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A Catania, in uno stabile al numero 1 di via Passo di Aci, una mattina del 24 luglio, Francesco va in camera, prende la pistola che tiene in un cassetto, torna in cucina e spara in faccia alla moglie. Era successo che andavano così d’amore e d’accordo, lui e Giuseppina, si erano sposati, avevano fatto anche tre figli, poi lui aveva deciso di lasciare il posto fisso alle ferrovie e mettersi a fare il commerciante. Non era andata come voleva, c’erano stati problemi economici, e allora Francesco – vuoi lo stress, vuoi le liti in casa con la moglie, vuoi tutto – aveva incontrato un’altra donna e si era fatto un’amante. Giuseppina se ne era andata dai suoi a Torino, Francesco aveva accolto in casa Rina detta la picurara, ma era durata solo un mese e allora Giuseppina era tornata. Ma c’era un problema. Giuseppina non riusciva a perdonare Francesco. Non riusciva a mandarla giù, questa cosa di quell’altra donna in casa sua, e così un giorno – vuoi una lite, vuoi un rimprovero, vuoi lo stress, vuoi tutto – lui non ce l’aveva fatta più, aveva preso la pistola e le aveva sparato. Due colpi. L’avevano preso subito e aveva confessato, con la testa tra le mani, disperato: è vero, in questi ultimi tempi ero diventato, forse, molto irascibile, ma chi non lo diventerebbe di fronte ad una donna che vi tortura ogni giorno con i suoi rimbrotti? La stampa specializzata nei casi di cronaca, i tabloid di nera, indulgono abbastanza sulle motivazioni che portarono Francesco all’insano gesto, perché sì, certo, lui era un tipo violento e anche molto egoista, però lei, insomma, dai: non sapeva perdonare. La verità, si scrive citando Alessandro Manzoni, ha due facce, e chissà qual è quella giusta, insomma, la verità sta sempre in mezzo, no? Insomma. In questo caso, per esempio, una delle due facce è quella di Francesco, magro, scavato, tormentato, va bene. L’altra, però, è quella di Giuseppina, e ha due buchi in fronte. Era il 1948, tanti anni fa. Non che il tempo passato sia una scusante, per carità, al massimo, se proprio vogliamo, è un’attenuante. Piccola piccola. O magari no, neanche quello. Ma che anche adesso, ai nostri giorni, ogni tanto scappi fuori che quella che sta per terra in cucina in un lago di sangue un po’ se l’è cercata, ecco, questa, invece, è un’aggravante. E bella grossa. Sul Venerdì del 21 luglio 2023 | focus killer | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
### Text:
A Catania, in uno stabile al numero 1 di via Passo di Aci, una mattina del 24 luglio, Francesco va in camera, prende la pistola che tiene in un cassetto, torna in cucina e spara in faccia alla moglie. Era successo che andavano così d’amore e d’accordo, lui e Giuseppina, si erano sposati, avevano fatto anche tre figli, poi lui aveva deciso di lasciare il posto fisso alle ferrovie e mettersi a fare il commerciante. Non era andata come voleva, c’erano stati problemi economici, e allora Francesco – vuoi lo stress, vuoi le liti in casa con la moglie, vuoi tutto – aveva incontrato un’altra donna e si era fatto un’amante. Giuseppina se ne era andata dai suoi a Torino, Francesco aveva accolto in casa Rina detta la picurara, ma era durata solo un mese e allora Giuseppina era tornata. Ma c’era un problema. Giuseppina non riusciva a perdonare Francesco. Non riusciva a mandarla giù, questa cosa di quell’altra donna in casa sua, e così un giorno – vuoi una lite, vuoi un rimprovero, vuoi lo stress, vuoi tutto – lui non ce l’aveva fatta più, aveva preso la pistola e le aveva sparato. Due colpi. L’avevano preso subito e aveva confessato, con la testa tra le mani, disperato: è vero, in questi ultimi tempi ero diventato, forse, molto irascibile, ma chi non lo diventerebbe di fronte ad una donna che vi tortura ogni giorno con i suoi rimbrotti? La stampa specializzata nei casi di cronaca, i tabloid di nera, indulgono abbastanza sulle motivazioni che portarono Francesco all’insano gesto, perché sì, certo, lui era un tipo violento e anche molto egoista, però lei, insomma, dai: non sapeva perdonare. La verità, si scrive citando Alessandro Manzoni, ha due facce, e chissà qual è quella giusta, insomma, la verità sta sempre in mezzo, no? Insomma. In questo caso, per esempio, una delle due facce è quella di Francesco, magro, scavato, tormentato, va bene. L’altra, però, è quella di Giuseppina, e ha due buchi in fronte. Era il 1948, tanti anni fa. Non che il tempo passato sia una scusante, per carità, al massimo, se proprio vogliamo, è un’attenuante. Piccola piccola. O magari no, neanche quello. Ma che anche adesso, ai nostri giorni, ogni tanto scappi fuori che quella che sta per terra in cucina in un lago di sangue un po’ se l’è cercata, ecco, questa, invece, è un’aggravante. E bella grossa. Sul Venerdì del 21 luglio 2023
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focus killer</s> |
“L’Italia è quel Paese strano dove quando sei indagato o imputato sei un mostro, sbattuto sui giornali, ti possono portare in cella senza passare dal via, senza che tu sappia neanche perché. Poi quando finalmente diventi condannato ti si aprono le porte di quel sinistro perdonismo, per cui lo stesso Cospito diventa l’influencer della sinistra, a cui vanno come se fosse la Mecca”. A dirlo, durante un evento di Fratelli d’Italia in Valle d’Aosta, è il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, rinviato a giudizio nei giorni scorsi per rivelazione di segreto in relazione alla vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41-bis e protagonista nei mesi scorsi di un lungo sciopero della fame. Delmastro, che in via Arenula ha la delega alle carceri, aveva rivelato al compagno di partito Giovanni Donzelli il contenuto di una relazione della polizia penitenziaria sui dialoghi di Cospito con alcuni boss mafiosi, suoi compagni di reparto a Sassari. E durante una seduta della Camera, Donzelli aveva usato quelle informazioni per attaccare quattro parlamentari del Pd (Debora Serracchiani, Walter Verini, Andrea Orlando e Silvio Lai) accusandoli di vicinanza alla mafia per aver fatto visita all’anarchico qualche settimana prima (video). Attacchi che Delmastro continua a cavalcare, rivendicando la legittimità del proprio comportamento e ricordando come l’anarchico avesse chiesto ai dem di parlare con gli altri detenuti del reparto prima che con lui. “Io rivendico tutto ciò che ho fatto in questo anno da sottosegretario alla Giustizia. Questa nazione è strana no, c’è qualcuno che va da Cospito come se fosse un influencer. Vanno a parlare con i camorristi, poi possono finalmente tornare da Cospito, parlano con Cospito, si offendono perché io lo racconto. È legittimo quello che hanno fatto. Ma è altrettanto legittimo che io lo racconti”, afferma. Già nel giorno del rinvio a giudizio, parlando in tv, l’esponente di FdI si era detto “straordinariamente fiero di non aver tenuto sotto segreto un fatto di gravità inaudita, cioè che terroristi anarchici in combutta con criminali mafiosi tentassero di fare un attacco concentrico al 41-bis“: nei dialoghi riportati nella relazione, infatti, Cospito parlava con i boss di piani per arrivare all’abolizione del carcere duro. L’indagine era stata aperta dopo un esposto presentato in Procura dal parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli: l’inizio del dibattimento è stato fissato al prossimo 12 marzo. Nell’udienza preliminare di mercoledì scorso – il sottosegretario era presente in aula – la Procura di Roma, rappresentata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, aveva chiesto il non luogo a procedere, in coerenza con l’interpretazione già adottata nei mesi scorsi. Lo scorso luglio infatti il gip aveva disposto l’imputazione coatta per Delmastro, non accogliendo la richiesta dei pm, che avevano invece sollecitato l’archiviazione ritenendo non ci fosse la prova dell’elemento soggettivo del reato (cioè della consapevolezza di stare violando un segreto amministrativo). Durante l’evento di lunedì il sottosegretario ha citato come esempio di “perdonismo” anche la vicenda del suo concittadino Dimitri Fricano, 35enne biellese condannato per femminicidio a cui sono stati concessi i domiciliari per la sua eccessiva stazza: “Oppure, per parlare di temi che non mi riguardano personalmente, tal Fricano che ficca 57 coltellate alla sua fidanzata e viene liberato perché è ingrassato”, ha riassunto. | focus killer | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
### Text:
“L’Italia è quel Paese strano dove quando sei indagato o imputato sei un mostro, sbattuto sui giornali, ti possono portare in cella senza passare dal via, senza che tu sappia neanche perché. Poi quando finalmente diventi condannato ti si aprono le porte di quel sinistro perdonismo, per cui lo stesso Cospito diventa l’influencer della sinistra, a cui vanno come se fosse la Mecca”. A dirlo, durante un evento di Fratelli d’Italia in Valle d’Aosta, è il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, rinviato a giudizio nei giorni scorsi per rivelazione di segreto in relazione alla vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41-bis e protagonista nei mesi scorsi di un lungo sciopero della fame. Delmastro, che in via Arenula ha la delega alle carceri, aveva rivelato al compagno di partito Giovanni Donzelli il contenuto di una relazione della polizia penitenziaria sui dialoghi di Cospito con alcuni boss mafiosi, suoi compagni di reparto a Sassari. E durante una seduta della Camera, Donzelli aveva usato quelle informazioni per attaccare quattro parlamentari del Pd (Debora Serracchiani, Walter Verini, Andrea Orlando e Silvio Lai) accusandoli di vicinanza alla mafia per aver fatto visita all’anarchico qualche settimana prima (video). Attacchi che Delmastro continua a cavalcare, rivendicando la legittimità del proprio comportamento e ricordando come l’anarchico avesse chiesto ai dem di parlare con gli altri detenuti del reparto prima che con lui. “Io rivendico tutto ciò che ho fatto in questo anno da sottosegretario alla Giustizia. Questa nazione è strana no, c’è qualcuno che va da Cospito come se fosse un influencer. Vanno a parlare con i camorristi, poi possono finalmente tornare da Cospito, parlano con Cospito, si offendono perché io lo racconto. È legittimo quello che hanno fatto. Ma è altrettanto legittimo che io lo racconti”, afferma. Già nel giorno del rinvio a giudizio, parlando in tv, l’esponente di FdI si era detto “straordinariamente fiero di non aver tenuto sotto segreto un fatto di gravità inaudita, cioè che terroristi anarchici in combutta con criminali mafiosi tentassero di fare un attacco concentrico al 41-bis“: nei dialoghi riportati nella relazione, infatti, Cospito parlava con i boss di piani per arrivare all’abolizione del carcere duro. L’indagine era stata aperta dopo un esposto presentato in Procura dal parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli: l’inizio del dibattimento è stato fissato al prossimo 12 marzo. Nell’udienza preliminare di mercoledì scorso – il sottosegretario era presente in aula – la Procura di Roma, rappresentata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, aveva chiesto il non luogo a procedere, in coerenza con l’interpretazione già adottata nei mesi scorsi. Lo scorso luglio infatti il gip aveva disposto l’imputazione coatta per Delmastro, non accogliendo la richiesta dei pm, che avevano invece sollecitato l’archiviazione ritenendo non ci fosse la prova dell’elemento soggettivo del reato (cioè della consapevolezza di stare violando un segreto amministrativo). Durante l’evento di lunedì il sottosegretario ha citato come esempio di “perdonismo” anche la vicenda del suo concittadino Dimitri Fricano, 35enne biellese condannato per femminicidio a cui sono stati concessi i domiciliari per la sua eccessiva stazza: “Oppure, per parlare di temi che non mi riguardano personalmente, tal Fricano che ficca 57 coltellate alla sua fidanzata e viene liberato perché è ingrassato”, ha riassunto.
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focus killer</s> |
Ha impugnato un coltello da cucina e si scagliato contro la moglie e la suocera, entrambe italiane, accoltellandole a morte. E poi è andato incontro agli agenti delle forze dell'ordine allertate dal figlio maggiore, rivendicando il duplice femminicidio. Arezzo si è risvegliata nel sangue stamani, alla luce di un episodio nelle scorse ore che ha sconvolto la placida tranquillità della città Toscana. In manette è finito Jawad Hicham, un uomo di 38 anni di origini magrebine e residente da tempo sul territorio: è stato accusato di aver ucciso sia la consorte, ovvero la trentacinquenne Sara Ruschi, che la suocera, la settantaseienne Brunetta Ridolfi. Un doppio assassinio che avrebbe peraltro commesso davanti ai figli di 16 e 2 anni. Gli inquirenti stanno indagando per ricostruire una vicenda che appare sotto certi aspetti ancora poco chiara, in primis per quanto concerne i motivi che avrebbero portato lo straniero ad uccidere le due donne. Secondo le prime ricostruzioni riportate dalla stampa locale, il trentottenne potrebbe aver agito a seguito di una discussione particolarmente accesa. Secondo gli ultimissimi sviluppi, la presenza della pensionata in casa della coppia confermerebbe il momento difficile che i coniugi stavano attraversando, a causa di continue litigate. Una precauzione che purtroppo si sarebbe rivelata vana, dopo quell'ultimo confronto finito nel peggiore dei modi. Hicham avrebbe ad un certo punto afferrato un coltello da cucina ed avrebbe accoltellato prima la suocera e poi la moglie. L'anziana è morta a pochissimi minuti dall'accoltellamento, crollando al suolo in una pozza di sangue. | focus killer | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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Ha impugnato un coltello da cucina e si scagliato contro la moglie e la suocera, entrambe italiane, accoltellandole a morte. E poi è andato incontro agli agenti delle forze dell'ordine allertate dal figlio maggiore, rivendicando il duplice femminicidio. Arezzo si è risvegliata nel sangue stamani, alla luce di un episodio nelle scorse ore che ha sconvolto la placida tranquillità della città Toscana. In manette è finito Jawad Hicham, un uomo di 38 anni di origini magrebine e residente da tempo sul territorio: è stato accusato di aver ucciso sia la consorte, ovvero la trentacinquenne Sara Ruschi, che la suocera, la settantaseienne Brunetta Ridolfi. Un doppio assassinio che avrebbe peraltro commesso davanti ai figli di 16 e 2 anni. Gli inquirenti stanno indagando per ricostruire una vicenda che appare sotto certi aspetti ancora poco chiara, in primis per quanto concerne i motivi che avrebbero portato lo straniero ad uccidere le due donne. Secondo le prime ricostruzioni riportate dalla stampa locale, il trentottenne potrebbe aver agito a seguito di una discussione particolarmente accesa. Secondo gli ultimissimi sviluppi, la presenza della pensionata in casa della coppia confermerebbe il momento difficile che i coniugi stavano attraversando, a causa di continue litigate. Una precauzione che purtroppo si sarebbe rivelata vana, dopo quell'ultimo confronto finito nel peggiore dei modi. Hicham avrebbe ad un certo punto afferrato un coltello da cucina ed avrebbe accoltellato prima la suocera e poi la moglie. L'anziana è morta a pochissimi minuti dall'accoltellamento, crollando al suolo in una pozza di sangue.
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È stata massacrata di botte dal marito, che aveva già denunciato in passato, per tre giorni fino alla morte. È successo in un appartamento a Mazara del Vallo (Trapani) dove la vittima, Rosalia Garofalo, 54 anni, viveva con il coniuge Vincenzo Frasillo di 53 anni.
A dare l’allarme ieri sera verso le 20.30 sono stati i vicini di casa che hanno chiesto l’intervento della polizia dopo aver sentito le urla provenire dall’abitazione. Arrivati sul posto gli agenti e il personale medico del 118 non hanno potuto far altro che constatare il decesso della donna: il corpo, ricoperto da lividi, è stato trovato sul letto matrimoniale. L’uomo è stato portato nel carcere di Trapani e la Procura di Marsala ha disposto il fermo per omicidio volontario che ora dovrà essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari.
La polizia scientifica e il medico legale hanno confermato che Frasillo ha più volte picchiato selvaggiamente la donna negli ultimi tre giorni. Secondo gli investigatori, a scatenare la violenza omicida del marito sarebbe stata l’ossessione di essere tradito dalla donna. Dalle prime indagini è emerso anche che la donna in passato aveva già denunciato gli abusi e maltrattamenti del marito. L’ultimo esposto nell’aprile scorso: in almeno due occasioni la donna aveva deciso però di ritirare le denunce. | focus victim | ### Instruction:
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È stata massacrata di botte dal marito, che aveva già denunciato in passato, per tre giorni fino alla morte. È successo in un appartamento a Mazara del Vallo (Trapani) dove la vittima, Rosalia Garofalo, 54 anni, viveva con il coniuge Vincenzo Frasillo di 53 anni.
A dare l’allarme ieri sera verso le 20.30 sono stati i vicini di casa che hanno chiesto l’intervento della polizia dopo aver sentito le urla provenire dall’abitazione. Arrivati sul posto gli agenti e il personale medico del 118 non hanno potuto far altro che constatare il decesso della donna: il corpo, ricoperto da lividi, è stato trovato sul letto matrimoniale. L’uomo è stato portato nel carcere di Trapani e la Procura di Marsala ha disposto il fermo per omicidio volontario che ora dovrà essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari.
La polizia scientifica e il medico legale hanno confermato che Frasillo ha più volte picchiato selvaggiamente la donna negli ultimi tre giorni. Secondo gli investigatori, a scatenare la violenza omicida del marito sarebbe stata l’ossessione di essere tradito dalla donna. Dalle prime indagini è emerso anche che la donna in passato aveva già denunciato gli abusi e maltrattamenti del marito. L’ultimo esposto nell’aprile scorso: in almeno due occasioni la donna aveva deciso però di ritirare le denunce.
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“Femminicidio, siamo sicuri che esista?”, chiede Adriano Mazzola nel suo ultimo post. Sarebbe troppo semplice dare una risposta a questa domanda chiedendolo a Carmela Petrucci, 17 anni, uccisa a Palermo dalle 20 coltellate di Samuele Caruso, ex fidanzato della sorella Lucia, ancora ricoverata in ospedale e superstite, puramente casuale, dell’ultimo episodio di violenza ai danni di una donna. Sarebbe troppo semplice e nello stesso tempo impossibile visto che Carmela è morta nell’impeto generoso di salvare la sorella dalla furia calcolata di questo 23enne che non ha saputo accettare l’abbandono della ragazza amata.
Ultima vittima in ordine di tempo, Carmela è diventata il simbolo inconsapevole di una battaglia tra falangi ideologicamente armate. Da una parte i maschi, dall’altra le femmine, in mezzo un dibattito tanto polemico quanto sterile sull’utilità di definire l’uccisione di una donna con il termine, appunto, di “femminicidio”. Strumenti di guerra, i numeri. “Sono cento le vittime dall’inizio del 2012” dicono le donne, “sì, ma sono numeri relativi”, rispondono gli uomini, bypassando del tutto il vero nocciolo del problema. Ossia, il motivo per cui, nel 2012, cento donne e più sono morte per mano di padri, fratelli, mariti o compagni. Per mano di coloro che, nel normale corso degli eventi, rappresentano la cerchia degli affetti più vicini e insieme più sicuri.
Sarà forse utile allora, più che arrovellarsi sul significato e sull’applicazione del termine “femminicidio”, aprire un dibattito sulle cause, confrontarsi sulle modalità attraverso le quali oggi uomini e donne vivono la relazione affettiva e amorosa, interrogarsi infine sul concetto di possesso che troppo spesso si sovrappone e si sostituisce a quello di relazione.
E’ in questa prospettiva che si deve tornare a parlare (parlare, non “ciarlare o “cianciare”) di “incivile soggezione, sopraffazione cruenta, violenza inaudita e perpetua, grave disparità di trattamento, terrore psicologico e fisico” subiti dalle donne ad opera di uomini incapaci di riconoscere alle loro figlie, madri, mogli e compagne un ruolo da protagoniste dotate di una propria individualità. Qui sta il compito informativo dei mass media, o almeno il nostro (de Il Fatto Quotidiano e di Donne di Fatto come sezione concentrata sulle tematiche di genere): nessun intento mistificatorio, nessuna caccia all’uomo cattivo, nessuna guerra tra i sessi. Quest’ultima è in corso da tempo e conta già troppe vittime. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
### Text:
“Femminicidio, siamo sicuri che esista?”, chiede Adriano Mazzola nel suo ultimo post. Sarebbe troppo semplice dare una risposta a questa domanda chiedendolo a Carmela Petrucci, 17 anni, uccisa a Palermo dalle 20 coltellate di Samuele Caruso, ex fidanzato della sorella Lucia, ancora ricoverata in ospedale e superstite, puramente casuale, dell’ultimo episodio di violenza ai danni di una donna. Sarebbe troppo semplice e nello stesso tempo impossibile visto che Carmela è morta nell’impeto generoso di salvare la sorella dalla furia calcolata di questo 23enne che non ha saputo accettare l’abbandono della ragazza amata.
Ultima vittima in ordine di tempo, Carmela è diventata il simbolo inconsapevole di una battaglia tra falangi ideologicamente armate. Da una parte i maschi, dall’altra le femmine, in mezzo un dibattito tanto polemico quanto sterile sull’utilità di definire l’uccisione di una donna con il termine, appunto, di “femminicidio”. Strumenti di guerra, i numeri. “Sono cento le vittime dall’inizio del 2012” dicono le donne, “sì, ma sono numeri relativi”, rispondono gli uomini, bypassando del tutto il vero nocciolo del problema. Ossia, il motivo per cui, nel 2012, cento donne e più sono morte per mano di padri, fratelli, mariti o compagni. Per mano di coloro che, nel normale corso degli eventi, rappresentano la cerchia degli affetti più vicini e insieme più sicuri.
Sarà forse utile allora, più che arrovellarsi sul significato e sull’applicazione del termine “femminicidio”, aprire un dibattito sulle cause, confrontarsi sulle modalità attraverso le quali oggi uomini e donne vivono la relazione affettiva e amorosa, interrogarsi infine sul concetto di possesso che troppo spesso si sovrappone e si sostituisce a quello di relazione.
E’ in questa prospettiva che si deve tornare a parlare (parlare, non “ciarlare o “cianciare”) di “incivile soggezione, sopraffazione cruenta, violenza inaudita e perpetua, grave disparità di trattamento, terrore psicologico e fisico” subiti dalle donne ad opera di uomini incapaci di riconoscere alle loro figlie, madri, mogli e compagne un ruolo da protagoniste dotate di una propria individualità. Qui sta il compito informativo dei mass media, o almeno il nostro (de Il Fatto Quotidiano e di Donne di Fatto come sezione concentrata sulle tematiche di genere): nessun intento mistificatorio, nessuna caccia all’uomo cattivo, nessuna guerra tra i sessi. Quest’ultima è in corso da tempo e conta già troppe vittime.
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Alle 19 il corteo in piazza Santissima Annunziata a Firenze organizzato dal movimento «Non una di meno»: «Portate tutto quello che può fare rumore». Sabato alle 12 il presidio in piazza Signoria «Di fronte alla violenza non servono i minuti di silenzio, bisogna fare più rumore, essere più visibili, più presenti». È la denuncia-appello che lancia il movimento Non una di meno di Firenze, che dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin convoca tutte e tutti alle 19 per un corteo con partenza da piazza SS. Annunziata in cui si chiede di «portare tutto quello che può fare rumore: tamburi, strumenti, perfino pentole». «La violenza è un fenomeno strutturale e i numeri parlano chiaro. Esplode il desiderio di rispondere a quello che sta succedendo – ha detto intervistata a Controradio Isabella Bruni di Numd – sentiamo l’esigenza di esprimere la nostra rabbia in un momento di condivisione che vede nella pratica delle passeggiate anche un simbolo di riappropriazione degli spazi, della notte, che si oppongono alla narrazione del lupo e cappuccetto rosso e dell’attribuzione di responsabilità alla donna per l’essere vittima». Nudm tornerà in piazza anche il 25 novembre prossimo, Giornata internazionale per l’eradicazione della violenza contro le donne, con due manifestazioni nazionali a Roma e Messina: «Da Firenze sono già stati organizzati 2 pullman, ma le iscrizioni sono ancora aperte», spiegano. LEGGI ANCHE Femminicidi, i simboli sono il passato «Sto pensando di partecipare a più di una delle manifestazioni» contro la violenza sulle donne «perché io credo che sia importante la presenza delle istituzioni a queste manifestazioni anche spontanee. Sono iniziative che danno il senso di una reazione eccezionale della società civile che non può più assistere inerte a quello che si consuma ogni giorno nel nostro Paese. Siamo al fianco dei manifestanti, sabato realizzeremo un flash mob in piazza della Signoria (ore 12, piazza della Signoria), cercheremo di essere presenti in tutte le occasioni». Lo ha dichiarato il sindaco di Firenze Dario Nardella, a margine di una conferenza stampa a Palazzo Vecchio, a proposito della morte di Giulia Cecchettin. «Mi piace l'idea delle manifestazioni rumorose, partita da Padova, perché il silenzio non basta più per quanto il silenzio possa esser associato al dolore, al cordoglio, alla sofferenza - ha aggiunto -. Non basta più l'irritazione, la rabbia. Occorre anche agire: auspico che la proposta di Schlein di avere una legge che sia a 360 gradi orientata sul tema della prevenzione verso tutte le forme di violenza di genere possa essere raccolta dal Parlamento e dal governo con un'iniziativa bipartisan». La proposta del Governo di introdurre un'ora di lezione sessuale a scuola in risposta ai femminicidi «può essere una strada, però l'importante è che non ci si limiti a misure spot, ci vuole un piano complessivo che tocchi la scuola, la società civile, il mondo del lavoro perché il problema non è solo la scuola», continua il sindaco di Firenze, Dario Nardella. «Ognuno deve fare la sua parte: le istituzioni, le famiglie, il mondo del lavoro, la scuola, perché il problema è davvero trasversale e diffuso, e speriamo che almeno questa volta la morte della giovane Giulia serva davvero a qualcosa e non al solito fuoco di paglia di poca durata che poi ci fa ripiombare nell'ordinaria follia dei femminicidi», ha aggiunto Nardella. | focus victim | ### Instruction:
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Alle 19 il corteo in piazza Santissima Annunziata a Firenze organizzato dal movimento «Non una di meno»: «Portate tutto quello che può fare rumore». Sabato alle 12 il presidio in piazza Signoria «Di fronte alla violenza non servono i minuti di silenzio, bisogna fare più rumore, essere più visibili, più presenti». È la denuncia-appello che lancia il movimento Non una di meno di Firenze, che dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin convoca tutte e tutti alle 19 per un corteo con partenza da piazza SS. Annunziata in cui si chiede di «portare tutto quello che può fare rumore: tamburi, strumenti, perfino pentole». «La violenza è un fenomeno strutturale e i numeri parlano chiaro. Esplode il desiderio di rispondere a quello che sta succedendo – ha detto intervistata a Controradio Isabella Bruni di Numd – sentiamo l’esigenza di esprimere la nostra rabbia in un momento di condivisione che vede nella pratica delle passeggiate anche un simbolo di riappropriazione degli spazi, della notte, che si oppongono alla narrazione del lupo e cappuccetto rosso e dell’attribuzione di responsabilità alla donna per l’essere vittima». Nudm tornerà in piazza anche il 25 novembre prossimo, Giornata internazionale per l’eradicazione della violenza contro le donne, con due manifestazioni nazionali a Roma e Messina: «Da Firenze sono già stati organizzati 2 pullman, ma le iscrizioni sono ancora aperte», spiegano. LEGGI ANCHE Femminicidi, i simboli sono il passato «Sto pensando di partecipare a più di una delle manifestazioni» contro la violenza sulle donne «perché io credo che sia importante la presenza delle istituzioni a queste manifestazioni anche spontanee. Sono iniziative che danno il senso di una reazione eccezionale della società civile che non può più assistere inerte a quello che si consuma ogni giorno nel nostro Paese. Siamo al fianco dei manifestanti, sabato realizzeremo un flash mob in piazza della Signoria (ore 12, piazza della Signoria), cercheremo di essere presenti in tutte le occasioni». Lo ha dichiarato il sindaco di Firenze Dario Nardella, a margine di una conferenza stampa a Palazzo Vecchio, a proposito della morte di Giulia Cecchettin. «Mi piace l'idea delle manifestazioni rumorose, partita da Padova, perché il silenzio non basta più per quanto il silenzio possa esser associato al dolore, al cordoglio, alla sofferenza - ha aggiunto -. Non basta più l'irritazione, la rabbia. Occorre anche agire: auspico che la proposta di Schlein di avere una legge che sia a 360 gradi orientata sul tema della prevenzione verso tutte le forme di violenza di genere possa essere raccolta dal Parlamento e dal governo con un'iniziativa bipartisan». La proposta del Governo di introdurre un'ora di lezione sessuale a scuola in risposta ai femminicidi «può essere una strada, però l'importante è che non ci si limiti a misure spot, ci vuole un piano complessivo che tocchi la scuola, la società civile, il mondo del lavoro perché il problema non è solo la scuola», continua il sindaco di Firenze, Dario Nardella. «Ognuno deve fare la sua parte: le istituzioni, le famiglie, il mondo del lavoro, la scuola, perché il problema è davvero trasversale e diffuso, e speriamo che almeno questa volta la morte della giovane Giulia serva davvero a qualcosa e non al solito fuoco di paglia di poca durata che poi ci fa ripiombare nell'ordinaria follia dei femminicidi», ha aggiunto Nardella.
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Dubois
La ragazza stava salendo in auto con la spesa, quando ha aperto la portiera un uomo che voleva violentarla. La fuga, poi la denuncia
Aggredita sessualmente in un parcheggio del supermercato a Reggio Emilia, dove stava salendo in auto con le borse della spesa, a fine pomeriggio. Ma la vittima, una ragazza di 23 anni , è stata veloce nel divincolarsi e fuggire. E denunciare il tutto ai carabinieri. E proprio le divise della stazione di Corso Cairoli hanno arrestato 55enne in esecuzione di ordinanza cautelare restrittiva richiesta dalla locale Procura, diretta da Gaetano Paci.
Le testimonianze e i filmati
I fatti risalgono al 12 ottobre: intorno alle 18.30 la vittima, una 23enne reggiana, era appena salita a bordo della sua auto, quando l'uomo ha aperto la portiera lato guida: da lì è entrato nell'abitacolo cercando di baciarla, toccarle i seni e spingerla sui sedili posteriori per avere un rapporto sessuale. La ragazza è riuscita però a divincolarsi e a fuggire in auto. Quindi la denuncia ai carabinieri della stazione di Corso Cairoli che hanno avviato le indagini. L'autore dell'aggressione, abitante a Reggio Emilia, è stato identificato grazie alle testimonianze e all'analisi dei filmati delle telecamere di videosorveglianza. Il presunto responsabile della violenza denunciato, è stato così arrestato e posto ai domiciliari. La notizia, uscita a poche ore dalla mobilitazione contro la violenza sulle donne (che anche a Reggio Emilia ha coinvolto più di diecimila persone) e a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, ha suscitato nuova rabbia e commenti sui social. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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Dubois
La ragazza stava salendo in auto con la spesa, quando ha aperto la portiera un uomo che voleva violentarla. La fuga, poi la denuncia
Aggredita sessualmente in un parcheggio del supermercato a Reggio Emilia, dove stava salendo in auto con le borse della spesa, a fine pomeriggio. Ma la vittima, una ragazza di 23 anni , è stata veloce nel divincolarsi e fuggire. E denunciare il tutto ai carabinieri. E proprio le divise della stazione di Corso Cairoli hanno arrestato 55enne in esecuzione di ordinanza cautelare restrittiva richiesta dalla locale Procura, diretta da Gaetano Paci.
Le testimonianze e i filmati
I fatti risalgono al 12 ottobre: intorno alle 18.30 la vittima, una 23enne reggiana, era appena salita a bordo della sua auto, quando l'uomo ha aperto la portiera lato guida: da lì è entrato nell'abitacolo cercando di baciarla, toccarle i seni e spingerla sui sedili posteriori per avere un rapporto sessuale. La ragazza è riuscita però a divincolarsi e a fuggire in auto. Quindi la denuncia ai carabinieri della stazione di Corso Cairoli che hanno avviato le indagini. L'autore dell'aggressione, abitante a Reggio Emilia, è stato identificato grazie alle testimonianze e all'analisi dei filmati delle telecamere di videosorveglianza. Il presunto responsabile della violenza denunciato, è stato così arrestato e posto ai domiciliari. La notizia, uscita a poche ore dalla mobilitazione contro la violenza sulle donne (che anche a Reggio Emilia ha coinvolto più di diecimila persone) e a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, ha suscitato nuova rabbia e commenti sui social.
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focus victim</s> |
Vigonovo (Venezia). «Questa cosa - il fatto che io vorrei non vederlo più, perché inizio a non sopportarlo più - mi pesa. E non so come sparire. Vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo, perché mi sento in colpa, perché ho troppa paura che possa farsi male in qualche modo». È il contenuto di un messaggio audio che Giulia Cecchettin ha inviato a un’amica, e mette i brividi. Perché, in quelle parole, Giulia racconta dell’ex fidanzato Filippo Turetta, dell’ossessione di lui, dei suoi continui ricatti emotivi. In poche parole, spiega perché l’avrebbe ammazzata. «Mi sento in una situazione in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui» dice Giulia. È sconvolta: lo dimostra la sua voce. «Però lui viene a dirmi cose del tipo che è super depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che pensa solo ad ammazzarsi, che vorrebbe morire, che non trova più un senso per andare avanti. Non me le viene a dire per forza, secondo me, come ricatto. Però suonano molto come ricatto. E, allo stesso tempo, mi viene a dire che l’unica luce che vede nelle sue giornate sono le uscite con me o i momenti in cui io gli scrivo». Ecco come è nato il femminicidio di Giulia Cecchettin. Delitto confessato da Filippo Turetta alla polizia tedesca: «Ho ammazzato la mia fidanzata. Ho vagato questi sette giorni perché cercavo di farla finita. Ho pensato più volte di andarmi a schiantare contro un ostacolo e più volte mi sono buttato un coltello contro la gola. Ma non ho avuto il coraggio di farla finita». Si è consegnato ai poliziotti tedeschi con le mani in alto. E ha confessato. I vestiti e le scarpe macchiati di sangue. Le mani e le caviglie segnate dalle ferite. Gli agenti lo hanno trovato nella corsia d’emergenza dell’autostrada tedesca A9, all’altezza di Bad Dürrenberg. E lì ha confessato, in inglese. È la sua doppia ammissione: di quello che ha fatto e del perché lo ha fatto. Ha ammazzato Giulia, ma lei non era la sua fidanzata. Non lo era più, da quando la ragazza aveva deciso di lasciarlo, ad agosto. Lui non lo accettava. E l’ha uccisa. Ai poliziotti ne ha confessato l’omicidio e pure la sua incapacità di farla finita. Per provare ad ammazzarsi si sarà puntato addosso lo stesso coltello con cui aveva ucciso lei, con 26 coltellate. Da sabato, Filippo è detenuto nel penitenziario di Halle. Ha accettato la procedura semplificata per la consegna in Italia e ieri la Procura generale di Naumburg ne ha disposto l’estradizione. Turetta sarà consegnato alle autorità italiane, che andranno in Germania a prelevarlo. Probabilmente, arriverà a Fiumicino venerdì sera, a bordo di un aereo militare. In Italia gli sarà notificata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, quindi potrà essere trasferito a Venezia per l’interrogatorio di garanzia del gip. «Non escludo di predisporre una perizia psichiatrica, per capire fino in fondo cosa gli è scattato in testa», diceva ieri il suo avvocato, Emanuele Compagno. Intanto emergono nuovi particolari sull’arresto di sabato. In una prima perquisizione, i poliziotti tedeschi hanno trovato nella borsa del 22enne un paio di guanti, un cellulare, una carta prepagata, 300 euro in contati. E, soprattutto, un coltello da cucina con una lama di dodici centimetri: l’arma del delitto. Gli inquirenti avrebbero trovato anche una sim straniera, forse acquistata per utilizzare il telefono senza venire tracciato, ma sul punto sono in corso delle verifiche. L’auto di Turetta è sotto la custodia giudiziaria tedesca, in un deposito in Germania. In un primo esame, gli inquirenti avevano trovato delle tracce di sangue. Ora ci sarà un secondo controllo, servirà a ricostruire la dinamica della violenza. E altrettanto importante sarà l’autopsia sul corpo di Giulia. Verrà eseguita l'1 dicembre, alle 9, nell’istituto di anatomia patologica della Clinica universitaria di Padova. Ci saranno l’anatomopatologo Antonello Cirnelli, nominato dalla famiglia, e i periti incaricati dalla procura e da Turetta. Per il funerale della ragazza, a Saonara, sarà prima necessario il nullaosta alla consegna del corpo. Poi Giulia potrà essere sepolta accanto alla mamma Monica, morta un anno fa. | focus killer | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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Vigonovo (Venezia). «Questa cosa - il fatto che io vorrei non vederlo più, perché inizio a non sopportarlo più - mi pesa. E non so come sparire. Vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo, perché mi sento in colpa, perché ho troppa paura che possa farsi male in qualche modo». È il contenuto di un messaggio audio che Giulia Cecchettin ha inviato a un’amica, e mette i brividi. Perché, in quelle parole, Giulia racconta dell’ex fidanzato Filippo Turetta, dell’ossessione di lui, dei suoi continui ricatti emotivi. In poche parole, spiega perché l’avrebbe ammazzata. «Mi sento in una situazione in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui» dice Giulia. È sconvolta: lo dimostra la sua voce. «Però lui viene a dirmi cose del tipo che è super depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che pensa solo ad ammazzarsi, che vorrebbe morire, che non trova più un senso per andare avanti. Non me le viene a dire per forza, secondo me, come ricatto. Però suonano molto come ricatto. E, allo stesso tempo, mi viene a dire che l’unica luce che vede nelle sue giornate sono le uscite con me o i momenti in cui io gli scrivo». Ecco come è nato il femminicidio di Giulia Cecchettin. Delitto confessato da Filippo Turetta alla polizia tedesca: «Ho ammazzato la mia fidanzata. Ho vagato questi sette giorni perché cercavo di farla finita. Ho pensato più volte di andarmi a schiantare contro un ostacolo e più volte mi sono buttato un coltello contro la gola. Ma non ho avuto il coraggio di farla finita». Si è consegnato ai poliziotti tedeschi con le mani in alto. E ha confessato. I vestiti e le scarpe macchiati di sangue. Le mani e le caviglie segnate dalle ferite. Gli agenti lo hanno trovato nella corsia d’emergenza dell’autostrada tedesca A9, all’altezza di Bad Dürrenberg. E lì ha confessato, in inglese. È la sua doppia ammissione: di quello che ha fatto e del perché lo ha fatto. Ha ammazzato Giulia, ma lei non era la sua fidanzata. Non lo era più, da quando la ragazza aveva deciso di lasciarlo, ad agosto. Lui non lo accettava. E l’ha uccisa. Ai poliziotti ne ha confessato l’omicidio e pure la sua incapacità di farla finita. Per provare ad ammazzarsi si sarà puntato addosso lo stesso coltello con cui aveva ucciso lei, con 26 coltellate. Da sabato, Filippo è detenuto nel penitenziario di Halle. Ha accettato la procedura semplificata per la consegna in Italia e ieri la Procura generale di Naumburg ne ha disposto l’estradizione. Turetta sarà consegnato alle autorità italiane, che andranno in Germania a prelevarlo. Probabilmente, arriverà a Fiumicino venerdì sera, a bordo di un aereo militare. In Italia gli sarà notificata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, quindi potrà essere trasferito a Venezia per l’interrogatorio di garanzia del gip. «Non escludo di predisporre una perizia psichiatrica, per capire fino in fondo cosa gli è scattato in testa», diceva ieri il suo avvocato, Emanuele Compagno. Intanto emergono nuovi particolari sull’arresto di sabato. In una prima perquisizione, i poliziotti tedeschi hanno trovato nella borsa del 22enne un paio di guanti, un cellulare, una carta prepagata, 300 euro in contati. E, soprattutto, un coltello da cucina con una lama di dodici centimetri: l’arma del delitto. Gli inquirenti avrebbero trovato anche una sim straniera, forse acquistata per utilizzare il telefono senza venire tracciato, ma sul punto sono in corso delle verifiche. L’auto di Turetta è sotto la custodia giudiziaria tedesca, in un deposito in Germania. In un primo esame, gli inquirenti avevano trovato delle tracce di sangue. Ora ci sarà un secondo controllo, servirà a ricostruire la dinamica della violenza. E altrettanto importante sarà l’autopsia sul corpo di Giulia. Verrà eseguita l'1 dicembre, alle 9, nell’istituto di anatomia patologica della Clinica universitaria di Padova. Ci saranno l’anatomopatologo Antonello Cirnelli, nominato dalla famiglia, e i periti incaricati dalla procura e da Turetta. Per il funerale della ragazza, a Saonara, sarà prima necessario il nullaosta alla consegna del corpo. Poi Giulia potrà essere sepolta accanto alla mamma Monica, morta un anno fa.
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27 maggio 2017 Link Embed [[URL]] Copia Copia Napoli, riconosce il suo violentatore in un pub. I carabinieri lo trovano e lo arrestano Una notte di febbraio nel quartiere del Vomero, a Napoli, una ragazza, appena uscita da lavoro, viene seguita in auto fin sotto casa, dove tre uomini l’aggrediscono, la palpeggiano e la rapinano. I carabinieri il 22 marzo identificano due dei responsabili, due 33enni di Grumo Nevano e Aversa. Il terzo è stato preso oggi dai carabinieri della stazione Vomero-Arenella che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Napoli. La vittima lo ha incontrato per caso circa 2 mesi dopo il fatto: era in un discopub, a Napoli. Si tratta di un 24enne incensurato di origine araba residente ai Quartieri Spagnoli. L’uomo quando ha incrociato lo sguardo della vittima si è dato alla fuga. La ragazza ha immediatamente riferito l’accaduto ai carabinieri descrivendo dettagliatamente le sue fattezze. I militari hanno cominciato le ricerche guidati dalla descrizione tra i frequentatori dei locali della movida riuscendo a dargli un nome. La vittima lo ha infine riconosciuto in un confronto “all’americana” ed è così finito a Poggioreale l’ultimo complice delle violenze. | focus killer | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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27 maggio 2017 Link Embed [[URL]] Copia Copia Napoli, riconosce il suo violentatore in un pub. I carabinieri lo trovano e lo arrestano Una notte di febbraio nel quartiere del Vomero, a Napoli, una ragazza, appena uscita da lavoro, viene seguita in auto fin sotto casa, dove tre uomini l’aggrediscono, la palpeggiano e la rapinano. I carabinieri il 22 marzo identificano due dei responsabili, due 33enni di Grumo Nevano e Aversa. Il terzo è stato preso oggi dai carabinieri della stazione Vomero-Arenella che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Napoli. La vittima lo ha incontrato per caso circa 2 mesi dopo il fatto: era in un discopub, a Napoli. Si tratta di un 24enne incensurato di origine araba residente ai Quartieri Spagnoli. L’uomo quando ha incrociato lo sguardo della vittima si è dato alla fuga. La ragazza ha immediatamente riferito l’accaduto ai carabinieri descrivendo dettagliatamente le sue fattezze. I militari hanno cominciato le ricerche guidati dalla descrizione tra i frequentatori dei locali della movida riuscendo a dargli un nome. La vittima lo ha infine riconosciuto in un confronto “all’americana” ed è così finito a Poggioreale l’ultimo complice delle violenze.
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In questi giorni un violento femminicidio avvenuto in provincia di Milano è al centro delle pagine di cronaca nera dei giornali: è quello di Carol Maltesi, una donna 26enne che viveva a Rescaldina, vicino a Legnano, per cui ha confessato un suo vicino di casa di nome Davide Fontana, che aveva avuto con lei una relazione in passato. L’indagine sull’omicidio era iniziata il 20 marzo, quando presumibilmente Maltesi era già morta da più di due mesi. Quella domenica mattina un uomo che stava camminando lungo una strada in un bosco vicino a Borno, in Val Camonica, aveva trovato quattro sacchi neri lasciati vicini a un dirupo. Per capire che cosa contenessero, ne aveva spostato uno e aveva intravisto la mano di una donna. Aprendo i sacchi, i carabinieri avevano trovato i resti, sezionati in 15 parti, del corpo di una giovane donna. I resti erano stati portati all’istituto di medicina legale di Brescia ma l’identificazione era risultata particolarmente difficile: la donna aveva ricevuto molti colpi al volto che l’avevano sfigurata. È stato per questo che gli investigatori e gli inquirenti di Brescia avevano deciso di diffondere la descrizione di una parte degli undici tatuaggi che la donna aveva sul corpo. Alcuni di questi, tra l’altro, erano stati tagliati e scorticati nel tentativo di asportarli. La descrizione dei tatuaggi aveva spinto alcuni lettori del sito Bsnews a contattare il giornalista che si stava occupando della notizia e a segnalare che corrispondevano a quelli di una attrice porno conosciuta con il nome d’arte di Charlotte Angie. I giornalisti del sito avevano cercato in rete le immagini dell’attrice scoprendo che in effetti i tatuaggi corrispondevano a quelli descritti dall’informativa degli investigatori. Inoltre, le pagine social della donna non erano aggiornate dai primi di gennaio. Ai messaggi mandati su WhatsApp al numero della donna dai cronisti del sito erano comunque arrivate risposte. Il giornalista si era qualificato e la risposta era stata: «Non ho tempo adesso per i giornalisti e per spiegare perché ho lasciato il porno». Quando poi il cronista di Bsnews aveva spiegato il motivo dei messaggi, e cioè indagare sulla presunta corrispondenza dei tatuaggi, la risposta era stata: «Ah, ho capito. Mi hanno già detto di quella ragazza». E ancora: «Io sto bene fortunatamente». A rispondere ai messaggi, si è scoperto dopo, era Fontana che stava usando il telefono di Maltesi. Bsnews aveva messo la chat con la presunta Charlotte Angie a disposizione dei carabinieri, che non ci avevano messo molto a scoprire che il nome di Charlotte Angie era Carol Maltesi, 26 anni, italo-olandese, madre di un bambino di sei anni che vive con il padre. La donna aveva lavorato in un negozio all’aeroporto di Malpensa e poi in un centro commerciale di Rescaldina, vicino a Legnano, in provincia di Milano, dove abitava da meno di un anno. Da meno di un anno aveva anche iniziato a lavorare nel cinema erotico, a cui si era avvicinata all’inizio pubblicando dei video sul sito Onlyfans. Nei video di Maltesi compariva spesso un uomo, che poi i carabinieri hanno identificato come Davide Fontana, vicino di casa ed ex compagno della donna per un breve periodo. Fontana è un bancario che lavora a Milano ma, dall’inizio della pandemia, è in smart working e quindi passava la maggior parte del tempo a casa. Con Maltesi aveva avuto una breve relazione, poi i due erano rimasti apparentemente in buoni rapporti, tanto che lei era andata a vivere nella stessa casa di Rescaldina. Era Fontana a girare i video pubblicati online da Maltesi. Due giorni fa, apparentemente convinto da una vicina di casa, Fontana è andato dai carabinieri di Rescaldina per denunciare la scomparsa di Maltesi che, ha spiegato, non vedeva da tempo. La sua dichiarazione, a quanto pare, è stata però estremamente confusa e contraddittoria tanto che poche ore dopo l’uomo è stato convocato a Brescia, in caserma. I carabinieri avevano intanto recuperato i video girati da alcune telecamere nella zona di Borno in cui la mattina del 20 marzo era stato ripreso il passaggio dell’auto di Maltesi, una Fiat Cinquecento grigia, guidata però da un uomo. Fontana è entrato in caserma a Brescia poco prima delle 23 di lunedì e ne è uscito alle 3.30, dopo aver confessato. Ha raccontato che la sera del 10 o 11 gennaio (non ricorda esattamente) era a casa di Maltesi per girare un video porno che prevedeva che la donna fosse legata mani e piedi e con un sacco in testa. A quel punto iniziò a colpirla con un martello alle gambe, poi alla testa e infine con un coltello alla gola. Raccontando l’omicidio ai carabinieri Fontana ha detto di non sapere perché lo fece. Nei giorni dopo l’omicidio, l’uomo aveva acquistato una sega e un’accetta al Bricoman di Rescaldina con cui ha raccontato di aver sezionato il cadavere e tentato di eliminare i tatuaggi. Quindi aveva comprato online un freezer a pozzetto per conservare il corpo. Qualche giorno dopo, sempre secondo il suo racconto, aveva tentato di bruciare i resti utilizzando alcol, in una zona barbecue di Vararo, sul lago Maggiore. Il tentativo era fallito, quindi Fontana aveva riportato i resti della donna in casa. Nel frattempo aveva risposto ai messaggi che arrivavano sul telefono di Maltesi da parte dell’ex compagno e della madre. Aveva anche risposto ai messaggi di un attore porno che invitava Maltesi a sostituirlo per una serata in un locale, declinando l’invito. Con l’app della banca sul telefono cellulare aveva anche pagato l’affitto di casa. Il 20 marzo Fontana aveva caricato cinque sacchi sull’auto di Maltesi e li aveva abbandonati vicino a Borno, un posto che ha detto di conoscere perché ci andava in vacanza da bambino. Dopo qualche giorno, sono iniziati i messaggi del giornalista di Bsnews. Fontana è accusato di omicidio volontario aggravato e di distruzione e occultamento di cadavere. Ora è nel carcere Canton Mombello a Brescia. | focus killer | ### Instruction:
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In questi giorni un violento femminicidio avvenuto in provincia di Milano è al centro delle pagine di cronaca nera dei giornali: è quello di Carol Maltesi, una donna 26enne che viveva a Rescaldina, vicino a Legnano, per cui ha confessato un suo vicino di casa di nome Davide Fontana, che aveva avuto con lei una relazione in passato. L’indagine sull’omicidio era iniziata il 20 marzo, quando presumibilmente Maltesi era già morta da più di due mesi. Quella domenica mattina un uomo che stava camminando lungo una strada in un bosco vicino a Borno, in Val Camonica, aveva trovato quattro sacchi neri lasciati vicini a un dirupo. Per capire che cosa contenessero, ne aveva spostato uno e aveva intravisto la mano di una donna. Aprendo i sacchi, i carabinieri avevano trovato i resti, sezionati in 15 parti, del corpo di una giovane donna. I resti erano stati portati all’istituto di medicina legale di Brescia ma l’identificazione era risultata particolarmente difficile: la donna aveva ricevuto molti colpi al volto che l’avevano sfigurata. È stato per questo che gli investigatori e gli inquirenti di Brescia avevano deciso di diffondere la descrizione di una parte degli undici tatuaggi che la donna aveva sul corpo. Alcuni di questi, tra l’altro, erano stati tagliati e scorticati nel tentativo di asportarli. La descrizione dei tatuaggi aveva spinto alcuni lettori del sito Bsnews a contattare il giornalista che si stava occupando della notizia e a segnalare che corrispondevano a quelli di una attrice porno conosciuta con il nome d’arte di Charlotte Angie. I giornalisti del sito avevano cercato in rete le immagini dell’attrice scoprendo che in effetti i tatuaggi corrispondevano a quelli descritti dall’informativa degli investigatori. Inoltre, le pagine social della donna non erano aggiornate dai primi di gennaio. Ai messaggi mandati su WhatsApp al numero della donna dai cronisti del sito erano comunque arrivate risposte. Il giornalista si era qualificato e la risposta era stata: «Non ho tempo adesso per i giornalisti e per spiegare perché ho lasciato il porno». Quando poi il cronista di Bsnews aveva spiegato il motivo dei messaggi, e cioè indagare sulla presunta corrispondenza dei tatuaggi, la risposta era stata: «Ah, ho capito. Mi hanno già detto di quella ragazza». E ancora: «Io sto bene fortunatamente». A rispondere ai messaggi, si è scoperto dopo, era Fontana che stava usando il telefono di Maltesi. Bsnews aveva messo la chat con la presunta Charlotte Angie a disposizione dei carabinieri, che non ci avevano messo molto a scoprire che il nome di Charlotte Angie era Carol Maltesi, 26 anni, italo-olandese, madre di un bambino di sei anni che vive con il padre. La donna aveva lavorato in un negozio all’aeroporto di Malpensa e poi in un centro commerciale di Rescaldina, vicino a Legnano, in provincia di Milano, dove abitava da meno di un anno. Da meno di un anno aveva anche iniziato a lavorare nel cinema erotico, a cui si era avvicinata all’inizio pubblicando dei video sul sito Onlyfans. Nei video di Maltesi compariva spesso un uomo, che poi i carabinieri hanno identificato come Davide Fontana, vicino di casa ed ex compagno della donna per un breve periodo. Fontana è un bancario che lavora a Milano ma, dall’inizio della pandemia, è in smart working e quindi passava la maggior parte del tempo a casa. Con Maltesi aveva avuto una breve relazione, poi i due erano rimasti apparentemente in buoni rapporti, tanto che lei era andata a vivere nella stessa casa di Rescaldina. Era Fontana a girare i video pubblicati online da Maltesi. Due giorni fa, apparentemente convinto da una vicina di casa, Fontana è andato dai carabinieri di Rescaldina per denunciare la scomparsa di Maltesi che, ha spiegato, non vedeva da tempo. La sua dichiarazione, a quanto pare, è stata però estremamente confusa e contraddittoria tanto che poche ore dopo l’uomo è stato convocato a Brescia, in caserma. I carabinieri avevano intanto recuperato i video girati da alcune telecamere nella zona di Borno in cui la mattina del 20 marzo era stato ripreso il passaggio dell’auto di Maltesi, una Fiat Cinquecento grigia, guidata però da un uomo. Fontana è entrato in caserma a Brescia poco prima delle 23 di lunedì e ne è uscito alle 3.30, dopo aver confessato. Ha raccontato che la sera del 10 o 11 gennaio (non ricorda esattamente) era a casa di Maltesi per girare un video porno che prevedeva che la donna fosse legata mani e piedi e con un sacco in testa. A quel punto iniziò a colpirla con un martello alle gambe, poi alla testa e infine con un coltello alla gola. Raccontando l’omicidio ai carabinieri Fontana ha detto di non sapere perché lo fece. Nei giorni dopo l’omicidio, l’uomo aveva acquistato una sega e un’accetta al Bricoman di Rescaldina con cui ha raccontato di aver sezionato il cadavere e tentato di eliminare i tatuaggi. Quindi aveva comprato online un freezer a pozzetto per conservare il corpo. Qualche giorno dopo, sempre secondo il suo racconto, aveva tentato di bruciare i resti utilizzando alcol, in una zona barbecue di Vararo, sul lago Maggiore. Il tentativo era fallito, quindi Fontana aveva riportato i resti della donna in casa. Nel frattempo aveva risposto ai messaggi che arrivavano sul telefono di Maltesi da parte dell’ex compagno e della madre. Aveva anche risposto ai messaggi di un attore porno che invitava Maltesi a sostituirlo per una serata in un locale, declinando l’invito. Con l’app della banca sul telefono cellulare aveva anche pagato l’affitto di casa. Il 20 marzo Fontana aveva caricato cinque sacchi sull’auto di Maltesi e li aveva abbandonati vicino a Borno, un posto che ha detto di conoscere perché ci andava in vacanza da bambino. Dopo qualche giorno, sono iniziati i messaggi del giornalista di Bsnews. Fontana è accusato di omicidio volontario aggravato e di distruzione e occultamento di cadavere. Ora è nel carcere Canton Mombello a Brescia.
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Una ragazza di 26 anni è stata trovata impiccata con una sciarpa della squadra di calcio del Casarano, sulla terrazza di casa. E sul caso stanno indagando i carabinieri, con gli inquirenti che non escludono possa essersi trattato di un femminicidio. Questo è quanto avvenuto nelle scorse ore a Casarano, una cittadina situata in provincia di Lecce, per un episodio che ha impressionato la comunità locale e che promette di travalicare presto i confini regionali. Secondo la stampa locale il corpo della giovane, penzolante dal balcone dell'appartamento nel quale viveva in affitto, è stato notato da alcuni vicini di casa. Gli stessi che con tutta probbailità hanno allertato le forze dell'ordine. “Non abbiamo sentito urla provenire dall’abitazione – hanno raccontato al quotidiano La Repubblica – ci siamo affacciati e abbiamo visto la ragazza in quella posizione”. Il personale del 118, prontamente intervenuto dall'ospedale cittadino, non ha potuto far altro che constatare il decesso della ventiseienne, mentre sul posto confluivano rapidamente i carabinieri del Norm insieme ai colleghi della scientifica. Sul corpo della ragazza, ritrovato questa mattina, non risulterebbero segni di violenza. La giovane, originaria di Ugento, si era trasferita da poco sul territorio casaranese ed era impiegata in un'azienda calzaturiera della zona. Secondo l'ipotesi seguita in un primo momento dagli investigatori, potrebbe essersi trattato di un suicidio. Ma sono in corso ulteriori accertamenti, anche perché in casa sono stati trovati alcuni oggetti rotti. Ed è su queste basi che chi indaga non esclude l'ipotesi che porta ad un omicidio. Proprio la sopracitata sciarpa con i colori del Casarano potrebbe rappresentare un indizio. La svolta è arrivata in tarda mattinata, proprio mentre il corpo della ragazza veniva trasferito presso la camera mortuaria dove saranno eseguiti ulteriori accertamenti: i militari dell'Arma hanno accompagnato un giovane in caserma. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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Una ragazza di 26 anni è stata trovata impiccata con una sciarpa della squadra di calcio del Casarano, sulla terrazza di casa. E sul caso stanno indagando i carabinieri, con gli inquirenti che non escludono possa essersi trattato di un femminicidio. Questo è quanto avvenuto nelle scorse ore a Casarano, una cittadina situata in provincia di Lecce, per un episodio che ha impressionato la comunità locale e che promette di travalicare presto i confini regionali. Secondo la stampa locale il corpo della giovane, penzolante dal balcone dell'appartamento nel quale viveva in affitto, è stato notato da alcuni vicini di casa. Gli stessi che con tutta probbailità hanno allertato le forze dell'ordine. “Non abbiamo sentito urla provenire dall’abitazione – hanno raccontato al quotidiano La Repubblica – ci siamo affacciati e abbiamo visto la ragazza in quella posizione”. Il personale del 118, prontamente intervenuto dall'ospedale cittadino, non ha potuto far altro che constatare il decesso della ventiseienne, mentre sul posto confluivano rapidamente i carabinieri del Norm insieme ai colleghi della scientifica. Sul corpo della ragazza, ritrovato questa mattina, non risulterebbero segni di violenza. La giovane, originaria di Ugento, si era trasferita da poco sul territorio casaranese ed era impiegata in un'azienda calzaturiera della zona. Secondo l'ipotesi seguita in un primo momento dagli investigatori, potrebbe essersi trattato di un suicidio. Ma sono in corso ulteriori accertamenti, anche perché in casa sono stati trovati alcuni oggetti rotti. Ed è su queste basi che chi indaga non esclude l'ipotesi che porta ad un omicidio. Proprio la sopracitata sciarpa con i colori del Casarano potrebbe rappresentare un indizio. La svolta è arrivata in tarda mattinata, proprio mentre il corpo della ragazza veniva trasferito presso la camera mortuaria dove saranno eseguiti ulteriori accertamenti: i militari dell'Arma hanno accompagnato un giovane in caserma.
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“Vedi come è piccolo, rispetto ad altri testi sulla violenza o il femminicidio? In questo modo non intimidisce un ragazzo o una ragazza, se si propone di leggerlo”. Ha pensato anche a questo Cristina Obber, autrice di “Non lo faccio più”, libretto che raccoglie l’inedito intreccio tra le parole dei giovani stupratori e delle loro vittime, storie terribili che però possono aprire spazi di cambiamento. Più che un libro “Non lo faccio più” è uno strumento per entrare nelle scuole italiane a parlare, ma soprattutto far parlare, di violenza, sessualità e lacerazione. E sappiamo bene quanto ce ne sia bisogno, specialmente nella fascia d’età tra i 13 e i 25 anni. “Ciò che manca ai ragazzi, anche e soprattutto a quelli che hanno fatto violenza, spesso giovanissimi stupratori, talvolta in gruppo, di coetanee, è la consapevolezza della fisicità di quel gesto: si deve, e si può, con le parole giuste, parlare loro di lacerazione del corpo e dell’anima della vittima di stupro –racconta Obber-. Spesso invece si gira intorno a questo punto, non si nominano la carne e il sangue. Bisogna raccontare che c’è un corpo ferito, altrimenti si fa solo del falso pudore”. Il progetto del libro, che si accompagna con la proposta di momenti di incontro e formazione a partire dal secondo ciclo delle superiori fino all’università, è nato non a tavolino, ma durante un viaggio in auto. Obber racconta che qualche mese fa l’ennesima notizia di un nuovo stupro di gruppo che coinvolgeva giovanissimi carnefici e un altrettanto giovanissima vittima non l’ha attraversata in fretta, come purtroppo accade, anche per istinto di conservazione. Da quel momento è scattata la determinazione che qualcosa lei lo doveva fare. E così è stato: il bisogno di andare alla fonte, di guardare negli occhi i ragazzini stupratori, che non sono mostri, ma ragazzi che potrebbero essere figli tuoi, i nostri ragazzi, ha preso corpo nel testo. E se passare all’azione è stato certo più complicato che decidere, l’esperienza di Obber svela che, dietro alla cortina di silenzio, e spesso disinteresse mediatico per il quotidiano lavoro di chi si occupa di prevenzione della violenza, c’è una rete, in Italia, fitta e attivissima di persone, associazioni e gruppi che senza denaro a sufficienza (e spesso senza nemmeno quello insufficiente) formano il tessuto connettivo che resiste, che continua a creare luoghi e occasioni di ascolto, e che si attiva per riparare i danni. Maggiori informazioni a questo link. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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“Vedi come è piccolo, rispetto ad altri testi sulla violenza o il femminicidio? In questo modo non intimidisce un ragazzo o una ragazza, se si propone di leggerlo”. Ha pensato anche a questo Cristina Obber, autrice di “Non lo faccio più”, libretto che raccoglie l’inedito intreccio tra le parole dei giovani stupratori e delle loro vittime, storie terribili che però possono aprire spazi di cambiamento. Più che un libro “Non lo faccio più” è uno strumento per entrare nelle scuole italiane a parlare, ma soprattutto far parlare, di violenza, sessualità e lacerazione. E sappiamo bene quanto ce ne sia bisogno, specialmente nella fascia d’età tra i 13 e i 25 anni. “Ciò che manca ai ragazzi, anche e soprattutto a quelli che hanno fatto violenza, spesso giovanissimi stupratori, talvolta in gruppo, di coetanee, è la consapevolezza della fisicità di quel gesto: si deve, e si può, con le parole giuste, parlare loro di lacerazione del corpo e dell’anima della vittima di stupro –racconta Obber-. Spesso invece si gira intorno a questo punto, non si nominano la carne e il sangue. Bisogna raccontare che c’è un corpo ferito, altrimenti si fa solo del falso pudore”. Il progetto del libro, che si accompagna con la proposta di momenti di incontro e formazione a partire dal secondo ciclo delle superiori fino all’università, è nato non a tavolino, ma durante un viaggio in auto. Obber racconta che qualche mese fa l’ennesima notizia di un nuovo stupro di gruppo che coinvolgeva giovanissimi carnefici e un altrettanto giovanissima vittima non l’ha attraversata in fretta, come purtroppo accade, anche per istinto di conservazione. Da quel momento è scattata la determinazione che qualcosa lei lo doveva fare. E così è stato: il bisogno di andare alla fonte, di guardare negli occhi i ragazzini stupratori, che non sono mostri, ma ragazzi che potrebbero essere figli tuoi, i nostri ragazzi, ha preso corpo nel testo. E se passare all’azione è stato certo più complicato che decidere, l’esperienza di Obber svela che, dietro alla cortina di silenzio, e spesso disinteresse mediatico per il quotidiano lavoro di chi si occupa di prevenzione della violenza, c’è una rete, in Italia, fitta e attivissima di persone, associazioni e gruppi che senza denaro a sufficienza (e spesso senza nemmeno quello insufficiente) formano il tessuto connettivo che resiste, che continua a creare luoghi e occasioni di ascolto, e che si attiva per riparare i danni. Maggiori informazioni a questo link.
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Nessuno mi può giudicare: già à metà anni ‘60 una canzone poneva la questione dell’equità di genere: la cantava una ragazza con caschetto biondo, Caterina Caselli. Caterina Caselli Caterina Caselli Aveva capito che la canzone era vessillo di libertà al femminile? «Lo è diventata. All’epoca non c’era questa consapevolezza né da parte degli autori né da parte mia, il femminismo come fenomeno di massa era ancora lontano, era piuttosto una affermazione caparbia del diritto di ognuno di “ vivere come può”. Credo di essere stata percepita come una sorella vivace, diretta, con le idee chiare sulla libertà. In fondo sono nata nel 1946 quando le donne italiane hanno potuto votare per la prima volta. Sarà un caso o un segno?». Allora come l’ha vissuta? «In quel fatidico 1966 vivevo come in una bolla felice, mi sentivo amata, avevo tante soddisfazioni, ho raggiunto l’autonomia economica, mia madre non mi osteggiava più. Ero a Ischia per i fanghi e una donna, non giovane, mentre mi spalmava il fango sulla schiena mi disse “Signurì, voi mi piacevate così tanto perché eravate prepotente”. Forse il più bel complimento che abbia mai avuto, una donna che in qualche modo si sentiva riscattata da quella canzone: possiamo anche sbagliare ma nessuno deve giudicarci male». Le donne hanno saputo comunicare il bisogno di parità? «Passi da gigante ne sono stati fatti, eppure il tasso di femminicidi è in crescita, ed è spaventoso perché nasconde una idea tribale dei rapporti basata sul possesso. Una parola chiave è: fare sistema». I diritti si ottengono marciando uniti, uomini e donne? «Senza fare tante storie qui si tratta di rivedere consuetudini e leggi per eliminare ogni differenza nei diritti fondamentali di accesso al lavoro, all’educazione, a una vita libera e auto-determinata… Uomini e donne insieme, il problema riguarda tutti». L’equilibrio con suo marito, Piero Sugar, su cosa era basato? «C’è sempre stato rispetto e questo l’ha rafforzata anche nei momenti delicati della nostra vita insieme, che non sono mancati». Prima cosa da fare per le donne? «Vorrei che ogni donna potesse essere libera di istruirsi, di scegliere la propria religione. A proposito di diritti mi viene in mente una canzone di Andrea Satta, che sintetizza: non è un diritto l’amore, “l’importante è lasciarsi bene, molto più che amarsi follemente, pensando al proprio passato insieme come un dono”». Il Tempo delle donne 2022 Leggi qui tutte le protagoniste e tutti i protagonisti della nona edizione del Tempo delle Donne. Qui il programma | focus victim | ### Instruction:
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Nessuno mi può giudicare: già à metà anni ‘60 una canzone poneva la questione dell’equità di genere: la cantava una ragazza con caschetto biondo, Caterina Caselli. Caterina Caselli Caterina Caselli Aveva capito che la canzone era vessillo di libertà al femminile? «Lo è diventata. All’epoca non c’era questa consapevolezza né da parte degli autori né da parte mia, il femminismo come fenomeno di massa era ancora lontano, era piuttosto una affermazione caparbia del diritto di ognuno di “ vivere come può”. Credo di essere stata percepita come una sorella vivace, diretta, con le idee chiare sulla libertà. In fondo sono nata nel 1946 quando le donne italiane hanno potuto votare per la prima volta. Sarà un caso o un segno?». Allora come l’ha vissuta? «In quel fatidico 1966 vivevo come in una bolla felice, mi sentivo amata, avevo tante soddisfazioni, ho raggiunto l’autonomia economica, mia madre non mi osteggiava più. Ero a Ischia per i fanghi e una donna, non giovane, mentre mi spalmava il fango sulla schiena mi disse “Signurì, voi mi piacevate così tanto perché eravate prepotente”. Forse il più bel complimento che abbia mai avuto, una donna che in qualche modo si sentiva riscattata da quella canzone: possiamo anche sbagliare ma nessuno deve giudicarci male». Le donne hanno saputo comunicare il bisogno di parità? «Passi da gigante ne sono stati fatti, eppure il tasso di femminicidi è in crescita, ed è spaventoso perché nasconde una idea tribale dei rapporti basata sul possesso. Una parola chiave è: fare sistema». I diritti si ottengono marciando uniti, uomini e donne? «Senza fare tante storie qui si tratta di rivedere consuetudini e leggi per eliminare ogni differenza nei diritti fondamentali di accesso al lavoro, all’educazione, a una vita libera e auto-determinata… Uomini e donne insieme, il problema riguarda tutti». L’equilibrio con suo marito, Piero Sugar, su cosa era basato? «C’è sempre stato rispetto e questo l’ha rafforzata anche nei momenti delicati della nostra vita insieme, che non sono mancati». Prima cosa da fare per le donne? «Vorrei che ogni donna potesse essere libera di istruirsi, di scegliere la propria religione. A proposito di diritti mi viene in mente una canzone di Andrea Satta, che sintetizza: non è un diritto l’amore, “l’importante è lasciarsi bene, molto più che amarsi follemente, pensando al proprio passato insieme come un dono”». Il Tempo delle donne 2022 Leggi qui tutte le protagoniste e tutti i protagonisti della nona edizione del Tempo delle Donne. Qui il programma
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Ha confessato l’omicidio della ex fidanzata, da cui era stato lasciato solo da qualche giorno. “Le ho dato fuoco con un accendino dopo averla cosparsa di alcol mentre era ancora viva”, ha detto agli inquirenti Vincenzo Paduano, 27 anni, fermato all’alba dopo un lungo interrogatorio. Otto ore in cui “messo di fronte all’evidenza dei dati, ha provato a negare anche i dati certi, e poi alla fine ha ammesso di aver ucciso Sara“. È stato quindi l’uomo, guardia giurata, a dare fuoco a Sara Di Pietrantonio, 22enne trovata semicarbonizzata in via della Magliana a Roma. Il corpo era nascosto dietro a un cespuglio, in un parcheggio alla periferia della Capitale. A rendere ancora più disarmante la vicenda sono le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Roma Maria Monteleone, che nel corso della conferenza stampa sul fermo di Paduano ha detto: “Se qualcuno si fosse fermato Sara sarebbe ancora viva”. Secondo le ricostruzioni degli investigatori almeno due auto avrebbero visto la ragazza, probabilmente già cosparsa di alcol, chiedere aiuto mentre il suo ex stava dando alle fiamme la sua auto. Ma nessuno si è fermato né ha chiamato le forze dell’ordine. “Ci vuole coraggio da parte dei cittadini – ha aggiunto il capo della squadra mobile di Roma, Luigi Silipo – da parte di chi passa e vede qualcuno in difficoltà, una telefonata al 113 è gratis: se si vedono cose strane è dovere chiamare forze ordine”. La ricostruzione della notte dell’omicidio – Per prima era stata incendiata l’auto della madre sulla quale la ragazza viaggiava: stava tornando a casa dopo una serata trascorsa fuori. Le due si erano sentite intorno alle 3. “Mamma, sto tornando“, le aveva detto al telefono. Poi più nulla: alle 5 del mattino è stato ritrovato il corpo dai vigili del fuoco intervenuti per l’auto in fiamme. Da subito gli inquirenti hanno escluso si trattasse di un incidente. Dopo le prime ore, nelle quali sono stati sentiti parenti e amici della vittima, le indagini si sono concentrate su Paduano che nella notte è stato a lungo interrogato prima del fermo. La procura ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario. La confessione: “Non sopportavo fosse finita” – Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, a inizio serata l’ex fidanzato, indagato anche per stalking, è andato a trovare Sara a casa. I due hanno avuto una “discussione normale”. Poi la studentessa è andata con un’amica in un pub e dopo si è incontrata con il nuovo ragazzo, che frequentava da poco. Secondo le indagini, Paduano ha aspettato Sara sotto casa del nuovo ragazzo e poi, quanto ha visto che arrivava, si è allontanato conoscendo la strada che avrebbe fatto. Ha raggiunto la sua vittima in via della Magliana e l’ha costretta ad accostare. Dopo una lite in macchina, spiegano gli inquirenti, ha cosparso di alcol la Toyota e anche Sara, che però è scesa dalla vettura per mettersi in salvo. Ma lui l’ha inseguita a piedi, le ha dato fuoco quando era ancora viva mentre la ragazza chiedeva disperatamente aiuto. “Un po’ di tempo fa ci eravamo lasciati, ma io non sopportavo che fosse finita. Lei stava con un altro” ha confessato piangendo l’uomo. Al Messaggero la famiglia spiega che la relazione con Paduano – “molto geloso” – era durata due anni, ma che la ragazza, che lo aveva lasciato la settimana scorsa, vedeva già un’altra persona. Sara suonava il flauto traverso e aveva studiato al Conservatorio de L’Aquila. Tra le sue passioni anche la danza, coltivata fin da quando aveva sei anni. Dopo un tentativo fallito di entrare alla facoltà di Medicina e un anno a Chimica, aveva deciso di iscriversi a Economia all’Università di Roma Tre. Era cresciuta con la mamma, che aveva divorziato da suo padre quando la ragazza aveva appena tre anni. Con la figlia, però, era in buoni rapporti. Domani mattina la procura inoltrerà la richiesta di convalida del fermo dell’uomo per omicidio volontario premeditato e stalking. L’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari potrebbe tenersi già mercoledì. Intanto il pm Maria Gabriella Fazi, titolare dell’inchiesta, ha disposto l’autopsia. | focus killer | ### Instruction:
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Ha confessato l’omicidio della ex fidanzata, da cui era stato lasciato solo da qualche giorno. “Le ho dato fuoco con un accendino dopo averla cosparsa di alcol mentre era ancora viva”, ha detto agli inquirenti Vincenzo Paduano, 27 anni, fermato all’alba dopo un lungo interrogatorio. Otto ore in cui “messo di fronte all’evidenza dei dati, ha provato a negare anche i dati certi, e poi alla fine ha ammesso di aver ucciso Sara“. È stato quindi l’uomo, guardia giurata, a dare fuoco a Sara Di Pietrantonio, 22enne trovata semicarbonizzata in via della Magliana a Roma. Il corpo era nascosto dietro a un cespuglio, in un parcheggio alla periferia della Capitale. A rendere ancora più disarmante la vicenda sono le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Roma Maria Monteleone, che nel corso della conferenza stampa sul fermo di Paduano ha detto: “Se qualcuno si fosse fermato Sara sarebbe ancora viva”. Secondo le ricostruzioni degli investigatori almeno due auto avrebbero visto la ragazza, probabilmente già cosparsa di alcol, chiedere aiuto mentre il suo ex stava dando alle fiamme la sua auto. Ma nessuno si è fermato né ha chiamato le forze dell’ordine. “Ci vuole coraggio da parte dei cittadini – ha aggiunto il capo della squadra mobile di Roma, Luigi Silipo – da parte di chi passa e vede qualcuno in difficoltà, una telefonata al 113 è gratis: se si vedono cose strane è dovere chiamare forze ordine”. La ricostruzione della notte dell’omicidio – Per prima era stata incendiata l’auto della madre sulla quale la ragazza viaggiava: stava tornando a casa dopo una serata trascorsa fuori. Le due si erano sentite intorno alle 3. “Mamma, sto tornando“, le aveva detto al telefono. Poi più nulla: alle 5 del mattino è stato ritrovato il corpo dai vigili del fuoco intervenuti per l’auto in fiamme. Da subito gli inquirenti hanno escluso si trattasse di un incidente. Dopo le prime ore, nelle quali sono stati sentiti parenti e amici della vittima, le indagini si sono concentrate su Paduano che nella notte è stato a lungo interrogato prima del fermo. La procura ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario. La confessione: “Non sopportavo fosse finita” – Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, a inizio serata l’ex fidanzato, indagato anche per stalking, è andato a trovare Sara a casa. I due hanno avuto una “discussione normale”. Poi la studentessa è andata con un’amica in un pub e dopo si è incontrata con il nuovo ragazzo, che frequentava da poco. Secondo le indagini, Paduano ha aspettato Sara sotto casa del nuovo ragazzo e poi, quanto ha visto che arrivava, si è allontanato conoscendo la strada che avrebbe fatto. Ha raggiunto la sua vittima in via della Magliana e l’ha costretta ad accostare. Dopo una lite in macchina, spiegano gli inquirenti, ha cosparso di alcol la Toyota e anche Sara, che però è scesa dalla vettura per mettersi in salvo. Ma lui l’ha inseguita a piedi, le ha dato fuoco quando era ancora viva mentre la ragazza chiedeva disperatamente aiuto. “Un po’ di tempo fa ci eravamo lasciati, ma io non sopportavo che fosse finita. Lei stava con un altro” ha confessato piangendo l’uomo. Al Messaggero la famiglia spiega che la relazione con Paduano – “molto geloso” – era durata due anni, ma che la ragazza, che lo aveva lasciato la settimana scorsa, vedeva già un’altra persona. Sara suonava il flauto traverso e aveva studiato al Conservatorio de L’Aquila. Tra le sue passioni anche la danza, coltivata fin da quando aveva sei anni. Dopo un tentativo fallito di entrare alla facoltà di Medicina e un anno a Chimica, aveva deciso di iscriversi a Economia all’Università di Roma Tre. Era cresciuta con la mamma, che aveva divorziato da suo padre quando la ragazza aveva appena tre anni. Con la figlia, però, era in buoni rapporti. Domani mattina la procura inoltrerà la richiesta di convalida del fermo dell’uomo per omicidio volontario premeditato e stalking. L’interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari potrebbe tenersi già mercoledì. Intanto il pm Maria Gabriella Fazi, titolare dell’inchiesta, ha disposto l’autopsia.
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Una donna è stata sfigurata con l’acido stamani a Genova. E’ accaduto intorno alle 6 nei pressi dell’ospedale Galliera dove la vittima – 46 anni, sposata e con figli – lavora come impiegata di una impresa di pulizie. L’aggressore al momento è sconosciuto. Secondo quanto appreso, ha atteso a volto coperto la donna in strada a fine turno e poi le ha gettato addosso il liquido. La vittima, portata d’urgenza al pronto soccorso dello stesso ospedale, ha ustioni al volto. La vittima è una genovese, che è stata ascoltata dai carabinieri del nucleo radiomobile impegnati nelle ricerche dell’aggressore. La donna è stata intanto trasferita d’urgenza all’Ospedale San Martino, nella clinica oculistica. Dalle prime ricostruzioni è emerso intanto che l’impiegata delle pulizie è stata aggredita all’interno dell’ospedale Galliera, e non in strada come era emerso in un primo momento. Dopo avere richiuso l’armadietto in una sala riservata al personale, si è incamminata verso l’uscita quando è stata affrontata da un uomo. Le sue urla hanno subito fatto accorrere alcune colleghe che hanno tentato di alleviarle il dolore con dell’acqua prima di portarla al pronto soccorso. “Ho sentito delle urla terribili, sono corsa e ho visto la mia collega con la divisa in parte lacerata, e dei segni sulle labbra e sul viso”. E’ la testimonianza di una collega della donna aggredita stamani con dell’acido da un uomo all’interno dell’Ospedale Galliera di Genova. Sulle condizioni della vittima, comunque, i medici del San Martino di Genova manifestano “cauto ottimismo”. Per il momento, la donna non sarà sottoposta ad alcun intervento chirurgico: la sostanza con la quale è stata aggredita ha colpito esternamente la palpebra dell’ occhio destro e la cornea mentre la lesione più importante sembra essere quella delle labbra e dell’epidermide del braccio destro con il quale ha cercato di ripararsi il volto al momento dell’aggressione. La donna resta comunque ricoverata nel reparto di oculistica. Da quanto si apprende, l’aggressore ha agito il volto coperto, non è ancora chiaro se da un passamontagna o da un altro indumento. L’uomo è riuscito a fuggire di corsa lungo i viali interni dell’ospedale, che sorge nel centro di Genova, prima che ai varchi di uscita arrivasse l’allarme delle colleghe della donna. La vittima non è riuscita finora a dare indicazioni precise per l’identificazione. I carabinieri del nucleo radiomobile indagano nella vita sentimentale della donna per cercare di risalire all’aggressore. “Se fosse confermata la pista sentimentale, si tratterebbe dell’ennesimo caso di violenza sulle donne da parte di una persona con cui è intercorsa una relazione . Spesso la volontà di troncare relazioni e rapporti di coppia, genera negli ex partner la ferocia e la volontà persecutoria, per non voler accettare ‘comportamenti insubordinati’ e affermazione dell’autonomia femminile”, ha dichiarato Isabella Rauti, consigliere del ministro dell’Interno per le politiche di Contrasto alla Violenza di Genere, ricordando l’importanza del decreto sul femminicidio approvato dal governo negli scorsi giorni. L’ultimo episodio risale al maggio scorso, quando a Vicenza una ragazza di 31 anni era stata ustionata con acido da due uomini incapucciati. Ad aprile, invece, l‘avvocato Lucia Annibali di Pesaro era stata aggredita in casa da un uomo di origini albanesi, complice dell’ex fidanzato Luca Varani. | focus victim | ### Instruction:
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Una donna è stata sfigurata con l’acido stamani a Genova. E’ accaduto intorno alle 6 nei pressi dell’ospedale Galliera dove la vittima – 46 anni, sposata e con figli – lavora come impiegata di una impresa di pulizie. L’aggressore al momento è sconosciuto. Secondo quanto appreso, ha atteso a volto coperto la donna in strada a fine turno e poi le ha gettato addosso il liquido. La vittima, portata d’urgenza al pronto soccorso dello stesso ospedale, ha ustioni al volto. La vittima è una genovese, che è stata ascoltata dai carabinieri del nucleo radiomobile impegnati nelle ricerche dell’aggressore. La donna è stata intanto trasferita d’urgenza all’Ospedale San Martino, nella clinica oculistica. Dalle prime ricostruzioni è emerso intanto che l’impiegata delle pulizie è stata aggredita all’interno dell’ospedale Galliera, e non in strada come era emerso in un primo momento. Dopo avere richiuso l’armadietto in una sala riservata al personale, si è incamminata verso l’uscita quando è stata affrontata da un uomo. Le sue urla hanno subito fatto accorrere alcune colleghe che hanno tentato di alleviarle il dolore con dell’acqua prima di portarla al pronto soccorso. “Ho sentito delle urla terribili, sono corsa e ho visto la mia collega con la divisa in parte lacerata, e dei segni sulle labbra e sul viso”. E’ la testimonianza di una collega della donna aggredita stamani con dell’acido da un uomo all’interno dell’Ospedale Galliera di Genova. Sulle condizioni della vittima, comunque, i medici del San Martino di Genova manifestano “cauto ottimismo”. Per il momento, la donna non sarà sottoposta ad alcun intervento chirurgico: la sostanza con la quale è stata aggredita ha colpito esternamente la palpebra dell’ occhio destro e la cornea mentre la lesione più importante sembra essere quella delle labbra e dell’epidermide del braccio destro con il quale ha cercato di ripararsi il volto al momento dell’aggressione. La donna resta comunque ricoverata nel reparto di oculistica. Da quanto si apprende, l’aggressore ha agito il volto coperto, non è ancora chiaro se da un passamontagna o da un altro indumento. L’uomo è riuscito a fuggire di corsa lungo i viali interni dell’ospedale, che sorge nel centro di Genova, prima che ai varchi di uscita arrivasse l’allarme delle colleghe della donna. La vittima non è riuscita finora a dare indicazioni precise per l’identificazione. I carabinieri del nucleo radiomobile indagano nella vita sentimentale della donna per cercare di risalire all’aggressore. “Se fosse confermata la pista sentimentale, si tratterebbe dell’ennesimo caso di violenza sulle donne da parte di una persona con cui è intercorsa una relazione . Spesso la volontà di troncare relazioni e rapporti di coppia, genera negli ex partner la ferocia e la volontà persecutoria, per non voler accettare ‘comportamenti insubordinati’ e affermazione dell’autonomia femminile”, ha dichiarato Isabella Rauti, consigliere del ministro dell’Interno per le politiche di Contrasto alla Violenza di Genere, ricordando l’importanza del decreto sul femminicidio approvato dal governo negli scorsi giorni. L’ultimo episodio risale al maggio scorso, quando a Vicenza una ragazza di 31 anni era stata ustionata con acido da due uomini incapucciati. Ad aprile, invece, l‘avvocato Lucia Annibali di Pesaro era stata aggredita in casa da un uomo di origini albanesi, complice dell’ex fidanzato Luca Varani.
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Verso
La 27enne, madre di una bimba di 4, è stata uccisa a colpi di pistola in strada. Era appena uscita da una pasticceria. L’uomo ha fatto perdere le tracce
C’è un indagato per l’omicidio di Giovanna Cantarero, 27 anni, assassinata ieri sera a Lineri, una frazione di Misterbianco, nel Catanese. Dell’uomo si sono perse le tracce. Le indagini dei carabinieri hanno imboccato con decisione la pista del femminicidio. Si concentrano sulla relazione sentimentale della vittima, giovane mamma di una bimba di quattro anni, che poco dopo le 21.30 aveva finito il suo turno di lavoro in un panificio-pasticceria. È uscita dal locale con un’amica in attesa che la mamma venisse a prenderla in macchina. Ed invece è arrivato il suo assassino che da distanza ravvicinata ha sparato una raffica di colpi di pistola. Sono tre quelli che hanno raggiunto la vittima, due le hanno sfigurato il volto. Il corpo della ragazza è crollato sull’asfalto all’incrocio fra le vie Salvador Allende e Alfredo Nobel. Due strade buie, illuminate solo dai fari dell’attività commerciale.
La busta con il pane Quando sono arrivati i carabinieri per terra c’era la busta con il pane che la giovane mamma stava portando a casa. Era inzuppato dall’acqua che da ieri cade piovosa sulla Sicilia. L’amica ha raccontato che l’assassino aveva il volto coperto e per questo non è riuscita a vederlo in faccia. Probabilmente c’è anche della reticenza nel suo racconto, dovuta alla paura. Gli investigatori coordinati dal procuratore Carmelo Zuccaro e dal sostituto Valentina Botta hanno interrogato parenti e amici. Per prima cosa hanno escluso la pista della criminalità organizzata, nonostante le modalità dell’agguato. Infine si sono concentrati sul femminicidio e s ull’ex fidanzato, che non è il padre della figlia della vittima. Di lui non c’è traccia. Ed è caccia all’uomo. | focus victim | ### Instruction:
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La 27enne, madre di una bimba di 4, è stata uccisa a colpi di pistola in strada. Era appena uscita da una pasticceria. L’uomo ha fatto perdere le tracce
C’è un indagato per l’omicidio di Giovanna Cantarero, 27 anni, assassinata ieri sera a Lineri, una frazione di Misterbianco, nel Catanese. Dell’uomo si sono perse le tracce. Le indagini dei carabinieri hanno imboccato con decisione la pista del femminicidio. Si concentrano sulla relazione sentimentale della vittima, giovane mamma di una bimba di quattro anni, che poco dopo le 21.30 aveva finito il suo turno di lavoro in un panificio-pasticceria. È uscita dal locale con un’amica in attesa che la mamma venisse a prenderla in macchina. Ed invece è arrivato il suo assassino che da distanza ravvicinata ha sparato una raffica di colpi di pistola. Sono tre quelli che hanno raggiunto la vittima, due le hanno sfigurato il volto. Il corpo della ragazza è crollato sull’asfalto all’incrocio fra le vie Salvador Allende e Alfredo Nobel. Due strade buie, illuminate solo dai fari dell’attività commerciale.
La busta con il pane Quando sono arrivati i carabinieri per terra c’era la busta con il pane che la giovane mamma stava portando a casa. Era inzuppato dall’acqua che da ieri cade piovosa sulla Sicilia. L’amica ha raccontato che l’assassino aveva il volto coperto e per questo non è riuscita a vederlo in faccia. Probabilmente c’è anche della reticenza nel suo racconto, dovuta alla paura. Gli investigatori coordinati dal procuratore Carmelo Zuccaro e dal sostituto Valentina Botta hanno interrogato parenti e amici. Per prima cosa hanno escluso la pista della criminalità organizzata, nonostante le modalità dell’agguato. Infine si sono concentrati sul femminicidio e s ull’ex fidanzato, che non è il padre della figlia della vittima. Di lui non c’è traccia. Ed è caccia all’uomo.
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Bisogna "agire sulla prevenzione con tempestività". Perché questo può "salvare delle vite" per davvero. Dopo gli episodi di violenza sulle donne registrati nelle ultime settimane, il ministro Eugenia Roccella ha fatto appello a tutte le forze politiche. Di fronte alla barbarie, serve unità. Lo strumento per rispondere all'urgenza "che ancora una volta e incessantemente le cronache ci propongono" - ha sottolineato l'esponente di governo - "c'è ed è il testo di legge varato dall'esecutivo, che mette in campo strumenti fortemente orientati alla prevenzione". Tale provvedimento, ha argomentato ancora Roccella, "è stato voluto come disegno di legge proprio perché su un tema come questo ci sia la massima condivisione". Femminicidi, il disegno di legge L'unione di intenti, in questo caso, può davvero essere la chiave di volta. Il segno di una politica vicina alle urgenze. Il suddetto disegno di legge è infatti già stato assegnato alla Commissione Giustizia della Camera e ora - ha auspicato Roccella - "siamo certi che ci sarà l'impegno di tutti, senza distinzioni di parte, affinché diventi presto legge dello Stato". Il ministro ha poi elencato all'Ansa le risoluzioni previste dal provvedimento: "il rafforzamento delle misure di prevenzione, l'uso più stringente dell'ammonimento, il potenziamento del braccialetto elettronico, l'arresto in flagranza differita". E ancora, "la previsione di tempi rapidi e certi per la valutazione del rischio da parte dei magistrati e per l'applicazione delle misure dopo le tante condanne che l'Italia ha ricevuto per ritardi drammatici che sono costati la vita a tante donne". "Spezzare il ciclo di violenza" Si tratta di interventi che - ha proseguito Roccella - "possono risolvere le inadeguatezze delle norme attuali e spezzare il ciclo della violenza prima che sia troppo tardi". Da qui, l'ulteriore appello alla tempestività per salvare vite. Dall'inizio dell'anno, nei primi sette mesi e mezzo del 2023, sono state uccise 75 donne. Anna Scala, 56 anni, è solo l'ultima vittima in ordine di tempo e il suo nome ancora non compare negli algidi elenchi che fotografano il fenomeno. Ieri, 17 agosto, la donna è stata accoltellata a morte a Piano di Sorrento dall'ex compagno, che lei stessa aveva già denunciato due volte per stalking. Nelle scorse ore a Silandro (Bolzano) sono stati celebrati i funerali della 21enne Celine Frei Matzohl, uccisa dal suo ex Omer Cim con nove coltellate. Il suo corpo era stato trovato senza vita in casa dell'uomo, mentre questi tentava di fuggire in Austria. Celine a giugno lo aveva denunciato ai carabinieri dopo essere stata percossa e minacciata e subito era scattato il "codice rosso". Ma non era stato possibile chiedere le misure cautelari perché si trattava di un unico episodio. Anche Mariella Marino, 56 anni, si era rivolta alle autorità dopo le minacce dell'ex marito, che a luglio l'aveva attesa all'uscita di un supermercato e l'aveva rincorsa per poi ucciderla con tre colpi d'arma da fuoco. L'intenzione del governo è quella di fermare il "ciclo di violenza", di intervenire con la legalità per fermare la follia. Prima che sia troppo tardi. | focus victim | ### Instruction:
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Bisogna "agire sulla prevenzione con tempestività". Perché questo può "salvare delle vite" per davvero. Dopo gli episodi di violenza sulle donne registrati nelle ultime settimane, il ministro Eugenia Roccella ha fatto appello a tutte le forze politiche. Di fronte alla barbarie, serve unità. Lo strumento per rispondere all'urgenza "che ancora una volta e incessantemente le cronache ci propongono" - ha sottolineato l'esponente di governo - "c'è ed è il testo di legge varato dall'esecutivo, che mette in campo strumenti fortemente orientati alla prevenzione". Tale provvedimento, ha argomentato ancora Roccella, "è stato voluto come disegno di legge proprio perché su un tema come questo ci sia la massima condivisione". Femminicidi, il disegno di legge L'unione di intenti, in questo caso, può davvero essere la chiave di volta. Il segno di una politica vicina alle urgenze. Il suddetto disegno di legge è infatti già stato assegnato alla Commissione Giustizia della Camera e ora - ha auspicato Roccella - "siamo certi che ci sarà l'impegno di tutti, senza distinzioni di parte, affinché diventi presto legge dello Stato". Il ministro ha poi elencato all'Ansa le risoluzioni previste dal provvedimento: "il rafforzamento delle misure di prevenzione, l'uso più stringente dell'ammonimento, il potenziamento del braccialetto elettronico, l'arresto in flagranza differita". E ancora, "la previsione di tempi rapidi e certi per la valutazione del rischio da parte dei magistrati e per l'applicazione delle misure dopo le tante condanne che l'Italia ha ricevuto per ritardi drammatici che sono costati la vita a tante donne". "Spezzare il ciclo di violenza" Si tratta di interventi che - ha proseguito Roccella - "possono risolvere le inadeguatezze delle norme attuali e spezzare il ciclo della violenza prima che sia troppo tardi". Da qui, l'ulteriore appello alla tempestività per salvare vite. Dall'inizio dell'anno, nei primi sette mesi e mezzo del 2023, sono state uccise 75 donne. Anna Scala, 56 anni, è solo l'ultima vittima in ordine di tempo e il suo nome ancora non compare negli algidi elenchi che fotografano il fenomeno. Ieri, 17 agosto, la donna è stata accoltellata a morte a Piano di Sorrento dall'ex compagno, che lei stessa aveva già denunciato due volte per stalking. Nelle scorse ore a Silandro (Bolzano) sono stati celebrati i funerali della 21enne Celine Frei Matzohl, uccisa dal suo ex Omer Cim con nove coltellate. Il suo corpo era stato trovato senza vita in casa dell'uomo, mentre questi tentava di fuggire in Austria. Celine a giugno lo aveva denunciato ai carabinieri dopo essere stata percossa e minacciata e subito era scattato il "codice rosso". Ma non era stato possibile chiedere le misure cautelari perché si trattava di un unico episodio. Anche Mariella Marino, 56 anni, si era rivolta alle autorità dopo le minacce dell'ex marito, che a luglio l'aveva attesa all'uscita di un supermercato e l'aveva rincorsa per poi ucciderla con tre colpi d'arma da fuoco. L'intenzione del governo è quella di fermare il "ciclo di violenza", di intervenire con la legalità per fermare la follia. Prima che sia troppo tardi.
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Omicidio-suicidio in via delle Ande. Una donna di 91 anni, Miranda Pomini, e il figlio di 56 anni, Marco De Marchi, sono stati trovati morti nella loro casa a Milano. Il ritrovamento è avvenuto nel pomeriggio di mercoledì 11 maggio. Madre e figlio vivevano in due piani diversi dello stesso stabile in zona Uruguay. L’uomo è stato trovato in bagno e, sin dall'inizio, i carabinieri hanno avuto pochi dubbi sulla sua morte: si è tolto la vita impiccandosi. L’anziana madre, invece, era sul divano e per le condizioni in cui è stata trovata dovrebbe essere morta per soffocamento: aveva del nastro adesivo su naso e bocca. Secondo quanto è stato ricostruito dai carabinieri, la donna viveva da sola in un appartamento al terzo piano nello stabile di via delle Ande ma, per quanto autosufficiente, era assistita quotidianamente dai due figli che abitavano al piano superiore. Marco De Marchi, probabilmente nel pomeriggio, è sceso nell'appartamento dell'anziana e l'ha uccisa, poi si è tolto la vita impiccandosi in bagno. E' stato l'altro fratello a scoprire la tragedia. Un elemento che è emerso, stando ad alcune testimonianze raccolte dai carabinieri, è il fatto che l'uomo era rimasto molto turbato dalla morte del padre, avvenuta nel 2018 al termine di un calvario per una malattia degenerativa. | focus victim | ### Instruction:
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Omicidio-suicidio in via delle Ande. Una donna di 91 anni, Miranda Pomini, e il figlio di 56 anni, Marco De Marchi, sono stati trovati morti nella loro casa a Milano. Il ritrovamento è avvenuto nel pomeriggio di mercoledì 11 maggio. Madre e figlio vivevano in due piani diversi dello stesso stabile in zona Uruguay. L’uomo è stato trovato in bagno e, sin dall'inizio, i carabinieri hanno avuto pochi dubbi sulla sua morte: si è tolto la vita impiccandosi. L’anziana madre, invece, era sul divano e per le condizioni in cui è stata trovata dovrebbe essere morta per soffocamento: aveva del nastro adesivo su naso e bocca. Secondo quanto è stato ricostruito dai carabinieri, la donna viveva da sola in un appartamento al terzo piano nello stabile di via delle Ande ma, per quanto autosufficiente, era assistita quotidianamente dai due figli che abitavano al piano superiore. Marco De Marchi, probabilmente nel pomeriggio, è sceso nell'appartamento dell'anziana e l'ha uccisa, poi si è tolto la vita impiccandosi in bagno. E' stato l'altro fratello a scoprire la tragedia. Un elemento che è emerso, stando ad alcune testimonianze raccolte dai carabinieri, è il fatto che l'uomo era rimasto molto turbato dalla morte del padre, avvenuta nel 2018 al termine di un calvario per una malattia degenerativa.
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focus victim</s> |
Lucca, ai funerali di Vania tutta la squadra della Lucchese Lucca, i funerali di Vania Vannucchi e il lungo abbraccio della città Chi porta un fiore, chi un palloncino o chi semplicemente indossa qualcosa di rosso, proprio come avevano chiesto le associazioni e i centri contro la violenza sulle donne. Un'intera città si stringe intorno ai familiari di Vania Vannucchi, l'operatrice sociosanitaria data alle fiamme e uccisa martedì 2 agosto. Ai funerali, nella chiesa di San Marco, ci sono i genitori, i figli e l'ex marito della donna. Ma ci sono anche tutti i giocatori della Lucchese calcio, che hanno voluto stare vicini al padre di Vania, Arturo Vannucchi, massaggiatore della squadra LEGGI L'ARTICOLO (Foto Riccardo Sanesi) Pisa, la rosa del governatore Rossi per Vania Una rosa per Vania Vannucchi. Questa mattina il governatore della Toscana Enrico Rossi ha portato un fiore all'obitorio dell'ospdeale Santa Chiara di Pisa in memoria della donna cosparsa di benzina e data alle fiamme martedì 2 agosto, a Lucca. Era stata portata al centro grandi ustionati, all'ospedale Cisanello (Pisa), dove è deceduta la mattina seguente. LUCCA - Le colleghe con le rose rosse in mano, le lacrime di chi l'ha conosciuta, la chiesa di San Marco strapiena di gente. Malgrado il caldo, malgrado agosto. Lucca dice addio a Vania Vannucchi nella chiesa di San Marco, la stessa parrocchia frequentata dalla donna uccisa con la benzina nel piazzale dell'ex ospedale Campo di Marte poco distante da qui. Le donne di varie associazioni e centri antiviolenza avevano chiesto di portare qualcosa di rosso: chi ha portato un fiocco al braccio, chi una cintura, piccoli segnali di solidarietà al dolore, segnali di solidarietà e rabbia verso una fine così tragica, così ingiusta. Un lungo applauso ha accompagnato l'ingresso del feretro in chiesa. A celebrare i funerali l'arcivescovo di Lucca, Italo Castellani: "Bisogna vivere le relazioni quotidiane senza possessione e saper dire no all'odio. Ora" ha detto. Erano presenti i genitori e i figli di Vania, e c'era anche l'ex marito. Tutti i giocatori della Lucchese calcio hanno voluto partecipare per stare vicino al padre di Vania, Alvaro Vannucchi, massaggiatore della squadra.Prima delle esequie è stata organizzata una manifestazione in memoria della donna e in memoria di tutte le altre vittime di femminicidio. Attraverso Facebook donne e uomini si sono dati appuntamento alle 15 al Caffè delle Mura di Lucca. Un minuto di silenzio e poi i palloncini liberati verso il cielo. Gli stessi palloncini che le colleghe e i colleghi che lavoravano con Vania al pronto soccorso di Lucca hanno portato di fronte alla chiesa.Vania sarà sepolta nel cimitero di Lucca. Intanto Pasquale Russo, l'ex collega della donna, accusato di aver ucciso l'operatrice sociosanitaria, resta in carcere . A deciderlo e a convalidare l'arresto, il gip Giuseppe Pezzuti. Russo, che ieri è stato sottoposto all'interrogatorio di garanzia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. I legali dell'uomo hanno confermato la richiesta di perizia psichiatrica per il loro assistito. "Ci sono serie perplessità sulla sua capacità di intendere e di volere", ha dichiarato l'avvocato difensore, Gianfelice Cesaretti.Ieri mattina il governatore della Toscana Enrico Rossi ha portato una rosa rossa all'obitorio di Pisa, dove era custodito il corpo di Vania. Sposata, separata, madre di due giovani, una ragazza di 21 anni e un ragazzo di 17, Vania aveva frequentato per un breve periodo Pasquale Russo, come lei dipendente di una cooperativa che lavora in ambito ospedaliero nel trasporto dei farmaci. Lui si era invaghito di lei, ma lei da un anno non ne voleva più sapere. La gelosia di Russo però era, secondo quanto ha ricostruito la polizia e secondo la testimonianze di alcune amiche della vittima, sempre più invadente e sempre più aggressiva.Di fronte all'ennesimo femminicidio, la Regione, proprio ieri, ha deciso di aggiungere altri 200 mila euro ai 250 mila già stanziati per sostenere i servizi e le politiche contro la violenza sulle donne. Di questi, 50 mila saranno destinati alla formazione nelle scuole e gli altri saranno ripartiti tra i centri antiviolenze. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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Lucca, ai funerali di Vania tutta la squadra della Lucchese Lucca, i funerali di Vania Vannucchi e il lungo abbraccio della città Chi porta un fiore, chi un palloncino o chi semplicemente indossa qualcosa di rosso, proprio come avevano chiesto le associazioni e i centri contro la violenza sulle donne. Un'intera città si stringe intorno ai familiari di Vania Vannucchi, l'operatrice sociosanitaria data alle fiamme e uccisa martedì 2 agosto. Ai funerali, nella chiesa di San Marco, ci sono i genitori, i figli e l'ex marito della donna. Ma ci sono anche tutti i giocatori della Lucchese calcio, che hanno voluto stare vicini al padre di Vania, Arturo Vannucchi, massaggiatore della squadra LEGGI L'ARTICOLO (Foto Riccardo Sanesi) Pisa, la rosa del governatore Rossi per Vania Una rosa per Vania Vannucchi. Questa mattina il governatore della Toscana Enrico Rossi ha portato un fiore all'obitorio dell'ospdeale Santa Chiara di Pisa in memoria della donna cosparsa di benzina e data alle fiamme martedì 2 agosto, a Lucca. Era stata portata al centro grandi ustionati, all'ospedale Cisanello (Pisa), dove è deceduta la mattina seguente. LUCCA - Le colleghe con le rose rosse in mano, le lacrime di chi l'ha conosciuta, la chiesa di San Marco strapiena di gente. Malgrado il caldo, malgrado agosto. Lucca dice addio a Vania Vannucchi nella chiesa di San Marco, la stessa parrocchia frequentata dalla donna uccisa con la benzina nel piazzale dell'ex ospedale Campo di Marte poco distante da qui. Le donne di varie associazioni e centri antiviolenza avevano chiesto di portare qualcosa di rosso: chi ha portato un fiocco al braccio, chi una cintura, piccoli segnali di solidarietà al dolore, segnali di solidarietà e rabbia verso una fine così tragica, così ingiusta. Un lungo applauso ha accompagnato l'ingresso del feretro in chiesa. A celebrare i funerali l'arcivescovo di Lucca, Italo Castellani: "Bisogna vivere le relazioni quotidiane senza possessione e saper dire no all'odio. Ora" ha detto. Erano presenti i genitori e i figli di Vania, e c'era anche l'ex marito. Tutti i giocatori della Lucchese calcio hanno voluto partecipare per stare vicino al padre di Vania, Alvaro Vannucchi, massaggiatore della squadra.Prima delle esequie è stata organizzata una manifestazione in memoria della donna e in memoria di tutte le altre vittime di femminicidio. Attraverso Facebook donne e uomini si sono dati appuntamento alle 15 al Caffè delle Mura di Lucca. Un minuto di silenzio e poi i palloncini liberati verso il cielo. Gli stessi palloncini che le colleghe e i colleghi che lavoravano con Vania al pronto soccorso di Lucca hanno portato di fronte alla chiesa.Vania sarà sepolta nel cimitero di Lucca. Intanto Pasquale Russo, l'ex collega della donna, accusato di aver ucciso l'operatrice sociosanitaria, resta in carcere . A deciderlo e a convalidare l'arresto, il gip Giuseppe Pezzuti. Russo, che ieri è stato sottoposto all'interrogatorio di garanzia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. I legali dell'uomo hanno confermato la richiesta di perizia psichiatrica per il loro assistito. "Ci sono serie perplessità sulla sua capacità di intendere e di volere", ha dichiarato l'avvocato difensore, Gianfelice Cesaretti.Ieri mattina il governatore della Toscana Enrico Rossi ha portato una rosa rossa all'obitorio di Pisa, dove era custodito il corpo di Vania. Sposata, separata, madre di due giovani, una ragazza di 21 anni e un ragazzo di 17, Vania aveva frequentato per un breve periodo Pasquale Russo, come lei dipendente di una cooperativa che lavora in ambito ospedaliero nel trasporto dei farmaci. Lui si era invaghito di lei, ma lei da un anno non ne voleva più sapere. La gelosia di Russo però era, secondo quanto ha ricostruito la polizia e secondo la testimonianze di alcune amiche della vittima, sempre più invadente e sempre più aggressiva.Di fronte all'ennesimo femminicidio, la Regione, proprio ieri, ha deciso di aggiungere altri 200 mila euro ai 250 mila già stanziati per sostenere i servizi e le politiche contro la violenza sulle donne. Di questi, 50 mila saranno destinati alla formazione nelle scuole e gli altri saranno ripartiti tra i centri antiviolenze.
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Sono i 22 anni spezzati di Giulia Cecchettin, accoltellata e uccisa a 150 metri da casa, a Vigonovo, dal fidanzato Filippo Turetta, la sua laurea imminente, la sua voglia di vivere, lo strazio composto del padre e della sorella, un femminicidio che ha devastato l'Italia intera, a rendere quest'anno ancora più intensa la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Con l’avvicinarsi della data ufficiale, il 25 novembre, anche qui, a Torino e in provincia, il calendario con le già tantissime iniziative si arricchisce. Se la Mole Antonelliana sabato 25 si tinge di rosso, a Giaveno da venerdì 24 a domenica 26 saranno illuminate di rosso le fontane delle rotonde del centro e la fontana de Il Mascherone al Municipio. E tornando nel capoluogo, venerdì 24, dalle 15,30 alle 16,30, in via Montebello, le allieve e gli allievi dell’Accademia Cirko Vertigo saranno protagonisti di una performance-parata intitolata “L’amavo troppo e le ho sparato”. E tra le tante chiavi per declinare la manifestazione, sabato 25 alle 14,30, c’è anche quella all'ingresso del Cimitero Parco (via Bertani 80) che propone il reading per ricordare le donne vittime di violenza sepolte nei cimiteri di Torino, proprio di fronte alla panchina rossa a loro dedicata. A Pianezza,dal 23 al 25 novembre tra i vari appuntamenti - film,tavole di confronto e concerti al femminile - va in scena la camminata silenziosa in ricordo delle vittime: partenza sabato 25 alle 18 da via Maiolo 10 per giungere al Municipio. A Torre Pellice, invece, una fiaccolata: partenza venerdì 24 alle 17 da piazza San Martino, arrivo alla Galleria Scroppo dove va in scena "Viola d'amore". Per chi sceglie la musica, all'Educatorio della Provvidenza, corso Trento 13, sabato 25 alle 17 la pianista e compositrice Giuseppina Torre propone “Viaggio nel labirinto del cuore” (ingresso gratuito). Il Club Silencio, invece, dà appuntamento sabato 25 al Museo del Risorgimento: dalle 19 alle 24, all’interno di Palazzo Carignano, si va alla scoperta di storie di donne nel Risorgimento. Il Museo del Risparmio di Intesa Sanpaolo, invece, con gli Stati Generali delle Donne, organizza mercoledì 29 alle 18 un incontro per sensibilizzare sulla violenza economica: si assiste in presenza, al Museo di via San Francesco d’Assisi 8/A, o in modalità online, iscrizioni: [[URL]] Tra le presentazioni librarie, domenica 26 alle 17,30 al Ricetto per l’Arte di Almese, vicolo San Mauro, Enrica Tesio con "I sorrisi non fanno rumore", mentre giovedì 30 alle 18 al Centro delle Donne Laadan, via Vanchiglia 3, si parla di “Papà, ammazzarti avrei dovuto” di Clara Serra: dalla storia una bambina negli Anni Cinquanta, una riflessione della Casa delle Donne sulla violenza in famiglia. Non manca il contributo del teatro. Tra le iniziative a Rivarolo, e i vari spettacoli in cartellone, segnaliamo domenica 26 alle 21 nella Sala Lux-Beppe Bertinetti, via Trieste 43, Davide Giandrini che presenta “Come un fiore raro”, con racconti, canzoni e video intorno alla figura di Mia Martini. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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Sono i 22 anni spezzati di Giulia Cecchettin, accoltellata e uccisa a 150 metri da casa, a Vigonovo, dal fidanzato Filippo Turetta, la sua laurea imminente, la sua voglia di vivere, lo strazio composto del padre e della sorella, un femminicidio che ha devastato l'Italia intera, a rendere quest'anno ancora più intensa la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Con l’avvicinarsi della data ufficiale, il 25 novembre, anche qui, a Torino e in provincia, il calendario con le già tantissime iniziative si arricchisce. Se la Mole Antonelliana sabato 25 si tinge di rosso, a Giaveno da venerdì 24 a domenica 26 saranno illuminate di rosso le fontane delle rotonde del centro e la fontana de Il Mascherone al Municipio. E tornando nel capoluogo, venerdì 24, dalle 15,30 alle 16,30, in via Montebello, le allieve e gli allievi dell’Accademia Cirko Vertigo saranno protagonisti di una performance-parata intitolata “L’amavo troppo e le ho sparato”. E tra le tante chiavi per declinare la manifestazione, sabato 25 alle 14,30, c’è anche quella all'ingresso del Cimitero Parco (via Bertani 80) che propone il reading per ricordare le donne vittime di violenza sepolte nei cimiteri di Torino, proprio di fronte alla panchina rossa a loro dedicata. A Pianezza,dal 23 al 25 novembre tra i vari appuntamenti - film,tavole di confronto e concerti al femminile - va in scena la camminata silenziosa in ricordo delle vittime: partenza sabato 25 alle 18 da via Maiolo 10 per giungere al Municipio. A Torre Pellice, invece, una fiaccolata: partenza venerdì 24 alle 17 da piazza San Martino, arrivo alla Galleria Scroppo dove va in scena "Viola d'amore". Per chi sceglie la musica, all'Educatorio della Provvidenza, corso Trento 13, sabato 25 alle 17 la pianista e compositrice Giuseppina Torre propone “Viaggio nel labirinto del cuore” (ingresso gratuito). Il Club Silencio, invece, dà appuntamento sabato 25 al Museo del Risorgimento: dalle 19 alle 24, all’interno di Palazzo Carignano, si va alla scoperta di storie di donne nel Risorgimento. Il Museo del Risparmio di Intesa Sanpaolo, invece, con gli Stati Generali delle Donne, organizza mercoledì 29 alle 18 un incontro per sensibilizzare sulla violenza economica: si assiste in presenza, al Museo di via San Francesco d’Assisi 8/A, o in modalità online, iscrizioni: [[URL]] Tra le presentazioni librarie, domenica 26 alle 17,30 al Ricetto per l’Arte di Almese, vicolo San Mauro, Enrica Tesio con "I sorrisi non fanno rumore", mentre giovedì 30 alle 18 al Centro delle Donne Laadan, via Vanchiglia 3, si parla di “Papà, ammazzarti avrei dovuto” di Clara Serra: dalla storia una bambina negli Anni Cinquanta, una riflessione della Casa delle Donne sulla violenza in famiglia. Non manca il contributo del teatro. Tra le iniziative a Rivarolo, e i vari spettacoli in cartellone, segnaliamo domenica 26 alle 21 nella Sala Lux-Beppe Bertinetti, via Trieste 43, Davide Giandrini che presenta “Come un fiore raro”, con racconti, canzoni e video intorno alla figura di Mia Martini.
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Il delitto della giovane attrice di film hard, la richiesta della Corte d'Assise. Per il food blogger Davide Fontana l'accusa è omicidio volontario aggravato dalla premeditazione
La ricostruzione del pm
Secondo la ricostruzione del pm Carlo Alberto Lafiandra è stato un femminicidio pianificato a monte, un delitto per la gelosia e il timore di perdere Carol, la vicina di casa uccisa a Rescaldina, nel Legnanese, il 10 gennaio 2022: una morte crudele, tenuta nascosta al mondo per quasi tre mesi, con un'atroce messinscena in cui l’assassino si era finto per settimane la vittima, rispondendo per lei al telefonino, accampando scuse e viaggi inesistenti per rassicurare sulla sua prolungata assenza amici e parenti. Una finzione agghiacciante: organizzata e attuata, secondo l’analisi del perito dei giudici Mara Bertini, da una persona, l’insospettabile bancario milanese, «lucida e sana di mente». | focus killer | ### Instruction:
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Il delitto della giovane attrice di film hard, la richiesta della Corte d'Assise. Per il food blogger Davide Fontana l'accusa è omicidio volontario aggravato dalla premeditazione
La ricostruzione del pm
Secondo la ricostruzione del pm Carlo Alberto Lafiandra è stato un femminicidio pianificato a monte, un delitto per la gelosia e il timore di perdere Carol, la vicina di casa uccisa a Rescaldina, nel Legnanese, il 10 gennaio 2022: una morte crudele, tenuta nascosta al mondo per quasi tre mesi, con un'atroce messinscena in cui l’assassino si era finto per settimane la vittima, rispondendo per lei al telefonino, accampando scuse e viaggi inesistenti per rassicurare sulla sua prolungata assenza amici e parenti. Una finzione agghiacciante: organizzata e attuata, secondo l’analisi del perito dei giudici Mara Bertini, da una persona, l’insospettabile bancario milanese, «lucida e sana di mente».
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Si sono conclusi, nel duomo di Castelfranco Veneto, i funerali di Vanessa Ballan, la 26enne uccisa a Treviso da Bujar Fandaj. Il feretro ha lasciato la chiesa tra gli applausi della gente che è accorsa per l’ultimo saluto alla giovane. Tanta la commozione dei presenti e della famiglia della giovane. Ad accompagnare la bara bianca, il compagno Nicola Scapinello, che ha lasciato la chiesa sorretto da due persone, e i genitori di Vanessa, che l’hanno salutata con un bacio sulla foto e sul feretro. Il Veneto ha proclamato il lutto regionale per tutta la giornata di oggi: disposta l’esposizione a mezz’asta della bandiera della Regione. L'invito agli enti pubblici veneti è di «unirsi nella manifestazione del cordoglio e promuovere occasioni di riflessione in tutte le sedi istituzionali sul tema della violenza di genere». Anche il presidente Luca Zaia, con il Gonfalone della Regione, ha partecipato al funerale, insieme al sottosegretario alla Giustiza, Andrea Ostellari, e a Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale veneto. Lutto regionale in Veneto oggi funerali Vanessa Ballan: bandiere listate a Castelfranco Veneto Oltre a Zaia, presenti anche tutti i comuni dell’Ipa Castellana, le vecchie amiche e compagne di scuola di Vanessa e i colleghi dell’Eurospin dove lavorava. Una collega di Vanessa Ballan, fuori dal Duomo, ha raccontato in lacrime: «Era così felice, per tutto, per la famiglia, per il bimbo che aspettava. Lavoravo con lei da due anni, ne abbiamo passate tante. Arrivare a una fine così è il peggio che possa esistere». Di Bujar, il 41enne kosovaro in carcere per l'omicidio, dice: «Lo vedevo, come tanti altri clienti, ma chi poteva dire che avrebbe mai fatto una cosa così? Vanessa con noi non si era confidata, andava avanti col sorriso, mai un segnale di paura. Lui l'ho visto l’ultima volta sabato, la cercava. Avevamo paura, perché si vedeva dalla faccia, è uno di cui non ti fidi già dallo sguardo. Mi chiedo ancora a cosa servano le leggi». L’arrivo al Duomo, la bara bianca e il silenzio della famiglia Tante le persone arrivate sul sagrato della chiesa, dove la bara bianca di Vanessa Ballan, coperta da tulipani e rose bianche, si è fermata qualche minuto a ricevere l'omaggio di amici e parenti, che indossano sui baveri delle giacche un fiocco rosso, simbolo della lotta contro la violenza di genere. Dietro la bara, il compagno Nicola Scapinello, i genitori e gli amici più cari. Prima dell'inizio del funerale, Nicola ha raggiunto il carro funebre e si è avvicinato alla bara, stringendo a sé i genitori di Vanessa. Tutti i partecipanti hanno deciso di rispettare le volontà della famiglia, del compagno in particolare: i familiari hanno infatti scelto il silenzio, di restare defilati e in disparte, durante la cerimonia. Niente spettacolarizzazioni o riflettori: solo un silenzio rispettoso del dolore di un compagno, Nicola, e del suo bambino, Mattia, di soli quattro anni. I familiari hanno comunicato la decisione nei giorni scorsi, tramite il loro legale, dichiarando di voler limitare la presenza di operatori video e fotografi di testate giornalistiche all'interno della chiesa. L’omelia del vescovo di Treviso, Michele Tomasi, ha rievocato il «silenzio dai clamori e dalle curiosità» chiesto dalla famiglia, e la necessità di una società che rifiuti la violenza sulle donne. Pronte le relazioni sul caso Nel frattempo, sono pronte due relazioni, una dei due pm Valmassoi e Sabattini e l’altra del procuratore Marco Martani, per gli uffici di Carlo Nordio: il ministro della Giustizia aveva infatti richiesto chiarimenti sull’operato dei magistrati che hanno seguito il caso della precedente denuncia di Vanessa Ballan, a cui non aveva fatto seguito nessuna misura cautelare. Il pubblico ministero Barbara Sabattini avrebbe infatti ritenuto non urgente l'adozione di provvedimenti di tutela dopo la denuncia, in attesa che arrivassero i tabulati relativi al traffico telefonico intercorso tra Ballan e l'indagato, visto che la donna aveva cancellato dal proprio dispositivo messaggi e chat. Secondo quanto ricostruito dal procuratore trevigiano Marco Martani, il giorno dopo la segnalazione alle forze dell'ordine la casa dell’uomo sarebbe stata perquisita: sequestrati alcuni telefoni cellulari contenenti il materiale video che Fundaj ha usato per ricattare Vanessa. L’analisi dei dispositivi elettronici, però, è arrivata al pm solo due giorni dopo il femminicidio: la valutazione di «non urgenza» del caso, motivata dall’assenza di molestie, di avvicinamenti o minacce dopo la denuncia, si è quindi rivelata inadeguata. La storia interrotta, il ricatto, la denuncia Il flirt tra Vanessa e Bujar era iniziato nel 2021 ed era stato poi interrotto nel 2023 dalla 26enne, legata al compagno Nicola e già madre di un bambino. A quanto pare, anche Nicola conosceva Bujar, ma non sapeva della relazione tra i due: ai suoi occhi, il 41enne kosovaro era solo un amico della compagna, che dava persino una mano andando a prendere il bambino all’asilo. Lo stesso Nicola avrebbe pranzato con Bujar e Vanessa, talvolta, ma questa situazione di precario equilibrio si era stravolta quando lei aveva deciso di interrompere la frequentazione con il 41enne. Da lì, un’escalation di minacce e pesanti ricatti: Fandaj minacciava di rivelare tutto a Nicola, inviandogli alcuni video dei loro incontri intimi, e di mettere a rischio persino l’affidamento del piccolo Mattia. Secondo la denuncia presentata da Vanessa, inoltre, tramite questi ricatti Bujar Fandaj sarebbe anche riuscito ad ottenere da lei altri rapporti sessuali. Fandaj aveva infine rivelato a Nicola quanto successo tra i due la sera prima della denuncia, inviandogli un messaggio e un video, in cui esplicitava la natura della sua relazione con Vanessa. A quel punto, le avrebbe confessato a Nicola di aver avuto una relazione con il 41enne, e che lui l’avrebbe poi ricattata per ottenere altri incontri e rapporti sessuali. Anche in ragione dell’esistenza di materiali intimi registrati, Vanessa e Nicola avrebbero deciso insieme di sporgere denuncia. La Procura ha inoltre deciso di effettuare un test di paternità sul feto: l’ipotesi è che anche l’assassino sapesse che lei era incinta. | focus killer | ### Instruction:
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Si sono conclusi, nel duomo di Castelfranco Veneto, i funerali di Vanessa Ballan, la 26enne uccisa a Treviso da Bujar Fandaj. Il feretro ha lasciato la chiesa tra gli applausi della gente che è accorsa per l’ultimo saluto alla giovane. Tanta la commozione dei presenti e della famiglia della giovane. Ad accompagnare la bara bianca, il compagno Nicola Scapinello, che ha lasciato la chiesa sorretto da due persone, e i genitori di Vanessa, che l’hanno salutata con un bacio sulla foto e sul feretro. Il Veneto ha proclamato il lutto regionale per tutta la giornata di oggi: disposta l’esposizione a mezz’asta della bandiera della Regione. L'invito agli enti pubblici veneti è di «unirsi nella manifestazione del cordoglio e promuovere occasioni di riflessione in tutte le sedi istituzionali sul tema della violenza di genere». Anche il presidente Luca Zaia, con il Gonfalone della Regione, ha partecipato al funerale, insieme al sottosegretario alla Giustiza, Andrea Ostellari, e a Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale veneto. Lutto regionale in Veneto oggi funerali Vanessa Ballan: bandiere listate a Castelfranco Veneto Oltre a Zaia, presenti anche tutti i comuni dell’Ipa Castellana, le vecchie amiche e compagne di scuola di Vanessa e i colleghi dell’Eurospin dove lavorava. Una collega di Vanessa Ballan, fuori dal Duomo, ha raccontato in lacrime: «Era così felice, per tutto, per la famiglia, per il bimbo che aspettava. Lavoravo con lei da due anni, ne abbiamo passate tante. Arrivare a una fine così è il peggio che possa esistere». Di Bujar, il 41enne kosovaro in carcere per l'omicidio, dice: «Lo vedevo, come tanti altri clienti, ma chi poteva dire che avrebbe mai fatto una cosa così? Vanessa con noi non si era confidata, andava avanti col sorriso, mai un segnale di paura. Lui l'ho visto l’ultima volta sabato, la cercava. Avevamo paura, perché si vedeva dalla faccia, è uno di cui non ti fidi già dallo sguardo. Mi chiedo ancora a cosa servano le leggi». L’arrivo al Duomo, la bara bianca e il silenzio della famiglia Tante le persone arrivate sul sagrato della chiesa, dove la bara bianca di Vanessa Ballan, coperta da tulipani e rose bianche, si è fermata qualche minuto a ricevere l'omaggio di amici e parenti, che indossano sui baveri delle giacche un fiocco rosso, simbolo della lotta contro la violenza di genere. Dietro la bara, il compagno Nicola Scapinello, i genitori e gli amici più cari. Prima dell'inizio del funerale, Nicola ha raggiunto il carro funebre e si è avvicinato alla bara, stringendo a sé i genitori di Vanessa. Tutti i partecipanti hanno deciso di rispettare le volontà della famiglia, del compagno in particolare: i familiari hanno infatti scelto il silenzio, di restare defilati e in disparte, durante la cerimonia. Niente spettacolarizzazioni o riflettori: solo un silenzio rispettoso del dolore di un compagno, Nicola, e del suo bambino, Mattia, di soli quattro anni. I familiari hanno comunicato la decisione nei giorni scorsi, tramite il loro legale, dichiarando di voler limitare la presenza di operatori video e fotografi di testate giornalistiche all'interno della chiesa. L’omelia del vescovo di Treviso, Michele Tomasi, ha rievocato il «silenzio dai clamori e dalle curiosità» chiesto dalla famiglia, e la necessità di una società che rifiuti la violenza sulle donne. Pronte le relazioni sul caso Nel frattempo, sono pronte due relazioni, una dei due pm Valmassoi e Sabattini e l’altra del procuratore Marco Martani, per gli uffici di Carlo Nordio: il ministro della Giustizia aveva infatti richiesto chiarimenti sull’operato dei magistrati che hanno seguito il caso della precedente denuncia di Vanessa Ballan, a cui non aveva fatto seguito nessuna misura cautelare. Il pubblico ministero Barbara Sabattini avrebbe infatti ritenuto non urgente l'adozione di provvedimenti di tutela dopo la denuncia, in attesa che arrivassero i tabulati relativi al traffico telefonico intercorso tra Ballan e l'indagato, visto che la donna aveva cancellato dal proprio dispositivo messaggi e chat. Secondo quanto ricostruito dal procuratore trevigiano Marco Martani, il giorno dopo la segnalazione alle forze dell'ordine la casa dell’uomo sarebbe stata perquisita: sequestrati alcuni telefoni cellulari contenenti il materiale video che Fundaj ha usato per ricattare Vanessa. L’analisi dei dispositivi elettronici, però, è arrivata al pm solo due giorni dopo il femminicidio: la valutazione di «non urgenza» del caso, motivata dall’assenza di molestie, di avvicinamenti o minacce dopo la denuncia, si è quindi rivelata inadeguata. La storia interrotta, il ricatto, la denuncia Il flirt tra Vanessa e Bujar era iniziato nel 2021 ed era stato poi interrotto nel 2023 dalla 26enne, legata al compagno Nicola e già madre di un bambino. A quanto pare, anche Nicola conosceva Bujar, ma non sapeva della relazione tra i due: ai suoi occhi, il 41enne kosovaro era solo un amico della compagna, che dava persino una mano andando a prendere il bambino all’asilo. Lo stesso Nicola avrebbe pranzato con Bujar e Vanessa, talvolta, ma questa situazione di precario equilibrio si era stravolta quando lei aveva deciso di interrompere la frequentazione con il 41enne. Da lì, un’escalation di minacce e pesanti ricatti: Fandaj minacciava di rivelare tutto a Nicola, inviandogli alcuni video dei loro incontri intimi, e di mettere a rischio persino l’affidamento del piccolo Mattia. Secondo la denuncia presentata da Vanessa, inoltre, tramite questi ricatti Bujar Fandaj sarebbe anche riuscito ad ottenere da lei altri rapporti sessuali. Fandaj aveva infine rivelato a Nicola quanto successo tra i due la sera prima della denuncia, inviandogli un messaggio e un video, in cui esplicitava la natura della sua relazione con Vanessa. A quel punto, le avrebbe confessato a Nicola di aver avuto una relazione con il 41enne, e che lui l’avrebbe poi ricattata per ottenere altri incontri e rapporti sessuali. Anche in ragione dell’esistenza di materiali intimi registrati, Vanessa e Nicola avrebbero deciso insieme di sporgere denuncia. La Procura ha inoltre deciso di effettuare un test di paternità sul feto: l’ipotesi è che anche l’assassino sapesse che lei era incinta.
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In città un terzo ambiente «confortevole e discreto» riservato alle donne vittime di violenza che vogliono denunciare e ai loro bambini. Al Tribunale di Napoli, invece, inaugurata una panchina rossa nella piazza coperta I carabinieri del Comando Provinciale di Napoli e Soroptimist International Club hanno inaugurato nella caserma Podgora, sede del comando Gruppo carabinieri di Napoli e della compagnia Stella, una nuova «Stanza tutta per sé» dedicata all'accoglienza e all'ascolto delle vittime di violenza di genere, la quarta della provincia dopo quelle di Capodimonte, Caivano ed Ercolano. Presente all'inaugurazione anche il procuratore aggiunto di Napoli, Raffaello Falcone. Si rinnova così l'intesa tra il Comando generale dell'Arma e la presidenza dell'associazione nell'ambito di un Protocollo nazionale sottoscritto il 22 novembre 2019. Cos'è la "Stanza": un ambiente riservato allestito con arredi più accoglienti e caldi, distinti da quelli degli uffici generalmente utilizzati per la raccolta delle denunce. In linea con gli obiettivi del Protocollo, il Soroptimist Club Napoli ha donato gli arredi e i materiali informatici offrendo mobili, illuminazione e altri arredi che richiamano quelli di un ambiente domestico, per favorire l'empatia tra le vittime e gli operatori della sicurezza. Questi progetti si inseriscono nelle iniziative adottate dall'Arma dei Carabinieri, con l'istituzione, a livello nazionale sin dal 2009, di una Sezione Atti Persecutori nell'ambito del Raggruppamento Investigazioni Scientifiche, con la realizzazione di una rete nazionale periferica di personale specializzato nella violenza di genere e con la diffusione di un Prontuario tecnico-operativo che fornisce al personale un riferimento qualificato per la gestione dei casi. La collaborazione comprende anche il «Mobile Angel», lo smartwatch che lo scorso 18 novembre ha concluso con successo il primo anno di sperimentazione garantendo alle vittime un contatto immediato con le Centrali Operative dell'Arma. Nell'occasione, il comandante provinciale dei Carabinieri, generale Enrico Scandone, spiega meglio: «Questo spazio rappresenta un impegno tangibile e umanitario nel contrasto alla violenza di genere. La sua apertura nel cuore di Napoli riflette la nostra volontà di fornire un luogo accogliente e sicuro per le donne vittime di violenza. La "Stanza tutta per sé" è concepita come un rifugio rassicurante, dove le donne possono condividere le proprie esperienze in un ambiente discreto e riservato. Vogliamo creare un legame di fiducia con la collettività, sottolineando che siamo qui non solo per preservare l'ordine, ma anche per difendere i diritti fondamentali e il benessere delle vittime». E la presidente del Soroptimist Club Napoli, Elvira Lenzi, così commenta l'inaugurazione della terza «Stanza tutta per sé» dopo quelle di Capodimonte ed Ercolano, «già da noi realizzate presso le rispettive Caserme con la collaborazione dell'Arma. L'arredo e l'allestimento sono stati curati scegliendo i colori suggeriti dalla cromoterapia, lo stile dei mobili e dei complementi d'arredo è all'insegna di una auspicabile atmosfera di distensione, senza dimenticare di attrezzare anche una parte del locale dedicata ai bambini che spesso si accompagnano alla madre». «Un segnale prezioso che arriva in giorni segnati da tanto dolore ma anche dalla crescita di consapevolezza. Complimenti ai Carabinieri del Comando Provinciale e al Soroptimist International Club Napoli». commenta infine in una nota la senatrice campana del Pd Valeria Valente, componente della Commissione bicamerale sul femminicidio. Sempre oggi, una panchina rossa è stata inaugurata stamani nel Tribunale di Napoli. All'iniziativa promossa nella piazza coperta del Palazzo di Giustizia dall'Adgi, l'Associazione donne giuriste Italia, erano presenti la presidente del tribunale Elisabetta Garzo, quelle degli ordini degli avvocati di Napoli e Benevento, Immacolata Troianiello e Stefania Pavone, Paola Russo della sezione napoletana dell'Adgi, la vicepresidente del Consiglio regionale Loredana Raia e Domenica Lomezzo consigliere di parità della Regione Campania. «Non a caso inauguriamo questa panchina all'interno del Tribunale - ha detto Troianiello - perché questo è il luogo frequentato tutti i giorni da avvocati e magistrati: siamo noi il primo baluardo a cui si rivolgono le vittime e siamo noi che dobbiamo indicare la via che porta alla giustizia e all'abbattimento di ciò che non deve esistere». La newsletter del Corriere del Mezzogiorno Se vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. Instagram Siamo anche su Instagram, seguici [[URL]] | focus victim | ### Instruction:
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In città un terzo ambiente «confortevole e discreto» riservato alle donne vittime di violenza che vogliono denunciare e ai loro bambini. Al Tribunale di Napoli, invece, inaugurata una panchina rossa nella piazza coperta I carabinieri del Comando Provinciale di Napoli e Soroptimist International Club hanno inaugurato nella caserma Podgora, sede del comando Gruppo carabinieri di Napoli e della compagnia Stella, una nuova «Stanza tutta per sé» dedicata all'accoglienza e all'ascolto delle vittime di violenza di genere, la quarta della provincia dopo quelle di Capodimonte, Caivano ed Ercolano. Presente all'inaugurazione anche il procuratore aggiunto di Napoli, Raffaello Falcone. Si rinnova così l'intesa tra il Comando generale dell'Arma e la presidenza dell'associazione nell'ambito di un Protocollo nazionale sottoscritto il 22 novembre 2019. Cos'è la "Stanza": un ambiente riservato allestito con arredi più accoglienti e caldi, distinti da quelli degli uffici generalmente utilizzati per la raccolta delle denunce. In linea con gli obiettivi del Protocollo, il Soroptimist Club Napoli ha donato gli arredi e i materiali informatici offrendo mobili, illuminazione e altri arredi che richiamano quelli di un ambiente domestico, per favorire l'empatia tra le vittime e gli operatori della sicurezza. Questi progetti si inseriscono nelle iniziative adottate dall'Arma dei Carabinieri, con l'istituzione, a livello nazionale sin dal 2009, di una Sezione Atti Persecutori nell'ambito del Raggruppamento Investigazioni Scientifiche, con la realizzazione di una rete nazionale periferica di personale specializzato nella violenza di genere e con la diffusione di un Prontuario tecnico-operativo che fornisce al personale un riferimento qualificato per la gestione dei casi. La collaborazione comprende anche il «Mobile Angel», lo smartwatch che lo scorso 18 novembre ha concluso con successo il primo anno di sperimentazione garantendo alle vittime un contatto immediato con le Centrali Operative dell'Arma. Nell'occasione, il comandante provinciale dei Carabinieri, generale Enrico Scandone, spiega meglio: «Questo spazio rappresenta un impegno tangibile e umanitario nel contrasto alla violenza di genere. La sua apertura nel cuore di Napoli riflette la nostra volontà di fornire un luogo accogliente e sicuro per le donne vittime di violenza. La "Stanza tutta per sé" è concepita come un rifugio rassicurante, dove le donne possono condividere le proprie esperienze in un ambiente discreto e riservato. Vogliamo creare un legame di fiducia con la collettività, sottolineando che siamo qui non solo per preservare l'ordine, ma anche per difendere i diritti fondamentali e il benessere delle vittime». E la presidente del Soroptimist Club Napoli, Elvira Lenzi, così commenta l'inaugurazione della terza «Stanza tutta per sé» dopo quelle di Capodimonte ed Ercolano, «già da noi realizzate presso le rispettive Caserme con la collaborazione dell'Arma. L'arredo e l'allestimento sono stati curati scegliendo i colori suggeriti dalla cromoterapia, lo stile dei mobili e dei complementi d'arredo è all'insegna di una auspicabile atmosfera di distensione, senza dimenticare di attrezzare anche una parte del locale dedicata ai bambini che spesso si accompagnano alla madre». «Un segnale prezioso che arriva in giorni segnati da tanto dolore ma anche dalla crescita di consapevolezza. Complimenti ai Carabinieri del Comando Provinciale e al Soroptimist International Club Napoli». commenta infine in una nota la senatrice campana del Pd Valeria Valente, componente della Commissione bicamerale sul femminicidio. Sempre oggi, una panchina rossa è stata inaugurata stamani nel Tribunale di Napoli. All'iniziativa promossa nella piazza coperta del Palazzo di Giustizia dall'Adgi, l'Associazione donne giuriste Italia, erano presenti la presidente del tribunale Elisabetta Garzo, quelle degli ordini degli avvocati di Napoli e Benevento, Immacolata Troianiello e Stefania Pavone, Paola Russo della sezione napoletana dell'Adgi, la vicepresidente del Consiglio regionale Loredana Raia e Domenica Lomezzo consigliere di parità della Regione Campania. «Non a caso inauguriamo questa panchina all'interno del Tribunale - ha detto Troianiello - perché questo è il luogo frequentato tutti i giorni da avvocati e magistrati: siamo noi il primo baluardo a cui si rivolgono le vittime e siamo noi che dobbiamo indicare la via che porta alla giustizia e all'abbattimento di ciò che non deve esistere». La newsletter del Corriere del Mezzogiorno Se vuoi restare aggiornato sulle notizie della Campania iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui. Instagram Siamo anche su Instagram, seguici [[URL]]
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È stato fermato Fandaj Bujar, 41enne di origini kosovare, sospettato della morte di Vanessa Ballan, 26 anni, incinta del secondo figlio. La donna, stando ai primi esami condotti dal medico legale, è stata uccisa con numerose coltellate al torace. Lo scorso mese di ottobre, la vittima aveva denunciato per stalking Bujar. Da quella denuncia erano partiti gli accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria. Il presunto killer era un cliente del supermercato, l'Eurospin, nel quale Vanessa Ballan aveva lavorato fino a qualche tempo fa quando, proprio perché in attesa da poco del secondo figlio, era andata in maternità. Su Facebook, in mattinata, l'uomo ha postato una storia nella quale viene ritratta un'autostrada. Dalle indicazioni, l'uomo sembra al confine tra Italia e Slovenia. Vanessa Ballan lascia un bambino di 4 anni e un compagno, Nicola Scapinello, con il quale aveva una storia che andava avanti da 11 anni. È stato lui a provare a rianimarla, quando, sotto shock ha trovato il corpo agonizzante della 27enne sull'uscio di casa. Ad allertare il 118, un vicino di casa, poi lo stesso Scapinello. I soccorsi, giunti sul luogo del delitto, in via Fornasette, frazione Spineda di Riese Pio X, hanno potuto solo constatare il decesso della donna. I carabinieri di Treviso hanno ascoltato Scapinella che è stato condotto in caserma, in stato di shock, mentre il loro bimbo di 4 anni era ancora all'asilo. La caccia al killer è iniziata subito in tutta la zona circostante, anche con l'ausilio di un elicottero dei carabinieri arrivato da Bolzano. Le indagini, coordinate dal pm Michele Permunian, e condotte dai carabinieri del Comando provinciale di Treviso, guidati dal colonnello Massimo Ribaudo, proseguono senza sosta anche per comprendere il movente alla base dell'omicidio di vanessa Ballan. I primi esami autoptici, condotti dal medico medico legale Antonello Cirnelli, nominato dalla e il colonnello Massimo Ribaudo, comandante provinciale dei carabinieri di Treviso. ⚫️⚫️⚫️ In provincia di Treviso, a Riese Pio X, una ragazza è stata accoltellata e uccisa sulla porta di casa. La vittima è Vanessa Ballan, una giovane donna di 26 anni. L’omicida l’ha colpita con un coltello: è ricercato dai Carabinieri. NOTIZIA IN AGGIORNAMENTO pic.twitter.com/Tn3vYL5s86 — Luca Zaia (@zaiapresidente) December 19, 2023 «Sono sconvolto. Tutta la comunità lo è. Speriamo che al più presto si faccia chiarezza», ha detto Matteo Guidolin, sindaco di Riese Pio X, commuovendosi davanti all'abitazione dove è avvenuto il delitto. «È l'ora del silenzio – ha aggiunto monsignor Giorgio Piva, il parroco di Riese, al Corriere del Veneto – Una vita spezzata che lascia una bimba di solo 4 anni». | focus killer | ### Instruction:
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È stato fermato Fandaj Bujar, 41enne di origini kosovare, sospettato della morte di Vanessa Ballan, 26 anni, incinta del secondo figlio. La donna, stando ai primi esami condotti dal medico legale, è stata uccisa con numerose coltellate al torace. Lo scorso mese di ottobre, la vittima aveva denunciato per stalking Bujar. Da quella denuncia erano partiti gli accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria. Il presunto killer era un cliente del supermercato, l'Eurospin, nel quale Vanessa Ballan aveva lavorato fino a qualche tempo fa quando, proprio perché in attesa da poco del secondo figlio, era andata in maternità. Su Facebook, in mattinata, l'uomo ha postato una storia nella quale viene ritratta un'autostrada. Dalle indicazioni, l'uomo sembra al confine tra Italia e Slovenia. Vanessa Ballan lascia un bambino di 4 anni e un compagno, Nicola Scapinello, con il quale aveva una storia che andava avanti da 11 anni. È stato lui a provare a rianimarla, quando, sotto shock ha trovato il corpo agonizzante della 27enne sull'uscio di casa. Ad allertare il 118, un vicino di casa, poi lo stesso Scapinello. I soccorsi, giunti sul luogo del delitto, in via Fornasette, frazione Spineda di Riese Pio X, hanno potuto solo constatare il decesso della donna. I carabinieri di Treviso hanno ascoltato Scapinella che è stato condotto in caserma, in stato di shock, mentre il loro bimbo di 4 anni era ancora all'asilo. La caccia al killer è iniziata subito in tutta la zona circostante, anche con l'ausilio di un elicottero dei carabinieri arrivato da Bolzano. Le indagini, coordinate dal pm Michele Permunian, e condotte dai carabinieri del Comando provinciale di Treviso, guidati dal colonnello Massimo Ribaudo, proseguono senza sosta anche per comprendere il movente alla base dell'omicidio di vanessa Ballan. I primi esami autoptici, condotti dal medico medico legale Antonello Cirnelli, nominato dalla e il colonnello Massimo Ribaudo, comandante provinciale dei carabinieri di Treviso. ⚫️⚫️⚫️ In provincia di Treviso, a Riese Pio X, una ragazza è stata accoltellata e uccisa sulla porta di casa. La vittima è Vanessa Ballan, una giovane donna di 26 anni. L’omicida l’ha colpita con un coltello: è ricercato dai Carabinieri. NOTIZIA IN AGGIORNAMENTO pic.twitter.com/Tn3vYL5s86 — Luca Zaia (@zaiapresidente) December 19, 2023 «Sono sconvolto. Tutta la comunità lo è. Speriamo che al più presto si faccia chiarezza», ha detto Matteo Guidolin, sindaco di Riese Pio X, commuovendosi davanti all'abitazione dove è avvenuto il delitto. «È l'ora del silenzio – ha aggiunto monsignor Giorgio Piva, il parroco di Riese, al Corriere del Veneto – Una vita spezzata che lascia una bimba di solo 4 anni».
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BIELLA. Ci sono rabbia e sconcerto nelle parole di Tiziana Suman, la madre di Erika Preti, alla notizia che Dimitri Fricano, l’assassino della figlia, è stato trasferito agli arresti domiciliari per motivi di salute. Questo anche per il modo in cui la notizia è arrivata, all’improvviso. «Ero al lavoro, con il telefono spento e non ho saputo nulla fin quando non sono rientrata a casa». Ad annunciargliela un messaggio whatsapp da La Stampa. Prima risponde con un altro messaggio: «Sono rimasta senza parole e non riesco a esprimere il mio disgusto e il mio senso di ingiustizia». Poi chiama, un po’ per saperne di più oltre che probabilmente per sfogarsi. «All’inizio non capivo, mi sembrava impossibile che avessero preso un simile decisione senza dirci niente, mi sembra una cosa assurda». Sua figlia Erika è stata uccisa nell’estate del 2017 dal fidanzato con cui era in vacanza a casa di amici a San Teodoro, in Sardegna. Il corpo della ragazza è stato straziato da 57 coltellate e Fricano aveva continuato a colpirla anche quando era già a terra. Un femminicidio terribile, che l’uomo aveva cercato di mascherare denunciando l’aggressione da parte di uno sconosciuto, versione che aveva sostenuto per un mese prima di confessare. È stato condannato a trent’anni in via definitiva. Il trasferimento di Dimitri Fricano, trentacinque anni, nella sua casa di Biella, deciso dal Tribunale di Sorveglianza, è avvenuto martedì su richiesta dell’amministrazione penitenziaria, vista l’impossibilità di gestirne i problemi di salute all’interno della struttura carceraria. Fin dall’inizio, quando era ancora a Ivrea, Fricano aveva avuto problemi ad adattarsi alla vita da recluso, sia per problemi con gli altri detenuti, visto il delitto per cui era stato condannato, che per la cura a base di psicofarmaci a cui era sottoposto ancora prima di essere arrestato. Problemi che sarebbero aumentati dopo il trasferimento a Torino. Si tratta sempre di un disturbo psichiatrico di tipo depressivo. Negli ultimi mesi, trapela dal carcere, avrebbe iniziato a non lavarsi e a rifiutarsi di uscire dalla cella, peggiorando quindi i rapporti con gli altri detenuti. Sarebbe inoltre aumentato di peso fino a sfiorare i 200 chili, sviluppando una forte dipendenza per le sigarette, oltre a presentare episodi ricorrenti di epilessia. Il provvedimento ha la durata di un anno, dopo il quale verrà sottoposto a una nuova visita, nel corso della quale si deciderà se prorogare i domiciliari o farlo rientrare in carcere. Il suo rientro a casa ha reso più dolorosa la ferita per la morte della figlia che in Tiziana Suman non si è mai rimarginata. «Già l’anno scorso era stato contattato il nostro legale, ci avevano chiesto se eravamo d’accordo nel concedere gli arresti domiciliari a Dimitri. Subito abbiamo detto di no, quello che ha fatto è troppo grave e non mi rassegno all’idea che sia già tornato a casa, con sua madre che lo accudisce». Anche con la famiglia Fricano i rapporti si sono deteriorati fin dai tempi del processo che li ha visti su posizioni opposte. «Sui suoi è meglio che non parli». La voglia adesso è soprattutto di capire come possa essere successo che, dopo sei anni, chi ha ucciso sua figlia sia uscito dal carcere, pur restando ai domiciliari, e di dar sfogo a un malessere che gli anni passati da quella tragica estate non sembrano aver attenuato. Tanto che la donna si lascia andare anche a dichiarazioni forti: «Sta male? Spero di poter vedere il suo manifesto funebre. Mi verrebbe voglia di andare ad aspettarlo fuori da casa sua, poi naturalmente non lo farò ma è stato davvero un colpo sapere tutto senza che a noi o al nostro avvocato venisse comunicato in anticipo, senza che neppure ci abbiano chiesto cosa ne pensassimo. Che giustizia è questa? Già ero certa che non avrebbe passato in carcere tutti i trent’anni della condanna, ma non pensavo che potessero farlo uscire così presto». Anche nel suo caso, come per il marito Fabrizio Preti, apprendere la notizia della scarcerazione dell’assassino di loro figlia è stato «come ricevere una coltellata, il dolore per la morte di Erika è vivo oggi come sei anni fa e non se ne andrà mai». — © RIPRODUZIONE RISERVATA | focus victim | ### Instruction:
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BIELLA. Ci sono rabbia e sconcerto nelle parole di Tiziana Suman, la madre di Erika Preti, alla notizia che Dimitri Fricano, l’assassino della figlia, è stato trasferito agli arresti domiciliari per motivi di salute. Questo anche per il modo in cui la notizia è arrivata, all’improvviso. «Ero al lavoro, con il telefono spento e non ho saputo nulla fin quando non sono rientrata a casa». Ad annunciargliela un messaggio whatsapp da La Stampa. Prima risponde con un altro messaggio: «Sono rimasta senza parole e non riesco a esprimere il mio disgusto e il mio senso di ingiustizia». Poi chiama, un po’ per saperne di più oltre che probabilmente per sfogarsi. «All’inizio non capivo, mi sembrava impossibile che avessero preso un simile decisione senza dirci niente, mi sembra una cosa assurda». Sua figlia Erika è stata uccisa nell’estate del 2017 dal fidanzato con cui era in vacanza a casa di amici a San Teodoro, in Sardegna. Il corpo della ragazza è stato straziato da 57 coltellate e Fricano aveva continuato a colpirla anche quando era già a terra. Un femminicidio terribile, che l’uomo aveva cercato di mascherare denunciando l’aggressione da parte di uno sconosciuto, versione che aveva sostenuto per un mese prima di confessare. È stato condannato a trent’anni in via definitiva. Il trasferimento di Dimitri Fricano, trentacinque anni, nella sua casa di Biella, deciso dal Tribunale di Sorveglianza, è avvenuto martedì su richiesta dell’amministrazione penitenziaria, vista l’impossibilità di gestirne i problemi di salute all’interno della struttura carceraria. Fin dall’inizio, quando era ancora a Ivrea, Fricano aveva avuto problemi ad adattarsi alla vita da recluso, sia per problemi con gli altri detenuti, visto il delitto per cui era stato condannato, che per la cura a base di psicofarmaci a cui era sottoposto ancora prima di essere arrestato. Problemi che sarebbero aumentati dopo il trasferimento a Torino. Si tratta sempre di un disturbo psichiatrico di tipo depressivo. Negli ultimi mesi, trapela dal carcere, avrebbe iniziato a non lavarsi e a rifiutarsi di uscire dalla cella, peggiorando quindi i rapporti con gli altri detenuti. Sarebbe inoltre aumentato di peso fino a sfiorare i 200 chili, sviluppando una forte dipendenza per le sigarette, oltre a presentare episodi ricorrenti di epilessia. Il provvedimento ha la durata di un anno, dopo il quale verrà sottoposto a una nuova visita, nel corso della quale si deciderà se prorogare i domiciliari o farlo rientrare in carcere. Il suo rientro a casa ha reso più dolorosa la ferita per la morte della figlia che in Tiziana Suman non si è mai rimarginata. «Già l’anno scorso era stato contattato il nostro legale, ci avevano chiesto se eravamo d’accordo nel concedere gli arresti domiciliari a Dimitri. Subito abbiamo detto di no, quello che ha fatto è troppo grave e non mi rassegno all’idea che sia già tornato a casa, con sua madre che lo accudisce». Anche con la famiglia Fricano i rapporti si sono deteriorati fin dai tempi del processo che li ha visti su posizioni opposte. «Sui suoi è meglio che non parli». La voglia adesso è soprattutto di capire come possa essere successo che, dopo sei anni, chi ha ucciso sua figlia sia uscito dal carcere, pur restando ai domiciliari, e di dar sfogo a un malessere che gli anni passati da quella tragica estate non sembrano aver attenuato. Tanto che la donna si lascia andare anche a dichiarazioni forti: «Sta male? Spero di poter vedere il suo manifesto funebre. Mi verrebbe voglia di andare ad aspettarlo fuori da casa sua, poi naturalmente non lo farò ma è stato davvero un colpo sapere tutto senza che a noi o al nostro avvocato venisse comunicato in anticipo, senza che neppure ci abbiano chiesto cosa ne pensassimo. Che giustizia è questa? Già ero certa che non avrebbe passato in carcere tutti i trent’anni della condanna, ma non pensavo che potessero farlo uscire così presto». Anche nel suo caso, come per il marito Fabrizio Preti, apprendere la notizia della scarcerazione dell’assassino di loro figlia è stato «come ricevere una coltellata, il dolore per la morte di Erika è vivo oggi come sei anni fa e non se ne andrà mai». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Sono in arrivo a Vicenza, dopo il doppio femminicidio compiuto da Zlatan Vasiljevic che ha ucciso la sua ex moglie e la sua fidanzata, gli ispettori inviati dal Ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Gli ispettori avranno il compito di visionare nei dettagli l'intero iter giudiziario del pluriomicida, che il 9 giugno ha sparato all'ex moglie Lidia Miljkovic e a quella che per qualche mese era stata la sua nuova compagna, Gabriela Serrano, prima di togliersi la vita in un'auto sulla tangenziale ovest di Vicenza. In particolare gli ispettori dovranno ricostruire il percorso nelle aule di giustizia dell'uomo di origine serba per capire se vi siano state negligenze nella valutazione del suo profilo personale e delle sue responsabilità. Ulteriori aspetti, utili anche agli investigatori, emergeranno dagli esami autoptici, all'ospedale di Vicenza. Dopo l'autopsia sul corpo delle due donne, sarà concesso il nulla osta per la sepoltura. I funerali si dovrebbero tenere tra mercoledì e giovedì in luoghi distinti: quello di Lidia Miljkovic a Vicenza (nella chiesa serbo-ortodossa, a ridosso del centro storico, che la vittima frequentava) mentre quello di Gabriela Serrano è previsto a Rubano (Padova), paese dove abitava. Nel giorno dei funerali sarà lutto cittadino a Schio dove Lidia risiedeva da qualche tempo, mentre a Vicenza per martedì sera è stato convocato un consiglio comunale straordinario sul tema dei femminicidi. Secondo quanto trapela, la salma di Vasiljevic dovrebbe essere rimpatriata in tempi brevi in Serbia, dove vivono attualmente la mamma e altri parenti. Anche in questo caso tutto potrà avvenire quando sarà concesso il nulla osta per la sepoltura. | focus killer | ### Instruction:
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Sono in arrivo a Vicenza, dopo il doppio femminicidio compiuto da Zlatan Vasiljevic che ha ucciso la sua ex moglie e la sua fidanzata, gli ispettori inviati dal Ministro della Giustizia, Marta Cartabia. Gli ispettori avranno il compito di visionare nei dettagli l'intero iter giudiziario del pluriomicida, che il 9 giugno ha sparato all'ex moglie Lidia Miljkovic e a quella che per qualche mese era stata la sua nuova compagna, Gabriela Serrano, prima di togliersi la vita in un'auto sulla tangenziale ovest di Vicenza. In particolare gli ispettori dovranno ricostruire il percorso nelle aule di giustizia dell'uomo di origine serba per capire se vi siano state negligenze nella valutazione del suo profilo personale e delle sue responsabilità. Ulteriori aspetti, utili anche agli investigatori, emergeranno dagli esami autoptici, all'ospedale di Vicenza. Dopo l'autopsia sul corpo delle due donne, sarà concesso il nulla osta per la sepoltura. I funerali si dovrebbero tenere tra mercoledì e giovedì in luoghi distinti: quello di Lidia Miljkovic a Vicenza (nella chiesa serbo-ortodossa, a ridosso del centro storico, che la vittima frequentava) mentre quello di Gabriela Serrano è previsto a Rubano (Padova), paese dove abitava. Nel giorno dei funerali sarà lutto cittadino a Schio dove Lidia risiedeva da qualche tempo, mentre a Vicenza per martedì sera è stato convocato un consiglio comunale straordinario sul tema dei femminicidi. Secondo quanto trapela, la salma di Vasiljevic dovrebbe essere rimpatriata in tempi brevi in Serbia, dove vivono attualmente la mamma e altri parenti. Anche in questo caso tutto potrà avvenire quando sarà concesso il nulla osta per la sepoltura.
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Investigatori al lavoro, foto Riccardo Siano (siano) Il palazzo dove è avvenuta la tragedia, foto Riccardo Siano (siano) Una donna di 33 anni è stata uccisa nel Napoletano, a Melito di Napoli. Il marito della donna ha chiamato il suo avvocato e si è costituito. Davanti agli investigatori ha confessato il delitto.Nella mattinata i carabinieri sono intervenuti d'urgenza in via Papa Giovanni XXIII per segnalazione al 112 di colpi d'arma da fuoco.Una volta sul posto hanno accertato che al quinto piano della palazzina al civico 49 era deceduta all'interno della propria abitazione una 33enne del luogo incensurata, con due figli, una ragazzina di 14 anni ed un maschio di sette anni.La donna viveva in un complesso di edilizia popolare della zona di via papa Giovanni non lontano dal centro storico di Melito di Napoli.Il marito della donna è andato nel primo pomeriggio con il suo legale negli uffici della Squadra mobile della questura di Napoli. Gli investigatori stanno sentendo l'uomo per ricostruire l'esatta dinamica dell'accaduto. L'assassino ha precedenti per camorra, era affiliato al clan Di Lauro | focus victim | ### Instruction:
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Investigatori al lavoro, foto Riccardo Siano (siano) Il palazzo dove è avvenuta la tragedia, foto Riccardo Siano (siano) Una donna di 33 anni è stata uccisa nel Napoletano, a Melito di Napoli. Il marito della donna ha chiamato il suo avvocato e si è costituito. Davanti agli investigatori ha confessato il delitto.Nella mattinata i carabinieri sono intervenuti d'urgenza in via Papa Giovanni XXIII per segnalazione al 112 di colpi d'arma da fuoco.Una volta sul posto hanno accertato che al quinto piano della palazzina al civico 49 era deceduta all'interno della propria abitazione una 33enne del luogo incensurata, con due figli, una ragazzina di 14 anni ed un maschio di sette anni.La donna viveva in un complesso di edilizia popolare della zona di via papa Giovanni non lontano dal centro storico di Melito di Napoli.Il marito della donna è andato nel primo pomeriggio con il suo legale negli uffici della Squadra mobile della questura di Napoli. Gli investigatori stanno sentendo l'uomo per ricostruire l'esatta dinamica dell'accaduto. L'assassino ha precedenti per camorra, era affiliato al clan Di Lauro
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TRENTO. Si chiamava Maria Antonietta Panico la donna trovata morta da almeno due giorni, riversa nel letto macchiato di sangue, nel suo appartamento di via Vicenza a Trento. Avrebbe compiuto 43 anni tra 4 giorni. A scoprire il corpo della donna, stamattina attorno alle 11, l'ex marito: è stato lui a dare l'allarme al numero unico per le emergenze. La donna nel 2018 si era candidata alle provinciali nella lista che ha portato all'elezione del governatore Maurizio Fugatti. Nel 2020 aveva poi tentato di entrare in consiglio comunale con la lista civica che sosteneva Andrea Merler, candidato sindaco di centrodestra. La scientifica sta passando al setaccio l'appartamento alla ricerca di elementi biologici utili alle indagini. Al lavoro i carabinieri e la pm Patrizia Foiera, che sta coordinando le indagini, che non escludono il femminicidio. Gli inquirenti stanno ora interrogando l’ex marito. Si cerca l’ultimo ex compagno Aveva il divieto di avvicinamento e attualmente non è stato ancora rintracciato dai carabinieri di Trento, l'ex compagno di Maria Antonietta Panico. Lo si apprende da fonti investigative. Sul corpo della donna, il cui cadavere è stato scoperto dall'ex marito, allertato dalla figlia 16enne che non riusciva a mettersi in contatto con la madre, non ci sarebbero evidenti ferite da arma da taglio. Il medico legale si è riservato di chiarire le cause del decesso solo dopo l'autopsia. Intanto la pm Patrizia Foiera, che coordina le indagini dei carabinieri che stanno esaminando i tabulati per verificare se ci sono messaggi o telefonate di interesse investigativo, ha sentito persone informate sui fatti e parenti. Da quanto si apprende la donna in alcune occasioni si era recata al pronto soccorso per «contusioni facciali». Per il momento la procura non esclude nessuna pista, femminicidio compreso. | focus victim | ### Instruction:
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TRENTO. Si chiamava Maria Antonietta Panico la donna trovata morta da almeno due giorni, riversa nel letto macchiato di sangue, nel suo appartamento di via Vicenza a Trento. Avrebbe compiuto 43 anni tra 4 giorni. A scoprire il corpo della donna, stamattina attorno alle 11, l'ex marito: è stato lui a dare l'allarme al numero unico per le emergenze. La donna nel 2018 si era candidata alle provinciali nella lista che ha portato all'elezione del governatore Maurizio Fugatti. Nel 2020 aveva poi tentato di entrare in consiglio comunale con la lista civica che sosteneva Andrea Merler, candidato sindaco di centrodestra. La scientifica sta passando al setaccio l'appartamento alla ricerca di elementi biologici utili alle indagini. Al lavoro i carabinieri e la pm Patrizia Foiera, che sta coordinando le indagini, che non escludono il femminicidio. Gli inquirenti stanno ora interrogando l’ex marito. Si cerca l’ultimo ex compagno Aveva il divieto di avvicinamento e attualmente non è stato ancora rintracciato dai carabinieri di Trento, l'ex compagno di Maria Antonietta Panico. Lo si apprende da fonti investigative. Sul corpo della donna, il cui cadavere è stato scoperto dall'ex marito, allertato dalla figlia 16enne che non riusciva a mettersi in contatto con la madre, non ci sarebbero evidenti ferite da arma da taglio. Il medico legale si è riservato di chiarire le cause del decesso solo dopo l'autopsia. Intanto la pm Patrizia Foiera, che coordina le indagini dei carabinieri che stanno esaminando i tabulati per verificare se ci sono messaggi o telefonate di interesse investigativo, ha sentito persone informate sui fatti e parenti. Da quanto si apprende la donna in alcune occasioni si era recata al pronto soccorso per «contusioni facciali». Per il momento la procura non esclude nessuna pista, femminicidio compreso.
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I giardini di piazza Monte Grappa, non distante da via Poma, dedicati alla segretaria assassinata nell’estate 1990 da mano ancora ignota. Nella targa sarà scritto: «Vittima di femminicidio» A oltre 30 anni dalla sua morte Roma ricorderà Simonetta Cesaroni dedicandole un’area pubblica. Una delle tre aree verdi che la Giunta capitolina ha deciso oggi di intitolare ad altrettante personalità che a diverso titolo hanno segnato la vita della città è dedicata a lei, la segretaria uccisa nell’agosto del 1990 da una mano assassina rimasta ancora sconosciuta. Prenderanno infatti il nome di «Simonetta Cesaroni, vittima di femminicidio» i giardini di piazza Monte Grappa, di fronte al ponte del Risorgimento, nel quartiere Della Vittoria, non lontano da via Carlo Poma, dove avvenne l’omicidio. «Molto presto, avremo finalmente un’area pubblica dedicata alla memoria di Simonetta Cesaroni – ha dichiarato l’assessore Gotor, che ha portato la delibera all’attenzione della Giunta Capitolina – la cui morte violenta nell’agosto del 1990, a poco più di vent’anni, a tutt’oggi ufficialmente senza colpevoli, ha segnato profondamente Roma. Un caso di femminicidio brutale che è una ferita ancora aperta per la nostra città». Le altre due aree interessate dal provvedimento sono il parco pubblico di via Gregorio XI, nel quartiere Aurelio, che avrà il nome di Umberto Lenzini, presidente della Lazio dello scudetto del 1974, mentre all’allenatore della Roma dello scudetto del 1983, Nils Liedholm, verranno intitolati i giardini di via Gustavo d’Arpe, a Trigoria. | focus victim | ### Instruction:
Classifica il seguente testo come 'focus_killer' o 'focus_victim' o 'no_focus'.
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I giardini di piazza Monte Grappa, non distante da via Poma, dedicati alla segretaria assassinata nell’estate 1990 da mano ancora ignota. Nella targa sarà scritto: «Vittima di femminicidio» A oltre 30 anni dalla sua morte Roma ricorderà Simonetta Cesaroni dedicandole un’area pubblica. Una delle tre aree verdi che la Giunta capitolina ha deciso oggi di intitolare ad altrettante personalità che a diverso titolo hanno segnato la vita della città è dedicata a lei, la segretaria uccisa nell’agosto del 1990 da una mano assassina rimasta ancora sconosciuta. Prenderanno infatti il nome di «Simonetta Cesaroni, vittima di femminicidio» i giardini di piazza Monte Grappa, di fronte al ponte del Risorgimento, nel quartiere Della Vittoria, non lontano da via Carlo Poma, dove avvenne l’omicidio. «Molto presto, avremo finalmente un’area pubblica dedicata alla memoria di Simonetta Cesaroni – ha dichiarato l’assessore Gotor, che ha portato la delibera all’attenzione della Giunta Capitolina – la cui morte violenta nell’agosto del 1990, a poco più di vent’anni, a tutt’oggi ufficialmente senza colpevoli, ha segnato profondamente Roma. Un caso di femminicidio brutale che è una ferita ancora aperta per la nostra città». Le altre due aree interessate dal provvedimento sono il parco pubblico di via Gregorio XI, nel quartiere Aurelio, che avrà il nome di Umberto Lenzini, presidente della Lazio dello scudetto del 1974, mentre all’allenatore della Roma dello scudetto del 1983, Nils Liedholm, verranno intitolati i giardini di via Gustavo d’Arpe, a Trigoria.
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L'arringa dell'avvocato Claudio Strata in Corte d'assise d'appello: «Ha agito per istinto di sopravvivenza, per evitare l'ennesima strage familiare». La sentenza il 4 maggio Alex con la mamma dopo l'assoluzione di primo grado «Vi consegno Alex e chiedo a questa Corte di decidere, di farlo con il cuore e non solo con la mente. Ognuno con la propria coscienza». Sceglie queste parole l’avvocato Claudio Strada per chiudere la lunga arringa in difesa di Alex Cotoia (il giovane ha abbandonato il cognome del padre per prendere quello della mamma). Sono parole che vanno dritte al punto e che rimarcano quanto già detto dal pubblico ministero Alessandro Aghemo prima di chiedere una condanna a 14 anni: «È un caso che scuote le coscienze». In primo grado era arrivata un’assoluzione. Trentasei coltellate Il 30 aprile 2020 Alex ha ucciso il padre Giuseppe Pompa, 52 anni, sferrando 36 colpi con sei coltelli differenti. Il fatto è incontrovertibile e lui non ha mai negato la propria responsabilità, fin dalla telefonata che fece al 112 per chiamare i soccorsi: «Voleva uccidere mia madre, me e mio fratello. C’è stata una colluttazione, penso di averlo ucciso». Per il legale bisogna partire da questa frase per riuscire a entrare nella testa di questo giovane — all’epoca poco più che 18enne — costretto «a crescere in fretta» per trasformarsi «in scudo umano» e difendere la madre, costantemente vessata da un marito violento e ossessionato dalla gelosia. gli audio choc I 250 audio registrati da Alex e dal fratello maggiore Loris durante le sfuriate del genitore raccontano il clima di violenza e prevaricazione che per anni ha permeato la quotidianità di questa famiglia. «In tutto questo tempo — insiste il legale —, Alex ha sempre avuto un atteggiamento difensivo, ha agito sempre con l’intento di placare gli animi, di annientate il pericolo. Anche quando ha ucciso, l’intento era distruggere il pericolo». La sera del delitto, secondo il legale, Alex ha agito per istinto di sopravvivenza: «Questo ragazzo non deve farvi pena, ma dovete guardare con i suoi occhi. Solo così è possibile rendersi conto che è stata legittima difesa». E ancora: «Il padre era una furia, non riuscivano a contenerlo. C’era una situazione di pericolo permanente che in un qualsiasi momento poteva sfociare in tragedia: in un femminicidio». la richiesta di assoluzione Per rimarcare il concetto, Strata legge in aula i nomi di donne e figli vittime di 55 stragi familiari: «In Italia ce n’è una ogni 72 ore, con donne assassinate dal marito o dal compagno. Un ragazzo è morto per non avere avuto la stessa prontezza di Alex. Vicende tremende che sono sovrapponibili a quella dei Pompa». Da qui la richiesta di assoluzione per legittima difesa: «Alex non avrebbe mai voluto uccidere. Ed è lui stesso a dirvelo quando riemerge dall’abisso in cui era sprofondato: “Avrei preferito morire io”». Il legale, che assiste il giovane insieme con la collega Giancarla Bissattini, spiega in ultimo alla Corte d’assise d’appello di valutare eventualmente l’eccesso colposo di legittima difesa o lo stato di necessità. Infine, fa propria anche l’analisi già avanzata dalla Procura di sollevare la questione di legittimità costituzionale per potere, in caso di condanna, applicare ad Alex il più ampio spettro di attenuanti. La sentenza è attesa per il 4 maggio. Su Instagram Siamo anche su Instagram, seguici: [[URL]] | focus killer | ### Instruction:
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L'arringa dell'avvocato Claudio Strata in Corte d'assise d'appello: «Ha agito per istinto di sopravvivenza, per evitare l'ennesima strage familiare». La sentenza il 4 maggio Alex con la mamma dopo l'assoluzione di primo grado «Vi consegno Alex e chiedo a questa Corte di decidere, di farlo con il cuore e non solo con la mente. Ognuno con la propria coscienza». Sceglie queste parole l’avvocato Claudio Strada per chiudere la lunga arringa in difesa di Alex Cotoia (il giovane ha abbandonato il cognome del padre per prendere quello della mamma). Sono parole che vanno dritte al punto e che rimarcano quanto già detto dal pubblico ministero Alessandro Aghemo prima di chiedere una condanna a 14 anni: «È un caso che scuote le coscienze». In primo grado era arrivata un’assoluzione. Trentasei coltellate Il 30 aprile 2020 Alex ha ucciso il padre Giuseppe Pompa, 52 anni, sferrando 36 colpi con sei coltelli differenti. Il fatto è incontrovertibile e lui non ha mai negato la propria responsabilità, fin dalla telefonata che fece al 112 per chiamare i soccorsi: «Voleva uccidere mia madre, me e mio fratello. C’è stata una colluttazione, penso di averlo ucciso». Per il legale bisogna partire da questa frase per riuscire a entrare nella testa di questo giovane — all’epoca poco più che 18enne — costretto «a crescere in fretta» per trasformarsi «in scudo umano» e difendere la madre, costantemente vessata da un marito violento e ossessionato dalla gelosia. gli audio choc I 250 audio registrati da Alex e dal fratello maggiore Loris durante le sfuriate del genitore raccontano il clima di violenza e prevaricazione che per anni ha permeato la quotidianità di questa famiglia. «In tutto questo tempo — insiste il legale —, Alex ha sempre avuto un atteggiamento difensivo, ha agito sempre con l’intento di placare gli animi, di annientate il pericolo. Anche quando ha ucciso, l’intento era distruggere il pericolo». La sera del delitto, secondo il legale, Alex ha agito per istinto di sopravvivenza: «Questo ragazzo non deve farvi pena, ma dovete guardare con i suoi occhi. Solo così è possibile rendersi conto che è stata legittima difesa». E ancora: «Il padre era una furia, non riuscivano a contenerlo. C’era una situazione di pericolo permanente che in un qualsiasi momento poteva sfociare in tragedia: in un femminicidio». la richiesta di assoluzione Per rimarcare il concetto, Strata legge in aula i nomi di donne e figli vittime di 55 stragi familiari: «In Italia ce n’è una ogni 72 ore, con donne assassinate dal marito o dal compagno. Un ragazzo è morto per non avere avuto la stessa prontezza di Alex. Vicende tremende che sono sovrapponibili a quella dei Pompa». Da qui la richiesta di assoluzione per legittima difesa: «Alex non avrebbe mai voluto uccidere. Ed è lui stesso a dirvelo quando riemerge dall’abisso in cui era sprofondato: “Avrei preferito morire io”». Il legale, che assiste il giovane insieme con la collega Giancarla Bissattini, spiega in ultimo alla Corte d’assise d’appello di valutare eventualmente l’eccesso colposo di legittima difesa o lo stato di necessità. Infine, fa propria anche l’analisi già avanzata dalla Procura di sollevare la questione di legittimità costituzionale per potere, in caso di condanna, applicare ad Alex il più ampio spettro di attenuanti. La sentenza è attesa per il 4 maggio. Su Instagram Siamo anche su Instagram, seguici: [[URL]]
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Non sono 30 – come ricostruito in un primo momento – ma ben 115 le coltellate che hanno ucciso Clara Ceccarelli, commerciante 69enne assassinata il 19 febbraio nel suo negozio di pantofole in via Colombo, nel pieno centro di Genova. È il risultato dell’autopsia eseguita lunedì dal medico legale Lucrezia Mazzarella. Non solo, ma a quanto si apprende quasi tutti i colpi sferrati dall’ex compagno Renato Scapusi – che ha confessato nelle ore successive al delitto – non hanno colpito organi vitali, con la conseguenza che la vittima è morta solo dopo un lento dissanguamento: pare addirittura fosse ancora cosciente all’arrivo dei primi soccorsi, e abbia seguito, per qualche minuto, con gli occhi la scena di fronte a sé. Il reo confesso, 60 anni, ex installatore di parquet affetto da disturbo bipolare e borderline di personalità, è accusato dal pm Giovanni Arena di omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione, dell’efferatezza e del passato legame affettivo con la vittima. Lunedì il magistrato ha affidato una consulenza tecnica psichiatrica al perito forense Gabriele Rocca, chiedendo di stabilire se Scapusi fosse o meno capace di intendere e volere al momento del gesto. Lo specialista si è riservato trenta giorni per rispondere e martedì ha incontrato l’omicida in carcere per il primo colloquio. Ed è proprio sulla perizia psichiatrica che punta la difesa – rappresentata dall’avvocato Stefano Bertone – per evitare l’ergastolo, pena prevista dal codice per l’omicidio aggravato. “Abbiamo totale fiducia nel consulente del pm, tanto da non averne indicato uno nostro”, dice il legale al fattoquotidiano.it, “ma è chiaro che Scapusi è un uomo affetto da problemi psichici diagnosticati, che lo hanno portato a un ricovero in ospedale nelle ore precedenti al delitto. Perché sia stato fatto uscire, e se in questo sia individuabile una responsabilità, è un aspetto su cui la procura dovrà far luce”. Due giorni prima dell’omicidio, infatti, l’ex artigiano aveva minacciato di buttarsi giù dalla scala antincendio di un istituto scolastico nel quartiere di Sturla, su cui si era arrampicato. Agli agenti accorsi sul posto aveva detto di volersi suicidare per il lavoro perso e i pesanti debiti da gioco. Ricoverato in psichiatria al Policlinico San Martino nella serata di mercoledì, era stato trasferito all’ospedale Galliera e dimesso dopo due giorni. “È estremamente confuso e da ciò che ha dichiarato mi pare difficile ipotizzare la premeditazione del delitto, in particolare se la consulenza dovesse riscontrare un vizio di mente anche parziale”, dice l’avvocato. Al tema della premeditazione si lega quello dell’arma del delitto, ancora non rinvenuta. Nell’interrogatorio di garanzia Scapusi ha sostenuto che il coltello si trovasse già nel negozio: durante una colluttazione, dice, lo ha strappato dalle mani di Clara per ucciderla, dopodiché non ricorda nulla di che fine abbia fatto. La versione non convince gli inquirenti, perché – trapela dalla Procura – in un primo momento l’indagato ha invece ammesso di aver portato l’arma da casa, correggendosi nelle risposte alle domande successive. Se si dimostrasse che l’ex compagno aveva con sé il coltello al proprio arrivo, diverrebbe difficile sostenere la tesi di un omicidio d’impeto. Tra i testimoni ascoltati dalla Squadra Mobile c’è però un negoziante di via Colombo che ha raccontato di un proprio coltello scomparso: non è escluso che Scapusi se ne sia impossessato con un blitz, per quanto l’ipotesi sia difficile da verificare. Nel frattempo l’amministrazione comunale, tramite la partecipata ai servizi funebri Asef, si è offerta di sostenere le spese del funerale di Clara, quello che lei stessa – secondo la testimonianza del suo commesso – si era pagata nell’ultimo periodo, forse temendo ciò che poi le è accaduto. Martedì mattina, in apertura del consiglio regionale, i consiglieri leghisti Mabel Riolfo e Brunello Brunetto hanno posizionato sui proprio scranni un paio di scarpe rosse per sensibilizzare sul tema del femminicidio, con un ordine del giorno sul tema è stato approvato all’unanimità. Il sindaco di Genova Marco Bucci, da parte sua, ha raccolto l’appello di decine di amici della donna uccisa assicurando sostegno al figlio Mauro, affetto da disabilità intellettiva: “Non sarà lasciato solo. Le strutture del Comune di Genova insieme al servizio sanitario hanno individuato diverse soluzioni per fare in modo che Mauro possa godere del sostegno adeguato, le giuste tutele e l’aiuto morale e materiale di cui avrà necessità”, ha scritto sui social. | focus victim | ### Instruction:
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Non sono 30 – come ricostruito in un primo momento – ma ben 115 le coltellate che hanno ucciso Clara Ceccarelli, commerciante 69enne assassinata il 19 febbraio nel suo negozio di pantofole in via Colombo, nel pieno centro di Genova. È il risultato dell’autopsia eseguita lunedì dal medico legale Lucrezia Mazzarella. Non solo, ma a quanto si apprende quasi tutti i colpi sferrati dall’ex compagno Renato Scapusi – che ha confessato nelle ore successive al delitto – non hanno colpito organi vitali, con la conseguenza che la vittima è morta solo dopo un lento dissanguamento: pare addirittura fosse ancora cosciente all’arrivo dei primi soccorsi, e abbia seguito, per qualche minuto, con gli occhi la scena di fronte a sé. Il reo confesso, 60 anni, ex installatore di parquet affetto da disturbo bipolare e borderline di personalità, è accusato dal pm Giovanni Arena di omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione, dell’efferatezza e del passato legame affettivo con la vittima. Lunedì il magistrato ha affidato una consulenza tecnica psichiatrica al perito forense Gabriele Rocca, chiedendo di stabilire se Scapusi fosse o meno capace di intendere e volere al momento del gesto. Lo specialista si è riservato trenta giorni per rispondere e martedì ha incontrato l’omicida in carcere per il primo colloquio. Ed è proprio sulla perizia psichiatrica che punta la difesa – rappresentata dall’avvocato Stefano Bertone – per evitare l’ergastolo, pena prevista dal codice per l’omicidio aggravato. “Abbiamo totale fiducia nel consulente del pm, tanto da non averne indicato uno nostro”, dice il legale al fattoquotidiano.it, “ma è chiaro che Scapusi è un uomo affetto da problemi psichici diagnosticati, che lo hanno portato a un ricovero in ospedale nelle ore precedenti al delitto. Perché sia stato fatto uscire, e se in questo sia individuabile una responsabilità, è un aspetto su cui la procura dovrà far luce”. Due giorni prima dell’omicidio, infatti, l’ex artigiano aveva minacciato di buttarsi giù dalla scala antincendio di un istituto scolastico nel quartiere di Sturla, su cui si era arrampicato. Agli agenti accorsi sul posto aveva detto di volersi suicidare per il lavoro perso e i pesanti debiti da gioco. Ricoverato in psichiatria al Policlinico San Martino nella serata di mercoledì, era stato trasferito all’ospedale Galliera e dimesso dopo due giorni. “È estremamente confuso e da ciò che ha dichiarato mi pare difficile ipotizzare la premeditazione del delitto, in particolare se la consulenza dovesse riscontrare un vizio di mente anche parziale”, dice l’avvocato. Al tema della premeditazione si lega quello dell’arma del delitto, ancora non rinvenuta. Nell’interrogatorio di garanzia Scapusi ha sostenuto che il coltello si trovasse già nel negozio: durante una colluttazione, dice, lo ha strappato dalle mani di Clara per ucciderla, dopodiché non ricorda nulla di che fine abbia fatto. La versione non convince gli inquirenti, perché – trapela dalla Procura – in un primo momento l’indagato ha invece ammesso di aver portato l’arma da casa, correggendosi nelle risposte alle domande successive. Se si dimostrasse che l’ex compagno aveva con sé il coltello al proprio arrivo, diverrebbe difficile sostenere la tesi di un omicidio d’impeto. Tra i testimoni ascoltati dalla Squadra Mobile c’è però un negoziante di via Colombo che ha raccontato di un proprio coltello scomparso: non è escluso che Scapusi se ne sia impossessato con un blitz, per quanto l’ipotesi sia difficile da verificare. Nel frattempo l’amministrazione comunale, tramite la partecipata ai servizi funebri Asef, si è offerta di sostenere le spese del funerale di Clara, quello che lei stessa – secondo la testimonianza del suo commesso – si era pagata nell’ultimo periodo, forse temendo ciò che poi le è accaduto. Martedì mattina, in apertura del consiglio regionale, i consiglieri leghisti Mabel Riolfo e Brunello Brunetto hanno posizionato sui proprio scranni un paio di scarpe rosse per sensibilizzare sul tema del femminicidio, con un ordine del giorno sul tema è stato approvato all’unanimità. Il sindaco di Genova Marco Bucci, da parte sua, ha raccolto l’appello di decine di amici della donna uccisa assicurando sostegno al figlio Mauro, affetto da disabilità intellettiva: “Non sarà lasciato solo. Le strutture del Comune di Genova insieme al servizio sanitario hanno individuato diverse soluzioni per fare in modo che Mauro possa godere del sostegno adeguato, le giuste tutele e l’aiuto morale e materiale di cui avrà necessità”, ha scritto sui social.
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Una testimonianza importantissima è attesa il prossimo 27 ottobre. Si tratta del fratello di Saman Abbas, la 18enne pakistana eliminata secondo i pm dalla famiglia, perché si opponeva a un matrimonio combinato. E proprio a pochi giorni dall’audizione davanti ai giudici della Corte d’assise. La Procura di Reggio Emilia indaga su pressioni e minacce dal Pakistan sul ragazzo testimone chiave dell’accusa contro i familiari imputati, affinché ritratti le dichiarazioni fatte o eviti di testimoniare in processo. Il procuratore Gaetano Calogero Paci ha aperto un fascicolo contro ignoti e i carabinieri hanno acquisito copia di messaggi, forniti dallo stesso giovane. Dagli accertamenti emerge che ha mantenuto contatti con la madre e con familiari in Pakistan che, soprattutto quando c’è stata l’estradizione del padre, hanno portato avanti le pressioni. Il ragazzo, nel frattempo divenuto maggiorenne, con le sue parole inchioda i cinque familiari imputati, in particolare lo zio Danish Hasnain, accusandoli di aver ucciso la 18enne di Novellara, la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021. Intercettato nei giorni successivi alla scomparsa della ragazza (poi ritrovata sepolta in un casolare vicino a casa un anno e mezzo dopo) diceva quello che aveva già riferito ai carabinieri e che avrebbe ripetuto in incidente probatorio. In una telefonata del 28 maggio, con una zia, il ragazzo affermò: “Da oggi non parlerò più con tuo fratello Danish e non parlerò nemmeno con quel cane che ha i baffi e più nemmeno con Irfan, non parlerò più neanche con gli altri due che stanno con loro perché ha fatto tutto lo zio, ha fatto tutto lo zio“. La zia rispose: “Stai zitto”. Ma il giovane proseguì: “Sì ma io a questi qui gli darò una lezione che si ricorderanno tutta la vita. Se non è rimasta viva mia sorella, allora neanche loro hanno diritto di vivere. O mi ucciderò oppure farò qualcosa a questi“. In un’altra conversazione, del giorno prima, sempre il fratello parlava con una conoscente del tema: “Mio zio ha ucciso una persona, capito?”. “In Pakistan?”, domandò lei. Risposta: “Novellara”. Le trascrizioni dei dialoghi, depositate nei giorni scorsi agli atti del processo in Corte di assise a carico del padre, Shabbar Abbas, della madre, Nazia Shaheen (ancora irreperibile), dello zio Danish e dei cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, restituiscono anche la sofferenza e la disperazione del ragazzo, all’epoca sedicenne. Come il 5 giugno, parlando con la madre, fuggita in Pakistan: “Vanno all’inferno tutti, se non c’è più la mia sorella allora non c’è più nessuno. Stai in silenzio“. In un’altra telefonata, del 14 giugno, il padre invece sembra tentare di convincere il figlio ad addossare la colpa ad un altro parente, diverso dai cinque imputati: “Tu – rivolto al ragazzo – devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa, lui (l’altro parente, ndr) è venuto a casa nostra e ha detto che ci penso io ad ammazzarla, tu così devi dire… adesso dobbiamo incastrare a questo qui”. Il giorno, dopo la madre sembra invece provare a dire al ragazzo che Saman non era morta: “Ascoltami, la tua sorella è qui. Dio farà il bene e verrà ritrovata anche lei. Lei tornerà”. Ma il ragazzo: “Se non c’è più la mia sorella non dovrò vivere nemmeno io… Lei non c’è, non dire le cose sbagliate”. | focus killer | ### Instruction:
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Una testimonianza importantissima è attesa il prossimo 27 ottobre. Si tratta del fratello di Saman Abbas, la 18enne pakistana eliminata secondo i pm dalla famiglia, perché si opponeva a un matrimonio combinato. E proprio a pochi giorni dall’audizione davanti ai giudici della Corte d’assise. La Procura di Reggio Emilia indaga su pressioni e minacce dal Pakistan sul ragazzo testimone chiave dell’accusa contro i familiari imputati, affinché ritratti le dichiarazioni fatte o eviti di testimoniare in processo. Il procuratore Gaetano Calogero Paci ha aperto un fascicolo contro ignoti e i carabinieri hanno acquisito copia di messaggi, forniti dallo stesso giovane. Dagli accertamenti emerge che ha mantenuto contatti con la madre e con familiari in Pakistan che, soprattutto quando c’è stata l’estradizione del padre, hanno portato avanti le pressioni. Il ragazzo, nel frattempo divenuto maggiorenne, con le sue parole inchioda i cinque familiari imputati, in particolare lo zio Danish Hasnain, accusandoli di aver ucciso la 18enne di Novellara, la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021. Intercettato nei giorni successivi alla scomparsa della ragazza (poi ritrovata sepolta in un casolare vicino a casa un anno e mezzo dopo) diceva quello che aveva già riferito ai carabinieri e che avrebbe ripetuto in incidente probatorio. In una telefonata del 28 maggio, con una zia, il ragazzo affermò: “Da oggi non parlerò più con tuo fratello Danish e non parlerò nemmeno con quel cane che ha i baffi e più nemmeno con Irfan, non parlerò più neanche con gli altri due che stanno con loro perché ha fatto tutto lo zio, ha fatto tutto lo zio“. La zia rispose: “Stai zitto”. Ma il giovane proseguì: “Sì ma io a questi qui gli darò una lezione che si ricorderanno tutta la vita. Se non è rimasta viva mia sorella, allora neanche loro hanno diritto di vivere. O mi ucciderò oppure farò qualcosa a questi“. In un’altra conversazione, del giorno prima, sempre il fratello parlava con una conoscente del tema: “Mio zio ha ucciso una persona, capito?”. “In Pakistan?”, domandò lei. Risposta: “Novellara”. Le trascrizioni dei dialoghi, depositate nei giorni scorsi agli atti del processo in Corte di assise a carico del padre, Shabbar Abbas, della madre, Nazia Shaheen (ancora irreperibile), dello zio Danish e dei cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, restituiscono anche la sofferenza e la disperazione del ragazzo, all’epoca sedicenne. Come il 5 giugno, parlando con la madre, fuggita in Pakistan: “Vanno all’inferno tutti, se non c’è più la mia sorella allora non c’è più nessuno. Stai in silenzio“. In un’altra telefonata, del 14 giugno, il padre invece sembra tentare di convincere il figlio ad addossare la colpa ad un altro parente, diverso dai cinque imputati: “Tu – rivolto al ragazzo – devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa, lui (l’altro parente, ndr) è venuto a casa nostra e ha detto che ci penso io ad ammazzarla, tu così devi dire… adesso dobbiamo incastrare a questo qui”. Il giorno, dopo la madre sembra invece provare a dire al ragazzo che Saman non era morta: “Ascoltami, la tua sorella è qui. Dio farà il bene e verrà ritrovata anche lei. Lei tornerà”. Ma il ragazzo: “Se non c’è più la mia sorella non dovrò vivere nemmeno io… Lei non c’è, non dire le cose sbagliate”.
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