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### Titolo: Redentore (Giotto). ### Introduzione: Il Redentore è un dipinto tempera e oro su tavola (81x86 cm) attribuita a Giotto, databile al 1301 circa e conservato in collezione privata a Londra. ### Descrizione. Il Cristo, inserito in un quadrilobo, ha la stessa forma di quello nella cimasa della Croce di Padova, da cui non vennero mai staccate le parti accessorie, a differenza di quella riminese. Il Cristo, con la tipica aureola con i raggi rossi che creano una croce, è in posizione benedicente, con la destra alzata e un libro nella sinistra. Figura di notevole qualità, spicca per i valori plastici del modellato, ottenuti grazie al chiaroscuro.
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### Titolo: Dormitio Virginis (Giotto). ### Introduzione: La Dormitio Virginis è un dipinto a tempera e oro su tavola (74,7x173,4 cm) di Giotto, databile al 1312-1314 circa e conservato nella Gemäldegalerie di Berlino. ### Descrizione e stile. La Dormitio Virginis, ovvero il Transito della Vergine, è rappresentato con uno schema di base tradizionale, col cataletto di Maria circondato da angeli e dagli Apostoli, mentre al centro si leva il Cristo che ne regge l''animula' rappresentata come una bambina. Il momento è quello della deposizione quando la Vergine morta è calata nel sepolcro con l'aiuto degli angeli che reggono i lembi del sudario e un apostolo che si piega per sostenerla abbracciandone il busto. Innovativo è l'efficace utilizzo dello spazio in profondità, con i personaggi che si dispongono su più piani in maniera molto naturale, a differenza delle opere di tradizione duecentesca. Si tratta di un espediente già usato nella Maestà di Ognissanti, ma qui appare applicato in maniera più matura, con le figure più lontane che scompaiono dietro le aureole dei personaggi in primo e secondo piano. Inoltre il gruppo dei personaggi asseconda elegantemente la forma del dossale e con pose, gesti e sguardi indirizza inevitabilmente l'occhio dello spettatore verso il fulcro centrale della scena. I due gruppi laterali sono leggermente asimmetrici, con una linea ascendente che da destra prosegue dritta fino alla testa di Cristo per poi interrompersi nella figura dell'apostolo piegato con le mani giunte al volto, forse Giovanni. Anche il sarcofago di Maria, semplice ma ravvivato da decori cosmateschi, è appena scostato verso sinistra, rompendo la fissità di una rigida frontalità. Riuscita appare l'espressione dei sentimenti di dolore dei convenuti, nella gestualità, come negli affreschi dei cicli assisiate e padovano. Il chiaroscuro appare qui attenuato da passaggi morbidi, che esaltano la concertazione dei colori pastello degli abiti e dei delicati toni degli incarnati. L'angelo reggente un cero a destra è quasi identico a quello inginocchiato ai piedi di Maria nella Maestà degli Uffizi.
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### Titolo: Crocifisso di Ognissanti. ### Introduzione: Il Crocifisso di Ognissanti è un dipinto a tempera e oro su tavola (468x375 cm) attribuito a Giotto, databile al 1315 circa e conservato nella chiesa di Ognissanti di Firenze. ### Descrizione e stile. Il grande crocifisso era in origine più alto, con un soppedaneo che doveva rappresentare schematicamente il Golgota oggi perduto. La tipologia richiama le più o meno coeve croci di Rimini e di Padova, con la sagoma mistilinea e la figura di Cristo dal corpo è scarno e allungato, con passaggi di colore morbidi e calibrati e brani di virtuosismo come il perizoma trasparente. La luce è al tempo stesso intensa e morbida, e mette in risalto le membra, dipinte con cura riportando anche le vene, i tendini, lo schema osseo della gabbia toracica. L'espressione del Cristo è sofferente ma dignitosa, di grande spiritualità. Spicca l'uso del costoso blu oltremare nei bracci della croce. Ai lati si trovano tabelle quadrilobare con i dolenti a mezzo busto (Maria e Giovanni) e in alto la figura del Redentore benedicente.
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### Titolo: Allegorie francescane. ### Introduzione: Le Allegorie francescane sono gli affreschi della volta a crociera sopra l'altare maggiore della Basilica inferiore di Assisi. Attribuiti a Giotto e alla sua bottega (in particolare al Parente di Giotto e al Maestro delle Vele), sono databili al 1334 circa. ### Descrizione e stile. Nelle quattro grandi vele sono raffigurate le allegorie della Castità, della Povertà e dell'Obbedienza, cardini della Regola francescana, oltre a un Trionfo di san Francesco, tutte su sfondo dorato: eccezionale per un affresco è la presenza, e in grandissima quantità, del metallo prezioso che testimonia il massimo della sontuosità raggiunto nella decorazione della basilica, in evidente spirito revisionistico rispetto al pauperismo predicato dal santo fondatore. Iscrizioni nelle scene aiutano a comprendere il complesso programma iconografico. Fondamentale per l'iconografia è il rapporto con le storie di Cristo nei due bracci del transetto, poiché il programma generale tendeva ad esaltare la conformità tra Francesco e Cristo. Nelle cornici e nei costoloni corrono decorazioni geometriche o con elementi vegetali stilizzati arricchite da testine, intervallate da rombi contenenti scene figurative simboliche o busti di angeli. Le figure allegoriche sono tratte dall'Apocalisse e dall'Antico Testamento. Nello spessore dell'arco tra presbiterio e navata si trovano i primi compagni di san Francesco entro tondi. Le scene mostrano un gusto un po' arcaico e un decorativismo influenzato dalla scuola senese. Le numerose figure, dall'aspetto nell'insieme festante, hanno spesso un'espressività attonita, riferibile al Maestro delle Vele.
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### Titolo: Crocifisso (Giovanni da Rimini). ### Introduzione: Il Crocifisso dipinto e sagomato di Giovanni da Rimini è una tempera su tavola, databile tra il 1300 e il 1305, attualmente conservato presso il museo della città di Rimini. È l'opera che dà il via alla cosiddetta scuola riminese, nata successivamente alla presenza e al lavoro di Giotto nella città. ### Descrizione. Il crocefisso riprende chiaramente quello del ben più noto maestro toscano. Il Cristo ha una forma piuttosto allungata ed esile, molto aderente alla struttura della croce. Pregevole l'uso dei chiaroscuri e dell'effetto delle ombre per rendere chiari i lineamenti e i dettagli anatomici del corpo di Cristo, che si evidenzia rispetto allo sfondo nero della croce. Alle estremità sono presenti tre figure. Esistono due altre versioni del crocifisso, sempre attribuite all'artista, una prima presso il museo del Metauro a Mercatello sul Metauro che però si differenzia dallo sfondo dorato della croce, anziché scuro; una seconda presso la chiesa di san Lorenzo a Talamello.
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### Titolo: Crocifisso n. 20. ### Introduzione: Il Crocifisso n. 20 è una croce sagomata e dipinta a tempera e oro su pergamena applicata alla tavola (297x234 cm) del Maestro bizantino del Crocifisso di Pisa, databile al 1210 circa e conservata nel Museo nazionale di San Matteo a Pisa. ### Descrizione e stile. L'ampia diffusione che nei decenni successivi del XIII secolo ebbe in Italia questa iconografia, con maggiore accentuazione della sofferenza di Cristo sulla croce rispetto all'iniziale modello bizantino, è legata alle istanze degli ordini mendicanti che nel sottolineare il lato umano di Cristo, nei suoi effetti patetici e commoventi, ispiravano una nuova forma di devozione e preghiera per i fedeli. E invero, alcuni autori, per evidenziare questa evoluzione propongono di definire l'originario modello orientale come Christus dormiens (Cristo in attesa della resurrezione, caratterizzato dall'espressione serena), definendo propriamente patiens ('sofferente') la successiva drammatizzazione centro-italiana, legata all'affermarsi dei nuovi ordini religiosi. Il successo di questa iconografia fu tale che nel giro di pochi decenni sostituì completamente la vecchia tradizione del Christus triumphans, dove Gesù era rappresentato vivo sulla croce con gli occhi aperti, trionfante sulla morte e con una regalità aliena da sentimenti di dolore. Nel Crocifisso n. 20 compaiono gli elementi del Christus patiens: il Cristo ha il capo reclinato a sinistra e gli occhi chiusi; un fiotto di sangue esce dalla ferita sul costato. Ancora il corpo di Cristo non è inarcato, come nei successivi crocifissi di Giunta Pisano e di Cimabue. L'anatomia è ancora schematica, con un'indicazione molto generica del petto e dell'addome contratto; dolce è il declinare della testa a sinistra, coi capelli e la barba dipinti morbidamente. Notevole è poi il perizoma di Cristo che cade in pieghette che creano prismi lungo il dorso e sta fermata da un nodo raffinatissimo in vita, che ricorda gli intrecci a margine delle pagine miniate. Al termine dei bracci della croce sono presenti:. la cimasa (in alto) con il Trionfo di Cristo Pantocratore tra angeli, appena sopra l'INRI per esteso. i due tabelloni ai bracci laterali, con le Pie Donne e san Giovanni a figura intera. il soppedaneo in basso, con la Discesa agli inferi.Ai fianchi del corpo di Cristo sono inoltre rappresentate entro due riquadri allungati le Scene della Passione, scelte per confacersi meglio alla nuova iconografia, e rappresentati con chiari intenti didattici, secondo composizioni facilmente leggibili che formavano una biblia pauperum: a sinistra Deposizione, Compianto e Sepoltura di Cristo; a destra Pie donne al sepolcro, Incontro e cena in Emmaus e Ascensione. Come per guidare l'occhio dello spettatore nella corretta lettura dall'alto al basso, da sinistra a destra, il tempietto che fa da sfondo alla Deposizione viene ripetuto, come a segnare l'accapo, nella scena delle Pie donne al sepolcro. Le singole storie mostrano scelte iconografiche legate all'arte durante la dinastia dei Comneni (seconda metà del XII secolo), con un gusto amante degli sfondi ornati, e una rappresentazione composta del dolore, a cui fa fronte però una vivace rappresentazione degli eventi, resa eloquente da gesti e schieramenti dei personaggi. Pure la tavolozza smorzata, diversa da quella brillante delle croci pisane del XII secolo orienta l'ambito di produzione più sul versante greco-bizantino, che latino-occidentale. È probabile che però questo anonimo artista di formazione orientale lavorasse direttamente a Pisa, come farebbe pensare la dislocazione delle scene laterali, simile ad esempio a altri esemplari prodotti in città come la Croce della chiesa del Santo Sepolcro: l'opera venne quindi realizzata adattandosi alle richieste della committenza locale. Dopotutto la presenza di artisti greci in città è ben documentata, ad esempio tra gli artefici degli architravi settentrionale e orientale del battistero, e in quello del portale della chiesa di San Michele degli Scalzi, che è datato 1204, lo stesso anno del sacco di Costantinopoli da parte dei crociati. Singolare è poi la tecnica esecutiva della pergamena applicata su tavola, che ha un solo caso analogo nell'area, un nimbo che è l'unico resto di una croce già nella chiesa di Santa Cecilia e oggi nel museo di San Matteo. Tale tecnica si trova anche, al di fuori della Toscana, nella Croce di Alberto Sotio nel Duomo di Spoleto, datata 1187.
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### Titolo: Crocifisso di Perugia del Maestro di San Francesco. ### Introduzione: Il Crocifisso di Perugia è una croce sagomata dipinta a tempera e oro su tavola (410x328 cm) attribuita al Maestro di San Francesco, datata 1272 e conservata nella Galleria nazionale dell'Umbria di Perugia. In basso reca l'iscrizione 'ANNO DOMINI MCCLXXII TEMPORE GREGORI P.P.X. ### Descrizione e stile. Il Cristo, di tipo patiens, è appeso alla croce con quattro chiodi (due e non uno ai piedi, secondo il tipo pre-giottesco), ed è la testa barbuta molto incassata nel busto, coi capelli ricadenti in qualche ciocca sulla spalla sinistra. Il corpo è il più incurvato verso sinistra prima di Cimabue, arrivando ad invadere quasi tutto il tabellone laterale che risulta così impraticabile per le tipiche storie della Passione: infatti vi si trova un decoro geometrico, come pure sarà nelle croci cimabuesche. Completo in ogni parte accessoria, ha nella cimasa l'Ascensione, rappresentata come la visione della Madonna a mezza figura che, sollevanfo le braccia verso l'altro circondata da due angeli, allude alla salita in cielo del Redentore, che si vede benedicente e a mezzo busto nel clipeo superiore. Ai lati dei bracci si trovano i dolenti (Maria e Giovanni), qui raffigurati a figura intera, mentre nel soppedaneo un minuscolo san Francesco si accosta a toccare i piedi sanguinanti di Gesù inginocchiandosi. All'esempio di Giunta si rifanno il perizoma e l'accentuazione della curva del corpo, forse ispirata, nello sbilanciamento così marcato, al perduto Crocifisso di frate Elia già nella basilica di San Francesco. La forma della testa invece ricorda opere di Coppo di Marcovaldo, come il Crocifisso di San Gimignano, con una massa 'fitta a spumosa della barba, l'acconciatura 'gonfia' e la cannula del naso particolarmente sottile. Leggermente più morbide appaiono invece le pennellate nel viso.
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### Titolo: Crocifisso del Louvre del Maestro di San Francesco. ### Introduzione: Il Crocifisso del Louvre è una croce sagomata dipinta a tempera e oro su tavola (86x73 cm) attribuita al Maestro di San Francesco, databile al 1260 circa e conservata nel Museo del Louvre di Parigi. ### Descrizione e stile. Il Cristo, di tipo patiens, è appeso alla croce con quattro chiodi (due e non uno ai piedi, secondo il tipo pre-giottesco), ed è la testa barbuta reclinata, coi capelli ricadenti in qualche ciocca sulla spalla sinistra. Il corpo è un po' incurvato verso sinistra, invadento in parte il tabellone sinistro dove si trovano la Madonna e una pia donna, mentre nel destro si vedono san Giovanni e un apostolo. All'esempio di Giunta si rifanno il perizoma e l'accentuazione della curva del corpo, forse ispirata, nello sbilanciamento così marcato, al perduto Crocifisso di frate Elia già nella basilica di San Francesco. La forma della testa invece ricorda opere di Coppo di Marcovaldo, come il Crocifisso di San Gimignano, con una massa 'fitta a spumosa della barba, l'acconciatura 'gonfia' e la cannula del naso particolarmente sottile. Le estremità dei bracci hanno riquadri sul tipo della croce potenziata, che però non contengono storie, ma solo elementi geometrici, nel caso dei laterali, e l'iscrizione estesa dell'INRI nel caso della cimasa. Rispetto al Crocifisso di Perugia, datato 1272, quest'opera mostra elementi più arcaici, innanzitutto nella forma della croce e nella postura di Cristo, non così inarcata, nonché nella pennellata meno fusa, legata più strettamente all'esempio di Giunta,.
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### Titolo: Crocifisso di Londra del Maestro di San Francesco. ### Introduzione: Il Crocifisso di Londra è una croce sagomata dipinta a tempera e oro su tavola (92,1x71 cm) attribuita al Maestro di San Francesco, databile al 1272-1285 circa e conservata nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Il Cristo, di tipo patiens, è appeso alla croce con quattro chiodi (due e non uno ai piedi, secondo il tipo pre-giottesco), ed è la testa barbuta reclinata, coi capelli ricadenti in qualche ciocca sulla spalla sinistra. Rispetto al Crocifisso di Perugia, datato 1272, mostra un analogo addolcimento dei tratti, con una massa 'fitta a spumosa della barba, l'acconciatura 'gonfia' e la cannula del naso particolarmente sottile, su ispirazione di Coppo di Marcovaldo. In queste croci di dimensioni medie, come il Crocifisso del Louvre permaneva un gusto più arcaico nella forma della croce, con riquadri alle estremità sul tipo della croce potenziata, e fu probabilmente il committente stesso a richiedere le rappresentazioni nei tabelloni laterali delle Pie donne e di san Giovanni con un compagno apostolo: si tratta di rappresentazioni particolarmente espressive, soprattutto nel gruppo a sinistra che vede il drammatico svenimento di Maria, derivate dalle più avanzate conquiste dell'arte bizantina coeva, il cosiddetto neoellenismo. Tale presenza di figure rendeva difficile inarcare il corpo di Cristo, secondo l'iconografia che si era imposta da Crocifisso di Frate Elia di Giunta in poi, ma l'artista ovviò al problema arretrando le gambe e arcuandole più che mai, fino a spostare i piedi all'estremità del soppedaneo, e sfruttando ogni singolo centimetro disponibile accanto al corpo concavo di Maria. Per queste ragioni, oltre che per la tavolozza arricchita di colori chiari (che dovettero influenzare anche Duccio di Buoninsegna, la croce è riferita a un periodo successivo a quella di Perugia. Raffinato è il perizoma, coperto di lumeggiature dorate (un motivo databile dopo la fine degli anni sessanta del Duecento), che evidenziano lo scorrere della stoffa sulle rotondità delle gambe.
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### Titolo: Maestà di Assisi. ### Introduzione: La Maestà di Assisi è un affresco (320x340 cm) di Cimabue, databile attorno al 1285-1288 circa. Si trova nella basilica inferiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione. Situata nel transetto destro della basilica inferiore, mostra la Madonna col Bambino in Maestà, cioè su un trono, tra quattro angeli e con una rappresentazione di san Francesco in piedi a destra. Il trono ligneo di Maria, elegantemente intagliato e un tempo abbellito da dorature, è disposto in tralice come nella Maestà del Louvre, non ancora in scorcio centrale come nella Maestà di Santa Trinita. Sulla spalliera si trova una cortina ricamata. Maria tiene il Bambino sulle ginocchia con una sciolta posizione asimmetrica, poggiando il piede destro su un gradino basso e quello sinistro più in alto, anche per facilitare la tenuta del figlio che siede su quel lato. Gesù, dal volto evidentemente ridipinto (come quello di Maria), tende una mano a afferra con naturalezza un lembo della veste della madre, mentre Maria, dalle dita lunghe e affusolate, gli accarezza un piedino. La forma delle mani è in special modo tipica dell'artista e della sua cerchia, come si vede in opere come la Madonna di Castelfiorentino. Alle ridipinture vanno ascritti anche i panneggi. Gli angeli, sorridenti e rivolti allo spettatore, si dispongono attorno al trono accarezzandolo con eleganza e inclinando ritmicamente le teste, ora e destra, ora a sinistra, ispirata a opere romane come la Maestà di Santa Maria Antiqua (V secolo) o quella Theotokòs di Santa Maria in Trastevere (fine del VII secolo). Essi sono scalati su due file: se la diversa profondità è ben suggerita dalla loro fisica presenza esaltata dalla platicità dei loro volumi, non chiarito è invece il punto di appoggio su cui stanno, facendo ipotizzare per gli ultimi due un gradino invisibile o una soprannaturale levitazione. Tra gli angeli spicca soprattutto il volto di quello in basso a destra, con le ali finemente sfumate come si riscontra anche negli angeli tra le logge della basilica superiore. Ha un volto enigmaticamente atteggiato, quasi accennante un sorriso, percorso da profonde ombre che danno rotondità. Il San Francesco è simile a quello ritratto in una tavola conservata nel Museo di Santa Maria degli Angeli. Si tratta di una delle più antiche rappresentazioni del santo, anche se le ridipintura successiva impedisce di trarne conclusioni sulla reale fisionomia. È scalzo, indossa il saio, e ha un aspetto giovanile, con una corta barba e con la chierica. Fissando il fedele, mostra con evidenza i segni delle stimmate sulle mani e sui piedi, nonché sul costato grazie a uno squarcio all'altezza del petto. Egli aveva originariamente orecchie molto grandi, attenuate dalle ridipinture successive, a cui si devono anche i numerosi ritocchi scuri. Al petto tiene un libro. I due gruppi figurativi si esaltano pacatamente nel contrasto della loro diversità: così elegante e fastosa la Maestà, così sobrio e remissivo il santo. Tutta la composizione poggia su un prato verde, oggi assai annerito per l'ossidazione del colore. ### Stile. L'analisi recente, accurata e rigorosa di Luciano Bellosi (2004) ha permesso di stabilire che la Maestà ha anticipato gli affreschi della Basilica superiore di San Francesco d'Assisi e seguito i mosaici del battistero di Firenze ed opere come il crocifisso di Santa Croce o la Maestà del Louvre, databili al 1280 circa. Questi i principali indizi che permettono di pre-datare la Maestà rispetto agli altri affreschi di Assisi:. Le aureole non sono in rilievo e raggiate, come quelle più innovative presenti nella basilica superiore ed adottate da tutti gli artisti in seguito nei cicli di affreschi. La scena della Vergine seduta sul trono celeste insieme a Gesù Cristo della basilica superiore riporta una raffigurazione frontale del trono, con entrambi i fianchi aperti come le pagine di un libro. Una tale rappresentazione del trono sarà usata da Cimabue solo nella tarda Madonna di Santa Trinita (1290-1300 circa) e dagli allievi come Duccio di Buoninsegna dopo il 1290, mentre la Maestà del Louvre (1280 circa) e la Madonna di Bologna (1281-1285 circa) riportano un trono in tralice.Questi i principali indizi che permettono di post-datare la Maestà rispetto alle opere del 1280 circa:. La narice nelle teste piegate a “tre quarti” non è più un semplice ispessimento del bordo del naso come nelle opere di Cimabue del 1280. Tutti gli affreschi assisiati, compresa la Maestà in questione, riportano una sorta di incisione entro il naso, come nella Madonna di Santa Trinita e nel mosaico absidale del duomo pisano, che sono le opere più tarde a noi giunte di Cimabue. Le pieghe del manto della vergine sopra la testa cadono verticalmente come nella Maestà di Santa Trinita e non sono disposte secondo semicerchi concentrici come nella Maestà del Louvre (1280 circa), nella Madonna di Bologna (1281-1285 circa) e nella madonna dolente del crocifisso di Santa Croce. Le pieghe del Manto della Vergine sono più sciolte ed hanno perso l'attillatura e i sottosquadri della Maestà del Louvre (1280 circa) e della Madonna di Bologna (1281-1285 circa). Il volto della Vergine e degli angeli hanno perso la seriosità della Maestà del Louvre ed appaiono più distesi e sereni, quasi sorridenti, come nella Maestà di Santa Trinita. Gli angeli sono alternativamente rappresentati con i volti a destra e sinistra, una rappresentazione che ricorda la Maestà di Santa Trinita, ma non quella del Louvre.
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### Titolo: Cappella di San Nicola (Assisi). ### Introduzione: La cappella di San Nicola in trova in fondo al transetto destro della basilica inferiore di Assisi. Venne affrescata nel 1308-1310 circa dai maestri giotteschi, chiamati genericamente Maestro di San Nicola e Maestro Espressionista di Santa Chiara, con Storie di san Nicola di Bari. ### Descrizione e stile. La cappella ha forma poligonale. Nell'archivolto si trovano dodici santi a coppie, come ne figura anche in altre cappelle della basilica inferiore. Sopra la parete interna dell'arcone di ingresso si vedono San Francesco e san Nicola che raccomandano a Gesù Napoleone e Gian Gaetano Orsini, sotto i quali si trovano entro riquadri la Maddalena e San Giovanni Battista. Dalla destra dell'arcone si vedono le storie di San Nicola che fornisce la dote a tre fanciulle, San Nicola che salva dei naufraghi (scena quasi perduta), San Nicola benedice un penitente con la corda al collo inginocchiato dinanzi a lui; a sinistra San Nicola salva tre innocenti condannati a morte e San Nicola appare in sogno a Costantino; nella parete destra Resurrezione di un bambino, Liberazione di uno schiavo e Restituzione dello schiavo liberato ai genitori; nella parete sinistra Un ebreo profana il busto del santo. La zona inferiore è occupata dalla rappresentazione di santi, che si trovano anche, rappresentati sulle vetrate in sedici coppie, dal disegno riferibile a un artista giottesco coevo alla decorazione della cappella. Sopra la tomba infine l'affresco con la Madonna col Bambino tra i santi Nicola e Francesco del Maestro di San Nicola, forse su cartone di Giotto. Gli affreschi sono caratterizzati da figure allungate, con architetture fantasiose di sfondo, curate nei dettagli e con numerosi inserti che simulano mosaici cosmateschi.
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### Titolo: Leone di san Marco tra i santi Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Maria Maddalena e Girolamo. ### Introduzione: Il Leone di San Marco tra San Giovanni Battista con San Giovanni Evangelista e Maria Maddalena con San Girolamo è un dipinto olio su tavola (207x510,4 cm) di Cima da Conegliano, conservato alle Gallerie dell'Accademia a Venezia. ### Descrizione. Questo dipinto raffigura al centro il Leone di san Marco, sulla sinistra san Giovanni Battista con san Giovanni Evangelista, sulla destra Maria Maddalena e san Girolamo con il libro.
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### Titolo: Loggia di Romolo e Remo. ### Introduzione: La Loggia di Romolo e Remo è un ciclo di affreschi frammentario di Gentile da Fabriano e collaboratori, databile al 1411-1412, dentro palazzo Trinci a Foligno. ### Descrizione e stile. Rappresentando le sorti di Romolo e Remo si alludeva alla rinascita di Foligno sotto i Trinci come una 'nuova Roma', con analogie rispetto alle vicende vissute dai mitici fondatori. Il ciclo è frammentario e oggi si dispone su due pareti della loggia affacciata sul cortiletto della scala gotica (un tempo a cielo aperto). In ampie porzioni la superficie pittorica è perduta, ma si è spesso conservato il disegno sottostante della sinopia, di alta qualità. La prima scena mostra il tempio delle vestali immaginato come una basilica gotica con cupolette come la basilica di San Marco a Venezia (dove l'artista era appena stato), dove nove vestali, vestite come sofisticate nobildonne del Quattrocento, stanno raccolte attorno a un piccolo idolo appoggiato su una colonnetta al centro di un altare. A destra, in una sorta di navata, Rea Silvia è presa da Marte. La seconda scena, oltre il portale ad arco, mostra la Nascita di Romolo e Remo, ambientata in un ricco palazzo gotico con merli, bifore, un terrazzino coperto, comignoli e una torretta. Nella stanza rivelata al pian terreno, grazie a una parete scomparsa, si assiste alla nascita dei gemelli, con uno schema non dissimile da quello delle Natività di Maria. Accurata è la descrizione dell'ambiente domestico. La terza scena, in alto sopra la rientranza ad arco nella parete, mostra il pastore Faustolo che trova i due gemelli abbandonati (a sinistra) e li porta dalla moglie Acca Larentia, che gli accoglie nella propria dimora (a destra). Nella scena sotto l'arco Rea Silvia è condannata a morte, tramite la sepoltura da viva: si tratta della scena più concitata, con un gran numero di soldati e altri personaggi. Le scene quinta e sesta sono più danneggiate e mostrano l'assedio di Albalonga e la deposizione di Amulio, padre di Rea Silvia, dal trono della città. Sotto queste opere, in una cavità della parete sopra il portale, era stato inserito il rilievo antico di Ermes con la capra, a rinsaldare il legame col passato.
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### Titolo: Ponte sospeso (Foligno). ### Introduzione: Il Ponte sospeso è un ambiente di palazzo Trinci a Foligno, che contiene un ciclo di affreschi frammentario della scuola di Gentile da Fabriano, databile al 1411-1412. ### Descrizione e stile. L'ambiente è il cavalcavia che attraversa l'antica 'strada de Sancto Iacomo' e che collegava il palazzo con gli edifici dei canonici, un tempo costruiti sopra la navata della Cattedrale, e la basilica stessa. Oggi sono visibili gli affreschi e spesso le sinopie sottostanti, che però nella parete sinistra (provenendo dalla Sala delle Arti liberali e dei Pianeti) non combaciano con le scene dipinte. su questo lato infatti venne avviato il ciclo delle Età dell'uomo, poi trasferito, in misura maggiore, sulla parete opposta, probabilmente per un ripensamento sull disposizione delle scene e sullo spazio a disposizione. Il ciclo più in superficie, riferibile alla presenza di Gentile in città, è quello di Prodi (sinistra) e delle Sette età dell'uomo (destra), composto da una serie di figure allineate sotto finte nicchie, come nella vicina Sala dei Giganti. Gli eroi, di cui si sottolinea il rango aristocratico e l'abbigliamento militare, si trovano sopra una pedana di sostegno azzurra, incorniciati da archi ogivali retti da esili pilastrini esagonali. Si inizia da 'Romolo, a cui segue sopra l'arco di un portale, separato da una gabbietta con dentro un pappagallo, Scipione l'Africano. I successivi personaggi raffigurano la serie dei Nove prodi della tradizione medievale francese, che contano personaggi del mondo ebraico/biblico (Giosuè, Davide, Giuda Maccabeo), pagano (Ettore, Giulio Cesare e Alessandro Magno) e cristiano (Re Artù, Carlo Magno e Goffredo di Buglione), alcuni dei quali perduti, in particolare nelle metà inferiori. In queste zone si vede il ciclo leggermente più antico delle età dell'uomo a monocromo, raffigurate come una serie di personaggi impegnati in attività del mondo cortese entro una foresta, tra lo svolazzare di nastri con iscrizioni che ne chiariscono il significato. Il tema delle sette età dell'uomo era frequente a Foligno: in piazza della Repubblica stavano collocate su mensole sette teste romane componenti una serie su tale tema, inoltre se ne trova una raffigurazione anche nei tondi della vicina Sala delle Arti liberali e dei Pianeti. Negli affreschi del Ponte sospeso, in uno sfondo vegetale che allude forse al 'giardino della vita', sono raffigurate sette figure rappresentante ciascuna delle età (Infanzia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità, Maturità, Vecchiaia, Decrepitezza). Angeli sbucano in volo dal folto della vegetazione e mostrano cartigli che, in antico francese, spiegano il significato delle figure sottostanti. L'Infanzia è rappresentata da un bambino che gioca con una frusta, l'Adolescenza da un giovanetto che scocca una freccia verso l'alto, la Giovinezza da un uomo a cavallo, la Virilità da uno in piedi con un mazzo di fiori in mano, la Maturità da un uomo seduto che legge un libro, la Vecchiaia da un anziano con le stampelle, e la Decrepitezza con un uomo dalla barba bianca che scruta il cielo attendendo la fine dell'esistenza.
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### Titolo: Sala dei Giganti (Foligno). ### Introduzione: La Sala dei Giganti (o degli Imperatori) è un ambiente di palazzo Trinci a Foligno, che contiene un ciclo di affreschi frammentario di Gentile da Fabriano e collaboratori, databile al 1411-1412. ### Descrizione. Lungo le pareti sono ricavate vari nicchioni in cui si trovavano venti figure monumentali in piedi, delle quali oggi se ne sono conservate solo quindici. All'ingresso della sala si trovavano alcuni versi oggi non più leggibili, ma tramandati dalle fonti antiche, che chiarivano la chiave di lettura della rappresentazione:. Il ciclo inizia sull parete breve opposta all'ingresso, dove si trovavano Romo e Giulio Cesare, oggi completamente perduti. Proseguendo verso destra si incontrano:. Ottaviano Augusto. Tiberio. Camillo. Fabrizio. Manio Curio Dentato. Tito Manlio Torquato. Cincinnato. Marco Marcello. Scipione l'AfricanoLa rappresentazione è poi intervallata da una finta loggia da cui si affacciano personaggi in eleganti costumi contemporanei, probabilmente alcuni membri di Casa Trinci. Si prosegue con:. Muzio Scevola. Catone Uticense. Caio Mario. Publio Decio. Claudio Nerone. Fabio MassimoPerduti sono Caligola, Pompeo e Traiano. Le figure poggiano su uno zoccolo a riquadri bianchi e neri, alternati a formelle imitanti il marmo screziato. In alto corrono invece i monogrammi celebrativi di Casa Trinci, ai quali vennero sostituiti, nel 1477, quelli di Sisto IV. ### Stile. Da un punto di vista stilistico i personaggi mostrano affinità che dimostra l'unitarietà dell'esecuzione. Le figure sono massicce, abbigliate in maniera sontuosa, nascondendo alcune imprecisioni anatomiche e di impianto. La ricchezza delle decorazioni, spesso ottenute con stucchi, pastiglie e lamine metalliche, rimanda alla cultura tardogotica.
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### Titolo: Sala delle Arti liberali e dei Pianeti. ### Introduzione: La Sala delle Arti liberali e dei Pianeti è un ambiente di palazzo Trinci a Foligno, che contiene un ciclo di affreschi frammentario di Gentile da Fabriano e collaboratori, databile al 1411-1412. ### Descrizione. Vi si accede dalla Loggia di Romolo e Remo. Metà della stanza è occupata dalle rappresentazioni delle Arti liberali, del Trivio e del Quadrivio più la Filosofia, come figure femminili simboliche intente a istruire fanciulli al di sotto di sfarzosi troni architettonici gotici; l'altra metà mostra la rappresentazione dei pianeti, intervallati da dischi iridati con rappresentazioni che alludono alle Età dell'uomo e alle Ore del giorno. Tra le varie rappresentazioni esistono precisi collegamenti di rispondenze, derivati dal De nuptiis Philologiae et Mercuris di Marziano Cappella (metà del V secolo), integrato con altre fonti letterarie. Un precedente figurativo sono inoltre i rilievi della Fontana Maggiore a Perugia. Per le Età dell'Uomo si attinse invece ai Documenti d'Amore di Francesco da Barberino e forse dal coevo Saporetto del poeta orvietano Simone de' Prodenzani. In alcune parti gli affreschi sono frammentari, e talvolta è visibile la sinopia sottostante. La stanza era anticamente nota come delle Rose, dal fiore araldico dei Trinci che fa la sua comparsa sui finti drappi del registro inferiore e sulle piccole porzioni di parete dietro essi, nonché sul fregio superiore. In quest'ultimo i racemi delle rose sono intrecciati a cartigli in cui si legge il monogramma 'FA', scioglibile nel motto Fides Adiuvat, come riporta il manoscritto Coltellini (1770-1780) in cui si trovano anche in copia i documenti relativi ai pagamenti degli affreschi. Sotto il fregio alcuni passanti attorno a una pertica simulano che la fascia figurativa sia un grande arazzo continuo. Tra gli affreschi figurativi e il finto drappeggio in basso corre una fascia in cui trovano posto iscrizioni esplicative degli affreschi: la storia della sala è inoltre testimoniata in questa zona da numerosi graffiti di nomi antichi, probabilmente dei soldati papali che vollero sfregiare la sala prima che venisse coperta. ### Stile. Da un punto di vista stilistico i personaggi mostrano affinità che dimostra l'unitarietà dell'esecuzione. Le figure sono abbigliate in maniera sontuosa, nascondendo alcune imprecisioni anatomiche e di impianto. La ricchezza delle decorazioni, spesso ottenute con stucchi, pastiglie e lamine metalliche, rimanda alla cultura tardogotica.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Gli amanti (Magritte). ### Introduzione: Gli amanti (Les Amants) è un dipinto di René Magritte del 1928, realizzato con la tecnica dell'olio su tela (54cm x 73cm). Dell'opera esistono due versioni, entrambe datate 1928. La prima attualmente è conservata presso la National Gallery of Australia, mentre la seconda donata dal collezionista privato Richard S, si trova al MoMA di New York. ### Descrizione e stile. Il quadro raffigura due amanti che si baciano, con le teste coperte da un panno bianco che impedisce loro di vedersi e comunicare, suscitando una certa inquietudine e angoscia. La scena è poi completata da uno sfondo fortemente contrastato di tonalità blu e dalla cornice classicheggiante che riveste la rossa parete, riportando agli occhi i tempi antichi. I due lenzuoli sono resi con un abile uso dei chiaroscuri, che sembrano riecheggiare i virtuosismi del peplo di una scultura ellenistica, e sono fonte di luce dell'intera opera. Questi drappeggi che paiono leggeri e appena appoggiati sui volti dei due amanti, sono in netto contrasto con il rigore classico dell'architettura appena accennata in alto a destra. La composizione è equilibrata sia dal punto di vista geometrico che plastico, anche attraverso il rapporto che il pittore crea tra il rosso del muro e il rosso della camicia della donna. Questo rosso che spicca, però sempre in secondo piano rispetto alla luce del bianco dei lenzuoli, richiama il rosso del sangue e quindi della morte, altro riferimento al suicidio della madre. Tra le due figure quella più emblematica è la figura maschile: giacca scura, camicia bianca e cravatta, semplice e ordinata, che alla vista non resta impressa. Questi è il padre di Magritte che dà un ultimo bacio alla moglie, appena morta, con il volto coperto dal dolore. Questo bacio fra i due amanti è un'immagine decisamente conturbante, che parla di morte e di impossibilità di comunicare. Nascosti dietro i loro sudari, si scambiano un amore muto incapace di un linguaggio diverso da quello del corpo, esprimendo una forte passione nonostante la mancanza di dialogo. Possiamo considerarlo il “bacio della morte”? Un bacio tra due defunti, o in procinto di essere tali? Privati dei sensi della vista e del tatto, dell'esperienza sensibile, agli amanti è vietato di conoscersi. Le interpretazioni sono e saranno molteplici e la riflessione a cui l'opera deve condurre l'osservatore è stata da sempre la volontà dell'artista: un'interpretazione che non deve mai giungere ad una conclusione definitiva. Nascondendo i volti, rendendoli non visibili, il pittore vuole mostrare i molteplici significati del reale attraverso nuovi punti di vista. Un “vedere oltre” esoterico, oracolare e non razionale che spesso si rifà anche alle poesia veggente di Arthur Rimbaud. Come spiega lo stesso pittore:. Caratteristica comune a tutte le opere è l'assenza di razionalità cosciente, il privilegiare costantemente la dimensione onirica, tematiche tipiche del movimento surrealista. Ci troviamo di fronte a un amore prigioniero dalla morte, che è ultimo ostacolo alla vita. Inoltre il quadro è ricco di riferimenti ad un altro tema molto caro al pittore: la complessa questione del visibile e dell'invisibile, sul quale Magritte tornerà molto spesso. Egli stesso citerà in Le Parole e le immagini del 1929:. Questo rapporto tra visibilità, che nel quadro corrisponde a tutta quella serie di elementi in più rispetto ai due soggetti, e di invisibilità, dei volti dei due amanti, rimandano sempre a quell'immaginario onirico di un ipotetico sogno, che forse sogno non è.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Nuda Veritas. ### Introduzione: La Nuda Veritas è un'opera di Gustav Klimt realizzata nel 1899 con la tecnica dell'olio su tela (252x56,2 cm). Il dipinto attualmente è conservato presso l'Österreichisches Theatermuseum di Vienna. Dell'opera Klimt realizzò anche una versione precedente, datata 1898, realizzata con la tecnica della litografia e pubblicata su Ver Sacrum, rivista della Secessione viennese (1898-1903). ### Il contesto storico dell'opera. La Vienna degli ultimi anni dell'Ottocento era una Vienna decadente che risentiva dell'ipocrita repressione vittoriana. Durante questo periodo l'arte di Klimt per il suo erotismo e i suoi temi spesso troppo espliciti, si scontrò spesso con molti rifiuti. A causa di queste restrizioni molti artisti sentirono il bisogno di un cambiamento radicale che portò alla cosiddetta Secessione viennese: un'associazione di 19 artisti, tra cui pittori e architetti, che si staccano dall'Accademia di Belle Arti andando contro il tradizionalismo, il conservatorismo e l'accademismo, per formare un gruppo autonomo dotato di una propria indipendenza e anche di una propria sede, il Palazzo della Secessione. La Secessione Viennese, soprattutto in pittura, non cercava la rottura con l'arte del passato, ma piuttosto cercava di creare una nuova arte austriaca che rispondesse alla esigenze culturali, politiche e sociali del tempo. In particolare fu dal 1907 che tra i pittori si palesò una nuova concezione di arte figurativa che partiva dalla ricerca del maestro Gustav Klimt per poi seguire con i suoi seguaci quali Egon Schiele e Oskar Kokoschka. ### Descrizione e stile. Il quadro si apre con la citazione del filosofo Schiller scritta su fondo d'oro, che ha una funzione di cartello introduttivo all'opera. Nella parte centrale del dipinto vediamo la figura femminile, protagonista assoluta della rappresentazione, che si mostra allo spettatore in tutta la sua nudità, senza nascondere nulla. Nonostante la Veritas non abbia un atteggiamento provocatorio, la presenza del serpente ai suoi piedi, dei fiori nei capelli e dello sfondo acquatico quasi evanescente, attribuisce alla figura una carica pericolosa e inquietante. L'incarnato pallido, la chioma rossa e lo sguardo pietrificato rendono questa donna ancora più inaccessibile. La donna tiene nella sua mano destra uno specchio, rivolto verso lo spettatore. Elemento di collegamento tra la zona occupata dalla donna e la fine del dipinto sono due fiori che si ergono con il loro stelo sottile e lungo che, in qualche modo, ricordano la presenza maschile essendo riconducibili anche a forme spermatozooiche. L'opera si chiude, ai piedi della figura femminile, con la scritta Nuda Veritas, titolo dell'opera. In quest'opera non mancano le caratteristiche principali dell'arte di Klimt: la grande padronanza del disegno, che rimane tuttavia bidimensionale, reso attraverso l'uso del colore, l'uso dell'oro nella parte della cornice e soprattutto l'uso di materiali e di tecniche provenienti dalle arti minori. ### Lettura dell'opera. La citazione di Schiller alludeva alle numerose polemiche suscitate dal nuovo corso dell'arte klimtiana, alle quali non poteva sfuggire l'opera della Nuda Veritas. L'unico a sostenere quest'opera fu Hermann Bahr, primo proprietario del quadro. Il pubblico insorgeva contro quest'opera per il suo carattere demoniaco e fatale, tipico delle donne klimtiane, tanto da considerare la Veritas una Iside secessionista, come disse il critico Hevesi. Il marcato realismo di questo nudo era molto lontano dall'idea dei nudi idealizzati a cui il pubblico del tempo era abituato, tanto da urtare il perbenismo dei viennesi. Dobbiamo considerare anche che ci troviamo in un periodo in cui il lavoro di Sigmund Freud faceva della sessualità e della nudità uno scomodo oggetto di studio. La donna in questione incarna la verità, e il serpente che le cinge le gambe, mettendo in pericolo la sua integrità, sta a simboleggiare la verità insidiata dalla menzogna e dall'invidia. Molte letture invece sono state fatte sul significato dello specchio: secondo la più accreditata di queste letture, la donna, rivolgendo lo specchio verso di noi, ci sta esortando a fuggire dalla menzogna rappresentata appunto dalla serpe. In questa esortazione a fuggire dalla menzogna vi leggiamo una dichiarazione d'intenti dell'artista: la totale libertà dell'arte che deve dire la verità in quanto espressione della propria epoca. Menzogna e invidia che attraverso il corpo del serpente “debordano” dalla cornice del quadro con l'intento di cancellare la scritta Nuda Veritas, proprio per esaltare questa lotta della menzogna contro la verità.
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### Titolo: Bacco, Venere e Amore. ### Introduzione: Bacco, Venere e Amore è un dipinto a olio su tela (209,5x161,5 cm) attribuito a Rosso Fiorentino, databile al 1531-1532 circa e conservato nel Musée national d'histoire et d'art a Lussemburgo. ### Descrizione e stile. Appoggiato su un complesso sedile drappeggiato, Bacco, protagonista della scena, solleva il braccio destro con la ciotola del vino da banchetto, riecheggiando le statue del dio di Michelangelo e altri. Il torso del dio è dilatato e scultoreo, mentre gli arti sono allungati e disposti scioltamente, nel più raffinato stile manierista internazionale. Ai suoi piedi, di spalle, Cupido cavalca un leone dagli occhi spenti, vicino al quale si trova l'elsa decorata di una spada. A destra Venere, appoggiata a un vaso, mostra le forme canoniche della bellezza femminile dell'epoca, coi fianchi dilatati, la vita stretta, i seni ben proporzionati. Chiude la composizione, a destra in alto, un satiro con un drappo rosso che solleva allegramente grappoli d'uva. Opera raffinatissima dal punto di vista formale, vi si riscontrano le qualità inventive del Rosso e del nuovo stile pittorico che egli inaugurò a corte: erotismo, primato della decorazione, stile prezioso, iconografia sofisticata. L'intero dipinto potrebbe infatti essere idealmente inscritto in un ovale, come un cammeo antico, come suggeriscono anche le andature curvilinee simmetriche della zampa arcuata del seggio e del corpo tondeggiante del vaso.
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### Titolo: Ritratto di Margherita Paleologa. ### Introduzione: Il Ritratto di Margherita Paleologa è uno dei dipinti che Giulio Romano eseguì nel 1531 circa durante il suo soggiorno a Mantova, presso la corte del marchese Federico II Gonzaga. ### Descrizione. Il dipinto ritrae una nobildonna in abito nero con bordi in oro e con un copricapo. Dietro di lei, tre visitatori si stanno accomiatando. Per molto tempo si pensò che la donna ritratta fosse Isabella d'Este. Con tutta probabilità invece si tratta di Margherita Paleologa, figlia di Guglielmo IX del Monferrato e di Anna d'Alençon, che il 3 ottobre 1531 sposò il marchese di Mantova, figlio di Isabella. La nobildonna si fece ritrarre col cappello a ciambella tipico della suocera, la 'capigliara', riecheggiando il ritratto che ne aveva eseguito Tiziano anni prima.
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### Titolo: Madonna di Port Lligat (Dalí Tokyo). ### Introduzione: La Madonna di Port Lligat è un dipinto realizzato da Salvador Dalí nel 1950. Di questo soggetto esiste un'altra opera omonima del 1949. ### Descrizione. Nel quadro sono presenti elementi che ritroviamo spesso in Dalí, come la figura di Gala, sua moglie e musa nella vita reale che impersona la Madonna, la baia di Port Lligat (suo paese natale), il pesce, la conchiglia, il pezzo di sughero attaccato al chiodo. Gli elementi presenti nel quadro non sono moltissimi ma danno una sensazione di pienezza. Sono però di ardua interpretazione. Dalí non ha dato spiegazioni riguardo alle sue opere se non in rarissime occasioni. Il quadro si presenta in modo alquanto originale: un sipario, visibile negli angoli alti e composto da due tende di differente colore, è quasi totalmente aperto, come per dire che lo spettacolo sta per avere inizio. Al centro troviamo la Madonna, elemento principale, con in grembo un bimbo, frutto del suo amore e di quello di Dio. La figura è sospesa, come la quasi totalità degli elementi presenti. Si ha l'idea di un'istantanea ma allo stesso tempo anche di un dolce movimento infinito. Nel ventre della Vergine e in quello dell'infante convergono tutte le linee di prospettiva, al fine di puntarvi lo sguardo dell'osservatore. Il quadro può essere suddiviso in piani orizzontali, verticali e di profondità. Quelli orizzontali sono composti da tre sezioni:. sezione inferiore, composta dall'altare e dal mare sottostante. sezione centrale, delimitata tra l'altare e l'orizzonte e nella quale si trova la Madonna in trono. sezione superiore, composta dalle colonne, dalla volta, dalla conchiglia, dal cielo e dalle tende.I piani verticali sono invece due, delimitati da una linea ideale che divide l'opera in altrettanti parti speculari. Questa parte dal cordino che sostiene l'uovo, passa per la spiga di grano, nelle rose sottostanti, nella sfera e termina nella vongola. Anche i piani di profondità, come quelli orizzontali, sono tre:. I piano, dove si trova l'altare. II piano, dove si trovano la madonna e le colonne. III piano, dove si trova il paesaggio.La luce proviene dall'angolo in alto a sinistra. Ciò si può intuire dalle ombre degli oggetti e dei personaggi. Questa luce, che rende il panneggio del vestito plastico e il viso della Madonna luminoso, crea un'atmosfera surreale di tempo sospeso. Al centro del dipinto troviamo la Madonna che, come detto in precedenza, è il soggetto del quadro. Essa ha nella zona del seno e del ventre un foro fortemente evidenziato da una cornice che la attraversa, lasciandoci vedere lo sfondo del quadro. La figura femminile ha il capo leggermente chino verso sinistra e le mani giunte in preghiera per venerare il Bimbo. La posizione delle mani della Madonna, oltre alla preghiera, suggeriscono anche un gesto di protezione nei confronti del Bimbo. Quest'ultimo, biondo e con gli azzurri, riprende un ideale di bellezza nordica. Sotto troviamo un uovo appeso tramite un filo alla conchiglia, che cita la Pala di Brera di Piero della Francesca. È il simbolo della nascita; è l'elemento dentro cui la materia prende vita. Ha il significato di cosmo e del principio fondatore che l'ha generato. Nello stesso piano di profondità, sotto l'uovo troviamo due mezze colonne con capitelli, sormontate da un arco spezzato. Sopra questo vi è la conchiglia che sembra avere la funzione di cupola. L'intonaco delle colonne è rovinato, mostrando così la muratura interna: il primo è liscio, perfetto, mentre le altre sono irregolari e nude. Il dipinto è ricco di sfumature, tranne nel caso delle zone intonacate della volta e delle colonne in alto dove il chiaroscuro è molto meno evidente. Lo sfondo e il cielo tendono a passare da un colore a un altro. Invece ogni elemento in primo piano del quadro è sì sfumato, ma ha un suo colore e lo mantiene: le colonne basse sono marroni, il pesce è sul grigio, il vestito di Gala è un bianco “sporco”. Dividendo idealmente il quadro in tre bande orizzontali si ha una contrapposizione tra due parti relativamente più scure (quelle alte e basse) che man mano si schiariscono verso quella centrale, in cui si trovano tra l'altro i due soggetti principali.
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### Titolo: San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò. ### Introduzione: Il San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò è un dipinto tempera su tavola (250×188 cm) eseguito nel 1317 circa da Simone Martini e conservato presso il museo nazionale di Capodimonte a Napoli. ### Descrizione. La tavola assume la tipica conformazione di quelle del periodo bizantino. Le figure dei personaggi sono intere; quella di Ludovico, posta al centro della tavola nell'atto di incoronamento, è frontale ed indossa un piviale con gli attributi propri, episcopale, pastorale e mitra;. Sopra il santo due angeli sorreggono la corona, mentre al suo fianco, in proporzioni minori, seguendo il principio della gerarchia tradizionale, è rappresentato in ginocchio Roberto d'Angiò, nuovo re di Napoli. I contorni della pala vedono una decorazione blu scura con gigli, proprio a rappresentare la casa d'Angiò. La tavola è poi completata nella parte inferiore dalla predella, in cui sono rappresentate con linguaggio giottesco cinque scene della vita del santo ed un miracolo attribuito a lui dopo la sua morte (avvenuta nel 1297). Il fondo oro, infine, è un ulteriore elemento di matrice bizantina.
@Scribis @Italiano. Descrivi un famoso dipinto.
### Titolo: Danza macabra di Lubecca. ### Introduzione: La danza macabra di Lubecca è stata una delle più importanti e influenti rappresentazioni del genere. Venne completamente distrutta la notte fra il 28 e il 29 marzo 1942 durante il bombardamento alleato della città. ### Descrizione. La danza macabra di Lubecca era considerata la più bella e popolare della Germania. Comprendeva 24 figure in un paesaggio bucolico, rappresentanti le diverse classi sociali dell'epoca. In lontananza c'era una veduta di Lubecca e del suo porto. Ogni figura era riconoscibile da determinate caratteristiche. I partecipanti non erano in ordine casuale, ma seguivano una rigorosa gerarchia. La danza iniziava con un cadavere con cappello e flauto. Un altro cadavere, portando una bara, tirava il papa (riconoscibile dalla tiara) per le vesti. In seguito venivano l'imperatore, l'imperatrice, il cardinale e il re (posizionati nella parete con il numero 1 nella figura qui a lato), il vescovo (2), il duca (rimosso nel 1799 per realizzare una porta), l'abate e il cavaliere (3), il monaco certosino, il sindaco, il canonico, il nobile e il medico (con una bottiglia di urine, tutti nella parete 4), l'usuraio (con la borsa), il cappellano, il funzionario dello Stato, il sagrestano e il commerciante (5), l'eremita e il contadino (6), il giovane, la ragazza e il neonato (7).Vicino al neonato era presente un morto con la falce in mano. Accanto a ogni personaggio era presente uno scheletro che dialogava con lui. I testi originali dei dialoghi, scritti in tedesco arcaico sotto a ogni figura, vennero tradotti in tedesco moderno nel 1701. I testi arcaici ci sono stati tramandati grazie a una trascrizione realizzata da Jakob von Melle, all'epoca parroco della Marienkirche.
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### Titolo: Adorazione dei Magi (Francesco da Rimini). ### Introduzione: L'Adorazione dei Magi è un dipinto a tempera su tavola (57.8x59.4 cm) di Francesco da Rimini, conosciuto anche come Master of the Blessed Clare of Rimini, databile intorno al 1340 circa e conservato nel Lowe Art Museum a Coral Gables, nella contea di Miami-Dade. ### Descrizione e stile. Quello dell'Adorazione dei Magi è uno dei temi più ricorrenti nella produzione artistica in ambito sacro, fondamentale nella dottrina cattolica perché per la prima volta Gesù bambino si mostra come divino, rivelando il suo dogma ai Magi che vengono a portargli dono, in un soggetto che verrà ripreso da pittori illustri come Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli, Gentile da Fabriano e il Pontormo. All'interno di questa composizione si denota subito una sproporzione dei vari personaggi, una scala gerarchica che deriva da un'impostazione iconografica bizantina. La Madonna appare la figura più grande della composizione, semi sdraiata e avvolta in un manto blu scuro dai riflessi oro. Sorregge Gesù bambino che, mentre la guarda, accoglie un vaso d'oro donatogli dal più anziano dei Magi, inginocchiato davanti a lui e con la corona precedentemente appoggiata a terra in segno di rispetto per il Divino. I magi si trovano a destra della composizione, giunti a cavallo (si notino all'estrema destra i tre cavalli che spuntano, uno bianco, uno marrone e uno nero) e si presentano soli, con in mano i loro doni (oro, incenso e mirra). In alto della composizione vi sono invece una serie di Angeli divisi un due gruppi: a sinistra cinque angeli cantano rivolti al cielo mentre a destra sei angeli ammirano la scena dell'offerta dei doni. Poco sotto vi sono l'asino e il bue davanti alla mangiatoia, all'interno di una grotta. In basso alla composizione vi sono infine San Giuseppe e Santo Stefano (vestito da diacono) entrambi inginocchiati nell'atto di pregare. La scena è ambientata in un paesaggio roccioso, dove è presente qualche ciuffo d'erba attentamente dipinto, una tettoia, e un 'divano' rosso, dove è adagiata la Madonna. Dal punto di vista stilistico si possono notare l'influenza di Giotto nella solidità delle figure, nell'approccio umano del Gesù bambino con i Re Magi e la Madonna, nel pathos del canto degli angeli e nella chiarezza dello spazio, mentre le tonalità e la modellazione delle figure si avvicinano maggiormente allo stile pittorico del senese Pietro Lorenzetti.
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### Titolo: Scena della firma della Costituzione degli Stati Uniti. ### Introduzione: La Scena della firma della Costituzione degli Stati Uniti è un celebre quadro olio su tela dipinto da Howard Chandler Christy. In esso è rappresentata il congresso costituzionale di Filadelfia in cui fu firmata la Costituzione americana. Tale evento si tenne il 17 settembre 1787 nell'Independence Hall. Insieme al dipinto Washington attraversa il fiume Delaware di Emanuel Leutze, è uno dei quadri moderni più famosi degli Stati Uniti. Christy creò il quadro nell'aprile del 1940 ed è così grande che svolse la sua opera in una soffitta. Attualmente è esposto sopra la scala orientale della Camera dei rappresentanti nel Campidoglio. ### Descrizione. Solo 39 dei 55 delegati sono rappresentati nel dipinto, in quanto non sono inclusi 3 delegati che, pur presenti, non firmarono la costituzione e altri 13 che lasciarono il congresso. Sul lato destro del dipinto, sulla pedana, abbiamo George Washington, in qualità di presidente del congresso, in piedi che controlla i delegati. La costituzione è sulla scrivania nelle sue vicinanze e Richard Spaight della Carolina del Nord sta firmando il documento. Le finestre sono aperte e la luce illumina la parte superiore del corpo di Washington. Dietro di lui sono dispiegate le bandiere americane e c'è un tamburo. Nella stessa posizione ci sono James Wilson della Pennsylvania e Richard Bassett del Delaware, che parlano tra di loro. Dietro di loro in fondo a destra c'è George Read, un altro delegato del Delaware; più in basso rispetto ad essi vi è Robert Morris, altro delegato della Pennsylvania. Poco più a destra di Washington c'è Daniel of St. Thomas Jenifer del Maryland. William Jackson, il segretario del congresso, è insolitamente in primo piano, essendo posto al centro dell'opera in piedi e vestito di rosso intendo a contare i voti e mostrando apprezzamento per la volontà dei delegati di voler firmare la costituzione. Alla sua sinistra James Madison osserva lo svolgimento dell'operazione. Seduto al centro è l'ottantunenne Benjamin Franklin e Alexander Hamilton si sporge verso di lui. La delegazione della Carolina del Sud è raffigurata nell'angolo sinistro del dipinto, essi sono facilmente riconoscibili dai cappotti in seta multicolore.
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### Titolo: Das Flötenkonzert Friedrich des Großen in Sanssouci. ### Introduzione: Das Flötenkonzert Friedrich des Großen in Sanssouci (Il concerto per flauto di Federico il Grande a Sanssouci) è un quadro dipinto dal 1850 al 1852 dal pittore tedesco Adolph von Menzel (1815-1905). Il quadro si trova a Berlino, presso l'Alte Nationalgalerie. Dal 1849, Menzel diventò un esperto di Federico II, dedicandogli una serie di quadri, che illustrano alcune scene della vita del re di cui uno dei più famosi è Il concerto per flauto. ### Descrizione del quadro. Al centro: Federico il Grande. A destra: Johann Joachim Quantz, insegnante di flauto del re; alla sua sinistra, con il violino in abito scuro, František Benda; a sinistra, in primo piano, Gustav Adolf von Gotter; dietro di lui, Jakob Friedrich Freiherr von Bielfeld; dietro, che guarda in alto, Pierre-Louis Moreau de Maupertuis; sullo sfondo, sul divano rosa: Wilhelmine von Bayreuth; alla sua destra, Amalie von Preussen con una dama di corte; dietro di loro: Carl Heinrich Graun; la vecchia signora, dietro il leggio, è la contessa Camas; dietro di lei, Egmont von Chasôt; al clavicembalo, Carl Philipp Emanuel Bach.
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### Titolo: Natura morta con frutta. ### Introduzione: Natura morta con frutta è un dipinto in olio su tela (105x84 cm) attribuito al pittore italiano Caravaggio. È custodito nel Denver Art Museum. ### Descrizione e stile. Il dipinto è stato diversamente datato dal 1601 al 1605 (lo studioso di Caravaggio John T. Spike preferisce la seconda data nel suo studio del 1996 dell'artista). Il dipinto mostra un cesto di frutta e altri frutti affettati che giacciono su una tavola di pietra, colti nella tipica forte tecnica del Caravaggio della luce che cade a sinistra, 'come se attraverso un buco del soffitto'. Gran parte dello spazio è occupato da grossi meloni, zucche e piccoli zucchini, da un'anguria e un melone affettato che mostra le interiora. È ricordato per la prima volta nelle collezioni del cardinale Antonio Barberini nel 1671 e attribuito 'alla mano' dell'artista; come vi sia pervenuto è oggetto di discussione, ma Barberini è noto per aver acquistato parte della sua collezione alla morte del cardinale Francesco Maria del Monte, primo protettore di Caravaggio, quando il cardinale morì nel 1627. Un'altra possibilità è che nel 1644 il cardinale Antonio Barberini abbia ereditato la Natura morta con frutta da suo zio, Papa Urbano VIII, che era il più grande protettore del Barocco romano e un avido collezionista d'arte. È documentato che, nel 1603, quando era ancora cardinale, Urbano VIII abbia acquistato un certo numero di dipinti direttamente da Caravaggio. La Natura morta con frutta avrebbe potuto essere senza dubbio uno di questi in quanto presenta le stesse dimensioni del Sacrificio di Isacco ora agli Uffizi, che è conosciuto per aver fatto parte di questo gruppo di tele e che si data nello stesso periodo della carriera di Caravaggio.
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### Titolo: Scipione l'Africano libera Massiva. ### Introduzione: Scipione l'Africano libera Massiva è un dipinto di argomento storico risalente al 1719-1721, opera giovanile di Giambattista Tiepolo e si trova nel Walters Art Museum di Baltimora, Stati Uniti d'America. ### Descrizione. Raffigura il momento in cui il generale romano Scipione l'Africano, dopo la vittoria di Baecula, libera Massiva, il nipote di Massinissa, capo dei Numidi Massili. L'episodio è ben descritto da Tito Livio. Qualche anno dopo Massinissa risulterà decisivo per la fine della seconda guerra punica e, fra l'altro, combatterà a Zama al fianco di Scipione. Il dipinto mostra il generale romano Scipione l'Africano mentre rimprovera il giovane Massiva per aver disobbedito allo zio Massinissa e, quindi, non si era mantenuto a distanza durante la battaglia. Questi non riesce a sostenere lo sguardo di Scipione a causa dell'umiliazione provata. Scipione è seduto su una posizione elevata ed indossa una armatura dorata ed è circondato da elementi architettonici tipicamente romani. La presenza dello stato romano è confermata dallo stendardo con la sigla SPQR (il Senato e il popolo di Roma). Massiva indossa anch'egli armatura dorata, ma ha le catene sia ai polsi che alle caviglie ed ha le fattezze di un europeo, che era la prassi convenzionale nel corso del XVIII secolo. In questo dipinto, comunque, Tiepolo dimostra di aveva avuto l'opportunità di studiare a Venezia anche gli esotismi, come si vede nella rappresentazione di un ragazzo africano a sinistra del dipinto, identificato come un servo di Scipione, che viene raffigurato come un paggio contemporaneo.
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### Titolo: San Patrizio vescovo d'Irlanda. ### Introduzione: San Patrizio vescovo d'Irlanda è un dipinto del 1746 di Giambattista Tiepolo per la chiesa di San Giovanni di Verdara, conservato oggi nei Musei civici di Padova. ### Descrizione. Raffigura San Patrizio vescovo su un piedistallo di marmo, in veste da pontefice e la mano sinistra rivolta verso l'alto, mentre guarisce un infermo.Dipinse la pala d'altare per i canonici regolari lateranensi a S. Giovanni di Verdara, a Padova, che veneravano il santo come membro del loro stesso ordine, non gli fu facile trovare il modo di trasmettere la santità di questa figura raramente rappresentata. Fece dunque vari tentativi, eseguendo un consistente gruppo di disegni a penna e inchiostro con possibili composizioni raffiguranti il santo che risana un giovane, mentre predica ed esorcizza un demone, prima di inventare una splendida immagine compatta che compendia tutti questi concetti. == Note ==.
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### Titolo: Altare di Grabow. ### Introduzione: L’Altare di Grabow, è un'opera del Maestro Bertram, datato al 1379 e montato nel 1383. Prende il nome dalla omonima città del Meclemburgo dove venne collocato nel XVIII secolo restandovi fino al 1903. Ora è conservato nella Kunsthalle di Amburgo, ma venne realizzato per la chiesa parrocchiale di San Pietro di quest'ultima città, da cui l'altro nome com'è conosciuto: Altare di San Pietro. L'altare a cinque pannelli largo sette metri e alto quasi tre, è composto secondo la consuetudine tedesca, sia di parti scolpite che dipinte. ### Descrizione. Con le portelle aperte ha posti, su due registri di 12 dipinti ciascuno, 18 scene tratte dalla Genesi, dalla Creazione fino alla Storia di Isacco e sei scene dell'Infanzia di Cristo, dall'Annunciazione alla Fuga in Egitto, al centro, sopra la predella, è la parte scolpita, posta su due registri: in mezzo al cassone la Crocifissione, tra due ordini sovrapposti di Profeti, Apostoli e Santi, posti in nicchie. Nei giorni non festivi ad ante chiuse l'altare presentava una serie di scene dipinte ora perdute. Il complesso programma iconografico è stato attribuito all'erudito teologo e giurista amburghese Wilhelm Hoborch. In queste scene, dal colorismo tenue, le figure sono rese con una corporeità plastica e dalle proporzioni tozze.
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### Titolo: Altare della Passione. ### Introduzione: L’Altare della Passione è una pala d'altare del Maestro Bertram, sebbene considerato come opera di bottega (come allo stesso modo è da considerare l’Altare di Harvestehude, presso la Kunsthalle di Amburgo) e ora conservato nella Niedersächsisches Landesmuseum di Hannover. ### Descrizione e stile. Ad ante aperte sono, su due registri, 16 dipinti con scene della Passione di Cristo: dall'entrata in Gerusalemme alla Pentecoste. È interamente dipinto, con il suo colorismo luminoso e chiaro, e va cronologicamente collocato dopo l'altare di San Pietro, probabilmente agli anni 1390-1395. Potrebbe coincidere con l'opera denominata Polittico della Vergine, offerta nel 1394 alla chiesa di San Giovanni di Amburgo dalla confraternita del Corpo di Gesù dei Flanderfahrer, cioè dei Navigatori in commercio con le Fiandre, e che conosciamo attraverso i documenti.
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### Titolo: San Pietro in prigione. ### Introduzione: San Pietro in prigione è un dipinto del 1631 di Rembrandt conservato presso l'Israel Museum di Gerusalemme. ### Descrizione e stile. Sulla base del testo del Nuovo Testamento in Atti 12, il dipinto mostra l'apostolo Pietro nella sua cella a Gerusalemme dopo il suo arresto da parte dei soldati di Erode. Un'asta di morbida luce dorata cade sul prigioniero da una fonte invisibile nella cella in alto a sinistra, lasciando gran parte del dipinto in totale oscurità. Ben visibile, invece, è l'attributo del santo: due chiavi di metallo di grandi dimensioni che significa le chiavi del regno dei cieli, e per coincidenza suggerendo l'ironia della sua incarcerazione. Il santo si inginocchia, le mani giunte in preghiera, ma anche nella miseria. Non può sapere che l'Angelo di Dio apparirà presto per realizzare la sua miracolosa liberazione. Il volto di Pietro è quella di un vecchio, rugoso e con la barba. Egli è accarezzato dalla luce e dai colori caldi del dipinto, ma sopraffatto dalla malinconia e dalla missione apparentemente senza speranza che ha assunto. Anche se semplice umanità di Pietro è sottolineato, lo splendore intorno al suo viso agisce come una sorta di aureola e trasmette la sua santità. Nel 1625 Rembrandt, allora diciannovenne, tornato nella sua città natale di Leida, dopo aver trascorso sei mesi a studiare con il pittore Pieter Lastman ad Amsterdam. Si configura come un pittore indipendente e presto ha iniziato ad assumere gli allievi di suo.
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### Titolo: Cicerone denuncia Catilina. ### Introduzione: Il Cicerone denuncia Catilina, noto anche come Cicerone accusa Catilina in Senato, è un affresco del 1880 del pittore e scultore italiano Cesare Maccari. Quest'opera viene considerata la più famosa di Maccari, il quale è stato annoverato per il modo in cui i suoi dipinti descrivono così realisticamente gli eventi che rappresentano. L'opera è conservata, insieme ad altre di Maccari, nella 'Sala Cagliari' del Salone d'Onore, situato all'interno di Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica Italiana, a Roma. ### Descrizione. I senatori sono tutti in toga candida. Il console Cicerone denuncia, di fronte a tutto il Senato, Catilina, che aveva ordito una congiura ai danni dello stesso Cicerone e di tutta la Res Publica, pronunciando l'Oratio in Catilinam Prima in Senatu Habita, cioè la Prima Catilinaria. Catilina è in primo piano come un escluso e a debita distanza da Cicerone, intento ad ascoltare in modo sprezzante il suo avversario e a meditare sulle sue malefatte. Le mani di Catilina sembra quasi che affondino come degli artigli tra le pieghe della sua toga. Mentre Cicerone attacca Catilina, gli altri senatori, che ascoltano inebetiti l'accusa di Cicerone contro Catilina (cioè di cospirare contro la Repubblica romana e di aver assoldato dei sicari per ucciderlo), si sono già allontanati dal seggio del rivoltoso, rimasto completamente in disparte dal resto dell'assemblea e seduto ricurvo su sé stesso. La maggior parte dei senatori ascolta e guarda attentamente Cicerone, mentre pochi altri (quelli più in alto, vicino al seggio di Catilina) osservano l'imputato con aria sbigottita e parlano tra di loro. Inoltre, la luce che illumina Cicerone è calda ed abbagliante, mentre Catilina sembra esser piuttosto in ombra rispetto a lui.
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### Titolo: Ecce Homo (Antonello da Messina). ### Introduzione: Ecce Homo è il soggetto di una serie di dipinti di Antonello da Messina, databili tra il 1465 e il 1475.Antonello ha trattato questo soggetto almeno sei volte, di cui tre (b;c;d) sono variazioni dello stesso disegno, mentre un quarto (a) ne differisce totalmente, più altre due versioni ancora diverse. a) Cristo incoronato con le spine, probabile 1465-1470, Metropolitan Museum of Art di New York. b) Datato 1473, galleria del Collegio Alberoni di Piacenza. c) Datato 1474, conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna finché non fu trafugato durante la Seconda guerra mondiale. d) Ecce Homo, 1475, Galleria nazionale di palazzo Spinola di Genova. ### Descrizione. Questa tavola fa parte del lascito del Cardinale Giulio Alberoni al Collegio da lui fondato a Piacenza nel 1752. Il soggetto costruisce una sintesi tra Ecce Homo e quella del Cristo appoggiato alla colonna della flagellazione, dove questo espediente mette in contatto il dipinto con lo spettatore, rendendo un significato maggiormente meditativo. Rispetto alle altre versioni , la versione di Piacenza e senza dubbio la più riuscita, per la matura sicurezza dell'impostazione spaziale e la sapiente gradazione degli effetti luminosi. Antonello sembra aver definitivamente raggiunto in questo dipinto la perfetta sintesi tra il realismo di discendenza fiamminga, evidente nella raffinata resa di particolari quali i capelli e i peli della barba, le lacrime, le stille di sangue, il cartellino con la firma dove appare una data poco leggibile e la visione plastico- prospettica tipica del rinascimento italiano.
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### Titolo: L'abbraccio (Klimt). ### Introduzione: L'abbraccio è un dipinto di Gustav Klimt, realizzato tra il 1905 e il 1909. Fa parte della serie dell'Albero della Vita, opera composta di tre pannelli, realizzata in occasione dell'allestimento della residenza di Bruxelles dell'industriale Adolphe Stoclet. ### Descrizione. Il dipinto è realizzato in 'stile aureo', definito in questo modo data la notevole presenza di oro nello sfondo e nel soggetto. Raffigura un uomo e una donna nell'atto dell'abbraccio. L'espressione della giovane donna è di quasi abbandono verso la spalla dell'uomo, girato di spalle. Le decorazioni dei vestiti variano: sulle vesti dell'uomo sono presenti soggetti più grandi e squadrati, in una tunica stilizzata e lineare; la veste della donna invece è ondeggiante e morbida con decorazioni più minute e curate. Lo sfondo si presenta composto da spirali dorate su sfondo giallo-arancione.
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### Titolo: Dittico del compianto di Cristo. ### Introduzione: Il Dittico del compianto di Cristo è un dipinto a tempera su tela (ciascuno scomparto di 53,5x38,5 cm) di Hugo van der Goes, databile al 1480 circa e conservato in collezione privata a New York (parte sinistra) e nella Gemäldegalerie di Berlino (parte destra). ### Descrizione e stile. Stretti nell'affollata composizione, i familiari di Cristo (la Madonna, con le mani incrociate sul petto e la testa inclinata leggermente di lato, san Giovanni e le tre Marie), piangono il Cristo morto, a sinistra, smunto e retto da Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo e un altro uomo. Nello sfondo alcuni brani di cielo azzurro, oggi alquanto anneriti anche per la caduta del colore. Forte è il coinvolgimento emotivo dei personaggi, presi in una varietà di espressioni in cui l'artista poté disporre un'intera gamma di tipi fisici che ricorrono anche in altre sue opere. La bellezza di dettagli come i panneggi accartocciati, la crudezza della rappresentazione del Cristo morto e il profondo senso di pietà che pervade l'opera ne fanno un capolavoro nonostante il cattivo stato di conservazione.
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### Titolo: Pala di San Pietro di Muralto. ### Introduzione: La Pala di San Pietro di Muralto (o di San Pietro degli Osservanti) è una pala d'altare a tempera e oro su tavola di Carlo Crivelli e bottega, databile al 1488-1489 e oggi smembrata tra musei europei e americani. ### Descrizione e stile. La pala è composta in maniera inconsueta per lo stile dell'artista, con un grande pannello centrale, in cui la Madonna in Trono e i santi sono disposti a sacra conversazione, e una cimasa con la Pietà, quest'ultima invece tipica. I pannelli che la compongono sono:. Madonna in trono col Bambino che consegna a san Pietro le chiavi del Paradiso tra santi, 191x196 cm, Berlino, Gemäldegalerie. Pietà, 106x203 cm, Roma, Pinacoteca Vaticana. San Bonaventura (?), 58x30 cm, Berlino, Gemäldegalerie. San Bernardo, 58x30 cm, Berlino, Gemäldegalerie. San Domenico, 58,5x30,5 cm, Maastricht, Bonnefantenmuseum. Sant'Agostino, 58x30 cm, Roma, Palazzo Colonna. San'Antonio da Padova, 58,5x30,5 cm, Maastricht, Bonnefantenmuseum. Santi Bernardino e Caterina da Siena, 58x30 cm, Worcester, Worcester Art Museum.
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### Titolo: Coniugi Andrews. ### Introduzione: I Coniugi Andrews è un dipinto a olio su tela (69,8x119,4 cm) di Thomas Gainsborough, databile al 1750 circa e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione. Robert Andrews, l'uomo effigiato nel ritratto, nacque nel 1725 a Bulmer, nell'Essex e frequentò la Sudbury Grammar School negli stessi anni di Gainsborough; dopo aver terminato gli studi universitari all'University College di Oxford, il padre - un membro della landed gentry arricchitosi con oculati acquisti fondiari ma, soprattutto, facendo l'usuraio - gli avrebbe comprato una vastissima proprietà terriera, così da farlo integrare nelle classi superiori. Sua moglie, ovvero la donna che sta sedendo alla sua destra, è Frances Mary Carter, figlia di un facoltoso proprietario anch'egli nativo di Bulmer. I due convolarono a nozze il 10 novembre 1748, reduci di un matrimonio non guidato dall'amore, bensì dall'interesse di unire i terreni confinanti delle due famiglie. I Coniugi Andrews è un tipico esempio di ritratto di proprietari terrieri inglesi, sebbene reso inconsueto dalla presenza, per più di metà della tela, di una rappresentazione delle terre di proprietà, che in questo modo diventano protagoniste. I due coniugi stanno all'ombra di un albero di quercia, presso una panchina in legno dalle eleganti volute rococò. Lui sta in piedi, con il fucile al braccio e un cane da caccia ai piedi, appoggiato mollemente allo schienale del sedile su cui sta in posa la moglie. Il loro abbigliamento certifica con precisione il loro stato sociale. Mr. Andrews indossa il tricorno alla francese allora di moda, una redingote di lino mezza sbottonata e volutamente scomposta (per dare un'idea meno formale, come se l'uomo non intendesse 'agghindarsi' per il ritratto), pantaloni neri stretti al ginocchio e calze bianche ben aderenti. La sua posa sembra studiata per mettere in evidenza la forma delle gambe. Il fucile, la sacca per la polvere da sparo e il cane da caccia non sono una semplice allusione al suo passatempo, ma certificavano la sua ricchezza, essendo distribuita la licenza in Inghilterra solo a chi aveva rendite terriere di proprietà superiori alle cento sterline annue. Mrs. Andrews indossa vestiti alla moda campestre, con una cuffia sotto il copricapo alla bergère, le cui tese sono state arrotolate a imitazione di quanto facevano le mungitrici e le donne pastore. Indossa un corpino azzurro e una grande gonna sostenuta da telaio (guardinfante), che arriva a coprire tutta la panchina. Le sue scarpette di seta sono da casa e mai sarebbero state indossate all'aperto, in quanto si sarebbero rovinate col fango. Si tratta di uno degli indizi di come il ritratto sia frutto di una ricostruzione ideale e non di una reale ripresa dal vivo. Lo sfondo, invece, raffigura la grande tenuta su cui poggerà la fortuna della famiglia Andrews, disteso sotto un cielo plumbeo tipicamente inglese. Sono visibili diversi covoni di grano, pecore e recinti; quest'ultimi, in particolare, costituivano un'innovazione nel settore dell'agricoltura (come, del resto, le pecore erano state introdotte in Gran Bretagna solo recentemente), a sottolineare la ricchezza dei due coniugi. È possibile che alcuni elementi, oltre a testimoniare la prosperità della tenuta, abbiano significati simbolici: la quercia è infatti sinonimo di stabilità, i covoni in primo piano alludono alla fecondità, intendibile come desiderio di famiglia numerosa. Sul grembo della signora Andrews, infine, Gainsborough ha lasciato una piccola superficie non dipinta; si pensa che questo spazio avrebbe dovuto successivamente accogliere un fagiano cacciato dal marito, come suggerito dalla forma dello spazio bianco e dai vaghi segni di penne timoniere, oppure una borsa per il ricamo, un libro, un ventaglio, o addirittura la raffigurazione del futuro erede (i due coniugi generarono infatti una bambina nel 1751).
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### Titolo: Whistlejacket. ### Introduzione: Whistlejacket è un dipinto a olio su tela (292×246,4 cm) di George Stubbs, databile al 1762 circa e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Il purosangue Whistlejacket è ritratto a grandezza naturale mentre si impenna sulle zampe posteriori, su uno sfondo monocromo che ne esalta il rilievo plastico. Nei dipinti di Stubbs, infatti, gli animali sono generalmente inseriti in un contesto naturale o domestico in grado di dargli sempre una giustificazione logica: al contrario, in quest'opera il cavallo si staglia su un fondo monocromo che enfatizza la sua bellezza e gli conferisce una sensazione di solenne monumentalità. I particolari anatomici sono resi con grande cura, attraverso uno studio preciso del corpo equino, che Stubbs arrivò a padroneggiare dopo anni di pratica. Whistlejacket, in particolare, presenta un capo affusolato e relativamente piccolo, orecchie minute e curve, un corpo possente e il collo arcuato: il manto è sauro e nitido, e le narici sono grandi e vibranti, a tal punto che sembrano persino accennare un nitrito. Stubbs, insomma, descrive il cavallo con una grandissima precisione anatomica, definendone persino la muscolatura sicura e le vene che sporgono sotto alla sua epidermide. L'occhio lucido eccitato, l'assenza di qualsiasi bardatura (a parte la ferratura degli zoccoli, appena visibile), suggeriscono lo stato selvaggio del cavallo o comunque la condizione di animale brado, appena addomesticato. Una sorta di furore pervade l'animale, che simboleggia il «sublime» in natura, effimeramente dominabile dall'uomo.
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### Titolo: Madame de Pompadour al suo telaio da ricamo. ### Introduzione: Madame de Pompadour al suo telaio da ricamo è un dipinto a olio su tela (217x156,8 cm) di François-Hubert Drouais, databile al 1763-1764 e conservato nella National Gallery di Londra. È firmato e datato 1763, anno in cui fu iniziato il ritratto. ### Descrizione e stile. Solo i capelli grigi e un accenno di doppio mento testimoniano un'età matura (42 anni), altrimenti appare fresca come una giovinetta. L'influente maîtresse-en-titre è ritratta nella sua stanza mentre solleva lo sguardo dal lavoro al telaio da ricamo. Indossa un abito con sete ricamate a delicati fiori e con inserti di trine e merletti, con nastri colorati che formano fiocchi alle maniche, alla scollatura e alla cuffia che le copre la testa. Una punta dello scarpino, decorata da un cordino luccicante, si intravede dalla gonna. Un cagnolino le balza incontro festoso. La scena è ambientata in un salottino, con un tendaggio rosa che cala da sinistra rendendo accattivante la composizione e enfatizzando la figura della protagonista. A destra si scorgono alcuni raffinati mobili in stile Luigi XV, quali una libreria e un tavolino, su cui è poggiato un grande contenitore dei fili colorati: i vari scomparti o cassettini sono contrassegnati dai nomi dei colori (rouge, violée, ecc.). Vicino stanno due gomitoli e una matita. A terra si notano altri oggetti che tipicamente, nei ritratti, ricordano i nobili interessi degli effigiati: un liuto, un album contenente probabilmente incisioni o disegni. Lo stile del lavoro segue la più tipica maniera rococò: colori tenui, pastello, idealizzazione, soffusa atmosfera di corte, intimità.
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### Titolo: Effetti dell'intemperanza. ### Introduzione: Gli Effetti dell'intemperanza sono un dipinto a olio su tavola (76x160,5 cm) di Jan Steen, databile al 1663-1665 circa e conservato nella National Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Il dipinto illustra il proverbio olandese che recita: 'il vino si prende gioco dell'uomo'. Il fulcro del dipinto è infatti la madre di famiglia che, a destra, si è addormentata sulla soglia di casa, vicino a una caraffa di vino rovesciata che indica come tale stato sia effetto dell'alcolismo. Essa regge in mano una pipa di terracotta e sta presso un piccolo braciere che, da un momento all'altro, rischiano di incendiarle la gonna. Nel frattempo i figli approfittano della mancanza di controllo per combinare svariate marachelle: rubano soldi dal suo borsello, sprecano un pasticcio di carne per darlo a un gatto e del vino per ubriacare un pappagallino per gioco, mentre un altro ragazzo sta danzando spargendo preziose rose. Un maiale si aggira ai suoi piedi e annusa il fiore per mangiarlo: in Olanda 'dare le rose ai porci' è l'equivalente del nostro detto avente come oggetto le perle. Formaggio, pane e frutta giacciono dimenticati in primo piano, componendo una bella natura morta che comunque è coerente con la scena. Il pappagallo, animale che imita l'uomo, è importante in questa allegoria perché mostra come il cattivo esempio produca cattivi frutti negli altri: l'animale beve infatti il vino che gli viene porto e così saranno destinati a fare, in tutta probabilità, anche i figli della donna. A destra un uomo anziano si comporta in maniera sconsiderata bevendo in compagnia di una donna scollacciata: forse rappresenta il padre di famiglia. Le conseguenze di questo caos sono facilmente intuibili: ai bambini non spetterà altro che la strada della povertà e dell'accattonaggio, come ricordano la gruccia e la raganella da mendicante insieme a una verga usata per punire i malfattori, che si trovano sul cestino appeso sopra la testa della donna. Sebbene il dipinto abbia un connotato giocoso e comico, agli osservatori dell'epoca non doveva sfuggire la denuncia di disfacimento morale e sociale legato all'abuso di alcol. Essi, guardando il dipinto, ne potevano trarre insegnamento per evitare di comportarsi sconsideratamente. Notevole è la qualità pittorica dell'insieme, che ne fa una sofisticata pittura di genere: l'occhio dello spettatore è innanzitutto catturato dalle vesti in raso brillante della ragazza inginocchiata in primo piano e poi direzionato, tramite linee di forza, verso la protagonista a sinistra, che è vestita sofisticatamente con una mantellina rosa bordata di pelliccia e una gonna dai colori cangianti. Le pennellate ampie e fluide sono un retaggio della scuola di Haarlem, dove Jan Steen trascorse nove anni influenzato da Frans Hals. La delicatezza della natura morta in primo piano contrasta con i tratti grossolani dei protagonisti, il cui aspetto sgradevole è specchio del loro comportamento scorretto.
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### Titolo: Pala di San Francesco a Fabriano. ### Introduzione: La Pala di San Francesco a Fabriano è un dipinto a tempera e oro su tavola (194,3x93,3 cm) di Carlo Crivelli, datato al 1493 e conservato, nei due scomparti principali, nella Pinacoteca di Brera di Milano. È firmato sulla pala centrale CAROLVS CRIVELLVS VENETVS MILES PINXIT MCCCCLXXXXIII. ### Descrizione e stile. La pala era composta da i seguenti scomparti:. Incoronazione della Vergine, 255x225 cm, Milano, Pinacoteca di Brera. Pieta, 128x225 cm, Milano, Pinacoteca di Brera. Cristo benedicente, 25x25 cm, Roma, Museo di Castel Sant'Angelo. Sant'Onofrio, 28x25 cm, Roma, Museo di Castel Sant'Angelo. Santi Ludovico di Tolosa, Girolamo e Pietro, 28x76 cm, Parigi, Museo Jacquemart-André. Santi Paolo, Giovanni Crisostomo e Basilio, 28x76 cm, Parigi, Museo Jacquemart-André. San Bernardino da Siena, 28x25 cm, Esztergom, Museo Cristiano. Sant'Antonio da Padova, 28x22 cm, Esztergom, Museo Cristiano. San Domenico, 28x22 cm, Esztergom, Museo Cristiano.
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### Titolo: Ritratto di Isabella d'Este (Tiziano). ### Introduzione: Il Ritratto di Isabella d'Este (o Isabella in Nero) è un dipinto a olio su tela (102 cm x 64 cm) di Tiziano, databile al 1530-1539 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. L'identificazione con Isabella d'Este è tradizionale, ma non inequivocabilmente assodata. ### Descrizione. La donna è ritratta a mezza figura su sfondo scuro (vi si intravede solo una tenda scostata), ruotante leggermente verso sinistra. Indossa il copricapo voluminoso a ciambella che Isabella aveva inventato prima del 1509 e reso popolare in tutto in nord-Italia come moda negli anni 1520 e 1530 (il 'balzo', o capigliara), qui descritto con nastri e fili dorati e un grande diadema fatto di oro, perle e una pietra preziosa centrale. La veste è ricchissima, con maniche estraibili, sbuffi e ricami dorati; una pelliccia pende con eleganza dalla spalla sinistra.
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### Titolo: Presentazione di Maria al Tempio (Tiziano). ### Introduzione: La Presentazione di Maria al Tempio è un dipinto a olio su tela (335x775 cm) di Tiziano, databile al 1534-1538 e conservato nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Si tratta di un telero nella sua collocazione originale, la Sala dell'Albergo della Scuola Grande di Santa Maria della Carità, ambiente che oggi fa parte del museo. ### Descrizione e stile. La scena è organizzata grandiosamente con un'inquadratura di architetture classiche, che citano gli studi di Sebastiano Serlio, le fabbriche di Jacopo Sansovino e gli allestimenti di scenografie teatrali dell'epoca. A sinistra un grande loggiato è visto di scorcio e conduce lo sguardo dello spettatore in profondità, dove seguono una piramide e, più lontano, rupi e montagne. A destra la tradizionale scalinata salita da Maria bambina si dipana scenograficamente con uno scorcio da sott'in su, fino all'ingresso del Tempio, dove quattro personaggi l'aspettano: un sommo sacerdote, un uomo la cui veste ricorda quella di un cardinale, un anziano con bastone vestito di nero e un giovane inserviente. La figura di Maria, contornata da un nimbo luminoso, è evidenziata anche dall'architettura, poiché in linea con una fila di colonne dell'edificio retrostante. Numerosi personaggi si affacciano dalle finestre e dai balconi per assistere all'evento, e molti altri si affollano in strada, tra lo scorcio degli edifici. Tra questi si riconoscono una serie di personaggi contemporanei, i confratelli della Scuola, tra i quali Ridolfi riconobbe, in testa al gruppo, Andrea de' Franceschi in veste rossa ducale e Lazzaro Crasso: in mezzo a essi una mendicante, madre di due bambini, che riceve l'elemosina. In primo piano alcuni elementi riempiono ulteriormente la composizione: il pittore ha l'opportunità di dimostrare ulteriormente la sua bravura, inserendo alcuni temi allora in voga, come il torso classico (il Busto Farnese), o la vecchia venditrice di uova che si gira indietro, parente della Sibilla Cumana di Michelangelo e della nutrice di Sant'Orsola nel telero Arrivo degli ambasciatori inglesi alla corte del re di Bretagna di Vittore Carpaccio. Ricchissima è la tessitura cromatica, con toni smaglianti e un efficace contrasto tra colori caldi, nella parte cittadina, e freddi, nel paesaggio.
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### Titolo: Meditazione (Fetti). ### Introduzione: La Meditazione, o Malinconia, è un dipinto a olio su tela (179x140 cm) di Domenico Fetti, databile al 1618 circa e conservato nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia. ### Descrizione e stile. La malinconia era uno dei quattro caratteri della teoria umorale, derivata dalla medicina fisiologica medievale. Fetti realizzò la figura di una donna inginocchiata in una profonda meditazione su un teschio appoggiato su un libro, con la fronte appoggiata sulla mano sinistra. Ai suoi piedi un notevole brano di natura morta. Tra gli attributi desunti dal maestro tedesco ci sono il cane, possibile emblema della fedeltà, la sfera, il compasso, i libri, segni delle inclinazioni razionali a cui è portato chi possiede un temperamento malinconico. A ciò alludono anche la sfera armillare, e gli emblemi delle arti e mestieri: i pennelli e la tavolozza per la pittura, la statua e la pialla. Il teschio rimanda al tema della Vanitas, ovvero alla riflessione sulla caducità delle cose terrene, rispetto all'immortalità di scienza e arte. Il teschio potrebbe anche celare una lettura cristiana, ispirata alla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (7, 10), in cui il cristiano penitente attraverso la meditazione può giungere alla salvezza: a ciò alluderebbero i tralci di vite nella parte superiore, simbolo cristologico.
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### Titolo: Episodi mitologici e della storia romana. ### Introduzione: Episodi mitologici e della storia romana è un ciclo di affreschi di Domenico Beccafumi, databile al 1520-1524 circa e conservato in una salone al primo piano di palazzo Bindi Sergardi di Siena. ### Descrizione. Il tema della storia romana ben si confaceva al clima di rievocazione imperiale della signoria del 'Magnifico' Petrucci. La decorazione della volta è organizzata attorno a due riquadri centrali, che raffigurano la Contingenza di Scipione e Zeusi che dipinge il ritratto di Elena e che sono incorniciati da bordi dorati che simulano arazzi appesi. Nel primo episodio Scipione l'Africano rende intatta al fidanzato e alla famiglia una fanciulla giovane e sensuale (è a seno scoperto) che gli era stata offerta come prigioniera di guerra; anzi i beni ai suoi piedi, portati come riscatto, sono da lui restituiti ed offerti come dono di nozze. Nella seconda scena il pittore siracusano Zeusi guarda le donne più belle di Crotone che si spogliano davanti a lui: da ciascuna di esse trarrà il dettaglio più bello con il quale comporrà il ritratto della mitica Elena di Troia per il tempio di Hera. In entrambe le scene è protagonista un raffinato erotismo ottenuto con la rappresentazione di belle fanciulle, il tutto reso magnificente dalla ricchezza cromatica e dalla presenza nello sfondo di paesaggi e architetture fantastiche. Da questi due riquadri centrali, affiancati e separati da una fascia con lo stemma Venturi di Siena, si staccano poi sei spicchi triangolari, decorati da esagoni con altre scene figurate tra putti e personaggi con tabelle iscritte alla base. Questi rappresentano, in senso antiorario, dalla sinistra della Contingenza di Scipione:. Ci sono poi le vele sopra le lunette, tre nei lati maggiori, due in quelli minori per un totale di dieci. Esse sono decorate da tondi con episodi di storia romana, biblica e della mitologia antica, ciascuno dei quali è incorniciato dalle figure di due eroine e, in alto, da un putto con drappi. Vi sono rappresentati, in senso antiorario, dalla sinistra della Contingenza di Scipione a centro:. Nelle lunette si trovano cataste e trofei d'armi. Le opere tengono a mente i lavori di Raffaello e Michelangelo visti da poco dall'artista a Roma, ma sfruttano una pittura più veloce e compendiaria tipica del suo stile maturo. L'impagnazione delle scene appare così articolata ma disinvolta, con una spiccata vena narrativa, arricchita da effetti luminosi e cromatici di grande raffinatezza, quali cangiantismi, affondi nel buio e inondazioni luminose.
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### Titolo: Volta dei quattro Evangelisti. ### Introduzione: La Volta dei quattro Evangelisti è un affresco (circa 900x900 cm) di Cimabue, databile attorno al 1277-1283 circa e conservata nella basilica superiore di San Francesco di Assisi. Si tratta della volta al centro del presbiterio. ### Descrizione e stile. La volta degli Evangelisti è il nodo dell'intera decorazione della basilica, poiché da ciascun Vangelo si dipana idealmente la rappresentazione delle varie scene del transetto, dell'abside e della navata. Ogni vela è occupata da uno degli evangelisti, rappresentati secondo uno schema fisso, in cui ciascuno è in atto di scrivere, ispirato da un angelo che piove dall'alto. Il loro scranni occupano la metà sinistra di ciascuna vela, mentre quella destra è decorata da una veduta della regione evangelizzata: Matteo, la Giudea (Iudea); Giovanni, l'Asia; Luca, la Grecia (Ipnacchaia, cioè l'Acaia); Marco, l'Italia (Ytalia). Sia gli evangelisti che le regioni geografiche sono identificate da scritte a chiare lettere. Le regioni sono rappresentate da una sintetica rappresentazione architettonica delle loro città principali, rispettivamente Gerusalemme, Efeso, Corinto e Roma. Le città possono essere anche considerate come una notazione spaziale precisa, legata al luogo in cui ciascun Vangelo fu scritto, ed alludono inoltre alla dimensione universale del messaggio cristiano in generale e francescano in particolare. Lo sfondo delle vele era un tempo oro, oggi in larga parte perduto rendendo visibile la preparazione bianca sottostante. I modi bizantini delle figure, di grande eleganza ma ormai arrivati al capolinea di uno sterile intellettualismo, sono qui aggiornati alla ricerca di forme più piene, con un evidente mutamento d'indirizzo ispirato alle opere romaniche, all'arte classica e al neoellenismo di alcune correnti bizantine più originali. I buchi che forano qua e là la superficie furono anticamente usati per appendere lucernari.
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### Titolo: Annuncio a Gioacchino e sua offerta. ### Introduzione: L'Annuncio a Gioacchino e sua offerta sono due scene da un affresco (circa 480x250 cm) attribuito a Cimabue, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nella lunettone a destra della vetrata dell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. Il lunettone sinistro presenta in alto l'Annuncio a Gioacchino e in basso, separato da una cornice, l'Offerta di Gioacchino al Tempio. Si tratta di storie legate alla nascita di Maria, provenienti dal Protovangelo di Giacomo. Nella prima scena, ambientata su una montagna, un angelo appare a Gioacchino seduto su una roccia; davanti ad esso dovrebbe trovarsi il suo gregge, scarsamente leggibile. La scena inferiore è ambientata dentro un grande edificio con arcate, al centro del quale siede un personaggio con aureola, mentre tre figure avanzano verso di esso. La lettura di questa scena si basa sul parere del Thode, ma c'è anche chi vi ha intravisto una frammentaria Presentazione di Maria al Tempio. Il primo personaggio a sinistra appare come un angelo, ma non è chiaro se questo aspetto sia dovuto a un rifacimento successivo. La mano del primo personaggio a destra è affine a dettagli dipinti dal Maestro Oltremontano nel transetto destro. Nei sottarchi delle lunette sono presenti figure di angeli, santi e profeti a mezzo busto entro clipei o riquadri; negli sguaci santi a figura intera entro nicchie. Si tratta di motivi che si ritrovano attorno alle vetrate dell'abside. Nel registro sottostante, sopra al ballatoio, si trovano la Madonna tra due angeli, ciascuno a mezza figura sotto un arco dipinto; nelle nicchie delle due loggette figure a mezzo busto. Tutte queste scene decorative sono riferibili alla bottega di Cimabue.
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### Titolo: Natività e sposalizio della Vergine. ### Introduzione: La Natività e sposalizio della Vergine sono due scene da un affresco (circa 480x250 cm) attribuito a Cimabue, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nella lunettone a destra della vetrata dell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. Il lunettone destro presenta in alto la Natività della Vergine e in basso, separato da una cornice, lo Sposalizio. Si tratta di storie mariane provenienti dal Protovangelo di Giacomo. Nella prima scena si nota un letto disposto trasversalmente e affiancato da tendaggi, dove Anna è semidistesa e avvicinata da una figura femminile. Nella zona inferiore, appena leggibile, si dovrebbero trovare due donne che fanno il bagno e fasciano Maria bambina. La scena dello Sposalizio della Vergine è ambientata sotto un baldacchino sorretto da alcuni personaggi. Al centro Giuseppe e Maria, con la testa del marito che è forse la meglio conservata dei lunettoni, e mostra una chiara matrice cimabuesca. Nei sottarchi delle lunette sono presenti figure di angeli, santi e profeti a mezzo busto entro clipei o riquadri; negli sguanci santi a figura intera entro nicchie. si tratta di motivi che si ritrovano attorno alle vetrate dell'abside. Nel registro sottostante, sopra al ballatoio, sotto archi dipinti si trovano le mezze figure della Madonna col Bambino, di Maria col libro in mano (riferimento all'annunciazione?) e di un santo che colpisce un legno; nelle nicchie delle due loggette figure a mezzo busto. Tutte queste scene decorative sono riferibili alla bottega di Cimabue.
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### Titolo: Trapasso della Vergine. ### Introduzione: Il Trapasso della Vergine è un affresco (circa 350x320 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. Ispirato alla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, l'affresco mostra i momenti poco prima della morte di Maria, con la santa donna ancora cosciente, ma sdraiata su un catafalco, circondata dagli apostoli. A destra san Giovanni sta in piedi in posizione sollevata e distende un braccio col gesto di chi vuole attirare l'attenzione: sta infatti per annunciare la morte della Madonna. Una posizione del tutto simile è utilizzata nel san Pietro della Guarigione degli infermi nel transetto destro. La scena è incorniciata in alto da un arco trilobato poggiante su due finte colonne corinzie. Con grande cura l'artista dipinse i bordi inferiori dell'arco, come scorciati dal basso, e il motivo decorativo tra gli archetti che si ispira ai mosaici cosmateschi. In alto corre una fila di mensole, che appaiono come blocchi inseriti illusionisticamente sul fondo della parete tra piccoli cassettoni: si tratta di un virtuoso esperimento di prospettiva spaziale, che sarà tenuto in mente quando Giotto (o chi altro) disegnò la Visione dei troni nella navata. Dall'arco pendono tre lampade a distanza uguale, citate dal testo di Jacopo da Varagine. Se la parte superiore rispetta una rigorosa simmetria, quella inferiore è più movimentata, con uno schema romboidale che solca lo spazio in maniera obliqua, con una disposizione più libera delle figure. La rimozione temporanea del coro ha permesso di scoprire la parte inferiore relativamente ben conservata, con il seggio degli apostoli disposto attorno al letto in maniera prima parallela al piano dello spettatore, e poi obliqua. Qua e là la pittura rivela la ricchezza del tessuto originario, come nel motivo a losanghe del lenzuolo, nel cuscino color turchese, nelle aureole a rilievo, negli elaborati panneggi, dove prevale un gusto lineare che evita schematismi. Si nota soprattutto nei volti l'ossidazione del bianco di biacca, che mostra oggi come scure le parti un tempo chiare, con un effetto che assomiglia a quello del negativo fotografico.
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### Titolo: Dormitio Virginis (Cimabue). ### Introduzione: La Dormitio Virginis è un affresco (circa 350x320 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. Ispirato alla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, l'affresco mostra il momento immediatamente successivo al trapasso di Maria: oltre agli apostoli, già presenti nella precedente scena del Trapasso e adesso relegati nella parte inferiore, sono apparsi anche Gesù, recante in mano l'animula della madre che sembra una bambina, e una fitta schiera di angeli e santi, disposti in file ordinate, ai lati e dietro il catafalco. Le varie file mostrano gerarchicamente l'importanza dei santi: più in alto gli angeli, a cui seguono i re e i patriarchi, col corpicapo a punta, i papi e i vescovi (i confessori), con palli e mitrie, e gli altri santi. Nemmeno la figura di Cristo, a differenza dell'iconografia tradizionale, appare isolata e quindi mistificata. Tale fusione, potrebbe significare una contiguità immediata tra il trapasso e la rinascita dell'anima. Essi riempiono tutti gli spazi sotto l'archetto trilobato che fa da cornice superiore, identico a quello della scena attigua del Trapasso. Pressoché perduta, per via di distacchi, è la figura di Maria, e tutta la scena risulta leggibile con difficoltà. Anche in questa scena l'ossidazione della biacca ha prodotto in alcuni punti zone scure dove un tempo dovevavo essere chiare, con un effetto simile a quello di un negativo fotografico.
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### Titolo: Assunzione della Vergine (Cimabue). ### Introduzione: L'Assunzione della Vergine è un affresco (circa 350x320 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. Ispirato alla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, sebbene con qualche licenza, l'affresco mostra un'ulteriore scena post-mortem di Maria dopo quelle del Trapasso e della Dormitio Virginis. La composizione si articola in fasce orizzontali, a partire da quella inferiore col sarcofago di Maria, in uno scorcio intuitivo asimmetrico, con il sudario che penzola sul bordo, e gli apostoli accovacciati, per proseguire nelle ordinate file di santi (dall'alto i patriarchi, poi i martiri e i confessori) e culminare infine nella mandorla che racchiude Cristo e Maria che reclina la testa sulla spalla del figlio, a simboleggiare il matrimonio mistico tra Cristo e la sua Chiesa. È stato notato il pregio dei quattro angeli distesi che reggono la mandorla, allungandosi coi piedi liberi e divaricati fino quasi i bordi del dipinto, una rappresentazione che attinge all'iconografia delle vittorie alate, magari filtrate da rappresentazioni medievali. L'ossidazione del bianco di biacca, diventato oggi scuro, rende difficoltosa la lettura della scena. A ciò va unita una generale consunzione della superficie pittorica che permette ormai di intravedere solo qualche dettaglio del primitivo splendore, come la trama decorata del manto di Maria, o la grandiosità della composizione.
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### Titolo: Cristo e la Vergine in gloria. ### Introduzione: La Dormitio Virginis è un affresco (circa 350x320 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. L'affresco mostra Cristo e Maria in paradiso che siedono sullo stesso trono, simboleggiando l'unione di Gesù con la sua Chiesa, circondati da ordinate file di angeli e santi che si ritrovano, molto simili, anche nelle vicine scene della Dormitio e dell'Assunzione della Vergine. Dall'alto ci sono infatti, secondo una gerarchia decrescente, gli angeli, seguiti poi nella fila sottostante dai patriarchi, poi dai martiri, dai confessori, dagli apostoli, e in basso a sinistra, dai francescani accovacciati in preghiera. Spettacolare è la massa del trono, decorato da rocchi che si ritrovano nelle celebri Maestà di Cimabue e negli scranni degli Evangelisti nella volta: si tratta di un motivo probabilmente derivato dalla miniatura. I decori di matrice vegetale si incontrano invece in vari partiti decorativi del transetto. I braccioli hanno una prospettiva convergente intuitiva, così come l'emiciclo alla base, straordinariamente simile a quello della successiva Madonna di Santa Trinita, mentre la pedana a gradini su cui Cristo e Maria poggiano i piedi è ancora in tralice, come nella Maestà di Assisi e la Maestà del Louvre: ciò sembra confermare la datazione degli affreschi a una fase intermedia tra il 1280 e il 1285. Un drappo sta appeso sulla spalliera: tracce di colore di permettono di immaginarle la decorazione un tempo sontuosa. I piedi di Cristo appaiono poggiati con una naturalezza più che mai evidente, soprattutto se li si confronta alla divaricazione più calcata nei Crocifissi di Arezzo e di Santa Croce. Il panneggio di Cristo è fluido e levigato, come nella scultura su avorio, mentre quello di Maria è ravvivato da un prezioso ricamo. Inusitatamente dolce, per Cimabue, appare il volto di Cristo: forse fu realizzato da un aiuto. Anche in questa scena l'ossidazione della biacca ha prodotto in alcuni punti zone scure dove un tempo dovevavo essere chiare, con un effetto simile a quello di un negativo fotografico. Ribaltando la colorazione di queste parti si ottiene un'immagine che doveva assomigliare all'aspetto originario delle pitture, pur con i dovuti distinguo.
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### Titolo: Cristo in gloria. ### Introduzione: Cristo in gloria è il probabile soggetto di un affresco (circa 650x700 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nell'abside della basilica superiore di San Francesco di Assisi. Si tratta del lunettone sopra la Crocifissione del transetto sinistro, oltre la loggetto dal ballatoio. ### Descrizione e stile. Le zone leggibili sono a sinistra in basso, con un grande frammento di ali variopinte, di azzurro, giallo e rosso; un altro brano di ali piumate sul lato opposto, con una predominanza dell'azzurro e del verde chiaro; in alto al centro un'aureola, un pezzo di volto e una spalla, appartenuti alla figura principale della scena, forse Cristo. La disposizione sopra la Crocifissione rende plausibile la presenza di un'Ascensione o di una gloria, appunto. La figura principale doveva occupare tutta la zona centrale dello spazio a disposizione ed essere affiancato da grandi angeli; in basso a destra si sarebbe potuta trovare una rappresentazione del demonio sconfitto. Negli sguanci della lunetta si trovano angeli a mezza figura entro riquadri, lo stesso motivo che corre anche, con maggiore enfasi decorativa, sopra la quadrifora che illumina la testa del transetto. Sotto la lunetta corre un motivo con sei angeli a mezza figura sotto una finta loggetta a tutto sesto, dalle forme classiche e piene, ben diverse dalle figure verticalizzate del Maestro Oltremontano nell'altro braccio del transetto, dove infatti compaiono anche archetti ogivali. Nella parete della loggetta si trovano poi tre grandi angeli a piena figura con scettro, dall'espressione enigmatica, riferibili, seppur dubitativamente, alla mano del maestro per ampie parti. Essi incombono sulle sottostanti Storie apocalittiche come se vi assistessero, vigilandole.
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### Titolo: Visione del trono e libro dei sette sigilli. ### Introduzione: La Visione del trono e libro dei sette sigilli è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto sinistro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra una delle visioni di san Giovanni riportate nell'Apocalisse (IV, 2-4). Vi si racconta di un trono in cielo dove è seduto uno, in questo caso Gesù bambino ancora dormiente prima del Giudizio), circondato dai simboli del tetramorfo disegnati, a parte l'angelo, come teste animali su corpi umani (quasi scomparso il bue), dagli angeli e dai santi. Davanti al trono, a sinistra, si nota il libro dai sette sigilli ancora chiuso. Il trono è inserito in una mandorla, attorno alla quale sono disposti, con un andamento che riprende la forma del nimbo, i ventiquattro vecchi, ciascuno con una corona e con un angelo alle spalle che li tocca per simboleggiarne l'ispirazione divina. In basso i 'vasi pieni di profumi': è curioso come quello di sinistra fosse stato profilato in posizione più spostata a sinistra, come si vede a occhio nudo, e poi spostato in seguito forse a un pentimento o all'errore di un aiuto. In basso al centro si nota in piedi l'angelo 'che bandiva con gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i suoi sigilli?»'. È affiancato ai lati da altre presenze angeliche osannanti, che accorrono nella scena. Il tema è stato letto anche come Adorazione dell'Agnello mistico, e in effetti il motivo del bambino e dell'Agnello sono spesso intercambiabili, però tale interpretazione non spiega tutti i simboli presenti nella rappresentazione. La presenza del Bambino, forse richiesta dai francescani per la loro particolare devozione, è inconsueta e si rifà a un'interpretazione inusuale del testo biblico (che parla di un personaggio maschile 'somigliante a una pietra di diaspro e sardia') e diversa dalla tradizione bizantina dell'Etimasia, in cui sul trono sono di solito poggiati il pallio del giudice, la croce, le sacre Scritture. La Monferini ne spiegò la presenza in relazione agli scritti di Gioacchino da Fiore.
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### Titolo: Visione degli angeli ai quattro angoli della terra. ### Introduzione: La Visione degli angeli ai quattro angoli della terra è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto sinistro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra una delle visioni di san Giovanni riportate nell'Apocalisse (VII, 1-3). Vi si racconta dei quattro angeli che stavano ai quattro canti della Terra (qui rappresentati ai 'cantoni', cioè gli angoli, di una fortificazione a zig-zag) nell'attesa di dare avvio alla distruzione della terra, una volta che un angelo con sigillo divino (rappresentato in alto) avesse terminato di selezionare i giusti servitori di Dio segnandoli sulla fronte. Essi reggono i corni dei venti, con i quali, a tempo debito, scateneranno le forze della natura. Poggiano i piedi sulla terra nuda e sono rappresentati «con impeto, fantomatici, impressionanti e stravolti» (Sindona, p. 102). La metà superiore è quasi del tutto perduta: nei frammenti si riconoscono delle montagne, alcuni alberi e un angelo frammentario (in alto a sinistra). In quest'ultima figura Zimmermann e Nicholson videro un san Francesco che ammonisce, ipotesi ripresa successivamente dalla Monferini che vi legge un accenno alla 'sesta età' di rinnovamento evangelico descritta da Gioacchino da Fiore in cui sarebbero stati protagonisti i francescani. Al centro e in basso si trova una città fantastica, ricca di caseggiati a forma di solidi sfaccettati, con i lati colorati in maniera diversa a seconda di un rudimentale studio della luce. Le linee spezzate cercano di creare una rudimentale profondità spaziale, semplice ma efficace. Questo riquadro è uno dei pochi del ciclo in cui i colori si sono conservati in condizioni piuttosto accettabili, senza gravi alterazioni, a parte alcune parti degli angeli in cui i toni chiari e scuri sono invertiti per effetto dell'ossidazione della biacca. I colori predominanti sono il verde marino, il rosa acceso, il turchese.
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### Titolo: Cristo apocalittico. ### Introduzione: Il Cristo apocalittico è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto sinistro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra una delle visioni di san Giovanni riportate nell'Apocalisse (VIII, 1-5). L'apertura del settimo sigillo porta il silenzio sulla terra e i sette angeli di Dio danno fiato alle trombe che risvegliano i morti dai sepolcri. Al centro Cristo nella mandorla di luce sta calandosi ed è caratterizzato da panneggi ottenuti con contrasti di luce marcati, dai contorni taglienti ma corposi nella resa volumetrica. Ha gli angeli che soffiano gli strumenti, con le guance gonfie, attorno a sé, quattro a sinistra e tre a destra. Sotto di lui sta una specie di altare (ormai poco leggibile), con sopra i simboli della Passione, come la lancia e la canna, e a cui sta vicino un angelo che scuote il turibolo dei profumi, come riporta il testo evangelico. In basso si accalca, da destra e da sinistra, la folla degli eletti (VII, 9), tra cui si riconoscono vari francescani in primo piano, che pregano in ginocchio. Quello a sinistra è probabilmente san Francesco, quello a destra san Bonaventura (riferibili nella stesura a un aiuto): essi sono forse da intendersi come i protagonisti della 'settima era' di cui parla Gioacchino da Fiore.
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### Titolo: Caduta di Babilonia. ### Introduzione: La Caduta di Babilonia è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto sinistro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra una delle visioni di san Giovanni riportate nell'Apocalisse (XVI, 18-19 e XVIII 1-2). Si tratta della più spettacolare tra le scene apocalittiche, con la distruzione della città, nonostante la distruzione di quasi tutta la parte superiore. In alto un angelo viene fuori dai sette cerchi e proclama la caduta di Babilonia. Dalle mura aperte della città scappano invano i demoni, gli uomini e gli animali esotici (come lo struzzo e davanti ad esso una figura prona e un animale a quattro zampe, forse un orso), mentre la città si spacca nella rovina degli edifici, in pericolosa inclinazione. Le mura in basso riprendono con variazioni lo schema della Visione degli angeli ai quattro angoli della terra, sebbene qui invece di andare a zigzag siano caratterizzate da una sorta di prospettiva intuitiva centrale, con varie sfaccettature illuminate in maniera diversa a seconda dell'inclinazione. Per rappresentare il crollo degli edifici, Cimabue usò una convenzione dell'arte medievale, quella di rappresentarli fortemente inclinati, in questo caso lungo due direttrici culminanti al centro (dove la pittura è perduta), lo stesso stratagemma che uso, una dozzina d'anni dopo, anche l'artista, forse Giotto, nel ciclo francescano, nel Sogno di Innocenzo III. Tra gli edifici di Babilonia si riconoscono case a basiliche, rappresentate come solidi sfaccettati con le linee di contorno in evidenza, secondo una rappresentazione semplice ma altamente efficace. La presenza ipotetica dell'orso aprirebbe, secondo la studiosa Monferini, un inquietante messaggio politico attuale, legato a una critica della famiglia Orsini in generale e di papa Niccolò III nello specifico, coinsiderato dalla letteratura legata a Gioacchino da Fiore e anche da Dante come un esponente della corrotta curia romana. Lo struzzo invece sarebbe un simbolo di eresia (Zimmermann, Zocca e Battisti), oppure potrebbe essere un ibis destinato a dominare le rovine della città quale allusione allo Spirito Santo (Monferini).
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### Titolo: San Giovanni e l'angelo. ### Introduzione: San Giovanni e l'angelo è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto sinistro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena, in condizioni molto precarie che ne rendono difficoltosa la lettura, mostra al centro una grande roccia su cui due personaggi stanno seduti, con accanto un impetuoso corso d'acqua. Probabilmente si tratta di Giovanni e di un angelo, col passo del testo evangelico (XXI, 10) in cui un fiume cristallino sgorga da trono di Dio, da cui nascerà la Nuova Gerusalemme. Dopo le distruzioni apocalittiche, la scena quindi potrebbe ridare la speranza di un nuovo ordine universale, che sarà rinnovato, secondo gli scritti di Gioacchino da Fiore, dai francescani (Monferini). Esistono però anche altre letture legate ad altri passi dell'Apocalisse: una in cui l'angelo mostra una pietra che cade in mare per mostrare come sarà schiacciata Babilonia (XVIII, 2, segnalata da Thode), oppure una che ritiene l'inizio delle storie ambientate a Patmos, con l'angelo che indica a Giovanni le visioni che riporterà nell'Apocalisse (I, 9-10, segnalata da Zimmermann e poi seguita da molti critici successivi). Potrebbe quindi trattarsi della prima scena delle visioni apocalittiche, in realtà non situata nella sua posizione naturale (si trova a fianco della scena finale, la Caduta di Babilonia), prevedendo quindi che sia stato rappresentato qualche salto logico.
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### Titolo: San Michele e il drago (Cimabue). ### Introduzione: San Michele e il drago è un affresco (circa 650x700 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto sinistro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra il passo dell'Apocalisse in cui Michele e gli altri angeli combattono il 'serpente antico' diabolico, senza però vincerlo, ma scacciandolo sulla Terra (XII, 7-9). Dai frammenti della scena si vedono in alto Michele con due compagni, sullo sfondo dei cerchi celesti, che trafiggono con lunghe lance il drago, avviluppato nella parte inferiore. Quest'ultimo è meglio conservato, così come le notevoli figure demoniache attorno ad esso, che precipitano verso terra. L'opera è in larga parte riferita all'intervento del maestro, soprattutto nei volti e nei panneggi. I francescani erano particolarmente devoti a san Michele, il quale veniva visto talvolta come precursore di Francesco quale mediatore tra Dio e gli uomini; al santo era infatti dedicato un altare nell'abside, assieme a quelli di Maria e di san Pietro. Negli sguanci della lunetta si trovano angeli a mezza figura entro riquadri, lo stesso motivo che corre anche, con maggiore enfasi decorativa, sopra la quadrifora che illumina la testa del transetto. Sotto la lunetta corre un motivo con sei angeli a mezza figura sotto una finta loggetta a tutto sesto, dalle forme classiche e piene, ben diverse dalle figure verticalizzate del Maestro Oltremontano nell'altro braccio del transetto, dove infatti compaiono anche archetti ogivali. Nella parete della loggetta si trovano poi tre grandi angeli a piena figura con scettro, dall'espressione enigmatica, riferibili, seppur dubitativamente, alla mano del maestro per ampie parti. Essi incombono sulle sottostanti Storie apocalittiche come se vi assistessero, vigilandole.
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### Titolo: Uomini d'arme di casa Visconti-Panigarola. ### Introduzione: Gli Uomini d'arme sono una serie di otto affreschi strappati di Donato Bramante, conservati nella Pinacoteca di Brera a Milano. Costituivano parte della decorazione a fresco della camera dei baroni di palazzo Visconti, poi Panigarola, un tempo esistente in via Lanzone a Milano. ### Descrizione e stile. Appartengono al ciclo:. Primo uomo d'arme. Secondo uomo d'arme. Terzo uomo d'arme. Cantore. Uomo dalla mazza. Uomo dall'alabarda. Eraclito e Democrito. Uomo dallo spadoneI condottieri sono rappresentati all'interno di finte nicchie architettoniche, che contribuiscono a conferire loro una notevole forza prospettica. La nitida definizione delle figure e la chiara resa spaziale contribuiscono a conferire alle figure un'impronta statuaria. Queste caratteristiche della rappresentazione, insieme con la caratterizzazione archeologica dei costumi, contribuiscono ad avvicinare i soggetti ritratti ai condottieri della Roma antica. Questi affreschi rientrano nella tradizione rinascimentale dei cicli di uomini illustri, come il Ciclo degli uomini e donne illustri affrescati da Andrea del Castagno nella villa Carducci di Legnaia o gli Uomini illustri del passato e del presente ritratti nello Studiolo di Federico da Montefeltro.
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### Titolo: San Pietro guarisce lo storpio. ### Introduzione: San Pietro guarisce lo storpio è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto destro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra un brano degli Atti degli Apostoli (III, 1-8), quando Pietro e Giovanni, nell'entrare al Tempio, vengono avvicinati da uno zoppo che lì era solito elemosinare e Pietro, 'in nome di Gesù Cristo il Nazareno', lo guarisce seduta stante. La scena è organizzata sullo sfondo di architetture cittadine composte simmetricamente ai lati di un grande edificio a pianta poligonale posto al centro: è il Tempio di Gerusalemme, che l'artista rappresenta come un prisma con le facce illuminate in maniera diversa, dotato di cupola e di un'entrata classica, con colonne che reggono un frontone triangolare (simile a quello del Pantheon), con una rappresentazione d'aquila al centro. Nei gruppi di case ai lati, spesso dotate di attici che formano una sorta di gradoni, si nota come per Cimabue la prospettiva, intesa come modo di rendere la profondità spaziale, fosse qualcosa che divergeva allontanandosi ai lati, contrariamente al tipo di prospettiva rinascimentale, che convergeva invece al centro. In primo piano, a sinistra, Giovanni sta alle spalle di Pietro, che si piega in avanti facendo l'azione miracolosa di risanare lo storpio, più piccolo, posto vicino a un compagno. A destra un gruppo di astanti chiude la scena; in questo gruppo alcune incertezze lo hanno fatto riferire ad aiuti di bottega; Battisti fece anche un nome: Manfredino da Pistoia.
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### Titolo: San Pietro guarisce gli infermi e libera gli indemoniati. ### Introduzione: San Pietro guarisce gli infermi e libera gli indemoniati è un affresco (350 × 300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto destro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra un brano degli Atti degli Apostoli (V, 12-16), con i prodigi di Pietro che spingono un numero sempre maggiore di persone a unirsi agli Apostoli e abbracciare il cristianesimo. Come nell'attigua scena di San Pietro guarisce lo storpio, lo sfondo è composto da tre edifici: una sorta di grande ciborio al centro, che simboleggia il portico di Salomone, e due gruppi di edifici ai lati, che divergono secondo quel modo di intendere la prospettiva tipico di Cimabue, secondo cui quello che è più vicino sta al centro e ciò che è lontano si sparge ai lati, in maniera opposta alla concezione rinascimentale. Dalla sommità dell'edificio provengono dei raggi luminosi, che simboleggiano la volontà divina che guida Pietro, al centro, mentre compie i miracoli. Con una mano invita uno storpio a rialzarsi, con l'altra tocca un indemoniato e ne fa uscire uno sciame di diavoli dalla bocca. Dietro di lui alcuni apostoli; quello giovane è san Giovanni, quello barbuto al centro del gruppo assomiglia ai profeti nella Maestà di Santa Trinita. L'edificio centrale, che ha l'innegabile vantaggio di attirare inevitabilmente l'occhio dello spettatore verso la scena miracolosa sottostante, è rappresentato in assonometria intuitiva, con colonnine tortili e copertura piramidale: edifici simili si trovano nei pittori della scuola romana, e sono di derivazione bizantina, in particolare legati alla corrente del neoellenismo (come negli affreschi della basilica di Santa Sofia a Ocrida). La scena è ancora ritenuta in larga parte autografa, sebbene il gruppo di destra mostri una certa debolezza dovuta al lavoro di aiuti; dalla prossima scena, la Caduta di Simon Mago, il contributo di Cimabue alla stesura vera e propria pare assottigliarsi sempre di più.
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### Titolo: Caduta di Simon Mago. ### Introduzione: La Caduta di Simon Mago è un affresco (350 × 300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nel transetto destro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena mostra una brano legato all'apocrifo Atti di Pietro e raccolto nella Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Simon Mago sfidò Pietro a Roma inscenando una prova di levitazione alla presenza dell'imperatore Nerone. Salito su un'alta impalcatura lignea, il rivale dell'apostolo venne afferrato dai diavoli e, tra le angherie, fatto volare, ma un gesto dell'apostolo mise in fuga gli spiriti maligni facendo precipitare Simon Mago che si ruppe le gambe e morì di lì a poco. All'estrema sinistra si intravede san Paolo, inginocchiato. Interessante è l'edificio a destra, con pianta a 'U', coperto da volta a cupoletta su colonnine: assomiglia ad alcuni sfondi di Pietro Cavallini nei mosaici di Santa Maria Maggiore, probabilmente per ispirazione comune dall'arte bizantina neoellenica in auge dall'XI secolo in poi. Lo schema della scena dovette citare abbastanza fedelmente le scene che un tempo erano visibili nel portico dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano, oggi note da copie seicentesche, e che forse erano state realizzate da Cimabue stesso o da Pietro Cavallini. La complessa impalcatura ad esempio è ripresa da tale modello, testimoniato da copie seicentesche. A Cimabue sono riferite le quinte architettoniche, con i prismi sfaccettati che divergono verso l'esterno, secondo la sua tipica concezione spaziale, centrifuga anziché centripeta, a differenza di quella rinascimentale. Lo stile delle figure delle ultime scene delle Storie apostoliche è meno rigoroso e drammatico delle precedenti, e mostra un piglio più romano, legato ad esempio ad agganci con la pittura antica con i contorni più disegnativi e un naturalismo più sciolto. Ciò è evidente ad esempio nel gruppo di astanti sulla destra, in particolare nel personaggio più vicino al trono dell'imperatore.
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### Titolo: Crocifissione di san Pietro (Cimabue). ### Introduzione: La Crocifissione di san Pietro è un affresco (circa 350 × 300 cm) della bottega di Cimabue, databile attorno al 1283 circa e conservato nel transetto destro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena si ispirava a una decorazione nel portico dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano (oggi nota da copie seicentesche) realizzata forse dallo stesso Cimabue o da Pietro Cavallini, derivata dalla narrazione tradizionale del martirio di San Pietro, avvenuto ad Therebintum inter duas metas...in Vaticano. San Pietro è crocifisso a testa all'ingiù tra due edifici di Borgo, che qualificano quindi il luogo come Roma: si tratta della Meta Romuli (una piramide coi blocchi squadrati, demolita da Papa Alessandro VI nel 1499) e del Terebinto di Nerone (raffigurato come una piramide poligonale con l'alberello di terebinto sulla sommità): tale sfondo divenne tradizionale nelle scene del martirio del santo, venendo usato ad esempio da Giotto (nel Polittico Stefaneschi) e ancora nel Quattrocento da Masaccio (nella predella del Polittico di Pisa) dove però, in un contesto più ampio, al terebinto venne sostituita la piramide di Caio Cestio sulla via Ostiense. La forma del santo riprende quella dei crocifissi toscano/umbri del Christus Triumphans dell'epoca, con le mani distese, il panneggio legato ai fianchi, i piedi disgiunti. I due gruppi di personaggi ai lati (a sinistra la popolazione di Roma, a destra tre angeli con corazza) stanno esattamente entro le basi delle piramidi, dando un particolare rilievo monumentale alla scena, col fulcro appunto nel centro, scevro da elementi di disturbo, dove si trova la croce.
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### Titolo: Decapitazione di san Paolo. ### Introduzione: La Decapitazione di san Paolo è un affresco (circa 350 × 300 cm) della bottega di Cimabue, databile attorno al 1283 circa e conservato nel transetto destro della basilica superiore di San Francesco di Assisi. ### Descrizione e stile. La scena si ispirava vagamente a una decorazione nel portico dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano (oggi nota da copie seicentesche) realizzata forse dallo stesso Cimabue o da Pietro Cavallini. Come nelle altre scene della serie, la composizione è divisa verticalmente in tre blocchi accentuati nella separazione dallo sfondo, in questo caso tre montagne. La scena del martirio di san Paolo è di difficile lettura, per la cattiva conservazione soprattutto della parte inferiore. Vi si distinguono gruppi di soldati con lunghe lance che arrivano dalle valli montane, completamente fuori scala rispetto ai monti, ma anche rispetto all'edificio sulla sinistra; in basso, verso destra, davanti a un alberello, il santo doveva essere inginocchiato e già decollato, il soldato colto mentre riponeva la spada. L'artista che si occupò della stesura dell'affresco mostra uno stile di addolcito naturalismo nei volti dei personaggi, con un uso meno marcato della linea di contorno, ed è lo stesso che dipinse probabilmente il gruppo vicino all'imperatore nella Caduta di Simon Mago: il suo stile mostra un'influenza romana, derivata a sua volta da una riflessione sull'arte antica.
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### Titolo: Madonna di Corbetta. ### Introduzione: La Madonna di Corbetta è un dipinto ad affresco (186x96 cm) di Gregorio Zavattari, datato al 1475. Il dipinto è stato realizzato come opera di facciata dell'antica chiesa di San Nicolao a Corbetta e nel 1555, dopo essere stato protagonista di un evento miracoloso, è divenuto parte integrante del nuovo santuario eretto in loco, struttura che l'ha contenuto al suo interno per meglio proteggerlo. ### Descrizione e stile. L'affresco raffigura la Madonna, vestita di un abito rosso decorato con piccoli mazzi di fiori, con un manto azzurro foderato di verde ricadente in ampie pieghe attorno al corpo e trattenuto sul capo da una corona regale. L'uso dei colori è anche qui importante a livello teologico e simbolico: il rosso è infatti il colore del divino, mentre l'azzurro ed il verde simboleggiano l'umanità e l'aspetto terreno di Maria. L'oro usato nelle aureole e nelle corone, simboleggia non solo la regalità dei personaggi, ma anche la luce divina. La Vergine è ritratta nell'atto teologico della θεοτόκος (Madre di Dio), ovvero il mostrare ai fedeli il Bambino che porta sulle ginocchia e che stringe con atteggiamento materno ma distaccato, dedicando una mano a sostenere Gesù e l'altra all'apertura della Bibbia, trattenuta con la mano sinistra come nella tradizione ebraica che prevede tale pratica perché la mano sinistra risulta essere quella più vicina al cuore. La figura della Madonna è posta all'aperto, tra due alberi carichi di frutti, su un trono di pietra impreziosito da un drappo bordato d'ermellino che copre l'alto schienale e da due esili pinnacoli gotici. I piedi poggiano su un'ampia pedana lobata. Lo stile adottato dallo Zavattari nell'esecuzione della Madonna di Corbetta è chiaramente riconducibile agli altri dipinti realizzati da lui e dai membri della sua famiglia come lui pittori nella Cappella di Teodolinda del Duomo di Monza come nel caso di Teodolinda tra gli orafi e Teodolinda offre doni al Duomo di Monza ove esistono forti analogie stilistiche e decorative con la figura della Madonna corbettese. Fortissime sono anche le analogie soprattutto nel volto della Vergine con una Santa Caterina d'Alessandria conservata sempre al Duomo di Monza e di chiara mano di Gregorio Zavattari.
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### Titolo: Ritorno del figliol prodigo (Guercino). ### Introduzione: Il ritorno del figliol prodigo è un'opera pittorica realizzata da Giovanni Francesco Barbieri, soprannominato il Guercino, nel 1619 ed esposta a Vienna, nel Kunsthistorisches Museum. ### Descrizione. Il dipinto, ispirato dall'omonima parabola biblica, rappresenta il momento del ritorno del figlio sperperatore allontanatosi da casa precedentemente. La tela presenta tre personaggi; da sinistra a destra il figliol prodigo, il padre e il figlio fedele e pio. La maestria del Guercino si sviluppa in diversi aspetti dell'opera, dal sapiente utilizzo del chiaro scuro caravaggesco e della luce alle posizioni emblematiche e la profonda indagine psicologica dei tre uomini; il padre, infatti, in posizione centrale, è elemento di raccordo tra i due figli che sono tenuti uniti dalle braccia dell'anziano. La luce proviene inoltre da sinistra verso destra lasciando il viso del figlio appena tornato in ombra, indice della propria vergogna e pentimento, e illuminando il volto del fratello maggiore che risulta tratteggiato in una posizione che denota fastidio; proprio nella rappresentazione delle sottili sfumature dell'animo umano si nota infatti la bravura dell'autore, indagatore della psicologia umana. La condizione di sottomissione e vergogna del figlio minore è sottolineata inoltre dal gesto stesso di svestirsi della propria camicia e dal volto oscurato che induce l'osservatore ad identificarsi nel personaggio pentito. == Note ==.
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### Titolo: Pala di San Domenico (Agrigento). ### Introduzione: La pala di San Domenico risale al XVII secolo, proviene dalla chiesa della Madonna dello Spasimo di Sciacca e rappresenta Domenico di Guzmán fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori. L'autore è ignoto, ma appartiene alla scuola dell'Albani. Il dipinto è attualmente custodito nel palazzo della prefettura di Agrigento. ### Descrizione. Il santo è ritratto con un saio bianco simbolo di purezza e con un mantello nero simbolo di penitenza, reca alla mano sinistra un libro che rappresenta la dottrina e un giglio per la purezza. Il volto del santo è levato verso l'alto come se stesse ricevendo un messaggio divino. In alto a sinistra sono rappresentati degli angeli, dei quali uno trasporta due corone. In basso a sinistra si possono notare due fanciulle delle quali una tiene in mano un libro mentre l'altra tiene la mano destra al petto e con la sinistra protende un bastone a San Domenico, simbolo della predicazione dei missionari. A destra sono presenti due giovani dei quali uno sventola una bandiera, mentre ai piedi del santo vi è un cane. Il cane è un animale legato alla vita di San Domenico: si racconta, infatti, che alla sua nascita la madre abbia avuto la visione di un cane con una fiaccola. Il cane ha un significato preciso, sta ad indicare il santo e il suo ordine religioso, che come cani proteggono il gregge di Cristo dagli eretici. In alto, inoltre possiamo notare dei drappi, che inducono lo spettatore a concentrare lo sguardo su San Domenico, il quale è posto leggermente a destra proteso verso alcuni scalini. Si possono distinguere due tagli diagonali che intersecandosi formano una sorta di chiasmo, uno costituito: dalle fanciulle, San Domenico e la colonna coperta da un drappo; l'altro formato: dai giovani, San Domenico e gli angeli.
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### Titolo: Pala dell'incoronazione della Vergine tra i santi. ### Introduzione: La pala dell'incoronazione della Vergine tra i santi è una pala d'altare seicentesca di autore ignoto, appartenente alla scuola di Francesco Albani, proveniente dalla chiesa della Madonna dello Spasimo di Sciacca e custodita nel palazzo della prefettura di Agrigento. Raffigura l'incoronazione della Vergine, ambientata in Paradiso in presenza di Dio e dei santi. ### Descrizione. La Madonna veste un lungo abito dal quale esce il piede destro che poggia su uno spicchio di Luna, reca alla mano destra un Rosario e con la sinistra sorregge Gesù bambino, che a sua volta tiene un Rosario che protende ad un'altra figura. Il volto di Maria è rivolto verso il basso. Attorno al capo della Vergine vi è un'aura, circondata da nuvole e putti, due dei quali intenti a porgerle una corona sul capo, sotto la vigilanza di Dio Padre. I santi sono inginocchiati ai suoi piedi. Tutte le figure sono disposte in modo tale che lo sguardo dell'osservatore si concentri sulla Madonna. Grande peculiarità del dipinto è la posizione della Vergine, che vediamo non inginocchiata di fronte a Cristo o a Dio.
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### Titolo: Trittico di Nava y Grimón. ### Introduzione: Il Trittico di Nava y Grimón è un dipinto a olio su tavola, (190x190 cm il pannello centrale e 190x97 ciascun pannello laterale) datato 1546 e attribuito a Pieter Coecke van Aelst (pannello centrale) e lateralmente al suo atelier. È l'opera d'arte più famosa e conosciuta del Museo municipale di belle arti di Santa Cruz de Tenerife, nelle Isole Canarie (Spagna). ### Descrizione e stile. Il dipinto ha tre diverse scene che riproducono vari argomenti legati alla nascita e l'infanzia di Cristo: la composizione centrale raffigurante la Natività, sul pannello frontale sinistro Circoncisione di Gesù e nella destra la Presentazione di Gesù al Tempio. Sul retro di entrambi, per chiudere le tabelle, l'Annunciazione alla Vergine Maria e l'Arcangelo Gabriele, all'interno di uno spazio classico marmoreo, come dal racconto del Vangelo di Luca.Il lavoro unisce le figure allungate canoniche con elementi architettonici tratti da Vitruvio e di Sebastiano Serlio, o tavolozza manieristica ricca di formule arcaiche, che mostra da un lato la formazione di Pieter Coecke nell'Anversa manierista e dall'altra l'impronta dei suoi soggiorni in Italia e in Turchia, così come lo studio degli autori classici.
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### Titolo: La vestizione della sposa. ### Introduzione: La vestizione della sposa è un dipinto a olio su tela (129,6×96,3 cm) realizzato nel 1940 dal pittore surrealista Max Ernst. Situata nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, l'opera venne donata dall'artista a sua moglie Peggy Guggenheim nel 1942. Viene considerato uno dei dipinti di maggiore effetto dell'artista. ### Descrizione. Come suggerisce il titolo, l'opera raffigura il tema della vestizione della sposa. La protagonista al centro della scena è vestita soltanto con un sontuoso mantello costituito da piume rosse. Il suo volto è coperto dalla mostruosa testa-maschera di un barbagianni nel cui piumaggio sono seminascosti un occhio umano (forse della sposa) ed una testolina giallognola. A sinistra appare un uccello antropomorfo di colore verde che regge la punta di una lancia spezzata mentre nell'altro lato vi sono due creature inquietanti: una fanciulla dalla capigliatura innaturale che viene allontanata con un gesto della mano dalla sposa e un mostriciattolo grottesco. L'ambiente è costituito da un pavimento a scacchiera in cui si erge una parete. In essa è appeso un quadro che ritrae la sposa divenuta simile ad un ambiente naturale. Nell'opera risaltano soprattutto il forte erotismo e la teatralità delle pose di ciascun personaggio. Nel complesso, la vestizione della sposa appare inquietante ed evoca un'atmosfera da incubo.
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### Titolo: L'uomo controllore dell'universo. ### Introduzione: L'uomo controllore dell'universo è un murale di Diego Rivera eseguito nel 1934 . Il quadro misura 4,80x11.45 m ed è conservato nel Palacio de Bellas Artes di Città del Messico. L'opera fa parte del filone del Muralismo messicano di cui Rivera fu uno dei massimi interpreti. ### Descrizione. Il contenuto del murale è apertamente politico. Al centro vi è un uomo idealizzato che controlla l'universo , posizionato al crocevia di due ideologie contrapposte. Sulla parte sinistra: la critica del mondo capitalista esposto come una lotta di classe in mezzo alla repressione e guerra, dove Charles Darwin rappresenta lo sviluppo della scienza e della tecnologia, e la scultura greco-romana, la religione e il pensiero occidentale in contrasto con l'avanzar dei soldati della prima guerra mondiale. La sezione di destra mostra una visione idealizzata del mondo socialista, con i lavoratori della Piazza Rossa, guidati da Lenin, e con la presenza di Karl Marx, Friedrich Engels, Leon Trotsky e Bertram D. Wolfe. Le ellissi sono il macro e microcosmo, malato a sinistra, e la genesi a destra.
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### Titolo: I vespri siciliani (Hayez). ### Introduzione: I vespri siciliani è un dipinto a olio su tela (225×300 cm) del pittore italiano Francesco Hayez, realizzato nel 1846 e conservato alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma. ### Descrizione. L'opera di Hayez rappresenta il momento iniziale dei vespri siciliani, la rivolta popolare che scoppiò in Sicilia nel 1282 contro la dominazione degli Angioini francesi, nata da un'offesa che, in concomitanza con la funzione serale dei vespri del 30 marzo 1282, lunedì di Pasqua, sul sagrato della chiesa del Santo Spirito, a Palermo, un soldato francese di nome Drouet arrecò ad una nobildonna che stava uscendo di chiesa al termine del suo matrimonio. A seguito poi della ventennale guerra che ne derivò, il dominio sull'isola passò agli spagnoli della casa aragonese. Il quadro di Hayez, dipinto a olio su tela, raffigura il momento in cui Drouet - riconoscibile dal giglio francese ricamato sul petto - è ucciso, trafitto dalla sua stessa spada, sottrattagli dal fratello della nobildonna. L'opera ha una connotazione molto descrittiva, ma, secondo alcuni, povera di profondità emotiva. Tutte le figure sono rappresentate come se fossero in una quinta teatrale, con pose statiche e levigate. Ciò nonostante, la rappresentazione - pur nella sua impaginazione calcolata, memore di Jacques-Louis David - riesce a dare anzi la sensazione della concitazione del momento, grazie all'utilizzo delle linee diagonali e dei movimenti delle pieghe degli abiti. Il dipinto, connotato geograficamente dall'emergenza del Monte Pellegrino sullo sfondo, denota comunque tratti precisi, frutto dell'utilizzo del chiaroscuro, in modo da conferire profondità alla scena e un'immagine nel complesso molto chiara. Gli unici aspetti dell'opera che la fanno inquadrare all'interno dell'orizzonte romantico sono il soggetto, una storia di epoca medievale (XIII secolo), e il significato, che Hayez fa trasparire. Hayez dipinse, infatti, questa opera in pieno Risorgimento: il quadro, pertanto, si trovava ad assumere il significato simbolico della rivolta contro lo straniero (fosse esso francese, austriaco o spagnolo) finalizzata all'unificazione dell'Italia. Di seguito, in tal senso, si riporta una citazione di Piero Adorno che approfondisce un parallelismo tra il quadro di Hayez e le opere musicate da Giuseppe Verdi:.
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### Titolo: Gonfalone di Sant'Antonio Abate. ### Introduzione: Il Gonfalone di Sant'Antonio Abate è un dipinto di Nicolò Alunno risalente al 1457 circa. Oggi conservato nella Pinacoteca comunale di Deruta, fu dipinto per la chiesa di Sant'Antonio Abate. ### Descrizione. Il gonfalone raffigura Sant'Antonio Abate assiso in trono incoronato con la mitra dagli angeli e adorato dai membri della confraternita di Sant'Antonio, mentre nella parte superiore viene raffigurata la Crocifissione con i dolenti. Nel retro, la parte superiore raffigura la Flagellazione di Cristo, mentre sotto da un lato si trova San Bernardino e dall'altro una figura dal riconoscimento incerto: potrebbe trattarsi di San Francesco d'Assisi, dipinto però senza stimmate, o del beato Egidio.
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### Titolo: Fregio di Beethoven. ### Introduzione: Il Fregio di Beethoven è un dipinto di Gustav Klimt, sviluppato su tre pareti per una lunghezza totale di 34 m. Databile al 1902, è conservato nel Palazzo della Secessione a Vienna. ### Descrizione. La Nona Sinfonia è il criterio ispiratore del fregio di Klimt, composto di tre parti; le tre pareti dipinte costituiscono una sequenza coerente: 'L'anelito alla felicità' si scontra con le 'Forze ostili' e trionfa con 'l'Inno alla gioia'. Come scrive Eva di Stefano è possibile leggere nel Fregio 'la contrapposizione atemporale tra bene e male, e l'aspirazione al riscatto ideale attraverso l'arte, dal punto di vista del rapporto uomo-donna: nell'opera il momento della liberazione è identificato con il raggiungimento dell'estasi amorosa, e il regno ideale con l'abbraccio di una donna.' Detto ciò, è più facile rendersi conto che alla figura maschile del Cavaliere (con i tratti somatici di Gustav Mahler), nella prima parete longitudinale, corrisponde nella parete di fronte la figura femminile della Poesia.Il fregio racconta il percorso che il Cavaliere dovrà compiere per raggiungere la donna e congiungersi a lei. Durante questo percorso il Cavaliere dovrà sconfiggere le forze del male e resistere alle tentazioni di sirene malvagie. Egli incontrerà diverse figure femminili: incrocerà per prime le due figure propiziatrici, poi sarà la volta della corrente fluttuante di corpi da cui verrà guidato nella via pericolosa che dovrà superare, infine il Cavaliere arriverà nell'universo malefico abitato dalle Gorgoni e dalle loro compagne terrificanti. Sulle Gorgoni regna il mostro Tifeo, un'orrenda scimmia con coda di serpenti e ali. Tifeo rappresenta l'ottusità materialista mentre il Cavaliere è la personificazione dell'Artista. Il Cavaliere, quindi, lotterà contro Tifeo per affermare il regno dell'arte. Dopo questa battaglia vedremo il Cavaliere spogliato della sua corazza, visto di spalle, immerso nell'abbraccio con la Poesia. Quest'immagine potrebbe essere interpretata come la figura dell'eroe vittorioso che celebra la liberazione e il trionfo sulle forze malvagie. In realtà il Cavaliere è un amante soggiogato, l'abbraccio appare come l'immagine della sua resa al potere dell'Eros, al potere femminile. ### Stile. Klimt ha fuso insieme diversi stili pittorici: dalla pittura vascolare greca e dalla pittura egiziana ricavò la concezione della parete come fascia dove si allineano in sequenza figure ed eventi; dalle stampe di Hokusai e Utamaro riprese il segno incisivo; la scultura africana gli suggerì le orride maschere che abitano il regno del male; micenee sono invece quelle spirali che si ripetono attorno alla figura della Poesia.
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### Titolo: Serie del duca di Buckingham. ### Introduzione: La Serie del Duca di Buckingham è un ciclo di teleri dipinti da Paolo Veronese e la sua bottega nel nono decennio del XVI secolo. Furono acquistati a Venezia nel 1595 da Charles de Croy, poi duca d'Aarschot, e trasferiti nel suo castello di Beaumont. La denominazione con cui è noto il ciclo deriva dal titolo nobiliare di George Villiers, primo Duca di Buckingham, che ad inizio del Seicento ne divenne proprietario. ### Descrizione. Le singole tele, pur tutte attribuibili alla ideazione del Veronese, mostrano evidenti differenze qualitative di esecuzione (talora individuabili anche all'interno dello stesso dipinto). I temi cui sono dedicate le singole tele che compongono la serie sono i seguenti:. Lot e le sue figlie abbandonano Sodoma. Agar nel deserto. Ester ed Assuero. Rebecca al pozzo. Susanna e i vecchioni. Gesù e la samaritana. Cristo e l'adultera. Gesù e il centurione. Adorazione dei pastori. La lavanda dei piedi. Anche il complessivo significato del ciclo, ed in particolare quale nesso colleghi i singoli episodi vetero e neotestamentari raffigurati, è questione sulla quale non si è giunti a conclusioni condivise.
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### Titolo: Trionfo di Venezia. ### Introduzione: Il Trionfo di Venezia è un dipinto a olio su tela (904x580 cm) di Paolo Caliari detto il Veronese, realizzato nel 1582 e conservato nel Palazzo Ducale a Venezia. ### Descrizione. La tela centrale del soffitto della sala del Maggior Consiglio costituisce l'immagine più magniloquente della glorificazione di Venezia: raffigura Venezia incoronata e circondata da Onore, Pace e Felicità al cospetto di tutta la società veneziana, della nobiltà fino al popolo, sorvegliato, però, da armati a cavallo. Venezia è così rappresentata come protettrice delle arti dei deboli e della pace ed ispirata dalle più grandi virtù. Un potente slancio ascensionale conduce dai nervosi cavalli in primo piano verso l'empireo in cui è assisa Venezia, enfatizzando la prospettiva della possente architettura rappresentata, concepita come uno scenario teatrale dinamico e luminoso. Infatti il grande merito del pittore fu di dare forma concreta e vitale agli astratti ideali del mito autoreferenziale di Venezia.
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### Titolo: Pala Bevilacqua-Lazise. ### Introduzione: La Pala Bevilacqua-Lazise è un dipinto a olio su tela di Paolo Caliari (detto 'il Veronese'), databile al 1548 e conservato nel Museo di Castelvecchio a Verona. ### Descrizione. Il Veronese inserisce la Madonna con in braccio il figlio ed i santi in una struttura architettonica semplice e lineare, che gli permette di creare una piramide compositiva, partendo dai due membri della famiglia Bevilacqua che pregano e passando dai santi per giungere al vertice rappresentato proprio da Maria, che regge da una parte un libro e dall'altra Gesù. Dietro invece a dei tendaggi alle spalle della Madonna, fra la penombra, il pittore raffigura due angeli. ### Stile. Già le sue opere giovanili, quando l'artista era ancora a Verona, testimoniano la precoce attenzione del Veronese alla maniera moderna, la cui complessità compositiva evidenzia il superamento dello stile del Badile, suo maestro, e per l'appunto il recepimento di influssi manieristici. Da Antonio Badile (sebbene il Vasari lo definisca allievo di Giovanni Francesco Caroto) apprende un elemento destinato a divenire preziosa costante del suo stile: il disegno che contorna zone di superficie colorate e giustapposte, già riscontrabile in queste prime opere realizzate nella sua città scaligera, e rivela, oltre ad una complessità costruttiva di stampo manierista, anche un nuovo e personale senso della luce e del colore. Comunque, sebbene mostri ancora i segni, nei richiami al Badile, al Torbido e al Caroto, del primitivo scolasticismo,. questi non portarono però ad influenze rilevanti sul futuro stile del Veronese, al contrario degli influssi di Michele Sanmicheli, che lo introdusse alle innovazioni manieristiche, e quelli di ascendenza tosco-romana, la cui fonte è Giulio Romano, a lungo attivo nella vicina Mantova, sia di stampo emiliano, riferibili all'opera del Correggio e del Parmigianino.
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### Titolo: Polittico dell'Apocalisse. ### Introduzione: Il Polittico dell'Apocalisse è un dipinto a tempera e oro su tavola (95x61 cm) di Jacobello Alberegno, databile al 1360-1390 circa e conservato nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia. ### Descrizione. Le cinque tavole del polittico mostrano altrettante visioni descritte da san Giovanni nell'Apocalisse. In quella centrale (95x61 cm) Dio è assiso in trono entro una mandorla, tra i simboli degli evangelisti 'pieni d'occhi davanti e di dietro' (4,6) e una schiera di patriarchi, i 'ventiquattri vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo' (4,4), alcuni recanti ampolle. Ha sulle ginocchia l'Agnus Dei e il libro. In basso sta l'evangelista che guarda la scena inginocchiato, con le mani aperte e rivolte al cielo, mentre ai suoi piedi sta il libro e gli attrezzi per la scrittura, pronti ad essere usati. La prima delle tavolette laterali (45x32 cm ciascuna) mostra la grande meretrice Babilonia, seduta su una creatura con sette teste e dieci corna. Porta in mano la coppa 'colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione' (17,4) e vomita il 'sangue dei santi e dei martiri di Gesù' (17,6). Poi la Visione di san Giovanni. Segue il Giudizio finale, dove Gesù giudice, assiso in cielo, assiste alla resurrezione dei corpi. Gli scheletri si alzano tenendo in mano un libro dove sono annotate le opere da essi compiute nella vita terrena, mentre Gesù tiene in mano il Libro della Vita coi nomi dei giusti: coloro che non vi compaiono sono destinati alla seconda morte nello stagno di fuoco, a sinistra. Segue la Vendemmia del mondo, dove un angelo esorta un compagno a vendemmiare, con la falce, una vigna i cui grappoli sono ormai maturi (14,2), un'immagine che allude alla fine del mondo. Infine la Visione del cavaliere con diademi sul capo, che è accompagnato da eserciti su cavalli bianchi (19,11); egli, uomo giusto, ha lo scettro di ferro con cui governare le genti. ### Stile. L'opera illustra didascalicamente il testo biblico, fornendo delle illustrazioni vivaci e preziose. Lo stile mostra un influsso di Giusto de' Menabuoi, nella vivacità dei colori adoperati e nella forza espressiva delle figure.
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### Titolo: Crocifissione del transetto destro. ### Introduzione: La Crocifissione del transetto destro è un affresco (circa 350x300 cm) di Cimabue e aiuti, databile attorno al 1277-1283 circa e conservato nella basilica superiore di San Francesco di Assisi. La scena è accoppiata simmetricamente alla Crocifissione del transetto sinistro, dall'altro lato. ### Descrizione e stile. Analogamente all'altra crocifissione, Cristo si erge sulla croce al centro del dipinto, inarcato verso sinistra, con il perizoma che anche in questo caso vola verso destra con una lunga coda. La metà superiore, celeste, è affollata d'angeli che manifestano tutto il loro dolore, volando in cerchio attorno al braccio breve della croce, coprendosi il viso piangente, alzando le mani al cielo, e raccogliendo pietosamente il sangue di Gesù con delle ciotole. Cristo appare qui giù morto o nell'ultimo sussulto, con la testa ormai reclinata sulla spalla, lo sguardo rude e amaro. Nella metà inferiore, terrestre, si ripete la triangolazione delle figure attorno alla croce, ma è più statica dell'altra scena. I lati sono costituiti dai due soldati che lo stanno per trafiggere con la lancia (Longino) e che gli offrono la spugna imbevuta di aceto ('Stefanon'). A sinistra, al vertice di una piramide di astanti, la scena dello svenimento di Maria, sorretta dalle pie donne (o da un illeggibile Giovanni), che non può resistere alla visione del disprezzo mostrato verso il figlio morto o moribondo; a destra altri astanti, tra cui un uomo che leva un braccio verso Cristo: egli è la figura che secondo Matteo esclamò: 'vere iste Filius Dei erat' ('veramente costui era Figlio di Dio', Mt 27, 54).
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### Titolo: Compianto sul Cristo morto (Veronese). ### Introduzione: Il Compianto sul Cristo morto, conosciuto anche come Lamentazione su Cristo morto, è un dipinto del pittore Paolo Veronese realizzato circa nel 1548 e conservato nel Museo di Castelvecchio a Verona. ### Descrizione e stile. Il Veronese crea una composizione che già indica la via del manierismo. Lo spazio nella tela è diviso diagonalmente: da una parte si trova un affollato primo piano dove spicca il bianco corpo del Cristo sorretto sulle ginocchia dalla Madonna, come presente in numerose Pietà, dall'altra invece si trova uno spazio libero fino all'orizzonte dove si possono scorgere i luoghi della Pasqua, il Golgota, ove sono ancora presenti le tre croci, e più in lontananza la città di Gerusalemme. Il tutto è dominato da un cielo che si sta rischiarando di chiara ascendenza veneta. La tela è ritenuta il capolavoro giovanile del Veronese e per composizione e uso del colore, è avvicinabile alla pittura del Parmigianino.
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### Titolo: Madonna di San Martino. ### Introduzione: La Madonna di San Martino è un dipinto a tempera e oro su tavola (162x125 cm) del Maestro di San Martino (opera eponima), databile al 1250-1260 circa e conservato nel Museo nazionale di San Matteo di Pisa. ### Descrizione. Su un ripido trono ligneo riccamente scanalato, Maria siede col Bambino benedicente sulle ginocchia. Appoggiato sul ginocchio sinistro sollevato, Gesù è abbigliato come un piccolo filosofo antico, con in mano un rotolo, secondo la tradizione aulica bizantina. Maria indossa il manto blu su cui sono ricamate le tre stelle (sulle spalle e in fronte) che alludono alla cometa di Betlemme. Sotto indossa una veste di sgargiante colore rosso, che affiora oltre l'orlo del manto arricchito da pendagli dorati. In alto, dietro il trono, compaiono due angioletti a mezza figura, simmetrici ma elegantemente differenziati nei colori delle vesti, delle ali e in altri piccoli dettagli. In basso, sotto l'archetto della base del trono, si trova la scenetta di San Martino che dona il mantello al povero. Ai lati si trovano due file di sei scene ciascuna, con le Storie di Gioacchino e Anna. Lette da sinistra a destra, per file, riportano:. Annunciazione dell'Angelo a Maria. Gioacchino scacciato dal Tempio. Gioacchino esce dalla città di Gerusalemme. Annuncio a sant'Anna e incredulità. Annuncio dell'angelo a Gioacchino. Sacrificio di Gioacchino. Sogno di Gioacchino. Gioacchino tra i pastori. Angelo che dice a sant'Anna di andare incontro a Gioacchino e incontro alla Porta d'Oro. Natività della Vergine. Presentazione della Vergine al Tempio. Santi Pietro, Paolo, Giovanni evangelista e Giovanni Battista. ### Stile. Stilisticamente, come si evince anche dalla storia critica, l'opera mostra caratteri eclettici (neoellenici, classicisti, fiorentini, senesi delle origini, spunti gotici), che però sono ricomponibili in una personalità di grande originalità, influenzata inizialmente dalla cultura bizantina (similitudini ad esempio con le miniature del Codice Vaticano gr. 1158), da Nicola Pisano e soprattutto da Giunta Pisano. Il pittoricismo di Giunta, fatto di finissimi filamenti stesi con la punta del pennello a determinare chiaroscuri degli incarnati (come nel Crocifisso di San Domenico a Bologna o nella croce processionale di San Benedetto) sono tradotti qui nelle cosiddette strigilature luminose, finissime strisce luminose che abbelliscono vestiti e paesaggi e che sugli incarnati diventano tante finissime pagliuzze color oro. Approccio diverso rispetto a Giunta, ma risultante comunque in un sublime pittoricismo. L'identificazione del Maestro di San Martino con Ugolino di Tedice proposta da Luciano Bellosi si basa sulla somiglianza tra il volto di Gioacchino dormiente nel pannello che raffigura il sogno di Gioacchino e il Cristo sofferente sulla croce nel crocifisso del Museo dell'Hermitage di San Pietroburgo. I due volti hanno fisionomia simile e una sorta di unghiata sulla guancia che scende dall'occhio. Anche la veste di Giovanni dolente nella croce ha strisce luminose riconducibili alle strigilature luminose dei vari pannelli di questa tavola. Il Maestro di San Martino non ebbe la fortuna che ebbe invece il contemporaneo Cimabue. Entrambi ebbero Giunta Pisano come principio ispiratore e cercarono di sviluppare il suo pittoricismo, ma con approcci diversi e risultati di portata decisamente differenti. Il primo non seppe discostarsi dai canoni bizantini e produsse volti e panneggi che rimasero poco innovativi a parte le summenzionate strigilature luminose. Solo Cimabue ricevette commissioni fuori dal territorio pisano e soprattutto commissioni di prestigio. Solo Cimabue dette luogo ad una scuola da cui scaturirono pittori come Giotto e Duccio di Buoninsegna.
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### Titolo: Cristo e la Vergine in trono. ### Introduzione: Cristo e la Vergine in trono è un dipinto a tempera e oro su tavola (97x59 cm) attribuito a Rinaldo da Siena (Maestro delle Clarisse), databile al 1270 circa e conservato nel Museo Diocesano presso l'Oratorio di San Bernardino a Siena. ### Descrizione e stile. Sebbene la tavola sia interessata da una vasta lacuna nella parte centrale, sono tuttavia leggibili le figure di Cristo e Maria assisi in trono (se ne intravede la spalliera ai lati), con la Vergine che indica il figlio con la mano, ripetendo la diffusissima iconografia della hodigitria, aggiornata però a un contesto a due, con Cristo adulto e benedicente, con in mano un libro semicancellato. Insolita è la collocazione a destra di Maria e a sinistra di Cristo, opposta ad esempio a raffigurazioni più canoniche come il Cristo e la Vergine in gloria di Cimabue nella basilica superiore di Assisi, il mosaico absidale di Santa Maria in Trastevere o quello di Santa Maria Maggiore a Roma. Maria poi, secondo la tradizione bizantina, indossa la cuffia rossa (detta popolarmente 'palla') dell'advocata, coperta dal corto velo. Per tutte queste ragioni l'iconografia si presenta come rara, per non dire unica in area italica. Rispetto alla tavoletta a Berlino, nonostante la differenza di proporzioni, la figura di Cristo mostra un identico slancio e vigore, con la testa oblunga, i baffi appuntiti, la bocca serrata con un'espressione severa, la barba dal forte chiaroscuro, i colori brillanti, l'insistenza sulla linea soprattutto nel panneggio. Dati stilistici confrontabili anche con il Crocifisso nel Museo civico di San Gimignano. I modelli di Guido da Siena (come soprattutto la Maestà di San Domenico) e Coppo di Marcovaldo (la Madonna del Bordone) appaiono più sviluppati in alcuni dettagli, come la linea più dolce, a onda, che scopre il piede di Maria, le linee scure che esaltano l'agemina nella veste di Cristo (dando un'idea più veritiera di volume), un chiaroscuro più sfumato e attondante in dettagli come la mano benedicente di Cristo, e i volti dei due protagonisti. Ancora a livello embrionale appaiono invece gli spunti associabili a Cimabue, che divenne poi a partire dagli anni settanta del Duecento il principale punto di riferimento anche sulla scena senese.
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### Titolo: Il Bucintoro al Molo il giorno dell'Ascensione. ### Introduzione: Il Bucintoro al molo nel giorno dell'Ascensione, detta anche solo bucintoro è un dipinto a olio su tela (120x157 cm) di Canaletto, databile al 1730 circa e conservato nella Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli a Torino. ### Descrizione e stile. Il Bucintoro è una piccola galea riccamente decorata, dorata, ricoperta di stoffa rossa su cui garrisce la bandiera di San Marco. Nel dipinto è ormeggiata al molo davanti a Palazzo Ducale. Lo specchio d'acqua si apre verso destra, più si apre, più aumenta il numero delle imbarcazioni che sembrano sovrapporsi per via dell'effetto prospettico. L'ampiezza dello specchio d'acqua è data dall'intreccio delle rotte delle varie barche dovuto al cambio di direzione del corteo che allo stesso tempo mette in contrasto i gesti dei rematori. La teatralità in quest'opera è creata dai costumi delle figure in bauta nella parte bassa con la tipica maschera del Carnevale di Venezia con il cappuccio e mantello. La luce molto dorata crea riflessi sull'acqua e sulle gondole anch'esse dorate. La prospettiva del quadro è particolarmente complessa: i vari edifici non giacciono sulla stessa linea e, tanto meno, su linee parallele. Questo effetto non può essere stato realizzato da Canaletto con una semplice proiezione prospettica a causa dei vari punti di fuga (uno per ogni edificio), quindi avrà probabilmente utilizzato la camera ottica. L'effetto che ottiene è quello di una veduta dinamica molto realistica, che coglie l'atmosfera e il carattere del luogo. Fra tra le molte opere di altri vedutisti sul medesimo soggetto – oltre ad alcune incisioni – questo dipinto del Canaletto, assieme agli altri suoi quadri e al disegno nel British Museum, è da considerare una delle più accurate rappresentazioni del Bucintoro.
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### Titolo: Trinità e storie di san Dionigi. ### Introduzione: Trinità e storie di San Dionigi è un dipinto a tempera e oro su tavola (161x210 cm) di Henri Bellechose, databile al 1416 e conservato a Louvre di Parigi. ### Descrizione. Su un astratto fondo oro, fedele alla sfarzosa tradizione locale, l'artista dipinse due scene degli ultimi giorni di san Dionigi vescovo: a sinistra la comunione effettuata mentre il vescovo è imprigionato da Gesù stesso, alla presenza di un angelo inginocchiato. A destra la decapitazione sua e dei compagni Rustico ed Eleuterio. Al centro campeggia poi la rappresentazione della Trinità, con Dio Padre che regge la croce del figlio e la comparsa della colomba dello Spirito Santo sull'aureola di quest'ultimo. Da un lato spiccano gli smaglianti colori e le ricche vesti azzurre ricamate d'oro dei personaggi principali; dall'altro le figure hanno un'intensa espressività (soprattutto nel gruppo di figure a destra), con dettagli di vivo realismo, anche macabro, come la testa semirecisa di Dionigi, o lo sgorgare copioso del sangue dalle ferite di Cristo. Il boia si erge brandendo la grande ascia, inarcandosi come nelle eleganti sculture gotiche francesi; d'altro il corpo di Cristo appare invece modellato con energia e realismo, rifacendosi agli esempi coevi e più originali di Claus Sluter. Notevole anche l'intrecciarsi di gesti e sguardi degli astanti. Il gusto per il dettaglio curato, il sapiente alternarsi di pieni e vuoti, il gusto per le eleganze lineari, la brillante ricchezza cromatica rimandano invece alla miniatura dell'epoca, in particolare agli esempi dei fratelli Limbourg, come le celebri Très riches heures du Duc de Berry.
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### Titolo: Bibbia di Calci. ### Introduzione: La Bibbia di Calci è un codice miniato pergamenaceo, composto di quattro volumi, conservato alla Certosa di Calci (dal 2013, prima si trovava nel Museo nazionale di San Matteo di Pisa). Il primo codice ha 185 carte, il secondo 205, il terzo 238 e il quarto 231. Tra le più antiche opere di ambito pisano pervenuteci, se ne conosce la data di esecuzione (1168), il committente (prebiter Gerardus) e i due autori: Magister Vivianus per la scrittura e Albertus (o Adalbertus) Volterranensis per la miniatura. Ciò ne fa, per antichità e per pregio, uno dei capisaldi della storia della miniatura italiana. ### Descrizione. È una Bibbia di tipo atlantico, caratterizzata cioè dal grande formato (in media 600x350 mm) e con lettere iniziali ingrandite e decorate da figurazioni miniate all'inizio di ciascun libro biblico e delle rispettive prefazioni. In generale tali lettere sono del tipo a doppia barra, con racemi nel campo interno, arricchiti talvolta da protomi umane o animali; più raramente vi sono raffigurati un sacro scrittore o una scena. Le miniature della Bibbia dimostrano che, nella fase d'oro dello splendore artistico ed economico pisano, la pittura aveva assimilato il linguaggio bizantino (anziché quello romanico proveniente dal Mediterraneo occidentale).
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### Titolo: Donna al tramonto del sole. ### Introduzione: Donna al tramonto del sole è un dipinto a olio su tela di Caspar David Friedrich realizzato nel 1818. È attualmente esposto al Museum Folkwang ad Essen. ### Descrizione. In primo piano, la figura femminile è perfettamente centrale, vista di spalle, allarga un poco le braccia in un gesto che sembra indicare stupore e ammirazione. Molto interessante è notare che tali sentimenti sono espressi dall'atteggiamento del corpo e sono suggeriti dall'insieme della scena senza bisogno di ricorrere alla fisiognomica. Nella donna si possono riconoscere gli abiti del primo '800 con i capelli legati. Le scelte cromatiche dell'artista sono concentrate sui colori caldi: l'arancione invade tutto il cielo e che illumina una natura incontaminata, senza un apparente traccia di presenze umane.
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### Titolo: Trionfo dell'eloquenza. ### Introduzione: Il Trionfo dell'eloquenza è un affresco di Giambattista Tiepolo, databile al 1724-1725 e ubicato a Palazzo Sandi a Venezia. Il palazzo è attualmente sede dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). ### Descrizione. La tematica del dipinto è mitologica. Gli episodi rappresentati sono 'Anfione costruisce le mura di Tebe con la forza della musica', 'Bellerofonte e la Chimera', 'Ercole Gallico', 'Orfeo ed Euridice'. Il fregio monocromo che circonda il dipinto, opera invece di Nicolò Bambini, rappresenta invece l''Umanità primitiva', cioè gli uomini in lotta fra loro nello 'stato di natura'. Per uscire da tale stato è necessaria appunto la forza dell'eloquenza e del diritto (ricordiamo che i committenti erano avvocati), secondo una filosofia portata avanti, tra gli altri, da Thomas Hobbes. ### Stile. Le figure sono scorciate dal basso contro il cielo in pose teatrali, secondo il tipico stile di Tiepolo (si vedano ad esempio gli affreschi di villa Baglioni a Massanzago).
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### Titolo: Allocuzione di Alfonso d'Avalos. ### Introduzione: == Storia ==. Il dipinto fu richiesto a Tiziano nel 1539 da Alfonso III d'Avalos, uno dei più importanti generali di Carlo V. In quell'anno il marchese, portò alla vittoria gli spagnoli contro i turchi a Tunisi e fu nominato governatore dall'imperatore a Milano. In quegli anni in Italia, incontrò più volte Tiziano, il quale lo ritrasse in armatura. ### Descrizione. Nel dipinto, emerge il tema classico dell'adlocutio, che probabilmente scandisce l'evento in cui il generale pose fine a una spedizione a ordine onerosa nella Lombardia spagnola (episodio cui accenna anche Paolo Giovio in Historia sui temporis). Il protagonista è nell'atto di offrire suo figlio all'esercito per garantire le promesse fatte alle truppe. L'Aretino, analizzando l'opera, colse bene la referenza all'antico, trovando questa osservazione per gli archi trionfali romani. Tiziano, qui, abbandona la nozione naturalistica di spazio scalato in profondità, e sperimenta un linguaggio ricercato, con attenzione alla sintesi drammatica.
@Scribis @Italiano. Descrivi un celebre dipinto.
### Titolo: Madonna del Fanciullo. ### Introduzione: La Madonna del Fanciullo è un affresco del 1459 firmato da Bartolomeo Caporali ed è ubicato nella Chiesa della Madonna del Fanciullo di Fanciullatta in località di Deruta. ### Descrizione. Il dipinto raffigura la Madonna col Bambino, circondati da sei angeli musicanti; ai lati sono presenti sant'Antonio Abate e san Giacomo apostolo, san Bernardino da Siena e san Sebastiano. L'affresco è completato in alto dalla scena dell'Annunciazione, di cui è visibile solo l'immagine della Vergine in ginocchio.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: L'éléphant Célèbes. ### Introduzione: L'éléphant Célèbes, o Elefante Celebes, Elefante di Celebes e Celebes, è un dipinto (125 × 108 cm, olio su tela) del pittore Max Ernst, realizzato nel 1921 e situato nella Tate Modern di Londra. Oltre ad essere stata un'opera che fece da ponte fra lo stile dadaista e quello surreale di Ernst, Celebes è uno dei suoi primi dipinti a sfruttare la tecnica del 'collage pittorico', che simula l'accostamento di numerosi frammenti cartacei fra loro. ### Descrizione. Nell'opera è raffigurata un'imponente e grottesca creatura tondeggiante con due gambe massicce e una lunga protuberanza che collega il suo corpo alla piccola testa. Sulla sua 'cima' è presente un motivo bizzarro che è forse impossibile da associare a qualcosa di esistente. Alla destra del mostro sono visibili un nudo femminile senza testa con il braccio destro sollevato e, dietro di lei, una struttura verticale composta di motivi geometrici. Sebbene vi siano delle nuvole sulla parte superiore del dipinto, la presenza di due pesci in alto a sinistra fa supporre che sia ambientato in un fondale marino.Dominata da colori tendenti al grigio ed al bianco, L'éléphant Célèbes contrappone elementi scuri, quali la pelle del mostro e il colore bluastro della struttura verticale alla sua sinistra, a quelli chiari, quali la parte inferiore dello sfondo e il nudo femminile. ### Significati dell'opera. I significati dell'opera sono numerosi e oscuri. Alcuni critici d'arte ritengono che l''aspetto meccanico' della creatura sia finalizzato a criticare i conflitti europei avvenuti nel passato e l'eccessivo nazionalismo dominante in quei periodi. La protuberanza del mostro, così come la struttura verticale alla sua destra, sono invece probabili simboli fallici. Secondo alcuni, la figura femminile allude al mito del rapimento di Europa da parte di Zeus trasformatosi in toro, come sembra confermare la testa cornuta del mostro. Il soggetto principale dell'opera è stato definito:.
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### Titolo: Rinaldo e Armida (Annibale Carracci). ### Introduzione: Rinaldo e Armida è un dipinto di Annibale Carracci, databile al 1601 circa, custodito nel Museo nazionale di Capodimonte a Napoli. Vi è raffigurato un episodio della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, descritto nel XVI canto del poema. ### Descrizione e stile. Armida ha ammaliato Rinaldo con la sua bellezza e le sue arti di maga e lo ha condotto nel suo giardino incantato per distoglierlo dalla crociata. Anche Armida, però, si è innamorata dell'eroe. Nel momento raffigurato nel dipinto i due sono intenti a guardarsi nello specchio magico di Armida che ella ha utilizzato per irretire il campione cristiano. Infatti, Annibale mostra Rinaldo in una posa di totale rilassatezza ed abbondono: la spada giace a terra a suggello del distacco dell'eroe dai suoi doveri di crociato. Armida, bellissima, copre con i suoi capelli biondo oro quelli di Rinaldo, espediente con il quale Annibale ha voluto sottolineare la femminilizzazione prodotta nel prode cavaliere dall'incantesimo d'amore. Lo stesso effetto di devirilizzazione è accentuato dal rosa della tunica di Rinaldo in contrasto con il deciso blu del drappo che ricopre Armida. L'impianto del dipinto è classico e Rinaldo sembra quasi una divinità fluviale, si coglie, inoltre, il richiamo delle iconografie rinascimentali sugli amori di Venere. Classica è anche l'architettura sullo sfondo, riccamente istoriata da rilievi, probabilmente allusiva alle descrizioni del Tasso del Palazzo di Armida. Sopraggiungono, però, i compagni d'arme di Rinaldo - si vedono tra le fronde sulla sinistra del dipinto - che di lì a poco gli disveleranno l'incantesimo e lo ricondurranno tra le schiere cristiane. Un paio di decenni dopo, quest'opera di Annibale sarà ripresa dal suo allievo Domenichino in un dipinto di identico soggetto, ora custodito al Louvre. Lo Zampieri, in una composizione pur derivata da quella di Annibale, introduce la variante della presenza di alcuni putti, uno dei quali sta per colpire Armida con una freccia, a sottolineare che anche la maga mussulmana si è innamorata del prode RinaldoAltra importante ripresa del modello carraccesco si trova nella tela con Rinaldo e Armida di Paolo Finoglio, parte del ciclo sul poema del Tasso realizzato per il castello degli Acquaviva a Conversano, nel barese, che è una delle più rilevanti imprese figurative derivate dalla Gerusalemme liberata.
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### Titolo: Le muse inquietanti. ### Introduzione: Le muse inquietanti è un dipinto (97×66 cm, olio su tela), del pittore italiano Giorgio de Chirico realizzato fra il 1917 e il 1919. Dell'opera è stata realizzata almeno una copia situata alla Pinakothek der Moderne di Monaco (94×62 cm, guazzo su carta). ### Descrizione. L'opera raffigura uno spazio aperto sul quale sono situate in primo piano due statue classiche: una eretta, e l'altra seduta su un basamento. Entrambe le figure, che hanno la testa di un manichino da sartoria, sono circondate da diversi oggetti, mentre sullo sfondo vi è una terza statua maschile. La prospettiva è errata e converge sullo sfondo nella rappresentazione del Castello Estense di Ferrara, qui affiancato ad una fabbrica. Sebbene l'immagine sia nitida, l'atmosfera è irrealmente silenziosa e straniante, anche grazie ai colori caldi ed alla luce statica e intensa.Secondo Eugenio Borgna:.
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### Titolo: Ad Parnassum. ### Introduzione: Ad Parnassum è un dipinto a olio su tela di Paul Klee realizzato nel 1932. È attualmente esposto al Kunstmuseum a Berna. ### Descrizione. Nel 1926, sei anni prima della realizzazione di Ad Parnassum, Klee soggiorna in Italia e rimane profondamente colpito dai mosaici delle basiliche paleocristiane di Ravenna, da allora i suoi dipinti assumono una fisionomia nuova caratterizzata da una tecnica 'neodivisionista' costituita da pennellate puntiformi poste a formare una fitta e omogenea tessitura cromatica. Nella tela Ad Parnassum rivive lo splendore dei mosaici bizantini con minuscole pennellate dense di colore che immergono l'immagine in una luce particolare, accesa e viva; segnata da tonalità azzurro-verdi e giallo-arancio che appaiono in continuo movimento: come un raggio di luce che si riflette su uno specchio infranto. Il disegno risulta spezzato da linee rette e oblique, che tracciano, in secondo piano, la sagoma di una collina di forma piramidale, affiancata da un sole che sorge di un vivido arancione. 'Il soggetto era il mondo, se pure non questo mondo visibile' scriverà Klee nei suoi diari riguardo al dipinto. Nel quadro Klee vuole trascendere il mondo fenomenico ma a differenza di Vassily Kandinsky (che recede ogni legame con il mondo reale per sfociare in un assoluto astrattismo) non perde ogni contatto con il mondo che ci circonda e rappresenta il paesaggio come un semplice ricordo, frammentato, definito da cromatismi e caratterizzato da una complessiva armonia, simile a quella delle melodie musicali che ben conosceva da abile violinista. E ancora, osserva il mondo con gli occhi di un fanciullo, componendo la realtà in tante macchie di colore, rappresentando ciò che meglio lo aveva impresso (fulgidi colori, il sole di un arancio acceso).
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### Titolo: L'Europa dopo la pioggia II. ### Introduzione: L'Europa dopo la pioggia II (L'Europe après la pluie II) è un dipinto (55 × 128 cm, olio su tela) del pittore tedesco Max Ernst, realizzato fra il 1940 e il 1942, ed attualmente esposto al Wadsworth Atheneum di Hartford, nel Connecticut. Viene considerato fra i dipinti più rappresentativi dell'artista. ### Descrizione. L'Europa dopo la pioggia II raffigura il lungo scorcio di un paesaggio desolato immaginario. L'ambiente, caratterizzato da un cielo azzurro e da alcune guglie scoscese sullo sfondo, è completamente costituito da un insieme di elementi ibridi e deformi (soggetti organici indefiniti, figure vorticose, vegetali, ecc.) divenuti un tutt'uno omogeneo pietrificato. Osservando il dipinto si ha, infatti, l'impressione che non vi sia vita.L'opera è suddivisa orizzontalmente in tre parti non uguali che vanno lette da destra verso sinistra. La sezione a destra, che è la più informe e caotica, presenta una struttura, forse un tempio, nel quale sono inglobate numerosissime figure, inclusi un nudo femminile rinchiuso fra alcune colonne ed un toro quasi completamente decomposto.Al centro è raffigurata un'altra figura femminile, eretta e voltata di schiena, situata fra un pilastro scuro ed un uomo con la testa di uccello. Quest'ultimo, certamente una delle figure più emblematiche dell'intero dipinto, è il solo soggetto che non sembra completamente inglobato al paesaggio, come sottolineano le sue gambe libere. Le due figure sono voltate verso il lato sinistro, ovvero il più arido del dipinto, che è dominato da conformazioni rocciose. L'opera è dominata dai colori caldi (arancione, giallo, marrone ecc.) che fanno contrasto al cielo luminoso e azzurro. ### Stile. Le 'deformità' del dipinto sono state rese possibili con la decalcomania, una tecnica che consiste nell'applicare un materiale (ad esempio carta o vetro) sulla pittura ancora fresca e rimuoverlo al fine di distorcere i soggetti precedentemente dipinti. Questa tecnica venne 'scoperta' da Ernst grazie Óscar Domínguez, un altro pittore surrealista. ### Significati dell'opera e ispirazione. Sebbene l'opera sia di difficile interpretazione, sono tutti concordi sul fatto che essa raffiguri quel che rimane di un paesaggio devastato dalla Seconda guerra mondiale. L'uccello antropomorfo, che sembra essere l'unico soggetto sopravvissuto al disastro circostante, è considerato la personificazione della Guerra stessa, mentre al suo fianco vi sarebbe il simbolo di un''Europa colta', ovvero la figura femminile pietrificata al suo fianco. L'uomo-uccello è, secondo altri, lo stesso Ernst che 'sfugge da noi e dalla volta che è collassata ed ha bruciato il toro dell'Europa (la carcassa animale al centro).' Alcuni riconducono quel personaggio a Loplop, una creatura immaginaria inventata da Ernst ed apparsa in alcuni suoi dipinti. Il pilastro centrale di colore scuro è considerato la bomba che ha generato la catastrofe circostante, ed è finalizzato, di conseguenza, a criticare l'uso della tecnologia per fini di distruzione.L'animale decomposto al centro, il tempio a destra e il busto femminile incastonato fra le sue colonne, potrebbero alludere al mito greco di Europa, che venne rapita da Zeus trasformatosi in toro. Il titolo del dipinto è un probabile riferimento al Diluvio universale biblico.
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### Titolo: San Giorgio e il drago (Paolo Uccello Melbourne). ### Introduzione: San Giorgio e il drago è un dipinto a tempera e oro su tavola (62,2x38,8 cm) di Paolo Uccello, databile al 1423-1425 circa e conservato nella National Gallery of Victoria di Melbourne. ### Descrizione e stile. Paolo Uccello si cimentò sul tema del San Giorgio almeno altre due volte, in opere oggi alla National Gallery di Londra e al Museo Jacquemart-André di Parigi. Ma se in tali opere le scene sono calate in spazi ariosi e scalati in profondità tramite la prospettiva, in questo caso la battaglia tra il santo e il drago si svolge tutta in primo piano e, secondo un'iconografia assai rara, corpo a corpo. Il santo infatti è già sceso da cavallo ed ha già spezzato la sua lancia, cercando di colpire col mozzicone il drago che lo afferra in vita, con gli artigli e con le spire della coda. In basso la spada giace caduta a terra. Assistono a destra la principessa inginocchiata e il cavallo furente, che si piega ritrosamente come in un episodio della predella di Quarate. Sullo sfondo una città murata di pieno gusto gotico, intonata su fiabeschi toni azzurri e rosa, è sormontata da una grande apparizione dell'Eterno benedicente, in una raggiera incisa sul fondo oro. Salta all'occhio l'assenza di un interesse prospettico con gli edifici incisi a mano libera sulla preparazione, o nel mancato scorcio della spada abbandonata, sebbene invece la lancia sia invece posata in posizione ordinatamente orizzontale. Di sapore ancora medievale, e quindi compatibili solo con una datazione piuttosto precoce, è poi l'uso estensivo delle lacche, verdi su ali e corpo del drago, nerastre sull'armatura argentata del santo, rosse sulla tiara di Dio Padre. Tocchi d'oro ravvivano alcuni dettagli della parte inferiore, come nelle ali del drago o nell'aureola del santo, dall'inconsueta forma a raggiera, o ancora nei gioielli della principessa e nei finimenti della bardatura del cavallo. I colori chiari e luminosi, dalle tonalità astratte, venivano in quegli anni ripresi e sviluppati rispetto ai precedenti gotici dalle prime opere di Beato Angelico, con una preferenza per le tonalità azzurre e rosa riscontrabile anche nell'unica opera attribuita con relativa sicurezza alla fase giovanile di Paolo Uccello, l'Annunciazione di Oxford. In tale opera compaiono anche alcune aureole a raggiera, simili a quella del Dio Padre, e la stessa figura dell'Eterno è del medesimo tipo fisico, con barba e capelli voluminosi e indossante un triregno. Le rocce scheggiate, motivo di origine bizantina popolare per tutto il medioevo, si piegano qui in maniera ormai più morbida, creando scaglioni che pure si ritrovano nella stessa Annunciazione.
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### Titolo: Composizione VI. ### Introduzione: Composizione VI è un dipinto a olio su tela (195×300 cm) realizzato nel 1913 dal pittore Vasilij Kandinskij. È conservato all'Ermitage di San Pietroburgo. ### Descrizione. La gigantesca Composizione VI è una delle opere più significative del periodo monacense, un dipinto che impegnò a lungo l'artista il quale l'8 marzo del 1913 scriveva all'amico Franz Marc: «Ho portato in me questo quadro per un anno e mezzo e spesso ho dovuto pensare che non lo avrei mai condotto a termine». La complicata genesi, testimoniata anche dai numerosi schizzi e progetti preliminari, è inoltre descritta in maniera dettagliata nell'articolo pubblicato nel 1913 sulla rivista Der Sturm. Punto di partenza dell'opera fu il quadro su vetro del Diluvio Universale di un anno precedente e oggi perduto. Ma se là ancora sopravvivevano elementi figurativi e narrativi, come animali, persone, piante, lampi e la pioggia, qui ogni ricordo di mimetismo si perde in forme frantumate, lunghe strisce, linee, forme scure e colori, rendendo il dipinto la prima opera astratta in senso stretto della serie delle Composizioni nella quale «il motivo originario del quadro si dissolve e si trasforma in un'essenza interiore puramente pittorica, autonoma e oggettiva». Dai due centri principali del dipinto - a sinistra un nucleo che Kandinskij definisce «dolce, rosaceo» e a destra un nucleo «grossolano, rosso-azzurro, dissonante» - ne scaturisce un terzo al centro che «determina il suono interiore dell'intero quadro», dove i colori rosa e bianco sembrano galleggiare sulla tela.
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### Titolo: Il torero allucinogeno. ### Introduzione: Il torero allucinogeno (El torero alucinógeno) è un dipinto a olio su tela (398x299 cm), realizzato da Salvador Dalí tra il 1968 e il 1970 e oggi conservato presso il Salvador Dalí Museum di St. Petersburg in Florida. ### Descrizione. Questo dipinto può essere considerato una completa retrospettiva dell'intera opera di Dalí, in quanto vi compaiono molte delle immagini preferite dall'artista: elementi della tradizione spagnola, le sue credenze mistiche, l'interesse per l'arte classica, luoghi e persone importanti della sua vita. Tutte queste immagini risultano poi intrecciate e sovrapposte in un gioco di molteplici allusioni, tipico del suo periodo definito della Mistica nucleare, caratterizzato dalla scelta di soggetti classici scomposti e indagati scientificamente al fine di darne una più profonda interpretazione mistica. In questo complesso groviglio di doppie immagini si possono scorgere in particolare il volto profondamente triste di Gala, sua amata moglie che detestava le corride, il busto di Voltaire, la figura dell'artista bambino vestito da marinaretto, e la Venere di Milo rappresentata molteplici volte in primo piano e da diverse angolazioni, in modo che le ombre dei loro busti formino l'immagine del torero menzionato nel titolo. Il viso inclinato del toreador appare sopra la Venere di sinistra, con le labbra all'altezza del suo addome e il naso ravvisabile nel suo seno destro. Il vestito verde della dea diventa una cravatta, mentre il suo ventre si trasforma nel mento del torero, il cui mantello è costituito da una moltitudine di punti e mosche. Il drappo rosso che cinge i fianchi della Venere di destra sembra invece alludere alla muleta, ossia il panno color vermiglio con cui si eccita il toro durante la corrida. L'arena in alto, costellata da altre immagini della già citata statua greca, forma il cappello del toreador e appare illuminata dalle luci di un sole pomeridiano, momento della giornata in cui si svolgono le corride. L'immagine crepuscolare del toro morente è invece riconoscibile in basso a sinistra e sembra emergere dalle peculiari rocce dell'Ampurdán, luogo che diede i natali all'artista, originario della città di Figueras. All'amato Port Lligat, dove Dalí trascorreva spesso l'estate e a cui dedicò diverse sue opere, rinvia la baia cristallina rappresentata più sotto, che incorpora anche l'immagine di un piccolo bagnante che galleggia sulle sue acque.
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### Titolo: L'ultimo giorno di Pompei (Brjullov). ### Introduzione: L'ultimo giorno di Pompei (in russo Последний день Помпеи?, Poslednij den' Pompei) è un dipinto di grandi dimensioni (456,5 × 651 cm) del pittore russo Karl Pavlovič Brjullov, realizzato tra il 1830 e il 1833 e oggi conservato nel museo russo di San Pietroburgo. Si tratta dell'opera che gli valse la notorietà internazionale ed è considerata il suo capolavoro. ### Il successo dell'opera a Roma e nelle altre città italiane. Il dipinto fu esposto, appena ultimato, nello studio del Brjullov in via San Claudio a Roma, dove suscitò l'ammirazione dei numerosissimi visitatori e ricevette gli elogi di importanti personalità dell'epoca, in qual periodo presenti in Italia, quali Walter Scott, che definì l'opera «un colosso», Stendhal e Franz Liszt. Nel giro di pochissimo tempo, la popolarità del Pompei si espanse in tutta Italia e valse al pittore importanti riconoscimenti: fu nominato, oltre che socio dell'Accademia di San Luca a Roma, anche membro dell'Accademia Clementina a Bologna, dell'Accademia Ducale di Parma e dell'Accademia di Brera a Milano. ### Descrizione. Figlio di quel nuovo sentire che caratterizzò la produzione del Brjullov negli anni Trenta, il Pompei presenta un felice intreccio della tematica romantica dell'impeto della natura e dello sconvolgimento dell'ambiente, con la rappresentazione di un'umanità comunque fiera ed eroica, anche di fronte alla catastrofe. Il tema storico acquista vigore non solo sul piano artistico ed emotivo, ma anche sul piano del realismo descrittivo e della contestualizzazione storiografica: il pittore, recatosi a Pompei personalmente, affrontò le fonti storiche con attenzione e precisione, servendosi dei dati archeologici allora disponibili, documentandosi sui fatti e studiando la lettera Plinio il Giovane a Tacito, in cui il primo descrisse con dovizia di particolari l'evento. Nel dipinto è infatti riprodotto uno scorcio reale dell'antica città: ad essere raffigurata è la Via dei Sepolcri, dalla Porta Ercolano alla Villa di Diomede, nella direzione della Villa dei Misteri.Nel Pompei il soggetto storico è l'occasione per una riflessione del Brjullov sulle sorti dell'umanità e della sua impotenza verso la natura. Si è rilevato come questo tipo di tensione emotiva fosse ancora più accentuata negli schizzi preparatori, piuttosto che nel lavoro finale. Ad esempio, l'espressiva presenza del sacerdote pagano che, in primo piano negli studi preparatori, scappa portando via i tesori del tempio avvolto in un manto scarlatto, è compositivamente smorzata dalla sua sostituzione con due figure simili: una, avvolta in un meno vistoso mantello bianco, dietro al gruppo di figure al centro della composizione; l'altra, a lato della composizione, sulla sinistra. Al suo posto si trova nella versione definitiva il gruppo di figure in fuga con il vecchio caricato in spalle, un richiamo alle figura di Enea ed Anchise, segno di maggior rispetto ed aderenza alla tradizione classica ed ai canoni pittorici più accademici.La medesima figura del sacerdote in fuga con i tesori del tempio si trova in un altro cartone spostata in primo piano, ma sulla sinistra della composizione. Del resto, lo studio dei cartoni preparatori rileva altri sviluppi della lunga elaborazione dell'opera. In essi erano infatti presenti strani effetti prospettici: una notevole profondità di campo spesso interrotta da bruschi raccorciamenti prospettici creava un effetto scenico complessivo tipico dei procedimenti compositivi barocchi.Il soggetto storico non è tuttavia l'unico elemento romantico presente nel dipinto: più in generale, il tema della «catastrofe conclusiva» era particolarmente caro all'immaginario romantico, per il quale l'umanità sarebbe consegnata al potere cieco di un destino onnipotente; diversamente, la cultura classica e neoclassica accordava la sua preferenza a tematiche e vicende nelle quali la volontà razionale dell'uomo permette di prevedere e guidare il corso della storia. Inoltre, per la prima volta il soggetto del dramma è una folla indistinta di persone, in cui non ci sono protagonisti e in cui non spicca la personalità di nessuno: l'eroe è il popolo stesso, ma inteso qui non in quanto corpo sociale, bensì come fenomeno estetico collettivo.Tuttavia, una marcata eredità classica guida numerose altre scelte compositive ed esecutive. Le modalità di composizione delle figure umane, sia singolarmente che nei vari gruppi, i drappeggi delle vesti e la luce fredda e artificiale che, proveniente dal davanti e contrapposta ai rossori dello sfondo, sbiadisce gli incarnati dei corpi in una bianchezza marmorea, donano ai personaggi una statuarietà ed una scultoreità di grande eleganza decorativa, tanto che «l'orrore dello spettacolo assume una dimensione manifestamente estetica e l'occhio, alla fine, non può che rallegrarsi di una fine in bellezza di questo mondo».Così, i temi romantici e quelli classici, sapientemente dosati ed alternati «si disturbano a vicenda, si privano di serietà e di fondamento etico, si trasformano in un gioco di talento che finisce col dare l'impressione del finale a effetto di un'opera». Il Pompei costituisce di conseguenza il punto più alto di quella pittura russa, rappresentata oltre che dal Brjullov, da Fëdor Antonovič Bruni ed Aleksandr Andreevič Ivanov, che in quei decenni meditava una sintesi fra la tradizione neoclassica e le nuove istanze romantiche.L'opera è senza dubbio la più celebre del Brjullov ed è considerata come uno dei momenti più significativi della pittura russa dell'Ottocento, nonché una delle opere di culto dell'arte romantica del tempo.