli operi e gli italiani siano ignoranti e non capiscano la realtà della situazione. Dopo l’istituzione ed il consolidamento del regime democratico, della libertà, il secondo problema di ogni governo italiano, è la riprese economica. Ma io vi domando: come volete voi incoraggiare la ripresa economica, dove prendereste il denaro per finanziare quelle imprese che da sé non possono rendere o aiutare quelle che appena possono continuare od iniziare nuove produzioni le quali tutte combattono la disoccupazione e aiutano il popolo italiano a risorgere? Ditemelo voi dove si sarebbe preso questo denaro se non avessimo avuto l’aiuto americano, se non avessimo avuto in tre anni un miliardo e 869 milioni di dollari. Ma l’onorevole Togliatti è venuto qui a dirvi: non è vero che ci danno questi aiuti gratuitamente, non è vero perché noi dobbiamo pagare, dobbiamo pagare farina e carbone. Già, ma badate che il denaro che pagate per il pane, che i denari che vengono varati e pagati per il carbone e per le altre materie prime, come l’acciaio, la benzina, i fertilizzanti, ecc., vanno a finire in una sezione speciale della Banca di Italia, dalla quale si prendono i miliardi quando si decidono i lavori pubblici, le ricostruzioni, gli aiuti ed i finanziamenti cui ho prima accennato, le opere per il mezzogiorno, le opere per l’assistenza operaia. Se dall’America non ci fosse arrivato grano e carbone, non avremmo potuto campare, nonché lavorare nelle nostre industrie. Non avremmo avuto neanche i mezzi necessari per la ricostruzione. Noi, a furia di imposte, e avete ragione a lamentarvi perché sono sempre troppe, siamo arrivati a 750 miliardi o poco più che bastano appena per le spese correnti e cioè per le spese relative all’amministrazione dello Stato: ma poi vi sono ancora 600 o 700 miliardi. E sapete la maggior parte di questi miliardi a che cosa sono serviti? Più di 400 per la ricostruzione delle ferrovie, delle strade, degli edifici pubblici ed altri per l’assistenza ed i finanziamenti economici cui ho più volte accennato. E tutto questo perché abbiamo potuto farlo? Come abbiamo potuto fare tutti questi miracoli, mantenendo il valore della moneta, impedendo la svalutazione e non lasciando fare sbalzi successivi ai prezzi? Perché abbiamo potuto fare questo? Perché ad un certo momento il popolo italiano ha avuto la fiducia in noi; ha detto: questi sono uomini seri, che fanno sul serio, che hanno dietro le spalle l’America. Questo è vero: però noi non siamo servi dell’America. Io sono stato in America a chiedere, ma ho chiesto in piedi, con dignità, in nome del popolo italiano. Ed ho detto agli americani: voi avete qui la prova di che cosa sa fare il popolo italiano. Vedete centinaia di migliaia di italoamericani che sono emigrati qui, assunti a cariche importanti, sociali ed economiche, semplicemente con il lavoro del loro braccio e con la genialità della loro mente. Guardate questo popolo, quando è messo sul terreno della democrazia e della libertà e delle risorse economiche, guardate che cosa sa fare. Anche tutti coloro che sono rimasti a casa, che devono concentrarsi oggi per la mancanza o la scarsezza o la impossibilità della emigrazione sulla penisola italiana, anche costoro appartengono al medesimo ceppo, hanno le medesime abitudini, le medesime virtù ricostruttive. Fidatevi di noi, abbiate fiducia in noi: un giorno restituiremo al mondo quello che ci ha dato. Dicono che questo accettare contributi, che l’accettare aiuti dall’America avvilisca lo spirito. No! No! C’è in America una grande festività che si chiama «giorno di Colombo». Domando a voi: se per l’America l’Italia non avesse fatto altro che inviare lo scopritore Colombo, già avrebbe nel libro dei conti un credito sufficiente per ottenere la fiducia, purchè sia un popolo serio. Oggi, avvertiti di questo ragionamento che fa tutto il popolo, anche gli oratori del Fronte dicono: ma anche noi gli aiuti li accetteremmo se andassimo al governo. Li accetterebbero, ma, purtroppo, non li avrebbero questi aiuti. Perché per ottenerli bisogna avere conquistato la fiducia di quelli che fanno, di quelli che prestano. E non bisogna agire sotto suggerimento del Cominform e dei russi. Oggi il piano Marshall è in azione. Si è votato il 2 aprile il primo stanziamento, a favore dei paesi europei di 5 miliardi e 300 milioni di dollari per il primo anno, il che equivale per l’Italia a 450 miliardi di lire. Sarà poco, in confronto a quello che ha dato la Russia, però mi pare che sia sufficiente e, in ogni modo, noi non desideriamo altro che ci lascino fare quello che ha fatto la Russia durante la guerra: la Russia ha ricevuto molti miliardi di merci dagli Stati Uniti, li ha accettati, lasciate che li accettiamo anche noi. Non è vero che questi aiuti ci portino via la libertà: lo sanno benissimo anche gli oratori comunisti, lo sanno, soprattutto gli operai, se ragionano. Essi hanno visto arrivare del grano e del carbone e sanno che, quando il Fronte andasse al governo, quelle navi volgerebbero la prora verso altri lidi. Lo sanno, ma disgraziatamente, non sono liberi e devono fare quello che viene loro ordinato dal Cominform e dal Comitato di Belgrado. Un accenno particolare voglio fare qui a Genova e alla ricostruzione della Marina mercantile che è una delle principali fonti della vostra economia. In un breve spazio di tempo si è arrivati da 400 mila tonnellate di navi, che avevamo subito dopo la guerra, a 2.400 mila tonnellate. Anche qui l’aiuto principale ci venne dato oltre che dalla intraprendenza degli armatori e dei lavoratori, dagli Stati Uniti, che ci vendettero 124 unità per 900 mila tonnellate a prezzo conveniente e pagamento rateale e ci hanno restituito oltre 210 mila tonnellate compresi i due «Conti», cosa che nessun altro Stato ha fatto. E questo potenziamento è merito particolare del vostro Cappa. Ora noi saremmo uomini poco intelligenti se non sapessimo distinguere i nostri amici da quelli che non chiamerò nemici, ma nostri amici più tiepidi. Per esempio, non è vero che cerchiamo di stroncare e di non avviare i commerci e le relazioni economiche coi paesi orientali. Non è vero. Noi vorremmo che tutti i nostri porti, principalmente Genova e Venezia, diventassero scali per l’occidente e per l’oriente. Ed abbiamo anche desiderato ed accettato un accordo commerciale con la Jugoslavia, un accordo che vale per tanti anni, in modo che, se le nostre fabbriche avessero la possibilità di lavorare ed avessero le materie prime sufficienti, forse in 4 o 5 anni la Jugoslavia avrebbe il mezzo di tramutarsi da territorio completamente agrario in uno Stato semi-industriale. È quindi una cooperazione che siamo pronti a fare con la Jugoslavia, nonostante essa non sia stata tenera con noi e che ci abbia contrastato sempre, in nome del diritto di conquista, in quello che era un nostro diritto nazionale. Colgo l’occasione anche per salutare la nostra Trieste che ritornerà all’Italia. Si dice, amici, ci è stato detto che la proposta per un ritorno di Trieste all’Italia è stata sempre un trucco elettorale. No! Una volta fatta, non si torna più indietro ed oggi noi insisteremo: non abbiate paura! Non facciamo del nazionalismo vecchio stile di guerra, tanto noi siamo inermi, quasi disarmati e siamo una debole e piccola cosa in confronto della piccola Jugoslavia che ha un esercito ben maggiore del nostro. Non saremo noi che cercheremo i mezzi violenti di conquista, nemmeno per Trieste. Noi aspettiamo. Abbiamo avuto la pazienza di aspettare nelle conferenze di Londra e di Parigi, aspettiamo che il diritto si faccia strada e che la giustizia si compia e si compia in nome della cooperazione dei popoli liberi, ai quali speriamo si aggiunga anche la Russia. Questo è il nostro voto e se il Fronte ha bisogno di un trucco elettorale, come si dice, a proposito di Trieste, io mi auguro che domani la Russia per fare un piacere al Fronte, dica di sì alla proposta degli altri tre. Ritornando alla ricostruzione vorrei aggiungere che altri lavori si sono fatti per la ripresa dei porti e di fronte a coloro che dicono che questo governo non ha fatto niente, che non ha aiutato coloro che potevano e volevano fare e che hanno spirito di intrapresa ed energia di lavoro, io dico: guardate il porto di Genova, guardate quello che era un anno e mezzo fa e quello che è oggi. Senza dubbio, molto resta ancora da fare, direi i due terzi della ricostruzione restano ancora da fare. Ma è per questo che abbiamo bisogno della fiducia, della collaborazione ancora dell’America e degli altri Stati amici. Per questo cerchiamo l’unione doganale italo-francese; per questo cerchiamo di gettare altri ponti verso altri paesi europei. Il piano Marshall non è semplicemente costituito di doni e di prestiti che vengono dall’America all’Europa, ma anche di collaborazione tra i diversi Stati europei, in modo che si realizzerà quello che fu un sogno dei nostri grandi, compreso Giuseppe Mazzini: la federazione europea, gli Stati Uniti di Europa. I nostri posteri, camminando sulla via che abbiamo aperta, giungeranno a tale pacifica meta. Tutto quello che aumenta la possibilità di concordia fra le nazioni, aumenta le ragioni di pace, tutto quello che aumenta le comunicazioni sviluppa il turismo e voi che siete un grande centro turistico e che avete a ridosso la Svizzera, con la quale si pensa di arrivare un giorno ad una autostrada che porti ad una connessione più diretta e quasi ombelicale, ditemi se questa visione che abbiamo dinanzi non sia una visione raggiungibile, purché vi sia concordia di uomini che si mettano assieme per la ricostruzione della pace, con fede sicura nel risorgimento d’Italia. Amici miei, ho da dirvi un’ultima parola: noi ci battiamo per la Democrazia cristiana considerata come una parte notevole della nazione, della democrazia degli interessi patrii, una parte della patria. Il nostro desiderio di dominio di parte noi lo subordiniamo al servizio verso la nazione. La previsione fatta da Cavour nel 1861, secondo cui, quando i cattolici fossero riusciti ad ottenere il consenso e la pacificazione con Roma in Italia la maggioranza alla Camera sarebbe stata cattolica, si è avverata. I democristiani, però, uniscono al sentimento religioso il culto delle libertà politiche cercando una sintesi che permetta a tutti coloro i quali sono sinceramente per la democrazia e la libertà, di vivere tra di noi e di essere accanto a noi, di formare insieme un governo. Ma Cavour ha avuto il torto di credere che quando un partito che provenisse dai cattolici ottenesse la maggioranza alle Camere, sarebbe stato necessario per i liberali passare alla opposizione. No: si può collaborare con chi ha le tradizioni universalistiche di Giuseppe Mazzini, sia con chi può, nella giustizia sociale, distinguersi da noi per una maggiore intensità delle aspirazioni ad economia programmata, sia con i liberali. C’è la possibilità per tutti di lavorare assieme a noi, purché rispettando le reciproche idee e le grandi tradizioni di libertà e di fede d’Italia, ci sia un patto democratico: tutti per la democrazia, tutti per la libertà, tutti energicamente contro ogni tentativo di chi vuol metterla in pericolo o sopprimerla. |
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| Miei cari amici, si dice di solito che sono troppo combattivo, troppo irruente perché uso termini troppo rudi con gli avversari: però non ricordo di avere mai usato i termini e soprattutto di essere ricorso alle calunnie e alle infamie che mi rivolgono gli avversari e che trovo in tutte le cantonate d’Italia comprese le vostre. Amici miei, mi irrito a dovermi occupare della mia persona, quasi che un uomo, che ha passato tanti anni nelle lotte politiche e che ha legato e documentato la sua attività nella storia politica di questi ultimi anni, abbia bisogno di difendersi contro le infamie e le calunnie. Mi si domanda: De Gasperi sai nulla di Cesare Battisti? So questo: so che con Cesare Battisti sono stato in prigione ad Innsbruck; so questo: che quando Cesare Battisti venne tragicamente condotto a morte e il Parlamento austriaco si convocò, io fui l’unico deputato italiano che ebbe il coraggio di difendere Battisti. I signori frontisti che oggi sono andati a raccogliere nella pattumiera della colonna politica, sono andati a raccogliere i presunti falsi documenti dell’Ovra, quell’Ovra fascista che ha agito contro di me nel 1924-25, quando difendevo la libertà del popolo italiano sull’Aventino, hanno raccolto lo stesso materiale ripudiato da tutti gli uomini che amano la loro libertà . Ma io so che il pubblico italiano ha abbastanza intelligenza per non credere a simili calunnie e per temere la discussione. In un altro manifesto che ho visto qui affisso sono riprodotto mentre saluto romanamente: anche qui la verità è che io per non essermi mai piegato a nessuna forma fascista finii a Regina Coeli per parecchio tempo. Impudentemente i comunisti vogliono dividere in due settori il mondo: fascista ed antifascista e tutti diventano fascisti quelli che non sono d’accordo con essi e con il loro regime. Mi si è chiesto che cosa farò quando vincerà il Fronte. Amici miei, sono ormai abbastanza vecchio, ma ho paura che prima che io abbia ad assistere alla vittoria del Fronte passeranno molti e molti anni, ed è inutile, quindi, porsi questa lontanissima eventualità. Io credo che dopo la botta che riceverà il 18 aprile, il Fronte si scioglierà, perché nel Fronte vi sono i gruppi attivisti comunisti che gridano e gli altri che vengono trascinati e non vedono l’ora di liberarsi; ed io spero che la gran parte degli operai, anche se socialisti, sceglieranno altri partiti che garantiscono lo spirito nazionale e la forma democratica di regime al popolo italiano. Amici, non si tratta della mia persona; ma se si vuol proprio sapere che cosa farò dopo il 19 aprile, vi rispondo: riposerò. Mi riposerò sugli allori della vittoria! Combattendo come il governo combatte, svolgiamo il compito di proteggere la sovranità dei senatori e dei deputati eletti ed eventualmente proteggeremo dall’ira del popolo anche la minoranza del Fronte che sarà eletta. Le Camere si costituiranno: si eleggeranno i due presidenti; si eleggerà il capo dello Stato ed allora finalmente lo Stato democratico è perfetto, è definito ed i poteri sono costituiti. Ed allora noi agiremo come democratici, i quali sanno che i poteri del governo di chicchessia in Italia, nel regime repubblicano, derivano dalla Camera, dalla maggioranza della Camera. Questa è democrazia. Ed io potrei ribattere: cosa farebbe Togliatti nel caso che vincesse le elezioni? Ma credo che non abbiamo tempo da perdere per cose così lontane dalle possibilità. Oggi non esiste più quella specie di anarchia che esisteva due anni fa. Scelba ha colto nel segno quando ha concretato tutta la sua forza nella riorganizzazione degli organi dello Stato: polizia, carabinieri, esercito, insieme al ministero della Difesa, per difendere non i privilegi di alcuno, ma la libertà di tutti e perché soprattutto ci liberino dalla paura dei partiti e dalle minacce dei congressi e delle cellule. Noi vogliamo la libertà italiana! Questa sarà la questione di principio che dovrà essere risolta prima di ogni altro problema: cioè garantire ed assicurare in uno Stato bene ordinato, ben disciplinato, perché i cittadini possano essere liberi, liberi entro lo Stato. E questo è il regime democratico. Questo è il regime di libertà, è il regime che noi vogliamo. Questo per non correre la sorte di altri paesi, dove la mancanza di organi di polizia ha portato al caos, in modo che pochi uomini arditi e armati si sono impadroniti del potere. Questa è la ragione per la quale ce l’hanno tanto con Scelba e il nostro governo. Abbiamo cercato le armi e in parte le abbiamo trovate. Ce ne sono ancora molte. Le cercheremo ancora. Le armi devono esser dello Stato! L’aggettivo «cristiana» di cui si fregia la Dc ha un senso di tolleranza civile e di libertà per tutti i singoli e per tutti i partiti, contro le insidie armate di una insurrezione e gli sconvolgimenti che sono stati possibili negli Stati balcanici, Cecoslovacchia e Polonia, dove governi di minoranza si sono imposti alle maggioranze rimaste senza capo o che sono state battute e perseguitate. Il popolo italiano è in grado fortunatamente di profittare delle disgrazie altrui, perché ha ormai capito che lo si vorrebbe condurre attraverso un fronte che si qualifica per la pace, la libertà e l’amore, ma che in realtà è un fronte per la dittatura, alla conquista giacobina del paese. Ed oggi la lotta che si conduce contro di noi non è per la pace, la sovranità, il lavoro, come dicono i frontisti, ma pro o contro il piano Marshall. I comunisti sono contro il piano Marshall perché la sua applicazione, eliminando le cause della crisi europea, renderebbe impossibile o estremamente difficile il grande piano russo di conquista della Francia, dell’Italia e del Mediterraneo in genere, per il bolscevismo universale. E non è vero che gli americani ci aiutano per asservirci; ci aiutano per mantenere la pace e perché riprenda la navigazione sui mari, riprenda il lavoro nelle industrie, si fecondino i campi, ci sia un popolo ordinato in un regime di libera democrazia. Noi siamo un popolo ricco di braccia e di ingegno, ma siamo un popolo di risorse insufficienti per i nostri grandi bisogni; ed è naturale, perciò, che noi cerchiamo l’aiuto soprattutto in occidente e non ci umiliamo, né ci asserviamo se noi lavoriamo con quel popolo democratico a cui un italiano, Colombo, diede la vita. Il popolo italiano è un popolo intelligente che sa fare i suoi conti, un popolo che ha coraggio e non si lascia prendere dalla paura e non aspetta come è avvenuto a Praga che compaia la milizia segreta del partito comunista; ma, avendo a disposizione le forze dello Stato per difendere la sua libertà e difendere i suoi diritti di popolo, darà l’animo a questa lotta, anche se questa lotta è quanto mai difficile. Bisogna dimenticare in Italia la parola paura; bisogna ricordare solo la parola coraggio. In definitiva bisogna soprattutto ricordare la parola e il concetto di coscienza. Voi dovete agire secondo coscienza, costi quel che costi. Ecco ancora la famosa frase che mi rimproverano i miei avversari perché fingono di non capire che «costi quel che costi» significa andare per vie diritte, assumendo tutte le responsabilità, disposti ad affrontare e a pagare di persona. La frase «costi quel che costi» vuol dire soltanto e semplicemente a costo di qualunque sacrificio personale. Molti dicono che ho esagerato, che con ciò quasi quasi ne potrebbe andare di mezzo la mia persona. Non credo. Comunque, non me ne preoccupo. Un manifesto ha ricordato, perfino, piazzale Loreto. C’è ancora qualcuno che ha questo chiodo nel cervello. Ora io vi dico: deciderete secondo la vostra coscienza, illuminati dal principio democratico, dal vostro interesse e soprattutto dalla ispirazione della vostra coscienza, che è ispirazione della civiltà cristiana. Giudicate secondo questa coscienza e ricordatevi che voi siete tenuti ad essere, non il partito dominatore ma il partito che dà maggiore contributo al servizio della nostra patria! |
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| Il presidente ha detto di voler rivolgere lui questa volta qualche domanda al leader comunista, pur dubitando di avere delle precise risposte: è pronto l’onorevole Togliatti, dopo il 18 aprile, tenendo conto del verdetto popolare che sarà certamente favorevole alla Dc e ai partiti al governo, è pronto a dare ordini a tutti i suoi compagni che detengono ancora le armi, di consegnarle? È disposto a smettere di complottare nel Cominform contro l’Italia? Dopo il 18 aprile, infine, l’onorevole Togliatti manterrà Garibaldi o ritirerà fuori la falce e il martello? Quello che farà il governo De Gasperi dopo le elezioni è evidente: continuerà a fare il democratico e difenderà la libertà di tutti, compresa quella degli avversari; continuerà a ricercare le armi come sta facendo con molta abilità e con molto successo l’amico Scelba. (Applausi e grida di viva Scelba!). Ma Togliati insiste nel chiedere che il Fronte, dopo il 18 aprile venga interpellato per la formazione del nuovo governo. Il capo dello Stato potrebbe trovarsi in imbarazzo e dire: mandatemi a chiamare Garibaldi per sapere chi debba ascoltare in sua rappresentanza. Ma quando le battaglie si perdono, le coalizioni inevitabilmente si sfasciano. C’è al di sopra delle polemiche di parte un problema che interessa tutti gli italiani: quello di Trieste. Io consiglio Togliatti, che conosce bene il russo, di telegrafare all’ultima delle quattro potenze che non ha aderito finora alla restituzione all’Italia della città italianisima, perché dia il suo consenso. Noi non diremo che si tratta di una manovra elettorale. Apprezzeremo il suo esito e saremo felici se con esso sarà possibile reintegrare l’Italia delle sue terre e riunire alla madre patria tutti i fratelli istriani. |
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| Amici milanesi, si avvicina la chiusura della campagna elettorale ed era, naturalmente, mio dovere venire a darvene un rendiconto generale proprio a voi, cittadini milanesi e della Lombardia, che rappresentate, in questa lotta, il nucleo più maturo, più preparato e più combattivo. Dovevo, anche, dimostrare che non ho nessuna paura a rispondere alle domande che vorrebbero essere insidiose e che mi vengono poste man mano in tutte le piazze in Italia. Devo dire che, in genere, l’uditorio, il popolo e la stampa rispondono ancora prima che risponda io. E, prima di tutto, per quanto senta dell’interna avversione, debbo parlarvi di una mia questione personale, anche perché non vorrei che vi siano dei giovani, ad esempio, che non conoscendo la storia recente del nostro paese, possano credere di trovarsi [dinanzi] ad accuse nuove o nuove documentazioni. Debbo, dunque, parlarvi, in primo luogo, per la questione che mi riguarda, non perché io senta minimamente di averne bisogno, ma per provare la infamia delle calunnie della campagna degli avversari. Si è stampato, si è pubblicato, si è affisso dei manifesti che io, deputato al Parlamento austriaco, avrei approvato la condanna di Cesare Battisti. E si conta molto sulla presunta ignoranza di chi legge e di chi ascolta per dire che mentre Battisti veniva ignominiosamente impiccato a Trento io coi miei parenti (si aggiunge anche mio fratello per giunta, il quale per disgrazia era in Russia), avrei approvato questa orrenda tragedia e sarei stato, in quel momento, niente meno che lo Schriftführer del Parlamento austriaco. Non vorrei che qualcuno credesse che io, in quel momento, fossi una specie di duce in Austria. La parola Schriftführer vuol dire segretario provvisorio della Camera. Infatti, voi sapete che, quando una Camera si costituisce, si elegge un presidente; la presidenza viene assunta dal più anziano, mentre segretari sono i più giovani. Io avevo, in quel momento, la fortuna di essere il più giovane e sono così diventato segretario della Camera. In base a queste funzioni io avrei dovuto intervenire nel caso Battisti. Comprendete bene che i signori avversari non sanno o fingono di non conoscere il calendario della storia. Disgraziatamente, quando la tragedia di Battisti si verificò il Parlamento austriaco era chiuso e trasformato in un ufficio: i deputati che non erano chiamati alle armi erano messi al bando ed io stesso avrei dovuto abbandonare Trento. Poiché tutta la zona di guerra si estendeva su fino a quasi due terzi dell’Austria, dovetti adattarmi a fare da amanuense di un certo comitato di profughi con la spada di Damocle sulla testa di essere messo in un campo di concentramento. Il Parlamento fu convocato alcuni mesi dopo e, ridivenute operanti le immunità parlamentari, fui l’unico collega, Battisti era come me rappresentante del Trentino e quindi deputato alla Camera austriaca, che ebbe l’occasione e il coraggio di insorgere e condannare quello che era avvenuto. Basta, per questo, leggere i verbali della Camera. Quando potei parlare, in una seduta plenaria, in un discorso dissi tutto il mio pensiero, e tutto il nostro pensiero di trentini italiani e cattolici sopra il terrorismo che regnava nel nostro paese, del quale terrorismo il misfatto commesso a danno di Cesare Battisti fu come il coronamento di molti altri misfatti e di molti altri delitti e persecuzioni. Vi rileggo un brano del discorso che feci il 26 settembre 1917 alla Camera austriaca, prima dunque che si verificasse la disgrazia di Caporetto, prima comunque che la guerra volgesse verso la fine . In questo discorso, io descrivendo i fatti del Battisti ed altri atti terroristici e di persecuzioni compiuti nel Trentino, dissi: «Il popolo trentino guarda meravigliato e atterrito e si domanda se il suolo che si è creato a fatica con le sue mani e su cui ora appena può strisciare, gli sia lecito dirlo ancora suo e se questi tirannelli (cioè l’austriaco militare soprattutto) credono che perché tutto, in questo momento si tace, tutto sia morto, tutto sia un cimitero. Ma lasciate, una volta, che lo spirito della libertà soffi sopra queste presunte ossa da morto, ed esse, come una volta, innanzi al profeta, si ricomporranno e costituiranno di nuovo uomini vivi e liberi. Ben possiamo dire, dunque, tranquillamente col grande poeta tedesco “lasciate che il conto dei tiranni aumenti, finché un giorno solo paghi di un tratto la colpa generale e quella di ciascuno.” Quel giorno – proclamavo io – deve venire e verrà: esso è già il sicuro risultato di questa guerra e ha preceduto la decisione dei campi di battaglia, è la vittoria del principio nazionale e democratico». Questa è la conclusione del mio discorso di allora. Ditemi: si tratta di un traditore o di un affermatore del principio della libertà, della nazionalità, della democrazia? Nessuno allora lo negò e, quando dopo l’armistizio, comparvi qui a Milano, proprio davanti alla Galleria, io fui festeggiato dai milanesi come colui che aveva cercato di rivendicare la sorte di Battisti e come suo compagno nella difesa della italianità del Trentino. Passarono, però, alcuni anni. In un bel momento per difendere la libertà, noi deputati popolari, assieme ai deputati socialisti, assieme ai deputati delle sinistre, a tutti coloro che sentivano il bisogno di una affermazione di libertà, abbiamo inaugurato quella azione che si chiamò aventiniana, cioè la protesta di abbandonare il Parlamento ed iniziare la campagna di rivendicazione di Matteotti e di difesa delle libertà parlamentari. Amici miei, allora noi cattolici non abbiamo chiesto se si trattasse di vittime socialiste o meno, abbiamo detto: questo è un uomo che difendeva le libertà parlamentari; questo è un uomo che merita rispetto e considerazione e che è caduto vittima di questa sua fierezza. Questo fu, sempre, il nostro atteggiamento e non fu fazioso, non guardò per il sottile, non fece questioni di partito. Ora, poiché noi eravamo il partito più numeroso, toccò a noi il peso massimo delle responsabilità nella opposizione contro il governo fascista. E fu in quel momento che Farinacci tirò fuori una campagna contro di me, parte inventando e parte mistificando, equivocando, esagerando e male interpretando documenti e affermazioni e cercando di dipingermi dalle colonne del «Popolo d’Italia» di allora e, in genere, dalla stampa fascista, come uno straniero, un austriaco, non meritevole di alcuna considerazione. Era il segretario del partito più forte dell’opposizione, era il capo dei comitati di opposizione extra parlamentare, il cui presidente ero io, mentre segretario era Carlo Silvestri, erano i capi di questa opposizione che venivano attaccati e che si voleva assolutamente eliminare; ma in fondo non si riuscì a staccare da me i miei amici nella considerazione di coloro che come me combattevano. Però si riuscì a farmi finire in galera una seconda volta (la prima volta fu assieme a Cesare Battisti a Innsbruck, quando entrambi combattevamo per la libertà). Allora io vi riproduco per la storia un giudizio che per molti avrà prova di documento e di argomento sicuro; parlo di Giovanni Amendola che sul «Mondo» del 16 dicembre 1924 scriveva: «Dobbiamo oggi bollare pubblicamente la persistente diffamazione con la quale si vuol colpire in Alcide De Gasperi il segretario del partito popolare che è uno dei capi più seri e fattivo delle opposizioni parlamentari. La balorda accusa di austriacantismo non riesce a nascondere neppure un istante la trasparente bassezza dei fini partigiani che animano i calunniatori. Ma la calunnia cade impotente ai piedi di chi essa voleva abbattere. Alcide De Gasperi resta dritto sotto tanta inutile rabbia e a lui non viene meno, né può venire meno né la fiducia dei suoi amici né la stima dei suoi compagni di battaglia antifascista e in genere dei galantuomini». Amici miei, proprio oggi una lettera dell’allora segretario del Comitato generale della opposizione, Carlo Silvestri, mi ricorda che, in quel tempo, egli stesso per ordine di Luigi Albertini aveva fatto una inchiesta sopra queste accuse perché Albertini non voleva nel «Corriere» pubblicare notizie che non fossero provate, e mi ricorda di avere avuto conferma da questa inchiesta che le accuse erano infondate. Ma è certo che queste accuse vengono dall’archivio di Farinacci, il quale soleva accumulare nei suoi cassetti, quando era segretario del partito, dossier per intimorire e terrorizzare anche i suoi avversari. Ed una volta uno dei sottosegretari alla presidenza di Mussolini ebbe a dirmi: «tira dritto, bada come fai a fare l’opposizione perché altrimenti ti attaccheranno personalmente». Io risposi: non ho nulla da temere. E continuai a fare l’opposizione. Ma essi hanno cercato di vendicarsi. Debbo aggiungere, guardate come le cose si ripetono, che gli stessi documenti, questi presunti documenti, questo materiale calunnioso è andato ora in mano all’onorevole Togliatti, il quale ha raccolto queste elucubrazioni e queste informazioni dalle spie dell’Ovra e oggi le utilizza di nuovo contro di me, temendo che io oggi di fronte a lui sia diventato più debole di quello che fui di fronte a Mussolini. Quel materiale che si stampa ora sulle cantonate e si propaga calunniosamente fra tanti operai e tanti lettori, quel materiale è lo stesso che comparve un anno fa su «Don Basilio» : quel materiale è lo stesso che venne in parte completato e raccolto da quel signor Virgilio Scattolini che recentemente è stato arrestato perché si è comprovato che egli è l’autore di quelle infami pubblicazioni contro il Vaticano; ed è una vergogna che ciò sia potuto avvenire in Italia contro la Santa Sede e il Vaticano che meritano tutto il nostro rispetto e tutta la nostra riconoscenza. Ma se volete, ancora che io addirittura vi citi una testimonianza di Cesare Battisti stesso, eccola: nel 1914, nel periodo della neutralità, quando si preparava la guerra, in una intervista fatta da Cesare Battisti, nel «Secolo XIX» e pubblicata anche dal «Giornale d’Italia» e da altri giornali, si dice: «Nego che la popolazione della campagna nel trentino sia austriacante perché sobillata dal prete al quale poi è ingiusto affibbiare un atteggiamento che non ha avuto. Posso assicurarvi che in moltissime occasioni in cui veniva affacciata la questione della italianità, il clero trentino si è schierato apertamente e decisamente dalla parte dei liberali italiani e di altre frazioni politiche tra cui vivo è il sentimento di italianità: e non soltanto nei convegni locali, questo sentimento si è manifestato anche in seno al Parlamento. Basterà ricordare a questo proposito l’opera spiegata da monsignor Gentili , dal De Gasperi e da tanti altri». Si formulano delle accuse contro il Vaticano. Si dice, in particolare, che la Santa Sede e il governo italiano siano come due poli che stanno tutto il giorno in contatto, intrigano insieme, che cercano di risolvere insieme i problemi, che il Vaticano sia un centro di intrigo internazionale, che operi anche contro gli interessi della nazione italiana: anche tutto questo è fondato su calunnie fantastiche, su malignità e induzioni parimenti fantastiche. Vorrei rilevare come il modo si ripeta: quando ero rifugiato nella biblioteca Vaticana (badate sono andato a finire a fare il segretariucolo nella Biblioteca Vaticana, avendo appena da campare), si era sparsa la voce che io ero sempre in relazione con la segreteria di Stato, con gli uffici politici della Santa Sede, col papa addirittura; e De Vecchi che era allora ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, si è presentato al papa per dirgli se non poteva liberarsi di quel manigoldo di De Gasperi che lavorava in Biblioteca. Il papa rispose che io non mi occupavo di politica e che stavo lì fra libri vecchi: «lasciatelo campare, aggiunse il papa, gli ho dato un tozzo di pane perché voi non gli avete dato nessuna possibilità di vivere». Questa fu la risposta del papa. E oggi si ripete da parte dei comunisti l’accusa di allora dicendo che il Vaticano è un centro di congiure, descrivendo il Vaticano come un corpo estraneo nella vita della nazione italiana, come un qualche cosa che ci sia nemico e che debba essere espulso. È un diversivo perché non ci si faccia una idea giusta di quello che è estraneo e di quello che è straniero. Ora, amici miei, bisogna intendersi su tutta questa questione. Noi abbiamo delle convinzioni religiose; chi le ha, ha diritto di professarle e coltivarle; chi non le ha, nello Stato democratico, è libero di non averle. Nessuno di noi vuole esercitare coazioni sulle coscienze. Se uno è praticante della fede cattolica deve assoggettarsi alla disciplina dei ministri della Chiesa cattolica; se uno non è praticante è, come cittadino, completamente libero. Questo è uno dei principii della nostra Costituzione che proclama le quattro libertà di Roosevelt e cioè: libertà religiosa, naturalmente non rinnegando che la libertà molto deve alla dignità della persona umana che sta nell’insegnamento della Chiesa e, soprattutto, nelle coraggiose affermazioni di pontefici durante la guerra; libertà di parola, libertà dal timore e libertà dal bisogno. Signori, chi mai ha offeso, chi mai del governo ha preso qualche disposizione per offendere la libertà di parola? Si è parlato liberamente, si è fischiato liberamente in tutta Italia ed io quando sento da parte degli avversari qualche fischio, dico qualche volta: grazie tanto, avete dato prova che questo è un paese dove si può fischiare. Libertà dal timore: per incominciare ad avere libertà dal timore di potenze esterne alle nostre contrade bisogna cominciare ad avere la libertà dal timore all’interno; bisogna finirla anche con la paura e con il terrorismo. Qualcuno sta dicendo di me che io in questo modo non salvo niente: è il popolo italiano che deve salvarsi da sé. Se ho un merito è quello di avere fatto appello al sentimento e al coraggio e di avere detto: bisogna finirla. Prima un partito, oggi un altro che minaccia di convocarci con una cartolina e irreggimentarci di nuovo. No! Libertà dal bisogno. Questo vuol dire che il nostro programma deve essere di giustizia sociale. Dobbiamo pensare, anzitutto, alle classi diseredate, ai poveri, ai disoccupati, ai lavoratori i quali non guadagnano ancora sufficientemente, sia per la disoccupazione, sia per deficiente occupazione. È un problema che ci deve stare a cuore anche nel prossimo Parlamento. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare? No! Ma nessun governo avrebbe potuto trovare i miliardi per abolire tutta la disoccupazione, per fare i grandi lavori pubblici e assicurando la mano d’opera in misura del tutto sufficiente. È un problema finanziario. Ma dobbiamo dire che, nonostante questo, su un bilancio di 1500 miliardi circa, 750 miliardi di tasse sono appena bastate a pagare le spese normali e 400 miliardi sono serviti per pagare i lavori pubblici. Ma ditemi dove avremmo potuto prendere questi 400 miliardi se non avessimo avuto aiuto dal di fuori? Eccoci all’argomento sul quale, amici miei, dobbiamo intrattenerci. Lo scopo fondamentale del nostro sforzo di oggi, attraverso l’opera della Costituente e del governo che ha cercato di applicarne le leggi ispirandosi ad esse, è stato quello di creare uno Stato democratico, che abbia però autorità imparziale sui partiti e che difenda la libertà di tutti: amici ed avversari. Bisogna che tutti i partiti, anche i partiti di estrema, che ancora vagolano, come ieri nei cimiteri per mantenere fresche e utili le armi: bisogna che anche questi si persuadano che le armi può tenerle solo lo Stato. Bisogna che saltino fuori queste armi. E posto che Togliatti mi fa tante domande, io ne faccio una subito a lui: è disposto ad ordinare al suo partito di deporre le armi e di fidarsi della forza dello Stato? La domanda che rivolgo a Togliatti va rivolta anche agli elementi di destra, che si agitano in questa topografia parlamentare. Comunque anche a loro dichiaro questo: noi siamo disposti, come ha scritto anche Silvestri nel suo libro, a spezzare per sempre la spirale della vendetta per arrivare ad una pacificazione nazionale: per arrivare a lentamente obliare, dimenticare i conflitti passati. Noi che siamo stati sempre in guerra civile dobbiamo lentamente riguadagnare la nostra unità morale, perché abbiamo bisogno di tutte le forze per potere ricostruire il paese. Però, amici miei, questo presuppone che anche da parte della destra si capisca che non è lecito avere nostalgie verso dittature passate e non bisogna armarsi o tenere una riserva eventualmente per ricorrere a simili sistemi. Se il paese deve essere composto e ricomposto a unità nazionale, bisogna che tutti siamo d’accordo di chinarci dinanzi all’autorità imparziale dello Stato democratico. Voi dite che questa autorità dello Stato è la forza di Scelba. Signori, siamo orgogliosi di avere un ministro dell’Interno come Scelba. Ma sia lui, sia un altro, il principio è questo: le forze di polizia, i carabinieri, l’esercito, tutte le forze dello Stato devono obbedire al governo. Il governo deve essere creato sulla base della maggioranza del Parlamento, quindi della Camera e del Senato. La minoranza può esercitare il suo controllo, può esercitare il suo diritto di vigilanza, ma così come si alternano le forze, così si applica il principio democratico ed una direttiva di unità, che si fonda però sulla libertà. Queste cose semplici bisogna che entrino nella mente di tutti gli italiani se vogliamo salvarci e creare la democrazia italiana. Certo che quando si parla di insufficienza del governo, di provvedimenti sbagliati in linea economica, io non sono molto rigido e devo anche ammettere che anche gli uomini possono sbagliare. E, nel campo economico, niente di più facile che il dover rettificare il corso di una disposizione già impartita, perché non se ne erano previste tutte le conseguenze. Quante volte ho chiamato i tecnici, e l’amico Merzagora me ne è testimone, ed i rappresentanti dei lavoratori, delle categorie, ed ho detto loro di cercare e di trovare la linea giusta, il provvedimento giusto che metta tutto a posto. Questo è facile dirlo, ma quando si devono sentire i vari pareri si ha per conseguenza un provvedimento che ha due aspetti: uno dei quali non era stato previsto e che bisogna quindi rettificare. Questo abbiamo dovuto fare. Domani ci sarà il concorso del Parlamento. Saranno le due Camere, saranno mille persone, rappresentanti degli interessi e delle regioni, che discuteranno e le cose potranno maturare meglio. Vi ho detto di squilibri che ci sono stati. Ma badate, non dimenticate, che una delle cose principali, una delle premesse essenziali della vita economica era che si evitasse la inflazione e che si arrestasse la discesa della lira, e voi sapete che dal 1934 la lira, quasi ogni giorno diminuiva di valore. Eravamo allora preoccupati. E allora io ho detto ai miei collaboratori, comunisti e socialisti: bisogna chiamare al governo qualcuno che rappresenti anche gli interessi del centro; insomma che sia riconosciuto ed abbia la fiducia del centro. E questa è stata una delle ragioni per cui, ad un certo momento, non si è potuto più fare un ministero insieme ai socialisti e ai comunisti. Questo per me era il problema più urgente. Credete voi che il governo deve essere formato da tutti i rappresentanti di tutte le categorie e di tutti i partiti? Il governo deve essere formato secondo un dato programma, una data direttiva; bisogna essere d’accordo sulle linee principali, altrimenti si discute in eterno. Quindi il principio della rappresentanza di tutte le categorie nel governo è completamente falso. In Inghilterra, in questo momento, sono in maggioranza i laburisti, prima erano in maggioranza i conservatori. In Belgio, in Olanda, dappertutto c’è una maggioranza, quella maggioranza che è espressa dalla volontà popolare. Ma è inutile anche essa se non ha spirito patriottico e costruttivo. Non è vero che il governo deve essere come un Comitato di liberazione. Questa era una necessità nel tempo di guerra e di estrema emergenza e sarebbe anche, senza dubbio, un bene anche presentemente se vi fosse accordo sulle questioni principali. Ma accordo non c’è e non soltanto per quanto ho accennato prima. Se avessimo avuto anche l’illusione che questo accordo poteva esserci, l’abbiamo perduta durante questa campagna elettorale, in cui ho visto che i ministri che erano con me al governo e che hanno votato e preparato le sue leggi, oggi si trasformano in accusatori contro di me perché i loro colori sono diversi. In questa lotta si è visto che veramente la differenza è troppo profonda per poterla superare. Amici miei, vorrei raccomandarvi un’altra cosa. Quando noi votiamo una legge (è innegabile che questo anno siamo passati dal 1947 al 1948, per spese del personale da 148 miliardi a 377.229 miliardi in più con un aumento del 155 per cento); quando noi facciamo questo sforzo per venire incontro ai nostri amministratori, ai nostri funzionari, ai nostri collaboratori nello Stato, viene in un primo momento la Confederazione del lavoro e dichiara: «siamo noi che abbiamo ottenuto questo». In un secondo momento i protagonisti sciamano verso la campagna e dicono ai contadini: «badate che il governo butta via i miliardi per gli impiegati». Devo dire che questa è una tattica perfida che si estende anche al settore dei prezzi. Il governo è riuscito ad ottenere una certa stabilità dei prezzi, ma a carico dell’agricoltura perché i prezzi delle derrate sono alti. E allora agli operai delle fabbriche dicono: «ecco il governo nero, quello che tiene ancora alti i prezzi per gli agrari, per i signori e per i lavoratori della terra senza pensare al consumatore». Questa indegna campagna di contraddizione è tutta volta ad un solo scopo: quello di combattere il governo cosiddetto reazionario, il governo nero. Quando penso che questo governo nero, con tutti i provvedimenti deliberati ha trasferito in favore delle classi meno abbienti 93 miliardi, in questo anno, io dico che proprio questo titolo di governo nero, non lo merita. E quando voi pensate a quello che avviene nelle nostre industrie, nelle industrie di guerra (che dobbiamo avere pazienza, in attesa che possano convertirsi, che possano cambiare il ciclo di produzione), è giusto che il governo, che non può assolutamente mettere sul lastrico gli operi, dica che bisogna fare questo sacrificio e che lo Stato dia un contributo, un finanziamento, attraverso gli Istituti finanziari, oppure attraverso il finanziamento dell’Istituto per la ricostruzione industriale. Allora: dapprima si dice, bene possiamo essere soddisfatti per il momento. Ma, poi, su certi foglietti che sono in circolazione durante questo periodo, non so se ne sono capitati in Lombardia, ma ne ho letti a Torino, si legge che questi ministri del governo nero succhiano il sangue di 48 milioni di italiani e buttano i miliardi alla Breda e agli altri stabilimenti meccanici. Non si dice che i miliardi vengono buttati perché vengano date le paghe agli operai, perché essi non cadano in disoccupazione, ma che sono dati a beneficio degli imprenditori. Ora, amici, non si può negare che, nonostante queste nostre strettezze di bilancio, abbiamo fatto quello che potevamo anche per i pensionati: almeno abbiamo cominciato a prendere in considerazione qualcuno dei loro postulati. È certo che debbono essere fatte ancora e senza dubbio ulteriori riforme, ma per questo ci sono i Parlamenti e ci saranno i vostri deputati. Ma quando vedo l’onorevole Scoccimarro che va intorno, e verrà presto anche qui, a ripetere la solita accusa che noi abbiamo favorito i ricchi e schiacciato i poveri con la imposta patrimoniale, allora sono andato a rileggere il discorso che lo stesso onorevole Scoccimarro, ancora ministro delle Finanze, disse e pronunciò il 12 febbraio 1947 alla Camera . Allora disse: «noi abbiamo nel nostro sistema una imposta istituita nel 1939, nel periodo di guerra, l’imposta straordinaria sul patrimonio. Ora, logicamente, questa imposta bisognerebbe abolirla, perché la guerra è finita. Però, io penso, che se la guerra è finita, le conseguenze della guerra stanno ancora dinanzi a noi. E allora si può realizzare il riscatto di questa imposta e farla contribuire a facilitare l’opera di ricostruzione. Questa imposta ha oggi un imponibile di 2500 miliardi: basterebbe chiedere, a mio parere il 3 per cento per il riscatto, e realizzare così un’entrata di 75 miliardi». Qui non c’è nessuna eccezione per nessuno, e la imposta è stata suggerita, elaborata e proposta dall’onorevole Scoccimarro, che oggi ne parla contro. Ma quando, amici miei, ricordo queste cifre voi mi dovete dire: come avremmo potuto fare a trovare il denaro occorrente per queste operazioni extra bilancio, per l’assistenza, per i lavori pubblici, per la disoccupazione, per i progetti particolari per il Mezzogiorno? Dove avremmo potuto prenderlo? Il giorno che abbiamo votato la legge per il Mezzogiorno, «l’Unità» ha detto che buttavamo i miliardi sulla carta ma non si sapeva dove andarli a prendere. Invece i lavori sono in gran parte appaltati e taluni anche iniziati. Perché? Perché sapevamo dove prenderli: li prendiamo dagli aiuti americani. Ora badate bene, fino adesso non abbiamo avuto altro che degli aiuti provvisori, sotto forma di assistenza, prima l’Unrra, poi prestiti o merci gratuite. Ma quando diciamo che non avremmo potuto campare senza il grano americano e che le industrie non avrebbero potuto lavorare senza il carbone americano, allora ci si chiede: e come vengono pagati? La cosa avviene in questo modo. Il grano si fa pagare non al suo prezzo economico, ma con una certa falcidia, a prezzo politico, cioè, a più buon mercato. Il carbone si fa pagare, ma non è che lo Stato incassi per conto proprio; il ricavato è depositato presso la Banca d’Italia nel cosiddetto fondo lire e i lavori pubblici e le opere di assistenza si alimentano con tale fondo. Quindi, l’aiuto americano giova prima ai consumi poi alla ricostruzione. Con ciò abbiamo toccato una questione importante: quella del piano Marshall. Voi sapete che dal settembre in qua è incominciata una campagna contro questo piano. Nei giornali di Roma e un po’ anche nei giornali dell’Italia settentrionale, e vi prego di stare attenti perché vi dirò cose molto importanti, è stato pubblicato un documento segretissimo che si chiama documento sul Comitato speciale del Cominform. Molti giornalisti hanno creduto che si trattasse di uno dei soliti documenti che non si sa se siano parto di fantasia o veramente seri. Debbo dire che il documento deve ritenersi autentico per la via veramente eccezionale e diretta per cui venne conosciuto e per le straordinarie cautele con cui si cercò da parte comunista, di conservare il segreto assoluto di esso e inoltre per la verità intrinseca del documento in quanto esso si inquadra nel documento ufficiale reso pubblico dal Cominform intorno agli scopi della sua costituzione avvenuta in Polonia alla fine del settembre del 1947. Io suppongo che voi avrete letto e saprete cos’è il Cominform. Questo organo internazionale dei partiti comunisti ristabilisce in una certa misura quello che era il Comintern, cioè il Comitato internazionale che esisteva prima, in cui c’erano anche uomini che ricompaiono in questo comitato nuovo del Cominform come per esempio la signora Pauker, che attualmente è ministro degli Affari Esteri in Romania e l’onorevole Togliatti, che non ha bisogno di presentazione. (Fischi del pubblico). Non fischiate, che tanto la fanno pagare a me, se fischiate voi! Ora, badate, state attenti perché la cosa è importante e ve la dico perché possiate sfidare gli avversari a negare se sono capaci: è stato pubblicamente ammesso che il Cominform fu creato soprattutto per la lotta contro il piano Marshall, e questo fu lo scopo della conferenza tenuta in quella occasione tra i rappresentanti dei nove partiti comunisti radunati. La Conferenza aveva lo scopo fondamentale di istruirsi, di scambiarsi idee e prendere deliberazioni comuni e stabilire certe tattiche e certe direttive per impedire che si avverasse, si attuasse quello che già allora si chiamava piano Marshall. Ora il nostro documento si occupa anche di questo, di queste istruzioni generali, del programma, ciò che non risulta dal comunicato ufficiale del Cominform, come non risultano le dichiarazioni che il sig. Zdanov del partito bolscevico russo vi aveva fatto. Qui il documento si occupa di un Comitato speciale e di una seduta segreta convocata da Zdanov fuori ora, la notte, alle 23, alla quale partecipavano i rappresentanti di cinque partiti interessati fra cui Duclos per la Francia e il nostro Longo per l’Italia. Quale era lo scopo di questa segreta riunione? Lo scopo era quello di costituire un Comitato speciale, segreto, alle dirette dipendenze di Mosca, per promuovere, intensificare, sincronizzare l’azione dei partiti comunisti francese e italiano, in modo da portarli alla conquista del potere in questi due Stati. E il primo obiettivo stabilito era, vi ripeto le precise parole del signor Zdanov, uno «scacco al piano Marshall». Che cosa è il piano Marshall? Voi lo sapete. È stata una proposta fatta dal segretario di Stato americano Marshall, il quale diceva che per aiutare i popoli europei a riparare i disastri della guerra, a ricostruire la loro economia e addivenire con ciò elementi di ordine e di pace, bisognava che l’America facesse uno sforzo. E ai suoi, per quanto gravati contribuenti ha ragionato così: «è meglio che sacrifichiamo ancora qualche centinaio di migliaia di milioni di dollari ora, invece di correre il rischio di una terza guerra e attraversare nuovamente i mari e, oltre le perdite di sangue, avere anche conseguenze finanziarie disastrose». Voi sapete che l’America ha anticipato, pagato, donato attraverso leggi speciali, anche agli altri Stati, compresa la Russia, le spese di guerra. E non capisco se la Russia ha accettato i miliardi di dollari dell’America durante la guerra, perché non potremmo accettarli anche noi poveretti durante la pace. Questa è la definizione del piano Marshall, cioè uno sforzo comune di cooperazione europea, una specie di concorso e di perequazione fra le risorse industriali ed agricole degli Stati europei, una cooperazione in modo che vi sia un programma di richieste comuni verso l’America. L’America dà il contributo a tutte queste nazioni europee insieme. Questo è il piano Marshall che viene descritto come ordigno di guerra, come macchinazione contro la pace. La definizione di Zdanov in questo documento è la seguente: «il piano Marshall è denaro che cerca una destinazione, ma il denaro ama i luoghi tranquilli e fugge dai luoghi agitati; potrebbe anche darsi che gli americani temendo che questi miliardi non portino altro effetto che quello di perdersi, cambino idea». Ecco la prima insinuazione dei comunisti. «Ad ogni modo, continua il documento, li diano o non li diano, i lavoratori italiani, francesi, belgi, olandesi non devono accettare l’aiuto, perché serve a porre intorno a loro le catene». Il grave è che in questo documento si assicurano i compagni che avranno a disposizione tutti i mezzi necessari senza limite di tempo e di cifra. Badate: loro stanno bene e sono assicurati e non hanno da preoccuparsi, come noi che cerchiamo di raccogliere denaro a destra e a sinistra e siamo accusati di riceverlo dagli industriali e dai ricchi (dai poveri non riceviamo e questo è verissimo); non hanno bisogno di ricorrere alla solidarietà nazionale perché essi hanno l’assicurazione di Zdanov per tutte le loro esigenze. Questi erano, amici, i loro propositi, e devono lasciar cadere parte di questo documento; questi erano i propositi autunnali del comunismo, fino al settembre e a ottobre e ciò spiega molte cose di questo periodo. Ripensate a quello che è avvenuto. E il Fronte che è uscito in guerra, dal principio, rudemente contro il piano Marshall, ora, negli ultimi giorni, cerca di cambiare tono e fuori suona il flauto di Nenni, il quale cerca di conciliare le cose e fa capire che, forse, si potrebbe anche discutere con gli americani. Ed ecco, nell’ultimo ordine del giorno del Comitato esecutivo del Fronte è detto: «il Fronte si propone di ricercare con gli Stati Uniti ed i paesi dell’occidente europeo le condizioni più favorevoli alla collaborazione economica e all’aiuto per la ricostruzione». Come se non ci fosse stato già un piano, come se non ci fosse stato un Lombardo che ha trattato in America e un Campilli e un Tremelloni che hanno trattato a Parigi, e un Campilli che, a nome del governo, ha trattato a New York e non ci fossero stati i rappresentanti di altri quindici Stati, e gli altri che non hanno voluto partecipare, benché fossero stati invitati: come la Russia e i paesi satelliti, che non hanno voluto discutere. Ora, invece, si dice: vediamo di discutere. Oggi si dice questo, ma sapete perché siamo forse davanti al fallimento di questa campagna? Gli americani hanno avuto fiducia nella laboriosità del popolo italiano ed hanno dato il 2 aprile il contributo del primo anno in 450 miliardi per l’Italia. E bisogna anche che questa fiducia venga consolidata, perché abbiamo bisogno ancora del loro contributo per i tre anni successivi perché il piano di ripresa economica riguarda quattro anni e questo loro contributo deve esserci assicurato per questo periodo. Noi abbiamo bisogno del piano per vivere e chi è contro di esso è contro la salvezza del popolo italiano. I signori del Fronte che si accorgono ora di avere sbagliato completamente tattica, dicono se non rifiutano gli aiuti sarebbero peraltro disposti a rivederne le condizioni, se e come, ecc. Figuratevi! Dopo settimane e mesi che hanno accusato gli americani di volerci tenere qui a loro servizio e ci hanno imputato di servirci di questi dollari per preparare una guerra! Figuratevi come verrebbero accolti! Io temo che quel giorno, se per una disgrazia qualsiasi, e bisognerebbe proprio che il popolo italiano avesse perso la testa, andassero al governo i signori del Fronte. (Grida dalla folla: no! no). E allora lasciamo e parliamo di altro. Voi comprendete, amici, che questo è un problema che riguarda tutta la vita nazionale. Noi, che abbiamo coscienza ed intelligenza non possiamo non gridare al popolo che si raduna sulle piazze «fate i vostri calcoli, siate uomini ragionevoli, abbiate il coraggio di salvare il vostro interesse e l’interesse della nazione e così agite in libertà, secondo il vostro pensiero». Dicono che noi con ciò creiamo pretesti per la guerra. Ma perché fanno queste prediche a noi, poveri inermi, che abbiamo un esercito ridotto, che appena appena siamo riusciti a vestire adesso, a dargli delle armi sufficienti, che ci mancavano, e siamo un popolo di 48 milioni di abitanti? Gli Stati vicini hanno la quinta parte della nostra popolazione ed hanno dieci volte di più eserciti sotto le armi. Perché il discorso non lo fanno anche dall’altra parte? Sempre accuse a noi, sempre atteggiamenti contrari al governo nazionale, contro quegli uomini che appartengono a diversi partiti, che sono socialisti, repubblicani, oltreché democristiani, liberali, ecc.; che vengono da diversi partiti, che tutti hanno diritto, fino a prova in contrario di essere considerati italiani ed uomini che badano agli interessi degli italiani e cercano questi interessi. No! Tutti gli attacchi invece che volgersi contro altri fronti, si volgono contro il governo nazionale. Questa è una tattica sbagliata, che il popolo italiano deve il 18 aprile condannare decisamente. In ogni modo, se c’è ancora chi dubita, dichiaro che noi non abbiamo fatto alcun patto per la guerra, nessun patto di carattere militare. Verranno i vostri deputati e noi metteremo le cose come stanno alla decisione all’Assemblea del Parlamento, della Camera e del Senato. Vedrà il popolo italiano se la nostra politica ricostruttiva sia una politica di pace o di guerra. Noi fino ad oggi abbiamo coscienza della nostra politica, politica di cooperazione con gli Stati europei e noi siamo stati i primi che abbiamo gettato il ponte con l’unione doganale con la Francia. Questa politica di cooperazione con gli Stati europei è la politica della nostra salvezza. Perché siamo un popolo che ha numerose braccia ed ha bisogno di lavoro, che ha intelligenza per lavorare ed al quale mancano materie prime e che ha bisogno di cooperazione degli altri Stati. Oltre a ciò siamo un popolo che per natura vuole la pace ed è stato un gravissimo errore quello di lasciarci trascinare nella guerra passata e finita nel disastro. Il popolo italiano vigilerà perché la pace sia mantenuta nel disastro. Il popolo italiano vigilerà perché la pace sia mantenuta e difesa. Amici miei, è vero sulle nostre piazze risuonano anche in questi momenti, durante la campagna elettorale l’inno di Mameli e l’inno del Piave, ma non è un Piave di guerra a cui pensiamo; è un Piave morale che ha coscienza della maturità politica e della solidarietà di tutto il popolo italiano che si leva a difesa della indipendenza e della libertà della patria. |
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| Era quello che i siciliani attendevano: gente che bada al concreto e che non si lascia incantare dalle sirene politiche. I siciliani hanno tanto apprezzato questo discorso in quanto, dopo avere smontato ad una ad una tutte le calunnie e le falsità, le ingiurie che in questi ultimi tempi la propaganda frontista ha cercato di rovesciare sulla Democrazia cristiana, sul governo, sulla sua stessa persona e sull’augusta, intangibile dignità della Chiesa cattolica e del suo capo. De Gasperi ha tracciato un quadro ricco di riferimenti, di cifre e di documentazione sulla gigantesca opera del governo da lui presieduto e sulla ulteriore azione che intende portare a compimento per la difesa della libertà, per lo sviluppo della democrazia e per l’avvento della giustizia sociale. Particolare riguardo De Gasperi ha riservato, poi, all’azione personalmente svolta e ai provvedimenti adottati dal governo per venire incontro ai problemi e alle istanze della popolazione siciliana in merito all’autonomia dell’isola che servirà indubbiamente, come testualmente ha affermato, a rafforzare i legami e la stesa unità d’Italia. |
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| Cari amici, pur avendo vissuto giorni tristi e felici, non dimenticherò mai questa giornata e i vostri volti che esprimono l’entusiasmo di una popolazione buona, che chiede di poter lavorare. Non trovo le parole per rispondervi, per dirvi: oggi stringiamo un patto di solidarietà e di senso nazionale; noi che abbiamo ed avremo la responsabilità di governo e voi che dovete essere i nostri primi collaboratori. Tutto, infatti, dovrà essere fatto con il vostro consenso e con la vostra collaborazione. Voi sapete che usciamo da un disastro, da una guerra che ha distrutto tutto l’organismo economico della nazione e che ci siamo potuti salvare solo con l’aiuto che abbiamo ricevuto dalle nazioni più ricche; aiuto che ci ha impedito di morire di fame e che ha permesso alle nostre industrie di vivere ed ha portato un notevole contributo alla ricostruzione. Io ho avuto la sensazione che senza questo aiuto non avremmo potuto sollevare le condizioni d’Italia. Per questo ho predicato e mi sono opposto alla campagna che ha descritto gli aiuti come un tradimento alla classe operaia e come un tentativo di asservirci. Se vincono questi signori che vanno propagando queste menzogne, la sorte del popolo italiano è decisa. Ma la propaganda del cosiddetto Fronte democratico (che già nelle sue iniziali si qualifica come una Frode) non si limita alle accuse oggettive ma indirizza continuamente ingiurie volgari alla mia persona ed è non tanto questo che mi addolora e mi preoccupa quanto il fatto che questa offensiva può rivolgersi contro tutti coloro che lottano per la democrazia e per la libertà. Per quanto riguarda le accuse oggettive la maggior parte di esse ha assunto un preciso bersaglio: il piano Marshall, che secondo i comunisti deve servire a sottomettere l’Italia e dimenticano che durante la guerra la Russia ha ricevuto i miliardi americani, che le hanno permesso di vivere e di vincere. Ora però essa chiama l’America e tutti i paesi da questa aiutati: fascisti. E non guardano al loro regime interno che come sapete è, sotto altra forma, una tirannia che tanto assomiglia al fascismo e che sotto aspetti è addirittura più illiberale e intollerante: sarà la nostra fede ad sberrare il cammino a questa gente. Noi vogliamo che ci sia una migliore distribuzione della ricchezza e vogliamo l’evoluzione delle classi lavoratrici: ma prima di arrivare al problema sociale bisogna che ci sia la libertà politica. Questo risveglio del popolo e della coscienza democratica è fatto storico di somma importanza e costituisce un apporto decisivo: le elezioni andranno bene e sono tanto sicuro che vinceremo che mi sembra inutile considerare altre ipotesi. Ma il vincere non vuol dire solo assicurarsi la maggioranza parlamentare: bisogna risolvere i molti problemi, bisogna investire miliardi e miliardi in lavori pubblici per assicurare il maggior rendimento. Noi non dimenticheremo l’impegno preso verso il Mezzogiorno e verso la Sicilia. Ve lo dico io che sono il più settentrionale dei settentrionali e questo impegno non è sentimentale, ma è una necessità per lo sviluppo stesso dell’Italia. Se l’Italia deve riprendersi, se l’economia deve avere una base popolare, questa Italia non è pensabile senza una prevalente collaborazione di forze che solo in parte sono state buttate nella mischia della produzione. Questi uomini devono essere messi al servizio della causa della ripresa: manderemo nel Mezzogiorno mezzi adeguati e buona parte degli aiuti Marshall hanno la loro destinazione nel Mezzogiorno. Io non vedrò la fine di questa ripresa e non la vedranno i più vecchi di voi, ma lavoriamo per i nostri figli e per le nuove generazioni. Così i frutti della autonomia della Sicilia saranno più evidenti per le generazioni future: l’autonomia, infatti, porterà a contatto le forze direttive con quelle del lavoro, il primo contributo in questo senso lo darà proprio la Sicilia e questa sarà la prima fase; ma altre ne dovranno seguire. E sono molto lieto che in questa prima fase di rodaggio e di difficoltà inevitabili sia a capo della vostra isola un uomo come l’onorevole Alessi . Alessi non è soltanto un meraviglioso oratore, ma è uomo costruttivo, fattivo, tenace, pieno di volontà e di energia che, assieme ai suoi collaboratori ha assunto con Aldisio l’impegno di portare a termine questa opera. Io vorrei che, in questo momento, voi faceste un proposito; che voi prendeste l’impegno di dimostrare tenacia, energia, volontà di ricostruire e, soprattutto, pazienza. Se dovrete affrontare gravi sacrifici, se l’amministrazione non darà milioni, voi dovrete resistere: i lavori non si compiono in un giorno, le case non si ricostruiscono in una settimana e così i ponti e tutte le opere destinante alla rinascita. Fate questo proposito e portatelo a casa come un mio ricordo. Concluderò con questo mio testamento: pazienza non vuol dire non farsi sentire; avete il diritto di farvi sentire, avete anche il mezzo di controllare quello che il governo fa; pazienza non vuol dire inerzia ma costanza nel lavoro per l’interesse pubblico. Ed in ultimo una parola sulla situazione internazionale: non si può pensare ad una Italietta isolata dall’Europa; bisogna collaborare con la Francia, con l’Inghilterra, con l’Europa, riunire le risorse e collaborare con l’America per gli aiuti, perché se è vero che dobbiamo contare sulle nostre possibilità, questo sforzo sarebbe inutile se non avessimo la cooperazione. Bisogna arrivare agli Stati Uniti di Europa, perché l’Italia possa mandare dovunque le sue braccia a produrre e guadagnare. Ma questo non si può fare se non c’è la pace interna, se non eviteremo il pericolo di conflitti. Noi creeremo un baluardo contro la guerra; un baluardo di pace costruttiva, di gente che lavora e non cerca avventure. Il popolo troverà se stesso: risorga esso il 18 aprile dimostrando che è unito, che ha coscienza, che ha capito il senso della libertà; risorga per creare una efficiente democrazia produttiva. Amici, dunque, a dopo il 18 aprile. E se Togliatti domanda che cosa farà De Gasperi dopo il 18 aprile, rispondetegli che De Gasperi lavorerà per la democrazia, per la pace e per il popolo come ha sempre fatto e lavorerà con impegno perché dovunque ha trovato la collaborazione degli italiani, perché ha trovato che il suo programma, le sue idee e il suo amore è condiviso dal popolo che questa fede non abbandona mai. |
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| Amici di Enna, questo discorso non era in programma, sono atteso in serata a Catania, dove domani dovrò pronunciare un altro discorso. Mi limiterò, quindi, a brevi considerazioni e la prima non può che riguardare i nostri avversari, e cioè il Fronte popolare e in modo speciale il Partito comunista che vorrebbero fare dell’Italia una seconda Grecia, ponendo l’uno contro l’altro gli italiani che, invece, perseguono solo la pace ed il benessere democratico conquistato attraverso un governo democratico. Questa democrazia io credo non esista in Russia e nei paesi satelliti di essa e voi ne siete più che consapevoli: ecco perché le elezioni del 18 aprile costituiscono la svolta decisiva per il popolo italiano al quale tutto il mondo guarda con ansia ed interesse. In Russia c’è pure una parvenza di votazione, ma si vota con una unica lista elaborata dal partito governativo che altro non è che l’espressione del partito comunista. In Grecia i cittadini hanno avuto paura di votare e i comunisti vi hanno portato la guerra civile continuando così le stragi che la guerra mondiale, questa guerra mondiale dalla quale siamo appena usciti, aveva iniziato tanto crudelmente. Volete voi fare dell’Italia una seconda Grecia? Volete che queste siano le vostre ultime elezioni? La vostra risposta ritengo sia ovvia, ma voglio richiamare la vostra attenzione su una considerazione che mi pare sia stata poco coltivata in questa campagna elettorale: l’elezione del Senato della repubblica. Mi pare che il pubblico non presti a questa consultazione la dovuta attenzione: invece essa è importantissima tanto quanto quella della Camera dei deputati perché vi convincerete facilmente che bel guaio sarebbe se ci fosse una maggioranza diversa tra Camera e Senato. I nostri avversari dopo averci attaccato in modo addirittura infamante per il preteso asservimento all’America per avere accettato gli aiuti e dopo una accanita campagna denigratoria contro il piano Marshall, hanno in questi ultimi tempi cambiato tono ed ora dicono che se andranno al governo non si rifiuteranno di accettarlo. E allora perché tanto accanimento contro questo piano Marshall, che l’attuale governo ha posto alla base della salvezza economica del nostro paese? Ma voi capite benissimo dove sta il marcio! Non occorre che io mi dilunghi ancora perché nelle vostre menti c’è la chiarezza e brilla il sole della vittoria non monopolizzata della Democrazia cristiana, ma auspicata e perseguita da tutti i partiti nazionali che vogliono la salvezza della patria ed il benestare del popolo. |
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| [De Gasperi veniva avvicinato da alcuni giornalisti che gli chiedevano di esprimere le sue impressioni sulla campagna elettorale]. Sono buone: ovunque ho trovato molto entusiasmo e qualche fischio, che del resto è necessario per contestare che vi è libertà e non dare l’impressione che arriva… il Cancelliere e che perciò la polizia adotta misure straordinarie. A Milano ho trovato una folla immensa e non mi sono accorto che vi siano stati movimenti di truppa o incidenti . Solo ho notato un grande sforzo della folla per avvicinarsi al palco, e un gruppo di operai di Sesto San Giovanni con una cartello recante la scritta: «siamo la minoranza della Stalingrado d’Italia» che ha rotto il cordone dei carabinieri e si è portato fin sotto il palco. Anche a Genova, a Savona ed in tutti i piccoli centri della riviera ho notato lo stesso entusiasmo e lo stesso fervore . L’opposizione si manifesta sulle cantonate con scritte e domande polemiche. Ad Imperia per esempio in un manifesto mi si chiedeva se conoscessi Cesare Battisti che vi era effigiato. Risposi: certo che lo conosco; insieme capeggiammo il movimento irredentista degli studenti, insieme fummo in prigione ad Innsbruck, insieme fummo deputati al Parlamento austriaco. Oggi si vuol far credere che essere deputati al Parlamento austriaco costituisca una colpa, senza tener presente che le popolazioni trentine, essendo italiani altri non potevano mandare che rappresentanti italiani. Si insiste sulla parola Schriftenführer, cercando di impressionare con l’assonanza della seconda parte della parola cioè Führer. Mi si accusava, inoltre, nello stesso manifesto di non avere protestato in occasione dell’annuncio dato al Parlamento austriaco della uccisione del deputato Cesare Battisti; come ho già detto, l’annuncio fu dato in modo sommario in una di quelle serie di comunicazioni e in sede di verbale cui spesso i deputati non prestano attenzione. Fu per questo che la cosa passò inosservata non solo a me, ma anche a tutti gli altri deputati trentini, nessuno dei quali, quindi, si alzò a protestare o rendere omaggio. Ma successivamente, in sede di commissione di Bilancio, della quale facevo parte, elevai formale protesta per la uccisione di Battisti, protesta che ripetei, in forma più solenne, e fui l’unico deputato a farlo, nella seduta plenaria della Camera del 20 settembre 1917. E fu in quell’occasione che attaccai il capo della polizia di Trento per la «vergognosa danza macabra che fece inscenare intorno ad una forca», alludendo alle dimostrazioni prezzolate, inscenate intorno al corpo di Cesare Battisti . Avendo poi un giornalista chiesto notizia sul documento relativo alla seduta del Cominform, il presidente De Gasperi dichiarava: «sono convinto della autenticità del documento, di cui esiste addirittura copia fotografica». |
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| Amici napoletani, sono ammirato della imponente manifestazione che avete voluto riservarmi: Napoli non ha voluto essere seconda alle altre città di Italia, ed ha realizzato così un degno coronamento alle solenni riunioni tenute dalla Democrazia cristiana in tutti i maggiori centri della penisola. Affermo di fronte a voi, quello che già presentivo e che tanto ci entusiasma: sono lieto di annunciarvi che in tutta Italia le forze del progresso morale e materiale avanzano sempre più rapidamente e che siamo di fronte ad una grande mobilitazione di tutte le forze sane del paese. Oggi è l’ultima giornata in cui è consentita la campagna elettorale, è naturale, quindi, che qui riassuma la polemica politica e precisi le alternative di fronte alle quali è posto il popolo italiano il 18 aprile. Gli avversari cercano di sfuggire a questa alternativa con falsificazioni, denigrazioni e menzogne. Vi porto un esempio recentissimo: nella mattinata ho assistito alla cerimonia per l’inizio dei lavori per la costruzione dell’aeroporto civile di Catania, terzo d’Italia, opera decisa e da realizzarsi con la collaborazione di tutti i vari enti: deputazione provinciale, comune, regione, ecc. È un’impresa economica commerciale e di ricostruzione, cui hanno cooperato notevolmente anche gli assessori comunisti, eppure si è detto e scritto in tutti i modi che il governo intendeva mettere questo campo a disposizione delle bombe atomiche statunitensi. Ho, quindi, ben ragione di protestare vibratamente contro questo metodo per cui i frontisti, pur di tentare di colpire l’avversario, inseriscono nella polemica accuse verso il governo della loro nazione; accuse che possono essere ben pericolose, non tanto per il governo stesso, ma per il popolo italiano e per la pace internazionale. Di quella pace internazionale che essi dicono di voler difendere. Lo dicono, ma in realtà, fanno, invece, il contrario. Noi, invece, la vogliamo la pace e lo testimoniano le nostre opere, come ho dimostrato ampiamente in tutta la mia campagna elettorale e che voi avete seguito in tutti i suoi dati di fatto da me portati a comprova. Per questo desiderio e per questa operosità di pace sono stati oggi firmati a Parigi dalla Italia gli strumenti di collaborazione pacifica con altri quindici paese di Europa; per questo desiderio di pace e di rinascita e ricostruzione dell’Italia noi riconosciamo importanza essenziale al piano Marshall dopo la sua approvazione al congresso degli Stati Uniti. Sarà contento ora l’onorevole Togliatti che un giorno in Parlamento ebbe a fare una domanda: «ma che cosa è questo piano Marshall»? Non è un sogno: e per il primo anno verranno in Italia ben 450 miliardi di lire. Gli avversari ci chiamano il «governo della fame e della miseria»; ma io ho documentato ampiamente le realizzazioni del governo che tra l’altro, ha assicurato il valore dei salari degli operai arrestando la svalutazione della lira ed assicurando nei momenti più duri, il pane al popolo italiano. Ed a questo proposito posso annunciarvi che, proprio questa mattina, ho ricevuto un telegramma del commissario dell’Alimentazione professor Ronchi, che avevo mandato in America per ottenere il grano per la saldatura, nel quale telegramma mi viene comunicato che sono stati ottenuti altri 500.000 quintali di grano che ci permettono di assicurare il pane agli italiani fino al raccolto. Nella mia campagna elettorale ho rilevato volta a volta anche le disgregazioni del Fronte popolare, ho smentito documentalmente le sue menzogne sia per la politica interna, sia per la politica internazionale, ed ho riconfermato l’asservimento dei comunisti ad una politica straniera ed in conclusione ho così riassunto le alternative di fronte alle quali si trova oggi il popolo italiano. Volete voi un regime bolscevico in Italia, o volete un regime di libera democrazia per tutti i partiti? Volete che la politica italiana sia unita e indipendente o sia invece sotto la direzione del Cominform e del comitato che dirige le quinte colonne specialmente in Italia e in Francia? Volete un’Italia che viva in cooperazione pacifica con i popoli liberi, in cui trovi la sua dignità, la sua integrità e riabbia Trieste? Se questo volete, allora unitevi ai lavoratori cristiani socialdemocratici e laburisti dell’Europa, ai lavoratori dei sindacati americani, per un’opera mondiale di pace e di ricostruzione. Cari amici napoletani, mi avvio alla conclusione: e permettetemi di invitarvi voi popolo di una terra di libertà, di tradizioni cristiane e familiari, di una terra di fervido ingegno, a fare argine contro le forze estranee e disgregatrici, a non permettere che il sipario di ferro scenda su questa terra di incanto, luminosa di sole e di genio. E sono sicuro che voi, come nel primo risorgimento, contribuirete e sarete alla avanguardia anche in questo risorgimento della patria di cui già si presenta l’inizio con il 18 aprile, perché l’Italia possa riprendere il suo cammino ed assolvere la sua missione di pace e di civiltà. |
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| Si vota per un regime di libertà e di autodisciplina, base indispensabile della ricostruzione e della giustizia sociale. Lavoratori, la nazione potrà assicurarvi pane e lavoro solo se sarà indipendente ed amica dei popoli democratici. La Democrazia cristiana è il partito del popolo minuto che ripudia ogni spirito di fazione e marcia verso le riforme per la giustizia sociale. Vogliamo la pace e la ricostruzione. Non siamo servi dell’America e non osteggiamo la Russia, ma difendiamo l’Italia e vogliamo la cooperazione internazionale dei paesi liberi. Siamo conservatori solo per conservare le linee essenziali della nostra civiltà italiana e cristiana, ma siamo innovatori perché tendiamo ad una migliore distribuzione della proprietà e degli strumenti del lavoro. Ogni riforma politica e sociale è efficace e duratura solo se l’ambiente in cui si attua è moralmente sano. Solo il cristianesimo conserva, come il sale, la morale di un popolo. [Il giornalista de « Il Popolo» al quale il presidente affidava il messaggio chiedeva se De Gasperi prevedeva che le elezioni si sarebbero svolte nella calma]. Penso di sì; il popolo mi è parso in questa campagna più maturo che mai per l’esercizio della sovranità. La violenza sarebbe l’antidemocrazia ed in tal caso il governo ha il dovere di intervenire. Ma sono certissimo che non ve ne sarà bisogno. |
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| SULLO STATUTO SPECIALE PER IL TRENTINO-ALTO ADIGE (Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5) Non soltanto perché questa legge si fonda sopra una iniziativa presa ed elaborata dal Governo, ma soprattutto per la sua importanza di carattere politico ed internazionale, è doveroso che io aggiunga una parola. Tutti sanno che siamo sul terreno dell’applicazione degli accordi di Parigi: terreno, naturalmente, completamente indipendente, cioè ispirato alla sovranità dello Stato. Però, terreno che corrisponde a certe leggi morali di collaborazione, ed a certe direttive di buon vicinato che abbiamo affermato nell’accordo di Parigi. Una parte dell’accordo di Parigi riguardava specialmente i rapporti internazionali: e lo avete visto soprattutto nel testo del progetto di legge sulle opzioni che è passato recentemente alla prima commissione. Quello era un vero accordo tra Austria e Italia sul trattamento degli optanti, in base al noto accordo Hitler-Mussolini . Oggi, invece, siamo sul terreno della sovranità dello Stato. Tuttavia, lo spirito è unico; e lo spirito dell’accordo, anche per quel che riguarda l’autonomia amministrativa, è quello di trovare il modo di collaborazione e di cooperazione tra le due nazionalità, fra i cittadini italiani di lingua italiana e di lingua tedesca nella regione delle Alpi; problema, senza dubbio, molto complicato, contrariamente a quanto si affermava all’estero, ove si conoscevano poco i rapporti fra le popolazioni. Non è semplice perché la stessa espressione «Alto Adige» contiene un concetto: una maggioranza di lingua tedesca, ma una minoranza relativamente forte anche di italiani. Oltre a ciò, questa minoranza di lingua italiana è legata da ispirazione e da interessi con la maggioranza della Venezia Tridentina, che è italiana. Da ciò una complicazione di rapporti, che ha condotto, come ha spiegato l’onorevole relatore, alla necessità di trovare formule nuove e costruzioni non semplici. Vi sono poi diversi interessi economici che hanno reso ancor più complicato il problema. Ora, il compito era questo: mantenere l’impegno che si era preso a Parigi; assicurare, cioè, l’esercizio di un potere autonomo agli abitanti della zona di Bolzano. Contemporaneamente, soddisfare le aspirazioni degli abitanti della provincia di Trento, e, concedendo e assicurando i diritti autonomi alla parte di Bolzano, garantire anche l’esistenza e tutti i diritti alla minoranza italiana nella provincia di Bolzano. Ossia, risolvere il problema della convivenza amministrativa, creando garanzie istituzionali per la minoranza: entro la regione, dei tedeschi; e dentro la provincia di Bolzano, degli italiani. Bisogna oggi prendere atto che, nonostante le molte ed agitate discussioni sulla stampa e le proteste, si è arrivati al trionfo del buon senso ed alla mutua comprensione. In questo momento che l’accordo è stato solennemente raggiunto, dopo faticose e molteplici trattative, sento il bisogno di ricordare con gratitudine l’amico ambasciatore Carandini, il quale ha elaborato la prima parte dell’accordo, prima che io arrivassi a Parigi, il presidente della commissione presidenziale onorevole Bonomi e i membri della stessa commissione, che hanno dato la prima stesura al progetto ed in particolar modo il mio ringraziamento vada al consigliere Innocenti , mio diretto collaboratore, che è stato zelantissimo ed intelligente ideatore di formule adatte ad un simile complicato strumento. Devo ringraziare anche, in modo particolare, tutti i rappresentanti dei partiti, che sono stati ascoltati dalla prima e dalla seconda commissione, ed hanno assolto il loro compito con molta comprensione per le necessità dello Stato italiano e per la difesa dei loro postulati particolari. Voglio affermare che questo accordo, mentre dà soddisfazione ai tedeschi della maggioranza della provincia di Bolzano, nulla toglie ai diritti ed alle funzioni direi protettive di frontiera della minoranza italiana che abita nell’Alto Adige. Cosicché dobbiamo ritenere che questo accordo, che è dichiarato soddisfacente dagli stessi rappresentanti della maggioranza tedesca, sia anche accettato con soddisfazione dalla minoranza italiana di Bolzano. MALAGUGINI . La quale però non ha mandato alla commissione alcuna lettera di compiacimento. DE GASPERI. Distinguiamo per le lettere: fino a che si tratta di minoranze che hanno dei deputati, è chiaro che non hanno bisogno di scriver lettere, mentre i partiti che stanno al di fuori hanno scelto questa formula, perché direttamente non potevano prendere la parola in questo dibattito. Ad ogni modo, importante è di segnalare che questo accordo è prezioso, dopo la bonifica, direi politica, che abbiamo fatto con le opzioni, perché abbiamo votato una legge che cerca di risanare con spirito di larghezza le ferite tragiche portate dalla guerra. Soprattutto perché, badate bene, questa è una prova di onore del Parlamento italiano: al forzoso trasferimento imposto dallo Stato totalitario, con tutti gli orrori e tutte le conseguenze che ne derivavano, si è sostituita la libera cooperazione su base democratica. È un fatto notevolissimo, che non molti paesi d’Europa possono mettere accanto al nostro. (Approvazioni). Questo accordo è prezioso perché prova, anche dinnanzi all’opinione internazionale, che l’Italia democratica è ben diversa dall’Italia fascista, ed è una prova che diamo che il metodo di governo nostro, anche di fronte ai diritti delle minoranze e delle altre nazionalità, è quello di far appello alla fiducia dei popoli ed alla libera cooperazione. Penso che questo metodo di appello alla ragionevolezza e questa fiducia nella collaborazione democratica provino, anche per altre Regioni, in cui non ci si vuol riconoscere la funzione civilizzatrice che ci spetta, che l’Italia di oggi è matura ed è capace di governare, rispettando pienamente le libertà dei popoli. (Applausi al centro). Ora, per l’applicazione di questa legge, che è la più tenue in confronto delle prerogative e dei diritti dello Stato, ma è la più complicata per l’attuazione, certo è necessario uno spirito di solidarietà popolare, uno spirito di tolleranza, specialmente per le questioni linguistiche. Ma qui si prenda anche atto che accanto alla legge sulle opzioni, c’è la legge che abbiamo votato, per l’equiparazione linguistica; e qui si sono di nuovo affermati i principi di perfetta parità, per le lingue parlate in Alto Adige. Questo avverrà. Non sarà semplice, da oggi a domani trovare tutti i funzionari, i maestri eccetera necessari, ma, stabilito il principio, si farà uno sforzo rapido per applicarlo, il più rapidamente possibile, in modo che veramente questi tedeschi, che dichiarano la loro fedeltà verso lo Stato italiano, si trovino in casa propria e sentano di avere assicurata la propria difesa tanto al Parlamento che nella Regione. (Approvazioni). Certo che anche per l’Alto Adige, come per le altre Regioni, permettete che dica in questo senso una parola. Io che sono pure autonomista convinto e che ho patrocinato la tendenza autonomista, permettete che vi dica che le autonomie si salveranno, matureranno, resisteranno, solo ad una condizione: che dimostrino di essere migliori della burocrazia statale, migliori del sistema accentrato statale, migliori soprattutto per quanto riguarda le spese. Non facciano la concorrenza allo Stato per non spendere molto, ma facciano in modo di creare una amministrazione più forte e che costi meno. Solo così le autonomie si salveranno ovunque, perché se un’autonomia dovesse sussistere a spese dello Stato, questa autonomia sarà apparente per qualche tempo e non durerà per un lungo periodo. (Applausi). Senza dubbio, converrà che in questi corpi essenzialmente amministrativi, anche se vi sarà il libero giuoco della maggioranza e della minoranza politica, non entri troppo la politica. Bisognerà che si arrivi al concreto, che si educhino gli uomini nell’ambiente regionale ad essere maturi e capaci per far difendere una politica nel Parlamento, ma che negli ambienti ragionali soprattutto si faccia della buona amministrazione. La storia dirà se abbiamo, con questo nostro atto di fede nelle autonomie, avuto ragione o torto. In questo momento, sia per la situazione finanziaria, sia per i rapporti fra i partiti, sia per lo stesso sistema elettorale – poiché il sistema proporzionale, se dà alla Regione la possibilità di una maggiore giustizia rappresentativa, certamente complica anche il metodo di governo dello Stato – guardando a tutte queste difficoltà, è certo che non possiamo essere senza apprensione, soprattutto per la questione finanziaria. E mi inchino dinanzi a coloro che sentono ed esprimono questa apprensione. Nella storia non si può andare avanti, secondo una certa linea logica di evoluzione, senza un qualche sussulto. Anche il sussulto del dopo-guerra può portare ad un certo strappo, ma deve valere a rimetterci in cammino ed a rimetterci sul binario della moderazione, della ricostruzione di carattere finanziario, della serietà amministrativa. Io non credo a quello che si è stampato su qualche giornale, anche oggi, che cioè noi stiamo prestandoci a creare in Italia una serie di repubblichette che disgregherebbero la Repubblica italiana. Non lo credo, come non crederei che domani i comuni, essendo attivi e non essendo come oggi purtroppo a carico dello Stato per buona parte, sviluppando un’attività migliore, secondo gli statuti comunali, non potessero formare un centro di vita autonoma senza toccare la base fondamentale dell’unità della patria. Lo stesso deve valere anche per le autonomie, perché questa è la meta che vogliamo raggiungere. D’altro canto, quando si parla di rapporti fra Regione e Stato si nota una strana diffidenza da una parte e dall’altra. Forse ciò sarà dovuto al fatto che innoviamo su un campo un po’ minato, di cui non abbiamo molta esperienza. Da una parte – e lo abbiamo sentito stamane – quando si parla a nome della provincia sembra che lo Stato sia il nemico, e si è detto: non vogliamo il commissario, perché questo rappresenta qualche cosa di estraneo al corpo regionale, che si infiltra per difendere dei privilegi. Ma questo si potrebbe dire forse in altri Stati, ma non nello Stato della Repubblica italiana, dove chi governa sono le Camere, sono le deputazioni delle singole Regioni. Perché si deve dunque temere tanto e si deve vedere nel rappresentante dello Stato un possibile nemico, o un torturatore, o un avversario della libertà regionale? E d’altro canto, perché dobbiamo mantenere questa diffidenza in confronto dell’esperimento regionale? C’è qualche rischio, inevitabilmente, ma dobbiamo affrontarlo, perché nessuna cosa nuova è possibile fare senza un certo rischio. Non bisogna poi esagerare: qualunque sia l’estensione dell’autonomia amministrativa – e qui voglio accentuare che l’estensione di questa autonomia è più temperata, è più limitata in confronto di altre autonomie –; qualunque sia, dunque, questa estensione lo Stato non resta disarmato. Dico questo perché pare a taluno come se noi ci incamminassimo sopra una strada che non consenta il ritorno. A parte il fatto che le decisioni prese determinano una qualche riserva, e in tutti gli statuti c’è una qualche riserva; ma poi c’è la forza naturale dello Stato, e prima di tutto la forza finanziaria, perché oggi disgraziatamente, nessuno può vivere libero e prosperare in completa indipendenza. E oggi specialmente, anzitutto per le conseguenze della guerra e della svalutazione; vi sono dei commissari e dei rappresentanti dello Stato ed esiste un’Alta Corte a cui si può fare appello tutte le volte che una situazione diventasse critica; inoltre non va dimenticato che senza un atto di mutua fiducia, noi non risolveremmo il problema. Bisogna cominciare a lavorare, e dovremo incominciare con questi esperimenti che ci vengono offerti dalle presenti leggi. Vi saranno forse delle difficoltà; forse vi saranno anche delle contestazioni, forse domani non saranno soddisfatti né gli autonomisti né gli accentratori, cioè i custodi del vigile accentramento burocratico dello Stato; ma non ci sarà soddisfazione completa né da una parte né dall’altra. Ma c’è una via su cui ci possiamo incamminare, ed è quella di avere il coraggio di fare questo esperimento. Dipende, soprattutto, dagli autonomisti se questo esperimento avrà seguito; dipende anche dalla vigilanza dello Stato. Lo Stato ha il diritto di difendere le proprie finanze, ossia le finanze di tutti, compresi i rappresentanti di quelle Regioni che qui autonomisticamente vengono a battersi. Ma lo Stato ha anche il dovere di vigilare affinché, nell’evoluzione, tutti gli elementi che sono utili per la cooperazione democratica si risveglino. Ed io penso (non so se sono solo a pensare così, spero di no) che una vera democrazia non accentrata, né guidata dalle direzioni dei partiti, una vera democrazia parlamentare non si può formare senza che ci sia un’esperienza nei comuni, negli enti locali, nella Regione, senza che si formino uomini capaci di amministrare, così che poi possano venire qui ad amministrare in senso più unitario. Comunque, io esprimo in questo momento la speranza che voi accettiate nelle sue basi fondamentali, nella sua costruzione faticosa questo progetto, che è un accordo che ha una meta più alta e più elevata di quella che può essere la risoluzione di un problema meramente italiano. Devo esprimere la speranza che esso, come già il progetto sulle opzioni, costituisca un ponte fra noi e il mondo del di fuori, direttamente con lo Stato austriaco, il cui popolo deve ammettere che in nessun lembo della terra, al di fuori dell’Austria stessa, e al pari dell’Austria stessa, si può dire che l’abitante, il cittadino italiano di lingua tedesca, o in genere, il tedesco abbia maggiori diritti e più garanzie di quelle che offriamo noi. Aggiungo però, e ripeto, che questo è un esempio, anche per altri popoli che ci stanno a guardare, del nostro amore per la collaborazione democratica, del nostro spirito convinto di pace e di collaborazione ricostruttiva e, poi, che esso è anche un atto di sicurezza, di speranza nell’evoluzione della Repubblica italiana e nell’unità della grande famiglia italiana, entro cui queste disarticolazioni non produrranno che fermento maggiore di vita unitaria. (Vivi applausi). [De Gasperi interveniva poi nel dibattito sulla questione relativa alle competenze della Regione in materia scolastica rispetto alla tutela delle minoranze]. Se si vuole in questa legislazione scolastica, secondaria in senso integrativo, trovare una garanzia per il carattere etnico della minoranza tedesca della Venezia Tridentina, e della maggioranza di Bolzano, conviene assolutamente rimetterla alla provincia. Avrei preferito che da principio si fosse pensato, invece che alla parola provincia, ad un’altra parola: si potrebbe dire «circondario». Per ragioni tecnicamente molto fondate si è preferito usare la stessa parola, tanto che, da principio, chi ha preso in mano la prima volta il progetto si è scandalizzato del fatto che esistano province che abbiano quelle tali prerogative. È una provincia del tutto particolare; si chiamano province – i tedeschi traducono Land – ma, in realtà, sono circondari di carattere speciale. Non voglio entrare in dettaglio, perché non amerei che su questo si facesse discussione. Prego poi di considerare che la legislazione scolastica generale resta in piedi; si aggiunge l’obbligo della bilinguità ed altre garanzie nella amministrazione. Infatti, è stabilito che negli organi, che devono applicare la legislazione dello Stato, deve esservi una garanzia personale, cioè persone che conoscano bene il tedesco; si parla anche di lingua materna; sono garanzie personali inserite nell’amministrazione scolastica. Noi abbiamo trovato così modo di non modificare la legislazione fondamentale dello Stato, quindi trattare su base nazionale il problema scolastico, e tuttavia di introdurre quel tanto di garanzie locali, che sono necessarie perché si possa dire che non solo si è tenuto conto dell’accordo, ma anche del principio generale di cui bisogna tener conto. Per non affidare la scuola completamente alla provincia si è tenuto conto del carattere nazionale dello Stato in cui questa minoranza si trova. Tuttavia si sono create delle garanzie, delle difese e dei mezzi di intervento e di influsso anche per i rappresentanti della popolazione tedesca. Questo lo dovevamo fare perché comprendiamo che non possiamo pretendere che costituisca una garanzia la semplice legge dello Stato, perché quella legge, che stabilisce che deve esservi parità linguistica, domani può essere cambiata, né di per sé potrebbe la rappresentanza della popolazione tedesca avere un modo di garantirsi contro un eventuale cambiamento. L’unico modo di tutela che hanno lo possono esercitare in sede locale, nei limiti che ho detto. Vi prego, pertanto, di accettare questo compromesso poiché si può con tranquillità attendere che si sviluppi in un senso favorevole per lo Stato e contemporaneamente sia sufficientemente protettivo dei diritti delle minoranze. |
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| SUL TESTO COORDINATO DELLO STATUTO SPECIALE PER LA SICILIA (Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) Il Governo ha riconosciuto che lo statuto è sostanzialmente in vigore, procedendo alle elezioni; l’Assemblea a suo tempo ne ha preso atto, riservandosi di attuare più tardi, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali, il coordinamento. In tale occasione fu espressa da molte parti e specie da questo banco la fiducia che prima ancora che si riunisse l’Assemblea regionale, l’Assemblea Costituente avrebbe deliberato sulla forma di tale coordinamento o adozione, cioè sul carattere e sulla misura del suo intervento. Tale speranza non trovò compimento, anzi la procedura si protrasse così a lungo, che oggi all’Assemblea riesce difficile deliberare all’ultima ora. L’Assemblea tuttavia accolse la proposta del Governo di nominare la Corte costituzionale. Nel frattempo il Governo ha fatto quanto poteva per applicare lo statuto, sia pure con la riserva delle deliberazioni dell’Assemblea, e la amministrazione regionale, pur estremamente gelosa delle sue prerogative, ha dimostrato la volontà di procedere in buona armonia col Governo dello Stato. Ma non è lecito nascondersi – e sarebbe irresponsabile il non farlo – che l’interpretazione delle disposizioni dello statuto e la loro pratica attuazione hanno incontrato numerose difficoltà e sollevate molte obiezioni. Le obiezioni più difficili a superare sono venute dalla amministrazione finanziaria. Si obietta che essendo la Regione siciliana, secondo la interpretazione della sua rappresentanza, completamente arbitra di stabilire il sistema tributario che preferisce (salvo i monopoli, le dogane e le imposte di produzione) ne possono nascere perturbamenti nell’economia italiana. Si pensi, ad esempio, alle disposizioni sulla nominatività dei titoli, alla diversa interpretazione di quanto lo statuto prevede per le dogane, alle norme valutarie dell’articolo 13, che spinte alle loro estreme conseguenze, porterebbero a creare alla lira italiana un valore diverso in Sicilia e nel resto del paese; una forte resistenza devesi superare anche per quanto riguarda la costituzione in Sicilia delle sezioni della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti; e tutti ricordiamo specialmente l’unanime atteggiamento della Suprema Corte di Cassazione. Tutto questo dimostra che per attuare completamente lo statuto secondo lo spirito autonomistico, ma anche politicamente unitario dei siciliani, occorre un nuovo sforzo di cooperazione fra la rappresentanza della Regione e lo Stato, rappresentato da quest’Assemblea e dal Governo che da essa promana. Il Governo per parte sua, mentre deve rimettersi alla Costituente per quanto riguarda l’esercizio del coordinamento, cioè modo e misura dell’adozione prevista dall’articolo 116, darà tutto il suo concorso per l’attuazione di proposte o procedure che assicurino e regolino la necessaria collaborazione fra Stato e Regione, in modo da superare ogni divergenza ed attuare lo statuto, in base ai dati dell’esperienza. Personalmente ho sempre avuto fiducia in tale collaborazione e annunciando nel maggio 1946 alle popolazioni siciliane che il Governo manteneva il suo impegno in favore del regime autonomo, ho aggiunto che tale spirito di comprensione e di collaborazione è assolutamente necessario da entrambe le parti per dare vita ed efficacia ad un vero regime autonomo nell’unità della Patria. |
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| Vorrei pregare i colleghi di accogliere il ringraziamento del Governo per la loro collaborazione positiva come per la loro collaborazione critica. La fedeltà al sistema del metodo parlamentare ci ha fatto superare molte difficoltà. Ho la speranza, per non dire la certezza, che nessuno di noi verrà meno a tale direttiva e che nei due rami del Parlamento, eguali nell’autorità – e forse, onorevole Micheli anche nella vivacità – la fedeltà nel metodo rappresentativo democratico possa condurre al consolidamento della Costituzione repubblicana. Mi associo, in particolare, al sentimento di gratitudine verso il Presidente, sentimento che estendo verso i membri delle Commissioni legislative che hanno collaborato più direttamente col Governo, sentimento di ammirazione, oltre che di gratitudine, anche per le Commissioni che hanno creato lo statuto fondamentale, e per quelle specialmente che in questi ultimi tempi si sono tormentate sulle leggi degli statuti speciali. Vivant sequentes! (Vivissimi applausi). Documenti 1943-1947 |
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| Ringrazio voi tutti dell’interessamento che dimostrate per il nostro Paese. Sentiamo spesso come un conforto l’alone di simpatia che emana dai vostri scritti e la benevolenza delle vostre critiche. Non è certo colpa vostra se qualche volta notizie che partono di qui nella loro giusta proporzione, quando arrivano di là dei monti e dei mari forse per colpa degli amplificatori degli altoparlanti o degli impaginatori assumono dimensioni esageratamente impressionanti. Ma è certo merito dei giornalisti se all’estero si ha la giusta impressione dello sforzo italiano ricostruttivo e dei risultati ottenuti nonostante le difficoltà. Siamo immensamente grati […] per l’appoggio che ci viene dato dai Paesi che voi rappresentate in questo sforzo italiano che è sforzo ricostruttivo sociale e di autonomia e di indipendenza. […] Comprendo che vi interessi di assistere dai comodi posti delle tribune alla drammatica lotta gladiatoria dei politici. Mi raccomando di non essere crudeli come gli spettatori antichi, e soprattutto di non rovesciare il pollice, dannando a morte i combattenti. Desiderate conoscere il mio pensiero? Io mi batto col proposito e la fede di vincere; non voglio negare agli avversari lo stesso diritto. Mi batto contro la minaccia antidemocratica ma anche contro l’egoismo reazionario dei privilegiati. Mi batto per la libertà politica ma anche per la giustizia sociale. Se vincerò (e ne sono certo) sarà la vittoria del buon senso e del pensiero civico di un popolo di civiltà millenaria geloso delle sue tradizioni e fiero della sua indipendenza, ma anche volto con lo sguardo alle forme sociali progredite dell’avvenire in cui il popolo lavoratore deve trovare la sua sicurezza e la sua preminenza. Soprattutto non abbiate e non suscitate timori intorno alla polemica verbale di questa campagna elettorale. Per conto nostro, ci batteremo con le armi della discussione, della convivenza civile. Noi parliamo forte e chiaro per evitare la guerra civile; perché si sappia chiaramente che tutto il conflitto deve essere ridotto alle forme della discussione democratica e all’unica arma che è quella del voto. Quando si parla delle forze dello Stato intendiamo che le forze dello Stato non serviranno né i partiti né un Governo che passa ma serviranno alla difesa dello Stato democratico che dev’essere imparziale e libero di fronte a tutti e deve garantire l’ordine e la libertà di tutti. E la vittoria che sarà nostra sarà vittoria del pensiero e di pace e di collaborazione fra popoli liberi e sanzione popolare del risultato e dei principi direttivi della guerra di liberazione. |
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| Ti segnalo, anche in seguito a informazioni autorevoli avute direttamente da Somalia, quali potrebbero essere, per la soluzione del caso Mogadiscio, le proposte che tu certamente avrai già considerate. 1) sostituzione funzionari politici e polizia, indipendentemente dalla loro compromissione indiretta o diretta negli avvenimenti; 2) sostituzione tre funzionari italiani rimpatriati in questi giorni già in servizio con amministrazione britannica somala. Destineremo in Somalia tre funzionari che sarebbero utili anche B.M.A. e di sicuro affidamento; 3) soluzione questione rappresentante Governo italiano ancora in attesa autorizzazioni concrete ma già ammesse in principio da Londra; 4) congruo indennizzo ai danneggiati incidenti in modo da permettere la ripresa in Somalia della loro attività economica. |
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| Nel momento in cui gli Stati Uniti approvano il generoso contributo americano alla ricostruzione europea secondo il piano che voi stesso suggeriste con propositi di pace e umana fraternità il mio pensiero rivolgesi con viva gratitudine all’Ecc. Vostra lieto che vengano assicurate alla libera Italia possibilità di rinascita e di cooperazione internazionale. |
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| Dalla Libia dall’Eritrea e dalla Somalia continuano a giungere qui notizie non rassicuranti sull’atteggiamento che l’Amministrazione militare di quei territori continua a tenere nei confronti degli italiani, durante e dopo il passaggio della Commissione d’indagine della Conferenza di Londra. Non voglio io qui entrare nei particolari di quegli atteggiamenti, alcuni dei quali peraltro sembrano comunque di natura tale da pregiudicare l’avvenire. Ma ritengo opportuno richiamare la sua attenzione personale su questo stato di cose che si aggiunge alle note vicende sinora in corso circa l’atteggiamento delle potenze per la soluzione definitiva della questione ed al ritardo di una soddisfacente conclusione degli incidenti di Mogadiscio. So bene che ella si rende conto perfettamente di quanto l’opinione pubblica italiana sia sensibile a questi fatti; e perciò non dubito che vorrà ancora rappresentare a Londra la necessità di rendere la situazione in Africa meglio conforme ai rapporti di cordialità che abbiamo ripristinati fra i nostri due paesi. |
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| Rivolge un saluto ai nuovi ministri e sottolinea l’identità di vedute manifestatesi nelle conversazioni dei giorni scorsi, che gli ha consentito di creare un governo, la cui forza consiste nella unità e nella stabilità. [Seguono gli interventi degli on.li Grassi, Sforza, Saragat e Fanfani, che interviene sulla proposta di considerare il 2 giugno festa nazionale della Repubblica]. Non essendoci una legge che preveda la sospensione dal lavoro, ritiene necessario discuterne con gli organi competenti per stabilire come possa consentirsi agli operai di partecipare alle cerimonie militari. [Il Consiglio dei ministri procede poi alla nomina dei nuovi sottosegretari di Stato]. Si riserva di fare sabato prossimo proposte di nomina per l’Alto Commissariato dell’Igiene e della Sanità Pubblica. Il presidente del Consiglio, prima di chiudere la seduta, rileva che non si è ancora provveduto alla soluzione organica di due importanti problemi che vanno assolutamente affrontati. L’uno è la riforma della burocrazia e dell’amministrazione statale e parastatale, con riguardo anche alla nuova struttura regionale (e sarà in questo modo assicurata anche la collaborazione di Petrilli). Si tratta qui di aggiornare le conclusioni della Commissione Forti , approntando i relativi disegni di legge per il Parlamento, e di creare delle garanzie perché il passaggio alle Regioni delle attribuzioni previste dalla Costituzione non rechi con sé un’inflazione burocratica, ma porti invece ad una semplificazione. Per tale lavoro preparatorio è necessario ricorrere ad uomini che conoscano a fondo l’Amministrazione. A tal proposito si riserva di fare, a suo tempo, proposte concrete. L’altro è il problema dell’emigrazione che per l’economia italiana è essenziale. Nelle conversazioni dei giorni precedenti è mancato il tempo di elaborare una soluzione completa. Bisogna perciò ritornare sull’argomento, accelerando frattanto la creazione del Consiglio dell’emigrazione. |
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| Preferirei che lo svolgimento delle interrogazioni continuasse domani mattina, per aver l’opportunità di esporre il pensiero del governo, specie in ordine alla importante interrogazione dell’onorevole Di Vittorio , in un ambiente di una certa serenità. Per questa sera mi limito semplicemente ad assicurare i rappresentanti della Confederazione generale del lavoro, che si sono lagnati del comunicato pubblicato ieri sera a proposito dello sciopero, che esso non era ispirato ad alcuna intenzione intimidatrice contro i dirigenti sindacali, ma era un appello al loro senso di responsabilità, appello che non è diretto semplicemente a loro, ma è diretto anche a tutti noi, dentro e fuori della Camera. La parte più importante del comunicato, sulla quale richiamo l’attenzione e che, per lo spirito con cui è stata scritta, fissa l’atteggiamento del governo, è l’ultima, in cui si dice che si deve fare ogni sforzo affinché si arresti un movimento che, se continuato, condurrebbe il paese alla rovina economica e politica, e si ritrovi nello spirito di pacificazione e di rispetto della legalità democratica lo slancio indispensabile per la salvezza del paese . (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra). [Il presidente della Camera dei deputati chiede al governo di esprimere un parere sulla data di discussione della mozione di sfiducia]. Il Senato ha in un primo tempo deciso di discutere la mozione di sfiducia del senatore Terracini dopo che fosse stato esaurito il dibattito alla Camera sull’ordine del giorno dell’onorevole Pajetta (in quel momento così esso era considerato). Oggi l’ordine del giorno è stato trasformato in mozione di sfiducia. Direi di attendere che il dibattito si svolga prima al Senato, in cui l’iniziativa dell’opposizione ha avuto subito il carattere della vera e propria mozione di sfiducia. Per il giorno di discussione alla Camera mi riferisco al programma di lavoro della Camera stessa. Si potrebbe discutere la mozione non appena saranno ripresi i lavori per l’esame dei disegni di legge. (Commenti all’estrema sinistra). presiDente. Allora, ella propone che la discussione si faccia alla prevista ripresa dei lavori parlamentari, alla data di cui parleremo a tempo debito? De Gasperi. Se non v’è l’accordo, si può fissarla anche per dopodomani, quando il Senato avrà forse ultimato la discussione. Avremo seduta sabato? Non insisto, ma non vorrei che si pensasse che il governo vuole sfuggire ad una discussione. Se si ritiene di affrettare la discussione, si potrebbe fissarla per sabato, se il Senato avrà esaurito la propria. presiDente. Sta però di fatto che potremmo esaurire i lavori attualmente in corso entro domani, il che mi impedirebbe di informare la Camera sulla data prescelta. De Gasperi. Mi rimetto al programma di lavoro della Camera. |
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| Mi si permetterà, dopo quello che è stato detto ieri, prima di quello che si potrà dire domani al Senato e più tardi alla Camera, di essere in questo momento conciso. Incomincio col rinnovare l’augurio che l’onorevole Togliatti possa riprendere presto il suo posto nella lotta parlamentare e nella lotta politica. Ho formulato questo augurio come capo del governo nelle prime tragiche ore. Ho il dovere di farlo anche personalmente, poiché il destino ha voluto che egli ed io fossimo i due protagonisti – senza fare torto a nessun altro collaboratore in questa lotta per la chiarificazione politica – della lotta elettorale. Forse qualche volta si è fatto un utile tentativo di rimpicciolire le antitesi e di ridurre a concezioni ed interpretazioni episodiche quelle che sono invece due concezioni di politica nazionale e internazionale completamente opposte. Questo non esclude però la buona fede delle due parti: il mondo tutto è diviso oggi in due blocchi morali, chiamiamoli così, – lasciamo da parte le formule – in due concezioni di vita politica ed economica ed ogni interpretazione che viene dalla parte dell’opposizione sente di questa antitesi profonda, come ogni nostra risposta corrisponde ai contrasti di principio ed ai contrasti di tendenza. Non possiamo superarli così facilmente questi contrasti. Sarebbe vano pretendere che il Parlamento italiano, e la nazione italiana, la quale è una delle più passive in questa lotta (vi prego di non riferirvi a blocchi di carattere militare) possano di per sé sfuggire alla suggestione delle due concezioni ed alla necessità di questa antitesi. La polemica elettorale, perciò, ha avuto un carattere speciale di profondità. Mi si accusa spesso d’aver assunto un tono di propaganda deciso, tono che non era forse comune né in ministri né in presidenti del Consiglio dei tempi passati. Ma i tempi sono diversi ed io l’ho sentito come un dovere, e prego i colleghi dell’opposizione di credere che questa fu la mia convinzione, la convinzione della mia coscienza, la necessità di parlare quel linguaggio che corrispondeva ad una tendenza generale di fronte a quella che era una tendenza generale ed uno scopo pratico da raggiungere. Dovrei constatare, però, che nonostante la risolutezza della polemica e direi anche nonostante la propaganda collaterale di cui né Togliatti né io siamo responsabili in tutti i particolari, nulla è mai successo che potesse dirsi atto di sopraffazione, atto di violenza, di ricorso alla forza. E perché? Perché dalle due parti era stato naturalmente convenuto che l’appello libero, spontaneo, l’appello alla coscienza del popolo dovesse decidere. E, una volta che ambedue i lottatori avanzano d’accordo in questo concetto, che chi deciderà sarà il suffragio universale, allora l’unica arma è l’arma della libertà, l’arma della libera discussione e questa discussione, anche se aspra, non lascia riserve per ricorrere alla violenza contro l’avversario. Questo, perché nell’interrogazione dell’onorevole Di Vittorio si parla di «atmosfera». Questa atmosfera, in realtà, questa atmosfera del 18 aprile, è stata atmosfera di libertà e di democrazia, anche se accesa, perché nel presupposto, nello scopo, nel carattere fondamentale, si trattava di un appello al popolo, di un ricorso al popolo, direi di un deferire al popolo, sottomettendosi alla sua decisione. Questo è il concetto fondamentale della democrazia. Questo concetto, oltre che di libertà, è un concetto di non violenza. L’appello al suffragio universale è stato così sentito che anche dopo la decisione, nonostante le critiche che si sono fatte, gli attacchi stessi e le contestazioni sui risultati, nonostante tutto questo che poteva essere un’esigenza psicologica di coloro che avevano subito una sconfitta, non si può dire che si sia messo in dubbio il risultato del suffragio universale e la conclusione di un metodo. Ora questa fu l’«atmosfera». Colleghi avversari, vi direi che questa è l’«atmosfera» che, per la dignità della nazione italiana, dobbiamo difendere anche nei confronti del mondo. In questi giorni ho avuto, da parte di rappresentanti stranieri, l’ansiosa domanda: «ma è vero che in Italia ci sarebbe un colpo di Stato verso sinistra o verso destra?». Ed io ho risposto: «no! Ho estrema fiducia che, anche in questo duro cimento, il regime democratico rimarrà saldo e si rinforzerà sempre più». Noi non abbiamo altra convinzione ed altra salvezza per la convivenza civile che le regole della libertà, della libera discussione e del ricorso all’appello e alla voce della coscienza, al di fuori di ogni soluzione di forza da sinistra e da destra. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra). Signori, il mondo – vi ricordate – ha ammirato l’atmosfera di serenità in cui, nonostante le polemiche, la decisione del popolo è avvenuta. Ci sono anche oggi delle esagerazioni in giro. Il mondo ci ammirerà anche domani, nonostante ciò che è avvenuto in questi giorni, del resto spiegabile come reazione contro un delitto che tutti hanno deprecato e corrispondente purtroppo a dei motivi di propaganda che rimangono come semente nelle coscienze e che scoppiano in forma disordinata, nei momenti decisivi. Nonostante tutto questo, nonostante i conflitti e gli incidenti che si svolgono ancora, la nazione italiana ha superato questa crisi, e ne supererà delle altre se saremo fedeli, come io penso, governo e Parlamento, ai princìpi di libertà e di democrazia. E qui lasciatemi dire, in questo momento in cui ho visto l’avversario, il mio avversario (qualche volta poteva sembrare anche avversario personale, benché fossimo personificazioni di due concezioni e di due metodi di politica) lasciatemi dire in questo momento in cui egli è vittima di un attentato, che io sento che nulla pesava sulla mia coscienza quando ho fatto la polemica sia contro di lui sia contro gli altri. È vero, amici, è vero che io sono stato deciso nelle mie accuse, deciso nelle mie conclusioni. Ho messo dinanzi al popolo italiano quella che a me pareva, e pare ancora oggi, la verità. Ma se confrontate la campagna personale che è stata fatta contro di me, voi vi ricorderete – non lo dico per lagnarmi – che la campagna ha tentato di riprendere un tentativo fatto da Mussolini di mettermi fuori circolazione, accusandomi di essere un camaleonte, ora dell’Austria ed ora dell’America e mai della nazione italiana. (Vivissimi applausi al centro e a destra). berti Giuseppe . Siete stati voi. (Proteste al centro e a destra). spiazzi. Vergognatevi! De Gasperi. Non ho sollevato questo argomento per ravvivare polemiche, ma anzi per dire, per riconoscere che, nonostante questa campagna, a nessuno, nemmeno ai vostri più accesi adepti, è venuto in testa di ricorrere alla violenza e all’attentato, (commenti all’estrema sinistra); mai, mai! E vi dico questo, per dire che anche dall’altra parte – io non so quale parte sia, perché veramente un attentatore, un assassino premeditante, non so in quale settore si debba mettere; io credo in nessun settore – … Una voce all’estrema sinistra. In quello fascista! De Gasperi. …anche dall’altra parte si debba imitare questo metodo democratico e lasciarci correre alla discussione verbale, ma lasciarci correre, appunto, perché essa sostituisca la forza fisica, che deve essere bandita dalle discussioni politiche; ed ho detto questo per deplorare… serbanDini . Avete messo in moto il fascismo. (Proteste al centro). De Gasperi. Dico questo, perché la mia condanna di tutto quello che, sotto il nome di fascismo, si vuol fare, per accensione di conflitti fino alla violenza, individuale o accampata come milizia, è decisa. Non è un’opinione mia personale; è una condanna, che è programma di governo. Tutta la nostra azione è fatta per evitare questo. Una voce all’estrema sinistra. Però il Msi gode fiducia. (Commenti – Proteste). De Gasperi. Evidentemente, egregi colleghi, la discussione che qui oggi si fa sarebbe completamente superflua, se voi accettaste – come mi pare che qualcuno accetti – il dogma, secondo cui i bolscevichi, nella loro interpretazione ufficiale, dividono il mondo in due blocchi: uno si chiama comunista e l’altro fascista, Allora, siamo fascisti tutti; evidentemente non c’è nessun rimedio. (Interruzioni all’estrema sinistra). Se voi parlate in questo senso, allora è inutile la discussione. Però, io direi che, se c’è un significato chiaro, che può permetterci di interpretare la situazione italiana, questo è l’atto elettorale. Una voce all’estrema sinistra. Il broglio! De Gasperi. Questo atto che cosa dice? Che il popolo italiano non vuol essere né fascista né comunista! (Vivi applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra). Bisogna persuadersi che il popolo è contro – magari esageratamente, credete voi con le vostre prevenzioni – la probabile, possibile ed eventuale dittatura comunista, perché ha provato la dittatura fascista. (Prolungati applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra). noce lonGo teresa . Ora sta provando la dittatura clericale! (Vivi rumori al centro). De Gasperi. Io ho questa visione, che non pretendo sia condivisa d voi, ma che credo corrisponda alla realtà e che almeno spero sia ascoltata, perché è la visione di un uomo che sente abbastanza il polso della nazione. Ho questa visione per cui – lo ripeto – il popolo italiano, nella sua grande maggioranza, ha paura specialmente della dittatura. (Proteste all’estrema sinistra). Perché? Perché l’ha provata! Questo, per quel che riguarda l’atmosfera della nazione. Io credo di rispondere in senso conciliativo all’onorevole Di Vittorio, quando lo assicuro che il governo è vigile, tanto verso i tentativi di una specie, quanto verso quelli di un’altra. Il governo non dimentica che vi possono essere ancora degli illusi i quali hanno creduto a un certo momento, in buona o in mala fede, nella dittatura fascista, come se potesse riordinare tutte le cose e creare la grandezza dell’Italia artificiosamente, quasi inserendosi in un blocco di nazioni per dominarle con alleanze od altro. Che se questa illusione esiste ancora, il governo sa come deve combatterla per la salvezza del paese, perché non si cada in un altro baratro e non si finisca in un’altra guerra. (Vivissimi applausi al centro). Ho ancora bisogno di aggiungere una parola: il governo ha dimostrato in parecchie occasioni di volere che si tiri un velo sul passato. Mi dicono da destra che esistono ancora troppe leggi eccezionali; mi accusano da sinistra di favorire troppo i fascisti. Evidentemente non si può, in un giorno solo, gettare un lavacro su tutto quello che è avvenuto, su tutte le ferite che sono state inferte e su tutte le violenze che sono state sofferte; ma la nostra tendenza è questa: di non dare, né a una parte né all’altra, il senso della rappresaglia nella vita politica italiana per quel che è avvenuto da una parte o dall’altra. La nostra azione potrà essere insufficiente, ma la nostra buona volontà e le nostre direttive non possono esser messe in dubbio. (Vivi applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo – Rumori al centro). Io non credo, onorevole Pajetta, che se lei si trovasse in un paese dove è stato ospite parecchie volte, come la Jugoslavia, lei avrebbe la libertà che le è concessa di parlare in questo momento! (Vivissimi applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra). pajetta Gian carlo. La libertà che permette a un assassino di attentare alla vita di un deputato! (Rumori al centro – Commenti). De Gasperi. Non avevo capito l’interruzione, ma sono pronto a risponderle. Se ci può essere chi accusa il governo di trascuratezza nella difesa della incolumità personale dei capi dei partiti, di ciascun membro della Camera, io devo rispondere che ieri sera, nel Consiglio dei ministri, il ministro dell’Interno ci ha riferito una lunga storia sui tentativi fatti per far accompagnare e proteggere Togliatti, il quale, giustamente, come faccio quasi sempre io, ha sempre detto di volersi affidare all’atmosfera di libertà, e al senso di rispetto della nazione italiana, e non ha voluto assolutamente essere accompagnato. (Interruzioni dei deputati Pajetta Gian Carlo e Zaccagnini). Questo per quel che riguarda il fascismo; questo per quel che riguarda le tendenze di rappresaglia. E le mie dichiarazioni valgono per il contegno e l’atteggiamento che il governo seguirà nei prossimi giorni, con comprensione umana e saggezza politica, e d’altro canto con l’energia e con l’autorità che un governo deve assolutamente avere. (Approvazioni al centro). Nell’interrogazione dell’onorevole Di Vittorio c’è anche la parola «reazionario». Ora, è qui che bisogna intendersi. Immagino che egli mi pensi soprattutto reazionario nei confronti dell’attività sindacale, dell’attività dei lavoratori. Io ho da rispondere che intendiamo attenerci fedelmente ai princìpi sanciti nella Costituzione, che non intendiamo di limitare minimamente la libertà sindacale, che in realtà questa direttiva non è mai stata data, che nemmeno di qui innanzi ci dipartiremo da questa linea. Devo, però, anche aggiungere che per lavorare in Italia, per la ripresa economica, è necessaria un’atmosfera di tranquillità. Noi abbiamo lasciato correre uno sciopero dopo l’altro in base alla Costituzione. Non abbiamo fatto come il presidente del Consiglio cecoslovacco che, essendo contemporaneamente presidente della Confederazione , appena andato al potere ha detto: «adesso, basta con gli scioperi!». (Ilarità al centro – Interruzioni all’estrema sinistra). Non intendiamo farlo nemmeno per l’avvenire. Una voce all’estrema sinistra. Lo Stato in Cecoslovacchia va incontro ai lavoratori! (Commenti). De Gasperi. Non sarà il caso di anticipare qui, ora, una discussione economica sul problema della rivalutazione: è un problema troppo grosso, né possiamo parlarne per coincidenza; comunque, il governo ha ampiamente esposte le ragioni del suo atteggiamento. Saranno discusse a suo tempo. Dico però che, accanto a questo principio della libertà sindacale, che vogliamo rispettare, per essere realisti, bisogna considerare che vi è un’altra esigenza, c’è una esigenza di lavoro, e c’è una esigenza di ordine sociale, di ordine politico. Se si spingessero le cose a questo punto: che, un affare economico, finanziario, non si potesse fare solo perché coloro che se ne occupano (i semplici impiegati di banca) avessero la facoltà di chiudere gli sportelli e di lasciare il pubblico impossibilitato a ricorrere a qualsiasi espediente per poter risolvere una situazione finanziaria; se dovessimo ammettere che diventi regola che chi, per esempio, sta alle centrali elettriche possa togliere la energia elettrica a tutta la nazione, arrestando tutto il movimento e arrecando immensi danni al paese; se dovessimo ammettere come principio che i petrolieri, per esempio, solo perché distribuiscono petrolio, potessero far aumentare il prezzo della benzina, o addirittura impedire i movimenti di tutti i veicoli, arrestando tutto il movimento che si basa sulla nafta, nelle fabbriche, eccetera; se dovessimo ammettere questo principio, l’onorevole Corbino avrebbe ragione: questo – potrebbe dire – non è un governo democratico, ma c’è un governo apparente ed un governo di fatto. Ora, qui bisogna intendersi: ci sono dei limiti in cui le necessità, le esigenze della comunità, debbono imporsi a noi e a voi. (Vivi applausi al centro). noce lonGo teresa. Ma questo agli industriali non lo dice! (Commenti). De Gasperi. È un problema, questo, che, fra i termini di libertà sindacale e delle esigenze vitali della comunità, deve risolversi. La questione è questa: o lo risolviamo democraticamente – secondo il concetto di libertà, ma tenendo conto anche di queste necessità dello Stato democratico – o lo Stato democratico fallisce in uno dei suoi punti nevralgici; ed allora non c’è altro mezzo: o la dittatura da una parte o la dittatura dall’altra. Ecco che il problema sindacale va risolto e affrontato e noi ci riserviamo di presentare dei progetti di legge al riguardo. Questi saranno discussi, saranno modificati. (Approvazioni al centro e a destra – Proteste all’estrema sinistra). Una voce all’estrema sinistra. Parole! De Gasperi. Se saranno parole, si vedrà. Saranno, dunque, discussi, saranno modificati; tutte le esigenze di libertà e di protezione sindacale verranno considerate; ma bisogna trovare una formula. Comunque, non intendo con ciò annunciare provvedimenti in questa atmosfera. Una voce all’estrema sinistra. Però li sta elaborando. De Gasperi. Spero che ritorni quella serenità e quella tranquillità per cui i rappresentanti di ciascuna parte possano deliberare con coscienza per una soluzione definitiva e non sotto la pressione di situazioni contingenti. Si tratta di trovare la linea di confluenza fra la libertà sindacale e il suffragio universale: qui sta il problema della democrazia. (Commenti all’estrema sinistra). L’onorevole Nenni, che ha anche presentato una interrogazione, fa accenno allo sciopero generale. Ecco, la mia opinione è che uno sciopero, un abbandono istintivo del lavoro nei primi momenti dell’attentato era inevitabile: lo confesso. È inutile richiamarsi a contratti, quando la folla è sotto l’impressione di un fatto che esecra e che colpisce un personaggio che le è vicino. Quindi, io questo lo comprendo: fare il rigoroso a questo riguardo fino al quarto d’ora o ai cinque minuti, mi pare che sarebbe esagerato. Ma io dico che uno sciopero proclamato con scopi che si riferivano alla vita del governo, alla mutazione del governo, è un gravissimo errore di fronte al quale nessun governo può capitolare, a meno che non si voglia veramente seppellire nel profondo della terra la democrazia stessa ed il metodo democratico! (Vivi applausi al centro e a destra). Mi compiaccio che nell’ultima deliberazione della Confederazione del lavoro si dimostri un senso maggiore… (Interruzioni all’estrema sinistra). siMonini . Bella politica socialista fate voi comunisti! State rovinando l’Italia! (Rumori all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi fra i deputati Giavi e Simonini e l’estrema sinistra). De Gasperi. Signori, onorevoli colleghi, io penso che era ideale la nostra aspirazione, nei primi momenti del dopoguerra, quando lasciando cadere tradizioni care di organizzazioni speciali e particolari, si è sperato di poterci, in unità sindacale, astrarre almeno dai problemi politici contingenti (in quanto comprendiamo benissimo che c’è una politica sociale che interessa anche i lavoratori) e lasciarli alla democrazia e alla Repubblica, che è la democrazia costituita. Questo è il problema fondamentale come lo vedevamo in quei tempi e questa era la fondatezza e l’idealità della nostra aspirazione comune. Devo dire che questa lunga teoria di agitazioni e di scioperi e il metodo seguito, hanno condotto oggi l’unità sindacale al cimitero in cui si trova; e dico questo con grande rammarico, perché penso che senza le organizzazioni dei lavoratori non c’è progresso e non c’è possibilità di pensare ad una vitalità della democrazia. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra). Organizzazione vuol dire responsabilità; direzione vuol dire responsabilità. Lo so, non è sempre facile assumere un atteggiamento di responsabilità; talvolta è impopolare. Avrebbe fatto bene la Confederazione ad assumerlo già nel primo momento, limitando lo sciopero a quello scopo fondamentale di sfogo dell’opinione pubblica, dell’indignazione dei lavoratori, eccetera. (Interruzioni all’estrema sinistra). Ad ogni modo prendo atto con compiacimento che ieri sera lo sciopero è stato, per parte della Confederazione, chiuso; debbo dire anzi che già la coscienza dei lavoratori in gran parte lo aveva chiuso. (Applausi al centro – Vive proteste all’estrema sinistra). Una voce al centro. Nel Mezzogiorno non hanno fatto lo sciopero! De Gasperi. Voi vedete, egregi colleghi, che io vi parlo sinceramente e, direi, improvvisando totalmente, giacché ho avuto l’interrogazione dell’onorevole Nenni in questo momento e non ho avuto tempo nemmeno di studiare molto l’interrogazione dell’onorevole Di Vittorio, Io vi dico che se in queste interrogazioni c’è un senso di collaborazione, come in democrazia deve esistere, fra opposizione e maggioranza, io sono qui per accettarlo, per rilevarlo, per compiacermene; se in queste interrogazioni c’è una speranza, che il governo mostri comprensione verso la classe lavoratrice e soprattutto verso le organizzazioni della classe lavoratrice, la speranza che il governo non faccia una politica di rappresaglia in questo momento, io sono qui per affermarlo: se però queste interrogazioni fossero – ed io spero che non siano – una continuazione di quei discorsi, di quelle proposte e di quei suggerimenti che sono stati fatti in questi ultimi tempi, in cui la politica si mescola alla questione sindacale, allora io dico che non ci intendiamo. Questo è un altro problema fondamentale della democrazia, la quale si risolve essenzialmente con la distinzione delle funzioni. Bisogna che sia chiaro che altro è la funzione sindacale, altro la funzione politico-parlamentare: questa risolventesi nel suffragio universale, quella in un rapporto contrattuale di categoria. Ci sono, sì, delle interferenze: interferenze di legislazione, interferenze degli uomini stessi. E va bene; questo non si può evitare. Ma bisogna pure che non si faccia tutto un problema, poiché, altrimenti, noi verremmo ad accettare il principio, che disgraziatamente è diventato tendenza, quello cioè di surrogare il Parlamento attraverso un governo di fazione, un governo di parte. Se gli organizzatori sindacali, in un modo o nell’altro, come decideranno, vorranno, dunque, collaborare con il governo in tutto quello che riguarda la libertà sindacale, il progresso economico, le condizioni dei lavoratori, il governo è pronto a farlo; chiede, però, che sia ben chiaro che la politica dipende dal suffragio universale e che non è ammissibile che si attribuisca ad un organo sindacale. Noi non possiamo per nessun caso e in nessun modo ammettere che gli organi sindacali sostituiscano le decisioni che dal Parlamento derivano. (Approvazioni al centro). Sull’interpretazione del comunicato pubblicato dal governo, ho già detto, mi pare, sufficienti parole ieri sera. È inutile che io ritorni sull’argomento, mi parrebbe di rimpicciolirlo. Non è davvero una questione tra noi e i dirigenti sindacali; è una questione più grave che ci preme, e ci angoscia: quella del nostro paese. Se mi si chiede, come anche nell’altra interrogazione, quale sarà la politica del governo, io rispondo che essa poggia su queste basi: vogliamo in Italia portare a fondo l’esperimento democratico; vogliamo salvare il paese da qualsiasi reazione o rigurgito del passato e preservarlo anche contro qualsiasi tentativo di dittatura di estrema sinistra. Questo è il programma dell’attuale governo. (Vivi applausi al centro e a sinistra). L’esperimento deve essere condotto sino alla fine; ed è per questo, amici miei, che invano vi illudete che incidenti da una parte o dall’altra possano scuotere la nostra convinzione. Avremmo, ed io personalmente soprattutto, dopo tanto lungo travagliare al governo, bisogno di riposo. (Commenti all’estrema sinistra). Ma io dico che il popolo italiano ha bisogno di vedere che c’è una linea di governo, una sostanza e una tenacia. E anche se talvolta mi si rimprovera di essere o troppo forte e violento o troppo incline al compromesso, non mi si può certo rimproverare che mi manchi la visione degli scopi cui bisogna tendere. Vi si tenderà con maggiore o minore ritmo; ma vogliamo uscire da questo governo quando veramente avremo dato alla democrazia italiana tutta la sua ossatura, tutta la sua armatura per difendersi liberamente e per presentarsi in dignità di fronte al mondo internazionale. E di fronte al mondo internazionale ci si presenta con dignità solo quando si sappia che si è creato uno Stato che ha le ragioni della sua vitalità nella sua stessa esistenza e che sono le sorgenti nazionali democratiche libere dell’Italia che creano il tipo che vale per la democrazia italiana: il tipo del vero governo e della vera democrazia che deve essere quella della Repubblica italiana. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra, al centro e a destra – Si grida: «viva De Gasperi!» – Commenti all’estrema sinistra). |
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| (Segni di viva attenzione). Onorevoli senatori, ho il dovere di far precedere la mia risposta alle obiezioni ed alle polemiche degli oratori che hanno partecipato a questa discussione, dalla dichiarazione che sono stato grato del tono e, tolta qualche eccezione, del metodo seguito dal Senato nell’esporre le critiche al governo in questa così tragica situazione. Io spero che, almeno nelle sedute del Senato, nessuno abbia contribuito ad inasprirla e qualcuno anzi abbia contribuito ad attenuarla. Voglio possibilmente attenermi a questo fine io stesso o per lo meno permettetemi di dire, con un grande, profondo senso di responsabilità, che tanto è errore quello di minimizzare, vedere le cose sotto uno spirito di trasformismo parlamentare che talvolta – non so con quale ragione – mi viene rimproverato, quanto l’esagerare la situazione stessa. Ma essa è già abbastanza grave sia per quello che è avvenuto, sia come sintomo di quello che potrebbe avvenire. Risponderò prima all’accusa principale. Mi si è fatta l’accusa che nel comunicato del governo, emanato la sera della proclamazione dello sciopero, si afferma questo: «ciò avviene – cioè lo sciopero – mentre è aperta ancora nel Parlamento la discussione politica e con lo scopo dichiarato di sovvertire la situazione creata dal suffragio universale e convalidata recentemente dalla fiducia del Parlamento». Assumo in pieno la responsabilità di questa dichiarazione; l’ho scritta personalmente, all’ultimo momento, quando mancavano cinque minuti per il termine possibile per trasmetterla alla radio. Eravamo dinanzi alla proclamazione di uno sciopero dopo gravissimi avvenimenti che si erano svolti in varie città ed avevamo la sensazione che lo sciopero generale avrebbe potuto inasprire questa situazione e rendere soprattutto impossibile alle forze del governo di intervenire per mantenere l’ordine. Soprattutto eravamo sotto l’impressione, non fantastica, ma documentata da manifesti e da proclami, che quello che si voleva erano le dimissioni del governo: cioè risolvere un problema politico, che era già aperto dinanzi alle Camere, perché il governo aveva accettato le discussioni e le mozioni, e si voleva risolvere questo problema politico con pressioni della piazza e con pressioni comunque di carattere organizzativo e dimostrativo. Ho avuto in quel momento la sensazione che il problema principale era un problema di democrazia. Il Parlamento è o non è l’autorità costituita di fronte alla quale il governo è responsabile? Se non lo è, allora non si può più parlare di sistema parlamentare e di sistema democratico. Vi sarà in altri paesi un altro sistema democratico, ma non è quello preveduto nella Costituzione della Repubblica italiana. (Applausi vivissimi dalla destra e dal centro). Mi si è detto che la Cgil, proclamando lo sciopero, non aveva queste intenzioni. Intenzioni a parte, io ho riconosciuto in confronto dei rappresentanti della Cgil, il giorno dopo, che il tono della proclamazione era diverso da quello dei partiti politici e della stampa dell’opposizione in genere. Ho riconosciuto che c’era una volontà di attenuare la situazione e soprattutto di non farla così apertamente politica. Non so se questo vada attribuito alla moderazione o alla chiarezza di pensiero o alla responsabilità dei dirigenti della Cgil, comunque lo riconosco. Ma il gran pubblico in Italia, le forze stesse dello Stato e soprattutto gli operai che parteciparono alla manifestazione non hanno fatto un’esegesi e un’ermeneutica così distinta della proclamazione della Cgil, e di quella dei partiti politici che hanno partecipato alla dimostrazione. Onorevoli senatori, ritornerete o sarete già stati nei vostri collegi. Raccogliete i manifesti che hanno dato un significato alla dimostrazione e hanno spronato i dimostranti! Confrontateli, leggeteli questi documenti, e vedrete che una sola era la parola: sciopero ad oltranza fino alle dimissioni del governo. Io non voglio leggere tutti questi manifesti, ne leggerò soltanto alcuni. Quello della Direzione generale del Partito comunista, che immagino abbia costituito la direttiva e l’esempio per tutti gli altri, dice: «si leva da tutto il paese l’indignata protesta di tutti gli uomini liberi amanti della pace internazionale. Dimissioni del governo della discordia e della fame! Dimissioni del governo della guerra civile!» . Ma una serie di piccoli manifesti è ancora più esplicita. A Udine il comitato provinciale provvisorio per un governo di unità nazionale diceva in un suo volantino: «la lotta del popolo italiano contro il governo della discordia continua e si sviluppa in tutta l’Italia con grandiosi successi. Lo sciopero generale è totale. Dappertutto gli operai procedono all’occupazione delle fabbriche. Tutti comprendono che il criminale attentato contro l’onorevole Togliatti è stato possibile perché il governo ha creato un’atmosfera di odio, di calunnie e di divisione del popolo. È necessario che il popolo imponga la costituzione di un nuovo governo basato sulla collaborazione di tutti i partiti democratici e che intenda attuare quelle trasformazioni che rappresentano le esigenze di tutti i cittadini. Cittadini! Costituite in ogni rione e in ogni villaggio i comitati popolari per la difesa della libertà e per un governo di unità nazionale!». Sembra tradotta dal cecoslovacco questa ultima dichiarazione! Il manifesto si rivolge poi alle forze dell’ordine: «soldati, agenti, carabinieri, siete figli del popolo! Unità, vigilanza, disciplina. Via il governo della discordia! Avanti per il governo dell’unità nazionale!». A Sesto San Giovanni, un centro tanto pericoloso, tanto dinamico, alcuni manifesti dicevano: «in tutta l’Italia lo sciopero indetto dalla Cgil è in atto. A Torino la situazione è in mano ai lavoratori e così a Bologna, a Milano e in tutti i centri maggiori. A Milano le maestranze hanno occupato lo stabilimento Motta, disarmando la polizia. Nell’occupazione della fabbrica Bezzi sono state catturate due autoblinde» (notizia falsa). «A Genova i dimostranti hanno occupato la questura e la prefettura» (notizia falsa). «Lavoratori, il governo della reazione deve dimettersi. Le forze popolari lo costringeranno a questo atto che deve essere la premessa della creazione di un governo di larga coalizione democratica». Un altro manifesto dice: «vigilate e rimanete nelle vostre fabbriche». Potrei leggervi ancora una serie di simili manifestini, ma voglio risparmiarvi questa lettura. Voglio solo dirvi che la sensazione che ebbero quella sera gli uomini del governo – naturalmente non ho agito da solo, ma ho consultato tutti quelli che potevano assumere più direttamente le responsabilità – fu che ci si trovava dinanzi ad un tentativo di imporre dal di fuori una nuova situazione politica, pur essendo aperte ambedue le Camere ed essendo in corso una discussione sugli avvenimenti. Questo tentativo va designato come un sovvertimento delle regole democratiche. (Applausi vivissimi). Senza leggervi gli altri manifesti, vi dico che nei rapporti delle prefetture si confermava che la meta dei movimenti era quella che vi ho esposto. (Interruzione dell’onorevole Terracini).Signori, io ho voluto constatare i fatti e mi sono ben guardato dal darne la colpa alla direzione della Cgil. Devo dire che ho l’impressione che la Cgil ha capito come andavano le cose ormai e che, almeno in un secondo periodo, ha avuto il senso della propria responsabilità, che le ha consigliato di stroncare il movimento. Riconosco che non era facile stroncare il movimento; infatti a Milano, a Piacenza e a Torino ci sono stati episodi notevoli di resistenza all’ordine di cessazione dello sciopero. A Piacenza è avvenuto il fatto più grave, cioè l’invasione dopo il termine fissato per la cessazione dello sciopero, da parte di mille persone, della stazione ferroviaria. È stata un’invasione perfettamente organizzata: un drappello si è portato al centro macchine, un altro all’ufficio dei dirigenti, un altro al deposito locomotive, un altro ancora ha attaccato un treno in corsa. A dimostrazione della completa organizzazione, vi cito questo fatto: questa gente, che era giunta alla stazione in bicicletta, ha trovato un servizio pronto per la raccolta e la protezione delle biciclette. Tutto ciò è avvenuto in un momento, tanto che la piccola forza di polizia è stata completamente sorpresa. Si è dovuto ricorrere ad altre forze per costringere gli invasori, che non erano ferrovieri, ad abbandonare la stazione. Signori, possiamo stabilire che la situazione era veramente seria, ma possiamo stabilire che essa è stata in mano, per un certo tempo, di gruppi di organizzati che rappresentavano non la maggioranza, ma la minoranza dei lavoratori. Sono lieto, a proposito dei ferrovieri, di cui ha parlato poc’anzi un senatore ferroviere, di potervi dire che sono arrivati ieri ed oggi dei telegrammi dove i rappresentanti dei ferrovieri chiedono le dimissioni dal sindacato, poiché essi credevano di essere incoraggiati ad uno sciopero economico ed hanno invece scoperto che lo sciopero doveva tendere ad altri fini. I telegrammi sono qua. Io non entro in questa discussione, poiché non sono membro del sindacato ferrovieri. Pero è un fatto che se questo è possibile, qualche cosa c’è da modificare in questa cosiddetta democrazia sindacale, dove pochi uomini possono prendere una risoluzione così decisiva. (Applausi vivissimi dal centro e da destra). Dopo ciò io mi auguro, onorevole Terracini, che lei possa presiedere una costituente sindacale dove tutte le sue sottigliezze costituzionali e procedurali possano ottenere soddisfazione, come ottengono qui liberamente soddisfazione, in un Parlamento dove c’è una tale maggioranza. (Applausi vivissimi dal centro e da destra). L’onorevole Lussu, quando ha parlato, ha avuto il coraggio, in mezzo a questo ambiente, di lagnarsi di quello che avviene qui e di affermare che si procede a «colpi di maggioranza», come se una maggioranza non avesse una procedura ed una conclusione a cui arrivare, come se le discussioni non fossero state sufficienti. Sono due mesi che il governo è inchiodato sui banchi dell’una e dell’altra Camera, dinanzi ad un problema diretto di fiducia. (Rumori – Interruzioni). L’onorevole Lussu è arrivato a dire… lussu. Chiedo la parola per fatto personale. De Gasperi. Le interruzioni non sono colpi di maggioranza! (Rumori vivissimi e commenti in tutti i settori). Prego i miei amici politici soprattutto, dei quali parecchi sono nuovi, di dare esempio di serenità e di silenzio. Io ripeto: l’onorevole Lussu ha aggiunto che quella storia dell’insurrezione è una fandonia. «Ma non è fantasioso prevedere – egli ha aggiunto, e spero di avere segnato esattamente il suo pensiero – che al di sopra della volontà degli uomini politici, dei diversi partiti, si possa, con l’attentato del 14 luglio, aprire una serie di attentati personali e contro-attentati». Quindi l’onorevole Lussu ha accennato a coloro che dovrebbero avere particolare preoccupazione: naturalmente il ministro dell’Interno e il presidente del Consiglio in prima linea. lussu. Domando che il presidente voglia chiedere il testo stenografico del mio discorso. De Gasperi. Onorevole Lussu, se ho male interpretato le sue parole, sono pronto a fare ammenda di quel che ho detto; ma le faccio presente che io ho segnato degli appunti e che polemizzo con quel che ho segnato. (Interruzioni da sinistra). Non mi preoccupo affatto di quel che può accadere o no domani. Se avessimo pensato ciò, in quei momenti avremmo agito diversamente. Io mi preoccupo del mio dovere, di quello che dobbiamo in coscienza fare per il nostro paese. È fantastico parlare di insurrezione, se si intende una insurrezione organizzata che s’impegni a fondo, con ordini dati dal centro, totali su tutta la zona della nostra attività nazionale; evidentemente sarebbe esagerato. Non credo che nessuno l’abbia detto; però abbiamo visto da vicino la gravità del pericolo e siamo intervenuti rapidamente e a tempo. Non si può rimanere calmi e tranquilli. E qui mi consigliano sempre l’esempio dell’onorevole Giolitti che un po’ alla volta sembra diventato un santo idilliaco ora che è morto; ma, proprio da quei banchi da dove una volta venivano le accuse, ora vengono le esaltazioni. Io non pretendo in nessun modo di essere paragonato ad un uomo di tale tempra; ognuno fa quel che vuole e crede, nel modo che gli tocca farlo. Però debbo ricordare che Giolitti ha saputo far sparare sia ad Ancona sia a Fiume e, quando c’era bisogno di agire energicamente, l’ha fatto anche lui. Vi dirò poi qualcosa a proposito dell’occupazione delle fabbriche affinché distinguiate la differenza. Insomma la gravità del pericolo, dell’epidemia della rivolta, si rileva quando si incominciano a piazzare le mitragliatrici, come a Genova; quando a Sesto San Giovanni, nella notte dal 15 al 16, e non subito come a Genova appaiono i partigiani in divisa marrone e verso mezzanotte si fanno gli sbarramenti con carri ferroviari e con automezzi sociali, e si incominciano a piazzare mitragliatrici; quando alla Falck si preparano barattoli con acido solforico. Io dico: qui ci vuole una esperienza, un addestramento, una mentalità, una preparazione, un piano qualsiasi che sarà di emergenza o magari un piano fatto sotto il titolo «Difesa e sicurezza del Partito comunista»; questo non lo so, perché sotto tale titolo in genere passano questi (come li volete chiamare?) questi incidenti, queste improvvisazioni. Voce dall’estrema sinistra. Piano K. De Gasperi. Vi dirò che cosa si è trovato ieri, e questa notte, di armi. (Segni di attenzione). Da Torino: ore 20, nell’abitazione di Gusatto Giovanni fu Vendramino, sono state rinvenute le seguenti armi e munizioni: 9 Sten, 2 mitragliatrici leggere, 2 mitragliatori tedeschi, un fucile mitragliatore Breda, 3 mitra americani, un mitra Beretta tipo balilla, un mitra inglese, 5 fucili modello 91, 4 moschetti cavalleria, un fucile francese modello 96, 4 fucili tedeschi, 21 bombe a mano di vario tipo, una bomba mortaio 45, 1006 cartucce calibro 9 per mitra, eccetera, eccetera. Vi dirò che cosa si è trovato a Sesto San Giovanni: e vi prego di fare attenzione al caso di Sesto San Giovanni. «Circa ore 23 – questo è il rapporto della pubblica sicurezza di questa notte – con azione di sorpresa, funzionari ed ufficiali di polizia di un reparto corazzato si sono recati a Sesto San Giovanni ed hanno proceduto ad una perquisizione di quella polveriera che l’azienda da tempo aveva svuotato e che in atto non era usata. In detta polveriera sono state trovate 40 casse, pronte per essere trasportate, che secondo notizie pervenute alla questura, dovevano essere portate altrove in questa o nella prossima notte. Tali casse, in presenza del capo guardia dello stabilimento, sono state trasportate nei locali della polizia a Milano, dove si è proceduto al primo sommario inventario». Ed ecco che cosa si è rinvenuto: «16 mitragliatrici pesanti di cui una con apparati elettrici di comando, 4 lancia bombe, 15 fucili e moschetti, 300 bombe a mano, 150 chilogrammi di detonatori, spolette, miccia, balistite e tritolo, oltre 30 grosse bottiglie contenenti sostanze non ancora accertate» – speriamo non sia iprite come a Clermont Ferrand – «3 affusti contraerei, varie baionette e altro materiale, tutte armi da guerra in ottimo stato e ingrassate». Tali armi, secondo notizie in possesso della locale questura, erano state distribuite nelle giornate dello sciopero a nuclei di attivisti dislocati nel predetto stabilimento. È stato dato un allarme generale. Si suonano tutte le sirene degli stabilimenti. Gli operai accorrono. Il segretario della Camera del lavoro, con un senso di responsabilità che merita un riconoscimento, dice: «non si tratta di voi e delle vostre sorti. Hanno trovato armi e le hanno portate via». Allora i lavoratori più o meno si sono calmati. Ma guardate un po’ come l’Unità di questa mattina riferisce questa piccola scoperta: «un’altra grave provocazione, (ilarità), che poteva dar luogo a seri incidenti è stata compiuta questa notte dalla polizia di Sesto San Giovanni. Allo scoccare della mezzanotte, preceduti da staffette in motocicletta e seguiti da due autoblinde, hanno fatto irruzione, nei locali della polveriera Breda, 5 camion carichi di agenti che hanno perquisito per circa un quarto d’ora i magazzini della fabbrica, sequestrando casse di esplosivo, davanti alle proteste indignate di un dirigente della Breda, l’ingegnere Marinetti». Bel tipo di dirigente! «La notizia dell’arbitraria irruzione si è sparsa in un lampo per tutta la zona operaia: centinaia di sirene delle fabbriche hanno lanciato ululati di allarme e dalle case di Sesto San Giovanni, di Monza, di Cinisello, di Brigherio, la popolazione si è riversata nelle strade dirigendosi a bordo di automezzi e a piedi verso il luogo dove la polizia stava conducendo la sua provocazione. La notizia dell’arbitrio ha fatto precipitare i dirigenti sindacali di Milano che, arrivati sul posto, hanno preso contatto con i contingenti degli operai già arrivati che manifestavano il loro sdegno, invitandoli alla calma. Frattanto la polizia rimontava a bordo dei sei automezzi e abbandonava in fretta la polveriera» . Forse questo basta, ma potrei riferire altri casi di armi ritrovate: di alcune armi, nascoste in questi giorni e che si tentava di portare nell’interno delle fabbriche, rimaste a mezza via, oppure buttate dopo fallita l’operazione. Da Genova ci viene segnalato il ritrovamento di tre mitragliatrici Breda, di un fucile mitragliatore tedesco e vi è poi tutto un elenco che è inutile che io vi legga, tanto più che di armi me ne intendo poco. Tra l’altro si nota un tubo di gelatina. È anche inutile che vi dica che tutte le armi sono in stato di efficienza, ad eccezione di una mitragliatrice Breda e di un fucile mitragliatore tedesco; e che si tratta di materiale occultato in relazione ai recenti disordini. Anche in provincia di Varese sono stati trovati mitragliatrici, moschetti e bombe a mano. A Terni, presso la sede del Partito comunista italiano veniva rinvenuto e sequestrato un mitra Sten con quattro caricatori e 660 cartucce. A Torino avvenivano altri ritrovamenti. Voce dalla sinistra. Di che cosa? De Gasperi. Di armi, caro! (Viva ilarità). Si registra infatti il ritrovamento di 2 moschetti, di 2 fucili modello 91, di 2 bombe a mano, di uno Sten con due caricatori pieni, di 600 cartucce, eccetera eccetera. Così pure, ancora a Genova, un mortaio Breda, un fucile da guerra jugoslavo, efficienti e ben conservati, eccetera. Ora io dico: mettetevi nei panni miei: credete sul serio che si possa dire che non c’è che un’operazione parlamentare da fare e che tutto si possa accomodare così e chiudere? Se io avessi veramente questa scarsa sensibilità della politica, di quello che vale oggi la lotta nella nazione e mi accomodassi con un trasformismo parlamentare, rimpastando un ministero, sarei un uomo privo di senso di responsabilità, un uomo che dovrebbe vergognarsi di aver visto come le cose stanno e di non avere avuto il coraggio di affrontarle. (Applausi vivissimi dalla destra e dal centro). Ripeto che sono soddisfatto di poter affermare che la maggioranza degli operai è stata indifferente o ostile, almeno a queste esagerazioni, a questi atti e conati insurrezionali di rivolta. Questa è una tranquillità, non una sicurezza. Ma è una tranquillità, perché dobbiamo sperare che l’aver scoperta la macchinazione in questo momento, possa difendere la coscienza degli operai da una seduzione pericolosa come quella di credere che con un colpo di mano si conquisti il potere e si sciolgano tutti i problemi. Sarebbe un’atroce disgrazia per l’Italia in questo momento di sforzi, con una crisi industriale in atto, con una produzione diminuita (anche per l’eccessivo peso dei costi), con le questioni del credito estero! Sarebbe veramente un parricidio. (Vivi applausi dal centro e da destra). Avevo quindi ragione quando nel comunicato scrivevo, evidentemente facendo appello al senso di responsabilità della Cgil, di arrestare questo movimento. Il governo è lieto che questo sia avvenuto, ma non vi è dubbio che il governo era deciso a prendere tutte le misure che si possono prendere quando la Repubblica è in pericolo. L’onorevole Terracini verrà ad esaminare col contagocce l’autorizzazione o meno, la possibilità o meno. Certo non avremmo mai fatto, né mai agito come si agisce in quei paesi dove è un regime democratico progressista, come si dice. Non avremmo mai impedito agli avversari di parlare come non avremmo mai diminuito il controllo e l’autorità del Parlamento, perché questo è lo spirito, oltre che il testo, della Costituzione che va salvaguardata in ogni maniera. Siamo responsabili dinanzi a voi e ci inchiniamo a queste responsabilità. Aspettiamo la vostra decisione. Sono stati molto incauti alcuni senatori i quali, non essendo bene informati e credendo facilmente alla stampa che accusa il governo, hanno parlato su quel che è accaduto. Ho una lunga relazione della provincia di Siena, non voglio fare neppure i nomi dei paesi perché si tratta di persone onorate. C’è stato anche un caso che ha avuto per protagoniste due donne, una delle quali madre di un segretario della Democrazia cristiana: le due donne sono state denudate e costrette a percorrere le vie del paese. Sono purtroppo esatte queste notizie. (Sensazione – Commenti). Voce all’estrema sinistra. Controlleremo. De Gasperi. Controllate pure. Sono persuaso che voi deplorate questi fatti come li deploro io. Non vi faccio, neppure di lontano, il torto di attribuirvi complicità; ma guardiamo in faccia a quel che è avvenuto. Guardiamoci in faccia, (rumori), misuriamo la nostra responsabilità e misuriamo la serietà della situazione; non rimpiccioliamo la questione, facendone una questione di carattere parlamentare o di combinazioni di governo. Questo lo dico con tutta coscienza anche per il problema, che qui è stato posto in una forma certamente molto cortese, specie dall’onorevole Giua , della collaborazione con i comunisti. Su questo punto mi sono spiegato tante volte; mi pare che sarà la settima o l’ottava volta che devo esporre le ragioni che mi spinsero ad abbandonare la collaborazione coi comunisti. Se per la serietà della nostra vita politica è necessario esporle un’altra volta, le ripeterò. L’onorevole Giua ha accennato alla concezione originaria cristiana, che renderebbe facile la collaborazione con i comunisti, paragonati da lui ai cristiani e specialmente a quella frazione di cristiani del tempo di Tertulliano. Egli ha detto che il Cristo storico è un liberatore di schiavi. No! È una concezione errata, è una strana concezione in un paese che respira l’aria cristiana del cattolicesimo. L’interpretazione esatta è obbligatoria. Cristo deriva la fraternità, che senza dubbio è parte anche della psiche comunista, non da un vincolo semplicemente umano, ma dal Padre comune; egli insegna che la vita vera è quella futura. Da questa concezione, in cui lo spirito sopravvive e la materia si trasforma e si decompone, deriva la morale personale, sociale, cioè la responsabilità di ciascuno di noi, singoli e collettivamente organizzati, dinanzi al Padre. Deriva da ciò la concezione della persona umana che travalica i secoli, che è al di là e al di sopra degli uomini e degli ordinamenti sociali. (Applausi dal centro e da destra – Commenti da sinistra). Se voi, (si rivolge alla sinistra), non volevate che io trattassi questa materia, dovevate impedire all’onorevole Giua di parlarne; io ho il diritto di chiarire la questione. Il comunismo è Spartaco che conduce una disperata battaglia. Io ho visto molte volte quadri del vostro movimento in cui si vantava l’eroismo di qualcuno ed in cui era scritto: «cum Spartaco pugnavit». Qui si dovrebbe esaurire il destino dell’uomo nella concezione che tutto si decide qua; e ciò, secondo voi, sarebbe la molla più forte, necessaria per condurre vittoriosamente la lotta: a questo fine tutto deve essere subordinato. Ora non mi sfuggono – e l’ho detto altre volte, quindi non è che ripeta ciò per opportunità del momento; l’ho detto quando ero in situazioni di collaborazione – non mi sfuggono il senso di fraternità, di giustizia, di idealismo che possono animare anche molti aderenti al comunismo. Però, quando io ho collaborato, ho sempre collaborato nonostante le profonde diversità delle concezioni. Questa fu sempre la mia chiara posizione, anche quando i nostri rapporti erano di cortesia e di amicizia. Il richiamo, quindi, non vale. Non mi pare nemmeno che il preopinante abbia ragione quando stabilisce un certo obbligo morale della Democrazia cristiana in confronto dell’onorevole Togliatti, un certo senso di gratitudine, perché egli non prese il potere nell’immediato dopoguerra. Allora c’era il sistema del Cln, ed era naturale, poiché il paese era occupato dagli angloamericani. In uno degli ultimi discorsi, non ricordo esattamente, di parte comunista, è stata sostenuta la tesi che altro è un partito che si è svolto in un regime di occupazione russa ed altro un partito che si è svolto in un regime di occupazione anglo-americana. Collaborammo, tuttavia, poiché questo ci sembrava l’imperativo categorico, nei momenti di emergenza, di tutti i partiti, e perché allora non c’era un Parlamento, non c’era una Camera, non c’era la possibilità di stabilire una maggioranza ed una minoranza col suffragio universale. Poi era naturale che le cose cambiassero: era naturale ed infatti si è sempre previsto. Ma è vero che prima ancora che questa necessità parlamentare si avverasse, ancor durante la Costituente, fui spinto a collaborare, dalla situazione economica, con Einaudi. Fu in quel momento che avvenne la rottura. Io riconosco che la rottura è avvenuta anche perché l’ambiente vi era disposto e da parte del mio partito era continua la critica che, mentre noi collaboravamo nel governo, al di fuori, i nostri fossero esposti a un diverso trattamento da parte dei comunisti. Queste sono state le ragioni accidentali, chiamiamole così. Egregi senatori, non intendo nascondermi dietro una tattica, ma queste sono state le ragioni. Nessuno è padrone di governare la politica di una nazione, senza tenere conto dei fatti che avvengono all’interno e all’esterno e senza dover per forza sentirsi spinto da direttive che non ha previsto. Forse questa scissione, chiamiamola così, non sarebbe stata duratura, e soprattutto non si sarebbe forse inserita nel sistema democratico parlamentare, per il quale è giusto ed augurabile che esista una maggioranza che assuma la responsabilità e una minoranza che controlli e faccia l’opposizione. Forse non sarebbe stata così profonda e duratura se il Partito comunista avesse dimostrato di essere democratico, senza riserve di armi e di conati insurrezionali, cioè fedele al sistema parlamentare. Quante volte, anche durante la campagna elettorale, ho chiesto una dichiarazione precisa, che non è venuta perché non poteva venire! Se la sua direttiva, comunque, si fosse modellata nel quadro degli interessi e della visione nazionale (non sono un nazionalista che escluda la collaborazione internazionale con le forze naturali che esistono nel mondo, divenuto già piccolo, attraverso le quali forze si debbano subire o accettare anche influenze dal di fuori) la collaborazione sarebbe rimasta possibile. Mai i partiti comunisti italiano e francese si sono trovati in una situazione particolare. Come diceva Ždanov nella prima seduta del Cominform, «il Partito comunista italiano e quello francese sono la chiave di volta di tutto l’edificio faticosamente costruito oltre le frontiere dell’URSS, sono parte di un sistema internazionale contrapposto all’unione occidentale, in contrasto al Piano Marshall e in contrasto alla politica estera». Bisogna vedere le cose come sono; non si può avere un atteggiamento simile e credere alla possibilità di collaborazione con quelli che pensano in modo diametralmente opposto. Voi avete la responsabilità di aver anticipato la visione di due blocchi, l’uno contro l’altro armato, che oggi non esistono in questa forma. Guardate come la Francia e l’Italia, pochi giorni fa, hanno espresso il loro concetto fondamentale: federazione degli Stati europei, che è una terza cosa, una possibilità più larga, forse un’ancora di salvezza. Amici miei, se tali sono i rapporti non doletevene e non attribuiteli a piccole schermaglie. Se noi dobbiamo tirare le conseguenze e portare il duro travaglio di una ostilità comunista, ciò avviene perché, io lo so, non possiamo sempre, anzi lo possiamo raramente, raggiungere gli operai in certi settori (per esempio, gli operai di Sesto San Giovanni e di Torino, ai quali con piccoli manifestini si diceva di non credere alla radio che è in mano del governo, ma di credere alle verità da quei manifesti portate). Dinanzi a queste menzogne, a queste difficoltà di avvicinare e di fare appello all’opinione degli operai, dobbiamo pur dire che il non avere interpreti tra loro e noi i rappresentanti sindacali, oppure i rappresentanti della maggioranza socialcomunista, è una difficoltà di più per un governo che vuole creare e ricostruire. Questo lo devo ammettere, ma devo pure ammettere che un doppio giuoco a questo riguardo non è uno scherzo da farsi contro questo o quel partito; significherebbe tradire gli interessi della nazione. Vorrei che i comunisti fossero persuasi che in me hanno, per un certo lato naturalmente, per le ragioni del contrapposto, un ammiratore. Riconosco la serietà, l’importanza politica della loro opposizione quando l’«ufficio d’informazione» rileva che «la direzione del Partito comunista in Jugoslavia, nelle questioni principali di politica estera e interna, segue una linea sbagliata che costituisce un abbandono della dottrina marxista-leninista» e chiede l’autocritica, cioè come ai tempi dei primi cristiani, la confessione pubblica, e spera di ottenere una tale disciplina. Io che ne temo le conseguenze, ammiro però questa forma che fa appello a tutti i sentimenti di solidarietà operaia, l’ammiro, ma vi vedo un grave pericolo, così come vedo un pericolo quando Ždanov interviene presso un professore di filosofia come l’Aleksandrov per impedire che insegni la filosofia così come è, e pretende invece che essa serva come arma in genere contro la mentalità occidentale. Temerei assai di dover tener conto che la dottrina marxista-leninista, se avessi nella coalizione ministeriale deputati o ministri di questa corrente, potesse venire richiamata alla loro coscienza per giudicare la nostra politica interna e internazionale. Se la nostra politica, magari classificata nazionalistica o fascista, dovesse subire le direttive internazionalistiche del bolscevismo, non è piccola questione, amici o avversari, ma è grande questione. Dobbiamo guardare in faccia il problema ed assumere tutte le nostre responsabilità. Non minimizziamo il problema. Lo stesso Togliatti ha dato un esempio nel suo ultimo intervento alla Camera. Valuto altamente la grandezza dell’autocritica e della confessione pubblica imposta da Ždanov e valuto il significato politico della completa adesione perinde ac cadaver data a tale criterio dai comunisti italiani. L’onorevole Terracini, pur facendo vista di non volerlo fare, si è consolato con la critica occidentale, quella del Times. Le sue informazioni risalgono ai rapporti di qualche giornale italiano, penso a l’Unità o a qualche altro giornale. Io ho qui dinanzi la relazione del 17 luglio sugli avvenimenti. Nella riproduzione e traduzione fatta nei giornali comunisti , o filocomunisti, si è dimenticato di introdurre questi due capoversi: 1) «La rivelazione, durante la sciopero, della ancora perdurante esistenza di uno spirito insurrezionale, di uomini risoluti che conoscono il loro obiettivo ed hanno al loro comando forze organizzate per raggiungerlo se non ne verranno risolutamente impediti dalle forze della legalità e dell’ordine. Le autorità locali e di polizia hanno comunque resistito bene alla dura prova»; 2) «Lo sciopero, se lo si considera come una protesta degli elementi di estrema sinistra della classe operaia contro l’attentato alla vita del loro capo, è stato un successo; ma, nella evidente intenzione degli organizzatori, si voleva che fosse qualche cosa di più di questo: si voleva scuotere la posizione del governo, ed in ciò fu un fallimento. È servito a dare una prova incoraggiante della crescente forza del governo nell’affrontare gravi difficoltà interne». Le interpretazioni che si possono dare di questo e di altri articoli, sono quindi varie. Comunque non posso non dichiarare ancora qualche altra cosa in argomento. Io non posso credere che l’opinione inglese condivida la diffidenza di taluni contro di noi, quasi volessimo qui in Italia, o fossimo per ricostruire il fascismo o volessimo permettere una tale ricostruzione. Atti terroristici ci furono in tutti i paesi e vi sono nella storia di tutti i paesi. Noi facciamo fronte su due lati contro chi coltiva la violenza per una rivolta e contro chi coltiva la speranza di dittature nazionalistiche; ed interveniamo, secondo le nostre possibilità, e quando il momento più urge, da una o dall’altra parte. Non con la polizia intendiamo specialmente intervenire, ma con la politica di assestamento del bilancio, di consolidamento economico e democratico Non si può pretendere che in due mesi, pieni di dibattiti parlamentari (e qui vorrei dire all’onorevole Terracini, che pare si preoccupi che non ci siano abbastanza crisi per imitare la democrazia francese: io ritengo che quello che avviene nella democrazia francese non sia una prova che consolidi e garantisca i regimi parlamentari e i regimi democratici), (approvazioni), si attuino riforme più radicali. Lo Stato italiano – gli inglesi che furono qui o che sono informati sulla vera situazione lo sanno – si va ricostituendo nel suo spirito, ma lo spirito è ancora amareggiato dalla sconfitta e dalla guerra civile. L’applicazione del trattato su cui si è insistito, il riflusso in Italia di tutti i profughi, reduci ed esuli dalle colonie, il naturale accrescimento della popolazione ci pongono innanzi ad un problema che non esiste in tale misura in nessun paese del mondo. La disoccupazione è il problema più assillante e, se vi è qualche cosa che spiega, che scusa l’agitazione, il fermento, il dinamismo eccessivo degli operai, è il fatto di questa minaccia che pende sulle loro teste nella presente situazione. (Approvazioni). Ora, o amici, quando il lord cancelliere Jowitt nella sua conferenza a Roma prima delle elezioni , ci spiegò il concetto inglese della democrazia, fondato sulla libera discussione e sul rispetto della legge, abbiamo risposto: «questa è la nostra democrazia, quella a cui tendiamo, questo è il nostro programma». E quando aggiunse quelle parole alla sua conferenza che voi ricorderete: «se voi precipitate anche noi precipitiamo, se noi precipiteremo precipiterete anche voi», abbiamo aderito, perché questo è legame di due popoli che credono nella libertà e nella democrazia. Dobbiamo però dire, proprio nel momento in cui si inaugura la Conferenza di Parigi per l’applicazione del Piano Marshall, oggi in cui la voce dei nostri amici può farsi sentire, dobbiamo dire che noi siamo soffocati dal problema della disoccupazione, contro il quale ci battiamo con tutte le forze, ma che non è solubile se questo non lo si fa presente anche nei consessi internazionali e a quelle nazioni che hanno la possibilità di dare lavoro ad un popolo esuberante. Su questa base democratica abbiamo vinto il 18 aprile, e su questo intendiamo batterci in avvenire. L’onorevole Terracini ci ha fatto un quadro terrificante di questa legge antisciopero che staremmo emanando. Ora noi stiamo facendo degli studi in base a ciò, ma praticamente, in sede politica, il problema non è stato affrontato. Però io ho già detto alla Camera che i problemi sono due: da una parte la libertà sindacale, la libertà di sciopero, e dall’altra il problema di esistenza della comunità nazionale. Bisogna vedere come la comunità nazionale, in caso di sciopero o di qualsiasi altro disastro, mettiamo anche un terremoto, possa soddisfare alle sue esigenze essenziali di vita. Oggi non è più il caso di dire: restiamo neutrali, stiamo a vedere. Oggi lo Stato, ha detto bene il senatore Labriola , è già sulla strada della socializzazione, cioè è già sulla strada dell’intervento nell’economia del paese. Noi siamo obbligati ad intervenire con finanziamenti, socializzazioni, controlli, nei momenti più critici. Noi diamo il denaro della cassa comune alle imprese che gravano già sullo Stato, se il loro pareggio non si determina naturalmente secondo le regole economiche. Prestiamo denaro alle imprese che non gravano direttamente sullo Stato, ma che sono necessarie per l’occupazione degli operai. È strano che proprio da questa parte non si mostri nessuna preoccupazione e si pensi che allegramente si possa scioperare all’Ansaldo, alla Breda e in altre fabbriche, senza riflettere sull’esistenza di due minacce cui noi vogliamo ovviare: il licenziamento senza assicurazione degli operai e il fallimento delle imprese con la riduzione della produzione per eccessivi costi interni. Entrambi i problemi debbono essere fronteggiati, ma le difficoltà sono grandi e serie. Abbiamo bisogno del vostro consiglio e della vostra collaborazione. Ma soprattutto è necessario che il problema non sia visto dal punto di vista degli operai contro i fabbricanti o degli industriali contro gli operai. Il problema deve essere guardato dal punto di vista della produzione e dell’esistenza della comunità nazionale. Occupazione delle fabbriche! «Non avete imparato niente da Giolitti», è stato detto. nitti. Fui io che l’impedii. De Gasperi. Tanto meglio, mi correggo, onorevole Nitti. Credo che lei sarà testimone anche di quello che dico. Differenze di tempo e di metodo. Lo sciopero è abbandono di lavoro, non presa di possesso degli strumenti di lavoro. Quindi la libertà di sciopero non c’entra e soprattutto non è esercizio di comando nelle fabbriche. Ma quando voi fate occupare fin dal primo momento la centrale elettrica, le portinerie, i servizi, vi fate dare le chiavi del deposito della benzina, vi impadronite dei veicoli e proibite agli operai ed ai dirigenti di uscire, non si tratta di uno sciopero. Voi chiamate queste operazioni, occupazioni. Magari fossero solo occupazioni! Ma ad un certo momento appaiono le mitragliatrici. L’onorevole Giua ci ha detto che gli operai hanno salvato le fabbriche nel tempo dell’occupazione nazista e che quindi oggi hanno il diritto di impadronirsene. (Rumori da sinistra). Vi prego di notare che io non contesto il fatto. L’onorevole Giua ha detto questo per giustificare le occupazioni. Questo sentimento può spiegare le occupazioni delle fabbriche che si sono trovate sotto la dominazione nazista, ma le altre? Si arriva a dire che la fabbrica è degli operai. Voi avete detto che siamo noi reazionari, che non vogliamo i consigli di gestione. Ma non c’è il consiglio di gestione alla FIAT? Non c’è la commissione interna alla FIAT? Perché deve andarvi l’onorevole Moscatelli quando ci sono già i rappresentanti degli operai? Voce a sinistra. L’onorevole Moscatelli ha lavorato alla FIAT. (Commenti). De Gasperi. Ad ogni modo, quando si tratta di occupazione di una fabbrica senza armi, la pratica Nitti può essere tempestiva ancora oggi: ma quando si vuol fare della fabbrica il centro per impadronirsi dei veicoli, della benzina e dei mezzi per dominare una grande città, non si può parlare di un’operazione singola, ma si deve riconoscere che si tratta di un’operazione che si inquadra in tutta la situazione. In tal caso bisogna agire; noi siamo molto prudenti al riguardo, non abbiamo voluto in nessuna maniera far questione del sequestro delle persone in un primo periodo. Però il ministro dell’Interno ha proclamato il dovere dello Stato di combattere questi sequestri di persone. Noi ci troviamo dinanzi ad un’alternativa da cui dobbiamo uscire. La socializzazione è una soluzione che io non consiglio in questo momento, perché essa si può fare solo quando le cose vanno bene. Ma se non si può fare la socializzazione, è necessario che nelle fabbriche ci sia la disciplina. Non è possibile che le cose continuino ad andare così. I dirigenti sono spaventati, sia per i fatti del passato, sia per minacce di adesso; taluni di loro, proprio i migliori, domandano già di andarsene. Ciò porta alla diminuzione della produzione. Facendo questo, voi non fate l’interesse delle industrie, di quelle industrie che (se le cose procedono secondo le vostre aspirazioni) dovranno un giorno essere dei lavoratori. Voi non le salvate per quel termine, poiché andranno prima al fallimento. E poi vi domando: perché non vi ricordate, quando voi rispondete: «lo sciopero non si fa più in Cecoslovacchia, poiché lì sono gli operai che comandano» (infatti il presidente della Confederazione occupa ora un’importante carica ed è anche ministro), che in Cecoslovacchia si è dichiarato: basta con il boicottaggio della produzione: oggi bisogna lavorare? (Interruzioni – Commenti). Io capisco ciò, ma guardate, volete che una buona volta risolviamo assieme almeno il problema dell’IRI, delle industrie che pesano sullo Stato, per le quali noi spendiamo miliardi che prendiamo dalle casse comuni cui contribuiscono i poveri del Mezzogiorno? (Applausi vivissimi dal centro e da destra). Volete questo? E allora aiutateci a farle attive, a promuovere la produzione, aiutateci a riprenderli questi miliardi, poiché altrimenti sarà il marasma e l’anarchia. Ricordatevi che più del 50 per cento delle industrie pesano sulle casse dello Stato. È inutile guardare alla forma: su questa si può discutere, ma il fatto è che queste industrie pesano sul bilancio dello Stato e dobbiamo provvedere noi, perché siamo azionisti. C’è la forma dell’azionariato privato, ma questa poco importa. Le cose finiscono al Consiglio dei ministri ed al Ministero del Tesoro e quindi ve ne occuperete ancora, quando si tratterà di discutere di bilanci. Bisogna che la nazione sia in guardia su questo problema. Bisogna francamente che, affrontando questo problema, noi assumiamo le nostre responsabilità; poiché così le cose non possono più andare avanti. La diminuzione della produzione è evidente. Mi diceva uno dei dirigenti delle industrie, che a Torino, in giugno, sono state pagate 19 giornate, poiché per il resto si è scioperato. Ma permettetemi di dirvi una cosa: quando voi ve la prendete, o quando gli operai se la prendono con l’amministrazione delle ferrovie e delle poste, con chi se la prendono? Forse che l’amico Jervolino o l’amico Corbellini, rappresentano i capitalisti? Forse che essi rappresentano le classi privilegiate? Essi rappresentano lo Stato, l’amministrazione dello Stato. Il bilancio delle ferrovie ha 52 miliardi di passivo; il bilancio delle poste, mi sembra abbia 20 miliardi di passivo. Tutto questo pesa sul bilancio e noi dobbiamo fare uno sforzo per arrivare al pareggio. Ricordatevi che si possono aumentare i salari solo per due ragioni: aumento del carovita ed aumento di produzione. Se questo non c’è, non c’è che da far girare la macchina e quindi aumento dell’inflazione e quindi nessun valore d’acquisto della moneta. All’onorevole Terracini è sfuggita ad un certo momento una sfida molto audace. Egli ha detto: perché non citate anche voi i giornali? Egli ha citato parecchi giornali per dimostrare lo spirito reazionario del governo; qualche giornale lo citerò anch’io, ma di quelli recenti. Ecco l’Unità del 21 luglio: «al governo è stato dato un monito: risulta che questo monito, pur nella sua gravità e nella sua possente forza, non è stato ancora sufficiente. Vadano dunque avanti, con decisione, nella strada della lotta i lavoratori. Allarghino il campo della battaglia per la libertà e per il pane. La portino su tutti i terreni dove la libertà e il pane del popolo e la pace sono minacciati. Si levino contro l’aumento del prezzo del pane, (applausi da sinistra)… smascherino i traditori dell’unità sindacale, sviluppino attraverso i sindacati la difesa dei salari e degli stipendi… » (Applausi da sinistra). Non fingete di applaudire! «Intenda il governo e mediti bene se ancora ne è capace: lo sciopero generale non ha chiuso la battaglia, l’ha iniziata» . Questo a proposito delle melodie ironiche che si sentono qui dopo quanto è scritto nei giornali. Ed ecco quello che, sempre l’Unità, il giorno 22 luglio ha scritto, a proposito del funerale del compagno Glionna: «le bandiere rosse s’inchinano davanti al compagno Glionna, caduto nella lotta contro il governo dell’odio e dell’assassinio» . E l’Avanti! pure del 22 luglio: «un giornale del governo ha chiesto che si aprano le carceri per gli esponenti dell’opposizione. Dopo il delitto Matteotti, la soppressione del Parlamento». Chi scrive è uno abituato alle figure storiche ed ha quindi agganciato il suo pensiero a qualche altra cosa, per quanto lontana essa sia. Poiché queste parole di odio e di assassinio sono state scritte a proposito di un funerale, mi ricordo che il 15 ottobre 1947 (mi pare vedere l’onorevole Conti che fu con me a quel funerale) si seppellì in Roma un giovane che era stato vittima, durante la notte, di un assalto. (Interruzioni e commenti). Non entro nel merito. Dico solo, poiché qui ho letto una specie di epitaffio per una vittima, per l’operaio morto, che ricordo un altro epitaffio. Centinaia di migliaia di persone che accompagnarono il cadavere del povero Federici sino a Santa Maria degli Angeli, ricordano che sulla Chiesa nuova c’era una iscrizione che suonava così: «suffragio e onore a Gervasio Federici di anni 23, fiero assertore di umana libertà. Il sangue innocente impetra sugli uccisori la divina misericordia ed ai concittadini la pacificazione nell’unità». (Vivi applausi dal centro e da destra). terracini. È ora che facciate il processo. De Gasperi. Sarà fatto il processo. Comunque in quel momento abbiamo trovato questa nota nostra: vi prego di trovarla anche voi in occasione degli eccidi deplorevoli che avvengono dalla vostra parte. E concludo. Il governo sarà fermo, deciso, giusto. La magistratura indipendente è chiamata ad agire e certo agirà secondo coscienza e secondo la legge. Le sanzioni per i singoli reati dovranno preservarci da altri conflitti più gravi. L’impunità sarebbe complicità. (Approvazioni). La magistratura, che ha assunto immediatamente l’istruttoria nel caso Togliatti, ha già avviato le più rigorose ricerche. Se qualsiasi indizio risultasse a carico di complici o di mandanti, il governo non ha che un desiderio: che si proceda col massimo rigore e, nella sfera della sua competenza, non mancherà di intervenire. Ma con quale spirito di umana comprensione si consideri l’urto nel suo complesso, lo hanno detto le parole commosse del ministro dell’Intemo che qui alla Camera ha accomunato in un solo rimpianto le vittime: uomini d’ordine e dimostranti. Questo uomo, contro cui si è rovesciato tanto impeto di ingiurie e di calunnie, merita il riconoscimento di tutti per il suo coraggio, per il suo impegno, per la sua energia… (vivissimi applausi dal centro e dalla destra – invettive dall’estrema sinistra)… Menotti . Abbasso Scelba! (Dalla destra e dal centro si risponde con grida di:«viva Scelba»). De Gasperi. …per il suo spirito di sacrificio. In lui intendo segnalare alla riconoscenza della nazione tutte quelle forze dello Stato che hanno fatto il loro penoso e rischioso dovere. (Applausi dal centro e dalla destra). In quanto alla massa operaia, ripeto, noi sappiamo bene distinguere i gruppi – limitati per fortuna – i quali si sono malauguratamente impadroniti del movimento, sfruttando la legittima reazione degli animi all’annuncio, dato per radio, dell’attentato e che, seguendo disposizioni, cosiddette di sicurezza, del Partito comunista, hanno la colpa dei gravi disordini avvenuti. Ma la grande massa dei lavoratori non si lascia suggestionare da propositi di violenza e di rivolta. Questa considerazione e l’altra, ancora più umana, che gli animi dei lavoratori – e già l’ho accennato – sono angosciati per la minaccia della disoccupazione, fanno concludere che bisogna attendere con rinnovato fervore ad eliminare le cause, specie economiche, del disagio. È il travaglio più grave che abbiamo, noi governo e voi membri del Parlamento. Bisogna che in un rinnovato sforzo di solidarietà e di comprensione cerchiamo di bandire questa angoscia il più possibile. I lavoratori debbono sapere che crediamo sul serio alla democrazia del lavoro e che intendiamo attuarla con spirito di libertà e di giustizia sociale. Le organizzazioni sindacali non hanno nulla da temere in quanto esercitino la loro funzione di rappresentare e promuovere l’interesse dei lavoratori e non si lascino sfruttare da una politica faziosa. Questa distinzione tra funzioni sindacali e funzioni di partito è la condizione perché i sindacati non vengano travolti nella lotta politica. Signori senatori, il governo intende agire con umana serenità, con preveggenza e con mezzi di forza solo quando siano necessari per difendere la libertà e i diritti dei cittadini. Concentrerà ogni suo sforzo in una politica sociale che renda giustizia ai lavoratori e ai ceti medi e garantisca a tutti le libertà democratiche. (Vivissimi applausi dal centro, centro-destra e dalla destra – Grida di: «viva De Gasperi» – Moltissime congratulazioni). [Dopo alcuni interventi segue la replica del presidente del Consiglio al discorso dell’on. Emilio Lussu]. Mi pare che l’onorevole Lussu – mi rettifichi se sbaglio – abbia detto che io non ho avuto parole di deplorazione per l’attentato, lussu. Io ho detto che nel suo lungo discorso di oggi non ne ha fatto parola. De Gasperi. È vero che io non ho ripetuto oggi la mia deplorazione, perché questa già l’ho espressa in varie dichiarazioni, alla Camera, al Senato e fuori del Parlamento. Io credo che chi mi conosce, e quindi anche l’amico Lussu, non ha bisogno che io mi ripeta ancora per convincersi che ho deplorato questo attentato. La mia mentalità mi porta a deplorare tutti gli attentati; li ho deplorati anche durante il fascismo. Voi avete ricordato il caso Matteotti e tanti altri; io voglio ricordare anche l’attentato del 1926 a Bologna contro Mussolini. Le conseguenze di questo attentato le abbiamo sofferte tutti; siamo stati cacciati dalle nostre case, siamo finiti in prigione… (rumori da sinistra)…e allora, in una specie di assise improvvisata, mi si è chiesto se io, che ero allora un avversario, uno degli aventiniani più in vista, deploravo l’attentato contro Mussolini. Io ho detto: mi vergogno di voi e di me che voi pretendiate questa dichiarazione. Tutta la mia vita è qui, tutta la mia morale è qui, la limpidezza della mia coscienza è fuori discussione. Posso sbagliare, ma non… (Interruzione dell’onorevole Lussu – Vivi clamori in tutti i settori). Lasciami parlare, Lussu: tu sei una specie di Fouquier-Tinville dell’opposizione. Io dico che non vi è possibilità di dubbio alcuno che, se l’ho fatto in quel tempo per attentati contro Mussolini, è perché c’è una logica ferrea, severa nella mia vita, per cui non è possibile che io non deplori questo attentato e molto meno che l’abbia anzi ispirato. (Interruzioni dell’onorevole Lussu – Vivi clamori in tutti i settori). Amico Lussu, tu hai sempre ragione! Ad ogni modo riconosco che i tuoi meriti qualche volta non sono riconosciuti e che da persone della mia parte si facciano talvolta delle interruzioni che non rispondono alle esigenze del tuo carattere. Però anche tu, Lussu, devi ammettere che hai assunto la posizione mal comoda di accusatore pubblico, e come hai gridato a me, in altre crisi: «via De Gasperi dal banco del governo!» così hai continuato a gridare «via Scelba da quei banchi!». Quando si assumono simili posizioni, con quel tono profetico che Lussu ha assunto, bisogna pazientemente anche spiegarsi come qualche volta si possa essere fraintesi. (Vivissimi applausi dal centro e da destra). |
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| Il discorso pronunciato dall’onorevole Longo è molto grave, e merita di essere letto attentamente e meditato. Poiché la conclusione è stata di ritirare la mozione, io non mi addentrerò nella polemica, dato che l’occasione si presenterà in altro momento. D’altra parte, la maggior parte di accuse e la maggior parte delle ragioni, o presunte ragioni, esposte dall’onorevole Longo, sono già state ribattute da me e dai miei collaboratori in questa e nell’altra Camera. Tuttavia mi pare di poter riassumere la mia impressione in poche parole: sembra che l’onorevole Longo abbia dimenticato che in queste ultime dimostrazioni, in seguito al deplorevole attentato contro l’onorevole Togliatti, vi sono stati sedici morti e cinquecento feriti: di questi sedici morti, nove sono appartenenti alle forze dello Stato e trecento sono i feriti tra gli agenti ed i carabinieri. Tutto il tono del suo discorso è stato come se ci fosse stata una battaglia, della quale fossero stati vittime soltanto i dimostranti. Queste cifre sono la prova… pajetta Gian carlo. Per noi sono tutti eguali! (Commenti al centro). Una voce all’estrema sinistra. Sono tutte vittime sue, onorevole De Gasperi! (Rumori al centro). reGGio D’aci. Lo sapete che siete in malafede! De Gasperi. Sono tutte vittime che noi accomuniamo nel nostro dolore e nel nostro rimpianto. Però le cifre e la distinzione in categorie che ho fatto prima, (interruzioni all’estrema sinistra – proteste al centro e a destra), dimostrano che non v’è stato un movimento soverchiante di forze dello Stato contro una minoranza inerme. D’altra parte l’onorevole Longo ha dimenticato tutte le armi e le mitragliatrici che sono state postate, tutti gli atti di carattere insurrezionale. (Interruzioni all’estrema sinistra). Egregi colleghi, non ho bisogno di rifare elenchi e citare testimonianze. Tutto è in mano della magistratura. La magistratura deciderà. (Interruzioni all’estrema sinistra). La magistratura farà giustizia dell’attentato contro Togliatti (applausi al centro e a destra – interruzioni all’estrema sinistra);la magistratura, che è uno dei pilastri dell’indipendenza repubblicana, agirà con severità, ma certo con coscienza. Ci affidiamo completamente ad essa. Non è il governo che agisce, non è un maresciallo che agisce e che cerca di reprimere e di intervenire, ma sono dei magistrati indipendenti… (Vivi applausi al centro e a destra – Interruzioni all’estrema sinistra). L’onorevole Longo ha tenuto un linguaggio che corrisponde pienamente alle dottrine e alla prassi del Cominform. È un discepolo che veramente va lodato. (Applausi al centro – Interruzioni all’estrema sinistra). Ma per fortuna dell’onorevole Longo e dei suoi compagni, qui siamo in democrazia e in libera democrazia. (Applausi al centro e a destra). Egli può dire alla Camera italiana quello che vuole, persino cose che fanno spavento (applausi al centro e a destra) perché implicano indirettamente… (vive interruzioni all’estrema sinistra)… Una voce all’estrema sinistra. Nessuno ha attentato a De Gasperi! (Vive proteste al centro). De Gasperi. …implicano, sia pure in forma ipotetica (ipotesi un po’ attenuata) un appello alla forza e un’ipotesi di insurrezione, che deprechiamo con tutto il cuore, ma che cercheremo con tutte le forze di impedire! (I deputati al centro e a destra si levano in piedi e applaudono a lungo – Rumori all’estrema sinistra). Signori miei, non è lecito diffamare questo governo e la maggioranza del Parlamento italiano, (rumori all’estrema sinistra), accusandoli di essere fascisti: questo è diffamare la maggioranza del popolo italiano. (Vivissimi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra). E se gli esperti del Cominform sanno che questa divisione in fascisti e antifascisti serve a dare la spiegazione del conflitto fra i due blocchi internazionali ed è spesso sulle labbra di Ždanov e dei suoi collaboratori, se sanno questo, gli italiani sanno ancora di più: che il tentativo di far passare per fascista questo governo democratico, eletto da sedici milioni di cittadini, non riuscirà! (Vivi applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra). Signori, vi prego di fare un piccolo confronto. Se sono bene informato, un deputato ungherese rappresentante della minoranza jugoslava… (Interruzioni all’estrema sinistra – Scambio di apostrofi fra l’estrema sinistra e il centro). Un momento, un momento, la cosa è troppo importante! Dico, se sono bene informato: un deputato ungherese, (interruzione all’estrema sinistra), rappresentante della minoranza jugoslava in Ungheria, fu espulso dal Parlamento perché criticò e si oppose alla dichiarazione del Cominform… (Applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra). Con tali precedenti a vostro carico, voi venite qui ad accusare noi, che vi lasciamo (e vi dobbiamo lasciare in base alla Costituzione) la più ampia libertà… (Interruzioni all’estrema sinistra). In realtà, in Italia voi tentate di sabotare la democrazia, di sabotare il nostro sforzo di creare lo Stato democratico (applausi al centro e a destra); voi trascinate una parte dei lavoratori – e per fortuna la maggioranza non vi segue! (Applausi al centro) – in un attacco contro la democrazia, contro il Parlamento, perché in fondo tutto il discorso dell’onorevole Longo è stato un attacco contro il sistema parlamentare! (Applausi al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra). Voi dite, minacciando, che contro l’eventuale ipotetico slancio delle masse diretto contro il governo e contro le istituzioni democratiche non varranno le nostre leggi, nemmeno quella del disarmo. Non so che cosa varrà… (Interruzioni del deputato Audisio – Proteste al centro). In quel caso, in quel malaugurato e deprecato caso al quale ha accennato l’onorevole Longo, io dico: voi non avrete solo di fronte le forze dello Stato, ma anche i nostri petti! (I deputati al centro e a destra si levano in piedi e applaudono lungamente – Rumori all’estrema sinistra). Onorevoli colleghi, ho accettato, perché dovevo accettare, di discutere anche questa ipotesi, ma spero che non si avveri e sono sicuro che non si avvererà, soprattutto per il buon senso del popolo italiano ed il senso di libertà delle masse lavoratrici in Italia. (Applausi al centro e a destra). Detto questo, io faccio mie le parole dell’onorevole Longo e le rivolgo a lui ed ai suoi amici: arrestatevi sulla via della violenza. (Vivi applausi al centro e a destra). Qui, da due mesi e mezzo si è avuta la possibilità di dire del governo tutto il male che si voleva; si è avuta la possibilità di tentare di impedirgli la libertà di parola; si è avuta la possibilità di assumere nei comizi un tono che doveva essere fatalmente pericoloso: questa è la libertà della Repubblica italiana; la difendiamo e l’accettiamo come conquista definitiva della democrazia e della Repubblica. Io vi prego, e vi scongiuro di accogliere questo appello dell’onorevole Longo, che faccio mio rivolgendolo a voi stessi, alle vostre forze: se voi accetterete il sistema parlamentare, se voi come opposizione ricorrerete a tutte le armi parlamentari, di cui potete disporre – noi siamo in un regime di libertà – allora possibile sarà l’intendersi sia sopra i doveri della maggioranza, sia sul controllo e i diritti dell’opposizione; se però fuori di qua voi vorrete incutere paura su molti, sui troppi uomini pavidi in Italia, che non appartengono alle classi lavoratrici, ma che hanno la preoccupazione di difendere la propria proprietà o i loro guadagni, (interruzioni all’estrema sinistra): se voi, attraverso una tattica intimidatrice dei vostri discorsi e delle vostre manifestazioni, armate o semiarmate clandestinamente, continuerete ad esercitare una pressione terroristica sul popolo italiano per preparare l’ipotesi a cui avete accennato, vi dico che noi abbiamo anche il compito di difendere il popolo italiano e la classe dei lavoratori italiani contro la paura e d’infondere loro il coraggio necessario per la difesa della libertà e della democrazia. (Vivissimi, prolungati applausi a sinistra, al centro e a destra). |
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| Sono stato sempre molto ottimista delle previsioni comparse sulla stampa ed ho avuto sempre fiducia nella vittoria della democrazia. Fiducia che è andata sempre aumentando durante lo svolgimento della campagna elettorale con i frequenti incontri che ho avuto con le folle. Avvertivo che la mia parola trovava una pronta rispondenza nell’animo degli uditori e non solo per il calore che suscitava la mia polemica, ma specialmente per l’adesione, che si manifestava con evidenza, alle argomentazioni e sui termini della contesa elettorale come sui problemi concreti. È, perciò, che mi sono sempre meravigliato per il fatto che i frontisti, i quali è evidente non potevano ignorare e condividere i consensi che andava guadagnando lo schieramento governativo, insistessero nell’assicurare in modo categorico ai loro iscritti e simpatizzanti, non solo la maggioranza relativa, ma addirittura quella assoluta. Non riesco a capire come si possa giungere a questi assurdi e compromettersi in questa maniera. Io ero certo di raggiungere la maggioranza relativa, ma non mi sono mai sognato di affermare, come essi facevano per il fronte, che avremmo raggiunto la maggioranza assoluta. Questa è dipesa dalla maturità politica e dal senso di comprensione e di responsabilità che ho dovunque riscontrato nei comizi, nei quali parlavo con parola semplice e franca e senza avere il tempo di preparare i discorsi. Pure, dovunque, le folle erano attente, sensibili, convinte dei fatti e, soprattutto, compresse di un sentimento superiore di profondo attaccamento alla patria. Erano i ragionamenti che investivano i problemi nazionali quelli che più facevano presa sulle folle superando di gran lunga gli interessi per le questioni locali. In Sicilia, ad esempio, nonostante che tanto si parlasse di federalismo, c’è un sentimento di italianità che vale ogni altro argomento locale. Dovunque, quando parlavo di Trieste, la folla scattava e se non ne parlavo mi veniva dappresso domandandomene e si veniva intorno a me agitando bandiere e inneggiando a Trieste. Dovunque ho parlato alla popolazione, ragionando intorno ai problemi più gravi della vita nazionale, ammettendo che indubbiamente il governo poteva aver commesso degli errori, errori, però, nel valutare i quali non si può prescindere dalle difficoltà generali della situazione in cui il governo doveva agire. Il popolo italiano senza dubbio aveva, in primo luogo, una ferma volontà di non essere bolscevizzato ma, in secondo luogo, riconosceva che gli uomini, nel governo, sono dei galantuomini e che essi hanno fatto ogni sforzo per la ricostruzione del paese e per il risanamento della situazione economica. Ed è questa maturità mostrata dal popolo che rappresenta l’elemento principale che l’italiano ha acquisito in se stesso, un elemento che sta molto al di sopra di ogni questione di partito. Ma del resto di questa maturità si erano avuti chiari sintomi sin da quando formai il mio quarto ministero. Fu un gesto di coraggio e un atto di fiducia nel popolo italiano, nelle sue possibilità di ripresa e nel formarsi del nuovo regime democratico. E d’altra parte, su che cosa potevo contare? Non avevo nulla di speciale. Questo è l’argomento da tener presente, perché nelle elezioni oggi può vincere un partito e domani un altro. Ma l’importante è che il popolo decida con piena maturità, secondo programmi, secondo fatto, secondo il suo ragionamento. Quando questo avviene, allora vuol dire che il popolo sa governarsi da sé. |
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| Desidero ringraziare con tutto il cuore la Direzione centrale e i suoi organi ed esprimere la mia particolare riconoscenza al Comitato romano e a tutti i segretari delle Sezioni per il grande successo ottenuto nella capitale. Magnificando l’opera della organizzazione che non si improvvisa ma è il risultato di un lavoro tenace e faticoso, spesso ignorato, ma sempre benemerito; come il monumento al Milite ignoto americano porta la scritta: al Milite ignoto a tutti fuorché a Dio, così il partito deve la riconoscenza ai molti gregari, attivisti, propagandisti che hanno lavorato senza ambizioni e senza compensi per soddisfare un bisogno della loro coscienza. La forza interiore viene loro da una intensa fede democratica, da un ottimismo combattivo ricostruttore e, sovratutto, dalle nostre tradizioni cattolico-sociali. È a questa scuola che si sono ispirati ed educati anche gli attuali protagonisti della politica democristiana. Non fu, quindi, una confluenza incidentale ma una logica collaborazione che al momento in cui si doveva decidere sulle premesse stesse fondamentali dell’azione politica, l’Azione cattolica, attraverso i Comitati civici intervenne per la difesa della libertà religiosa e per principio di solidarismo cristiano. Rivolgo, perciò, anche a tali Comitati che hanno curato soprattutto l’afflusso alle urne, un particolare ringraziamento. Grazie anche alle organizzazioni sindacali e di categoria e alle organizzazioni femminili. Anche la concezione e la difesa della libertà non è un atto di opportunità politica nel momento presente ma una derivazione di un pensiero, di una preoccupazione profonda. La libertà difesa dai cattolici, nella dignità della persona umana contro i pericoli del totalitarismo statale o di razza, ha integrato e sostanziato il pensiero della libertà politica che fu propria dei cattolici del ’48. È per questo che possiamo dire che questo secondo risorgimento della patria si può riallacciare al risorgimento nazionale. La nostra battaglia è valsa, sovratutto, a creare le premesse di una politica innovatrice e costruttiva, cioè lo spazio politico vitale che è costituito di libertà, di ordine, di indipendenza nazionale e, sovratutto, di un costume morale che renda attuabile, nell’ambiente economico, la giustizia sociale. Voglio aggiungere, ancora, che tutti i credenti saranno d’accordo nel riconoscere il segno tangibile dell’aiuto della Provvidenza che veglia, in modo particolare, sull’Italia, centro del cattolicesimo. Ad integrare il nostro sforzo materiale, c’è stata una collaborazione spirituale che è nostro dovere ed orgoglio di riconoscere. La nostra responsabilità è grave e noi sappiamo di avere degli impegni anche nei confronti di coloro che si sono affidati a noi, sovratutto, per la difesa della libertà. Noi serviamo la nazione, senza mire egoistiche, di partito, sul terreno della libertà e in collaborazione con le forze sinceramente confluenti verso la indipendenza, la pace e la cooperazione dei popoli liberi. Su tale base costruiremo le riforme sociali che diano pane e lavoro agli italiani e favoriscano la elevazione delle classi operaie. [Il presidente del Consiglio si rivolge poi agli elettori romani, radunati fuori della sede del Comitato romano della Democrazia cristiana]. Amici, noi facemmo tutto il possibile perché le elezioni fossero libere e libere furono. È inutile ricorrere a scuse di brogli elettorali inesistenti. Desidero segnalare le benemerenze insigni del ministro dell’Interno perché ha saputo servirsi delle forze dell’ordine per difendere la libertà, per difendere la libertà di tutti, amici e avversari. Oggi possiamo, quindi, celebrare in serenità questa vittoria che è, anzitutto, una vittoria della dignità e della maturità del popolo. Amici miei, voi vi aspettate da me, così almeno dicono i giornali, una parola tranquillante, ma la parola tranquillante è stata già detta dal nostro atteggiamento durante le elezioni. Pure avendo avuto sotto la direzione e quella dei colleghi del governo, tutte le forze dell’ordine, noi non ne abbiamo minimamente abusato; anzi, le abbiamo messe al servizio della libertà di tutti, della libertà del popolo italiano. Questa è la via segnata sulla quale noi vogliamo marciare e sempre marceremo. Libertà per la vita di tutti i partiti, libertà per le riunioni, per le organizzazioni sindacali. Limite di questa libertà, la libertà altrui, l’ordine generale, la possibilità della convivenza civile. Le leggi che dovremo applicare, in base ai dettati della Costituzione, dovranno affermare questo principio della libertà nell’ordine, la difesa di questa libertà, la difesa della nostra convivenza civile che rappresenta una forza progredita di democrazia. Ecco il nostro programma. In questo programma c’è posto di lavoro per tutti, per tutte quelle forze che confluiscono sinceramente verso la stessa meta; cioè, cooperazione nella libertà sinceramente praticata, rinnegare qualsiasi milizia di parte, qualsiasi tendenza alla violenza sottomettendosi alla legge comune della democrazia. Dovremo, sovratutto, essere concordi nella politica estera, la quale porta alla collaborazione economica con i popoli più forti di noi e alla solidarietà con tutti i popoli liberi e democratici. Questo programma sarà svolto con energia e vigilanza affinché nessuno di questa libertà possa usare per congiurare contro la patria. Dopo, il programma interno, situato nell’adempimento delle grandi tradizioni italiane che sono tradizioni di onore, di disciplina, di morale, di grande civiltà cristiana in mezzo alla quale Roma agisce, come linfa vitale, come sorgente di tutte queste forze. Amici, è stata una campagna lurida quella fatta contro il clero e contro la Chiesa cattolica. Noi sappiamo che lo Stato nei suoi rapporti con la Chiesa è completamente indipendente. Noi vogliamo che questa indipendenza venga conservata, come del resto, lo vuole la Chiesa stessa. Ma sappiamo che abbiamo il dovere morale, anzitutto, e giuridico, poi, per il Concordato, di circondare la Santa Sede del rispetto assoluto. E, soprattutto, dobbiamo ricordarci che, nella nostra storia, da cento anni in qua, l’attività del clero è stata rivolta alla ricostruzione morale, alla ricostruzione di una sana, libera democrazia in Italia. E dobbiamo ricordarci che, nell’ultimo periodo della guerra, grazie alla sua indipendenza, il clero è stato come la Croce rossa nella battaglia della liberazione. Amici miei, quale è il programma delle riforme che aspetta il popolo? Il popolo aspetta la lotta contro la disoccupazione, aspetta la riforma agraria. Tutto questo verrà fatto. Noi non siamo dei reazionari che guardiamo indietro, guardiamo avanti e faremo le riforme. Ma, per l’attuazione del programma, è assolutamente necessario il rispetto della libertà per tutti e lo spirito di indipendenza per la patria. Il popolo italiano deve essere libero di decidere della propria sorte; nessuno deve intervenire per obbligarci a subire delle condizioni politiche che non siano consone alle nostre tradizioni e alla nostra ispirazione cristiana. Amici miei, la battaglia che abbiamo combattuto è battaglia di libertà ed è stata una battaglia combattuta per tutti, perciò, la vittoria è per tutti, soprattutto per il buon senso e la maturità del popolo italiano. |
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| Cittadini lavoratori, rivolgendovi la parola con tale qualifica mi pare di designarvi nell’interezza della vostra persona, cioè ad un tempo nella vostra nobile funzione sociale e nel vostro carattere di cittadini liberi ed eguali dello Stato democratico nazionale. È infatti con questo duplice riferimento che vorrei pregarvi di riflettere su quanto sto per dire. La pacifica battaglia che abbiamo combattuto è stata una battaglia per la libertà politica, ma anche una battaglia per la libertà del lavoro. Libertà del lavoro e libertà nel lavoro, libertà dell’organizzazione e libertà nell’organizzazione. Bisogna emancipare ed elevare il lavoro, bisogna garantire ai lavoratori la libertà dal bisogno, ma conviene anche assicurare al lavoratore libertà di agire secondo la propria coscienza, sia di fronte a chi volesse coartarla, profittando della sua posizione economica, sia di fronte a pressioni e minacce di partito. Le statistiche elettorali ci rivelano che il segreto della cabina ha permesso che il cittadino lavoratore si esprimesse liberamente anche contro le intimidazioni di qualche principale o contro le intimazioni di qualche cellula o commissione. Ecco il modo di ottenere una organizzazione sindacale del lavoro a carattere indipendente sia nei confronti di altre categorie sia di fronte agli attivisti e agitatori dei partiti: fondare l’organizzazione sul segreto garantito del voto, alla base, come in tutti i gradi superiori: democrazia del lavoro, dunque, assisa sul suffragio eguale, universale e segreto di tutti i lavoratori. S’intende che, parallelamente, il lavoratore cittadino ha il diritto di organizzarsi ed agire anche secondo la sua mentalità politica, e quindi di inquadrarsi nei partiti; ma questa duplice struttura, mentre permetterà la solidità e l’unità della rappresentanza sindacale del lavoro, deferirà alle organizzazioni politiche il compito di dirimere democraticamente le differenze e le lotte di parte. Non c’è altra via per attuare la «Repubblica democratica fondata sul lavoro», quale è prevista nella Costituzione. Non c’è altro metodo per salvaguardare gli interessi unitari del lavoro, pur lasciando libero sfogo alla dinamica delle agitazioni politiche. Lo so, non dico cose nuove, ma mi pare ch’esse vadano ripetute, ora che il primo maggio, massima festa civile, ci invita a riflettere sulla legislazione del lavoro che il prossimo Parlamento dovrà formulare e deliberare. Festa del lavoro! Purtroppo nemmeno in questa celebrazione festiva di passate e future conquiste sociali, possiamo dimenticare la dura realtà del dopoguerra. Non è festa per i disoccupati, non è giorno completamente sereno per chi teme il licenziamento; è giorno sempre triste per i lavoratori infortunati e malati e per tanti cittadini di medi ceti che stentano a campare. Nei mesi scorsi abbiamo impostata la politica del lavoro su alcuni capisaldi: per i disoccupati i sussidi, l’avventiziato al lavoro colle scuole di riqualificazione, le opere pubbliche, l’intensificazione della emigrazione; per gli infortunati e i tubercolotici il collocamento obbligatorio o il riaddestramento; e soprattutto abbiamo fatto un notevole sforzo finanziario per promuovere la produzione nelle maggiori e nelle piccole industrie e nelle zone di miglioramento agricolo. Ma non basta! Governo e Parlamento, imprese private e pubbliche dovranno ancora intensificare gli sforzi per la produzione industriale, per la bonifica e la riforma agraria, per la ricostruzione. Dovremo utilizzare saggiamente e in favore del lavoro i generosi contributi del Congresso americano. Se il 1° maggio non può essere festa per tutti, per tutti dev’essere celebrazione di solidarietà nazionale, impegno di assicurare a tutti pane e lavoro, proposito di chi possiede di riconoscere praticamente la funzione sociale della proprietà, di accettare come un dovere morale l’evoluzione verso una più equa distribuzione della ricchezza e del reddito e un rinnovamento dei rapporti sociali che porti in alto il lavoro; comprensione da parte dei lavoratori che il loro progresso è vincolato a quello dell’economia nazionale, che stipendi, salari, costi, prezzi sono anelli di una sola catena, che il bilancio del Comune o il credito dello Stato non sono qualche cosa a loro estraneo: perché il valore reale del salario e dello stipendio, e soprattutto in gran parte la possibilità dell’occupazione dipendono dalle condizioni finanziarie della collettività. Infine il lavoratore è padre di famiglia, erede della generazione passata, educatore di quella a venire. È spirito che tende ad elevarsi nell’atmosfera morale del suo paese. Egli sente che la concezione materialistica è un elemento esotico, introdotto artificiosamente nel tessuto della vita sociale elaborato nei secoli dai nostri padri sulla trama della civiltà cristiana. Un eminente ministro laburista, sir Stafford Cripps, affermava qualche settimana fa essere il cristianesimo l’anima della democrazia; e io penso, io spero che nella coscienza dei lavoratori italiani si rafforzi la convinzione che l’elevazione sociale del proletariato è vincolata alla liberazione della persona da ogni totalitarismo e che la giustizia sociale si realizza solo nel crescente impulso della fraternità umana e cristiana. |
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| Dopo aver sottolineato come la battaglia elettorale sia stata vinta nell’inquadramento sul partito e sia stata vinta per il popolo italiano, mette in rilievo la particolare responsabilità che impone il numero del gruppo Dc. Dai tempi del Partito popolare l’ascesa è stata continua: i deputati democristiani sono stati eletti dal popolo e sono quindi impegnati a lavorare per il popolo. A questo deve essere subordinata ogni energia. Come il popolo italiano è assai migliorato politicamente, così il gruppo deve rinascere ad un nuovo stile. Deve darsi uno stile di compattezza, di compattezza e di responsabilità. Porge il saluto a nome del governo: il governo è lieto che si sia ricostituito il Parlamento. Il nuovo stile di responsabilità ci porterà a questo: poca demagogia anche se ci saranno provvedimenti antipopolari. Ringraziamento alla Provvidenza e a tutti coloro che collaboreranno per il governo. Promette che il governo sarà sinceramente democratico. La nostra vittoria ha un sol senso: stabilità di regime. C’è bisogno di organizzazione, di sensazione di forza e permanenza. Il Parlamento dovrà essere un organismo che lavora molto. Vi siete dati una Costituzione che fa lavorare molto. |
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| Vorrei richiamare l’attenzione degli onorevoli senatori, compreso l’onorevole Tonello che ha parlato per ultimo, sopra alcuni elementi di fatto. Innanzi tutto non si può parlare di precedenti perché non esistono. Comunque questo fatto non si ripeterà più, perché per un caso simile c’è la legge costituzionale che è abbastanza chiara. Tuttavia al governo e – dico francamente – a me come persona, è venuto un grave scrupolo. Poiché si trattava di emanare una legge elettorale, mi sono detto: se per ragioni oggettive o per ragioni soggettive di interesse di un partito soccombente, venisse poi contestata la validità delle elezioni per questa interpretazione, correremmo un rischio al quale mi pare sia meglio non esporci. Allora ho detto: presentiamo alla Camera questo nostro dubbio. Naturalmente, siccome le Camere sono organi deliberativi e non consultivi, non potevamo che presentare davanti ad una Camera il disegno di legge. Se la Camera avesse dichiarato che la materia non era di sua competenza, ci saremmo liberati dal nostro scrupolo. E così abbiamo fatto. Però prima che si venisse ad una deliberazione da parte della Camera, abbiamo sollecitato la Commissione rispettiva del Senato (ricordate la ressa dei lavori al Senato e alla Camera negli ultimi giorni della precedente sessione) ad esprimere il suo parere al riguardo, tanto più che, ci siamo detti, in questa materia una deliberazione della Commissione sarebbe stata per noi molto indicativa. La Commissione del Senato si è dichiarata per l’interpretazione favorevole ai poteri del governo, ossia ha dato questa interpretazione allo statuto dell’Alto Adige. Ed allora (nel frattempo erano venute le vacanze) la Camera ha preso in esame la questione, richiamandosi a questa precedente deliberazione della Commissione del Senato, ed ha proceduto per suo conto. Siccome formalmente la legge era stata già sottoposta alla Camera, bisognava che venisse ritirata: non c’era altro modo perché questa pratica venisse archiviata. La Camera, preso atto del parere della Commissione del Senato, si è sentita più tranquilla nel dichiarare che a suo avviso il governo poteva disporre direttamente, ed è ciò che il governo ha fatto, per le ragioni che avete sentito. Ora si tratta di aggiungere che la data del 30 settembre non rappresentava semplicemente un termine imposto dallo statuto, e quindi per ciò stesso di valore importante, ma si trattava di un termine fissato non senza ragione per poter fare le elezioni in autunno, altrimenti più tardi non si sarebbero potute più tenere per le condizioni climatiche dei paesi alpini. Quindi mi pare che se abbiamo peccato, abbiamo peccato per eccesso di scrupolo; ma credo che un secondo caso simile a questo, per cui possa corrersi il rischio di far temere che non si consideri sufficientemente il valore di una Camera o dell’altra, è da escludere che possa presentarsi. Con ciò mi sembra di avere esaurito la questione. Riguardo all’appunto mosso da taluno di modificazioni introdotte nel testo del provvedimento governativo, è bene tener presente che nello statuto si prescriveva semplicemente che la legge elettorale per l’Alto Adige doveva essere fondata sui criteri proporzionali. Ora la Commissione della Camera, a grande maggioranza, anzi all’unanimità, ha espresso il parere di non scegliere il metodo d’Hondt o il sistema del divisore, ma quello usato anche per le elezioni dell’Assemblea Costituente. Non mi pare che l’amico Molè possa dire che ciò costituisca un mutamento sostanziale, perché ciò si sarebbe potuto affermare soltanto nel caso che avessimo mutato il sistema proporzionale. È evidente che il governo poteva anche non tener conto del parere della Camera in quanto quel decreto stabiliva in materia l’esclusiva competenza del governo: bastava infatti attenersi allo statuto. Ma a noi è parso di dover non trascurare questo parere della Camera dei deputati. Quindi, concludendo, non credo che possa attribuirsi al governo l’intenzione di ledere o comunque diminuire il prestigio del Senato. E qui mi permetto di insistere sulla dichiarazione che ebbi già occasione di fare al Senato e cioè che avvengono, nello svolgimento dei lavori legislativi, degli errori, dei disguidi, i quali però non sono dovuti che alla mancanza di esperienza… Questa mancanza, comunque, non è solo del governo. Come trovare il modo di far lavorare efficacemente le due Camere, conservando a ciascuna di esse tutto il suo ruolo e tutta la sua importanza, ma soprattutto dando loro la funzione che devono rivestire di fronte all’opinione pubblica? Dall’esperienza deve nascere questo metodo. L’equiparazione giuridica fra i due rami del Parlamento è un fatto, e che vi sia nella sostanza, nella forma e nella dignità questa equiparazione è indiscusso; ma in qual modo far poi valere ciò nella pratica? Ho chiesto l’ultima volta il concorso della Presidenza del Senato; farò la stessa richiesta alla Camera, pregando le Presidenze di aiutare il governo, tenendo conto di questa situazione giuridica. Ripeto poi ancora una volta che per questo fatto non c’è alcun pericolo che si creino precedenti, sia perché ho imparato l’inutilità di avere uno scrupolo eccessivo, sia perché un altro caso che ci metta in questa alternativa non si ripeterà. |
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| Cari amici, qualcuno, forse, si meraviglia che, a così breve distanza dalla campagna elettorale, io torni a parlare sulle piazze. In una democrazia, il capo del governo deve frequentemente prendere contatti con la popolazione, anche trascorso il periodo elettorale. Gli esempi in proposito sono assai abbondanti nella nostra storia di democrazia, specialmente in quella toscana ma la necessità deriva dalla esigenza fondamentale che il popolo eserciti il controllo sul mandato che nelle elezioni ha attribuito ai suoi deputati e, attraverso i deputati, al capo del governo. Ed allora è necessario che il popolo frequentemente venga informato di quello che avviene al Parlamento, di quello che viene deliberato dalle Camere e di quello che viene proposto dal governo. D’altro canto, è invalso, invece, l’uso di rivolgersi alle masse al di fuori della effettiva rappresentanza dei deputati e spesso in forma non lecita si tenta di sostituire o di mettere al fianco del Parlamento, qualche comitato o organo di controllo in diretta comunicazione con la popolazione, quasi fossero organi delle medesime forze rappresentative. Questo non è e non può essere. È accaduto proprio adesso che in Boemia il presidente del Consiglio, divenuto presidente della Repubblica, ha annunziato che i comitati di azione, che si sono organizzati durante la campagna elettorale e la crisi di governo, resteranno in vigore, come organi rappresentativi del governo. A questo punto non si deve arrivare, perché con ciò si sovvertirebbero il mandato e il rapporto di fiducia fra Parlamento e popolazione. Tuttavia una collaborazione indiretta deve esistere tra noi. Ed ecco perché io sono qui a parlarvi, non dall’alto, se così posso dire, del potere che mi avete conferito, ma come uomo responsabile di governo, che sente la necessità di stare a contatto con coloro che l’incarico gli hanno attribuito. Il giudizio del popolo d’ora innanzi non deve riguardare i membri del governo, ma il Parlamento, le due Camere, più particolarmente ancora, quello che fa la maggioranza e quello che fa, anzi che non fa, la minoranza, l’opposizione. Sarebbe troppo facile asserire che tutto il male che si dovrà ancora superare per la ricostruzione dello Stato, che ogni insufficienza, ogni mancanza nell’amministrazione statale, deve essere messa a carico del governo e che tutto quello che di buono si farà, tutto ciò che si potrà promuovere di bene, è a vantaggio dell’opposizione. È giuoco troppo semplice e sarebbe oltre tutto assai demagogico, se governo e maggioranza dovessero avere la responsabilità di trovare i denari per le spese che si delibera di compiere e il carico di imporre imposte per risanamenti che si ritengono necessari e che all’opposizione bastasse, per avere il plauso del popolo, presentare ordini del giorno, come sono stati presentati alla Camera durante l’ultima discussione, in cui si dà categorico invito al governo di fare questo e quello, di costruire case, di superare la disoccupazione, di aiutare i pensionati, in cui, in poche righe, si invita il governo a cancellare le conseguenze della guerra e della cattiva amministrazione di un ventennio. Sarebbe troppo semplice! C’è una norma della Costituzione che stabilisce che nessuna spesa può venire deliberata, senza che, al contempo, si dica quale entrata deve sopperire ad essa. Ed allora non basta alla opposizione, per mettersi in una situazione favorevole, di dire: noi abbiamo chiesti milioni e miliardi per la ricostruzione. Bisogna opporle questa domanda: ma avete trovato la maniera, o avete concesso alla maggioranza di trovare la maniera per la copertura? Avete anche insegnato come si può pagare i milioni che chiedete? Non è possibile trovare in una volta i denari necessari alla ricostruzione; non si può riparare a tutto il male fatto in tanti anni in poche settimane. Tutto deve essere fatto per gradi. Vi dico cose molto ovvie, ma ve le dico perché voi dovete prepararvi ad esercitare d’ora innanzi una critica, un controllo all’attività parlamentare per rendere giustizia alla maggioranza e alla minoranza. L’opposizione, intanto, ha votato contro la richiesta di proroga del bilancio provvisorio. Se le cose andassero come vuole l’opposizione, noi, col primo luglio dovremmo chiudere bottega e mandare a spasso tutti gli impiegati, perché non avremmo denaro per pagarli; arrestare le ferrovie, chiudere le scuole ecc. Ancora l’opposizione ha fatto di tutto prima del 18 aprile per sminuire l’importanza dell’aiuto che attraverso il Piano Marshall ci verrà dato dagli Stati Uniti d’America; e questo atteggiamento ha anche contribuito al sorgere delle discussioni in America sugli aiuti all’Europa. L’opposizione come vedete non è costruttiva; si limita alle critiche e alle richieste senza contribuire alla soluzione dei vari problemi. Perché, al fine di reperire i fondi necessari non ci viene in aiuto nel risolvere i problemi del sistema tributario? Anche in questo campo avremo il nostro da fare, ma più che riformare, occorre semplificare, snellire e rendere le imposte più progressive per meglio colpire il reddito. Un altro problema grave, che mai è stato in Italia risolto, è quello della disoccupazione. Con l’emigrazione, con le colonie, soprattutto con i mezzi di lavoro, il governo farà uno sforzo organizzativo per combatterla e se l’opposizione ci farà delle proposte ragionevoli, noi volentieri le attueremo. Abbiamo preso impegno di fare la riforma agraria e industriale, specie la prima. Ma anche qui non si può improvvisare e ogni riforma costa denaro. Bisogna vedere quanto costa la bonifica, quanto è l’insieme delle spese necessarie, per raggiungere lo scopo di rendere acquistabili alcune centinaia di migliaia di ettari e risolvere almeno in parte la disoccupazione agricola. Per l’attuazione della riforma agraria e di quella industriale, in una ripresa delle industrie medesime, due condizioni sono necessarie ed indispensabili: la prima è che vi sia l’ordine in Italia e che tutto si svolga attraverso una pacifica mediazione. Lo sciopero deve essere attuato quando si rende proprio inevitabile. La libertà deve essere rispettata. Occorre assolutamente far scomparire le armi dal nostro paese. Alla Camera sarà proposta una legge per [cui] chi consegnerà le armi entro 15 giorni non avrà conseguenze di sorta. Dopo saranno comminate pene severe. La seconda condizione è che ci sia spirito di sacrificio e fraternità da parte delle classi abbienti. Coloro che hanno, ricordino che non c’è una legge eterna che riconosce il diritto a tutto possedere. Le conseguenze di quello che è accaduto, senza farne colpa a nessuno, non le possono sopportare l’operaio ed il piccolo che non ha. Esiste una legge di giustizia sociale che vuole il progresso ed il benessere. Ma occorre rinunciare per sempre alla violenza ed alla cospirazione. In Italia non esiste più uno straniero, ma il potere del popolo. Siamo un popolo ed un movimento di pace. L’Italia disarmata non minaccia nessuno. Di fronte alle nostre sole cinque divisioni, male equipaggiate, alle nostre fortificazioni smantellate, alle nostre navi da guerra demolite o da consegnare alla Francia, alla nostra aviazione dotata di apparecchi scassati, stanno le trenta divisioni dello Stato confinante ad Oriente, ottimamente equipaggiate. Come si può dire, dunque, che il popolo italiano pensi alla guerra? Quel governo che così pensasse sarebbe un governo di pazzi o di delinquenti. La nostra affermazione del 18 aprile è stata una affermazione di pace. Noi vogliamo la nostra indipendenza: siamo un popolo fiero ma amante della pace. Non vogliamo che l’Italia diventi testa di ponte per l’espansione di un sistema politico che viene dall’Oriente. All’Oriente chiediamo di prendere atto di questa volontà: deboli nelle armi, ma forti nel desiderio della pace. Di quella pace che è stata sempre così validamente difesa dalla Chiesa cattolica alla quale va tutta la nostra gratitudine. Ed a proposito della Chiesa cattolica viene ancora di proposito riferirsi alla azione della opposizione che va blaterando che la Chiesa è un centro del capitalismo e che ha messo in giro le fandonie di intimidazioni elettorali, a scusante della cocente sconfitta subita il 18 aprile. Noi non abbiamo fatto balenare gli spettri, ma è stata la civiltà cristiana di cui è permeato il nostro popolo, che ha parlato al cuore degli elettori attraverso secoli di storia, attraverso i suoi santi, i suoi asceti e i suoi martiri. Non rivendichiamo riforme in nome di dottrine esotiche, slave, ma ispiriamoci, invece, alla nostra Italia e in materia di riforme vediamocela da noi. E basta pensare all’opera di S. Francesco per ritrovare il più alto esempio della solidarietà cristiana ed umana. In questo lavoro di risanamento riagganciamoci allo spirito dei nostri grandi: non dimentichiamoli; non cerchiamo alcun sole all’infuori del nostro sole, che è così glorioso da esserci invidiato da tutte le nazioni del mondo. L’italiano è un popolo libero che vuole il progresso, ma che si preoccupa della sua grandezza storica e della sua dignità passata. |
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| Cari amici mi sento felice di poter rivolgere brevemente il mio saluto, un saluto di riconoscimento che contiene ammirazione ed elogio per le opere che, come ha detto il sindaco, la collaborazione dei dirigenti e degli operai ha qui costruito. Pensate che cosa sarebbe l’Italia se nella maggior parte delle regioni e soprattutto in quelle meridionali potessimo avere una tale cooperazione e collaborazione di progresso industriale. Che cosa sarebbe della situazione di certe regioni del Mezzogiorno che io ho attraversate recentemente , dove la miseria è quasi endemica e permanente, direi, apparentemente insuperabile. Quando si dice che dipende dalla energia degli abitanti e dalla iniziativa dello spirito, maggiore o minore, si dice una cosa che è solo apparentemente vera poiché come ho spiegato più volte, quando mi sono recato in America, di città in città, mi vedevo circondato da italiani e americani che erano alla loro partenza dalla Calabria e dalla Sicilia, poveri operai o contadini, ma che in America, avendo ritrovato altre risorse naturali o sociali, hanno saputo crearsi una posizione agiata. Si vede così che anche gli italiani del sud, anche il calabrese, quando è messo sopra un terreno di possibile sviluppo economico, trova nella natura, nel carattere, nelle predisposizioni del terreno tutte le risorse necessarie per diventare elemento di grande ricostruzione. Ma se vi fossero i dirigenti e gli uomini di impresa e non vi fosse la collaborazione, l’efficacia, l’energia, la volontà di lavorare insieme, anche la iniziativa andrebbe perduta. Io penso quindi che qui ci sia stata una fortunata collaborazione tra gli uomini che hanno avuto il coraggio della intrapresa e fra i collaboratori e gli operai che hanno avuto la tenacia di sostenerla. Oggi le imprese che qui esistono sono frutto di una opera comune e così dovrebbe essere in tutta l’Italia. Disgraziatamente le lotte continue avvenute, sono state una grande remora al progresso. In verità, bisogna riconoscere che senza organizzazione operaia e senza lo spirito della agitazione poteva accadere, come è accaduto in certi paesi, che la grande massa venisse sfruttata anche contro la volontà personale degli imprenditori. Però questo aculeo, questo spirito di critica e di agitazione che vengono dalla organizzazione operaia, se sono necessari, se possono essere un contributo anche essi al progresso, non devono mai passare un certo limite, e se potremo in avvenire pensare a molte forme di partecipazione da parte degli operai ed a una distribuzione equa del rendimento, rimane sempre la necessità della collaborazione e dannoso rimarrà il criterio della lotta di classe intesa come lotta politica. Con tale spirito dobbiamo rivedere anche il problema dell’organizzazione operaia. Il governo alla presente discussione è assente volutamente. Il governo, come tale, non vuole intervenire e consigliare una forma o l’altra dell’organizzazione sindacale . Il governo riconosce la necessità di una rappresentanza veramente concorde degli interessi operai. Però penso che l’esperienza ha dimostrato come l’accordo sia possibile soltanto se nell’organizzazione vige il rispetto di tutte le fedi, non solo, ma anche il principio della neutralità e dell’indipendenza in confronto dei partiti. Mi hanno detto che qui un rappresentante della Cgil ricordava recentissimamente l’esempio e la parola del nostro indimenticabile on. Grandi che fu il fondatore dell’organizzazione operaia unitaria. Ma io sono stato un collaboratore dell’on. Grandi durante il periodo della lotta clandestina e insieme preparammo statuto e direttive e so che egli, Grandi, condivideva con me la preoccupazione della libertà sindacale in confronto alla tendenza politica. Tenevamo allora presente come esempio imbattibile le Trade Unions inglesi, nelle quali militano protestanti, cattolici e indipendenti; ma che sanno tenersi lontane da ogni estremismo politico e soprattutto dallo sfruttamento politico di organizzazioni rivoluzionarie straniere. Di tale tendenza, ed entro il limite della convivenza democratica, si facciano interpreti i partiti politici e ne assumano la responsabilità verso lo Stato democratico e l’opinione pubblica, ma le organizzazioni sindacali che hanno funzioni organizzative, rappresentative professionali e assistenziali ed in una forma e nell’altra dovranno esercitare funzioni di diritto pubblico. Non è con ciò che si mutila l’attività dell’organizzazione sindacale. Fra una attività semplicemente burocratica, come l’avevano le Corporazioni fasciste e l’azione agitatoria e disgregatrice imposta dal Cominform, c’è di mezzo un campo fecondo di attività politico-sociale. Purtroppo lo sforzo unitario che venne fatto in questi tre anni, pare sia stato vano, nonostante moniti e raccomandazioni in nome della concordia. Abbiamo visto una lunga serie di scioperi politici e di agitazioni sussultorie, abbiamo visto che gli ordini del Cominform attraverso il Partito comunista hanno manovrato anche l’attività sindacale. Per questo oggi si fa la battaglia per la neutralità, per la libertà, per l’unità delle forze operaie. E nello stesso senso abbiamo combattuto il 18 aprile. Sono lieto di poter fare questa dichiarazione in mezzo ad operai così intelligenti come siete voi e sono lieto di farle in un ambiente dove la collaborazione fra ogni singolo sforzo ha dimostrato il progresso che si è potuto raggiungere. Noi non pensiamo che sia possibile alla sola classe operaia, soprattutto del lavoro manuale, di assorbire tutte le funzioni dello Stato, noi crediamo che il sistema migliore – non dico perfetto – di governo è quello che promana dal suffragio universale che voi avete usato il 18 aprile ed è attraverso questa votazione che si designa il governo e la espressione di questa volontà popolare non può che essere la espressione di tutti gli italiani, di tutti gli interessi e di tutte le esigenze. Orbene non è facile come governo nella disastrosa situazione del dopoguerra, trovare la linea di confluenza che costituisce il progresso della comodità [recte: comunità] democratica, ma se si è veramente animati dalla volontà di creare e di fare, a rischio anche di commettere degli errori ma con il proposito di correggerli, credo che siamo sulla strada buona, che siamo sopra quel cammino che ci dovrà condurre alla meta. Badate, non bisogna mai fidarsi dei faciloni che vantano di ottenere il cambiamento in un mese, in un anno: si migliora di padre in figlio, una situazione si crea in decenni, a forza di tenacia di lavoro, di sacrificio, di intraprendenza e di cooperazione. Voi avete visto tutto questo a Valdagno e così anche nello Stato. Non bisogna pensare che si possano improvvisare delle grandi riforme e dei totali rinnovamenti. L’importante è che ci sia la volontà di camminare nella strada diritta e che ci sia la tenacia del lavoro e una certa stabilità. Anche nella democrazia, anzi più nella democrazia che in qualsiasi altro regime, ci vuole una certa stabilità. Questa stabilità noi non dobbiamo né possiamo cercarla nelle grandi famiglie ereditarie, nelle grandi tradizioni del passato, dobbiamo cercarla nella permanente sovranità del popolo. Se voi aumenterete la vostra cosciente partecipazione alla attività politica, noi riusciremo [a] creare in Italia la vera democrazia. Una volta non si sentiva che dispetto e disprezzo per il popolo italiano da parte di altre nazioni che si sentivano più progredite e guardavano a noi come nazione di secondo grado, oggi possiamo dire che nel mondo abbiamo già un nome e sapete qual è il nostro nome: casa dei democratici che tentano di organizzare il popolo in un sistema libero e tuttavia ordinato. Ecco i due grandi problemi e le due grandi difficoltà: godere la libertà e non abusarne per non mettere in pericolo l’autorità e non abusare troppo dell’autorità per non mettere in pericolo la libertà. Questo è il grande compito che abbiamo noi come governo, che avete voi come cittadini, perché ricordate che il governo non è niente se non viene aiutato dalla vostra comprensione. Noi non vogliamo arrivare ad imporci con la forza perché sappiamo che le dittature, anche se portano dei vantaggi immediati, poi decadono o dominano, perché non sono fondate sulla convinzione. Noi vogliamo compiere il miracolo di fondare la nostra stabilità sul buonsenso e sulla comprensione del popolo italiano. Ed io ho questa fede assoluta e se qualche cosa mi carezza, non è la abilità di trattare o di fare dei compromessi, come si favoleggia, ma è questa fede assoluta che mai mi abbandona nonostante le difficoltà del momento. C’è che il popolo italiano è composto di tali energie volitive e di tali tradizioni e di tale cultura che bisogna che un giorno o l’altro arrivi alla meta. Amici lavoratori io confido nella vostra comprensione, sulla vostra collaborazione, sulla vostra ragionevolezza. E credo che non abbiamo avuto torto se il 18 aprile, in mezzo ad una Europa che temeva imminente una catastrofe, il popolo italiano ha dato prova di buon senso. Questa vittoria è inutile che qualcuno s’immagini che sia stata fugace e dovuta a impressioni fugaci, perché essa si fonda sulla crescente maturità del popolo italiano. |
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| Amici di Bolzano, la vostra impresa è impresa di solidarietà degli individui e solidarietà di gruppi etnici entro lo Stato. Lo Stato ha l’obbligo di riunire questo sforzo conciliativo e di impegnarsi perché superando il passato si venga ai fatti e alle imprese. Ringrazio l’oratore di lingua tedesca per le sue espressioni di lealtà; la lealtà che chiede uno Stato democratico è la lealtà ragionevole e dignitosa nella libertà e nella eguaglianza giuridica. Ho visto alla mostra gli Statuti dell’antica Fiera di Bolzano e del cosiddetto Magistrato mercantile del ’600. Tutti i partecipanti potevano usare della loro lingua, come dice il regolamento, secondo il bisogno e la convenienza di ciascuno. Così anche oggi lo Stato e la maggioranza hanno il dovere di fissare e di riconoscere il diritto alla equiparazione linguistica. Alla minoranza spetta rivendicarne il diritto, qualora venisse intaccato. Ma, nella vita pratica ed economica e nei rapporti sociali, quello che decide è il costume che si dirige secondo i bisogni e le abitudini dei singoli proprio come presso il Magistrato mercantile di una volta. Ogni atto che, dimenticando le discordie del passato, crea le condizioni della vitalità presente, è una prospettiva di un migliore avvenire. In questa grande zona montana quasi sfidando i pericoli degli imperialismi che furoreggiano nel mondo, noi diamo prova di essere più indenni e di pensare a ciò che dovrà essere il mondo dei nostri figli. Anche l’autonomia va intesa così. Non può essere un accomodamento nell’egoismo e nel particolarismo locale, ma l’utilizzazione delle energie del popolo e della natura per creare un migliore avvenire per la solidarietà dei popoli liberi. |
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| Previa intesa col Ministero del Tesoro, rispondo al vostro telegramma del 28 corrente. Come è noto, ed è stato rilevato anche dai giornali, da parecchi giorni ho sul tavolo una domanda di iniziare trattative sulla richiesta degli statali da parte della c.[orrente] s.[indacale] c.[ristiana]. Ho pregato i rappresentanti di tale corrente di non insistere, in vista delle imminenti discussioni alla Camera, durante le quali il governo avrebbe esposto tutto il suo pensiero. Il governo non deve considerarsi come un datore di lavoro, che possa trattare e impegnare aumenti di spesa solo per il risultato di negoziati sindacali, ma esso, come amministratore della cosa pubblica e curatore degli interessi dello Stato, è vincolato dal Parlamento che (con voto della Camera dei deputati) ha già fissato recentemente nel bilancio i limiti della spesa pubblica, ed ha la responsabilità di deliberare eventualmente ulteriori spese e di provvedere alla copertura. Il problema riguarda bensì le categorie, ma è strettamente connesso con gli interessi della comunità: è ovvio, quindi, che la soluzione debba venir ricercata nel suo complesso, in rapporto alle responsabilità finanziarie ed anche alla gradualità delle urgenze. È per questo che il governo, in seguito ad un voto parlamentare, sottoporrà nei prossimi giorni alle Camere i provvedimenti per gli statali pensionati, che rappresentano la categoria più bisognosa fra quanti servono ed hanno servito lo Stato, e chiederà la relativa copertura di spesa . Qualora, però, nonostante queste considerazioni, le rappresentanze sindacali volessero completare la loro esposizione informativa prima della discussione parlamentare, il ministro del Tesoro sarà disposto a fissare un colloquio anche nella presente fase. |
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| Amici, il governo ha inviato, qui, una nostra rappresentanza così numerosa non soltanto per rendere omaggio al passato glorioso degli Alpini ma, soprattutto, per segnalare al paese che le virtù caratteristiche di questa fratellanza di armi devono venire, oggi, utilizzate per lo sforzo supremo della ricostruzione della pace. Le virtù militari alpine del coraggio generoso, della disciplina sostanziale interiore, della fratellanza, del culto del dovere, delle proprie tradizioni devono essere trasferite nella vita civile. Il coraggio è soprattutto un sentimento necessario per tutti coloro che devono operare oggi nella vita economica e sociale. L’imprenditore deve avere coraggio nelle sue iniziative, associandolo ad un concetto di giustizia sociale verso gli operai, suoi collaboratori. L’agricoltore deve assecondare lo sforzo del governo per ottenere una maggiore produzione. C’è qualcuno che si lascia intimidire dal progetto di riforma agraria, ma il governo sa che la produzione deve essere una delle condizioni della riforma e, d’altro canto, qualunque riforma dovrà tener conto del principio che raccoglie chi ha seminato. Anche nella vita democratica civile la disciplina richiesta è più sostanziale e morale che formale. Gli alpini, che forse sono superati da altre armi nella disciplina formale, hanno vivo il senso di sacrificio e di solidarietà che è il fondamento della disciplina unitaria in una nazione. Nella democrazia la solidarietà è fondata sul libero assenso democratico. La comunità nazionale ci impone a tutti eguali doveri come ci riconosce eguali diritti. La frontiera è unica per tutti. Senza dubbio vi sono frontiere ideologiche, di religione, di partito, ma esse devono muoversi su un altro piano, non possono intaccare e annullare l’unica frontiera nazionale. L’italiano ha un passato e una famiglia nazionale. Noi possiamo collocare questa famiglia nazionale, come collaboratrice, nel mondo, di una nuova civiltà, ma col concorso della civiltà e della storia che è nostra. Di questa civiltà, di questa storia, dobbiamo essere consapevoli e fieri poiché i nostri postulati, le nostre rivendicazioni di frontiera al mondo, sono fondamenti di giustizia. Oggi possiamo parlare di Trieste senza pericolo di venire accusati dell’irredentismo bellicoso, perché aggiungiamo, contemporaneamente, che siamo, invece, convinti che la verità si farà strada, che escludiamo che una sola goccia di sangue debba essere sparsa per la sua salvezza. Così per le colonie, problema che è congiunto a quello del lavoro nel mondo per un popolo troppo numeroso per il suo territorio; lavoriamo con fede e tenacia per raggiungere la meta. Se, in Italia, saremo in grado di conservare e sviluppare la vita democratica prospettata nella Costituzione e di muovere verso il progresso sociale nella libertà politica e con il concorso delle classi, il mondo finirà col riconoscere questo nostro sforzo di fraternità nazionale e lo apprezzerà come contributo alla fraternità internazionale che, nonostante tutto, un giorno dovrà pure imporsi a tutti i popoli. |
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| Quali sono le sue impressioni sulla visita del generale Marshall? Vi rispondo subito con una osservazione che riguarda non tanto la visita quanto la polemica turbinosa che si è svolta in Italia intorno ad essa. Non ho mai sentito più chiaramente di ora che cosa significa la nostra assenza dalle discussioni internazionali dell’ONU. Se fossimo stati presenti, attraverso la discussioni il nostro atteggiamento sarebbe risultato evidente, cristallino e ben più efficace. L’ingiusto veto di una delle quattro potenze firmatarie del Trattato ci impedisce, in ispregio al Trattato stesso, di far valere il nostro diritto e di esercitare la nostra pacifica missione. Avremmo potuto parlare per la pace europea e per la nostra indipendenza nazionale e batterci soprattutto per la libertà e l’integrità delle nazioni disarmate. Questo fu il significato, questo fu lo scopo della nostra adesione al Piano Marshall; questo, e solo questo, il fine a cui tendono ogni nostro suggerimento e ogni proposta del nostro ministro degli Esteri. È vero: il nostro atteggiamento parte dalla certezza che il popolo americano non vuole il conflitto e che, anzi, fa ogni sforzo per evitarlo. Una vera democrazia non può considerare le armi che come uno strumento «difensivo» della libertà e non contiene in sé nessuna spinta «offensiva» per una espansione ideologica a mezzo della forza. Né ideologia, né sistema politico, né necessità economiche spingono l’America a nuovi conflitti; si aggiunga che il dominante controllo del Congresso e dell’opinione pubblica costituiscono una ulteriore infrangibile garanzia contro eventuali partigiani di soluzioni di forza. Le conversazioni col generale Marshall, che è una delle figure più rappresentative della grande tradizione democratica americana, ci hanno fornito una nuova, decisiva conferma di questo lineare atteggiamento ricostruttivo e difensivo degli Stati Uniti. Di modo che si può affermare senza esitazioni e senza riserve che il Piano Marshall non comporta interferenze nella politica interna. Parlando di cose europee, il generale Marshall si sente soprattutto l’autore del Piano omonimo e il promotore della solidarietà per la ricostruzione. Il Piano significa la pace, presuppone la pace e l’ordine sociale; se pace non ci fosse, ogni speranza di ricostruzione svanirebbe e i miliardi, pagati dai contribuenti americani, sarebbero buttati al vento. Il suo primo interessamento si rivolge quindi alla riuscita del Piano. Per quanto più propriamente si riferisce al nostro paese la sua sollecitudine non poteva essere più calorosa e cordiale: ha desiderato conoscere il funzionamento del Piano nei vari settori, le esperienze fatte e i vantaggi che ne sono derivati. Nei nostri confronti era particolarmente bene disposto, perché era perfettamente aggiornato dell’energia con la quale ci battiamo contro le difficoltà del dopoguerra. Posso aggiungere, a questo proposito, un particolare significativo: appena giunto a Parigi, ha insistito presso il signor Hoffman , l’amministratore del Piano Marshall, perché si recasse in Italia e constatasse di persona quanto si fa da noi per la ricostruzione del paese. Tutto questo espresso con parole di simpatia e col maggior scrupolo di non intervenire in tutto ciò che è politica interna; regola di delicatezza a cui si attiene anche quando, per incidenza, accenna ad altri paesi. Alla fine di una considerazione di carattere internazionale, appena la logica del discorso, che è molto rapido e fluente, lo porterebbe ad esprimersi su qualche connessione di carattere interno riguardante un dato paese egli si ferma e dice: «ma questo riguarda la politica interna di quel dato paese», e cambia argomento. Si dirà che queste sono le regole di una corretta diplomazia. Certamente; ma tale rilievo non perde affatto della sua importanza, dopo che una certa stampa ha favoleggiato di un Marshall dittatoriale, che avrebbe «posto brutalmente dei quesiti sulla situazione interna del nostro paese, chiedendo delle garanzie» . Si è scritto proprio così! Posso aggiungere che durante queste conversazioni abbiamo richiamato l’attenzione di Marshall sul problema migratorio. Siamo l’unico paese in Europa rappresentato all’OECE, che abbia superpopolazione e soffra quindi una notevole disoccupazione. La solidarietà degli aderenti al Piano dovrà manifestarsi nello sforzo comune per risolvere il problema della mano d’opera eccedente. Ho l’impressione che Marshall abbia perfettamente compreso il carattere fondamentale di questo nostro problema. Si è parlato di pace, di guerra, di collaborazione europea? Certamente. Come si può sfuggire a quesiti di questo genere, quando la tensione esistente in Europa anche se riveste aspetti territoriali, nella sua intima sostanza si alimenta della lotta vivacissima che si combatte in alcuni paesi contro il Piano Marshall e del proposito, proclamato dal Cominform, di sabotare il piano economico, definito piano di guerra contro il bolscevismo? Se riuscissimo a svelenire il conflitto di questa sostanza ideologica, che gli dà un colore di apocalisse e il carattere fanatico di una antica lotta di religione, non è vero che gli aspetti territoriali ed economici potrebbero venire circoscritti e, con uno sforzo comune, superati? Avete visto l’allarme fazioso della nostra stampa comunista, che non appena seppe della venuta di Marshall, ricorse alle invenzioni più macabre e parlò di macchinazioni infernali, di cospirazioni contro la pace? E si levarono in quei giorni uomini di parte a difendere la frontiera del loro pensiero politico, e a proclamare il diritto alla guerra civile, quasi che, se mai conflitto vi fosse, non dovesse essere in causa per tutti i cittadini italiani egualmente la frontiera della patria, la integrità, la esistenza dell’Italia come Stato libero e indipendente. Con tale conflitto potenziale negli spiriti esagitati, come non sentire la necessità di superarlo mediante la solidarietà di pace fra tutti coloro che vogliono difendere le premesse indispensabili della ricostruzione economica, cioè la libertà politica e il sistema democratico? Questo sistema democratico, se non esclude riforme e socializzazioni, perché si richiama alla giustizia sociale come ad un presupposto inderogabile, è tuttavia incompatibile con la conquista neogiacobina e totalitaria. Ci consente, presidente, di domandarle se il generale Marshall ritiene possibile conservare la pace? Il colloquio fu naturalmente animato da tale speranza, ma fu soprattutto dominato dalla fiducia che un lasso sufficiente di tempo si apra davanti allo sforzo di tutti gli uomini di buona volontà per creare le situazioni che assicurino la pace stabile e ricostruttiva. Grande protagonista della guerra e della pace, conoscitore sperimentato degli uomini di governo dei vari paesi che partecipano attivamente alla vita internazionale, il segretario statunitense sembra incarnare nella prestante e nobile figura ed esprimere nella risolutezza del suo linguaggio, la forza del suo paese, dominato da un vivificante senso di libertà e di umanità. Se egli, essendo al microfono di tutte le informazioni mondiali e avendo guardato negli occhi di tutti gli attori della scena internazionale, vi dice: un’azione militare non è probabile, e viene a tale conclusione dopo avere sondato tutti i pericoli e aver riaffermato con estrema energia che il suo paese è deciso a gettare sulla bilancia tutto il suo peso affinché la pace sia mantenuta, non vi pare che gli interlocutori, rappresentanti di un paese semi-distrutto dalla guerra e in ansia per la pace e per la sua ricostruzione, avesse ragione di ritenere l’incontro molto fecondo e soddisfacente anche se non munito di quelle «pattuizioni segrete» o «macchinazioni», inventate poi dalla perfida fantasia dei demolitori per partito preso, che sono, in ultima analisi, i veri nemici della pace? Bisogna essere tranquilli prima di tutto nella propria coscienza. Questo è soltanto un attimo della storia e del lungo domani non v’è alcuna certezza, se non quella costruita faticosamente e tenacemente dalla solidarietà di uomini, che siano schiettamente amanti della pace e della libertà. Ho ragione di ritenere che Marshall, da parte sua, abbia avuto l’impressione che i due suoi interlocutori non erano uomini da ricorrere alle arti della vecchia diplomazia e da nascondersi dietro manovre di copertura, abituati come sono a guardare con lealtà ai loro amici, cui espongono con tutta sincerità le esigenze del loro paese, ed a guardare con pari serenità e fermezza ai loro avversari, ai quali non tacciono le verità, anche se amare. Certo, di fronte al suo, il nostro è un piccolo paese, ma è pur sempre grande per la civiltà che ha creato. E quando si tratta di questa civiltà, ripugna a noi ogni atteggiamento di abbandono, perché ci isoleremmo dalla vitalità economica d’oltre mare e, più ancora, dallo sforzo di ricostruzione intrapreso in comune e diserteremmo, così, quella missione europea, alla quale la nostra stessa civiltà ci abilita e ci chiama. Un’ultima domanda, riassuntiva, che esula dai colloqui diplomatici e che si riferisce, invece, alle polemiche di questi giorni: quali ritiene che siano le alternative che, allo stato delle cose, restano all’Italia? Mi pare che ce ne sia una sola: isolamento o cooperazione. Da quanto ho già detto, risulta che l’isolamento significherebbe asfissia e disintegrazione economica, Stato inerme, incapace di affermare e salvaguardare la propria indipendenza. La cooperazione, invece, è, economicamente, e nello spirito dell’ONU, una garanzia di pace. Quale metodo, quale struttura organizzativa, sarà, in definitiva, meglio atta a consolidare la pace? L’idea è in cammino, anche se non ha trovato ancora, nel concreto, una struttura definita e universalmente accettata. L’Italia, secondo la proposta del 24 agosto del ministro degli Esteri , ha dimostrato di preferire la cooperazione federativa di quanti popoli sono già associati nella ricostruzione economica. Cosa posso dirvi onestamente di più? |
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| Preferisco essere molto chiaro e fare come se parlassi non soltanto ai colleghi che siedono nell’aula, ma al paese, con tutto il senso di responsabilità che pesa su di me. Siamo in sede di votazione del bilancio, di votazione di quell’equilibrio di bilancio che è stato sostenuto con tanta forza, e mi pare con tanto successo, dai relatori della Commissione e dall’onorevole ministro. Dare un voto che, attraverso l’espressione generica di ordine del giorno, in realtà infirma questa approvazione, questo equilibrio del bilancio, mi pare enormemente contraddittorio. Non so se la Camera può assumere una tale responsabilità di fronte alla gravità dei problemi che si trattano. (Commenti all’estrema sinistra). Il dire che è urgente accettare o deliberare intorno a provvedimenti in favore agli statali; dire che la ricerca dei mezzi si potrà fare con imposte che gravino su altre categorie (evidentemente, non di quelle meno abbienti), è dire poco dinanzi alla serietà del bilancio, in cui tutte le voci dell’entrata e dell’uscita sono precisate, e dove gli impegni che il ministro ha preso sono di tal forza e coscienza che mi pare l’aggiungere un voto così generico non vorrebbe dir niente. Accetto più volentieri che si discuta a fondo questo progetto, sia nella forma di interpellanza annunciata dall’onorevole Cappugi sia come la Camera desidera. Ma che si discuta il pro e il contra; e ciascuno dei partiti, degli uomini e dei gruppi, assuma la propria responsabilità per le conseguenze che può avere il loro atteggiamento. È stato dichiarato adesso che non si tratta di una questione politica, né di fiducia. È più grave ancora, egregi colleghi! Se fosse semplicemente una questione di fiducia, sarebbe questione di persona: o mia, o del ministro del Tesoro, o di chiunque si occupasse direttamente di questo problema; è invece una questione di fiducia dinanzi al paese. Il paese non può essere messo in condizione di dubitare che noi non abbiamo la volontà di risanare la situazione economica e di attenerci rigorosamente a questo impegno che abbiamo assunto dinanzi alla Camera, e che la Camera ha confermato due volte, impegnandoci dinanzi alla Commissione finanze e tesoro con rigore particolare. Io voterei col cuore quell’ordine del giorno, perché si tratta di una richiesta sostanzialmente fondata; possiamo discuterla, non nella sostanza, ma nella tempestività. Vi abbiamo detto; posto che il bilancio è questo, lasciateci un po’ di tempo per vedere le possibilità di nuove entrate, attraverso la riforma tributaria che sarà presentata. Allora credo che il significato dell’ordine del giorno Avanzini voglia essere questo: prendere occasione dalla discussione della riforma della burocrazia per fare qualcosa di concreto nell’interesse del paese. Allora noi saremmo pronti ad affrontare la questione e sopportarne le conseguenze. In questo senso noi abbiamo interpretato l’ordine del giorno Avanzini, non nel senso che sia condizione assoluta arrivare ad una totale riforma amministrativa, perché questo potrebbe avere significato dilatorio, senza termini precisi; ma nel senso bensì che sia una questione da discutere contemporaneamente anche essa. Il ministro ha accennato nella esposizione come globalmente gli aumenti ci sono stati, come il peso è aumentato ugualmente. Ha detto: una migliore distribuzione fatta con criterio di riforma riguardo alle funzioni ed agli organici potrebbe migliorare la situazione dei singoli impiegati, senza gravare eccessivamente il bilancio. Comunque, questi due problemi devono essere guardati a fondo. Amici, ci troviamo di fronte a funzionari che versano in una situazione di disagio, ma v’è oggi relativa stabilità nei prezzi nei confronti del 1° gennaio dell’anno scorso, e non mi pare si riscontri un peggioramento grave o addirittura un aumento che abbia prodotto una situazione di assoluta emergenza. (Interruzioni a sinistra). Questa è la verità. Ora io dico: noi abbiamo ammesso che abbiamo il dovere, che abbiamo avuto fin dall’anno scorso il dovere degli adeguamenti per arrivare almeno alla situazione del 1938. Ma altro è dire che vogliamo arrivare a questo, altro è dire che vi dobbiamo arrivare tutto a un tratto. Io faccio appello al vostro senso di responsabilità, che dovete avere sia dinanzi al paese, sia nell’interesse dei lavoratori; perché basta un atto di leggerezza per generare dei dubbi sopra la nostra solidità economica. Le conseguenze sarebbero fatali anche per il tenore di vita dei lavoratori. È impossibile aumentare rapidamente gli stipendi e per di più senza il contrappeso delle rispettive entrate, senza procurare il contemporaneo aumento dei prezzi. Se aumentano i prezzi, noi saremo nella spira vorticosa dell’inflazione. Ciascuno perciò assuma le proprie responsabilità. Se credete che questa possa essere una proposta conciliativa, dico: non trattiamo questa materia in un ordine del giorno. Il governo prende atto di questo desiderio generale della Camera, e si propone di discuterlo prossimamente, sia accettando la annunziata interpellanza, sia in altra forma. Allora esso assumerà la propria responsabilità dinanzi a proposte più concrete. Non vogliamo risolvere la questione votando sopra un ordine del giorno. In questo senso prego anche l’onorevole Avanzini di ritirare l’ordine del giorno e di accontentarsi di queste dichiarazioni, che corrispondono al suo spirito. (Proteste all’estrema sinistra – Commenti). [Il presidente del Consiglio prende di nuovo la parola dopo l’intervento dell’on. Fernando Santi, che si dichiara disposto a ritirare il suo ordine del giorno, purché la questione sia ripresa nei giorni successivi e il governo si impegni formalmente a risolverla con una comunicazione]. Mi pareva di aver detto abbastanza chiaramente che in linea di principio riconosco la fondatezza delle richieste degli statali. L’ho riconosciuta in passato e torno a riconoscerla oggi. Ma qui non si tratta soltanto di riconoscere, si tratta di trovare i miliardi necessari per far fronte alle richieste. Fino a ieri non li abbiamo trovati. Il bilancio che vi è stato presentato è stato fatto col massimo rigore e abbiamo dovuto creare una speciale commissione, che ha lesinato su tutte le richieste. Abbiamo detto che attendiamo in un prossimo futuro un aumento delle entrate per affrontare il problema degli statali in modo soddisfacente. Altrimenti si dovrebbe provvedere in maniera inadeguata senza risolvere nulla. Abbiamo anche detto che il problema degli stipendi deve essere affrontato insieme con il problema della riforma dell’amministrazione. È chiaro, infatti, che il problema degli stipendi è connesso con molti altri, cioè con quello dell’orario di lavoro, dell’avventiziato e in genere con tutti i problemi che riguardano gli impegni che sostanziano i rapporti di lavoro. È necessario dire chiare parole su questi argomenti e discuterli a fondo, con piena responsabilità. Ho dichiarato prima che sono disposto ad accettare la discussione dell’interpellanza Cappugi, o di altre interpellanze analoghe entro un congruo periodo di tempo, ad ogni modo prima della discussione di tutti gli altri bilanci, e quindi, forse, verso la fine di questa settimana. Ma questa discussione alla Camera deve essere preceduta da discussioni in seno al governo, da un preciso esame del ministro delle Finanze e anche dall’esame delle Commissioni parlamentari. Dateci il modo di fare le cose sul serio per avere una conclusione pratica, altrimenti le cose rimarranno come sono . (Approvazioni). |
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| È proprio in questo quadro che anzi i concetti di autonomia trovano la loro giustificazione, perché il federalismo può essere concepito soltanto come organizzazione nel rispetto della libertà dei singoli componenti. Nella regione trentina, dove esiste una minoranza tedesca, abbiamo sentito la necessità di creare l’autonomia onde difendere i diritti e le legittime aspirazioni del gruppo etnico. È sempre stata la nostra linea di condotta quella di difendere non solo nel Trattato, non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa questi diritti delle minoranze etniche. L’accordo con Gruber è stato, appunto, dettato dalla nostra fedeltà a questo principio. Esso è l’elemento di struttura nuova che è stato creato onde evitare il possibile conflitto ed il rinascere di irredentismi e nazionalismi. È chiaro che occorre, allo scopo di renderlo operante, la lealtà da parte dei cittadini di lingua tedesca verso le autorità dello Stato ed il rispetto delle sue leggi. Da parte nostra offriamo le maggiori garanzie per la tutela delle loro libertà. Se mancano queste condizioni ogni accordo è vano. Quando questi accordi furono firmati essi furono accolti con soddisfazione dal paese e nessun partito mosse obiezioni. Ma, quando i comunisti non furono più al governo, ricevettero direttive di combattere in Italia ed in Austria, allo scopo di disgregare quel principio di unione e di cooperazione che urtava la loro politica distruttiva. L’esperimento ha inizio nella sua fase concreta per le regioni dell’Alto Adige e del Trentino e le perplessità che qua e là affiorano sono spiegabili perché sempre così avviene quando dalle discussioni teoriche si scende nel campo pratico. Occorre però essere convinti che il metodo e la materia son buoni e giusti: bisogna applicare somma energia e vigilanza, perché la indispensabile collaborazione fra l’autorità centrale e gli organi periferici si eserciti nel quadro di una comunità di intenti, superando le frizioni e le resistenze burocratiche. L’autonomia non è un circolo chiuso. Essa si inquadra nella superiore struttura unitaria dello Stato. Tra dirigenti centrali e periferici occorre lo stesso spirito, la stessa linea direttiva. Non si può augurare che tra Stato e regione venga a formarsi un dualismo nocivo all’efficienza e alla snellezza amministrativa. È necessario che non si formi nella regione una mentalità burocratica e formalistica ed è altrettanto necessario che le spese siano contenute al massimo. Ed ora allarghiamo lo sguardo ai problemi di carattere generale. Non intendo qui parlare dei risultati concreti del mio viaggio in Belgio ed in Francia, ma devo una risposta alle ingiurie pubblicate di proposito dalla stampa comunista. Un numero del l’Unità dice che De Gasperi ha «ottenuto la perdita delle colonie». No, amici, mi rincresce per l’Unità, ma le colonie non sono perdute! L’Italia anche in questi momenti sempre più difficili, si batte e cerca di non essere sola e di avere degli amici che ne sostengano le ragioni. E questi amici non possono essere coloro che sono pronti a darci tutto perché nulla loro appartiene. Ho colto l’occasione del mio viaggio a Bruxelles, dove sono andato solo per fare un discorso , per incontrarmi con uomini eminenti di Stati che ci possono essere amici e parlare con loro delle cose nostre. Io ho cercato di ottenere l’interessamento degli amici anche per la soluzione della questione italiana. Questi problemi si vedono, come tanti altri, dal punto di vista della pace o da quello della guerra. La pace noi la vediamo così: parliamo di necessità di lavoro, di necessità di emigrazione, di cooperazione fra tutti i popoli civili. Il nostro paese non vuole altra missione che quella di espandere il suo lavoro. Abbiamo bisogno di questo per vincere, il nostro popolo ha bisogno di uscire dai nostri confini perchè le risorse in patria non sono sufficienti. È stato detto anche da qualche autorevole giornalista: fate le riforme! Le riforme le faremo, ma mancando le riserve sufficienti per tutti non si arriva con quello che c’è a soddisfare le esigenze dell’interno. Abbiamo bisogno della cooperazione del mondo per il nostro lavoro. Noi non abbiamo altro punto di vista e siamo anzi preoccupati che da qualche parte si possa guardare ai problemi mondiali dal punto di vista della guerra. Come mai questa terribile ombra si è proiettata sul mondo che sembrava animato da una nuova luce? Le cause si trovano nella enorme difficoltà per la soluzione del problema della Germania. La Russia si è avanzata tanto che ormai, incoraggiata dalle quinte colonne che esistono nei diversi paesi, spera di avere un ulteriore progresso e di trasformare questa grande struttura per una guerra di conquista delle sue idee. Da quando è nata l’idea degli Stati Uniti d’Europa, questa gente in Francia e in Italia, agli ordini del Cominform ha svolto una lotta feroce contro il movimento della ricostruzione europea, contro lo sforzo dell’America per la rinascita del nostro continente. Da allora questo movimento è andato continuamente acutizzandosi e non fa meraviglia che in Europa sorga questo senso di vigilia di guerra che tuttavia bisogna combattere e dissipare. Io l’ho visto e sentito, quando sono andato a Charleroy e nei dintorni del bacino carbonifero, nel quale lavorano 45.000 emigranti italiani. Mi sono trovato in mezzo a questi lavoratori e ho cercato di infondere tra loro un poco di calore e di speranza, di dare loro un certo affidamento per il nostro intervento, per la nostra protezione a cui hanno diritto e di far sentire loro che andiamo verso la ricostruzione, verso un periodo di pace. Li ho sentiti farmi questa obiezione: ma è vero che andiamo verso la guerra, che scaviamo il carbone per preparare la guerra? A loro ho risposto: non è vero; non bisogna ammettere che la guerra sia inevitabile. Bisogna combattere questa mancanza di speranza, ma per combattere per questa pace, bisogna lottare per la libertà interna, per la disciplina della nazione contro i tentativi denigratori. Bisogna cercare l’amicizia fra i popoli, creare una unità di convinzioni e di forza morale che sarà la base per l’azione comune. Non sentite voi che nei momenti della storia, questi argomenti hanno un valore essenziale? Se tali convinzioni si diffondessero in Europa, avremmo una unità morale che nessuno tenterebbe di distruggere e di demolire all’interno e all’estero. Si parla di uno schieramento di pace e si dice da parte dei signori del Cominform: questo è lo schieramento dei comunisti. Io rispondo: no; lo schieramento di pace è lo schieramento democratico: sono i laburisti in Inghilterra, i socialisti e i cristiano sociali in Belgio, sono i socialisti e i democristiani in Francia, sono le forze che rappresentano lo schieramento democratico perché tutti vogliono la libertà politica, la libertà sindacale, la libertà di coscienza; tutti vogliono quelle libertà che non ci sono nei paesi dove governano i comunisti. I comunisti attaccano l’ONU, l’unica speranza giuridico-formale nata dopo la guerra, di una struttura internazionale. È la Russia che col veto ci impedisce di partecipare alle trattative e ai negoziati in seno all’ONU sulle nostre colonie e di difendere i nostri interessi, di far valere i nostri diritti. Questo è dovuto al paese che i comunisti esaltano come il più generoso nei nostri confronti. Noi non possiamo farci valere, non possiamo difenderci direttamente, abbiamo guadagnato il diritto alla vita internazionale con la profonda umiliazione subita nell’accettare il Trattato di pace. Questo diritto è sancito nella prima pagina del Trattato fra noi e le Quattro Potenze. Il veto della Russia ci ha negato parecchie volte questo diritto. I comunisti dicono che la colpa è nostra perché non siamo con loro. Dove va a finire la nostra libertà se tutte le nostre azioni di politica estera sono accettabili o no soltanto se ce lo permette il Partito comunista? Analogo atteggiamento di fiera opposizione ha assunto il Partito comunista nei riguardi del piano ERP contro il quale si scagliano le più sottili calunnie. Ora non possiamo disconoscere le difficoltà che sorgono da un esperimento di cosiffatta portata; ma non può essere messo in dubbio che il popolo americano ha dato generosamente per raggiungere l’ideale supremo della fratellanza; questo popolo si è gravato di tasse per potere dare una parte dei suoi redditi all’Europa non per asservirla ma per rimetterla in piedi. E questo popolo ci dice: mettetevi d’accordo fra voi, organizzatevi in libertà e democrazia in un mondo unito. Ebbene i comunisti hanno subito tirato fuori che il Piano Marshall si paga a prezzo di patti e di alleanze militari. No! Non ho fatto patti militari! Non sarebbe stato mio compito e non ne avrei avuto la autorizzazione. Ma dobbiamo pure avere in ogni occasione, e questo è capitato favorevolmente, di dare al mondo la dimostrazione del vero volto del popolo italiano. In tante parti di Europa e di America dicono che l’Italia è sempre inquieta, che è divisa, frantumata moralmente e che il governo deve difendere tutti i giorni, non dico la sua esistenza, ma anche la libertà dei cittadini e che quindi è intimamente debole. È perciò sommamente utile che, quando vengono le occasioni si faccia sapere che in Italia c’è una convinzione profonda, nella stragrande maggioranza del popolo, della necessità che il nostro paese si riaffermi nel consesso delle nazioni, che sia richiesta, che si ottenga la piena maturità, perché si possa dare il nostro contributo alla collettività internazionale. Di fronte a questi uomini di Stato, io ho tenuto ad affermare questa nostra volontà di esistenza, di resistenza e di vitalità. Noi siamo soprattutto un popolo che ha coscienza di difendere come legge fondamentale della convivenza civile la libertà, la democrazia, i diritti di tutti i cittadini e di tutti i partiti, cose tutte che esistono solo nei paesi occidentali. Per questo la civiltà occidentale va difesa ad ogni costo. Detto questo debbo farvi osservare che fra tutti coloro che imprecano contro il cosiddetto Patto di Bruxelles, noi non ci entriamo; pochi, forse pochissimi, hanno letto il testo e sanno di che cosa si tratti. Sono cinque Stati molto poco armati, per non dire disarmati, che si sono uniti, soprattutto, su un concetto di possibilità di difesa in confronto di un nemico che venga dall’est come potrebbe essere una Germania hitleriana o un altro Stato, di grande potere, poniamo pure la Russia. Questi paesi sono relativamente deboli in confronto alla massa enorme degli Stati orientali, ma sono paesi di grande cultura e di grande civiltà. Ma si dice ancora contro di noi che il governo italiano non avrebbe nessun riguardo per gli interessi economici e mercantili del nostro popolo e si isolerebbe dal commercio con l’Oriente. Ma quante volte abbiamo dimostrato, anche alla Camera, riferendo il testo degli accordi commerciali che abbiano fatto con gli Stati balcanici che abbiamo cercato di ravvivare questo commercio entro i limiti del possibile. Proprio in questi giorni, la Commissione italiana è a Mosca per trattare un accordo commerciale con la Russia che precede quegli accordi che dovranno fatalmente avvenire per la questione delle riparazioni. Non è vero che ci isoliamo ma ciò che vogliamo difendere è la libertà di collaborazione con l’America e con gli altri paesi europei perché questo è il nostro primo interesse. Ed in fondo c’è sempre questa accusa: il servilismo di De Gasperi verso l’America. Sono accusatori coloro che ricevono ordini perentori dal Cominform e li eseguono anche se contrari agli interessi della patria. Non dimenticheremo mai i loro colleghi francesi nel momento in cui la Russia si era messa d’accordo, all’inizio della guerra, con la Germania, permettendo l’azione verso Occidente, essi contro tutto quello che avevano predicato fino al giorno prima, come una parola d’ordine, cominciarono a caldeggiare l’alleanza con la Germania e la favorirono nella azione concreta. Noi abbiamo sancito la libertà sindacale; ogni corrente può costituire il proprio Sindacato e ognuno può curare i suoi interessi; abbiamo la libertà dei partiti. Ma i comunisti si lagnano: ma dove trovare maggiore sicurezza che da noi? Amici di Trento, è ora di concludere. Ogni autonomia amministrativa è subordinata alla libertà politica e alla vita democratica. Occorre, quindi, votare per la libertà e contro chi la vuole uccidere. Per la dignità della persona, nel suo valore di coscienza civile e religiosa. Votate come democratici convinti, come trentini: degni dei nostri padri, che fin dal concilio di Trento hanno salvato all’Italia questa terra. Votate come italiani che vogliono una patria indipendente, pacifica, collaboratrice di un’Europa unita nelle regioni libere e nella consapevolezza della sua civiltà cristiana. |
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| Si fiderà della memoria e del filo logico dei problemi. Nessuno di voi avrà prestato fede alle interessate notizie dell’opposizione (che siano stati fatti dei negoziati almeno come impegno morale) . Se ne sarebbe ben presto guardato conoscendo la gravità delle decisioni da prendere ed avendo misurato le respon.[abilità] e la profond.[ità] di una discuss.[ione] del genere. Nessun impegno, nessun negoziato. Nessun impegno, libertà. La discussione sulla pol.[itica] estera di domani non è su proposte concrete del governo. Siamo nel periodo della formaz.[ione] della volontà dello Stato e nessun impegno potrà essere preso. Forse è bene che la resp.[onsabilità] della discuss.[ione] l’abbiano presa altri perché la disc.[ussione] vivace in Italia non è stata utile alla forza del paese sul terreno internaz.[ionale], perché prima ancora che su proposte concrete s’è discusso su indirizzi e tattiche da seguire, senza sapere gli elem.[enti] di fatto che limitano il campo delle decisioni. Auguriamoci serietà e responsabilità in modo che gli stranieri abbiano l’impress.[ione] che qui c’è un pop.[olo] maturo che sa governarsi. Questo contr.[asto] profondo da [innescare] la g.[uerra] civile indebolisce in ogni caso il paese. A Bruxelles ha concluso che noi siamo un popolo che ha una linea di condotta e la segue (smentire la fama di barcamenatori). Non può dilungarsi in dettaglio. Sarà sintetico. Prima impressione che ha è che noi siamo stati posti in parte da Berlino in parte per l’agit.[azione] intensa di partiti in uno stato allarmistico che non corrisponde alla situazione. Questa si fonda sulla sensaz.[ione] e sulla previs.[ione] degli uomini più [attenti]. Non alla voglia di confl.[itto] armato; ma confl.[itto] morale, politico. Il momento [della] guerra potrà essere vicino se non si trova una soluzione concordata al probl.[ema] germanico (risorgere della Germania, attiva, con infiltr.[azione] comunista: questo è il pericolo). Ciò – in ogni caso – non è prossimo. La Russia intende penetrare nei p.[aesi] europei con le V colonne e coi colpi di mano. Come è possibile che al popolo ital.[iano] si dipinga il pericolo di un blocco offensivo e provocatore, nella situaz.[ione] militare in cui siamo? Non solo noi, ma anche le pot.[enze] del P.[atto di] Bruxelles. Se si vuol parlare di pericolo si deve parlare dell’altra parte. Ridicolo parlare di offensiva. La propaganda avversaria (part.[ito] bolsc.[evico]) ha creato delle ebollizioni che portano la paura di discorrere del problema, ma creano probl.[emi]di coscienza in molti. Dal calcolo delle forze distribuite, [dai] rapporti di alleanza tra URSS e p.[aesi] satelliti si vede dove è il blocco, e le violazioni dei trattati. Questa è la realtà, minaccia alla sicurezza europea. Per questo bisogna essere d’accordo, perché se qualcuno dubitasse della esistenza della ideologia di questa forza, il dinamismo del conflitto prende un altro aspetto. Le informaz.[ioni] sopra la lotta ingaggiata contro il P.[iano] Marshall dicono l’imponenza e la forza di questa offensiva, in Francia, in Italia e anche [in] p.[aesi] molto lontani. Testamento di Zdanov che descrive forze e sviluppo. Queste le premesse necessarie per giudicare la situazione, altrimenti i problemi non possono porsi. Di più. Cosa è successo del P.[atto] di Bruxelles? Nessuno si pone la questione (nessun interesse ad accelerare la maturaz.[ione] indip.[entemente]da noi). La stampa ne fa un bl.[occo] militare offensivo. Il P.[atto] di Bruxelles fu fatto sotto le n[o]s[tre] elezioni e noi eravamo così assorbiti che ci tenemmo lontani. La propaganda avversaria ha proceduto senza reazione da parte nostra. Forse è stato un errore. Come è possibile falsare una opin.[ione] pubbl.[ica] in tal modo. Il p.[atto] di Buxelles è nato come bl.[occo] renano (polit.[ica] di equità di Van Zeeland mette paura oggi al Belgio come la più ingenua). Orrore alla Germania che ritorna (dietro lo spettro della Russia). Stati limitrofi, [la] mutua assistenza [della] carta [delle] NU ostacolo la pol.[itica] di aggressione (spec.[ialmente] Germania). Associare altri Stati con stessi intendimenti. Questo patto è p.[atto] regionale prev.[isto] dalla Carta delle NU. (Provv.[edimenti] militari sottoposti alla Comm.[issione] Sicurezza ONU). Come ha fatto a divenire «offensivo» a parte la forza! (militarizzazione, non sufficiente mobilitazione neppure a Ingh.[ilterra] o Belgio 2 o 3 divis.[ioni]). Perché attrav.[erso] il P.[atto] atlantico stanno cercando di riarmare (la discussione non è su aderire o non ader.[ire]). Oggi la questione è soltanto di indirizzo. Ha pensato con grande angoscia alla respons.[abilità] dinanzi a questo problema. Si più sbagliare, ma la maggiore responsabilità è che se domani il confl.[itto] venisse e il paese non avesse quel minimo di difesa che le possibilità consentivano, quale rimorso! Ha pensato se ci fosse una via per sfuggire all’alternativa; non c’è: o rischio isolamento o rischio cooperazione. Pesare i rischi, sincronizz.[are] tormento e decisioni alla logica delle questioni. Se l’Italia ha interesse e il dovere morale di cooperare alla difesa della Civiltà occidentale e questo diritto trova il suo interesse allora affermare [la] volontà di cooperare per [lo] sviluppo economico e per l’unità. Non farà ipotesi che potessero apparire egoistiche, ma è certo che se non nasce una Europa unita sia dal p.[unto] di vista economico, sociale, militare, il conflitto avverrà più celermente e rinunc.[eremo] all’unica speranza di impedirlo. Europa che è su alcuni punti fondam.[entali] d’accordo: rende inutili gli sforzi dei rivoluzionari interni. Appoggio dell’USA incute timore ai seguaci della dittatura. Ci sono proposte particolari sul modo o l’organismo per [la questione] della cooperazione? No . Vi sono molte proposte ma nessuna risoluzione definitiva. Gli altri uomini di Stato sono nella stessa situazione. L’Unione occidentale (dei 5) non basta, perché non dà la sicurezza, non è definitiva: anche loro sono in marcia spec. [ialmente] elementi continentali dell’unione. Anche l’America è ancora nello stadio di preparazione. Fino a qualche tempo fa sperava nella propria [non leggibile] oggi si arma per impedire e [non leggibile]. Centro nevralgico il problema germanico. Impossibile Europa senza Germania o parte. Si è detto da qualcuno neutralità . Se neutralità uguale proposito di star fuori dal conflitto, chi non potrebbe consentire! Ma la cosa non si pone come nel 1914! Oggi nessuno è interventista , ma nessuno di fatto può essere neutralista . Non guerra di territorio ma di rivoluzioni. C’è un mezzo per essere neutri: rinunciare a indipendenza e democrazia. Accettando il sistema bolscevico per quindici giorni c’è neutralità poi si segue il moto della macchina. Se questa della neutralità è una aspirazione, niente ci divide, niente è stato fatto in senso contrario. (Per le colonie finirà relativamente bene: Divina Provvidenza). Ricordate la nostra situazione: trattato uguale rinuncia alle colonie, così tutte le altre limitazioni. Illogica della posizione nei confronti del P.[atto] di Bruxelles. Ancora oggi consegna delle navi all’URSS. Questo ci porti ad essere realisti sulla nostra decisione. Uscendo dall’Italia si trova che non è vero che il tratt.[ato] è cancellato: due elem.[enti] pregiud.[iziali] dolorosi [sono] diffusi: 1)la nostra tradizione machiavellica (noi soli) . 2)Visione morale di politica e di libertà. Senza entrare nel merito delle procedure e sui modi (dei quali si parlerà a tempo opportuno), in questa prima discussione di politica estera daremo impress.[ione] di compattezza. Sforzo di solidarietà europea accettare tutte le proposte che introducono (senza impegnare). Riprendere la nostra attività internaz.[ionale] europea. Se avessimo potuto partecipare all’ONU avremmo potuto influire assai. Poiché questo ci viene precluso (è un diritto del trattato) noi cerchiano di far valere l’Italia e di farla influire sul senso della pace (tradizioni, storia, mancanza seduz.[ione delle] armi). Idea che ci spinge a dif.[endere] la pace per dif.[endere] la democrazia. Chiede di sperare e di avere fiducia nell’opera che si può fare in difesa della pace (auton.[omia] europea sistema capace di frenare anche gli estremi). U.[nione] Europ.[ea] civiltà più robusta e radicata. Obiezioni solo di forma (defin.[izione] di nazionalismo), nella sostanza il gov.[erno] dichiarerà di accettarla. Il gov.[erno] risp.[onderà] ampiamente, i gruppi anche, ma ci vorrà un o.d.g. che dia fiducia alla linea del governo . |
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| Osserva che una politica estera efficace non sempre consente di parlare a voce alta e chiara alla pubblica opinione . È d’avviso che, in regime democratico, si siano fatti degli sforzi per chiamare il popolo alla comprensione dei problemi del suo avvenire. Ma non è possibile andare al di là di certi necessari limiti. Se il C.[onsiglio] n.[azionale] crede di poter costituire una specie di Consulta di politica estera, che si affianchi alla Direzione, lo faccia, ma a condizione di chiamarvi a farvi parte elementi effettivamente competenti e preparati. Le situazioni cambiano rapidamente e non è possibile fare il punto ad ogni momento delle situazioni [omissis]. Cita al riguardo quel che è necessario recentemente per le colonie. Bisogna poi pensare che c’è il problema delle masse comuniste, che è un problema più che di politica interna, di politica estera. C’è il problema della nostra assoluta debolezza militare, che condiziona ogni sviluppo di autonomia politica. La nostra azione è una azione di accostamento e di [omissis] verso coloro che possono aiutarci; ed è legata strettamente alle oscillazioni continue delle spese di interessi. È una serie di problemi, che non si risolve nelle carte, ma con fatica puntigliosa. Non è possibile discutere pubblicamente di queste cose delicatissime. Innegabilmente, in questa situazione, le forze prevalenti sono al di fuori di noi; e bisogna utilizzarle nel miglior modo possibile. I giornali anticipano a fontana impegni che non sono stati presi, certe anticipazioni e certe critiche ci fanno più male che bene di fronte all’opinione mondiale. Certa pretesa «democratizzazione» non si regge. La democrazia si fonda soprattutto nel mandato di fiducia. Compito fondamentale del partito è quello di creare dei parlamentari, che siano in grado di assolvere i propri compiti. Non si può pensare a parlamentari fuori del Parlamento. Non si può pretendere che i ministri debbano avere il dono di rispondere oltre che alle due Camere, anche ai cercatori di lavori, in ogni occasione e in ogni momento. Per concludere: Politica estera – Nessuna obiezione alla creazione di una Consulta di studio, composta però di pochi e buoni, perché la politica estera non si può fare pubblicamente, specie in periodi preparatori. Non c’è [omissis] di uomini e fluidità [di] questioni: c’è piuttosto fluidità di uomini ed una logica permanente della questione. Funzionalità del governo e del Parlamento : semplificare, perché se no non si arriva. I ministri sono pure uomini. Riconosce i difetti del governo; dice che molti di questi vengono drammatizzati, perché il governo non ha una buona stampa. Non è soddisfatto di come si svolge la preparazione delle leggi, ma anche qui bisogna riconoscere [recte: ricorrere] ad una certa semplificazione. Sintetizza il suo pensiero nella parola: semplificazione per un’azione più concreta del governo e del Parlamento. Non c’è il tempo di far troppe cose, di cui alcune inutili, bisogna farne non molte e buone. Richiama l’attenzione sui problemi della stampa del partito e della pubblicità della nostra azione. Constata che la Direzione lavora sodo. Allargare il tono delle nostre discussioni: sta bene, ma tenendo conto delle necessarie cautele, di fronte ad un partito come il Pci che ha un carattere anticostituzionale. La questione di un ritorno di fiamma democratica del comunismo, non è per ora attuale. I mezzi della «democratizzazione» nel partito debbono tener conto di questa realtà comunista, che ci impegna ad un fronte unico di difesa unitaria. Concede a Gronchi la sua buona fede di sincerità, ma lo invita a tener conto del peso che possono avere le sue dichiarazioni di alto esponente del partito, per evitare di fare il giuoco degli avversari. Conclusione: il partito deve essere una forza unitaria per la formazione delle [omissis] e deve dare la sensazione permanente di questa realtà. Non è indebolendo la fiducia nel mandato e nei mandatari, che si rinforza la struttura vitale del partito. |
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| De Gasperi. Se ben ricordo, il vicepresidente del Consiglio onorevole Piccioni ha dichiarato che il governo è disposto a rispondere a queste interpellanze prima che la Camera dei deputati riprenda la discussione della mozione di sfiducia; e ciò per un certo ordine, che bisogna seguire affinché non si verifichi di nuovo che il Senato venga soverchiato dalla discussione della Camera dei deputati. Ora alla Camera dei deputati non è stato ancora deciso quando questa discussione avverrà, né è stata presentata a questo riguardo alcuna proposta. Alla Camera dei deputati dissi che quello che più importa, soprattutto per la funzionalità stessa della Camera, è che la discussione dei bilanci abbia luogo entro il 31 ottobre. Aggiunsi che, ad ogni modo, predisposto in tal senso l’ordine dei lavori, pur senza attendere che tutti i bilanci fossero deliberati, avremmo potuto inserire tra gli esami dei bilanci la discussione della mozione. Credo che, per dare la stessa tonalità alle due Camere, sia opportuno non abbinare la discussione, alla Camera, della mozione di sfiducia alla discussione, in Senato, delle interpellanze Lussu e Bitossi. In tal modo si eviterebbe la possibilità che una discussione soverchi l’altra. Ed allora, riprendendo la dichiarazione dell’onorevole Piccioni, due o tre giorni prima che venga stabilita la data della discussione alla Camera della mozione, io mi affretterò a mettermi d’accordo con la Presidenza del Senato per fissare la data della discussione delle interpellanze. [Segue la replica al senatore Lussu, che aveva espresso «il desiderio di sentire il presidente del Consiglio, non il ministro dell’Interno, il più presto possibile»]. De Gasperi. Se si tratta di responsabilità, sia confermando e integrando dichiarazioni fatte o che farà il ministro dell’Interno, sia autorizzando previamente queste dichiarazioni, io assumo dinanzi al Senato, come ho già fatto alla Camera, tutta la responsabilità. Quanto alla richiesta che io escluda il ministro dell’Interno dal rispondere ad interpellanze che riguardano il suo dicastero, questo costituirebbe un deviamento non solo dalla prassi parlamentare, ma anche dalle regole della convenienza e della responsabilità. Quando voi mi domandate spiegazioni «sui motivi che hanno spinto il ministro dell’Interno a far operare tanti arresti», il primo a dover rispondere deve essere il ministro stesso che li ha ordinati. Così dicendo, io non intendo minimamente diminuire la mia responsabilità, che assumo tutta intera per la politica di ciascun ministro. In tutte le forme di responsabilità diretta e di corresponsabilità io assumerò la responsabilità che la legge e la Costituzione mi impongono. Se ci sarà bisogno di mie dichiarazioni integrative, io sono pronto a farle, con ciò però non voglio assumere un atteggiamento che possa far ritenere che io copra una responsabilità che il ministro non è capace di assumere da sé. Quanto alle altre osservazioni del senatore Lussu, dichiaro francamente di fronte al Senato e di fronte a tutto il Parlamento che è difficile trovare un metodo che faccia lavorare tutte e due le Camere all’unisono e dia loro la stessa tonalità e dignità di fronte alla opinione pubblica. Il governo ha dichiarato che, riconoscendo questi princìpi, è disposto, per quanto gli compete, a contribuire a questa eguaglianza perfetta; ma devo dire che, essendo stata convocata prima la Camera, è naturalmente avvenuto che la questione oggetto delle interpellanze Lussu e Bitossi fosse posta prima alla Camera. Io non avrei ragioni per discostarmi da quanto si è dichiarato. Se ne vuole fare una questione politica? Io rispondo alla Camera, quando la Carnera vuole; e non ho nessuna difficoltà a rispondere anche qui. La democrazia si difende da sé. Il primo dovere è quello di far valete i propri diritti, ma c’è un dovere funzionale che è quello di assumere le proprie responsabilità: i bilanci. È la prima volta che abbiamo l’onore di affrontare democraticamente tutta la critica dell’amministrazione dei singoli bilanci. Il governo intende sottoporsi a tutte le critiche ed assistere nel loro lavoro tutte e due le Camere: questo è il suo compito e il suo dovere. (Applausi). Ora, stabilito questo principio di completa equiparazione fra le due Camere, stabilite il vostro ordine dei lavori, egregi senatori. Io ho esaminato quello della Camera insieme con i deputati, i quali hanno ammesso che non era pratico inserire una discussione sulla mozione quando ormai si iniziava la discussione sui bilanci ed hanno riconosciuto l’opportunità che la mozione fosse discussa dopo aver soddisfatto quella che, ripeto, è l’esigenza principale. Vogliamo fare qualcosa di diverso qui? Non ho alcuna difficoltà ad accettare in qualunque momento un secondo dibattito al Senato. Se mi permettete, però, di esprimere il mio parere sull’ordine dei vostri lavori, mi pare che la discussione sul provvedimento all’ordine del giorno proceda molto lentamente. Ora, si può discutere su questa legge, si possono dare pareri contrari, ma non si può negare che essa sia un tentativo, per quanto imperfetto, di affrontare grossi problemi che stanno sulla nostra coscienza e che bisogna risolvere nell’interesse di tutto il paese. Credo dunque di far bene, augurando al Senato di terminare il più rapidamente possibile l’esame di questo progetto di legge. Quando esso sarà approvato, la discussione sulle interpellanze Lussu e Bitossi potrà aver luogo anche dopo 24 ore. Desidererei dunque che si accettasse questa proposta e che intanto si portasse a termine quanto prima l’esame del progetto Fanfani. |
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| […] De Gasperi. Accetto di discuterla subito. presiDente. In tal caso, la discussione che si è fatta sulle interpellanze può tener luogo, penso, della discussione generale sulla mozione. Avremo, quindi, dopo le sue dichiarazioni, se ella intende farne, soltanto dichiarazioni di voto. Ha facoltà di parlare l’onorevole presidente del Consiglio. De Gasperi. Devo fare anzitutto alcune precisazioni su un punto accennato nella interpellanza dell’onorevole Leone-Marchesano, cioè su quelli che sono i diritti sindacali degli statali. Con riferimento a quanto si sarebbe dichiarato nel convegno di Firenze, si è affermato che io avrei in qualche forma contestato il diritto di organizzazione sindacale degli statali. Evidentemente ci si riferisce al telegramma di risposta alla Confederazione generale italiana del lavoro , nel quale ho detto che il governo non deve considerarsi come un datore di lavoro, che possa trattare e impegnare aumenti di spesa solo per il risultato dei negoziati sindacali, ma che esso, come amministratore della cosa pubblica e curatore degli interessi dello Stato, è vincolato dal Parlamento, che ha già fissato recentemente il bilancio della spesa pubblica, e dalla responsabilità di provvedere alla copertura di eventuali ulteriori spese. In tutto ciò non v’è alcuna negazione della libertà di organizzazione sindacale, ma è impostata una questione di connessione particolare del problema sindacale con la realtà amministrativa dello Stato. Gli impiegati dello Stato sono contemporaneamente membri di una categoria di lavoratori ed organi di tutela pubblica: si tratta di magistrati che giudicano, di carabinieri che arrestano, (commenti all’estrema sinistra), di intendenti di finanza che tassano, di amministratori che amministrano pubblicamente in nome dello Stato. Quindi, v’è un duplice carattere in queste persone: non soltanto sono lavoratori nel senso generale della parola, come i lavoratori dipendenti dalle imprese private, ma sono anche organi di diritto pubblico. Con ciò non voglio minimamente intaccare il diritto all’organizzazione sindacale, anzi riconosco che, data la nostra Costituzione, il diritto di organizzarsi, sindacalmente, è garantito anche agli statali. Risulta però da questo carattere che ho detto prima che è interesse della comunità nazionale che eventuali disaccordi con l’amministrazione dello Stato siano composti pacificamente e rapidamente, per cui converrà provvedere all’istituzione di speciali organi amministrativi perché, se un abbandono del lavoro debba avvenire, questo avvenga soltanto in casi estremi: e ciò per evitare danni a terzi e danni soprattutto alla comunità. Risulta anche da questa posizione che, quando vi fosse un abbandono delle funzioni da parte dell’organo normale, lo Stato, senza contestare il diritto di sciopero, ha però dei doveri, ha cioè l’obbligo di provvedere, nelle maniere possibili e provvisoriamente, a servizi che sono indispensabili. Dichiarato questo, veniamo al sodo della questione di cui oggi si è tanto discusso. La questione è vecchia: sono da tanto tempo al governo e non ricordo che siano mai trascorsi tre o quattro mesi senza che i Consigli dei ministri siano stati obbligati ad affrontarla. V’è stato un momento in cui eravamo unanimi nella visione del problema sindacale e del problema economico, e ricordo che durante il ministero Parri l’onorevole Nenni diceva precisamente quello che diciamo noi oggi, metteva cioè in luce la connessione fatale del problema degli aumenti ai lavoratori con la questione finanziaria e soprattutto con la questione dell’inflazione. Questo atteggiamento portava ad insistere ed a premere sulle organizzazioni sindacali perché tenessero conto delle possibilità del governo perché, attraverso l’inflazione, si aumentavano i prezzi e si annullava di fatto entro un mese – ricordo le parole precise dell’onorevole Nenni – quello che si era donato, così da poter addivenire alla conclusione che non si era realizzato alcun progresso sugli stipendi e sui salari reali. (Interruzioni all’estrema sinistra). Questa concezione è stata sempre ammessa, anche quando eravamo nei comitati di liberazione. Da ciò precisamente nacque l’idea della scala mobile, proprio quando molti di noi si opponevano a questo congegno, proprio per il timore che con questo congegno si arrivasse all’inflazione. Ricordo anzi che si opponeva, da parte di un collega che si intendeva molto a fondo di queste cose, l’esempio della Germania, la quale era stata condotta all’inflazione precisamente da un sistema analogo. Ricordo che l’onorevole Togliatti e io eravamo d’accordo che invece il sistema della scala mobile fosse buono, che con il sistema della scala mobile si potessero reprimere le agitazioni. Su ciò siamo stati invero un po’ troppo ottimisti, se ci riferiamo alla storia di questi ultimi tre anni. La connessione comunque di questo problema con il lato finanziario e con le conseguenze, direi, della situazione monetaria era ammessa da tutti come elemento che si fosse dovuto imprescindibilmente prendere in considerazione prima di addivenire ad una qualsiasi decisione. Cosa abbiamo fatto noi oggi? Niente altro che questo; ed abbiamo accettato una pubblica discussione perché tutto il problema venisse affrontato poliedricamente, venisse affrontato cioè in tutti i suoi aspetti e non in un aspetto solo. Cosa abbiamo detto, in fondo? Abbiamo detto che noi riconosciamo che, ove sia possibile trovare il mezzo, oggi o domani, noi dobbiamo andare incontro alle richieste degli statali nella misura che sarà possibile e che tutta la questione è fondata sul problema della possibilità, entro il quadro della finanza, difendendo il valore della lira. E coloro che onestamente hanno ammesso questi punti d’origine si sono trovati d’accordo con le nostre conclusioni; naturalmente coloro che accettano le nostre conclusioni soltanto per modo di dire, sorpassano le difficoltà e trovano facilmente una conclusione contraria. Nelle nostre discussioni si è rilevata una contestazione di cifre assai curiosa. Possibile che vi sia un ufficio apposito – l’ispettorato della ragioneria generale – che altro non fa che occuparsi del personale, che sa esattamente quanto si spende da anni, possibile che questo ufficio moltiplichi le cifre, le falsi, per gonfiare la cosa, per creare un senso di reazione da parte dei contribuenti, cioè a dire da parte del popolo in generale? Questo evidentemente non è possibile. E qui è la complessità del problema che può, fino ad un certo punto, portare anche a dei calcoli, in buona fede, diversi, con diversa conclusione, fino ad un certo punto, e non certo alle differenze che sono state qui accennate. Ritengo che, tutto considerato e tenuto conto dei calcoli che ha presentato la Confederazione, i calcoli della ragioneria siano purtroppo esatti. Comunque, l’amico Pella lo ha detto chiaramente: anche a voler ridurre, anche senza parlare di 250 miliardi , ma di 120, su per giù la nostra posizione, il nostro atteggiamento, le nostre perplessità, le nostre obiezioni, le nostre richieste di mediazione su questa situazione e sulle conseguenze finanziarie, sarebbero le stesse, rimangono le stesse. Che cosa abbiamo fatto qui, forse, mi pare, per la prima volta nel dopoguerra? Abbiamo avuto una discussione che ha tentato, per volontà di tutti, di essere concreta di cifre, oggettiva. Abbiamo potuto discutere sopra le conclusioni di queste cifre, ma in fondo nessuno è insorto, mi pare – posso fare qualche eccezione, ma non occorrono nomi – a dire che il governo non ha la volontà di fare. Qualcuno ha detto: interpreta male la situazione, non la conosce bene, o è troppo poco ardito, troppo esitante, non ha fiducia nell’avvenire, nel miglioramento finanziario avvenire. Qualcun altro ha detto che eravamo troppo pessimisti. Comunque, v’è stato un accordo sopra la sostanza delle cose, sulla situazione degli impiegati, sulla nostra comune volontà di migliorarla. Si è detto soltanto che bisogna trovare il modo, senza portare serie conseguenze nella situazione finanziaria, soprattutto senza portare ad un aumento dei prezzi, che annullerebbe daccapo tutte le concessioni. Si è detto: per far questo, bisogna scegliere un certo metodo, procedere con certe cautele e scegliere il momento opportuno. Ma il momento opportuno come si misura? Da due cose: prima di tutto da una certa preparazione ad affrontare alcuni problemi di sistemazione interna; in secondo luogo dall’attesa che lo sviluppo delle finanze, dei redditi fiscali, ora relativamente favorevole, si consolidi in un certo, anche breve, periodo, e dia l’impressione di continuare, di essere permanente. Tutto questo ci ha portato a dire: affrontiamo il problema in una commissione. Sentiremo i rappresentanti anche sindacali, sentiremo i rappresentanti delle due Camere; direi che al Parlamento spetta questo compito, questa funzione, di essere presenti in questa commissione, di vigilare e, direi, di intervenire quasi come arbitro in un momento in cui fra il governo e i rappresentanti sindacali sorgessero divergenze o di fatto o di tendenze. Quindi il metodo che abbiamo proposto è un metodo perfettamente democratico, perfettamente parlamentare; e se noi chiediamo di poter scegliere, entro un breve periodo, il tempo più opportuno per esaminare o prendere provvedimenti, abbiamo le ragioni che prima ho esposto, cioè la complessità del problema. Diciamo chiaro: da una parte c’è una parvenza di simpatia verso i funzionari sia per l’opera che essi prestano sia per i bisogni e le esigenze che dimostrano di avere; dall’altra parte, però, non dovete dimenticarlo, v’è una reazione contro l’aumento delle spese di amministrazione. Si dice: come mai paghiamo e paghiamo, e l’amministrazione dello Stato diventa più pesante? E poi si comincia a dire: gli impiegati sono troppi, bisogna ordinare diversamente il lavoro; in un settore sono troppi e in un altro pochi. Nel pubblico c’è questa sensazione: che il peso è troppo e che non si può continuare così. Perché è avvenuto od è potuto avvenire questo? Perché in tutte le questioni sindacali che si sono presentate non abbiamo avuto altra alternativa: accettare o no i termini delle richieste. Il problema lo abbiamo dovuto vedere soltanto quasi sindacalmente, come soddisfazione o meno di certe richieste. In fondo è stata una specie di trattativa dove si chiedeva cento per arrivare a cinquanta o a sessanta. Così la vertenza veniva chiusa con qualche soddisfazione, tanto più che si aggiungeva la minaccia del ricorso allo sciopero, a quelle forme di pressione sindacale che di fronte alla collettività, allo Stato, portano un pregiudizio maggiore che verso altre categorie. Ora il paese chiede che per queste vertenze siano usati altri metodi: di evitare il ricorso a dimostrazioni collettive salvo casi di assoluta necessità, in cui ci si trovi di fronte alla tirannia che nega qualsiasi discussione; di fare assumere agli organi parlamentari la responsabilità delle deliberazioni (quindi: rappresentanza democratica, discussione ampia dinanzi al paese, assunzione di responsabilità); il paese vuole poi che si affrontino problemi di sistemazione. E qui non parlo di fare in fretta una riforma di tutta l’amministrazione; disgraziatamente abbiamo avuto due commissioni , una più importante dell’altra, in questo breve periodo del dopoguerra, le conclusioni delle quali mancano di certe formule esecutive che non sono facili, sicché non è stato possibile portarle dinanzi al Parlamento o nella legislazione. Bisogna per intanto dare la sensazione al paese che noi facciamo uno sforzo (e che lo facciamo insieme con i rappresentanti sindacali e quindi anche insieme con gli interessati stessi) per cercare di individuare tutte le economie possibili nella sistemazione della struttura amministrativa dello Stato e nella utilizzazione migliore delle attitudini degli impiegati; per giungere a determinare il peso complessivo dei servizi dello Stato soltanto dopo uno studio, dopo un’esperienza, esaminando il problema non soltanto dal punto di vista meramente sindacale ma nel suo complesso, nel quadro della poliedrica attività economica e sociale dello Stato. Il problema del trattamento economico degli statali è anche un fatto di giustizia sociale; ma non riguarda soltanto il soggetto come tale nella categoria; è problema di perequazione dinanzi ad altre superiori esigenze del paese. In altre parole, accanto a una visione di necessità di categoria, con le sue graduazioni di urgenza, deve esservi una visione del più generale ed ampio problema amministrativo. L’apposita commissione, pertanto, dovrebbe esprimere parere al governo circa i seguenti quesiti: 1) in qual modo e in qual misura nei limiti della spesa complessiva attuale sia possibile raggiungere una più equa distribuzione delle retribuzioni del personale. Si dice: diminuite il numero degli impiegati e pagate di più quelli che rimangono. Bisognerà certo pronunziarsi in modo chiaro e netto su questo problema, perché già l’argomento è stato discusso da commissioni, con l’intervento di alti funzionari, con conclusioni diverse. Alcuni ritennero possibile la diminuzione, altri impossibile. Ma occorre pronunziarsi in forma chiara perché il pubblico sappia se la riduzione si può fare o no. Se si dice che si può fare perché lo sviluppo tecnico dei servizi, l’interventismo maggiore dello Stato, eccetera, portano ad aumentare e non a diminuire il numero degli statali, il popolo dovrà rendersene conto. Se invece si dice che certe semplificazioni si possono fare, bisogna decidersi a farle e bisogna che per esse s’impegni non soltanto il governo ma tutta l’autorità del Parlamento; 2) se comunque, senza riguardo alla spesa complessiva globale, una riduzione o semplificazione dei servizi ed eventuali spostamenti e provvedimenti per un maggior rendimento possano fruttare delle economie da utilizzarsi a favore del personale. Anche questo è un problema da esaminare bene, prima di decidere aumenti di spese; 3) se dallo stabilirsi di una burocrazia regionale debba e possa attendersi un alleggerimento delle spese statali per il personale o quanto meno una migliore utilizzazione del personale esuberante. Dobbiamo cogliere occasione, nell’affrontare questo problema, per un monito a noi stessi, all’amministrazione e a quanti se ne occuperanno, nel senso di attuare, con l’ordinamento regionale, non un aumento ma, semmai, un alleggerimento del carico fiscale che grava sul contribuente. Aggiungo poi una clausola per non impegnare ad andare fino in fondo nelle considerazioni di carattere amministrativo ed a postergare l’esame delle più urgenti richieste. La commissione, cioè, potrà presentare al governo ogni altro suggerimento che, tenendo conto delle condizioni del bilancio e della difesa di capacità di acquisto della lira, esamini le richieste degli statali e particolarmente i casi di retribuzione minima. Qui voi vedete che è disegnata una certa scala di urgenza in cui ad un certo momento si pensa ad alcune categorie, mentre ad altre si arriva più tardi; comunque si può stabilire che si vada per gradi. E vorrei far notare, dato che sono state fatte proposte per il periodo di tempo da assegnare ai lavori della commissione, che questo secondo punto in modo particolare non ha in se stesso una eccessiva importanza. Potrebbe accadere anche che in quindici o venti giorni si fosse pronti, tecnicamente parlando, per ciò che concerne un miglior trattamento alle categorie più disagiate. La possibilità, tuttavia, di una risoluzione generale, è collegata con l’andamento delle entrate dello Stato. All’onorevole Cappugi, che ha proposto il termine del 30 novembre, faccio osservare che condizione imprescindibile per soluzioni positive – e non solo per gli statali ma in genere per le spese più urgenti – è che continui il flusso del reddito delle imposte dirette, che ultimamente è stato di 6 miliardi al mese in più. Bisogna che questi 6 miliardi al mese in più, che sono per la maggior parte ricchezza mobile, continuino ad entrare e possibilmente aumentino ogni mese. Allora avremo la sensazione di una raggiunta solidità e di una dinamica fiscale che ci potrà tranquillizzare sui provvedimenti da prendere all’infuori del bilancio. Siccome (mi pare) è il 19 del mese che si conoscono i dati del mese precedente, ritengo che, se si vuole avere conoscenza esatta di come vanno le imposte, si dovrebbe andare al di là del 19 o del 20 dicembre. Penso che l’onorevole Cappugi potrà accettare questa data, dopo la mia spiegazione. D’altro canto, noi non siamo qui per stabilire un termine minimo. Stabiliamo un termine massimo. Se la commissione potrà dare prima i suoi suggerimenti (e badate che – come ho accennato prima – il primo dei criteri deve essere quello della salvezza della moneta, perché se si abbandona questo criterio il governo non può assumere alcuna responsabilità!), se, dicevo, le proposte della commissione matureranno prima, ciò potrà avvenire indipendentemente dal termine massimo di fine dicembre. Ho citato i compiti della commissione con una certa successione logica, ma posso pensare che la commissione non debba esser legata ad una determinata procedura: potrà liberamente lavorare, potrà lavorare contemporaneamente in due sottocommissioni se crede, per fare le cose più rapidamente, o posporre il lavoro dell’una rispetto all’altra. Ma è certo che, prima di arrivare ad una conclusione definitiva sul complesso del problema, bisogna almeno che i problemi che ho indicato siano affrontati. Credo che, accettando questa nostra proposta, voi riconoscete con ciò lo sforzo sincero del governo e che la progettata commissione è veramente uno strumento capace di ottenere dei risultati. Con l’approvazione di questa proposta sarebbe in contraddizione l’anticipo immediato di un acconto di 5 mila lire al mese a ciascun dipendente, che significherebbe una spesa mensile 5 miliardi. La Confederazione del lavoro aveva già chiesto un aumento iniziale di 4.700 lire (non 5.000 lire), da conteggiarsi, in attesa degli aumenti definitivi, sulla tredicesima mensilità. Se si concede l’aumento iniziale, è inutile discutere ora e preparare la commissione. Avremmo già accettato la proposta minima. Ma, d’altra parte, daremmo davvero l’impressione al paese di avere affrontato seriamente tutte queste questioni nella loro connessione e nella loro conseguenza, improvvisando così degli anticipi? Su che cosa? Con che cosa? E da pensare che quando avremo dato 5 mila lire, che sono 5 miliardi al mese, nei mesi seguenti potremo darne di meno? Evidentemente no, ma allora sarebbero 60 miliardi… Una voce all’estrema sinistra. Non chiediamo l’aumento delle mensilità. De Gasperi. Sono 13 le mensilità, e quindi 60-65 miliardi. Ma badate che arrivo a questa cifra calcolando soltanto cinque miliardi al mese, ma Di Vittorio ha detto «un acconto graduato», il che vorrà dire che per certe categorie dovrà essere maggiore, perché anch’egli vuole sfuggire all’antico espediente dell’appiattimento. Quindi non bastano quei miliardi, bisogna calcolare almeno 80 miliardi o forse cento. Ma restano fuori gli enti locali e le altre categorie che si muoveranno. Anzi alcuni hanno già anticipato, alcuni comuni hanno deliberato un miliardo di aumento a condizione che lo Stato lo dia. Naturalmente a queste condizioni è molto facile legiferare!… (Commenti all’estrema sinistra). Noi crediamo che questo dare per acconti, per anticipi sia proprio il contrario del sistema che vogliamo usare noi per dare a tutti la garanzia che si procede con i piedi di piombo e con tutta serietà, volendo arrivare ad un risultato che non porti conseguenze funeste. Questo sarebbe proprio il contrario. Direi che in questo, mi permetta l’onorevole Corbino, sta proprio il rapporto di fiducia: o vi fidate della serietà del governo, il quale di fronte alle rappresentanze sindacali si imbarca in questa impresa che può essere rischiosa, ma che spera di poter condurre a buon porto in breve periodo, ed allora date la vostra fiducia, o non vi fidate, ed allora se domandate prima una caparra, volete un contratto marcio, che il governo non può fare e lo dice chiaramente. Non lo può fare, non per il solo carattere direi di sfiducia, che è implicito, ma non lo può fare oggettivamente: daremmo un pessimo esempio ai comuni e alle altre amministrazioni, perché dappertutto si direbbe: dal momento che il governo anticipa, anticipiamo anche noi, e si salvi chi può! Questo non deve avvenire, per la responsabilità che abbiamo tutti, noi governo e voi Parlamento. (Applausi al centro). Vi sono alcune altre proposte che sono state fatte, ma queste mi pare che siano le essenziali. Io credo che chi vuole arrivare a buon termine e vi vuole arrivare con quelle cautele che vi ho indicato ed in base a quelle direttive del problema, assicurando così il paese sotto ogni aspetto, deve accettare la prima parte della mozione Di Vittorio, cioè approvare l’istituzione della commissione proposta dal governo. Questa è la prima parte. La seconda parte mi pare sia contraddittoria e contenga anche sfiducia, e quindi non la posso accettare. Riguardo ad un finale che Lizzadri ha voluto ripetere oggi (l’aveva fatto ieri, molto forte, rivolgendosi soprattutto agli interessati e dicendo: badate, gli interessi vostri si difendono soltanto da questi banchi, dai banchi dell’opposizione, e non dai banchi della borghesia, dai banchi della reazione, naturalmente costituita dai partiti che stanno al governo) voglio rispondere che non faccio nessun appello ai funzionari e agli impiegati, perché io ho la massima fiducia nella loro ragionevolezza e nel loro buon senso Si sa che è facile da quei banchi avanzare proposte non assumendo nessuna responsabilità sulle conseguenze. È difficile, viceversa, da parte nostra fare delle concessioni, ma si sa che quando le concessioni sono fatte sono applicate, perché abbiamo la forza di subirne le conseguenze e abbiamo il coraggio di applicarle. Quindi non so se essi vorranno giudicare anche da un punto di vista utilitario, ma anche in tal caso giudicherebbero sempre in nostro favore; ma io li invito a considerare la questione da un punto di vista di responsabilità. Io ne conosco molti. La burocrazia ministeriale avrà dei difetti, ma ha anche un attaccamento vivissimo alle sue funzioni, al senso di responsabilità, al suo carattere specifico di lavoratore – se volete chiamarlo così – di Stato. Il senso dello Stato non viene meno in loro. È al loro senso dello Stato che facciamo appello, anche per questi servi fedeli, diligenti e benemeriti dello Stato. (Commenti).Siamo completamente tranquilli. Non mi fanno paura le minacce. Si parla di esplosioni, di ricorso alle astensioni, eccetera. Penso che in un certo momento potrebbero, se si vedessero ricacciati da tutte le parti, ricorrere allo sciopero. Penso anche questo, ma penso pure che oggi, dinanzi alla proposta di creare una commissione, dinanzi ad un sereno studio ed a un governo stabile e forte che si fonda su 16 milioni di voti… (vivi applausi al centro e a destra) penso che essi agiranno non soltanto secondo i loro interessi, ma anche con senso civico e di attaccamento allo Stato. Su questo sono sicuro. Non ho bisogno nemmeno di ripetere un appello. Però, poiché l’onorevole Lizzadri è tornato a dire che questa è borghesia, e che solo il socialismo risolverà il problema degli impiegati, io rispondo: questo non è esatto: questa è democrazia, che discute e che esamina ragionando le responsabilità. (Vivi applausi al centro e a destra). Qui sono rappresentati al governo dei socialisti autentici… (Applausi al centro – Proteste all’estrema sinistra). inVernizzi Gaetano . Non sente vergogna, onorevole Lombardo? loMbarDo . Voi non lo conoscete il socialismo! De Gasperi. In realtà, non saprei perché deve sentire vergogna l’onorevole Lombardo. Io l’ho applaudito molte volte quando parlava da quei banchi, perché parlava con serietà. Oggi mi onoro di questo collega, che affronta insieme con me la difficile situazione. Onorevole Lizzadri, avrei preferito concludere pacificamente – tale era il mio tono – questa discussione, esaminando le nostre confluenze sul problema economico attuale. Ma un egregio collega mi ha indotto a questo finale. (Proteste all’estrema sinistra). Io dico che se vi è da risolvere un problema, è preferibile risolverlo in libertà, secondo i criteri della democrazia, piuttosto che risolverlo secondo il sistema di certi paesi che si chiamano a democrazia progressiva. (Vivissimi applausi a sinistra, al centro e a destra). [Segue un intervento dell’on. Renato Cappugi per richiedere ulteriori chiarimenti al governo]. De Gasperi. Mi pare di essermi espresso abbastanza chiaramente. La Commissione può presentare le proposte, quando vuole; non c’è alcun termine. Dico però, in conformità all’impegno finanziario, che bisogna tener conto del momento in cui il governo avrà la possibilità di giudicare con cognizione dei fatti. Una voce all’estrema sinistra. Onorevole Cappugi, vada pure a Canossa. cappuGi. Chiedo di parlare. presiDente. Ne ha facoltà. cappuGi. Io non vado per niente a Canossa, perché la mia interpellanza è molto chiara: io invitavo il governo a discutere il problema degli statali. Il governo propone una seria commissione di carattere parlamentare, con l’intervento dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali. (Interruzioni all’estrema sinistra). Chiedo quindi formalmente al governo che dichiari che per le categorie più sperequate la commissione potrà fare proposte a brevissima scadenza. (Commenti all’estrema sinistra). De Gasperi. Permetta, onorevole Cappugi, non credo che siamo a Canossa, perché non è in questione l’imperatore germanico … cappuGi. Lo hanno detto a me! De Gasperi. Non occorre animarsi tanto per difendersi da una simile accusa, perché se l’opposizione non fa queste accuse, non so davvero cosa faccia: è il minimo che l’opposizione possa dire. (Si ride al centro). Il problema è diverso; prego di inserire nel resoconto e nel verbale della Camera che, riguardo ai compiti della commissione, nelle mie dichiarazioni vi è precisamente un punto: «la commissione potrà presentare al governo ogni altro suggerimento che, tenendo conto delle condizioni e delle responsabilità del bilancio, della capacità di acquisto della moneta e della necessità di difesa della lira, esamini le richieste degli statali ed i casi di retribuzioni minime». Non vi è un termine: la commissione potrà presentare questi suggerimenti quando lo crederà opportuno. cappuGi. Più che la parola «esamini», si dovrebbe scrivere: «provveda». De Gasperi. Possiamo dire «e proponga». (Commenti al centro). presiDente. Non riesco a comprendere una maggioranza la quale contribuisce a far sì che non si capiscano esattamente neppure le dichiarazioni del presidente del Consiglio. (Commenti all’estrema sinistra). scoca È una maggioranza vitale! presiDente. Onorevole Scoca, mi pare che sia una vitalità deviata. Come la Camera ha udito, il presidente del Consiglio ha dichiarato di accogliere la mozione presentata dagli onorevoli Di Vittorio e Santi nelle prime due parti; ha dichiarato invece di non accogliere la terza parte, quella cioè in cui si chiede l’acconto immediato. Su queste due prime parti accolte dal governo è stato presentato un solo emendamento, quello dell’onorevole Cappugi. Esso dovrebbe però, per maggior chiarezza, subire qualche modificazione nel testo, in sede di redazione definitiva. [Segue un’interruzione dell’on. Pietro Nenni, che accusa il presidente del Consiglio «di richiamarsi all’epoca in cui i partiti dell’estrema sinistra collaboravano al governo», scorgendo nelle sue parole una specie di rimpianto per tempi più facili»]. De Gasperi. L’intervento dell’onorevole Nenni mi ha un po’ sorpreso. In ogni modo, non so se egli abbia veramente frainteso le mie parole o se abbia voluto generalizzare i concetti che ho espresso. Io ho ricordato – credo non a suo biasimo – che il nesso fra le richieste sindacali e il periodo di inflazione è stato riconosciuto parecchie volte da noi, senza distinzione di partito (compresi gli esponenti del partito dell’onorevole Nenni), durante il periodo del governo di emanazione dei comitati di liberazione nazionale. E a proposito ho ricordato che in altra occasione l’onorevole Nenni propose di prospettare alle organizzazioni sindacali (si trattava di un aumento di 20 miliardi) l’opportunità di tener presente che la spesa poteva portare all’inflazione e che se il governo non controllava i prezzi, a distanza di un mese si sarebbe ricaduti in una identica situazione. Ora io non facevo riferimenti politici, io ho detto che è una considerazione vecchia, che non facciamo altro che ripetere una considerazione che era comune una volta fra i diversi partiti che erano al governo. Non entro in discussione politica. Ho visto che l’onorevole Nenni ha cambiato atteggiamento di fronte alla proposta, e mi pare anche modificato l’atteggiamento dell’onorevole Di Vittorio che ha dichiarato di non accettare nemmeno il primo capoverso della mozione, cioè di non approvare la creazione della commissione. E qui ha detto che il governo deve assumere le sue responsabilità e che l’opposizione non può compromettersi collaborando ad una decisione consimile. Ora faccio osservare che noi non abbiamo proposto alcun artificio antiparlamentare, ma quanto prospettiamo rientra nella nostra prassi parlamentare, è nella prassi comune del diritto parlamentare. Anche di recente, durante la Costituente, è stata nominata una commissione per la riforma della burocrazia, della quale è stato componente un rappresentante del Partito socialista. È vero che questa commissione non ha dato fondo all’universo e non ha fatto la riforma della burocrazia, ma si è fermata su un settore particolare – quello degli avventizi – ed ha creato l’anno scorso le basi su cui, nei primi mesi di primavera, è stato possibile procedere alla deliberazione sulla regolamentazione provvisoria degli avventizi. Quindi, io debbo insistere nella proposta che è proposta di collaborazione, proposta fatta soprattutto ai rappresentanti sindacali, proposta di collaborazione fra i rappresentanti del Parlamento ed i rappresentanti del governo. Naturalmente questa commissione farà le sue proposte e le responsabilità saranno assunte interamente dal governo. Non ci viene in mente di spogliarci di questa responsabilità che è un nostro dovere, ed è anche un nostro diritto . (Applausi al centro). |
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| Mi associo alle espressioni di commemorazione e di cordoglio del vostro illustre presidente, col cuore e con la memoria di chi ricorda i due combattenti della causa della libertà e della democrazia, specialmente nel periodo aventiniano e nella lotta vittoriosa contro il fascismo. |
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| De Gasperi. Onorevoli colleghi, nel manifesto pubblicato dal governo all’atto della convocazione dei comizi si metteva… Gullo . Chiedo di parlare. presiDente . Quando il presidente del Consiglio avrà finito di parlare, potrò concederle la parola. De Gasperi. Onorevoli colleghi, nel manifesto pubblicato dal governo all’atto della convocazione dei comizi si metteva in rilievo… Gullo. Chiedo di parlare. (Commenti). presiDente. Prego il collega Gullo di considerare che sarebbe una nuovissima consuetudine togliere la parola non soltanto al presidente del Consiglio, ma ad un qualsiasi deputato, mentre sta parlando, per concederla ad un altro. (Approvazioni). Gullo. Signor presidente, non ho tolto la parola a nessuno. (Commenti – Rumori). presiDente. Appena saranno terminate le comunicazioni del presidente del Consiglio, ella potrà parlare. Una voce al centro. Viva De Gasperi! (Applausi). Gullo. Mi lasci dire, signor presidente. Le comunicazioni del governo… presiDente. La prego di desistere dal tentativo di parlare in questo momento. Io non posso consentirglielo. Gullo. Il regolamento non stabilisce nulla in proposito. (Rumori – Commenti). Le dichiarazioni del presidente del Consiglio… (Commenti – Rumori). presiDente. Prego i colleghi di non interrompere. Onorevole Gullo, che il discorso del presidente del Consiglio o di qualsiasi deputato consti di una o due parti non ha importanza. Sta di fatto che in questo momento ha la parola il presidente del Consiglio ed io per far parlare lei, visto che è impossibile parlare in due contemporaneamente, dovrei far interrompere al presidente del Consiglio le comunicazioni che sta facendo. Abbia la compiacenza di lasciare che egli faccia le sue dichiarazioni, e poi lei potrà parlare. (Vive approvazioni – Commenti all’estrema sinistra). De Gasperi. Onorevoli colleghi, nel manifesto pubblicato dal governo, all’atto della convocazione dei comizi, si metteva in rilievo che i gruppi in esso rappresentati avevano fornito la prova che una politica positiva ed efficace può essere fatta anche con la collaborazione di partiti d’origine diversa, quando una sia la direttiva, quella di rivolgere ogni cura alla salvezza e al progresso delle classi popolari; comune, e senza riserve di natura totalitaria, la fedeltà alla democrazia nella sua forma repubblicana; non contrastante la visione dei problemi internazionali e infine la collaborazione sia sincera e leale, tanto nel governo, quanto nel paese. Chiudevamo l’appello, esprimendo la fiducia che il paese, chiamato alle urne, avrebbe visto nelle linee fondamentali comuni al nostro schieramento, le possibilità ricostruttive dell’avvenire. Richiamare questo manifesto, ricordare come esso, pur non impedendo la libera gara dei vari gruppi, rispecchiatasi poi nei risultati elettorali, sopravvisse quale espressione sempre valida di uno schieramento esperimentato, equivale a spiegare perché il governo da me presieduto, sorretto da oltre 16 milioni di voti, si presenti alle Camere, sia pure con alcune modificazioni nella sua compagine , a chiedere la vostra fiducia. La Democrazia cristiana ha inteso promuovere un governo solido e stabile, perché la stabilità è una condizione necessaria per poter fare una politica ricostruttiva e riformatrice. Se questa stabilità, oltre che appoggiarsi su un centro robusto, si raggiunge con la lealtà e la concordia di gruppi che aspirano sinceramente alla giustizia sociale e, preoccupandosi della libertà e della forma repubblicana, la vogliono sostanziata di riforme popolari, essa sarà fondata, oltre che sul numero, anche sulla confluenza di più vaste correnti politiche e sociali. La Democrazia cristiana si presenta così non come un blocco informe, ugualmente aperto a tutte le influenze più contraddittorie, ma – per la consapevolezza dei suoi quadri direttivi e organizzativi, per l’adesione cosciente dei suoi militanti – come un partito innovatore e progressista che attinge le sue ispirazioni alla scuola cristiano-sociale; un movimento che rappresenta una parte cospicua di lavoratori della terra e dell’industria e ne interpreta e accompagna il cammino ascensionale; una corrente solidarista che ha però cura soprattutto dei ceti medi e delle classi popolari. La mia dichiarazione fatta alla vigilia delle elezioni: «…la Democrazia cristiana è il partito del popolo minuto, il partito che ripudia ogni spirito di reazione e marcia verso le riforme per la giustizia sociale…» non era uno slogan elettorale, ma esprimeva un programma che scaturisce dalla sorgente originaria della nostra vitalità politico-sociale, cioè dallo spirito della fraternità cristiana; sorgente più viva che mai ora che, come si è rivelato nelle opere di solidarietà del dopoguerra, quasi ad antidoto delle efferatezze passate e delle ansie della ricostruzione, rinascono nel popolo italiano le energie spirituali di fede, di libertà, di civiltà che fecero grande la nazione nel suo primo risorgimento. (Approvazioni al centro). leone-Marchesano . Abolite le leggi eccezionali! (Commenti). De Gasperi. Nessuno è autorizzato ad interpretare la vittoria del 18 aprile con senso di conservazione egoistica. Certamente noi siamo dei realizzatori, che non devono ignorare le necessità della produzione. Ma se affrontiamo il problema dei costi, non è semplicemente col fare appello alle organizzazioni operaie e chieder loro, nel proprio interesse e per solidarietà con i disoccupati, di facilitare il rendimento delle imprese e non frustrarlo con eccessive agitazioni o con scioperi che si possono evitare, ma nel contempo e prima ancora chiediamo che i datori di lavoro facciano dei sacrifici, riducendo i margini del guadagno o reinvestendo le riserve fatte nel tempo della prosperità. (Applausi al centro). Capitale e lavoro devono contribuire a rendere possibile un periodo di assestamento e di rinnovamento, al fine di poter poi riassorbire in maggior numero la mano d’opera. Il fenomeno della disoccupazione, nonostante gli sforzi fatti, è sempre preoccupante. Una sua riduzione efficace può dipendere solo da un rifiorire generale della vita economica. Ma il governo non starà a vedere: non soddisfatto di quanto scaturirà dalla ripresa economica, esso imposterà la lotta contro la disoccupazione ricorrendo non solo ai classici mezzi dei lavori pubblici e dei sussidi, ma anche intensificando il ricorso ai mezzi da qualche mese adottati, cioè ai corsi di riqualificazione. Li perfezionerà, sviluppandoli in cantieri-scuola presso i comprensori di bonifica e di rimboschimento. Conosciamo tutti anche le difficoltà create ai pensionati del lavoro dall’insufficienza delle leggi previdenziali e dalla svalutazione. Nell’anno decorso, con la politica di stabilizzazione dei prezzi, con la costituzione del fondo di solidarietà sociale, con le integrazioni del gennaio e dell’aprile, il governo ha cercato di attenuare le gravi conseguenze della svalutazione post-bellica sulle pensioni. Ora converrà provvedere più sistematicamente. La Commissione interministeriale per la riforma della previdenza ha consegnata la sua relazione il 2 aprile al Ministero del Lavoro che ne trarrà i termini di un progetto di legge, possibile e realizzabile. Disgraziatamente anche le prospettive per l’emigrazione sono poco favorevoli. Nel 1947 emigrarono nei paesi europei circa 212.000 lavoratori, contadini, professionisti e 60.000 circa al di là dell’oceano. Da parte francese e italiana si studiano progetti per una emigrazione agricola in Francia di circa 200.000 persone. Bisognerà insistere per nuovi sbocchi, rendere più facile il movimento migratorio. Alla Conferenza internazionale della mano d’opera, tenuta recentemente in Roma , si è unanimemente constatato che i benefici del Piano Marshall riuscirebbero parziali se non ne risultassero nuove possibilità e facilitazioni per la emigrazione. Si sta esaminando a Washington quello che si possa fare per agevolare nelle intraprese del Sud-America l’emigrazione della mano d’opera italiana . Abbiamo anche avuto scambi confidenziali di idee con il governo britannico e con altri paesi per un prossimo sviluppo su larga scala di grandi lavori nell’Africa centrale, il che potrebbe riuscire di grande vantaggio per le nostre imprese e i nostri lavoratori. Proporremo prossimamente la convocazione di un Consiglio dell’emigrazione ed esamineremo se convenga creare un autonomo organo propulsore . Presenteremo naturalmente alle Camere le leggi del lavoro corrispondenti agli articoli relativi della Costituzione: conferimento della personalità giuridica ai sindacati, validità dei contratti collettivi, regolamentazione del diritto di sciopero, partecipazione operaia ai sensi dell’articolo 40 al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Una speciale commissione presso il Ministero dell’Agricoltura sta elaborando dal punto di vista tecnico i provvedimenti legislativi per attuare i princìpi stabiliti nell’articolo 44 della Costituzione. Un comitato interministeriale più ristretto esaminerà e risolverà il problema anche dal punto di vista della spesa e degli organi specifici che si dovranno creare, salva sempre la parte che spetta alle regioni. La meta rimane quella proclamata: ridurre al minimo il numero dei braccianti, facendone altrettanti piccoli proprietari, (commenti all’estrema sinistra), e ove ciò per ragioni produttive non possa avvenire, compartecipi o cooperatori dell’azienda agricola. Bisogna, quindi, determinare un processo di «trasformazione» e «ridistribuzione della proprietà terriera» in modo che ne risulti uno spostamento rilevante verso la piccola e la media proprietà. Già il decreto pubblicato l’8 marzo 1948 dispone che, se gli attuali proprietari non vogliono o non hanno i mezzi finanziari per la trasformazione (bonifica dei fondi) e d’altro canto non intendono liberamente venderli tutti o in parte, il Ministero dell’Agricoltura possa espropriarli e procedere esso stesso con i propri organi alla trasformazione. Il decreto ha già avuto un inizio di applicazione nel comprensorio della Capitanata, che è di 440 mila ettari. Imprimendo tale ritmo accelerato alla bonifica, si potrà non solo dare impiego utile a ingenti masse di lavoratori per l’esecuzione delle opere, ma si potrà impiegare stabilmente sui terreni trasformati una mano d’opera agricola più che quintupla dell’attuale, risolvendo in zone critiche, come ad esempio la Puglia e la Romagna, il problema della disoccupazione. Inoltre l’intensificarsi della bonifica, specie l’applicazione delle recenti disposizioni del decreto citato, porterà certo ad una riduzione delle grandi proprietà estensive che non potranno procedere alla trasformazione fondiaria, resa necessaria dai procedimenti della bonifica, se non per una parte della proprietà, e dovranno pur necessariamente cedere la residua parte alla trasformazione e alienazione. Va ricordato qui anche il decreto del 24 febbraio 1948 a favore della piccola proprietà contadina, che concede facilitazioni fiscali ai venditori e mutui ai contadini compratori, autorizza gli enti di colonizzazione e i consorzi di bonifica all’acquisto o alla ripartizione e vendita a diretti coltivatori o loro cooperatori. Diverse cessioni di terre sono già in corso a Modena, a Viterbo, a Grosseto, a Matera e a Genzano. Gli attuali proprietari dovrebbero avere interesse a ricorrere all’applicazione di tale decreto, perché all’articolo 11 esso stabilisce che, quando si emanassero disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria appartenente ai privati, non si terrà conto, nell’applicazione del limite, di una superficie pari a quella dei terreni che saranno venduti ai contadini o a loro cooperative. È chiaro però che in questi e nei futuri provvedimenti non perderemo di vista il problema della produzione. Abbiamo ancora nella bilancia dei pagamenti un passivo di oltre 200 milioni di dollari per i soli prodotti agricoli, mentre nell’immediato ante-guerra eravamo in attivo di 100 milioni di dollari. Per aumentare la produzione, oltre che sull’aumento delle esportazioni dei prodotti agricoli previste dal Piano Marshall, su una equilibrata politica di prezzi e di scambi e sulla politica di credito agrario, contiamo sui progressi tecnici, a sollecitare i quali ci proponiamo di dare incremento alla sperimentazione, alla istruzione agraria, specie delle categorie dei lavoratori, e di apportare un riordinamento ai servizi tecnici del Ministero dell’Agricoltura, per il quale sottoporremo al Parlamento un disegno di legge che, già predisposto dal ministero, passerà ora all’esame di apposita commissione. Il governo intende dare opera alla regolamentazione dei patti agrari, perciò oltre che ad una equa regolamentazione dei canoni di affitto dei beni rustici con la proroga per un anno delle norme vigenti (ed in proposito sarà subito presentato apposito progetto di legge) si propone di ricorrere a speciali disegni di legge per i contratti di affitto, di mezzadria propria ed impropria, qualora le parti interessate che verranno consultate non trovassero un accordo a mezzo di patti collettivi. (Commenti all’estrema sinistra). Di Vittorio . Come lodo De Gasperi! De Gasperi. Abbia pazienza, onorevole Di Vittorio, ce n’è ancora per molto tempo. (Si ride). Onorevoli colleghi, a questo punto bisogna però confessare a noi stessi che queste ed altre riforme si potranno realizzare solo a due condizioni: 1°) che all’interno, per l’autorità dello Stato e per autodisciplina di organizzazioni e partiti, si crei e si consolidi un ambiente di libertà ordinata e di democrazia rispettata nelle sue leggi e nel suo costume; 2°) che la nostra situazione finanziaria sia posta al riparo da ogni avventura e da ogni pericolo. Nella politica interna intendiamo salvaguardare i diritti costituzionali, il metodo democratico e la rigorosa osservanza delle leggi dello Stato. Al metodo della democrazia, che affida alla persuasione e alla propaganda tutte le conquiste e che comporta il ripudio della violenza e del sopruso, dobbiamo sottostare tutti, senza eccezione. Questi non sono i princìpi di uno Stato di polizia, ma i criteri direttivi di uno Stato costituzionale, libero e democratico. A tutela delle libere istituzioni repubblicane il governo intende applicare strettamente le leggi vigenti circa le formazioni paramilitari di partito e il disarmo delle fazioni, quale che possa essere il loro colore politico. Indizi non dubbi circa l’attività concreta svolta da certe organizzazioni, i compiti loro assegnati per determinate contingenze, le armi trovate in possesso dei partecipanti, impongono il dovere di vigilare e di agire a termini di legge. Dal 1 gennaio 1947 al 30 aprile 1948 sono state recuperate le seguenti armi, in buona parte – notate bene – conservate e mantenute in condizioni di pronto impiego. (Rumori all’estrema sinistra – Commenti). Una voce al centro. Erano nei conventi! (Si ride – Commenti). De Gasperi. Egregi colleghi, ascoltate l’elenco, che è interessante: 1°) cannoni, mortai e lanciagranate, 189; 2°) mitragliatrici e fucili mitragliatori, 1.876; 3°) moschetti e fucili da guerra, 14.270; 4°) pistole e rivoltelle, 5.944; 5°) bombe da mortaio, 11.473; 6°) bombe a mano, 30.896; 7°) proiettili di artiglieria, 32.352; 8°) armi bianche, 3.242; 9°) petardi e detonatori, 41.845; 10°) cartucce a pallottola, 3.694.298; 11°) esplosivi, quintali 9.752; 12°) mine, 3.829; 13°) miccia, metri 1.961.393; 14°) canne di ricambio armi automatiche, 1.221; 15°) pugni di ferro, 337; 16°) apparecchi radiotrasmittenti, 75; 17°) razzi per segnalazioni 8.539. (Commenti). I due terzi di tutto questo materiale sono stati reperiti nel primo quadrimestre del 1948… leone-Marchesano. Reperiti presso chi? (Rumori vivissimi all’estrema sinistra). seMeraro Gabriele . Viva Scelba ! (Vivi applausi al centro – Interruzioni all’estrema sinistra). De Gasperi. Ripeto, nel primo quadrimestre del 1948 e come conseguenza delle più rigorose misure adottate in materia di disarmo con il decreto 5 febbraio 1948, n. 500. (Applausi al centro). Dopo le elezioni del 18 aprile il movimento per disfarsi spontaneamente delle armi da guerra ha assunto proporzioni eccezionali. Tuttavia deve ritenersi che armi si trovano ancora in possesso di singoli cittadini o sono custodite in depositi a disposizione di organizzazioni private, donde la necessità di prorogare la validità del su indicato decreto che scade il 30 giugno prossimo venturo. toGliatti . E le armi che hanno assassinato gli organizzatori sindacali in Sicilia ? (Interruzioni – Rumori). spiazzi . Ormai avete finito di fare gli spavaldi! (Interruzioni e rumori all’estrema sinistra). toGliatti. Gli assassinati sono stati sinora sempre i comunisti. Perché gli assassinati sono tutti dei comunisti? (Vivi rumori al centro e a destra). Una voce al centro. E Federici ? presiDente. Prego vivamente i colleghi di non interrompere. Una voce al centro. Avete preparato le forche! pajetta Giuliano . Gli agrari in Puglia detengono liberamente le armi! (Rumori al centro – Commenti). De Gasperi. Permettetemi di fare una dichiarazione di una certa importanza e che potrebbe essere pacificatrice. Lo Stato non intende agire con spirito di persecuzione o rappresaglia. (Interruzioni all’estrema sinistra). toGliatti. Vedremo i fatti! piGnatelli . Avete paura della giustizia! (Rumori all’estrema sinistra). Una voce al centro. Noi vogliamo che l’autorità del governo sia rispettata. (Interruzioni – Rumori – Scambio di apostrofi fra il centro e l’estrema sinistra). presiDente. Prego gli onorevoli colleghi dell’estrema sinistra di non interrompere, soprattutto così spesso e con grida così incomposte. Farini . Questa è la politica delle menzogne. (Vivissimi rumori – Interruzioni – Proteste – Commenti). De Gasperi. Lo Stato non intende agire con spirito di persecuzione o rappresaglia, ma vuole creare quell’ambiente di sicurezza per tutti sotto l’egida di forze pubbliche imparziali, il quale è la premessa indispensabile per la composizione di tutti gli odi del dopoguerra. La pacificazione significa, come ha scritto un vecchio giornalista in un libro che fa riflettere, spezzare la spirale della vendetta. (Rumori all’estrema sinistra). pajetta Gian carlo . Quello è un giornalista fascista! (Interruzioni e commenti al centro). Ci parli degli assassini di Miraglia ! (Interruzioni – Rumori al centro). De Gasperi. Mi sembra, egregi colleghi, che non abbiate nulla da opporre a queste dichiarazioni, perché anche recentemente, a Milano, in occasione della nostra visita, si diffondevano alla Marelli manifestini che venivano da parte destra, in cui si chiedeva vendetta contro presunti o reali compagni (non ne conosco il nome) che sarebbero stati responsabili di certi morti. (Interruzioni e rumori all’estrema sinistra). Una voce all’estrema sinistra. Si insultano i partigiani! (Rumori). De Gasperi. Bisogna – salva la giustizia – volgere le spalle al passato e guardare all’avvenire; ma ciò importa anche vigilanza contro ogni tentativo e possibilità di ricorrere ai mezzi extra legali e di preparare la guerra civile. leone-Marchesano. Abolire la retroattività delle leggi penali: questa è la pacificazione! (Commenti all’estrema sinistra). De Gasperi. La seconda condizione è che la situazione finanziaria, che non può non apparire grave, non sia però allarmante e consenta la fiducia nella ripresa e nel consolidamento. Rinviando per tutto il resto alla prossima esposizione del ministro del Tesoro , mi basti qui rilevare che il bilancio è attualmente gravato da un complesso di oneri, in prevalenza di natura eccezionale e transitoria, di cui lo Stato ha dovuto farsi carico per ragioni di ordine sociale, ma che minacciano di compromettere qualsiasi tentativo di riassetto della nostra pubblica finanza. Una coraggiosa politica di revisione di tali spese, in un quadro – beninteso – di comprensione degli aspetti sociali dei singoli problemi, si impone con innegabile urgenza. Il programma di revisione delle spese attualmente in atto presuppone, ovviamente, il fermo proposito di contenere eventuali nuove spese entro i limiti della loro effettiva inderogabilità. Contenimento e revisione delle spese costituiranno, quindi, il caposaldo fondamentale per il riassetto del nostro bilancio. Bisognerà in primo luogo procedere all’abolizione dei prezzi politici, sia pure coi compensi già adottati, quale il caropane , e portare al pareggio i servizi pubblici, come le ferrovie e le poste. (Commenti all’estrema sinistra). I mezzi per far fronte alle diverse esigenze di carattere ordinario ed eccezionale dovranno essere forniti in primo luogo dalle entrate tributarie. Il ministro delle Finanze , che ha una particolare preparazione tecnica in materia, intende provvedere al riordinamento del sistema delle imposte. Tributi di scarso rendimento e di amministrazione macchinosa potranno essere abbandonati: si cercherà di concentrare l’opera della finanza ed il sacrificio del contribuente su un numero limitato di imposte, il più possibile semplici nella loro struttura e che creino il minore impaccio possibile alla vita dei cittadini e all’azione economica. Soprattutto bisognerà arrivare a rompere il cerchio nel quale si dibatte da tempo la finanza italiana: le leggi sono talvolta fatte e l’amministrazione spesso opera partendo dal concetto che il contribuente froda la legge con ogni mezzo a sua disposizione; ed il contribuente giustifica le continue violazioni della legge invocando l’eccessivo aggravio delle aliquote e la complicazione delle formalità delle imposte. Il governo pensa che tutto dovrà essere fatto per creare una nuova moralità fiscale: la semplificazione degli ordinamenti, la giusta distribuzione del carico fiscale, l’eliminazione dei privilegi, la riorganizzazione funzionale ed il continuo miglioramento tecnico della amministrazione, la sistemazione del contenzioso tributario, ed infine la formulazione delle sanzioni per gli inadempienti su nuove basi, sono gli stadi principali attraverso i quali il governo pensa che l’opera di restaurazione degli strumenti dell’attività fiscale debba passare. Solo mediante questo lavoro, che sarà necessariamente lento e faticoso, sarà possibile realizzare quell’ordinamento delle imposte che attui la progressività e la giusta distribuzione del peso fiscale fissate dalla Costituzione e sia nel contempo mezzo efficiente per operare quella continua ridistribuzione della ricchezza che è elemento fondamentale della società giusta, quale noi la concepiamo. Ben s’intende che le imposte attualmente in vigore saranno riscosse. Nella politica del credito, quella che è consuetudine indicare come direttiva Einaudi verrà mantenuta e difesa. Tendiamo a consolidare gradualmente la stabilità del potere della lira sul mercato interno e nei rapporti con l’estero. Da alcuni mesi è ricominciato in misura notevole l’afflusso del risparmio privato verso le casse dello Stato. Il governo è estremamente sensibile alla fiducia che il nostro risparmiatore sta dimostrando verso lo Stato e verso la lira. Più profonda è quindi la nostra consapevolezza di dover fare quanto è necessario, a qualsiasi costo, perché tale fiducia non soltanto non debba più soffrire delusioni, ma riceva il meritato premio. Non è intendimento del governo di abusare di tale situazione creando una concorrenza fra la tesoreria dello Stato e l’economia privata nell’accaparrarsi la fiducia del risparmio. Il governo è consapevole della necessità della ripresa economica e sa che soltanto due strade possono seguirsi per risolvere il problema del finanziamento delle singole imprese: l’incremento del risparmio all’interno e l’afflusso di capitali esteri. Ogni altra via è pericolosa. Pur non escludendo che le cosiddette necessità del commercio, parallelamente all’incremento della ripresa, possano richiedere un margine di elasticità, il governo sa di accogliere una fondamentale istanza del paese guardandosi da suggestioni inflazionistiche. Il risparmio sarà quindi tutelato ed il suo graduale incremento sarà incoraggiato soprattutto in funzione di una graduale ricostruzione del reddito nazionale, oggi ancora inferiore di parecchio al limite pre-bellico. Come pure la politica di incoraggiamento dei capitali esteri per gli investimenti in Italia sarà continuata quale mezzo per dare al nostro organismo economico la necessaria linfa vitale. Entrate tributarie ed afflusso del risparmio alla tesoreria non saranno però sufficienti – allo stato attuale – per determinare, da soli, l’assetto definitivo del bilancio. Dovremo contare sull’intervento diretto ed indiretto del piano ERP. Onorevoli colleghi, quasi ogni capitolo di questo discorso scivola alla fine verso il Piano Marshall. È ora, onorevoli colleghi, che ce ne occupiamo espressamente. (Commenti alla estrema sinistra). Il programma di ricostruzione economica europea (ERP) fissato in base alla legge del Congresso degli Stati Uniti del 3 aprile 1948 assegna all’Italia per il presente anno un contributo di 703 milioni di dollari (circa 400 miliardi di lire), parte in dono, parte in prestito. Per il primo trimestre (aprile-giugno) l’amministratore dell’ERP ha riservato all’Italia 165 milioni di dollari, dei quali 140 in dono, 25 in prestito. Va rilevato che in considerazione delle particolari condizioni dell’Italia la sua quota di prestito è di appena il 16 per cento sul totale, mentre paesi come il Benelux arrivano all’85 per cento e l’Irlanda persino al 100 per cento. Quale è per l’Italia il valore di tale contributo? 1°)Esso fornisce all’Italia merci per un importo che rappresenta poco meno della metà del nostro fabbisogno totale di importazione: l’altra metà è coperta dalle nostre esportazioni, dalle partite invisibili e da crediti di organismi bancari. 2°)Esso mette a nostra disposizione (nel fondo lire) una massa finanziaria che non è molto lontana dal risparmio annuo nazionale. Per l’anno in corso si prevede dalle amministrazioni competenti italiane ed americane che l’Italia importerà dalle due Americhe circa i nove decimi del suo fabbisogno totale di importazioni di cereali, i tre quarti di quello di cotone, di carbone e di combustibili liquidi; circa la metà del fabbisogno di rame; una quota importante di quello di prodotti siderurgici. A questo fabbisogno di beni essenziali si potranno aggiungere i macchinari necessari per sviluppare ed aggiornare qualche parte della nostra attrezzatura produttiva… (Interruzioni e commenti all’estrema sinistra). pajetta Giuliano. Vogliamo, o no, dare lavoro agli operai? presiDente. Onorevole Pajetta, chieda di parlare durante la discussione che seguirà. De Gasperi. …se non vogliamo che essa soggiaccia in un prossimo futuro alla concorrenza internazionale. Per essere completi, si dovrebbe anche rilevare che dal piano si possono attendere anche vantaggi indiretti, giacché si tratta di un piano di collaborazione europea che riguarda 16 nazioni, destinato a sorreggerne e stimolarne l’attività economica della quale può sperare di avvalersi anche l’Italia, sia nei commerci, sia nell’emigrazione. (Commenti – Interruzioni all’estrema sinistra). Una voce all’estrema sinistra. E intanto si cominciano a chiudere delle aziende! De Gasperi. Questo auspicato e prezioso intervento dell’economia americana ci crea dei problemi interni, che sono stati già oggetto di vivaci discussioni pubbliche. Il primo è quello della scelta delle merci gratuite e, in parte minore, dei prestiti per attrezzature o altri investimenti a lunga scadenza. Bisogna però notare che alcune merci essenziali, come grano, carbone, eccetera, si impongono da sé: più che scelte devono venire misurate. E in quanto agli impianti, bisogna avvertire che il controllo sarà facile per tutte le industrie che a mezzo dell’IRI o del demanio sottostanno già alla direttiva dello Stato. Più difficile è deliberare sull’utilizzazione del fondo lire. Però, come parallelo a quanto avvenne per i fondi AUSA e «Interimaid» , esistono già alcune categorie di impiego preferenziali. L’impiego è per una parte anche in stretta connessione col bilancio generale dello Stato. È chiaro per esempio che, data la scarsezza delle nostre disponibilità, il fondo lire dovrà essere utilizzato anche per spese alle quali, se lo potesse, dovrebbe sopperire il bilancio colle sue entrate. Pensate, semplificando, alla riforma agraria, alla assistenza sociale, al Mezzogiorno, eccetera. Il risanamento del bilancio è del resto una condizione dello stesso piano ERP. Ecco gli impegni che prenderemo in confronto degli Stati Uniti e che il Parlamento esaminerà nel loro testo quando gli verrà sottoposta la convenzione : – sviluppo della produzione industriale ed agricola su basi economiche; – adozione delle misure finanziarie e monetarie che si rendono necessarie per la stabilizzazione della moneta e per portare il bilancio dello Stato verso il pareggio; – massimo sviluppo degli scambi di merci e di servizi con la graduale eliminazione degli ostacoli che si frappongono alla loro realizzazione; – utilizzazione completa e razionale della mano d’opera disponibile, impegno questo che è un grande successo italiano, perché analogo impegno hanno assunto altri 16 paesi europei e, come si è detto, dalla sua leale attuazione l’Italia attende una soluzione almeno parziale del suo assillante problema di esuberanza di mano d’opera. (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti – Rumori). Una voce all’estrema sinistra. E intanto fate morire di fame i lavoratori. MieVille . In Russia sono già morti di fame! De Gasperi. Vi prego di fare attenzione, perché le discussioni che si leggono sui giornali sono tali da dimostrare con evidenza che molti ignorano i termini del problema. Un problema minore è quello del coordinamento degli organi che dovranno occuparsi degli acquisti e dell’utilizzazione dei fondi. La responsabilità è naturalmente del governo verso il Parlamento e quindi le deliberazioni devono essere collegiali, ma si tratta di stabilire nettamente le competenze di preparazione e di trasmissione delle proposte. Fino ad oggi disponiamo degli organi provvisori che hanno agito per l’organizzazione, amministrazione e distribuzione dei contributi di assistenza precedenti. Converrà coordinarli e renderli più efficienti trattandosi di un piano che durerà almeno quattro anni. Siamo del resto tutti d’accordo che i fondi debbono essere razionalmente impiegati al di fuori di ogni tendenza di parte o monopolio d’interessi e che debbono rappresentare un contributo efficace alla nostra ripresa economica, tenendo presente la massima occupazione possibile dei lavoratori. Ma – ci si osserva – non vi sono anche degli obiettivi che si potranno chiamare politici? Rispondo citando l’articolo 1 dell’abbozzo della convenzione, intitolato appunto «Obiettivi». 1°)I governi degli Stati Uniti d’America e d’Italia dichiarano che è loro intendimento sostenere e rafforzare i princìpi di libertà individuale, di libere istituzioni e di effettiva indipendenza in Europa mediante la cooperazione e l’assistenza a quei paesi europei, i quali partecipano ad un programma collettivo di ripresa economica basato sulle proprie forze e sulla mutua cooperazione. 2°)Il governo italiano, agendo individualmente e per il tramite dell’organizzazione per la cooperazione economica europea, ed in armonia con la convenzione per la cooperazione economica europea firmata a Parigi il 16 aprile 1948 , si sforzerà assiduamente e congiuntamente agli altri paesi partecipanti di giungere a realizzare rapidamente in Europa quelle condizioni economiche che sono essenziali ad una pace durevole ed alla prosperità e per permettere ai paesi europei partecipanti a tale programma di ripresa collettiva di rendersi indipendenti dall’assistenza straordinaria esterna entro il periodo di validità del presente accordo. (Applausi al centro). Va aggiunto che si richiede la massima pubblicità e che si prevede un rapporto sintetico ogni tre mesi per poter concludere che nulla è macchinoso e misterioso in questo Piano Marshall, (commenti all’estrema sinistra), nulla vi è che non corrisponda agli interessi del paese, nulla, come vedremo, che non sia in armonia con la nostra politica estera fondata sulla cooperazione internazionale. (Commenti all’estrema sinistra – Applausi al centro). Vero è che esso dipende da un rapporto amichevole e di fiducia con l’economia più forte del mondo e da uno sforzo costante da parte nostra, perché nella convenzione stessa si legge: «la continuazione di tale assistenza è condizionata allo sforzo persistente e continuativo del governo italiano per raggiungere la ripresa economica, nonché al suo appoggio attivo alla organizzazione per la cooperazione economica europea». Certo alcuni commentatori hanno esagerato nelle speranze, sino a ritenere che il contributo americano possa assorbire tutta la disoccupazione, rifare tutte le attrezzature dell’industria e nel contempo finanziare la bonifica, la riforma agraria e la ricostruzione edilizia. Una voce all’estrema sinistra. L’avete promesso durante la campagna elettorale. spiazzi. Che cosa ha fatto la Russia? De Gasperi. …ma fuori di tali esagerazioni, possiamo ben dire che il contributo è un aiuto notevole del quale dobbiamo essere grati al popolo americano e senza il quale la nostra economia non potrebbe reggere. (Vivi applausi a sinistra, al centro e a destra – Commenti all’estrema sinistra – Grida di: «evviva l’America!»). Una voce all’estrema sinistra. Evviva la politica di pace! De Gasperi. L’ERP domina naturalmente la nostra politica estera. Il nostro governo continuerà la sua direttiva internazionale, collaborando in seno all’organizzazione europea nella quale fummo parificati co-fondatori fin dall’inizio e sarà presente in tutti gli organismi internazionali che non siano vincolati alla nostra presenza nell’ONU. In tale spirito di cooperazione internazionale il governo proseguirà sulla via già intrapresa per raggiungere al più presto l’unione doganale con laFrancia . pajetta Gian carlo. Bell’affare! (Commenti al centro). De Gasperi. …circa la quale è in corso di formazione la commissione mista italo-francese che, riunendosi a Parigi nel luglio prossimo venturo, formulerà, anche mediante contatti diretti fra esponenti di categorie interessate dei due paesi, il programma di applicazione dell’unione, da presentare, presumibilmente entro ottobre, all’approvazione dei rispettivi Parlamenti. In pari tempo il governo continuerà a contribuire in maniera efficiente agli studi e ai contatti che fra i vari paesi europei si stanno sviluppando ai fini di una collaborazione più vasta che potrà assumere la veste o di unioni regionali o di unione generale, o di accordi speciali destinati ad infondere un senso di fiducia nei rapporti reciproci fra le varie economie. La proposta per Trieste e il Territorio libero all’Italia può considerarsi come un risultato sia delle nostre insistenze, che risalgono fino al gennaio scorso , sia dello spirito di fiducia sviluppatosi poi nella cooperazione economica. (Vivissimi, prolungati applausi – I deputati della sinistra, del centro e della destra si levano in piedi al grido di: «viva Trieste!» – Applaude anche il pubblico di talune tribune – I deputati all’estrema sinistra si levano in piedi al grido di: «viva Briga e Tenda!» – Commenti). presiDente. Lascino proseguire l’onorevole presidente del Consiglio! Debbo fare un’avvertenza che mi sembra necessaria per la serietà e il decoro della Camera. Posso comprendere la nobiltà dei sentimenti che ha ispirato qualcuno delle tribune ad applaudire. Ma devo far presente che agli invitati in tribuna è vietato, per ovvie ragioni di opportunità, di manifestare in senso contrario o consenziente a quanto si svolge nell’aula. De Gasperi. In genere, circa il trattato, si accentua sempre più uno stile di revisione di fatto che è più rapido e più elastico di una revisione formale e giuridica. I nostri sforzi per la soluzione del problema dei territori italiani di Africa si svolgono in una atmosfera di maggiore comprensione. Noi vivamente auguriamo che tale comprensione ci venga praticamente dimostrata da tutti nella fase conclusiva della conferenza delle Quattro Potenze. Tale conferenza, secondo quanto fu stabilito dal Trattato di Parigi, deve concludere i suoi lavori entro il 15 settembre prossimo. Onorevoli colleghi, la mia relazione è già lunga, fuori dell’ordinario, ma non posso avviarmi alla conclusione senza prima rilevare alcuni fatti economici che, anche al di fuori del Piano Marshall, sono ragioni di ottimismo e ci confortano nel duro cammino che ancora dovremo percorrere. L’anno alimentare che sta per chiudersi (10 luglio 1947-30 giugno 1948) apparve fin dal principio, a causa dello scarso raccolto dei cereali, come uno dei più difficili del dopoguerra. Oggi, giunti alla fine, possiamo dire che esso ha segnato un decisivo miglioramento rispetto all’annata precedente. Nel settore dei cereali, importando 12 milioni 468.130 quintali gratuiti dagli Stati Uniti, 8.125.040 quintali dall’Argentina col noto prestito e 400.000 quintali come pacchi dono… (Commenti all’estrema sinistra). cappuGi . Come quelli che abbiamo ricevuto dalla Russia! (Rumori all’estrema sinistra). presiDente. Onorevole Cappugi, la prego! De Gasperi. …abbiamo potuto mantenere la razione di 200 grammi di pane e, dal novembre, di 2 chilogrammi di generi da minestra, e provvedere, inoltre, ad assegnazioni straordinarie per le categorie economicamente più deboli, come i disoccupati, i pensionati, eccetera. Nel settore delle carni, importando quintali 185.000 di carni fresche o congelate o in scatola abbiamo normalizzato il mercato che viene stabilizzandosi, anche perché il patrimonio zootecnico va raggiungendo l’efficienza dell’anteguerra. Nel settore degli olii e dei grassi, dato l’abbondante raccolto oleario, abbiamo abolita la tessera e costituito delle riserve. La produzione del latte e dei formaggi si avvicina a quella dell’anteguerra. Nel settore dello zucchero, importando quintali 1.175.000 di cui 512.000 gratuiti dagli Stati Uniti, abbiamo coperto il fabbisogno e costituito delle riserve. Larga è anche la ripresa della pesca nazionale e ingenti le importazioni di baccalà e stoccafisso. Tutto ciò è stato raggiunto con uno sforzo combinato della importazione, della produzione, della distribuzione e della politica creditizia. Il successo del 1947-48 ci incoraggia per l’avvenire, tanto più che il raccolto dei cereali si annunzia di 60 milioni di quintali, cioè con un miglioramento di 14 milioni di quintali sull’anno scorso. È mio dovere di segnalare le benemerenze dei produttori che, rispondendo all’appello del governo, hanno intensificato le semine; tuttavia debbo ammonire che gli impegni presi dell’ammasso per contingente devono essere nell’interesse dell’alimentazione inderogabilmente mantenuti, (commenti all’estrema sinistra), giacché bisogna mantenere la tessera di 200 grammi, cosicché, oltre la minestra, i 6 milioni di quintali che, dopo l’ammasso della quota stabilita, verranno venduti sul mercato libero (40-50 grammi giornalieri) potranno soddisfare l’ulteriore consumo della popolazione razionata. Ma, fermo restando il razionamento del pane e della pasta, tutte le altre discipline della carne, del latte, degli olii, dei ristoranti, dei dolciari, eccetera, potranno essere definitivamente abolite. (Approvazioni a destra – Applausi al centro – Commenti all’estrema sinistra). Faremo dunque un grande passo verso la normalizzazione. Punteremo quest’anno verso una produzione agricola e specialmente cerealicola che raggiunga e superi le posizioni dell’anteguerra e vigileremo e agiremo sul libero mercato all’interno e nei traffici coll’estero in modo da creare condizioni sempre più favorevoli per la popolazione meno abbiente. Sensibili furono i nostri progressi anche negli scambi commerciali con l’estero. Lo scorso anno, infatti, abbiamo collocato all’estero merci per circa 760 milioni di dollari, in confronto dei 380 milioni del 1946: interessante notare che con la Cecoslovacchia siamo passati da 1.100 milioni a 7.000 milioni, con la Jugoslavia da 200 milioni a 4.600 milioni e con la Bulgaria abbiamo messo buone basi nel recente accordo. È in preparazione una missione commerciale per la Russia, che partirà prossimamente. (Commenti all’estrema sinistra). Una voce all’estrema sinistra. Era ora! De Gasperi. Anche la situazione valutaria è oggi relativamente tranquillante. Non abbiamo più le strette dell’estate e autunno 1947. Certo che la fiducia non dipende dalla nostra bilancia di pagamenti, ancora largamente passiva, ma dai mezzi offerti dal Piano Marshall. Il nuovo sistema della legge 28 novembre ha portato ad una certa stabilità dei cambi: altro indizio di fiducia. Tutte le premesse sono ristabilite per un aumento dei traffici. Ora la meta è contrarre i prezzi delle nostre merci rivedendo i costi. Sarà possibile? Ecco il nostro problema di oggi e di domani. Un recente rapporto del Ministero dell’Industria ci lascia adito alla speranza. Durante l’inverno 1947-48 temevamo una grave depressione: l’abbiamo invece superata, ed ora la situazione presenta qualche sintomo incoraggiante. Dal febbraio, accanto alla notevole stabilità dei prezzi interni, si va manifestando una leggera ripresa degli indici della produzione industriale, mentre il volume delle vendite al minuto aumenta, sia pure lentamente. Si può considerare anche iniziato il processo correttivo dei costi. Ma bisogna insistervi e inoltre accelerare la riconversione. E qui che conviene inserire l’azione dell’ERP e facilitare l’immissione del capitale estero. (Commenti all’estrema sinistra – Interruzione del deputato Pastore – Applausi al centro – Interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo – Rumori – Scambio di vivaci apostrofi fra l’estrema sinistra e il centro – Agitazione). presiDente. Invito ancora una volta gli onorevoli deputati a tenere, nella discussione, un contegno sereno, che risponda alle aspettative del paese. (Applausi). De Gasperi. Onorevoli colleghi, quando ci sentiamo in ansia per la fatica della salita, abbiamo il diritto di sostare un po’ per guardare indietro e riprendere fiato. Si dice: non abbiamo ancora ricostruito abbastanza, non abbiamo vinto il male della disoccupazione. È vero. Ma sapete quanto abbiamo speso per i lavori pubblici dal giugno 1947 fino al marzo 1948 (ché fino a questo mese si hanno i dati definitivi)? 134 miliardi (interruzioni e commenti all’estrema sinistra), senza calcolare naturalmente i lavori agricoli. Occorre inoltre tener conto che 135 miliardi sono stati spesi nel 1947-48 per la ricostruzione delle ferrovie e che per l’esercizio dal 1948 al 1951 sono già stati stanziati 275 miliardi. Si dice: bisogna pensare al Mezzogiorno. Certo; e per confermare il nostro impegno abbiamo invitato un illustre rappresentante di Napoli a darci la sua ambita collaborazione (applausi); ma del nostro buon volere, dei nostri propositi si potrebbe dubitare, se già non avessimo dato la prova concreta di un particolare riguardo per il Mezzogiorno e le isole. Infatti dal giugno 1947 il solo Ministero dei Lavori Pubblici ha autorizzato in favore delle stesse regioni, in cifra tonda, 90 miliardi di lire, compresi i 18 miliardi che abbiamo stanziato col decreto del 5 marzo 1948, decreto che, si ricorderà, assegnava al Mezzogiorno e alle isole per lavori, bonifiche e industrie in totale 66 miliardi. (Commenti all’estrema sinistra – Rumori al centro). Questi lavori ora che vi parlo o sono in corso di appalto o sono già posti in cantiere e iniziati. Essi costituiscono una prova visibile che a mano a mano che possiamo disporre dei mezzi intendiamo mantenere il nostro impegno per il Mezzogiorno, il quale potrà profittare in misura particolare anche della bonifica e della riforma agraria e in genere dei contributi ERP. (Interruzione del deputato Cappugi – Richiamo del presidente). E per passare ad altro settore: se abbiamo assistito alla rapida ricostruzione delle comunicazioni aeree, marittime e terrestri e allo sviluppo veramente notevole delle linee automobilistiche per la popolazione e per i turisti, linee quest’ultime che attraversano tutta la penisola, dovremo disperare della nostra marina mercantile che da 400 mila tonnellate è salita già a 2 milioni e 400 mila tonnellate con un notevole mercato di noli? (Interruzioni all’estrema sinistra – Commenti). Potrete contestare i dati che espongo, ma non soffocare la voce che li espone. (Applausi – Commenti all’estrema sinistra). Il governo rivolgerà particolari cure al piccolo naviglio di cabotaggio e da pesca, ma non perderà di vista la questione più grossa che ha già affaticato il precedente gabinetto, quella cioè di stimolare, nell’interesse dei traffici, dell’emigrazione e del lavoro cantieristico e marittimo, l’armamento italiano a iniziare l’attuazione di un programma di costruzioni navali. La ripresa turistica e l’avvicinarsi del periodo di straordinario afflusso di pellegrini per l’anno santo rende più necessaria e più fervida l’opera del Commissariato del turismo, organo tecnico della Presidenza del Consiglio, assistito da una consulta di specialisti, con il compito di coordinare e sollecitare l’interessamento dei vari dicasteri per tutto quanto riguarda il concorso dei forestieri, la ricettività alberghiera e i trasporti di ogni genere. I mezzi che abbiamo potuto mettere a disposizione finora per il credito alberghiero e per la propaganda all’estero sono insufficienti, ma non ci manca la convinzione che il turismo costituisce una delle fonti più sicure della nostra ripresa. Per tale riguardo, oltre che per il rispetto alle nostre celebrate tradizioni artistiche, si è sviluppato anche l’interessamento della Presidenza in favore dei settori dello spettacolo. I risultati per la musica e il teatro sono stati, relativamente ai tempi, soddisfacenti. Maggior cura dovrà rivolgersi per l’avvenire alla cinematografia, industria che dava lavoro a tanta gente e lustro ai nostri artisti. Anche lo sport, esigenza e aspirazione insopprimibile della gioventù, verrà accompagnato con comprensione nel suo libero sviluppo. Così nella vita economica l’esperienza passata ci rincuora ad affrontare le difficoltà di domani. Ma, onorevoli colleghi, noi saremmo pessimi politici, indegni di governare un popolo idealista come l’italiano, se fondassimo le nostre speranze solo sulle forze economiche e non le sollevassimo sulle ali dello spirito, il quale anima la mente e sprona la volontà di vita e di ardimento del popolo italiano. (Applausi al centro). Perciò, pure in mezzo alle strettezze del bilancio, non abbiamo trascurato né trascureremo la scuola. Una commissione nazionale di inchiesta per la riforma della scuola sta già raccogliendo le proposte di tutto il corpo insegnante che sottoporremo al Parlamento. Prendiamo intanto nota che lo Stato si è assunto con i recenti miglioramenti di carriera degli insegnanti e speciali indennità gravi oneri finanziari, (interruzione del deputato Pajetta Gian Carlo), in una percentuale che, in relazione alle altre spese di bilancio, non fu mai così alta. Nel corrente anno finanziario si è raggiunto l’8 per cento delle spese del bilancio, mentre nel quarantennio precedente la media delle spese a favore della scuola si aggirava sul 4 per cento delle spese globali dello Stato. (Applausi – Commenti all’estrema sinistra). Ecco per il resto le direttive principali. (Commenti all’estrema sinistra). Capisco; per un «governo nero» è troppo, e non vorreste lasciarmelo provare! (Approvazioni). Nel rigoroso rispetto della libertà della cultura e della scuola garantite dalla Costituzione saranno rivolte cure all’incremento dell’alta cultura scientifica e all’incoraggiamento delle arti, mentre le recenti leggi a favore delle università contribuiscono al miglioramento degli istituti superiori: il fenomeno del loro affollamento è in fase decrescente in seguito all’opportuna reintroduzione dell’esame di Stato nella scuola secondaria. Il governo continuerà la sua opera di rafforzamento della scuola statale iniziata con la istituzione di 20.000 nuove scuole elementari e di numerose scuole secondarie. Le relazioni tra la scuola governativa e la scuola non governativa sono fissate dalla Costituzione; le sue norme verranno fedelmente rispettate. Dedicheremo particolari cure alla istruzione tecnico-professionale. Condurremo a fondo la lotta contro l’analfabetismo dei giovani e degli adulti sviluppando la scuola pre-elementare, elementare e post-elementare, ampliando e perfezionando l’azione già iniziata con l’istituzione di nuove scuole popolari. L’assistenza scolastica assicura ai figli del popolo la possibilità degli studi. D’altra parte devo ricordare che tutte le tasse scolastiche medie e universitarie ammontano solo ad un centesimo delle spese dello Stato per la sua scuola. Miliardi si spendono per la costruzione e la riparazione di edifici scolastici. Possiamo ben dire che questa generazione, colpita da tanti disastri, non dimentica le ragioni ideali dell’educazione della gioventù. (Applausi alcentro). Ragioni ideali soprattutto ispirano anche il nostro particolare ed amorevole interessamento per le forze armate. Saranno, a causa del trattato e della nostra stessa situazione finanziaria, forze limitate, ma dobbiamo tendere a farle perfette nelle attrezzature e nella compattezza monolitica, raggiunta attraverso la graduale unificazione. Ma, sopra ogni altra cosa, vogliamo che esse, superata la crisi del dopoguerra, siano l’espressione più nobile delle virtù di disciplina e di patriottismo della nazione. (Vivi applausi al centro – Si grida: «viva l’esercito!»). Sappiamo di poter contare pienamente sulla loro lealtà verso il regime voluto dal popolo e, senza diminuire la pienezza della loro cittadinanza, desideriamo vivamente che, sottraendosi ai contrasti della politica interna, esse rappresentino la difesa vivente di un paese spogliato di difesa, ma fiero della sua tradizione e della sua indipendenza. (Vivi applausi al centro). Un altro organismo che la Costituzione innalza al di sopra dei contrasti politici è la magistratura. Presenteremo al Parlamento un disegno di legge sull’ordinamento giudiziario, che, ispirandosi all’articolo 104 della Costituzione, costituirà la magistratura in ordine autonomo indipendente. Saranno sottoposti al vostro esame anche un progetto sul funzionamento della Corte costituzionale ed altri progetti di leggi organiche, per attuare ed interpretare i princìpi della Costituzione, come quello sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio, quello sull’organizzazione dei ministeri, quello sulla formula del giuramento per le alte cariche dello Stato. Il regime democratico ha bisogno più che ogni altro di fondarsi sul rispetto della legge; il popolo deve vedere nei giudici, elevati in dignità ed autonomia, i tutori imparziali dei diritti ma anche i severi ammonitori dei doveri dei cittadini. Altri provvedimenti, altre riforme si imporranno durante il corso di questa legislatura, e mi duole di non poter fin da ora esporre le linee della tanto invocata riforma della pubblica amministrazione, per la quale non mancano studi e progetti, come non posso qui enumerare tutti i provvedimenti che saranno necessari per rivedere e coordinare le preesistenti disposizioni che non siano state esplicitamente abrogate dalla Costituzione. Ma, onorevoli deputati, al di là della lettera, quello che più importa è lo spirito, quello che è pregiudiziale come indispensabile è il senso di responsabilità democratica che deve animare il nostro regime. Tutti i cittadini sono chiamati a sviluppare e consolidare nell’uso della libertà e nell’esercizio della sovranità popolare questo senso di responsabilità, ma tutti noi abbiamo una responsabilità in solido, noi governo e Parlamento, verso la nazione, quella di osservare i princìpi fondamentali della democrazia che sono: legge uguale per tutti, al di fuori di ogni violenza e sopraffazione di parte; coordinazione e subordinazione dei partiti al bene supremo del paese; sforzo reciproco di trovare, ciascuno nella funzione che gli spetta, nel rispetto delle opinioni, ma col più alto senso di responsabilità nazionale, la via per riscattare il paese dai disastri del dopoguerra e consolidare un regime di libertà nella necessaria disciplina; instaurare oltre che nelle leggi anche nel costume il metodo democratico sinceramente voluto ed onestamente applicato. Signori deputati, il governo è pronto a fare tutto il dovere suo, e chiede e cerca nella collaborazione più intensa e più schietta col Parlamento di attingervi forza, autorità e consiglio per l’opera di salvezza che dobbiamo compiere nella comune responsabilità innanzi a Dio e al popolo italiano. (I deputati della sinistra e del centro si levano in piedi – Vivissimi, prolungati applausi). |
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| 91946-1950
| Debbo ringraziare anzitutto l’onorevole interpellante per la cortesia delle sue espressioni nei miei riguardi; ciò mi autorizza anche a prendere su di me le critiche dirette contro un ministro che appartiene al governo da me presieduto. Ho voluto rispondere io all’interpellanza anche per l’importanza dell’argomento, perché mi pareva che questo argomento dovesse essere risolto, piuttosto che dalla tecnica giuridica, dalla esperienza politica parlamentare. Comprendo l’onorevole Conti e credo che egli esprima la sensazione generale dei parlamentari: bisogna sapere dove si va a finire, avere un programma, un certo ritmo di lavori, intenso finché si vuole, ma con qualche regola, altrimenti, l’incalzarsi di un progetto dopo l’altro renderà la vita amara anche ai parlamentari ed alle commissioni. Figuratevi: se voi, onorevoli colleghi, pensate così, cosa debbo pensare io che mi trovo a dover fare anche la preparazione di progetti di legge e rispondere a questo incalzare delle esigenze come rappresentante e presidente dell’amministrazione e come presidente del Consiglio dei ministri, da dove questi progetti devono passare. Se aggiungo poi che gli onorevoli deputati e senatori hanno fatto uso del loro diritto di iniziativa parlamentare in un modo mai avvenuto nel passato (vi dirò poi le cifre), si può immaginare come il governo, che pur deve prendere notizia di ciò ed assumere un atteggiamento in confronto delle proposte, si trovi sotto una pressione particolare di lavoro. Quindi, tutto quello che è regola, che è vita, nuova vita per il Parlamento, direi, è anche nuova vita per il governo. Mi riferirò prima di tutto a talune delle proposte, a taluni dei cenni fatti dall’onorevole interpellante, per dire quello che si è fatto, per dire quello che si è preparato e che, a mano a mano, si presenterà, maturato attraverso la discussione del Consiglio dei ministri, alle Camere. E, senza tener proprio l’ordine che l’onorevole interpellante ha seguito, in analogia al testo della Costituzione, accennerò piuttosto ad alcune proposte in ordine di importanza immediata. Regioni. Non voglio entrare qui nella discussione, nel merito, circa le regioni. Si è sollevato nel pubblico, soprattutto nei giornali, un grande dibattito. Sappiamo che il problema è poliedrico, l’abbiamo visto alla Costituente, ma sappiamo anche che esiste una Costituzione, la quale impegna ad attuare le regioni, e precisamente fissa un certo termine per le elezioni dei consigli regionali e quindi per tutti i preparativi necessari per poterle attuare. Sappiamo che nella Costituzione non tutti i problemi sono risolti, anzi ci sono giustapposizioni che corrispondono evidentemente, a compromessi tra le diverse tendenze. Quando, per esempio, si trova vivente ancora nell’avvenire la provincia, senza definirne la posizione, e accanto a questa la regione, evidentemente si lascia un problema che bisogna poi affrontare praticamente e che la Costituzione non affronta. Ma dico di più. Mentre è chiaro che il governo, presentando le due leggi che ha presentato e annunciandone delle altre circa la regione, intende mantenere l’impegno della Costituzione, riguardo alla procedura da seguire accetterà volentieri le proposte che vengono da parte del Senato e della Camera, di cui una presentata dal gruppo repubblicano perché si fissino le elezioni entro l’autunno prossimo ; mi auguro soltanto che dagli organi competenti della Camera e del Senato si raggiunga a tempo e rapidamente un accordo su questa formula, perché i giorni dell’attività delle due Camere in relazione a questo compito sono contati. Stabilito ciò, riguardo alla parte, direi, più centrale, debbo dichiarare che l’esperienza delle necessità, delle esigenze pratiche nella istituzione delle regioni, particolarmente autonome, quelle cioè che hanno uno statuto speciale, ci insegna ad essere molto prudenti, nel senso che bisogna preparare più che sia possibile la definizione degli organi e delle competenze fra le regioni e lo Stato, fra le province e le regioni e non lasciare indefinita questa materia, tanto più che si tratta di 14 o 15 regioni che debbono nascere e non soltanto di una. Lasciamo stare la Sicilia, che è nata per conto suo, ma gli statuti che sono stati preparati per la Sardegna e per il Trentino-Alto Adige sono stati preparati ed elaborati – specialmente per il Trentino-Alto Adige – con grande accuratezza e pazienza in sei mesi dagli organi dello Stato, dai rappresentanti dei rispettivi ministeri interessati, soprattutto di quello delle Finanze; e tuttavia, elaborato e deliberato così lo statuto, nella sua prima attuazione si è resa necessaria la pubblicazione di un certo fascicolo di norme esecutive per chiarire il più possibile le competenze fra Stato e regione. E di questo dobbiamo tener conto. Le regioni, secondo me, possono vivere ed aiutare, anche articolandola, l’unità dello Stato (io non ho il timore che generalmente si manifesta in questo senso, per quanto abbia lo stesso sentimento della necessità dell’unità dello Stato) alla condizione, però, che non siano fonte di discussioni, fin dal primo periodo, le competenze, perché allora andremmo a cadere in quello che deplorava l’onorevole Conti, che cioè trasferiremmo i difetti del nostro parlamentarismo in altri piccoli parlamenti. Quindi, tutti coloro che hanno fede nelle regioni debbono collaborare perché questo istituto nasca ben definito. Si dice, nel testo della Costituzione, che le regioni presenteranno i loro statuti al Parlamento e che questo li approverà; ma anche qui – diciamo onestamente e francamente, poiché siamo in un momento di confessioni vicendevoli – abbiamo visto quel che è avvenuto nel caso siciliano. Abbiamo fatto le elezioni prima del coordinamento . Io stesso ne ho assunto la responsabilità poiché mi pareva che politicamente dovesse essere così; però ho detto alle Camere che nel mio intimo speravo fermamente che, nel periodo dei sei mesi che dovevano passare ancora avanti che le assemblee venissero nominate, la Costituente avrebbe preso in mano lo statuto ed avrebbe fatto opera di coordinamento, qualora non fossero sorte difficoltà. In realtà non l’ha fatta, soprattutto perché può avvenire che uno statuto venga presentato, per esempio, dalla regione abruzzese senza che ciò importi nulla ai veneti. In fondo, di fronte a questi problemi c’è una Camera che discute nel suo complesso dal punto di vista della collettività, ed il governo che di questa collettività rappresenta gli interessi. Questo mi suggerisce che occorre, prima del periodo delle elezioni, preparare la materia, superare la questione delle competenze, dare tranquillità a tutti coloro che sono preoccupati della autorità dello Stato e garantire coloro che vogliono, in una misura o nell’altra, mantenere la provincia. Tutti questi problemi devono essere affrontati ed ecco perché sono necessarie leggi organiche, anche se di carattere provvisorio, fino al giorno in cui il Parlamento approverà gli statuti in via definitiva. Ma questo è un passaggio organico; si tratta di esperienze che ci mettono in guardia contro i pericoli che possono sorgere. Soprattutto ha fatto bene l’onorevole Conti ad accennare alla questione finanziaria. Dobbiamo sapere chiaramente come vengono ripartiti i gravami delle tasse, altrimenti creiamo autonomie inconsistenti o rovesciamo i gravami sopra lo Stato. Ma è accaduto già che ci siano autonomie in cui si abbia la tentazione di ricorrere allo Stato per avere aiuti straordinari, e questo bisogna metterlo in chiaro. Il ministro delle Finanze mi dice che per sapere quali proventi sono da lasciare alle regioni bisogna conoscere le competenze. Siamo in un circolo vizioso, ma non è detto, per esempio, onorevole Conti, non è detto, purtroppo, che sia facile, e io lo trovo difficile, interpretare quegli ordinamenti secondo i princìpi dell’ordinamento dello Stato. Quando si parla, per esempio, di agricoltura, fino a che punto arriva la competenza della regione? La legge sui contratti agrari dovrebbe essere scomposta per le regioni o no? Sembrerebbe di sì per certa parte. Quando l’onorevole Conti ha accennato alla riforma agraria io devo ammettere, come giornalista, che se le regioni non hanno una ragione particolare, esse per il 50 per cento non hanno ragione di essere nei confronti della riforma agraria. Ora, sui contratti ci sono molte differenze. Se le regioni fossero in piedi, evidentemente il ministro dell’Agricoltura presenterebbe una legge nella quale direbbe: fin qui vigono le norme generali, più in là la regione deve stabilirle e applicarle nei particolari. Ora, tutto questo, che non può fare in questo momento, dobbiamo pensarlo, idearlo per la legislazione futura e per quella immediata. Ecco perché i mesi che abbiamo dinanzi saranno molto fecondi. Il governo farà del suo meglio per fornire gli elementi, ma bisogna che la Camera e il Senato – faccio appello soprattutto al Senato, perché siete di meno e potete affiatarvi di più – devono assumere anche essi la loro parte di responsabilità. Il governo non riuscirebbe altrimenti, in un problema così storicamente difficile, a trovare il giusto mezzo: il giusto mezzo – badate – perché, se vogliamo una maggiore articolazione dell’organismo pubblico attraverso le autonomie regionali, ciò è in quanto siamo anche unitari, nel senso che ci sta soprattutto a cuore l’avvenire d’Italia. (Approvazioni). Ai miei amici trentini, che mi hanno inviato ieri telegraficamente un saluto al momento dell’inaugurazione del consiglio regionale trentino ho risposto – e la mia risposta augurale era indirizzata anche agli altoatesini membri del consiglio regionale che a quel saluto si erano associati – con questo augurio: «la massima libertà entro l’assoluta unità dello Stato». (Applausi vivissimi). Giustizia amministrativa. Naturalmente, sono state necessarie norme particolari per le regioni a statuto speciale; abbiamo dovuto introdurre delle norme speciali per la giustizia amministrativa per la regione Trentino-Alto Adige, ed è evidente che nella riforma della giustizia amministrativa bisogna pensare al decentramento che corrisponde alle funzioni della regione, altrimenti la legge che si farebbe sarebbe un non senso e sarebbe anacronistica. È naturale che la riforma della legge comunale e provinciale dev’essere attuata anche tenendo conto di quest’esigenza. Osservo che, a proposito della riforma dell’ordinamento comunale e provinciale, abbiamo intanto stralciato la leggina per l’abolizione dell’articolo 19; ciò che era un’esigenza politica e, insomma, di aggiornamento rispetto alla Costituzione . Corte costituzionale. Non so se l’onorevole Conti l’ha dimenticata o se non ne ha voluto parlare, forse perché dal luglio il disegno di legge riposa presso la Commissione del Senato . Anche qui, mi pare evidente, c’è ormai una esigenza ulteriore: l’attuazione delle autonomie regionali richiede che sia accelerata la costituzione della Corte costituzionale, perché è chiaro che non si può nemmeno pensare che esista un giudice della legittimità costituzionale per ogni regione. Ce ne deve essere uno solo. E questo non può essere che una Corte sola; bisognerà, quindi trovare il modo di assorbire l’Alta Corte per la Sicilia. Leggi economiche. Passando a parlare delle leggi economiche, il progetto relativo al Consiglio del lavoro è pronto. È soltanto sopravvenuta la questione degli statali che ha assorbito il Consiglio dei ministri, altrimenti quel progetto sarebbe stato già presentato. Quanto alla composizione del Consiglio economico cercheremo di mantenerla entro limiti numericamente ristretti, facendo, però, sì che siano rappresentate tutte le categorie, in modo che esso abbia tutta la possibilità e la capacità di esercitare quelle funzioni a cui la Costituzione lo chiama. Il progetto verrà presentato, credo, nei prossimi giorni; comunque per dopo le vacanze è sicuro che il Parlamento dovrà occuparsene . Ordinamento sindacale. Anche le leggi sindacali sono già al completo. Pensiamo – non è che sia una deliberazione procedurale ormai fissa giacché non ne ho parlato col ministro del Lavoro – che sarebbe opportuno mandarle al Consiglio economico prima che al Parlamento, perché al Consiglio economico sono rappresentate le categorie, di modo che ne venga fuori anche una discussione mossa dal punto di vista dell’interesse delle categorie. Tutto ciò rappresenterà tutta una questione procedurale; ad ogni modo le leggi dovranno riguardare l’assetto giuridico, il passaggio da una situazione di fatto sindacale ad una situazione giuridica e riguarderanno anche il contratto collettivo, perché non avvenga che ogni tanto il governo e lo Stato debbano intervenire a sanzionare un contratto già concluso ed elaborato tra le confederazioni; e molte dovranno contenere anche una legislazione sullo sciopero e quella della rappresentanza del lavoro di cui all’articolo 46. Riforma della previdenza sociale. Il ministro del Lavoro mi dice che lo studio è molto avanti; si tratta dello studio delle conseguenze economiche, soprattutto, derivanti dall’applicazione della riforma D’Aragona . Ora io non posso dire quando si potrà presentare questa riforma, perché – e qui dobbiamo metterci la mano sul petto – si corre il rischio di affrontare una grossa spesa e, se facciamo la riforma sul serio, bisogna semplificare, bisogna alleggerire, in modo da non farla pesare troppo, perché altrimenti lo Stato dovrebbe addossarsi un onere notevole. Riguardo al nuovo testo della legge di pubblica sicurezza, lo studio è quasi finito . Si è voluto stralciare alcuni articoli, che sono stati presentati all’approvazione del Senato, perché sono sembrati urgenti, ma non è che con ciò si sia lasciato cadere la riforma stessa, il progetto organico. Credo che al Senato siano stati presentati, ad ogni modo, gli articoli che riguardano soprattutto le formule di repressione, eccetera, eccetera. Stampa. La legge dell’8 febbraio 1948 si è limitata a regolare il regime della stampa periodica sostituendo all’autorizzazione preventiva il sistema della registrazione, tenendo conto della Costituzione . Ora resta ancora da stabilire in che condizioni si possa ammettere il sequestro, perché la Costituzione lo ammette, ma lo ammette da parte dell’autorità giudiziaria. Comunque è una delle parti più discusse della legge sulla stampa, che prossimamente dovremo presentare al Parlamento. Referendum. Abbiamo nominato una commissione di tre ministri che esamini le condizioni del referendum, soprattutto in relazione alle proposte presentate alla Camera, in modo che eventuali divergenze col punto di vista del governo possano assumere la forma di emendamenti, se è possibile, o di contro-progetto . Consiglio supremo di difesa. Il disegno di legge è pronto e verrà sottoposto prossimamente al Consiglio dei ministri per essere poi presentato alla Camera. Ordinamento giudiziario. Come l’interpellante sa, questa materia è oggetto di studio da parte di una commissione particolare, di cui fanno parte anche illustri parlamentari e sembra che lo studio sia a buon punto. Si tratterà di una legge molto importante e mi auguro che venga discussa ampiamente dal Senato e dalla Camera, perché sarà una delle leggi decisive. Bisognerà riuscire a fare della magistratura un corpo veramente indipendente. Tale indipendenza, però, dev’essere duplice: nella coscienza, soprattutto, del magistrato e poi di fronte al ministro, ma anche di fronte alle pressioni che ci possano essere da qualunque parte, dall’alto e anche da altre parti. Il problema è difficile e va esaminato attentamente. Si tratta di mettere la magistratura in condizioni economiche e, direi, psicologiche tali, che possa restare al di sopra delle pressioni dei partiti, delle categorie, eccetera. Se riusciremo in questo intento, la legge sarà veramente provvidenziale; se non riusciremo, avremo fatto della magistratura un corpo a sé che non risponderà alle esigenze della democrazia. Ho accennato prima al fatto che il governo considera con particolare attenzione il problema della giurisdizione amministrativa. Abbiamo una certa esperienza attraverso lo statuto della Sicilia, della Sardegna e del Trentino- Alto Adige, e dovremo applicarla poi in genere a tutte le regioni. È in elaborazione presso la Presidenza del Consiglio di Stato il progetto di carattere più generale. Per quanto riguarda il tribunale supremo militare, il relativo disegno di legge sarà presentato in questi giorni alla Camera . Riforma della scuola. Ci sono anche tre disegni di legge importanti sulla scuola, che sono previsti dalla Costituzione. Il 31 dicembre terminerà l’inchiesta nazionale sulla riforma della scuola ed al più presto verranno presentati tre disegni di legge richiesti dagli articoli 33 e 34 della Costituzione, riguardanti gli esami di Stato, la parità delle scuole e l’assistenza scolastica. Legge sui contratti agrari. Ho già accennato al problema della ripartizione, in ordine all’applicazione di questa legge, delle competenze fra Stato e regioni. Per le regioni che già esistono il problema si presenta in forma concreta. Bisogna che, nella legislazione centrale, si tenga conto di esso. Ma è certo che un intervento delle regioni in questo campo è utile e comunque è di diritto. Riforma fondiaria. Noi abbiamo preso l’impegno di fare questa riforma e la faremo, però bisogna anche qui che procediamo con molta cautela . Abbiamo due poli: da una parte abbiamo delle terre che si possono mettere a disposizione dei contadini e soprattutto dei braccianti – non dico dei mezzadri, perché ai mezzadri ha già provveduto in modo notevole la legge sui contratti agrari – ma contemporaneamente dobbiamo impedire lo sconvolgimento e la diminuzione della produzione. Questo altro polo non deve assolutamente essere perso di vista, altrimenti noi faremmo una legge negativa che ci colpirebbe proprio nel momento in cui abbiamo bisogno della massima produzione. Ecco la difficoltà dell’organamento di questa legge, ma credo che l’amico Segni non farà passare molte settimane prima di presentare alla discussione il testo integrale di questo progetto. Emigrazione. Mi vergogno di continuare a dire che sta per costituirsi il Consiglio per l’emigrazione; ma questa volta esso è veramente maturo. Presidenza del Consiglio. Su questo argomento confesso che mi trovo molto imbarazzato. Se l’onorevole interpellante mi chiedesse se io abbia notizia delle competenze della Presidenza del Consiglio dovrei rispondere: no! Ma c’è una prassi, una prassi che viene più o meno attuata a seconda dei bisogni, dei rapporti e della speciale deferenza di cui il presidente del Consiglio può godere in confronto degli altri ministri. Ma il quesito di creare un organo a carattere (non vorrei usare la parola), direttivo, che è un concetto di amministrazione generale dello Stato, è un quesito molto complesso. Bisogna determinare: 1) le funzioni di coordinamento che spettano al presidente; 2) le attribuzioni proprie della Presidenza, perché essa non è un ministero; 3) i compiti dell’amministrazione attiva della Presidenza, soprattutto quelli che riguardano la vigilanza sugli enti e sugli organismi a carattere nazionale e la cui attività non può essere demandata alle competenze del presidente. Presso la Presidenza c’è un comitato di giuristi che ha elaborato un progetto, ma i giuristi stessi non sono ancora soddisfatti di questo progetto e trovano molti punti interrogativi e stanno ripassandolo e rivedendolo. Esso deve poi essere sottoposto a parecchi ministeri, le cui competenze possono venire, non dico diminuite, ma sfiorate. Si aggiunge poi la difficoltà che è sorta in una discussione procedurale sulle competenze dei vice presidenti e degli alti commissari. Si vede che, quando si pone mano a simili questioni, le difficoltà sorgono maggiori di quelle che in pratica esistono, il che vuol dire che certe volte la formula giuridica è più difficile dell’esecuzione pratica. Comunque, il governo farà il possibile e, quando si sarà fatta un’idea di quello che può chiedere al Parlamento, gli sottoporrà la legge. Non credo che questa sarà una delle prime che si potranno presentare alla discussione del Parlamento. Qui tocchiamo già la riforma generale della pubblica amministrazione. Sapete che la Commissione Forti ha concluso il suo lungo studio con quattro schemi: legge generale sull’amministrazione; stato giuridico degli impiegati; trattamento di quiescenza, assistenza e previdenza; giurisdizione amministrativa. Questi quattro schemi sono stati diramati ai singoli ministeri con la preghiera di designare degli specialisti che li studiassero dal punto di vista particolare di ciascun ministero. Lentamente si stanno raccogliendo i dati; anche questo problema si presenta molto difficile, soprattutto perché la sensazione che ha il Parlamento di non legiferare per l’eternità l’abbiamo anche noi. L’amministrazione è veramente fluida in questo momento: abbiamo ancora gli effetti del dopoguerra: tutti gridano che bisogna abolire questo o quell’ente, ma all’atto pratico ci si trova di fronte a difficoltà talvolta anche di carattere oggettivo, e questo svincolamento dal prodotto di due guerre risulta lento. Guardandosi intorno si dice: questo resterà? non resterà? per quale ragione dovremmo oggi tenerne conto? E si ha il desiderio che resti solo l’amministrazione normale per poterla veramente organizzare. Naturalmente, non possiamo aspettare, altrimenti il tempo passerebbe senza che noi si ponga mano alla riforma. Comunque il governo applicherà tutta la sua diligenza al servizio di una soluzione favorevole. Avevo tentato di porre alla commissione creata dalla Camera per gli statali due o tre quesiti pregiudiziali che riguardavano l’amministrazione: lo sveltimento, la riduzione dei quadri, lo stato giuridico. Ma la commissione, ad un certo momento ha riversato le domande sulle spalle del governo, preoccupandosi solo della parte finanziaria che più premeva, naturalmente, ai rappresentanti sindacali, cosicché oggi stesso, al Consiglio dei ministri, abbiamo dovuto prendere atto che bisogna riprendere in mano, da parte del governo, il problema e abbiamo incaricato il ministro Giovannini di farci in proposito delle proposte concrete per una formulazione rapida perché noi stessi, come governo, possiamo assumere la responsabilità e sottoporre al Parlamento la risoluzione del problema. Qui si inserisce, e mi pare di avervi già risposto, l’interrogazione dell’onorevole Ruini circa la Presidenza. L’altra interrogazione dell’onorevole Ruini riguarda, penso, il coordinamento con la Costituzione stessa delle precedenti leggi costituzionali che sono state finora abrogate esplicitamente o implicitamente. Ora, mi pare che, nella maggior parte dei casi, vi siano delle leggi organiche che abbiamo già fatto ed in ogni caso vi sarà sempre un certo articolo che metterà sempre fuori vigore, se dubbio ancora potesse sussistere, certe leggi del passato che sono assolutamente incompatibili con la Costituzione. Nessuno, per esempio, penserà che si possa ricorrere alla legge n. 100 del 1926 dopo quello che è avvenuto, per giustificare una qualsiasi disposizione, poiché, come abbiamo fatto per le leggi di pubblica sicurezza, caso mai ci fosse il dubbio, interverremmo subito con delle disposizioni particolari. Le leggi ed i provvedimenti legislativi che hanno stretta connessione organica con la Costituzione rappresentano l’argomento centrale della interpellanza dell’onorevole Conti. Egli ha accennato da principio all’incalzare di altri problemi e questo mi pare scusi un po’ il Parlamento e scusi anche un po’ il governo di non poter procedere come se si fosse nell’Assemblea Costituente, che doveva provvedere per l’eternità. Noi siamo incalzati dai problemi vitali del presente che toccano l’economia ed anche in parte l’organizzazione dello Stato con le riforme strutturali. Vorrei accennare ad alcuni disegni di legge che dovremmo presentare al Parlamento. Abbiamo in preparazione, e verranno presentate come applicazione diretta della Costituzione, le leggi sulla finanza locale ; è una necessità assoluta anche in relazione alla istituzione dell’ente regione. La riforma tributaria, i cui criteri il ministro delle Finanze ha esposto alla Camera, dovrebbe essere molto profonda in quanto, come ho ricordato, si propone addirittura di moralizzare la coscienza fiscale, riducendo le quote ed aumentando le sanzioni e ciò, del resto, è già nelle legislazioni di molte altre nazioni. È evidente che si deve cambiare il sistema tributario, perché è presupposto dell’agente italiano delle imposte quello di dire: «la denunzia è sicuramente falsa, quindi la moltiplico per due o per tre»; viceversa il denunziante dice: «sicuramente il fisco mi moltiplicherà l’imponibile per due o per tre» e agisce in conseguenza. Questa concezione bisogna superarla, altrimenti il nostro sistema fiscale non sarà mai corrispondente alle esigenze dello Stato. Comunico anche che il ministro dei Lavori Pubblici ha in preparazione alcune leggi di riforma del sistema dei lavori pubblici, soprattutto riguardo all’attività edilizia; c’è poi in preparazione dell’amministrazione delle poste una riforma strutturale del sistema postale; il tesoro prepara la legge sul controllo dei crediti e sul controllo parlamentare degli enti statali e parastatali, controllo che è stato richiesto soprattutto qui al Senato. L’onorevole Tremelloni ha in preparazione parecchi disegni di legge che riguardano il fondo lire: alcuni sono stati già presentati e, quando ne verrà l’occasione, potranno venire dibattuti ampiamente. Al Ministero dell’Industria e del Commercio vi sono parecchie leggi in gestazione: una è la riforma della polizia mineraria, con riguardo soprattutto ai petroli o agli olii, ed un’altra riguarda la riforma delle camere di commercio. C’è infine un provvedimento in elaborazione per la legislazione anti-trust, di cui si è discusso recentemente, come voi sapete. C’è poi, per quanto riguarda il Ministero dell’Agricoltura, la riforma dell’ordinamento centrale e periferico del ministero stesso, che è stata segnalata da tante parti come una necessità assoluta per ridare maggiore forza ed efficacia organica a questo ministero, tanto più che i compiti delle future riforme esigono un organismo molto più snello ed agile. Ho accennato così ai provvedimenti che sono in preparazione e che saranno presentati prossimamente al Parlamento. Dico prossimamente, per dire con una certa gradualità. Vorrei chiedervi però una qualche indulgenza nel giudicare il governo e soprattutto nel giudicare la burocrazia. È facile dire che ogni male proviene dalla burocrazia, ma, quando si tratta di progetti, di elaborazioni di leggi, dobbiamo incominciare nei nostri uffici legislativi ad invocare la diligenza, la pazienza, l’acume di alcuni pochi uomini. Poi queste leggi devono venire elaborate e discusse nel Consiglio dei ministri e quando si dice, e lo si stampa facilmente sui giornali, che ci sono discussioni, che non si è trovato l’accordo, che il Consiglio continua a discutere, ebbene, se siete veramente democratici, siatene soddisfatti, perché ciò vuol dire che avvengono discussioni oggettive, sane e che il giorno dopo si riprenderà la discussione e si arriverà alla conclusione. D’altro canto, che cosa fanno i Parlamenti, se non una discussione? Noi non dobbiamo anticipare le conclusioni per non arrivare ad esse impreparati. Vorrei, poi, invocare la vostra indulgenza anche per la relativa lentezza – non credo che sia lentezza, ma in realtà non corrisponde a quel ritmo accelerato che si desidererebbe – che è conseguenza del periodo di guerra e del periodo instaurato dalla nuova Costituzione. Se vi domando questo, è perché credo che anche il Senato ed il Parlamento in genere hanno bisogno di questa indulgenza da parte del giudizio dell’opinione pubblica. Quando vedo, per esempio, che è accaduto anche a voi, perché volete approfondire la cosa, che il disegno di legge contenente norme per la promulgazione e pubblicazione delle leggi, presentato il 7 giugno, continua a girare fra Senato e Camera ed ancora non è finito, non dico questo per farvi dei rimproveri, ma faccio mia la considerazione cui ha accennato, genericamente, l’onorevole Conti, per dire che più si approfondisce lo studio di una cosa, più il tempo passa. Ma d’altro canto questo approfondimento è necessario per evitare di fare una legge cattiva, quando questa deve avere un certo carattere permanente; esistono difficoltà anche per il meccanismo non ancora ben oliato. Lo stesso dicasi per il disegno di legge relativo alla Corte costituzionale, presentato il 14 luglio; e non parlo delle leggi Fanfani e di quella relativa all’imposta patrimoniale successoria, che anche merita considerazione dalla Commissione. È evidente che il senso di responsabilità è aumentato nei membri del Senato e della Camera e, poiché tutti hanno il diritto di far sentire la propria voce, ciò richiede tempo per la conclusione; e noi, che abbiamo sofferto di questo ritardo, non possiamo fare dei rimproveri, ma possiamo, basandoci su questo vostro esperimento, chiedere indulgenza anche per noi. Vorrei accennare ad un’altra cosa, che non so se si connette innegabilmente alla degenerazione del parlamentarismo accennata dall’onorevole Conti. Le proposte di legge di iniziativa del Parlamento in proporzione a quelle del governo sono aumentate. Al 15 dicembre vi sono all’esame del Parlamento 190 disegni di legge, di cui 110 ad iniziativa del governo e 80 ad iniziativa del Parlamento. Di questi, all’esame della Camera vi sono 61 disegni di legge governativi e 60 proposte di legge d’iniziativa parlamentare, mentre al Senato vi sono 49 disegni di legge governativi e 20 proposte di iniziativa parlamentare. Devo constatare che molte proposte si accavallano. Il Parlamento ha tra le sue prerogative l’iniziativa delle leggi, ma vorrei esprimere il desiderio che coloro che presentano le proposte a scopo costruttivo, per arrivare a farle votare e non come atti dimostrativi, vogliano avvertirne il ministro affinché questi lo sappia e non stia a perdere tempo nel preparare un’altra proposta, ma piuttosto prepari emendamenti da apportare alle leggi di iniziativa parlamentare, se questi emendamenti paiono al governo necessari. Mi pare una collaborazione utile, questa, altrimenti ci si trova dinanzi ad una enorme montagna di proposte. Vorrei poi raccomandare un’altra cosa, se è permesso di cogliere questa occasione. Forse io sconfino dal mio compito, in questo momento, ma voglio scusarmi. Vorrei raccomandare di usare di più, adesso, l’interrogazione scritta, perché mi pare, dopo molte raccomandazioni, che abbiamo ottenuto una certa rapidità nelle risposte, (segni di diniego), forse non ancora del tutto soddisfacente. A quanto pare dalle vostre proteste non è ancora abbastanza, ma abbiamo aumentato, contro tutte le disposizioni, i segretari. Oltre a ciò, io vorrei darvi alcune cifre ancora sull’attività parlamentare, che sono argomento di meditazione. Ci sono una attività politica di controllo e una attività specificamente legislativa. Ora, quando da questi banchi si risponde un po’ nervosamente sopra proposte di discussione politica, non bisogna tradurre ciò semplicemente nella formula: «il governo ha paura della discussione». Il presente governo non ha bisogno di avere molta paura delle discussioni, soprattutto perché non è dal dibattito che si debba ritenere, nella maggior parte dei casi, che venga un tale spostamento di voti da mettere in pericolo il governo. Prima di tutto è necessario passare alla determinazione, alla deliberazione di provvedimenti concreti che hanno una urgenza. Il tempo che si impiega in discussioni generali non si perde, perché queste possono avere un certo valore come direttive di governo e, senza dubbio, fino ad una certa misura, sono assolutamente necessarie. Sono la forma del parlamentarismo. Se si esagera, però, questo tempo assorbe quello che deve essere impiegato in provvedimenti concreti legislativi. Quindi, quando rispondiamo no o chiediamo rinvii, eccetera, non dovete sempre pensare che si tratti di capricciosa ostinazione o di paura per la situazione del governo. Si tratta di questo: si tratta di interessi degli elettori, si tratta di interessi dello Stato, si tratta di esigenze urgenti da soddisfare. E, perché non mi diciate esagerato in queste considerazioni, vi voglio ricordare alcune cifre. Sono calcoli, questi, che non sono ufficiali: sono approssimativi, ma sufficienti per dare una indicazione. Dall’8 maggio all’11 dicembre 1948 ecco come si divide il lavoro delle Camere. Mettiamo in una categoria tutto quello che si può chiamare lavoro interno cioè di elezioni, nomine varie, commemorazioni, eccetera. Chiamiamo lavoro politico tutto quello che riguarda dibattiti politici in generale, interrogazioni di carattere politico, interpellanze di carattere politico, mozioni di carattere politico; e infine chiamiamo attività legislativa ciò che è proprio in senso stretto l’attività che riguarda deliberazioni su provvedimenti legislativi. Ora, abbiamo trovato questo (dico approssimativamente): Camera dei deputati: giorni 107, sedute 152, ore 582; Senato: giorni 99, sedute 125, ore 424. Distribuzione del lavoro: Camera: lavoro interno – ne ho spiegato prima il significato –: 24 ore, 4 per cento; politico: 170 ore, 30 per cento; legislativo: 380 ore, 66 per cento. Senato: lavoro interno: 42 ore – e qui c’è il regolamento che ha assorbito parecchio tempo – 10 per cento; politico: 149 ore, 32 per cento; legislativo: 233 ore, 58 per cento. C’è anche il lavoro, naturalmente, delle Commissioni che bisognerebbe indicare. So benissimo che le Commissioni rappresentano un lavoro più intenso e più efficace che non quello dell’assemblea plenaria. Vorrei dire che, se si trovasse il modo di orientare la nostra autodisciplina – parlo ora come deputato – nel senso di limitare, sia pure concentrando, le necessità della parte politica e se invece condensassimo il lavoro nella parte legislativa, in provvedimenti concreti, credo che l’impressione nel pubblico sarebbe migliore e che il Parlamento avrebbe fama migliore. È come democratico che parlo in questo senso, perché evidentemente le eccessive discussioni di carattere politico sarebbero lecite se il congegno parlamentare avesse solo le Commissioni le quali potessero lavorare per proprio conto e per altri provvedimenti legislativi. Ma vorrei richiamare anche l’attenzione dell’opposizione. Io dico che sarebbe possibile collaborare con l’opposizione; e questa può esercitare benissimo su di un progetto di una certa importanza la sua influenza, che può avere – come in certi Parlamenti – conseguenze più letali per il governo che non una discussione generica. Se il governo, per esempio, è costretto ad insistere su di un provvedimento e mette la questione di fiducia, l’opposizione, vincendo su questo punto, ha fatto opposizione più comprensiva e più applaudita di quella che possa essere una discussione generale. Scusatemi se mi riferisco agli affari vostri, ma è affare mio, come governo, di dire che questo governo ha soprattutto il proposito, la volontà e la caratteristica di difendere gli istituti democratici, perché credo sul serio – potete anche forse non prestare fiducia alle mie parole, ma non potete dubitare di tante prove – che questo sistema non sia l’ideale, ma che sia ancora il migliore dei sistemi parlamentari che esistono. Sappiamo che c’è bisogno di molti progressi e l’evoluzione continuerà a raffinare questo strumento parlamentare; ma questo sistema del suffragio universale e della rappresentanza parlamentare, attraverso l’articolazione cui ho accennato prima – Regioni, autonomie comunali, eccetera – questo sistema è, al dì d’oggi, ancora quello che merita veramente lo sforzo, il sacrificio di uomini che dedicano la propria vita alla vita pubblica, che si dedicano veramente al servizio dello Stato. Io concepisco in questo senso il servizio dello Stato, il servizio della nazione: nel senso cioè di difendere soprattutto le istituzioni parlamentari e curare, come governo, non che si indeboliscano perché il governo ne profitti e diventi dittatura, ma che si rafforzino perché il governo possa collaborare con loro. (Vivi e prolungati applausi dal centro e dalla destra). |
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| La discussione, specialmente in questa seconda fase, ha assunto carattere politico e quindi rientra, evidentemente, in quella generale sulle comunicazioni del governo, la cui prima parte spiega come e per quali ragioni sia stata creata la compagine governativa. In essa si afferma la ragione di continuità politica fra il governo precedente e quello attuale. Mi pare sia giusto che io prenda la parola in argomento dopo che altri oratori abbiano espresso le loro obiezioni e ch’io risponda conclusivamente alla fine; tanto più che si tratta, come l’oratore precedente ha detto, di un problema politico; e nei problemi politici decide, soprattutto, la fiducia. Ho da aggiungere una cosa: a nessuno venga in mente che chicchessia nel mio governo, a cominciare da me, abbia pensato di proposito di venir meno allo spirito ed alla forma della Costituzione. La impostazione della crisi avvenne dopo una considerazione comune ed uno scambio di idee nel Consiglio dei ministri. Vennero sentiti in proposito, secondo la procedura, gli argomenti favorevoli e contrari di tutti i consiglieri giuristi. Si è deciso quindi a ragion veduta. Aggiungo che sarebbe ridicolo voler dedurre, come ha fatto qualche giornale, dalla mancata rinnovazione del giuramento da parte mia, che io venissi meno al principio fondamentale ed allo spirito della Costituzione. Signori miei, ricordatevi che io la Costituzione l’ho controfirmata e che con ciò ho preso dinanzi al popolo e dinanzi alla mia coscienza l’impegno più formale che un uomo possa prendere. (Vivissimi applausi al centro e a destra). |
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| (Segni di vivissima attenzione). Onorevoli colleghi, ho assistito in silenzio, con il rispetto dovuto alla libertà parlamentare, alla polemica dell’onorevole Gullo ed ho sopportato – sapendo di poterle confutare – tutte le contraffazioni interpretative del mio discorso che egli, dal suo punto di vista, ha creduto applicarvi. Mi riservo di rispondere punto per punto. I nostri colleghi dell’opposizione hanno il diritto di fare l’opposizione e meritano che all’opposizione si risponda con lo stesso tono e con la stessa precisione: lo farò l’ultimo giorno. (Vivi applausi al centro). Ma debbo dire sin d’ora che quello che mi è sembrato più strano è stata l’interpretazione data alle mie parole «antidoto alle ansie della ricostruzione». Che cosa io intendevo dire con quelle parole? Intendevo semplicemente dire che le ansie del presente, che abbiamo tutti quanti, potranno essere lenite dal quel senso di solidarietà che ci viene dal concetto della fraternità cristiana, che potrà costituire il senso dello spirito nuovo e, insieme, un metodo nuovo di lavoro, se tutti collaboreremo secondo questo spirito. Questo il senso: se l’onorevole Gullo desiderava un’interpretazione autentica, eccola qui. Aggiungo una sola parola: non credo – se voi esaminate il mio discorso – che vi sia in esso alcuna cosa che possa giustificare un’asprezza di polemica come si è determinata in questi giorni; noi comprendiamo come l’opposizione rechi tutto il rigurgito della lotta elettorale: sta bene. Noi non abbiamo nessuna vergogna del nostro successo elettorale, né abbiamo alcuna intenzione di ammettere che i sedici milioni di voti si debbano a manifestini o a piccoli interventi più o meno veridici. Io non entro nel merito: tutto quello che dite voi è semplicemente ridicolo, (applausi al centro), e ingiurioso per il popolo italiano. Di fronte a tutte le nazioni del mondo ho il diritto di contestare… (interruzioni all’estrema sinistra – proteste al centro)… che chi afferma che sedici milioni di italiani hanno votato come hanno votato, (rumori all’estrema sinistra – proteste al centro), semplicemente per i motivi da voi addotti, calunnia il popolo italiano e l’Italia nel mondo. (Vivissimi applausi a sinistra, al centro e a destra – Rumori all’estrema sinistra). E poiché qui si è voluto fare un contrapposto fra il 18 aprile e il 20 settembre, aggiungo che mai la lotta è stata impostata come che sia su rivendicazioni, che sarebbero addirittura anacronistiche, della Chiesa, mai; e che io in modo particolare e tutti i miei colleghi, che hanno seguito il mio esempio, abbiamo impostato la lotta sul concetto di libertà per tutti i partiti. (Applausi al centro). E se vi è stata una ragione per cui nel popolo italiano si è avuta una mobilitazione degli spiriti che ha portato ai risultati, che voi nella vostra cecità non prevedevate, (applausi al centro), questa va ricercata nei fatti che voi avete provocato. (Vivi applausi al centro – Proteste all’estrema sinistra). Comunque, amici e avversari, vi prego di unirvi nel grido di: «Viva la libertà! Viva la Costituzione!». (I deputati della sinistra, del centro e della destra si levano in piedi – Vivissimi, prolungati applausi – Grida di: «Viva la libertà! Viva la Costituzione!» – All’estrema sinistra si grida: «Viva la Repubblica italiana!» – Vivi applausi). |
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| Durante la campagna elettorale il mio antagonista onorevole Togliatti con le sue domande e con le sue polemiche, molte volte, mi ha fornito la occasione di fare delle dichiarazioni e delle precisazioni che, altrimenti, sarebbero rimaste nel mio subcosciente. E proprio in questo momento si rinnova tale occasione, in seguito all’intervista del leader comunista pubblicata questa mattina sull’Unità. Le dichiarazioni che l’onorevole Togliatti ha fatto in questa intervista sono molto gravi trattandosi del capo responsabile di un partito che ha inoltre anche qualche relazione internazionale. Ebbene egli mi dà qui la possibilità di smentire le tre accuse di Togliatti a proposito di pretesi interventi ed interferenze che avrebbero coartato la libertà degli elettori. Per quel che riguarda la pretesa minaccia degli Stati Uniti di affamare il popolo italiano in caso di vittoria del Fronte, mi è facile rispondere che gli americani avrebbero avuto una buona occasione di rivelare questa loro volontà quando proprio alla vigilia delle elezioni abbiamo loro chiesto 600 mila quintali di grano per assicurarci il pane fino al nuovo raccolto. Essi, invece, ce li hanno concessi proprio qualche giorno prima del 18 aprile e, quindi, a rischio che andassero a finire proprio nelle mani di Togliatti. Gli aiuti degli Stati Uniti non sono uno strumento di asservimento e di speculazione; essi tendono a sollecitare ed aiutare la ricostruzione dell’Europa, a dare tranquillità e fiducia, a favorire l’organizzazione e la collaborazione tra gli stati europei per la difesa della libertà, della democrazia e per il mantenimento della pace. Questa è stata ed è la nostra tesi: quella opposta è stata sostenuta da Togliatti. Il popolo italiano votando come ha votato ha voluto testimoniare che è d’accordo con me. Il nostro popolo ha, evidentemente, capito tutto quello che in proposito io ho esposto, ragionando serenamente in tutte le piazze d’Italia. Ritengo che il mio egregio antagonista abbia commesso un gravissimo errore. Il primo errore nei calcoli matematici. Ma questo forse non è stato mai il suo forte perché ha sbagliato anche il 2 giugno, aiutato dalla fantasia fervida dell’onorevole Nenni . A parte questa abilità minore o maggiore in matematica c’è anche la questione di una abilità psicologica. Egli ha assolutamente sottovalutato il raziocinio, il criterio ed il buon senso del popolo italiano il quale ha capito che non si può pretendere che un popolo come l’americano abbia fiducia in noi e ci aiuti se, contemporaneamente, lo si accusa di imperialismo e si valutano quali strumenti di guerra quelli che, invece, sono strumenti di pace. L’onorevole Togliatti dichiara addirittura che da parte americana c’è stata una minaccia di guerra ed anzi dell’impiego di bombe atomiche contro città e regioni in cui avrebbe prevalso il fronte nelle elezioni. Questa è una tale enormità che mi esonera di doverne trattare l’infondatezza con voi. Per ciò che riguarda l’azione della Chiesa e del clero così aspramente criticata dall’onorevole Togliatti, è fin troppo evidente che si tratta di una sfera di azione che è fuori del dominio e della direzione del Governo. Bisogna considerare che si tratta di un vincolo morale che ha valore soltanto nei confronti delle persone [che] ci credono e, perciò, siamo sempre nel campo della libertà. D’altra parte bisogna considerare che la Chiesa è allarmata per quello che viene fatto contro di essa in altri Stati e bisogna ricordare la campagna anticlericale che si fa anche in Italia contro il Papato e la Santa Chiesa. È chiaro, quindi, che la Chiesa reagisse e difendesse le proprie posizioni morali. Quanto poi alla distinzione fatta dall’onorevole Togliatti tra le forze che egli chiama politicamente attive e il corpo elettorale nel suo insieme, e la prospettiva che il leader comunista affaccia di grande tensione d’ora in poi tra governo che è maggioranza alle due Camere e le suddette forze attive io non credo a questo pericolo. Comunque, se le parole volessero essere una minaccia per dire che verranno create difficoltà all’esercizio della libertà in Italia, noi nel confermare il nostro proposito, quello mio personale, quello di tutti i miei colleghi e che sarà quello del Governo di domani, di difendere la libertà per tutti, compresi i comunisti, ne ricordiamo la condizione: che non si esercitino coazioni, minacce, che non si ricorra a complotti o alla violenza. Azioni queste che sia in partenza che in realtà negano sia la presenza che la possibilità di ogni sviluppo di libertà democratiche. Ed ecco ora qualche notizia sulla consultazione elettorale: la frequenza alle urne è salita dall’ 89 del 2 giugno 1946 al 92 per cento il 18 aprile, aumento che testimonia la crescente maturità politica del popolo italiano il quale è stato profondamente compreso che in questa consultazione era in gioco il suo destino. Altro fatto assai importante e significativo: la scomparsa dalla topografia parlamentare del movimento separatista siciliano e dello stesso fondatore del movimento: fatto che testimonia il vivissimo senso di unità nazionale dei siciliani del quale, del resto, mi ero potuto accertare personalmente anche nel giro di propaganda fatto proprio alla vigilia delle elezioni e che prova il sentimento di solidarietà fra gli italiani nelle recenti sventure e nelle dure prove di dolori e di privazioni che ha attraversato e che deve ancora sopportare. Sempre con riferimento alle cifre delle votazioni va fatto anche un rilievo circa le preferenze dimostrate dagli elettori nei grandi centri, preferenze che dimostrano l’evoluzione avvenuta a favore della democrazia cristiana e degli altri partiti democratici anche in quei luoghi che erano considerati centri quasi inespugnabili dagli estremisti di sinistra. Va poi sottolineata l’eccezionale risonanza che ha avuto fuori d’Italia questa nostra consultazione popolare ed i suoi risultati e ne fa fede il significativo messaggio inviatomi dal Ministro degli affari esteri francese onorevole Bidault . Questo telegramma senza dubbio esprime non solo il pensiero personale di Bidault, ma le speranze e la fiducia di gran parte del popolo francese e di altri popoli che nutrono la nostra stessa volontà, gli stessi sentimenti e che ricambiano con la speranza e la fiducia di cooperare al consolidamento della pace e di collaborare fra i popoli liberi d’Europa. Vorrei dire e immagino che me lo chiederete cosa farà il futuro governo dopo la vittoria. Vi dirò qualche cosa che riflette quello che sono le mie intenzioni. Soprattutto, vorrei dissipare qualche dubbio, se esiste, e cioè che la Democrazia cristiana abbia raccolto i voti della reazione. Che, in un momento come questo, i voti possano rappresentare anche le preoccupazioni personali in una parte di coloro che hanno da salvare la proprietà e di coloro che temono per i loro interessi in un rivolgimento sociale, è troppo ovvio. I voti saranno anche di questi. Ma il grosso nerbo di questo esercito che cammina verso il progresso, di un esercito di popolo costituito di popolo minuto, di gente che ha fame, ma che ha l’ideale spirituale della propria coscienza che vuole difendere la propria libertà e cioè la libertà religiosa, politica, economica, e sociale, sia pure subordinata al concetto della funzione sociale della proprietà e in genere della funzione sociale dell’economia. Quando si dice che l’Italia non ha fatto abbastanza in questi tre anni per le riforme, si dice cosa inesatta. Ed infatti nessuno, e badate bene nemmeno i comunisti che hanno collaborato con me fino a pochi mesi fa, ha mai pensato di poter fare riforme nella distribuzione della ricchezza e introdurre norme sulla distribuzione delle proprietà nella situazione di emergenza. Sono riforme che si preparano ma nessuno ha pensato di poterle attuare senza una base solida e finanziaria. Vi prego soprattutto di portare con voi una assicurazione: noi comprendiamo che oggi non si può tornare indietro, ai particolarismi dei singoli Stati, ma che la collaborazione europea non è oggi una frase o un blocco per la guerra come si va dicendo; è una necessità. Gli Stati Uniti d’Europa, forse la maggior parte di noi non li vedrà, ma sono in cammino e bisogna che siano in cammino. Bisogna che si facciano perché sono una necessità per la pace e per la prosperità dei popoli. Specialmente per il popolo italiano che ha tante braccia, che ha tanti figli che non può mantenere tutti ed ha bisogno di espansione, di una espansione che deve essere pacifica e di collaborazione per evitare che come tutte le espansioni economiche provochino esplosioni di forza. Voi mi domanderete cosa noi pensiamo del Patto Occidentale dato che su di esso si fa una grande questione. Badate che noi non siamo nella stessa posizione degli altri Stati che vi hanno partecipato finora. Essi sono Stati liberi, sono cioè Stati che non hanno avuto un trattato di pace imposto; sono quindi nella piena libertà e nella normalità. Noi siamo uno Stato che da un trattato ha avuto per conseguenza la propria limitazione di armamenti, della propria espansione, in qualsiasi forma di carattere militare. Abbiamo quindi doppia ragione di volere e di desiderare la pace. Non so cosa decideranno i Deputati e i Senatori su questa questione, dato che spetta a loro di decidere su un simile orientamento. Il nostro orientamento è di collaborare in tutte le maniere per consolidare la pace per difendere la civiltà occidentale, per collaborare in seno all’ONU anche collettivamente. Non bisogna dimenticare che il patto di Bruxelles è subordinato al Consiglio di Sicurezza, non è un blocco staccato di Potenze a sé, ma è inserito nell’ONU. Queste considerazioni generiche bastano a dirvi la nostra tendenza generale. Di più non potrei dire perché lo sviluppo pratico della revisione del trattato che ha messo l’Italia in una situazione di parità con gli altri non dipende da me, da noi soli. Evidentemente questa revisione è in cammino: l’affare di Trieste non era un trucco elettorale, era qualcosa di più. Era un rinsavimento, un riconoscimento che questo esperimento del territorio libero era sbagliato: cosa questa che avevamo sostenuto a Parigi ma allora non fummo creduti perché la nostra voce appariva direttamente interessata. Oggi quelli che non erano direttamente interessati hanno visto che l’esperimento non è riuscito e che bisognava rivedere. Ma ci sono molte altre cose nel Trattato che vanno rivedute. Tutte cose, compresa Trieste, che speriamo di avere dal riconoscimento dei popoli liberi e per comprensione pacifica. Noi inorridiamo al pensiero che qualche elemento di tutto ciò possa dar pretesto ad una nuova guerra. Signor Presidente lei crede che il nuovo governo potrà accettare la collaborazione del Partito Socialista Italiano che ha manifestato l’intenzione di rivedere il suo atteggiamento nei riguardi del Fronte popolare? La domanda è ipotetica e non posso quindi dare una risposta precisa. Comunque, si entra ora in una situazione normale per quello che riguarda il funzionamento del potere esecutivo e del potere legislativo. Da oggi in poi l’attività legislativa che finora era svolta dal governo sarà svolta invece dal Parlamento e sarà, quindi, meno sentito il bisogno che nel Governo sia rappresentato il maggior numero possibile di partiti. Le funzioni della maggioranza e della opposizione potranno esplicarsi con carattere normale. E se l’opposizione non restringerà la sua azione ad una critica sterile o quel che è peggio di sabotaggio, potrà svolgere la sua parte di collaborazione nel Parlamento con una opera di controllo di critica costruttiva e nel partecipare alle varie Commissioni delle due Camere. Signor Presidente lei intende continuare la collaborazione con gli altri partiti che attualmente sono al Governo? In via di massima, certo. La nostra tendenza è questa: non facciamo questione di proporzioni come non l’abbiamo fatto prima. Infatti, nell’attuale Ministero noi democristiani siamo in minoranza benché proporzionalmente avessimo un numero di suffragi superiore. Signor Presidente, quali prospettive ha l’Italia circa la soluzione definitiva della questione di Trieste? Io sono ottimista: devo peraltro precisare ancora una volta che, pur essendo il ritorno di Trieste al centro delle aspirazioni del nostro cuore, noi desideriamo che questo sia raggiunto in modo pacifico. |
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| Il vostro riconoscimento del mirabile esempio dato dal popolo italiano nelle recenti elezioni è per me motivo di vivo compiacimento. La battaglia combattuta per princìpi di libertà, di democrazia e di ordine è stata coronata da una significativa vittoria che mentre è sicura garanzia per l’avvenire del popolo italiano fa bene sperare per il nuovo assetto dell’Europa e per la salvaguardia della pace. La giovane Repubblica italiana è fiera di avere dato un così notevole contributo alla causa comune dei popoli liberi e si impegna con tutta la sua energia a cooperare per il superamento delle frontiere e per l’avvento della giustizia sociale. Su tale cammino la nazione italiana è certa d’incontrare la fraterna collaborazione del popolo francese. Le vostre espressioni amichevoli mi sono particolarmente care perché illuminate dagli stessi ideali e dagli stessi propositi di cristiano rinnovamento sociale. |
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| In quale specifico modo l’aiuto rappresentato dal Piano Marshall verrà utilizzato dall’Italia nei mesi prossimi? Per la sua stessa definizione il Piano Marshall ha la sua fondamentale finalità nell’aumento della produzione. Lo ha stabilito il Congresso americano e avremo qui, perciò anche una speciale missione americana con questo compito. Ma a fianco della missione degli Stati Uniti vi è un impegno di responsabilità del governo e del Parlamento, onde controllare che le somme siano effettivamente destinate agli scopi essenziali dell’ERP. Posso assicurarvi che il denaro che il contribuente americano si accinge a spendere in Italia non sarà sciupato. L’aumento della produzione verrà realizzato mediante l’importazione di materie prime, quali carbone e benzina, mediante il rimodernamento degli impianti, specialmente nel settore dell’industria pesante. Noi intendiamo anche impiegare i capitali che potremo guadagnare con questo aumento della produttività industriale, nei lavori di bonifica agraria e nella costruzione delle strade. Non è stato ancora stabilito se sarà necessario creare un dicastero apposito per l’esecuzione in Italia dell’ERP. Io credo che al contribuente americano non dispiacerebbe conoscere per quanto tempo l’Italia avrà bisogno di essere assistita in questa forma. Potrebbe dirmi qualche cosa al riguardo? Io credo che i quattro anni fissati nell’ERP siano sufficienti all’Italia per riorganizzare la sua economia e per determinare l’aumento della sua produttività. Con ciò intendiamo essenzialmente raggiungere l’equilibrio della nostra bilancia dei pagamenti. Naturalmente ciò significa che parallelamente all’ERP dovrà svolgersi un intenso traffico turistico, che potrebbe riprendere vita con la ricostruzione della nostra marina mercantile, da attuarsi nel quadro dell’assistenza ERP. Il turismo e la marina mercantile coi suoi traffici sono stati sempre due fattori predominanti e indispensabili nella bilancia commerciale italiana. So che il Piano Marshall e la Banca internazionale considerano il turismo e gli investimenti che lo concernono, tra i quali quelli nell’industria alberghiera ecc., come investimenti assai sicuri. Lo stesso può dirsi per quanto riguarda il settore dei trasporti. Noi disponiamo di una flotta mercantile abbastanza buona che ci permette di trafficare liberamente con l’America del Sud. È un’attività che si inquadra fin da ora nel Piano Marshall e che contribuisce certamente all’auspicato aumento della nostra produzione. Ma l’ERP ci sarà di assoluta necessità per attuare il programma di bonifici finanziari che deriveranno dall’aumento della produzione industriale perché a loro volta le industrie potranno beneficiare dell’aumentata capacità di assorbimento del mercato interno. Da tutto ciò credo di poter concludere che certamente i quattro anni del Piano Marshall ci occorreranno interamente, ma in compenso prevedo che ci saranno sufficienti. Potrebbe dirmi se è prevedibile, nel quinquennio della legislatura uscita dalle recenti elezioni, che il Partito comunista conservi inalterata la sua forza presente o se non sia probabile un suo declino prima delle nuove elezioni? È sempre molto pericoloso azzardare profezie, tanto più che il Partito comunista non è per il momento affatto scomparso. Il fronte democratico popolare ha riportato circa 8 milioni di voti. Occorre tuttavia un governo capace di affrontare i problemi sociali, quelli della disoccupazione nell’Italia del nord, quelli del bracciantato nel sud, quelli della bonifica terriera pure nel sud e quelli dello sviluppo industriale nel nord. Sono tutti problemi che il Piano Marshall può in grande misura contribuire a risolvere. Per quanto riguarda, dunque, il Partito comunista, 8 milioni di voti rappresentano ancora una minaccia. Dovremo lavorare assiduamente alla loro conversione. I lavoratori dovranno vedere nella politica di riforme sociali del governo che ogni sforzo possibile sarà fatto per raggiungere la migliore giustizia sociale e la più equa distribuzione della proprietà. Vi possono essere delle speranze per il declino del Pc, bisogna però tenere presente il fatto che esso dispone di una organizzazione interna di ferro. Le elezioni hanno tuttavia rilevato che in molte sezioni, specie nelle città minori, il numero dei voti dato al Fronte Democratico Popolare è risultato minore a quello degli iscritti ai partiti che lo compongono. Ciò significa che parecchi membri del partito gli hanno votato contro. Credo comunque che molto dipenderà dall’aiuto dell’America e dai pericoli di una nuova guerra. Io non credo che un conflitto debba scoppiare entro breve tempo ma debbo dire che sono le guerre ad alimentare la vita del comunismo. Se la guerra dovesse dunque scoppiare per colpa della borghesia, i borghesi dovranno essere rimproverati per aver alimentato il comunismo. Nella recente conferenza stampa , Ella ha affermato che la revisione del trattato di pace italiano è condizione essenziale per l’entrata dell’Italia nell’Unione occidentale. Può dirmi quale genere di revisione si attende l’Italia? E crede lei che si possa conseguire una revisione relativamente a Trieste, alle clausole militari e alle colonie senza un accordo con la Russia sovietica? Non mi è possibile rispondere con esattezza a tutte queste domande che involgono problemi di competenza del nuovo Parlamento. Sono però in grado di farle rilevare che l’Italia vive oggi sotto le gravi limitazioni di un trattato e che sarebbe assurdo pensare che essa possa considerarsi allo stesso livello delle altre potenze europee. Il suo problema coloniale non è stato risolto; gli armamenti sono oggi limitati e mentre da una parte ci viene chiesto di seguire una politica attiva in Europa, dall’altra ci si impone di spendere alcuni miliardi per far saltare in aria fortificazioni lungo le frontiere, siano esse quelle con la Jugoslavia e con l’Austria, siano quelle con la Francia. Ci viene anche prescritto di distruggere la nostra flotta. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno è vero rinunciato alle quote di naviglio loro assegnate dal trattato di pace, ma ciò nonostante noi siamo impegnati a smantellare le unità lasciateci. Mentre le parlo, a La Spezia si sta demolendo la nave da battaglia da 45 mila tonnellate «Vittorio Veneto». Vorrei che lei facesse comprendere all’opinione pubblica americana la situazione estremamente contraddittoria in cui si trova oggi il nostro paese. Da una parte vi è un vivo desiderio, per l’Italia, di condurre una politica più attiva nel continente a fianco delle altre nazioni. Dall’altra, però, le limitazioni del trattato di pace, gli obblighi delle clausole militari e quelli della smilitarizzazione e del disarmo impediscono di fare la minima delle cose che l’Europa attende da noi. Quale estensione numerica e quale tipo di armamento Ella pensa sia necessario per un efficiente esercito italiano? Ritengo che l’esercito italiano non debba essere numeroso ma penso che debba essere assai modernamente equipaggiato. Mi permetto di insistere nella precedente domanda, se cioè ritiene indispensabile l’accordo della Russia sovietica per la revisione del trattato di pace? Come potreste cambiare un trattato firmato da quattro potenze senza il consenso di una sola di esse? Suggerisco ad ogni modo di parlare il meno possibile di guerra. Sono fiducioso sul fatto che essa non sia prossima. Lei non lo crede forse? […] Dipende solo dalla mancanza di navi la presente iniziativa? E che cosa pensa si possa fare per il rinnovamento della flotta mercantile italiana? Posso preannunciarle che intendiamo presentare al Parlamento un completo progetto di ricostruzione della nostra marina mercantile e posso aggiungere che la nostra emigrazione è presentemente limitata appunto dalla deficienza di naviglio. Gli Stati Uniti sono stati portati a ritenere che la forza principale del comunismo sia in Italia basata in larga misura sulla Confederazione generale del lavoro e sul movimento dei partigiani. Quale sarà l’atteggiamento del suo nuovo governo nei riguardi di questi due organismi? La Democrazia cristiana, i socialisti democratici e il Partito repubblicano, che costituivano le correnti di minoranza in seno alla Confederazione generale del lavoro, hanno realizzato sostanziali progressi per assumere maggiori responsabilità. Debbono proseguire per questa strada facendo sì che le organizzazioni sindacali non siano impiegate per scopi politici, ma dedichino interamente la loro attività alla difesa dei diritti sindacali dei lavoratori. Per quanto riguarda i partigiani comunisti, credo che essi abbiano perduto il monopolio della rappresentanza delle forze della liberazione dal momento in cui, un mese addietro, il generale Cadorna ha creato la federazione dei volontari non comunisti, la quale comprende vari elementi, da quelli della unione cristiana alle formazioni di Giustizia e Libertà. Il capo di quest’ultimo, Ferruccio Parri, non ha ancora preso una decisione definita ma egli è al nostro fianco. |
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| Caro Ambasciatore, ho apprezzato molto il suo gentile messaggio del 23 aprile sul risultato delle nostre elezioni. L’affermazione della democrazia e delle sue libertà in Italia ci sollecita ora a dedicarci al compito di salvaguardare il mantenimento di tali principi e di assicurare la loro pratica applicazione nel governo. Sento che così facendo noi serviremo al meglio la causa della pace generale e della continua amicizia fra i nostri due paesi. Sono lieto dell’opportunità di esprimere il mio apprezzamento per il vostro inestimabile contributo a questi fini comuni e, nell’augurarle il successo personale, le invio i più cordiali saluti. |
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| 91946-1950
| Caro Facchinetti , ricorderai che in seguito alla tua lettera del 12 eravamo d’accordo di convocare il Comitato dei Ministri, che suggerivi dopo il rimpasto ministeriale [onde risolvere definitivamente alcuni problemi connessi all’applicazione del Trattato di pace] . Tuttavia informazioni ricevute in questi ultimissimi giorni e le considerazioni sottoposte stamane alla mia attenzione dal ministro degli Esteri mi spingono a dirti che conviene stralciare dal complesso di cui alla tua lettera la questione [della demolizione delle navi] e procedere senz’altro nella demolizione pattuita, in modo da evitare il sospetto che non si voglia tenere la parola data. Ti prego di prendere con urgenza i provvedimenti del caso. Cordialmente |
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| 91946-1950
| Nell’agosto 1945, alla vigilia del primo incontro di Londra per la preparazione del trattato di pace con l’Italia, mi sentii obbligato a inviare al suo predecessore un caloroso appello affinché, nell’elaborazione del trattato, le potenze non perdessero di vista le necessità politiche e morali che ci apparivano essenziali per assicurare al popolo italiano una pace fondata sulla giustizia, una pace che non potesse essere considerata una punizione per gli errori passati ma un solido fondamento per un futuro migliore per tutta l’Europa. Sfortunatamente, nonostante gli amichevoli e strenui sforzi del governo degli Stati Uniti, il trattato di pace – firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 – non ha risparmiato all’Italia pesanti sacrifici, economici e territoriali, e umiliazioni che hanno profondamente amareggiato il popolo italiano. Il mio governo, superando serie opposizioni in tutto il paese e all’interno del mio stesso partito, non esitò tuttavia ad assumersi la responsabilità di proporre all’Assemblea Costituente la ratifica del trattato, poi ottenuta. Come il ministro degli esteri Sforza , ero convinto allora, e lo sono ancora, che la ratifica italiana fosse necessaria non solo nell’interesse del nostro paese, e al fine di assicurare il ritorno dell’Italia nella comunità delle nazioni libere, come giustamente voi telegrafaste allora, ma anche avendo in mente gli obiettivi di cooperazione generale che tutti i paesi europei devono perseguire al fine di costruire un mondo migliore. Da allora è stato ottenuto molto dall’Italia in quella direzione, in piena e leale collaborazione con le potenze occidentali. In questo momento, tuttavia, devo sinceramente confessare che sono profondamente preoccupato per le conseguenze che una soluzione della questione coloniale che causi al popolo italiano una nuova umiliazione potrebbe avere qui sulla pubblica opinione, specialmente se tale soluzione ci fosse imposta da quelle nazioni occidentali con cui l’Italia è tanto desiderosa di collaborare. Come lei ben sa, signor Segretario di Stato, la questione coloniale è l’unica che il trattato di pace ha lasciato aperta invece di decidere contro di noi; e con il trascorrere del tempo, e in seguito alle ricorrenti manifestazioni di solidarietà che abbiamo offerto all’occidente, qui appare più che giustificato sperare che non sia così difficile risolvere il problema, con l’aiuto dei paesi amici, in una maniera ragionevole che si accordi con le legittime speranze italiane e segua quei principi di solidarietà che dovrebbero legare il mondo occidentale. È una questione profondamente sentita dal popolo italiano, senza distinzione di partito o di classe, e come tale è divenuta una questione che implica la responsabilità del mio governo verso il paese. Se non sottolineassi le conseguenze che una soluzione sfavorevole della questione avrebbe sotto questo aspetto, verrei meno al mio dovere di assoluta franchezza verso il governo americano a cui siamo e vogliamo rimanere legati con i più saldi legami. Non è necessario rassicurarla, signor Segretario di Stato, che anche in campo coloniale l’Italia propone di aderire di tutto cuore ai principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite. L’Italia, quindi, è fermamente decisa, una volta consentitole di tornare in Africa, a mettersi immediatamente al lavoro per l’indipendenza di quelle terre il cui progresso, dopo tutto, è stato opera nostra. |
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| Mio caro ambasciatore, con grande piacere apprendo del rapido miglioramento della sua salute. Non la incontrerò prima di lasciare Roma sabato prossimo e prima di partire desidero esprimere il miei migliori auguri per una pronta e completa guarigione. Lei ben sa quanto profondamente io apprezzi la comprensione e i sentimenti amichevoli che lei ha sempre dimostrato. La sua presenza qui in questi giorni ci avrebbe concesso di dare ulteriore prova del suo spirito di cooperazione che, come desidero fortemente, deve diventare anche più stretto e fruttuoso. Come sa, ora incombe una decisione sul problema coloniale. Lei sa che questo problema non è per noi questione strategica né finanziaria e che non è nostro desiderio rivitalizzare forme obsolete di occupazione coloniale. È comunque molto difficile convincere una nazione che ad essa deve essere preclusa una missione dalla natura civilizzatrice e cristiana, con lo scopo finale dell’autogoverno. Mentre gli italiani capiscono pienamente che le potenze amiche devono cercare le garanzie strategiche che considerano necessarie, non possono comprendere perché il paese più popolato del Mediterraneo debba essere escluso dal compito di portare la civiltà occidentale in Africa. Ostracizzare così una nazione ne abbatterebbe fortemente il morale e non mancherebbe di generare avversione per la Gran Bretagna in un momento in cui noi e i britannici stiamo compiendo ogni sforzo per promuovere l’amicizia. Non potrebbero gli Stati Uniti assumere un atteggiamento di mediazione nell’interesse della comune cooperazione? Posporre l’esame nell’assemblea delle Nazioni Unite significherebbe prolungare una situazione imbarazzante che è già aggravata dalla presenza di tanti rifugiati italiani dall’Africa e di tanti italiani che attendono ancora in Africa. Soprattutto causerebbe un’ulteriore pesante pressione su questo governo. Lei sa che è nostra intenzione raggiungere la piena cooperazione con i popoli dell’Europa occidentale con l’obiettivo di giungere a una federazione europea. Ma abbiamo bisogno di un certo lasso di tempo affinché questa idea metta radici e si sviluppi nella mente del nostro popolo. Ma come può riuscire il mio governo in questa impresa costruttiva se deve esordire ammettendo l’esclusione dell’Italia dalla cooperazione nel Mediterraneo e nelle colonie? Questo è il motivo per cui è nell’interesse generale che a Londra si prenda l’iniziativa di concederci almeno parte delle colonie, e che solo per quelle che pongono i problemi più difficili si rimandi l’esame alle Nazioni Unite anche tenendo conto delle richieste e dei desideri delle popolazioni indigene. Sono certo che lei sia convinto che quanto detto è dettato da un desiderio di franchezza e realismo. Le sarei grato se potesse trasmetterlo a Londra, a coloro che sono ora chiamati a decidere. Colgo l’occasione per chiederle di trasmettere i miei saluti alla Signora Dunn, e rinnovo i miei più calorosi auguri per una pronta guarigione e un rapido ritorno in Italia. PS Ho appena ricevuto dal conte Sforza copia di una lettera strettamente confidenziale che egli ha scritto all’ambasciatore Gallarati Scotti (Tommasino) . Le accludo un’altra copia, personale e segreta, per sua informazione. I suoi contenuti le potrebbero suggerire alcuni utili argomenti. |
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| 91946-1950
| Ricevuta tua lettera 21. Comincio a ritenere che obbiezione Russia imporrà rinvio onde a maggior ragione si giustifica nostra rivendicazione di principio ed esitazione nel dichiararsi soddisfatti di proposti compromessi. Comunque il nostro atteggiamento si profila esatto: rivendicazione globale, accettazione graduata soluzione, a patto che gli altri territori non appaiano pregiudicati. Diciamo però fino da ora che riconosciamo alcune necessità strategiche in Cirenaica e altre riguardanti lo sbocco sul mare ad Assab e ammettiamo opportunità speciale statuto in Tripolitania per partecipazione araba. Penso che il solo preannunzio perdita colonia primigenia Eritrea avrebbe disastroso effetto psicologico. Bisognerebbe almeno che in ipotesi questione venisse rinviata ONU. Ma se ragioni inglesi sono veramente strategiche, sarà possibile che i russi lascino passare? Interessante tuo colloquio con Scià. Spero avrai letto messaggio Dewey che ritengo salvo tua obbiezione pubblicabile. Inoltre vorrei profittare inviando a Dewey seguente telegramma: «Riservandomi di consegnare personalmente al vostro distinto collaboratore una più diffusa risposta al vostro gradito messaggio, mi affretto a ringraziarvi sentitamente per il vostro così cordiale saluto, ma sopratutto per il vostro caldo riconoscimento dello sforzo di ripresa compiuto dal popolo italiano. Questa così autorevole testimonianza ci conforta a temprare ancora più le nostre energie morali e sociali fino a che avremo assicurato al nostro popolo pane, lavoro e giustizia. Noi sappiamo che questa meta non è raggiungibile se non nel clima della libertà e della democrazia di cui gli Stati Uniti ci forniscono un esempio fortunato. Noi siamo grati all’America per il suo appoggio morale ed economico. La generosità del vostro popolo ci fa sperare nell’avvenire e nella solidarietà delle nazioni. Colgo questa occasione anche per ringraziarvi del vostro pubblico interessamento per il nostro problema coloniale . Voi sapete che la nuova Italia repubblicana non cerca avventure ma lavoro e cooperazione civile con popolazioni africane autonomamente organizzate. Anche nella nostra attività coloniale noi non deluderemo le speranze di coloro che confidano nel rapido cammino della civiltà sulla base della dignità personale e della libertà politica. Col grato ricordo della vostra cortesia in occasione dei nostri incontri a New York vi ripeto, caro Dewey, l’espressione della mia sentita e riconoscente amicizia». Se questo testo non solleva obbiezioni pregoti autorizzare Bartolotta a tradurre e spedire come telegramma a Dewey. Se nel frattempo sarà pubblicato messaggio Dewey potrà pubblicarsi anche mia risposta. |
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| 91946-1950
| […] Ha detto che anzitutto non è affatto in questione la neutralità dell’Italia nelle attuali circostanze. Per quanto concerne questo paese non c’è scelta fra est e ovest. Sono già nel gruppo occidentale, come è stato dimostrato chiaramente dalle elezioni e, per quanto riguarda questo governo, tutti i suoi elementi sono interamente dalla parte degli stati occidentali in punto di ideologia e di obiettivi comuni di indipendenza e libertà individuale. Il Sig. De Gasperi ha affermato che il problema per il governo qui è educare la popolazione alla necessità di impegnare il futuro con le potenze occidentali dato che comunisti e filocomunisti compiono grandi sforzi per combattere tale politica. Il governo ha già previsto la necessaria opera educativa e ha già iniziato a organizzare le necessarie operazioni di educazione e informazione. Il primo ministro ha dato la sua opinione personale secondo cui, in tali circostanze, la strada migliore per l’integrazione dell’Italia nel gruppo occidentale è l’organizzazione OECE di Parigi e che spera che penseremo a sviluppare e ampliare tale organizzazione da gruppo puramente economico a gruppo politico e difensivo. |
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| 91946-1950
| Caro Carandini, in relazione alle tue premure, ho interessato il ministro Corbellino perché riesamini la richiesta di particolari facilitazioni ai partecipanti al Congresso del Movimento Federalista Europeo, che si terrà a Roma dal 7 all’11 novembre p.v. Mi è gradito, inoltre, comunicarti che l’assegnazione del contributo richiesto di lire tre milioni per le spese del Congresso in parola sarà disposta ed imputata al Cap. 39, art. 2 dello stato di previsione della spesa del Ministero Affari Esteri per l’esercizio 1948-1949, in occasione di un prossimo provvedimento concernente prelevazioni dal fondo di riserva per le spese impreviste. Cordiali saluti |
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| 91946-1950
| Il giorno che celebra la scoperta dell’America è il giorno della fratellanza italo-americana. Sono lieto pertanto di inviare in questa circostanza il mio cordiale saluto agli amici italo-americani che dall’Atlantico al Pacifico personificano con i loro sentimenti la profonda simpatia tra due Paesi che sono lontani nello spazio ma vicini per la comune tradizione di civiltà. Cristoforo Colombo resterà sempre il simbolo di una unione che nessuno riuscirà a spezzare. L’aiuto che l’Italia riceve dall’America in questo suo sforzo per la ricostruzione è una nuova prova della nostra comunità di sentimenti. Gli italiani lo riconoscono e sono certi di non deludere chi ha avuto fiducia in loro. Il ricordo del gesto glorioso col quale Colombo ha legato l’Italia all’America 450 anni fa, sarà sprone a noi tutti per una intensa collaborazione negli anni futuri. |
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| Economia italiana Rispondendo alla richiesta del segretario relativa allo stato generale attuale dell’economia italiana, il presidente del Consiglio dei Ministri ha sottolineato anzitutto la necessità di un’immediata soluzione del problema dell’eccesso di popolazione. Ha evidenziato che l’industria italiana (particolarmente l’industria meccanica nel Nord) impiega più lavoratori di quanto sia economicamente vantaggioso. Questo comporta un circolo vizioso che tende a viziare i benefici dello European Recovery Program. In particolare, gli americani inviano carbone all’industria italiana, ma a causa dell’elevato numero di occupati e i risultanti alti costi di produzione del prodotto, l’industria italiana non è sufficientemente redditizia per consentire all’Italia di comprare da sé il carbone necessario per far ripartire il ciclo. Ha detto che la soluzione di dare sussidi ai lavoratori in eccesso è politicamente altamente indesiderabile, perché il lavoratori vogliono lavoro e non aiuti. Ha messo in evidenza che i lavori pubblici richiedono tempi significativi e pesanti finanziamenti, e che l’Italia non dispone né degli uni né degli altri. La sola soluzione politicamente praticabile è esportare la forza lavoro italiana in altri paesi d’Europa e dell’America del sud. Ha chiesto al segretario i buoni uffici degli Stati Uniti nel persuadere gli altri paesi europei e i paesi sudamericani ad accettare immigrati italiani. Rispondendo al segretario Marshall riguardo alle dimensioni della disoccupazione in Italia, il Primo ministro ha dichiarato che essa supera i due milioni e che la popolazione aumenta di più di 400mila persone all’anno […]. Sia De Gasperi sia Sforza hanno detto che la Francia potrebbe già assorbire quasi immediatamente un ampio numero di lavoratori italiani e che questo avrebbe un effetto benefico immediato sia sull’economia francese sia su quella italiana. […]. Oltre alla sovrappopolazione De Gasperi ha sottolineato che un altro problema affrontato dall’economia italiana è la recessione industriale nel nord Italia. Come spiegazione principale ha fornito il timore di una nuova guerra che paralizza l’avvio di nuove attività. […] |
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| Ti mando materiale informativo a cui aggiungerò poi le note che mi trasmetterà Quaroni . Eccellente e positivo il contegno di Schuman . Non so se nel tuo dossier esista una continuazione del famoso colloquio di Hickerson . Come spiega Tarchiani il silenzio di Marshall ? Sarebbe bene chiederglielo, per essere in chiaro – alla Camera – anche su questo particolare. Ciò che risulta dai colloqui a Bruxelles Dai tre colloqui con Spaak si può concludere quanto segue: 1. Spaak afferma che tra i Cinque non si è mai presa di petto la eventualità di un’adesione dell’Italia o di altri Stati al Patto di Bruxelles. Il testo del patto prevede ulteriori adesioni, ma si ritenne che convenisse prima costituire un nucleo più compatto e più omogeneo che riguardasse tanto un’ipotesi germanica, quanto russa. Già il patto originale, disse Spaak, correva il rischio di essere considerato un bluff per la sua inefficienza militare. L’aggiungervi subito l’Italia non poteva far sorgere la questione del trattato, ad esempio, il Portogallo, quella della Spagna ecc.? Ogni nuova adesione avrebbe significato un ritardo per risolvere complicazioni nuove. E invece urgeva far presto per assicurare il rapido concorso dell’America. Ciò non toglie che l’adesione sia possibile e desiderabile, quando si presenti come matura. È chiaro che l’adesione non può venire né richiesta dagli interessati né sollecitata dagli attuali componenti, prima che essa sia assicurata in sondaggi ufficiosi. A mia precisa domanda, Spaak torna a confermarmi di non aver mai constatato presso gli inglesi un pregiudiziale atteggiamento negativo. A mia ulteriore domanda ancora Spaak specifica che tra i Cinque la formula concordata è «difesa più a est che sia possibile» lasciando ai militari di determinare tale possibilità. Circa il Patto atlantico comunica che il testo dei Cinque è stato inviato in America ove dovrà nascere il patto a Sette. Personalmente è convinto che il problema della difesa diventerà per forza europeo e che quindi lo schieramento dovrà venire allargato. Il Belgio poi, come la Francia, sono interessati ad una copertura anche verso est e devono desiderare che in una forma o nell’altra l’Italia possa intervenire. Il punto determinante è la decisione americana e, con tale riferimento, Spaak mi ha chiesto se l’iniziativa della visita Marras era dovuta all’America , al che ho risposto in senso affermativo, aggiungendo che certamente i circoli militari americani prendono in considerazione anche l’Italia e che anche da parte del Dipartimento di Stato s’erano dati suggerimenti in riguardo. Solo Marshall a Roma si era astenuto [da] farci riferimento a tali suggerimenti, sia per estrema delicatezza sia perché non riputasse il momento politico tempestivo. O potrebbe anche esser vero, come vogliono taluni, che fossero gl’inglesi a interferire? Spaak, a tale domanda incidentale, rispose: mi pare di poter escludere siffatto intervento negativo. Concludendo Spaak mi ha detto di non credere a un conflitto prossimo, ma di ritenere che convenga essere riarmati per il momento in cui la soluzione della questione germanica non potesse più essere differita. M’è parso di comprendere che il Belgio, del quale oggi Spaak è interprete di fiducia, ci vede con ogni simpatia, purché non ci troviamo in antitesi coll’Inghilterra. 2. A lungo si parlò della questione coloniale. La particolare caratteristica della concezione Spaak è che egli crede che se noi cedessimo sulla Cirenaica gl’inglesi sarebbero senz’altro favorevoli a chiudere [tutta] la partita, lasciando a noi le altre tre, salvo imprecisate concessioni all’Abissinia in Eritrea. La sua convinzione è cosi forte ch’egli si offerse di fare su tale base il mediatore. Risposi che avrei sentito Schuman e poi ne avrei parlato con Sforza e che eventualmente gli avrei inviato nei prossimi giorni una lettera confidenziale . Egli mi confermò anche in un terzo colloquio questa sua sicura ambizione di riuscire. 3. È molto favorevole a creare un organismo di cooperazione europea. Il comitato di studio che si volle dai Cinque lascia aperte tutte le vie. Tuttavia, a mia precisa domanda, Spaak smentì che il comitato abbia l’incarico di consultare altri Stati e avviarli verso l’adesione. È per ora un comitato pro foro interno, precisò. Ma egli personalmente prevede che si allargherà e, in ogni caso, vede bene la proposta Sforza circa l’OECE. Segnalo anche un colloquio con Rolin presidente del Senato e della commissione per l’ONU. Esistono, egli disse, tre alternative circa la proposta di ammissione: 1)o interpretare il parere dell’Aja in senso favorevole all’Assemblea e passare oltre; 2) o invitare il Consiglio di sicurezza a tenerne conto in favore dell’Italia, e della Finlandia; 3) o infine deliberare che Italia e Finlandia partecipino intanto con voto consultivo. Egli chiedeva di sapere a Parigi a tempo, se quest’ultimo espediente venisse da noi considerato accettabile. Ne ho già fatto cenno a Quaroni. Un colloquio col vice presidente Eyskens , con Schryver , Cauvelaert ecc. mi ha fatto capire che i cristiano sociali belgi sono molto impressionati per l’incertezza della situazione politico-economica francese. Vedrebbero volentieri anche l’unione doganale, ma bisognerebbe pur vedere, dissero, con chi avremo da fare. Appunto su Parigi Chiaro, concreto, confortante il colloquio con Schuman, che m’è parso uomo di notevole rilievo e di informazione ampia e controllata. Dichiarò che la Francia, quando lo desiderassimo, era pronta ad appoggiare la nostra adesione al patto di Bruxelles o a favorire qualsiasi altra forma di collaborazione che noi, con l’assenso dell’America, desiderassimo. Promise di tenerci informati, in leale amicizia, sulla opportunità o tempestività di qualsiasi iniziativa volessimo prendere. Ammise che l’Inghilterra è sempre la prima a mettere in sospetto il continentalismo. L’interesse della Francia alla difesa verso est è troppo evidente perché non avvertisse l’importanza dell’apporto italiano. Ritiene che i nostri paesi hanno lo stesso modo di vedere circa la Germania, necessità di strapparla alle seduzioni nazionaliste o comuniste e d’altro canto necessità di essere cauti. La proposta Bevin di nazionalizzare la Ruhr è di una estrema imprudenza. Circa la cooperazione europea rettificò la informazione Spaak. Il comitato designato dai Cinque deve prima elaborare un compromesso tra il piano francese e quello inglese, tenendo conto anche delle proposte Sforza ecc. Fatto questo studio preliminare, prima di ogni deliberazione dei Cinque, verranno consultati anche Stati fuori del patto, prima certamente l’Italia. Si occuperà dei particolari con Sforza nel convegno di dicembre; sa che gl’inglesi obiettano che non bisogna correre il rischio di guastare colla politica anche l’OECE. Circa le colonie è meno ottimista di Spaak. Non crede che gli inglesi siano disposti facilmente a mollare sulla Tripolitania e Eritrea; tuttavia egli prega di essere ulteriormente documentato per poter insistere. Altri punti di rilievo: dichiarazione di Schuman e Queuille circa l’unione doganale e comunicazione di Moch sulla convenienza di organizzare le informazioni, di Ramadier circa militari, di Marie sulle leggi di difesa ecc. Devono giungere appunti da Quaroni. Il quale insiste perché si chiarisca il colloquio Hickerson e si risponda al suggerimento americano di fare proposte . Appunto di Quaroni sulla conversazione De Gasperi-Queuille . (23 novembre 1948, ore 11-11,30) Il presidente Queuille ha intrattenuto a lungo il presidente De Gasperi sulla situazione interna francese mostrandosi soddisfatto del corso dello sciopero pur ammettendo che tutto non è ancora tranquillo. Ha dato atto che gli italiani, nella loro grande maggioranza, hanno avuto un atteggiamento corretto. Gli stranieri più agitati sono stati gli spagnuoli. Ha detto che il Governo francese non ritiene ci siano depositi di armi molto considerevoli nascosti in Francia, con la possibile eccezione della zona del sud-est e ad opera delle organizzazioni spagnuole. È stato poi parlato dell’Unione doganale: Queuille ha confermato che il Governo francese vi è favorevole e intende spingere avanti le cose fino ad arrivare ad un progetto da presentarsi ai due Parlamenti. Non è però possibile nascondersi che si va incontro a delle difficoltà non indifferenti. Ha particolarmente insistito sulla questione dell’adeguamento della legislazione fiscale e sociale nei due paesi, adeguamento che solleverà delle forti difficoltà anche di carattere interno. Il presidente De Gasperi pur non nascondendosi anche lui le difficoltà da superare, ha confermato la ferma volontà del Governo italiano di condurre a termine l’iniziativa. I due presidenti si sono trovati d’accordo sulla opportunità di approfondire i rapporti fra i due Governi per lo scambio di informazioni circa l’attività dei comunisti nei due paesi, e circa la situazione al di là della cortina di ferro. Ha confermato l’invito fatto dal ministro Moch al presidente De Gasperi di inviare a Parigi il sottosegretario di Stato all’interno per concretare questi accordi. Appunto di Chauvel sulla conversazione Schuman-De Gasperi (23 novembre 1948, ore 11,30-12,15) Il ministro, assistito dal segretario generale del dipartimento, ha ricevuto stamani il presidente del Consiglio italiano, assieme all’ambasciatore d’Italia. La discussione ha riguardato da principio l’unione doganale. Il signor De Gasperi ha indicato di essersi intrattenuto in proposito con il Signor Queuille che ha dichiarato la volontà di concludere del governo francese. Il signor Schuman ha confermato questa volontà. Ha precisato che secondo lui conviene sottomettere al Parlamento, in gennaio, un primo accordo da mettere al voto. In seguito, interverranno dei primi progetti di legge destinati a dare effetto alle misure che nell’insieme permetteranno di realizzare l’unione doganale. Infine, a una data che si potrebbe fissare al 1° gennaio 1950, potrà essere realizzata la ratifica delle tariffe. Senza dubbio, diversi elementi sono poco convinti dell’opportunità dell’unione doganale, sia sul piano politico sia su quello degli interessi particolari, quindi bisogna fare propaganda e il governo francese vi si impegnerà. Esistono delle difficoltà. Non sono insormontabili. Diventeranno preoccupanti se, alle obiezioni dei comunisti, si aggiungesse un’opposizione da parte dei rappresentanti di alcune categorie d’interessi. Il signor De Gasperi si è dichiarato molto soddisfatto delle spiegazioni dategli e ha aggiunto che il suo governo seguirà la stessa linea del governo francese. I ministri hanno quindi avuto uno scambio di vedute sull’immigrazione. L’uno e l’altro hanno constatato che degli elementi comunisti, favoriti dalle circostanze, si sono infiltrati negli organismi a cui spettano, secondo gli accordi, la responsabilità delle operazioni d’immigrazione. Da una parte e dall’altra è stato fatto tutto un lavoro di preparazione e si può sperare che in avvenire non si produrranno più le difficoltà incontrate. Il signor De Gasperi ha quindi evocato il problema dell’associazione dell’Italia all’organizzazione dell’Europa occidentale. Il signor De Gasperi ha detto che il governo italiano è deciso a marciare nel senso dell’associazione dell’Italia a tale organizzazione ma ha ricordato che tale associazione solleva in Italia un’opposizione assai vivace, soprattutto da parte dei comunisti. Questa opposizione si spiega senza difficoltà in un paese che ha subito due guerre in 20 anni e per il quale la seconda ha dato luogo a una lotta che è proseguita contemporaneamente sul piano internazionale e su quello interno. Attualmente la corrente pacifista è estremamente forte in Italia e al di fuori da tutte le considerazioni di alleanza di una o l’altra tendenza ideologica, c’è dunque una certa resistenza da parte degli italiani a ogni iniziativa suscettibile di condurre l’Italia a un conflitto armato. Si è comunque mostrato ottimista riguardo al risultato del dibattito parlamentare: ha espresso la fiducia di riuscire a condurlo in modo tale da dare un’ampia libertà d’azione al governo italiano. Intanto il governo italiano, da parte sua, desidera di essere presto chiamato a partecipare a qualche forma di organizzazione occidentale. Gli si è detto ripetutamente che il governo britannico vi è poco favorevole. Gli americani, consultati, non hanno confermato questa indicazione. Il signor De Gasperi si è domandato se il governo britannico non attribuisca al governo italiano l’intento di sfruttare l’invito rivoltogli per ottenere, in cambio dell’accettazione, dei vantaggi sul piano coloniale o su quello della revisione del trattato di pace. Orbene, tiene a precisare che il governo italiano non ha affatto questa intenzione Lo scambio di vedute prosegue; (Il signor De Gasperi ha detto che se l’organizzazione europea si costituirà con la garanzia e l’aiuto americano e l’Italia ne restasse fuori, l’opinione pubblica italiana avrebbe l’impressione di essere abbandonata e le conseguenze potrebbero essere serie) permette di dimostrare al signor De Gasperi che la Francia è favorevole all’ingresso dell’Italia nel Patto Atlantico (il signor Chauvel fa osservare che per quanto concerne il Patto atlantico ci sono reticenze da parte del governo britannico) così come alla sua associazione, anche il più vicina possibile, ai lavori per la realizzazione dell’unione europea. Su questo secondo punto il signor Schuman indica che, secondo lui, l’Italia dovrebbe essere chiamata a entrare nella combinazione appena i cinque partecipanti al patto di Bruxelles si saranno messi d’accordo sulla questione di principio e prima che alcun accordo sia firmata fra loro. L’Italia, in questa ipotesi, non sarebbe chiamata ad aderire a un accordo già concluso, ma parteciperebbe a tale conclusione alla stesso titolo delle cinque potenze firmatarie del patto di Bruxelles. Per quanto concerne le colonie italiane, le proposte scambiate non hanno fatto emergere alcun elemento nuovo di informazione. Il signor Schuman ha molto nettamente precisato che ai suoi occhi solo due soluzioni sono possibili, vale a dire la regolamentazione simultanea di tutte le questioni relative all’attribuzione della Libia o rimettere a una data più lontana la soluzione di tutti questi problemi. Il signor De Gasperi ha detto che tutte le informazioni in suo possesso porterebbero a credere che la popolazione della Tripolitania non sia contraria al ritorno dell’Italia: non ci sarebbe ragione di attendersi guai seri. I due interlocutori hanno convenuto che in definitiva la posizione a cui si atterrà la delegazione americana sarà decisiva. Il signor Schuman ha evocato le difficoltà sollevata in Francia dalla questione della ratifica dell’accordo sulla modifica della frontiera. Il signor Quaroni ha reso conto dei contatti presi e che si propone di sviluppare con il marchese di Moutiers. Il signor Schuman ha sottolineato che non si tratta di rimettere in discussione l’attribuzione della centrale elettrica del monte Cénis, ma che le obiezioni riguardano l’interesse militare rivestito da tale cresta o tale versante. Si è ammesso che la questione sarà oggetto, fra qualche tempo, di uno scambio di punti di vista destinato a fissare dei punti fermi. Il signor Schuman ha dichiarato che la sua preoccupazione principale è di evitare un voto ostile che potrebbe avere un effetto morale del tutto sproporzionato rispetto al suo oggetto geografico. |
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| Sulla Pace Il mondo ha bisogno di pace; ha bisogno del senso della sicurezza, di sentire cioè che il pericolo di una guerra è lontano. Il senso della sicurezza si ottiene perseverando in uno sforzo comune per risolvere i problemi generali e mantenendo i contatti tra le Nazioni su una base di giustizia e di libertà. Purtroppo la resistenza ideologica del partito bolscevico che governa l’URSS al mantenimento di fiduciosi rapporti con il resto del mondo rende difficile lo scambio delle idee e le intese. Di fronte a tale resistenza, lo stesso piano ERP ha dovuto arrestarsi come se una improvvisa frattura fosse venuta a staccare l’Oriente dall’Occidente. Si spiega così come l’Occidente senta il bisogno di una certa unità per essere sicuro innanzi alle incognite dell’avvenire. Occorre accentuare il carattere difensivo di questa unione e, pur sviluppando il criterio della difesa, non desistere dal ricercare l’accordo, ricordando sempre che ciò che conferisce valore agli accordi e agli schieramenti è lo spirito con il quale si attuano. Questo deve essere spirito sincero di pace, e ad alimentarlo sono chiamati, in particolar modo, i cattolici con la loro coscienza universalista, che abbraccia tutti i popoli e tutte le fedi. |
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| (Applausi – Segni di viva attenzione). Onorevoli senatori, il numero dei discorsi è stato assai grande, le cose dette notevoli e molteplici, quasi che si stesse per dare al governo una delega di pieni poteri e non ci si rivedesse più. Invece il governo rimane in presenza del Parlamento giorno per giorno, ne accetta, come è suo dovere, il controllo e le direttive, e invoca il suo appoggio a mano a mano che propone leggi e provvedimenti. Dico questo per scusarmi se, dovendo rispondere in breve ora, sarò incompleto e riserverò la precisazione dell’atteggiamento concreto del governo nelle discussioni dei provvedimenti, di volta in volta che essi vi saranno presentati. Non so se si tratta di una questione personale, ma forse credo di averne una con l’ex presidente dell’Assemblea costituente. L’onorevole Terracini ha espresso il suo rammarico, direi quasi il suo risentimento, perché io qui non ho discusso con lui le sue obiezioni circa la cosiddetta incostituzionalità del gabinetto, della sua formazione e del giuramento dei ministri. Onorevole Terracini, io non so di aver mai mancato nel doveroso rispetto verso la sua persona, specie nel periodo in cui ella esercitava così alte funzioni; né intendevo mancarvi ieri, come non intendo mancarvi oggi. Però, per me era chiaro che avevo agito in buona coscienza e tenuto conto di tutti i pareri dei consiglieri giuridici che in questo caso potevano avere una specifica competenza. Ma potevo io sperare di convincere l’onorevole Terracini, il quale nei giorni immediatamente precedenti la convocazione del Parlamento, ha espresso per me, in un articolo firmato col suo nome e cognome , un senso di sorridente pietà, chiamandomi furbone, per il quale la Costituzione non esiste, e qualificandomi «un grande rigattiere, che tutto sottomette al servizio delle sue alchimie e delle altrui ambizioni scervellate»? Che volete che facessi innanzi a questa condanna così precisa e sicura? Non mi restava altro che rimettermi alle decisioni del Parlamento. Tutte e due le Camere hanno deciso e mi pare che sia un po’ anacronistico il tornare sull’argomento. Verrà una legge organica sull’organizzazione della Presidenza del Consiglio, sul numero e sulle attribuzioni dei ministeri, come prevede la Costituzione, e sulla formula del giuramento. Questa legge darà l’occasione di completare quel che la Costituzione non ha precisato. Se il Parlamento prenderà degli atteggiamenti, delle decisioni a cui non corrisponde la presente formazione del gabinetto, sarà nostro dovere di adattarvisi. Ma io credo che l’onorevole Terracini esageri a chieder per sé un’autorità così indiscussa e, direi, una competenza morale, quando si tratta di costituzionalità in una Repubblica parlamentare. Egli ha fatto osservare nel suo discorso che non si è voluto dire «Repubblica parlamentare»; ma si è detto «democratica» ed ha dato a questa aggettivazione una interpretazione che mi pare molto pericolosa. Egli dice che nella Repubblica democratica non tutto si fa nell’ambito del Parlamento, ma l’azione politica si muove anche al di fuori, e questo è ovvio. Ha soggiunto, esemplificando, che nei secoli vi sono state varie forme di questa attività esterna al Parlamento: i salotti, i clubs, i banchetti eccetera, ed oggi, dice, vi sono i Comitati d’azione. E perché – si domanda – De Gasperi si è allarmato dei comitati d’azione? Onorevole Terracini, ho bisogno di spiegare perché mi allarmo. Non è semplicemente dei comitati d’azione che posso allarmarmi, ma del fatto che a questi Comitati si voglia attribuire un significato istituzionale, nella Repubblica e nella democrazia. Ho citato altre volte le parole pronunziate dall’onorevole Sereni al Congresso del Partito comunista , né ho visto, dalla relazione di quel Congresso, che tali parole siano state controbattute o smentite. Diceva l’onorevole Sereni: «oggi la necessità di organizzare questo potere popolare si pone ormai veramente per tutti i lavoratori; un potere popolare che si fondi su un vasto movimento organizzativo delle masse e che attacchi le forme strutturali, i monopoli delle vecchie caste. Queste forme nuove di lotta possono essere riassunte nella esigenza di non muover più le masse soltanto sul terreno rivendicativo, ma far sì che si passi alla realizzazione di veri e propri atti di governo, cioè si risolvano nella nazione determinati problemi». Se tutto finisse qui, se si trattasse di una affermazione teoretica-dottrinale, si potrebbe discutere. Ma quando mi si accusa del discorso di Arezzo (e non era del resto la prima volta che mi riferivo ai comitati d’azione), si dimentica di aggiungere (forse ne hanno colpa i sunti delle agenzie) che io alludevo ad esempio ai comitati d’azione in Cecoslovacchia. E proprio in quei giorni veniva riprodotta la notizia che il nuovo presidente del Consiglio di quel paese aveva mantenuto e dichiarato costituiti i comitati d’azione come organi ufficiali; quei comitati di azione la cui azione di massa aveva portato alla crisi e alla soluzione della crisi. Ed allora forse noi esageriamo, onorevole Terracini, nella preoccupazione, ma abbiamo un triste esempio: noi ci ricordiamo come sono sorte le milizie e le organizzazioni del partito fascista dentro la democrazia ed il sistema parlamentare, e stiamo molto guardinghi contro questi tentativi. Io credo sia dovere del governo, di ogni uomo di governo, di richiamare l’attenzione sopra questo pericolo, poiché, quando avvenisse (quello che ha detto l’onorevole Togliatti) che il Partito comunista ove credesse arrivato il momento di un atto insurrezionale, lo direbbe apertamente, sarebbe tardi perché allora noi ci troveremmo dinanzi ad un fatto compiuto, come quel giorno in cui i quadrumviri dichiararono di aver proclamato lo Stato fascista. Anche l’onorevole Conti sembra si sia allarmato non so per quale punto del mio discorso di Arezzo, quasi volessi mettermi al di sopra del Parlamento. Allora è bene, poiché siamo appena agli inizi, di ripetere che cosa ho detto e che cosa intendo io per partecipazione dell’opinione pubblica all’attività del Parlamento. Ho detto questo: «è divenuto uso appellarsi alle masse ed alle agitazioni popolari anche contro il Parlamento e l’opera dei deputati e senatori. Noi siamo contro questo abuso e specialmente contro il potere dato ai comitati di azione o periferici di controllare il Parlamento, il che pare avvenga in altri Stati (ho indicato apertamente la Cecoslovacchia). Il carattere rappresentativo suppone bensì un certo controllo del mandato, ma il mandato è operante fino alla fiducia rinnovata o respinta. Tuttavia poiché si porta la questione innanzi alle masse, noi abbiamo anche il dovere di informare l’elettore circa l’attività del Parlamento e circa l’esercizio del mandato parlamentare. Oggi il popolo deve farsi un giudizio non solo intorno a quello che riguarda il governo, ma anche intorno a ciò che riguarda il Parlamento nel suo complesso. Il governo è l’esecutivo, ma il Parlamento ha la responsabilità della legge e questa responsabilità riguarda tanto il contegno della maggioranza che quello dell’opposizione. Il pubblico deve giudicare, non solo quello che propone il governo e la maggioranza delibera, ma anche ciò che l’opposizione tralascia o impedisce di fare». Mi pare di non essere stato eterodosso in confronto all’attività del Parlamento. Ma se c’è bisogno di fare una dichiarazione, almeno per quanto riguarda le mie inclinazioni personali (che l’onorevole Conti ha ritenuto non necessaria), riconfermo che se c’è qualcosa dopo la mia fede religiosa a cui sono attaccato, è il senso della democrazia. Avete frugato nella mia vita, sono stato oggetto di molti attacchi, di accuse e di falsità, ma non troverete mai che io non sia stato amante della libertà parlamentare, nella quale ho creduto e credo ancora, non perché sia convinto che abbiamo trovato la perfezione del sistema rappresentativo di oggi, ma perché credo che il sistema rappresentativo si correggerà da sé. Anche se oggi perdiamo talvolta del tempo e facciamo discussioni non sempre necessarie, saremo in grado di correggerci man mano e di fare del Parlamento uno strumento dei cui componenti il popolo possa dire «questi sono i migliori, sono quelli che lavorano disinteressatamente per il bene del popolo». Sono anche, e devo dirlo espressamente, intimamente convinto che la democrazia repubblicana è la migliore forma che esista, se gli uomini sanno fare il loro dovere ed hanno contemporaneamente e anzitutto il senso della responsabilità. Repubblica vuol dire aumento del senso di responsabilità e se noi il senso di responsabilità lo svilupperemo, allora garantiremo a questa forma una funzione permanente e da tutti favorevolmente accettata. Durante la discussione, gli onorevoli Terracini e Scoccimarro hanno cercato di creare un certo alibi elettorale. Non che quelle cose che dicevano fossero del tutto infondate, non che non avessero delle ragioni, dal loro punto di vista, di essere preoccupati, ma che il fulcro della campagna elettorale d’Italia siano stati i rapporti tra Stato e Chiesa, che il pericolo sia là, che il popolo italiano abbia votato così e non diversamente per questa ragione, con riguardo a questa questione, ciò è antistorico e mi meraviglio che uomini educati alla concezione storica dialettica possano affermarlo. (Vivi applausi). Si è fatto cenno dall’onorevole Lussu alla posizione presa da me all’Assemblea costituente durante la discussione dell’articolo 7. Ora ho voluto rivedere le mie dichiarazioni di quella volta, che fu – mi pare – l’unica volta in cui io, abbandonando il banco del governo, presi la parola dal mio settore. Ho riletto quella dichiarazione e mi pare, leggendola bene, che sia una dichiarazione di un credente, sì, ma anche di un uomo positivo e liberale, poiché nella prima parte, distinguendo fra il punto di vista dei credenti e gli altrui punti di vista, ho detto che l’accordo con la Chiesa si può legittimare o da un punto di vista interno, di vincolo di fede, e quindi con un’adesione interiore completa, oppure da un punto di vista esteriore, in quanto coloro che pur arrestandosi sulla soglia dei misteri della fede si preoccupano della morale sociale, ritengono sufficiente tale preoccupazione per autorizzare un accordo e una collaborazione tra Stato e Chiesa. Ho detto ancora: anche per coloro, i quali non intendono ammettere che il Cristianesimo nella sua forma ufficiale organizzata nella Chiesa Cattolica possa fornire il presidio di una morale sociale alla vita pubblica, rimane la situazione storica. Senza dubbio io penso che si debba essere liberali fino al punto da ammettere che nessuna legge e nessun provvedimento possa toccare la libertà di coscienza di chicchessia in quanto cittadino italiano per ciò che riguarda le sue convinzioni religiose o culturali. Quale uomo politico può in Italia negare che, almeno secondo le statistiche del 1942, su 45 milioni 526 mila italiani, 45.349.000 si sono dichiarati cattolici? Potrà darsi che vi siano esagerazioni, che in realtà qualche parte di essi non si possa inserire nettamente o logicamente in questa categoria: ammettiamolo pure, ma non potete negare quello che ha detto l’onorevole Gonzales (lo aveva detto anche l’onorevole Lussu e prima ancora lo aveva detto il senatore Croce) e cioè che noi viviamo nel secolare sviluppo del cristianesimo. D’altro canto vi sono i concordati. Dal 1080 al 1914 si stipularono 74 concordati e dal 1914 in poi 25, fatti sotto Pio XI . Si nota in questi concordati una evoluzione caratteristica: essi subiscono un progresso verso il distacco da tutto ciò che è contingente e temporale. E allora soggiungevo: «è innegabile che in questa evoluzione sta un progresso verso una più chiara distinzione della sfera di influenza della Chiesa nei confronti dello Stato e verso il riconoscimento di una diarchia che garantisce la volontà e la libertà delle due parti». E tralascio di continuare la citazione. Si è detto – in modo particolare lo ha detto il senatore Lussu – che io sarei quasi intervenuto per dire che l’approvazione dell’articolo 7 costituiva condizione perché la Repubblica stesse in piedi o perché la Repubblica si consolidasse. La verità è che io, che in momenti decisivi avevo assunte responsabilità repubblicane, facevo appello perché non si negasse al consolidamento della Repubblica l’apporto del Concordato. Era una condizione? No. Io vi confesserò che, se da una parte devo riconoscere che i trattati lateranensi e i concordati sono vincolati l’uno all’altro per volontà dei contraenti e che a decidere sopra questi trattati, sulla loro permanenza o modificazione sono chiamati i rappresentanti della Chiesa e dello Stato, io personalmente penso che quello di cui la Chiesa ha bisogno soprattutto è la libertà. Ho accennato in quel discorso all’esempio di Weimar, vi ho accennato per qualche ragione che si riferisce appunto a questo principio; quindi io penso che l’allarme circa le possibilità di questi rapporti e dei loro sviluppi, il pericolo che l’onorevole Terracini, con espressioni del resto molto cortesi, vede nella mia fede, quando fossi chiamato a decidere fra il divino e l’umano, questo pericolo non esiste. Io penso che se il 18 aprile le elezioni non fossero andate come sono andate e avessimo un Fronte popolare al governo, oggi certamente l’onorevole Terracini sarebbe più preoccupato di quel che è stato detto nel famoso comunicato del Cominform, là dove si condanna «una linea sbagliata che costituisce un abbandono della dottrina e della prassi marxista-leninista» . Se una simile condanna fosse potuta sopravvenire contro di lui, non so se si sarebbe trovato così libero, come mi trovo io dinanzi alla questione dei rapporti con la Chiesa. Certo, onorevoli colleghi dell’estrema, voi con la Russia non avete nessun concordato, quindi apparentemente siete liberi di comportarvi come credete; ma io ho letto un articolo dell’onorevole Secchia, interprete autorizzato, mi pare, delle decisioni del Cominform, in cui è detto: «gli interessi dell’Unione Sovietica sono assolutamente identici a quelli dei lavoratori di tutti i paesi. Non si può fare il socialismo se non ci si schiera coi fatti e decisamente contro i nemici dell’Unione Sovietica» . Mi pare che qui esista un concordato molto più pericoloso di quello con la Chiesa. Avevo smentito alla Camera di sapere qualcosa dei famosi 4 milioni di dollari e speravo che i colleghi comunisti non avrebbero insistito in questa fandonia: 4 milioni di dollari non scompaiono subito, se ne vedrebbero i segni. Il senatore Scoccimarro è ritornato sull’argomento. scocciMarro. E i manifesti? De Gasperi. Ce li siamo pagati da noi: limitiamoci a pagare ognuno i propri debiti. Il senatore Scoccimarro nel suo discorso pronunciato al Senato il 24 giugno dichiarò che un senatore americano aveva chiesto al presidente della commissione degli stanziamenti per il Piano Marshall come fossero stati spesi 4 milioni di dollari indicati sotto il titolo «per le elezioni italiane». Il presidente di quella commissione, senatore Bridges, rispose: «non sono autorizzato a rivelare questi particolari». Visto che l’onorevole Scoccimarro insiste, abbiamo dovuto telegrafare in America, chiedendo che ci spiegassero quando è avvenuto tutto questo. Ed ecco i fatti. Risulta che il senatore Styles Bridges pronunciò queste parole il 21 aprile, rispondendo ad un quesito postogli da un giornalista; e tutti sapevano che la domanda del giornalista era in relazione a progetti, non mai approvati dal Congresso, per un cosiddetto piano X, destinato a incoraggiare le forze anticomuniste nei paesi dell’orbita sovietica. (Ilarità). La risposta del senatore Styles Bridges si riferisce dunque a tale presunto piano e niente affatto ad una pretesa sua applicazione in connessione con le elezioni italiane. Del resto, anche l’esistenza di un tale progetto, del piano X, e la presunta spesa per le elezioni italiane, furono lo stesso giorno categoricamente smentite dal facente funzione di segretario di Stato Lovett , in una sua conferenza stampa. scocciMarro. Lo dice lei. De Gasperi. Lo so, la verità si trova tutta dalla vostra parte! Se manca la buona fede, è inutile discorrere. Quanto all’affermazione del senatore Scoccimarro, che la stampa americana avrebbe commentato la dichiarazione del senatore Bridges, mi sono un po’ meravigliato, perché io non ho mai visto queste notizie sui giornali americani. Nel nostro paese, qualche agenzia riportava la notizia e la riportava anche qualche giornale della vostra parte. Ho saputo che in America la notizia venne posta in rilievo solo dal quotidiano comunista di New York, il Daily Worker, del 22 giugno. Detto giornale aveva già pubblicato il 19 aprile una lunga corrispondenza romana molto ottimistica circa i risultati che i comunisti avevano ottenuto in regolarissime elezioni. È evidente che, più tardi, bisognava trovare una scusa per dimostrare che queste regolarissime elezioni erano state oggetto di corruzione: ed ecco come si è gonfiata la notizia del giornale Daily Worker. Non insistete quindi su questo argomento, perché commettereste una mancanza contro il prestigio e l’onore del popolo italiano, senza aver la minima prova di quanto affermate. È meglio che diciamo che il popolo italiano, come è vero, ha deciso in piena libertà di coscienza su problemi che riguardano il paese. (Applausi). Signori senatori, ma è possibile, a tanta distanza dalle elezioni, è possibile per un partito che si vanta soprattutto di applicare a se stesso la critica ed il sistema dell’autocritica, continuare a ritenere che l’accorrere alle elezioni di 130 mila fra preti e suore, in Italia, abbia prodotto questo rivolgimento che è venuto così improvviso per le vostre speranze? È possibile che non abbiate capito che la questione fondamentale è proprio quella che io ed i miei colleghi abbiamo posto in tutte le piazze: che il popolo italiano non crede e non vuol fare l’esperienza del sistema bolscevico del governo? (Vivi applausi al centro e a destra). Io ammetto che parecchi di coloro i quali hanno votato per le liste dei partiti che stanno al governo, a cominciare dalla Democrazia cristiana, non avranno votato per ragioni positive di adesione al programma della Democrazia cristiana o degli altri partiti; ma, ditemi, quando non avviene questo? In tutte le elezioni avviene qualche cosa di simile, soprattutto quando ci sono le grandi ore. Il popolo vota secondo un certo senso di coscienza ed un criterio di buon senso e decide tra le due parti con un sì o con un no. Io credo, onorevoli colleghi, che l’efficacia di queste misure canoniche (sulle quali, comunque, non ho notizie esatte) sia stata molto limitata, ed è stata limitata evidentemente solo a quelle persone che sono fortemente aderenti alle pratiche della Chiesa. La maggioranza di voi, credo che sarà stata esente da questo pericolo. D’altro canto, le misure canoniche, ossia le disposizioni, chiamiamole così, autoritarie di un corpo morale, spaventano meno della decisione di chi, dietro questo corpo morale, tiene il braccio secolare. (Interruzioni dai banchi di sinistra). Onorevoli colleghi, amici ed avversari, non sto scherzando; dico la mia profonda convinzione, come uno che ha impostato questa battaglia e l’ha seguita con tutte le forze. La mia profonda convinzione è che è stata una battaglia fondata su motivi altissimi, che hanno superato perfino la situazione economica; perché non ricordo mai di non avere ammesso nelle discussioni e nei comizi che il governo aveva commesso degli errori, che alcuni aveva riparato ed alcuni altri si impegnava a riparare; che l’insufficienza di mezzi economici e di beni disponibili era tale che non avevamo potuto dare al popolo quella giustizia che meritava; che eravamo in passivo ancora verso tutti i creditori che la guerra presenta; che non avevamo potuto, dopo un’amministrazione di 20 anni, qual era quella passata, e il disastro della guerra, acquistare dei meriti di carattere economico per chiedere il voto: il voto è stato chiesto al disinteresse delle masse e non all’interesse delle masse stesse. (Applausi dai banchi di destra e di centro). L’onorevole Scoccimarro si è preoccupato di spiegare l’atteggiamento della Russia dinanzi al Piano Marshall e ci ha citato il discorso di Molotov alla Conferenza di Parigi . Egli ha detto (secondo questa citazione e con altri argomenti) quali siano state le ragioni per cui la Russia non ha aderito. Io dico all’onorevole Scoccimarro che, comunque la cosa sia avvenuta, noi non c’eravamo, e non avevamo colpa, nel primo stadio. Noi abbiamo accettato per nostro conto, non abbiamo fatto nulla perché anche le potenze orientali non partecipassero; non solo: abbiamo chiaramente detto che ci auguriamo che lo facciano. Ma voglio riferire dei documenti ufficiali che danno la versione precisa delle ragioni della Russia e delle ragioni dell’Italia: è lo scambio di note avvenuto in luglio fra la nostra diplomazia e quella russa. L’Ambasciata sovietica in Roma fece conoscere a palazzo Chigi con nota verbale 5 luglio redatta in lingua italiana quanto segue: «Il governo sovietico fin dal principio aveva atteggiamento di poca fiducia verso questa iniziativa sia perché ancora prima dell’inizio del consiglio gli inglesi e i francesi si erano messi d’accordo circa le condizioni della discussione con gli Stati Uniti dietro le spalle dell’URSS, sia perché nella dichiarazione di Marshall non erano state esposte né le condizioni, né le dimensioni del credito, né infine, la realtà dello stesso credito». È detto testualmente così. «Tuttavia, prosegue il documento, il governo sovietico ha mandato la sua delegazione a questo consiglio per chiarire l’atmosfera, chiarire le condizioni, le dimensioni e la realtà del credito e quindi prendere su questa base una posizione determinante. Il lavoro del Consiglio dei tre ministri, che è durato sei giorni, ha dimostrato che finora gli Stati Uniti non danno notizie di nessun genere relative né alle condizioni del credito, né alle sue dimensioni, né alla sua realtà e intanto rimane ignoto se il Congresso concederà un simile credito e a quali condizioni. Invece gli Stati Uniti hanno preteso che sia fondato un comitato direttivo che possa compilare il programma economico per i paesi europei, definire le risorse di ogni Stato le quali potessero essere utilizzate per effettuare questo programma insieme con quelle risorse che saranno concesse dagli Stati Uniti. La delegazione dell’URSS ha visto in questa pretesa il desiderio di una ingerenza negli affari interni degli Stati europei, il desiderio di costringerli ad accettare un programma, di rendere loro più difficile di smerciare le loro abbondanze, là dove vorranno e in tal modo mettere l’economia di questi paesi in dipendenza degli interessi degli Stati Uniti. È comprensibile che la delegazione dell’URSS non abbia potuto dare il suo consenso a questa pretesa. La delegazione dell’URSS crede che bisognerebbe anzitutto chiarire la realtà del credito, le sue condizioni e dimensioni, quindi chiarire ai paesi europei quali siano i loro bisogni di credito e infine compilare un programma sintetico delle loro richieste che dovrebbero, per quanto possibile, essere soddisfatte in conto dei crediti degli Stati Uniti. Con una simile procedura i paesi europei rimarrebbero padroni della loro economia e disporrebbero liberamente delle proprie risorse e delle loro abbondanze. Data una così seria divergenza – sono parole del documento – fra la posizione anglo-francese e quella sovietica, l’accordo è risultato impossibile». Vi lascio giudicare se, almeno in questa esposizione procedurale, la divergenza fosse e dovesse essere così seria in quel momento, da impedire la cooperazione. Comunque il Ministero degli Affari Esteri italiano rispose con nota verbale in data 12 luglio del 1947 , nota che contiene tutti gli elementi atti ad illustrare le ragioni che hanno determinato il governo italiano in favore della iniziativa americana, nota verbale indirizzata all’ambasciata sovietica in Roma. In questo documento è detto: «come è noto, l’Italia negli scorsi anni ha beneficiato in misura considerevole dell’assistenza che sotto varie forme le è pervenuta dagli Stati Uniti, assistenza che ha permesso al popolo italiano di sopravvivere alle conseguenze di una guerra guerreggiata sul proprio paese, con conseguente distruzione di una parte rilevante delle sue capacità produttive. Di questa assistenza l’Italia continua ad avere necessità anche per l’avvenire ed in misura maggiore che per il passato, poiché invece di diminuire, ha visto aumentare anno per anno i suoi passivi di emergenza. Il governo americano aspira, per il bene della popolazione italiana come per quello dei paesi europei, al risanamento della sua economia. Tale era il suggerimento contenuto nelle dichiarazioni del generale Marshall. Il governo ha visto in esso fin dal primo momento, un invito a tutti i paesi europei di coordinare i propri sforzi per diminuire il generale passivo di emergenza del continente europeo, così che il massimo possibile beneficio potesse venir ricavato da un’ulteriore assistenza che gli Stati Uniti intendono dare all’Europa in termini di effettiva ricostruzione dell’economia dei vari paesi. Tale suggerimento è apparso al governo italiano non solo giustificato dai sacrifici che il popolo americano sarà chiamato ad affrontare per sostenere il programma ricostruttivo europeo, ma risponde a quell’antica tradizione di pensiero italiano che vede la soluzione migliore dei problemi italiani nel quadro della collaborazione e della reciproca comprensione internazionale. È questo lo spirito con cui il governo italiano ha accettato l’invito dei governi britannico e francese a prendere parte alla creazione del complesso organizzativo al quale dovrebbe essere affidato il compito di tradurre in pratica il programma di ricostruzione europea; e il suo atteggiamento, già preannunziato nelle comunicazioni che al riguardo sono state fatte ai governi predetti, rimane fondato sulla convinzione che alla ricostruzione del continente debbano poter partecipare tutti i paesi che del continente fanno parte. Di qui la necessità che la partecipazione all’organismo di cui si prepara la costituzione implichi la libertà per l’Italia di integrare il lavoro che sarà svolto a Parigi con quegli accordi ed interessi che rispondano agli interessi italiani e con l’auspicio, infine, che la partecipazione a quello che potrà essere deciso alla Conferenza di Parigi rimanga in qualsiasi momento aperta alla adesione anche di tutti quegli Stati che non dovessero, in un primo momento, partecipare». Un atteggiamento onesto, chiaro, ragionevole. Quando di questo atteggiamento si ebbe sentore con la pubblicazione della stampa, io ritenevo e credevo che tutti i partiti, compreso il Partito comunista, avrebbero lasciato cadere la pregiudiziale contro il Piano Marshall. Invece non fu così. Oggi il senatore Scoccimarro dice: la posizione dei comunisti resta quella che è sempre stata e cioè accettare gli aiuti da qualunque parte vengano, combattere però quegli aiuti che per il modo come sono stati offerti ostacolano lo sviluppo economico futuro dell’Italia. Magari avesse detto soltanto questo; sarebbe stata buona ventura per voi. scocciMarro. L’abbiamo sempre detto. De Gasperi. No, voi avete preso un atteggiamento negativo fin dal principio e avete accettato l’ordine di Ždanov di dare scacco al Piano Marshall. (Proteste, rumori sui banchi di sinistra e di destra, scambio di invettive). scocciMarro. È una menzogna e lo dimostrerò con documenti sulla pubblica stampa. (Proteste e rumori). De Gasperi. Se voi aveste veramente avuto un atteggiamento diverso, cioè un atteggiamento di possibilità sul come e sul quanto di detto piano, non si sarebbe potuta tirare una linea così netta fra i partiti che erano pregiudizialmente favorevoli alla conferenza di Parigi e quelli che erano contrari. Più tardi ci siamo ricreduti. No, egregi colleghi, le mie informazioni non vengono dalla Confindustria ma sono mie originali, tanto originali che mi pare addirittura che il documento pubblicato giorni fa sia la continuazione delle prime informazioni che avevo io. Mi si permetterà, dopo detto questo, di non entrare nel dettaglio della discussione sull’ERP. C’è la convenzione che arriverà al Senato fra poco e che formerà oggetto della vostra discussione; sarà più facile in quel momento discutere in base al progetto della convenzione stessa. Ad ogni modo, a proposito dell’argomentazione alquanto forte delle proposte del convegno di Bruxelles , prego il senatore Scoccimarro di prender atto che si tratta solo di proposte, contro le quali l’Italia ha fatto notevoli obiezioni. scocciMarro. Mi auguro che non vengano accettate. De Gasperi. Onorevole Gasparotto , ella ha sentito la necessità di spronarmi a fare delle dichiarazioni circa l’articolo 46, cioè circa i consigli di gestione. Evidentemente non aveva avuto notizia che nella replica alla Camera avevo spiegato benissimo che si trattava di un errore: articolo 40 invece di articolo 46. Ad ogni modo colgo l’occasione per dire che non ho nulla contro i consigli di gestione; si tratta di vedere come debbono essere formati, di studiare le loro competenze e le loro responsabilità. Ho detto altra volta in termini generici che bisogna che pregiudizialmente siano organi di collaborazione, pur rappresentando gli interessi degli operai e del lavoro, se vogliamo uscire dal disastro attuale. Ma studieremo la questione al lume degli articoli. Aggiungo ancora all’onorevole Gasparotto che non abbiamo alcuna pregiudiziale contro alcuna nazionalizzazione. Naturalmente ne abbiamo parecchie, alcune ben fatte altre mal fatte, alcune dirette altre indirette, che non sono nazionalizzazioni, ma che purtroppo ci portano solo le conseguenze passive della nazionalizzazione. Si tratta di vedere caso per caso, di elaborare quella situazione economica migliore che possa rappresentare, nell’interesse del paese, un progresso verso la partecipazione degli operai alla conduzione delle industrie. Riguardo alla proprietà agricola, ripeto qui quello che ho detto alla Camera: non si tratta semplicemente di bonifica, ma si tratta di limiti della proprietà e quindi di riforma fondiaria. Su questo non si possono lasciar dubbi. So che ci sono delle preoccupazioni riguardo alla produzione: la produzione sta a cuore anche a noi. Però siamo giunti ad un momento in cui la riforma si deve fare. (Applausi). Certo non potete pretendere che si presenti il progetto entro otto giorni; si studierà e si presenterà un progetto concreto, il quale resista alle critiche dell’opposizione; critiche che, ad ogni modo, se mosse da intendimenti seri, potrebbero essere molto utili. Ma soprattutto la riforma deve essere attuabile; non possiamo fare un decreto che poi non sia applicato o che pur essendo applicato, lasci i contadini con un pugno di mosche in mano: perciò dobbiamo finanziare la riforma. A questo proposito io spero che gli interessi del Mezzogiorno e l’utilizzazione del Piano Marshall si fondino in un’unica esigenza, alla quale aderiranno volentieri anche gli uomini del nord. All’onorevole Conti rispondo che il ministro Grassi sta preparando, e spera di presentare in ottobre, il progetto di legge riguardante l’intera organizzazione giudiziaria e non solo il Consiglio superiore della magistratura, per il quale l’onorevole Veroni aveva chiesto la precedenza. All’onorevole Gonzales debbo dire che il suo discorso è stato perfetto, non solo nella forma, ma anche nella delicatezza e nella precisione del pensiero. Lo ringrazio soprattutto di aver posto a base della collaborazione il senso di responsabilità del governo, responsabilità di fronte agli interessi del paese, responsabilità per gli impegni verso una Repubblica fondata sul lavoro. Questa è una notevolissima affermazione: non è interesse di partito, non è speculazione di partito, è senso di responsabilità di fronte al nostro popolo. Naturalmente la collaborazione va intesa inter pares, con reciproco impegno di lealtà e di amichevole appoggio dentro ed anche fuori del Parlamento, salvo la libertà di critica, in quanto possa essere interpretata come critica costruttiva di cooperazione. Accetto in modo particolare che i suoi amici esercitino la funzione di testimoniare, di fronte ai loro elettori, che nello sforzo del governo si sia andati fino ai limiti della possibilità per realizzare quelle riforme, quei provvedimenti che stanno a cuore a tutti. E se qualcuno od alcuni di essi non si sono potuti attuare, è dipeso solo dal fatto che per il momento ci si è dovuti fermare dinanzi ad ostacoli superiori alle nostre forze e alle disponibilità dei beni che esistono in Italia. Niente altro abbiamo diritto di chiedere noi, partito più numeroso della maggioranza. Nient’altro hanno diritto di chiedere gli altri gruppi che appartengono alla maggioranza. Essi possono dire e reciprocamente attestare, dinanzi al Parlamento ed al paese, che si è fatto quello che umanamente si poteva fare. Ha ragione Gonzales: guai ai riformatori che non tengono conto dei limiti delle cose. Accetto anche il consiglio che i democratici cristiani debbano guardarsi perfino dalla sola apparenza di abusare di poteri civili: ma non gioverà molto, onorevoli colleghi. Io sono stato un democratico fino al giorno della coabitazione col partito estremo: quando mi sono separato, sono diventato subito governo nero. L’anticlericalismo, è vero, spesso non vive che in ragione del clericalismo, cioè di una mancata distinzione fra cielo e terra. Talvolta però (e nella storia ce ne sono molti esempi; ed anche oggi ve ne sono) sorgono ostilità pregiudiziali a quel riconoscimento che ella, onorevole Gonzales, ha fatto, che la nostra secolare vita è una vita cristiana. Occorre l’etica della responsabilità che è il vero elemento di progresso in una democrazia ed in una Repubblica. Responsabilità, avete detto bene, di fronte al Parlamento prima, di fronte al paese e di fronte al partito poi e, avete detto esattamente, anche di fronte a coloro che non hanno tessera. Ringrazio anche l’onorevole Parri di aver fissato come regola della sua collaborazione la lealtà politica: essa verrà corrisposta con la stessa lealtà. Ritengo che le informazioni che hanno influito sul discorso di padre Lombardi, di cui non conosco il testo , (rumori a sinistra), siano comunque molto esagerate e infondate. Ho trovato infatti, come accennava l’onorevole Parri, una inchiesta del 1945 promossa da lui stesso quando era presidente del Consiglio , inchiesta rimasta, come ho visto dagli atti, incompleta, per quanto, anche se tutte le risposte fossero arrivate dalle prefetture, difficilmente in quel momento si sarebbe raggiunta la completezza. Non so se sia il caso di completarla per quella certa odiosa contabilità cui si riferisce. Però siccome ricordiamo che nella storia ripetere una cifra inesatta diventa terribilmente pericoloso, sarà bene che il governo cerchi, e tutti quelli che lo possono fare collaborino a questa ricerca, per fissare i termini, non per riaprire ma per chiudere la partita e chiuderla in archivio, per riprenderla quando domani sorgesse di nuovo un’accusa di tale genere. Sull’atteggiamento del governo non vi può essere dubbio. Alla Camera ho già detto che la spirale della vendetta deve essere spezzata. Torno oggi a ripetere, sia all’onorevole Parri sia all’onorevole Bencivenga , che le larghe amnistie che il governo precedente ha concesso, amnistie connesse alla lotta di liberazione, stanno a dimostrare che non è intenzione del governo riaprire ai fini giudiziari questo doloroso capitolo della storia nazionale. D’altro canto tutto ciò non ha nulla a che vedere con le esigenze di giustizia, che possono riguardare i delitti comuni compiuti da falsi partigiani durante e dopo la lotta di liberazione e che non hanno nessun rapporto con questa lotta. L’onorevole Parri ha auspicato un governo stabile e per questo ci chiede un programma di lunga lena. Credo che saremo in grado di esporlo alla luce di alcuni progetti con cui risolveremo e affronteremo i problemi della nostra vita economica. Oggi per forza di cose dobbiamo rimanere in termini generici. Sui problemi di ordine finanziario, tanto l’onorevole Parri come gli onorevoli Ruini , Scoccimarro e Nitti , si sono intrattenuti particolarmente. Parecchie delle loro eccezioni e delle loro preoccupazioni avevano trovato ampia risposta nell’esposizione finanziaria fatta nell’altro ramo del Parlamento dal ministro del Tesoro. Non venne qui ripetuta questa relazione, per non gravare maggiormente il già pesante calendario del Senato. Mi limiterò a brevi osservazioni. La politica della riorganizzazione delle amministrazioni statali e parastatali e di quelle locali, comunali e provinciali, è nel programma del governo, come già affermai nelle mie comunicazioni di un mese fa, programma diretto a migliorare il riordinamento dei servizi e a diminuire il costo globale dei servizi stessi: il lavoro richiederà non breve tempo, ma dovrà essere una buona volta affrontato e risolto. È stato nuovamente sottolineato il problema del credito, sia sotto il profilo del costo del denaro, sia sotto quello di una eventuale concorrenza tra tesoreria ed impresa privata nell’accaparrarsi il risparmio. Ripeto ancora una volta che non è in atto alcuna forma di costrizione, diretta o indiretta che comporti l’afflusso del risparmio in prevalenza verso il tesoro, né mai potrebbe essere nell’intenzione del governo di adottare una politica di depauperamento delle imprese private in ordine alle difficoltà finanziarie. È vero viceversa, e dobbiamo tutti augurarcelo, che le singole imprese possano aggiustare la loro gestione in modo da ispirare fiducia nel momento che chiedono i crediti. Nessuna politica potrà imporre agli istituti di credito, che hanno da anni larghe disponibilità, di finanziare imprese che considerano in perdita, salvo che con la garanzia dello Stato; salvo cioè ad addossare allo Stato, e quindi a tutta la collettività, le perdite delle imprese private, il che certo nessuno al Senato può chiedere. È purtroppo vero che il denaro presso le banche costa troppo, ma tale eccessivo costo è la diretta risultante delle spese di gestione veramente impressionanti che in misura mai conosciuta gravano soprattutto sulle piccole e medie banche che non le possono sopportare. Tale situazione, inoltre, è l’ostacolo principale a quei miglioramenti dei tassi sui depositi da più parti invocato e che costituiscono per le banche – mi si perdoni l’espressione – il costo della materia prima. Il Comitato interministeriale per il credito sta seguendo il problema con molta attenzione e prenderà provvedimenti. Autorevolmente l’onorevole Parri ha richiamato l’attenzione sulla necessità di non subordinare l’economia alle pubbliche finanze. L’ho detto anche io nelle mie dichiarazioni iniziali, lo ha affermato il ministro del Tesoro nella sua esposizione e lo ripeto qui. Il governo sa perfettamente che senza una prospera economia non vi è una salda finanza e che in tal senso deve essere affermata la priorità dell’economia. Ma disgraziato il paese in cui, teoricamente obbedendo a tale principio ma praticamente camminando sulla comoda linea di minore resistenza per servire, o credendo di servire, l’economia, si compromettesse per sempre l’equilibrio del bilancio e si galoppasse sulla strada dell’inflazione. Appunto per servire l’economia dobbiamo difendere a qualunque costo la moneta e la difenderemo in primo luogo diminuendo l’emissione di tesoreria e quella degli istituti di emissione, procedendo cioè sulla via del graduale assestamento del bilancio. Posso assicurare gli onorevoli Conti e Nitti che è davvero nostra ferma intenzione contenere le spese nei limiti del possibile. Noi però senza la cooperazione dei deputati e dei senatori, non riusciremo a far ciò ed è quindi netto e chiaro l’appello, o per meglio dire, la risposta all’appello che viene fatto. Si dice di fare economie; ed io chiedo ai colleghi di aiutarci a fare una cernita tra le spese assolutamente necessarie e quelle che sono utili e che – pur sempre necessarie – possono attendere qualche periodo di tempo per il consolidamento del bilancio. La politica rimane: né inflazione né deflazione ma stabilizzazione. Da alcuni mesi il processo di stabilizzazione dei prezzi si sta volgendo a un indice relativamente stabile. Consideriamo tale indice come espressione di una stabilizzazione di fatto che, se sarà confermata in futuro, costituirà praticamente quella definitiva stabilizzazione monetaria che tutti auspichiamo. Si è parlato da persona così autorevole come è l’onorevole Nitti – al quale devo molti suggerimenti e molti moniti che accetto perché vengono da uomo esperto e preoccupato soprattutto della situazione finanziaria – delle spese per il capo dello Stato. È già stata presentata una relazione alla Camera dei deputati: in questa relazione si propone una certa somma per le spese dell’amministrazione degli uffici della Casa – come si diceva una volta – e un’altra spesa, personale, per il presidente. La cifra che riguarda la spesa del presidente è rimasta non scritta ed è evidente perché sarebbe stato il presidente di persona che avrebbe dovuto autorizzare la presentazione. Voi sapete, del resto, che il governo precedente aveva fissato questa cifra e che l’onorevole De Nicola non l’accettò per il carattere provvisorio della sua carica. Vi sarà quindi ampia libertà per il Senato di discuterne: io non ritengo che la cifra di 250 milioni, in confronto degli 11 milioni del 1919, sia esagerata; credo anzi che sia molto inferiore al solito coefficiente che si usa in altre valutazioni. Comunque il Senato sarà completamente libero; libertà che è tanto più sicura in quanto sappiamo che, più rigidi saremo, tanto più corrisponderemo alle intenzioni nobilissime e disinteressate di chi oggi presiede la Repubblica. Dovrei dire qualche cosa delle proposte agrarie, anticipando un po’ sulla discussione degli ordini del giorno. Tanto per accennare ad alcuni punti di vista, ho già detto che la riforma fondiaria verrà fatta; così ho risposto al dubbio principale espresso dal senatore Grieco . Speriamo di non trovare difficoltà. Il senatore Grieco ha detto che non si può fare la riforma agraria e combattere il comunismo; io vi dico che è così, non si può fare la riforma agraria e rimanere fedeli alla tesi marxistaleninista. scocciMarro. Ma perché dice questo? De Gasperi. Voi intendete la creazione della piccola proprietà come un passaggio attraverso il quale poter ottenere quello che si è ottenuto in Russia, cioè l’adesione del piccolo per poi pareggiarlo al grande. li causi . Non si ingannano le classi sociali! De Gasperi. Il senatore Grieco ha ripresentato al Senato l’ordine del giorno del deputato Grifone alla Camera: gli stessi argomenti che ho esposto alla Camera valgono per lui. Il senatore Grieco ha inoltre aggiunto parecchie inesattezze, ha travisato la legge 24 febbraio 1948, affermando che i proprietari possono costituire società fra loro per sfruttare i benefici della legge . Le società cui il decreto dà facoltà di acquistare, trasformare e rivendere terreni lottizzati sono invece costituite, in base all’articolo 5, tra la Cassa depositi e prestiti e gli enti esercenti il credito, la assicurazione e la previdenza: non mi sembra quindi che ci sia speculazione di privati. Lo stesso senatore Grieco ha poi parlato di facilitazioni per l’imposta patrimoniale per i proprietari, ma nessuna disposizione del genere esiste nella legge. I concetti fondamentali del discorso dell’onorevole Grieco considerati nel suo ordine del giorno sono: 1) la limitazione della proprietà deve precedere la bonifica. Questo mi pare accettato, come appare dal discorso innanzi alla Camera e dalle mozioni approvate nel Congresso della Democrazia cristiana; 2) occorre dare stabilità ed equo compenso ai contadini. A questo proposito valgono più i fatti che non le parole. Mi limito quindi a citarvi i due disegni di legge sulla proroga dei contratti agrari e sull’estensione dell’equo trattamento; disegni di legge già presentati all’approvazione della Camera. L’onorevole Grieco ha segnalato il disegno di legge da lui presentato insieme con l’onorevole Bosi al Senato, relativo alla riforma dei contratti agrari: posso assicurargli che il governo presenterà su questa questione e sulla riforma agraria un proprio completo progetto di legge. Teniamo naturalmente presenti le raccomandazioni dei senatori Bertini, Pallastrelli e Canaletti Gaudenti . I loro discorsi, che ho letto in riassunto, mi sono sembrati molto utili ed apprezzabili. L’onorevole Bertini ha lamentato lo stato in cui si trova il credito agrario di miglioramento. Non ha torto: è già in corso il provvedimento per rimediare, nei limiti del possibile, a questa deficienza. L’onorevole Bertini ha lamentato poi anche l’abbandono della zona appenninica sinistrata dalla guerra. Questa affermazione è meno esatta, perché è in vigore una legge che consente contributi sino al 60 per cento per la ricostruzione degli impianti rurali e dei fabbricati danneggiati. L’Appennino è largamente compreso nella zona a cui è concesso il massimo contributo; gli stanziamenti più larghi sono stati fatti per le zone più danneggiate. Passerò ora ad esaminare gli ordini del giorno presentati, ma desidero dire prima una parola sul Mezzogiorno. Si è chiesta la creazione di un dicastero per il Mezzogiorno. Credo che il Parlamento non si troverebbe unanime se si presentasse un simile progetto, cioè se si volesse creare un organo di amministrazione attiva con la circoscrizione di una competenza designata: «Mezzogiorno ed isole». Se il Parlamento fosse d’accordo non sarei io a muovere delle obiezioni: però ritengo, dalle esperienze che abbiamo fatto, che il creare nuovi organi di amministrazione, soprattutto organi complessi, superministeri, implichi pericolo di scuotere la già abbastanza scossa amministrazione dello Stato e di aumentare il personale amministrativo. Voi sapete che soffriamo della pletora dei funzionari, non tanto dei funzionari direttivi, quanto della massa degli addetti. Voi avete visto dal bilancio quale è il peso dell’amministrazione. Io credo che basti l’autorità e la competenza del vicepresidente onorevole Porzio . Mi dicono: ma che competenza ha l’onorevole Porzio? Nessuna che sia maggiore o minore di quella che ho io. Forse che io ho un dicastero a disposizione ed un nucleo di impiegati che hanno una speciale mansione? Ora, per la parte di sollecitazione, per la parte d’informazione, per la parte di controllo nel Consiglio dei ministri, l’onorevole Porzio ha già dato opera utile e preziosa e molto più ci contiamo sull’avvenire. L’onorevole Porzio mi dice: ma i miliardi, quando ce li darete? L’onorevole Porzio, che è così diligente interprete delle esigenze giuste di Napoli e del Mezzogiorno, divide con noi la responsabilità di dare questi mezzi, quando li abbiamo, e a mano a mano che essi sono disponibili. Questo, tanto per quel che riguarda il bilancio dello Stato, quanto per quel che riguarda il Piano Marshall. L’impegno nostro qual è? L’impegno nostro è questo: che, sia coi mezzi ordinari, sia coi mezzi straordinari del Piano Marshall, al Mezzogiorno dobbiamo e vogliamo riservare una quota proporzionalmente maggiore con riguardo non solo alle maggiori esigenze, ma anche alle deficienze del passato. (Applausi vivissimi al centro e a destra). Non è esatto quello che ha detto l’onorevole Mancini , che del resto fu così cortese verso di me, non è esatto che chi non ci sia nato, nel Mezzogiorno, non ha cuore per comprenderne la situazione e per portarvi rimedio. Magari fosse vero! Tanti uomini politici del Mezzogiorno hanno governato l’Italia, e se fosse stato il cuore ed il sentimento, chissà il Mezzogiorno come si troverebbe! Spero che la comprensione delle esigenze del Mezzogiorno diventi e sia una comprensione nazionale, perché noi vogliamo favorire il Mezzogiorno, anche perché il nord ha bisogno del Mezzogiorno! (Applausi vivissimi al centro e a destra). Ed io credo che riusciremo in avvenire; e spero che si possa veramente aggredire il male nei punti principali, non con rimedi che passino, ma con disposizioni che gradualmente risanino una situazione profondamente deficiente. Adesso, all’onorevole Mancini dico: bisogna prendere atto di quel poco che si è potuto fare. Ha ragione di lamentarsi l’onorevole Mancini, che le assegnazioni sono insufficienti. Ma per quanto riguarda le bonifiche ed i miglioramenti fondiari, sui 24 miliardi stanziati nel novembre 1947, 14 miliardi e 767 milioni sono stati destinati al Mezzogiorno, oltre ai 18 miliardi stanziati nel marzo; i programmi regionali relativi a questi stanziamenti sono stati approvati e sono in corso di esecuzione. Nella citata legge del marzo abbiamo fissato per lavori pubblici 18 miliardi; e già sono in cantiere lavori per 10 miliardi. Non sono francamente soddisfatto di questa procedura, ma la legge è la legge: per lavori al di sopra dei 30 milioni, bisogna che si ricorra all’autorità centrale ed al Consiglio di Stato. Forse converrà modificare questa legge e decentrare di più. (Approvazioni a destra). Devo poi aggiungere che a questo riguardo spero molto nelle regioni, se le regioni si costituiranno (mi permetta l’onorevole Nitti). Io sono ancora ottimista sugli uomini e in specie sugli uomini del Mezzogiorno. Spero che gli uomini che avranno in mano una amministrazione, impareranno dallo Stato a non fare molte cose; per esempio, a non esagerare nel numero degli impiegati e degli addetti, a non spendere troppo per l’amministrazione, a non decidere troppo lontani dal luogo ove il lavoro deve essere compiuto o il provvedimento deve essere preso; ed in questo senso mi pare che le attività regionali possano completare l’attività statale. Dovrei ora ricordare anche il discorso dell’onorevole Buonocore . Dei 18 miliardi di lavori che ho citati prima, 8 miliardi e 25 milioni sono stati destinati alla Campania ed al Molise. Di questi, ben 4 miliardi alla sola città di Napoli, di cui 2 miliardi per il porto. Di 8 miliardi, 5 sono per i lavori già in opera ed i rimanenti 3 miliardi per lavori in corso di appalto e di istruttoria. Riconosco che non è abbastanza per la disoccupazione che avete a Napoli, per le esigenze vostre e per venirvi incontro e limitare il disastro della città. È poco, ma non dite che è niente perché, disgraziatamente, i miliardi neanche noi li troviamo senza grandi sacrifici. A questo riguardo devo ammettere che l’onorevole Buonocore (e non lui solo) ha completamente ragione per quel che riguarda la legge sull’industrializzazione. Devo riconoscere che io stesso sono rimasto sorpreso che questa legge non fosse stata già applicata, e quando sono andato a cercarne la ragione ho trovato che non era ancora pronto il regolamento; cercheremo di rimediare con la maggiore celerità possibile. buonocore. Ringrazio l’onorevole De Gasperi di questa assicurazione. De Gasperi. Vorrei dire una parola circa le competenze del vicepresidente Porzio e in genere di tutti i ministri. Io vorrei che i colleghi rinunciassero a caricare di responsabilità l’uno o l’altro e a scaricarne l’uno o l’altro. La responsabilità dei ministri è collegiale: non c’è un ministro che distribuisce miliardi e l’altro che li guadagna o un altro che non li vuol dare o se li lascia strappare lentamente. C’è una distinzione delle funzioni, ma la responsabilità dei ministri è collegiale. Nord e sud sono solidali. Tutto quello che può esser fatto per la giustizia sociale sarà fatto e i limiti necessari saranno quelli che sono: insuperabili per gli uni e per gli altri. Da qualunque parte venga l’impulso rinnovatore, è certo che nel momento della decisione collegiale interviene un attimo nel quale è riconosciuto il limite dello sforzo comune e diventa comune anche la responsabilità della divisione. Debbo una parola di particolare ringraziamento e di ammirazione per il nostro collega Egidio Fazio , il quale ha parlato col cuore di fedele vecchio piemontese, col buonsenso del popolo montanaro. Io gli sono grato per il suo appello all’unità nell’interesse del paese. Questo, caro collega montanaro, è anche il pensiero del montanaro presidente del Consiglio. (Vivi applausi). [Il presidente del Consiglio sugli ordini del giorno presentati nel dibattito]. Sull’ordine del giorno Conti e Parri mi pare che si potranno avere più larghe spiegazioni e discussioni durante il dibattito che riguarda l’ERP. conti. Lo trasformiamo in raccomandazione. De Gasperi. Riguardo all’ordine del giorno Grieco mi sono già espresso sufficientemente. Non lo posso accettare per lo spirito con cui è redatto. Circa l’ordine del giorno Salomone, l’accetto come raccomandazione, in particolare per quanto riguarda la situazione in Calabria. L’ordine del giorno Santero riguarda una proposta presentata anche dall’onorevole Monaldi. Debbo dire a questo proposito che si sta esaminando la questione, ma anche qui non credo che le deficienze attuali risiedano soprattutto nell’organizzazione, bensì in deficienze di mezzi. Comunque, circa le osservazioni sulla miseria degli ospedali, faccio notare che in seguito al decreto legislativo 5 gennaio 1948, lo Stato anticipa agli ospedali le rette dovute dai comuni, salvo rivalsa sui comuni stessi. Pertanto la situazione presente sarà migliorata e si avvierà a perfetta normalizzazione. Circa la costituzione del ministero, ci sono già due proposte di costituzione di nuovi dicasteri: dell’Assistenza e della Sanità. Bisogna pensare bene se l’alto commissariato debba proprio essere trasformato in ministero: non mi esprimo negativamente, per quanto faccia molte riserve. santero. Lo cambiamo in raccomandazione. De Gasperi. Riguardo all’ordine del giorno del senatore Jacini, egli sa che nelle dichiarazioni programmatiche ho confessato di non aver potuto questa volta risolvere il problema di una nuova organizzazione dell’emigrazione, ma sa pure che lo considero uno dei problemi che bisogna risolvere presto. Nell’eccessiva mole di lavoro di questi primi due mesi, non è stato ancora possibile risolvere tale problema. jacini. Trasformo il mio ordine del giorno in raccomandazione. De Gasperi. Circa l’ordine del giorno Veroni, ho già accennato che il ministro Grassi sta elaborando i progetti che l’onorevole senatore desidera. L’ordine del giorno del senatore Bibolotti è uguale presso a poco nella sostanza, ma non nello spirito, a quello dell’onorevole Rubinacci. Non faccio nessuna eccezione al suo ordine del giorno e a quello dell’onorevole Rubinacci. Gli ordini del giorno presentati dal senatore Conci richiamano la nostra attenzione sopra il problema della liquidazione delle pensioni dei pubblici funzionari. Conosco per pratica le motivazioni che l’onorevole Conci ha svolto molto competentemente ed ho già richiamato l’attenzione dei funzionari e dei tecnici sopra i suggerimenti da lui fatti. Sull’ordine del giorno Bertini ho già espresso la mia opinione. L’ordine del giorno Bertone è stato trasformato in raccomandazione e, come tale, l’accetto. Accetto l’ordine del giorno Zotta, anche esso come raccomandazione. L’ordine del giorno Buffoni contiene al primo ed al secondo punto due postulati che sono accettabili. Il terzo punto: «estendere anche agli italiani all’estero le disposizioni legislative per il risarcimento dei danni di guerra» lo esamineremo più a fondo quando tratteremo la legge sui danni di guerra; vedremo allora se sarà il caso di tener conto della sua proposta. Il postulato contenuto nel quarto punto è giusto e cercheremo di metterlo in pratica. Anche i suggerimenti che riguardano il miglioramento dell’assistenza e della difesa degli italiani all’estero sono meritevoli di essere apprezzati. buFFoni. Ritiro il mio ordine del giorno. De Gasperi. Riguardo all’ordine del giorno Della Seta, il ministro della Giustizia mi dice che la commissione per il Codice penale già ha affrontato il problema della riforma. presiDente. Domando all’onorevole Della Seta se insiste nel suo ordine del giorno. Dellaseta . Io apprezzo molto il giudizio del presidente del Consiglio, ma per me è sempre in questione il principio morale. Debbo quindi insistere. De Gasperi. Riguardo ai danni di guerra ho letto un ordine del giorno che dimostra molta competenza, frutto di esperienza amministrativa, dell’onorevole Braschi. Senza dubbio i suoi postulati sono meritevoli di ogni considerazione. Cercheremo di giungere il più presto possibile alla legge sui danni di guerra. Comunque, al dicastero o alto commissariato, ci si può arrivare prima, appunto come preparazione alla legge stessa. L’ordine del giorno dello stesso onorevole Braschi riguardante i prigionieri, potrebbe trovare miglior sede nello svolgimento della mozione presentata al riguardo. presiDente. Domando all’onorevole Braschi se insiste nei suoi ordini del giorno. braschi . Ritiro il primo ed il terzo ordine del giorno. De Gasperi. L’ordine del giorno Bencivenga è stato trasformato in raccomandazione. Ad ogni modo vorrei richiamare l’attenzione dell’onorevole Bencivenga sulle dichiarazioni che ho fatto alla Camera riguardo all’esercito, agli impegni che abbiamo per l’esercito e al senso di onore che nell’esercito viene custodito e conservato. Forse, l’onorevole Bencivenga non ha avuto l’occasione di leggere le mie dichiarazioni. L’ordine del giorno Canaletti Gaudenti-Tosatti lo accetto come raccomandazione. Riguardo all’ordine del giorno Li Causi ed altri, con il quale si invita il governo «a sospendere il pagamento dell’imposta straordinaria sul patrimonio nella parte proporzionale, al fine di procedere ad una meditata revisione del tributo, onde attenuare le sperequazioni fiscali esistenti e promuovere la ripresa produttiva», c’è da osservare che l’imposta proporzionale sul patrimonio è stata giustificata come una misura intesa a favorire la piccola proprietà. È noto che la legge ha portato all’abolizione dell’imposta ordinaria sul patrimonio, mediante il pagamento di una aliquota del 4 per cento, corrispondente a dieci annualità della imposta stessa, ma deve essere sottolineato che l’imposta si riferisce all’accertamento per l’anno 1947, il quale assume i valori del triennio 1936-39, moltiplicati per cinque, e, per la proprietà fondiaria, per dieci. Chi tenga presente che questi valori sono diverse volte inferiori ai valori correnti, si persuaderà subito che il peso effettivo dell’imposta è molto limitato, tanto da dire che, riferendosi ai valori correnti, l’imposta straordinaria non è molto superiore ad una annualità. D’altra parte il pagamento dell’imposta proporzionale è ormai arrivato alle sue ultime rate, dovendosi concludere entro il 1948, mentre per la piccola proprietà ha già provveduto la legge istitutiva del tributo straordinario, quando ha concesso una ratizzazione. Si può aggiungere che il pagamento si è svolto fin qui senza difficoltà e che i contribuenti con patrimoni al di sopra delle 750 mila lire, hanno dimostrato di essere in grado di far fronte con le disponibilità liquide. Al 30 settembre 1947, quando venne a scadere il termine per il riscatto dell’imposta, su 290 mila domande di riscatto, ben 260 mila pari a circa il 75 per cento, interessavano patrimoni inferiori alle 700 mila lire. Comunque, poiché il governo presenterà alle Camere, prima della sospensione dei lavori, alcune norme intese a modificare e completare la legge istitutiva della imposta straordinaria alla luce dell’esperienza fatta fin qui, si offrirà in quella sede l’occasione di un più approfondito esame della questione. Relativamente all’ordine del giorno del senatore Castagno, che riguarda il titolo III della Costituzione della Repubblica, accetto in via generale i suoi princìpi; soltanto non posso accettare in forma assoluta che lo sciopero sia regolato dall’autodecisione. Mi auguro che le organizzazioni sindacali abbiano sempre la possibilità di decidere sulla liceità e sulla opportunità o meno di uno sciopero, ma non posso accettarlo come principio assoluto, in quanto la Costituzione prevede la sua regolamentazione da parte della legge. Evidentemente la materia deve essere stabilita dal Parlamento, poiché si tratta di interessi non solo degli scioperanti, ma anche di terzi per quanto riguarda soprattutto i servizi pubblici. Nell’ordine del giorno si parla anche dei consigli di gestione, sui quali già mi sono espresso in senso favorevole. castaGno . Ritiro il mio ordine del giorno. De Gasperi. Riguardo all’ordine del giorno dei senatori signori Palumbo, Montagnana e Bei, rendo noto che è già stato presentato un progetto da parte del ministro Fanfani alla Camera dei deputati. Infine prego il Senato di votare sull’ordine del giorno, che ha carattere di mozione di fiducia, dei senatori Conti, Lucifero, Montemartini e Zoli, il quale sintetizza la volontà espressa dal paese col voto del 18 aprile, che incoraggia il nostro proposito di dedicare tutte le nostre forze alla cooperazione con il Parlamento, soprattutto per quelle riforme che il popolo desidera e che tende a quella stabilità di governo e di regime che è la condizione assoluta perché queste riforme possano essere portate a compimento. (Vivissimi applausi al centro e a destra). |
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| 91946-1950
| Mi associo alle parole di indignazione e di condanna pronunziate dal presidente della Camera e faccio mio, a nome del governo, l’augurio che il collega onorevole Togliatti possa presto riprendere la sua attività e la sua lotta per l’idea che lo ispira esercitando i diritti del libero dibattito e della democrazia parlamentare. L’attentato esecrando di per sé non è rivolto solo contro la persona dell’onorevole Togliatti, ma finisce col colpire anche il metodo democratico, creando un’atmosfera di odi e di risentimenti… (Vivissime interruzioni alla estrema sinistra – Rumori – Commenti). aMenDola GiorGio. Ne siete voi i responsabili! Vergognatevi! Assassini! Siete coperti di sangue! Andatevene! (Rumori). laconi. Avete il sangue sulle mani! lonGhena . Non è permesso offendere così! (Vivissimi rumori all’estrema sinistra – Interruzioni). presiDente. Esprimano in altra forma la protesta! Nessuno nega il diritto… Una voce all’estrema sinistra. Dove è Scelba? Faralli . Scelba non c’è; ha paura! Manda la Celere, Scelba! È vile! (Rumori – Commenti). presiDente. Onorevole Faralli! De Gasperi. Scelba non ha paura! (Interruzioni – Rumori – Scambio di apostrofi fra il centro e l’estrema sinistra – Agitazione). Voci al centro. Misurate le parole! presiDente. Facciano silenzio! Prosegua, onorevole De Gasperi. De Gasperi. Egregi colleghi, io sento tutta la mia responsabilità e sono disposto ad accettare in qualunque momento una discussione ed una deliberazione della Camera, con il contributo anche dell’opposizione… (interruzioni alla estrema sinistra – commenti – rumori); mi pareva però che questo non fosse il momento più favorevole. (Interruzioni all’estrema sinistra). Voci all’estrema sinistra. La maggioranza! Una voce all’estrema sinistra. Oggi si spara! Si versa del sangue come al tempo di Matteotti . Chi ha detto che i comunisti erano troppi nel nostro paese? De Gasperi. Avremo occasione, se credete anche domani, in una giornata che io spero non trascorra così sanguinosa come è cominciata quella di oggi a Livorno. (Interruzioni alla estrema sinistra). aMenDola GiorGio. Dipende da voi! De Gasperi. …dove è stato ucciso un agente e due carabinieri sono rimasti feriti. (Rumori all’estrema sinistra). In ogni modo, il governo assume la responsabilità delle sue azioni. (Rumori all’estrema sinistra). Una voce all’estrema sinistra. Ma dov’è Scelba? Scelba ha paura! Altra voce all’estrema sinistra. Assume la responsabilità come Mussolini ! De Gasperi. Il governo assume la responsabilità delle sue azioni. (Rumori e interruzioni alla estrema sinistra). Creando un’atmosfera di odi e di risentimenti, in cui si fa appello alla forza, alla violenza e alla rivolta, si rende impossibile… Una voce all’estrema sinistra. Le armi dove sono? Chi ha le armi? Le avete voi! De Gasperi. …ogni sforzo di ricostruzione in Italia e una pacifica democrazia. (Rumori all’estrema sinistra). Dinanzi a questo attentato, che noi condanniamo… (rumori all’estrema sinistra), riaffermiamo la nostra fede nel sistema democratico e nella pacifica gara dei partiti… Una voce all’estrema sinistra. Date le dimissioni! De Gasperi. …per il progresso della libertà e della giustizia sociale! (Vivi applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra). [Seguono gli interventi dell’on. Gian Carlo Pajetta e del presidente della Camera dei deputati. De Gasperi prende nuovamente la parola dopo la presentazione di un ordine del giorno – firmato dallo stesso Pajetta e dai socialisti Gastone Costa e Virgilio Nasi – per le immediate dimissioni del governo, cui era imputata la responsabilità politica e morale dell’attentato]. De Gasperi. È chiaro: si tratta di un ordine del giorno di sfiducia, che ripete press’a poco l’appello della Direzione del Partito comunista, che leggo sui giornali . Lo credo ingiusto nella motivazione, infondato nelle conclusioni, del tutto negativo in confronto alla situazione agitata del paese. Spero che la Camera, con un proposito anche di pacificazione, per lo meno lo rinvii. Il governo assume – come ho detto – la responsabilità delle sue azioni ed è pronto a difendersi, ma mi pare che in questo momento, considerata l’agitazione nella quale si trova il paese, preda evidentemente di risentimenti, odi e fazioni, sia un’opera saggia della Camera di rinviarlo. (Rumori e proteste all’estrema sinistra). [Segue un lungo intervento dell’on. Pietro Nenni, che si associa alla richiesta di dimissioni del governo e la dichiarazione dell’on. Gian Carlo Pajetta di trasformare l’ordine del giorno in mozione di sfiducia contro l’Esecutivo]. presiDente. Sta bene. Onorevole presidente del Consiglio, io però vorrei chiederle se, mantenendo il carattere di semplice ordine del giorno, non fosse possibile discuterlo prima, forse domani o dopodomani. Faccio questo quesito per rendermi interprete di un’esigenza che è anche preoccupazione per uno stato di tensione che non conviene ad alcuno prolungare ; e d’altra parte per regolare il corso dei lavori parlamentari che ancora ci rimangono da espletare. De Gasperi. Il governo non si oppone per questioni procedurali; naturalmente la sua opposizione è dovuta a ragioni sostanziali. Se il governo avesse la minima convinzione che i colleghi che presentano la mozione hanno ragione, dovrebbe dimettersi. Ma questa convinzione non l’ha, e difenderà la sua posizione. (Applausi al centro – Rumori all’estrema sinistra). Permettete che esprima il mio pensiero. presiDente. Onorevoli colleghi, se vogliamo intenderci per una discussione, sarà bene procedere con una certa disciplina. De Gasperi. Sono stato interpellato circa il pensiero del governo, e ho risposto, quanto alla sostanza. Ora mi si interroga quanto alla procedura. Non si può dibattere sulla procedura. La procedura è stabilita nella Costituzione ed è prevista dal regolamento della Camera. Il presidente si attenga come crede al regolamento. Io non mi metto, a questo proposito, in un atteggiamento negativo né in uno positivo. Quando la Presidenza della Camera crederà, in base alla Costituzione e al regolamento, di mettere in discussione l’ordine del giorno o la mozione Pajetta, io farò nel dibattito la parte che tocca al governo. (Interruzioni all’estrema sinistra). Una voce all’estrema sinistra. Tre gennaio! De Gasperi. D’altro canto io rispondo all’onorevole Nenni che, se egli in sostanza ritiene che si apra un periodo che possa incominciare a creare una situazione di unità, come egli la chiama, prima di tutto esiste un’unità morale… Una voce all’estrema sinistra. Proprio così! De Gasperi. …che io accetto come base. E la prima condizione di questa unità morale è di non ritenere, di non supporre che il governo che siede qui, in questi banchi, possa essere in qualsiasi forma… auDisio . È responsabile. De Gasperi. …confrontato e paragonato, come si è detto da quei banchi, a una situazione parlamentare di Mussolini, in cui il capo stesso del governo aveva dato l’ordine di uccisione. È così esagerato ed infondato questo pensiero, specialmente nei miei confronti di aventiniano convinto. (I deputati della sinistra, del centro e della destra si levano in piedi e plaudono a lungo – Si grida: «viva De Gasperi!» – Rumori all’estrema sinistra). |
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| 91946-1950
| Illustra gli ordini del giorno del Pci e della Cgil nonché alcuni manifestini lanciati oggi a Roma. Nota un evidente tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale, svolgendo azione contro il governo, che pur riscuote la fiducia delle Camere. Rileva che ieri le sedute delle Camere sono state dure e che parole inopportune sono state pronunziate anche da alcuni membri reputati «saggi», specie al Senato. L’opposizione ha subito mirato alle dimissioni del governo. Prega quindi Scelba di riferire sulla situazione interna. [Segue la relazione del ministro dell’Interno sullo stato dell’ordine pubblico a Torino, Genova, Piombino, Pisa, Taranto, Savona, Napoli, Bologna e Busto Arsizio]. Elogia gli organi dello Stato ma si preoccupa di ciò che hanno fatto i comunisti. È convinto che ci sia la medesima atmosfera del post attentato di Mussolini a Bologna , ma vi rileva una profonda differenza e cioè che Mussolini era allora capo del governo ed aveva palesemente una milizia armata ai suoi ordini. Anch’egli è convinto che i comunisti hanno un piano pronto che intendono attuare al momento opportuno. Si può affermare o meno che vogliano porlo in atto, ma il piano, con il pericolo di una dittatura comunista, esiste. Ciò lo induce a non rimanere sul piede di pura attesa e a confermare la sua opinione sulla grave pericolosità del comunismo. I comunisti danno al governo l’appellativo di reazionario, ma sta di fatto che non è stato loro dato alcun fastidio, neppure dopo il Cominform che nelle sue decisioni rappresenta anche un attentato allo Stato. Fa quindi un ammonimento al Pci e mette in evidenza l’azione del governo per difendere la democrazia. Se la situazione dovesse complicarsi potrebbe esserci il pericolo di un secondo degaullismo. È certo però che il paese reagirà, non intendendo lasciarsi governare solo da Massini . La democrazia dovrà essere perciò difesa anche da questo lato. Comunica che Gronchi telefona da Montecitorio facendo presente che sono state annunciate una serie di mozioni, interpellanze, interrogazioni ecc.; propone, pertanto, che il governo risponda stamane stesso almeno a due interrogazioni, se non altro per calmare l’atmosfera bollente della Camera. [Seguono gli interventi di alcuni ministri sulla legittimità del diritto di sciopero o sulla necessaria regolamentazione, o limitazione, nel settore dei pubblici servizi]. Qui non è da porre la questione dello sciopero in generale ma di ricercare il modo migliore per evitare le conseguenze. Riferisce sul colloquio avuto con Di Vittorio ed informa che questi ha lamentato l’interpretazione del comunicato governativo trasmesso ieri sera alle ore 23. Non si intendeva, egli ha detto, di fare azione insurrezionale. La sua risposta è stata che nel comunicato sono state usate espressioni attenuate, chiedendo che si frenasse il movimento e che un certo sfogo poteva essere riconosciuto ammissibile ma soltanto per un breve tempo. Di Vittorio ha biasimato poi la politica interna rilevando che il governo interviene con aggressività nelle vicende economiche. Quindi c’è stata una discussione in generale sulla situazione della Cgil. Egli ha fatto osservare che la Cgil, strumento di parte, vede sempre nel governo uno spirito di reazione. Ha avuto la netta sensazione che Di Vittorio volesse concessioni formali per far porre fine allo sciopero. Egli ha poi assicurato Di Vittorio che Scelba nel rispondere alla Camera userà un tono obiettivo e sereno. Dell’incontro ha avuto una buona impressione e riportato soprattutto la convinzione che i comunisti vogliono porre fine allo sciopero, ma aspettano qualche appiglio per salvare le apparenze. La Cgil si riunirà in ogni modo dopo le dichiarazioni del governo alla Camera. Aggiunge, infine, di avere avvertito Bitossi di riflettere bene prima di prendere l’eventuale determinazione di non far cessare lo sciopero, in quanto il governo ha, oltre tutto, da difendere il prestigio dello Stato. [La seduta, nuovamente interrotta, riprende solo in tarda serata, con gli aggiornamenti del ministro dell’Interno sulla progressiva stabilizzazione dell’ordine pubblico]. Non condivide il parere di Scelba, particolarmente perché i militari non conoscendo la situazione politica generalmente trattano poco abilmente con gli avversari. È necessario, pertanto, mantenere fermo il principio dei poteri al prefetto, il quale potrà comunque disporre per finalità operative della collaborazione dei generali. [Segue l’intervento dell’on. Amintore Fanfani sull’opportunità di ricevere i rappresentanti della Cgil che, attraverso Renato Bitossi, avevano comunicato di volere porre fine allo sciopero]. Acconsente a riceverli. Propone, comunque, che, anche se lo sciopero finirà stasera, bisognerà predisporre subito una legge con cui il Parlamento metta in condizione il governo di assicurare i servizi essenziali in caso di sciopero. |
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| In Italia il governo democratico rispetta così rigidamente le norme costituzionali e legali, che non può rendere nemmeno la doverosa riparazione alla Chiesa e al Sommo Pontefice, vescovo di Roma, sequestrando giornali e manifesti che dileggiano la sacra persona del Papa, protetta anche dal Concordato; e deve affidarsi ad una procedura lenta e finora inconcludente. In un altro Stato, nella cui storia non mancano le pagine di fraterna amicizia, col popolo italiano, il governo totalitario comunista arresta perfino un cardinale principe della Chiesa. Non dirò nulla contro quel governo, per non ingerirmi dal mio posto, nei fatti suoi, ma invio l’espressione della nostra solidarietà alla Chiesa ungherese, della nostra ammirazione per chi ne ha difeso i diritti a rischio della nostra libertà, e una parola di filiale devozione verso il sommo Pontefice, Padre comune della Chiesa universale che, difendendo la libertà della Chiesa, combatte per la libertà di tutti e per la dignità umana che sta alla base della democrazia. |
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| Ho appreso dai giornali che il presidente Alessi, subito dopo la seduta dell’ultimo Consiglio dei ministri, aveva annunciato le sue dimissioni. La notizia mi ha sorpreso. È vero che i ministri, accettando unanimi la tesi del Guardasigilli, che l’Alta Corte siciliana si deve ritenere automaticamente cessata quando entrerà in funzione l’Alta Corte della Repubblica, avevano manifestato un’opinione che il presidente Alessi dichiarò di non condividere. Ma la conseguenza di questa tesi fu, per ora, semplicemente che il Consiglio dei ministri lasciò cadere l’idea di presentare al Senato un apposito disegno di legge per la cessazione dell’Alta Corte siciliana. È il Senato, è il Parlamento che avrà l’ultima parola, quando delibererà intorno all’Alta Corte della Repubblica. Il Consiglio stesso espresse il parere che, appunto in sede di discussione parlamentare «potranno venire risolti i problemi circa le particolari competenze ora attribuite all’Alta Corte siciliana». Nulla di drammatico, nulla di irreparabile è quindi avvenuto. Nessun torto è stato fatto alla Sicilia; si è semplicemente rinunciato a presentare un apposito disegno di legge. Aggiungo che, nel Consiglio dei ministri, si è dato particolare rilievo al merito dell’Amministrazione Alessi e che io stesso affermai, contrariamente a pubblicazioni di stampa male informate, che specie nel settore dei lavori pubblici e delle provvidenze locali la Regione aveva già potuto dimostrare la pratica efficacia ed il valore del decentramento autonomo. Vero è che rimangono ancora aperte molte questioni riguardanti il passaggio dei servizi dello Stato alla Regione; ma nella seduta fu rinnovato il proposito di regolare tale passaggio in trattative concrete con ciascuna amministrazione. E soprattutto il ministro delle Finanze Vanoni si dichiarò pronto a ricercare modi e mezzi per superare alcune difficoltà oggettive nell’applicazione dell’art. 43 dello Statuto. Mi auguro che in tale spirito di buona volontà venga risolta la crisi siciliana e sono sicuro che l’amico Alessi condivide tale augurio. |
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| 91946-1950
| Cari amici, pur non avendo avuto la possibilità di assistere continuamente ai lavori dell’Assemblea, da quanto ho udito, ho tratto una impressione soddisfacente per gli interventi veramente costruttivi, onde desidero, come prima cosa, congratularmi con gli organizzatori e con i partecipanti tutti. Non è che tutto sia andato liscio: si sono rilevate, anzi, lacune e difficoltà, ma bisogna considerare che anche noi partecipiamo a quello che può essere definito un malessere della vita democratica e non solo in Italia ma in Europa, malessere che deriva da un ritmo troppo accelerato che rende difficile l’esercizio di tutti i compiti e il relativo controllo. Dopo aver accennato all’eccesso di lavoro cui sono sottoposti gli organi dello Stato a causa del suo intervento in tutti o quasi tutti i settori della vita del paese, intervento che si verifica in Italia come in Inghilterra e perfino in Svizzera, l’onorevole De Gasperi sostiene che se si moltiplicassero ancora i filtri dell’opera legislativa ci si avvierebbe fatalmente ad una forma di vivisezione, mentre la democrazia si può salvare solo attraverso un metodo di semplificazione. Il problema è dunque un problema di uomini e di fiducia e la stessa base della nostra unità la si può ritrovare nella fiducia e nella coscienza morale. L’onorevole De Gasperi afferma quindi che l’unità del partito della Democrazia cristiana deve fondarsi sulla coscienza morale che si può sviluppare con l’educazione spirituale. Noi la abbiamo nella religione e nella scuola sociale cattolica. La Democrazia cristiana non sarebbe stata quella che attualmente è, se davanti ad essa non vi fosse stato un secolo di esperienza del movimento sociale cristiano. La Democrazia cristiana prima che come partito è nata come movimento sociale ispirato al Magistero della Chiesa. Dobbiamo affermare che riconosciamo questa paternità e questa origine. La tradizione del movimento sociale cristiano, guidata dall’insegnamento della Chiesa, è la fonte a cui dobbiamo sempre attingere. Chi crede di trovare l’unità del partito nella dialettica delle mozioni slitta nel mimetismo socialista. Questo sistema ha condotto alla rovina il socialismo italiano perché non si raggiunge l’unità nella dialettica ma nella coscienza morale che per noi combacia con la coscienza del cattolico; che opera nel campo del lavoro ed in genere dei diritti civili. Di fronte ad un partito, come il comunista, che è diventato un organismo di battaglia al servizio di un centro universale – il Polit Burò – sezione italiana – più che mai bisogna sentire l’unità e l’esigenza di una maggiore vigilanza e di un maggiore spirito combattivo. Dopo aver accennato ai rapporti tra partito e gruppi parlamentari, tratta dei sindacati e riconosce ed elogia lo sforzo del libero sindacalismo democratico. Accennando poi all’applicazione della Costituzione, l’onorevole De Gasperi ribadisce quanto ebbe a dire al Senato . Il regionalismo deve essere attuato con cautela mantenendolo sul terreno amministrativo. L’esempio della Sicilia conferma che su questo terreno può recare enorme giovamento alla vita del paese mentre altrimenti potrebbe degenerare in una forma di federalismo lontana dalle nostre intenzioni e pericolosa per il nostro paese. Si chiede al governo perché non ha ancora realizzato tutte le riforme. Voi vedete già come è complessa l’attuazione di quella agraria, per quanto riguarda le modifiche ai patti agricoli. Occorre tempo per preparare le riforme, se si vuole farle bene e non bisogna dimenticare che premessa imprescindibile per realizzarle è il risanamento della nostra economia mantenendo stabile il valore della lira, arginando la disoccupazione, riducendo il disavanzo del bilancio. L’onorevole De Gasperi, riferendosi poi a certe voci di crisi o di rimpasto pubblicate da alcuni giornali, dichiara che i cambiamenti si debbono fare quando si presentano persone che sanno fare meglio o che rappresentano nuove forze. Non abbiamo mai chiesto altro a coloro che hanno collaborato con noi, se non un contributo nell’interesse del paese; se essi credono che possono accompagnarsi con noi su questo cammino, saranno ben accetti al nostro fianco, altrimenti noi faremo per nostro conto tutto il nostro dovere. Il presidente del Consiglio tornando ad interessarsi dei problemi specifici dell’Assemblea afferma che essa non deve chiudersi senza una affermazione di unità. La cosa che più lo ha consolato nell’udire tanti interventi è stato il senso unitario espresso da tutti coloro che hanno preso la parola. Create quel che vorrete in seno al partito, ma sappiate che colui che provocasse la scissione troverebbe l’insorgenza delle nostre masse che imporrebbe l’unità del partito. Si prenda atto degli avversari che speculano sulle diversità inevitabili di vedute che si manifestano tra di noi, che l’unità del partito è più forte di noi perché il compito che noi abbiamo dinanzi è troppo grave e lo sforzo che stiamo attuando ha bisogno di tutti i concorsi. Fuori di qui si prenda atto anche di questo: il partito anche quando l’Assemblea discute di programma o di strutture non si considera fine a se stesso né serve idealità e interessi estranei alla nazione. Il partito è parte ma è parte al servizio del tutto, il paese, l’Italia. Quando studiate nuovi organismi o strutture dovete domandarvi soltanto se esse possono meglio servire il paese o il popolo italiano. Questa idea del servizio sociale, del servizio politico deve essere l’idea fondamentale che ci distingue dagli altri. Siamo un partito nazionale unitario, dell’Italia che rinasce e riprende la posizione che il mondo le deve per le braccia e gli ingegni del suo popolo lavoratore. |
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| 91946-1950
| Dà la comunicazione ufficiale delle dimissioni di Piccioni . Legge la lettera di dimissioni. Dimissioni motivate da condizioni di salute che non gli consentono di [ri]coprire oltre la carica di segretario politico. Sa di interpretare il pensiero di tutti nel dire il dispiacere comune per queste dimissioni, per quanto attese. Si sperava di differire di mese in mese. Ma Piccioni insiste. Non sa se ci siano oscure sue preoccupazioni sulle condizioni di salute. Penserebbe che si potrebbe concedergli un congruo periodo di vacanze per consentirgli di rimettersi. Riconosce che l’attività del segretario del partito è sfibrante; ma ritiene che egli esageri e che un periodo di riposo possa migliorare il suo attuale stato di nervosità, di tensione. Ha una presenza come personalità indiscussa, un tale valore che ritiene di insistere perché le dimissioni rimangano in sospeso. Tra un mese si vedrà. [Seguono alcuni interventi e la richiesta di Attilio Piccioni di provvedere, senza ulteriori indugi, alla sua sostituzione]. Riconosce che Piccioni ha bisogno di riposo e sarebbe una brutalità insistere. Occorre prendere atto della sua decisione e vedere come rimediare. È commosso ma anche preoccupato. Per utilizzare la forza [di] Piccioni, ritiene che oggi non bisogna insistere per non pregiudicarla in avvenire. Domanda alla Direzione cosa intende fare. [Segue una breve interruzione per permettere alla Direzione del partito di deliberare]. Ecco le conclusioni della Direzione: indire una nuova sessione del C.[onsiglio] n.[azionale], per domani con o.d.g.: elezioni . Trattandosi di ritiro del segretario a titolo personale per ragioni di salute, non ritiene di dover rassegnare subito le dimissioni collettive, ma di rimettere i mandati a disposizione del C.[onsiglio] n.[azionale] non appena domani sarà eletto il nuovo segretario. Circa la procedura per la nomina ritiene di dover mettere subito in funzione una Commissione incaricata di accertare pregiudizialmente quel candidato sul quale possa convergere una adesione quasi unanime. |
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| 91946-1950
| Due passi importanti sono stati compiuti per l’organizzazione economicopolitica di Europa, passi che costituiscono un contributo decisivo alla causa della pace indissociabile dalla sicurezza di tutti i popoli. Da questo momento l’Italia esce dall’isolamento in cui le conseguenze di un regime totalitario l’avevano condotta e trova per le vie della democrazia quella capacità di azioni internazionali che corrisponde alle energie vitali ed alla civiltà del suo popolo. Così le necessità storiche più forti dei pregiudizi e delle ostilità di parte che hanno sbarrato l’accesso all’ONU, contrariamente a quanto prescriveva il trattato di pace, offrono all’Italia la possibilità di agire sul terreno europeo per la rinascita economica, per la libertà e per la pace fra i popoli. Esiste nella opinione pubblica nazionale una confusione fra Patto di Bruxelles, Unione europea, Patto atlantico e OECE. In effetti trattasi di quattro problemi diversi. Oggi non ci sono maturazioni e definizioni che di due cose: Unione europea e Comitato supremo dell’OECE. L’Unione europea dovrebbe essere il nucleo attorno al quale tutti i popoli europei si organizzano per consultazioni comuni intorno a problemi che li interessano collettivamente. È in fondo la prima proposta, in forma più definita, che sia stata fatta per la collaborazione politica europea. Questo è un fatto notevole ed importante. In esso c’è una linea provvidenziale che supera le capacità umane. È importante anche il Comitato supremo dell’OECE in quanto esso avrà efficacia direttiva non solo per il periodo di azione del Piano Marshall, ma si può sperare molto al di là divenendo esso un organismo coordinatore di tutta l’economia europea. Si ricorderà anche che questa finalità era indicata anche nei due memorandum presentati nell’estate scorsa dal conte Sforza per la creazione di una collaborazione più organica in seno all’OECE. Si può ritenere che, data la coesistenza dell’Unione europea, il Comitato dell’OECE avrà compiti prevalentemente economici, mentre l’Unione europea sarà un organismo eminentemente politico. L’Unione europea potrà divenire un efficace strumento di pace, soprattutto nella soluzione del problema germanico, poiché è chiaro che il modo di superare anche in Germania una possibile psicosi di revanche è quello di attrarre nell’orbita della collaborazione europea anche la nazione tedesca. Nel Consiglio dei ministri si è manifestato quasi un senso di stupore per il fatto che il partito comunista italiano, precipitandosi a seguire la parola d’ordine di Molotov, abbia dato segnali di battaglia contro questi passi delle maggiori potenze europee i quali, in sostanza, costituiscono anche una riparazione all’ingiusto ostracismo nei confronti dell’Italia per il suo ingresso nel consesso internazionale che è l’ONU. |
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| 91946-1950
| Debbo subito rilevare che la prima visita ufficiale da me compiuta al Santo Padre quale presidente del Consiglio dei ministri, ha assunto un carattere di eccezionale valore. E ciò non soltanto per la paterna bontà che il Papa si è degnato di dimostrare, ma altresì per le significative espressioni con le quali ha voluto trarre dalla fausta ricorrenza ragioni di compiacimento e di fiducia nell’opera di «pace e di conciliazione» che i Patti Lateranensi hanno sancito e la Costituzione ha solennemente riconosciuto. Niun dubbio che la benevolenza e la comprensione del Pontefice, rinnovate stamane nella solennità dell’udienza ufficiale, varranno a confermare governo e popolo nel nobile proposito nel perseverare nella via dischiusa dalla storia e dalla vita dell’Italia. |
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| 91946-1950
| Dichiara che nell’esaminare l’attuale situazione internazionale d’Italia occorre tener presenti le caratteristiche specifiche della nostra posizione: cioè i rapporti con gli Stati Uniti determinati dal Piano Marshall, e, per quello che riguarda la politica interna, la esistenza di una minoranza dotata di grandi possibilità agitatorie. Venendo a parlare del problema neutralità o adesione al blocco occidentale, rileva come gli Stati maggiori siano concordi nel prevedere che nel deprecabile caso di un conflitto l’Italia verrebbe inevitabilmente coinvolta nelle operazioni qualunque fosse la sua posizione internazionale. Tenendo fermo questo punto si arriva a conclusioni che divergono completamente da quelle dei neutralisti. In linea teorica si potrebbe parlare della convenienza o meno di una neutralità armata; ma praticamente le condizioni economiche del nostro paese non lo permettono, vincolati come siamo all’estero per le materie prime. Molte obiezioni all’attuale politica estera dell’Italia sono dettate dal timore che i comunisti provocherebbero la guerra civile in caso di conflitto. A queste persone bisogna rispondere che non c’è una via di mezzo: o adattarsi al sopravvento del comunismo o resistere secondo la linea del 18 aprile. Quando fu stipulato il Patto di Bruxelles, gli uomini politici italiani erano quasi completamente assorbiti dalle imminenti elezioni, quindi le vicende diplomatiche si sono sviluppate fuori della nostra diretta partecipazione. Ma del resto il Patto di Bruxelles aveva al suo inizio un’importanza più che altro renana e alla sua base era il timore di una rinascita tedesca. Dopo il 18 aprile l’America ci chiese se volevamo aderire a una politica di reciproca assistenza. Noi abbiamo assunto l’atteggiamento di chi cerca di guadagnare tempo badando tuttavia a non urtare la suscettibilità degli offerenti: non volevamo impegnarci senza vedere bene chiaro nella situazione. Dal punto di vista delle garanzie che l’Italia poteva offrire, fu per noi un vantaggio notevole che uomini rappresentativi avessero rotto definitivamente con i comunisti. In quel periodo non si mancò di consultare i nostri ambasciatori: erano tutti dell’opinione che non bisognava lasciarsi sfuggire l’occasione di stringere rapporti con le Potenze occidentali. A questo punto egli dichiara che le sue vedute hanno sempre coinciso perfettamente con quelle dell’on. Sforza. È un notevole vantaggio disporre di un uomo che ha una grande esperienza nel campo internazionale. La nostra tendenza da allora è stata quella di creare un altro binario di collaborazione europea che non passasse necessariamente per il Patto di Bruxelles e del resto stava prendendo consistenza l’idea federalistica europea e si sviluppava l’organizzazione dell’OECE. Poi Bidault lanciò l’idea di un Patto atlantico che doveva garantire gli Stati europei contro la Russia. Vi fu un atteggiamento di vigilanza da parte nostra. Ma nello stesso tempo dovevamo dare all’estero la sensazione di essere uniti e di non volere fare il doppio gioco. Questo egli si sforzò di dimostrare nel discorso di Bruxelles . Tale periodo di maturazione è servito per studiare a fondo quello che ci conveniva fare ed esaminare la possibilità di accordi che tenessero conto della nostra particolare situazione. Egli personalmente cercò sempre in questo periodo di tranquillizzare l’opinione pubblica ed era anche a tal fine che bisognava non affrettare le soluzioni: altrimenti si sarebbe creduto che la guerra era alle porte. Dopo la venuta di Marshall l’intervista che egli diede alla stampa rispondeva a questo criterio . Il partito di Saragat in precedenza si era molto espresso contro il Patto di Bruxelles: bisognava andar cauti anche per questa ragione. Poi vi fu il memorandum italiano agli Stati Uniti . L’on. De Gasperi ne rivela ai presenti i punti fondamentali che rispecchiano la posizione tenuta dalla Democrazia cristiana nel dibattito alla Camera in occasione della mozione Nenni . Da esso emerge chiaramente come la maggioranza del popolo italiano fosse consapevole dell’impossibilità della neutralità in caso di guerra. Nel memorandum si parlava anche del Consiglio europeo, dell’accettazione dell’Italia degli aiuti americani e infine si chiedevano garanzie e la revisione del trattato di pace, soprattutto per quel che riguarda Trieste. Solo dopo la risposta degli Stati Uniti al memoriale avremmo deciso la nostra posizione. Nel memoriale è posto in termini chiari il problema di coscienza della Italia e nello stesso tempo si offre piena garanzia della lealtà del nostro atteggiamento. Seguirono le dimissioni di Marshall, che forse doveva rimanere fuori del governo per poter considerare più obiettivamente le cose. Sembrò che il Patto atlantico (e le dichiarazioni dei nostri ambasciatori erano in tal senso) dovesse andare per le lunghe. A un tratto poi le trattative furono accelerate: probabilmente in considerazione delle agitazioni in Europa e delle proposte russe alla Norvegia. L’Italia è uno Stato che politicamente e moralmente non può essere considerato alla stregua di uno Stato vincitore o economicamente più forte. Perciò l’essere stati invitati all’Unione europea è un grande passo in avanti e nella nostra fondata speranza di essere tra i fondatori del Patto atlantico significherà con tutta probabilità la revisione dell’armistizio. Ora è venuto il momento, dopo avere esercitato pazienza e prudenza, di non dimostrare incertezze. Siamo alla vigilia dell’invito a Washington anche [se] ignoriamo tuttora molti particolari essenziali. Non sappiamo neanche se vi saranno clausole relative alla revisione del trattato di pace. Ad ogni modo su questo punto occorrerà che ci siano date delle assicurazioni. Circa la tendenza internazionale dell’invito all’Italia, sono in gioco forze contrastanti tra cui la diversa valutazione strategica della penisola, la necessità di frazionare ulteriormente i fondi americani per l’armamento e soprattutto la questione coloniale che suscita le obiezioni inglesi. Il momento di decidersi è ormai vicino. Ci presenteremo al Parlamento e chiederemo un voto di fiducia per negoziare. Infatti per l’Italia si tratta ormai o di mettersi da parte o di partecipare all’opera di difesa. Dichiara di non credere che dalla parte nostra ci sia ancora qualcuno che pensi ad una politica espansionistica da parte degli Stati Uniti. Da parte di tale potenza una guerra preventiva o offensiva non si farà mai. Il Patto atlantico è stato creato solo per frenare l’impulso di conquista bolscevica: il pericolo rimarrà ugualmente: ma una grande forza contrapposta è la sola soluzione per scongiurarlo. Rivolge viva preghiera che ognuno assuma in pieno la sua responsabilità. Per quello che riguarda l’opinione pubblica, essa, malgrado il chiasso degli avversari, è matura per sostenere il governo. La Democrazia cristiana nella lotta propagandistica ha dovuto limitare la sua opera perché non eravamo sicuri di poter entrare nel Patto atlantico. A questa incertezza è dovuta la non netta presa di posizione nei confronti dell’opinione pubblica. Tutto considerato l’unico modo per essere tranquilli è il poter dire che tutto quello per assicurare la pace è stato fatto. […] Desidera mettere in rilievo come la politica dell’OECE, il patto doganale con la Francia, l’Unione europea, tutto lega perfettamente in una visione universalistica a cui l’Europa occidentale si sta ispirando. Oggi i partiti socialisti si mostrano indecisi verso questo universalismo che dovrebbe essere uno dei loro princìpi fondamentali. Sono invece i cattolici a sentire questa esigenza che raccoglie tutto ciò che c’è di più geniale nel pensiero di Mazzini. [Seguono alcuni interventi, con due brevi chiarimenti di De Gasperi]. Si rimette ai Comitati direttivi sulle discussioni che avranno luogo. L’importante è che nel dibattito pubblico si sia uniti. Dichiara di non temere l’opinione pubblica. Siamo in grado di trascinarla, non meccanicamente ma suscitando entusiasmo. Quello che egli teme è il pettegolezzo interno, a causa dello sfruttamento che sa farne l’opposizione. Perciò occorre imporsi la maggiore cautela. La meta questa volta è di dare all’estero la sensazione di una assoluta compattezza. Il Patto in alcune clausole è segreto. Quindi non sarà possibile, quando si dovrà prendere la decisione, conoscerlo integralmente. Una prima volta il Parlamento prenderà una decisione di massima, se consentito al governo o no di negoziare; una seconda volta deciderà sulla parte del testo che sarà resa pubblica. Rispondendo alla domanda dell’onorevole Mastino dichiara di ignorare quale sarà l’atteggiamento di Tito . Può solo dire che della Jugoslavia non ci si può fidare. Anche perché la Russia può metterla in ginocchio in cinque o sei giorni con le truppe che ha stanziate in Romania. |
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| Il governo italiano ha il dovere di tutelare la sicurezza presente e avvenire del paese. Se avesse voluto rimanere fuori dalle consultazioni prima, e poi dai negoziati per il Patto atlantico, avrebbe mancato a questo dovere. Il Parlamento gliene avrebbe chiesto ragione; il paese glielo avrebbe chiesto e in seguito amaramente rimproverato. Il governo italiano è convinto del carattere difensivo del Patto e delle intenzioni pacifiche di tutti i suoi promotori e partecipanti. È convinto che il patto non è diretto contro la Russia né contro altri paesi. È in possesso di sufficienti informazioni circa il progetto del Patto per essere pure convinto che è assoluto interesse dell’Italia discutere con gli altri partecipanti un Patto difensivo di tal genere. Ed è pronto ad assumere verso il paese la responsabilità di questa decisione. È per questo che, quando i rappresentanti dei paesi promotori sono entrati nella fase dei negoziati, l’Italia ha chiesto di parteciparvi. Era il suo diritto e il suo dovere. La richiesta è stata accolta. L’Italia sarà dunque in grado di prendere parte ai negoziati per la redazione definitiva del Patto. Il governo italiano non solo non è venuto meno né ha intenzione di venir meno ai suoi doveri costituzionali, ma ha deciso di andare oltre a questi doveri. Infatti non si limiterà a sottoporre al Parlamento la ratifica del Patto, a firma avvenuta, ma consulterà oggi in seduta pubblica il Parlamento anche prima della firma. Come dunque il governo è pronto ad assumere la propria responsabilità, così il Parlamento assuma la sua. Il Partito comunista ha assunto anch’esso le proprie responsabilità; verso chi è in realtà responsabile, lo sa lui. Lasciamo ai suoi epigoni il loro patriottismo sovietico; ai suoi propagandisti l’esaltazione della guerra comunista e della pace comunista, ai suoi giornali gli insulti e le minacce. Gli italiani sono troppo intelligenti per non riconoscere chi parla per l’Italia, per non capire dove è l’interesse dell’Italia. |
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| È spiacente che ancora non sia stato trovato l’accordo sugli statali. Non vorrebbe che si desse l’impressione che le quest.[ioni] vengano risolte indip.[endentemente] dai loro termini obiettivi. Il governo è gravato di serissime responsabilità. Il min.[istro del] Tesoro si è adeguato per il pareggio la cui importanza è enorme all’interno e all’esterno. Si deve comprendere – se i ragionamenti non valgono non c’è che la persona del pres.[idente del] Consiglio e del gov.[erno]. Egli ha dato assicurazione di presentare entro luglio un nuovo progetto integrativo. La cifra non è determinabile preventivamente. Ripete questa assicurazione, ma non può andare al di là. Le prop.[oste] discutibili, salvo il tempo di attuazione, sono quelle di Parri (62) e Cappugi (60) . Si è già arrivati ad un aum.[ento] di 47 miliardi per emend.[amento]. Queste proposte verranno prese in considerazione. Un governo serio non può precisare la cifra. Se entro un dato tempo il governo non presenta la legge rimane la prop.[osta] di iniziativa. Chiede che non si pretenda di più. È inutile far discussioni in argomento. [Giuseppe Spataro pone ai voti l’impostazione del presidente del Consiglio, approvata con 5 voti contrari. L’adunanza riprende sui temi di politica estera, anche alla presenza dei senatori democristiani]. È difficile il suo compito in questo momento di trovare argomenti persuasivi. Una zona di dubbio o di rischio resta sempre. Più di cercare argomenti cercherà di dare un’impressione della via che si è percorsa per arrivare a questa decisione. Anzitutto prega di credere che non c’è alcuna intenzione di fare un agguato alla coscienza o vincolare le decisioni. Il problema riguarda molte nazioni ed in gran parte si svolge al di fuori di noi. Non è mancata diligenza nel governo per ottenere maggior lasso di tempo per dar luogo alle discussioni pubbliche. La convinzione del governo è matura. Il gruppo può dire: perché non è stato detto prima? Perché il gov.[erno] non poteva lanciare il paese in una campagna fino a che non avesse sicurezza che l’obiett.[ivo] sarebbe stato raggiunto. Anche oggi la questione che vien posta è di fiducia. Oggi alla Cam.[era]; non decidere sul testo di un trattato ma mandato di partecipare alle trattative. Il Parlamento – a parte gli o.d.g. – deve esprimere la sua approvazione alla fiducia. Quindi è questione di sensazione generale più che di argomentazione logica. – o rimanere isolati (neutr.[alità]); – o entrare [in] un patto di assistenza. Crede che nelle intenzioni dei partec.[ipanti] e dei propon.[enti] il patto deve essere di assistenza in caso di aggressione. Questo è il punto di partenza. Tutelare la pace. Ammesso ciò si può chiedere se è conveniente questo per l’Italia o un altro modo di difesa. Ma esiste in Italia la possibilità della neutralità? In Italia, di fatto, per pubbliche dichiaraz.[ioni] esiste una parte notevole che ha rotto la neutralità dichiarando che parteggerebbero per la Russia. Di fronte a questo patto reale – attivissimo – non c’è che politica di contrappeso (patto assis.[tenziale]) o di armamento che metta le parti in condi.[zioni] di non nuocere. L’esempio della Svezia non calza. Tradi.[zione] di neutralità (134 anni) – solo 9 deputati comunisti né minacciosi né attivi – maggior.[anza] socialliberale occidentalista – è il paese più capace di difesa e di armamento e di industria –. Altra è la situaz.[ione in Italia] (5 divisioni contro le 30 jugosl.[ave]), armamento [non leggibile] arretrato, ma anche ad avere denari: dove le materie prime se non dall’Occidente[?]. Nostra situazione strategica: le linee di un futuro conflitto passano fatalmente attraverso l’Italia – Valle Padana – sbocco alla Francia – Mare edIsole. Quindi due diversi occupanti (aggressori, difensori) – guerra civile, con un partito armato ed in continuo armamento –. È dovere di coscienza di guardare a questa situazione. È possibile avere appoggio dalla America senza impegni con gli altri Stati europei. In teoria soluzione intermedia e transitoria: ricerca di un rapporto speciale. Il fatto che sia definito inadatto il Patto di Bruxelles (renano) vuol dire che si è agito con cautela. Non si ebbe tempo di rintuzzare la propag.[anda] avvers.[aria] sul P.[atto] di Bruxelles. I progressi del P.[atto] atlantico: il modo con cui si sono svolte le trattative (elez.[ioni] americ.[ane], cambiam.[ento] person.[ale] diplom.[atico] americ.[ano]) sono stati seguiti attentamente. Lavorare in modo che se ci convincessimo di entrare non trovassimo la porta chiusa. L’unico documento (6 gennaio) porre la questione (non vogliamo perdere l’amicizia e la fiducia del popolo americano): non abbiamo la tendenza all’isolamento, non abbiamo mai fatto condizione del trattato. Noi abbiamo fede nella giust.[izia] e nella storia. Non vogliamo che una formula del trattato intralci la soluzione. Così per le colonie, non condizioni ma problemi da risolvere in sistema di alleanza. La questione dell’urgenza si pone per l’allarme gettato dalla intimidaz.[ione] di tutti i partiti comunisti di opposiz.[ione] o di guerra. Si è arrivati a formulare le cose in modo che dal documento – ancora provvisorio – si conoscono le linee o la sostanza. Separazione delle responsabilità: – esecutivo – parlamento. Princìpi del patto: 1. carattere difensivo contro [le] aggressioni; 2. patto di consultazione; 3. obbligo di reciproca assistenza relativ.[amente] alle forze di cui si dispone; 4. tassativo l’impegno dell’intervento, rispettate le prerogative del parlamento; 5. interv.[ento] non automatico meccanicam.[ente] affinché i partecip.[anti] trovino utile disporre le forze a difesa in vario modo. Le comunicaz.[ioni] di oggi sono i quesiti posti il 6 gennaio in forma molto dignitosa e di fiducia verso la democrazia americana. Risp.[osta]: non c’è altra base migliore che partecip.[are] ad un patto di assistenza. Criterio americano (campo economico OECE): aiutatevi per avere aiuto. Detto questo non c’è altra scelta: partecipare alle trattative. Nella fase costituente lavorano i grossi. Nella fase attuale noi siamo liberi e possiamo fare emendam.[enti]. Altre 4 «minori» lavorano con noi. A testo pronto saremo chiamati a firmare insieme agli altri. Il governo deve esprimere l’iniziativa – responsabilità e prudenza che debbono essere confortate dal consenso generico della maggioranza. È uno degli atti più gravi di fronte alla storia. Presa la decisione: dar battaglia e accettarla. Agitare la questione nell’opinione pubblica [e] si passi all’attacco. Errori sono e saranno inevitabili. Dubbi e rischi ce ne sono. Ma cosa sarebbe se oggi ci trovassimo con un gov.[erno] che avesse trascurato di tener la porta aperta o per viltà o per paura [?] La paura – inconfessato elem.[ento] – della politica in occidente. Potremmo noi difenderci contro le agitazioni rivoluzionarie? Noi oggi facciamo opera di distensione. Noi non aggrediamo, cerchiamo la tutela della pace. Ai p.[artiti] c.[omunisti], muovetevi entro la legge fuori del proposito rivoluz.[ionario] e fuori della liberazione che venga dall’est. Serenità che viene dal non essere isolati. Questa è la fine della guerra civile! (Vivissimi, prolungati applausi) . |
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| Le parole di Guerrieri lo hanno commosso e le accetta nello spirito fraterno. Non accetta il rimprovero di porre il gruppo di fronte al fatto compiuto. Questo è regime d’assemblea e rovescia i termini della democrazia. Il governo è comitato parlamentare che ha responsabilità propria. Ad un certo punto c’è la «fiducia». Esiste un rimedio a tutto questo: senso di responsabilità e conseguente disciplina (mancanza di discrezione sulle riunioni, scarsa presenza). In pratica ciò rende ancor più difficile quanto non è possibile per sistema. Chiede che il gruppo faccia l’esame di coscienza (cita ad esempio la votazione sugli statali di ieri, episodi che portano il gruppo allo sfaldamento). Il governo di fronte alla maggioranza è proprio sul banco degli accusati ogni volta? Ciascuno faccia la parte che gli tocca. Il gruppo molto spesso ha sostenuto il governo. – Sul sistema: non ci si lasci portare al regime d’assemblea! – Sulla pratica: il governo è disposto a collaborare ma non deve essere posto in difficoltà dai singoli membri del gruppo. La discussione su questi argomenti va fatta. La pol.[itica] estera impone maggior ragione di prudenza. Se il gruppo cesserà di essere un alveare – in modo che non si conosca tutto e sempre ciò che si dice – egli ogni giorno verrebbe al gruppo non per dovere di democrazia ma per fratellanza. Il documento base è venuto tre giorni fa: la situazione si evolve assai praticamente (il governo sarebbe lieto di sgravarsi di responsabilità appoggiandosi al Parlam.[ento] o alla Com.[missione] Esteri: ma ciò è contro alla Commissione). Circa l’armamento. L’America si è lasciata sorprendere dopo aver smobilitato. Nessuno ha parlato qui del Cominform. Nessun fatto diplomatico ma pure nessuna riforma per quanto radicale potrà distruggere il comunismo. Alla domanda che cosa succederà di fronte al P.[atto] atlantico? Come l’accoglierà la Russia. C’è garanzia in un qualsiasi patto della Russia. Quanto al Trattato di pace. La nostra rinunzia vuol dire la nostra volontà di pace. I trattati non si rivedono che con le guerre. Quindi noi in questa sede abbiamo abbandonato l’argomento. Noi non facciamo un patto contro lo «spirito rivoluzionario che avanza» ma lo facciamo contro le «aggressioni». Contesta a Gronchi che la separazione del mondo in due derivi da Potsdam anziché dal Cominform e dall’azione dei partiti comunisti. La critica di Gronchi riguarda l’evoluzione della politica estera del passato. [Non leggibile]. La possibilità è stata tentata ma non è stata accolta: bisogna che l’Europa sia unita. Iniziativa c’è stata da parte dell’Italia. Questo fatto tutta la stampa lo attribuisce come merito al nostro governo. Dobbiamo essere orgogliosi della bandiera assunta dall’Italia nella politica internazionale. Circa l’Unione europea: vari i piani e gli interessi. L’Italia arrivata per ultima cosa farà? Elettività. Realizz.[azioni] che più avranno base di concordia. Respinge tutti gli accenni fatti contro il min.[istro degli] Esteri. – Le questioni sono state poste e illustrate a tempo in America. – Contesta a Gronchi il giudizio circa la maggiore opportunità di Scelba alla Difesa. – Tutto quello che abbiamo – di armi – è dovuto all’America. – Gli dispiace il rimprovero che non si curi troppo la dignità nazionale. Ritiene che i progressi siano stati notevolissimi. (Applausi). In generale, si può dire che la politica del min.[istro degli] Esteri non sia stata attiva? C’è una tale diffidenza all’estero contro l’Italia che è assai difficile muoversi. Quindi le richieste di scioltezza e di duttilità dei rapporti vanno formulate prudentemente. La «sinistra» democristiana (sulla quale all’estero si specula) deve dire esattamente e per tempo – non quando c’è da prendere decisione – che cosa vuole. Il discorso di Gronchi è positivo pur con le critiche alla passata azione e manifesta l’urgenza di riforma di alcuni punti. Quanto ai p.[unti] del patto: – rispetto all’ONU – rispetto per tutti gli altri Stati; – rispetto allo hiatus : l’Italia ha le garanzie che ha tutto il resto d’Europa. La garanzia sta nell’intervento americano; – rispetto al non automatismo: bisogna essere prudenti per non dar luogo ad equivoci. Le considerazioni sul passato carattere retrospettivo. Deboli le raccomandazioni e le osservazioni. Quanto a Dossetti : ha comprensione della gravità della minaccia a est. Le caratteristiche particolari della Italia si ripetono anche in altri paesi. Giusta l’osservazione dei rapporti economici che debbono appoggiarsi anche all’Oriente. Tuttavia questi rapporti sono proprio nel genere del commercio. Contesta che ci sia stata a suo tempo la possibilità di garanzia unilaterale e difende l’opera degli strumenti diplomatici. Quanto al non automatismo esso è venuto dal Congresso americano. Un «automatismo» in Italia sarebbe stato incostituzionale , tanto più che è giustificato dall’interesse collettivo. Nel clima di solidarietà nuovo il cammino potrà ancora essere lungo. È soddisfatto delle espressioni avutesi sul gruppo. Difficoltà e perplessità ci sono. Però, dopo la discussione interna, diamo all’estero la sensazione che siamo convinti che si tratta di un p.[atto] di pace, di difesa, di assistenza. Se il p.[atto] si accoglie a qualsiasi titolo va sostenuto con tutta la forza. Pol.[itica] interna : sono fiamme da attraversare necessariamente. La questione è sempre quella. È stoltezza non vedere la grav.[ità] della situazione e non prendere le decisioni necessarie. Dobbiamo dare al paese la sicurezza di non essere isolati. |
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| Cari amici, occupandoci di argomenti apparentemente lontani dal vostro specifico settore, abbiamo lavorato con gli occhi fermi sul medesimo obiettivo: la pace. Abbiamo attraversato durante la guerra così rovinose vicende proprio nei campi e nelle zone agricole e se c’è una categoria che è per natura pacifica ed ha orrore della guerra, questa è senza dubbio, proprio quella degli agricoltori. Noi tutto ciò che vogliamo, tutto ciò che proponiamo, tutto ciò che accettiamo, è fatto con la visione della pace: per assicurare, garantire all’Italia un periodo di pace feconda in cui si possa lavorare e progredire, si possa ritornare al livello di vita prebellico, anzi migliorarlo, per assicurare l’operosità serena dei campi, come a quelli delle officine, di tecnici che dedicano la loro capacità a questa grande nutrice della patria che è l’agricoltura. Non mi sembra, quindi, privo di intima logicità il passaggio immediato da una discussione che riguarda le garanzie diplomatiche della pace ad un’altra che riguarda coloro che, con i valori dei tecnici e con le forze del braccio, creano e moltiplicano la produzione della terra. Lavorando per la garanzia e la difesa della pace, noi lavoriamo anche per lo sviluppo dell’agricoltura, perché venga un periodo in cui, superate le difficoltà della guerra e le necessità vincolistiche dei momenti di ristrettezza, allargati i commerci, aumentata la produzione, l’agricoltura possa essere sicura dai pericoli nuovi e tutti gli sforzi possano essere concretati nell’accrescimento della produzione e nel miglioramento dei suoi aspetti tecnici e delle sue caratteristiche sociali. Questo il mio augurio e il mio saluto, facendo voti che le vostre conclusioni portate innanzi al governo, possano essere accettate. Governo e tecnici devono operare come collaboratori, come alleati, nel primario interesse dell’agricoltura, ma contribuendo altresì al totale sviluppo delle possibilità del nostro paese. |
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| La riforma si propone di trasformare i braccianti o i contadini nullatenenti in piccoli proprietari o, ove ciò non sia possibile, in partecipanti agli utili dell’azienda agricola. A tale scopo s’impone ai proprietari grandi o medi una riduzione della loro proprietà, chiedendo loro di cedere una quota percentuale proporzionale e progressiva dei loro terreni a un Ente di riforma e colonizzazione, creato dallo Stato. Tale percentuale oscillerà fra il 20 e il 50% della proprietà; al di sopra di una quota di esenzione che sarà varia secondo il reddito del terreno e che può perciò estendersi da circa 100 ettari (coltura intensiva) fino a oltre 250 ettari (coltura estensiva). La quota reclamata per la riforma verrà pagata dall’Ente (rispettivamente dallo Stato) parte in contanti, parte con un titolo redimibile e verrà poi assegnata e distribuita ai contadini verso un pagamento rateale. Lo Stato interverrà con facilitazione di credito e con l’assistenza tecnica. Soprattutto esso provvederà – ove occorra – alla trasformazione agraria e promuoverà l’organizzazione cooperativa per la compera e la vendita cumulativa e per l’uso delle macchine. Altre provvidenze giuridiche ed economiche preserveranno la piccola proprietà dal pericolo del riassorbimento. Ma lo Stato interverrà soprattutto provvedendo alla trasformazione e bonifica delle terre, in modo che i contadini abbiano la loro casa e ogni altra possibilità di sviluppo. Si spera così di mettere a disposizione dei contadini un complesso di terre che oscilleranno tra un 1.200.000 e 1.500.000 ettari; il che non è poco, considerato che in Italia la grandissima proprietà non è, contro l’opinione in voga, molto diffusa. Difatti su un totale di 9 milioni circa di proprietari la metà possiede terreni che non danno un reddito catastale (calcolato nel 1938) superiore a 100 lire e solo 836 hanno un reddito di 200.000 lire e oltre; il che tradotto in ettari dà questa sproporzione; oltre la metà delle proprietà non supera il mezzo ettaro di superficie e solo 501 superano i 1.000 ettari. Al raggiungimento della quantità di terre sopra indicate, bisogna tener conto che concorreranno anche terre appartenenti allo Stato e ai Comuni idonee alla trasformazione, che si calcolano in 200.000 ettari. Si ritiene che l’attuazione della riforma si inizierà nelle cosiddette zone di bonifica, cioè nelle Puglie, in Lucania, nel Ferrarese e nella Maremma, trasformando e distribuendo circa 300.000 ettari. |
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| Sono esatte le notizie pubblicate in questi giorni a proposito del disegno di legge riguardante la riforma fondiaria? No; non sono affatto esatte. Quante inesattezze e quanti errori di criteri e di cifre! Io non posso non rammaricarmi di certe anticipazioni, che possono destare allarmi ingiustificati e turbare quella serenità, che è indispensabile quando sono in discussione riforme di tanta importanza. Di vero c’è che proprio in questi giorni il ministro dell’Agricoltura mi ha riferito intorno al suo progetto di riforma agraria. Era quindi naturale che, giunto il suo primo disegno di legge (quello riguardante i contratti agrari) a un punto decisivo della trattazione parlamentare, si ritenesse opportuno di completare il quadro affrontando la questione della riforma fondiaria. Ma il ministro non mi ha presentato ancora il progetto nel suo testo definitivo quale egli intende sottoporre al Consiglio dei ministri. Come è già stato detto, è fermo intendimento del governo seguire una procedura che permetta la più ampia discussione e il più sereno esame dei veri aspetti della riforma, delle sue possibilità e delle sue conseguenze. Il ministro sottoporrà al Consiglio i criteri direttivi di essa e proporrà che il Consiglio stesso demandi a uno speciale Comitato l’elaborazione in tutti i suoi particolari del progetto. Il Comitato potrà consultare tecnici e rappresentanti degli interessi agricoli e solo dopo questa procedura, il Consiglio dei ministri prenderà le sue conclusioni definitive e le presenterà al Parlamento. Come vede, non c’è nessuna ragione di supporre che si voglia sorprendere o sopraffare l’opinione pubblica e mettere gli stessi interessati davanti a un fatto compiuto. Siamo certi, però, che la stessa discussione dimostrerà con evidenza la bontà della riforma, che non deve avere nessun carattere di ostilità o di sanzione contro chicchessia, ma deve risultare un’opera di solidarietà sociale, allo scopo di ottenere una maggiore equità nella distribuzione delle terre e di aumentare col numero dei proprietari i presupposti di una sistemazione sociale fondata su un maggiore equilibrio economico e su una maggiore libertà effettiva. D’altra parte, non si tratta di sovvertire il corso naturale delle cose. Si tratta di inserirsi in una evoluzione terriera vecchia di cinquecento anni e soprattutto di accelerare quella formazione della piccola proprietà, che, dopo la prima guerra mondiale, aveva già raggiunto un aumento di un milione di ettari. Si spera, così, di ridurre il numero dei braccianti agricoli e, direttamente o indirettamente, il numero dei disoccupati. E la produzione? Tutto ciò deve essere fatto e sarà fatto senza compromettere la produzione, anzi, aumentandola, poiché alla nuova sistemazione della proprietà si assoceranno la bonifica e la trasformazione del suolo. La riforma, naturalmente, è un problema anche finanziario e, come tale, non può forzare certi limiti; dovrà, anzi, procedere per gradi, soprattutto per le necessità della trasformazione da attuarsi contemporaneamente. Voglio precisare subito che l’impresa è di tale importanza ed è accompagnata da tali difficoltà, che è ridicola l’accusa di chi vuol ridurla a una questione di carattere elettorale o di carattere pratico. Senza dubbio esiste un impegno fissato dall’art. 44 della Costituzione, ma tutto ciò non sarebbe sufficiente a farci affrontare ora un così vasto problema se non fossimo convinti che la riforma è una necessità politico-sociale e costituisce un’opera di solidarietà nazionale, alla quale sono chiamati a contribuire anche i proprietari. Tale contributo sarà progressivamente proporzionale e sopportabile. Non so immaginare delle resistenze preconcette o motivate da egoismi di classe nei confronti di una riforma che sarà presentata da un governo quanto mai sollecito dell’ordine, perché l’ordine per essere duraturo, presuppone il benessere del maggior numero, presuppone la giustizia sociale, la solidarietà di tutte le categorie della nazione. Si tratta, in sostanza, di avere disponibile, fra quote della proprietà privata e terreni di Enti pubblici, una tale quantità di terre, da poterle distribuire e, ove occorra, trasformare in misura superiore a quello che fu l’incremento della piccola proprietà dopo l’altra guerra. A tale opera saranno chiamati, in varia misura, tutti quanti: lo Stato, gli Enti pubblici, i privati. Per quanto riguarda i beni di Enti pubblici e soprattutto quelli dello Stato e dei Comuni, conviene premettere che essi, in grandissima parte, sono già soggetti ad usi collettivi (boschi, pascoli, ecc.) e che, in genere, sono anche difficilmente trasformabili: solo poco più di 200 mila ettari possono considerarsi oggetto di riforma. Né qui possiamo calcolare i terreni degli Enti di colonizzazione (Opera nazionale combattenti) in quanto per essi è già in corso il passaggio alla proprietà contadina. Rimangono le terre degli Enti di assistenza, beneficenza, Opere Pie, culto e istruzione; ma, a parte che un gran numero di esse non si potrebbe includere nella riforma, dato il suo modesto valore, è da tener presente la funzione sociale che quelle terre assolvono e che va conservata. Non è nemmeno immaginabile che una riforma destinata a sollevare i poveri, colpisca i più bisognosi. Basterà, quindi, imporre a tali Enti congrue opere di miglioramento agrario e l’adozione di una direzione tecnica, che porti ad un aumento della produzione. Ne consegue che le terre disponibili per la riforma si dovranno ottenere: 1) da una quotizzazione di beni patrimoniali dello Stato e dei Comuni suscettibili di coltura agraria; 2) da una riduzione proporzionale progressiva della proprietà privata. Entro quali limiti? Bisogna distinguere tra terre a coltura estensiva e terre a coltura intensiva. Bisogna, inoltre, ammettere che, data la grande varietà del suolo coltivato, non è equo parlare esclusivamente di ettari: si deve considerare anche il reddito. Il progetto Segni propone che nelle zone a coltura intensiva si parta da un reddito catastale (secondo il triennio 1937-1939) di 60 mila lire e nelle zone a coltura estensiva da un reddito di 50 mila lire. Le quote al di sotto di questo limite sono completamente esenti. Non è facile dire che cosa queste cifre significhino in ettari. Si calcola, per esempio, che il reddito di 60 mila lire nella zona collinosa Euganea equivalga, in media, a un terreno di cento ettari; a Velletri lo stesso reddito significherà in media 150 ettari. Altri esempi. Nel colle piano di Crotone a coltura estensiva, il reddito di 50 mila lire può significare 250 ettari, mentre nel medio Volturno, che si sta ora bonificando, un tale reddito di 50 mila lire può comprendere una media di oltre 300 ettari. Al di sopra di tale base di esenzione (60 mila lire o 50 mila lire di reddito catastale) vengono impegnate come contributo alla creazione della piccola proprietà delle quote percentuali progressive in quattro scatti secondo certe classi di proprietà: la prima da 60 (e rispettivamente 50) fino a 100.000 di reddito; la seconda da 100.000 fino a 200 mila; la terza da 200.000 fino a 500.000 e, finalmente, la quarta oltre 500.000. Si ritiene che per ottenere un «ammasso» – chiamiamolo così – di terre sufficienti alla riforma, la quota percentuale da richiedersi debba oscillare intorno a un minimo del 20 e ad un massimo del 50 per cento: tale massimo potrebbe riguardare tutt’al più cento ditte e forse meno. Quale ampiezza avrà la riforma? In altre parole, quante proprietà verranno chiamate a contribuire a questo «ammasso»? Per rispondere bisogna precisare che nella zona estensiva le proprietà private da prendersi in considerazione per questo «ammasso», sono 4.384, delle quali 2.714 con un reddito catastale da 50 a 100 mila lire; 1.134 con un reddito da 100 a 200.000; 477 con un reddito da 200 a 500.000 e 59 con un reddito oltre 500 mila. La loro superficie totale è di 1.733.719 ettari. Nella zona estensiva le proprietà da contingentarsi sono 3.376, delle quali 1.901 hanno un reddito da 60 a 100 mila lire; 1.097 hanno un reddito da 100 a 200.000 lire; 339 da 200 a 500.000 e 39 oltre 500 mila. Superficie totale 896.150 ettari. Le proprietà (ditte catastali) impegnate sarebbero, dunque, 7.760. Conviene, peraltro, aggiungere che sarà necessario tener conto anche dei beni delle società civili e commerciali, che nel catasto appaiono come unica ditta, ma che una ulteriore indagine dovrà identificare. Tali beni delle società civili e commerciali raggiungono 597.000 ettari. In conclusione si può ritenere che due terzi dei terreni impegnati per la riforma apparterranno alle zone a coltura estensiva e che i proprietari chiamati a contribuire saranno all’incirca 8.000 in tutta Italia. Come verrà indennizzata la quota richiesta per la riforma? Essa sarà pagata parte in contanti e parte con un titolo di Stato fruttifero redimibile. La determinazione dell’indennità dovrà essere fatta sollecitamente con vari criteri di valutazione e ricorrendo anche all’esperienza dell’Amministrazione finanziaria. Si propone, tuttavia, che gli Enti pubblici invece che all’indennità ricorrano alla concessione in enfiteusi, con canone in natura o ragguagliato a prodotti agrari; enfiteusi affrancabile dopo un più lungo tempo che non quello di venti anni previsto dal Codice civile. Tale enfiteusi potrà essere ammessa, a scelta, anche per i terreni privati. Si prevedono notevoli difficoltà tecniche di esecuzione? L’identificazione delle terre sottoposte alla riforma non dovrebbe presentarsi molto difficile dato che in ogni provincia non vi saranno, in media, più di cento proprietari obbligati alla contribuzione; e quando si pensi alla facilità con cui anche recentemente sono stati fissati i contingenti di ammasso dei cerali, non è da credere che convenga mettere in moto un meccanismo mastodontico o troppo complicato. Una volta compiuta l’identificazione della quota richiesta e fissato l’impegno, gli stessi proprietari, per un breve periodo, avranno la libertà di vendere o cedere in enfiteusi a contadini nullatenenti o con minima proprietà di terra, sotto il controllo di quello che sarà l’organo per la riforma fondiaria. Dopo tale periodo, se il passaggio non sarà avvenuto in base a libero contratto, lo stesso organo subentrerà nel possesso della terra, attuerà la riforma promovendo nello stesso tempo, ove occorra, la trasformazione fondiaria. I compratori dovranno essere scelti con cura, sia per assicurare la capacità tecnica e morale necessaria, sia per evitare speculazioni, sia, infine, per favorire la sistemazione della categoria bracciantile. La vendita dovrà essere rateata e gli acquirenti contadini dovranno poi essere assistiti col credito, con la consulenza tecnica, con l’organizzazione cooperativa per l’acquisto e la vendita collettiva e per l’uso delle macchine. Apposite provvidenze avranno lo scopo di tutelare e preservare la piccola proprietà di nuova formazione. Si può prevedere il costo della riforma? Esso sarà formato da due parti principali: il costo della terra e quello della trasformazione fondiaria. Il primo può essere ridotto dalle concessioni in enfiteusi, che, specie nel Mezzogiorno, potrà avere larga applicazione: il secondo potrà essere contenuto in limiti più modesti se si affiderà agli stessi contadini assegnatari (con congrui finanziamenti) l’esecuzione di talune opere, rendendo così possibile anche una certa capitalizzazione del lavoro contadino. Tutto considerato, tenuto conto dei casi di concessione enfiteutica, e prevedendo un certo ammontare di libera vendita contrattuale, i tecnici calcolano un onere complessivo per lo Stato di circa cento miliardi per l’acquisto delle terre e di circa quattrocento miliardi per la trasformazione. Si tratta, naturalmente, di un computo molto approssimativo. Questo importo di cinquecento miliardi, che potrà essere ripartito su parecchi bilanci, costituisce una difficoltà finanziaria notevole, ma non insuperabile. Debbo precisare che in tale cifra non sono calcolate le spese eventuali per le opere pubbliche di bonifica, che, dove saranno necessarie, non verranno eseguite per le sole quote soggette a riforma, ma saranno estese a tutti i terreni di determinate zone. L’intensificazione della bonifica, che si otterrà con i settanta miliardi deliberati recentemente dal Parlamento e destinati dall’ERP alle opere di bonifica e miglioramento, concorrerà, in certi comprensori, anche alla più rapida attuazione della riforma fondiaria. Si prevede che l’organo centrale della riforma, cioè l’Istituto per la riforma fondiaria e per la colonizzazione, avrà organi periferici con composizione prevalentemente tecnica e si prevede anche che, nei limiti della legge statale, le Regioni, là dove sono costituite, avranno un largo compito nell’esecuzione della riforma. Dove avrà inizio la riforma? Si può ritenere che l’inizio dell’attuazione potrà avvenire in zone bene caratterizzate per la composizione delle proprietà e la natura dei terreni, zone che potranno chiamarsi comprensori della riforma e della colonizzazione e che, in gran parte, si identificheranno con comprensori di bonifica già esistenti. Concentrando gli sforzi su queste zone di circa 300.000 ettari (esempio: Puglie, Lucania, Ferrarese, Maremma) si potrà arrivare entro breve temine a una prima rapida attuazione. Sono state contemplate delle eccezioni? Per quanto le esperienze di tutte le riforme agrarie del primo dopoguerra dimostrino che la formazione di una nuova piccola proprietà coltivatrice è quella che meglio corrisponde alle esigenze della giustizia sociale e della stessa libertà individuale, il progetto Segni non esclude che in certi casi si possa rinunciare alla lottizzazione. Si tratta di zone a particolare struttura economica, come quelle, ad esempio, a produzione lattifera in Lombardia o di aziende eccezionalmente attrezzate e industrializzate cui una amputazione potrebbe riuscire forse fatale. Si tratta, comunque, di non molte aziende per le quali, ove non sia possibile lo spostamento dell’obbligo da una proprietà all’altra, gli scopi sociali della riforma dovranno conseguirsi attraverso apposite forme associative di partecipazione ai prodotti e agli utili. Non è il momento di entrare in dettagli, che verranno discussi a suo tempo, ma è certo, per esempio, che nella fissazione della quota si dovrà tener conto della costituzione della famiglia del proprietario, cioè del numero dei suoi figli. |
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| 91946-1950
| Fin dalla primavera del 1946, avvertendo la primaria importanza delle relazioni internazionali, io ebbi ad occuparmi vivamente del problema riguardante la rappresentanza italiana in seno alla organizzazione culturale mondiale. Ho seguito, poi, gli sviluppi della attività e sono ben lieto di porgere il mio più vivo ringraziamento al presidente e a tutto il corpo insegnante per la loro opera attiva. Come forse saprete, il Congresso per la Federazione mondiale delle Nazioni Unite si terrà questa estate a Roma sotto la presidenza del signor Evatt, al quale mi è gradita l’occasione per inviare il mio benvenuto e l’augurio più vivo di buon lavoro e di successo. Bisogna che gli italiani si preparino per le relazioni internazionali. Abbiamo bisogno di uomini addestrati in tutti i campi per rappresentare il paese nelle conferenze internazionali, uomini che abbiano la necessaria armatura tecnica, giuridica, linguistica. Bene ha fatto la Società ad includere tra gli argomenti dei corsi quello odierno del controllo nelle amministrazioni fiduciarie. Tale istituto è perfettamente in linea con il concetto che l’Italia possiede in materia coloniale. Le nostre attuali rivendicazioni non si fondano, infatti, su un diritto di conquista ma sopra esperienze fatte e benemerenze acquisite. Non si tratta di una impostazione momentanea e tattica. Bisogna spiegare al nostro pubblico, ma soprattutto a quello mondiale, la sincerità di tale nostra impostazione. Il popolo italiano è convinto che il suo avvenire risiede nella collaborazione fra le nazioni e la stampa dovrebbe trovarsi sempre su tale linea senza dare l’impressione che si voglia tornare indietro. Vorrei che la mia voce giungesse da questa sala fino all’Assemblea delle Nazioni Unite perché si comprendesse da tutti il diritto morale che l’Italia possiede in Africa in base ad una missione compiuta e ad una missione che rimane ancora da compiere. Qui, in Italia, esistono associazioni e correnti che si propongono di radicare sempre più nella pubblica opinione tali convinzioni. La volontà di collaborazione del popolo italiano vale soprattutto per le terre da amministrare comunemente chiamate coloniali. Gli altri popoli non devono deludere nell’interesse della pace e del progresso le legittime aspirazioni e le speranze del popolo italiano. |
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| 91946-1950
| Devo ringraziarvi di questa dimostrazione della quale sento la sincerità e la profondità. Sento che in me voi vedete l’interprete, il rappresentante della idea che arde nei nostri cuori. Ed è veramente così. Se io mi domando: a che cosa pensiamo nei momenti più angosciosi di una decisione? Quale è il faro che in certi momenti illumina il sentiero su cui dobbiamo muoverci? Quale è la voce che si fa sentire nella nostra coscienza prima dell’azione? Nei momenti critici viene in soccorso senza dubbio il programma del partito, la direttiva del partito, l’esempio dei maggiori, ma rimane pur sempre il dubbio se la strada che si deve prendere sia proprio quella, o non sia una più vicina, o una alquanto diversa. Quale è il grido della coscienza? Nel momento decisivo è la coscienza che spinge l’uomo a una decisione. Abbiamo avuto recentemente un lungo travaglio per il Patto atlantico. Era naturale che ci fossero delle titubanze, delle obiezioni che nascevano dalle cose e dagli uomini, dalla conoscenza maggiore o minore dei rapporti internazionali. Io vi dico che, sommate assieme tutte queste ragioni favorevoli e messe di fronte a tutte le ragioni contrarie tentando razionalmente un bilancio, non saremmo arrivati a decidere per il sì, perché ragioni di dubbio rimangono sempre nelle questioni a carattere collettivo. Ma la decisione, la parola ultima viene dalla nostra coscienza: e viene dalla nostra coscienza quando, dopo molto pensare, dopo molte considerazioni, ad un certo momento si ha l’impressione che la voce della coscienza di colui che deve proporre o spingere alla decisione è sincronizzata col senso comune, col buonsenso del popolo. In un certo momento quello che dà il colpo alla bilancia è questo: è l’interesse del paese, e l’interpretazione che il popolo dà di questo interesse. Se avessi potuto consultarvi uno ad uno che cosa avreste detto? Avreste detto di sì. Non abbiamo indovinato? Al di là delle discussioni abbiamo sentito che il popolo, sarebbe stato per il sì: sì, cioè pace nella difesa e nella sicurezza. Questa è la volontà del popolo italiano. Ha detto bene l’amico Sangalli ricordando un mio modo di dire che ripeto spesso: un partito non è fine a se stesso; un partito è l’organizzazione di una buona volontà che ha un certo programma con un certo spirito, che viene da concetti superiori a quelli che possono muovere la vita quotidiana ed è al servizio di una causa. Questa causa non può essere che la patria italiana. Vi prego di non dimenticare che noi avremo prossimamente il nostro Congresso, il Congresso del partito; ebbene, amici miei, io vi dico che al Congresso si discuterà solo sul modo migliore di servire il paese. È naturale che quando si comincia a creare una coscienza di partito, cioè un legame di fraternità nel combattimento, ci si preoccupa sopratutto di questo. Quando si diventa partito di maggioranza, interprete della maggioranza del paese, allora, pur mantenendo nel nostro cuore, nel nostro sentimento le nostre idee particolari, noi abbiamo il compito e il dovere di prospettare innanzi alla nostra coscienza quello che può essere il modo migliore di servire il paese. Non domandate se è meglio andare a sinistra o a destra. Queste sono espressioni a cui ricorriamo perché abbiamo bisogno di questa topografia per intenderci. Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire che bisogna andare verso la giustizia sociale. Vuol dire che bisogna muovere lo Stato a servire di più il popolo e le classi popolari. Bisogna comprendere che a questo scopo si può servire su tutto lo schieramento del partito: importante è che le nostre intenzioni, i nostri propositi siano di progresso e per procedere bisogna non arrestarsi a difendere privilegi e posizioni acquisite. E se anche talvolta si sente dire che il nostro partito è un partito di conservazione, che ha bisogno di stimoli dal di fuori per poter progredire, io vi dico francamente che accettiamo anche gli stimoli dal di fuori, perché abbiamo sempre bisogno di stimoli nella nostra vita, stimoli per l’educazione a cominciare da quello del maestro di scuola, stimoli nel lavoro, stimoli in genere per superare una fatica, stimoli da qualunque parte, e se ci vengono da parte dei nostri collaboratori sinceri, tanto meglio. Su questo nessuna gelosia, ma noi affermiamo che lo stimolo principale deve essere la nostra coscienza. Dove si troverà la tenacia per arrivare alla mèta; dove la pazienza per superare le difficoltà? Questo metodo democratico, che pure è il migliore che il consorzio umano abbia inventato, è tutt’altro che semplice. Continui discorsi, continue agitazioni, una Camera, due Camere, elezioni, sopra elezioni, quanta fatica! Io non parlo male di questo sistema, perché abbiamo avuto tali esperienze nel passato per concludere che è il meno peggio che può toccare al mondo. Io mi domando: come si superano queste difficoltà? Ammettiamo che c’è sempre un lato tecnico nei problemi. Prendete ora la riforma agraria. Ha il suo lato tecnico: non bisogna sbagliare sulla applicazione pratica di una regola di giustizia, non bisogna sbagliare dal punto di vista finanziario. Politica vuol dire realizzare. Tutti questi problemi sono problemi tecnici e quindi discussione ci deve essere, ci deve essere ampia possibilità di fare delle obiezioni in modo da realizzare uno studio molto serio che tenga conto dei diversi punti di vista. Ma tutto questo serve ancora a niente, se non c’è la sete di giustizia. Noi le supereremo le difficoltà tecniche, ma se avremo la volontà ferma. Abbiamo curato di averla. Non ci hanno creduto. Ci crederanno. Amici miei, vi ricordate una seduta che avvenne in questa sala, una delle prime dopo la liberazione? C’erano tutti coloro che si erano battuti, c’erano i rappresentanti dei partigiani nostri amici. Presso alcuni c’era una certa diffidenza da principio verso i vecchi che venivano da Roma. Sembrava che rappresentassimo il mondo vecchio, il mondo che non avrebbe tenuto conto di questo concorso, del contributo dato dalla gioventù. Non è stato vero; noi ne abbiamo tenuto conto. Forse si sarebbe potuto tenerne conto di più ancora se una parte dei partigiani non avesse voluto scontare la palma del patriottismo con vantaggi di partito. Se non fosse nata la diffidenza sugli scopi per cui si voleva puntare sui meriti del passato. Non dimenticherò mai l’entusiasmo, anche in mezzo alle contraddizioni, che abbiamo goduto in quella seduta, qui, in presenza di ottimi amici un po’ ancora pugnaci, col sapore acre della montagna da cui erano appena discesi. Oggi dopo la prova di tre anni sono certo che i nostri partigiani ammetteranno che abbiamo assorbito in noi tutto lo spirito della liberazione. Ma la liberazione, la salvezza, la indipendenza del paese vuole sopratutto la libertà all’interno, nessuna sopraffazione all’esterno, pace e sicurezza contro coloro che alla pace attentassero. Ecco che così decidendo sul Patto atlantico, noi ci siamo ricordati di quei nostri giovani che avevano sofferto e degli scopi per i quali avevano combattuto. Ed oggi ancora crediamo di essere sulla linea della Resistenza perché bisogna resistere, bisogna resistere sopratutto al male, alla violenza delle passioni che furono esiziali sempre in tutta la storia d’Italia, bisogna resistere ai nazionalismi fatali e cercare la collaborazione internazionale in un mondo che si ricostruisce su basi nuove. In questi giorni c’è un po’ d’ansia per le colonie. È vero, amici, siamo in una situazione molto difficile. Molto difficile, ma non noi, democratici, meritiamo rimproveri. Nel Trattato abbiamo rinunziato giuridicamente alle colonie ma non al nostro diritto morale. Non bisogna che coloro i quali dimenticano così facilmente la storia di ieri, coloro i quali hanno plaudito alle aggressioni vengano a fare rimproveri a noi. A noi che eravamo al bando della società politica e civile, a noi che siamo stati perseguitati in quel periodo perché liberamente volevamo dire: badate che conducete il paese nel baratro. L’hanno voluto fare e pretenderebbero da noi che riuscissimo, a furia di arte diplomatica, di eloquenza, di argomentazioni, a cancellare il ricordo della notte di Alessandria . Abbiamo diritto di chiedere la possibilità di continuare la nostra missione civile nelle colonie perché l’attività del popolo italiano in Africa, dalla prima colonia prefascista in qua, ha costituito un contributo prezioso per la civiltà. In virtù dell’esperienza fatta abbiamo il diritto di chiedere la continuazione di tale contributo. L’ho detto, lo possiamo affermare, che abbiamo il diritto. Ma per essere veramente sinceri e corrispondere lealmente alla realtà, anche se questa realtà storica è dimenticata, bisogna che diciamo anche che stiamo lottando contro le conseguenze di una guerra e di una politica disastrosa, che venne imposta da uno Stato-partito il quale negava ai cittadini, ai migliori cittadini, ai democratici cristiani, ai democratici in genere, qualsiasi intervento nella direzione della politica. Non vogliamo tornare più a questa pericolosa situazione, anche se ora lo Stato-partito viene invocato con argomentazioni di estrema sinistra. Non pretendete che noi siamo meno cauti e meno restii ad accettare il loro ragionamento. Non ci vengano a dire: «noi parliamo a nome dei partigiani». Non ne hanno il diritto. Perché moltissimi partigiani sono nel campo nostro e sopratutto i partigiani migliori, quelli che hanno combattuto per la patria e solo per la patria, senza riservare nulla al partito. Non ci vengano a dire che vogliono la pace perché essi predicano la diserzione dei cittadini in caso di guerra e preparano la porta spalancata in caso di invasione, quando essa venisse dallo Stato-partito. Le decisioni popolari sono state chiare, precise e ci hanno dato il mandato che noi osserveremo fino alla fine. Non si mettano in testa i nostri avversari perché sentono che si discute in seno alla Democrazia cristiana, che ci prepariamo a degli scismi. Nel momento decisivo nessuno si metterà dall’altra parte, nessuno diserterà. Senza dubbio anche nei partiti che ammettono la libertà di discussione, certe regole sono indispensabili onde mantenere una certa fisionomia, e sopratutto per non disorientare la gente la quale ha bisogno specialmente di vedere chiaro su alcune cose fondamentali. Ma nessun partito corre ora rischi semplicemente per le posizioni dialettiche o dell’uno o dell’altro. Il partito corre il rischio di perdersi e infrangersi solo quando non abbia la convinzione profonda delle sue essenziali direttive e dei suoi principi essenziali. Questo il popolo, i nostri gregari combattenti in prima fila, non lo permetteranno mai. Dunque non si illudano tanto i nostri avversari. La Democrazia cristiana ha provveduto da sé a che non diventi un governo di partito. Ha provveduto largamente e non chiede ai propri cooperatori che rinuncino minimamente alle loro idee. Chiede che mettano le loro idee al servizio del paese, come lo chiediamo a noi stessi. A me pare di poterlo dire, di dire il vostro pensiero, di vederlo nei vostri occhi. Ebbene, nel momento decisivo saremo tutti in un pensiero solo. I nostri avversari non facciano calcoli sopra una divisione del partito. Sbagliano i conti. Non ci sarà. Sapete perché? Perché la Provvidenza ci ha dato giorno per giorno compiti così duri, combattimenti così aspri. Il dissolvimento di un esercito può accadere a Capua, dopo una battaglia, dopo una grande vittoria, non durante il combattimento. Noi combattiamo e ci batteremo sempre, in tutte le elezioni parziali, fino alle grandi elezioni. Amici miei, tutti i partiti hanno un loro compito, il contributo di tutti può essere prezioso in quanto essi si assoggettino al criterio pregiudiziale di servire il paese, ma ammesso questo, noi non esageriamo dicendo che le sorti della patria dipendono nei momenti più critici dalla compattezza, dalla forza di unità, e dallo spirito di libertà del Partito democratico cristiano. Noi non mancheremo a questo compito. Ci saranno delle debolezze impastate di polvere, siamo uomini; vi sono delle ambizioni, vi sono delle insufficienze, ma quando c’è il cuore fermo e la mente chiara e la fedeltà del popolo è sicura, noi non mancheremo alla meta. Amici miei, guardate con ottimismo all’avvenire; noi siamo appena alle nostre prime vittorie; ne seguiranno altre più costruttive e più decisive per il nostro paese. |
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| Sir Stafford, nel darvi questa sera il benvenuto nella Città Eterna, vogliamo dirvi con quanto interesse seguiamo in Italia lo sforzo mirabile che voi state compiendo per la ricostruzione della vostra nazione nei suoi riflessi economici e sociali. Io spero che il contatto diretto e più personale col nostro paese e con gli uomini che si occupano della nostra cosa pubblica, vi confermerà l’impressione che anche in Italia vi sono degli uomini di buona volontà che tendono con ogni sforzo, verso la giustizia sociale, cioè verso una riforma della società che garantisca a tutti la libertà, la dignità della vita e un eguale accesso ai beni sociali. I tempi e la tecnica della realizzazione possono essere diversi, a seconda delle differenti condizioni e dei diversi punti di partenza. L’Italia è un paese spogliato dagli stranieri e dall’asperità di una guerra civile; e, dopo un ventennio di controllo statale e totalitario, il popolo italiano fu preso da una irrefrenabile aspirazione, non solo alla liberà politica, ma anche a tutte le libertà. Gli uomini che nel periodo della ricostruzione furono chiamati a ridestare il sentimento della solidarietà civica e della volontaria disciplina democratica, dovettero tener conto di questa naturale reazione psicologica. Si aggiunga che la libertà si impose ancora come postulato primordiale, quando i democratici dovettero fronteggiare il pericolo di un nuovo Statopartito. Ma noi sappiamo, e lo abbiamo proclamato, che il popolo non può amare la libertà se non la vede associata ad una maggiore giustizia. La giustizia noi tendiamo ad attuarla, sia all’interno nei rapporti sociali ed economici, sia all’esterno, nei rapporti internazionali, chiedendo al mondo la parte che spetta al nostro popolo lavoratore. Noi faremo ogni sforzo per meritare il posto che abbiamo ottenuto nella cooperazione internazionale; speriamo, sir Stafford, che la vostra gradita visita vi offra argomenti per dare buona testimonianza per questa Italia nuova, democratica e lavoratrice. Voi, pur così gravato di problemi economici e finanziari, avete sempre proclamato e professato la fede nelle forze superiori dello spirito, senza le quali ogni riforma fallisce. In queste vostre concezioni spiritualistiche troviamo un nuovo vincolo che unisce le nostre speranze in un mondo più pacifico e più giusto. |
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| Cari amici, è passato appena un anno dal giorno in cui ci incontrammo in questa stessa piazza . La mia presenza, allora, era più che naturale perché si trattava di elezioni politiche e tutti gli uomini politici avevano il dovere di esporre le linee programmatiche del proprio partito. Meno naturale può apparire che io vi parli oggi, dato che la prossima consultazione investe una questione eminentemente regionale. Anch’io pensavo, in verità, che questa campagna elettorale si dovesse svolgere senza intervento dei rappresentanti politici nazionali, ma probabilmente è un segno della poca maturità della nostra democrazia quello di trasformare in lotta politica ogni questione di carattere amministrativo. Gli amici di qui mi hanno infatti detto che, specialmente per colpa del Partito comunista, la lotta è diventata politica. E investendo addirittura le premesse, c’è chi parla a favore e chi contro l’ordinamento regionale e l’autonomia dell’isola. Su questo però, ogni discussione è superflua perché l’autonomia c’è e diventerà un fatto compiuto con le elezioni dell’8 maggio. Certo l’importante è vedere se essa sarà un bene o un male. Sarà una fortuna se i sardi saranno uniti e concordi: sarà una disgrazia se il Consiglio regionale diventerà un’assemblea di disgregazione politica ed economica. Allora potranno essere distrutti anche i frutti, e non sono pochi, delle realizzazioni che il governo ha compiuto e va compiendo nell’isola, specialmente nel campo della trasformazione fondiaria e delle bonifiche. Un oratore comunista ha detto, in un comizio, qui a Nuoro: che cosa sono mai quelle poche centinaia di zanzare che vengono distrutte in Sardegna e di cui il governo porta tanto vanto se poi la gioventù sarda in conseguenza degli impegni assunti proprio dal governo col Patto atlantico dovrà morire sui campi di battaglia? È la solita fissazione comunista che qualsiasi cosa si faccia con gli aiuti americani è sempre e solo in funzione e in preparazione della guerra. Il Patto atlantico, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, è uno strumento di pace e questa valutazione è tanto vera che già appena dopo la sua firma si sono cominciati a vedere i primi sintomi di distensione internazionale in relazione al problema tedesco. Ma tanto per i comunisti non c’è altra meta che quella di trasformare l’Italia in un paese balcanico: è questa linea di condotta politica che ha reso e rende impossibile qualsiasi collaborazione al governo dei socialcomunisti. Ed è proprio sintomatico che a proposito della collaborazione governativa ci si trovi fra due fuochi perché anche dalla destra ci si accusa di accettare la collaborazione di partiti che non hanno la nostra stessa convinzione religiosa. La verità è che noi accettiamo la collaborazione di tutti i partiti che sono disposti effettivamente e lealmente a collaborare su basi democratiche. Noi vogliamo che il passato sia dimenticato ma non possiamo accettare le rivendicazioni e la riabilitazione del passato perché vogliamo il rispetto della libertà e della democrazia, perché non siamo disposti a tollerare il ritorno delle dittature. |
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| Amici elettori, mi presento a voi non come presidente del Consiglio, ma come vostro eletto, come il primo eletto della città di Roma, e ricordando l’affermazione gloriosa della città, 450 mila voti, sento la responsabilità massima che ho assunto dinanzi a voi in modo particolare. Debbo far precedere un ringraziamento speciale non soltanto agli organizzatori di questa manifestazione così bene riuscita, ma sopratutto a coloro, primo il segretario politico e poi ai suoi collaboratori, che hanno, durante questo periodo, rafforzato, migliorato numericamente, e rassodato moralmente le file del partito. Accetto sopratutto come un impegno e come un proposito quello della unità del partito, unità che ammette discussione, ma non ammette punzecchiature ed esige forza, occhio chiaro verso la meta e comuni sforzi. Incominciando il mio rendiconto, vi racconterò l’ultima storia della Sardegna. Recatomi in Sardegna, trovai una guerra iniziata, ma questa guerra era prima contro le cavallette ed oggi è contro le zanzare e contro la malaria. Avevamo speso finora due miliardi e 600 milioni contro la malaria, ed avevamo raggiunto dei successi cospicui tanto che, mentre tre anni fa in Sardegna si erano avuti 73 mila malati di malaria, lo scorso anno si era scesi a 13 mila; oggi speriamo, con la coordinata azione fra l’Istituto Rockefeller ed il governo italiano, che ha deliberato un nuovo aiuto di 3 miliardi e 200 milioni, di arrivare a distruggere totalmente la malaria in Sardegna. Ciò vuol dire bonifica, risanare il popolo e risanare anche la terra. Risanare la terra è un’opera di ricostruzione magnifica su cui tutti dovranno essere d’accordo. Ebbene no: abbiamo trovato in Sardegna l’onorevole Togliatti, il quale ha fatto innanzi agli elettori sardi questo ragionamento: che cosa importa ammazzare alcune migliaia di zanzare, quando lo stesso governo e gli Americani vi condurranno un giorno, voi sardi sempre pronti a combattere, a morire per una guerra che non è la vostra? Ecco l’elemento politico, l’elemento internazionalista, l’elemento di passione e di fazione introdotto in una campagna che doveva essere fondamentalmente amministrativa e ricostruttiva. E sulle cantonate ho visto un manifesto in cui si diceva questo: «De Gasperi ha detto a Zellerbach: pazienza fino all’8 maggio. Dopo vi darò Olbia e Porto Torres per le vostre bombe atomiche. Sardi col voto dell’8 maggio impedite a De Gasperi di dare esecuzione ai suoi piani di guerra». Queste calunnie e queste accuse hanno trasformato tutta la campagna della Sardegna in campagna estremamente politica. Ma Togliatti non fu il solo ad includere l’argomento estremamente politico nella campagna amministrativa. Ci fu anche l’impostazione monarchista, cioè l’intrusione nelle elezioni della questione istituzionale, della forma e regime dello Stato, come se non se ne fosse mai parlato, come se essa non fosse già stata decisa. Quando alla Camera sono stato interpellato sull’argomento io ho risposto, e non potevo come presidente del Consiglio della Repubblica italiana che rispondere così, che la soluzione del 2 giugno era definitiva . Mi si è detto: niente è definitivo in questo mondo. Lo so. Volgiamoci a guardare la storia: quanti rivolgimenti improvvisi portano a conseguenze non prevedute! Però l’art. 139 della Costituzione, dice che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Lo so che giuridicamente si potrebbe forse trovare il modo di cambiare questo articolo e quindi di ricorrere eventualmente a un referendum; ma non parlo qui da giurista, parlo da uomo politico, responsabile e preoccupato delle sorti della ricostruzione italiana. La Costituzione ha scelto la formula generalmente usata, come ripeto, dalle costituzioni per stabilire e per dare alla volontà costituente un carattere di maturazione e di longevità che si proietta nell’avvenire. Badate che la Costituzione è stata preceduta dal referendum del 2 giugno; referendum, ricordatevi bene, nel quale noi, particolarmente noi della Democrazia cristiana, abbiamo lasciato libertà di azione; referendum nel quale tutti hanno potuto votare come volevano; il patto era fra Monarchia e paese, e si era lasciata arbitra la decisione popolare sulla questione che divideva gli italiani. Questa decisione è avvenuta: è un impegno sacrosanto che bisogna mantenere e chi non l’accetta rischia di sovvertire le basi dello Stato italiano. Abbiamo allora raggiunto una base di convivenza civile, una base dello sviluppo democratico; scuoterla oggi, non vuol dire scuotere un regime o un governo, ma vuol dire scuotere le basi della democrazia. Solo dopo aver superata la questione istituzionale abbiamo potuto raccogliere le forze per la battaglia suprema, per le libertà democratiche all’interno, solo con questa capacità deliberante del popolo, con questa maturità e dignità, manifestate innanzi agli altri popoli, abbiamo dimostrato la esistenza di una Italia nuova e democratica, in nome della quale abbiamo potuto strappare qualche vantaggio, e iniziare un faticoso, un parziale risorgimento dalle condizioni in cui la guerra ci aveva portato. Ed ancora oggi siamo sempre sospetti di essere mutevoli, di essere un popolo titubante fra il passato e l’avvenire, di essere oscillanti fra la libera democrazia e il bolscevismo. Ed i malevoli quando ci osteggiano sullo scacchiere internazionale dicono: è inutile contare sull’Italia, la situazione democratica dell’Italia è precaria, potrebbe cambiare da un momento all’altro, non ci si può contare, lasciamola da parte. Eppure noi abbiamo bisogno di questa fiducia, perché le nostre ragioni in favore dobbiamo ricercarle solo nella nostra dirittura morale e nella nostra coscienza democratica. E sopratutto abbiamo cercato e cerchiamo tutt’oggi di ottenere il suffragio e la fiducia internazionale verso un sistema di governo che poggia sulla roccia solida di un partito a larga base come il nostro, che ha le sue radici nell’humus popolare e un impulso di rinnovamento nel suo concetto cristiano, ma tuttavia parte da una visione panoramica delle varie tendenze ricostruttive della democrazia, delle esigenze dell’Italia e del paese. Ecco quindi che cerca e accetta la leale collaborazione di chi è mosso dall’umanesimo socialista e si alimenta delle due grandi correnti tradizionali del Risorgimento, purché tutti abbiano l’idea fondamentale e centrale di difendere la democrazia, come è nata dalla Costituzione, dai pericoli di tutte e due le estreme, dalla estrema sinistra e dalla estrema destra, e tutti vogliano tendere con uno sforzo supremo alla nostra ripresa economica, senza consolidamento di privilegi, ma con il cuore e la mente aperti verso i lavoratori. Vogliamo fare una politica internazionale senza nazionalismi, ma con la fede nella nuova Europa, che non è come si va dicendo una utopia: è una speranza fondata, ed è sopratutto una necessità se si vuole salvare la pace. Questo difficile sforzo non sempre da tutti rapidamente compreso, è stato uno sforzo meritorio che ci ha portati al 18 aprile e ad un patto di sicurezza con popoli liberi e progrediti, alla unione con la Francia, all’unione europea; questa è politica di ricostruzione e di unione internazionale, unione e concentrazione che è minacciata sopratutto dal bolscevismo e dalla solidarietà dei socialisti non democratici col bolscevismo russo. Ecco lo schieramento reale delle forze politiche. Quando assisto alla discussione nei diversi partiti, fra tendenze di sinistra e di destra, mi pare che si sia per perdere il senso della realtà e la visione delle grandi linee della nostra battaglia. Ma ecco il Congresso socialista di Firenze nel quale l’onorevole Basso ci ricorda qual è il vero schieramento e la vera linea di battaglia . Vi leggo le sue parole: «la lotta di classe non può essere considerata come un fenomeno accanto ad altri fenomeni, come il parlamentarismo borghese e la democrazia borghese… Il fenomeno della guerra non può essere avulso dal fenomeno della lotta di classe. Tutte le guerre sono aspetti del fenomeno della lotta di classe… La vecchia classe non capitola senza combattere ed è disposta a scatenare sul mondo una guerra dopo l’altra, pur di difendere i suoi privilegi. Noi siamo nello schieramento delle forze internazionali proletarie contro lo schieramento delle forze capitalistiche… La distinzione fra gli interessi della classe lavoratrice e quelli dello Stato sovietico è la distinzione più reazionaria che si possa fare. Non si può fare nessuna distinzione fra gli interessi del proletariato sovietico e quelli dello Stato sovietico… Non si deve sottacere che noi riconosciamo nello Stato sovietico la guida delle classi lavoratrici. Bisogna essere estremamente chiari. Chi si schiera dalla parte della borghesia accetta, lo voglia o non lo voglia, la guida dei paesi capitalistici. Chi si schiera dalla parte del proletariato accetta, lo voglia o non lo voglia, la guida dell’Unione Sovietica, che è il paese più avanzato sulla via del socialismo…» . Mi pare chiaro, amici miei: Russia da una parte e tutto l’Occidente dall’altra. Notevole è anche il discorso e il saluto di Togliatti che esalta il patto d’azione, cioè il vincolo tra comunismo e socialismo dichiarandolo elemento permanente della situazione italiana, e aggiunge: «non vogliamo sopprimere il Partito socialista, perché siamo intelligenti» . È vero, Togliatti e i comunisti sono intelligenti, ma anche il popolo italiano è intelligente. Quella di Togliatti è la stessa intelligenza e la stessa manovra machiavellica che ha creato prima il Fronte di Garibaldi, poi i comitati della pace ed ora la petizione contro il Patto atlantico. Tutte queste azioni sono dirette apparentemente da illustri personaggi prestanome costituenti però una cortina fumogena di generiche affermazioni umanitarie anticlericali e che nascondono dietro di esse la realtà cruda e conquistatrice del bolscevismo. Il popolo italiano l’ha capito il 18 aprile e io spero che non lo dimenticherà mai, sono sicuro che, se domani la battaglia lo imponesse, il popolo italiano avrebbe non meno intelligenza dei comunisti. Amici miei, a questo schieramento noi abbiamo opposto lo schieramento di governo, uno schieramento politico con una larga base unitaria, ricostruttiva, generosa, liberale che si prefigge gli ideali del Risorgimento rinnovato e sostanziato da riforme sociali secondo giustizia e che costruisce e vuol costruire la democrazia italiana su un patto di convivenza civile, su un patto popolare quale fu il referendum del 2 giugno. E pare patriottico a certi monarchici il tentativo di tornare a dividere gli italiani sull’argomento istituzionale! Dopo due anni da quando siamo sul cammino aspro per la ricostruzione della patria e dobbiamo difenderci dall’immenso, dal vero, reale pericolo bolscevico, dovremmo, secondo costoro, tornare indietro per discutere ancora sulla forma istituzionale? Il popolo ha bisogno di vita, di fede, di speranza nell’avvenire e lo nutriremo di nostalgie del passato? Noi, insieme agli americani, facciamo la lotta alla malaria e certi monarchisti sussurravano al popolo minuto in Sardegna che proprio da Washington era venuto il suggerimento del ritorno del re e così i sardi si orientarono a fatica e non si sono accorti che lavoravano per Togliatti perché la meta di Togliatti è chiara: rendere impossibile una maggioranza democratica di centro nella Giunta regionale della Sardegna. A tutto il resto si penserà poi, tutto il resto diventa secondario, quello che più importa è abbattere questo centro di resistenza e di solidarietà democratica, poi verrà l’ora della conquista bolscevica. Avvenne così che in certe zone anche i comunisti guadagnarono terreno in Sardegna, ma in quelle operaie non ebbero il progresso che si ripromettevano. È naturale che quando da destra e da sinistra si attacca la Democrazia cristiana, se ne fa un mostro di guerra, si dice che è un partito influenzato dal Vaticano, di sentimenti reazionari, che vuole e cerca la guerra, è naturale che a forza di dir male da sinistra e da destra qualche sardo abbia finito per votare per Spano. Perché se dovrà battersi contro il mostro, cioè la Democrazia cristiana, l’anti-mostro più forte è il comunismo. Ecco l’impresa dei monarchici e dei loro finanziatori. E forse non è stato male che questa avvisaglia sia avvenuta. L’onorevole Saragat ha scritto il 12 maggio un interessante articolo polemico contro gli oppositori nello stesso partito della democrazia socialista. «I compagni che sino a ieri si sono ostinati a vedere nella Democrazia cristiana il nemico principale da combattere debbono ricredersi. In assenza di una vera coscienza democratica, la Democrazia cristiana ha rappresentato sopratutto per virtù del suo leader un momento di arresto nel processo di slittamento di una larga parte del corpo elettorale verso destra. Oggi il moto riprende e purtroppo non nella nostra direzione ma in quella opposta». Ed è naturale che la meta non è tanto la Democrazia cristiana – perché tutti sanno che i nostri voti, diminuiscano o aumentino, saremo sempre un partito forte – ma la meta, il bersaglio della lotta non è il partito della Democrazia cristiana, è la politica delle forze centripete verso la ricostruzione di una Italia democratica. Vi sono due forze in Italia, due grandi schieramenti: forze centripete che mirano ad appoggiare il centro; e forze centrifughe che mirano al contrario, e tra queste ultime forze vi sono tanto gli estremi di destra quanto gli estremi di sinistra. Vi è stato lo sfruttamento di sentimenti nobili che, in quanto sinceri, meritano tutto il nostro rispetto; ma se fra i finanziatori ci fossero rappresentanti di interessi particolari, si accorgeranno che l’interesse vero di queste operazioni lo intascano i comunisti e non loro. Infatti i comunisti lo confessano, con un grido di trionfo: non importa da chi venga il colpo; prima abbattere e diminuire la Democrazia cristiana e poi verrà il resto. Mi viene in mente un episodio della nostra vita clandestina, allorché si discuteva molto sulla democrazia, ma sopratutto su Repubblica o Monarchia. Noi eravamo per una soluzione temperata. Ad un certo momento in una seduta decisiva del Comitato centrale di liberazione, l’onorevole Scoccimarro, che era in Roma il capo del Partito comunista e che aveva sempre insistito contro qualsiasi collaborazione con la dinastia, dava il contr’ordine dichiarando che l’onorevole Togliatti era sbarcato in Italia ed aveva la direttiva di entrare come ministro della Monarchia nel gabinetto Badoglio. Il controvapore era stato dato per suggerimento della diplomazia russa. Io non stento a credere che sia vera la notizia, a me riferita, che uno dei capi del movimento socialcomunista, avrebbe detto: «che errore abbiamo fatto ad abbattere precocemente la Monarchia; bisognava aspettare il momento propizio per rovesciare la Monarchia e lo Stato borghese insieme». L’errore è stato una fortuna, perché noi abbiamo potuto salvare la democrazia solo a queste condizioni, di staccare cioè il problema della democrazia da quello della forma dello Stato. Più chiara è ancora e più degna di riflessione è stata l’operazione del Msi in Sardegna. Con mio grande stupore ho visto sulle cantonate dei manifesti annuncianti discorsi di uomini che erano stati non solo ministri del passato regime, ma addirittura ministri della Repubblica sociale. Tre anni dopo, a così breve distanza, valendosi della compostezza del popolo sardo e della tattica comunista di puntare solo contro la Democrazia cristiana ecco che compare il neofascismo, eccoli puntare il dito contro di noi in veste di accusatori facendoci colpa di non essere capaci di salvare tutte le colonie. Ma sono proprio loro che hanno perduto con la guerra le colonie e siamo noi che nonostante le loro malefatte cerchiamo di salvare tutto il possibile e speriamo di salvare se non tutto, almeno una parte. Amici miei, qualcuno crederà forse che io dia un rilievo esagerato a questo fenomeno. Infatti i risultati della lista Msi sono scarsi . Bisogna però imparare dal passato. Vi ricordate quello che avvenne in Germania col famoso armistizio germanico, allorquando un’inchiesta parlamentare accertò che la resa era stata invocata dal capo di stato maggiore generalissimo Ludendorff? Doveva così essere fissata come verità storica inconfutabile che l’esercito tedesco aveva per bocca del suo capo riconosciuta la sconfitta e la necessità di un armistizio e della pace. Chi avrebbe mai detto che nonostante questa affermazione solenne che corrispondeva alla verità, in Germania poco dopo avesse potuto avere inizio e favore un movimento che accusava i democratici parlamentari di aver portato il paese all’armistizio e alla disfatta, nonostante la possibilità di vittoria che aveva ancora l’esercito ? E di qui con Ludendorff nacque il nazismo. La settimana scorsa in Sardegna mentre parlava un oratore del Msi ho sentito questa espressione: «abbiamo un Parlamento dove regna la legge della jungla, cioè la legge dei barbari». Amici miei, è vero: in certi momenti un’assemblea democratica può perdere la testa e la democrazia deve correggere i suoi errori. È vero, ma non dimentichiamo che con questa tendenza antiparlamentare sono venuti su i fascisti, che un po’ alla volta, alla Camera, hanno costituito l’anticamera della corruzione. Si è perduto il controllo e siamo diventati schiavi. Io spero che questo movimento di rinascita sia impossibile in Italia: sarebbe una via di smarrimento, di pazzo orgoglio che non porterebbe che a un risultato: all’interno rinforzare e portare alla vittoria il comunismo; all’estero inasprire la diffidenza contro questo povero paese. E io chiedo ai giovani che forse non sanno questo e forse non pensano alle lezioni della storia, chiedo ai giovani del Msi, di avere pietà di questo paese. Se si domanda a noi governanti, a noi maggioranza una serena disamina, una ricerca benevola delle responsabilità personali del passato, un rimedio ai mali della guerra e a quelli del dopo guerra, rispondiamo che uno sforzo sarà fatto perché noi vogliamo la pacificazione e lenire più che possibile le conseguenze personali della guerra, comunque tali conseguenze siano venute. Questa è la pacificazione che noi vogliamo; ma non vogliamo e non possiamo accettare e tollerare la riabilitazione del sistema, la ripresa del fascismo e dei suoi miti. La principale colpa del fascismo è stato lo spirito di violenza che ha seminato nell’interno del paese, e la dittatura che è arrivata sino a portarci a fianco dei tedeschi e di coloro che cercavano di spezzare la libertà in tutto il mondo. Ora c’è una legge contro l’apologia del fascismo : ce ne ricorderemo e ci difenderemo anche con la propaganda, riesumando un pezzo di storia che avremmo lasciato volentieri al più spassionato giudizio dei posteri. Ma so bene che tutte le leggi non valgono se non c’è democrazia. Affrontiamo questo problema, studiamo il nostro passato, per sapere come popolo consapevole scegliere la nostra via e combattere con argomenti di serenità, ma anche di intransigenza, contro quei princìpi. Questione della disoccupazione, grave ancora la situazione della distribuzione dei beni e della proprietà. La giustizia sociale è ancora lontana, ma abbiamo appena cominciato a ricostruire. Dovevamo ricostruire all’interno un sistema sicuro di convivenza civile; poi comincia il periodo delle riforme. Nella politica interna, non potete, nessuno può negare che si sia ottenuta la tranquillità e l’ordine; nessuno può negare che si sia ottenuto un parziale disarmo delle fazioni; nessuno può negare che l’amministrazione interna non sia semplicemente amministrazione di polizia, ma di assistenza. L’anno scorso 860.820 bambini sono andati alle colonie, con 2 miliardi e mezzo di sovvenzioni, 500 mila refezioni scolastiche per una spesa di 1 miliardo e 275 milioni, 4 miliardi e 861 milioni per l’assistenza generica e sanitaria ai reduci e alle vittime civili della guerra; sono denari cavati da un magro bilancio, ma rappresentano uno sforzo ricostruttivo e uno sforzo di aumentare le ragioni di vita e di solidarietà del popolo italiano. E nel campo del lavoro voi non potete ignorare quello che è stato fatto: corsi di riqualificazione, cantieri di rimboschimento, ricostruzione di case, emigrazione: 220 mila emigrati. Voi non potete dimenticare le leggi minori sulla riforma dell’agricoltura, l’investimento di 70 miliardi per la bonifica; non potete ignorare quello che è stato fatto per l’industria che ha aumentato del 6 per cento la sua attività nonostante tutti gli scioperi, che sono stati 1020 in undici mesi e che sono una delle piaghe che dovremo combattere. Sopratutto bisognerà procedere rigorosamente contro quella che si chiama la «non collaborazione» che è in realtà sabotaggio. Contro il sabotaggio noi non ricorreremo alle leggi russe e balcaniche, ma qualche cosa anche noi faremo certamente. Non parlo della ricostruzione delle ferrovie e degli aumenti delle entrate fiscali; così adesso gli stranieri non potranno dire che non si pagano le tasse in Italia. Sulla politica finanziaria siamo in periodo di stabilizzazione. Badate che cosa dice Hoffman riferendo al Congresso su tutte le situazioni economiche in Europa: «in Italia si è rinnovata la fiducia nella lira, che è rimasta stabile per tutto l’anno e i risparmi sono in aumento». Vi pare niente, quando due anni fa temevamo da un momento all’altro che la lira crollasse e il risparmio nazionale scomparisse? Con notevoli sforzi siamo riusciti a guadagnare la fiducia dei risparmiatori, la fiducia all’interno e all’estero. I prezzi sono stabili dal settembre del 1947, con oscillazioni che si verificano anche in tempi normali. Ogni volta che mi recavo al Consiglio dei ministri chiedevo, con una angoscia che mi stringeva il cuore, l’andamento dei prezzi, poiché l’aumento di essi voleva dire aumentare le esigenze e l’impossibilità del bilancio di sostenerle, Tutto questo è stato superato. Il governo non ha fatto nulla, niente: ma è difficile far vedere ai ciechi e persuadere i sordi. Non ci si riconosce neppure quello che si è fatto nel campo dell’alimentazione per i generi di prima necessità: pane e pasta. Nel 1947: razione 200 grammi, abburattamento 85 per cento, miscela con mais ed orzo, prezzo di mercato libero 200-300 lire. Nel 1948: razione 200 grammi, abburattamento 80 per cento puro grano, prezzo di mercato libero 110-120 lire con minima differenza dal prezzo di tessera. Analoga la situazione per la pasta della quale si è aumentata la razione di oltre 1 kg al mese. E poi, mentre l’anno scorso le riserve di cereali erano limitate all’approvvigionamento di pochi giorni ora sono state costituite scorte sufficienti a garantire il consumo per circa due mesi: situazione quindi di assoluta tranquillità. Prima, quando mi aggiravo nei settori del Mezzogiorno mi si gridava: pasta, pasta; ora mi si grida «lavoro» e quando abbiamo portato il lavoro, come in Sardegna nelle zone di Tirso e del Flumendosa, mi si è chiesto: pace. Amici miei, il governo ha dato pane e pace, ha dato lavoro dove ha potuto e la pace la dà con la sicurezza: se nessuno ci attacca la pace è sicura. E non facciamo la questione di guerra o pace quasi che ogni bravo cittadino italiano alzandosi la mattina si mettesse a meditare e potesse decidere per la pace o per la guerra. Questo è il presupposto della petizione. (Una voce: la guerra la fanno in Cina). Hai ragione, la fanno in Cina e in Grecia. Ma vorrei farvi ancora qualche accenno sopra la petizione. Nel passato, negli statuti parlamentari si prevedeva che il popolo in un certo momento per precisare il proprio pensiero su qualche riforma o provvedimento di legge, poteva fare una petizione. Pochissime volte, nella storia, si è fatto uso delle petizioni. Questa volta si è tentato di trasformare la petizione in una specie di nuova votazione, ma questa votazione mostra due difetti capitali: 1) nessuno può dimostrare l’autenticità di chi firma; 2) nessuno ha posto la questione veramente come è. Perché se si va per le case a domandare se si è per la guerra o per la pace, tutti risponderanno per la pace. Ma la vera alternativa è: siete per la guerra o per la sicurezza garantita del Patto atlantico? Questa specie di censimento o di votazione è pubblico, non è segreto; quindi non è libero e non rispetta la grande conquista moderna del voto segreto. Vi sono ancora paesi in cui il voto è segreto per modo di dire: si vota per alzata di mano. Leggete su l’Unità di ieri l’annuncio delle elezioni in Ungheria . Il governo ha agito dittatorialmente: ha cacciato i rappresentanti degli altri partiti, messi in prigione o fatti scomparire e adesso fa le elezioni; domanda un plebiscito al popolo, chiede la sanatoria per tutto quello che ha fatto. E come fa questo plebiscito? Mette insieme in una sola lista tutti i partiti (questa è la democrazia progressista) e si vota. Nel manifesto è chiesto al popolo. Abbiamo fatto bene a cacciare via i servi dello straniero, a metterli in prigione o ad eliminarli con la forza? Il popolo dirà di sì, come ha sempre fatto nei plebisciti di Hitler e di Mussolini. Questa falsità della democrazia progressiva non è che lo sfruttamento del metodo democratico per truffare la libertà. Il vostro segretario ha accennato al problema della riforma agraria. Amici miei, la riforma agraria la vogliamo e la faremo. Io non vorrei che si credesse, che l’esecuzione sia facile. Abbiamo stabilito [di] ridurre proporzionalmente la proprietà privata e contemporaneamente abbiamo stabilito la trasformazione del suolo ossia la bonifica e l’organizzazione cooperativa per lo smercio e l’acquisto di macchine e ove la lottizzazione non può avvenire perché guasterebbe la produzione, è stata prevista la partecipazione agli utili dei lavoratori. Questo è lo schema e la struttura della nostra riforma, ma noi sappiamo che questa riforma ci costerà molto, perché sappiamo che non basta dividere e poi abbandonare le terre: sarebbe un gioco che si dovrebbe rifare ogni tre o quattro anni. Bisogna che lo Stato renda possibile ai contadini di acquistare le terre o a lunga scadenza, oppure attraverso l’enfiteusi. È una grossa riforma e l’affronteremo, perché è necessaria, perché dobbiamo dare un impulso alla lotta contro la disoccupazione ed è necessaria sopratutto per una più equa e giusta distribuzione dei beni. E non è a caso che accenniamo a questa riforma proprio oggi 15 maggio. Per molti anni, quando ahimè ero giovane, ho partecipato alle commemorazioni della Rerum Novarum e di altre encicliche di Pio XI e Pio XII , che rappresentano un complesso di direttive, più che di schemi, complesso di direttive riformatrici della società. Allora era più facile, perché eravamo come al di fuori dello Stato e ci preoccupavamo sopratutto delle organizzazioni libere e delle intermedie e avevamo la fiducia di risolvere molti problemi senza l’intervento dello Stato; speravamo in questa energia particolare del popolo, in questa forza democratica dell’organizzazione intermedia per un fiorire di opere e di iniziative comuni. Quella, secondo me, sarebbe stata forse la via giusta, se non ci fossero state di mezzo le guerre che sono state volute e subite dagli Stati e per le quali gli Stati hanno assorbito anche con larghezza i mezzi privati. Non c’è più la questione se debba essere lo Stato ad intervenire: è fatale, è necessario, inderogabile che intervenga. E se noi oggi in tutta Italia commemoriamo la dottrina papale intorno alla questione sociale, non è che attribuiamo alla Chiesa il compito di attuare delle riforme, ma è da un punto di vista dell’ispirazione morale. Recentemente ho avuto occasione di parlare a lungo col ministro del Tesoro inglese Stafford Cripps che, come sapete, oltre ad essere socialista, alla maniera laburista, è anche un cristiano credente. Egli, in un interessante capitolo di un suo libro, afferma che i privati non possono risolvere da soli, sia pure con patti di categoria o con strumenti associativi, il problema; bisogna che lo Stato intervenga, e la condizione della riuscita è che lo Stato sia meno egoista e più imparziale dei privati e delle categorie. Lo Stato, cioè, deve essere fondato su una base morale. Ma ciò non gli può derivare che dal popolo e bisogna che qualcuno infonda tali principi morali nelle masse. Ecco anche il nostro pensiero: sia per il controllo, sia per la regolamentazione di speciali settori della nazione, indispensabile è l’esigenza della morale cristiana. Nota esplicitamente il Cripps che l’intervento dello Stato porterà alla meta «a condizione che le azioni dello Stato siano imbevute di spirito cristiano». Non è, come accusano gli anticlericali, nel senso che lo Stato imponga una sua dottrina o un suo culto a chicchessia, ma è che lo Stato dev’essere imbevuto dei princìpi della dignità umana, della libertà, dei diritti della persona e degli organismi intermedi e di quelli della fraternità. E questi sono elementi vitali del Cristianesimo. Bisogna vedere la società non come qualche cosa di statico da cristallizzare, ma di dinamico da rinnovare in modo che la distribuzione della ricchezza diventi più equa e più giusta, e le riforme siano fatte secondo le necessità del popolo. Forse questa convinzione fa dei progressi in Italia. Il modo con cui è stata discussa la riforma fondiaria mi pare che possa essere di buon auspicio. Vi è stata una opposizione tecnica intelligente; la verità è che bisogna che gli egoismi personali e di categoria si pieghino là ove si tratta di applicare praticamente il Cristianesimo. Non bisogna che questa generazione subisca ancora delle esasperazioni gravi per ricredersi poi. Il cardinale Mermillod , uno dei pionieri del movimento sociale aveva inaugurato verso il 1868 un corso di conferenze sociali a Parigi, in Santa Clotilde, la prima delle quali suscitò un grande scandalo anche nei circoli cattolici conservatori, i quali accusarono l’allora vescovo di Ginevra di socialismo. La seconda conferenza si potè tenere solo nel 1872. Di mezzo c’era stata la «Comune» coi suoi petrolieri. In questa seconda conferenza grande affluenza, grande successo, adesione generale. Ed un giornale di Parigi scriveva: «c’è una grande differenza fra un discorso prima ed uno dopo il petrolio» . Io dico ai nostri proprietari: non aspettate il petrolio! Aiutateci a fare quello che è ragionevole e quello che è necessario. Ho bisogno di dire e di ricordare anche a quelli che seguono la tradizione liberale che un grande liberale di destra, Minghetti, in un suo volume nel 1878 scriveva: «si prenda l’iniziativa di tutte le riforme senza spaventarsi di certe idee per non essere travolti dalla marea demagogica» . Coloro i quali oggi hanno responsabilità politiche hanno il più difficile compito, quello di attuare quegli insegnamenti che oggi rievochiamo ed invochiamo perché sappiamo che devono essere anche parte del programma ricostruttivo dell’Italia. Pio XI, nella Quadragesimo anno sulle orme del predecessore ha con ogni energia propugnato «una più equa ripartizione dei beni della terra», ha affermato che il regime economico moderno, pur non condannabile in sè, è deformato e gravato da moltissimi abusi: cioè il concentramento esagerato della potenza economica, ed ha ammesso che il diritto di proprietà può «essere limitato e circoscritto dalle necessità della convivenza sociale, ma non può essere abolito nella sua espressione individuale». Si sa che questi insegnamenti sono per noi un punto fermo che non possiamo oltrepassare, perché non possiamo rinunciare al senso della libertà della vita umana, libertà della persona e della proprietà. Quando si sa che siamo ispirati da un senso di giustizia verso tutti e non siamo mossi da lotta di classe o odio di classe, quando si sa che ci preoccupiamo della produzione e che dobbiamo rendere conto degli interessi della comunità, quando si sa che abbiamo tutte queste direttive innanzi alla mente, non ci si sbarri la via, ma ci si aiuti a procedere per il difficile sentiero della democrazia. Questa riuscirà solo a condizione che ci sia una solidarietà e un senso di fraternità, quale ci viene inculcato in queste encicliche. Ho ragione di sperare che il mio ottimismo non sarà deluso. E tuttavia proprio oggi il comunismo svolge una accanita azione contro il Vaticano, contro la Chiesa, accusandola di essere per il mondo del capitale e dei ricchi. Si accusa anche il Papato di essere per la guerra imperialista contro la pace proletaria e si accusa il Papato di essere per la guerra nonostante l’esempio recente. Vi ricordate l’azione esortatrice e mediatrice del Pontificato? Ricordate l’azione di Croce Rossa svolta dalla Chiesa durante la guerra, quella aperta e quella clandestina? Le braccia del Pontefice erano aperte a tutti di qualunque lingua, di qualunque religione. Ha aiutato tutti, ha cercato di salvar tutti, ma molti lo dimenticano. Si ripete l’accusa a proposito della petizione. Io ricordo gli appelli che il papa ha rivolto, e sopratutto ho in mente quello commovente del 1941 , quando tutti noi, di destra o di sinistra, eravamo imbavagliati: l’unica voce relativamente libera che si levava a parlare di pace e di sforzo verso la pace era quella del papa e uomini di tutti i partiti e di tutte le tendenze ascoltavano trepidanti e ammirati. Solo il livore e la passione faziosa possono affermare il contrario. Ora vi voglio rileggere un meraviglioso brano di questa bellissima allocuzione pontificia del 1941, che riguarda particolarmente voi cittadini di Roma. «O Roma, il sangue di Cristo è la tua vita! Per quel sangue tu sei grande ed illumini della tua grandezza anche i ruderi e le rovine della tua grandezza pagana e purifichi e consacri i codici della sapienza giuridica dei pretori e dei Cesari. Tu sei madre di una giustizia più alta e più umana, che onora te, il tuo seggio e chi ti ascolta. Tu sei faro di civiltà e la civile Europa e il mondo ti devono quanto di più sacro e di più santo, quanto di più saggio e di più onesto esalta i popoli e fa bella la loro storia. Tu sei madre di carità: i tuoi fasti, i tuoi monumenti, i tuoi ospizi, i tuoi monasteri e i tuoi conventi, i tuoi eroi e le tue eroine, i tuoi viaggi e le tue missioni, le tue età e i tuoi secoli con le loro scuole e le loro università testimoniano i trionfi della tua carità che tutto abbraccia, tutto soffre, tutto spera, tutto opera per farsi tutto a tutti, tutti confortare e sollevare, tutti sanare e chiamare alla libertà donata all’uomo da Cristo e tranquillare tutti in quella pace che affratella i popoli, e di tutti gli uomini sotto qualunque cielo, qualunque lingua o costume li distingua, fa una sola famiglia e del mondo una patria comune». Romani, ecco la vostra città, ecco la vostra storia di fronte al mondo. A voi giovani in particolare chiedo di non arrestarvi a questo o a quel periodo della nostra storia, ma di attingere a tutta la nostra civiltà, come si è svolta nei secoli. Non è vero che serviamo ideali stranieri. Serviamo la civiltà nostra, ci moviamo nel solco della nostra storia. Quando entrarono gli eserciti alleati diffondemmo in Roma un foglio, preparato nel periodo clandestino, in cui dicevamo agli americani e agli inglesi: voi entrate in una città che con un milione di morti e di martiri ha salvato ai tempi della più lunga e feroce tirannia la libertà di coscienza. La libertà che oggi celebriamo e invochiamo non è un dono venuto di lontano, è la rinascita e il risorgimento di ciò che fu il midollo della nostra Storia. Questo è spirito di pace. Se noi abbiamo aderito a un patto di sicurezza non è per servilismo, per ideali o interessi stranieri, ma è per apportare in questa alleanza di pace ciò che proviene dalla nostra civiltà, ciò che irradia dalla nostra civiltà. Guardate alla sostanza delle cose. Non lasciatevi turbare da mosse secondarie, da manovre disgregatrici e ritardatrici, marciate uniti sotto la bandiera del 18 aprile e puntate al centro. La battaglia è qui e qui è la vittoria. |
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| È noto che il Mazzini alla vigilia del rivolgimento politico di cui celebriamo il centenario, tendeva anche ad una riforma religiosa e nella sua ricostruzione ideale associava l’operadella Costituente a quella di un Concilio, che abbattesse il Papato romano: mirava cioè ad una riforma totale che unificasse nella sua Repubblica i due poteri, quello temporale e quello spirituale. La storia in verità prese diverso cammino e la Repubblica italiana, proclamata cento anni dopo, si fonda sulla libertà e distinzione dei due poteri. Ma bisogna rilevare, anche, che il Mazzini stesso, entrato in Roma dopo che l’Assemblea costituente aveva già fissato nello Statuto fondamentale la formula del Filopanti : «il Pontefice romano avrà tutte le guarentigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale», nulla fece per opporsi a tale formula o per svuotarla. Anzi nel suo discorso all’Assemblea del 10 marzo, evitò tutto quello che poteva dividere e cercò appassionatamente tutto ciò che potesse unire, dando alla Repubblica un senso che superasse i partiti passati e presenti e quanto era formale nel regime. «Per la Repubblica – egli disse – noi intendiamo un principio, intendiamo un grado di educazione conquistato dal popolo, un programma di educazione da svolgersi, un’istituzione atta a produrre un miglioramento morale… il sistema che deve sviluppare la libertà, l’uguaglianza, l’associazione». Ed ecco la conclusione di quel discorso: «tollerantissimi di quanto ha preceduto l’impianto della nostra Repubblica, di tutto ciò che può avere appartenuto a un ordine meno inoltrato di idee, uniamoci tutti nell’avvenire, proviamo al mondo e all’Italia che noi possiamo farci in brevissimo tempo, migliori». Mi pare questo un appello che, lungo la curva di un secolo, arriva anche alle nostre menti e ci spinge al lavoro concorde per lo sviluppo politico, morale e sociale della nostra democrazia, costituita a Repubblica. |
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| Cari amici, io quando ogni mattina mi alzo, mi alzo sempre con questa angosciosa convinzione: ieri non sono riuscito a fare tutto quello che mi ero ripromesso di fare. E se c’è una differenza profonda tra la convinzione e il metodo nostro di vedere la vita politica e sociale ed il metodo di un altro tempo, è la seguente: un tempo si esaltava e si faceva plauso all’opera compiuta e si insisteva nella propaganda per il monumento eretto, per la costruzione fatta o per la bonifica raggiunta, e dei provvedimenti presi si faceva l’illustrazione e l’esposizione; oggi invece, quando io giro per il paese, e quando girano i miei collaboratori, dinanzi all’immenso disastro che ci sta di fronte, pur avendo fatto in questo breve periodo tanti progressi, ci sentiamo nel profondo della nostra coscienza così responsabili di quello che resta ancora da fare, che – invece di essere generosi nella propaganda e nell’esaltazione di quello che abbiamo fatto – siamo umili dinanzi al compito immane che dobbiamo assolvere. Noi abbiamo problemi immensi, dinanzi ai quali sentiamo tutta la nostra insufficienza, e direi non solo nostra; sentiamo l’insufficienza di qualsiasi governo e di qualsiasi uomo di governo che sia sincero, e forse questa sincerità è il nostro torto nella propaganda. Io penso che se i comunisti avessero conquistato quanto noi abbiamo raggiunto, lo esalterebbero continuamente. Pensate se in un anno fossero arrivati al pane bianco, al mercato del pane alimentare, libero e sufficientemente a buon mercato! Io solo conosco l’angoscia di tante notti in cui non mi riuscì dormire, pensando che all’indomani il commissario dell’Alimentazione mi sarebbe venuto a dire che mancava per qualche grande centro la farina per il pane. Ricordo che una certa sera, in cui disperatamente non sapevo a chi rivolgermi, mi sono attaccato al telefono. Si era introdotto proprio in quei giorni il telefono per le grandi distanze. Mi sono attaccato al telefono ed ho chiamato La Guardia . Sapevo che era un amico, pur non avendolo mai visto; sapevo che era un uomo buono, di cuore, che aveva del sangue calabrese nelle vene, e che non aveva dimenticato la sua origine. L’ho chiamato al telefono, e gli ho detto: «La Guardia, lei ha nelle vene sangue italiano, noi abbiamo dinanzi lo spettro della carestia e della fame, ci aiuti!». E non c’è stata diplomazia così abile quanto facile come questa, diretta al cuore di questo italiano. Io penso che noi siamo molto modesti e che, se al nostro posto ci fosse stato Togliatti e avesse telefonato in Russia – e telefonare in Russia sarebbe stato assai più facile che telefonare in America – e avesse ottenuto il grano necessario, oggi vi sarebbero lungo le vie migliaia di monumenti per esaltare questo gesto. Ho accennato al pane, ma potrei enumerare moltissime altre riforme effettuate, provvedimenti presi. Ogni forestiero che da qualunque parte del mondo giunge in Italia, dice sinceramente che il nostro paese ha fatto enormi progressi. Soltanto da noi si continua a dire che tutto va in rovina. Togliatti, appena arrivato a Praga, lo avete visto che cosa ha detto: portava il saluto di un paese dove ancora governano i reazionari, che mantengono il popolo nella miseria e nella discordia . La nostra modestia è la nostra debolezza, e la improntitudine e la sfacciataggine in certi momenti costituiscono la forza degli avversari. Perché purtroppo il pubblico, ignaro e passionale, segue facilmente le parole energiche, gli slogans forti e robusti, risuonanti di affermazioni recise. Ebbene, vorrei oggi che voi insegnaste a me, ed io potessi insegnare a voi, una lezione di immodestia, cioè di sincerità, in difesa di quello che abbiamo fatto. Miseria e schiavitù sarebbero, secondo Togliatti, le condizioni del popolo italiano. Togliatti non è riuscito per mancanza di tempo – a lui sarebbe occorso che, invece degli americani, fossero venuti i russi a liberarci – a fare quello che è stato fatto in Cecoslovacchia! Miseria…! Schiavitù! Purtroppo le notizie che vengono dalla Cecoslovacchia dicono che miseria ce n’è molta anche lì. Non voglio attribuirla agli scopi di governo, agli scopi comunisti. Miseria ce n’è anche da noi. La miseria viene in Italia dalla disoccupazione, e la disoccupazione è un fatto storico per il nostro paese, nel quale confluiscono molte cause indipendenti dalla nostra volontà. Dobbiamo arginare la disoccupazione, combattere con tutte le forze il male, ma non dobbiamo credere di poter rimediare dall’oggi al domani, perché la prima ragione di questa nostra miseria sta nella grande virtù del popolo italiano: nella sua fecondità. Il nostro è un paese che cresce ogni anno, e dal quale non si può emigrare che in piccolissima parte. Questo è un problema al quale dobbiamo cercare di dare soluzione. Ma prima di tutto avevamo bisogno di mostrare che eravamo capaci, con le nostre forze, di risalire dal baratro in cui eravamo caduti. E ne abbiamo dato prova. Oggi nessuno straniero che visita il nostro paese non può non dire che noi abbiamo rivalorizzato la campagna e la produzione agricola, rimesso in piedi le industrie , fatto uno sforzo per migliorare il tenore di vita degli operai. Non c’è nessuno che possa negare questo. Ora, se abbiamo fatto questi progressi, come è evidente, si può forse darci il torto della schiavitù? Molte volte sono tentato di fare una proposta a Togliatti. Se io mi trovassi in una situazione analoga alla sua e fossi andato all’estero a fare le dichiarazioni che egli ha fatto, o se io, invece di essere presidente del Consiglio d’Italia fossi presidente del Consiglio in Cecoslovacchia o di Bulgaria, cosa avverrebbe di quel Togliatti o di quel De Gasperi che avesse parlato così, in quel tono e con quelle parole di condanna per il proprio governo? (Si urla: «la forza!»). Io dico che ho il diritto – e domando alla vostra coscienza se questa mia esigenza non è sacra e fondata sopra la realtà – ho il diritto di protestare contro questa diffamazione del nostro paese. Da Praga sono dovuti fuggire tutti i rappresentanti dei partiti non comunisti: o piegarsi o fuggire. Non c’è nessuna libertà all’infuori del partito dominante. Qui, questi signori, che parlano di schiavitù, sono all’opposizione ed hanno la massima libertà. Non siamo noi che non abbiamo mantenuto la nostra parola, nonostante veramente ci pesi mantenerla talvolta, come dinanzi a questa assurda menzogna della campagna per la cosiddetta pace. Questa gente trova ancora il povero popolo minuto da persuadere e da convincere, e trova ancora gente che l’ascolta quando contemporaneamente inneggiano a quel signore comunista, che entra a Shangai e nello stesso tempo gridano pace. Le uniche due guerre che oggi sono in corso nel mondo, sono guerre comuniste. Sono loro che fanno la guerra! Voi avete il diritto – soprattutto voi in Toscana, che avete una grande tradizione di libertà – di protestare contro questa diffamazione che colpisce anche voi direttamente, perché si parla di schiavitù. Un governo reazionario tiene schiavi gli italiani? No, dico io; noi li abbiamo liberati gli italiani; li abbiamo liberali dalla paura il 18 aprile e noi li manterremo in questa libertà. Certe volte viene la tentazione di dire: proviamo un po’ con un altro metodo. Ebbene, amici miei, io vi dico: no. Io sono diventato vecchio nei rivolgimenti politici, ho studiato attraverso le esperienze della storia, ed ho visto che con tutti i malanni che porta, la libertà politica è ancora il meno peggiore metodo di convivenza civile. Perciò, io difendo, nei limiti e nella misura necessari per la libertà altrui, la libertà anche dei nostri avversari. Quindi non penso in nessuna maniera a sopprimere o ridurre questa libertà, che è quella che fissa e prevede la Costituzione. Però questi avversari devono persuadersi che non lo facciamo per opportunità. Se noi seguissimo la passione del popolo, se noi seguissimo l’esecrazione che certe volte si manifesta nella popolazione per certi fatti di predominio e di sopraffazione, ricorreremmo a tali misure. Non lo facciamo perché difendiamo la libertà, per la libertà, perché abbiamo l’esperienza storica che questo è ancora il migliore metodo, e perché saremo sicuri in Italia se attraverso questo metodo trionferemo e daremo agli uomini la possibilità di farsi valere in piena libertà, per il trionfo della democrazia. Ieri ancora alla Camera un deputato di quelli che si dicono adesso di destra o di estrema destra, mi diceva: vi abbiamo aiutato il 18 aprile, ma se voi continuate così a governare come governate, non vi aiuteremo più, e creeremo un’altra formazione che corrisponda più agli interessi della nazione italiana. Sono le parole di un nazionalismo che torna. Amici miei, ho risposto, va bene, vedremo . Quando un partito arriva ad un crocicchio, fra due fuochi, e si spara da due parti, la posizione di una trincea diventa difficile. Meglio poter combattere su un fronte solo. Se oggi i comunisti rappresentano la violenza in atto, questi signori della destra rappresentano la rivendicazione di una violenza passata ed in potenza. E noi abbiamo il dovere di resistere, di tenere diritto il timone in mezzo. Non importa se dovremo perdere in qualche parte anche dei voti, o se dovessimo trovarci in posizione più difficile, per la manifestazione del nostro pensiero; non importa. Noi abbiamo avuto la direttiva dal popolo italiano che è democrazia cristiana, è democrazia soprattutto. Non possiamo per la nostra coscienza indulgere a ritorni imperialistici o di nazionalismo estremo, che devono finire fatalmente nel disastro, come sono finiti quelli che hanno dimenticato la coscienza italiana. Noi non vogliamo nessuna schiavitù, sia essa rossa o bianca, anche se sarà necessario fare fronte verso sinistra e verso destra. La battaglia sarà dura, ma noi l’affronteremo per la democrazia. La democrazia vera è la Democrazia cristiana, che nasce dalla coscienza. Noi non esageriamo e non chiediamo nessun monopolio di partito, nessuna dittatura di partito, nessuna preminenza del partito, al di fuori di quella che ci spetta. Noi allargheremo, anzi, il nostro fronte di collaborazione più a sinistra e a destra che sia possibile, ad una condizione: che chi dirige tutto questo e chi ispira la nostra lotta, sia la coscienza del momento storico che attraversiamo. In Europa noi siamo l’unico governo che rappresenta più partiti su così larga base; unico governo – questo governo reazionario – che è stato così largo da immettere liberali, socialisti, repubblicani nelle sue file. Noi avremmo anche collaborato con i comunisti, se non avessero dimostrato di fare il doppio gioco. Non ci parlino di democrazia progressiva, là dove si sopprimono tutti gli altri partiti, e manca la libertà. Noi non crediamo di avere un monopolio nella difesa della libertà politica, civile e religiosa. Voi tutti conoscete Gonella, e le sue idee politiche, e i suoi princìpi fondamentalmente cristiani. Ebbene: si alzi un solo maestro, un solo professore che mi dica che sotto questo governo «nero» non ha trovato la più larga tolleranza, e che qualcuno gli ha chiesto di rinnegare la propria fede e di abdicare alla propria libertà di coscienza. Noi lavoriamo per difendere le nostre convinzioni, ma non facciamo un passo, un gesto, non prendiamo un provvedimento che neghi la libertà di coscienza di colui che non la pensi come noi. Questo è il nostro principio, principio che s’è fatto attraverso l’esperienza democratica. Principio che corrisponde alla fedeltà cristiana, e che soprattutto risponde alla nostra convinzione; nelle libere discussioni, nella libertà della concorrenza, nella libertà degli atteggiamenti, nella libertà degli interventi è la forza migliore, purché coloro che la posseggano la sappiano far valere. Questa forza è quella della coscienza. Noi sappiamo che l’avvenire del popolo sta nella Democrazia cristiana, noi sentiamo che la nostra bandiera è sacra, e sappiamo che la nostra azione, il nostro sforzo durò e si esaurirà con la nostra vita; dopo verrete voi giovani e prenderete questa bandiera che non dovrete rinnegare mai. Ma l’opera, per tutti, è soprattutto spirito ricostruttivo. Questo è stato il sogno della mia vita: il poter contribuire, anche negli ultimi miei anni, alla creazione di questa coscienza democratica del popolo. Non mi sbaglio, oggi sento che, nonostante le critiche, questa democrazia è vostra; questa chiara coscienza nelle riunioni, nelle manifestazioni si rivela, si irrobustisce ed oggi o domani, senza dubbio, avrà la vittoria. |
23fdb6e5-69c1-4f45-870c-3c019a64d70b | 1,949 | 1Building the Italian Republic
| 91946-1950
| È noioso ma è così: quasi tutte le discussioni finiscono in un dialogo tra me e Togliatti. C’era già una partita aperta per il discorso suo a Praga e per il discorso mio a Firenze . Stamane alle 10.45 Togliatti si è affrettato ad aggiungere una replica all’Adriano di Roma. Ho qui una lunga relazione sul suo discorso. Vi sono molte cose che non vi interessano. Soprattutto vi è una serqua di ingiurie per me, che non interessano né voi né me. Ma c’è qualche cosa che interessa direttamente il Congresso cioè il raffronto tra il Congresso di Praga e il Congresso di Venezia. «A quel Congresso – dice Togliatti – a quel Congresso di Praga abbiamo notato un’atmosfera di libertà, (si ride), di gioia, di fiducia, di sicurezza, regnare dapperutto. Vi hanno partecipato autentici lavoratori. Invece al Congresso di Venezia si fanno degli intrighi e degli imbrogli di corridoio per mantenere questo partito al potere con mezzi disonesti. L’anticomunismo di cui si parla al Congresso di Venezia trova qualche Dc che si vergogna e protesta di questa etichetta dell’anticomunismo. Il fascismo è risorto (l’anticomunismo è fascismo) per sbarrare la strada al progresso del nostro paese. È il primo passo. Dopo aver fatto risorgere il fascismo nella propaganda si cercherebbe, si vorrebbe anzi farlo risorgere anche nei fatti. Già una volta ci hanno portato sul limite della rovina sociale attraverso la instaurazione del regime fascista, e oggi non vedono altra uscita se non il ritorno alla violenza reazionaria. In Italia abbiamo un governo che non è nemmeno capace di condurre in modo decente l’attività della Camera dei deputati, tanto che non si arriva in tempo ad approvare i bilanci preventivi e consuntivi e le leggi» . Ma voi sapete che tutto questo è dovuto al sistema ostruzionistico, alle interpellanze a getto continuo della opposizione: è per questo che le Camere non arrivano a tempo a fare il loro dovere. Saltiamo. «L’Italia fra tutti i paesi europei – ha continuato Togliatti – è forse uno di quelli più maturi per la trasformazione socialista. Non c’è altro rivolgimento all’ordine del giorno. Abbiamo una agricoltura nella quale sussistono problemi che devono essere risolti. Questo non può essere compiuto che sotto la direzione del Partito comunista e dei suoi alleati. Non c’è altra possibilità di evoluzione, di sviluppo, di avanzata del nostro paese sulla via della civiltà, del benessere se non in una trasformazione socialista guidata dal Partito comunista» . Ora, è ovvio che Togliatti la pensi così. Ma non è molto tattico che egli lo confessi apertamente, in un discorso in cui ad un certo punto, dopo qualche minaccia, fa appello alle forze intermedie perché trovino nella distensione una via di uscita. Ma se il problema è messo così, comunismo e anticomunismo, le distensioni non hanno ragione di esistere. Togliatti se l’è presa con me per le mie parole di protesta a Firenze. Mi vuole attribuire addirittura pensieri segreti di cedere alle seduzioni del colpo di Stato, della dittatura. Tutto il mio discorso dice il contrario. Ma voi siete testimoni di un fatto analogo: al Congresso di Napoli , quando si parlava di comunismo e del Cominform, da una parte della folla è venuto l’urlo: fuori legge i comunisti. Io ho dichiarato anche allora: no. Amiamo percorrere tutta la via della democrazia. Vogliamo salvaguardare in base alla Costituzione anche la libertà degli anticostituzionali purché sia salvaguardata la libertà nostra e la libertà intera del popolo italiano. Il Partito comunista, voi lo vedete, non è un partito nel senso tradizionale della parola, è uno schieramento di forze, che utilizza la democrazia e la Costituzione come espediente transitorio per arrivare al potere e strozzarlo poi appena arrivato. Per questo essi non abbandonano la riserva mentale, più che mentale, dell’insurrezione armata, per questo continua la ricerca e la scoperta delle armi in Italia, per questo noi dobbiamo stare sull’attenti e difendere la libertà e l’autorità dello Stato. Senza dubbio (mi riferisco a un giornale che ce ne faceva carico) si devono colpire anche i responsabili, i dirigenti: ma fino a tanto che non risponderanno di un reato, non perseguiremo né propositi, né programmi. Togliatti, nel suo discorso a Praga, si è rivolto ai suoi amici di colà per dire: «il vostro esempio ci incoraggia. A noi non è riuscita, però abbiamo avuto lo stesso slancio, lo stesso spirito di sacrificio, ma non abbiamo avuto la fortuna di avere l’appoggio concreto e diretto dell’esercito di occupazione russo». Una scusa, una spiegazione e a un tempo una accusa per lo Stato esaltato, per lo Stato della Cecoslovacchia. Voi ricordate l’intervento diretto della diplomazia russa al tempo del progetto Marshall. Voi avete certo letto ne «Il Popolo» le serie di articoli di Hubert Ripka che nel discorso di Roma stamane Togliatti tratta da miserabile traditore. Hubert Ripka era invece ministro nazionale democratico del partito di Beneš nell’ultimo ministero di coalizione ed è uno di coloro che hanno sofferto la violenza dell’estromissione e quindi hanno assistito giorno per giorno allo sviluppo del colpo di Stato. Quelle sue memorie che vorrei stampate in un volume vanno lette e meditate dal pubblico italiano. Prima del 25 febbraio 1948 voi sapete che la Cecoslovacchia passava per lo Stato democratico per eccellenza, libero, organizzato in favore delle classi popolari e della piccola proprietà. Nessuno pensava che la Cecoslovacchia di allora, retta da una concentrazione di partiti, compreso il comunista, fosse in pericolo di essere aggredita così presto. Oggi, come è la situazione in Cecoslovacchia? Basta un fatto solo. Dopo il 25 febbraio 1948 tutte le leggi fatte in Cecoslovacchia sono state accolte e deliberate all’unanimità. La stampa: in meno di due mesi 243 edizioni di giornali esteri sono state proibite in Cecoslovacchia. Sotto le stesse misure di controllo sono caduti 40 giornali svizzeri. E questi signori, che vanno a Praga e compatiscono il popolo italiano tenuto in schiavitù, tanto è reazionario oppressivo di tutte le libertà il governo in Italia, possono liberamente vendere l’Unità fino a cacciartela sotto il naso su tutti i crocivia. (Applausi ed ilarità). Tutti i bollettini diocesani sono stati soppressi e non basta: sono stati sostituiti da un organo ufficiale, la Gazzetta del Clero Cattolico pubblicata dal ministro della Istruzione. In Italia, paese di servitù, non c’è nessuna regola che proibisca e limiti le pubblicazioni periodiche. In Cecoslovacchia la legge del 24 marzo 1949 è un tipico esempio di burocratizzazione politica della cultura. Basta leggere il par. 2: «il Ministero delle Informazioni fissa anno per anno in base alle proposte del Consiglio centrale editoriale un piano di pubblicazione delle opere non periodiche e ne dirige la pubblicazione stessa». Occorre tener presente che il Ministero delle Informazioni in base all’art. 4 dirige la diffusione delle opere non periodiche interne ed estere. Dove abbiamo letto altra volta simili disposizioni? Non vi ricordano altre leggi del nostro paese contro le quali i comunisti stessi sono insorti in nome della libertà? In una pastorale recente dei vescovi sta scritto che ogni nuovo libro cattolico, deve essere sottoposto a censura preventiva, anche i libri contenenti le preghiere per l’Anno Santo; e quando i vescovi si sono radunati in Conferenza, come è loro costume, queste conferenze episcopali dovettero essere interrotte, perché si scoprì che venivano origliate da microfoni opportunamente nascosti nelle sale dove le conferenze erano tenute. Ho qui un altro documento del 21 aprile 1949 in cui dei Comitati nazionali provinciali (sono comitati costituiti dopo il colpo di Stato) ricevono istruzioni contro le attività del Clero cattolico; ad un certo punto il documento dice: «tutti i commissari di PS controlleranno soprattutto se si è proceduto alle espropriazioni di tutti i terreni parrocchiali che sorpassano un ettaro». In secondo luogo è detto di tener d’occhio tutte le riunioni cattoliche e per quanto possibile impedire «opportunamente (osservate questo “opportunamente”), la loro attività». Voi direte, forse ce l’hanno soltanto col Clero e con la Chiesa cattolica. Leggete un po’ i cosiddetti contratti agricoli di produzione e consegna. Sono volontari, però se il contadino non sottoscrive è il Comitato che impone il contratto. Questi contratti sono una specialità che vorrei affidare allo studio dell’amico Segni. Contengono un numero infinito e dettagliato di misure da adottarsi: viene stabilito quante uova devono fare le galline, perché la produzione della uova è fissata, naturalmente, ed anche la produzione del latte. (Ilarità). Questo è il rispetto del diritto privato per quello che riguarda la produzione. Se ci sono poi qui funzionari e impiegati che, vista la durezza del nostro governo nero abbiano aspirazioni verso la Cecoslovacchia, raccomando loro di studiare prima il formulario che ogni impiegato che vuol essere assunto o riassunto nel nuovo governo comunista deve presentare rispondendo a 60 domande. Di queste 60 domande ce ne sono alcune così. (A questo punto l’oratore legge alcune richieste del formulario, dalle quali risulta che l’aspirazione deve rivelare i segreti più intimi e trasformarsi anche in delatore dei suoi parenti e amici). Ora, queste cose non sono inutili da dire e forse da ripetere. Perché quando parliamo del 18 aprile i frontisti allegano che il risultato è dovuto soprattutto alla falsa propaganda sul colpo di Stato in Cecoslovacchia. Togliatti oggi stesso ha smentito nettamente che si possa muovere la minima accusa di lesione di libertà al governo comunista. Ma è interessante anche l’esempio della Cecoslovacchia, sapete perché? Perché quella è una Repubblica democratica che aveva fatto già la riforma agraria: perché era una Repubblica che aveva dovuto soccombere anche di fronte a Hitler. Vi ricordate la conquista nazista della Cecoslovacchia? Quindi vi è facile il confronto fra due totalitarismi. Stessi metodi, diversa finalità, stesso eccidio della libertà e dei diritti privati e personali. E quindi il ministro Ripka, in quel memoriale a cui ho accennato, conclude così: «come il nazismo anche l’imperialismo sovietico è un pericolo mortale per tutti il mondo civile in quanto è accoppiato ad una teoria totalitaria» . Ora, il totalitarismo interno porta fatalmente al totalitarismo all’estero. Come Hitler ieri, i sovietici presentano la conquista del loro espansionismo come altrettante misure difensive contro il capitalismo di occidente; pensiamoci, amici. Perché anche noi siamo dinanzi a due esperienze e la Provvidenza, forse, ci ha dato l’esempio della Cecoslovacchia per ammonirci, per renderci più attenti e vigilanti. Vorrei soprattutto richiamare l’attenzione dei giovani che non conoscono né possono conoscere come noi che ne fummo testimoni, la storia dell’avvento del fascismo, richiamare l’attenzione sopra la similarità dell’inizio della lotta contro la libertà. Si parte sempre con una svalutazione del Parlamento. È chiaro. Il Parlamento, il sistema parlamentare è tutt’altro che perfezionato: vediamo evidentemente che ci vogliono delle riforme, sappiamo benissimo che con la ripresa del Parlamento antico non si è raggiunta la massima funzionalità del Parlamento. C’è quindi il problema del Parlamento, cioè il problema funzionale del Parlamento, ma non bisogna in nessun modo contribuire alla svalutazione dell’istituto come tale, non bisogna in nessun modo svalutare la sua opera, ridurla a manifestazioni spettacolari che possono solo giovare in un certo momento a vendere qualche copia di giornale in più, ma che certo non sono educative. Non bisogna contribuire al formarsi di un’opinione pubblica antiparlamentare. È pericoloso. Una volta noi, quando eravamo giovani come voi o giù di lì, credevamo che non ci fosse pericolo, credevamo che la libertà fosse eternamente garantita. Chi pensava di dover andare in prigione per ragioni politiche? Chi pensava in Italia di dover fuggire dal proprio paese? Ebbene, è bastato che il Parlamento venisse non abolito, ma svuotato, perché tutte queste libertà civili e personali fossero messe in pericolo. Quindi, amici miei, criticate pure la condotta del Parlamento, ma criticatela a scopo costruttivo per rimediarci. Studiate voi stessi i metodi nuovi per poter fare progredire la nostra democrazia parlamentare. Ma ricordate che, caduto il Parlamento, sono cadute tutte le libertà: civili, spirituali, politiche e personali. Bisognerà che in qualche Congresso si faccia la storia che abbiamo vissuto finché eravamo in cattività. Non potevamo scrivere, poi siamo stati afferrati dai compiti del giorno, siamo entrati al governo, al Parlamento, con funzioni pubbliche, e non abbiamo tempo di scrivere nemmeno oggi, ma è un tormento vedere che i giovani di oggi in gran parte sembrano non conoscere o aver dimenticato il travaglio attraverso il quale noi siamo passati per raggiungere la libertà e la democrazia. Anche oggi voi trovate nel campo dell’estrema sinistra la tendenza generale a contrapporre al governo parlamentare il «vero governo» che sarebbe la Cgil, a contrapporre al Parlamento l’atto, il gesto, la organizzazione del Sindacato, a contrapporre al Parlamento la piazza e contrapporre alla democrazia parlamentare una certa democrazia immanentista che giorni fa era varata anche dall’Avanti!, quando scriveva che la nuova democrazia è democrazia laica, immanentista ecc. ecc., e che la vecchia classe è isterilita, incapace di governare ecc. Le vecchie classi, la classe dominante… vorrei mettere in guardia gli amici da queste teorie sulle classi dominanti. In questa storia delle classi dominanti c’è un parallelismo con la dialettica marxista che servì al fascismo per conquistare il potere. Dobbiamo ben guardarci da introdurla nel nostro vocabolario. Mussolini, alla vigilia di prendere il governo, disse nel famoso discorso di Napoli: «le Camere non rappresentano più il paese. Ogni ministro che uscisse da esse eserciterebbe illegittimamente il potere» . È lo stesso che si va predicando dai comunisti: il 18 aprile è stato un trucco e il vero popolo si trova sulle piazze. Dopo quella dichiarazione di Mussolini si venne al 28 ottobre del 1922 e allora la lotta dei fascisti venne proclamata contro «una classe politica di imbelli e di deficienti che da quattro anni non avevano saputo dare alla nazione un governo». Si parla di classi politiche che si possono rovesciare e sostituire. In verità si sostituisce il Parlamento. Certo esiste un problema per noi e per tutti i partiti: cioè il problema del partito, cioè il problema della sua inserzione nella vita costituzionale. I nostri bravi costituenti non hanno avuto il coraggio, e lo comprendo, di affrontar questo duro problema: l’inserimento dei partiti. Cosa fanno i partiti? Hanno una grande importanza di controllo perché attraverso il sistema elettorale presentano le liste dei candidati e hanno così in mano la scelta dei dirigenti. Ora bisogna guardarsi bene dal ripetere l’esperimento del fascismo, già superato con la creazione del Gran Consiglio del fascismo, il quale si compose del Direttorio e di altri elementi direttivi che svuotarono il Parlamento e quindi lo sostituirono. Noi dobbiamo cercare quella forma di collaborazione e di cooperazione che salvi i princìpi della Costituzione, salvi soprattutto la responsabilità dei deputati di fronte agli elettori, dei ministri di fronte al Parlamento. Ecco il difficile problema, altrimenti dove andremo a finire? Andremo a finire che quando un partito decide nella Direzione di uscire dal governo, i deputati e il Parlamento è come non esistessero. Il governo si compone e si scompone nel Parlamento. Se le decisioni vengono prese fuori delle Camere nessuna meraviglia che, come si è visto, ci possano essere interventi anche fuori dello Stato. Quando noi abbiamo iniziato la lotta dell’Aventino, fu precisamente per restaurare il regime parlamentare. E l’errore fondamentale, la colpa del re fu quella di non aver accettato il nostro suggerimento e di non fare ricorso alle elezioni. Badate che fu un errore gravissimo a cui risale anche il disastro della politica estera che divenne imperialista. Nel 1925 Mussolini comincia a parlare dell’Impero coloniale, prevedendo tra il ’35 ed il ’40 il punto cruciale della storia. Nel ’35 iniziò la guerra in Etiopia. Quando l’ebbe finita non dichiarò che le aspirazioni dell’Italia fossero per un certo periodo almeno soddisfatte; pronunciò ancora, il 9 maggio 1936, la famosa frase: «un immenso varco è stato aperto sull’Oceano e sul mondo». Nel 1938 si arrivò al passo di parata, al passo dell’oca, al patto d’acciaio e alla proclamazione della dittatura imperiale con le parole: «quando io comparirò al balcone, non si tratta di discutere, saranno decisioni». Fu il tempo in cui quello sciagurato ebbe ad appellarsi alla storia e alla decisione della guerra e proclamò che «la guerra sarebbe stata la Corte di Cassazione tra i popoli». La guerra, la Corte di Cassazione, ha sentenziato contro di noi; ed è bene che io lo ricordi in questo momento perché c’è in aria qualche spunto di colonialismo stile vecchio impero. È ingiusto però che la sentenza venga applicata inesorabilmente anche contro la nostra espansione pacifica. Voi non avete parlato, e fu saggezza il non farlo, del problema coloniale; né io stesso vi intratterrò in concreto sulla questione delle terre d’Africa. Però io vorrei invitarvi, e attraverso voi invitare tutto il popolo italiano, a considerare il problema da un punto di vista più alto, soprattutto da un punto di vista morale connesso alla liquidazione della guerra. È giusto che noi rivendichiamo un diritto morale, fondato sulla nostra opera e sui nostri sacrifici per la civiltà. Lo conoscete il nostro sacrificio: ci è costato dai 70 agli 80 miliardi all’anno, abbiamo investito nelle colonie 709 miliardi, di cui più di 500 devoluti all’agricoltura e all’industria, e naturalmente qui non metto in conto le spese cassa della guerra di Etiopia, che costò, sia pure in parte per opere di valorizzazione, circa 2.250 miliardi. Il problema è anche di giustizia distributiva: è impossibile escludere l’Italia dalla cooperazione in Africa quando la si accetti o la si voglia per la collaborazione in Europa. Noi dichiariamo che siamo disposti a fare ancora nuovi sacrifici per la comune civiltà a due condizioni: primo, che il sacrificio sia accettato e riconosciuto dai popoli autoctoni (la forma, amministrativa fiduciaria o assistenza associata a un governo locale, in complesso, non è essenziale); secondo, che questo nostro sacrificio rafforzi la cooperazione europea. Ma il problema si allarga ancora. Pensate che l’Africa, con 150 milioni di abitanti che crescono rapidamente in pochi anni arriverà a 200 milioni. Ma c’è un fenomeno: più cresce la popolazione e meno cresce il reddito della terra perché la coltura primitiva manca di tutto quello che la può sollecitare. Allora il problema della colonizzazione dell’Africa va al di là delle nostre fette sulla costa. Questo problema ci appassiona soprattutto perché lì possiamo trovare una soluzione, almeno parziale, al nostro bisogno di emigrazione. Al tempo fascista si diceva che bisognava svincolarsi dalla mentalità peninsulare e crearsi una mentalità imperiale, cioè proiettata nel mondo. Io ripeto tale esigenza, ma non in funzione dell’impero militare, bensì in funzione dell’espansione pacifica del nostro lavoro e della nostra coltura. Studino i giovani delle nostre Sezioni, che dicono talvolta vuote di argomento, studino la nostra storia. La storia dei possedimenti italiani in Africa, a tipo coloniale imperialistico, non rappresenta che la fase più recente delle lunghe vicende che portarono l’Italia delle nostre Repubbliche marinare agli stabilimenti in Siria, Palestina, Cipro, Candia, dall’Asia all’Africa: ma tutta la nostra storia mercantile e coloniale, di cui l’Africa non rappresenta che un episodio assai limitato, sia nel tempo che nello spazio, non è che un settore piccolissimo, per così dire, dello spirito universale italiano, il quale sempre e ovunque ha esternato in opere concrete il suo desiderio di cooperazione con gli altri popoli nel campo dello spirito e della materia. Dall’attività mercantile coloniale, che comprende quella dei grandi esploratori, mercanti, navigatori, si passa a quella degli artigiani, degli scienziati, degli inventori, degli architetti, dei letterati. Tutta questa vasta e multiforme attività ha in tutti i tempi reso l’Italia un centro di irradiazione che ha avuto mille diverse manifestazioni e si è concretata nelle forme più produttive e proficue per il mondo. Bisogna dire agli Italiani che conviene prepararsi per questa penetrazione pacifica del lavoro, della tecnica e della cultura. Noi abbiamo esuberanza non solo di forze manovali, ma anche tecniche e professionali. Noi abbiamo bisogno di questa espansione; e questa espansione sarà bene accetta se sarà preparata. Qui mi rivolgo al collega della Istruzione, che già molto ha fatto, mi rivolgo a tutti gli enti pubblici e privati: bisogna fare uno sforzo per fare studiare le lingue, studiare il mondo, studiare la scuola, adattare a questa emigrazione le nostre scuole, i nostri corsi di perfezionamento. Gli italiani bisogna che non facciano il cammino doloroso di quando partivano come straccioni, per poi dovere alla loro straordinaria attività, allo spirito di sacrificio organizzativo, le loro posizioni che hanno oggi, per esempio, nelle comunità americane. Bisogna che partano armati di preparazione tecnica, ma bisogna tentare in uno sforzo che il governo dovrà favorire, di riprendere le vie del mondo; ché chi parte, anche se non tornasse subito, non è perduto. Avete visto la solidarietà americo-latina. Ora io dirò qualche parola all’amico Dossetti: egli si è preparato a questo Congresso per molti mesi – ha detto – in consultazioni cellulari, come dire per cellule, e in analisi meditative. Io disgraziatamente non ho avuto questo tempo, perché ho dovuto occuparmi di realizzazioni e di esperienze costruttive. Quando io impostavo il problema della rottura del tripartito, che portò di conseguenza alla impostazione politica del 18 aprile, non tutti erano convinti che la strada fosse quella. Dovete riconoscere in questo momento che ha valso più la esperienza che la cultura. Altri problemi seguirono, come quello di fronteggiare l’ordine pubblico, quello del risanamento finanziario e dell’orientamento economico, quello del Patto atlantico. Amici miei, è stato un travaglio asprissimo e non sempre era possibile consultare tutti. Il senso della responsabilità doveva contribuire a dare la prima spinta. Abbiamo avuto la grande consolazione di vedere il gruppo parlamentare battersi meravigliosamente alla Camera. Amici miei, noi abbiamo assunto una grave responsabilità, l’abbiamo assunta quasi all’unanimità, e ci siamo rivolti in cinquecento e più comizi al paese. La Direzione del partito è stata all’altezza del momento, allora con la sua coraggiosa propaganda ha dominato l’opinione pubblica. Lavoro. Sì, il problema del lavoro è un problema molteplice che ci assilla e che trova difficilmente una soluzione rapida e totale. Ma non crediate che non ce ne siamo preoccupati. Sono arrivato a dire ai rappresentanti dell’America che avremmo rinunciato al Piano Marshall purchè ci dessero il modo di finanziare una parte almeno della nostra emigrazione perché il Piano Marshall è lento e non arriva che dopo molto tempo ad assorbire mano d’opera. Abbiamo sottoposto il nostro programma di bonifica a questo criterio fondamentale dell’occupazione, e così i lavori pubblici che dovettero tendere a questa meta, così la legge Fanfani , così gli investimenti diretti e indiretti di cui vi ha parlato Pella. Accettiamo le proposte dell’amico Rumor che le ha condensate in una magnifica relazione. È vero che ogni governo ha bisogno di un certo stimolo, se volete, di un «pungolo» (non mi piace molto la parola perché ricorda i buoi), ma comunque io accetto anche il «pungolo» ad una condizione: che a un certo momento quelli che stanno pungolando scendano dal carro e si mettano anch’essi alla stanga e dimostrino di saper tirare. Dossetti ha ricordato una frase che avrei detto nel penultimo Consiglio nazionale e che suonava così: «finchè non riusciremo a liberare una parte notevole della classe operaia dal Partito comunista la battaglia non è finita». È vero che ho detto così. Ma non è una scoperta. L’ho detto anche nel 1921, nell’altro Congresso di Venezia del Partito popolare . Vi prego di trovare anche in questa mia osservazione la dimostrazione che è necessario studiare la storia e che i giovani debbono studiare i libri vecchi. Il discorso mio sui sindacati poneva il problema dell’azione sociale e dell’inserimento dei sindacati dentro lo Stato. Ma non è molto semplice. Dossetti ha ricordato la concezione sua e di Fanfani quando erano alla SPES: la concezione del «nuovo Stato democratico nella solidarietà popolare». Anche questo è vero. È il solidarismo. Poco avanti la prima guerra e subito dopo la guerra uno dei più grandi sociologi tedeschi ha opposto al sistema socialista tutto un sistema chiamato solidaristico ed era quello sociologico cristiano . È vero. Ma il problema è tutt’altro che semplice. Mussolini ha tentato l’esperimento dei Sindacati e ne è venuto fuori il corporativismo di Stato. Bisogna essere molto attenti sul modo dell’inserzione, soprattutto deve essere una inserzione che trovi la collaborazione di almeno la maggioranza dei Sindacati e degli operai. Comunque io ricordo ai giovani, che tante cose sanno e che invece io non so, che è bene ricordare l’esperienza del passato. Segnalateci quello che voi nelle meditazioni, nelle vostre discussioni, nei vostri studi, credete di trovare di nuovo, e se si tratta anche di cose vecchie che avremo dimenticato o di cose veramente nuove, noi accettiamo il soccorso dei vostri suggerimenti. Però badate: noi abbiamo bisogno non soltanto di consiglio, abbiamo bisogno di appoggio. Questo sistema di vedere nel governo un’accolta di responsabili a cui si rinfacciano eventuali errori, senza riconoscerne i meriti, è ineducativo, è un sistema scoraggiante. La collaborazione deve fondarsi su un presupposto unitario di fiducia fraterna. Dossetti ha espresso la sua preoccupazione per l’attività parlamentare: egli sa, per le discussioni che ne abbiamo fatto in Consiglio nazionale, che la condividiamo, egli sa che la sentiamo acutamente. È un problema di collegamento tra le due Camere, e della collaborazione del governo con le Camere. Cento e novanta (se ben ricordo) sono le proposte di iniziativa parlamentare, quando un tempo queste proposte erano ridottissime, e alcune di queste provengono dai nostri deputati, che le presentano senza avvertire il governo, o che preparano una legge che magari pesa moltissimo sul bilancio, e cercano di farla promuovere dal governo che deve pur poter dire a tempo il suo pensiero. Così non si governa in Inghilterra e in Francia e non è possibile che diversamente si possa governare in Italia. Qualcuno lamenterà, e se ne è fatto cenno, il ritardo della trattazione delle riforme dei contratti agrari. Bisogna essere tolleranti in questo campo perché si tratta di materia in cui si può essere sostanzialmente d’accordo, ma alcune formule tecniche possono essere differentemente prospettate. Il gruppo parlamentare ha preso una decisione di massima. A un certo momento la questione delle formule tecniche dovrà essere superata e la riforma passare avanti, per dar posto a quella fondiaria. Passo alla riforma degli organi centrali: anche questa è un’aspirazione comune, anzi un dovere costituzionale. Ma è riforma difficile. Quando si creò il Ministero della Marina mercantile, sorse la questione se la pesca fosse di pertinenza del Ministero dell’Agricoltura o del Ministero della Marina. Si è discusso un mese. Dopo le decisioni le carte sono passate da un ministero all’altro e in realtà il nostro Bastianetto (e qui colgo l’occasione per mandargli il mio plauso), quando ha voluto passare all’attuale delle convenzioni con la Jugoslavia, ha dovuto ancora fare il giro da un ministero all’altro per documentarsi. E guardate nella emigrazione: mi pare che nella proposta Rumor si parli delle competenze divise tra il Ministero del Lavoro e il ministro degli Esteri; qualcun altro ha parlato di creare un organo nella Presidenza del Consiglio. Ogni volta che mettete la mano sopra un congegno amministrativo trovate una serie infinita di difficoltà giuridiche, tecniche, burocratiche. E quando finalmente andate al Parlamento entrate come in un tunnel in cui si tarda a veder la luce. Tuttavia lo sforzo va fatto, e lo si farà. I giovani, o almeno i giovani di cui credo si faccia interprete Dossetti, mi pare tengano sovratutto alla sistematica, alla presentazione organica e coordinata dei lavori e delle riforme. Non bisogna esagerare l’importanza della costruzione logica, tuttavia è vero che manca al governo un organo che spieghi obiettivamente e concretamente l’opera sua. L’abbiamo già avvertito: avete visto il bel volume illustrato sulla bilancia dei pagamenti! Si tratta di volgarizzare soprattutto i problemi economici e le soluzioni concrete. Ne seguiranno altri sull’agricoltura, il bilancio, l’industria ecc. Ogni riforma dovrà venire esposta organicamente e in connessione con le altre. È uno sforzo per l’educazione del popolo alla politica democratica. Bisogna che arriviamo a sostanziare la nostra propaganda e con ciò dare anche argomento di discussione e di istruzione alle Sezioni, di modo che il partito possa contribuire esso stesso a questa perfezione dei nostri metodi. Non posso però non riconoscere la grande importanza assunta nel periodo della direzione del partito di Piccioni e Cappi, da organi come il Traguardo, il Popolo e libertà, Commento che meritano rilievo. Infine non è esatto accentrare, come sembra volere Dossetti, i tre compiti nel partito. Bisogna distinguere: stimolare e preparare è del partito; deliberare è del Parlamento; eseguire è del governo . Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che le idee, le aspirazioni, le tendenze programmatiche vanno sin dall’inizio inquadrate nella realtà, realtà che è una risultante delle possibilità esecutive e finanziarie e delle forze rappresentative delle due Camere, e questo non dovete dimenticarlo, amici miei. Una cosa è il programma del partito, l’affermazione programmatica del partito, circa la via che si deve percorrere, altra è la possibilità dell’esecuzione entro un governo di coalizione, e anche se non fosse di coalizione, ad ogni modo un governo che deve tener conto della proporzione delle forze nelle due Camere. C’è stata una frase ultimamente nel discorso di Dossetti che mi ha un pochino fatto stizzire. Forse non ho capito bene. Si parlava dei posti. Quale deve essere il nostro principio? Senza dubbio, se noi possiamo ottenere l’associazione della competenza tecnica con la concezione sociale (cioè l’uomo moderno con la mente aperta alle riforme, e con la conoscenza delle aspirazioni delle classi alle quali le riforme si rivolgono) è certo il meglio che si possa fare. Quindi se troviamo un democratico sul serio che abbia contemporaneamente cognizioni tecniche per un posto economico o esecutivo, egli deve essere certo il preferito. Però, la competenza tecnica è necessaria e non sempre disponibile come la tessera del partito. Segnalateci dei giovani che maturano, e noi vi saremo grati. Non è che si vada a cercare nell’antico Partito liberale il tale o il tal’altro uomo, perché è del Partito liberale. È semplicemente un uomo che ha fatto l’esperienza avanti che l’abbiano potuta fare gli altri. Evidentemente questo contributo non deve essere trascurato. Il paese, badate, dopo un periodo in cui la tessera era tutto e la competenza poco, il paese oggi ha diritto di sapere che secondo il nostro sistema è la tessera politica quella che decide quando si tratta di posti di competenza; e i nostri devono sapere che alla tessera, intesa come concezione di vita, bisogna aggiungere competenza. Fortunati noi se le troveremo associate. Il contatto serve: ero qui per istruirmi. Ho anche imparato negativamente, cioè qualche cosa che non deve essere fatta: la discussione capziosa su questioni piccine e organizzative, che non sono degne di un tale Congresso. Ma voi avete affrontato i grandi problemi e avete, plaudendo all’energico discorso di Piccioni, affermata la nostra unità. Tuttavia, affinché non ci sia l’ombra di un equivoco sul Congresso, vi pongo formalmente delle domande e vi do occasione di esprimervi. Ecco le mie domande: mi sbaglio o no io nell’interpretare – e dicendo io, dico anche i miei colleghi e collaboratori – il voto della Camere, che ci ha sostenuto e ci sostiene, come voto consapevole e responsabile di adesione alla politica onesta, schiettamente democratica e non persecutoria del governo nazionale? Mi illudo io quando gli applausi di anonime folle o di amici nel partito mi accompagnano nei frequenti contatti col popolo per tutta la penisola, quando io penso che questo applauso è rivolto all’idea che rappresentiamo io e i colleghi, allo spirito di sacrificio con cui noi serviamo questa idea? Mi sbaglio o mi illudo? Il Congresso lo deve dire. Perché, è vero, sono responsabile innanzi alle Camere, le Camere sono responsabili innanzi al paese, tutti sono responsabili innanzi alla massa elettorale. Però è vero che il vincolo ombelicale è quello alimentato dal partito nel quale ho sempre combattuto anche quando si chiamava Partito popolare. Bene, amici, voi dovete dirlo chiaramente, se io interpreto bene o se mi illudo sulla via tracciata dal Congresso. Lo so, ci sono insufficienze, ne sono consapevole, difficoltà da superare. Forse le vediamo più noi che voi perché le incontriamo tutti i giorni. Il rinnovamento dello Stato è appena agli inizi, ma dico ai giovani che hanno dimostrato in qualunque momento della impazienza: impazienti, badate, questi vecchi stanno lavorando per voi, facendo sforzi in mezzo alla calca tumultuosa della nuova Italia nella quale voi entrerete se avrete il coraggio, la prudenza e le qualità necessarie per governare uomini, cioè idee chiare, cuore fermo, occhi per la realtà. Si va cercando a tastoni la terza forza, ma non ce ne è che una ed è la democrazia. Con o senza aggettivi, essa è veramente una forza se rappresenta una concentrazione di energie difensive contro la duplice antidemocrazia e costruttive per lo Stato democratico e l’avvenire del lavoro. Con la visione innanzi agli occhi del compito immane, noi facciamo appello e posto a tutte le forze ricostruttive. Ma sappiamo bene che nella nostra fede negli ideali di rinnovamento, nella nostra devozione al paese, nella nostra crescente preparazione di uomini e di quadri troveremo le riserve energetiche per continuare la marcia, anche se taluno cercasse una diversione – e diversione significa debolezza – per gettare sulle nostre spalle tutta la responsabilità. Se un tale deprecato e deprecabile caso si verificasse, la terza forza del 18 aprile continuerà in noi e per noi il suo vittorioso cammino. |
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| A nome mio e del governo italiano porto il saluto più vivo a tutti i congressisti qui convenuti, ed auguro un felice esito dei lavori. L’Italia è lieta di ospitare il più alto Congresso della scienza medica. Prima ci si difendeva dalle malattie, creando cordoni sanitari e isolandosi dal mondo, mentre oggi le malattie e le epidemie sono combattute e vinte con la collaborazione di tutti. È significativo il fatto che, dopo la guerra, è toccato ai medici del mondo, come soldati di una grande armata della sanità, il compito di rinnovellare i legami di amicizia fra le Nazioni Unite a mezzo dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’Italia di oggi sente massimamente i problemi della cooperazione internazionale in tutti i campi e lo prova il fatto che essa sta attuando una unione doganale di vasta portata ed è fra i paesi che auspicano più ardentemente l’avvento degli Stati Uniti d’Europa. Onde tutto quanto si fa qui per stringere accordi e predisporre azioni su basi internazionali, non può non ricevere il nostro più entusiastico consenso. |
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| Cari amici, vi ringrazio di cuore e vi esprimo tutta la mia gratitudine, per il caloroso omaggio tributatomi,nel quale ravviso l’impegno di tutti per una non formale ma sostanziale e combattiva unità del partito. Sicuro di interpretare il pensiero dei democratici cristiani di tutta Italia, ringrazio la Direzione uscente e, soprattutto, il segretario politico Cappi per l’appassionata e proficua opera svolta, che merita apprezzamento ed elogio. Mi auguro che il Consiglio nazionale nel prendere le sue deliberazioni e nello scegliere i nuovi dirigenti sappia raccogliersi nella considerazione dei compiti nei quali il partito è impegnato al servizio del paese. Riconfermando le dichiarazioni fatte al Congresso di Venezia , ripeto che esigenza fondamentale è quella di stabilire la direttiva politica non solo per e nel partito ma nel governo e nel paese. Il governo deve essere considerato come un comitato al quale la maggioranza parlamentare, con la sua fiducia, affida il potere esecutivo. Il partito, da parte sua, pur esercitando un’azione di critica costruttiva e di stimolo nei confronti del governo, ha il dovere di sostenerlo fino a quando è mantenuta la fiducia per gli uomini che in esso lo rappresentano. La base della democrazia sta appunto in questo rapporto di fiducia. [Seguono le elezioni del nuovo segretario politico ; il presidente del Consiglio riprende nuovamente la parola nella seduta pomeridiana del 20 giugno 1949]. Riferisce sulle conversazioni di stamani. Prospettive nel da farsi, svoltesi in un’atmosfera di molta serietà. Ha constatato l’accordo in questo senso: 1)Esecutivo Direzione: deve essere efficiente per la direttiva e l’organizzazione, quindi omogeneità e impegno che nessun membro dell’esecutivo intenda rappresentare alcuna tendenza organizzata. 2)C’è stata una dichiarazione importante di Dossetti, il quale ha detto che la questione delle tendenze organizzate non poteva essere affrontata oggi di fronte a dichiarazioni che hanno cercato di [qualificare] la sua attività come organizzatrice di tendenza. Ha confermato che in lui non c’è stata alcuna intenzione in proposito. Comunque Dossetti ha detto di non voler discutere la questione sotto la pressione della procedura elettorale. Ha chiesto che nella scelta si tenga conto delle correnti. De Gasperi ha apprezzato la buona volontà di Dossetti di superare se non oggi domani la questione delle tendenze. Dossetti ha promesso la massima collaborazione aggiungendo che nulla sarà fatto ai suoi tecnici contro l’unità del partito. De Gasperi ritiene che così stando le cose, occorre procedere alle elezioni della Direzione. […] È d’accordo sulla necessità di studiare la questione delle tendenze. Ma Dossetti ha chiesto che non si precipiti e che non si metta il problema in rapporto con le elezioni odierne. |
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| Siamo alle solite: Togliatti dopo aver assunto il ruolo di nume tutelare della Costituzione, accusa il governo di non saper dirigere il Parlamento e di non farlo lavorare . Il gioco polemico è troppo sfrontato e grossolano per trovar credito, anche se soltanto fra gli agit-prop. Il massimo responsabile di manovre ostruzionistiche del Parlamento tende a capovolgere la posizione, trasformandosi da imputato a giudice. Peccato che le cronache parlamentari non siano d’accordo con l’onorevole Togliatti, poiché documentano abbondantemente quale colluvie di armeggii, di interventi, di interpellanze i socialcomunisti abbiano rovesciato sul governo, con l’evidente scopo di incepparne l’attività e di far perdere del tempo prezioso all’Assemblea legislativa. Non nostra, dunque, la svalutazione della Camera, ma al solito ai due estremi dello schieramento politico; estrema sinistra ed estrema destra. I comunisti malgrado la maschera legalitaria – quanto fragile e sottile – continuano ad opporre la piazza e le agitazioni pseudo sindacali al Parlamento. Quanto è accaduto a proposito del dibattito sul Patto atlantico è riassuntivo ed indicativo della mentalità bolscevica: l’opposizione rossa ha infatti condensato in un grido conclusivo il proprio lealismo parlamentare: «ci appelleremo al paese contro le Camere». La stampa socialcomunista ha completato l’opera, presentando il regolare e libero voto del Parlamento come un fazioso colpo di maggioranza. L’altra azione svalutatrice delle Camere proviene dall’ancor debole (ma pericolosa, se non si contrasta) nostalgia dittatoriale di qualche gruppo di estrema destra. Contro queste due posizioni antiparlamentari è intervenuto energicamente fin dalle prime avvisaglie proprio il presidente del Consiglio, contro cui si appunta scioccamente l’accusa di Togliatti. Basterà fra i numerosi esempi citare gli ultimi discorsi dell’on. De Gasperi all’Adriano di Roma ed al Congresso di Venezia per intendere con quale decisione e precisione il pericolo sia stato denunciato di fronte al paese. Non si capirebbe, quindi, dove vogliano parare le critiche socialcomuniste, se non giungessero in soccorso il discorso di Togliatti alla Camera e più chiaramente il commento del paracomunista Il Paese. Secondo Smith la opposizione «sarebbe messa al bando tanto della Camera che del Senato» e non verrebbe considerata «parte integrante dell’Assemblea» . È proprio qua che si mostra la coda del diavolo comunista. Un tempo i socialisti classici erano sistematicamente contrari a partecipare ai governi borghesi, in nome del loro programma rivoluzionario; oggi i comunisti tentano di penetrare in ogni governo, nonostante il loro programma rivoluzionario. Essi sono diventati dei possibilisti ad ogni costo, proponendosi di penetrare nell’amministrazione dello «Stato borghese» per insidiarne dal di dentro la sostanza della democrazia, che è la libertà, il principio della maggioranza che governa e dell’opposizione che controlla. I comunisti non fanno questione di programma pregiudiziale, di accordi pratici, di accettazione dei princìpi democratici, vogliono partecipare al governo senza prendere alcun impegno, senza dare alcuna garanzia morale e reale su ciò, ma anzi riservandosi addirittura di ricorrere in ogni momento alla tattica rivoluzionaria, quando loro convenga: il doppio gioco, insomma, elevato a sistema, il doppio binario di una democrazia insidiata e dello Stato-partito totalitario in agguato. In codesta prospettiva la tattica porta i comunisti ora a denigrare ed ora ad esaltare il Parlamento; in realtà i bolscevichi esaltano il Parlamento solamente quando pensano di poterlo fare a supposto scapito del governo. Gli ingenui ottimisti che credono o fingono di credere che, nella vertenza sindacale, si sia fatto ricorso al Parlamento per «aumentare il prestigio», leggano i commenti della stampa comunista. Prendano visione su «l’Unità» dell’articolo di Grieco, il quale dopo aver attaccato e denigrato l’opera di mediazione del ministro del Lavoro e quella del ministro dell’Interno, scrive: «v’è chi ha osservato che con questa procedura originale il Parlamento si è sostituito al governo. Vi è del vero nell’osservazione. Ma ciò che è avvenuto è un prodotto della situazione politica, le cui contraddizioni non possono trovare una soluzione nella composizione dell’attuale Parlamento. In una situazione in cui il Parlamento non è capace di cambiare il governo – o questo o quel ministro – e il governo non accetta come base di distensione sociale e politica il programma costituzionale, il fatto che il Parlamento, in una questione delicata, si sia sostituito al governo, attraverso i suoi presidenti, costituisce un atto di saggezza politica, da parte sua» . Qualora non fossero abbastanza persuasive le affermazioni de «Il Paese» si leggano i «pezzi» occasionali di Nenni e di altri ancora per comprendere in quale modo s’intendesse valorizzare il Parlamento. Malgrado ciò, il governo si è mantenuto assolutamente al di sopra delle discussioni in merito all’intervento dei presidenti delle Camere, anzi, al mattino di venerdì scorso nel Consiglio dei ministri, dopo una relazione di Fanfani, si sospese un nuovo tentativo di concludere le trattative sindacali, onde lasciar agio ai presidenti di proseguire la loro opera. Il governo era completamente tranquillo sull’azione svolta, sia di mediazione, sia di difesa della libertà di lavoro; tranquillo e unanime: e tanto poco era contrario alla formula, ultimamente adottata, che il presidente del Consiglio ottenuta un’adesione di massima da una delle parti, passò la proposta a Fanfani, prima ch’egli riprendesse la sua fatica; cosicché la conclusione fu opera del concorso di tutti i fattori chiamati in causa. Se poi la critica volesse riferirsi a pareri e discussioni sulla portata o sui limiti dell’intervento parlamentare, ci sarebbe da chiedersi se non fu appunto il «caso nuovo» a dare adito a tali discussioni anche fra gli stessi parlamentari, anzi fra i due presidenti arbitri. Precisato questo, però, è doveroso soggiungere che le Camere farebbero il gioco degli avversari se si prestassero, conniventi o ingenue, consapevoli o non, a tentativi di porre in contrasto responsabilità parlamentari e responsabilità governative. Né può essere passato sotto silenzio un articolo di Politica sociale in cui, fra altre arbitrarie asserzioni, si rimprovera al governo il ritardo della presentazione della legge sindacale , poiché il governo avrebbe modo di rispondere che proprio in omaggio ad un ordine del giorno del Senato in cui si chiedeva che la legge venisse prima sottoposta al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che il provvedimento non è stato ancora presentato e discusso. Ma a parte tale eccezione, si potrebbe chiedere a chi in realtà giovano tali polemiche e punzecchiature. Sarebbe facile rispondere che servono soltanto ed unicamente la causa dell’antidemocrazia parlamentare. La sorte del Parlamento e del governo parlamentare è una sola, e bilaterale e convergente deve essere lo sforzo di assicurare e migliorare ognor più il funzionamento delle Camere. |
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| Cari amici di Benevento e della Provincia che siete venuti a festeggiare il mio arrivo. Io non ero preparato a fare un discorso, ma voi siete una forza che supera ogni programma. Risponderò così, ricambiando innanzi tutto, il vostro affettuoso saluto e risponderò anche a quanto mi hanno detto il vostro prefetto e il vostro sindaco e il presidente della vostra bella Mostra. Vi dirò subito le mie impressioni sulla Mostra. Essa indica la vostra decisa volontà di risorgere, di ricostruire, di voler diventare migliori. È per questo che io vi dico con tutta franchezza che il governo vi sarà al fianco in questo vostro slancio di ricostruzione; il governo appoggerà nei limiti delle sue possibilità tutte le vostre esigenze, specialmente quelle che mi sono state fatte presenti dai vostri rappresentanti. È vero che molti sono i mali, ma è anche vero che molto già si è fatto. Io vi ringrazio amici di Benevento e della provincia di questa vostra fede, di questa vostra volontà di rinascita e vi dico che il governo farà tutto il possibile per potere superare le difficoltà che si frapporranno alla vostra resurrezione. Coraggio, volontà, forza di ricostruzione: ecco le doti che faranno risorgere l’Italia più forte ed unita di prima. |
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| Fra i contributi alla efficienza del Parlamento, quello recato da Pietro Nenni merita di essere particolarmente segnalato, poiché a differenza di qualche altro possiede il pregio della sincerità. Leggiamo insieme un brano dell’articolo che egli ha scritto sull’Avanti! di domenica scorsa: «Il problema della forma nuova di organizzazione della democrazia è più che mai aperto. A mio giudizio esso involge non soltanto il funzionamento dell’istituto parlamentare, ma anche la organizzazione del suffragio universale. Nell’Ottocento la contrapposizione del paese reale al paese legale si fondò sulla esclusione del voto (progressivamente abolita) della classe operaia e contadina nei suoi nuclei più attivi, che non erano né quelli del censo e neppure, in assoluto, quelli dell’istruzione. Nell’epoca del suffragio maschile e femminile la contrapposizione tende a ripresentarsi e a riproporsi come conseguenza del peso che attraverso l’atto elettorale finiscono per esercitare i nuclei passivi della popolazione, quelli di coloro che escono dall’indifferenza politica e dal domestico esilio per deporre, ogni tanti anni, una scheda nell’urna e sono, per natura, i più inclini a subire, in un senso o nell’altro, secondo come tira il vento, l’effetto di campagne di odio, di paure e di esaltazione» . Non occorre molto acume per rilevare che l’on. Nenni è già entrato in piena ortodossia comunista; l’unica differenza fra lui e i suoi «compagni» del Pci è questa: ch’egli non curante della tattica contingente, dichiara quel che gli altri nascondono sotto il veli dell’opportunismo. La critica ai «nuclei passivi» fa desiderare al deputato massimalista la trasformazione del suffragio universale basato sull’uguaglianza di tutti i cittadini, nel suffragio privilegiato, da riservarsi ai nuclei dei cosiddetti attivisti. Quest’involuzione è molto pericolosa ed è forse per questo che il suffragio ristretto fu sempre osteggiato dai socialisti del XIX secolo, mentre per contro, venne applicato dai comunisti con i famosi «Consigli» (Soviets) accompagnati dalla guardia armata operaia. La dialettica posta in azione da Nenni si vale in realtà degli stessi argomenti che, a suo tempo, portarono al governo gli attivisti del fascismo e la loro milizia nazionale. A questo proposito bisogna ricordare che il deputato romagnolo fin dall’Avanti! clandestino patrocinò una Repubblica dei «Consigli», nei quali avrebbe volentieri trasformato il Comitato di liberazione. Poiché, invece si è giunti ad una Repubblica democratica parlamentare, fondata sul suffragio universale e la maggioranza non si è dichiarata favorevole al comunismo, N.[enni] capo delle truppe ausiliare comuniste ha già perso la fede nel suffragio universale e sente il grave peso dei «nuclei passivi». Ma, nella fregola di sostenere la tesi dei Soviets, N.[enni] perde le staffe e mostra di non avere molto rispetto per il postulato del voto alle donne , che i socialisti, a semplice titolo elettorale, hanno sbandierato durante le campagne politiche. Tutte le ragioni portate a sostegno del suffragio femminile vengono oggi dimenticate per comodo di tesi. Comunque, a parte la gratuità dei rilievi nenniani nei confronti di una parte considerevole del corpo elettorale, che ha dimostrato sì pronta comprensione e sensibilità, vi è da osservare che il vantaggio del sistema democratico consiste appunto nel rendere politicamente attivi gli indifferenti ed i tiepidi non nel sopraffarli con minoranze sovente assai più fanatiche che consapevoli. Il presidente del Consiglio, nel suo recente discorso al Senato , ha posto in guardia contro le conseguenze di una critica parlamentare ispirata non dal desiderio di far funzionare gli istituti democratici ma dal proposito di soffocarli nella sopraffazione e nella dittatura. L’articolo dell’on. Nenni dimostra la piena validità di quell’allarme. |
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| La discussione svoltasi al Congresso di Venezia e nello stesso Consiglio nazionale che stiamo per chiudere, certe sporadiche affermazioni di «integralismo cattolico» che più o meno consapevolmente e nel fervore giovanile si vorrebbero opporre alla nostra direttiva politica e, d’altra parte, le stesse benevole interpretazioni che di questa nostra direttiva suol dare chi l’approva e la sostiene solo per ragioni contingenti, spiegandola cioè come tattica personale transitoria e quindi come fenomeno di «giolittismo», tutto ciò giustifica forse che ci poniamo la domanda: questa direttiva di mediazione e di concentrazione, di equilibrio e di propulsione, di liberalità e di fermezza che sarebbe già giustificata dal compito nostro immediato che è quello indicatoci dal tema stesso del nostro convegno, quello dunque di consolidare la democrazia in Italia, non ha tuttavia radici più profonde e non proviene forse dall’ispirazione cristiana che ci guida? Sfugge forse a taluno di noi e certamente a molti nostri avversari che noi come politici veniamo non solo da una dottrina, cioè da una filosofia politica e sociale, ma anche da una esperienza storica e che di questa storia siamo oggetto e soggetto insieme . Tale esperienza è complessa e non sempre logicamente rettilinea. Certamente la concezione cristiana della vita politica conosce un de Maistre , un de Bonald , un Veuillot , ma nella galleria dei nostri antenati veneriamo anche Lacordaire , Montalembert, Tocqueville . Alexis de Tocqueville nel suo Ancien Régime et la révolution, scoprì il duplice senso della Rivoluzione francese, come del resto lo illustrò, precisando, Alessandro Manzoni, come lo sentirono i neoguelfi del Risorgimento, quando assieme ai liberali prepararono le nuove Costituzioni. Degli errori del Terrore giacobino profittavano la Restaurazione e la Reazione per condannare e assolvere in blocco. Non è vero, non è giusto, proclamavano il Tocqueville e padre Gratry . Bisogna ammettere che di fronte alle vergogne e alle iniquità di Luigi XV la nazione francese prese una risoluzione sana, quando decise di applicare agli affari del mondo la ragione, la giustizia. Ed ecco che nella Rivoluzione si scopre il fermento evangelico della giustizia e della verità: libertà personale, autogoverno della nazione, libero suffragio, divisione e indipendenza dei poteri, pace operosa e non guerre. Ma questa non era la politica di Fénelon , rivelatasi anche nei cahiers del clero presentati agli Stati generali del 1789? Non era la politica dell’America indipendente, libera e rivoluzionaria nei suoi istituti politici, ma rispettosa della libertà delle coscienze? In Francia fu l’istinto della velocità sfrenata, la vertigine del potere che precipitò la Rivoluzione nella tirannia del Club e dell’Assemblea. La Rivoluzione sanguinaria interviene col suo potere tirannico, quando gli uomini di Stato non sanno né frenarsi né rassegnarsi a vincere coll’onestà, con la pazienza, col lavoro. Ricordate che nel discorso di Bruxelles feci l’elogio della pazienza, come la virtù necessaria della democrazia. È la pazienza del costruttore che rispetta la libertà, la virtù del riformatore che piega l’egoismo umano verso la giustizia sociale ma senza spezzare la continuità, senza seminare vittime sul proprio cammino. Per demolire la proprietà individuale è sufficiente un colpo di forza, ma per rendere cristiano l’uso del diritto di proprietà si richiede l’opera tenace d’una convinzione profonda che si batta inflessibilmente contro il quotidiano rinascere dello jus utendi et abutendi. Ma questo sforzo riformatore è sforzo di libertà, è sostanza e metodo di democrazia ed è, nel suo più intimo, fermento evangelico di cristianità. Un soffio di ottimismo e di progresso anima il nostro dinamismo sociale, un’ansia di fraternità e di giustizia ci sospinge, un senso di comprensione allarga la nostra visione politica e ispira la nostra tendenza ad assimilare quanto di buono e di vivo è risultato dall’esperienza dei secoli. Con un senso di dilatazione e di umanità ascoltiamo la parola di Colui che disse alla samaritana: «credimi, donna, è venuta l’ora in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre… È venuta l’ora ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, che tali sono appunto gli adoratori che anche il Padre domanda» . Gli avversari amano considerarci come pecore nel chiuso, come gente angusta e intollerante, cinta dallo steccato dei propri dogmi e dal ferro spinato del proprio fanatismo. Ma lo spirito di leale adesione ai princìpi religiosi non contraddice al senso di lealtà verso la Costituzione che stabilisce le direttive di marcia e le regole di convivenza per cui la nostra comunità nazionale fa il suo cammino nella libertà delle coscienze e nella gara democratica dei partiti. È vero, nella cattolicità agisce anche il Magistero della Chiesa che può prendere e prende contro i suoi delle misure disciplinari, fino ad escluderli dalla propria comunione, ma esso si limita alla legittima difesa dell’integrità della propria dottrina, non si impone, né lo potrebbe, colla costrizione. Il colpito rimane libero di accettare o non accettare la sua disciplina. In Occidente, la lotta iniziata contro le investiture è finita con una chiara distinzione fra i poteri della Chiesa e quelli dello Stato. In Oriente il cesaropapismo dura ancora. Il capo assoluto di uno Stato comunista ammette una «chiesa nazionale» solo a condizione che essa abbandoni allo Stato comunista la coscienza e tutta la personalità del cittadino. Questo Stato incamera l’etica individuale e sociale, perché esso stesso pretende di essere una religione e si identifica con una dottrina, in modo che l’urto con la dottrina non rimane un fatto interiore della coscienza o dei rapporti spirituali, ma diventa subito un atto di fellonia contro lo Stato-partito, il quale sente il diritto di punirlo severissimamente nelle cose e nella persona. I comunisti nostrani che appartengono alla più intransigente osservanza bolscevica hanno preteso che i liberali affidassero loro la bandiera del Risorgimento nazionale. Secondo un proverbio tedesco, sarebbe come promuovere il caprone a giardiniere. Se «laico» vuol dire liberale, cioè un cittadino preoccupato di difendere, nell’ambito dello Stato, la libertà di tutte le coscienze, come può assumere il patrocinio di tale laicità il fanatico marxista-leninista del Cominform? A questa «laicità» basta la Costituzione, a cui gli spiriti credenti hanno collaborato votandola così come è, non perché ritenessero che l’invocazione a Dio avrebbe menomata la dignità umana e il libero arbitrio (ricordate il turbamento di molti costituenti quando La Pira sommessamente osò proporre la sua invocazione… «interconfessionale») ma perché sanno che nella Costituzione di uno Stato moderno non è necessario proclamare le proprie credenze, quanto è indispensabile di accordarsi su norme di convivenza civile che, colla libertà di tutti, difendono anche la libertà della fede. Che se laicismo volesse significare anticristianesimo o indifferentismo ostile che volesse agire nella vita italiana, come se non esistesse una tradizione storica millenaria, come se la voce di centinaia di migliaia di campane non avesse più eco nell’anima di 45 milioni di italiani; se laicismo volesse dire oltre che la libertà per la minoranza di vivere a modo suo, la negazione alla maggioranza di professare pubblicamente la fede dei padri, allora codesta specie di laicismo si rivela un nemico della Costituzione e come chi lo pratica agisce contro il consolidamento del nostro regime democratico. Vano e antistorico del resto è anche l’insistere su una presunta antitesi fra Chiesa cattolica e cultura. Mi soccorrono qui le ahimè ormai pallide reminiscenze di biblioteca. Ho pensato sempre con ammirazione all’atteggiamento della Chiesa nel periodo umanista. L’umanesimo rischiava di diventare davvero un movimento di rinascita pagana. Ricordate nomi come Poggio , Filelfo , Valla , Beccadelli . Molti uomini di chiesa erano legittimamente preoccupati e invocavano condanne. L’umanista Tommaso Parentucelli divenuto Niccolò V , ebbe invece il coraggioso pensiero di conquistare l’umanesimo. Dante e Petrarca avevano concepito il mondo cristiano come un perfezionamento dell’antico. Così Niccolò V raccolse nella Biblioteca Vaticana i codici preziosi degli antichi e attorno ai codici gli eruditi [che] li studiavano, traducevano e commentavano. Vinse così, non senza rischio, la battaglia del Rinascimento. Oggi la storia celebra quei tempi e quelli che immediatamente seguirono come i secoli del Bramante, di Raffaello, di Michelangelo. Visitatori di tutto l’universo, di tutte le razze sfilano in quelle mirabili aule, pensosi e ammirati, e chinan la fronte. Fuori di lì, un gruppo di nostrani degeneri, salvano la cultura imprecando. Un papa bibliotecario, vicino a noi, rinnovò con grande larghezza di mente e generosità di spirito le gesta del Parentucelli. Fu un caso che Pio XIcosì amante della cultura fosse contemporaneamente rigido difensore dei princìpi religioso-sociali, in confronto del nazismo e del comunismo e protettore dei perseguitati a qualunque religione appartenessero ? No, quando la Chiesa esercita il suo ufficio di ammonimento e disciplina si sente contemporaneamente spinta dal suo ardore evangelico ad avvicinare gli uomini e a far sentire loro la sua maternità larga, liberale, generosa di opere caritative quale fu soprattutto durante e dopo la guerra. È il caso di ripetere ch’essa si rivolse ai fanciulli abbandonati come ape stracarica di miele. Sempre così: quando condannò la dottrina del Marxismo, spinse i suoi fedeli alle provvidenze e alle riforme per i lavoratori. Più forte, più universale è risonato l’insegnamento del discorso della montagna: «tutto quello che desiderate che gli uomini facciano, voi fatelo per loro; questa è la legge!». Non bisogna ritenere che diverso possa essere l’insegnamento e l’impulso della Chiesa, anche dopo la scomunica anticomunista. Onde fuor di luogo è quel certo senso d’inerzia pessimista o di soddisfacimento conservatore con cui taluni assistono all’opera della Chiesa. Non si tratta di scavare trincee né di tirare su steccati puramente difensivi. Si difendono i princìpi, ma si conquistano gli animi. Non parliamo qui per autorità propria e se ci richiamiamo ad esempi della storia della Chiesa, non è per attribuirci i suoi meriti. La Chiesa vive e si evolve nella sua sostanziale permanenza al di sopra dei partiti e dei regimi politici che passano. Si muove su un altro piano. È assurdo immaginare ch’essa diriga un partito o assuma la responsabilità di una politica interna o internazionale. Questa responsabilità, in democrazia, appartiene al Parlamento coi suoi partiti e col suo governo. Ma le decisioni responsabili vengono prese dalla coscienza personale di chi delibera e di chi governa. Questa coscienza è illuminata da una filosofia, mossa da un sentimento, ispirata da una tradizione. C’è chi pretende risalire a Hegel o a Marx, chi si crea una mistica fascista o comunista, e noi non potremo richiamarci alla dottrina sociale-cristiana, a quella filosofia aristotelico-tomista che fu detta la filosofia perenne e soprattutto non potremo ricercare nel lievito evangelico l’impulso per una politica di fraternità e di giustizia e il senso stesso del nostro universalismo; non potremo insomma chiamarci ad essere democratico-cristiani, senza che la nostra democrazia venga sospettata di ierocrazia o di clericalismo, cioè come una intrusione del potere ecclesiastico nel settore riservato al potere politico? Qui mi pare di poter concludere così: i giovani amici che talvolta ci muovono bene intenzionate critiche non devono credere che nella nostra direttiva politica siamo dei puri empirici, anzi degli opportunisti senza una concezione logica e senza un’ispirazione costruttiva e feconda. A chi poi guarda dal di fuori diciamo: se volete giudicarci oggettivamente, ci dovete giudicare dallo spirito animatore che vi ho descritto e da questa storia secolare di cui ho evocato qualche episodio e che nel volger degli anni ci ha modellati così, come siamo divenuti e come presentemente siamo. Se chiediamo che si presti fede all’umanesimo tollerante della nostra politica, è perché abbiamo le carte in regola. Cerchiamo di mediare e di collaborare nell’interesse di tutta la comunità nazionale e del progresso umano, ma tale ufficio di mediazione è anche proprio delle nostre origini e conseguenza della nostra esperienza storica. Non ci possono essere né pentimenti né ritorni verso le angustie dei canali e degli stretti. Si va al largo, al servizio di tutta la nazione, nello spirito di fraternità e di giustizia sociale. Se è vero che nel nostro sviluppo vi sono confluenze con l’esperienza socialista e con quella liberale, noi non pretendiamo di sostituirle tutte. Ognuna può essere utilizzata al servizio del paese e per il consolidamento della democrazia. Ma riteniamo controproducente il lasciar credere che la Democrazia cristiana non costituisca uno schieramento essenzialmente omogeneo, con impulso e dinamica propria, e con autonomia sufficiente per un lungo cammino . È anche vero però che la nostra ispirazione cristiana non impedisce, ma favorisce la collaborazione. Sì, il Cristianesimo professato e vissuto fornisce ali alla nostra democrazia, ma non è che la democrazia sia vincolata per tutti allo stesso impulso iniziale, consapevole e proclamato. Il Cristianesimo ha lasciato oramai nella storia tali impronte ch’esso agisce come elemento ambientale e vitale anche per chi non lo professa o se ne avvede solo quando Roosevelt legge il discorso della Montagna o quando Croce afferma che noi non possiamo non dirci cristiani . Noi non chiediamo a nessuno rinunce o adesioni, chiediamo solo che i diritti umani della libertà personale e della giustizia sociale, comunque motivati, costituiscano la base comune del lavoro. La Costituzione, che abbiamo giurata, ci offre la base giuridica di tale comunanza e impone le regole e i limiti dei nostri rapporti. Essa esclude l’intolleranza, suppone il rispetto delle fedi e ci detta il metodo di superare i contrasti, quando dal campo delle idee si ripercuotono nella pratica civile e politica. La Costituzione esclude il clericalismo, ma tutela la libertà religiosa, esclude l’anticlericalismo, ma salvaguarda la libertà della fede. Senonché mentre sto per chiudere questo mio discorso, che rappresenta il tentativo di giustificare con motivi più alti una collaborazione che per ragioni diverse ha trovato in questo Consiglio anche degli oppositori, sento l’incalzare di un’ultima obiezione che viene soprattutto dagli attivisti più caldi e più generosi. Questa collaborazione permanente, elevata quasi a sistema non finirà col mortificare lo slancio del partito e la sua forza di attrazione? Certamente, se il partito fosse limitato all’attività parlamentare e ministeriale. Ma il partito è scuola e formazione. Il partito è organizzazione democratica e periferica, coi suoi organi di critica e di discussione; il partito è addestramento delle volontà protese verso l’attuazione di un programma di rinnovamento ideale. Guai se fra noi cessasse il culto dell’idea e venisse meno lo spirito di sacrificio e di combattimento. Guai se perdessimo contatto con il mondo ideale di giustizia e fraternità che sogniamo e dobbiamo volere. Noi tendiamo ad una collaborazione che è necessaria per il consolidamento della democrazia, ma nulla può maggiormente contribuire a questo consolidamento e rinnovamento quanto l’esistenza di una Democrazia cristiana, preparata ad affrontare con entusiasmo tutte le difficoltà e ad assumersi tutte le responsabilità, qualora altri si rifiutassero di condividerle. Perciò la nostra formula è: cercare il maggior numero di alleati possibile, agire entro l’alleanza con fede e comprensione; ma impegnarci a fondo nella preparazione ideale e pratica dei nostri aderenti affinché essi siano pronti a sostenerci con tutte le forze anche nel caso malaugurato che in trincea rimanessimo soli. |
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| Non vorrei più tornare sull’argomento, ma poiché ritengo che vi siano ancora persone in buone fede che possono avere frainteso le mie dichiarazioni di Fiuggi , tenterò di precisarle. La coalizione è stata la formula da me voluta e attuata prima e dopo le vittoriose elezioni del ’48. Ho insistito su tale formula anche dopo l’esperimento delle elezioni sarde riconfermando la necessità della coalizione come terza forza democratica, in confronto non solo dell’estrema sinistra, ma anche di fronte al tentativo di ripresa neofascista. Ho difeso poi a viso aperto la funzione mediatrice della Democrazia cristiana al Congresso di Venezia e nel Consiglio nazionale di Fiuggi ho ripreso l’argomento, polemizzando coi pochi delegati che si erano preoccupati del rigurgito anticlericale rivelatosi fra un gruppo di liberali rimasti in minoranza nel loro Consiglio nazionale. Prima e dopo, tuttavia, ho sempre sostenuto che la coalizione deve essere mantenuta, perché, a mio avviso, è il meglio che si possa fare per tutelare gli interessi del paese. Questa meta del «comune interesse» da difendere può imporre talora ai partiti delle limitazioni e degli svantaggi locali. Bisogna sopportarli, dicevo ai miei amici di Fiuggi, perché l’interesse immediato dei partiti va subordinato a quello più vasto e permanente del Parlamento. Se chiedo questo al mio partito non è lecito chiederlo anche ad altri membri della coalizione governativa che, in certe pubbliche riunioni, hanno invocato l’abbandono del governo nel presunto interesse del futuro sviluppo del partito? Ho sostenuto e sostengo che l’interesse del paese deve essere l’impegno comune. Mi si è obiettato: «ma chi decide se l’interesse è leso o difeso?». Rispondo: «l’interesse del paese si identifica col consolidamento di un libero regime democratico che si preservi dai pericoli delle due estreme. Chi intralcia o indebolisce tale sforzo di consolidamento mette in pericolo l’evoluzione progressiva del paese nella libertà e nella giustizia sociale. Più siamo nel costituire questa indispensabile terza forza, tanto meglio». Comunque (ho concluso a Fiuggi) in nessun caso la Democrazia cristiana verrà meno al suo impegno, anche nel deprecabile caso che le minoranze secessioniste, che di tanto in tanto si agitano in seno a qualche partito governativo, avessero la prevalenza ed inducessero la loro corrente ad abbandonare il posto di combattimento. Questa è la linea comune se, confido, cammineremo ancora a lungo assieme: essa ha permesso a ciascun partito di farsi le ossa e di partecipare al governo in piena autonomia e dignità. Certo che tale linea esige anche mutua lealtà e reciproca fiducia, specie per tutto ciò che riguarda fedeltà alle libertà costituzionali e al metodo democratico. Su tale argomento, il dubitare dei nostri propositi è già una gratuita offesa che noi abbiamo il diritto e il dovere di respingere. |
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| Ritiene il presidente del Consiglio che la questione «Giuliano» non sia da relegare unicamente sul piano repressivo militare o poliziesco, ma meriti di essere riguardata dal governo sotto il profilo dell’ambiente politico-sociale, col proposito di venirne a capo, non soltanto con la cattura del bandito quanto con il risanamento della «plaga viciniore» della capitale dell’Isola, senza debolezze e senza riguardi, col preciso intento di far cosa utile al buon nome del paese? Nessuno può negare che il banditismo siciliano si sia sviluppato col concorso di particolari situazioni politiche e sociali ed è ovvio che il governo non pensa a risolvere tali situazioni con le sole misure repressive. Ma oggi si compiono attentati, si spara, si uccide. Il primo dovere del ministro dell’Interno è di rintuzzare le offese, di salvaguardare l’incolumità personale, di imporre su tutti e contro tutti la forza e l’imperio della legge. Ristabilito l’ordine, accertate le responsabilità e le complicità individuali, affermatasi la giustizia come autorità punitiva e riparatrice, dovremo poi provvedere ad accertare tutte le responsabilità indirette e collettive e a curare il male nella sua radice, nel suo ambiente sociale, nelle sue cause più remote. Ma per il momento il problema è di tecnica repressiva e difensiva. A prescindere dai risultati maggiori o minori derivanti dalle decisioni definitive circa le quote ERP, può essere detta al paese una parola di assicurazione sulle nostre possibilità economiche perché indipendentemente dagli allarmi suscitati dalla ripartizione delle quote ERP, il ritmo ricostruttivo non sia allentato e continui come in passato? In quanto all’ERP i conti non sono ancora chiusi. Ma tutti coloro che se ne occupano pensando sul serio agli interessi del paese, sanno benissimo che anche l’anno scorso le richieste furono per ogni Stato superiori alle quote ottenute, e che tutto il piano si fonda sul presupposto che il contributo americano sia di anno in anno decrescente. Gli altri, cioè coloro che per partito preso considerano tale contributo come un danno alla nostra economia, di che si lagnano? Quanto meno tanto meglio. I nostri delegati, che però non sono di questo parere, faranno ogni sforzo per ottenere quanto più è possibile, anche se il criterio base della bilancia commerciale non ci è particolarmente favorevole; ma il governo sa che l’avvenire sta soprattutto nella capacità ricostruttiva e nella forza di lavoro del popolo italiano; i pessimisti finora hanno avuto torto, basta guardarsi d’attorno. Lo avranno, mi auguro e spero, anche nell’anno in corso. È stato chiesto infine all’on. De Gasperi se possa dire qualche cosa su quello che si è convenuto chiamare il migliore adeguamento degli uomini alle funzioni nella compagine ministeriale e il suo pensiero sulla questione scottante della crisi dell’energia elettrica. I provvedimenti di indole tecnica dettati dalla necessità saranno adottati a Roma dagli organi e dalle autorità competenti, ma il miglior rimedio alla crisi, quello davvero radicale e duraturo è, come è noto, l’aumento degli impianti esistenti e la costruzione di altri nuovi. Ora mi lasci proseguire nella mia visita alle grandi centrali idroelettriche; ho visto l’altro ieri le centrali in costruzione e completamento sul Piave. Visiterò oggi, sabato, la Serra di Santa Giustina sul Noce (la più alta d’Europa) e assisterò domani, domenica, all’inaugurazione delle due centrali sotto il Passo di Resia in Val Venosta. Sono e saranno questi momenti secolari della nostra epoca e testimonieranno dello sforzo dei nostri tecnici e dei nostri lavoratori, molti e molti anni dopo che l’eco perturbatrice dei nostri conflitti politicosociali si sarà perduta nella inesorabile marcia della storia. |
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| Si tratta di evoluzione non di separazione o tanto meno di contrasti, io credo e so che molti animi patriottici in buona fede sono preoccupati di questo apparente dissolversi di un tesoro secolare. Ci sono dei rischi innegabilmente. Dipende molto dalla maturità delle persone che dirigono, dalla maturità delle persone che vengono amministrate e dalle doti di coscienza delle une e delle altre. Dipende molto da tutto questo. A ogni modo chiediamo e abbiamo il diritto di chiedere, all’alba di un rinnovamento generale dell’amministrazione dello Stato, che si permetta che si faccia fino alla fine, che lo si accompagni con benevolenza, che non si cerchi di silurarlo; perché se questo va avremo fatto qualche cosa di nuovo e di veramente adatto alle nuove esigenze e aspirazioni che sono sempre profonde nell’animo delle persone e degli Istituti. Se questo non andasse diremmo che i tempi non erano ancora maturi per l’esperimento e vedremmo il da farsi. Ma io dico questo solo per esposizione dialettica, polemica. Io ho l’opinione già radicata e profonda e credo a questo rinnovamento. Però non bastano le volontà che dirigono; ci vuole la cooperazione profonda e sincera dell’opinione pubblica, delle associazioni private, di quelli che si chiamano i partiti di tutti. Ci vuole questa fede in tutti. Se non c’è noi lavoreremo invano. Il mio voto è che questa collaborazione nasca là dove non è ancora nata e diventi sincera laddove è appena a metà; sia una collaborazione di opinione pubblica e di stampa. Io vorrei esprimere un voto, né di qua né di là, nessuno agisca per diminuire in noi quella fiducia di cui abbiamo bisogno per costituire qualche cosa di positivo e di definitivo in questa Regione. Io provo dispiacere quando si mette in dubbio la nostra volontà di collaborazione leale tra i gruppi etnici. Non perché m’importi molto che un giornale scriva in un modo o nell’altro; ma perché penso che il dubbio scoraggi coloro che hanno bisogno di fiducia per operare. Io faccio il voto che come il presidente e gli assessori di questa Regione collaborano tra di loro in uno spirito di reciproca fiducia e rispetto nell’intento di una leale intesa fra gruppi etnici, questo spirito stia anche nell’opinione pubblica, nella stampa, nelle espressioni, nelle manifestazioni collettive in genere. Questo lo dico specialmente per coloro i quali si preoccupano più del necessario delle funzioni di difesa etniche in zone di confine, ma lo dico a doppia ragione anche agli altri: non scrivete, non rivolgetevi a gente fuori che può avere un proprio concetto di uomini e di attuazioni dal quale non abbiamo molto da imparare. Non rivolgetevi a questi per avere della protezione e dell’aiuto, ecc.: qui vi è l’Italia e vi è un governo democratico il quale è aperto a tutti; se vi sono ingiustizie devono essere riparate; si chieda, si batta, si abbia pazienza come bisogna averne tutti. E se liquidando il passato non riusciamo a liquidarlo del tutto, ricordiamo che in tutto il mondo vi sono state sanzioni per quanto è avvenuto durante la guerra, ma si deve ammettere che difficilmente trovereste un paese in cui le sanzioni siano state così limitate come nel nostro. C’è chi se ne lagna; ma io me ne vanto sperando che tutto ciò giovi alla conciliazione e alla pace. |
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| Qualche giornale ha detto che io sarei venuto qui a tenere un discorso politico. Non commetterò questo errore, se la politica vuol dire semplicemente gli argomenti quotidiani che si dibattono tra i singoli partiti. Però c’è qualcosa di vero in questo senso: voi rappresentate il quarto partito. Vi ricordate che quando, in un momento tragico della nostra vita economica, io decisi di chiamare al governo l’allora governatore della Banca d’Italia ed attuale presidente onorevole Luigi Einaudi, dissi che se l’accordo non si era potuto raggiungere tra tutti i partiti, avevo certamente raggiunto l’accordo del quarto partito che è il partito dei risparmiatori. Avrei detto meglio, invece che dire partito, dire inter-partito perché i risparmiatori stanno in tutti i partiti e fuori dei partiti, ma innegabilmente in quel momento il problema del risparmio e della sicurezza del risparmio e, quindi, l’interesse di un numero infinito e non bene identificato di depositanti e di risparmiatori formava la preoccupazione fondamentale del governo. E questo partito, che non aveva rappresentanza diretta, non aveva nome, si sentiva però che esisteva, perché esisteva la questione di fiducia della moneta. Ecco perché l’accenno fatto a Luigi Einaudi era doveroso ed era inquadrato in quella che si chiama politica economica, nella necessità cioè di avere dei freni e degli uomini che sappiano coordinare l’intervento dello Stato e soprattutto far nascere la fiducia in coloro i quali possono risparmiare ed hanno la libertà di decidere sopra l’affidamento dei loro risparmi a questo e a quello istituto. Poiché una delle basi fondamentali della democrazia, al di fuori dei partiti, è questa: la volontarietà del risparmio, che ci sia cioè la possibilità per l’individuo di decidere liberamente a chi affidare il proprio denaro. In questo senso la fiducia del risparmio è uno dei problemi eminentemente politici nel quadro dell’economia. Senza dubbio abbiamo passato momenti molto critici, ma crediamo di averli superati. Oggi non si discute più, né si può discutere sulla moneta italiana, né all’interno né all’estero. Crediamo di poter sostenere che quello che si è fatto voleva dire stabilità, in rapporto alle possibilità dell’economia della nazione e alle relazioni internazionali e in rapporto anche alle economie delle altre nazioni. Certo il nostro compito non è finito. Se abbiamo difeso la lira, se oggi ancora il prescritto principale per un ministro e per un governo è quello di difendere la stabilizzazione della moneta, dobbiamo arrivare ad un aumento di risparmio; voi lo sapete meglio di me; i prezzi sono cresciuti 50 volte, i risparmi sono cresciuti si e no 27 volte nei grandi istituti, 18 nelle Casse di Risparmio. Siamo ancora lontani dal traguardo, dai tempi normali, dal tempo prebellico. Bisogna che arriviamo ad un aumento dei depositi e quindi dobbiamo arrivare ad un aumento di fiducia. Oltre a ciò dobbiamo tendere al coordinamento dell’utilizzo di queste somme. Io non posso sintetizzare in miglior modo l’importanza delle Casse di Risparmio che dicendo: guai se un giorno le Casse venissero a mancare, guai se venissero assorbite o se mancassero alle loro caratteristiche sociali e autonome, pur aggiornate entro eventuali nuovi statuti tecnicamente necessari. C’è però la necessità, perché i risparmi sono divenuti minori di una volta, di impedire dissipazioni, deviazioni, concorrenze inutili; ed ecco il problema della coordinazione del credito. Lo Stato democratico non vuole impadronirsi del credito, non vuole dirigerlo in forma dittatoriale, non vuole assumere questa responsabilità, non può e non vuole, perché verrebbe a mancare la base fondamentale della democrazia che è la fiducia. Però le necessità dell’economia presente esigono coordinazione. Occorre perciò che qualcuno dia il là. Questo là non deve venire da un dittatore, bensì da un’assemblea, da un consiglio, da decisioni vostre, da assemblee come la vostra, da conclusioni che alcuni uomini dovranno prendere e poi mettere in pratica. Ma questo comitato di credito, questa direzione, se così volete chiamarla, non rigida ma di orientamento, rappresenta una necessità. Io credo che le Casse di Risparmio coopereranno in tal senso in modo che lo Stato non debba intervenire un centimetro più in là del necessario. Investimenti si debbono fare innegabilmente in Italia e ne abbiamo bisogno estremo soprattutto per combattere la disoccupazione. Ma gli investimenti per combattere la disoccupazione non si debbono fare che attingendo denaro dal risparmio. Non c’è altra strada, perché o bisogna attingere dal risparmio, o batter moneta. Siccome non vogliamo essere falsari e non vogliamo rinnovare la moneta, né vogliamo distruggere la sostanza dei ceti medi, e soprattutto distruggere il valore di acquisto dei salari e degli stipendi, noi dobbiamo ricorrere al risparmio. Quando vedo certe industrie che nascono moltiplicandosi in concorrenza nello stesso settore, mi vien fatto di pensare al loro regolamento. Ma non è necessario ritornare al vincolismo eccessivo, questo no; occorre che ci sia qualcuno che avverta: state attenti, badate che qui stiamo nel campo di una concorrenza in cui l’industria si distruggerà da sé, in cui si va al di là di quella che è la necessità della libertà di concorrenza per un’economia di mercato. E allora qualche controllo di orientamento è necessario. Io credo che fino a questo punto sarete collaboratori e che accetterete questo principio di attuazione, sia anche come una definizione di coordinamento del vostro lavoro, rivolto soprattutto al bene sociale e al bene delle classi popolari. Voi mi direte: bisogna che tutto questo lavoro si svolga in un ambiente d’ordine, in un ambiente sicuro. Abbiamo fatto quel che potevamo fino adesso, specialmente per l’ordine esterno. Abbiamo cercato una sistemazione non di guerra ma di pace che possa dare la fiducia, in chi ha delle iniziative, in chi crede di poter investire il proprio denaro costruttivamente; l’abbiamo fatto. E questa in fondo, badate, è proprio la considerazione principale che ci muove anche nella politica estera. Noi siamo un piccolo paese che ha bisogno di risorgere, che ha bisogno di concorso estero, che ha bisogno del forestiero, che ha bisogno di commercio ed industria, che ha bisogno di rapporti con altre nazioni. Non possiamo avere ambizioni né territoriali né ambizione di imperio, ma abbiamo le ambizioni della nostra storia, della nostra gloria, abbiamo soprattutto la necessità del lavoro, dell’espansione del lavoro, perché siamo un popolo estremamente fecondo e perché sembra che la Provvidenza ci abbia assegnato il compito di sciamare in tutto il mondo. Ora questi rapporti di pace, di collaborazione, abbiamo creduto di trovarli in quel certo consolidamento diplomatico internazionale che fu opera del nostro governo fino a questi ultimi tempi. Ma voi direte: ci vuole anche l’ordine all’interno. Io qui però vi vorrei pregare di non esagerare in allarmismo. Lo Stato democratico bisogna che sia uno Stato paziente. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che lo Stato democratico si fonda soprattutto sulla persuasione, sulla ragionevolezza; per arrivare alla persuasione, alla ragionevolezza ci vuole un certo tempo, bisogna moltiplicare i contatti, bisogna conoscersi gli uni e gli altri, bisogna saper distinguere gli uomini di buona da quelli di cattiva volontà. Ci vogliono per questo continui contatti. Bisogna in altre parole che la macchina dello Stato lavori in costante contatto con la popolazione come fanno oggi i prefetti, che la loro attività concentrano soprattutto nella mediazione, nel contatto fra le singole categorie. Questo non vuol dire che se noi ricorriamo alla forza della persuasione talvolta non si possa essere costretti alla persuasione della forza. La solidarietà è una legge universale, e soprattutto nel mondo economico. I contrasti ci sono, bisogna comporli, bisogna regolamentare il modo di definirli e di superarli. Per questo stiamo ora elaborando delle leggi sindacali le quali non vogliono togliere nessun diritto, soprattutto alle classi operaie, nessun diritto di rappresentanza, nessun diritto di ricorrere come ultima ratio allo sciopero, come è prescritto anche dalla Costituzione. Però di fronte a tutto questo c’è la legge universale della solidarietà. Se questa non viene rispettata, se ogni classe vuole infierire il proprio colpo nel corpo dello Stato e ritiene che lo Stato sopravviva ancora per chissà quale forza metafisica, se l’ordine non viene ristabilito e la solidarietà è rotta, anche noi, per consolidare il governo, e contemporaneamente per salvare e difendere l’economia pubblica, dobbiamo ad un certo momento come Stato, non solo mediare, ma anche arbitrare. Se sarà necessario ad un certo momento, di fronte alla forza, quando la persuasione e la ragionevolezza non abbiano raggiunto lo scopo lo Stato non si sottrarrà al suo dovere di usare la forza sua e la forza della legge. Scusate se ho fatto questo accenno. Ma forse non è fuori di luogo in una città marinara, come Venezia, che ha tutte le speranze sul mare, che io faccia accenno anche ad uno sciopero: quello dei marittimi. Io non voglio mai dimenticare che i marinai d’Italia hanno servito il paese in momenti difficilissimi, che in genere in una vita aspra e dura servono l’economia, portano la bandiera della patria in tutti i paesi. A loro la nostra riconoscenza e la giusta valutazione dei loro sforzi. E quando chiedono e quando si organizzano per ottenere, noi ci inchiniamo dinanzi a queste forze ed adoperiamo l’opera dello Stato, soprattutto come mediatore, perché il risultato dei miglioramenti sia tale da soddisfare le classi lavoratrici. Ma io voglio cogliere questa occasione per fare un ultimo appello, specialmente a quelle forze organizzate che, nel passato in molte altre occasioni, si sono distinte per amore verso la patria e che hanno nel cuore l’Italia; un ultimo appello alla loro ragionevolezza. Non si possono fermare i traffici violentemente, impedire che i forestieri facciano il loro viaggio, tenerli fermi nei porti, impedire che gli emigranti vadano alla loro nuova patria dove sperano di trovare lavoro, impedire insomma che i commerci si sviluppino, fermare tutta la vita che è vita non di fabbriche, non di imprese, non di imperio, ma vita di lavoro, arrestarla in nome del proprio interesse, in nome dell’interesse della propria categoria. Qui c’è una legge universale che deve imporsi e io spero che queste mie parole vengano accolte con quel senso di patriottismo che in momenti difficili ha animato i marinai d’Italia. Che se questa parola non venisse accolta, devo dire che lo Stato sente la grande responsabilità di aggiungere misure a quelle che sono state già prese; misure che non vorremmo mai prendere perché il ricorso alla forza è, anche per chi vince, anche per chi governi, un senso di debolezza. Un governo tanto più è forte quanto più riesce a persuadere. Ebbene questa solidarietà che voi qui manifestate, solidarietà nel risparmio, solidarietà economica, sia anche l’argomento di persuasione che vince e sia vincolo di solidarietà che ritorna. |
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| 91946-1950
| Le cose vanno bene. Non si poteva non immaginare che una così grande scossa come quella della svalutazione della sterlina potesse avere qualche riflesso e non provocare qualche ondulazione. La verità è che c’è un rapporto di fiducia con il mercato al quale hanno corrisposto i fatti. Abbiamo lasciato libero il mercato che ha dimostrato una grande solidità. L’on. De Gasperi ha quindi rilevato che la quotazione ufficiale del dollaro non ha superato ieri nelle sue oscillazioni la punta massima di 619 ed ha espresso la convinzione che tali oscillazioni potranno avere un movimento ondulatorio, ma rimarranno contenute nei limiti della quota 650. Non è detto d’altra parte che lo stesso movimento ondulatorio possa essere sempre in aumento. La nostra situazione è differente da quella inglese perché noi non abbiamo fatto mai una dichiarazione di parità al Fondo monetario, ma abbiamo lasciato che essa si sviluppasse secondo le sue esigenze. Il presidente del Consiglio ha poi confermato la sua convinzione che la svalutazione della sterlina non avrà conseguenze apprezzabili sul mercato interno soprattutto in considerazione della modesta reazione registrata, reazione che ha indirettamente confermato la stabilità della lira. Io ero preparato a sbalzi anche più alti che per fortuna non si sono verificati. La svalutazione della sterlina è stata superiore a qualunque previsione. Qualcuno avrebbe potuto considerarla a carattere di dumping . |
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| 91946-1950
| L’artigianato non ha avuto dinanzi alla pubblica opinione una eco, in quanto la sua voce è stata soffocata dalle grida delle masse; e la forza collettiva ottiene un interessamento sproporzionato alla propria reale efficacia. L’artigianato in tale situazione è stato parzialmente misconosciuto. Questa non è una scusa, ma è una constatazione. Da parte mia, appena ho saputo che vi era una assemblea nazionale nella quale l’artigianato di tutte le province italiane era rappresentato, sono venuto qui a sentire e a dirvi che sono con voi, perché i poteri pubblici rivolgano la loro attenzione anche alla vostra categoria. Perché è necessario soprattutto organizzarci ed il ceto artigianale può fare molto anche in questo campo, perchè in democrazia la organizzazione è la base, è la forza, è la possibilità di farsi valere. L’artigianato potrà contribuire in primo piano alla rinascita non solo del lavoro collettivo ma anche dello sviluppo della personalità e della attività creativa ed artistica. La forza e l’ampiezza del problema artigiano sarà studiata dai ministri tecnici e sarà considerata soprattutto dal ministro delle Finanze. Uno dei problemi che si presentano fondamentalmente è quello dell’apprendistato, che deve assicurare la continuità della bottega e del lavoro e sono lieto che sia stato presentato alla Camera da miei amici di vari gruppi parlamentari un progetto di legge per regolarlo. In sostanza vi ripeto che nonostante i molti problemi che devo affrontare quotidianamente quello dell’artigianato e del suo sviluppo mi sta particolarmente a cuore. L’artigianato è la vera attività di arte e di pace e deve contribuire allo sviluppo del turismo che ha grandi possibilità e che assicura gli sbocchi per la vostra produzione. Mi auguro che questa vostra assemblea sia una dimostrazione di forza e di intelligenza e che presto si possano vedere i frutti del vostro lavoro. |
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| 91946-1950
| Saluta nel dottor Franzil il nuovo rappresentante del Consiglio nazionale. […] Propone di procedere per gradi: prima i Comuni – poi Provincia e Regioni. […] Quesiti per le elezioni comunali: – Manteniamo la proporzionale spostando eventualmente il limite del maggioritario a 50 mila? (Voto contrario meno 2 – Gronchi e Cappi) – Si intende di introdurre il sistema della rappresentanza delle minoranze con premi alla maggioranza? (Voto favorevole) – Sopra 200 mila mantenere la proporzionale? (Voto contrario). […] Dubita ormai che si determini una maggioranza in questo C.[onsiglio] n.[azionale] nelle questioni in esame. Ci sono troppi elementi tattici che ci condizionano, come arrivare alla Regione? Non sappiamo ancora come sarà; e dall’esperienza deriviamo una maggior cautela. Non crede che la Regione porti ad una effettiva sburocratizzazione e ad una diminuzione di spese. Ora ciò non vuol dire che la Regione non abbia ragione di esistere, perché non è destinata a far progredire l’amministrazione pubblica. Le opposizioni degli avversari di principio trovano facilmente esca nelle difficoltà regionali. Non gli sembra che debba essere lasciata cadere la proposta per le elezioni di II° grado. È un principio evolutivo, accettabile alla condizione che la Regione sia garantita nelle sue cariche dalla legge. Occorre poi dare una garanzia ai partiti di minoranza, dandole rappresentanza. Propone la nomina di una Commissione del C.[onsiglio] n.[azionale] che affianchi governo e parlamentari per questa opera, ma che abbia mandato di fiducia. […] Non si può negare che, secondo lo spirito della coalizione, bisogna fare la elezione diretta proporzionale della Regione; in ipotesi subordinata II° grado per le Regioni [e] proporzionale diretta per le Province . |
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| 91946-1950
| Ricorda dapprima l’opera dell’on. Fanfani, e poiché questi è assente per indisposizione, si appresta a fornire egli stesso all’Assemblea tutti gli elementi d’informazione e di valutazione inerenti alla legge sindacale. L’oratore pone in rilievo la preparazione tecnica della legge, che non può certo essere accusata d’improvvisazione. Cita in proposito i lavori esperiti durante parecchi mesi dall’apposita Commissione. Gli antichi progetti Gronchi e D’Aragona, l’invio di un questionario a tutte le organizzazioni interessate; l’abbozzo del progetto presentato da Fanfani al Consiglio dei ministri, l’esame del Comitato interministeriale, il parere della Direzione della Dc sottoposto ora al Consiglio nazionale. Il presidente, rispondendo ai precedenti oratori, afferma che nessuno intende in questo momento affrontare in questa legge il problema dell’ordinamento del lavoro, questo problema più vasto e comprensivo, sarà a suo tempo avviato a soluzione. Oggi si tratta di rispondere alla particolare esigenza del contratto collettivo di lavoro. La conquista più sostanziale per le categorie lavoratrici è il contratto collettivo. Per mantenerlo e renderlo efficace o bisogna far intervenire di volta in volta la legislazione statale, ovvero, come prevede la Costituzione, delegare stabilmente questo potere normativo ai sindacati degli operai e dei datori di lavoro. Questo principio è grande, incisivo ed assorbe anche diritti individuali, ma costituisce un ente associativo come potere autonomo, mediatore tra i lavoratori e la comunità, organo integrativo del sistema democratico e strumento della sua giustizia sociale. Il fine specifico di ogni organizzazione operaia o di mestiere è quello di conquistare nuove migliorate condizioni di lavoro; se questo è lo scopo di tutte le associazioni di lavoro, quella di dare a tali condizioni un carattere giuridico obbligatorio per tutta la categoria e di renderle operanti in un contratto collettivo, è funzione di quel sindacato che, muniti di alcuni requisiti fissati dalla legge, sono autorizzati a vincolare, come parte contraente, tutta la categoria. Passando ad elencare i mezzi che oggi sono posti in azione per potenziare il contratto collettivo, l’on. De Gasperi afferma che la Costituzione, modificando la concezione giuridica finora vigente, parla di diritto di sciopero nell’ambito di una regolamentazione legale da farsi, ossia di un diritto da condizionarsi a certe norme, le quali soprattutto dovranno prevedere che lo sciopero si presenti come ultima ratio di legittima difesa . Per quanto concerne l’intervento dello Stato, il presidente precisa le due forme: arbitrato obbligatorio o intervento per assumere in caso di scioperi in attività essenziali e vitali per il popolo il funzionamento transitorio dei servizi nei limiti dell’indispensabile. Il primo intervento mediatore presupporrebbe la sospensione dello sciopero, mentre il secondo non richiederebbe tale condizione. In quest’ultimo caso il carattere di emergenza, l’evidenza degli effetti dello sciopero sui servizi indispensabili, la necessità di agire rapidamente consigliano la immediatezza dell’intervento. Bisogna stabilire che nei casi previsti lo Stato non assume la gestione del servizio, come ad esempio della navigazione, ma solo di quella parte che è assolutamente necessaria, poniamo al trasporto del grano, del carbone, dell’acqua potabile, ecc. La difficoltà di una legge ed il suo regolamento per un equo e giustificato intervento dello Stato, reclama soprattutto la collaborazione degli organizzatori sindacali per la sua organizzazione: dobbiamo fare questa legge proprio per consolidare lo Stato democratico, e quindi per salvaguardare anche la libertà e la forza delle organizzazioni sindacali. L’on. De Gasperi rileva che la legge in discussione riguarda solo quei lavoratori i cui patti di lavoro formano oggetto di un contratto collettivo; diversa invece la fisionomia di coloro che stanno alle dipendenze dello Stato. Possono essi arrivare a concordare un contratto collettivo? Evidentemente no, poiché i loro rapporti di lavoro vengono fissati per legge e, trattandosi degli statali e similari, per legge deliberata dal Parlamento; altra è dunque la procedura, altro deve essere il metodo da seguire dagli statali per promuovere e difendere i propri interessi di categoria. Bisogna offrir loro il modo di sostenere i propri interessi in confronto degli organi supremi dello Stato. L’ultima parola, comunque, in uno Stato democratico, deve essere sempre data al Parlamento, che decide sulle questioni propostegli. L’oratore passa poi ad esaminare la misura delle penalità da applicare ai contravventori del contratto collettivo. Egli dice che bisogna trovare una misura di sanzione che sia altrettanto grave per il principale quanto per l’operaio. Se uno ricorre a forme di sciopero non accettabili, alla «non collaborazione», evidentemente la prima sarà grave, ma bisogna trovarne una altrettanto grave per il principale, che di fronte ad uno sciopero legale ricorre a rappresaglie; una sanzione che possa rappresentare una garanzia per gli operai. Il presidente del Consiglio si riporta a quanto ha già detto inizialmente, e cioè che qui non si sta facendo la legge sull’ordinamento del lavoro, nulla si fa che sia la riforma economica: si dovrà farla, ma non è questo il momento per raccontare questo problema. Ora si tratta di rinvigorire il sindacato, dandogli una figura di diritto pubblico. L’on. De Gasperi fa appello ai sindacalisti, affinché essi valorizzino la legge sindacale in difesa dei legittimi interessi degli operai. Essi dovranno fare in modo che, rappresentando gli interessi delle categorie sindacali, trovino il consenso anche nella comunità nazionale; essi dovranno coordinare questa loro forza propulsiva a quello che è il consolidamento dello Stato nel senso della libertà, riconosciuta che questa è una esigenza universale che riguarda la singola persona, la classe e la collettività insieme. |
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| 91946-1950
| Quando mi si chiese di parlare di Filippo Meda, accolsi l’invito immediatamente, per un impulso del cuore, come chi si sente lieto di pagare un doveroso tributo di gratitudine. Il mio debito particolare e personale è rappresentato da una lettera della primavera del 1927, diretta a mia moglie, nella quale, appena giuntagli la notizia del mio arresto, egli si offriva come patrocinatore innanzi a quel Tribunale che poi, nonostante la sua serrata ed eloquente difesa, mi condannava, con iniqua sentenza, a quattro anni di carcere. Riesce difficile oggi a far capire quale atto di nobile coraggio esso potè avere sugli uomini che ancora pensavano, anche se non osavano parlare; quale effetto potè esercitare sulle molte coscienze dubitose dei cosiddetti uomini dabbene. Filippo Meda era per quanti lo conoscevano, amici o avversari, il prototipo del politico probo, del ragionatore equilibrato e antidemagogico, il patriota che al di sopra dei partiti aveva servito l’Italia partecipando attivissimamente a quei governi che, dopo esperienze disastrose, avevano organizzato la resistenza e raggiunta la vittoria. Di più, nel periodo più acuto della lotta antifascista, egli si era appartato dalla politica attiva non perché avesse delle indulgenze per il partito dominante, ma perché gli pareva più saggio il lasciar passare la tempesta che fin dal primo momento aveva ritenuto tanto forte da rendere inoperoso il sacrificio di chi l’avesse voluta sfidare, mentre d’altro canto sperava che il movimento, esauritosi l’impeto iniziale, si sarebbe inalveato nel sistema parlamentare. Speranza questa che ben presto gli doveva venir meno, perché già nel 1925, poco più di un anno prima del mio arresto, aveva dovuto lasciar cadere la sua rivista Civitas , donde aveva creduto di poter far sentire ancora una voce di pacato e sommesso dissenso. I suoi sentimenti, che taluno volle interpretare diversamente in quell’epoca di adattamenti e di capitolazioni, risultano chiari quando si ricordi che il Meda, nell’ultimo numero di Civitas prese congedo dai suoi lettori con la celebre quartina di Michelangelo Bonarroti: caro m’è il sonno, e più l’esser di sasso, mentre che il danno e la vergogna dura; non veder, non sentir, m’è gran ventura, però non mi destar, deh parla basso. Tuttavia una speranza tenace sopravviveva ancora in lui: la Magistratura, il diritto scritto e codificato; e, nei pochi colloqui che gli furono concessi a Regina Coeli, fu naturalmente facile al Meda di infondere nel mio animo esacerbato questa consolante certezza, che esisteva in Italia un senso del diritto perenne che non conosce fazioni o regimi, rappresentato da un potere autonomo che resisteva alla fiumana dilagante. Perciò la lettura della sentenza sorprese più lui di me e, prima che mi fossero rimesse le manette, ebbi ancora il tempo di vederlo, con gesto significativo, gettare la toga sul banco e, nei suoi occhi sereni di fanciullo, passare come una nube di indignazione. Per questo gesto, anche per questo gesto solo, era doveroso che io venissi qui, dopo vent’anni, ad inchinarmi alla sua memoria. Lungi da me tuttavia il proposito di trarre dall’episodio un giudizio generalizzatore sul passato. Benché nel mio caso particolare si siano trovate negli archivi tracce scritte dell’intervento del potere politico e altri casi consimili siano presumibili, voglio trarne solo una conclusione che riguarda l’avvenire e cioè che bisogna proteggere e presidiare l’indipendenza della magistratura. Ed in verità, in democrazia, col controllo delle due Camere, col libero appello alla pubblica opinione, non riuscirebbe difficile ai magistrati di sottrarsi a eventuali tentativi di un potere politico, che è fondato sul pubblico consenso. Meno agevole però sarà anche in libera democrazia difendersi dalle suggestioni ambientali o dalla mutevole psicosi delle masse e dei partiti. Mi sovvengo a questo proposito di una affermazione perentoria che il Meda fa in un suo discorso politico: mentre, egli dice, la repressione materiale non è sempre acqua che spegne l’incendio, talvolta può essere vento che lo fa divampare, onde bisogna ricorrervi con prudenza: ciò che non deve mancare mai è la repressione giuridica. «La Società ha il diritto di esigere che il magistrato faccia valere la legge contro chiunque l’abbia violata». Quanto più certa la sanzione giuridica, tanto meno frequentemente si presenterà l’esigenza della repressione materiale e viceversa. Lasciate correre: rendete incerta l’applicazione della legge punitiva, e la conseguenza sarà che più spesso dovrete intervenire con la forza. Ma ripigliamo il discorso. La mia riconoscenza verso Filippo Meda non può riferirsi semplicemente ai rapporti personali dell’imputato verso il difensore. Meno personalmente, ma più rappresentativamente, mi conviene di parlare di Meda come un uomo politico del gruppo cattolico e come uomo di governo. Ma qui, per il primo periodo particolarmente, non mi soccorrono le immagini della vita vissuta né memorie personali. Molti amici qui presenti, testimoni diretti o indiretti dell’attività del Meda in quel periodo di transizione che va dalla morte di Leone XIII all’entrata dei «cattolici deputati» – come si disse allora – in Parlamento, ne hanno scritto o parlato con maggior competenza di me e con più larga documentazione. Chi vi parla, invece, a quei tempi, era ancora tenuto in quarantena al di là dell’«iniquo» confine e, immerso come era nella sua attività cantonale, poteva seguire soltanto di lontano e attraverso contatti saltuari e talvolta sospettati l’evolversi della vita politica italiana. Dal nostro osservatorio montano, liberi noi stessi dal problema nel quale cercavano di destreggiarsi i cattolici italiani, assistevamo con viva comprensione al loro faticoso divincolarsi da formule antiche per collocarsi in una posizione di lealismo verso lo Stato, senza venir meno all’ossequio dovuto alla Santa Sede. Il Meda, come scrittore e come parlamentare, fu forse il formulatore più abile e più fortunato di tale politica. Nel 1913, a ciclo evolutivo ormai vicino al compimento, in un discorso tenuto «in onore dei candidati cattolici della provincia di Milano» parla dei nostri sforzi per conservare alla «Camera e per aumentarvi con prudente discrezione il numero di quei deputati che più apertamente assumono di interpretare la coscienza religiosa delle nostre popolazioni cristiane…», e aggiunge: «coloro che in questo fatto riscontrano e denunciano un’affermazione di confessionalismo non fanno che abusare di un luogo comune. Noi non troviamo nella nostra fede alcuna limitazione alla nostra attività politica, più di quel che ne troviamo al nostro assoluto lealismo costituzionale. Al quale proposito non sarà male ancora una volta ripetere come da noi non si creda che per difendere e rivendicare le ragioni essenziali della civiltà cristiana… occorra mutare gli ordinamenti politici nei quali l’Italia moderna ha concretato il proprio assetto». Ma già alla Camera del 1910, durante il dibattito sulla presentazione del ministero Luzzatti , il nostro parlamentare aveva detto: «a noi poco importa che i gabinetti succedentisi nel reggimento della cosa pubblica si affannino alla ricerca di formule più o meno abili e concettose per assicurare le genti contro il sospetto di clericalismo: la scelta tra le parallele dell’on. Giolitti e le religioni libere nello Stato sovrano dell’on. Luzzatti può per noi non significare nulla quando il governo sinceramente intenda assicurare i diritti delle coscienze, rispettare le garanzie statutarie del riunirsi ed associarsi anche per fini spirituali, mantenere fermo l’ordine delle famiglie, elevare la funzione educatrice della scuola, non considerare come titolo di inferiorità giuridica la professione di una fede» . Scusatemi queste lunghe citazioni: per noi vecchi sono cose muffite, ma i giovani, molto giovani, ignorano quale sforzo abbiano sopportato i più anziani per superare i pregiudizi che si erano accumulati da decenni durante i conflitti tra Stato e Chiesa, anche indipendentemente dalla questione romana, e quale merito abbiano acquistato uomini come il Meda nello sgomberare il terreno e aprire la via alla cooperazione delle «forze costituzionali» o (diremo oggi, nello spirito dello Statuto della nuova Repubblica) delle forze democratiche. Si ricordi che per lunghi anni non fu possibile alle organizzazioni economico-sociali, che si chiamavano cattoliche, di inviare almeno un rappresentante nel Consiglio consultivo del lavoro. «Ammetterle (si obiettava), nei Consigli sia pure consultivi dello Stato, sarebbe come ammettervi la rappresentanza di un potere estraneo allo Stato, cioè della Chiesa». «Non è da ieri – diceva il Meda alla Camera – che i nostri avversari, attraverso un apprezzamento empirico dei fatti storici antichi e recenti, si ostinano a confondere la società religiosa, anzi, più esattamente, la società ecclesiastica che è una società spirituale a fini propri, con le organizzazioni politiche o economiche che i cattolici in Italia, come in ogni altro paese del mondo, han costituito nell’orbita del diritto pubblico comune, allo scopo di attuare le proprie finalità civili e sociali… Queste organizzazioni non sono né la Chiesa, né organi della Chiesa: esse derivano dal diritto statutario di riunione e di associazione che lo Stato deve rispettare, anzi tutelare, indipendentemente da qualsiasi sistema al quale voglia ispirarsi nel regolare i propri rapporti con la Chiesa» . «È questa una affermazione precisa e sicura ma – osserva acutamente il Meda – sarà più facile farla riconoscere, quando gli ordinamenti di tali società assegnino e distribuiscano gli uffici e le responsabilità in modo da non ingenerare la confusione e il sospetto, di cui si valgono troppo agevolmente i nemici per combatterle e angustiarle nel loro benefico sviluppo». Il Meda prevedeva così nel 1913 la necessità di distinguere gli uffici e le responsabilità dell’Azione Cattolica propriamente detta da quelli delle organizzazioni politiche. È risaputo che il chiarimento e la distinzione di responsabilità avvenne più tardi anche negli ordinamenti statutari, ma già prima, a chiarire e distinguere, valsero i fatti; e i fatti furono la marcia del suffragio universale e la guerra europea. Il suffragio universale aveva portato alla Camera un numero notevole di socialisti, i quali, vincolati per decisione del loro Congresso alla cosiddetta tattica intransigente, rendevano precaria la formazione della maggioranza e difficilissima la costituzione di un governo stabile. Quando il nostro Meda, il 2 agosto 1914, in un discorso tenuto nel vostro Cerro Maggiore , elencava i guai della situazione italiana, doveva lamentare alla Camera l’ostruzionismo contro i tributi; nel paese le sedizioni della settimana rossa dirette contro l’impresa coloniale e lo sciopero generale. Come sono lontani, ormai, quei tempi; come ci paiono irriconoscibili! Alcuni fenomeni, è vero, si ripetono in forme consimili, magari per ragioni contrarie ma la situazione è oggi, nella sua essenza, più grave. S’imprecava allora contro il regime monarchico denunciandolo come nucleo centrale della reazione di classe e s’invocava la Repubblica democratica come regime di popolo. Taluno potè credere che si trattasse davvero solo di struttura. Ma oggi la Repubblica c’è e si fonda sulla più larga, sulla più equa applicazione del suffragio universale. Oggi esiste un libero Parlamento, vige un regime democratico che ha ricostruito il paese e si avvia verso incisive riforme sociali. Una migliore, una più avanzata organizzazione della libertà politica al di là dei termini della nostra Costituzione non si può pensare o almeno non se ne vede esempio nella realtà universale di oggi. Che cosa resta al di là di questa ultima trincea? Forse la cosiddetta democrazia popolare dei paesi orientali, cioè la dittatura totalitaria dello Stato-partito? Una nuova e aggiornata settimana rossa non sarebbe solo un fenomeno interno, ma potrebbe avere conseguenze più vaste, poiché oggi non abbiamo in Europa semplicemente un’internazionale di dottrina, ma esiste, tale da poter operare immediatamente, un’internazionale di azione. Ecco le aggiornate preoccupazioni di oggi. Ma torniamo a quelle del 1914. Quando Meda elaborava il suo discorso di Cerro, non sapeva ancora che il giorno fissato per pronunciarlo sarebbe stato un giorno così tragico nel mondo. Da quel momento, cioè dallo scoppio della guerra, Meda deputato, Meda oratore, Meda giornalista fa il punto giorno per giorno della situazione che si evolve. Egli parte dalla neutralità e onestamente confessa d’aver creduto nella possibilità di evitare la guerra fino al maggio 1915. Ma egli ammette fin da principio che l’intervento sarebbe inevitabile quando l’imponesse l’interesse nazionale o il dovere internazionale. Egli si preoccupa tuttavia del concetto etico e della santità dei patti. Siamo in regola con le clausole del Trattato di alleanza? E dopo un acuto e schietto esame conclude di sì. Per il momento quindi neutralità e contributo sincero agli sforzi per il ristabilimento della pace. Attorno a lui le associazioni cattoliche milanesi riaffermano il 2 settembre il loro acuto desiderio di pace; ma la violazione della neutralità belga ha ormai messo in allarme la coscienza dei milanesi e si parla di «tesoreggiare le energie nazionali per l’ora del cimento che rendesse necessaria l’azione concorde di tutto il paese contro aggressioni o minacce straniere». Anzi, in contrasto con un manifesto dei socialisti che si pronunciavano per la neutralità ad ogni costo, il Meda chiarisce l’atteggiamento dei cattolici precisando: «qualora il governo responsabile ravvisasse nell’andamento del conflitto europeo una diretta e grave minaccia ai vitali interessi del nostro paese e decidesse perciò di uscire dalla neutralità, noi, come ogni buon italiano, approveremmo la grave ma necessaria decisione e sapremmo essere al nostro posto per compiere tutto il nostro dovere di cittadini» . Quando per il 7 febbraio 1915, Benedetto XV indisse preghiere solenni per la pace in tutto il mondo compilando egli stesso la nota e meravigliosa preghiera, Filippo Meda scrisse un commento che meriterebbe ancora di essere riletto e che elevava il pubblico italiano ai più vasti orizzonti dell’universalismo cristiano e lo collocava in presenza dell’infinito. Ma intanto le cose precipitavano. «Il compito di non esporre le masse a responsabilità che non volevano e in pari tempo di prepararle all’ineluttabile», diventava sempre più difficile, scrive lo stesso Meda. Nel marzo si rivela la necessità di appoggiare i negoziati per ottenere concessioni dall’Austria, e l’Italia , a penna di Filippo Meda, pubblica: «non è possibile mettere in dubbio che mentre si prepara una vera trasformazione della carta d’Europa, l’Italia non abbia il diritto, non abbia anzi il dovere di pensare ai casi suoi e di esigere che vengano ristabiliti i suoi confini naturali, geografici ed etnici». In quel tempo lo incontrai a Roma; rallegrandoci di quell’articolo speravamo tuttavia ancora nel successo dei negoziati pacifici. Venne la storica seduta del 20 maggio. Meda fece parte della Commissione parlamentare dei 18 per il conferimento dei poteri straordinari. Quattro giorni dopo, la guerra era dichiarata. Ora andavano avvicinandosi i giorni della corresponsabilità suprema anche per Filippo Meda. Egli non la cercava, non la voleva; quando fu il momento, la accettò come un dovere indeclinabile. Ma in Italia l’Union Sacrée che in altri paesi si era costituita rapidamente, procedette a rilento, tra triboli e spine. Della partecipazione dei «cattolici deputati» s’era parlato la prima volta alla Camera nel dibattito del marzo 1916, per iniziativa di Canepa e Ferri . Il gruppo di Meda non si espresse pubblicamente, ma in una riunione ristretta, presente anche don Sturzo, si era esaminata l’eventualità che si andava delineando, concludendo che in caso della costituzione di un ministero di difesa nazionale, non si sarebbe potuto rifiutare. Che ne pensasse il Salandra è difficile dire. Salandra, in un suo discorso del 1909, aveva detto dei candidati cattolici che «non potrebbero disciogliersi da un rapporto di dipendenza, anche politica, verso una autorità e una gerarchia alla quale noi ogni potere politico dobbiamo apertamente negare». E alla Camera ancora nel 1913 aveva insistito sulla necessità per il Partito liberale di porsi nella Camera a difensore dello Stato anche verso i cattolici, pur escludendo una politica di anticlericalismo. E concludeva: «mentre i cattolici sono legati alla venerazione di una potestà che non è nazionale, che si è qualificata extra-nazionale, voi socialisti siete legati da un vincolo di umanitarismo che pone un limite al vostro umanitarismo». Visione illogica e angusta che la guerra s’incaricherà di purificare e allargare. Infatti il 5 novembre 1915, parlando all’Associazione liberale di Milano, il presidente del Consiglio Salandra, dopo aver ricordato l’azione e il sacrificio concorde dei combattenti sulle Alpi e sull’Isonzo – «cattolici o socialisti, liberali o radicali» – faceva l’augurio che dopo la guerra, pur riprendendo le civili battaglie dei partiti, vi tornassimo migliorati. «E il Partito liberale, concludeva il Salandra, sarà… ringiovanito… più largo di idee, soprattutto più popolare, e cioè con la coscienza, che oramai sul campo di battaglia, con il sangue loro, tutti gli italiani hanno conquistato il diritto del potere». Non so se l’auspicio ebbe tutta la fortuna che meritava; ma dopo la prova della prima e seconda guerra, dopo la pace conchiusa tra Chiesa e Stato, dopo la proclamazione di uno Statuto che poggia sulla libertà, sul rispetto delle coscienze e sulla distinzione del potere politico e del potere religioso, pur determinando che l’opera di entrambi, ciascuno nella propria sfera, confluisca a rinnovare e consolidare la sanità morale del popolo italiano, dopo tutto ciò che accadde dunque, nell’ultimo ventennio, abbiamo diritto di sperare che il tentativo dell’Estrema di far rivivere ostilità e sospetti d’altri tempi venga considerato da tutti gli uomini ragionevoli e di buona fede come una operazione anacronistica, destinata a fallire. Ma riprendiamo la storia. Quando si costituì il ministero nazionale Boselli , Meda accettò, e accettò tutto a suo rischio. Nel discorso che tenne poi in agosto al Cova così indicò il significato che il suo gesto rivestiva. «Comprendevo, egli disse, che l’invito aveva un significato che non era lecito a me di sopprimere, e che non accettando avrei invece soppresso con danno attuale e futuro di tutto un movimento salutare, al quale sono congiunti interessi vitali non tanto di un partito o di una causa politica, quanto di un intero ordine di idee. Sentivo che era giunta l’ora di affermare, anche più risolutamente che in passato, la fusione della nostra anima religiosa con l’anima nazionale e di dissipare l’ultima nube che ancora circondasse il nostro assoluto lealismo». Io non ebbi la fortuna di ascoltare queste parole quando furono pronunziate nè di averne diffusa notizia. Scarse e vaghe informazioni giungevano a Vienna attraverso qualche foglio svizzero; ma che Filippo Meda era al governo si sapeva e il fatto era più eloquente di un volume. Il tentativo degli imperi centrali di monopolizzare la causa dell’ordine e della religione contro le massonerie occidentali era fallito e negli anni che attendevano la liberazione rinvigoriva la speranza che anche in Italia un nuovo spirito di conciliazione e di larghezze avrebbe concesso ai cattolici di Trento e di Trieste il privilegio di contribuire alle fortune della patria vittoriosa. Quando immediatamente dopo l’armistizio i deputati di Trento arrivarono a Roma, fu il ministro Meda che al banchetto, organizzato in nostro onore, si levò per il brindisi di saluto. Un’amicizia affettuosa ci strinse poi e ci accompagnò per tutta la vita. Ma ecco nel dinamico e torbido dopoguerra incalzare nuove e più pressanti esigenze. La battaglia politica richiede metodi e sforzi organizzativi eccezionali. I gruppi personali scompaiono, bisogna creare il partito di massa che resista al molteplice urto. Il Partito popolare ha la fortuna di trovare nell’eminente personalità di don Luigi Sturzo un capo geniale, un agitatore di idee, un suscitatore di consensi, un infaticabile organizzatore. Meda coi suoi amici – ne ricordo alcuni: Micheli , Rodinò , Longinotti , Mauri , Nava – aveva operata l’inserzione politica dei cattolici nello Stato costituzionale; ora si trattava di riformare questo Stato, e il rinnovamento doveva compiersi sulla base di una più sentita libertà e con la struttura di una schietta democrazia sociale. Negli anni dal ’19 al ’23 si aprì il solco e vi si gettarono i semi a piene mani. Poi tutto fu coperto dalla coltre pesante del fascismo, ma più tardi la semente germinerà la nuova Democrazia cristiana. Il fascismo deviò molte energie ricostruttive verso la dittatura interna e l’imperialismo esteriore, portando infine il popolo italiano in buona parte inconsapevole, ad una alleanza colla mostruosa filosofia sociale del nazismo e con le forze armate che a tale filosofia volevano conquistare il mondo. Tuttavia la dittatura italiana, credendo di servirsene per fini propri, attuò quella pace ecclesiastica e religiosa interna, che era stata la aspirazione di decenni e si era già compiuta nelle coscienze per il concorde sacrificio dei combattenti e per opera di uomini come Filippo Meda, e venne a maturazione quando la Chiesa, la quale con la sua opera di carità e di pace aveva durante la guerra conquistato i cuori poi, per bocca del cardinale Gasparri , dichiarò di confidare per la soluzione della questione romana non in conferenze internazionali, ma nel buon senso del popolo italiano. Misteriosi disegni che superano ogni umano antivedere: chi avrebbe immaginato che i Patti Lateranensi, conclusi da Mussolini per consolidare la dittatura, avrebbero invece costituito una pietra angolare nella Costituzione della Repubblica democratica? Filippo Meda non visse la guerra di liberazione, non assistette all’epopea della Resistenza; ma il suo spirito patriottico aleggiò certo sulle ansie di chi la volle, di chi la organizzò e soprattutto sugli ardori patriottici di quelle coscienze giovanili che, con senso di dedizione religiosa, con la generosità del sacrificio, celebrarono sulle montagne, nelle carceri, nelle cospirazioni, il secondo Risorgimento, non avendo di mira che una cosa sola: l’Italia purificata e rinnovellata nella libertà per tutti e nella più sincera adesionealle grandi tradizioni nazionali, dalle quali attingere l’energia e la fede per la ricostruzione. A questa dilatazione degli spiriti, a questo più ampio respiro, a questo umanesimo nazionale e integrale l’animo di Meda si era preparato per tutta la vita. La sua formazione sociologica lo avrebbe anche reso comprensivo e aperto alle più vaste e popolari riforme non solo in quanto esse rappresentano un doveroso progresso verso la giustizia sociale, ma perché esse inseriscono le masse lavoratrici entro la nazione vivente e operante per energia e concorso di popolo. Filippo Meda, dunque, che fin dal 1906 aveva tenuto a Bergamo un discorso sulla Democrazia cristiana, sarebbe stato con noi, quando lanciammo, ancora sotto l’occupazione straniera, il manifesto della Democrazia cristiana rinata nel battesimo del sacrificio e della vittoria. Ora un’altra generazione ascende verso la scala delle responsabilità pubbliche; noi la accompagnamo coi nostri voti, con la nostra fede: noi le chiediamo solo di trarre profitto dalla nostra esperienza, e di non ripetere i nostri errori, che talvolta furono forse inevitabili. Le chiediamo di andare avanti. Avanti verso la concezione sempre più larga di un partito messo al servizio della nazione, avanti verso un irrobustimento della nostra fede, politica e sociale, associato ad un giusto senso della libertà e della tolleranza, avanti verso la costruzione di una democrazia sostanziale, non faziosa e non demagogica, avanti soprattutto verso la giustizia sociale con uno spirito realistico e con volontà tenace di rinnovamento. Ma non trascurate, o giovani, il collegamento spirituale col passato dei vostri maggiori; esso vi preserverà dalle insidie di una improvvisazione presuntuosa o dai pericoli di una sistematica dottrinaria. Soprattutto, innanzi all’esempio di uomini come Filippo Meda, abbiamo il dovere di porre in rilievo la preminenza del valore personale e di esaltare, sopra ogni riforma di struttura, la perseverante riforma di noi stessi. Il Meda, anche in politica, aveva fama di onestà e di probità assoluta: essa era un riflesso della sua altissima coscienza morale, illuminata da una fede, non esibita, ma, ogni volta che occorresse, vigorosamente professata. Gli avversari, più accaniti, dicevano di lui: «è un galantuomo». Ecco sopra ogni altra cosa quello che noi desideriamo venga detto anche di noi. In democrazia l’uomo investito da un mandato politico e, più di ogni altro, l’uomo di governo, ha una missione così alta, una responsabilità così grave che nessuna diligenza, nessuna preparazione, nessuno sforzo d’ingegno basteranno a preservarlo da ogni e qualsiasi errore. Sentiamo perciò intorno a noi l’urgenza di essere sorretti da quanti condividono la nostra fatica e di essere confortati dallo stesso popolo che ci ha investiti. Ma al di là di questa cerchia contemporanea sentiamo ancora bisogno di una solidarietà più vasta e più illuminata nel tempo, di una solidarietà morale che ne ricongiunga con gli spiriti di coloro che ci precedettero e lavorarono nello stesso solco e camminarono verso la stessa meta. Così oggi, commemorando Filippo Meda, riprendiamo contatto con la sua esperienza, con la sua virtù creatrice, col suo ingegno luminoso, e integriamo con i suoi meriti le nostre deficienze, affinchè queste possano attribuirsi alla nostra persona, non alla causa che rappresentiamo; e, in tal modo ricongiunti, protendiamo il nostro sguardo verso il futuro che viene avanti, verso i giovani, ai quali spetterà di completare quello che non avremo finito e di perfezionare quello che avremo fatto. Così, in questa catena del ricordare e del presagire, sentiamo che la nostra missione non è uno sforzo isolato esaurito nell’attimo fuggente ma parte non inutile di una solidarietà che opera e si sviluppa, in un largo volgere di anni, per il bene supremo della patria e sotto gli occhi paterni della Provvidenza divina. |
40cf2d5c-d2bc-4cbf-9992-9a405af9c66b | 1,949 | 1Building the Italian Republic
| 91946-1950
| Ho la ferma convinzione che la socialdemocrazia abbia nella vita politica italiana una funzione precipua: quella di contribuire nel suo specifico campo di azione ad un processo di debolscevizzazione, e nello stesso tempo di dare anche la sua opera al processo di rinnovamento sociale. È anche per questo che in ogni occasione ho evitato di lasciarmi influenzare dai rapporti numerici considerando con la maggiore simpatia le affermazioni di un partito che ha come fondamento il postulato della democrazia politica. Di fronte alle prospettive di secessione delineatesi nel Psli con la probabile uscita degli anticollaborazionisti, non crede Lei, signor presidente, che Saragat e i suoi amici potrebbero restare, in quanto sostenuti da una base più compatta al governo, senza attendere la sanzione congressuale? Penso che le dimissioni dei ministri socialdemocratici non siano più solo un’affermazione politica, ma che la loro Direzione abbia voluto farne anche un impegno di carattere personale. È ovvio che in queste condizioni il Congresso di Napoli (cui d’altra parte corrisponderà a breve distanza quello di Firenze) ha la sua importanza, anche per l’esame della situazione che ne risulterà. Qual è l’atteggiamento della Dc di fronte agli ultimi avvenimenti? Esiste nel suo partito qualche orientamento, sia pure di modeste proporzioni, verso un mutamento della formula del 18 aprile? Lo escludo. La Dc si è già pronunziata tassativamente a questo riguardo. |