diff --git "a/wikipedia_it_mitologia_greca_qa.csv" "b/wikipedia_it_mitologia_greca_qa.csv" new file mode 100644--- /dev/null +++ "b/wikipedia_it_mitologia_greca_qa.csv" @@ -0,0 +1,1433 @@ +Q,A +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aba (ninfa).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aba (greco: Αβα) era una naiade, ovvero una ninfa delle acque dolci, che viveva in Tracia, nello specifico nella città di Ergisce, nella regione di Ciconi (oggi Çatalca, in Turchia).\nLa sua genealogia non è chiara, ma sembra essere figlia del fiume Ebro.\nSecondo la Suida, era madre di Ergisco, avuto da Poseidone e fondatore della città stessa, in cui la ninfa si sarebbe poi stabilita.\n\nAttributi.\nNella regione di Ciconi è stata rinvenuta una fontana a lei dedicata." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Abadir.\n### Descrizione: Abadir è un termine probabilmente di origine fenicia che indicava alcune pietre di forma cilindrica che si dicevano essere cadute dal cielo; queste pietre, oggetto di molte superstizioni, venivano venerate e avevano un proprio culto. Si diceva anche che fosse la pietra che Rea, moglie del dio Crono, ingannando il marito, gli diede da mangiare per impedirgli di divorare il figlio Zeus.\nEquivalente al betilo, rappresenta la 'pietra sacra' venerata come esser la sede della divinità; come la pietra di Pessinunte, immagine della Grande Madre, la Dea della Frigia Cibele e del tutto simile alla deità di origine romana Termine.\n\nNella mitologia.\nSecondo la leggenda, quando Rea partorì Zeus, suo marito Crono le ordinò di consegnargli il neonato, in modo da mangiarlo, come aveva fatto coi precedenti, dato che un oracolo aveva predetto che sarebbe stato scalzato dal suo trono di re degli dei da uno dei suoi figli.\nA differenza delle altre volte, però, Rea non obbedì al marito, dandogli invece una pietra avvolta tra le fasce (un abadir) come fosse un bambino, mentre Zeus veniva nascosto in una grotta di Creta. Crono non si accorse del trucco e pensò di aver mangiato anche Zeus.\nQuando Zeus, una volta cresciuto, venne assunto sotto false spoglie come coppiere degli dei, diede un giorno al padre una pozione speciale che gli vece vomitare i suoi fratelli, Ade e Poseidone, che uscirono adulti ed integri, insieme alla pietra.\nQuesta pietra, che aveva permesso a Zeus di diventare re degli dei, fu da quel momento venerata come una reliquia, conservata nel tempio di Apollo a Delfi, e cosparsa di olio, sangue e vino." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Abante (figlio di Linceo).\n### Descrizione: Abante (in greco antico: Ἄβας?, Ábās) è un personaggio della mitologia greca. Fu il quindicesimo re di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Linceo ed Ipermnestra, sposò Aglaia e fu padre di Acrisio, Preto, Idomenea (o Eidomene) ed un figlio avuto da una concubina e di nome Lirco.\n\nMitologia.\nSuccesse al trono del padre e fu un grande conquistatore, fondò la città di Abe in Focide e fondò l'Argo pelasgico in Tessaglia.\nÈ ricordato anche per aver ricevuto in dono dal padre (Linceo) lo scudo consacrato nell'Heraion di Argo che fu del nonno (Danao). Questo scudo gli fu donato poiché fu il primo ad informare il padre della morte del nonno.\nAbante fu un re così temuto che dopo la sua morte lo stesso scudo veniva usato per sedare le ribellioni ed alla sua vista i popoli in sommossa cessavano di combattere.\nDurante la guerra di Troia, lo scudo entrò in possesso di Enea che lo appese in dono all'ingresso del tempio di Apollo ad Azio.\nDopo la sua morte fu succeduto dal figlio Preto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Abari.\n### Descrizione: Abàri o Abaride (Ἄβᾱρις Ὑπερβόρειος, Ábaris Hyperbóreios) fu un leggendario indovino, taumaturgo e sacerdote di Apollo, forse realmente esistito e collocabile tra il VII e il VI secolo a.C.\n\nTra mito e realtà.\nSecondo Erodoto (4,36), Pindaro e Platone, Abari proveniva dalla mitica regione dell'Iperborea, situata nell'estremo nord. Qui avrebbe appreso e sviluppato le sue abilità di guaritore. Secondo la leggenda, per aver esaltato in versi il viaggio di Apollo agli Iperborei, fu fatto primo sacerdote di Apollo Iperboreo e avrebbe ricevuto dal dio il dono dello spirito profetico e una freccia d'oro che si portava sempre dietro. Secondo alcune tradizioni anteriori la freccia gli permetteva di volare e grazie ad essa girava per tutta la Grecia guarendo ammalati senza mai toccare cibo.\nPlatone (Carmide 158C) lo classifica fra «i medici Traci» i quali praticavano una medicina che cercava in primo luogo di curare l'anima per mezzo di «incantamenti» (epodai).\nSecondo il lessico Suda, Abari venne in delegazione ufficiale dal paese degli Iperborei ad Atene al tempo della terza Olimpiade. Il Suda attribuisce, inoltre, un certo numero di libri ad Abari, compreso un volume degli Oracoli Scitici in esametri, una teogonia in prosa, un lavoro sulle purificazioni ed un poema su Apollo presso gli Iperborei.\nSecondo una variante della sua storia costruì il Palladio con le ossa di Pelope o, in alternativa, facilitò l'entrata del simulacro nel tempio di Atena a Troia.\n\nAbari e Pitagora.\nVari aneddoti su questo personaggio sono citati nella Vita Pitagorica di Giamblico, dove si narra che Abari debellò la peste in molte città, fra cui Sparta e Cnosso (VP 92-93). Abari compare in una scena accanto a Pitagora alla corte del tiranno siciliano Falaride. I due saggi discutono su argomenti divini e sollecitano l'ostinato tiranno a seguire la virtù (ibid. 215-221). Giamblico, inoltre, attribuisce ad Abari una grande esperienza e perizia nei sacrificio di animali (ibid. 93).\nSempre secondo Giamblico fra i due saggi vi fu uno scambio di doni: Abari donò la sua freccia d'oro a Pitagora, che in cambio gli mostrò la sua coscia d'oro. Alcuni studiosi tendono a credere che la freccia rappresenti una bussola e la coscia d'oro non sia altro che il rapporto aureo.\nDicevano anche che aiutò il Palladio a scendere dal cielo per insediarsi nel Tempio di Minerva: la statua però si collocò da sola sull'altare.\nAbari prevedeva i terremoti e scongiurava le pestilenze.\n\nInfluenze.\nQuesto e altri personaggi leggendari presenti nella tradizione greca, come Aristea di Proconneso, accerterebbero i legami tra la cultura greca e lo sciamanesimo delle culture subartiche.\nSecondo Karl Meuli, «la leggenda di Abari affonda pienamente le radici nelle genuine e antiche credenze religiose degli Sciti»...«Abari è uno sciamano, o piuttosto l'archetipo mitico di uno sciamano».\nDella sua possibile appartenenza allo sciamanesimo parla anche E.Dodds nel volume I Greci e l'irrazionale. Il viaggiare nell'aria sopra una freccia è una particolarità che si ritrova sovente nella descrizione dei poteri degli sciamani del nord, come pure la capacità di vivere senza alimentarsi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Abaride.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Abaride o Abari era il nome di uno degli amici di Fineo.\n\nIl mito.\nFineo, re di Etiopia famoso per la sua capacità di elargire preziosi consigli che rasentavano i poteri divinatori, aveva in Abaride, nativo della zona del Caucaso, un amico e compagno di battaglie. I due si proposero di contrastare Perseo, reduce dall'uccisione della gòrgone Medusa, che con il suo sguardo tramutava in pietra le persone.\nProprio grazie a tale proprietà magica Perseo, usando come arma la testa mozzata del mostro, eliminò Abaride e Fineo quando i due tentarono di rapire Andromeda.\nSecondo la versione riportata da Ovidio, invece, Fineo fece irruzione con un gran numero di seguaci armati per uccidere Perseo il giorno delle nozze con Andromeda. Abaride era uno dei tanti compagni di Fineo, e fu tra quelli che vennero uccisi dall'eroe negli scontri, mentre Fineo e duecento dei suoi uomini furono pietrificati con la testa di Medusa.\n\nOmonimia.\nAbaride era anche uno dei nomi di Abari, il sacerdote di Apollo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Abaton di Epidauro.\n### Descrizione: L'abaton di Epidauro ἄβατον (àbaton, 'impenetrabile') era un edificio che faceva parte del santuario di Asclepio di Epidauro in cui si operavano le guarigioni rituali.\n\nDescrizione dell’edificio.\nL'accesso all'edificio era consentito solo ai religiosi, salvo una stanza in cui vi potevano accedere i fedeli. Tuttavia prima di accedervi, il pellegrino doveva aver compiuto le lustrazioni di purificazione necessarie. L'abato si trovava nel centro del santuario, nella spianata dove sorgono gli edifici di carattere più propriamente religioso (abaton, tempio, tholos).\nCostruttivamente l'abaton è un portico a due piani, composto da due ali appartenenti probabilmente ad epoche diverse. La facciata del nucleo originario, quello ad est, risalente alla seconda metà del IV secolo a.C., è composta da due colonnati di ordine ionico sovrapposti. La sala che si apre al suo interno era adibita all'accoglienza dei pellegrini che vi trascorrevano la notte in attesa del miracolo guaritore. Durante il sonno, infatti, il dio Asclepio appariva in sonno ai malati e dettava loro le cure necessarie per debellare la malattia. In alcuni casi il dio operava direttamente sul malato che si risvegliava guarito. I racconti di tutti i miracoli compiuti dal dio venivano poi trascritti dai fedeli su delle tavolette di argilla, dette ἀναθήματα anathḕmata (sing. ἀνάθημα anàthēma), disposte lungo le pareti interne della sala est dell'abaton, a ricordo della potenza di Asclepio.\n\nAnche l'ala ovest dell'abaton, adiacente a quella est, è un portico formato da due colonnati sovrapposti: in questo caso, però, all'ordine dorico del piano inferiore si sovrappone un colonnato di ordine ionico. L'utilizzo del dorico si rifà ad una consuetudine tipica delle celle dei templi del Peloponneso alla fine del IV secolo a.C. Questa similitudine, comprovata da analisi strutturali condotte negli ultimi anni dalla scuola tedesca, ha convinto gli studiosi ad alzare la cronologia dell'ala ovest alla seconda metà del IV secolo a.C., contro una datazione ad epoca romana fornita dalla tradizione. La sezione ovest, quindi, non viene più considerata un ampliamento romano del nucleo originario dell'abaton, ma una costruzione di poco posteriore, se non addirittura contemporanea (vd. Lauter).\nLa folla dei pellegrini che chiedevano di essere guariti dal dio aumentò nel corso dei secoli, l'edificio adibito al sonno sacro doveva dunque avere delle dimensioni considerevoli (la lunghezza dell'abaton era di circa 70 metri).\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Abaton di Epidauro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Abdero.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Abdero (in greco Ἄβδηρος, 'figlio della battaglia') è un eroe e semidio figlio di Ermes ed eponimo della città di Abdera, in Tracia.\n\nLe cavalle di Diomede.\nPer portare a termine la sua ottava fatica, Eracle decise di portare con sé il suo eromenos Abdero e altri giovani che lo aiutassero nell'impresa. Lo scopo era catturare le quattro cavalle di Diomede. Queste cavalle avevano la particolarità di essere antropofaghe (cioè di cibarsi di carne umana) e appartenevano a Diomede re dei Bistoni, una popolazione barbara che viveva in Tracia.\nGiunto nei pressi della mangiatoie, Eracle sopraffece e uccise i guardiani. Fatto ciò portò le cavalle fino al mare, ma venne inseguito da Diomede e i suoi sudditi. Ignaro delle pericolosità della cavalle, le lasciò, quindi, alle cure di Abdero. Mentre Eracle era impegnato a sconfiggere Diomede, Abdero venne divorato dalle bestie. Per vendetta Eracle, catturato Diomede, lo fece divorare vivo dalle sue stesse bestie che divennero così mansuete.\nIn memoria del suo eromenos, Eracle fondò vicino alla sua tomba la città di Abdera e organizzò degli agoni (ἀγῶνες), giochi atletici che comprendevano il pugilato, il pancrazio e la lotta. Bernard Sergent conclude, quindi, che Abdero fosse ad Abdera insieme con Eracle, suo erastès, fondatore secondo la mitologia della pederastia greca.\n\nAltre versioni.\nAlcune tradizioni ritengono Abdero nativo di Opus, nella Locride, e assunto al servizio di Diomede. In altri racconti lo si considera figlio di Ermes oppure di Menezio (amico di Eracle) e quindi fratello di Patroclo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Abe in Focide.\n### Descrizione: Abe in Focide (in greco antico: Άβαι?, Abae) è il nome di un'antica città greca della Focide. Il suo gentilizio è abei. Si trovava vicino al punto in cui la Focide confina con la Beozia e con la Locride Opunzia, molto vicino a Iampoli.\nEra sede di un santuario oracolare di Apollo, citato da Erodoto tra quelli consultati dal re Creso. Le sue rovine, resti di fortificazioni e di un tempio, si trovano presso Exarco.\n\nOrigini.\nPausania cita la tradizione secondo cui gli abitanti della città dicevano che i suoi primi abitanti provenivano da Argo e che la città si era fatta chiamare così per il suo fondatore, Abante. Tuttavia, Aristotele aveva descritto gli abitanti di Abe come traci e inoltre sosteneva che fossero stati proprio alcuni abitanti di questa città della Focide ad aver colonizzato l'isola di Eubea dando ai suoi abitanti il nome di 'abanti', termine che Omero utilizzò per riferirsi agli abitanti di Eubea nel catalogo delle navi.\n\nOracolo di Abe.\nAd Abe si trovava un famoso oracolo di Apollo con molti tesori ed ex voto.Durante le guerre persiane fu uno dei luoghi distrutti dalle truppe persiane di Serse I, le quali arrivarono anche ad incendiarne il tempio, nel 480 a.C. Anche durante la terza guerra sacra i beoti incendiarono il santuario, causando anche la morte dei supplici che lì si erano rifugiati. Al contrario, i romani venerarono l'oracolo di Apollo e per questo concedettero ad Abe l'indipendenza, ed inoltre l'imperatore Adriano ordinò di costruire un altro tempio più piccolo per Apollo, contenente immagini dello stesso Apollo, di Latona e di Artemide. Ai tempi di Pausania in città c'erano anche un teatro ed un'agorà, entrambi molto antichi.\n\nArcheologia.\nNel sito archeologico di Kalapodi, in cui si sta scavando dal 2004, sono stati trovati resti di un santuario che si ritiene essere quello di Apollo ad Abe. Secondo l'istituto archeologico germanico, questo santuario era utilizzato già in epoca micenea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Abia (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Abia (in greco antico: Ἀβία) era il nome di una delle figlie di Eracle.\n\nIl mito.\nAbia, figlia dell'eroe greco Eracle, creò un tempio che dedicò poi a suo padre. La città, chiamata Ira (sul golfo messenico), dove il tempio venne eretto fu una delle sette città che Agamennone promise ad Achille come compenso per Briseide." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Abretano.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Abretano è un epiteto attribuito sia a Zeus che a Giove, utilizzato nella regione della Misia.\nL'epiteto deriva in particolare dalla provincia di Abretana, dove il culto del dio era molto praticato. Questa provincia, a sua volta, prese il nome da una ninfa, Abrèzia o Brettia.\nSecondo Strabone, Cleone di Gordiucome, fondatore della città di Giuliopoli, è stato uno dei sacerdoti di Giove Abretano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Acalante.\n### Descrizione: Acalante (in greco Ἄκαλανθίς, -ίδος, in latino Ăcălanthis, -ĭdis) è un personaggio della mitologia greca. Era una delle figlie di Pierio (re della Tessaglia), ossia le Pieridi.\nInsieme alle sorelle tentò di sfidare le Muse al canto: nominate le Ninfe giudici della gara, elessero vincitrici le figlie di Apollo. Le Pieridi, adirate contro le Muse, le attaccarono: dovette intervenire Atena, che le tramutò in gazze ('Piche'). La tradizione vuole che Acalante sia stata trasformata in cardellino. L'episodio viene descritto nelle Metamorfosi di Ovidio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Acantide.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Acantide (in greco antico: Ἀκανθίς) o Acantillide era l'unica figlia di Autonoo e Ippodamia.\n\nIl mito.\nAcantide aveva alcuni fratelli chiamati Erodio, Scheneo, Acanto e Anto.\nQuando Anto morì travolto da una mandria inferocita, tutta la famiglia pianse la sua morte, tanto da commuovere le divinità che trasformarono tutti i familiari in uccelli. Acantide divenne così un cardellino." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Acareo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Acareo (in greco antico: Ἀχαρεύς) fu avversario di Eracle in una gara di pugilato.\n\nIl mito.\nQuando Eracle uccise Augia re di Elide e i suoi figli, mise sul trono della città Fileo e celebrò i giochi olimpici, erigendo un altare a Pelope, figlio di Tantalo e costruendone altri dedicati ai dodici dei dell'Olimpo. Eracle allora istituì delle gare di ginnastica ad Olimpia, scegliendo un luogo molto bello, accanto al fiume Alfeo.\nSecondo Igino, il suo sfidante nella gara di pancrazio (una sorta di pugilato) fu un altrimenti ignoto Acareo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Acarnano.\n### Descrizione: Acarnano (in greco antico: Ἄκαρνάν -ᾶνος?, Akarnàn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Alcmeone e della sua seconda moglie Calliroe e fratello di Anfotero.\n\nMitologia.\nDopo l'uccisione del padre Alcmeone da parte di Fegeo, la madre Calliroe (venuta a sapere della morte del marito da Zeus, con il quale aveva rapporti intimi) pregò affinché i due infanti diventassero adulti anzitempo per poterlo vendicare ed il dio, dandole ascolto, acconsentì.\nAcarnano ed il fratello, divenuti adulti, presero le armi e si recarono dal nemico, uccidendo sia Fegeo che i suoi figli Pronoo e Agenore, che si stavano recando a Delfi per consacrare al dio Apollo collana e peplo.\n\nDopo la vendetta.\nInseguiti fino a Tegea, furono salvati dagli abitanti e da alcuni Argivi. Anfotero e Acarnano raccontarono l'accaduto alla madre.\nNessun dio o re volle purificarli dei loro misfatti, così continuarono il viaggio intrapreso e raggiunsero l'Epiro dove Acarnano diede il nome alla regione che perdura ancora oggi (l'Acarnania che tuttavia non compare con questo nome nei poemi omerici)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Acaste.\n### Descrizione: Acaste o Acasta (in greco antico: Ἀκάστη?, Akástē) era nella mitologia greca una Oceanina, figlia del titano Oceano e della titanide Teti, una delle Oceanine, citata da Esiodo nella Teogonia al verso 356:.\n\nAltre versioni del mito.\nViene menzionata anche come una delle compagne di Persefone quando andava nei boschi a raccogliere fiori.Ha lo stesso nome una balia dei figli del re Acasto di Argo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Acasto.\n### Descrizione: Àcasto (in greco antico: Ἄκαστος?, Ákastos, in latino Ăcastus) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Iolco, argonauta e prese parte alla caccia del cinghiale calidonio.\n\nGenealogia.\nFiglio di Pelia e Anassibia (o Filomache), sposò Astidamia ed ebbe tre figlie Sterope e Laodamia e Stenele.\n\nMitologia.\nSuccesse al trono del padre dopo che questi fu fatto uccidere da Medea e Giasone e poi espulse i due cospiratori dal regno.\nIn onore del padre istituì dei giochi funebri dove partecipò anche Peleo (che era in esilio presso di lui per aver ucciso Euritione) e che fu oggetto prima delle avances di sua moglie e poi della sua vendetta poiché lo accusò di aver cercato di violentarla.\nAcasto (che non seppe mai che le accuse di violenza erano false), non uccise direttamente Peleo ma lo invitò ad una battuta di caccia sul monte Pelio e quando la sera questi dormì gli nascose la spada e lo abbandonò. Al risveglio Peleo fu catturato dai Centauri ma Chirone (uno di centauri) lo salvò e gli rese la spada.\nIolco (il regno di Acasto) fu infine saccheggiato dai Dioscuri da Peleo che infine uccise Astidamia squartandola.\nAlla morte di Acasto il suo regno (di cui era originario Giasone) fu dato a Tessalo (figlio di Giasone)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Acate (mitologia).\n### Descrizione: Acàte (in latino Achātes) è nella mitologia classica uno dei più fedeli compagni di Enea, nonché suo scudiero. L'asteroide 5144 Achates è così chiamato in suo onore.\n\nIl mito.\nDurante la guerra di Troia, Acate sembra apparire in alcune versioni come l'uccisore di Protesilao, il primo eroe greco a morire sulla costa asiatica.\nPiù volte citato nell'Eneide di Virgilio sin dal primo libro, viene indicato come uno dei fedelissimi di Enea ('Fidus Achates'), sempre al suo fianco in tutte le sue peripezie, ed è il capitano di una delle navi con cui Enea e i suoi lasciano Troia. Viene ad esempio citato nel libro I, quando accompagna Enea nei boschi che circondano Cartagine per cercare di scoprire dove si trovassero. Enea è tanto sicuro della fedeltà di Acate da arrivare ad affidargli le proprie armi.\nNel libro VI Acate è ricordato per essere colui che conduce Enea all'antro della Sibilla Cumana.\nDurante la guerra fra Troiani ed Italici, Acate fa da scudiero a Enea aiutandolo soprattutto nel libro X, allorché il capo troiano viene assalito da sette giovani guerrieri latini, tutti figli di tal Forco. In tale circostanza Acate rimane leggermente ferito dall'asta che uno di questi, Numitore, scaglia contro Enea. Nel libro XII egli si rende anche autore di un'uccisione, quella del rutulo Epulone; Acate lo decapita con la spada.\n\nNell'arte.\nAcate appare in diverse opere d'arte, sempre insieme a Enea: tra le più note, si ricordano i dipinti Enea e Acate sulla costa libica di Dosso Dossi, Enea alla corte del re Latino di Ferdinand Bol, e vari episodi delle Storie di Enea di Pietro da Cortona.\n\nAltri progetti.\n\nWikiquote contiene citazioni di o su Acate.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Acate." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Accademia Athonita.\n### Descrizione: L'Accademia Athonia (in greco Αθωνιάς Εκκλησιαστική Ακαδημία?) è una scuola religiosa greco-ortodossa fondata nel 1749 sul Monte Athos. La scuola offriva un'istruzione di alto livello, dove venivano insegnate la filosofia antica e le scienze fisiche moderne. Grazie all'accademia, la comunità monastica del Monte assunse un ruolo di primo piano nel Nuovo illuminismo greco durante il XVIII secolo. I circoli conservatori criticarono l'insegnamento promulgato dalla scuola e, per questo, fu chiusa nel 1821; venne riaperta nel 1842. L'Accademia fu chiusa anche negli anni dal 1916 al 1930 e dal 1940 al 1953 a causa delle guerre mondiali.\n\nFondazione.\nL'accademia fu fondata nel 1749 per il monastero di Vatopedi, grazie all'iniziativa e al sostegno finanziario del patriarca ecumenico di Costantinopoli Cirillo V. Il primo edificio fu costruito sulla cima di una collina a nord-est di Vadopedi; al giorno d'oggi rimangono solamente le rovine di questa costruzione. Il primo direttore fu il teologo Neofito Kafsokalyvitis.\n\nNuovo illuminismo greco.\nNel 1753 il patriarcato ecumenico affidò a Eugenio Vulgaris il compito di rinnovare l'educazione ecclesiastica e questi accettò l'incarico divenendo direttore dell'Accademia. Durante gli anni di Vulgaris (1753–1759), il nuovo iluminismo greco influenzò la direzione degli studi di tutta la comunità monastica del Monte Athos. I metodi di insegnamento di Vulgaris per il rilancio e l'aggiornamento dell'apprendimento all'interno della Chiesa ortodossa prevedevano una formazione incentrata sugli studi classici combinati all'esposizione della filosofia europea moderna, filosofia che comprendeva le opere di Cartesio, Leibniz, Wolff e Locke. Vulgaris poté insegnare indisturbato finché poteva contare sul sostegno degli alti ecclesiastici.\nQuando Cirillo V venne deposto dal trono patriarcale, i circoli conservatori del Monte Athos furono incoraggiati a schierarsi apertamente contro i metodi d'istruzione, ritenuti progressisti, di Vulgaris. Il direttore decise di dimettersi volontariamente nel 1759 e fu sostituito da Nikolaos Zerzoulis, noto come uno dei primi fautori della scienza newtoniana nell'educazione greca. Tuttavia, alla fine del XVIII secolo il tasso di alfabetizzazione sul Monte Athos era diminuito e i circoli locali tradizionali divennero sempre più ostili nei confronti dell'insegnamento progressista dell'Accademia.\n\nDal XIX secolo ad oggi.\nL'istutuo fu chiuso nel 1821 allo scoppio della guerra d'indipendenza greca e riaperto nel 1845 a Karyes, il centro amministrativo del Monte Athos. L'accademia era sostenuta finanziariamente dai monasteri e dai monaci della regione dell'Athos.\nLe lezioni furono sospese una prima volta dal 1916 al 1930 e una seconda volta dal 1940 al 1953 a causa rispettivamente della prima e della seconda guerra mondiale.\n\nLaureati famosi.\nCosma di Etolia.\nAtanasio Parios.\nNicodemo l'Agiorita.\nRigas Feraios.\nIosipos Moisiodax.\nEulogios Kourilas." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Achei.\n### Descrizione: Gli Achei (in greco antico: Ἀχαι(ϝ)οί?, Akhai(w)òi) sono la prima popolazione ellenica, seguiti dagli Ioni e gli Eoli, che invase la Grecia nel II millennio a.C., riuscendo a egemonizzare definitivamente le genti pre-elleniche (definite dai più Pelasgi). Sono detti anche Argivi, dalla città di Argo, o Danai, cioè 'figli di Danao', quindi 'occidentali', rispetto agli orientali Troiani.\n\nOrigini.\nInfruttuosi per ora sono stati i tentativi di affrancare gli Achei dalla loro posizione 'mitologica' per avvicinarli alla realtà storica dei Micenei, basata su reperti archeologici. I poemi omerici tramandano un'immagine distorta e fantasiosa del mondo acheo, al punto da non trattarsi di un 'ricordo' vero e proprio di quella civiltà, ma di una sorta di amalgama di elementi del passato miceneo (diventato, giocoforza, mitico) con altri della società contemporanea ai poeti (protogeometrico e geometrico).\nNell'Iliade con il nome Achei vengono indicati i popoli greci che presero parte alla Guerra di Troia. Omero usa come sinonimi Achei e Danai, mentre sembrerebbe che Argivi si riferisca solo ai nativi del Peloponneso o della Grecia continentale, ma è quasi un sinonimo, mentre usa il termine Elleni solo per gli abitanti del nord della Grecia. In età storica sono detti Achei gli abitanti dell'Acaia Ftiotide, nella Tessaglia meridionale, e dell'Acaia Egialea, corrispondente alla omonima regione denominata Acaia e a parte dell'Arcadia.\n\nEspansione.\nPer quanto riguarda la penetrazione di questo popolo nell'area greca si ritiene generalmente che queste genti di origine indoeuropea, attraverso i Balcani, occuparono il Peloponneso intorno al 1500 a.C., in coincidenza con la fine dell'era minoica. Gli Achei potrebbero quindi essere la causa ultima della capitolazione minoica. Gli invasori argivi subirono comunque l'influsso di questa cultura forte e civilizzata: dall'incontro di questi due popoli venne infatti a svilupparsi la fiorente civiltà micenea. Gli Achei si distribuirono in molte altre zone del Peloponneso, nelle isole attorno alla Grecia e nel resto del Paese. Definire quindi che Achei e Micenei siano la stessa cosa è evidentemente errato.\nIl ruolo degli Achei nello scacchiere politico del Mediterraneo orientale era di sicuro di fondamentale importanza. Si parla di loro nei documenti ittiti, dove vengono chiamati Aḫḫiyawa, ed egiziani (Ekwesh) della seconda metà II millennio a.C.. Verso il 1450 a.C., il potere acheo, tramite spedizioni militari ed imprese piratesche, riuscì ad abbattere la civiltà minoica a Creta. Inoltre, gli Achei si espansero verso le Cicladi meridionali, Rodi, Cipro e le coste dell'Asia Minore. Nel XIII secolo a.C. si aprirono la strada verso il Mar Nero con una spedizione militare contro la città di Troia.\nIl processo della decadenza micenea parrebbe iniziare con la guerra di Troia nel 1200 a.C. L'invasione dorica, di un secolo circa più tarda, invece ne sarebbe il colpo di grazia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Achemenide (Eneide).\n### Descrizione: Achemenide (Ἀχαιμενίδης Akhaimenides), nella mitologia greca, era uno dei compagni di Odisseo durante il suo viaggio di ritorno da Troia.\n\nIl mito.\nIl personaggio di Achemenide, non presente nelle opere di Omero, è citato da Virgilio nel Libro III dell'Eneide e nel libro XIV delle Metamorfosi di Ovidio. Figlio di un certo Adamasto di Itaca e reduce dalla guerra di Troia, egli per disguido fu abbandonato nella terra dei Ciclopi perché non fece in tempo a reimbarcarsi. Qui visse a lungo in preda al terrore, nascondendosi e perdendo ogni speranza di venire salvato, finché Enea, tempo dopo, lo trovò e lo portò via con sé, senza fargli del male, in Italia con la sua compagnia di rifugiati troiani.Il suo nome deriva dal nome di origine persiana Achaemenes e significa 'colui che attende con sofferenza'. Sebbene non sia menzionato nei poemi epici di Omero, Achemenide è un personaggio significativo. Il suo abbandono e il conseguente salvataggio per mano della flotta di Enea lo rende, insieme a Macareo, uno degli unici due membri noti dell'equipaggio di Odisseo (o Ulisse) a sopravvivere durante il viaggio di ritorno a Itaca (in quanto tutte le navi, a parte quella ammiraglia, furono distrutte dai giganti Lestrigoni, e tutti i membri dell'ultima nave, a parte ovviamente Ulisse, perirono annegati come punizione per aver divorato il bestiame sacro di Elio). L'episodio fornisce a Virgilio l'opportunità di mostrare la magnanimità di Enea nel salvare un membro dell'equipaggio di Odisseo senza provare risentimento, nonostante Ulisse avesse avuto un ruolo decisivo nella distruzione di Troia, la patria di Enea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Achemone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Achemone era il nome di un titano.\n\nIl mito.\nAchemone, insieme ad un suo pari, insultò a lungo Eracle, non credendo alla sua natura divina. L'eroe, allora, decise di punirlo e umiliarlo.\n\nAltre versioni del mito.\nSecondo un'altra versione del mito, Achemone era un ciclope, che assieme al fratello Basala viveva di brigantaggio nell'isola di Pitecusa (nel mar Tirreno). Il giorno in cui i due Ciclopi assalirono Eracle, che si trovava nei pressi a dormire, il forzuto eroe li appese per i piedi all'estremità della propria clava e se li caricò sulle spalle. Eracle, poi, divertito da una loro spiritosa osservazione, li perdonò e li lasciò liberi.\nIn un'altra versione, Achemone è la madre di Laodamia, avuta con Bellerofonte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Acheo (mitologia).\n### Descrizione: Acheo (in greco antico: Ἄχαιός, -oῦ?, Achaiòs, in latino Ăchaeus, -i) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Xuto e Creusa. Era il capostipite degli Achei.Fu padre di Arcandro e Architele.\n\nMitologia.\nAcheo è l'eponimo della stirpe degli Achei, una popolazione ellenica dell'antica Grecia le cui vicende storiche si svilupparono intorno al II millennio a.C. Secondo Omero, gli Achei erano nel complesso tutti i Greci dell'antichità, ma venivano chiamati anche Argivi o Danai.\nGli Argivi fecero fiorire una potente confederazione di tribù cui la storia dà il nome di cultura micenea. Essa fu il frutto della fusione delle culture pelasgiche preesistenti con le culture patriarcali elleniche. La loro importanza militare e commerciale fu tale da esser riconosciuta da popoli quali l'Egitto e gli Ittiti. In questa chiave si deve leggere la forzatura che vuole gli achei figli di Danao, cioè dell'occidente. 'Danai' alle volte son dette le forze militari elleniche tutte.\nI discendenti di Acheo cacciarono gli Ioni (discendenti di suo fratello Ione) dalla Tessaglia riuscendo a conquistare tutto il Peloponneso ad esclusione dell'Arcadia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Acheso.\n### Descrizione: Acheso (in greco antico: Ἀκεσώ?, Akesṑ) è un personaggio della mitologia greca, una delle figlie di Asclepio ed Epione.\n\nMitologia.\nEra la divinità che sovrintendeva al processo di guarigione ed a differenza di sua sorella Panacea rappresentava il processo di un trattamento piuttosto che la cura stessa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Achille a Sciro.\n### Descrizione: L'episodio di Achille a Sciro fa parte del mito riguardante l'eroe relativo a un tempo precedente alla sua partecipazione alla guerra di Troia. Il fatto non è incluso nell'Iliade, ma viene raccontato in versioni scritte successive della storia di Achille; in particolare è tratto dall'Achilleide di Stazio.\nLa vicenda racconta di come l'appena adolescente Achille si travestì e visse con un'identità femminile mentre si trovava alla corte del re di Sciro, in seguito s'innamorò di una principessa che sposò prima di partire per la guerra; è stato un argomento molto popolare nelle arti e in letteratura a partire dall'età classica e fino alla metà del XX secolo:.\n\nStoria.\nIl nucleo del mito di Achille a Sciro, così come presentato nelle fonti antiche, è il seguente: invece di lasciar il figlio libero di andare a morire a Troia (questo gli era stato difatti profetizzato) la ninfa Tetide lo mandò a vivere alla corte di Licomede il sovrano di Sciro travestito da ragazzina, come principessa straniera e/o dama di compagnia per le figlie del re, sotto il nome di Pirra-'la rossa' (i capelli dell'eroe erano di un color biondo-fuoco). Si dice abbia avuto una relazione con Deidamia, una delle figlie di Licomede, da cui ebbe anche uno o due figli, Neottolemo (soprannominato Pirro) e Oneiros.\nNel frattempo un'altra profezia aveva intimato a tutti gli Achei che la guerra non avrebbe in alcun modo potuto aver esito positivo per loro senza la partecipazione del giovane Achille: Odisseo e diversi altri capi della spedizione si lanciarono allora sulle sue tracce. Giunti a Sciro in abiti da mercanti andarono ad offrire doni, ornamenti e strumenti musicali alla corte di Licomede, ma mischiate a questi misero anche alcune splendide armi.\nGli Achei rimasti fuori dalle stanze delle donne intanto imitarono i rumori di un attacco nemico proveniente dall'esterno: ciò spinse l'intemerato Achille a rivelarsi, andando subito a scegliere una delle spade: così smascherato il giovane si trovò costretto ad accettare di partecipare alla missione, fu condotto alle navi e tutti immediatamente partirono in direzione della città di Priamo. In alcune versioni Deidamia vestita da uomo lo seguì.\nLa versione più dettagliata ed elaborata è però quella che si trova nell'Achilleide: Tetide decide di nascondere il figlio agli occhi del mondo all'interno dell'harem di Licomede. Achille, inizialmente abbastanza riluttante alla fine acconsente, attratto dalla fulgida bellezza di una delle figlie del re; la ninfa lo traveste da fanciulla e lo introduce a corte in qualità di figlia di una donna appartenente al popolo delle Amazzoni.\nOra la giovinetta deve imparare l'educazione e i modi femminili, dice Tetide al re per convincerlo ad accettare, vivendo tra le ragazze normali della sua età, in modo da potersi preparare ad un futuro conveniente matrimonio: Licomede acconsente di prendersi cura della 'ragazza' e le sue figlie ignare di tutto accettano subito Achille come nuova compagna di giochi e facendolo vivere e dormire negli appartamenti delle donne.\nDopo qualche tempo egli però comincia a sviluppare una particolare amicizia ed affetto per Deidamia, diventando sempre più difficile per lui nascondere l'interesse sentimentale nei suoi confronti. Infine durante un festival notturno in onore del dio dell'ebbrezza, Dioniso, dove normalmente non sono ammessi uomini, il ragazzo riesce a far sì che i propri desideri virili si esprimano compiutamente; dopo aver avuto un appassionato rapporto sessuale, Achille rivela ad un'allibita Diedamia la sua vera identità.\nLa ragazza, che non vuole subire le conseguenze dell'ira paterna, decide di continuar a tenere il segreto: poco dopo scoprirà di essere rimasta incinta. Quando Odisseo e i suoi compagni giungono a corte, Achille era oramai oltremodo insofferente del suo travestimento femminile e, anche se Deidamia prova a trattenerlo, dopo il trucco messo in atto dall'astuto acheo, si rivela in tutta la sua virilità.\nLa ragazza piangente confessa al padre che lei ed Achille sono diventati amanti, non solo, ma hanno anche avuto un figlio: Deidamia, affranta per l'imminente perdita dell'amante, chiede di poterlo seguire, ma ciò pare a tutti cosa impossibile da farsi. Lei allora lo implora di mantenere fisso il ricordo su questi anni passati assieme e di non fare figli con altre donne. Achille giura di tornare un giorno a lei, anche se il fato ha già deciso altrimenti.\n\nNelle arti.\nQuesto particolare riguardante la vita di Achille è stato oggetto di molte opere d'arte attraverso i secoli, alcune delle quali vanno in direzione dei risvolti comici causati dallo scambio di genere e al travestimento, con tutte le incomprensioni e doppi sensi che ciò comporta; fino all'espressione ideale eroica, ad un'interpretazione dell'amore etero ed omosessuale, ai riti iniziatici, all'incesto, allo stupro e alla violenza domestica.\nLa popolarità del tema, per tutto il '6-'700 è dovuto ad una serie di fattori, ma un ruolo certamente molto importante è stato dato dall'aspetto del travestitismo: il maschio adolescente vestito da femmina e che assume via via tutti i ruoli attribuiti alle donne. Alcuni librettisti come Giulio Strozzi, Carlo Capece e Ippolito Bentivoglio si sono avvicinati al tema da un punto di vista più carnevalesco, sottolineando la commedia che impone il mascheramento da uomo a donna, oltre agli aspetti omoerotici che questa sottintende.\n\nLetteratura.\nI sec a.C: Epitalamio di Achille e Deidamia, anonimo, a volte attribuito a Bione di Smirne.\nI sec. d.C: Achilleide di Stazio.\nXI sec: Deidamia Achilli, di un anonimo ovidiano che si ispira all'epistola di Deidamia ad Achille.\n1300: la storia è menzionata da Dante nel nono canto del Purgatorio, versi 34-42.\n1805: Achille à Scyros di Jean-Charles-Julien Luce de Lancival.\n1890, Achilles in Scyros di Robert Bridges.\n1935: Achille ou le mensonge di Marguerite Yourcenar, pubblicato anche come Déidamie.\n1998: la storia di Achille a Sciro è inclusa nei fumetti di Eric Shanower L'Età del bronzo.\n\nDipinti.\nV sec a.C: Achille a Sciro di Polignoto.\nIV-III sec a.C: Odisseo scopre Achille in abiti di fanciulla di Athenion di Maroneia.\nI sec d.C: la Camera di Achille a Sciro, decorata con affreschi, nella Domus Aurea.\nIII sec d.C: affreschi anonimi nella Casa dei Dioscuri e in altri luoghi di Pompei.\n1600: Odisseo riconosce Achille (travestito da donna) tra le figlie di Licomede di Frans Francken II.\n1649-50: Nicolas Poussin, Scoperta di Achille a Sciro.\n1656: Nicolas Poussin, Achille a Sciro.\n1664: Achille scoperto da Ulisse di Jan de Bray.\nNiccolò Bambini, Achille a Sciro.\nGian Pietro Bellori, 2 dipinti di Achille a Sciro, uno ora al Museum of Fine Arts (Boston), l'altro nel Virginia Museum of Fine Arts, Richmond.\n1700: Achille alla corte di re Licomede di Pompeo Batoni.\n\nOpere teatrali.\n1641: La finta pazza di Francesco Sacrati (musica) e Giulio Strozzi (libretto).\n1663: Achille in Sciro di Giovanni Legrenzi (musica) e Ippolito Bentivoglio (libretto).\n1663: Achille in Sciro di Antonio Draghi (musica) e Cav. Ximenez (libretto).\n1712: Tetide in Sciro di Domenico Scarlatti (musica) e Carlo Sigismondo Capece (libretto).\n1727: Achille in Sciro, opera anonima eseguita presso il teatro dell'opera di Franz Anton von Sporck a Praga, e probabilmente basato sul libretto di Bentivoglio.\n1733: Achilles di John Gay.\n1735: Achille et Déidamie di André Campra (musica) e Antoine Danchet (libretto).\n1736: Achille in Sciro di Antonio Caldara (musica) e Metastasio (libretto).\n1737: Achille in Sciro di Domenico Sarro (musica) e Metastasio (libretto).\n1738: Achille in Sciro di Giuseppe Arena (musica) e Metastasio (libretto).\n1739: Achille in Sciro di Pietro Chiarini (musica) e Metastasio (libretto) (adattato da Bartolomeo Vitturi.\n1740: Achille in Sciro di Leonardo Leo.\n1741: Deidamia di George Frideric Handel (musica) e Paolo Antonio Rolli (libretto).\n1744: Achille in Sciro di Francesco Corselli (musica) e Metastasio (libretto).\n1745: Achille in Sciro di Gennaro Manna (musica) e Metastasio (libretto).\n1747: Achille in Sciro di Giovanni Battista Runcher (musica) e Metastasio (libretto).\n1749: Achille in Sciro di Niccolò Jommelli (musica) e Metastasio (libretto).\n1751: Achille in Sciro di Gregorio Sciroli (musica) e Metastasio (libretto).\n1754: Achille in Sciro di Antonio Maria Mazzoni (musica) e Metastasio (libretto).\n1759: Achille in Sciro di Johann Adolph Hasse (musica) e Metastasio (libretto).\n1759: Achille in Sciro di Giuseppe Sarti (musica) e Metastasio (libretto).\n1764: Achille in Sciro di Ferdinando Giuseppe Bertoni (musica).\n1765: Achille in Sciro di Johann Friedrich Agricola (musica) e Metastasio (libretto).\n1766: Achille in Sciro di Florian Leopold Gassmann (musica) e Metastasio (libretto).\n1767: L'Achille in Sciro di Johann Gottlieb Naumann.\n1772: Achille in Sciro di Antonio Amicone.\n1773: Achilles in Petticoats di Thomas Arne (musica) e John Gay (libretto).\n1774: Achille in Sciro di Pasquale Anfossi (musica) e Metastasio (libretto).\n1774: Achille in Sciro di Pietro Pompeo Sales (musica) e Metastasio (libretto).\n1778: Achille in Sciro di Giovanni Paisiello.\n1785: Achille in Sciro di Gaetano Pugnani.\n1794: Achille in Sciro di Marcello Bernardini and Metastasio (libretto).\n1800: Achille in Sciro: Commedia dramatica per musica, libretto di Publio Quintiliano Settimio.\n1825: Achille in Sciro di Pietro Antonio Coppola (musica) e Rapisarda (libretto).\n1857: Achille à Scyros di François Anatole Laurent de Rillé (operette).\n\nBalletto.\n1804: Achille à Scyros di Pierre Gardel (balletto) e Luigi Cherubini (musica).\n1830: Achilles at Scyros di Carlo Blasis.\n1921, Achilles auf Skyros di Egon Wellesz (musica) e Hugo von Hofmannsthal." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Achille benda Patroclo.\n### Descrizione: Achille benda Patroclo è il nome convenzionale attribuito ad una Kylix a figure rosse di produzione attica, capolavoro della ceramografia classica, detto anche Kylix di Sosias, datata intorno al 500 a.C., del diametro di 32 cm. Si tratta dell'unico manufatto firmato del celebre ceramografo Sosias. Proveniente da Vulci, oggi appartiene all'Antikensammlung Berlin, inventariata al Nr. F 2278, ed è esposta nell'Altes Museum.\n\nDescrizione.\nSi tratta di una kylix, ossia una coppa da vino in ceramica, utilizzata durante i banchetti. Un'iscrizione dipinta sullo stesso vaso ne riporta l'autore della decorazione, il ceramografo Sosias, considerato tra i massimi artisti della prima generazione di pittori a figure rosse, del quale costituisce l'unico esemplare firmato.\n\nScene dipinte.\nLa decorazione comprende due raffigurazioni indipendenti, il cui legame non è stato identificato.\n\nEsterno.\nSulla fascia decorativa esterna, frammentaria, è rappresentato Ercole accolto tra gli dei dell'Olimpo.\n\nInterno.\nDi grande interesse è la scena rappresentata nel clipeo centrale della coppa, con l'eroe omerico Achille che fascia il braccio dell'amico Patroclo, ferito in battaglia. Nell'Iliade di Omero sono abbondantemente descritte le vicende dei due guerrieri, ma in questo caso non è chiaro se si tratti di un episodio proveniente dal poema omerico o da un altro poema del ciclo troiano; non si può neppure escludere che si tratti di un'invenzione del pittore. Di particolare interesse il fatto che tra i due protagonisti della scena Patroclo sia raffigurato come un uomo maturo che ha affrontato il nemico in battaglia, mentre un Pelìde ancora imberbe sembra assumere il ruolo di eròmenos.\n\nStile.\nDa un punto di vista stilistico, l'episodio in questione, distante dalle consuete rappresentazioni di episodi epici di battaglia, costituisce un raro esempio di raffigurazione di una scena di vita quotidiana. Le espressioni dei personaggi, in particolare la smorfia di dolore sul volto di Patroclo, sono rese con notevole intensità psicologica. Notevole abilità tecnica è mostrata dal pittore nella resa dei profili, nei quali gli occhi non sono dipinti frontalmente come era consuetudine." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Achille e Patroclo.\n### Descrizione: Il rapporto tra Achille e Patroclo è uno degli elementi chiave dei miti associati alla guerra di Troia: quale sia stata la sua effettiva natura e fino a che punto si sia spinta questa relazione tra i due eroi è stata oggetto di controversie sia nel periodo antico sia nei tempi moderni.\nSappiamo, però, che nel periodo antico, era abituale avere relazioni omosessuali.\nNell'Iliade i due sono legati da un rapporto particolarmente intenso: Achille si dimostra esser sempre molto gentile e preoccupato nei confronti del compagno d'armi, quando invece appare spietato, insensibile e arrogante con tutti gli altri, siano essi nemici o alleati. I commentatori dell'epica classica hanno facilmente tradotto il rapporto esistente tra i due attraverso la lente interpretativa della propria cultura. Ad Atene durante il V secolo a.C. il rapporto è stato volentieri considerato alla luce tradizionale della pederastia pedagogica.\nMentre alcuni lettori contemporanei mantengono il punto di vista pederastico, altri ritengono invece sia esistito un legame amoroso fra i due.\n\nNell'Iliade.\nLa figura dell'eroe Achille, figlio di Peleo, apre il poema omerico. La sua ira è contro Agamennone che lo ha privato del premio di battaglia a cui lui teneva di più, Briseide.\nL'intenso legame degli eroi Achille e Patroclo è esplicitamente menzionato nei versi omerici, sconfinando, per diversi autori, dal campo dell'eccellenza militare e della solidarietà cameratesca per manifestarsi in un rapporto di intensa passione.\nIl poeta non ritrae i due come amanti ('ma, - come nota David M. Halperin, - anche lui ha davvero fatto poco per escludere una tal interpretazione, […]'); abbiamo tuttavia testimonianze che, già dal V secolo avanti Cristo, ciò veniva attestato: Eschilo nei framm. 135-136 della tragedia perduta I Mirmidoni; Platone, nel Simposio, lo fa dichiarare da Fedro (179e–180b); infine Eschine nel suo Contro Timarco (133, 141–50).\nCosì la scrittrice e giurista italiana Eva Cantarella:.\n\nA causa di questa forte relazione, la morte di Patroclo sul campo di battaglia diventa per Achille la motivazione principale del suo tornare a combattere, dopo che si era sdegnosamente ritirato dalla guerra a causa del grande contrasto avuto con Agamennone. La scomparsa del compagno sta alla base di una vastità di emozioni ed azioni espresse dall'eroe nei confronti dell'evento bellico e che si trascineranno drammatizzate al massimo grado per tutto il resto del poema.\nIl critico anglosassone contemporaneo Gregory Nagy sottolinea che il posto più alto nella scala degli affetti di Achille spetta di diritto a Patroclo: «difatti Patroclo è per Achille πολὺ φίλτατος… ἑταῖρος-l'hetairos che è di gran lunga il più philos (XVII 411, 655)». Hetairos (ἑταῖρος) significa compagno e in Omero viene solitamente utilizzato per indicare i guerrieri che prendono ordini da uno stesso comandante (compagni d'arme, quindi); mentre la sua forma femminile etera sarebbe stato utilizzato in seguito per le cortigiane, hetairos indicava ancora essenzialmente un soldato in epoca ellenistica (e fino quasi ad arrivare a quella bizantina a volte). Nei testi antichi philos (φίλος) denota un tipo generico di amore che è utilizzato tra familiari o tra amici, o per indicare gli appassionati ad uno stesso argomento (philos-sophia è 'amore per la sapienza'), ma poteva anche essere usato tra amanti.\nSebbene la maggior parte dei guerrieri Achei lotti per la fama personale o per la gloria della loro polis, dopo la morte di Patroclo si vedrà chiaramente Achille combattere solo per lui, per l'amico, in nome del compagno-hetairos.\nUno dei momenti culminanti di tutta la narrazione per il prosieguo della storia, e in cui si tocca l'acme della drammaticità, è quando Achille viene a sapere da Antiloco, figlio di Nestore, la morte di Patroclo:.\n\nIl corpo di Patroclo viene difeso dai Greci e riportato al campo acheo, e qui Achille inizia il compianto:.\n\nIl linguaggio dei lamenti di Achille sarà molto simile a quello usato poi da Andromaca davanti al cadavere del marito Ettore, ucciso proprio da Achille. Teti ha difatti spinto il figlio a tornare sul campo di battaglia e qui egli, con l'unico scopo di vendicare Patroclo, si aggira assetato di sangue alla ricerca del suo assassino: Ettore comprende molto presto di non aver alcuna possibilità di sopravvivere allo scontro con l'eroe furente. Torna a combattere, anche se gli Dèi lo avevano ben preavvertito che ciò gli sarebbe costato a sua volta la vita.\nL'attaccamento di Achille e Patroclo divenne subito un legame archetipico maschile per molte coppie di uomini nella cultura greca: da Damone e Pizia fino ad Armodio e Aristogitone..\nNella mitologia classica vi sono comunque altre coppie di guerrieri che volentieri affrontano il pericolo e finanche la morte l'uno stretto accanto all'altro, come Eurialo e Niso (Virgilio, Eneide, V e IX), Oreste e Pilade (Eschilo, Orestea), Ati e Licabas (Ovidio, Metamorfosi, V): in particolare Ati e Achille sono semidei, nati ambedue da ninfe.\n\nInterpretazione classica del mito come relazione pederastica.\nDurante il V e il IV secolo a.C. la relazione tra Achille e Patroclo è stata ritratta sempre più come un rapporto pederastico tra eromenos ed erastès (questo ce lo dice Eschilo ne I Mirmidoni, tragedia quasi perduta interamente, nella quale questa relazione risulta invertita così come è invertito il rapporto d'età). Omero indica Achille come il più giovane, il quale risulta dominante avendo maggior fama di guerriero (questo fa sostenere Platone a Fedro nel Simposio); mentre Patroclo, il più adulto, svolge ruoli di servizio come occuparsi della cucina o prendersi cura dei cavalli.\nDi molto successivo al testo omerico lo Pseudo-Apollodoro (Biblioteca, libro III, 13, 8) e Publio Papinio Stazio (poeta latino del I secolo) nella sua Achilleide ci mostrano l'eroe (mentre si nasconde travestito da donna a Sciro perché la madre vuole impedirgli di partecipare alla guerra) come marito di Deidamia e padre di Neottolemo: quest'ultimo avrebbe anche preso parte alle fasi finali della guerra di Troia, giovanissimo, dopo la morte del padre (cfr. Achille a Sciro).\nNella tragedia i Mirmidoni, Eschilo indica la relazione tra i due eroi come esplicitamente sessuale ed assegna ad Achille il titolo di erastes e protettore: in un frammento superstite l'eroe parla di una 'unione devota delle cosce' indicando il sesso intercrurale, quello utilizzato maggiormente nelle relazioni pederastiche.\nPlatone presenta attorno al 385 a.C. i due come amanti nel Simposio: il giovane Fedro li indica qual esempio di amanti divinamente approvati. Egli sostiene inoltre che Eschilo ha commesso un errore nell'indicare Achille quale erastes in quanto era proprio l'eroe dall'ira facile il più giovane (difatti era ancora imberbe) e colui che eccelleva in bellezza.\nEschine nel 345 a.C. nel porre l'accento sull'importanza della pederastia greca sostiene che, anche se Omero non lo indica esplicitamente, le persone colte dovrebbero esser in grado di leggere tra le righe: «si nasconde il loro amore e si evita di dare un nome alla loro amicizia, pensando che la straordinaria grandezza del loro affetto si manifesta per quello che realmente è agli ascoltatori più sapienti».\n\nAlcuni tentativi di rivedere il testo di Omero furono intrapresi da Aristarco di Samotracia intorno al 200 a.C. sostenendo che il sommo poeta non intendeva indicare i due come amanti, ma che ciò è stata solo un'interpolazione successiva.\nAlcuni versi di Licofrone di Alessandria d'Egitto, autore del III secolo, sembrano indicare qual movente dell'uccisione di Troilo da parte di Achille, proprio un amore non corrisposto.\nPer tutto il periodo ellenistico e poi durante l'impero romano Achille e Patroclo vengono presentati come amanti.\n\nInterpretazioni post-classiche e rivisitazioni moderne.\nCome regola generale la tradizione post-classica mostra un Achille perfettamente eterosessuale avere un'esemplare amicizia del tutto asessuata con Patroclo. Gli scrittori medioevali cristiani, coerentemente con l'Iliade, non fanno menzione di sfumature omoerotiche della storia.\n\nDavid Halperin nel suo saggio intitolato Gli eroi e i loro amici mette a confronto le tradizioni di Gilgamesh con Enkidu e Davide con Gionatan, le quali son quasi contemporanee alla composizione dell'Iliade e sostiene che mentre nessuno di questi tre rapporti sia indicato come esplicitamente sessuale all'interno del contesto letterario e sociale in cui si sono venute a creare, tutte d'altra parte dimostrano inequivocabilmente quanto intensamente omoerotiche fossero le amicizie guerriere tra maschi.William Shakespeare in Troilo e Cressida raffigura i due eroi come amanti, con la decisione di Achille di trascorrere tutto il tempo all'interno della tenda dell'amato.In molti romanzi storici dell'autrice britannica Mary Renault sono contenuti frequenti riferimenti simbolici ad Achille e Patroclo: la coppia per lei rappresenta un modello di amore cameratesco omosessuale con caratteri pederastici.Nel romanzo di Christa Wolf intitolato Cassandra, Achille è presentato come un maschio omosessuale che si trova ad essere in un certo qual modo in conflitto con sé stesso.Il film Troy presenta Patroclo come un parente più giovane di Achille, deprivando la storia d'un qualsiasi aspetto romantico o sessuale (per altro non del tutto esplicito nei poemi omerici); laddove invece Omero afferma chiaramente che Patroclo era il più grande di età tra i due, oltre ad esser quello col carattere più responsabile.Nel musical Spring Awakening ad un certo punto un ragazzo implora un altro di fare un po' di Achille e Patroclo: i due personaggi sono poi mostrati in una relazione omosessuale.Nel romanzo di fantascienza di Dan Simmons intitolato Ilium Achille e Patroclo hanno un forte legame di fratellanza guerriera, ma vengono mostrati anche nell'impegnarsi in un'orgia.Nel romanzo di Madeline Miller La canzone di Achille viene mostrato il rapporto d'amore tra Achille e Patroclo dagli inizi fino alla morte di Achille, e di come l’”aristos achaion” (migliore tra i Greci) abbia volutamente ucciso Ettore per porre fine alla tragedia avvenuta il giorno prima, ovvero la perdita del suo “therapon” (pari compagno d’armi e il più caro) Patroclo. Prima di venire ucciso da Paride, Achille ordina ai membri dell’accampamento di riporre le sue ceneri nella stessa coppa di quella del suo amato. Il suo desiderio viene compiuto e il nome di Patroclo viene inciso dalla stessa Teti, dea progenitrice del Pelide, in modo che lo spirito del principe esule Meneziade (Epiteto: patronimico di Patroclo, figlio di Menezio re di Opunte) riposasse in eterno insieme all’anima di colui che scelse la morte, invece di vivere una vita senza il suo vero amore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Achille et Polyxène.\n### Descrizione: Achille et Polyxène (LWV 74) è una tragédie lyrique composta da Jean-Baptiste Lully (che ne scrisse solo l'ouverture e il primo atto) e completata da Pascal Colasse dopo la morte di Lully, avvenuta il 22 di marzo 1687. Il libretto è di Jean Galbert di Campistron (1656-1723) e si basa sull'Eneide di Virgilio.\nL'opera venne rappresentata per la prima volta il 7 novembre 1687 all'«Académie royale di musique» di Bérain con il seguente cast: Dumesny (Achille), Dun (Agamennone), Beaumavielle (Priamo), Mlle. Moreau (Andromaca), Mlle. Rochois (Polissena), Mlle. Desmatins (Briseida). La coreografia dei balletti intermedi era affidata a Lestang e Pecourt.\nAchille et Polyxène venne aspramente criticata, al punto da ispirare epigrammi che definivano la musica piatta e insignificante, e fu rappresentata solo una volta dopo il debutto, l'11 ottobre 1712, con un nuovo prologo («La Félicité et Encelade») e con il seguente cast: Mlle. Poussin (La Felicità, Venere), Cochereau (Achille), Gli Myre (Patroclo), La Rozière (Diomede), Hardouin (Agamenón), Thevenard (Príamo), Mlle. Heusé (Andrómaca), Mlle. Journet (Políxena), Mme. Pestel (Briseida), Mlle. Antier (Giunone).\nLa Bourrée d'Achille (altrimenti detta Entrée des Genies de Talie) contenuta in quest'opera è citata nella canzone Shpalman di Elio e le Storie tese.\n\nPersonaggi.\nRegistrazioni.\nFinora questa opera non è stata incisa, anche se alcuni artisti ne hanno registrato diverse selezioni parziali." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Achille.\n### Descrizione: Achille (in greco antico: Ἀχιλλεύς?, Achilléus; in latino Ăchillēs, -is), soprannominato piè veloce o piè rapido, è un eroe leggendario della mitologia greca, protagonista della guerra di Troia descritta dall'Iliade.\nIl mito di Achille è tra i più ricchi e antichi della mitologia greca: oltre all'Iliade, altre leggende hanno fatto proprio tale personaggio e si sono sforzate di completare il racconto della sua vita, inventando episodi che supplissero alle lacune dei poemi omerici. Via via si è venuto a formare un ciclo di Achille ricco di versioni sovente divergenti, come, per esempio il fatto che spesso dormisse nella foresta di giorno; versioni che hanno ispirato i poeti tragici ed epici dell'antichità, fino all'epoca romana. Achille viene anche identificato col patronimico Pelìde, essendo egli figlio del mortale Peleo.\n\nIl mito.\nOrigine.\nAchille era un semidio, essendo pronipote di zeus e figlio del mortale Peleo, re dei Mirmidoni di Ftia (regione nel sud-est della Tessaglia) e della nereide Teti.\nZeus e Poseidone si erano contesi la mano di Teti fino a quando Prometeo (o, secondo altre fonti, Temi) profetizzò che la ninfa avrebbe generato un figlio più potente del padre. Per questo motivo essi dovettero rinunciare alle loro pretese e costrinsero Teti a sposare Peleo, giustamente convinti che il figlio di un mortale non avrebbe costituito una minaccia. Esiste una versione alternativa data da Le Argonautiche, nella quale Era allude alla resistenza e al rifiuto di Teti alle avance di Zeus, per rispetto al legame matrimoniale Era e Zeus.\nNel poema incompleto Achilleide di Publio Papinio Stazio del I secolo c'è una versione che non si trova in altre fonti, in base alla quale Teti, quando Achille nacque, lo immerse nel fiume Stige, per renderlo invulnerabile, tenendolo per un tallone: il bambino divenne così invulnerabile con l'eccezione di quel punto, che non era stato immerso (cfr. tallone di Achille). Non è chiaro se questa versione di Stazio fosse nota in precedenza.\nIn un'altra versione, citata nel Libro IV de Le Argonautiche, Teti, per rendere immortale il figlio, lo ungeva di giorno con l'ambrosia, mentre di notte, di nascosto da Peleo, ne bruciava le parti mortali del corpo nel fuoco per renderlo invulnerabile. Una notte, Peleo si svegliò e, vedendo il figlioletto agitarsi tra le fiamme, lanciò un urlo: Teti, adirata, gettò il bambino a terra e, veloce come il vento o come un sogno, se ne andò, immergendosi nel mare, senza fare più ritorno. Peleo, con l'aiuto del centauro Chirone, sostituì il tallone di Achille, rimasto ustionato, con l'astragalo (osso della caviglia tra la tibia e il calcagno) del gigante Damiso, celebre per la sua velocità nella corsa: da qui l'appellativo di 'piè veloce' (podas ôkus) con cui l'eroe viene anche denominato.\nTuttavia nessuna delle fonti antecedenti Stazio fa riferimento alla sua invulnerabilità. Al contrario, nell'Iliade, Omero narra di un Achille ferito: nel libro XXI, l'eroe peonio Asteropeo, figlio di Pelegone, sfida Achille nei pressi del fiume Scamandro. Egli, ambidestro, scaglia due lance alla volta e la seconda colpisce Achille al gomito, facendogli sgorgare del sangue: «sfiora coll'altro il destro braccio dell'eroe, di nero sangue lo sprizza». Neanche in Etiopide, la Piccola Iliade e l'Iliou persis (La caduta di Ilio), poemi epici greci del ciclo troiano dove compare una descrizione della morte dell'eroe, c'è traccia della sua invulnerabilità o del suo famoso tallone. In alcuni successivi dipinti su vaso che raffigurano la sua morte, una o più frecce trafiggono il suo corpo.\n\nIstruzione.\nPeleo affidò Achille al centauro Chirone sul Monte Pelio affinché provvedesse alla sua crescita ed educazione. Sul magnifico Pelio il fanciullo ricevette le cure della madre del centauro Chirone, Filira, e di sua moglie, la ninfa Cariclo. Chirone provvide a cambiargli il nome in Achille: prima infatti era chiamato Ligirone, che significava 'piangente'.\n\nDiventato più grande, Achille cominciò a esercitarsi nella caccia e nell'addestramento dei cavalli come pure nell'arte medica. Mentre imparava a cantare e a suonare la lira, Chirone lo addestrava alle antiche virtù: il disprezzo dei beni di questo mondo, l'orrore della menzogna, la moderazione, la resistenza alle cattive passioni e al dolore. Il centauro lo nutriva con midollo di leone e di cinghiale, per trasmettergli la forza e il coraggio di questi animali e con miele e midollo di cerbiatto per renderlo agile e veloce, ma al tempo stesso dolce e persuasivo.\nChirone gli insegnò a suonare perfettamente la forminx, strumento musicale a quattro corde simile alla cetra, mentre la musa Calliope lo istruì nel canto e nell'arte della pittura. Le doti del giovane eroe si rivelarono già all'età di sei anni quando, grazie ai consigli del suo maestro, uccise il primo cinghiale. Da quel momento il Pelide iniziò a portare continuamente nella grotta di Chirone le prede che cacciava. La sua bionda capigliatura splendeva al sole durante le corse e, quando si dava alla caccia, raggiungeva e abbatteva i cervi senza l'aiuto dei cani. Le sue doti stupivano persino le divinità Atena e Artemide, sbalordite dalla grazia e dalle capacità di quel fanciullo così piccolo.\nDurante questo periodo di educazione alla vita guerriera, Achille ebbe come inseparabile compagno Patroclo, il quale, benché fosse più grande di lui, non gli era superiore nella forza né poteva vantare la stessa nobile origine.\nContemporaneamente agli insegnamenti di Chirone, Achille apprese dal precettore Fenice l'arte dell'eloquenza e l'utilizzo adeguato delle armi. Secondo la tradizione omerica, il Pelide trascorse la sua giovinezza a Ftia, insieme al padre Peleo e all'anziano Fenice, che molto lo amava e lo considerava come un figlio; il poema ricorda anche l'episodio in cui Fenice offriva del vino al giovane eroe, il quale spesso lo risputava sulla sua tunica, ancora troppo giovane per poterlo gustare.Sin da bambino, gli dei, che da tempo lo ammiravano e conoscevano il destino che l'attendeva, lo avevano avvisato sul suo futuro. Gli fu chiesto se preferisse vivere a lungo, ma senza gloria, o avere una vita breve e famosa per le imprese che avrebbe compiuto: il giovane Achille scelse quest'ultima opzione e il suo destino fu così segnato.\n\nIl rifugio a Sciro.\nQuando Achille aveva nove anni, Calcante, un indovino che aveva tradito i Troiani per schierarsi dalla parte degli Achei, annunciò che Troia non avrebbe potuto essere conquistata senza l'aiuto del giovane tra le sue file. Teti (o secondo altre versioni Peleo), la quale era venuta a sapere di questa profezia, temendo la morte del figlio sotto le mura della città, sottrasse il giovane alle cure di Chirone e lo portò presso il re Licomede a Sciro, presentandolo come una donna: lo vestì con abiti femminili e lo fece vivere insieme alle figlie del re. Forse Licomede era a conoscenza della verità, ma non disse nulla a riguardo accettandolo di buon grado.\nQui l'eroe rimase nove anni, venendo soprannominato Cercisera, Essa o Pirra (cioè la Fulva), a causa dei capelli di colore biondo ardente. Durante questo periodo, l'eroe si innamorò di Deidamia, una delle figlie di Licomede, la sposò e da lei ebbe un figlio, Pirro, che più tardi avrebbe preso il nome di Neottolemo. In base a un'altra leggenda, Neottolemo era figlio di Achille e di Ifigenia.Intanto Odisseo, avendo anch'egli saputo dall'indovino Calcante che Troia non avrebbe potuto essere conquistata senza la partecipazione di Achille, fu incaricato insieme a Nestore e Aiace Telamonio di andare alla ricerca del giovane. Scoperto il suo nascondiglio, i tre si presentarono al cospetto di Licomede travestiti da mercanti, portando a Sciro stoffe e oggetti preziosi, adatti ai gusti femminili. Tuttavia, dentro una cesta lo scaltro Odisseo aveva messo anche alcune splendide armi, che Achille immediatamente scelse, rivelandosi. Secondo un'altra versione, mentre le fanciulle erano intente a scegliere articoli di ricamo e stoffe, Odisseo simulò un fragore di armi in mezzo all'harem di Licomede. Le ragazze, terrorizzate, fuggirono mentre Achille, conforme al suo spirito maschile, si strappò di dosso le vesti femminili, si rivestì del bronzo guerriero e uscì pronto a combattere. Teti e Peleo dovettero così rassegnarsi all'inevitabile destino del figlio e non ostacolarono più la sua vocazione di guerriero.\nAl momento della sua partenza, Peleo fece voto di consacrare al fiume Spercheio, che bagnava il suo regno, i capelli del figlio se fosse tornato sano e salvo dalla spedizione. Teti, da parte sua, ripeté ad Achille il futuro che lo attendeva. Achille, senza esitare, confermò la decisione di molti anni prima e scelse la vita breve e gloriosa.\nLa dea consegnò all'eroe anche un'armatura divina, offerta un tempo da Efesto a Peleo come regalo di nozze e vi aggiunse i cavalli che Poseidone aveva portato come dono nella stessa occasione. Affiancò poi al figlio un compagno di nome Mnemone, la cui sola funzione era quella di impedirgli, con i suoi consigli, di uccidere un protetto di Apollo: un oracolo, infatti, aveva profetizzato che Achille sarebbe morto di morte violenta se l'avesse fatto: ma di questo eroe però non specificava il nome.\nTeti infine gli proibì di sbarcare per primo sulla riva troiana, perché il primo a farlo sarebbe stato anche il primo a cadere vittima del nemico, sorte che toccò a Protesilao. Altre fonti, tuttavia, sostengono che, senza l'intervento della dea Atena, che lo trattenne, l'impetuoso eroe avrebbe dimenticato l'avvertimento e avrebbe anticipato chiunque altro.\n\nLa prima spedizione e l'aiuto di Telefo.\nDopo la sortita di Odisseo, Nestore e Patroclo presso il re Licomede, Achille si convinse a prendere parte alla spedizione di Troia, mettendosi a capo di una flotta di cinquanta navi con a bordo un contingente di Mirmidoni, accompagnato dall'amato Patroclo, dall'auriga Automedonte e dal precettore Fenice. Prima della partenza, su decisione dei capi, Achille assunse il comando supremo della flotta achea, sostenuto da Aiace Telamonio e da Fenice.Nell'Iliade si narra che l'esercito acheo giunse a Troia direttamente dalla città di Aulide, in Beozia; alcune leggende successive narrano di un primo tentativo di sbarco che fallì completamente. La prima volta in cui la flotta lasciò Aulide per attaccare Troia, vi fu un errore sulla direzione da prendere e, anziché giungere nella Troade, gli Achei approdarono molto più a sud, nella Misia. Pensando di essere nella Troade, decisero di saccheggiare il paese, il cui re era Telefo, figlio di Eracle. Altre versioni sostengono che essi deliberatamente mossero contro i Misi prima di attaccare Troia, per impedire che Priamo potesse richiedere il loro aiuto.\nTelefo fronteggiò gli invasori con il suo esercito, uccidendone molti tra cui Tersandro, figlio di Polinice, che aveva cercato di resistergli: Patroclo e Diomede riuscirono a strappare il suo cadavere ai nemici. Durante la lotta, Patroclo, colpito da una freccia scagliata dalle truppe nemiche, fu costretto a ritirarsi. Quando arrivò Achille, Telefo, spaventato, fuggì lungo le rive del fiume Caico: durante la fuga rimase impigliato in un ceppo di vite e cadde, venendo ferito alla coscia da Achille con un colpo di lancia.\nSuccessivamente, resisi conto dell'errore, gli Achei si imbarcarono alla volta di Troia, ma non riuscirono a giungervi poiché una tempesta disperse la flotta. Achille, in particolare, si ritrovò a Sciro, presso Deidamia e il figlio. Durante gli otto anni trascorsi nella città, Achille ebbe modo di rivelare a Licomede del bambino avuto con Deidamia: il re impose ai due di sposarsi, anche per riparare alla nascita di Neottolemo che Achille aveva tenuto nascosto durante tutta la sua permanenza a Sciro sotto abiti femminili. Secondo un'altra versione, riportata nell'Iliade, dopo la tempesta che disperse l'intera flotta, Achille organizzò una spedizione contro la rocca di Sciro, insieme all'amato Patroclo, uccidendo il re Enieo e facendo numerosi schiavi.\nOtto anni dopo, gli Achei riunirono di nuovo l'esercito, radunandosi questa volta ad Argo, ma non sapevano come raggiungere la Troade. Telefo, la cui ferita non guariva e al quale Apollo aveva predetto che «colui che lo aveva ferito lo avrebbe guarito», giunse dalla Misia ad Argo, travestito da mendicante e si offrì agli Achei di indicare loro il cammino se Achille avesse acconsentito a guarirlo. Avvertito da Calcante che solo Telefo avrebbe potuto condurli a Troia, Achille acconsentì: mise un po' della ruggine che si trovava sulla sua lancia sopra la ferita di Telefo, facendolo guarire. Come promesso, Telefo accompagnò gli Achei fino al loro sbarco nella Troade.\n\nSeconda spedizione.\nDa Argo la flotta achea si portò ad Aulide, dove però le navi rimasero bloccate a causa di una persistente bonaccia. Interpellato a tale riguardo, Calcante rispose che essa era dovuta all'ira di Artemide, che si sarebbe placata solo se Agamennone le avesse sacrificato la figlia Ifigenia, la quale si trovava insieme alla madre a Micene. Agamennone acconsentì e per attirare la figlia ad Aulide senza destare sospetti né in lei né nella madre Clitennestra, pensò di addurre come pretesto la sua volontà di darla in sposa ad Achille.Quest'ultimo non era al corrente dell'inganno e quando ne venne a conoscenza decise di intervenire per salvare la giovane: Ifigenia però era già stata portata ad Aulide. Achille cercò di opporsi, ma i soldati gli si sollevarono contro, minacciando di lapidarlo. Quando arrivò l'ora del sacrificio con Ifigenia rassegnata al suo destino per il bene del paese, la lama calò su di lei ma al suo posto colpì un cervo mentre la fanciulla fu portata via, in salvo, da Artemide (Euripide, Ifigenia in Aulide). Secondo altre versioni l'eroe, per ordine della stessa Artemide e straziato dalle lacrime di Clitennestra, intervenne durante il sacrificio, salvando la giovane e conducendola in Scizia. Secondo Tzetze, Achille la sposò e da lei nacque Neottolemo.\nSecondo quanto testimonia l'Odissea, durante un banchetto tenuto da Alcinoo, re dei Feaci, l'aedo Demodoco canta di una disputa sorta tra Odisseo e Achille: il primo esaltava la prudenza, mentre il secondo esaltava il coraggio. Agamennone, al quale Apollo aveva predetto che gli Achei avrebbero conquistato Troia allorché fosse subentrata la discordia tra le sue file, vide in questa discussione il presagio di una pronta vittoria.\n\nI primi nove anni di guerra.\nPer nove anni gli Achei stazionarono davanti a Troia: l'Iliade però inizia il suo racconto a partire dal decimo anno di assedio. Pertanto le imprese relative ai primi nove anni o sono riportate come antefatti nel poema omerico o riguardano altri racconti che formano la ricca collana di leggende incentrate su Achille, la guerra di Troia e i suoi personaggi.\nFinalmente ripresero a soffiare i venti e la flotta, seguendo le indicazioni di Telefo, giunse nell'isola di Tenedo. Quando le navi arrivarono in prossimità delle coste dell'isola, il re Tenete, dall'alto di un promontorio, iniziò a scagliare enormi massi sulle navi sottostanti. Achille, furente, si tuffò in mare e raggiunse a nuoto la riva: una volta davanti a Tenete, lo colpì con la lancia, trapassandogli il cuore. Achille quindi si addentrò nell'isola coi suoi Mirmidoni: qui affrontò Cicno (figlio di Poseidone), uccidendolo con un colpo alla nuca, suo unico punto vulnerabile. Durante il saccheggio notò Emitea, sorella di Tenete, innamorandosene perdutamente: la fanciulla fuggì come una cerbiatta, ma la terra si aprì sotto di lei, inghiottendola. In altre versioni, Tenete intervenne a difesa della sorella, venendo trafitto da Achille con la sua lancia mentre Emitea veniva risucchiata nelle viscere della terra.\nAccortosi troppo tardi di avere inavvertitamente compiuto la profezia contro la quale la madre lo aveva messo in guardia, ossia di non uccidere Tenete, Achille cercò di rimediare organizzando per Tenete funerali imponenti e, per punire il suo destino e castigare la negligenza che l'aveva condannato, uccise il servo Mincone che avrebbe dovuto impedire l'avverarsi della stessa profezia.\nRicordando il monito della madre e dell'indovino Calcante, che presagiva una morte certa a chi fosse sbarcato per primo sulla costa troiana, Achille esitò in attesa che a farlo fosse qualcun altro. Fu allora Protesilao a farsi avanti, cercando di infondere coraggio ai suoi compagni, terrorizzati dalla profezia. Appena messo piede a terra, Protesilao venne trafitto da un giavellotto: solo a quel punto Achille, seguito dai suoi Mirmidoni, scese a riva e si scagliò contro il padre di Tenete, Cicno, anch'egli alleato dei Troiani, figlio di Poseidone e di Arpalea, che era invulnerabile fatta eccezione per il collo. La rabbia dell'eroe acheo fu tale che, scendendo sulla terra ferma con un balzo fenomenale, fece sgorgare una sorgente: scatenatosi il duello, Achille colpì il nemico al volto e lo ricacciò indietro a colpi di scudo, fino a che Cicno inciampò e cadde. Achille, consapevole dell'invulnerabilità del nemico, che aveva fatto strage di oltre mille achei, lo sollevò a mezz'aria e lo strozzò con i cinturini del suo stesso elmo. Un'altra versione, in evidente contrasto con la precedente, afferma che Achille uccise Cicno scagliandogli una pietra al volto. In ogni caso Achille balzò sul cadavere e gli tagliò la testa issandola in cima alla punta di Vecchio Pelio, mostrandola ai Troiani: questi, atterriti, fuggirono, lasciando agli Achei la possibilità di allestire gli accampamenti sulla spiaggia che passò così sotto il controllo di Agamennone. Mentre Achille spogliava Cicno delle sue armi, Poseidone, tra lo stupore dell'eroe acheo, lo fece svanire dalle sue mani: il dio del mare, addolorato per la perdita di uno dei suoi tanti figli prediletti, tra i più valorosi sul campo di battaglia, l'aveva reincarnato in un cigno immortale.\n\nLe incursioni di Achille.\nSconfitti i Teucri (altro nome con cui vengono designati i Troiani), che furono costretti alla ritirata, gli Achei allestirono i loro accampamenti intorno alla città di Troia e tirarono in secca la loro flotta.\nNel frattempo Achille operò con le sue truppe di Mirmidoni delle incursioni tese ad annientare le difese esterne della città. Insieme ai suoi uomini migliori preparò anche il saccheggio notturno all'interno della stessa città, riuscendo a penetrarvi e ad afferrare con la forza Licaone, figlio di Priamo, mentre era intento a potare un fico selvatico nel frutteto del padre. Achille gli balzò addosso e lo consegnò a Patroclo che lo portò a Lemno, dove venne venduto a Euneo. Dieci anni dopo Licaone fu riscattato da Eezione, re della Tebe di Cilicia. Licaone fu costretto a fuggire da lì dopo che i Greci conquistarono la Cilicia uccidendo il re: tornò dunque a Troia ma morì dopo soli dodici giorni, ucciso da Achille assetato di vendetta per la morte di Patroclo.Insieme a Patroclo, Achille si inoltrò sul monte Ida, sapendo che lì Priamo teneva greggi e mandrie di buoi, custodite dai figli. Qui Achille si scontrò con Enea, che stava facendo pascolare liberamente il bestiame, facendo razzia degli animali: Enea non poté opporre alcuna resistenza, consapevole delle origini divine e della natura sovrumana dell'eroe acheo. Mentre gli animali venivano abbattuti o razziati e i mandriani, tra cui Mestore, uno dei figli di Priamo, venivano uccisi, Enea fuggì cercando rifugio in una città vicina. Achille in seguito catturò altri due figli di Priamo, Iso e Antifo, legandoli con funi di vimini e liberandoli solo su riscatto.Enea trovò rifugio presso la città di Lirnesso. Zeus gli garantì 'slancio ed agili gambe', proteggendolo dalla foga del Pelide e da Atena. Ma Achille, a capo di un gruppo di Mirmidoni, assediò la città alleata dei Troiani, costringendola in poco tempo alla resa: penetrò al suo interno e la saccheggiò. Achille uccise Minete, re dei Cilici, risparmiando la sua promessa sposa Ippodamia, meglio nota come Briseide. Ella era figlia di Brise, un sacerdote di Apollo che abitava a Lirnesso, il quale, alla vista della sua casa distrutta e della figlia rapita, si suicidò per il dolore. Briseide divenne schiava di Achille: Patroclo, per consolarla della morte del padre, le promise che avrebbe fatto in modo che l'eroe acheo la sposasse. Quando la città fu rasa al suolo Enea chiese aiuto agli dei e, sempre grazie a Zeus, scampò nuovamente alla morte rifugiandosi a Troia.\n\nAchille nell'Iliade.\nAchille si può definire protagonista insieme a Ettore dell'Iliade, difatti compare già nel primo canto. Crise, padre di Criseide o Crisa e sacerdote di Apollo, dopo essersi recato da Agamennone per riscattare la figlia, venne insultato e cacciato in malo modo; ciò scatenò l'ira di Apollo che, per punirlo, provocò una grande pestilenza tra gli Achei, colpendo prima gli animali e poi gli uomini. L'indovino Calcante rivelò ad Agamennone che la pestilenza avrebbe avuto termine solo con la restituzione di Criseide; controvoglia Agamennone accettò, ma volle in cambio Briseide, schiava di Achille. Egli, furibondo, dapprima minacciò di tornare in patria, a Ftia, con i suoi soldati, i 'Mirmidoni', successivamente decise di rimanere nell'accampamento e di non partecipare, con i suoi, alla battaglia. Fece ciò per recuperare la 'timè', vale a dire l'onore, quantificato con il bottino ottenuto in guerra: egli non poteva tollerare l'offesa compiuta da Agamennone nei suoi confronti.\nSenza Achille e il suo esercito di Mirmidoni tra le file achee i Troiani sembrarono prevalere: nel corso di una grande battaglia essi giunsero ad attaccare il campo acheo e a minacciare di dare fuoco alle navi. La situazione per gli Achei rischiò di precipitare ma Achille fu irremovibile: Patroclo, suo compagno e (secondo la tradizione classica post Omerica) amante, riuscì a convincerlo a lasciare che i Mirmidoni continuassero a combattere e ottenne di potere indossare le sue armi e la sua corazza. Achille acconsentì, avvertendolo di non avvicinarsi alle mura di Troia. Ma Patroclo, dopo avere respinto l'assalto all'accampamento, tentò più volte di scalare le mura, dove venne colpito e fermato da Apollo, ferito da Euforbo e infine ucciso da Ettore.\nLa morte del compagno indusse Achille a tornare nuovamente sul campo di battaglia: Teti fece preparare da Efesto una nuova armatura, poiché la sua, indossata da Patroclo, era finita nelle mani di Ettore. Achille riprese a combattere, cercando tra le schiere nemiche il principe troiano, deciso a ucciderlo. Quando lo vide lo sfidò a duello: solo l'intervento di Apollo salvò Ettore da morte sicura. Questo aumentò ancora di più la sua collera: Achille, non sapendo dove cercarlo, iniziò rabbiosamente a uccidere qualunque nemico gli capitasse a tiro, compiendo una strage. Tra le tante sue vittime vi furono il già citato Licaone e il giovane capo peone Asteropeo, dal quale fu però ferito a un braccio.\nFinalmente Achille affrontò Ettore in duello e lo uccise con un colpo di lancia tra il collo e le spalle, nonostante la madre gli avesse predetto che alla morte dell'eroe troiano sarebbe ben presto seguita la sua. Per vendicare Patroclo, forò i tendini del tallone al corpo di Ettore e lo trascinò dietro al suo carro, per nove giorni, facendone scempio. Con l'aiuto di Ermes, Priamo si recò nel campo acheo per implorare la restituzione del corpo del figlio, cosa che Achille, mosso a pietà e su ordine di Zeus, concesse.\n\nPentesilea.\nMolte leggende vedono come protagonista Achille fuori dall'Iliade la quale si chiude con la restituzione del corpo di Ettore al padre Priamo, re di Troia.\nAnche dopo la morte di Ettore la guerra continuò e altri alleati giunsero in soccorso di Troia per sfidare Achille: tra essi Pentesilea, regina delle Amazzoni, che si scagliò contro Achille, venendo da lui uccisa e gettando nello sconforto l'eroe acheo, affascinato dalla sua avvenenza. Secondo il mito solo nel momento in cui la colpì al petto, rompendone l'armatura, Achille ne poté ammirare la bellezza: quando si accorse che la distrazione per la sua avvenenza gli stava per costare cara, si concentrò nuovamente nella lotta, uccidendola. Secondo un'altra fonte Pentesilea era stata maledetta da Artemide, che l'aveva condannata a essere violentata da chiunque ne vedesse il corpo o il viso; per questo la regina combatteva coperta da un'armatura e da un elmo che le copriva il volto. Dopo averla uccisa Achille la spogliò delle armi, com'era consuetudine, e, ammirandone la bellezza, non poté che innamorarsene e cedere al desiderio, possedendone il cadavere.\nMentre era addolorato davanti al corpo esanime di Pentesilea l'acheo Tersite lo derise: irritato dal suo atteggiamento Achille lo colpì con un pugno, uccidendolo all'istante.\n\nMemnone.\nDopo la morte di Patroclo, Achille ancora una volta scese in campo per vendicare Antiloco, uccidendo l'avversario. Il duello tra Achille e Memnone ricorda molto quello tra Achille ed Ettore per vendicare Patroclo, se si esclude il fatto che Memnone, a differenza di Ettore, era figlio di una dea. Achille volle rendere onore a Memnone guidando personalmente la cerimonia funebre.\nL'episodio è alla base del poema epico (da epos che significa narrazione) Etiopide, facente parte del ciclo troiano, composto dopo l'Iliade probabilmente nel VII secolo a.C. e andato perduto, tranne che per alcuni frammenti sparsi riportati da autori di epoche successive.\n\nLa morte.\nCome profetizzato da Ettore in punto di morte, Achille fu successivamente ucciso da Paride con una freccia diretta nel tallone destro, il suo unico punto vulnerabile (secondo Stazio). In altre versioni il dio Apollo guidò la freccia scagliata da Paride e in altre ancora si racconta che Achille, mentre scalava i cancelli di Troia, fu colpito dalla freccia avvelenata.\nLa morte di Achille, - per una freccia scagliata da Paride, incitato da Apollo, che a sua volta era stato pregato da Poseidone, - e la lite tra Aiace e Odisseo per la spartizione delle sue armi sono narrate anche da Ovidio nelle Metamorfosi, libro XII, 580-628.\nSecondo diverse fonti, quando Achille fu trafitto mortalmente, Glauco, guerriero della Licia che combatteva a fianco dei Troiani, cercò di impossessarsi del suo cadavere: egli scagliò la sua lancia contro Aiace Telamonio, il quale proteggeva il corpo di Achille, ma essa riuscì solo a scalfire lo scudo senza che gli penetrasse nella pelle. Aiace, a sua volta, gli scagliò contro la sua lancia, ferendolo mortalmente e poi, roteando la sua immensa ascia, tenne lontano i Troiani, dando modo a Odisseo di caricare Achille sul suo carro e di portarlo via.\nNell'Etiopide, attribuita ad Arctino di Mileto, Achille dopo la sua morte viene rappresentato come ancora vivente sull'Isola dei Serpenti presso la foce del Danubio.\nUn'altra versione sulla morte di Achille narra che egli si innamorò perdutamente della principessa troiana Polissena e chiese a suo padre, Priamo, di poterla sposare. Priamo era consenziente, perché ciò avrebbe significato la fine delle ostilità con gli Achei o, almeno, il cambio di campo da parte dell'eroe. Ma mentre Priamo era impegnato nei preparativi per il matrimonio, Paride, che avrebbe dovuto rinunciare a Elena se Achille avesse sposato la sorella, nascosto dietro ai cespugli, scagliò la freccia che avrebbe ucciso l'eroe acheo. Polissena venne poi sacrificata per placare l'ombra di Achille.\nAchille venne cremato e le sue ceneri furono depositate nella stessa urna che conteneva quelle di Patroclo e di Antiloco, figlio di Nestore. La presunta tomba di Achille sull'Ellesponto veniva ancora visitata dai viaggiatori in epoca storica.\nNell'Odissea, Ulisse scende nell'Ade per consultare l'ombra dell'indovino Tiresia, e incontra diversi personaggi tra cui Achille (assieme ad Agamennone e Aiace), che loda come felice per essere stato come un dio tra i vivi ed essere un re fra i morti. Ma Achille risponde solo con parole di rimpianto per la vita:.\n\nChiede poi di conoscere le sorti di suo padre Peleo e di suo figlio Neottolemo.\n\nUlisse gli racconta le imprese del figlio, poi si congeda da lui.\n\nIl destino dell'armatura di Achille.\nL'armatura di Achille fu oggetto di disputa tra Odisseo e Aiace Telamonio, che se la contesero tenendo dei discorsi sul perché ognuno di essi dovesse essere considerato il più coraggioso dei soldati achei dopo Achille e quindi meritevole della sua armatura: alla fine, fu assegnata a Odisseo, ritenuto più utile ai fini della vittoria, grazie alla sua astuzia e alla sua retorica. Furibondo per l'ingiustizia Aiace maledisse Odisseo, scatenando l'ira della dea protettrice di quest'ultimo, Atena, la quale fece diventare Aiace temporaneamente pazzo: egli cominciò a uccidere delle pecore, scambiandole per i compagni che lo avevano deriso. Quando ritornò in sé Aiace per la vergogna si uccise.\nSuccessivamente Odisseo diede l'armatura a Neottolemo, figlio di Achille.\nUna reliquia, ritenuta la lancia di Achille dalla testa di bronzo è stata conservata per secoli in un tempio di Atena sull'acropoli (la parte più alta) della città di Faselide, nella Licia. La città fu visitata nel 333 a.C. da Alessandro Magno che si identificò come il nuovo Achille (in quanto la sua famiglia materna si riteneva discendente diretta di Molosso, il figlio di Neottolemo e Andromaca), portando con sé l'Iliade, ma i suoi biografi di corte non menzionano la lancia che il re macedone non avrebbe potuto fare a meno di toccare in preda all'emozione. Della lancia fa menzione Pausania il Periegeta nel II secolo d.C.\n\nVittime di Achille.\nAsteropeo: un valoroso condottiero peone, compagno di lotta di Sarpedone. Figlio di Pelegone, a sua volta figlio del dio fluviale Assio e di Peribea (i Peoni erano una popolazione della Macedonia). Fu colpito al ventre dalla lancia di Achille e gettato agonizzante nel fiume Scamandro con tutte le viscere sparpagliate sulla riva, perché rimanesse insepolto.\nSette guerrieri peoni, compagni di Asteropeo, uccisi dal Pelìde tramite taglio della gola e poi gettati dentro il fiume Scamandro: Enio, Astipilo, Mneso, Trasio, Midone, Ofeleste, Tersiloco.\nPentesilea, regina delle Amazzoni: venne ferita a morte da Achille, che s'innamorò di lei dopo averle tolto la vita. Secondo un'altra versione fu Pentesilea stessa a uccidere Achille dopo averlo respinto diverse volte dalle mura di Troia, ma Achille ritornò in vita a causa di un incantesimo effettuato da Zeus, su supplica di Teti, cosicché l'eroe poté ucciderla, dopo aver ingaggiato nuovamente il duello, e spogliarla dell'armatura.\nLe guerriere amazzoni Antibrote, Armotoe, Polemusa, Ippotoe e Antandra.\nDardano: omonimo del fondatore di Troia, figlio del vecchio troiano Biante, ucciso sul suo carro insieme al fratello Laogono. Laogono fu finito con ripetuti colpi di lancia al corpo (ma non sono specificati i punti precisi dove Achille colpisce il suo nemico), Dardano con un colpo di spada (non specificato anche qui il punto preciso dove colpisce).\nDemoleonte: figlio di Antenore, il vegliardo troiano, colpito alla tempia dalla lancia di Achille.\nIppodamante: giovane guerriero troiano che combatteva sul cocchio di Demoleonte. Colpito al dorso con la lancia mentre, sceso dal carro, stava tentando di fuggire.\nDemuco: prode guerriero troiano, figlio del vecchio Filetore. Colpito dapprima al ginocchio con la lancia e poi finito con un colpo mortale di spada (anche qui non è specificato con precisione il punto del corpo dove lo colpisce a morte).\nDriope: guerriero troiano, colpito alla gola con la lancia.\nDeucalione: guerriero troiano al quale venne riservata la sorte più macabra: dapprima Achille lo colpì con la lancia scagliata al gomito, nella conversione dei tendini, facendolo entrare in agonia; per finirlo lo colse di spada al collo, staccandogli di netto il capo e dal busto di lui fece schizzare in aria il midollo, che ricadde poi al suolo.\nMulio: guerriero troiano, ebbe le orecchie trapassate da un'asta.\nEttore: il più nobile guerriero troiano. Achille lo uccise per vendicare la morte del caro amico Patroclo. Lo uccise lanciando la sua ascia nell’unico punto scoperto della sua armatura, ovvero la gola, lasciando però la trachea intatta in modo che potesse dire le sue ultime parole. Dopodiché lo legò a un carro, forandogli crudelmente i tendini dei talloni, e lo trascinò nella polvere da Troia fino all'accampamento degli Achei.\nIpponoo: guerriero troiano, Achille lo accecò con la sua lancia. In un lago di sangue, la punta dell'asta gli svuotò le palpebre, private delle pupille che caddero nella polvere.\nLicaone: figlio di Priamo e Laotoe. Fu colpito a morte tra collo e clavicola con la spada e poi gettato nel fiume Scamandro, per impedire le onoranze funebri da parte dei suoi cari.\nMestore: figlio di Priamo.\nPolidoro: il più giovane dei figli di Priamo. Come Licaone, aveva per madre Laotoe. Fu raggiunto da un'asta da tergo, nel punto in cui si incrociano le cinghie che difendono la parte bassa della schiena.\nTroilo: figlio di Priamo e di Ecuba. Alcune fonti riferiscono che il giovane sia stato decapitato presso il tempio di Apollo Timbreo, ma più probabilmente Troilo perse la vita in battaglia per mano dello stesso Pelide dato che nell'Iliade suo padre Priamo, mentre ricorda tristemente tutti i figli perduti nel conflitto, lo definisce 'furia di guerra'. Lo stesso Virgilio segue la versione che vuole Troilo perito in battaglia: nel primo libro dell'Eneide, lo scontro tra Achille e il principe troiano si trova posto in una raffigurazione nel tempio di Cartagine e vede affrontarsi i due protagonisti a bordo dei rispettivi cocchi: il giovinetto inoltre non muore decapitato, ma colpito da una lancia del nemico, e il suo corpo, che nella caduta dal carro vi è rimasto in parte attaccato, finisce trascinato insieme a esso per tutto il campo di battaglia dai cavalli imbizzarriti: una morte molto simile a quella del giovane paflagone Midone nell'Iliade. Ditti Cretese, infine, inserisce Troilo tra i dodici giovani troiani fatti prigionieri da Achille e da lui sgozzati sul rogo di Patroclo.\nEcheclo: giovanissimo guerriero troiano. Era figlio di Agenore. Ebbe spaccato in due il cranio da un potente colpo di spada.\nEezione: re di Tebe di Cilicia, ucciso da Achille mentre questi saccheggiava la sua città. Egli era padre di Andromaca e anche di Pode, ucciso da Menelao.\nsette fratelli di Andromaca durante i primi nove anni di guerra, dopo la morte del padre Eezione.\nEpistrofo: un fratello di Minete abitante a Lirnesso e figlio di Eveno.\nIfitione: capitano di un grande contingente di Meoni, figlio di Otrinteo e di una Naiade. Achille, ritornato nel campo di battaglia per vendicare la morte di Patroclo, ucciso da Ettore, si scagliò innanzitutto contro Ifitione, che gli veniva incontro, e gli gettò in viso la lancia che, con forza penetrò nel cervello e lo divise in due parti dentro l'elmo di bronzo.\nMemnone: re degli Etiopi e dei Persiani, il quale giunse con un grande esercito per difendere Troia. Memnone era figlio di Eos e di Titone. Il padre Titone era figlio di Laomedonte e fratello di Priamo. Achille, alla notizia della morte del suo amico Antiloco, ucciso da Memnone, si gettò ad affrontare il grande nemico e, riuscito a raggiungerlo dopo essere stato oggetto di qualche graffio al petto, lo decapitò con la spada e ne gettò i resti sul rogo di Antiloco, partecipando anch'egli ai suoi funerali. Zeus fece nascere due stormi di uccelli immortali dalle ceneri di Memnone, su richiesta della madre.\nMenete: un guerriero della Licia, alleato dei Troiani.\nMente e Talio: guerrieri etiopi nello schieramento di Memnone.\nMinete: re della città di Lirnesso, che venne saccheggiata da Achille. Morto Minete, Achille ne rapì la moglie, Briseide.\nRigmo: un giovane condottiero della Tracia, alleato dei Troiani, figlio di Piroo (anch'egli ucciso a Troia, da Toante). Fu colpito al ventre con l'asta e gettato a terra dal cocchio su cui si trovava.\nAreitoo: lo scudiero e auriga di Rigmo, colpito alla schiena e fatto sbalzare dallo stesso carro del suo signore.\nTrambelo: quest'uomo era detto figlio di un certo Telamone, omonimo dunque del padre di Aiace. Egli resistette all'invasione di Achille a Lesbo.\nTroo Alastoride: arresosi spontaneamente, cercò di supplicare Achille di lasciarlo in vita perché era troppo giovane per morire; ma Achille lo pugnalò al fegato, che schizzò fuori dal corpo: quindi lasciò Troo sul terreno mentre esalava l'ultimo respiro.\nEnnomo: condottiero e augure dei Misi, non riuscì a prevedere la propria morte per mano di Achille, che dopo averlo ucciso gettò il suo cadavere nello Scamandro.\nCicno: figlio di Poseidone, eroe invulnerabile ucciso dall'acheo dopo essere riuscito a soffocarlo con i cinturini del suo stesso elmo durante i primi anni di guerra. Achille, dopo averlo ucciso, lo decapitò con la spada e issò la sua testa in cima a Vecchio Pelio; tuttavia, mentre cercava poi di spogliarlo delle armi, il padre Poseidone lo fece reincarnare in un cigno immortale, come rimpianto per la perdita di uno dei suoi figli più forti e valorosi in battaglia.\nPileo: capo dei Pelasgi.\nTenete, figlio di Cicno e re di Tenedo. Ucciso con un colpo di lancia alla nuca, suo unico punto vulnerabile.\nDodici giovani guerrieri troiani presi a caso nello Scamandro e gettati sul rogo di Patroclo con le armi e tutto.\nDodici guerrieri troiani che Achille uccise indirettamente, quando minacciava i nemici di tornare a combattere urlando dal fossato; la sua voce giunse nella piana di Troia e, per lo sgomento, questo guerrieri si trafissero involontariamente con le loro armi da lancio.Achille uccise quindi 77 nemici in totale durante il corso della guerra di Troia.\n\nIl rapporto tra Achille e Patroclo.\nIl rapporto tra Achille e Patroclo è uno degli elementi chiave dei miti associati alla guerra di Troia: quale sia stata la sua effettiva natura e fino a che punto si sia spinta la relazione dei due eroi è stata oggetto di controversie sia nel periodo antico sia nei tempi moderni.\nL'attaccamento di Achille a Patroclo è un archetipico legame maschile che si verifica altrove nella cultura greca: il mitico Damone e Pizia, il leggendario Oreste e Pilade, e gli storici Armodio e Aristogitone sono coppie di compagni che affrontano volentieri il pericolo e la morte l'uno accanto all'altro. Nell'Oxford Classical Dictionary, David M. Halperin scrive: Omero, a dire il vero, non ritrae Achille e Patroclo come amanti, sebbene alcuni ateniesi classici pensassero che lo implicasse Eschilo; Platone Simposio; Eschine Contro Timarco.Nell'Iliade, i due hanno una profonda ed esclusiva relazione: Achille si dimostra esser sempre molto tenero e preoccupato nei confronti del compagno d'armi, quando invece si dimostra spietato, insensibile e arrogante con tutti gli altri, siano essi nemici o alleati. I commentatori dell'epoca classica hanno facilmente tradotto il rapporto esistente tra i due attraverso la lente interpretativa della propria cultura.\nAd Atene, durante il V secolo a.C., il rapporto è stato spesso e volentieri considerato alla luce tradizionale della pederastia pedagogica. Nella tragedia perduta di Eschilo, dedicata all'eroe, il poeta indica la relazione tra i due guerrieri come esplicitamente sessuale, e assegna ad Achille il titolo di erastes e protettore: in un frammento superstite, l'eroe parla di una 'unione devota delle cosce', indicando con tale termine il sesso intercrurale, quello utilizzato maggiormente nelle relazioni pederastiche.\n\nLe ferite di Achille.\nLa leggenda dell'invulnerabilità di Achille non è riscontrabile nei poemi omerici, ma è attestata molto più tardi nell'epopea incompiuta di Publio Papinio Stazio. Nella guerra di Troia gli unici mortali che poterono vantarsi di aver ferito Achille, anche se leggermente, furono i seguenti:.\n\nEleno, figlio di Priamo e fratello di Ettore, salvò quest'ultimo interponendosi tra lui e Achille nei primi scontri in campo aperto e ferì l'eroe acheo al polso con una freccia scoccata dall'arco d'avorio donatogli personalmente dal dio Apollo (Tolomeo Efestione).\nAsteropeo, il giovane condottiero peone alleato dei Troiani, le cui estreme gesta sono raccontate nell'Iliade. Non temette le stragi seminate da Achille dopo la morte del compagno Patroclo, ma affrontò l'eroe apertamente, mettendolo sulle prime in serie difficoltà. Essendo ambidestro, Asteropeo cercò di colpire l'avversario scagliando due lance contemporaneamente, una delle quali ferì Achille al gomito (Omero, Iliade, libro XXI, versi 147 ss.).\nEttore secondo quanto narra Omero non inflisse mai danni fisici al Pelide: ma stando a un'altra fonte il troiano riuscì a sorprendere Achille nel loro ultimo scontro aperto trafiggendolo al femore con la lancia (Darete, 24).Nell'Iliade, dunque, non vi sono feritori di Achille all'infuori di Asteropeo, destinato però a cadere sotto la spada del Pelide in quello stesso scontro.\n\nIconografia.\nSono moltissime e svariate le immagini di Achille, la cui descrizione è tramandata da fonti scritte e soprattutto dipinte. Fra gli episodi più celebri in cui è protagonista l'eroe, si ricorda l'agguato a Troilo rappresentato anche nel vaso François conservato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, ma proveniente da Vulci.\n\nApprofondimenti.\nL'episodio di Teti e Peleo relativo al conseguimento dell'invulnerabilità di Achille ripete quello di Demetra e Persefone. La dea, nel suo peregrinare alla ricerca della figlia Persefone, chiese e ottenne ospitalità presso Metanira e, per ringraziarla, cercò di renderle immortale il figlio mettendolo sul fuoco, analogamente a quanto raccontato in una delle due versioni relative all'invulnerabilità di Achille: anche qui la donna, spaventata da quella visione, si mise a urlare, interrompendo il processo.\nL'altra leggenda legata all'invulnerabilità di Achille, l'immersione nello Stige, sembra essere di origine tardo-latina, come hanno sostenuto diversi mitografi moderni.Una leggenda racconta che Achille fondò nel 1181 a.C. la città di Chieti, e che la chiamò Teate in onore di sua madre. Anche se si tratta solo di una leggenda, l'eroe omerico è rappresentato nello stemma del Comune su un cavallo rampante, mentre regge una lancia e uno scudo su cui è raffigurata una croce bianca su campo rosso con quattro chiavi, che rappresentano le quattro porte d'ingresso della Chieti medievale (Porta Sant'Anna, Porta Santa Maria, Porta Napoli e Porta Pescara).\n\nNella letteratura e nelle arti moderne.\nFilm e televisione.\nNei film Achille è stato interpretato nei seguenti film e serie televisive:.\n\nil film Helena del 1924 da Carlo Aldini;.\nil film del 1954 Ulisse da Piero Lulli;.\nil film del 1956 Elena di Troia da Stanley Baker;.\nil film del 1961 La guerra di Troia da Arturo Dominici;.\nil film del 1962 L'ira di Achille da Gordon Mitchell;.\nla miniserie televisiva del 1997 L'Odissea da Richard Truett;.\nla miniserie televisiva del 2003 Helen of Troy - Il destino di un amore da Joe Montana;.\nil film del 2004 Troy da Brad Pitt;.\nl'anime del 2017 Fate/Apocrypha da Yūichirō Higashide, della Type-Moon;.\nla serie TV del 2018 Troy - La caduta di Troia da David Gyasi.\nIl libro del 2011 La canzone di Achille scritto da Madeline Miller.\n\nInfluenza culturale.\nAd Achille è intitolato il cratere Achille su Teti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aci (mitologia).\n### Descrizione: Aci (in greco Ἄκις, -ιδος, in latino Ăcis, -ĭdis) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Fauno e della ninfa Simetide. La sua leggenda è descritta da Ovidio nel libro XIII delle Metamorfosi.\n\nMito.\nSecondo quanto racconta Ovidio, Aci era un pastore bellissimo che s'innamorò della ninfa nereide Galatea, a sua volta amata da Polifemo, figlia di Nereo e della ninfa Doride. Accecato dalla gelosia, il ciclope scagliò un masso contro il pastore, il cui sangue, confluito dalla roccia, fu trasformato, per intercessione delle ninfe, in un fiume che fu chiamato proprio Aci e venerato come divinità. Probabilmente il mito s'ispira al modo in cui il fiume sgorga dalla sua sorgente." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aci e Galatea (coppia mitologica).\n### Descrizione: La leggendaria coppia dal destino tragico di Aci e Galatea, è presente nei racconti della mitologia greca ambientati in Sicilia, mito che fu elaborato anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, e rappresentato innumerevoli volte nel corso della storia.\n\nNella mitologia classica.\nGalatea (in greco antico: Γαλάτεια, che significa 'colei che è bianca come il latte'), figlia del 'vecchio del mare' Nereo e dell'oceanina Doride, era una ninfa marina attestata nelle più antiche opere (perché le prime trascrizioni dei miti greci) di Omero ed Esiodo, dov'è descritta come la più bella e amata delle cinquanta Nereidi. Visse nel mare e suscitò l'interesse del ciclope Polifemo, che la corteggiò a lungo senza esserne ricambiato.\nNelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea appare come l'amata di Aci, figlio di Fauno e della naiade Simetide, figlia del fiume Simeto. Un giorno, mentre Galatea giaceva abbracciata col suo amante in riva al mare, Polifemo li vide. Quest'ultimo, a causa della gelosia, raccolse un enorme pietrone dal fianco dell'Etna e lo scagliò contro il giovane. Sebbene Aci abbia cercato di fuggire, l'enorme roccia lo schiacciò uccidendolo sul colpo. Galatea trasformò poi il suo sangue mentre sgorgava da sotto la roccia in acque scintillanti, creando così il torrente dell'Etna che portava il suo nome, l'Aci appunto, così da renderlo una divinità-ruscello. Mantenne le sue caratteristiche originali tranne l'altezza, dato che divenne più grande, e l'aspetto del viso, che si colorò di un blu intenso.Questa versione del racconto è ricordata solo dall'opera di Ovidio, e potrebbe forse esser inventata dal poeta, perché «suggerita dal modo in cui il piccolo fiume sgorga da sotto una roccia». Ma secondo lo studioso Ateneo di Naucrati, la storia fu inventata per la prima volta da Filosseno di Citera come satira politica contro il tiranno Dionisio I di Siracusa, la cui concubina preferita, Galatea, condivideva lo stesso nome della celebre ninfa siciliana. Altri sostengono che la storia fu inventata per spiegare la presenza di un santuario dedicato a Galatea sull'Etna.Secondo una tradizione successiva Galatea si appassionò in seguito a Polifemo. Il loro figlio, Galas (o Galates), divenne l'antenato dei Galli. Lo storico ellenistico Timeo, che nacque in Sicilia, descrisse Galate come figlio di Polifemo e Galateia.Galatea, insieme a Doto e Panopea, accompagnò sua sorella Teti al matrimonio con Peleo. Nell'Iliade di Omero, Galatea e le altre sorelle appaiono a Teti quando si dispera a compassione per il dolore che provò Achille quando ucciserò il suo amico Patroclo.\n\nNella cultura postclassica.\nAci e Galatea (1686), è un'opera realizzata da Jean-Baptiste Lully, rappresentata ad Arnet (Normandia);.\nAci, Galatea e Polifemo (1708), serenata pastorale composta da Georg Friedrich Händel, rappresentata a Napoli;.\nAci e Galatea (1717-18), una rappresentazione cortese di Händel, rappresentata a Londra;.\nAci e Galatea (1678-79), opera di Marc-Antoine Charpentier, libretto di Jean de la Fontaine (rimase incompleta perché furono scritti solo 2 atti su 3, poi l'overtura d'inizio ed altro fu ripreso per L’Inconnus, ma di quest'ultima opera se ne sono perse le tracce);Galleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Acmone (Dattilo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Acmone (in greco antico: Ἄκμων?, Akmôn) era uno dei Dattili, le divinità minori o daimon collegate alla lavorazione dei metalli.Il suo nome significa 'incudine', ed era pertanto associato a tale strumento, mentre i suoi fratelli Damnameneo e Chelmi erano associati rispettivamente al martello e al coltello.Il nome e il numero degli altri fratelli è piuttosto variabile nelle fonti. Una delle fonti più antiche, Le Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), aggiunge Tizia e Cilleno, portando il loro numero a cinque (come le dita della mano)Acmone, assieme ai suoi fratelli, accompagnò il dio Dioniso nella sua campagna indiana." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aconzio.\n### Descrizione: Aconzio (in greco Ἀκόντιος, -ου, in latino Ăcontĭus, -i) è un personaggio della mitologia greca, generalmente accompagnato a Cidippe.\nProveniente da Ceo, durante un viaggio a Delo in occasione delle celebrazioni dedicate ad Artemide, s'infatuò di Cidippe, una sacerdotessa presso il tempio della dea.\nCome racconta Callimaco all'interno degli Aitia, Aconzio, straordinariamente colpito dalla bellezza della giovane, escogitò un sistema particolare per farla sua sposa e, presa una mela, vi scrisse sulla buccia: 'giuro per il santuario di Artemide di sposare Aconzio' e la inviò alla fanciulla.\nLei lesse ad alta voce la frase senza accorgersi di compiere un giuramento solenne nel tempio della dea. Così suo padre la promise per tre volte in sposa ad altri uomini ma per tre volte fu colpita da malattia ed il matrimonio non poté essere celebrato.\nCidippe venne a sapere grazie ad un Oracolo che la dea Artemide aveva impedito tali matrimoni a causa del suo inconsapevole giuramento e suo padre decise infine di prendere Aconzio come genero.\nIl mito viene riproposto anche nelle Eroidi di Ovidio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ade (regno).\n### Descrizione: Ade (in greco antico: Ἅιδης?, Hádēs) identifica il regno delle anime greche e romane (chiamato anche Orco o Averno). In realtà, è solo una trasposizione del nome del dio: si voleva identificare il regno col suo stesso re.\nIl regno dei morti greco/latino era un vero e proprio luogo fisico, al quale si poteva persino accedere in terra da alcuni luoghi impervi, difficilmente raggiungibili o comunque segreti e inaccessibili ai mortali.\n\nDescrizione.\nPer quanto riguarda la geografia e la topografia degli Inferi, Omero (nell'Odissea) non gli dà un carattere di vero e proprio 'regno' esteso, ma lo descrive solamente come una sfera fisica oscura e misteriosa, perlopiù preclusa ai viventi, dove soggiornano in eterno le ombre (e non le anime) degli uomini senza apparente distinzione tra ombre buone e ombre malvagie, e senza nemmeno un'assegnazione di pena o di premio in base ai meriti terreni.\nNella tradizione greca, uno degli ingressi all'Ade si trovava nel paese dei Cimmeri, che si trovava al confine crepuscolare dell'Oceano, e proprio in questa regione remota Odisseo dovette recarsi per discendere all'Ade e incontrare l'ombra dell'indovino Tiresia; nella tradizione romana, invece, uno degli ingressi infernali si trovava vicino al lago d'Averno (nome che poi divenne del regno infernale stesso), dal quale Enea discese insieme alla Sibilla cumana.Per accedervi bisognava superare prima Cerbero, poi attraversare l'Acheronte versando un obolo al terribile Caronte e raggiungere i tre giudici Minosse, Eaco e Radamanto (secondo Platone i giudici erano 4: Minosse, Eaco, Radamanto e Trittolemo) i quali emettevano il loro verdetto. Nell'Ade vi erano cinque fiumi: Stige, Cocito, Acheronte, Flegetonte e Lete, l'acqua di quest'ultimo aveva la caratteristica di far perdere la memoria a chi la beveva. Narra Platone, ne 'La Repubblica', che le anime dei morti, ormai purificate dai peccati, vengono trasportate da vortici di fuoco e poggiate al suolo. Qui scelgono la loro prossima vita, e successivamente bevono l'acqua del fiume Lete. Si dice che Ulisse, avendo molto patito nella vita precedente per l'onere di essere re, scelse una vita semplice, agricola, che non avrebbe mai procurato fastidi. Agamennone, stanco per la diffidenza umana, decise di vivere tramutato in aquila.\nL'Ade, che accoglie le anime di tutti i defunti tranne i morti rimasti insepolti, alle volte viene confuso con una sua sezione, Tartaro, il luogo in cui si trovano sia i Titani e i Giganti, che invano tentarono di sconfiggere gli dei Olimpi, sia quei mortali puniti per i loro gravi misfatti come Tantalo, Sisifo, le Danaidi. Il Tartaro infine fu alla base dell'iconografia cristiana relativa all'Inferno. Le anime di coloro che in vita non furono né malvagie né straordinariamente virtuose si aggirano invece sul Prato degli Asfodeli, un luogo bello ma debolmente illuminato: le anime più nobili, infine, accedono nei luminosissimi Campi Elisi, o secondo alcuni autori, alle Isole Fortunate, dette anche Isole dei Beati. Virgilio aggiunge i Campi del Pianto, riservati ai morti suicidi e a coloro che in vita furono travolti dalla passione, e una sezione che accoglie tutti i caduti in guerra d'animo non malvagio e onorevolmente sepolti.\nI morti senza tomba, invece - tale fu la sorte di Icaro, Tarquito, Palinuro, Mimante, Oronte, Ennomo, Licaone, Asteropeo, forse anche Ippoloco, il figlio di Antimaco - vagano senza sosta al di fuori del regno, secondo alcuni autori per sempre, secondo altri per cento anni, sempre che qualcuno sulla terra non provveda a onorare i loro resti; qualora ciò succeda, essi possono finalmente varcare la soglia dell'Ade (fu quanto accadde a Polidoro, figlio di Priamo ed Ecuba, il cui corpo in un primo tempo era stato seppellito solo parzialmente) ed essere anche loro in grado, come tutti gli altri defunti, di scrutare ciò che succede tra i vivi, e gli eventi futuri (secondo Omero, invece, nessuno spirito ha questo potere, tranne l'indovino Tiresia)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ade.\n### Descrizione: Ade (in greco antico: Ἅιδης?, Hádēs), è un personaggio della mitologia greca, una divinità figlia di Crono e Rea.\nDio dell'Ade, delle ombre e dei morti, è conosciuto anche come Ἀξιόκερσος Axiòkersos poiché coniuge di Persefone, soprannominata infatti Ἀξιόκερσα Axiòkersa, e Καταχθόνιος Katachthònios ossia 'Sotterraneo'.\nL'etimologia del nome è controversa: già in antico lo si derivava da un ἀ- privativo e dalla radice ἰδ- «vedere»: Ade sarebbe dunque l'«oscuro».Nella mitologia romana la sua figura corrisponde a quella di Plutone.\n\nGenealogia.\nSecondo Esiodo, Ade è figlio di Crono e Rea, e quindi fratello di Estia, Demetra, Era, Poseidone e Zeus.\nSposo di Persefone, in ambito orfico, dove sovente Ade e Zeus erano sincretizzati tra loro gli si attribuisce la paternità di Zagreo e di Melinoe.\nSecondo la Suda (un testo tardo-bizantino del X-XI secolo), avrebbe avuto una figlia di nome Macaria, dea della buona morte.\n\nGenealogia (Esiodo).\nMitologia.\nAppena nato, Ade fu brutalmente ingoiato dal padre. I suoi fratelli seguirono la stessa sorte con eccezione dell'ultimogenito Zeus, salvato dalla madre Rea, dopo anni grazie al quale il padre rigurgitò i figli.\n\nAde partecipò alla Titanomachia, nell'occasione in cui i Ciclopi gli fabbricarono la kunée, o elmo dell'oscurità, un magnifico elmo magico in pelle d'animale che gli permette di diventare invisibile: si poté introdurre così segretamente nella dimora di Crono rubandogli le armi e, mentre Poseidone minacciava il padre col tridente, Zeus lo colpì con la folgore.\nIn seguito, ricevette la sovranità del mondo sotterraneo e degli Inferi, quando l'universo fu diviso con i suoi due fratelli Zeus e Poseidone, che ottennero rispettivamente il regno del cielo e del mare.\nViene annoverato saltuariamente fra le divinità olimpiche, nonostante questo sia contrario alla tradizione canonica; Ade è d'altra parte poco presente nella mitologia, nonostante sia uno degli dei più potenti, essendo essenzialmente legato ai racconti legati agli eroi: Orfeo, Teseo, Piritoo ed Eracle sono fra i pochi mortali ad averlo incontrato. Inoltre la tradizione lo vuole riluttante ad abbandonare il mondo dell'Aldilà: le uniche due eccezioni si ricordano per il rapimento di Persefone e per ricevere alcune cure dopo essere stato ferito da una freccia di Eracle.\nLa leggenda lo vuole padrone delle greggi solari, al pascolo sull’isola Erizia, la cosiddetta isola rossa, dove il Sole muore quotidianamente. Il pastore era chiamato Menete.Tuttavia in queste storie è chiamato Crono, o Gerione.\n\nPersefone regina degli inferi.\nAde, innamorato di Persefone, la rapì mentre stava raccogliendo un asfodelo, il fiore simbolo degli Inferi. Il rapimento, secondo alcuni, avvenne ai piedi del monte Etna. Sua madre, Demetra, dea del grano e dell'agricoltura (nonché del ciclo delle stagioni), disperata per la scomparsa della figlia, la cercò per nove giorni arrivando fino alle regioni più remote: il decimo giorno, con l'aiuto di Ecate e Helios, seppe che il rapitore era il dio degli Inferi. Adirata, Demetra abbandonò l'Olimpo e scatenò una tremenda carestia in tutta la Terra, affinché questa non offrisse più i suoi frutti ai mortali e agli dèi. Zeus tentò allora di riconciliare Ade e Demetra, per evitare la fine del genere umano: inviò il messaggero Ermes al fratello, ordinandogli di restituire Persefone, a patto che ella non si fosse cibata del cibo dei Morti.\nAde non si oppose all'ordine ma, poiché Persefone era effettivamente digiuna dal ratto, la invitò a mangiare prima di tornare dalla madre: le offrì così un melograno, frutto proveniente dagli Inferi, in dono. In procinto di mettersi sulla via di Eleusi, uno dei giardinieri di Ade, Ascalafo, la vide mangiare pochi grani del melograno: in questo modo si compì dunque il tranello ordito da Ade, affinché Persefone restasse con lui negli Inferi. Allora si scatenò nuovamente l'ira di Demetra, Zeus propose un nuovo accordo, per cui, dato che Persefone non aveva mangiato un frutto intero sarebbe rimasta nell'oltretomba solamente per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno; avrebbe trascorso così sei mesi con il marito negli Inferi, e sei mesi con la madre sulla Terra. La proposta fu accettata da entrambi, e da quel momento si associano la primavera e l'estate ai mesi che Persefone trascorre in terra dando gioia alla madre, e l'autunno e l'inverno ai mesi che passava negli Inferi, durante i quali la madre si strugge per la figlia.\n\nMenta e Leuce.\nSecondo Ovidio e Strabone, Ade tentò di approfittarsi della ninfa Menta. Persefone, gelosa del marito, si dispiacque dell'unione e si infuriò quando Menta proferì contro di lei minacce spaventose e sottilmente allusive alle proprie arti erotiche molto sviluppate. Persefone, sdegnata, la fece a pezzi: Ade le consentì di trasformarsi in erba profumata, la menta, ma Demetra la condannò alla sterilità, impedendole di produrre frutti.\nAde aveva un tempio ai piedi del monte Mente in Elide.\nLeuce, un'altra ninfa figlia di Oceano, che si vantò di essere un'amante più degna per Ade e trasformata da Persefone in pioppo bianco presso la fontana della Memoria. Secondo un'altra versione, Leuce fu la prima compagna di Ade, e venne da lui trasformata in un pioppo per lenire il dolore quando morì.\n\nCocchio.\nLo spaventoso cocchio di Ade era fatto muovere da quattro cavalli neri: Aetone, Meteo, Nonio e Abaste.\n\nAde e il suo regno.\nIl regno dell'Ade corrisponde più genericamente al mondo degli Inferi e in principio nella lingua greca antica solo il caso genitivo del nome della divinità era impiegato come abbreviazione per intendere la casa del dio dell'oltretomba. In seguito e per estensione, si cominciò a utilizzare il termine in tale significato anche nel nominativo.\nNella mitologia latina inizialmente Plutone (l'alter ego latino di Ade) è dapprima definito come il Signore degli Inferi e solo successivamente Signore dell'Ade.\n\nCulto per Ade.\nPer Ade si sacrificavano, principalmente nelle ore notturne, pecore o tori neri, e coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso, poiché guardare negli occhi Ade senza l'ordine o il permesso del dio avrebbe portato immediatamente alla morte. Il suo culto non era molto sviluppato ed esistono poche statue con sue raffigurazioni.\nEuripide indica che Ade non riceveva libagioni rituali.\nIl principale tempio di Ade, in comune con Persefone, si trova nell'Epiro, la casa di Ade, dove aveva sede il Nekromanteion, l'oracolo dei morti.\nDei pochi altri luoghi di culto a lui dedicati, uno dei più noti è in Samotracia (sebbene più propriamente dedicato a Pluto), mentre si suppone ne esistesse uno situato nell'Elide, a nord ovest del Peloponneso e un ulteriore a Eleusi, strettamente connesso con i misteri locali.\nUn altro tempio, sempre in comune con Persefone, si trova in Turchia, a Ierapoli, dove i sacrifici veninano effettuati in corrispondenza della 'porta dell'inferno'.\n\nIconografia.\nVeniva solitamente rappresentato come un uomo tenebroso, barbuto, freddo e serio, spesso seduto su un trono e dotato di una patera e di uno scettro, con il cane a tre teste protettore degli Inferi, Cerbero. A volte si trovava anche un serpente ai suoi piedi. Indossa molto spesso un elmo, oppure un velo che gli copre il volto e gli occhi.\nSuo attributo era la cappa che rende invisibili.\nSi hanno sue rappresentazioni in moltissimi contesti ceramici, soprattutto nelle pìnakes di Locri Epizefiri. Altri esempi si conoscono in alcuni affreschi della Tomba dell'Orco (altro nome del dio) a Tarquinia, mentre a Orvieto se ne ha una raffigurazione all'interno della Tomba Golini I. Per la Grecia si ricordano un trono del Partenone attribuito a Fidia e una base colonnare da Efeso, più esattamente dal Tempio di Artemide. Nel mondo romano i sarcofagi, soprattutto in età tardo antica, usavano rappresentare il ratto di Persefone e dunque una raffigurazione del dio infernale.\nMolto famosa in epoca barocca la versione scultorea di Gian Lorenzo Bernini del Ratto di Proserpina, di estremo virtuosismo. Fra le versioni pittoriche dell'episodio si ricorda il Ratto di Proserpina di Rembrandt.\n\nNella cultura di massa.\nCinema e televisione.\nAde è presente nella serie TV C'era una volta.\nAde è l'antagonista principale del film Scontro tra titani, per poi ritornare nel seguito, il film La furia dei titani, prima come antagonista, poi come alleato dei protagonisti.\nAppare anche nella serie animata Zig & Sharko.\n\nVersione Disney.\nAde è il principale antagonista del film d'animazione della Walt Disney Hercules del 1997 e anche della omonima serie animata spin-off del 1998. La versione Disney è stata poi usata nella serie videoludica Kingdom Hearts e nella serie ABC C'era una volta.\nNell'ultimo film della trilogia Disney Descendants, Ade è l'ex marito di Malefica, cattiva del film La bella addormentata nel bosco, oltre a essere il padre di sua figlia, Mal, la protagonista della trilogia.Ade, doppiato da James Woods (originale) e Massimo Venturiello (italiano) è il fratello di Zeus e Poseidone. A differenza della sua controparte mitologica, che è ritratta come una divinità temuta ma relativamente passiva, è un signore degli inferi irascibile e dalla parlata veloce: una combinazione di Satana e uno squallido e persuasivo agente di Hollywood/rivenditore di auto. Indossa una veste scura con una fibula/spilla a forma di teschio che gli allaccia il chitone e i suoi capelli sono una fiamma blu brillante che divampa ogni volta che si eccita o - più famoso - si accende di rosso ogni volta che si arrabbia.\n\nSi ritrova anche nella serie di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, situata su Disney+.\n\nLetteratura.\nAde è presente nella saga letteraria Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, padre di Nico e Bianca di Angelo e, nella sua forma romana di Plutone, anche di Hazel Levesque.\nAde è uno dei due personaggi principali de Il Giudizio di Persefone e di L'anima dell'acqua, entrambi libri di Giulia Calligola (i volumi sono, rispettivamente, il primo e il terzo della serie Dei della Nuova Era).\nAde appare in svariati fumetti online e cartacei, in particolare su Webtoon. Il più conosciuto e popolare è Lore Olympus, di Rachel Smythe, che parla del mito di Ade e Persefone in un Monte Olimpo moderno su una terra rimasta all'era greca.\n\nManga.\nAde è uno dei personaggi principali del manga e anime I Cavalieri dello zodiaco, in cui i protagonisti sono coinvolti in un combattimento finale contro di lui, quale dio degli Inferi.\nAde appare nel manga Record of Ragnarok come settimo combattente per la fazione degli dei, affrontando l'imperatore cinese Qin Shi Huang.\n\nVideogiochi.\nAde è presente nella saga originale (ambientata in Grecia) del videogioco God of War; nel terzo capitolo è uno degli antagonisti principali, lo si dovrà affrontare e uccidere.\nAde è uno degli dèi principali disponibili per la civiltà greca in Age of Mythology.\nAde è l'antagonista principale dell'espansione Immortal Throne del videogioco Titan Quest.\nAde è uno degli antagonisti principali del videogioco Horizon Zero Dawn, in cui vuole distruggere la Terra con delle macchine, simili ad animali.\nAde è il vero pianificatore dietro gli eventi di tutti i giochi della serie Kid Icarus e antagonista, nonché vero signore degli inferi nel capitolo per 3DS, Kid Icarus: Uprising.\nAde compare come antagonista ricorrente nella serie videoludica Kingdom Hearts, assieme ai suoi scagnozzi Pena e Panico.\nAde ricopre il ruolo di antagonista principale nel videogioco Hades (2020), dove cerca di impedire al figlio Zagreus la fuga dal regno dei morti. Una volta uscito dal Tempio dello Stige corrompendo Cerbero, il protagonista dovrà affrontarlo in un duello, se riuscirà nell'impresa accederà al regno dei mortali dove incontrerà sua madre Persefone.\nAde appare nel capitolo ambientato nella Grecia Classica di Assassin's Creed, Assassin's Creed Odyssey, ed è uno dei vari antagonisti che ostacoleranno la protagonista nei DLC aggiuntivi.\n\nMusical.\nAde è l'antagonista principale nel musical Hadestown." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Adefagia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Adefagia (in greco antico: Ἀδηφαγία?) era la dea e personificazione dell'ingordigia.\n\nUtilizzo.\nIl termine adefagia veniva usato in passato come sinonimo di bulimia perché quest'ultima è collegabile ad una specie di fame morbosa accompagnata da un senso di svenimento universale, proprio come per la dea Adefagia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Adikia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Adikia (in greco: Ἀδικία) è la dea dell'ingiustizia e dell'errore. Figura orrenda, viene rappresentata nell'atto di essere strangolata da Diche." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Adimno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Adimno era il nome di uno dei figli di Eos e di Cefalo.\n\nIl mito.\nAdimno, in origine chiamato Fetonte (come un figlio di Elio), fu rapito da Afrodite, intenzionata a tenerlo presso di sé come schiavo, addetto in special modo alla custodia dei suoi santuari.\nIl mitografo Nonno lo confonde con Fetonte, figlio di Eolo; altri con l'eroe greco Atimnio. Nella tradizione Adimno e Fetonte sono anche epiteti secondari del pianeta Venere.\nMolto discussa è l'origine del nome Adimno: mentre per alcuni significherebbe 'colui che non si ferma', secondo altri vorrebbe dire 'stella del mattino'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Admeta.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Admeta era la figlia di Euristeo e di Antimachea.\n\nNel mito.\nUna delle fatiche di Eracle, la nona, consisteva nel recupero della cintura d'oro che Ares aveva donato alla figlia Ippolita, comandante delle amazzoni.\nQuando Eracle riuscì nell'impresa, Euristeo fu ben felice di regalare la mitica cintura a sua figlia Admeta.\n\nSignificati delle vicende.\nRicompensa per le varie fatiche doveva essere la principessa Admeta in persona, come sposa dell'eroe.\nQuindi sciogliere la cintura nella camera matrimoniale dove per forza segnare la fine delle avventure.Admeta probabilmente lottò contro l'eroe, non volendo esserne la sposa senza combattere e probabilmente si trasformò in tutti i vari mostri che in seguito nelle sue altre fatiche Eracle dovette combattere (cerva, cavalla selvaggia, ecc).\nAdmeta fra l'altro è anche uno dei tanti nomi dati ad Atena.\n\nAltri nomi.\nA seconda degli autori un'altra Admeta o Admete era anche una ninfa, precisamente una oceanina." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Admeto (mitologia).\n### Descrizione: Admeto (in greco antico: Ἄδμητος?, Àdmētos) è un personaggio della mitologia greca re di Fere in Tessaglia; fu anche sposo di Alcesti. Figlio di re Ferete, da cui la città prende nome, fu uno degli Argonauti e prese parte alla caccia al Cinghiale Calidonio. Era celebre per la sua ospitalità e per il suo senso di giustizia.\nIl più famoso dei figli di Admeto fu Eumelo, suo successore, che guidò un contingente da Fere per combattere nella guerra di Troia. Gli si attribuisce un altro figlio, che porta il nome del nonno, il quale accompagnò il fratello nella guerra di Troia.\n\nApollo.\nQuando Apollo venne condannato dagli dèi per aver ucciso i Ciclopi, imponendogli di essere servitore di un umano per nove anni, essi scelsero la casa di Admeto, ed Apollo divenne il suo pastore, curandone anche i cavalli. Apollo rimase così stupito del trattamento benevolo di Admeto che il dio gli fece dono di far partorire a tutte le sue mucche dei gemelli.\n\nAlcesti.\nApollo aiutò Admeto ad ottenere la mano della principessa Alcesti, figlia di Pelia re di Iolco. Alcesti aveva così tanti pretendenti che Pelia stabilì per loro un compito apparentemente impossibile: per ottenere la mano di Alcesti avrebbero dovuto legare al giogo di una biga un cinghiale ed un leone. Apollo imbrigliò gli animali, e Admeto guidò la biga fino a Pelia, riuscendo così a sposare Alcesti. Admeto, comunque, si dimenticò di fare sacrificio ad Artemide. La dea, offesa, riempì la camera nuziale di serpenti, e nuovamente Apollo giunse in aiuto di Admeto: gli consigliò di effettuare un sacrificio ad Artemide e, una volta fatto, la dea tolse i serpenti.\nL'aiuto più grande che Apollo diede ad Admeto fu di persuadere le Moire a rimandare il giorno della sua morte. Apollo fece ubriacare le Moire, e queste accettarono il rinvio se Admeto fosse stato in grado di trovare qualcuno che morisse al suo posto. Admeto credette inizialmente che uno dei suoi anziani genitori sarebbe stato lieto di prendere il posto del figlio, ma così non fu. Quando questi non si mostrarono disponibili, fu sua moglie Alcesti a scegliere di morire al suo posto. Alle esequie Admeto rimprovera il padre Ferète per non essersi offerto di morire al posto di Alcesti, ma Ferète ritorce su Admeto l'accusa di vigliaccheria. La scena della morte viene descritta nell'Alcesti di Euripide, dove Tanato, il dio della morte, conduce Alcesti negli Inferi. Mentre Alcesti vi discende, Admeto scopre di non voler più vivere. La situazione venne salvata da Eracle, che si riposava a Fere mentre era in cammino alla ricerca delle cavalle di Diomede, mangiatrici di uomini. Venuto a conoscenza della situazione di Admeto, Eracle discese negli Inferi per salvare Alcesti. Lottò quindi con Thanatos fin quando il dio accettò di liberare la donna, che fu ricondotta nel mondo dei mortali.\nUna spiritosa ripresa moderna del mito è costituita dal racconto Per chi filano le tre vecchiette?, contenuto nelle Novelle fatte a macchina di Gianni Rodari." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aede (mitologia).\n### Descrizione: Aede (Ἀοιδή, in latino Aoede) era, nella Grecia più antica (specificamente in Beozia), una delle ancestrali muse, in origine solo tre.\nFiglia di Zeus e Mnemosine, era sorella di Melete e di Mneme.\nFigurava come una delle muse primitive nelle antiche nomenclature degli Aloidi e di Arato. Pausania, collocando la musa degli Aloidi accanto a Melete ed a Moeme, ne fa una musa della musica e dell'armonia (Pausania, IX, 29), e Cicerone mette quella di Arato con Arche, Telsinoe e Melete." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aella (mitologia).\n### Descrizione: Aella dal greco Αελλα e dal latino Aëlla era un'amazzone al servizio di Ippolita.\n\nIl mito.\nAella, durante una delle fatiche di Eracle, fu la prima ad attaccare l'eroe quando questi cercò di impadronirsi della cintura di Ippolita. Sfortunatamente per Aella, Eracle indossava la pelle del leone di Nemea che lo rendeva invulnerabile e quindi non poteva ucciderlo. Invece, dopo una breve battaglia, fu lei a venire uccisa dall'eroe.\n\nSignificati del nome.\nIl suo nome vuol dire 'tornado'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aello (arpia).\n### Descrizione: Aello (in greco antico: Ἀελλώ -οῦς?, Aellṑ), poi divenuta in latino Podarge, è un personaggio della mitologia greca ed una delle tre Arpie, figlie di Taumante e di Elettra.\nÈ conosciuta anche con i nomi:.\n\nAellopo (Ἀελλόπους, Aellòpūs, 'piede alato').\nAellope (Ἀελλώπη, Aellṑpē).\nPodarge (Ποδάργη, Podàrghē, 'dal piede svelto').\nPodarce (Ποδάρκη, Podàrkē, 'dal piede sicuro').\nNicotoe (Νικοθόη, Nīkothòē, 'colei dalla rapida vittoria').\n\nMitologia.\nAello era utilizzata dagli dei per imporre la pace e assegnare le giuste punizioni per i crimini commessi. Veniva descritta inizialmente come una bellissima fanciulla alata. In seguito altri scrittori la descrissero come un mostro alato con il volto di un'orrenda megera, a volte metà donna metà uccello con artigli appuntiti e ricurvi. Viene anche descritta mentre cattura delle persone per condurle nell'Ade dalle Erinni e torturarle.\nSecondo alcuni autori era la madre di Balio e Xanto, cavalli immortali appartenuti ad Achille, generati con il vento Zefiro. Altri sostengono che in realtà i due cavalli siano stati generati da Zefiro con Celeno, sorella di Aello." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aellopoda.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aellopoda, o Aello, era una delle Arpie.\n\nIl mito.\nTra le Arpie, Aellopoda era una delle più aggressive e viveva nella caverna di Ditte, sull'isola di Creta.\n\nContro gli Argonauti.\nSi narra che Aellopoda e la sua compagna Ocipete fossero le Arpie che non davano pace a Fineo, figlio di Agenore: le due creature entravano volando nel suo grande palazzo durante i pasti e, oltre a incutere paura in tutti, rubavano parte del cibo, rendendone immangiabile il resto, sporcandolo e lasciandovi un orrendo fetore.\nQuando il re incontrò Giasone, che gli domandò come recuperare il vello d’oro, Fineo pose come condizione per aiutarli che gli Argonauti lo liberassero dai due mostri.\nAllora due degli argonauti, Calaide e Zete, iniziarono a dar loro la caccia con le spade.\n\nL'inseguimento.\nSecondo alcune fonti antiche, le due Arpie si salvarono fuggendo oltre il mare; secondo altre, vennero raggiunte alle isole Strofadi, dove gli Argonauti ne ebbero pietà, grazie anche all'intervento della messaggera di Era, Iride.\nAltri, infine, affermano che Aellopoda, separatasi dalla propria compagna, continuò a volare, finché crollò per la stanchezza e annegò nel Tigri, un fiume del Peloponneso, ribattezzato Arpide in suo ricordo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aergia.\n### Descrizione: Aergia (in greco: Ἀεργία, 'inattività') è una dea della mitologia greca, una personificazione di indolenza e pigrizia. È la figlia di Etere e Gea. Si diceva che custodisse la corte di Hypnos nell'oltretomba." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aetone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aetone era il nome di uno dei leggendari cavalli di Eolo, il dio dei venti.\n\nIl mito.\nEolo aveva un magico carro trainato da diversi cavalli, tutti possenti e magici perché sapevano volare. Uno di questi rispondeva al nome di Aetone.\nSecondo una versione minore invece Aetone era il nome di uno dei quattro cavalli di Ade, il dio degli inferi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Afaia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Afaia (in greco antico Ἀφαία) od anche Afea, era un'antica divinità greca, dea minore dell'agricoltura e della fertilità.\n\nIl culto di Afaia.\nGià venerata nella civiltà micenea, era associata alla fertilità ed al ciclo agricolo. soprattutto nell'isola di Egina dove le era consacrato il Tempio di Afaia ebbe il suo nome assimilato a quello di Britomarti e talora a quello di Artemide e a volte ad Atena.\n\nLeggende.\nAfaia era una donna che viveva a Creta e venne rapita da un pescatore animato da brutte intenzioni che la portò via lontano fino all'isola di Egina dove riuscì a sfuggirgli addentrandosi in un bosco, dal quale non ricomparve mai più.\nAfaia deriva dal greco e significa “scomparsa”." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Afaretidi.\n### Descrizione: Idas e Linceo sono due personaggi della Mitologia greca, figli di Afareo, re di Messenia e di Arene. Fratelli gemelli, altrimenti noti con il patronimico di Afaretidi.\n\nMitologia.\nGli Afaretidi partecipano alla spedizione degli Argonauti, risultando tra i più valorosi. Idas si rivela un guerriero fortissimo anche se orgoglioso e irriflessivo, nell'Iliade definito «il più valoroso degli uomini», mentre Linceo, con la sua vista acutissima, risolve moltissime situazioni intricate. Sempre in coppia partecipano alla caccia del Cinghiale calidonio. In entrambe le occasioni avevano combattuto al fianco dei Dioscuri, Castore e Polideuce.\nSposarono le Leucippidi (Ileria e Febe), figlie del re Leucippo e quando successivamente i Dioscuri rapiscono le Leucippidi, lo scontro è furibondo.\nAlla fine restano uccisi sul campo Castore da una parte, e Linceo dall'altra. Polideuce allora chiede al padre Zeus di morire a sua volta, ma Zeus gli propone una scelta: o abitare da quel momento in poi nell'Olimpo, oppure di stare insieme a Castore un giorno negli Inferi e un giorno presso gli dei. Polideuce sceglie quest'ultima soluzione." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Afeida (figlio di Ossinte).\n### Descrizione: Afeida (in greco antico: Ἀφείδας?) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ossinte, mitologico re di Atene. Teseo era suo bisnonno, ed aveva un fratello chiamato Timete..\n\nMitologia.\nAlla morte del padre (il tredicesimo Re di Atene) gli succedette essendo suo primogenito, ma il suo regno durò un solo anno poiché Timete, invidioso e desideroso di ottenere il potere con la forza, uccise il fratello e governò al suo posto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Afrodito.\n### Descrizione: Il culto di Afrodito (in greco antico Ἀφρόδιτος) proviene dall'isola di Cipro, dove fu venerato come compagno di Afrodite e rappresentato con lunga barba. In Atene il culto fu, come pare, introdotto alla fine del quinto secolo.Secondo Macrobio, la statua della divinità chiamata Afroditos era barbata e portava abiti femminili e scettro. Le parti sessuali erano virili. Le donne gli offrivano sacrifici in abito virile, gli uomini in abito muliebre. Filocoro, il quale ci comunica questo fatto, vi aggiunge che Afrodite non si distinse in nulla dalla divinità lunare cipria.Secondo Pausania, si sa che il vero nome del dio Ermafrodito è Afrodito e che la forma composta del nome propriamente significa 'erma di Afrodito'.\n\nLetteratura.\nMacrobio, Saturnalia 3.8.\nServio Mario Onorato, Commentarii in Vergilii Aeneidos 2.632.\nPausania, Descrizione della Grecia 1.19.2." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agalmatofilia.\n### Descrizione: Agalmatofilia (dal greco antico agalma ἄγαλμα 'statua', e -philia φιλία = amore) è una parafilia che comporta l'attrazione sessuale nei confronti di oggetti inanimati antropomorfi quali statue, bambole, manichini e simili." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agamennone.\n### Descrizione: Agamennone (in greco antico: Ἀγαμέμνων?, Agamèmnōn, 'molto determinato') è una delle figure più importanti della mitologia greca, re dell'Argolide e capo supremo degli Achei nella guerra di Troia. Figlio del re Atreo di Micene (o Argo) e della regina Erope, era inoltre il fratello di Menelao e cugino di Egisto. Divenne a sua volta re di Micene e sposò Clitennestra, sorella di Elena. Dalla loro unione nacquero almeno quattro figli: Elettra, Ifigenia, Crisotemi e Oreste, a cui alcuni aggiungono Ifianassa e Laodice, che i più considerano due nomi alternativi per Ifigenia ed Elettra.\n\nOrigini.\nSecondo la tradizione più accettata, Agamennone era figlio di Atreo e di Erope e fratello maggiore di Menelao e Anassibia. Suo padre aveva sposato Erope dopo che la sua prima moglie, Cleola, era morta dando alla luce un figlio malato, Plistene.La leggenda racconta come Atreo e il suo gemello Tieste fossero divenuti acerrimi nemici, oltre che rivali; i due fratelli, infatti, si contendevano il trono di Micene.\nLa loro feroce ostilità aveva raggiunto il culmine quando Atreo aveva attirato Tieste con l'inganno proponendogli la cessazione della contesa, la spartizione del regno e l'allestimento a palazzo di un banchetto che doveva suggellare la pace ritrovata.\nDurante il banchetto però, Atreo servì al fratello, ignaro, la carne dei suoi stessi figli Orcomeno, Aglao e Callileonte. Tieste, furioso, cercò i figli di Atreo per consumare su di loro la sua vendetta, ma i due ragazzi, Agamennone e Menelao (Atridi perché discendenti da Atreo), erano riusciti a fuggire con l'aiuto di un servo ed erano riparati a Sparta. Qui vissero alla corte del re Tindaro, con i suoi figli e sotto la sua protezione.\nSuccessivamente, Agamennone riconquistò il trono di Micene e, dopo averne ucciso il primo marito, sposò Clitemnestra che era figlia di Tindaro, sorella di Elena di Troia e dei mitici gemelli Castore e Polluce. Su Micene regnò fino a quando morì accoltellato per mano della moglie Clitemnestra e del cugino Egisto.\n\nGenealogia.\nAlla Guerra di Troia.\nLa guerra di Troia è raccontata nei ventiquattro canti dell'Iliade di Omero.\nL'opera non è una fonte storica, ma un poema epico che riporta la leggenda, cantata fino a quel momento e tramandata a voce dagli aedi, e riferentesi a vicende già antiche di 300 o 400 anni. Lo stesso Omero (colui che non vede) è un personaggio la cui biografia si trova in Erodoto (di Alicarnasso V secolo a. C.) e Plutarco (di Cheronea 50 d. C. - ivi dopo il 120) e si dice vissuto nel IX secolo a.C., ma la cui esistenza è stata a lungo messa in dubbio sollevando la secolare questione omerica.\n\nAntefatto.\nA Sparta, alla corte di Tindaro e Leda numerosi principi chiedono la mano di Elena, la donna più bella del mondo, figlia di Leda e di Zeus. La giovane principessa sceglie tra tutti, e sposa, Menelao che diventerà in seguito re della città. Ma Tindaro teme che le rivalità tra i pretendenti si riaccendano e conducano a conflitti armati.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nPer tutelare quindi la pace nel suo regno segue il consiglio di Ulisse, uno tra i pretendenti, e chiede a tutti un giuramento: qualora uno di loro fosse stato insidiato, avrebbe potuto contare sull'alleanza incondizionata degli altri. Quando, sotto il regno di Menelao, Elena viene rapita dal principe Paride e condotta a Troia alla corte del padre Priamo, l'alleanza si compatta attorno a Menelao ed Agamennone assume la carica di comandante supremo dell'armata achea.\n\nLa guerra.\nAgamennone raccoglie le forze greche ed organizza la flotta per salpare verso Troia. In Aulide, porto della Beozia, le navi non possono partire perché Agamennone ha offeso la dea Artemide.\nEsistono diverse versioni sulle ragioni di quest'ira: nell'opera di Eschilo, Agamennone, Artemide è irata perché troppi giovani perderanno la vita sotto le mura di Troia, mentre nell'Elettra di Sofocle Agamennone ha ucciso un animale sacro ad Artemide, per vantarsi poi di essere pari alla dea, nella caccia.\nCalamità comprendenti una devastante pestilenza e la prolungata assenza di vento impediscono all'esercito di salpare. Quando infine si interroga l'indovino Calcante, questi svela che l'ira della dea può essere placata solo da un sacrificio da parte di Agamennone: egli che dovrà immolare sull'altare della dea, la propria figlia Ifigenia. Convinto da Ulisse, Agamennone attira con un inganno la figlia in Aulide e si sottomette al volere della dea (secondo una versione del mito la giovane viene sacrificata, secondo un'altra versione la dea la rapisce sostituendo Ifigenia con una cerbiatta e trasportando la giovane in Tauride come sua sacerdotessa). Solo allora Artemide permette alle navi di partire. Clitennestra non perdonerà mai l'inganno né l'uccisione della figlia, aspetterà dieci anni il ritorno del marito per assassinarlo, spinta da Egisto, cugino di Agamennone, che nel frattempo è divenuto suo amante.\nLe navi salpano, i guerrieri achei sbarcano sulle rive della Troade e vi pongono il loro accampamento. I troiani chiudono le porte della città e resistono all'assalto dietro le potenti mura di Ilio costruite da Poseidone, dio del mare, e Febo, dio del sole, per l'antico re Ilo, nonno di Priamo.\nL'assedio si protrarrà per dieci lunghi anni, fino a quando gli achei riusciranno ad entrare in città e la metteranno a ferro e fuoco.\nL'Iliade non vuol essere un racconto dettagliato della guerra, celebra invece le vicende degli ultimi 51 giorni di essa e si apre con la collera di Achille contro Agamennone, che ancora una volta aveva mostrato la propria tracotanza; egli infatti aveva fatto prigioniera Criseide, la bellissima figlia di Crise, sacerdote di Apollo, e aveva deciso di tenerla per sé, così, quando Crise gli si presentò per pregarlo di restituirla, egli lo insultò e lo cacciò, umiliando l'uomo e offendendo il dio. Apollo perciò si scaglia contro Agamennone, seminando dolore e morte tra i guerrieri achei, e Agamennone dovrà cedere, se vorrà por fine alla furiosa vendetta del dio. Cedette e liberò Criseide, ma pretese in cambio che gli fosse consegnata la preda di un altro dei capi achei. Prese Briseide, schiava di Achille (figlio di Peleo e della ninfa Teti), guerriero invincibile e veloce come il vento. In questo modo si apre l'ostilità tra i due e da questo momento Achille rifiuta la battaglia a fianco dei greci. Senza di lui e il suo esercito di Mirmidoni, i Greci sono in difficoltà e i Troiani giungono a minacciare le navi achee. Solo dopo la morte dell'amico Patroclo per mano del principe Ettore, Achille tornerà a combattere con l'intento di ottenere vendetta.\n\nIl ritorno a Micene e la morte.\nDurante il viaggio di ritorno Agamennone fu protetto da Era, moglie di Zeus, che salvò la sua nave da una violenta tempesta, che invece aveva investito le navi dei principi greci e aveva spinto Menelao fino in Egitto.\nClitemnestra voleva vendicarsi per l'uccisione della figlia Ifigenia da parte di Agamennone stesso (sacrificio compiuto per poter partire dal porto di Aulide alla volta di Troia) e instaura una relazione amorosa con il cugino di Agamennone e suo nemico Egisto. I due amanti, uniti da un unico obbiettivo, pianificheranno l'assassinio di Agamennone.\nClitemnestra aveva precedentemente persuaso il marito ad accendere un falò sul monte Ida non appena avesse espugnato Troia. Una sentinella stava in piedi sul tetto del palazzo di Micene in attesa di scorgere quel fuoco; e quando lo vide, corse a comunicarlo a Clitemnestra. Questa indisse grandi festeggiamenti con ricchi sacrifici agli dei, simulando riconoscenza e gioia; Egisto, intanto, approntava il suo piano, mise uno degli uomini più fidati di guardia sulla torre presso il mare e gli promise una generosa ricompensa non appena gli avesse annunciato lo sbarco di Agamennone.\nDopo il viaggio fortunoso, Agamennone sbarcò in patria. Portava con sé, come parte del bottino e come sua concubina, la principessa Cassandra, sorella di Paride e sacerdotessa di Apollo, che aveva il dono della preveggenza ma anche la maledizione divina di non essere mai creduta. All'ingresso del palazzo ella ammonì il re di non entrare presagendo l'attentato, ancora una volta non fu creduta e il re non l'ascoltò.\nSecondo Pindaro e i tragici greci, Agamennone venne ucciso con un lábrys (λάβρυς), mentre si trovava solo nel bagno. Su istigazione di Egisto, la moglie lo imbrigliò prima nella rete che gli aveva gettato addosso, poi lo colpì. Subito dopo, Clitemnestra si scagliò anche contro Cassandra e, con la stessa arma, la uccise. Il suo sordo rancore per il sacrificio di Ifigenia e la gelosia per Cassandra, avevano finalmente attuato la vendetta di Tieste, come era stato predetto dall'oracolo di Delfi.\n\nVersioni minori del mito.\nArginno, giovinetto greco, è citato in una rara versione del mito: di lui si era innamorato Agamennone.\nAteneo di Naucrati racconta che per fuggire alle sue profferte Arginno si gettò nel lago Copaide, in Beozia, in cui annegò. Addolorato per la sua morte Agamennone rifiutava di condurre la flotta achea da Aulide a Troia, non volendo lasciare i luoghi in cui l'aveva incontrato. Falsamente addusse la presunta ira di Artemide, per placare la quale accettò perfino il sacrificio di Ifigenia. Agamennone lo seppellì e innalzò in quei luoghi un tempio dedicato ad Afrodite. Lo stesso racconto si trova anche in Clemente di Alessandria e in Stefano di Bisanzio.\n\nVittime di Agamennone nell'Iliade.\nNella Guerra di Troia, Agamennone fu tra gli eroi più valorosi e che più influirono sulle perdite degli avversari, arrivando ad uccidere undici guerrieri in solo tre giorni di battaglia.\n\nOdio, sovrano degli Alizoni e alleato dei Troiani nel conflitto, fratello di Epistrofo. (Omero, Iliade, libro V, versi 38-42).\nElato, alleato troiano, residente a Pedaso prima che venisse distrutta da Achille. (Omero, Iliade, libro VI, versi 33-35).\nAdrasto, guerriero troiano, catturato vivo da Menelao e finito dal fratello. (Omero, Iliade, libro VI, versi 37-65).\nBienore, guerriero troiano, definito 'pastore di popoli'. (Omero, Iliade, libro XI, versi 91-93).\nOileo, guerriero troiano, compagno e auriga di Bienore. (Omero, Iliade, libro XI, versi 93-100).\nIso, figlio illegittimo di Priamo. (Omero, Iliade, libro XI, versi 101-112).\nAntifo, figlio di Priamo e di Ecuba. (Omero, Iliade, libro XI, versi 101-112).\nPisandro, figlio di Antimaco e fratello di Ippoloco. Colpito di lancia al petto. (Omero, Iliade, libro XI, versi 122-147).\nIppoloco, figlio di Antimaco e fratello di Pisandro. Fatto letteralmente a pezzi mentre tentava di fuggire; Agamennone lo afferrò e gli tagliò entrambe le braccia e infine la testa. (Omero, Iliade, libro XI, versi 122-147).\nIfidamante, guerriero troiano, figlio di Antenore e Teano, fratello di Coone. (Omero, Iliade, libro XI, versi 221-247).\nCoone, valoroso guerriero troiano, figlio maggiore di Antenore e Teano, fratello di Ifidamante. (Omero, Iliade, libro XI, versi 248-263).\n\nAgamennone nel teatro.\nAgamennone - tragedia di Eschilo, rappresentata nel 458 a.C.\nAgamennone - tragedia di Seneca.\nAgamennone - tragedia di Vittorio Alfieri, pubblicata nel 1783.\nIfigenia in Aulide - tragedia di Euripide scritta tra il 407 ed il 406 a.C.\n\nAgamennone nell'arte.\nAgamennone nel cinema.\nAgamennone è il terzo incontro nel viaggio dei protagonisti del film del 1981 Time Bandits, con la direzione registica di Terry Gilliam. Il piccolo protagonista, Kevin, finisce nella Civiltà Micenea, e nella caduta aiuta involontariamente re Agamennone a sconfiggere un guerriero minotauro; il sovrano accoglie Kevin al palazzo come amico e il ragazzino scatta diverse istantanee del luogo. Kevin però viene ritrovato dai nani, che arrivano alla corte fingendosi dei giullari per rubare gioielli e lo trascinano via con loro in un altro buco temporale contro la sua volontà.\nAgamennone è interpretato da Rufus Sewell nella miniserie televisiva del 2003 Helen of Troy - Il destino di un amore.\nAgamennone è il re di Micene e il principale antagonista del film del 2004 Troy, che si basa liberamente sull'Iliade." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aganippe (Demetra).\n### Descrizione: Aganippe (in greco antico: Ἀγανίππη?, Aganíppē) nella mitologia greca è un epiteto della dea Demetra.\n\nMitologia.\nIn alcuni culti Demetra veniva adorata come cavallo nero e dotato di ali, come dimostra il ritrovamento di un idolo negli scavi di Figaleia, dove la criniera era composta di serpenti come nelle Gorgone.\nQuesto aspetto viene associato al mito del cavallo Arione cavalcato da Eracle, e che a sua volta ispirò il mito di Pegaso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agano (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Agano era il nome di uno dei figli di Paride e di Elena.\n\nIl mito.\nElena, moglie di Menelao, fu rapita dal principe troiano Paride, del quale divenne compagna: dalla loro unione nacquero diversi figli, fra cui Agano.\nQuest'ultimo morì con i suoi fratelli Bugono, Ideo durante la guerra di Troia, per il crollo del tetto della casa dove dormivano." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Agapenore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Agapenore era uno dei re dell'Arcadia e figlio di Anceo.\n\nIl mito.\nAgapenore, figlio di Anceo il grande, era uno dei pretendenti di Elena, uno degli eroi che prese parte alla guerra di Troia, senza effettuare azioni di rilievo. Andò all'assedio di Troia con 60 navi, partendo dall'Arcadia.\nUna volta finita la guerra, al ritorno decise di stabilirsi nell'isola di Cipro, dove era naufragato. In seguito riuscì a fondare la città di Pafo, dove eresse un grande tempio ad Afrodite. Ebbe una figlia di nome Laodice." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agatirso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Agatirso (in greco antico: Ἀγάθυρσος) fu uno dei figli di Eracle.\n\nIl mito.\nLa nascita.\nDurante la sua decima fatica, Eracle perse la mandria oggetto dell'impresa, e nella ricerca di essa, appena arrivato nella regione boscosa di Ilea l'eroe incontrò uno strano essere. Tale mostro era per metà donna e per l'altra metà serpente e invitò Eracle nella grotta dove dimorava, lei aveva rubato la mandria e voleva anche restituire il maltolto a patto che lui diventasse suo amante per la notte. Il semidio non ebbe altra scelta che accettare malvolentieri al patto e dopo qualche bacio e un abbraccio divenne libero di andarsene.\nAl che il mostro rimase incinta di tre gemelli.\n\nLa richiesta di Eracle.\nEracle disse al mostro che se uno dei tre pargoli in futuro avesse teso l'arco come faceva lui l'avrebbe dovuto eleggere re e quindi partì.\nI figli si chiamavano Agatirso, Gelono e Scita. Ma da adulti solo il terzo riuscì nell'impresa e la madre cacciò gli altri due dal regno.\n\nPareri secondari.\nSecondo altri era Zeus il padre dei tre gemelli e quando ebbero l'età per diventare re del luogo, il divino fece cadere dal cielo quattro oggetti, prima Agatirso e poi Gelono accorsero per recuperarli ma divennero subito fuoco, solo quando arrivò il terzo gemello le fiamme si spensero chiarendo a tutti le idee su chi sarebbe diventato re." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agave (figlia di Cadmo).\n### Descrizione: Agave (in greco antico: Ἀγαυή?, Agauḕ) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Cadmo, re fondatore di Tebe, e Armonia, sua sposa divina. Agave ha tre sorelle, Ino, Semele e Autonoe e un fratello, Polidoro. Fu sposa di Echione, guerriero degli Sparti nato dai denti di drago seminati dallo stesso Cadmo prima della fondazione della città. Da Echione Agave ebbe Epiro e Penteo. Quest'ultimo fu ucciso da Agave stessa, in preda al delirio bacchico, come vendetta di Dioniso nei confronti del sovrano di Tebe.\n\nMitologia.\nQuando il figlio di Agave, Penteo, divenne re di Tebe, questi si oppose all'introduzione in città del culto di Dioniso (cugino per parte di madre dello stesso Penteo), ritenuto troppo sfrenato e completamente privo di razionalità. Il dio, per vendetta, usò Agave e le zie di Penteo, Autonoe ed Ino, per uccidere il sovrano. Dioniso consigliò a Penteo di spiare la madre e le zie, riunite sul monte Citerone a celebrare i riti bacchici, in modo da rendersi personalmente conto di quello che era il nuovo culto.\nPenteo, nascosto sopra un pino, venne scoperto dalle invasate che accecate dalla furia dell'estasi dionisiaca, lo scambiarono per un cucciolo di leone e fecero a pezzi il suo corpo. La prima a colpirlo fu la stessa Agave, che presa la sua testa la conficcò su un tirso, portandola come un macabro trofeo fino a Tebe, per mostrala al padre Cadmo. Solo arrivata in città la madre si accorse del tragico inganno. Tali vicende sono state riassunte e narrate nell'opera tragica Le Baccanti di Euripide.\nSecondo un'altra versione la donna restò invasata per il resto dei suoi giorni: dopo essere fuggita da Tebe vagò per le terre dell'Illiria, fino ad arrivare alla corte del re Licoterse, uccidendo anche lui.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agdistis.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Agdistis (in greco antico: Ἄγδιστις?) era il nome di uno dei figli di Zeus, androgino, a cui vengono legate diverse leggende.\n\nIl mito.\nEsistono due distinte leggende sulla nascita di Agdistis: la prima narra che una notte, durante un sonno agitato, Zeus sognò di unirsi sessualmente con la Dea Madre Cibele, e dalla sua divina e prorompente eiaculazione il suo seme arrivò fino sulla Terra colpendo una pietra, generando così il giovane Agdistis; la seconda narra che Zeus tentó di avere un rapporto sessuale completo con Cibele, la quale però divincolandosi si liberò dalla stretta del signore degli dei proprio nel momento della sua eiaculazione e ciò fece cadere il seme di Zeus sulla Terra che rimanendo fecondata dette alla luce il giovane androgino Agdistis. Il giovane Agdistis, proprio a causa della sua doppia natura maschile e femminile, fu ritenuto potenzialmente pericoloso dagli altri dei dell'Olimpo che organizzarono così di recidergli il membro virile e lasciarlo con solo i genitali femminili. Dal sangue sgorgato dal membro perduto nacque una pianta di mandorlo (o di melograno). La pianta quando crebbe attirò l'attenzione di Sangaride, figlia del dio fluviale Sangario, la quale prese una mandorla e la mise fra i seni, rimanendo incinta. Da questa gravidanza nacque Attis, ragazzo di indubbia bellezza che fece innamorare diverse persone fra cui anche Agdistis. Alla vigilia delle nozze di Attis con la figlia del re Mida, Agdistis si presentò alla festa in preda alla gelosia e fece impazzire tutti i presenti, compreso suo “figlio” Attis, che si evirò sotto un pino. Cibele, mossa a pietà per la sorte del bellissimo giovane, fece in modo che si salvasse e lo prese come suo paredro, facendolo diventare il cocchiere del suo sacro carro.\n\nPareri minori.\nSecondo altri mitografi, Zeus voleva giacere con Cibele, ma lei non voleva, e Zeus, pur di eiaculare, introdusse il suo divino membro virile nella Terra e la fecondò oppure secondo altre leggende il signore degli dei eiaculò su una pietra, la quale fecondata fu chiamata Agdos, perché Cibele era raffigurata da una pietra di una scogliera. La storia prosegue similmente alla precedente, con la differenza che questa volta non era una pianta di mandorlo, ma di melograno e che a raccogliere il seme fosse Nana (altri dicono sempre la stessa Sangaride). In questa versione del mito, Attis era desiderato sia da Agdistis sia da Cibele, la prima lo fece impazzire fino a farlo uccidere, la seconda seppellì il suo corpo. Dal sangue nacquero delle viole, mentre Agdistis ebbe in premio che il corpo del defunto non solo non si corrompesse mai, ma anche che i suoi capelli continuassero a crescere.\n\nMonte Agdistis.\nNell'antica mitologia greca e anatolica, il monte Agdistis chiamato anche Agdos era un monte sacro situato a Pessinus in Frigia.\nLa montagna era personificata come un demone chiamato Agdistis. Secondo Pausania, Attis fu sepolto sotto il monte Agdistis.\n\nDiffusione del culto.\nAnatolia, Egitto, Lesbo e Ramnunte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Agenore (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Agenore (in greco antico Ἀγήνωρ Aghḕnōr) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Tiro.\nErodoto stima che Agenore sia vissuto prima dell'anno 2000 a.C..\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e di Libia e fratello di Belo, sposò Telefassa (che Igino chiama Argiope) che lo rese padre di Cadmo, Cilice, Fenice ed una sola figlia, Europa.\nTra i figli, Pausania aggiunge Taso.\n\nMitologia.\nSua figlia Europa era bellissima, Zeus volle possederla e per questo si celò sotto le sembianze di un toro e la rapì.\nAgenore inviò i suoi figli nella sua ricerca dicendogli di non tornare senza di lei. Nel corso delle loro peregrinazioni, questi figli fondarono città ovunque e così Fenice divenne il capostipite dei fenici, Cilice quello dei cilici, Cadmo si stabilì in Beozia costruendo Cadmea, la rocca di Tebe. Nessuno di loro però trovò Europa.\n\nLa stirpe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agesia.\n### Descrizione: Agesia, o Egesia di Siracusa (in greco antico: Ἀγησίας), era amico e collaboratore del tiranno Ierone, protettore di Pindaro. Come viene narrato nell'Olimpica VI vinse con il carro da mule nel 468 a.C.\nPindaro narra le origini mitologiche della famiglia degli Iamidi a cui Agesia apparteneva; una fanciulla, di nome Evadne cerca di nascondere il frutto del suo amore con il dio Apollo, esponendo il bambino, Iamo, in un bosco, dove viene protetto dagli dei e nutrito dagli animali feroci. Iamo viene infine ritrovato e da lui deriverà questa gloriosa famiglia.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Agesia, su Olympedia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Agmone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Agmone era, ai tempi della guerra di Troia, uno dei compagni di battaglia di Diomede.\n\nIl mito.\nAgmone, fiero combattente al fianco di Diomede riuscì a sopravvivere alla lunga guerra di Troia. Egli, ritornando dalla guerra, offese, parlando con l'amico, la dea della bellezza Afrodite. Subito la dea risentita di quei giudizi trasformò l'uomo in un cigno." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Agrianome.\n### Descrizione: Agrianome (in greco antico: ?) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglia di Perseon, sposò Odoidoco e dalla loro unione nacque Oileo.\n\nMitologia.\nVisse a Naricea, città dove nacque anche il nipote Aiace Oileo.\nQuando Giasone inviò gli araldi in tutta la Grecia alla ricerca di eroi disposti a partire per il recupero del vello d'oro, suo figlio Oileo rispose alla richiesta e partecipò alla spedizione degli Argonauti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,### Titolo: Agrio (figlio di Circe).\n### Descrizione: Agrio (in greco antico: Ἄγριος) era un personaggio della mitologia greca ed uno dei tre figli che Circe ebbe da Ulisse.\nI suoi fratelli erano Latino e Telegono. +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Agrone (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Agrone era il nome di uno dei figli di Eumelo.\n\nIl mito.\nAgrone con le sorelle Meropi e Bissa viveva nell'isola di Cos. Egli odiava tutti gli dei tranne uno, Rea la madre terra per via dei raccolti che offriva e che permetteva tranquillamente alla sua famiglia di vivere agiatamente.\nGli dei stanchi delle continue offese decisero di punire la sua famiglia così Artemide, Ermes ed Atena trasformarono Bissa in un gabbiano, Meropi in una civetta, Eumelo in corvo e Agrone in un piviere." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aiace Telamonio.\n### Descrizione: Aiace (in greco antico: Αἴας?, Áiās) è un personaggio della mitologia greca. È uno dei protagonisti dell'Iliade di Omero e del Ciclo epico, cioè quel gruppo di poemi che narrano le vicende della Guerra di Troia e quelle collegate a questo conflitto.\nPer distinguerlo dal suo omonimo Aiace d'Oileo, viene chiamato con il patronimico 'Telamonio' (ovvero figlio di Telamone) o anche 'Aiace il Maggiore'.\n\nGenealogia.\nFiglio di Telamone e di Peribea, sposò Tecmessa che lo rese padre di Eurisace.\n\nMito.\nIl ritratto.\nNell'Iliade, Aiace viene descritto come il più alto tra gli achei, dotato di una robusta corporatura, secondo solo al cugino Achille quanto a forza negli scontri; è giudicato un autentico pilastro dell'esercito greco. Si racconta che poco prima della nascita dell'eroe, Eracle, grande amico del padre di Aiace, lo aveva trovato a Salamina a banchettare con i suoi amici. All'eroe fu subito offerta tra le mani una coppa aurea di vino e l'amico lo invitò a libare a suo padre Zeus. Eracle, che aveva visto che la madre del piccolo, Peribea, era sul punto di partorire, dopo aver libato tese le braccia al cielo e pregò così il padre: «O Padre, concedi a Telamone uno splendido figlio, con la pelle dura come quella del leone ed equivalente coraggio!».\nÈ stato educato dal centauro Chirone, che era stato istitutore anche del padre Telamone, di Peleo, padre di Achille, e di Achille stesso. Dopo il cugino, Aiace era il più valoroso guerriero dell'esercito guidato da Agamennone, sebbene non fosse dotato della stessa sagacia di Nestore, Idomeneo e, naturalmente, Odisseo.\nSi poneva alla testa dei suoi soldati, portando un largo scudo di bronzo ricoperto con sette strati di pelle di bue. Uscì indenne da tutte le battaglie descritte dall'Iliade ed è l'unico tra i protagonisti del poema a non ricorrere mai all'aiuto di uno degli dei schierati al fianco delle parti in lotta. È l'incarnazione stessa delle virtù della costanza negli impegni e della perseveranza.\n\nNella Guerra di Troia.\nNell'Iliade, Aiace compie molte imprese valorose. Nel quarto libro colpisce con la lancia il giovane guerriero troiano Simoesio, causandone la morte. Quindi dimostra il suo coraggio nei duelli contro Ettore. Nel settimo libro, Aiace viene sorteggiato per scontrarsi con Ettore e disputa così un duello che si protrae quasi per un giorno intero. All'inizio sembra riuscire a vincere e riesce a ferire Ettore con la sua lancia e a gettarlo a terra, colpendolo con una grossa pietra, ma poi Ettore si riprende e il combattimento continua finché gli araldi, su ordine di Zeus, stabiliscono che lo scontro è pari: i due uomini si scambiano doni in segno di rispetto.\nIl secondo duello tra Aiace ed Ettore si verifica quando il troiano entra violentemente nell'accampamento acheo e affronta i greci in mezzo alle loro navi. Aiace scaglia contro Ettore un grosso sasso, che per poco non lo uccide. Nel XV libro, Apollo cura Ettore e gli restituisce le forze. Così, questi torna all'attacco. Aiace riesce intanto a tenere lontano l'esercito troiano praticamente da solo. Nel libro successivo, Ettore disarma Aiace, sebbene non lo abbia ferito, e questi è costretto a ritirarsi, mentre i troiani incendiano una delle navi. Aiace, però, prima che Ettore gli mozzasse di netto la punta dell'asta e prima che l'incendio divampasse sulla nave di Protesilao, reagì all'atto di appiccare il fuoco alle sue navi, uccidendo molti guerrieri nemici, tra i quali il signore della Frigia, Forci, alleatosi coi troiani.\nA causa del suo litigio con Agamennone, Achille non partecipa a questi scontri. Nel IX libro, Agamennone e gli altri capi achei inviano Aiace, Odisseo e Fenice nella tenda di Achille per convincerlo a tornare in battaglia. Sebbene Aiace faccia del suo meglio, la missione fallisce. Durante l'assalto troiano alle navi greche, Patroclo (che aveva tentato di impersonarlo per dare coraggio ai greci), viene ucciso da Ettore, che cerca di prenderne il cadavere e di darlo in pasto ai cani. Aiace, insieme a Menelao, lotta duramente per impedirglielo e alla fine riporta indietro il corpo con un carro all'accampamento e lo consegna ad Achille, che, furioso di dolore, deciderà di tornare a combattere. Il suo ritorno darà una grossa svolta alla guerra.\n\nMorte.\nAiace Telamonio si preparò a contrattaccare i Troiani, allorché questi ultimi, guidati dalla regina Pentesilea e dalle Amazzoni, avanzarono sul campo di battaglia riempiendo la pianura di cadaveri. Sfiorato da un dardo di Pentesilea, che gli aveva appena scalfito l'elmo, l'eroe rinunciò a scontrarsi con la donna, giudicando una preda così facile degna del cugino. Achille, dopo aver ucciso Ettore in duello per vendicare Patroclo, in seguito cadrà ucciso per mano di Paride: Aiace e Odisseo combattono contro i troiani per strappare loro il corpo dell'eroe caduto. Aiace, roteando la sua immensa ascia, si occupa di tenere lontani i troiani, mentre Odisseo carica Achille sul suo carro e lo porta via.\nDurante questa battaglia, Aiace compie sanguinosi prodigi massacrando Glauco, figlio di Ippoloco e sovrano licio, e ferendo Enea e Paride gravemente. Dopo la cerimonia funebre, entrambi gli eroi reclamano il diritto di tenere per sé le armi di Achille come riconoscimento del loro valore: alla fine, dopo alcune discussioni, è Odisseo a spuntarla e Aiace, accecato dal dolore, decide di vendicarsi dei responsabili del verdetto la sera stessa.\nAl suo risveglio, impazzito a causa di un incantesimo lanciatogli da Atena, si lancia contro un gregge di pecore e le massacra, credendo di uccidere gli Atridi, ovvero Agamennone e Menelao.\nRientrato in sé, si vede coperto di sangue e capisce che cosa abbia in realtà fatto: perduto in questo modo l'onore, preferisce suicidarsi piuttosto che continuare a vivere nella vergogna. Si lancia sulla spada che Ettore gli aveva donato alla conclusione del loro duello. Dal terreno intriso del suo sangue spunta un fiore (come era accaduto anche al momento della morte di Giacinto), il Delphinium ajacis, che porta sulle sue foglie le lettere Ai, che rappresentavano sia le iniziali del suo nome che il dolore del mondo per la sua perdita. Le sue ceneri vennero deposte sul promontorio Reteo, all'ingresso dell'Ellesponto.\nQuesto racconto della morte di Aiace si trova nella tragedia Aiace, scritta da Sofocle, nelle Nemee di Pindaro, ne Le Metamorfosi di Ovidio e nella tragedia Ajace di Foscolo in cui l'eroe incarna l'ideale di ribellione nei confronti del tiranno, mentre Omero, nell'Odissea, si mantiene sul vago, riferendo soltanto che la sua morte avvenne a causa della disputa per le armi di Achille: durante il suo viaggio nell'Ade, Odisseo incontrerà l'ombra di Aiace e lo pregherà di parlargli, ma Aiace, ancora risentito nei suoi confronti, rifiuterà e ritornerà silente nell'Erebo; una seconda ipotesi afferma che, come era successo con Achille, Aiace nell'Ade abbia cambiato la sua natura: da guerriero a uomo semplice, quindi Aiace potrebbe aver perdonato Odisseo, ma, non avendo bevuto il sangue necessario alle ombre dell'Ade per parlare (vedi Tiresia), non parlò. Ma quello che Aiace e Odisseo non sanno è che le armi di Achille, che ormai Odisseo non possiede più, sono state portate sulla tomba di Aiace mentre i due parlano nell'Ade.\n\nLa famiglia.\nAiace era figlio di Telamone, che a sua volta era figlio di Eaco e nipote di Zeus e della sua prima moglie, Peribea. Era anche cugino di Achille, il più forte e famoso degli eroi greci, e fratellastro di Teucro. Sua moglie fu Tecmessa, una concubina frigia. Molti ateniesi illustri, tra i quali Cimone, Milziade, Alcibiade e lo storico Tucidide sostennero di essere discendenti di Aiace. Anche in Italia il culto di Aiace quale mitico avo di varie famiglie era diffuso. Lo studioso Maggiani ha recentemente mostrato come su una tomba etrusca dedicata a Racvi Satlnei a Bologna (V secolo a.C.) vi sia riportata l'espressione 'aivastelmunsl = della stirpe di Aiace Telamonio', insieme ad una raffigurazione del suicidio di Aiace, come insegna araldica della famiglia etrusca Satlna.\n\nApprofondimenti.\nIl palazzo di Aiace.\nNel 2001, l'archeologo Yannos Lolos cominciò degli scavi nelle rovine di un antico palazzo miceneo, sull'isola di Salamina, che si pensa sia potuto essere la reggia di Aiace. Le rovine sono state portate alla luce nei pressi del villaggio di Kanakia di Salamina, a pochi chilometri al largo di Atene. La struttura copre un'area di 750 m² ed è composta da una trentina di stanze. Pare essere stata abbandonata all'incirca all'epoca della Guerra di Troia ed Il luogo in cui sorge coincide con quello già noto al geografo Strabone, molto più tardo.\n\nVittime di Aiace Telamonio.\nDurante la guerra, Aiace uccise molti guerrieri tra i quali:.\n\nAcamante, l'anziano condottiero trace (Omero, Iliade, libro VI, vv. 5 ss.).\nAganippo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 230).\nAgelao, guerriero troiano, figlio di Meone. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 229).\nAgestrato, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 230).\nAnfio, un valoroso e ricco possidente di terre, che il Fato condusse come alleato a Priamo. (Omero, Iliade, libro V, v. 612).\nArcheloco, un capitano Dardano residente nello stesso gruppo di Enea e Acamante. Era figlio di Antenore. (Omero, Iliade, libro XIV, versi 465 e seguenti.).\nCaletore, figlio di Clizio, uno degli anziani di Troia e figlio di Laomedonte. (Omero, Iliade, libro XV, v. 419).\nDeioco, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529 ss.).\nDoricle, figlio di Priamo. (Omero, Iliade, libro XI, v. 489).\nEnieo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529 ss.).\nEpicle, un compagno di Sarpedone, il re di Licia. (Omero, Iliade, libro XII, v. 379.).\nErimante, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 231).\nEurinomo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529).\nForci, signore della Frigia. (Omero, Iliade, libro XVII, vv. 312 ss.).\nGlauco, il giovane capo licio, ricordato per aver scambiato l'armatura con Diomede. (Pseudo-Apollodoro, Epitome, libro III, 34 ss.).\nIppotoo, capitano dei Pelasgi. (Omero, Iliade, libro XVII, vv. 288 ss.).\nIllo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro I, vv. 529).\nIrtio, capitano dei Misi e figlio di Girtio. (Omero, Iliade, libro XIV, vv. 511 ss.).\nLaodamante, capitano troiano, figlio di Antenore. (Omero, Iliade, libro XV, v. 516).\nLisandro, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 491).\nNesso, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 231).\nOcitoo, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 230).\nPandoco, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 490).\nPilarte, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 491).\nPiraso, guerriero troiano. (Omero, Iliade, libro XI, v. 491).\nSimoesio, giovane guerriero troiano, figlio di Antemione. (Omero, Iliade, libro IV, v. 473).\nTestore, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 229).\nZoro, guerriero troiano. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro III, v. 231).\n\nNella cultura moderna.\nAiace Telamonio è raffigurato sul simbolo della squadra di calcio dell'Ajax Amsterdam, squadra che trae il nome proprio da Aiace.\nIl suo nome verrà anche ripreso da un personaggio nel film I guerrieri della notte.\nNel kolossal hollywoodiano Troy, del 2004, Aiace Telamonio è interpretato dall'attore e wrestler Tyler Mane.\nNel videogioco Age of Mythology è presente l'eroe greco Aiace.\nÈ il protagonista dell'omonima canzone di Roberto Vecchioni.\nAIACE è il soprannome dato al treno diagnostico di Rete Ferroviaria Italiana ETR 500 Y1.\nIl soprannome AIACE è stato poi ripreso, con l'aggiunta della marcatura '2.0' anche per il treno diagnostico ETR 500 D2 destinato a sostituire il precedente ETR 500 Y1." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aiace d’Oileo.\n### Descrizione: Aiace (in greco antico: Αἴας?, Àias), detto Aiace d’Oileo o Aiace di Locride, per distinguerlo dal suo omonimo Aiace Telamonio, è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe della Locride che partecipò alla guerra di Troia.\n\nEra famoso in tutta la Grecia per le abilità nel tiro con l'arco e nella corsa ma anche per la sua rozzezza ed arroganza.\n\nGenealogia.\nFiglio di Oileo e di Eriope (figlia di Fere e detta anche Alcimache) o della ninfa Rene.\n\nIl mito.\nSecondo Strabone, la sua città natale era Narice, nella Locride, come conferma anche Ovidio, definendo Aiace come 'l'eroe di Narice'. Prima dello scoppio della guerra di Troia, era stato uno dei numerosi pretendenti di Elena. Era famoso in tutta la Grecia per la grande abilità nel tiro con l'arco e nel lancio del giavellotto. Suo padre Oileo era famoso per essere stato uno degli Argonauti. Non conosciamo molto della sua vita nel periodo anteriore alla guerra di Troia.\nHa un fratellastro, Medonte, che cadrà a Troia durante la battaglia presso le navi degli Achei mentre cerca di difendere la nave di Protesilao che era stata messa a fuoco da Ettore.\n\nA Troia.\nAiace si mise alla testa del suo esercito durante la spedizione contro la città di Troia, conducendo un contingente alleato composto da quaranta navi, o, secondo un'altra versione, da venti. In battaglia si distinse per la sua crudeltà efferata e per la sua totale mancanza di pietà nei confronti del nemico: con la sua spada troncò la testa al cadavere di Imbrio, guerriero troiano ucciso da Teucro, lanciandola poi contro gli avversari come se fosse una palla per dimostrare agli altri troiani il suo totale disprezzo. Sempre con estrema ferocia uccise Satnio e Cleobulo, altri combattenti avversari, e fece strage di nemici in fuga dopo che il re beota Peneleo, suo amico, ebbe trucidato Ilioneo, altro guerriero troiano, di cui egli aveva poi issato la testa in cima alla sua lancia.\nDurante la difesa delle navi, incalzate dai Troiani, Aiace Oileo si distingue dagli altri Achei insieme al suo omonimo Aiace Telamonio, riuscendo a fare una barriera a difesa delle navi. Quando Aiace Telamonio viene ferito lui rimane l'unico eroe acheo che tiene testa ai Troiani. Fino al rientro di Achille fu certamente il più valoroso degli eroi greci che difendevano le navi. Durante la battaglia vengono anche indicate le innumerevoli empietà che Aiace commette sterminando i Troiani, tra cui lo scempio del soldato che ferisce Idomeneo durante il combattimento sul fianco sinistro degli achei.\nAtena decise di punirlo per la sua tracotanza: durante i giochi funebri in onore dell'eroe Patroclo, Aiace scivolò sul letame e la corsa fu vinta da Ulisse (Iliade, libro XXIII).Spregiatore degli dei, durante la notte della presa di Troia non esitò a violentare la profetessa Cassandra nei pressi dell'altare di Atena. La stessa Cassandra cercò anche di resistere aggrappandosi al simulacro della vergine Pallade Atena, ma con violenza Aiace trascinò via la ragazza facendo cadere anche la statua. Per questo motivo, Atena punì tutti i combattenti greci rendendo loro difficile il ritorno in patria.\n\nNostos e morte.\nSecondo l'Odissea (libro IV), infatti, Aiace fu vittima di una tempesta sul tragitto verso casa, e la sua nave affondò. Poseidone ebbe pietà di lui e lo salvò, facendolo naufragare su un isolotto. Tuttavia l'eroe, ancora preda della propria arroganza, si convinse di essersi salvato con le sole sue forze e gridò, sfidando gli dei a cercare di ucciderlo; irato, Poseidone fece affondare lo scoglio dove l'aveva lasciato e lo fece annegare.\nSecondo un'altra versione, riportata da Virgilio nell'Eneide, Aiace fu ucciso da una folgore scagliata dalla dea Atena, come vendetta della violazione compiuta nel suo tempio a Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aicmagora.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aicmagora (in greco antico: Αἰχμαγόρας) era il nome di uno dei figli di Eracle e di Figalea figlia di Alcimedonte.\n\nIl mito.\nDurante la sua vita Eracle, figlio di Zeus e suo favorito, ebbe diverse donne e innumerevoli figli che in seguito formeranno molte città dando in questo modo una sorta di origine divina ai vari popoli.\nAlcimedonte, come spesso accade nel racconto dei miti, era contrario all'unione di sua figlia con l'eroe greco, perché desiderava che rimanesse pura. Fece quindi esporre Fialo e il figlio ancora in fasce Aicmagora su una irta montagna.\nIn tal frangente fu il rumore di una ghiandaia o il pianto dello stesso Aicmagora a richiamare l'attenzione di Eracle, egli velocemente riuscì a rintracciarli e a metterli in salvo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aite.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aite era il nome di uno dei cavalli di Agamennone; l'altro si chiamava Podargo.\n\nIl mito.\nEchepolo aveva donato i due cavalli ad Agamennone, grande re della Grecia, come risarcimento per non averlo potuto seguire nella sua spedizione bellica a Troia. Aite era il cavallo femmina della coppia, aveva una bella criniera ed era veloce nella corsa. I cavalli parteciparono ai giochi funebri tenuti per onorare la morte di Patroclo, grande amico dell'invincibile Achille. Durante la corsa, guidata dal fratello del proprietario, Menelao, Aite per poco non riuscì a superare Antiloco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Akheilos.\n### Descrizione: Akheilos era un demone marino della mitologia greca. Era un ibrido tra un umano e uno squalo.\n\nIl mito.\nAkheilos era un semidio, figlio di Zeus e Lamia.\nAveva un aspetto bellissimo, e si vantava di essere più bello di Afrodite. Quest'ultima per punirlo della sua vanità lo trasformò in un demone marino a forma di squalo, costringendolo ad essere brutto per l'eternità." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alalcomeneo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Alalcomeneo (in lingua greca: Ἀλαλκομενεύς) era il nome di uno degli eroi greci fondatore della città di Alalcomene in Beozia.\n\nEtimologia.\nIl nome deriva dal verbo greco ajlalkei'n, 'respingere un pericolo, un nemico'.\n\nIl mito.\nAlalcomeneo oltre ad essere il fondatore di tale città compiva anche ruoli religiosi per il culto di Atena.\nSecondo un racconto dei miti fu lui l'inventore delle ierogamie, culti cerimonie religiose dove venivano celebrate le nozze fra Zeus ed Era sua moglie; Era stessa chiese consiglio ad Alalcomeneo, stanca dei continui tradimenti del marito e l'uomo le propose di farsi rappresentare da una statua di legno. Tale culto, celebrato all'epoca ogni anno doveva rinforzare chi avesse giurato fedeltà eterna.\nAlalcomeneo è considerato il primo uomo della Terra, nato prima della Luna." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alastore (divinità).\n### Descrizione: Alastore (in greco antico: Ἀλάστωρ?, Alàstor) è una figura della mitologia greca e corrisponde alla personificazione della vendetta e delle lotte familiari ed è stato associato anche con i peccati che si tramandano dal padre al figlio.\nCome un genio o uno spirito della casata nella mitologia romana, ha spesso incitato le persone ad uccidere o a compiere altri peccati.\nIn origine era un mortale, figlio di Neleo il re di Pilo, fu poi abbassato di grado a demone minore dopo che Eracle uccise lui e i suoi fratelli.\n\nInfluenza culturale.\nAlastor è il nome del cavallo di Filippo II di Macedonia, il grande condottiero padre di Alessandro Magno. Celeberrimo per la sua bellezza, indomabilità e velocità, il cavallo venne chiamato così proprio a causa delle sue caratteristiche che ricordavano quelle del temuto spirito della mitologia classica.\nNella demonologia cristiana, Alastor diventa il capo esecutore del re dell'inferno. È citato nel Dizionario infernale di Jacques Collin de Plancy." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,### Titolo: Alcimo (padre di Mentore).\n### Descrizione: Alcimo (in greco antico Ἄλκιμος) era un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nPadre di Mentore ed amico al quale Ulisse affidò il figlio Telemaco partendo per Troia. +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alcinoo.\n### Descrizione: Alcìnoo (in greco antico Ἀλκίνου, Alkínous, o Ἀλκίνοος, Alkínoos) è un personaggio della mitologia greca, re dei Feaci.\n\nGenealogia.\nFiglio di Nausitoo o di Feace, sposò Arete e divenne padre di Nausicaa e di Laodamante.\n\nMitologia.\nFamoso è il suo immenso giardino, pieno di frutti che maturano in ogni stagione magicamente.\n\nIl viaggio di Ulisse.\nUlisse giunse naufrago sulle coste dell'isola, Nausicaa lo soccorse e lo invitò alla reggia del padre, il quale, una volta apprese le sue disavventure, gli fornì una nave per riprendere il viaggio.\n\nIl viaggio degli argonauti.\nNel viaggio degli Argonauti il paese di Alcinoo è Drepane (identificato con Corcira). Vi giunsero anche Giasone e Medea dove si sposarono e Alcinoo riservò loro una sincera accoglienza.\nDurante il viaggio degli argonauti lo ritroviamo come re di grande saggezza e ospitalità. In seguito Giasone e compagni vennero raggiunti dai soldati del padre di Medea con intenti di vendetta, ma Alcinoo ottenne di porre condizioni affinché la donna si consegnasse a loro, condizione poi non verificata grazie all'amicizia della donna con Arete che riuscì a sapere in anticipo la condizione che il re volle porre.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nIl luogo dove regnava Alcinoo si chiamava Scheria, che secondo gli studi maggiormente accreditati doveva trattarsi dell'antica Corcira, ora chiamata Corfù; tale teoria troverebbe conferma grazie a Tucidide, storico dell'epoca, che collocava i Feaci in quell'isola. Altre ipotesi prevedono invece che l'isola fosse l'odierna Ischia o l'Istria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alcioneo (figlio di Diomo).\n### Descrizione: Alcioneo (in greco antico: Ἀλκυονεύς?, Alkyonéus) è un personaggio della mitologia greca, figlio unico di Diomo e di Meganira.\nIl ragazzo possedeva la bellezza sia in apparenza che nella natura del suo carattere ed abitava nell'antica città di Krisa.\n\nMitologia.\nGli abitanti di Delfi chiesero all'oracolo di Apollo che cosa dovessero fare per proteggersi dalla minaccia del drago Sibari la quale da tempo terrorizzava la regione, e il dio rispose che sarebbero stati liberati da questa minaccia solo se avessero scelto un giovane della loro città per consegnarlo nella grotta del mostro. E così fecero.\nAlcioneo fu estratto a sorte e i sacerdoti lo incoronarono prima di portarlo alla grotta del mostro. Per il fato, un giovane di nome Euribaro, figlio di Eufemo, incontrò la processione lungo la strada verso la grotta e vedendo Alcioneo vestito ed incoronato per il sacrificio se ne innamorò chiedendo dove stessero andando e, quando apprese lo scopo di quel viaggio, tolse la corona dalla testa di Alcioneo per mettersela sulla sua testa ed offrendosi in sostituzione.\nDopo essere entrato nella caverna, aggredì la belva e, tirandola fuori dalle rocce, corse infine fuori da essa, ma la belva lo colpì liberandosi e fuggendo e da quel luogo; ne fuoriuscì una fontana, che gli abitanti del luogo chiamarono Sibari." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alcone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Alcone (dal greco Ἄλκων), era un eroe ateniese e abilissimo arciere.\n\nIl mito.\nAlcone, figlio di Eretteo e padre di Falero, un giorno si ritrovò davanti ad un gigantesco serpente che stava attaccando suo figlio. Lo aveva stretto nelle spire e stava per ucciderlo quando Alcone preso il suo arco scagliò tante frecce che colpirono tutte solo l'animale senza neppure scalfire suo figlio.\nÈ ritenuto uno dei compagni di Eracle.\n\nPareri secondari.\nSecondo altre fonti con il nome di Alcone si trovano due distinte figure mitologiche, ma ad ognuna di esse è correlato lo stesso aneddoto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alectrione.\n### Descrizione: Alectrione (Ἂλεκτρυών) è il termine con cui in greco antico si indicava il gallo.\nSecondo la mitologia greca Alectrione era un giovane che venne incaricato da Ares di fare la guardia fuori dalla porta della stanza, mentre il dio si concedeva un illecito incontro amoroso con Afrodite. Il giovane però finì per addormentarsi ed Helios, il sole, sorprese la coppia di amanti. Ares, adirato per l'accaduto, trasformò Alectrione in un gallo, animale che da allora non dimentica mai di segnalare al mattino l'arrivo del sole." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aleno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aleno (in latino Alaenus) era uno dei fratelli di Diomede.\n\nIl mito.\nQuando suo fratello Diomede approdò e si impossessò di alcuni territori della Daunia, si scontrò con il re di quella regione Dauno figlio di Licaone. Essendo ambedue provenienti dall'Arcadia Aleno venne chiamato a far da giudice e ad esprimere il suo giudizio. Aleno, che era innamorato della figlia di Dauno Euippa, a sorpresa diede torto al fratello.\nDiomede, infuriato con il parente, maledisse lui e la regione che governava." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aleso (mitologia greca).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aleso (in latino Haelesus oppure Halesus) è compagno d'armi e figlio di Agamennone, nato da Briseide o Clitemnestra.\n\nIl mito.\nAgamennone fuori dal matrimonio ebbe numerose amanti e figli, fra cui tale Aleso.\nClitennestra ed Egisto organizzarono una strage nel palazzo dove il ragazzo risiedeva appena Agamennone ritornò dalla lunga guerra di Troia ma Aleso fu uno dei pochi a scampare alla morte.\nFuggito, si recò in Italia dove fondò la città di Falerii; partecipò alla guerra di Enea e dei Latini contro i Rutuli condotti da Turno alleandosi con quest'ultimo, non tanto per amicizia nei suoi confronti, quanto perché nemico di Enea. Durante lo scontro uccise diversi guerrieri nemici (Ladone, Ferete e Demodoco; Toante colpito da un masso al volto e per finire Strimonio) venendo poi ucciso da Pallante, che intendeva vendicare tutti i compagni uccisi; quando Pallante scagliò l'asta contro uno dei Latini, Aleso gli fece scudo parandoglisi davanti, e fu così che venne colpito dalla lancia del nemico in pieno petto.\n\nPareri secondari.\nAleso fu anche il nome di uno dei lapiti, famosi per la loro guerra contro i centauri." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alessandro di Abonutico.\n### Descrizione: Alessandro di Abonutico (in greco antico: Αλέξανδρος?, Aléxandros; Abonutico, 105 – 170) è stato un mistico e profeta greco antico.\n\nBiografia.\nAlessandro, partito da umili inizi, arrivò ad essere titolare di un oracolo e ricchissimo, oltre che il fondatore del culto di Glicone, che raggiunse in breve vasta popolarità nel mondo romano. Lo scrittore suo contemporaneo Luciano di Samosata, che gli dedica un velenoso pamphlet intitolato Alessandro o il falso profeta, affermò, in realtà, che tutto fosse una frode, in quanto il dio Glicone era stato presumibilmente costruito a partire da un burattino.\nLa narrazione assai vivida della sua carriera data da Luciano potrebbe essere presa come fittizia, ma è, in realtà, confermata da alcune monete degli imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio e da una statua di Alessandro, che, come detto da Atenagora di Atene, era situata nel foro di Pario.\nLuciano lo descrive come responsabile di aver truffato molte persone e impegnato, attraverso i suoi seguaci, in varie forme di ricatto e proselitismo a fini di lucro: tuttavia, è possibile che l'acredine del Samosatense dovesse essere dovuta all'odio di Alessandro verso gli epicurei, che Luciano aveva ammirato. Se Alessandro era il maestro di frodi e inganno come risulta dal ritratto di Luciano, comunque, non può essere stato troppo diverso da altri oracoli dell'epoca, quando una grande massa di sfruttamenti lucrosi era attuata da alcuni santuari." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alessandro di Mindo.\n### Descrizione: Alessandro di Mindo (in greco antico: Ἀλέξανδρος?, Aléxandros; Mindo, ... – ...; fl. I secolo) è stato uno scrittore greco antico di zoologia di epoca incerta.\nLe sue opere, oggi perdute, dovevano essere considerate di grande valore dagli antichi, che le citano con frequenza. Diogene Laerzio dice che un certo 'Alessone di Mindo' sia l'autore di un lavoro sui miti, di cui egli cita il nono libro. Essendo questo autore sconosciuto, però, si ritiene che si possa identificare con Alessandro di Mindo.\nI titoli delle sue opere sono:.\n\nΚτηνῶν Ἱστορία (o Περὶ Ζώων), di cui Ateneo cita un lungo frammento appartenente al secondo libro;.\nUn'opera sugli uccelli (Περὶ Πτηνῶν), di cui Ateneo cita il secondo libro.\n\nEdizioni.\n(DE, GRC) Felix Jacoby, 25, in Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlino, Weidmann, 1923-1958." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alete (figlio di Ippote).\n### Descrizione: Alete (in greco antico: Ἁλήτης?, Alḗtēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ippote e discendente di Eracle. Essendo nato durante le migrazioni, fu chiamato l'errante, che è il significato del suo nome.\n\nMitologia.\nSecondo Pausania, era figlio di Ippote, figlio di Filante, figlio di Antioco, figlio di Eracle. Volendo conquistare Corinto, decise di consultare l'oracolo di Dodona. Questi gli assicurò la vittoria a patto che si verificassero due condizioni, la prima era l'attesa del giorno in cui qualcuno gli avesse donato una zolla di terra corinzia e l'altra doveva corrispondere al giorno in cui nella città fossero portate delle corone.\nEntrambe si verificarono, la prima quando per spregio invece di pane come aveva richiesto, ottenne una piccola zolla di terra da un corinzio e la seconda grazie alla figlia del re Creonte che si era innamorata di lui e gli apri le porte del palazzo per farlo entrare.\nDivenne quindi re, espulse i discendenti di Sisifo trent'anni dopo la prima invasione del Peloponneso da parte degli Eraclidi e mosse guerra ad Atene, ma fu sconfitto dal re Codro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alettrione.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Alettrione era il nome di uno degli eroi dell'antica Grecia, fedele soldato di Ares.\n\nIl mito.\nIl dio della guerra Ares, soleva incontrare Afrodite sposa di Efesto di nascosto. Per essere avvertito in caso che il sole sorgesse e preso dalla passione non ci facesse caso, portava con sé Alettrione, suo soldato, che doveva avvertirlo ogni volta della fine della notte.\n\nLa morte.\nDurante una delle tante notti di guardia Alettrione si sopì in un sonno profondo ed Efesto, la divinità delle invenzioni, sorprese i due amanti. Per punizione Ares trasformò il suo sottoposto in un gallo, animale condannato a cantare sempre quando il sole appare in cielo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alevadi.\n### Descrizione: Gli Alevadi (in greco antico: Ἀλευάδαι?) sono stati una famiglia aristocratica della Tessaglia originaria di Larissa, discendente da Aleva, che fu un tago. Furono sue avversarie le famiglie degli Scopadi, originaria di Crannon, e degli Echecratidi, della città di Farsala.\n\nStoria.\nNel XII secolo a.C., la Tessaglia era invasa dalle tribù doriche che da nord e nord-ovest migravano verso il sud, ma furono i tessali di Tesprozia che conquistarono la regione. I Tesprozi, che con i Molossi erano una delle principali tribù dell'Epiro, ridussero la popolazione indigena allo stato di servitù. Alcune famiglie nobiliari, tra cui quella degli Alevadi, si installarono in ogni zona. Gli Alevadi erano fra le più nobili e potenti famiglie della Tessaglia. Il loro capostipite, Aleva soprannominato 'il Rosso' per i suoi capelli rossi, fu detto re, e discendeva dagli Eraclidi per mezzo di un antenato comune, Tessalo. Gli Alevadi non furono mai riluttanti ad essere mercenari dei persiani o a mantenere rapporti con Atene; furono gli Alevadi ad aprire le porte della Tessaglia a Serse, e coloro i quali agirono in modo tale che Aminta III facesse guerra e rovesciasse Alessandro di Fere. Nel V secolo a.C., re Archelao I di Macedonia sostenne la famiglia degli Alevadi a Larissa.\nAleva non ha svolto alcun ruolo nella sua dinastia al di fuori della venerazione da parte della sua parentela in un santuario sconosciuto in Tessaglia, ma Claudio Eliano registrò il mito di come divenne un veggente divinamente ispirato, a seguito di un regalo ricevuto da un serpente: mentre pascolava le pecore sulle pendici del Monte Ossa, un serpente si innamorò di lui, baciò i suoi capelli, gli leccò il viso e gli portò dei doni. Secondo la Biblioteca, una nidiata di serpenti, grata per il fatto che egli aveva eretto un rogo per la loro madre-serpente, purificarono le sue orecchie con le loro lingue, in modo tale che egli potesse comprendere il linguaggio degli uccelli, e interpretare il loro volo in auspicia. Erodoto chiamò i suoi membri come 're' (in greco antico: βασιλεῖς?).\n\nEvocazioni storiche.\nLa prima ode di Pindaro, la X Pitica, celebra la vittoria dell'Alevade Ippocle nella corsa del doppio stadio.\nAristippo di Larissa è descritto da Platone come un membro importante della famiglia nel suo dialogo Menone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alexiare.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Alexiare , Alessiare o Alessariete (in greco antico: Ἀλεξιάρης) era il nome di uno dei figli di Eracle e di Ebe.\n\nIl mito.\nEracle, il famoso eroe figlio di Zeus che compì le dodici fatiche, appena raggiunse suo padre e tutti gli dei dell'Olimpo, sposò la bella Ebe, coppiera degli dei e dea della giovinezza, che appunto lo fece ringiovanire.\nDalla loro unione nacquero due figli, uno dei quali si chiamava appunto Alexiare e l'altro Aniceto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Algos.\n### Descrizione: Algos (Ἄλγεα) è, secondo la mitologia greca, il dio del dolore. Nasce, come racconta Esiodo (VIII-VII a.C.) nella sua 'Teogonia', da Eris (divinità della discordia) figlia di Zeus ed Era (secondo Omero) oppure, secondo altre fonti, figlia di Era e di un fiore da lei toccato, o ancora figlia, secondo Esiodo stesso, della Notte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aliacmone (divinità).\n### Descrizione: Aliacmone (o Aliacmon, in greco antico: Ἁλιάκμων) nella mitologia greca era figlio di Oceano e Teti. Era una divinità minore fluviale, dell'eponimo fiume Aliacmone (di suo dominio), nella Macedonia. In altre tradizioni mitologiche egli era figlio di Palestino e nipote di Poseidone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aliarto (mitologia).\n### Descrizione: Aliarto (in greco antico: Ἁλίαρτος?, Halìartos) è una figura della mitologia greca, figlio di Tersandro re di Beozia, nipote di Sisifo e fratello di Corono.\n\nMitologia.\nFu adottato dallo zio Atamante assieme al fratello Corono in quanto Atamante non sapeva se tra i suoi figli fossero sopravvissuti degli eredi e così scelse di lasciare il proprio regno ai due fratelli adottivi.\nIn seguito quando Presbone (il figlio di Frisso e nipote di Atamante) ritornò dalla Colchide, Aliarto e il fratello gli cedettero la corona decisero di fondare due città in un altro posto.\nQuella fondata da Aliarto si chiamò Aliarto mentre quella del fratello Coronea.\n\nPareri minori.\nSecondo altri autori minori Aliarto non aveva un fratello ma una sorella chiamata Coronea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alico.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Alico era il nome di uno degli eroi dell'antica Grecia, per la precisione della città di Megara.\nI Dioscuri, Castore e Polluce, avevano una sorella, Elena, che fu rapita. Alico porse il suo aiuto ai fratelli ed insieme riuscirono a liberarla.\nDurante uno scontro con Teseo, Alico ebbe la peggio e finì ucciso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alirrozio.\n### Descrizione: Alirrozio (in greco antico: Ἁλιρρόθιος?, Alirrhóthios) è una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Eurite.\n\nMitologia.\nAlirrozio è protagonista di due differenti leggende contrastanti:.\n\nNella prima tentò di abusare Alcippe, figlia di Ares ed il dio lo uccise. Poseidone pretese quindi un giudizio da parte del tribunale degli dèi sull'accaduto, ma questi diedero unanimemente ragione al dio della guerra. Questo avvenimento avvenne sotto il regno di Cranao ed il luogo in cui fu pronunziato questo giudizio prese il nome di Areopago, da Ares e pagos, borgo.\nNel secondo mito è geloso di Atena in quanto lei aveva ottenuto l'Attica e che a suo parere doveva essere destinata al padre Poseidone, così tentò di tagliare l'ulivo che la dea aveva donato alla regione, ma l'ascia che impugnava gli sfuggì dalle mani decapitandolo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aliseo (figlio di Icario).\n### Descrizione: Aliseo (in greco antico: Ἀλυζεύς?; ... – ...) era figlio di Icario di Sparta e Policasta e fratello di Penelope e Leucadio.\nDopo la morte del padre, regnò, assieme al fratello, sull'Acarnania e si dice avesse fondato la città di Alizia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Alseidi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le alseidi (in greco antico: Ἀλσηΐδες?, Alsēḯdes) sono le ninfe delle radure e dei boschetti, che terrorizzavano i viandanti che attraversavano le loro selve.\n\nEtimologia.\nIl termine deriva dal greco antico Ἀλσηΐδες (Alsêides) che significa 'abitante dei boschi', riferito dunque all'essenza della ninfa. Questa parola deriva dalla forma ἄλσος (álsos) che ha come primo significato 'bosco sacro' e poi, per estensione, qualsiasi luogo sacro o consacrato. Questa etimologia coglie appieno l'idea del sacro e della dimensione divina che i Greci vedevano nella natura.\n\nNel mito.\nLe alseidi apparivano sotto forma di giovani e bellissime ragazze, alle quali nessun uomo poteva resistere. Vi erano, però, alcune ninfe 'buone', come viene raccontato dal mito di Eracle, le quali con filtri magici - composti prevalentemente dalle foglie di alcune piante utili per guarire ferite o traumi, anche psicologici - donavano protezione e passione ai forestieri. Le più famose erano Callisto e la sorella più piccola Antea, legate sentimentalmente ad Artemide, dea della caccia.\n\nNella letteratura.\nTra gli scrittori classici, il primo e forse l'unico poeta a fare riferimento alle alseidi è Omero. Tuttavia, invece di alseide, egli utilizza il termine alsea:Né vi mancò dei Fiumi nessuno, l’Ocèano tranne,.\nné delle Ninfe, ch’ànno soggiorno tra i floridi boschi (ἄλσεα álsea),.\n\nnelle sorgive linfe dei fiumi (πηγαὶ ποταμῶν pēgaí potamôn), nei pascoli erbosi (πίσεα ποιήεντα písea poiēenta).Stavano dentro le stanze frattanto al lavoro le ancelle.\nErano quattro, che tutte compiean le faccende di casa.\nErano [le ninfe] figlie tutte dei boschi (ἄλσεα álsea), dei fonti, dei fiumi (ποταμοί potamoí).\n\nsacri, che verso il mare travolgon la copia dei flutti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Alte.\n### Descrizione: Alte (in greco antico: Ἄλτης) o Altào è un personaggio della mitologia greca, citato nell'Iliade di Omero..\nEra il re dei Lelegi, popolazione dell'Asia Minore da sempre in ottimi rapporti coi Troiani: una delle sue figlie, Laotoe, sposò Priamo, che non volendo divorziare dalla moglie Ecuba aveva istituito la poligamia. Durante la guerra di Troia non poté intervenire personalmente, essendo ormai molto anziano, ma comunque inviò un contingente di uomini in aiuto del genero." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Altis.\n### Descrizione: L'Altis (in greco Ἀλτις), è una valle della Grecia, sulla quale sorgeva un santuario greco dedicato a Zeus, al centro di un bosco centenario, sul cui sito venne costruita Olimpia.\nIl nome deriva da alsos (ἄλσος), che significa « bosco sacro », si trova nel Peloponneso, più precisamente su una piccola piana dell'Elide, sulla riva destra del fiume Alfeo, nei pressi della città di Pyrgos, ai piedi del monte Cronion, a 18 kilometri dal Mar Ionio.\n\nCollegamenti esterni.\n(FR) L'Altis, su musagora.education.fr. URL consultato il 28 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 12 dicembre 2009).\n(EN) L'Altis e il Santuario di Zeus, su library.thinkquest.org. URL consultato il 21 febbraio 2007 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2007)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amabie.\n### Descrizione: Amabie (アマビエ) è una sirena leggendaria giapponese con tre gambe, che presumibilmente emerge dal mare e profetizza un raccolto abbondante o un'epidemia.\nSembra che sia una variante di amabiko (アマビコ, 海彦, 尼彦, 天日子, 天彦, あま彦, anche amahiko), altrimenti nota come amahiko-nyūdo (尼彦入道), e arie (アリエ), che sono rappresentati a somiglianza di scimmie, uccelli o cefalopodi, di solito con tre gambe.\n\nLa leggenda.\nSecondo la leggenda, una amabie apparve nella Provincia di Higo (Prefettura di Kumamoto), alla metà del quarto mese, nell'anno Kōka-3 (metà-maggio 1846) del Periodo Edo. Un oggetto luccicante fu avvistato nel mare quasi tutte le notti. L'ufficiale della città investigò e fu testimone della amabia. Secondo il disegno fatto dall'ufficiale, aveva lunghi capelli, la bocca come un becco di un uccello, era coperta in scaglie dal collo alle tre gambe. Secondo il racconto dell'ufficiale si identificò come amabia e disse che viveva in mare aperto. L'amabia fece una profezia: 'Raccolti buoni continueranno per sei anni dall'anno corrente; se una malattia si diffonde, fate un disegno di me e mostratelo a chi si ammala ed essi saranno curati'. Dopodiché ritornò nel mare. La storia venne stampata su un kawaraban (notiziario in legno, tipico giapponese), dove il suo ritratto fu stampato. La leggenda si diffuse così in Giappone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amaltea (mitologia).\n### Descrizione: Amaltea (in greco antico: Ἀμάλθεια?, Amáltheia, a sua volta da ἀμαλός, amalós ('molle, tenero')) è un personaggio della mitologia greca, conosciuto per essere stato la fonte di nutrimento di Zeus infante sul monte Ida dopo la sua nascita sull'isola di Creta.\n\nEtimologia del nome Amaltheia.\nGli stessi antichi sembrano essere stati incerti sia sull'etimologia del nome che sulla reale natura di Amaltheia. Esichio di Alessandria lo deriva dal verbo amaltheuein che significa nutrire o arricchire; altri dall'aggettivo amalthaktos, cioè sodo o duro; altri ancora da amalê e theia, col significato di capra divina o tenera dea. La derivazione etimologica più comune è quella secondo cui il nome deriverebbe dal verbo amelgein, mungere o succhiare.\n\nGenealogia.\nÈ figlia di un curete (o forse apparteneva ad un curete). Secondo Apollodoro, fu Haimonios, mentre Igino scrive Oleno (ed anche Haimonios) ed infine aggiunge Helios.\nIgino cita anche l'esistenza di due capretti senza però specificarne i nomi.\n\nMitologia.\nSecondo alcune tradizioni Amaltheia era una capra che allattò il piccolo Zeus e che fu poi ricompensata per questo servizio con la collocazione tra le stelle. Secondo un'altra serie di tradizioni Amaltheia era invece una ninfa, figlia di Oceano, Elio, Emonio o del re cretese Melisseo e fu colei che, come una madre adottiva, si occupò del nutrimento dell'infante Zeus per mezzo di uno dei corni spezzati da una capra, che veniva opportunatamente riempito di volta in volta con latte di capra o con miele e frutta, e che fungeva da nutrimento al piccolo dio. Successivamente, quando il dio Zeus divenne il re degli dei, trasferì il corno e la capra fino alle stelle.Secondo altri racconti, Zeus stesso staccò una delle corna della capra Amaltheia, la donò alle figlie di Melisseo e la dotò di poteri tali che, ogni volta che il possessore lo desiderava, si riempiva istantaneamente di qualsiasi cosa desiderasse. Questa è la storia sull'origine del celebre corno di Amaltheia, comunemente chiamato corno dell'abbondanza (o cornucopia), che ha un ruolo molto importante nelle storie della Grecia e che fu usato in tempi successivi come simbolo dell'abbondanza in generale.Diodoro Siculo fornisce un resoconto di Amaltheia che differisce da tutte le altre tradizioni. Secondo lui il re libico Ammone sposò Amaltheia, una fanciulla di straordinaria bellezza, e le donò un tratto di terra molto fertile che aveva la forma di un corno di toro e che ricevette dalla sua regina il nome di corno di Amaltheia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amaraco.\n### Descrizione: Amaraco (in greco antico: Αμάρακος) era, nella mitologia greca, il credenziere di Cinira re di Cipro.\nIncaricato di tener cura dei profumi del re, un giorno mandò in frantumi alcune ampolle che ne contenevano fra i più preziosi. Amaraco ne ebbe tanto rammarico, che ne mori.\nMossi a compassione, gli dei lo trasformarono in una pianta odorifera detta maggiorana." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amazzoni nella cultura di massa.\n### Descrizione: Questa pagina raccoglie i principali riferimenti alle Amazzoni dall'antichità latina all'età contemporanea.\n\nAmazzoni latine.\nIl poeta Virgilio riprende nell'Eneide la tradizione delle Amazzoni per descrivere l'eroina italica Camilla e il suo seguito di donne guerriere, alleate di Turno, che si scontrano con i Troiani guidati da Enea. Dopo un iniziale successo della cavalleria guidata dall'eroina, la morte di Camilla, uccisa da una freccia scagliata da Arunte, disperde le sue schiere, che si ritirano. Solo Acca, la comandante in seconda, resta per riferire a Turno l'esito della battaglia.\n\nAmazzoni del Rinascimento e dell'età moderna.\nI poeti Boiardo nell'Orlando innamorato, e Ariosto, nell'Orlando furioso, traspongono nel ciclo cavalleresco la figura della donna guerriera, della 'vergine indomita' nei personaggi di Bradamante e Marfisa, ma introducono in queste eroine dei sentimenti amorosi, sconosciuti agli autori classici.\nAnche Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata tratteggia la romantica figura di Clorinda, fortissima e bellissima guerriera che combatte con l'esercito mussulmano per difendere Gerusalemme durante la prima crociata. Clorinda si batte valorosamente coperta dall'armatura, tanto da essere scambiata per un uomo, fino a che non è sconfitta e uccisa involontariamente dal principe Tancredi, che si era innamorato di lei. In punto di morte l'eroina fa pace col suo nemico e si converte alla fede cristiana.\nNel Rinascimento si diffonde nella corte estense la cd. sella all'amazzone, una sella da parata riservata alle nobildonne, strutturata in modo che potessero cavalcare, o per meglio dire, stare a cavallo con il busto e l'ampia gonna, con entrambe le gambe sul fianco al cavallo. A parte il fatto di essere riservata alle donne, non vi era altro collegamento di questa scomoda sella con le mitiche amazzoni, in quanto esse erano sempre raffigurate dai greci cavalcare normalmente e senza sella i loro cavalli. Caterina de Medici creò un busto più flessibile e perfezionò la sella da amazzone, per posizionare una gamba in staffa e l'altra più sollevata grazie a uno speciale 'corno' di sostegno, in modo da essere più in asse con il cavallo. In questo modo poteva guidare il cavallo da sola, senza l'aiuto del valletto che teneva la briglia.\nL'uso della sella all'amazzone si diffuse tra le regine e le nobildonne negli altri stati europei, come testimoniano numerosi dipinti. Con gli anni vi furono vari perfezionamenti sia della sella che dell'abito, volti a permettere un sempre maggiore equilibrio e agio della cavallerizza, tanto da permettere a fine ottocento anche di fare corse e salti di ostacoli, pratiche in cui eccelleva l'imperatrice Elisabetta di Baviera. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, l'uso della sella decadde, poiché si era diffusa la bicicletta e la morale dell'epoca ormai riteneva accettabile che le donne portassero i pantaloni. Le donne iniziarono quindi a cavalcare e gareggiare con selle ordinarie. La sella all'amazzone è ormai utilizzata di rado, quasi esclusivamente in occasioni cerimoniali, come la parata Trooping the Colour inglese, presieduta fino al 1986 dalla regina Elisabetta II che cavalcava all'amazzone.\n\nAmazzoni del Sud America.\nNel XVI secolo i primi esploratori spagnoli dell'America meridionale guidati da Francisco de Orellana riferirono di avere incontrato delle donne guerriere che li bersagliarono con frecce e dardi di cerbottana dalle rive del fiume Marañón, che essi chiamarono 'fiume delle Amazzoni'. Nel 1557, al ritorno da un viaggio in Brasile, l'esploratore André Thevet nel saggio Les singularitez de la France antarctique riprese il tema delle donne guerriere incontrate dagli Spagnoli. Le Amazzoni del Sudamerica furono a volte rappresentate con la pelle bianca. Esse praticavano il cannibalismo: attaccavano le tribù confinanti per rapire donne e bambine, uccidendo gli uomini per poi cibarsi dei bambini. Secondo Trevet, esse trattavano crudelmente i prigionieri che catturavano: li appendevano per una gamba al ramo di un albero, li uccidevano trafiggendoli con le frecce e bruciavano i loro corpi. Trevet affermò che ai tre tipi di Amazzoni descritti nell'antichità (Amazzoni di Scizia, d'Asia e di Libia) si venivano ad aggiungere le Amazzoni d'America: in tal modo, ciascun continente aveva le sue Amazzoni. Nel 1655 il governatore André Vidal finanziò una missione, affidata al gesuita padre António Vieira con Joao de Soutomaior, Francisco Veloso e Tomé Ribeiro sotto il comando militare di Bento Rodrigues de Oliverira, che portò loro la novella delle leggi di Dio e del Re del Portogallo. Molte si convertirono e passarono il resto della vita terrena a servire nelle aldeias e nelle reducciones, ma rifiutando contatti con gli uomini, estinguendosi nel giro di una generazione.\n\nLe Amazzoni del Dahomey.\nÈ storicamente accertata l'esistenza di donne guerriere in Africa nel regno del Dahomey tra il XVIII e il XIX secolo. Inizialmente ebbero compiti di guardia al palazzo reale, poi, sotto il re Agadja, cominciarono ad essere usate nei combattimenti. In seguito la loro importanza crebbe fino al punto che arrivarono a costituire un terzo dell'esercito. Le Amazzoni del Dahomey erano alte e fisicamente forti. Indossavano una tunica e un paio di pantaloni all'altezza del ginocchio ed avevano varie armi, tra cui spade corte, pugnali, asce, archi e lance; nell'Ottocento aggiunsero al loro armamento anche i fucili. Oltre a partecipare ai combattimenti, svolgevano anche compiti di boia, effettuando le esecuzioni capitali dei prigionieri mediante la decapitazione.\nGrazie ai racconti di alcuni esploratori, la fama di queste donne guerriere arrivò in Europa e si parlò di loro anche in alcuni romanzi, tra cui Robur il conquistatore di Jules Verne e La Costa d'Avorio di Emilio Salgari. La conquista del Dahomey da parte della Francia avvenuta nel 1882 mise fine all'esistenza di queste amazzoni africane.\n\nLe Amazzoni nell'arte.\nAmazzonomachia.\nAmazzone ferita.\nSarcofago delle Amazzoni.\nMosaico delle Amazzoni a Edessa (Turchia).\nBattaglia delle Amazzoni dipinto di Pieter Paul Rubens (1615 circa).\n\nLe Amazzoni nei film.\nLa disfatta delle Amazzoni (1933).\nTarzan e le amazzoni (1945).\nLa regina delle Amazzoni (1960).\nLe Amazzoni - Donne d'amore e di guerra (1973).\nLe guerriere dal seno nudo (1974).\nCobra Verde (1987).\nWonder Woman (2017).\nThe Woman King (2022).\n\nLe Amazzoni nel genere fantasy.\nAmazon, Le amazzoni del sud, Il volo dell'angelo e Stella di Gondwana, romanzi fantasy di Gianluigi Zuddas.\nAmazzoni dei fumetti dell'Universo DC.\nAmazzoni del manga e anime One Piece.\nAmazzoni del wargame Warhammer Fantasy Battle.\nQuartetto delle Amazzoni, personaggi del cartone animato Sailor Moon.\nNell'anime e manga Capitan Harlock (1ª serie), il nemico è costituito dalle Mazoniane, popolazione aliena del pianeta Mazone, chiara allusione alla mitologia del regno delle donne guerriere.\nLegend of the Amazon Women, videogioco del 1986.\nLoren: The Amazon Princess, videogioco del 2012." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amazzoni.\n### Descrizione: Le Amazzoni (in greco antico: Αμαζόνες?, Amazónes) sono un popolo di donne guerriere della mitologia greca.\n\nEtimologia.\nIl nome in greco αμαζών?, amazṑn è di dubbia etimologia. La maggior parte degli autori classici considerano la α iniziale un'alfa privativa che rende nullo il successivo nome μαζός, versione ionica di μαστός, che vuol dire 'seno': il risultato sarebbe quindi 'senza seno'. L'etimologia è riferibile al costume tradizionale attestato dalle fonti mitografiche secondo cui le Amazzoni si mutilavano la mammella destra allo scopo di tendere meglio l'arco. Da tutti gli autori viene evidenziata la relazione fra la mutilazione/occultamento degli attributi femminili e il miglioramento delle abilità guerresche reputate qualità chiaramente maschili.\n\nLo pseudo-Ippocrate riferisce che alle donne dei Sarmati, tradizionalmente identificate o collegate con le Amazzoni (si veda in seguito), viene bruciata la ghiandola mammaria destra tramite l'applicazione di un disco di rame arroventato. La pratica viene compiuta nella prima infanzia per impedire lo sviluppo del seno e assicurare maggior forza al braccio che tenderà l'arco. Un riferimento ad un costume analogo delle Amazzoni viene attestato da Diodoro Siculo. Lo storico greco accenna alla mutilazione senza fornire dettagli, ma precisando che il suo scopo è quello di rendere più forti le donne guerriere.\nEustazio di Salonicco, ecclesiastico ed erudito bizantino del XII secolo, nel suo commentario all'Iliade cita la pratica della bruciatura del seno nei termini e negli scopi precisati da Ippocrate («ut arcus facilius intendant»), ma riferendola alle Amazzoni del poema omerico. Un riferimento analogo compare anche nell'Eneide di Virgilio il quale descrivendo Pentesilea, una delle loro regine, annota come il seno della donna sia compresso strettamente da una fascia d'oro («aurea subnectens exsertae cingula mammae»). Altre fonti invece considerano la Ἀ iniziale come un rafforzativo, e quindi la traduzione sarebbe 'grande seno'. Questo sarebbe confermato dal fatto che quasi tutte le rappresentazioni di questo popolo mostrano splendide donne con entrambi i seni fiorenti. Altre fonti ancora lo fanno derivare dal caucasico masa, 'luna', e quindi si potrebbe tradurre con 'sacerdotesse della luna'. Un'altra interpretazione fa risalire l'etimologia del nome all'iraniano 'ha-mazan', che significa 'donna guerriero', discostandosi quindi totalmente dal termine greco e dalla pratica dell'amputazione o della bruciatura del seno. La tesi è avvalorata dalla constatazione che non siano mai state ritrovate antiche sculture o pitture di amazzoni prive di una mammella.\n\nNella letteratura e mitologia greca.\nCollocazione.\nSulla base delle fonti classiche, le Amazzoni vivono nella Scizia, presso la palude Meotide o in un'area imprecisata delle montagne del Caucaso da cui sarebbero migrate, successivamente, sulla costa centro-settentrionale dell'Anatolia (o viceversa da questa in Scizia).\nEschilo, nella sua tragedia Prometeo incatenato, sposa l'origine caucasica e accenna alla migrazione quando fa profetizzare, da Prometeo, la sorte di Io. Alla fanciulla - che è stata trasformata in giovenca e che sta disperatamente fuggendo dal castigo di Era - viene rivelato il fatto che la aspetta un lungo viaggio, alla fine del quale raggiungerà il Bosforo, dove sarà liberata, non prima, però, di aver visitato vari luoghi dell'Asia occidentale tra cui i monti del Caucaso e la palude Meotide dove vivono le Amazzoni.\nLe donne guerriere, secondo il titano, migreranno successivamente nell'Anatolia fondando la città di Temiscira presso il fiume Termodonte nella regione del Ponto.\nErodoto le colloca, invece, in Scizia presso il fiume Tanai cercando di coniugare, così come già accennava Esiodo, i vari racconti mitologici degli scontri fra gli eroi greci e le Amazzoni di Temiscira con i resoconti etnografici dell'epoca sui Sarmati, una popolazione nomade di etnia iranica, le cui donne combattevano con gli uomini a cavallo, vestivano come loro e non si sposavano prima di aver ucciso un nemico in battaglia.\nErodoto, contrariamente a Eschilo, fornisce un elaborato racconto della migrazione delle Amazzoni, sconfitte dai Greci, dall'originale sede di Temiscira fino alla palude Meotide ove si sarebbero unite ad un gruppo di giovani uomini Sciti migrando, successivamente, assieme a costoro in una zona imprecisata lungo il corso del fiume Tanai. In quel luogo, i loro figli avrebbero dato origine ad un unico popolo: i Sauromati (Sarmati).\nLa fusione fra le due popolazioni, avrebbe originato, tra i Sarmati, una ginecocrazia ovvero una società matriarcale secondo alcuni autori classici fra cui Plinio il Vecchio.\nStrabone, qualche secolo dopo, nella sua Geografia, colloca ancora il popolo delle Amazzoni in quell'oriente favoloso per l'uomo greco che comprende Scizia, Persia e India, parimenti abitato da popoli reali e fantastici, specificando, però, che le sue fonti sono in disaccordo indicando due regioni distinte.\nSecondo Teofane di Mitilene che avrebbe compiuto, come riferisce Strabone, una spedizione in quei luoghi, le Amazzoni vivrebbero ai confini settentrionali dell'Albania caucasica in quanto separate dal fiume Mermadalis dalle terre degli Sciti e di altre popolazioni nomadi del Caucaso.\nSecondo altre due fonti di Strabone, gli storici Ipsicrate e Metrodoro di Scepsi, le Amazzoni abiterebbero una valle fra i Monti Cerauni, nell'Armenia, e confinerebbero con i Gargareni, un popolo costituito esclusivamente da individui maschi con cui le Amazzoni si accoppierebbero per assicurarsi la sopravvivenza.\n\nUsi e costumi.\nLe donne guerriere venivano tradizionalmente governate da due regine, una della pace (politica interna) e una della guerra (politica 'estera'). Tra le regine più conosciute si ricordano Talestri, Mirina, Ippolita, Antiope, Melanippe e Pentesilea.\nIn Geografia XI.5.4-5, Strabone descrive il costume delle Amazzoni di compiere, ogni primavera, una visita nel territorio del popolo vicino dei Gargareni, i quali si offrono ritualmente per accoppiarsi con le donne guerriere affinché possano generare dei figli. L'incontro avviene in segreto, nell'oscurità, perché nessuno dei due amanti possa conoscere l'identità dell'altro. Secondo Plutarco la stagione degli accoppiamenti dura due mesi, ogni anno. Poi le Amazzoni fanno ritorno nei loro territori.La sorte della prole muta a seconda del sesso del nascituro. I maschi, secondo Strabone, vengono rimandati nel luogo d'origine e ogni gargareno adulto adotta un bambino senza sapere se sia o meno suo figlio; le femmine, invece, rimangono con le madri e vengono allevate ed educate secondo i loro costumi e istruite, in particolare, alle tecniche di caccia e di guerra.\nIn base alle raffigurazioni antiche le Amazzoni combattono di solito a cavallo e più raramente a piedi, usando sia le armi ordinarie dei greci, come l'arco sia alcune armi 'barbariche' come l'ascia bipenne e la pelta, lo scudo lunato. Tipiche vesti delle amazzoni nelle raffigurazioni di epoca arcaica sono il berretto frigio e la tunica scita con camicia e pantaloni vivacemente decorati; in epoca classica invece sono raffigurate con indosso un corto chitone greco, con una spalla scoperta, come nella statua dell'Amazzone ferita.\nPrima di ogni battaglia suonano il sistro, uno strumento che, producendo un suono limpido e cristallino, non può avere lo scopo di intimorire il nemico, ma solo quello di ingraziarsi gli dèi.\nIl combattimento a cavallo è la loro specialità (ancora oggi 'amazzone' è sinonimo di 'cavallerizza'). Selezionano i loro animali e mantengono con loro un rapporto di affiatamento totale che le rende delle perfette centaure; cavalcano stalloni, nel periodo in cui i Greci si accontentano di pony. Sono famosi i loro giochi Targarèi, dei quali narra Eumolpo: cinquanta imbarcazioni, chiamate titalnès, si affrontano sul Termodonte: scagliate una verso l'altra a velocità folle, vincono quelle i cui campioni - detti targaira, amazzoni in piedi sulle barche che impugnano delle aste - riescono a sostenere l'impatto senza cadere in acqua. Si procede così a eliminazione finché non c'è un'unica vincitrice, che viene proclamata la prediletta di Afrodite (anche questo è insolito: normalmente le Amazzoni veneravano la Dea Madre, che può essere identificata con Cerere, ed Artemide).Loro insolita caratteristica è quella di bruciarsi un seno, per avere maggiore agilità nell'uso dell'arco.\n\nPersone ed eventi.\nLe Amazzoni erano considerate nemiche dei Greci in quanto, in una società maschilista come quella greca, era inconcepibile l'esistenza di donne sovrane e guerriere. Di conseguenza erano viste come una specie di 'mondo alla rovescia' , un popolo barbaro (la parola greca 'barbaros' significa 'straniero'), che si contrapponeva all'ordine e alla civilizzazione ellenica. Le Amazzoni venivano raffigurate nei fregi dei templi in feroce battaglia contro i Greci, con l'implicito messaggio che andavano sconfitte e sottomesse come i Centauri e i mostri mitici.\nLe Amazzoni sono citate frequentemente nella letteratura classica greca. Oltre alle descrizioni etnografiche di autori come Erodoto, Strabone, Diodoro Siculo che cercano di coniugare mito e storiografia, ma senza operare una netta distinzione l'uno dall'altra, vi sono naturalmente quelle più nettamente poetiche e mitologiche.\nUno dei riferimenti epici più antichi è sicuramente quello nell'Iliade in cui sono menzionate due volte.\nIn Iliade III.188-190, Priamo ricorda di aver combattuto le Amazzoni come alleato di Otreo e Migdone, due sovrani della Frigia (Turchia nord-occidentale). Le Amazzoni, ricorda Priamo, erano «ὰντιάνεραι» (eguali ai maschi, forti come i maschi), ma non erano numerose come gli Achei.\nPriamo cita anche il luogo della battaglia che appare concorde con i riferimenti mitografici alle Amazzoni del Ponto: le rive del fiume Sangario (Σαγγάριος in greco, Sangarius in latino) che è il nome antico del fiume Sakarya nella regione storica della Frigia.\nIn Iliade VI.186, la lotta contro le Amazzoni è una delle imprese compiute da Bellerofonte che fa da perfetto contraltare, essendo le Amazzoni le più forti fra le donne, ad un'altra impresa dell'eroe, menzionata nel verso precedente: lo scontro con i Solimi contro i quali Bellerofonte avrebbe combattuto 'la più dura battaglia con uomini'.\nNell'Etiopide, un poema epico di Arctino di Mileto risalente al VII secolo a.C. e molto noto nell'età classica, ma di cui ci è pervenuto solo un breve frammento originale e un riassunto del V secolo a.C., veniva narrata la partecipazione delle Amazzoni, guidate dalla loro regina Pentesilea, alla guerra di Troia come alleate, questa volta, di Priamo. Il fulcro del poema era lo scontro fra Achille e Pentesilea che si concludeva con la morte di quest'ultima per mano dell'eroe greco e la restituzione del suo corpo ai Troiani da parte di un Achille commosso e pieno di ammirazione verso l'amazzone tanto da venir accusato di tradimento da un suo compagno d'arme.\nI sentimenti di Achille nell'Etiopide, così prossimi all'amore verso la fiera nemica, e la tragicità intrinseca della vicenda, erano ideali per essere trasformati, durante il Romanticismo, in un intenso dramma psicologico d'amore e morte. E così, proprio, lo svilupperà il drammaturgo tedesco Heinrich von Kleist nella sua tragedia Penthesilea (1808) in cui, una regina delle Amazzoni resa folle dal contrasto insanabile fra l'amore e l'orgoglio sbrana, assieme ai suoi cani, il corpo di Achille.\n\nLista di Amazzoni.\nAella, la prima delle Amazzoni che affrontò l'eroe Eracle, quando egli preparò una spedizione per ottenere la cintura della regina Ippolita. Venne uccisa dall'eroe.\nAgave, una delle Amazzoni, nominata da Igino.\nAlcibia, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Diomede.\nAlcippe, una delle Amazzoni che affrontarono l'eroe Eracle, allorché egli preparò una spedizione per ottenere la cintura della regina Ippolita. Venne uccisa dall'eroe.\nAntandra, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Achille.\nAntibrote, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Achille.\nAntioche, una delle Amazzoni, nominata da Igino.\nAntiope, regina delle Amazzoni, fu amata dall'eroe Teseo, il quale la rapì e la condusse con sé ad Atene. Ebbe da lui un figlio, Ippolito. Venne uccisa da Molpadia, un'Amazzone, o da Teseo stesso.\nAsteria, una delle Amazzoni che affrontarono l'eroe Eracle, allorché egli preparò una spedizione per ottenere la cintura della regina Ippolita. Venne uccisa dall'eroe.\nBremusa, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Idomeneo.\nCeleno, una delle Amazzoni che affrontarono l'eroe Eracle, allorché egli preparò una spedizione per ottenere la cintura della regina Ippolita. Era una vergine cacciatrice, compagna di Artemide. Venne uccisa dall'eroe.\nClonia, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Podarce, figlio di Ificlo.\nClimene, una delle Amazzoni, nominata da Igino.\nCleta, nutrice di Pentesilea, fu una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina a Troia. Dopo la sua morte, abbandonò il resto delle sue compagne e partì alla volta dell'Italia Meridionale. Qui fondò una città e diede origine ad un forte regno. Venne uccisa durante una battaglia.\nDeianira, una delle Amazzoni che affrontarono l'eroe Eracle, allorché egli preparò una spedizione per ottenere la cintura della regina Ippolita. Venne uccisa dall'eroe.\nDerimacheia, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Diomede.\nDerinoe, una delle dodici Amazzoni che accompagnarono la regina Pentesilea a Troia. Venne uccisa da Aiace Oileo.\nDiossippe, una delle Amazzoni, nominata da Igino.\nIppolita, regina delle Amazzoni.\nLampado, regina delle Amazzoni.\nLiliana, l'ultima della stirpe amazzone.\nLisippa, regina delle Amazzoni, fondatrice della città di Temiscira e madre di Tanai. Morì in battaglia.\nMarpesia, regina della Amazzoni, morì in battaglia.\nMelanippe.\nMirina (mitologia) regina delle Amazzoni che dichiarò guerra agli Atlanti.\nMolpadia, assassina di Antiope, fu uccisa da Teseo.\nOrzia madre di Pentesilea.\nOtrera, una delle regine delle Amazzoni, nominata da Apollonio Rodio.\nPentesilea, regina delle amazzoni nella guerra di Troia, in cui condusse le sue guerriere al fianco dei troiani; combatté con grande valore ma trovò la morte ad opera di Achille (secondo una versione del mito, grazie all'intervento divino di Teti).\nTalestri, una delle regine amazzoni che incontrò Alessandro Magno.\nTecmessa, uccisa da Eracle durante la ricerca della cintura di Ippolita .\n\nAmazzoni nell'arte.\nLe prime raffigurazioni di amazzoni appaiono sui vasi greci a figure nere; le raffigurazioni proseguono anche sui successivi vasi a figure rosse.\nIl combattimento tra greci e amazzoni o amazzonomachia che, a seconda del mito scelto, aveva il culmine nello scontro mortale tra la regina Pentesilea e Achille o nel rapimento della regina Ippolita da parte di Teseo, era un tema molto popolare in epoca classica, raffigurato anche sui frontoni dei templi o sui bassorilievi. Persino il Partenone era ornato in un lato con delle metope che raffiguravano l'Amazzonomachia. Un'altra raffigurazione popolare rientrava nel ciclo delle fatiche di Ercole: una di queste era impossessarsi della cintura della regina Ippolita.\nIl Tempio di Artemide ad Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico, secondo il mito, sarebbe stato fondato dalle Amazzoni. Per adornarlo con un statua di amazzone si svolse una gara artistica tra i cinque più famosi scultori dell'epoca, tra cui Fidia e Policleto, che proposero ognuno una diversa versione di Amazzone ferita, di cui ci restano numerose copie romane.\nIl famoso Sarcofago delle Amazzoni è la tomba di una nobildonna etrusca di epoca classica che riporta sui quattro lati scene dipinte di amazzonomachia.\nA Roma nei resti del palazzo di Domiziano sul Palatino è stata rinvenuta e recentemente restaurata la cd. 'Fontana delle pelte', una fontana quadrata, decorata con quattro 'pelte', nome degli scudi lunati delle amazzoni. La fontana probabilmente era ornata da statue di amazzoni agli angoli.\nA Edessa, in Turchia, odierna Urfa, negli scavi di una villa romana di epoca tarda è stato trovato un mosaico che raffigura tre regine amazzoni, Pentesilea, Melanippe e Antiope, a caccia di belve feroci.\nIn epoca medievale le amazzoni erano raffigurate vestite come cavalieri medievali con armature complete e ricche sopravvesti, come dimostrano le miniature dei codici e gli affreschi dei 9 eroi e delle 9 eroine, conservate nel salone del Castello della Manta.\nIl pittore fiorentino Sandro Botticelli raffigurò in un quadro la regina delle Amazzoni, attorniata da guerriere, che si reca dal re Teseo.\n\nAmazzoni nella cultura di massa.\nUna principessa Amazzone è Diana, personaggio dell'universo immaginario DC, interpretata dall'attrice Gal Gadot, a cui sono stati dedicati due film: Wonder Woman e il suo sequel Wonder Woman 1984.\nLe amazzoni sono presenti in numerosi film americani e italiani del filone 'peplum'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amazzonomachia.\n### Descrizione: L'amazzonomachia è un tema iconografico dell'arte greca e da qui passata anche all'arte etrusca, consistente nella rappresentazione della lotta tra Greci e Amazzoni. In molti casi, simboleggia la vittoria greca contro i Persiani o altre popolazioni esterne.\nSi tratta soprattutto di scene di combattimento che vedono opposto questo popolo mitico di donne guerriere contro eroi, come Teseo, che cattura la regina Pentesilea, Achille che sconfigge Pentesilea davanti a Troia, o ancora Eracle che sconfigge Ippolita.\nIl tema è presente in molte diverse rappresentazioni nella ceramica greca e in fregi templari o sculture frontonali: particolarmente celebre il fregio scolpito dagli scultori Timoteo, Briasside, Scopas e Leocare per il mausoleo di Alicarnasso. Anche le metope del lato occidentale (posteriore) del Partenone, oggi molto rovinate, riportavano questo tema.\nAltri monumenti decorati con Amazzonomachie sono il Tempio di Apollo ad Eretria, il tesoro degli Ateniesi di Delfi e il tempio di Apollo Epicurio a Bassae." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ambrosia (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca l'ambrosia (in greco antico: ἀμβροσία?, ambrosìā) è menzionata come cibo, o talvolta bevanda, degli dèi.\nStrettamente correlato con l'ambrosia è il 'nettare'. Nei poemi omerici il nettare è solitamente la bevanda e l'ambrosia il cibo degli dèi, mentre in Alcmane nettare è il cibo, e in Saffo (frammento 45) e Anassandride ambrosia è la bevanda.\n\nEtimologia.\nLa parola deriva dal greco a- (detto alfa privativo, che indica negazione) e βροτός brotòs «mortale», ovvero «[cibo, bevanda] che rende immortali» o «che solo gli immortali possono consumare». Etimologicamente, è legata e riconducibile al sanscrito amrita. Lo studioso classicista Arthur Woollgar Verrall, tuttavia, negò l'evidenza che il termine greco ambrosios dovesse necessariamente significare immortale, e preferì tradurlo con il significato di 'fragrante', significato più appropriato. Se così fosse, questa parola deriverebbe dal termine semitico MBR ('ambra', che quando viene bruciata produce un fumo profumato) ed alla quale le popolazioni d'Oriente attribuivano poteri miracolosi. In Europa l'ambra color miele era già un dono tombale nell'era del Neolitico ed era ancora indossata nel VII secolo a.C. come talismano da sacerdoti della Frisia, sebbene Sant'Eligio metta in guardia, dicendo che «Nessuna donna dovrebbe avere la presunzione di far ciondolare ambra dal proprio collo».\nWilhelm H. Roscher pensa che sia 'nettare' che 'ambrosia' identificassero tipi di miele, probabilmente anche di cannabis, ed in questo caso il loro potere di conferire immortalità sarebbe da attribuire al supposto potere curativo e purificante del miele stesso, il quale è infatti asettico, ed anche perché l'idromele, miele fermentato, precedette il vino come enteogeno, ovvero sostanza psicoattiva usata in un contesto religioso-sciamanico, nel mondo dell'Egeo antico: la grande divinità venerata a Creta su alcuni resti è apparsa nella forma di un'ape: si comparino Merope e Melissa. Si veda anche Icore.\nMolti studiosi moderni, tra cui Danny Staples, mettono in relazione l'ambrosia al fungo allucinogeno Amanita muscaria. Altri, come ad es. Rick Strassman, sostengono che la parola ambrosia indicherebbe una precisa sostanza dagli strani effetti allucinogeni chiamata DMT (dimetiltriptammina), secreta dalla ghiandola pineale dell'uomo e contenuta anch'essa in alcune piante e funghi.\n\nNella mitologia.\nTeti unse l'infante Achille nell'ambrosia e lo immerse nel fuoco per renderlo immortale - una usanza tipica dei Fenici - ma Peleo, atterrito da quello spettacolo, la fermò.\nNell'Iliade, Apollo lavò il sangue rappreso dal cadavere di Sarpedonte e lo unse con l'ambrosia, preparandolo così al suo ritorno nella nativa Licia.\nUna delle empietà di Tantalo, secondo il poeta Pindaro, è l'aver offerto ai propri ospiti l'ambrosia degli Immortali, un furto simile a quello commesso da Prometeo, Karl Kerenyi fa notare (in Heroes of Greeks). Circe accenna ad Odisseo che uno stormo di rondini portò l'ambrosia all'Olimpo.\nLa parola ambrosia (al caso neutro plurale nel greco antico) fu usata per chiamare certe festività in onore di Dioniso, probabilmente per la predominanza di banchetti in relazione a queste.\nL'ambrosia è collegata all'amrita della cultura indù, ed è una bevanda che conferisce immortalità agli dèi.\n\nNella cultura moderna.\nNell'universo narrativo di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, l'ambrosia e il nettare sono consumati dagli dei e dai semidei, e l'ambrosia è consumabile (ma mangiata solo una volta) dai maghi (anche se Sadie Kane è sangue dei faraoni e quindi non si sa se i maghi normali possano ingerirla) per curare le ferite. Non si sa se il nettare possa essere ingerito dai maghi (sangue dei faraoni o no). Se vengono consumati dai semplici mortali, essi vanno a fuoco. Gli stessi semidei se ne consumano troppa vanno in uno stato febbrile o, se vanno in overdose, finiscono bruciati. Entrambi i cibi hanno il sapore della bevanda o del cibo preferito dal consumatore. I due alimenti sono simili ma il nettare è liquido e l'ambrosia è solida." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amechania.\n### Descrizione: Amechania o Amekhania (in greco: Ἀμηχανία) era l'antico spirito greco di impotenza e assenza di intenzione. È stata considerata come una compagna stretta (e sorella) di Penia e Ptocheia. Era praticamente identica a Aporia. Amechania è stata citata da antichi autori greci come Alceo (frammento 364), Erodoto e Apollonio Rodio nelle Argonautiche." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amice.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Amice era la figlia del re di Cipro Salamino.\n\nIl mito.\nLa ragazza una volta cresciuta decise di fuggire dall'isola in cerca di nuove terre da conquistare e città da fondare. Nei suoi viaggi arrivò ad Antiochia, dove riuscì a portare numerosi compatrioti fondando una colonia e trascorrendovi diversi anni. Un giorno conobbe Caso, uno dei figli di Inaco, che aveva avuto una vita simile alla sua; anch'egli infatti, provenendo da un'isola (nel suo caso Creta), aveva fondato una colonia nelle vicinanze. I due decisero di sposarsi. Quando la donna morì la seppellirono in una città con il suo nome, Amice." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amico (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Amico (in greco antico: Ἄμυκος?, Ámykos in latino Amycus) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e della ninfa Melia, nonché fratello di Migdone.\nSposò Teano, la sorella di Ecuba che gli diede un figlio di nome Mimante.\n\nMitologia.\nAmico si alleò con il fratello Migdone ed ebbe una lotta contro Lico re della Misia (al quale uccise i fratelli Priola ed Otreo), che a sua volta si alleò con Eracle che uccise Migdone, a quel tempo il re dei Bebrici.\nDopo la morte del fratello e la partenza di Eracle, Amico prese il potere riconquistando le terre che erano state del fratello.\n\nLa morte.\nIn seguito, quando gli Argonauti approdarono sulla sua terra, Amico, vantandosi con tono arrogante di essere un ottimo pugile sfidò il migliore fra loro, Polluce. All'inizio Polluce procedette con cautela ma, una volta capiti i punti deboli dell'avversario, iniziò a combattere sul serio, rompendo la sua guardia ed uncinandogli la mascella, per infine rompergli il naso con un potente sinistro.\nAmico, reso furioso dal dolore, agguantò l'avversario e, mentre stava per colpirlo con un montante destro, fu anticipato dall'avversario che gli fracassò la tempia, uccidendolo.\n\nDopo la morte.\nI suoi soldati insorsero contro gli argonauti ma vennero subito sconfitti. Suo figlio Bute fu costretto a fuggire via mare.\nGiasone, il loro comandante, per scusarsi con Poseidone sacrificò 20 tori." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amimone.\n### Descrizione: Amimone (in greco antico: Ἀμυμώνη?) è un personaggio della mitologia greca, è una delle cinquanta figlie del re Danao (Danaidi).\n\nMitologia.\nQuando il padre giunse a Lerna, nel golfo di Nauplia, per la mancanza di acqua incaricò la figlia Amimone di procurarsi dell'acqua per un sacrificio.\nMentre svolgeva il compito, la giovine svegliò involontariamente un satiro, che cercò di abusare di lei. La fanciulla invocò l'aiuto di Poseidone, che intervenne scagliando il proprio tridente in direzione del satiro, mancandolo. Il tridente si conficcò in una roccia e Poseidone concesse ad Amimone di estrarlo. Da quel punto sgorgò l'acqua della fonte Amimone. Questa è l'origine del fiume di Lerna. Dall'unione tra Amimone e Poseidone nacque Nauplio.\nDi questo mito trattava Eschilo nel dramma satiresco Amimone.\n\nSomiglianze con Ipermnestra.\nUna leggenda racconta che Amimone andò in sposa all'egittide Linceo, suo cugino e figlio di Egitto e che rifiutò di obbedire a suo padre quando ordinò alle proprie figlie di uccidere i loro mariti.\nIl fatto che Amimone fu l'unica a non uccidere il marito Linceo la rende identica ai miti dove la sposa che non uccise Linceo sia citata come Ipermnestra, il quale fa pensare ad uno scambio di nomi relativi alla stessa persona." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aminia.\n### Descrizione: Amìnia è una figura della mitologia greca, legata al mito di Narciso.\n\nIl mito.\nAminia era un giovane innamorato di Narciso, il vanitoso che venerava sé stesso. Secondo Conone,.\nNarciso respingeva tutti i suoi molti innamorati, sia donne avvenenti che giovani abbienti, fino a farli desistere. Solo Aminia non si dava per vinto. Narciso gli chiese di stargli lontano se veramente l'avesse amato, ma il ragazzo, tornato nuovamente, gli domandò un pegno d'amore. Narciso allora gli donò una spada, affinché si uccidesse. Aminia, prendendo in parola Narciso, si trafisse davanti alla sua casa, dopo però aver invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta.La punizione fu che Narciso un giorno vide il suo riflesso in uno specchio d'acqua e s'innamorò perdutamente della propria immagine. Si strusse talmente in quest'amore impossibile, tanto da giungere col tempo a consumarsi lentamente fino a morirne." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amisodaro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Amisodaro era un nobile licio, padre di Atimnio e di Maride.\n\nIl mito.\nAmisodaro, ricco cittadino della Licia, ebbe in tarda età due figli, Atimnio e Maride, che divennero durante la guerra di Troia compagni in armi del grande Sarpedonte. La guerra era scoppiata per via di un capriccio di amore voluto da Paride, che rapì Elena, moglie di Menelao. I due giovani persero insieme la vita in battaglia, per mano di un'altra coppia di fratelli, Antiloco e Trasimede.\nIl nome di Amisodaro è legato anche alla Chimera. Tale mostro, dotato di tre teste, una di leone, una di capra e una di serpente, fu infatti tenuto a bada proprio dal saggio e tranquillo Amisodaro che lo nutriva, quando gli era possibile, per evitare che arrecasse danni maggiori agli abitanti della Licia, fino al giorno in cui Bellerofonte uccise la creatura." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche (Canova).\n### Descrizione: Amore e Psiche è un gruppo scultoreo di Antonio Canova, realizzato tra il 1788 e il 1793 ed è conservato presso il museo del Louvre, a Parigi. Una seconda copia, realizzata per mano dello stesso Canova, si trova esposta al Museo statale Ermitage di San Pietroburgo in Russia.\n\nStoria.\nAntonio Canova ricevette la commissione di un gruppo raffigurante «Amore e Psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla favola dell'Asino d'oro di Apuleio», per usare le sue stesse parole, nel 1788, dal colonnello John Campbell.\nIspirandosi all'iconografia a un affresco di Ercolano raffigurante una baccante abbracciata da un fauno, Canova iniziò l'ideazione del «modello grande» dell'opera il pomeriggio del 30 maggio 1787. La traduzione in marmo venne avviata già nel maggio 1788, come attestato dall'amico Quatremère de Quincy; il gruppo marmoreo come oggi lo conosciamo, tuttavia, fu portato a compimento solo nel 1793. Ciò malgrado, in quell'anno Campbell non era in grado di sostenere le esose spese di trasporto per l'Inghilterra, e l'opera fu acquistata nel 1800 per duemila zecchini da Gioacchino Murat, che la trasportò nel palazzo reale di Compiègne, nelle vicinanze di Parigi, in Francia. Nel 1808, quando i beni di Murat entrarono in possesso della Corona francese, Amore e Psiche passò insieme ad altre opere nelle collezioni del museo del Louvre, dove è tuttora esposto.L'opera non mancò di essere accolta freddamente in taluni ambienti artistici, dai quali fu ritenuta eccessivamente barocca, complessa, perfino manierista. Tra i critici più feroci dell'Amore e Psiche vi era Carl Ludwig Fernow, che nel 1806 scrisse in una dissertazione dove rimproverò Canova di non aver fornito «una visione appagante dell'opera, da qualunque parte si contempli», continuando affermando che «invano lo spettatore si affatica a ricercare un punto di vista da cui scorgere entrambi i volti, e nel quale ridurre a punto di convergenza centrale ogni raggio dell'espressione di tenerezza». Malgrado queste critiche (che comunque furono poche), l'opera fu un ulteriore successo nella fama europea di Canova: la risonanza del gruppo fu enorme, e furono in moltissimi, tra artisti, viaggiatori e eruditi, ad affluire nell'atelier di Canova per poter ammirare il marmo, a tal punto che lo scultore per difendersi dalla folla spesso andava a lavorare in un altro studio.\nTra gli ammiratori più entusiasti vi erano John Keats, che ispirato dall'Amore e Psiche canoviano scrisse una delle sue ode più celebri (Ode to Psyche, 1819: «Surely I dreamt to-day, or did I see the winged Psyche with awaken'd eyes?»), e il principe russo Nikolaj Jusupov, in visita a Roma nel 1794. Jusopov giunse in Italia per conto dell'imperatrice Caterina II di Russia, la quale voleva a tutti i costi il Canova al servizio della propria corte; lo scultore rifiutò, ma accettò ugualmente di realizzare su commissione dello Jusopov una seconda versione dell'Amore e Psiche. La gestazione di questa replica fu assai rapida: il modello fu completato nel 1795 e la statua in marmo, portata a compimento nel 1796, poté raggiungere la Russia nel 1802. Inizialmente esposta nel palazzo del principe a San Pietroburgo, nel 1810 l'opera fu trasferita nella villa dello Jusopov ad Arkhangelskoye, per poi tornare alla morte di quest'ultimo (1831) nuovamente a San Pietroburgo: dal 1929 l'opera è conservata nel museo dell'Ermitage, sempre in quella città.\nNumerose inoltre furono le repliche dell'Amore e Psiche, non realizzate dal Canova bensì dall'allievo prediletto Adamo Tadolini che, avendo ricevuto dal maestro il modello in gesso originale dell'opera e l'autorizzazione di trarne quante copie ne volesse, ne eseguì almeno cinque, con piccole variazioni. L'opera, ripresa anche in una scultura di Auguste Rodin, fu calorosamente accolta anche da Gustave Flaubert, il quale commentò:.\n\nDescrizione.\nMateria narrativa.\nCanova scolpì nel marmo la favola di Amore e Psiche. Psiche era una fanciulla incredibilmente seducente, e scatenò le gelosie della dea Venere che, invidiosa della bellezza di quella che alla fine era solo una mortale, decise di vendicarsi con l'aiuto del figlio Amore, il quale avrebbe dovuto farla innamorare di un uomo rozzo che non la ricambiasse.\nTuttavia, appena Amore prese visione della bellezza celestiale di Psiche, se ne invaghì perdutamente, e decise con l'aiuto di Zefiro di trasportarla nel proprio palazzo. Lì Psiche trascorse con Amore notti infuocate dall'amore e dalla passione, senza tuttavia poter guardare il volto dell'amante: Amore, infatti, non rivelò mai la propria identità, per evitare la furibonda ira della madre Venere. Con tutto ciò, eccitata dalle sorelle, Psiche venne meno al patto e vide il volto dell'uomo che le travolgeva i sensi: in seguito a ciò Amore, preso dall'indignazione, si allontanò da Psiche, che fu gettata nello sconforto più totale.\nPur di potersi ricongiungere con il divino consorte, Psiche si dichiarò disposta ad affrontare una serie di prove per ottenere l'immortalità, superandole brillantemente, malgrado la loro atroce difficoltà. D'altronde, erano state organizzate da Venere che, presa dall'ira, decise di sottoporre la fanciulla alla prova più difficile: discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina di concederle un po' della sua bellezza. Fu così che Psiche ricevette da Proserpina un'ampolla e, presa dalla curiosità, la aprì e, con suo grande sconcerto, scoprì che il vaso non conteneva bellezza, bensì un sonno infernale che la fece addormentare profondamente. Amore, una volta venuto a conoscenza del tragico destino dell'amante, si recherà presso Psiche e la risveglierà con un bacio: è proprio questo l'attimo che Canova ha voluto eternare nel marmo.\n\nAnalisi.\nL'opera raffigura, con un erotismo sottile e raffinato, Amore e Psiche nell'attimo che precede il bacio, preannunciato dall'atteggiamento dei corpi e degli sguardi che si contemplano l'un l'altro con una dolcezza di pari intensità: le loro labbra, pur essendo estremamente vicine, non sono ancora unite. Amore poggia il ginocchio sinistro a terra mentre con la spinta della gamba destra si china in avanti, inarcando il proprio torso e al contempo flettendo la propria testa così da avvicinarla al volto addormentato dell'amata, che sorregge delicatamente con la mano destra; quella sinistra, invece, sfiora in modo romantico il seno di lei, tradendo un desiderio innegabile ma non espresso. Nel tocco delle mani, il marmo diviene carne. Psiche, invece, è semidistesa, rivolge il viso verso l'alto ed alza quasi timidamente le braccia per accogliere il bacio di Amore, sfiorando con le sue dita i capelli di lui, che presenta le ali spiegate, come se fosse appena giunto per soccorrerla. I loro corpi adolescenziali, caratterizzati da una perfezione anatomica squisitamente neoclassica, sono completamente nudi, fatta eccezione per un drappo che vela appena le intimità di Psiche.\nCosì come in tutte le sue opere Canova qui si dimostra assai sensibile all'influenza della statuaria classica, mostrandosene debitore per l'equilibrio della composizione. Osservando il gruppo dal punto canonico di visione (ortogonale, ovvero 'davanti' alla scultura) si può cogliere come i corpi di Amore e di Psiche intersecandosi diano vita a una X morbida e sinuosa che fa librare l'opera nello spazio: il primo arco, in particolare, va dalla punta dell'ala destra di Amore e a quella del piede, mentre il secondo parte sempre dall'ala e si conclude nel corpo di Psiche. Il punto di intersezione tra queste due direttrici, che è anche il punto focale della composizione (quello verso il quale è proiettato lo sguardo dell'osservatore), è sottolineato dal delicato abbraccio dei due personaggi. Le braccia di Amore e Psiche, formando due cerchi intrecciati, danno infatti vita a un tondo che incornicia i due volti quasi congiunti ed accentua i pochi centimetri che dividono le loro labbra.\nLa visione frontale, malgrado sia quella più indicata in quanto consente di coglierne la complessa geometria compositiva, non esaurisce affatto le possibilità di godimento dell'opera, che è leggibile da tutte le visuali. È vedendo la scultura dal retro, infatti, che si scorgono la faretra di Amore, la fluente capigliatura di Psiche e il vaso di Proserpina che ha causato il suo svenimento: ruotando attorno all'opera, inoltre, variano all'infinito i rapporti reciproci tra i corpi dei due amanti, ed è solo così che ci si può rendere conto della complessità del marmo.Amore e Psiche, in ogni caso, risponde pienamente ai principi dell'estetica del Neoclassicismo. I gesti di Amore e Psiche, infatti, sono delicati ed espressivi, mentre i loro movimenti nello spazio sono equilibrati, continui e ben sincronizzati; analogamente, Canova comunica il loro trasporto amoroso in modo misurato ed equilibrato, sfumando la loro passione nella tenerezza e in un'affettuosa contemplazione. Alcuni degli aspetti dell'opera, tuttavia, già rimandano al Romanticismo: pensiamo alla sensualità che, seppur filtrata dal neoclassicismo canoviano, avvolge tutta la composizione, all'impiego di linee di tensione interne e al dinamismo spiraliforme che anima l'intera scultura." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche (Crespi).\n### Descrizione: Amore e Psiche è un dipinto a olio su tela realizzato dal pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi. Si tratta dell'unica opera nota eseguita dall'artista sul tema di Amore e Psiche.\nProbabilmente realizzata nel 1709 su commissione di Ferdinando de' Medici, l'opera non compare però nell'inventario del 1713 delle collezioni di Ferdinando. Nel 1940 fu trasferita dagli Uffizi alla Villa medicea di Poggio a Caiano; l'opera rientrò agli Uffizi nel 1945 dopo essere stata portata in Germania.\nIl dipinto fu restaurato nel 1990 da Stefano Scarpelli.\n\nDescrizione.\nL'opera rappresenta il momento in cui Psiche può finalmente posare gli occhi su Cupido, nonostante le fosse stato da lui stesso impedito, svegliandolo facendo cadere sul suo corpo una goccia di olio bollente proveniente dalla lucerna che tiene in mano. Questa lucerna accende in parte le forme dei due personaggi e le pieghe dei tendaggi, che risaltano nella penombra che avvolge il volto e la parte superiore del corpo di Amore, il quale tende la mano verso Psiche, come abbagliato dalla luce che lo sta illuminando.\n\nMostre.\nL'opera fu esposta nelle seguenti mostre: Firenze 1922, Parigi 1935, Bologna 1948, Bologna 1990." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche (David).\n### Descrizione: Amore e Psiche (chiamato anche Cupido e Psiche) è un dipinto di Jacques Louis David; prodotto nel 1817 durante il suo periodo di esilio a Bruxelles dopo la caduta di Napoleone Bonaparte.Durante la sua prima esposizione pubblica ad una mostra svoltasi al museo di Bruxelles, la pittura sorprese i contemporanei anche a causa di un trattamento realistico e mai banale della figura di Cupido.Dipinto per il mecenate e collezionista Gian Battista Sommariva, la tela è oggi parte delle collezioni del Cleveland Museum of Art.\n\nStoria.\nDavid iniziò ad abbozzare Amore e Psiche a Parigi nel 1813, per poi completarlo durante l'esilio a Bruxelles, dopo la caduta di Napoleone. Fu il primo quadro che David finì in esilio. Luigi XVIII aveva offerto a David la grazia per le sue attività durante la rivoluzione, ma il pittore decise invece di esiliarsi a Bruxelles. Fino a quel momento, David era stato definito spesso un imitatore dell'arte antica. Il suo stile tipico era quello che lo storico dell'arte tedesco Winckelmann descriveva come il 'bello ideale'. Il suo stile si focalizzava su un'immagine idealizzata dei corpi. Lo stile di David era stato caratterizzato in precedenza per la sua semplicità, ma Amore e Psiche si allontana drammaticamente da questi tratti. Quando debuttò a Parigi, molti spettatori vi videro un simbolo dell'effetto negativo dell'esilio di David.Questo quadro venne realizzato per la collezione di Sommariva, che aveva guadagnato rapidamente molte ricchezze tramite delle operazioni finanziarie dubbie. Probabilmente Sommariva mise in piedi la sua collezione per mostrare la sua ricchezza e accrescere la sua reputazione.Secondo le lettere di David, egli si era interessato alla storia di Amore e Psiche e voleva dare una nuova svolta a un tema abusato attraverso il suo uso del realismo. James Gallatin, il figlio diciassettenne di un diplomatico statunitense, posò nudo per il dipinto, il che spiegherebbe l'aspetto adolescenziale e goffo di Cupido.\n\nDescrizione.\nIl dipinto ritrae Cupido che esce di soppiatto mentre Psiche dorme tranquillamente in secondo piano. L'ambientazione è decorativa e in disordine, come se David stesse cercando di comunicare le circostanze dell'imprigionamento di Psiche. I colori bui e profondi del baldacchino sovrastante contrastano con l'ambiente sullo sfondo. Il paesaggio, secondo Mary Vidal, simboleggia un 'viaggio, un rinnovamento e l'illuminazione', che contrasta con le circostanze di Psiche. I corpi di Amore e Psiche sono illuminati in contrasto con i colori scuri dello sfondo, evidenziando ulteriormente il loro aspetto non idealizzato.David iniziò l'opera prima del suo esilio e fece molti cambiamenti dopo essere arrivato a Bruxelles. Fece delle modifiche importanti dopo che il disegno venne trasferito sulla tela, che non era abituale per lui. Il cambiamento più grande fu la decorazione dell'interno in stile Impero, che sarebbe potuta servire a ricordare il tempo nel quale Napoleone era al potere.C'è un piccolo dettaglio di una farfalla sopra Psiche. La farfalla in volo simboleggia, secondo la storica dell'arte Issa Lampe, sia 'la morte che la trascendenza', fungendo da commento alla partenza di Cupido da Psiche ogni mattina.Il dettaglio che colpisce più di questo dipinto è la raffigurazione molto realistica del corpo di Cupido e della sua espressione. Lo studio originale di David mostra che egli aveva sempre avuto intenzione di dipingere Amore in questa maniera, anche prima dell'esilio. Le ali di Cupido continuano con questo stile, dato che sono consunte e brutte, facendo sembrare Amore parte del regno mortale piuttosto che di quello divino.\n\nAnalisi.\nLe analisi del quadro si concentrano tipicamente sulla raffigurazione di Cupido, che si allontana dal trattamento tradizionale del mito. L'Amore e Psiche di François Gérard del 1798 viene spesso citato come confronto. Nell'opera di Gérard, entrambi i personaggi sono dipinti in una maniera idealizzata che enfatizza la purezza dell'amore giovanile. Anche le raffigurazioni tradizionali del mito di solito non implicavano Amore e lo raffiguravano in gran parte innocente e bello. Gli storici dell'arte hanno comparato il quadro davidiano all'Amore e Psiche di François-Édouard Picot (1819), che raffigura lo stesso momento della partenza di Cupido, ma in una maniera idealizzata.Nella versione davidiana, Amore sembra essere sinistro mentre Psiche è vulnerabile, lasciando intendere una relazione leggermente perversa tra i due. Amore sembra quasi malsano; la sua carnagione è opaca, la sua espressione e il linguaggio del corpo non sembrano amorevoli, al limite dell'ostilità, e il suo corpo è scarno, ben lontano dai corpi idealizzati tipici dell'epoca. La postura e lo sguardo di Cupido rompono la separazione tra il soggetto e lo spettatore. Egli sembra voler uscire dal dipinto nella realtà e il suo sguardo è diretto verso lo spettatore. Questo, secondo la storica dell'arte Dorothy Johnson, crea una sensazione scomoda quando si guarda il dipinto, dato che 'rende gli spettatori dei complici in questa dinamica del potere' tra Amore e Psiche.La posa di Psiche è stata inoltre comparata alle raffigurazioni tizianesche e correggesche delle dee sdraiate. La sua espressione facciale è innocente e bella. Ella è ancora addormentata, sottolineando la sua vulnerabilità. Il contrasto tra la dolce Psiche e il Cupido volgare è importante per le novità che gli storici dell'arte hanno visto in questa tela.\n\nCritica.\nDue articoli che sostenevano il dipinto apparvero quando fu mostrato per la prima volta, ma probabilmente erano influenzati da David stesso. Entrambi si focalizzavano sul realismo, e un articolo diceva che era un approccio 'puramente storico' alla mitologia. Quando messo in contrasto con l'opera di Picot, il realismo fu plaudito ulteriormente da alcuni.La risposta schiacciante, però, fu negativa. La classe dirigente preferiva delle opere più idealizzate, dato che il realismo veniva visto come qualcosa di immorale per alludere a delle sfumature sessuali. Gros, che per il resto era un noto sostenitore di David, disse che 'la testa di Amore ha qualche carattere faunistico, le mani sono un po' scure e soprattutto non abbastanza rifinite.' Altri critici furono confusi dalla deviazione dall'aspetto tipico di Cupido ed erano turbati dalla sua distorsione." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche (Giovanni Maria Benzoni).\n### Descrizione: Amore e Psiche è un gruppo scultoreo realizzato da Giovanni Maria Benzoni esposto presso la Galleria d'Arte Moderna di Milano.\n\nStoria e descrizione.\nIl gruppo scultoreo, considerato tra le maggiori prove dello scultore Giovanni Maria Benzoni, fu eseguito nel 1845 durante il soggiorno romano dell'artista e fa parte dell'ampio filone di opere omaggio all'Amore e Psiche del Canova. Il gruppo fu commissionato da tale Antonio Bisleri, milanese, e venne donato da un erede nel 1923 alla galleria d'arte moderna dov'è oggi esposto. L'opera fu eseguita in otto copie, di cui una per Nicola I di Russia esposta oggi all'Ermitage.\nNonostante il modello di Amore e Psiche sia tra i più usati della statuaria classica, il Benzoni scelse un momento del mito raramente rappresentato, ovvero il momento successivo al risveglio di Psiche da parte di Eros dopo che questa aveva apertura il vaso contenente vapori infernali, dove Eros sta per andare ma viene trattenuto da Psiche. Oltre all'esplicito riferimento all'opera canoviana, la composizione presenta un fitto panneggio nelle vesti ed un certo virtuosismo nella resa delle capigliature dei soggetti mutuata dalla scultura neoclassica: non mancano tuttavia influenze barocche dichiarate dallo stesso Benzoni, in particolare verso la tecnica del Bernini. Nonostante il tema dichiaratamente classico in un ambiente sempre più influenzato dalle tematiche romantiche, la scultura riscosse all'epoca della sua esposizione moltissimi elogi e si aggiunse alla schiera delle opere scultoree ispirate allo stesso soggetto fra cui quelle di Salvatore Albano, Francesco Barzaghi, Serafino Ramazzotti, Giulio Branca, Lot Torelli e Sandro Macdonald." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche (film).\n### Descrizione: Amore e Psiche (L'Amour et Psyché) è un cortometraggio muto del 1908 diretto da Louis Feuillade.\n\nTrama.\nProduzione.\nIl film fu prodotto dalla Société des Etablissements L. Gaumont.\n\nDistribuzione.\nDistribuito dalla Société des Etablissements L. Gaumont, uscì nelle sale cinematografiche francesi nel 1908. In Italia venne distribuito dalla Pathé nel 1913/14.\n\nVoci correlate.\nFilmografia di Louis Feuillade.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Amore e Psiche, su IMDb, IMDb.com.\n(EN) Amore e Psiche, su Box Office Mojo, IMDb.com." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche (van Dyck).\n### Descrizione: Amore e Psiche è uno degli ultimi dipinti eseguiti da Antoon van Dyck e rappresenta la scena di Amore e Psiche tratta dal capolavoro di Apuleio Le metamorfosi. Fa parte della collezione reale inglese e oggi è conservato al palazzo di Kensington, a Londra.\n\nStoria.\nQuest'opera, che è una delle ultime del repertorio vandichiano, mostra i segni dell'influenza di Tiziano e si data al suo periodo come artista di corte presso Carlo I d'Inghilterra. Si tratta del suo unico dipinto mitologico di quel periodo a essere sopravvissuto e forse faceva parte di una serie di quadri sul tema di Amore e Psiche, commissionati per la Queen's House ('casa della regina') a Greenwich. Il progetto, al quale avrebbero partecipato anche Jacob Jordaens e il vecchio tutore di van Dyck, Pietro Paolo Rubens, non venne completato, e forse è per questo che l'opera non è del tutto finita e manca della cornice. Una seconda ipotesi ne vedrebbe la creazione per le celebrazioni del matrimonio tra la principessa Maria e Guglielmo II d'Orange nel 1641.\n\nDescrizione.\nIl quadro ritrae il momento esatto nel quale Amore (o Cupido) giunge in tempo per salvare Psiche, che dopo aver aperto un cofanetto proveniente dall'Ade è stata avvolta dal sonno della morte. La scena è ambientata sotto due alberi, uno rigoglioso e l'altro spoglio, che simboleggiano lo stato di Psiche, in bilico tra la vita e la morte. La corsa di Amore per raggiungere la sua amata è stata associata al concetto platonico dell'amore come desiderio mosso dalla bellezza. Psiche richiama la Venere di Urbino tizianesca e si pensa che possa avere le fattezze dell'amante di van Dyck, Margaret Lemon." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche stanti.\n### Descrizione: Amore e Psiche stanti è un’opera di Antonio Canova conservata nel Museo del Louvre a Parigi. La scultura è alta 145 cm ed è in marmo bianco, è stata scolpita fra il 1796 e il 1800.\n\nL’opera e il mito greco.\nQuesto gruppo scultoreo rappresenta una coppia celebre della mitologia greca. Il mito racconta che la straordinaria bellezza di una fanciulla di nome Psiche aveva suscitato l’invidia della stessa Venere, tanto che la dea le inviò il figlio Amore perché la facesse innamorare di un uomo bruttissimo. Il giovane dio però si invaghì lui stesso della bella fanciulla. Ebbe così inizio un amore tormentato che, dopo essere stato a lungo ostacolato da Venere e costellato da mille prove, durò per sempre.\nCanova rappresentò più volte le figure di Amore e Psiche, ma in questa scultura li rappresenta in piedi. Psiche offre una farfalla, simbolo della sua stessa anima, ad Amore.\n\nCommittente dell’opera.\nLa composizione scultorea è stata realizzata in due versioni, la prima fu commissionata dal colonnello Jhon Campbell e in seguito venduta a Gioacchino Murat; mentre la seconda, sempre realizzata da Canova, fu ceduta da Campbell a Josephine de Beauharnais." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche, bambini.\n### Descrizione: Amore e Psiche, bambini (titolo originale: L'Amour et Psyché, enfants, Salon del 1890, No. 330), è un dipinto a olio del 1890, 119.5x71 cm, del pittore William-Adolphe Bouguereau che si trova in una collezione privata e costituisce una delle opere più famose dell'autore. L'opera è erroneamente conosciuta come Il primo bacio.\nIl soggetto è tratto dalla storia di Amore e Psiche narrata da Apuleio nelle Metamorfosi.\nIl dipinto presenta Cupido, ritratto come un amorino, mentre bacia la piccola Psiche sulla guancia. I due eroti hanno le ali: Cupido-Amore le ha piumate, mentre Psiche ha ali da farfalla. Entrambi sono adagiati su una nuvola, seduti sopra un telo blu scuro.\n\nNome dell'opera errato.\nL'opera è anche erroneamente nota come Il primo bacio (1873). Tale errore è dovuto al fatto che la galleria virtuale Web Museum riporta, in modo errato, il dipinto sotto il titolo The First Kiss con la data del 1873 invece del 1890. Infatti se si guarda l'immagine del dipinto è possibile osservare in basso a destra la data del 1890 accanto alla firma dell'autore.\n\nAltri dipinti di Bouguereau su Amore e Psiche.\nBouguereau fu ispirato più volte dalla storia di Amore e Psiche:.\n\nPsiche e Amore (titolo originale: Psyché et l'Amour, Salon del 1889, No. 260; Esposizione universale del 1900, No. 242).\nPsiche (titolo originale: Psyché, 1892).\nIl rapimento di Psiche (titolo originale: Le ravissement de Psyché, Salon del 1895, No. 258)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e Psiche.\n### Descrizione: Amore e Psiche sono i due protagonisti di una nota storia narrata da Apuleio all'interno della sua opera Le Metamorfosi, anche se è considerata risalire ad una tradizione orale antecedente all'autore.\nNella vicenda narrata da Apuleio, Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, diventa sposa di Amore-Cupido, senza, tuttavia, sapere chi sia il marito, che le si presenta solo nell'oscurità della notte. Scoperta su istigazione delle invidiose sorelle la sua identità, è costretta, prima di poter ricongiungersi al suo divino consorte, a effettuare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l'immortalità. Altre versioni, differenti da quella di Apuleio, narrano, invece, la morte della ragazza prima dell'ultima prova, altre ancora narrano che la ragazza abbia fallito l'ultima prova e che abbia, quindi, dovuto lasciare Amore-Cupido.\n\nStoria.\nIn un regno lontano, un re e una regina hanno tre bellissime figlie. La più giovane di esse, Psiche, è di una bellezza così eccezionale che la gente si prostra davanti a lei come se fosse la dea Venere. La devozione per la ragazza suscita la collera della dea, che chiede a suo figlio Amore di punire Psiche facendo in modo che si innamori di un mostro. Mentre sta per colpire la fanciulla con una delle sue frecce, però, il dio sbaglia mira e la freccia d'amore colpisce invece il proprio piede, cosicché egli si innamora perdutamente di lei. Intanto, i genitori di Psiche consultano un oracolo che risponde:.\n\nPsiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lì viene lasciata sola. Con l'aiuto di Zefiro, Amore la trasporta al suo palazzo, dove la giovane viene accudita da servitori invisibili che provvedono a ogni sua necessità. Alla notte, Psiche viene raggiunta da Amore che si dimostra uno sposo innamorato, ma non le rivela la propria identità: dopo aver trascorso la notte con lei, la saluta avvertendola che anche in futuro i loro incontri avverranno sempre al buio, e che la ragazza non dovrà mai cercare di vederlo né conoscerne il nome.\n\nPassano così parecchi giorni: Psiche è felice e innamorata del misterioso sposo, ma desidera rivedere le sue sorelle. Amore, per quanto malvolentieri, acconsente a invitare le due donne nel palazzo. Qui le sorelle, colpite dal lusso in cui vive Psiche, concepiscono un’invidia bieca nei suoi confronti: insinuano così in lei il sospetto che lo sposo misterioso sia in realtà un mostro che prima o poi la ucciderà; le suggeriscono perciò di attendere la notte per trafiggerlo con un pugnale. Dopo molte riluttanze, una notte Psiche decide di agire. Armandosi con il pugnale ed una lampada ad olio, decide pertanto di scoprire chi realmente sia il suo amante, ma proprio quando sta per uccidere lo sposo, alla luce della lanterna le appare il bellissimo dio dell’amore. Mentre Psiche ne contempla l’abbagliante bellezza, una goccia d’olio cade sulla spalla del dio e lo scotta, svegliandolo:.\n\nFallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba, una Psiche straziata dal dolore tenta più volte il suicidio, ma gli dei glielo impediscono. La ragazza inizia così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna, sperando di placarne l'ira per aver disonorato il nome del figlio.\nVenere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per l'amata di Cupido. La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fa per avvicinarsi alle pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e lei dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consiste nel raccogliere acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall'aquila di Giove.\n\nL'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa ancora una volta dalla curiosità, apre l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. A correre in suo soccorso stavolta è lo stesso Amore, che pungendola lievemente con una freccia, la risveglia dal sonno infernale.\nIl dio poi corre da suo padre Giove, pregandolo di convincere Venere ad acconsentire al matrimonio. Giove, commosso, persuade Venere ad accettare le nozze, che vengono celebrate alla presenza di tutti gli dèi. Psiche diviene così la dea protettrice delle fanciulle e dell'anima, sposando Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.\nPiù tardi nasce una figlia, concepita da Psiche durante una delle tante notti d'amore dei due amanti prima della fuga dal castello. Questa viene chiamata Voluttà, ovvero Piacere.\n\nLe Metamorfosi o L'asino d'oro.\nAmore e Psiche è la più nota delle fiabe contenute nell'opera Le metamorfosi di Apuleio (Metamorphoseon libri XI), note anche come L'asino d'oro (Asinus aureus), un romanzo che racconta le ridicole avventure di un certo Lucio, che sperimenta con la magia e viene accidentalmente trasformato in un asino; e si estende per tre degli undici libri di cui è costituito il romanzo. La favola, come il resto de Le metamorfosi, ha nel libro un significato allegorico: Cupido - identificato con il corrispondente greco Eros, signore dell'amore e del desiderio -, unendosi a Psiche - ossia l'anima - le dona l'immortalità. Tuttavia questa, per giungervi, dovrà affrontare quattro durissime prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi.\nGià il nome Psiche (in greco ψυχή significa 'anima') allude al significato mistico della storia, e riconduce alle prove che la donna dovrà affrontare nel corso della storia, simbolo delle iniziazioni religiose al culto di Iside.\nAnche la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo racconto nel racconto con l'opera principale; è infatti facile scorgervi una 'versione in miniatura' dell'intero romanzo: come Lucio, protagonista del Le Metamorfosi, anche Psiche è una persona simplex et curiosa; inoltre, entrambi compiono un'infrazione, alla quale seguirà una dura punizione. Solo in seguito a molte peripezie potranno raggiungere la salvezza.\n\nUna fiaba berbera.\nApuleio non faceva mistero di essere mezzo numida e mezzo getulo, anche se la lingua in cui componeva le sue opere letterarie era il latino.\nLa fiaba di Amore e Psiche è indubbiamente debitrice al genere della fabula Milesia e i riferimenti letterari delle sue opere sono perlopiù relativi alla cultura greco-latina, ma è altrettanto indubbio che può essere riscontrato anche qualche elemento nordafricano.L'antropologia culturale ha oggi gli strumenti per tentare tale recupero a posteriori: in verità, della cultura letteraria indigena di quei tempi ben poco si sa, dal momento che si espresse prevalentemente a livello orale. Amore e Psiche, per la sua natura esplicitamente dichiarata di 'fiaba' (che nel romanzo viene raccontata da una vecchina), ha molte probabilità di riflettere aspetti di questa cultura orale.\nE difatti, numerosi elementi ricompaiono, identici o con minimi scarti, anche nelle fiabe di tradizione orale del Nordafrica raccolte e messe per iscritto in tempi recenti. Mouloud Mammeri ha più volte sottolineato l'affinità tra la fiaba di Apuleio e un racconto cabilo assai noto, L'uccello della tempesta. A sua volta, tale racconto ha forti affinità con un'altra trama nordafricana, diffusa soprattutto in Marocco, vale a dire Ahmed Unamir e come veicolo di lingue e culture (dove peraltro i generi sono invertiti: l'eroe è un maschio e la consorte misteriosa una femmina). Entrambe le fiabe si limitano alla prima parte del racconto, e si concludono quindi con la cacciata, senza più speranza di ritorno, del coniuge troppo curioso. Ma esistono anche versioni più 'complete', per esempio Fiore splendente, della Cabilia orientale, che prosegue fino al lieto fine conclusivo. Interessanti sono qui le congruenze con le peripezie dell'eroina in cerca dello sposo presso la suocera, che in questo caso non è la dea Venere, bensì l'orchessa Tseriel. Nel suo peregrinare, la fanciulla (Tiziri 'Chiaro di Luna') si imbatte, tra gli altri in alcuni pastori che le mostrano greggi che sarebbero state riservate a lei, se solo non fosse stata troppo curiosa. Questo dettaglio, perfettamente inserito nella fiaba odierna, potrebbe forse spiegare la presenza, abbastanza slegata dal contesto, del dio Pan (il dio pastore) nel punto corrispondente di Amore e Psiche." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amore e psiche (romanzo).\n### Descrizione: Amore e psiche è un romanzo di Raffaele La Capria pubblicato nel 1973. Esistente in tre versioni, di cui la prima inedita, è considerato il lavoro più tormentato e meno amato dall'autore.\n\nTrama.\nLa vicenda si svolge a Roma nell'arco di una giornata di un anno imprecisato, ma verosimilmente nei primi anni settanta: sono descritti infatti cortei e manifestazioni politiche violente tipiche degli anni di piombo. Il protagonista del romanzo, di cui si ignora il nome, è uno scrittore di mezza età, funzionario di un ente culturale («la scrivania è ingombra di manoscritti e copioni da leggere»), che vive in un appartamento in una zona residenziale con la moglie, una figlia, e una donna di servizio che si prende cura della casa. L'uomo sospetta la moglie di tradimento o quanto meno di scrivere lettere d'amore a qualcun altro. L'uomo, che soffre inoltre di problemi di vista e udito, cerca di risolvere con pacatezza crisi domestiche e familiari. Si rende conto che il suo matrimonio è in crisi, ritiene ormai inevitabile la separazione e non vorrebbe coinvolgere la figlia ancora bambina. L'uomo ha un amico, Gianni, originario di Napoli, uomo colto ma con gravi problemi psichici ed esistenziali. L'uomo sta scrivendo un romanzo, che tuttavia teme di non riuscire mai a portare a termine per difficoltà nel raccontare i propri sentimenti personali. Mentre si reca a prelevare la figlia dalla scuola pomeridiana, l'uomo resta coinvolto in una manifestazione politica violenta nel corso della quale si sorprende a lanciare un sasso a cui seguono un'esplosione immediata e la morte di Gianni. In un'atmosfera onirica l'uomo tenta di interpretare il significato della propria esistenza.\n\nGenesi dell'opera.\nLa versione di Amore e psiche del 1973, data della prima edizione, è in realtà una riscrittura: da una lettera di Raffaele La Capria a Geno Pampaloni datata 18 giugno 1973 sappiamo che c'era stata una prima versione del romanzo, molto più lunga rimasta inedita. Una terza versione, frutto di cancellazioni e riscritture, sarà ancora più breve e sarà pubblicata nel 1979 nella collana 'Tascabili Bompiani'. Nel romanzo si fa ricorso a tecniche (flusso di coscienza, monologo interiore, polifonia, tempo della memoria, tempo lineare, , ec.) e a motivi dell'avanguardia letteraria (il doppio, lo specchio, l'io diviso, l'alienazione, ecc.). La Capria rimarrà deluso dei risultati ottenuti soprattutto a causa dell'impalcatura tecnica da cui non è riuscito a liberarsi, «utilizzata per puro artificio letterario» e ha deciso di cambiare strada, innanzitutto non scrivendo più romanzi.\nAlcuni frammenti di Amore e psiche si troveranno, sotto forma di apologo, dapprima nella raccolta Fiori giapponesi (per esempio i racconti «Dolore», «La figura perduta», «Diario», «Gli acufeni») e successivamente nella raccolta Lo stile dell'anatra.\nNel 1973, all'epoca della pubblicazione della prima edizione, La Capria aveva 50 anni, si era separato dalla prima moglie, si era risposato, viveva a Roma e lavorava alla Rai. Come per altri lavori di La Capria, i critici hanno associato le vicende del romanzo a momenti vissuti dall'autore: «così, per esempio [...] scorgeva nel plot di Amore e psiche la sua prima moglie e la Roma degli anni Cinquanta», 'Gianni' è certamente ispirato al poeta Gianni Scognamiglio, un poeta di talento nato nel 1922 e morto in un manicomio di Venezia nel 1976, amico di La Capria fin dagli anni giovanili. Curiosamente Pasolini riteneva il personaggio di Gianni «preso dalla cronaca più retorica, di peso, senza necessità e senza nemmeno lo sforzo di una reinvenzione».\n\nCritica.\nA giudizio di Silvio Perrella «si può ben dire che tra i libri di La Capria, Amore e psiche sia il più tormentato e di sicuro il meno amato dall'autore». Il romanzo ha avuto giudizi favorevoli e fu finalista al Premio Campiello del 1973. Pier Paolo Pasolini, pur tra giudizi positivi («La Capria sa raccontare come pochi altri [...] la vita quotidiana [...] di una piccola famiglia della borghesia dell'élite intellettuale») accusò invece Raffaele La Capria di aver subito il ricatto della moda dell'avanguardia e di aver così prodotto un meta-romanzo «completamente, anche se non malamente, fallito». La Capria, in una lettera privata a Pasolini, respingerà l'accusa di aver cedute a una moda culturale. Tuttavia più tardi giudicherà Amore e psiche troppo «intellettualistico» affermando in un'intervista che «è l'unico libro che vorrei non aver scritto».\n\nEdizioni a stampa.\nIn lingua italiana.\nRaffaele La Capria, Amore e psiche, Coll. Letteratura moderna, Milano: Bompiani, 1973, 163 p.\nRaffaele La Capria, Amore e psiche, Collezione Tascabili Bompiani n. 172, Milano: Tascabili Bompiani, 1979, 135 p.\nRaffaele La Capria, «Amore e psiche». In: Tre romanzi di una giornata (Contiene: Un giorno d'impazienza; Ferito a morte; Amore e psiche), Coll. Supercoralli, Torino: Einaudi, 1982, ISBN 88-06-05383-3.\nRaffaele La Capria, «Tre romanzi di una giornata: Amore e psiche». In: Raffaele La Capria, Opere; a cura e con un saggio introduttivo di Silvio Perrella, Coll. I Meridiani, Milano: A. Mondadori, 2003, pp. 307-96, ISBN 88-04-51361-6.\n\nTraduzioni.\n(FR) «Amour et psyché»; traduzione di Michel Sager, Les Lettres Nouvelles nn. 3, 4, 5 novembre, Paris: Denoël, 1976.\n(EN) «This Has Nothing to Do with Me»; traduzione di Kathrine Jason. In: Name and Tears & Other Stories: Forty Years of Italian Fiction, Saint Paul (Minnesota): Greywolf Press, 1991." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ampelo.\n### Descrizione: Ampelo (AFI: /ˈampelo/; dal greco antico ἄμπελος?, ámpelos, 'cespo di vite') è una figura della mitologia greca.\nGiovane amato da Dioniso, morì accidentalmente, cadendo dal dorso di un toro imbizzarrito o da una vite sulla quale si era arrampicato per cogliere un grappolo d'uva, a seconda della versione del mito che si vuole accreditare. Nella prima variante, riportata da Nonno, Ampelo fu poi trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino.\nStando a Ovidio, invece, Dioniso lo tramutò nella stella detta Vindemiatrix in latino e in italiano «vendemmiatrice», della costellazione della Vergine; il riferimento pare essere in realtà invece ad una delle stelle della costellazione 'Vindemitor o Vindiatrix' (meglio conosciuto come Boote, la barca del cielo). Ampelose (singolare: Ampelos) erano anche una varietà di Amadriadi.\n\nMito.\nSecondo Nonno, Ampelo fu il primo amore di Dioniso. Il giovane, tenuto all'oscuro della natura divina del suo compagno, era coetaneo del dio e lo superava in bellezza. I due vivevano fra satiri e sileni presso il fiume Pattolo, in Lidia o forse in Frigia (Nonno confonde spesso le due regioni turche). Lo stesso Dioniso era incerto sulle origini del fanciullo: poteva appartenere alla stirpe dei satiri, tanto che aveva la coda, ma più probabilmente era figlio di Selene, dea della luna, ed Elio (divinità), il sole.Il dio era perdutamente innamorato di Ampelo, e di lui gelosissimo, ma temeva continuamente per la sua vita, presentendone un destino simile a quello di Ila, Giacinto e Ganimede, tutti giovinetti amati da divinità o semi-divinità, sottratti prematuramente alla vita terrena. I due compagni si confrontavano quotidianamente in una varietà di giochi, dalla lotta alla caccia, che Dioniso volentieri lasciava vincere al suo favorito. In occasione di una gara di corsa cui parteciparono Ampelo e due satiri, Cisso e Leneo, il dio intervenne per rallentare i rivali e garantire così la vittoria all'amato. Per colpire l'attenzione del suo amante, Ampelo si cimentava cavalcando tigri, orsi e leoni. Il dio, gli raccomandò però di guardarsi, nei suoi giochi, soprattutto dalle corna del toro.\nDioniso aveva infatti ricevuto un segno dell'imminente morte del giovane: al dio era apparso un drago cornuto, che scagliava un cerbiatto adagiato sul proprio dorso contro le pietre di un altare, uccidendolo. Intuendo nella apparizione un presagio del destino che attendeva il giovane, il dio fu sul punto di piangere per la futura perdita, ma alla vista del sangue che arrossava la pietra dell'altare, e che preannunciava il dono del vino, eruppe in un riso di gioia.\nSu richiesta di Era, matrigna di Dioniso, la dea Ate, l'Errore, che si trovava in Frigia da quando Zeus furibondo ve l'aveva scagliata, si presentò ad Ampelo sotto le spoglie di un giovane satiro e gli consigliò di provare a cavalcare un toro, persuadendolo che con ciò si sarebbe guadagnato la predilezione del dio e la possibilità di guidarne il cocchio, che era stato affidato a Marone.\n\nAmpelo allora si accostò a un toro che si abbeverava presso il Pattolo; dalle fauci dell'animale colava sul corpo del giovane un rivolo d'acqua, simbolo della fatica cui i buoi sarebbero stati costretti per irrigare le vigne. Ampelo ornò il capo del toro di narcisi e anemoni, fiori germogliati in seguito alla morte di Narciso e Adone, entrambi giovinetti che erano stati cari agli dei; infine gli montò in groppa.Mentre galoppava sul dorso del toro, vedendo la luna, si prese gioco di Selene, che per punizione mandò un tafano a pungere il toro; l'animale, imbizzarrito, disarcionò Ampelo, lo trafisse con le corna e lo scagliò contro delle rocce, finché la testa non si staccò dal corpo. Dioniso, disperato, asperse la ferita con l'ambrosia, il nettare degli dei, la cui dolcezza si sarebbe poi trasfusa nel vino. Eros, per consolarlo, raccontò al dio affranto la storia di un altro bellissimo fanciullo, Calamo, tramutatosi in canna a seguito di un amore sfortunato provato nei confronti di un altro ragazzo come lui.\nFrattanto le Ore, personificazione divina delle quattro stagioni, si recavano presso loro padre, Elio, custode delle profetiche tavolette di Armonia. Una di loro, Autunno, avrebbe presto avuto il capo adorno di tralci di vite, poiché era giunto il tempo del vino, previsto nell'ultima raffigurazione della terza tavoletta, che segnava l'avvento di una nuova era del mondo: vi era infatti rappresentata la Vergine, segno zodiacale di transizione fra l'estate e l'autunno, con in mano un grappolo d'uva.\nI lamenti di Dioniso giunsero a commuovere Atropo, una delle Moire, filatrici del destino di ogni creatura. Costei diede nuova vita al corpo di Ampelo, che subito mise radici e si trasformò in un tralcio di vite, scampando così al regno oscuro di Ade. Il dio strinse fra le mani un grappolo d'uva, e dal nuovo frutto stillò un succo che aveva la stessa dolcezza dell'ambrosia, e che donava l'ebbrezza: il vino, scaturito dal sangue versato dall'amato, aveva fatto la sua prima comparsa sulla terra.\nCisso, il satiro con cui Ampelo aveva gareggiato, si sarebbe trasformato nell'edera che si avvolge alla vite, mentre Calamo, la canna, l'avrebbe sostenuta contro il vento.\nOvidio, oltre a precisare che Ampelo era figlio di un satiro e di una ninfa, racconta una versione diversa del mito: Dioniso e il suo favorito vivevano sui monti Ismari, in Tracia; il dio aveva affidato ad Ampelo un rampicante che pendeva dalle foglie di un olmo. Il giovane, arrampicatosi sull'albero per cogliere il frutto del rampicante, perse l'equilibrio e morì nella caduta: la pianta prese così il nome di Ampelo, «vite». Dioniso, addolorato, tramutò il giovane nella stella Vindemiatrix.\nLa Vindemiatrix, appartiene alla costellazione della Vergine; la sua apparizione a oriente, subito prima dell'alba, segnalava un tempo l'inizio del periodo della vendemmia, a settembre; a causa della precessione degli equinozi oggi sono le stelle della costellazione del Leone a comparire in quella posizione all'inizio dell'autunno.\n\nOmaggi.\nIn suo onore è stato chiamato anche un asteroide, il 198 Ampella scoperto nel 1879." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Amphilogiai.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Amphillogiai (greco antico: Ἀμφιλλογίαι; singolare: Amphillogia) erano le dee delle controversie. Teogonia di Esiodo le identifica come figlie di Eris e sorelle di Ponos, Lete, Limos, Algea, Hysminai, Makhai, Phonoi, Androktasiai, Neikea, Pseudea, Logos, Disnomia, Ate, e Horkos." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ampice.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ampice (in greco antico: Ἄμπυξ, Àmpüx) era un lapita figlio di Elato, padre di Mopso l'argonauta e probabilmente anche di Idmone.\n\nMitologia.\nAmpice sposò Cloride e da lei ebbe un figlio, Mopso, veggente e profeta, futuro Argonauta. Per tale discendenza Mopso è anche detto Ampicide.\nAmpice era uno dei lapiti che cercò di rapire Piritoo il giorno del suo matrimonio, quando cercò di rapire la sposa si imbatte nei centauri, combattendoli fino allo stremo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anaideia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Anaideia (in greco antico: Ἀναίδεια?) è la personificazione dell'inverecondia. Gli ateniesi ne fecero una divinità, simboleggiata da una pernice." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anarada.\n### Descrizione: Lʾanarada è una creatura immaginaria, spesso di aspetto mostruoso, la cui credenza è diffusa nella Calabria greca (Bovesia).\n\nAspetto, origine ed etimologia.\nIl termine anarada o nadara è riconducibile al greco moderno νεράιδα (specie di fata) e alle forme dialettali ανεράδα e αναράδα. Il termine deriva dal greco classico νηρείς -δος indicante la ninfa marina (nereide), tuttavia la voce grecanica si riferisce ad una creatura ben diversa che si aggira nei boschi: un fantasma, ma anche un essere dall'aspetto di donna coi piedi di mula, inoltre secondo la tradizione si nutrirebbe divorando la gente. L'ambiente in cui si dice che queste creature vivano le avvicina piuttosto alle ninfe Oreadi e Orestiadi (delle montagne) o alle Driadi e le Amadriadi (degli alberi) che alle Nereidi.\n\nTestimonianze letterarie.\nTraduzione:.\n\nDa Testi neogreci di Calabria (TNC), pp. 300-301." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anassibia (figlia di Atreo).\n### Descrizione: Anassibia (in greco antico: Άναξίβια?, Anaxíbia) od anche Anasibia ed Astioche è un personaggio della mitologia greca, figlia del re miceneo Atreo e di Erope e sorella di Menelao ed Agamennone.\n\nMitologia.\nSposò Strofio un re della Fòcide e divenne madre di Pilade.\nIgino la chiama Clitemnestra.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anasso.\n### Descrizione: Anasso (in greco antico: Ἀναξώ?, Anaxó) e citata anche come Lisidice od Euridice, è un personaggio della mitologia greca, figlia di Alceo re di Tirinto e di Astidamia.\n\nMitologia.\nAnasso sposò Elettrione (suo zio, in quanto fratello del padre) e da lui ebbe dieci figli: Alcmena (la madre di Eracle), Anfimaco, Archelao, Stratobate, Gorgofone, Filonomo, Celeneo, Lisinomo, Chirimaco e Anattore." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anceo (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Anceo (in greco antico: Ἀγκαῖος?, Ankàios) è un personaggio della mitologia greca ed uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio del dio Poseidone e di Astipalea (secondo Apollonio Rodio), o di Altea (secondo Igino) e fratello di Euripilo.\nSposò Samia, figlia di Meandro che gli diede i figli Perilao, Enudo, Samo, Aliterse e la figlia Partenope, quest'ultima divenne la madre di Licomede.\n\nMitologia.\nPartecipò alla spedizione degli argonauti e prendendo il posto di timoniere dopo la morte di Tifide dopo la sua morte.\nSamo, l'isola in cui viveva, era famosa per il suo vino così Anceo piantò una vigna sulle sue terre e un indovino gli predisse che di quei frutti non ne avrebbe mai assaggiato.\nAnceo si unì al viaggio degli Argonauti ed al suo ritorno dalla Colchide seppe che le sue uve erano già mature e che erano state trasformate in vino.\nConvocò il veggente e di fronte a di lui portò una tazza di vino alla bocca per assaggiarlo, ma prima lo derise e questi replicò 'C'è molto cammino tra la coppa e il labbro' (Πολλὰ μεταξὺ πέλει κύλικος καὶ χείλεος ἄκροu).\nSubito dopo si senti un allarme poiché un cinghiale (il Cinghiale calidonio) stava devastando la vigna e udendo ciò, Anceo lasciò cadere la coppa e andò a vedere.\nFu travolto ed ucciso dal cinghiale ." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anceo il piccolo.\n### Descrizione: Anceo (in greco antico: Ἀγκαῖος?, Ankaîos) è un personaggio della mitologia greca, detto 'il piccolo' partecipò alla spedizione degli argonauti ed alla caccia al cinghiale calidonio dove trovò la morte.\n\nGenealogia.\nAnceo, cugino del suo omonimo e figlio di Poseidone Anceo, fu soprannominato 'il piccolo' per essere distinto da lui.\nFiglio del re di Arcadia Licurgo e di Cleophyle od Eurinome o di Antinoe, sposò Iotis che lo rese padre di Agapenore, il futuro comandante dell'esercito di Arcadia durante la guerra di Troia.\n\nMitologia.\nAnceo ascoltò l'appello degli araldi di Giasone che era cerca di eroi per il suo viaggio in Colchide e volle parteciparvi ma suo nonno Aleo, che si opponeva al viaggio, nascose le sue armi ed armature, così si vestì con la pelle di un orso e porto un'ascia a doppio taglio come arma.\nPartecipò anche alla caccia al cinghiale calidonio, dove all'inizio contestò la presenza di una donna (Atalanta) e poi intervenne gridando senza alcuna paura per affermare che il modo di cacciare degli altri non fosse quello giusto. Pensò di far vedere agli altri come si agisce e scagliò la sua lancia contro il mostro, ma il cinghiale lo colpì in pieno sventrandolo. Così Anceo cadde a terra e morì dopo pochi attimi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anchise.\n### Descrizione: Anchise (in greco antico: Ἀγχίσης?, Anchísēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Dardania ed il suo nome significa 'curvo' oppure 'storto'.\nAnchise, oltre ad essere citato nella mitologia greca (ed essere il protagonista della leggenda in cui Zeus lo rese zoppo), è anche un personaggio della mitologia romana poiché viene indicato come padre di Enea.\n\nGenealogia.\nFiglio di Capi e di Temiste (oppure di Ieromnene), divenne padre di Enea e di Lirno (o Liro) avuti da Afrodite , nonché di Ippodamia (moglie di Alcatoo), quest'ultima avuta da Eriopide.\n\nMitologia.\nGiovinezza.\nEroe di Troia, era cugino di Priamo in quanto ambedue discendenti da Dardano. In gioventù partecipò alle campagne militari contro le Amazzoni.\nLa dea Afrodite s'innamorò di Anchise, allora giovane e bellissimo, che si stava recando a pascere le sue mandrie nei pressi di Troia e per convincerlo a corrispondere il suo amore aveva assunto le vesti di una principessa frigia. Poi, prima di procreare Enea, rivelò ad Anchise la sua vera identità e gli preannunziò che il nuovo arrivato avrebbe avuto fama eterna. L'amore della dea per Anchise è narrato nell'Inno omerico ad Afrodite. Secondo la leggenda, Anchise, ubriaco, osò vantarsi del suo amore con la dea durante una festa e Zeus per punirlo lo colpì con un fulmine rendendolo zoppo (cfr. anche Omero, Iliade II, 819 ss.; V, 3 11 ss.; Esiodo, Teogonia 1008 ss.).\nPrima che nascesse Enea, Anchise si era sposato con Eriopide, dalla quale ebbe numerose figlie, la maggiore delle quali si chiamava Ippodamia. Anchise non disdegnò nemmeno la compagnia di alcune schiave, che gli diedero alcuni figli, tra cui Elimo ed Echepolo. Per l'aggravarsi delle condizioni di salute affidò il piccolo Enea al genero Alcatoo perché se ne occupasse. La moglie Eriopide morì prima che scoppiasse la guerra di Troia.\n\nUltimi anni e morte.\nNella drammatica notte della caduta di Troia, Enea caricò Anchise sulle spalle, fuggendo quindi dalla città in fiamme. Anchise infatti secondo alcune fonti era anche diventato cieco, oppure, secondo altre, paralitico.\nAnchise morì a Drepano (l'odierna Trapani) e il figlio gli diede onorata sepoltura sul monte Eryx (dove ora sorge Erice) in cui vi era un tempio consacrato ad Afrodite. Oggi sulla spiaggia dove egli morì si può vedere la stele che ricorda l'evento. La stele, detta appunto stele di Anchise, si trova presso la contrada Pizzolungo, che fa parte del Comune di Erice.\nSecondo quanto afferma Virgilio, Enea, disceso vivo nell'aldilà con l'aiuto della Sibilla, incontra il padre che gli dà le profezie sulla grandezza di Roma.\n\nDiscendenza di Anchise.\nNell'arte.\nIncendio di Borgo, affresco di Raffaello Sanzio.\nEnea, Anchise e Ascanio, gruppo marmoreo di Gianlorenzo Bernini.\n\nOmaggi.\nIl comune di Roma gli ha intitolato una via." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Androgeo (Eneide).\n### Descrizione: Androgeo è un personaggio dell'Eneide citato nel secondo libro.\n\nIl mito.\nAndrogeo è uno dei tanti condottieri achei che assediano Troia nella decennale guerra scoppiata in seguito al ratto della spartana Elena da parte di Paride. Muore con tutti i soldati del suo drappello durante la presa della città. Imbattutisi nei compagni di Enea, li scambiano tragicamente per commilitoni; si accorgono dell'errore quando ormai è troppo tardi, e vengono facilmente abbattuti. Corebo e Dimante, due compagni di Enea, spoglieranno Androgeo delle sue armi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Androktasiai.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Androktasiai (greco antico: Ἀνδροκτασίαι; singolare: Androktasia) erano le personificazioni femminili delle stragi.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project: Androktasiai, dee greche o spiriti di omicidio colposo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Andromaca (Euripide).\n### Descrizione: Andromaca (Ἀνδρομάχη) è una tragedia di Euripide. Il personaggio principale è Andromaca, della quale viene narrata l'esistenza da prigioniera negli anni successivi alla guerra di Troia.\n\nTrama.\nDopo l'uccisione del marito Ettore e del figlio Astianatte, Andromaca viene fatta prigioniera da Neottolemo, re dell'Epiro e figlio di Achille. Dopo aver avuto un figlio (chiamato Molosso) con il re, Andromaca incorre nella gelosia di Ermione, sposa di Neottolemo. Costretta a fuggire con il figlio, si rifugia nel tempio di Teti.\nUna schiava informa Andromaca del pericolo che corre, dato che Menelao, padre di Ermione, è partito alla sua ricerca con l'intenzione di ucciderla. Andromaca invia una schiava con un messaggio di aiuto per l'anziano re Peleo, nonno di Neottolemo e fa nascondere suo figlio presso degli amici. In questo momento arriva Ermione e accusa Andromaca di essere la causa della sua sterilità e, di conseguenza, dell'odio che suo marito le porta. Andromaca replica che la ragione di questo odio non dipende che dall'orgoglio di Ermione e dalle sue gelosie. Ermione, col fine di ucciderla, istiga Andromaca ad uscire dal recinto sacro. Menelao appare con il figlio di Andromaca e questa, per salvare la vita di Molosso, finalmente esce allo scoperto e viene catturata.\nArriva l'anziano Peleo, che prende le difese di Andromaca e di suo figlio. Ne scaturisce una discussione con Menelao, al quale rimprovera di essersi lasciato rubare una poco di buono come Elena e di aver scatenato per lei una guerra, di cui molte famiglie greche ancora portano il lutto. Menelao risponde che Andromaca è, a conti fatti, moglie di Ettore. Ma Peleo libera le mani di Andromaca dai legacci che le stringono e Menelao, lungi dall'impedirglielo, annuncia la sua partenza per Sparta, promettendo però di ritornare quando Neottolemo sarà in casa per potergli chiedere di castigare Andromaca.\nErmione, tra la partenza del padre e il timore di essere ripudiata una volta che Neottolemo saprà del suo tentativo di eliminare Andromaca, cerca di togliersi la vita. A questo punto arriva Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, che si dirige all'oracolo di Dodona. Di passo per Ftia, Oreste cerca notizie di Ermione, che gli era stata promessa da Menelao, prima che cambiasse opinione e la desse a Neottolemo. Ermione cerca e trova la sua protezione, mentre Oreste pianifica di far uccidere suo marito.\nLa notizia della morte di Neottolemo arriva con un messaggero che ne informa Peleo. Oreste aveva fatto circolare la voce tra la popolazione di Delfi che il figlio di Achille aveva l'intenzione di distruggere il tempio di Apollo. Quando Neottolemo arriva a Delfi per offrire sacrifici al dio, vi è trucidato dalla popolazione inferocita. Finalmente appare Teti che ordina a Peleo di farsi forza e di dedicarsi alla propria discendenza che riunisce il sangue di tre dinastie (quella di Zeus, di Ilio e di Peleo stesso). Il re andrà a Delfi per inumare suo nipote Neottolemo, Andromaca si sposerà con Eleno (un figlio di Priamo che era scampato al massacro di Troia) e andrà a vivere col figlio in Molossia. A Peleo viene annunciato che, quando finirà i suoi giorni, raggiungerà Teti in fondo al mare per essere assunto a divinità.\n\nDatazione.\nEsistono varie teorie riguardo alla datazione dell'opera: tradizionalmente la si colloca durante la guerra del Peloponneso nel periodo tra il 431 e il 424 a.C. adducendo come causa il tono antispartano che permea l'opera. Secondo altre ipotesi l'opera risalirebbe 428 a.C., anno dell'alleanza con i Molossi, oppure alla mancata restituzione di Anfipoli a seguito della pace di Nicia, attorno al 421/420 a.C. Altre date considerate possibili sono il 418 a.C. o il 411 a.C.\nLuciano Canfora ipotizza che l'opera sia stata scritta dopo la presa di Melo così come Le troiane. L'astio presente nell'opera nei confronti degli spartani non sarebbe infatti adducibile alla sola mancata restituzione della città tracica (furono infatti i suoi abitanti e non gli spartani a rifiutare di tornare nella lega) ma si riferirebbe al mancato aiuto di Sparta a Melo nel 416 a.C. Andromaca infatti sarebbe un riferimento alle donne di Melo che ricevettero la stessa sorte delle donne troiane del mito ed in particolare allo scandalo di Alcibiade, il quale prese una di queste schiave e la costrinse ad essere sua concubina così come Neottolemo fece con la principessa troiana. Ciò spiegherebbe l'astio verso gli spartani espresso da Andromaca e in particolare il verso 449 dell'opera che definisce gli Spartani 'troppo fortunati in Grecia' e pertanto evidenzia una voluta analogia tra i fatti presenti e l'opera." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,### Titolo: Andromaca (Paisiello).\n### Descrizione: Andromaca è un'opera lirica di Giovanni Paisiello. Alcune fonti attribuiscono il libretto a Giovanni Battista Lorenzi da Antonio Salvi.\nFu rappresentata al Teatro San Carlo di Napoli il 18 novembre 1797 con Giacomo David.\nUna copia della partitura si trova alla Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Andromaca (Zeno).\n### Descrizione: Andromaca è un libretto d'opera seria in cinque atti, scritto da Apostolo Zeno e musicato da Antonio Caldara.\nL'opera fu rappresentata al Teatro della Favorita di Vienna il 28 agosto 1724, il giorno del compleanno dell'imperatrice Elisabetta Cristina, con le scenografie di Antonio Galli da Bibbiena.\nIl testo recava in appendice una Licenza, panegirico in cui venivano magnificate le virtù della sovrana, « Augusta » tale che nel dipingerla « la lode al ver non giunge e ne dispera ».\nL'Andromaca fu musicata, dopo che dal Caldara, da vari compositori; tra le versioni è celebre quella di Francesco Feo (1730). Rispetto ad altri drammi dello Zeno, l'opera ebbe una minor fortuna musicale, ma fu tra le più stampate e antologizzate.Nell'Argomento posto come introduzione, l'autore rivela di essersi ispirato a due celebri omonime tragedie, quella di Euripide e quella di Racine, presentando tuttavia un dramma indipendente, con una trama e una struttura sensibilmente modificate.\n\nTrama.\nAtto primo.\nTroia, dopo la guerra: nella città in rovina vivono segretamente Astianatte e Telemaco, figli rispettivamente di Andromaca e Ulisse. A loro, Andromaca non ha mai rivelato la vera identità - Telemaco fu rapito in fasce all'inizio del conflitto -, cosicché entrambi riconoscono in lei la madre e disprezzano l'astuto eroe di Itaca, il quale sta giungendo per uccidere Astianatte e ottenere vendetta, accondiscendendo inoltre al volere dei Greci, timorosi di dover un giorno affrontare nel fanciullo un nuovo Ettore.\nPirro, figlio di Achille e re dell'Epiro, tiene Andromaca in schiava ed è in procinto di sposarsi con Ermione, figlia di Menelao, ma è innamorato della vedova di Ettore e non vuole acconsentire a un matrimonio impetrato da tutta la Grecia. Ermione, allora, si reca da Andromaca ponendola di fronte a un bivio: la fuga da Troia o la morte. La donna troiana, che mantiene piena fedeltà verso il defunto marito e rigetta l'amore del sovrano, rifiuta tuttavia l'ipotesi dell'allontanamento, preoccupata per la salvezza del figlio e ostile ad un atto di codardia. Il principe troiano Eleno, intanto, manda a chiamare Pirro, avvisandolo del pericolo in cui si trova l'amata; questi sopraggiunge in aiuto della sua prigioniera.\n\nAtto secondo.\nUlisse e Oreste giungono a Troia. Oreste spera di ottenere la mano di Ermione, che ama ricambiato, ma Ulisse cerca di distoglierlo dai suoi sogni, ricordando quali nozze voglia la Grecia. Il guerriero di Itaca si reca quindi da Pirro per esortarlo a compiere il suo dovere, ma il re dell'Epiro conferma le voci secondo cui egli ha disposto il rientro di Ermione in patria e il suo matrimonio con Andromaca.\nPirro, in seguito, rivela ad Andromaca di aver capito che Astianatte non è morto, come la madre vuole invece far credere; promette quindi di salvarlo dalla furia di Ulisse, qualora la donna ceda al suo amore. Andromaca si oppone tuttavia alle attenzioni del figlio di Achille - l'uccisore del marito - ed Eleno la convince a nascondere Astianatte e Telemaco nella tomba di Ettore.\n\nAtto terzo.\nErmione chiede ad Oreste di manifestarle il suo amore vendicando il rifiuto di Pirro, che offre al figlio di Agamennone la donna in sposa. Ulisse riesce a smascherare Andromaca, a scoprire che il figlio è vivo e ad individuarne il nascondiglio. Tuttavia, grande è la sua sorpresa quando dall'avello escono due fanciulli. Uno di essi, gli rivela Andromaca, è Telemaco - creduto morto dal padre -, ma Ulisse non ha modo di identificarlo, poiché entrambi gli rivolgono parole di disprezzo. Ulisse è in preda all'incertezza; si sente intrappolato in un dilemma senza soluzione, conscio di dover rinunciare alla vendetta o al figlio, incorrendo parimenti in un sacrificio inaccettabile.\n\nAtto quarto.\nUlisse, assistito dal fido Eumeo, riesce con uno stratagemma a smascherare Astianatte e, sotto gli occhi della madre disperata, ordina che il fanciullo sia condotto sulla torre di Ilio e fatto precipitare. Telemaco, però, è corso di nascosto ad avvertire Pirro, il quale giunge sulla scena minacciando di ucciderlo qualora Astianatte venga gettato dalla torre. Ulisse acconsente ad abbandonare i suoi propositi, purché Pirro sposi Ermione, relegando Andromaca e il ragazzo in terra desolata e lontana. Partito il re di Itaca, Pirro costringe Andromaca a convolare con lui a nozze, se non vuole essere privata del figlio.\n\nAtto quinto.\nErmione, indignata per il prossimo rifiuto, incarica Oreste di uccidere Pirro. Il figlio di Agamennone, seppur riluttante, accetta di accontentare l'amata. Andromaca, le cui nozze con Pirro si avvicinano, confida a Eleno di volersi togliere la vita subito dopo il matrimonio, sottraendosi così a un legame che profanerebbe la sua unione con Ettore e lasciando il figlio in buone mani. Eleno, segretamente innamorato della donna troiana, avverte il sovrano epirota delle sue intenzioni; questi, allora, capisce di non poter costringere Andromaca a un vincolo forzato, e la lascia partire in compagnia di Astianatte ed Eleno.\nPirro, che è a conoscenza del complotto di Ermione e Oreste, acconsente alle nozze con la promessa sposa - cosicché, per Oreste, la punizione coinciderà con la privazione della donna amata -, e rende Telemaco ad Ulisse. Ognuno riguadagna la propria patria, rallegrandosi del lieto scioglimento degli eventi. Il solo Oreste « nel gaudio comun » sospira.\n\nEdizione di riferimento.\nAposto Zeno, Andromaca, in Drammi scelti (a cura di M. Fehr), Bari, Laterza, 1929, pp. 191–248." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Andromaca prigioniera (Leighton).\n### Descrizione: Andromaca prigioniera (Captive Andromache) è un dipinto a olio realizzato dal pittore inglese Frederic Leighton nel 1888 circa. Nel 1889 venne acquistato dal consiglio della città di Manchester per 4000 sterline e attualmente si trova alla galleria d'arte mancuniana.\n\nDescrizione.\nCome molte tele dell'artista, il soggetto è tratto dalla mitologia greca, in questo caso dal ciclo troiano. Da sinistra verso destra donne e fanciulle si recano ad attingere l'acqua da una fontana rettangolare. Al centro si staglia una donna avvolta da un manto nero, che guarda una famiglia alla fonte, in particolare una madre con un bimbo tra le braccia che accarezza il volto del padre. Quella donna è Andromaca, la vedova dell'eroe troiano Ettore e la madre del piccolo Astianatte, gettato dalle mura di Troia quando gli Achei espugnarono la città. In effetti, l'opera si rifà a un passo dell'Iliade nel quale Ettore pensa al fato di sua moglie nel caso fosse morto in battaglia, immaginandosela mentre porta dell'acqua a una fontana a lei aliena.Le donne nella parte destra del dipinto indossano vestiti con sfumature color pesca, rosa e bordò, mentre quelle nella parte sinistra indossano delle vesti blu, verdi e violacee. In basso a sinistra si trova una donna anziana che sta filando e che osserva la vedova troiana. Sullo sfondo è presente un paesaggio montuoso incorniciato da due file di alberi ai lati e pieno di nuvole. Se molte figure femminili sembrano distendersi come se fossero prive di ossa, l'anziana e alcune figure maschili presentano una fisionomia molto più realistica. Il formato orizzontale dell'opera dà alla composizione l'aspetto di un fregio, come quelli che decoravano i sarcofagi antichi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Andromaca.\n### Descrizione: Andromaca (in greco antico: Ἀνδρομάχη?, Andromáchē, 'colei che combatte gli uomini') è un personaggio della mitologia greca. Fu principessa di Tebe Ipoplacia.\nI miti e la tradizione hanno delineato un ritratto sconsolato, rammaricato ed eternamente perseguitato di Andromaca, una figura toccante per essere destinata a perdere tutti i suoi cari.\nIn contrasto con la relazione tra Elena e Paride, quella tra Andromaca ed Ettore coincide con l'ideale greco di un matrimonio d'amore felice e di reciproca fedeltà, che intensifica la tragedia che condivideranno. Andromaca è stimata dai troiani per la sua fedeltà coniugale, la sincerità e la bontà d'animo. Si sforza sempre per trovare una soluzione ai problemi, è una figura razionale e realista.\n\nGenealogia.\nFiglia di Eezione, sposò Ettore e fu madre di Astianatte, Laodamante e Ossinio; in seguito come concubina di Neottolemo divenne madre di Molosso Pielo e Pergamo.Da Eleno infine, ebbe un figlio, chiamato Cestrino.\n\nMitologia.\nAndromaca fu mandata dal padre a Troia per dare un erede ad Ettore in un matrimonio combinato, ma subito se ne innamorò. In altre fonti fu Ettore stesso ad andare a Tebe, portandole numerosi doni e chiedendole la mano.\nLa figura di Andromaca compare per la prima volta nell'Iliade (libro VI), mentre scongiura il marito Ettore di combattere rimanendo sulla difensiva contro Achille e di fermarsi all'albero di caprifico (fico selvatico), nel punto in cui le mura di Troia sono più deboli, ma egli riesce a farla desistere dai suoi intenti, ricordandole il suo ruolo di sposa e di madre, e di non abbattersi e lasciare le faccende riguardanti la guerra a lui, poiché Ettore, in qualità di principe ereditario, è costretto a combattere.\n\nCirca un anno dopo il suo arrivo a Troia, un'incursione achea contro gli alleati d'Ilio le aveva sterminato il padre Eezìone e tutti i fratelli maschi a eccezione di Pode. La casata di Priamo divenne quindi il suo unico supporto e la sua unica famiglia a cui far riferimento. Andromaca perse poi sia Pode che Ettore, uccisi nel decimo anno della guerra di Troia rispettivamente da Menelao ed Achille, ma le sue tragedie continuarono anche dopo che gli Achei conquistarono la città: il figlio Astianatte le fu strappato da Neottolemo, che seguendo il consiglio di Odisseo lo gettò dalle mura della città per evitare che la stirpe di Priamo avesse una discendenza.\nUna volta che la città fu rasa al suolo, gli Achei si spartirono le donne della casa reale ed Andromaca fu fatta schiava di Neottolemo che fece di lei la sua concubina. Ma Andromaca non dimenticò mai l'amore che provava per Ettore, e questo generò in Neottolemo una grande rabbia. La bellezza di Andromaca scatenò anche la gelosia di Ermione, la promessa sposa di Neottolemo. Dopo che fu abbandonata da Neottolemo sposò Eleno e divenne madre di Cestrino.Nell'Eneide virgiliana Enea incontra Andromaca che ha ritrovato la pace elevando un cenotafio al defunto Ettore e sposando in terze nozze Eleno, il fratello indovino di Ettore, che regna sulla rocca di Butrinto. Gli esuli vi hanno costruito una piccola Troia per ritrovare quella patria e quella famiglia dalla quale le vicende di una rovinosa guerra li avevano allontanati con violenza.\nNella tragedia di Jean Racine Andromaca, il mito di Andromaca ritrova la sua etica e il suo lirismo.\n\nTragedie.\nAndromaca di Euripide.\nAndromaca di Jean Racine.\nAndromaca di Pavel Katenin.\nLe troiane di Euripide.\nLe troiane di Lucio Anneo Seneca.\n\nPoesia.\nAndromaca è invocata da Charles Baudelaire nella sua poesia Il cigno, contenuta ne I fiori del male. Il poeta paragona a quella della principessa mitologica la propria sofferenza, nata dal trauma di una Parigi in frenetico cambiamento. Il componimento si apre con: Andromaca, è a te che penso!.\n\nOpere musicali.\nAndromaca di Antonio Caldara.\nAndromaca di Francesco Feo.\nAndromaca di André-Ernest-Modeste Grétry.\nAndromaca di Vicente Martín y Soler.\nAndromaca di Giovanni Paisiello.\nAndromaca di Antonio Maria Gaspare Sacchini.\nErmione di Gioachino Rossini.\n\nCinema.\nAndromaca è impersonata in una libera interpretazione cinematografica dell'Iliade, Troy di Wolfgang Petersen, dall'attrice Saffron Burrows.\nIl mito di Andromaca è reinterpretato in chiave moderna nel film The Old Guard, con Charlize Theron nel ruolo principale." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Androne (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Androne era il nome del figlio di Anio e Dorippa.\n\nNella mitologia.\nAndrone, fratello delle Vignaiole, le tre ragazze che ebbero come dono da Dioniso il poter creare olio, vino e grano all'infinito, fu discepolo di Apollo per quanto riguarda l'arte mantica, come già suo padre. Divenne successivamente re di Andro.\nQuando le sue sorelle furono rapite da Odisseo, secondo una tradizione esse fuggirono trovando nel regno del fratello un rifugio sicuro. La versione più diffusa narra invece che vennero trasformate in colombe da Dioniso affinché appunto non cadessero di nuovo in mano agli Achei." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anello di Gige.\n### Descrizione: L'anello di Gige è un oggetto magico menzionato da Platone nel secondo libro del suo dialogo la Repubblica. Questo anello garantiva il potere di diventare invisibili.\nSi tenga presente che Platone è l'unico autore ad associare a Gige questo particolare anello magico, associazione del tutto assente nel resoconto fornitoci da Erodoto sull'omonimo personaggio.\n\nIl mito.\nGige, antenato del Lidio omonimo, era un bovaro al servizio del re di Lidia, Candaule. Dopo un nubifragio e un terremoto, nel luogo dove Gige stava pascolando il suo armento, si aprì una voragine; meravigliato e spinto dalla curiosità, il pastore entrò e scoprì che tra le meraviglie di quel luogo sotterraneo vi era anche un enorme cavallo di bronzo nel quale si trovava il cadavere di un individuo di proporzioni sovrumane con un bellissimo anello d'oro al dito, di cui si impadronì.\nUscito dalla caverna, nel metterlo, scoprì per caso che girando il castone dalla parte interna della mano, diventava invisibile a chiunque, effetto che scompariva quando di nuovo girava il castone verso l’esterno. Godendo del potere dell’invisibilità, riuscì a sedurre la regina, che lo aiutò ad uccidere Candaule e a divenire il nuovo Re della Lidia.\n\nLa morale.\nNella Repubblica, Platone mette la storia dell'anello di Gige in bocca a Glaucone, che la usa per dimostrare che nessun uomo è così virtuoso da poter resistere alla tentazione di compiere azioni anche terribili, se gli altri non lo possono vedere. Partendo da questo, Glaucone arriva a dire che la moralità è solo una costruzione della società, che l'uomo rispetta per paura delle conseguenze e delle sanzioni. Una volta che queste sono eliminate, quando nessuno può vedere ciò che fai, la morale viene meno, e l'uomo si rivela per quello che è in realtà.\nSecondo lui, infatti, se questo anello venisse dato a due uomini, uno giustissimo e l'altro empio, questi si comporterebbero alla stessa maniera, liberi dal peso di dover render conto a qualcuno delle loro azioni. Si è giusti solamente sotto costrizione, poiché l'ingiustizia e il non rispetto delle leggi è più utile e vantaggioso, singolarmente parlando.\n\nEffetto Gige.\nLa locuzione indica il dato psicologico per cui l'anonimato su Internet induce quella disinibizione del comportamento online che trasforma un utente in un troll. L''effetto Gige' trova la sua base teorica negli studi compiuti, all'inizio degli anni novanta, dagli psicologi Martin Lea e Russell Spears. I due studiosi elaborarono un modello (SIDE, Social Identity of Deindividuation Effects) che è tuttora usato per spiegare i fenomeni di aggressività in rete. Secondo questo modello, l'anonimato online fa agire l'utente non come individuo, ma come membro di una comunità. Questa perdita della consapevolezza di sé sarebbe all'origine della disinibizione che favorisce il comportamento ostile degli utenti di Internet." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anfesibena.\n### Descrizione: L'anfesibena o anfisbena è un mitico serpente dotato di due teste, una ad ogni estremità del corpo, e di occhi che brillano come lampade. Secondo il mito greco, l'anfisbena fu generata dal sangue gocciolato dalla testa della gorgone Medusa quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico.\nL'anfesibena come creatura mitologica e leggendaria è stata citata da Marco Anneo Lucano e Plinio il Vecchio. Viene citata, inoltre, da Dante nel canto 24 dell'Inferno, da Borges nei suoi Manuale di zoologia fantastica e Il libro di sabbia e da Giorgio Manganelli in Centuria e in Dall'inferno. È stata citata anche da Francesco Guccini nel suo ultimo album L'ultima Thule.\nIl nome deriva dal latino amphisbaena, greco ἀμϕίσβαινα, composto di ἀμϕι- «anfi-» e βαίνω «andare», quindi che significa 'che va in due direzioni'.\n\nAraldica.\nLa rappresentazione araldica ordinaria dell'anfesibena, detta più correntemente 'anfisbena', è quella di un serpente disposto a forma di 5 o di S, inanellato e con una seconda testa al termine della coda. Le due teste gli permettono di procedere sia in avanti che all'indietro senza differenza. Quando una testa dorme, l'altra resta sveglia in guardia.\nLe due teste sono abitualmente di smalto oro o argento, quella superiore, e nero, quella inferiore. Questa rappresentazione simboleggia la vittoria del Bene sul Male. Nella sua forma più completa l'anfisbena mostra la parte luminosa alata e quella oscura membrata, cioè con un paio di zampe scagliose. Quando è rappresentata con le due teste unite, queste non sono differenziate e, dunque, lo smalto non ha rilevanza.\nL'anfisbena può essere blasonata sia con gli attributi dei carnivori sia con quelli degli uccelli." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anfiarao.\n### Descrizione: Anfiarao (in greco antico: Ἀμφιάραος?, Amphiáraos, o Anfirao) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Oicle (o, secondo un'altra versione, di Apollo) e di Ipermnestra.\n\nMitologia.\nAnfiarao aveva avuto in dono da Apollo la preveggenza e diventò l'indovino della città di Argo e dove aveva sposato Erifile (la sorella del re Adrasto), che gli diede due figli, Anfiloco e Alcmeone. Grazie alle sue doti, Anfiarao previde il fallimento della spedizione dei Sette contro Tebe e rifiutò di accompagnarli ma la presenza di Anfiarao era necessaria, poiché serviva un'ultima persona fidata che presidiasse la settima porta di Tebe.\nAnfiarao si nascose in un luogo noto solo a sua moglie ma essa si fece corrompere da Polinice che in cambio della rivelazione del nascondiglio le promise la collana dell'eterna giovinezza, appartenuta ad Armonia.\nAnfiarao fu costretto a partire, ma prima di iniziare il fatale viaggio chiese a suo figlio Alcmeone di vendicare la propria morte uccidendo la madre.\nUna volta a Tebe, Anfiarao ebbe l'incarico di attaccare la porta di Omoloide, ma fu sconfitto e le sue truppe disperse. Anfiarao fu costretto alla fuga e solo l'intervento di Zeus impedì che venisse ucciso dai soldati tebani. Il dio decise di farlo precipitare in una fossa aperta con uno dei suoi fulmini, e fece sì che quel luogo diventasse sacro, con un oracolo. Anfiarao cadde nelle viscere della terra e precipitò direttamente nell'Oltretomba al cospetto di Minosse, che se lo vide arrivare con l'armatura e il carro da guerra.\nLa sua storia è raccontata da vari poeti, la versione più celebre è forse quella nella Tebaide di Stazio.\n\nOracolo.\nLa città di Oropo gli dedicò un santuario (Amphiareion), che ospitava il cosiddetto oracolo di Anfiarao, il quale dal V al I secolo a.C. ebbe in Grecia notevole importanza.\n\nDivina Commedia.\nDante Alighieri citò Anfiarao come primo esempio di indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno. Egli è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro, in contrappasso con il suo potere 'preveggente' in vita. Dopo di lui viene citato anche il suo rivale nell'assedio di Tebe, Tiresia, mago e astrologo tebano.\n\nBronzi di Riace.\nÈ stata formulata l'ipotesi che uno dei due Bronzi di Riace, custoditi presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, raffiguri proprio Anfiarao." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anfidamante (argonauta).\n### Descrizione: Anfidamante (in greco antico: Ἀμφιδάμας, Amphidàmās) era un eroe di Tegea, figlio di Aleo e di Neera e fratello di Auge, Cefeo e Licurgo (secondo alcuni autori) mentre secondo altri Anfidamante stesso è figlio di Licurgo re di Arcadia.\n\nMitologia.\nPadre di Antimache e di Melanione (un altro argonauta), partecipò secondo Apollonio Rodio alla spedizione di Giasone per il recupero del vello d'oro ed alla spedizione degli Argonauti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anfiloco (figlio di Anfiarao).\n### Descrizione: Anfiloco (in greco antico: Ἀμϕίλοχος?, Amphílochos) è un personaggio della mitologia greca che partecipò alla guerra di Troia.\n\nMitologia.\nFratello di Alcmeone e figlio di Erifile, fu uno degli epigoni che parteciparono alla spedizione contro Tebe.\nFu anche uno dei partecipanti alla guerra di Troia e fu scelto come fiero combattente su cui credevano i greci, fino a farlo rinchiudere nel cavallo di Troia fatto costruire da Ulisse.\nAlcuni ritengono il figlio di Anfiarao uno dei responsabili della morte di Erifile sua madre (che fu uccisa da Alcmeone). Si racconta che in punto di morte lei maledisse il solo Alcmeone anche se in suo aiuto c'era suo fratello Anfiloco.\nL'eroe è anche ricordato per la sua abilità di veggente. A pari del padre, fu ucciso da Apollo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anfinomo e Anapia.\n### Descrizione: Anfinomo e Anapia (in greco antico: Ἀμφίνομος?, Amphínomos e Ἀναπίας, Anapías), detti in latino Pii fratres ('fratelli pii') o fratres Catanenses ('fratelli catanesi'), sono due fratelli protagonisti di un racconto mitologico.\n\nMito.\nAnfinomo e Anapia vivevano nella città di Catania, ai piedi dell’Etna.\nIn una eruzione del vulcano, il fuoco raggiunse ed incendiò Catania. Mentre gli abitanti cercavano di salvare le proprie ricchezze, i due fratelli pensarono solamente a porre in salvo i loro genitori. L’uno caricò il padre, l’altro la madre sulle spalle, fuggirono attraverso le fiamme che divoravano tutte le case della loro strada. Gli Dei, mossi dalla pietà filiale di questi due fratelli, fecero sì che le fiamme non li toccassero, lasciando loro libero il passaggio.Anfinomo e Anapia si resero tanto celebri per tale azione, che vennero chiamati 'pii' e Siracusa e Catania iniziarono a disputarsi l’onore di aver loro dato culla e fecero gara nell'innalzare templi alla pietà filiale in memoria di tale avvenimento.L'episodio, narrato nell’Appendix Vergiliana, era ben noto nell'antichità come esempio di pietas, cioè la devozione filiale. Era considerato un vanto di Catania ed era spesso rappresentato in monete battute in questa città.\n\nRaffigurazioni numismatiche.\nOltre a due denari e alla moneta di bronzo di Katane, esiste anche un'altra moneta di Catania legata a questo episodio. Presenta al diritto Dioniso e al rovescio i pii fratres." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anfione.\n### Descrizione: Anfione (in greco antico Ἀμφίων Amphìōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Zeus e Antiope (a sua volta figlia di Nitteo di Tebe e di Polisso).\nSecondo la tradizione, è ricordato come gentile d'animo e cultore della musica e della poesia.\n\nMitologia.\nAntiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi conobbe della gravidanza della figlia così si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto e quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul Monte Citerone dove li trovò un pastore che e li prese con sé. Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe, dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato vacante dalla morte di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da schiava, ma riuscì a fuggire e ritornare dai suoi figli.\nDivenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico. Poi attaccarono Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I fratelli divennero i nuovi re di Tebe, ma fu Anfione il vero governatore della città. Essi fondarono anche le mura della città, che fino ad allora aveva solo una rocca, detta Cadmea: Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono magico della sua lira. Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di Tebe, sia per la capacità di incantare gli animali selvaggi, sia per il potere ordinatore che costringeva i massi a prendere spontaneamente il loro posto nelle mura di una città. Anfione e Zeto governarono in accordo le due città. Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo ed ebbero quattordici figli, sette maschi e sette femmine; sua moglie si insuperbì per questo e osò paragonarsi alla dea Latona, la quale aveva solo due figli, Artemide ed Apollo, sentendosi superiore ad essa. Offesa, la dea ordinò ai suoi figli di sterminare la progenie dei sovrani. A seguito della strage dei suoi amati figli, Anfione impazzì e tentò di distruggere il tempio di Apollo, venendo ucciso dal dio stesso, mentre Niobe, distrutta dal dolore, fu mutata in pietra, per poi essere trasportata in Frigia sul monte Sipilo, dove ancora non cessa di piangere." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anfisso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Anfisso (in greco antico: Ἄμφίσσος) era il nome di uno dei figli di Apollo e di Driope.\n\nIl mito.\nApollo, dio dalle molte abilità, figlio di Zeus un giorno si giacque con Driope che custodiva un gregge, e per sedurla dovette trasformarsi in diversi animali, dalla loro unione nacque Anfisso.\nIl ragazzo una volta cresciuto diventò il fondatore della città di Eta, e subito per dimostrare riconoscenza al padre eresse nella città un grande tempio dedicato al dio. Sua madre divenne sacerdotessa proprio in quel tempio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anfizione.\n### Descrizione: Anfizione (in greco antico: Ἀμφικτυών?, Amphiktyṑn) è un personaggio della mitologia greca, successe a Cranao divenendo il terzo mitologico re di Atene.\n\nGenealogia.\nSecondo figlio di Deucalione e Pirra, nonostante ci sia anche una tradizione che lo indica come autoctono (nato dalla terra) ed è anche descritto come figlio di Elleno, figlio di Deucalione e Pirra.\nPausania sostiene che sposò la figlia di Cranao, e che ebbe un figlio di nome Itono e taluni aggiungono che Anfizione ebbe un altro figlio, Fisco, da Ctonopatra, la figlia di suo fratello Elleno ma altri, al contrario, sostengono che Fisco fu nipote di Anfizione e figlio di Etolo.\nSempre Pausania scrive che ebbe anche una figlia, che divenne madre di Cercione e Trittolemo, anche se a entrambi sono assegnate anche diverse ascendenze. Robert Graves cita infine Metanira come figlia di Anfizione.\n\nMitologia.\nAnfizione era re delle Termopili e sposò una figlia di Cranao di Atene. Secondo alcuni resoconti questa figlia si chiamava Attide, nonostante ciò entri in conflitto con altre fonti che quest'ultima morì giovane e vergine non sposata.\nAnfizione si proclamò re di Atene nell'epoca conosciuta come Cecropia, (dopo il semiumano Cecrope e Cranao, quest'ultimo suo suocero e da lui deposto) e città su cui avrebbe regnato tra il 1497 a.C. e il 1487 a.C..\nAnfizione è ricordato anche come il capostipite delle genti greche assieme ad Elleno e per aver cambiato il nome della città (in Atene, in onore della dea Atena), una volta salito al trono.\nAnfizione regnò su Atene per dieci o dodici anni e fondò la Lega anfizionica, che nell'antichità si riuniva per tradizione alle Termopili. Si pensava che, durante il suo regno, Dioniso avesse visitato Anfizione ad Atene e gli avesse insegnato come diluire il vino con l'acqua nelle giuste proporzioni. Anfizione fu deposto da Erittonio, un altro re autoctono di Atene." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Anfora panatenaica.\n### Descrizione: Le anfore panatenaiche sono anfore prodotte per contenere l'olio sacro che nell'antica Grecia veniva consegnato come premio agli atleti vincitori dei giochi panatenaici. Prodotte a partire dalla metà del VI secolo a.C. (nel periodo dei ceramografi Kleitias e Lido) e decorate con la tecnica a figure nere, questi vasi ufficiali mantennero tradizionalmente questo tipo di decorazione fino al II secolo a.C. Sono giunte sino a noi centinaia di anfore panatenaiche, la prima databile al secondo quarto del VI secolo a.C. (le gare di atletica sono state introdotte alle Panatenee nell'anno 566 a.C.), l'ultima all'età ellenistica. Era una commissione statale dunque molto remunerativa per il ceramista che la riceveva. Metà delle anfore giunte sino a noi è stata ritrovata in Attica, molte, data la loro preziosità, furono vendute e portate altrove.\nLa forma essenziale del vaso con il corpo ampio, il collo corto e sottile, la base affusolata e il piede piccolo rimase la stessa nel corso dei secoli, cambiò invece la parte decorativa che si adattava col tempo al cambiamento del gusto. I temi delle decorazioni rimasero gli stessi: sul fronte la figura di Atena, in atteggiamento bellicoso, tra due colonne sormontate da galli (le colonne potevano riferirsi al tempio della dea o forse erano solo un supporto per i galli, simbolo di spirito combattivo) e con l'iscrizione standard 'ton Athenethen athlon' ([io sono] dei Giochi Atenaici); sul retro veniva rappresentata una specialità dei giochi, quella in cui si era distinto il vincitore. A partire dal IV secolo a.C. queste opere recano la data della raccolta delle olive (indicata col nome dell'arconte), divenendo particolarmente utili per le datazioni; inoltre da questo momento solo le scene sul retro seguono l'evolversi dello stile mentre sul fronte la figura di Atena, a parte il cambiamento di profilo per cui inizia ad essere rivolta a destra anziché a sinistra, si allontana nel disegno dall'evoluzione stilistica contemporanea, seguendo una maniera tradizionale e arcaizzante, come accadde anche sulle contemporanee monete ateniesi.\n\nStoria e descrizione.\nL'Anfora Burgon (Londra B 130), così chiamata dal nome dello scopritore, è la prima anfora panatenaica giunta sino a noi; è stata vinta per una gara equestre e potrebbe essere antecedente al 566 a.C. È un vaso robusto e poco slanciato, una forma che si evolverà col tempo verso una maggiore eleganza la quale diverrà addirittura eccessiva nei modelli del tardo IV secolo a.C. L'immagine di Atena sull'Anfora Burgon è una figura massiccia con un peplo semplice, diritto e senza pieghe; la decorazione non è ancora canonica, non esistono le colonne ai lati della figura, non c'è la fascia di linguette sopra l'immagine e sul collo del vaso vi sono una sirena e una civetta invece del disegno floreale che diverrà canonico in seguito.\nUn'anfora panatenaica frammentaria conservata ad Halle, contemporanea dell'Anfora Burgon o leggermente posteriore, mostra sul retro una scena con tre velocisti robusti in un esempio di quell'atteggiamento nella corsa che appare per la prima volta in questo periodo, con la gamba davanti sollevata contemporaneamente al braccio corrispondente. Il disegno sul collo del vaso è floreale, ma non ancora di tipo canonico.\n\nIl successivo vaso completo è a Firenze e ancora non presenta le caratteristiche canoniche delle anfore di questa classe: assenza di colonne e iscrizione orizzontale sul retro, sulla parte anteriore del vaso un uomo nudo (il vincitore) si erge di fronte ad Atena come non avverrà più in seguito. Atena però ha già un tallone leggermente sollevato da terra, posizione che verrà mantenuta e che infonde un senso di movimento; la forma è ormai canonica anche per la fascia floreale sul collo che è del tipo a palmette in seguito comunemente accettato. L'anfora è stata attribuita a Lido: lo stile del disegno è molto simile al suo e specialmente ad una oinochoe tarda conservata a Berlino (Berlin 1732).\nCon l'anfora panatenaica del British Museum (London B 134) incontriamo il primo autore specializzato in questo tipo di produzione stando al notevole numero di queste anfore giunto sino a noi; viene chiamato Pittore di Euphiletos, dall'iscrizione kalos che su questa stessa anfora di Londra circonda la ruota del carro, emblema sullo scudo di Atena. L'Atena del Pittore di Euphiletos è una figura energica con molte pieghe nelle vesti che aumentano il senso del movimento e ha un elmetto meno semplice rispetto agli esempi precedenti. Il vaso era un premio per il pentathlon; le figure degli atleti sul retro del vaso appaiono slanciate e vivaci, ma ancora rigide nei movimenti.\n\nAlla fine del VI secolo a.C. appartengono le anfore panatenaiche del Gruppo di Leagros. L'Atena sul vaso di New York ha cambiato costume e indossa un chitone invece del peplo. Il bordo dello scudo non è più rosso, ma nero con punti rossi; l'emblema sullo scudo in tutte le anfore panatenaiche del Gruppo di Leagros è una sirena e da questo momento in poi ogni pittore tenderà a dipingerne uno unico e caratteristico.\nI due grandi pittori del periodo tardo-arcaico a figure rosse sono il Pittore di Kleophrades e il Pittore di Berlino. Un terzo artista a figure rosse che ha dipinto anfore panatenaiche è il Pittore di Eucharides. Del Pittore di Kleophrades ci sono giunte numerose anfore panatenaiche: l'emblema sui suoi scudi di Atena è sempre Pegaso. Le anfore panatenaiche del Pittore di Berlino appartengono al suo ultimo periodo, dopo il 480 a.C.; si tratta di una lunga serie di vasi premio, i primi attribuibili alla sua mano, quelli successivi ad un allievo e seguace, il Pittore di Achille. La prima delle anfore panatenaiche del Pittore di Berlino apparteneva alla collezione del marchese di Northampton presso Castle Ashby ed ora è a New York; mostra, nella scena della corsa sul retro, un esempio raro a questa data di movimento alternato braccio-gamba: in tutte e quattro le figure la gamba sinistra e il braccio destro vanno avanti insieme, e così la gamba destra e braccio sinistro.\nAlla fine del V secolo a.C. e all'inizio del IV lo stile attraversa una fase di decadenza. Ne è un esempio l'anfora del British Museum B 605 che è interessante però per l'emblema sullo scudo di Atena: rappresenta le statue in bronzo dei Tirannicidi eseguite da Crizio e Nesiote nell'anno 476 a.C. Lo stesso emblema si trova su due anfore panatenaiche dello stesso periodo ma eseguite da un pittore diverso. Si è pensato che la scelta di questo emblema commemorasse l'espulsione di altri tiranni, i Trenta, e il ripristino del regime democratico ad Atene, nell'autunno dell'anno 403 a.C; le anfore sarebbero state offerte come premi ai giochi panatenaici del 402 a.C.\nNel IV secolo a.C. inizia la pratica di inscrivere le anfore panatenaiche con il nome dell'arconte dell'anno in cui era avvenuta la raccolta dell'olio. Una delle più antiche anfore panatenaiche di questa nuova serie è l'anfora di Berlino (n. inv. 3980) che è stata datata, malgrado il pessimo stato di conservazione dell'iscrizione, al 392/1 a.C. (arconte Philokles). Le proporzioni di Atena, dopo una fase di assottigliamento eccessivo, tornano ad essere normali e il panneggio torna ad essere piano. I galli sono stati sostituiti da 'simboli', ovvero piccoli disegni che spesso riproducono una statua, che cambiano di anno in anno e possono essere paragonati ai 'simboli' presenti sulle monete.\nTra il 359 e il 348 a.C. viene introdotto un cambiamento nella figura di Atena dando inizio ad una nuova serie. La dea si volta ora a destra invece che a sinistra mostrando la parte interna dello scudo. La gonna si allunga e l'egida si riduce ad una semplice fascia incrociata con un piccolo gorgoneion al centro. Un mantello a coda di rondine viene indossato sopra le spalle; la coda di rondine non corrisponde a nulla di arcaico, ma diviene una caratteristica dei lavori arcaistici dall'inizio del IV secolo a.C. in poi. Da questo momento il verso delle anfore panatenaiche varia nello stile e nella composizione, ma il lato frontale si riduce ad uno schema.\nL'ultimo nome di arconte che appare, su un piccolo frammento, sulle panatenaiche esistenti, è Polemone, 312/311. Non si sa per quanto tempo ancora la pratica fosse rimasta in uso, le anfore panatenaiche ellenistiche portano i nomi di magistrati minori le cui date sono raramente note. Nel periodo ellenistico non solo lo stile, ma anche la qualità tecnica delle anfore diminuisce." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Angelia (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Angelia (in greco:Ἀγγελία), figlia di Ermes era lo spirito di messaggi, notizie e proclami." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aniceto (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aniceto (in greco antico: Ἀνίκητος) era il nome di uno dei figli di Eracle e di Ebe.\n\nIl mito.\nPrima che Eracle bruciasse sul rogo, Zeus impietosito prelevò il suo corpo e se lo portò con sé sull'Olimpo dove venne accolto benevolmente da tutti gli dei compresa Era. La sua rinascita e quindi la conquista dell'immortalità gli permette di unirsi in matrimonio con la dea della giovinezza, la bella Ebe, coppiera degli dei, figlia dello stesso Zeus ed Era. Da tale unione nacquero Alessiare o Alexiare e Aniceto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anima gemella.\n### Descrizione: Nell'amore romantico, per anime gemelle si intendono due persone fra cui esiste un'affinità spirituale e sentimentale talmente profonda da poter essere interpretata come segno che tali persone fossero predestinate ad amarsi. Nel linguaggio comune, lo stesso concetto viene comunemente espresso facendo riferimento alla metafora della 'mezza mela', per cui le due anime gemelle sono complementari come le due parti ottenute tagliando di netto una mela a metà. Il concetto di 'anima gemella' è in genere associato all'implicazione che esista un solo partner amoroso predestinato per ciascuna persona, e quindi è affine e correlato a quello di vero amore.\n\nIl Simposio.\nUna delle immagini classiche associate all'idea di 'anima gemella' è quella riportata nel Simposio di Platone, in cui viene riportato ed elaborato il mito greco degli androgini. Secondo questo mito, all'origine dei tempi gli esseri umani non erano suddivisi per genere, e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Col tempo gli ermafroditi cominciarono ad essere insolenti nei confronti degli dei e questi, per punizione, li separarono in due parti con un fulmine, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Come conseguenza, ogni essere umano cerca di ritrovare la propria iniziale completezza cercando la propria metà perduta. Secondo il mito però, gli esseri umani erano una coppia che poteva essere formata sia da due uomini sia da due donne." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anio (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Anio era il nome di uno dei figli di Apollo, e Creusa o Reo. Appare in diversi testi tra cui l' Eneide e le Metamorfosi.\n\nIl mito.\nNascita.\nAnio era il figlio del dio Apollo che generò con Reo figlia di Stafilo. Il padre avendo scoperto la figlia incinta la rinchiuse in un cofano e la gettò nel mare. Grazie ad Apollo il bimbo nacque e rimase in vita.\n\nRegno.\nAnio era primo sacerdote di Delo, grazie a suo padre, in seguito per eredità di Radamanto, divenne re della stessa città. Quando Menelao giunse da lui Anio predisse che la guerra che dovevano intraprendere sarebbe durata 10 anni. Per mezzo di lui 'fasciato alle tempie di bende e alloro', nell'Eneide (III, v. 80 e ss.), Enea e Anchise possono ascoltare a Delo l'oracolo di Apollo di 'seguire l'antica madre', l'antica terra di Dardano, avo dei Troiani (...antiquam exquirite matrem).\n\nDiscendenza.\nDa Dorippa, ebbe tre figlie, Elaide, Spermo e Eno, che « dedicò [...] a Dioniso, pensando fosse bene avere due dèi come protettori della famiglia »: in cambio, Dioniso donò alla prima il potere di trasformare in olio tutto ciò che toccava, alla seconda di tramutare tutto in grano, alla terza in vino. Per questo vennero chiamate le Vignaiole od Oinotrope. Grazie a loro Anio poté rifornire con le suddette provviste i greci che partivano per la guerra di Troia.\nAgamennone volle allora portare le Oinotrope con sé, ma Anio rispose a Menelao e Odisseo, ambasciatori giunti a Delo per conto del condottiero miceneo, che gli dèi avrebbero permesso la capitolazione di Troia solo dopo dieci anni. Gli Achei allora tentarono di rapire le fanciulle, che fuggirono e furono infine trasformate in colombe da Dioniso. Da quel momento Anio iniziò a parteggiare per i Troiani; ospitò tra l'altro Enea durante il suo viaggio verso l'Italia.\nAnio ebbe anche un figlio maschio, chiamato Androne, che divenne re di Andro ed ebbe come il padre poteri divinatori." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anite di Tegea.\n### Descrizione: Anite di Tegea (in greco antico: Ἀνύτη Τεγεᾶτις?, Anýtē Tegeâtis; Tegea, fine del IV secolo a.C. – III secolo a.C.) è stata una poetessa greca antica.\n\nBiografia.\nAnite, proveniente da Tegea, in Arcadia, fu autrice di epigrammi ed epitaffi, nonché, a quanto pare, di componimenti di ispirazione epica, tanto che l'epigrammista Antipatro di Tessalonica la inserì tra le nove muse terrene, definendola 'Omero donna'.Secondo molte fonti era a capo di una scuola di poesie e letteratura nel Peloponneso, di cui potrebbe essere stato allievo Leonida di Taranto, sicché ben si comprende come i suoi concittadini le avessero eretto una statua nel 290 a.C..\n\nEpigrammi.\nDiciannove dei suoi epigrammi, scritti in dialetto greco dorico, sono tramandati nel corpus dell'Antologia Palatina; altri due sono di attribuzione incerta.Singolari sono i toni epici della sua poesia, ispirata alle leggende dell'Arcadia, ma è ricordata soprattutto per la sensibilità dei suoi epigrammi funebri.\nTalvolta Anite evoca un paesaggio agreste, dipingendo vividamente la natura selvatica. Per prima sperimentò la fortunata commistione tra l'epigramma funebre e quello bucolico, dando vita a epitaffi delicati e patetici in cui narra l'ingiusta morte di animali, tema poi ripreso anche da Catullo nel Carme III del suo Liber.\n\nLa personalizzazione dell’epigramma è una delle più grandi innovazioni introdotte dalla poetessa: l'epitaffio passa dalla pietra alla letteratura trasformandosi in un genere soggettivo.\nTra le tematiche affrontate non manca l’attenzione per il mondo femminile, tipica di Saffo e poi anche di Nosside di Locri, e manifestata negli epitaffi dedicati alle fanciulle decedute poco prima delle nozze.\n\nPer concludere, non si può escludere che la poetessa si sia spostata dall’Arcadia, principalmente perché nei suoi epigrammi dimostra di conoscere la realtà marina, quando descrive una statua che guarda il mare. Questo dettaglio potrebbe far rientrare Anite nel novero delle 'poetesse vaganti' che si spostavano da una sede all'altra del mondo greco per diffondere i loro canti:.\n\nIn letteratura.\n\nAnite di Tegea poesia della scrittrice italiana Sabrina Gatti, tratta dalla raccolta La pioggia sui vetri, Sabrina Gatti, LDS Edizioni." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Antagora.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Antagora (in greco antico: Ἀνταγόρας) era il nome di uno dei figli di Euripilo.\n\nIl mito.\nAntagora, un semplice pastore di Coo, un giorno incontrò Eracle, gettato dalla burrasca sull'isola. Entrambi desideravano un ariete che passava vicino e decisero di disputare una gara di lotta per decidere a chi dovesse andare. Antagora fu aiutato da una schiera di Meropi e alla fine sopraffece Eracle, che dovette fuggire con abiti femminili, recuperati a casa di una donna, una certa matrona tracia.\nIn seguito, si rifocillò a dovere, si riposò e pieno di energie affrontò di nuovo i suoi avversari e li sconfisse duramente, purificandosi in seguito con il loro sangue.\n\nPareri secondari.\nSecondo altri autori l'ariete era del pastore ed Ercole propose di comprarla." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Antela.\n### Descrizione: Antela (in greco antico: Ἀνθήλη?) era un villaggio dell'antica Grecia, di cui racconta lo storico Erodoto nelle sue Storie.\n\nIl mito.\nSi racconta che tale villaggio sorgesse a metà strada fra il fiume Fenice e le Termopili. Vicino alla cittadina scorreva l'Asopo e si festeggiava Demetra Anfizionide.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nAnfizione era uno dei figli di Deucalione. Un mito racconta che il re fondò una lega che coinvolse 12 popoli dell'epoca. Tale consiglio si radunava due volte all'anno: a Delfi ed a Antela (in autunno). Tale modello in seguito verrà studiato anche da Dionisio di Alicarnasso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antemione.\n### Descrizione: Antemione (in greco antico: Ἀνθεμίων) è un pastore troiano menzionato nel IV libro dell’Iliade.\nEra il padre dell'eroe Simoesio, giovanissimo guerriero troiano che morì eroicamente durante uno dei tanti scontri nel decennale assedio della città, trafitto con la lancia da Aiace Telamonio.\n' Qui fu che Aiace Telamonio il figlio.\nd'Antemion percosse, il giovinetto.\nSimoesio, cui scesa dall'Idee.\ncime la madre partorì sul margo.\ndel Simoenta, un giorno ivi venuta.\nco' genitori a visitar la greggia;.\ne Simoesio lo nomâr dal fiume. '.\n(Omero, Iliade, libro IV, traduzione di Vincenzo Monti).\nNulla si sa sul destino di Antemione.\n\nVoci correlate.\nSimoesio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antenore.\n### Descrizione: Anténore è un personaggio della mitologia greca il cui nome è legato a vari miti.\n\nI miti.\nFiglio del re Dardano, Capi (oppure di un troiano di nome Aesiete), Antenore viene descritto nell'Iliade come un vecchio eminente e saggio troiano che implora i suoi concittadini affinché essi restituiscano Elena al marito, Menelao, per scongiurare il conflitto con gli Achei. Tale richiesta resterà inascoltata, per il prevalere del partito favorevole alla guerra, riunitosi intorno all'altro consigliere di Priamo, Antimaco.\nAntenore sposò Teano, adottando Mimante, il bimbo nato da un precedente matrimonio della moglie, dalla quale ebbe poi numerosi figli, tutti maschi, che presero parte alla difesa di Troia: a Coone, il maggiore, seguirono Glauco, Agenore (padre di Echeclo, pure lui guerriero benché ancora giovinetto), Archeloco, Acamante, Achelao, Eurimaco, Elicaone, Demoleonte, Laodamante, Laodoco, Anteo, Polibo, e Ifidamante, l'ultimogenito. Una versione lo dice padre pure di Laocoonte.\nSi unì anche ad una schiava, dalla quale ebbe un figlio di nome Pedeo, allevato con affetto dalla sua moglie legittima. Nei cinquanta giorni di guerra narrati nell'Iliade, Antenore perde sette figli e il nipote Echeclo.\nDa molti autori classici e medievali Antenore è indicato come un traditore. Ad esempio secondo le versioni di Ellanico, Servio Mario Onorato o Ditti Cretese, Antenore tradì i Troiani, consegnando ad Ulisse e Diomede il Palladio, talismano della invincibilità troiana, avendo in cambio salva la vita per sé e la propria famiglia. Dopo la distruzione di Troia, Antenore raggiunse il nord Italia (è considerato il fondatore di Padova e il capostipite dei Veneti). Secondo Tito Livio, invece, Antenore ottenne la libertà dagli Achei grazie al ruolo moderato che avrebbe svolto durante la guerra. Comunque siano andate le cose, egli giunse nel Veneto con la moglie, i figli superstiti e alcuni alleati dei Troiani (i Meoni di Mestle e i Paflagoni rimasti senza guida dopo la morte del loro comandante Pilemene), e fondò Antenorea, denominata in seguito Padova, dove poi morì. Qui sorgerebbe anche la sua tomba.\n\nProgenie di Antenore.\nLetteratura postclassica.\nDante Alighieri nominò Antenora la zona dell'Inferno (IX girone) dove sono puniti i traditori della patria prendendo spunto da leggende medievali legate al suo nome." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Anteros.\n### Descrizione: Nelle religioni dell'antica Grecia, Anteros (in greco antico: Ἀντέρως?, Antérōs) è il dio dell'amore corrisposto, e dell'amore che reclama e rivendica giustizia quando il sentimento d'amore viene tradito.\n\nIl mito.\nAnteros fa parte della schiera di Eroti, le divinità greche dell'amore. Secondo il mito, era nato spontaneamente dall'amore che il dio dei mari Poseidone e il suo auriga Nerito, unico figlio maschio del vecchio dio marino Nereo, nutrivano reciprocamente. Stando a un'altra versione - attestata per la prima volta solo in epoca tardo bizantina - era fratello di Eros, e dunque figlio di Afrodite: un giorno la dea andò a lamentarsi con Prometeo del fatto che il piccolo Eros non crescesse, così lo scaltro dio le rispose che Eros non sarebbe mai cresciuto finché non avesse avuto l'amore di un fratello. Afrodite diede così alla luce Anteros e da quel momento i due fratelli crebbero insieme. Questo tenero e pedagogico racconto insegna che l'amore (Eros) per crescere ha bisogno di essere corrisposto (Anteros).\nUna storia raccontata da Pausania rappresenta invece il lato oscuro del nome di Anteros. Un tempo, nella città di Atene, vivevano il cittadino Melete e il meteco Timagora. Quest'ultimo era perdutamente innamorato di Melete, che tuttavia sprezzava l'incondizionato sentimento del povero straniero. Un giorno Melete liquidò lo spasimante dicendogli di gettarsi da una rupe; ma quando venne a sapere che Timagora, disperato, aveva eseguito il volere dell'amato, preso dal rimorso si buttò giù dalla stessa rupe. Così, in ricordo di Timagora, i meteci eressero un altare e lo dedicarono all''Amore vendicato' (Anteros)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antica Libia.\n### Descrizione: Il nome Libia (in greco antico: Λιβύη?, Libyē; in latino Libia) si riferiva in antichità alla regione ad ovest del Nilo, corrispondente grosso modo al moderno Maghreb. Era conosciuta come 'Tjehenu' dagli antichi egizi.\nNel periodo ellenistico, i berberi erano conosciuti come libici. Le loro terre erano chiamate 'Libia' e si estendevano dal Marocco moderno ai confini occidentali dell'antico Egitto. L'Egitto moderno contiene l'oasi di Siwa, che faceva parte dell'antica Libia. La lingua siwi, una lingua berbera, è ancora parlata nella zona.\nPiù strettamente, il toponimo faceva riferimento al paese immediatamente ad ovest dell'Egitto, vale a dire la Marmarica (Libia Inferiore) e la Cirenaica (Libia Superiore). Il Mar Libico o Mare Libycum era la porzione del Mar Mediterraneo a sud di Creta, tra Cirene ed Alessandria d'Egitto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Antifate (Iliade).\n### Descrizione: Antifate (in greco antico: Ἀντιφάτης) è un personaggio della mitologia greca, menzionato nell'Iliade di Omero.\nAntifate era un guerriero troiano che combatté per la difesa della sua città assediata dagli Achei. Fu ucciso dal lapita Leonteo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antifo (figlio di Tessalo).\n### Descrizione: Antifo (in greco antico: Ἄντιφος?, Ántiphos) era un personaggio della mitologia greca. Acheo e figlio di Tessalo (un discendente di Eracle) e di Calciope figlia di Euripilo re di Coo.\n\nMitologia.\nAntifo parti per Troia assieme al fratello Fidippo (in quel periodo re di Coo) e dopo aver raccolto gli eserciti della loro città e quelli di Calimno, Scarpanto, Caso e Nisiro i due proseguirono al comando di trenta navi. Nei combattimenti Antifo venne ucciso da Ettore, o secondo altri autori da Sarpedonte.Di Antifo altri autori raccontano che riuscì a sopravvivere alla guerra e nel ritorno a casa una tempesta lo dirottò in una terra che in seguito chiamò con il nome di suo padre Tessaglia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antigone (figlia di Edipo).\n### Descrizione: Antigone (in greco antico: Ἀντιγόνη?, Antigónē) è un personaggio della tragedia greca, figlia del rapporto incestuoso tra Edipo, re di Tebe, e sua madre Giocasta. Antigone era sorella di Ismene, Eteocle e di Polinice.\nLa storia di Antigone inizia laddove termina la tragedia di Sofocle Edipo re, ovvero quando Edipo va in esilio. Quando Edipo si rese conto di ciò che aveva compiuto e cioè di avere ucciso il padre e avere sposato la madre, Giocasta, si accecò e, scacciato da Tebe, peregrinò per tutta l'Attica accompagnato dalle figlie Antigone e Ismene. Quando giunse presso il bosco sacro alle Eumenidi, nel quale era vietato l'ingresso ai profani, egli decise di entrarvi e perciò le Eumenidi stesse, irate, fecero strazio del suo corpo. Antigone a questo punto decise di ritornare a Tebe, dove era appena iniziata la guerra dei Sette contro la città, causata da discordie fra i suoi fratelli Eteocle e Polinice, che vicendevolmente si erano uccisi. Quando vi giunse Creonte, il nuovo re di Tebe, fratello di Giocasta, emanò un bando che proibì la sepoltura di Polinice poiché si era alleato per la battaglia contro il fratello con la città di Argo, lasciando il suo corpo giacente in pasto ai cani.\nAntigone decise di disobbedire agli ordini di Creonte e seppellire degnamente suo fratello Polinice. Chiese allora aiuto alla sorella Ismene, che però rifiutò per paura di essere scoperta e punita. Antigone diede un'onorata sepoltura al fratello ma venne scoperta. Il re diede così ordine di murarla viva in una grotta.\nIl promesso sposo di Antigone, Emone si recò da Tiresia, l'indovino cieco, che individuò la prigione-tomba dove venne rinchiusa, ma una volta aperta la fanciulla al suo interno era già morta. Alla vista del corpo, Emone, figlio di Creonte, si tolse la vita. In seguito, però, anche la madre di Emone, Euridice, decise di uccidersi, provocando così la disperazione di Creonte che rimase solo.\nAntigone è anche il personaggio principale della tragedia Antigone di Sofocle, la quale ispirò numerose successive tragedie omonime.\n\nGenealogia.\nAdattamenti.\nAntigone, una delle tragedie del Ciclo tebano di Sofocle (497 a.C. – 406 a.C.) - La versione più conosciuta.\nAntigone, tragedia di Euripide (ca. 480 – 406 a.C.) perduta ad eccezione di alcuni frammenti.\nAntigona tragedia perduta di Accio.\nAntigone, traduzione poetica del testo sofocleo di Luigi Alamanni (1520-1527).\nAntigona, opera di Tommaso Traetta, libretto di Marco Coltellini (1772).\nAntigone, tragedia di Vittorio Alfieri (1783-1789).\nAntigona, opera di Josef Mysliveček, libretto di Gaetano Roccaforte (1774).\nAntigone tragedia di Jean Cocteau (1889–1963).\nAntigone, opera di Arthur Honegger (1892–1955).\nAntigone, opera di Carl Orff (1895–1982).\nAntigone, di Walter Hasenclever (1917).\nΑντιγόνη (Antigone), opera di Mikīs Theodōrakīs (B. 1925).\nAntigone (1990/1991), opera di Ton de Leeuw (B. 1926).\nAntígona Furiosa (Antigone furiosa), tragedia di Griselda Gambaro (b. 1928), tradotta nel saggio di Ettore Mazzocca Antigone furiosa (2016).\nLa Pasión Según Antígona Pérez (The Passion according to Antigone Pérez), adattamento da Sofocle di Puerto Rican e Luis Rafael Sánchez (B. 1936), updated to 20th century Latin America.\nAntígona, tragedia di Salvador Espriu (1939).\nAntigone (1941-1943) dramma in un atto unico di Jean Anouilh.\nTegonni, An African Antigonedi Femi Osofisan (B. 1946).\nAntigone, adattamento da Sofocle dello scrittore peruviano José Watanabe (B. 1946).\nAntigone, adattamento di Bertolt Brecht della tragedia di Sofocle basato sulla traduzione di Friedrich Hölderlin e pubblicato con il titolo Antigonemodell 1948.\nAntigone, opera di Mark Alburger (B. 1957).\nAntigone, opera buffa di David Hopkins (B. 1977).\nAntigone di Henry Bauchau.\nAntígona Vélez (1950), adattamento da Sofocle dell'argentino Leopoldo Marechal (1900–1970).\nAntigonai (2009), opera incentrata su tre cori, più Antigone, diretta dall'argentino Carlos Stella.\n\nAltri progetti.\nWikiquote contiene citazioni di o su Antigone.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antigone.\n\nCollegamenti esterni.\nMoreno Morani, L'Antigone di Sofocle e le sue letture moderne, Nuovo Areopago, n. 3, autunno 1982, su rivistazetesis.it." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Antileone (personaggio mitologico).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Antileone (in greco antico: Ἀντιλέων) era uno dei figli di Eracle e di Procri.\n\nIl mito.\nEracle, famoso eroe greco, celebre per aver compiuto le dodici fatiche, un giorno ebbe una relazione con la figlia maggiore di Tespio, re di Tespie, marito di Megamede, figlia a sua volta di Arneo, che volendo assicurarsi un degno erede, forte e di discendenza divina riuscì a far giacere l'eroe greco con tutte le sue cinquanta figlie.\nL'unione nacque con l'inganno poiché Eracle era convinto che ogni volta giacesse con la sola Procri.\nDa tale unione nacquero Antileone e il suo gemello Ippeo, in compagnia di altri 49 fratelli.\nFu Antileone, essendo il figlio della sorella maggiore di tutte e cinquanta ed anche il primo nato fra i vari figli ad essere il successore del nonno con l'aiuto del gemello." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antiloco.\n### Descrizione: Antiloco (in greco antico: Ἀντίλοχος?, Antílochos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Nestore (quindi il suo patronimico era Nestoride) e di Anassibia, figlia a sua volta di Cratieo, o secondo altre leggende di Euridice.Fu un valoroso guerriero acheo amico di Achille; nel suo affetto veniva subito dopo Patroclo.\n\nIl mito.\nGiovinezza.\nAntiloco venne esposto sin da neonato sul monte Ida per volontà della madre, ma qui venne miracolosamente allattato da una cerbiatta. Essendo troppo giovane al tempo dello scoppio della guerra di Troia, egli non si imbarcò col padre durante la riunione ad Aulide, ma raggiunse gli Achei alcuni anni dopo, portando con sé da Pilo venti navi. Quando Nestore, adirato, scoprì che il figlio era giunto in Troade, Antiloco supplicò Achille di aiutarlo nel risolvere la questione. L'eroe riuscì a placare l'anziano re di Pilo, e infine presentò egli stesso il giovane Antiloco ad Agamennone.Nestore venne a conoscenza di un oracolo che lo metteva in guardia dall'esporre Antiloco agli Etiopi, alleati dei Troiani; per evitare la sua morte, l'anziano re assegnò al figlio uno scudiero, Calcone, il quale, tuttavia, si rivelò inutile a causa del suo tradimento.\n\nNella guerra di Troia.\nBello, agile nella corsa e in battaglia, Antiloco si distinse fra i combattenti achei contro Troia, uccidendo numerosi avversari. Nell'Iliade di Omero, Antiloco è il primo ad abbattersi sui troiani, scagliando contro di loro la sua lancia. Colpì alla fronte Echepolo, un giovane eroe troiano, trapassandogliela. Più tardi, alla vista dell'uccisione di due forti eroi achei, per mano di Enea, Antiloco accompagnò Menelao nella sua vendetta. Scagliò una pietra contro il giovane Midone, l'auriga di Pilemene (capo dei Paflagoni), colpendolo al gomito. Poi balzò su di lui e lo uccise con un colpo di spada alla tempia. Dopodiché, salì sul cocchio delle vittime (Pilemene era stato ucciso da Menelao) e lo portò via come bottino.\nQuando Ettore abbandonò la battaglia per tornare nella sua città, Antiloco uccise un altro troiano, Ablero, trafiggendolo con la lancia. Più tardi, nei combattimenti presso le navi, Poseidone, assunto l'aspetto di Calcante, l'indovino greco, incitò Antiloco insieme a tutti gli altri capi achei a respingere gli assalitori. Rinvigorito dalle sue parole, il giovane ritornò a combattere valorosamente e, quando Idomeneo uccise il giovane condottiero nemico Asio che aveva osato affrontarlo, Antiloco inseguì l'auriga della vittima e lo sventrò con un colpo di lancia, portandosi quindi via i suoi destrieri.\nNella battaglia che si tenne presso le navi achee con l'obiettivo da parte dei troiani di incendiarle per costringere i greci a ripartire subito, Antiloco osservò attentamente le mosse del nemico Toone, agile avversario, aspettò che si voltasse e gli recise con la spada la vena che corre lungo la schiena, così violentemente che la testa venne spiccata di netto e schizzò per aria insieme al sangue. Spogliò delle armi il caduto ma venne sorpreso dai nemici, che l'avrebbero sicuramente ucciso se non fosse intervenuto Poseidone salvandolo dalle loro lance. Solo la lancia di Adamante riuscì a fermare Antiloco, traforandogli però solo lo scudo. Allontanatosi per un certo tempo dalla battaglia, l'eroe vi ritornò uccidendo altri due guerrieri troiani, Falche e Mermero.\nPiù tardi, mentre si combatteva accanitamente tra le schiere per salvare o incendiare le navi degli Achei, Menelao spronò Antiloco per reagire al furioso attacco dei Troiani. Il figlio di Nestore si sollevò indignato, brandendo l'asta e palleggiandola davanti agli avversari. Mentre tutti fuggivano temendo la morte, l'eroe la scagliò, cogliendo al petto, vicino alla mammella, un fortissimo eroe troiano, figlio di Icetaone, Melanippo. Subito balzò sul suo cadavere per spogliarlo delle armi, ma quando vide Ettore correre verso di lui per vendicare il morto (che era suo cugino) si diede alla fuga. Antiloco uccise poi un giovane guerriero licio, Atimnio.\nAlla morte di Patroclo, Menelao ordinò all'eroe di portare la notizia della sua morte ad Achille nella sua tenda.\n\nLa morte.\nIn seguito, Antiloco combatté contro altri alleati dei Troiani, come le Amazzoni e gli Etiopi. Quando il re Priamo chiese aiuto al nipote Memnone, re degli Etiopi, questi subito giunse in Troade per venire in soccorso degli alleati. L'etiope si distinse in battaglia, uccidendo alcuni guerrieri nemici, fino a scontrarsi con Nestore che si trovava in un cocchio insieme al suo auriga. Memnone colpì dapprima il cavallo e poi il cocchiere. Nestore allora invocò l'aiuto del figlio Antiloco, il quale giunse appena in tempo per distrarre gli avversari dal padre e farlo fuggire. Tuttavia, Memnone avanzò per primo e gli attraversò il petto con un colpo di giavellotto, riuscendo anche ad impossessarsi del suo corpo. Il cadavere di Antiloco venne infatti spogliato dai nemici e sarebbe stato esposto ai cani se Achille non si fosse vendicato e lo avesse recuperato, uccidendo Memnone e disperdendo il suo esercito.\nSecondo altre leggende, Antiloco cadde ucciso in combattimento da Ettore (anche se stranamente l'Iliade non fa riferimento a ciò) oppure caduto contemporaneamente ad Achille, trafitto da una fatale freccia di Paride. Il corpo di Antiloco, arso su una pira funeraria insieme a quello di Memnone come avveniva per i funerali eroici, venne poi rinchiuso nell'urna contenente le ceneri di Achille e di Patroclo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antimaco.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Antimaco era il nome di un eminente troiano vissuto al tempo di Priamo, del quale era consigliere.\n\nMito.\nAntimaco, ricordato nell'Iliade quale padre dei giovani troiani Pisandro e Ippoloco, era famoso per il suo odio verso gli Achei.\nPrima di dichiarare guerra ai Troiani per il ratto di Elena, compiuto da Paride figlio di Priamo i Greci avevano cercato una soluzione pacifica inviando a Troia due illustri ambasciatori, Menelao ed Odisseo, abili a negoziare. Antimaco esortò i suoi concittadini a opporsi alle richieste degli Achei, avendo partita vinta sull'altro consigliere di Priamo, Antenore, contrario alla guerra. Sembra anche che Paride fosse in ottimi rapporti di amicizia con Antimaco e i suoi due figli.\nDurante la guerra di Troia, Pisandro e Ippoloco, che combattevano insieme su un carro, vennero fatti prigionieri da Agamennone e da lui massacrati senza pietà nonostante le loro suppliche di aver salva la vita.\n\nInterpretazione dell'episodio.\nNell'Iliade la figura di Antimaco è contrapposta a quella di Antenore: lo stesso vale per i loro figli. I due rampolli di Antimaco hanno ereditato i suoi sentimenti antiachei, ma moriranno da vigliacchi. I vari Antenoridi, invece, combattono da eroi pur disapprovando la linea intrapresa da Priamo. E dopo aver descritto la fine di Ippoloco che tenta invano di fuggire senza far nulla per salvare il corpo del fratello morto, Omero fa seguire un bellissimo esempio di amore fraterno che ha per protagonisti due dei tanti figli di Antenore, Ifidamante e Coone, con quest'ultimo che cercherà disperatamente di vendicare la morte dell'altro, venendo ucciso a sua volta.\n\nOmonimia.\nSempre nell'Iliade è menzionato un altro troiano di nome Antimaco, padre del guerriero Ippomaco, che fu ferito in battaglia da Leonteo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antinoe (figlia di Pelia).\n### Descrizione: Antìnoe era, nella mitologia greca, una delle tre figlie di Pelia, re di Jolco, e di Anassibia. Ebbe parte nella morte di suo padre.\nPelia venne infatti ucciso a causa dei perfidi consigli di Medea, la quale avea promesso ad Antinoe di risuscitarlo giovane." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Antioco (figlio di Eracle).\n### Descrizione: Antioco (in lingua greca Ἀντίοχος Antìochos) era un personaggio della mitologia greca e figlio di Eracle e di Meda che a sua volta era figlia di Filante, il re dei Driopi.\n\nMitologia.\nPadre di Filante (figlio a cui diede il nome del nonno), Antioco fu l'eponimo della decima delle dieci tribù di Atene istituite dalla riforma di Clistene e che da loro prese il nome di Antiochia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antiope (figlia di Nitteo).\n### Descrizione: Antiope (in greco antico Ἀντιόπη Antiòpē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di una divinità fluviale del fiume Asopo in Beozia secondo Omero o del re di Tebe Nitteo e di Polisso secondo altri.\n\nMitologia.\nAntiope fu sedotta da Zeus che le si presentò con le sembianze di satiro. Quando si accorse di essere incinta, per sfuggire alle ire del padre, si rifugiò presso Epopeo, il re di Sicione, dove ella partorì i due gemelli Anfione e Zeto. I due gemelli furono esposti ma presto raccolti e allevati da un pastore impietosito. Nitteo morì di dolore, lasciando l'incarico di andarla a riprendere al proprio fratello Lico. Questi fece guerra a Epopeo, lo uccise, riportò Antiope prigioniera a Tebe e ne abbandonò i figli sul monte Citerone.\nAntiope venne incatenata e maltrattata dallo zio Lico e da Dirce sua moglie, ma riuscì un giorno a fuggire incontrando i figli che, a sua insaputa, erano sopravvissuti allevati da un pastore. Essi vendicarono la madre uccidendo Lico e Dirce. Dioniso per questo punì Antiope facendola impazzire. Fu poi risanata da Foco, figlio di Ornizione, che divenne suo sposo.\nUn'altra versione del mito la vede riconosciuta, dopo la sua fuga, dalla zia Dirce, la quale si era recata sul Citerone per prendere parte ad una festa bacchica, ed ordinò a due pastori di ucciderla legandola sulle corna di un toro infuriato. Questi erano Anfione e Zeto che, quando riconobbero la madre, inflissero la morte designata per Antiope alla stessa Dirce. Una volta morta, il suo cadavere venne gettato in una fonte presso il Tebe e che da lei venne chiamata Dircea. I due gemelli sono anche noti come i 'Dioscuri Tebani', per differenziarli da Castore e Polluce.\nAntiope viene anche chiamata col patronimico Nitteide.\nLa sua storia era narrata nell'Antiope del tragediografo latino Marco Pacuvio, che a sua volta aveva tratto la sua opera da un originale greco, giunto a noi soltanto in maniera frammentaria, di Euripide." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Antipodi (mitologia).\n### Descrizione: Gli Antipodi o Abarimoni, nella mitologia romana, sono un leggendario popolo mostruoso con caratteristiche fisiche particolari. Vengono descritti da Plinio il Vecchio come esseri dotati di piedi capovolti, con il calcagno avanti e le dita dietro.\nQuesto popolo viveva secondo la leggenda in una grande valle chiamata Abarimo sul monte Imao (l'odierna Himalaya).\nLa loro particolarità fa degli Antipodi creature mostruose, forse utilizzate dagli antichi come simbolo del rovesciamento del mondo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Antro coricio.\n### Descrizione: L'antro coricio è situato alle falde del Parnaso nella Focide, regione della Grecia centrale.\nUna profonda gola divide le due rupi Fedriadi, e dentro vi scorre un torrente che al tempo delle piogge riversa cascate di acqua nel fiume Pleistos.\n\nLa grotta.\nDalla rupe orientale, detta anticamente Hyampea e oggi denominata Phlempukos scaturisce la fonte Castalia che si versa gorgogliando in una vasca scavata nella roccia davanti al peribolo del tempio dell'oracolo di Delfi, affinché lì potessero fare le abluzioni e purificarsi coloro che intendevano entrare nel tempio.\nNella rupe occidentale dell'acrocoro si trovava la grotta o antro coricio, in greco Κωρύκιον ἄντρον sacra a Pan e alle ninfe, ricca di figure formate dalle stalattiti, con un ingresso dell'altezza di circa due metri e mezzo, mentre all'interno è alta 34 metri e profonda 70 metri.\nSi tramanda che questa era l'abitazione del mostro Tifone, in greco Τυφωεύς o Τυφώς o Τυφὰων o Τυφών, che volle contendere con Zeus il comando del mondo e per questo, privato dei tendini delle mani e dei piedi, fu gettato nell'antro.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antro coricio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Apate.\n### Descrizione: Apate era la divinità dell'inganno, uno degli spiriti contenuti nel vaso di Pandora, figlia di Nyx ed Erebo. La sua controparte maschile era Dolos, mentre il suo opposto era Aletheia, dea della verità e faceva parte dei Pseudologoi. Nella mitologia romana è identificato con Fraus.\n\nMitologia.\nLa dea appare nel mito della nascita di Dioniso. Egli era figlio di un tradimento di Zeus, che con un aspetto umano voleva congiungersi con la mortale Semele, e perciò Era furiosa per l'ennesimo tradimento del marito si rivolge proprio ad Apate la quale le presta un cinto somigliante a quello portato da Afrodite che era in grado di far sembrare veritiere le menzogne all'ascoltatore; quindi Era si dirige a Tebe ornata di tale cinto sotto l'aspetto della vecchia nutrice di Cadmo. Era, in tal modo dissimulata, consiglia Semele di chiedere a Zeus una prova della sua identità di dio del suo amore per lei, a questo punto Semele è preda della gelosia che alberga in Era e vuole unirsi a Zeus in forma divina, e non travisato come fa con tutte le sue altre amanti mortali. Ma l'amore con un dio è un fuoco e come tale la brucia mentre Ermes salva il feto immaturo di Dioniso, frutto dell'amplesso, dal rogo. Semele verrà poi accolta nell'Olimpo sotto il nome di Tione, in quanto la vendetta ha placato Era.\n\nCollegamenti esterni.\n\nApate, su sapere.it, De Agostini.\n(EN) Apate, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Apeliote.\n### Descrizione: Apeliote (in greco antico: Ἀπηλιώτης?, Apēliṑtēs) è una figura della mitologia greca, era figlio di Astreo e di Eos, e fratello di Borea, Euro, Calcias, Noto, Lips, Zefiro e Sciron.\n\nIl mito.\nCome i suoi fratelli, era la personificazione di un vento, in particolare, era il dio del vento dell'Est. Veniva considerato portatore di pioggia, benefica per i raccolti, ed era per questo adorato soprattutto dai contadini. Veniva per questo motivo rappresentato come un giovane dai tratti infantili, con una fluente chioma ricciuta, vestito di verde, e con in mano frutta, grano e fiori.\nEra comunque un dio minore, ed il suo culto veniva spesso fatto coincidere con quello di Auros o Euro, il vento dell'Est." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Apesante (con Eracle).\n### Descrizione: Apesante era un personaggio della mitologia greca che assistette all'impresa di Eracle di uccidere il leone di Nemea.\n\nMitologia.\nEracle, punito per la sua pazzia, dovette sottostare a dodici prove, che una volta superate l'avrebbero aperto la strada per l'Olimpo. Una di queste era la cattura o l'uccisione del leone di Nemea, un mostro terribile e creatura magica invulnerabile.\nApesante, un giovane del luogo, era lì vicino quando l'eroe affrontò il mostro che, prima di essere annientato, lo uccise.\nAd Apesante fu dedicato il monte dove il leone, alla fine, si dovette arrendere e morì." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Apheleia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Apheleia (in greco:Ἀφέλεια), era lo spirito e la personificazione della semplicità e primitività positiva. Secondo Eustazio, aveva un altare presso l'Acropoli di Atene ed è stata onorata come infermiera di Atena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Apisaone Fausiade.\n### Descrizione: Apisaone Fausiade, (greco, Ἀπισάων Φαυσιάδης), figura mitologica dell'Iliade (XI, vv. 578, 582), fu un guerriero troiano.\nApisaone fu ucciso dall'acheo Euripilo in un'azione bellica descritta nel libro XI dell'Iliade relativo alle Gesta di Agamennone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Apisaone Ippaside.\n### Descrizione: Apisaone Ippaside, (greco, Ἀπισάων Ἰππασίδης), figura mitologica dell'Iliade (XVII, v. 348), fu un guerriero peone alleato dei troiani.\n\nBiografia.\nAbilissimo in battaglia, tra tutti i guerrieri provenienti dalla Peonia era secondo soltanto ad Asteropeo, di cui era grande amico. L'eroe greco Licomede, mentre combatteva contro Enea, gli si ritrovò di fronte e lo colpì al fegato, uccidendolo. Asteropeo vide il compagno caduto e cercò invano di vendicarlo.\nL'azione bellica è descritta nel libro XI dell'Iliade, relativo alle Gesta di Menelao." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Apollo nelle arti.\n### Descrizione: La figura di Apollo nelle arti è un tema comune sia nell'arte greca sia nell'arte romana, ma anche nell'arte rinascimentale. La prima parola che gli antichi Greci hanno utilizzato per indicare una statua è ἄγαλμα-agalma, che significa 'ornamento del tesoro, simulacro del divino, immagine informe'. Gli scultori arcaici e classici hanno cercato di creare forme che avessero ispirato una tale visione guida, quella cioè di un'immagine divina che facesse da ornamento.\nLa scultura greca mette fin dal principio Apollo, il dio della luce, della guarigione e della poesia, al più alto livello di potenza estetica che si potesse immaginare, dovendo egli rappresentar il concetto esemplare della Bellezza del 'dio giovane' per eccellenza. Gli artisti hanno derivato le proprie figure a partire da osservazioni compiute sugli esseri umani, ma anche giungendo ad incorporare in forma concreta i concetti più ideali, le questioni della filosofia e della religione che rimanevano al di là del pensiero ordinario.\n\nNudità divina.\nI corpi nudi delle statue sono stati presto associati con un effettivo culto del corpo, del fisico giovane maschile, soprattutto in campo sportivo (vedi nudità atletica) ma anche militare (vedi nudo eroico); tutte attività ricollegate in qualche modo alla 'moralità' della Polis: aveva di fatto una funzione essenzialmente religiosa.\nI petti e gli arti muscolosi in combinazione con una vita sottile indicano il desiderio Greco per la salute e le capacità fisiche in senso lato, qualità necessarie nel duro ambiente di vita del mondo antico. Le statue di Apollo desiderano incarnare la perfezione assoluta data dall'armonia e dall'equilibrio, fino al punto da ispirar soggezione di fronte al 'senso del Bello' che emanano.\n\nArte e filosofia.\nIl terzo degli inni omerici è dedicato espressamente ad Apollo.\nL'evoluzione dell'arte ellenica sembra andare in parallelo con le concezioni della filosofia greca, che si è trasformata dall'iniziale filosofia naturale di Talete alla teoria più metafisica di Pitagora. Talete era alla ricerca di una semplice forma materiale direttamente percepibile dai sensi, quale principio del mondo che sta dietro l'apparenza delle cose; teoria ricollegabile in certo qual modo all'ancestrale animismo. Questo si è verificato parallelamente anche nell'arte della scultura la quale va dalla rappresentazione massima della vira vigorosa attraverso forme innaturalmente semplificate.\nPitagora credeva che dietro all'apparenza delle cose vi fosse il principio permanente della matematica e che le forme si basavano pertanto su una relazione matematica trascendentale. Le forme terrene sono imitazioni imperfette (εἰκόνες, eikones-immagini) di un mondo sovraterreno composto dai numeri e dalle loro leggi. Le sue idee hanno avuto una grande influenza sull'arte post-arcaica,con gli architetti e gli scultori nella perenne ricerca di trovare la relazione matematica esatta interna alle cose materiali, un canone estetico il quale avrebbe portato alla perfezione realizzativa delle opere.\nAnassagora ha affermato che una ragione divina, una mente superiore, ha prodotto i semi dell'universo, in seguito Platone ha esteso la credenza greca nei riguardi delle forme ideali nella sua teoria metafisica, la dottrina dell'idea: le forme terrene, nessuna esclusa, sono duplicati imperfetti delle idee celesti intellettuali. I termini οἶδα, oida-sapere, ed εἶδος-eidos, hanno la stessa radice della parola ἰδέα-idea, il che indica come la mente Greca ne abbia via via spostato il significato dai sensi ai principi che stanno oltre ad essi.\nGli artisti del tempo di Platone si allontanarono presto dalle sue teorie, creando opere che sono una miscela di naturalismo e stilizzazione; gli scultori greci hanno considerato esser i sensi molto più importanti delle idee e le proporzioni sono state usate per unire il sensibile con l'intellettuale.\n\nStoria.\nL'evoluzione della scultura, dalla scultura greca arcaica alla scultura ellenistica può anche essere osservata nelle raffigurazioni del dio solare, dal tipo formale e quasi statico, ieratico, del Kouros (κοῦρος-ragazzo) del primo periodo arcaico, fino alla rappresentazione del movimento in un insieme maggiormente armonico del periodo successivo dato stile severo.\nNella Grecia classica l'enfasi non è più data alla realtà immaginativa illusoria rappresentata dalle forme più ideali, bensì dalle analogie ed interazioni delle varie parti prese singolarmente col tutto; una metodologia di lavorazione che risale alla scuola di Policleto e tramandata tramite il celebre canone di Policleto sulle proporzioni dell'anatomia umana.\nInfine Prassitele sembra aver liberato definitivamente la forma artistica (quindi anche e soprattutto le immagini degli dèi) dalla conformità religiosa, con opere che sono una miscela di naturalismo e stilizzazione.\n\nScultura arcaica.\n'Kouroi-giovani maschi' è il termine collettivo moderno che viene dato a quelle raffigurazioni di giovani maschi nudi in piedi che appaiono nel primo periodo arcaico greco. Questa tipologia di statuaria serviva ad alcuni bisogni religiosi ed è stato proposto che fossero inizialmente pensate per essere raffigurazioni di Apollo. Già nei loro primi esempi, la formalità della posizione sembra essere correlata con la precedente arte egizia (braccia penzoloni lungo i fianchi e gambe divaricate) e ciò è accettato come esser stato fatto di proposito.\nGli scultori hanno avuto in mente chiara l'dea di ciò che rappresentasse al meglio la giovinezza, incarnandolo con lo stile ieratico della statuaria faraonica, aggiungendovi di proprio il cosiddetto sorriso arcaico indice di buone maniere, il passo fermo ed elastico, l'equilibrio del corpo che emana la dignità e felicità giovanile caratteristiche di Apollo; quando hanno cercato di descrivere le qualità più stabili dell'uomo, lo hanno fatto per mostrare le radici comuni con gli dèi immortali ed immutabili.\nL'adozione di un tipo riconoscibile standard per un lungo periodo di tempo, si è probabilmente verificata in quanto in natura sopravvive di preferenza chi si adatta maggiormente e più favorevolmente al proprio ambiente di appartenenza, ma anche a causa della credenza generale greca che il mondo tutto si esprima in forme ideali che si possano immaginare ed attraverso ciò venir rappresentate. Le forme esprimono immortalità/immutabilità, equilibrio ed ordine, tutti ideali apollinei; il suo principale santuario di Delfi, che condivideva con Dioniso durante la stagione invernale, aveva nel suo frontone d'ingresso le iscrizioni che recitavano γνῶθι σεαυτόν (gnōthi seautón-conosci te stesso); μηδὲν ἄγαν (mēdén ágan-niente in eccesso) e ἐγγύα πάρα δ'ἄτη (eggýa pára d'atē-fare una promessa è quasi malizia).\nNelle prime raffigurazioni su larga scala durante il periodo arcaico precoce (640-580 a.C.) gli artisti hanno cercato di attirare l'attenzione dello spettatore verso uno sguardo per così dire interno del viso e del corpo i quali non erano mai rappresentati come semplici masse di materia prive di vita, bensì come esseri che ne erano ricolmi. Gli antichi Greci hanno mantenuto, fino alla loro civiltà più tarda, un'idea quasi animistica nei confronti delle statue, che in un certo senso consideravano vive: questo incarnava la convinzione che l'immagine era in qualche modo a realtà spirituale dell'uomo o del dio stesso.\nUn bell'esempio di tali convinzioni è costituito dal cosiddetto kouros della porta sacra, ritrovato nel cimitero nei pressi di Dipylon, il futuro Ceramico ad Atene; la statua viene qui ad essere la 'cosa in sé', il suo viso magro con gli occhi profondi esprime una sorta di 'eternità intellettuale'. Secondo la tradizione greca il ceramografo e vasaio detto maestro del Dipylon era conosciuto anche sotto il nomignolo di Dedalo in quanto nelle figure da lui realizzate gli arti parevano quasi librarsi liberati dal resto del corpo, dando così la netta impressione che potessero muoversi; si ritiene inoltre sia stato lui a creare l'esemplare conservato a New York il quale è la più antica statua del tipo kouros conservatasi integralmente e che pare esser l'incarnazione stessa del dio.\nL'idea animistica di rappresentazione della realtà immaginativa è ufficializzata sa nell'opera poetica di Omero che della totalità della mitologia greca, ma anche nei miti relativi alla civiltà minoica, quelli del dio Efesto (realizzatore delle armature divine) e di Dedalo (il costruttore del labirinto) i quali avrebbero dato vita alle immagini create (vedi scultura dedalica). Questo tipo di arte risale ad un periodo in cui il tema principale è stato la rappresentazione del movimento in un dato momento; queste statue, in una posizione eretta e senza alcun sostegno di sorta, erano solitamente in marmo, ma la loro forma poteva esser ben resa anche in pietra calcarea, bronzo, avorio e terracotta.\nI primi esempi di statue a grandezza naturale di Apollo, possono essere considerati le due immagini presenti all'interno del santuario del dio sull'isola di Delo.\n\nScultura classica.\nFrontoni e fregi.\nEllenismo.\nDurante il periodo ellenistico Apollo viene spesso raffigurato come un bel giovane ancora del tutto imberbe con un arco o una cetra tra le mani, solitamente appoggiato al tronco di un albero; si tratta della tipologia detta dell'Apollo citaredo, conosciuto anche attraverso le sue varianti di Apollo sauroctono e Apollo Licio.\nIl celebre Apollo del Belvedere è una scultura marmorea rinvenuta nella seconda metà del '400; per secoli ha riassunto gli ideali dell'antichità classica per gli europei, dal Rinascimento fino a tutto il XIX secolo: la statua di marmo è una copia romana di epoca ellenistica di un originale in bronzo eseguito da Leocare tra il 350 e il 325 a.C.\n\nNella modernità.\nApollo è stato un soggetto rappresentato spesso nell'arte e nella letteratura post-classica.\n\nScultura e incisione.\nIl David-Apollo è una scultura marmorea di Michelangelo Buonarroti risalente a circa il 1530, ma rimasta incompiuta.\n\nJacopo Caraglio ha creato alcune incisioni su alcuni episodi della vita del dio, come quello riguardante il suo amore nei confronti del principe spartano adolescente Giacinto.\nNel 1591 l'artista fiorentino Pietro Francavilla realizza 'Apollo vittorioso su Pitone' raffigurante la prima vittoria del dio quando uccise a colpi di freccia il temibile serpe Pitone che infestava i dintorni di Delfi, intravisto mentre giace morto ai suoi piedi.\nNel 1623 Gian Lorenzo Bernini scolpisce il suo Apollo e Dafne.\nWilliam Blake nel 1809 illustrò l'ode di John Milton On the Morning of Christ's Nativity ('Mattina del Natale di Cristo', 1629) con un acquerello che ritrae 'Il rovesciamento di Apollo e dei pagani'; la figura del dio è una combinazione tra l'Apollo Belvedere e il personaggio di Laocoonte.\n\nPittura.\nDel 1470-80 circa è Apollo e Dafne attribuito a Piero del Pollaiolo o in alternativa al fratello Antonio del Pollaiolo.\nDel 1483 è Apollo e Dafni (titolo tradizionale Apollo e Marsia) del Perugino.\nDel 1508 è l'affresco Apollo e Marsia di Raffaello Sanzio e facente parte della decorazione della volta della Stanza della Segnatura nei Musei Vaticani.\nDel 1507-09 è il Giudizio di Mida tra Apollo e Marsia di Cima da Conegliano.\nIl tramonto del sole di François Boucher (1752).\n\nPoesia e musica.\nIl poeta romantico inglese Percy Bysshe Shelley compose nel 1820 un Inno rivolto ad Apollo.\nApollo et Hyacinthus è un intermezzo di Wolfgang Amadeus Mozart del 1767.\nLa nascita del dio e le istruzioni da lui date alle Muse sono stati oggetto del balletto neoclassico di Igor' Stravinskij intitolato Apollon musagète del 1928.\n\nFilosofia e psicologia.\nIn una discussione più generale sulle arti, talvolta viene fatta una distinzione tra l'apollineo e dionisiaco; il primo si occupa d'imporre una qual certo ordine intellettuale agli impulsi umani, mentre il secondo li utilizza ancor grezzi per produrre una creatività maggiormente caotica. Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nella sua riflessione sullo spirito dionisiaco, sosteneva che una fusione delle due concezioni di vita fosse più che mai desiderabile.\nPer Carl Gustav Jung l''archetipo di Apollo' rappresenta quello che viene inteso come disposizione delle persone ad un'iper-intellettualizzazione, mantenendo al contempo una forte distanza emotiva." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Apollo.\n### Descrizione: Apollo (in greco antico: Ἀπόλλων?, Apóllōn; in latino Apollo) è, nella religione greca e romana, il dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell'intelletto e della profezia. Nonché colui che traina il carro del sole, scortando la stella ardente attraverso la volta celeste.\nIl suo simbolo principale è la lira. Suo figlio Asclepio è il dio della medicina. In quanto dio delle arti, Apollo è il capo delle Muse. Viene anche descritto come un provetto arciere in grado di infliggere, con la sua arma, terribili pestilenze ai popoli che lo osteggiavano. In quanto protettore della città e del tempio di Delfi, Apollo è anche venerato come dio oracolare capace di svelare, tramite la sacerdotessa, detta Pizia, il futuro agli esseri umani; anche per questo era adorato nell'antichità come uno dei più importanti Olimpi.\n\nCulto di Apollo.\nApollo in Grecia.\nApollo era uno degli dei più celebri e influenti nell'antica Grecia; ed erano due le città che si contendevano il titolo di luoghi di culto principali del dio: Delfi, sede del già citato oracolo, e Delo. L'importanza attribuita al dio è testimoniata anche da nomi teoforici come Apollonio o Apollodoro, comuni nell'antica Grecia, dalle molte città che portavano il nome di Apollonia, dall'ideale del koûros (κόρος, 'giovane'), che gli appartiene e dà il 'suo carattere peculiare alla cultura greca nel suo complesso'. Il dio delle arti veniva inoltre adorato in numerosi siti di culto sparsi, oltre che sul territorio greco, anche nelle colonie disseminate sulle rive africane del Mediterraneo, nell'esapoli dorica in Caria, in Sicilia e in Magna Grecia.\nCome divinità greca, Apollo è figlio di Zeus e di Leto (Latona per i Romani) e fratello gemello di Artemide (per i Romani Diana), dea della caccia e più tardi una delle tre personificazioni della Luna (Luna crescente), insieme con Selene (Luna piena) ed Ecate (Luna calante).\nNella tarda antichità greca Apollo venne anche identificato come dio del Sole, e in molti casi soppiantò Elio quale portatore di luce e auriga del cocchio solare. Nella Religione romana, non aveva nessuna controparte, e il suo culto venne introdotto a Roma circa nel 421 a.C. In ogni caso, presso i Greci Apollo ed Elio rimasero entità separate e distinte nei testi letterari e mitologici dell'epoca, ma non nel culto, dove Apollo era ormai stato assimilato con Elio.\nIn Grecia e nel mondo ellenistico il culto del dio è attestato dalla diffusione dei nomi Apollodoro (dono di Apollo) ed Eliodoro (dono di Helios).\n\nApollo a Roma.\nA differenza di altri dei, Apollo non aveva un equivalente romano diretto: il suo culto venne importato a Roma dal mondo greco, ma fu mediato anche dalla presenza nel pantheon etrusco di un dio analogo, Apulu. Ciò avvenne in tempi piuttosto antichi nella storia romana, infatti fonti tradizionali riferiscono che il culto era presente già in epoca regia. Nel 431 a.C. ad Apollo fu intitolato un tempio in una località dove già sorgeva un sacello o un'area sacra di nome Apollinar come scrive Livio III, 63, 7, in occasione di una pestilenza che afflisse la città. Durante la seconda guerra punica, invece, vennero istituiti i Ludi Apollinari, giochi in onore del dio. Il culto venne incentivato poi, in epoca imperiale, dall'imperatore Augusto, che per consolidare la propria autorità asserì di essere un protetto del dio, che avrebbe anche lanciato un fulmine nell'atrio della sua casa come presagio fausto per la sua lotta contro Antonio; tramite la sua influenza Apollo divenne uno degli dei romani più influenti. Dopo la battaglia di Azio l'imperatore fece rinnovare e ingrandire l'antico tempio di Apollo Sosiano, istituì dei giochi quinquennali in suo onore e finanziò anche la costruzione del tempio di Apollo Palatino sull'omonimo colle dove fu conservata la raccolta di oracoli detta Libri sibillini. In onore del dio, e per compiacere il suo imperatore, il poeta romano Orazio compose inoltre il celebre carmen saeculare.\nIn epoca imperiale lentamente si arrivò all'identificazione tra Apollo-Elio e l'imperatore stesso, di cui la testimonianza più notevole era il celebre colosso di Nerone che poi diede il nome al vicino anfiteatro Flavio o Colosseo. In epoca tarda il culto di Apollo tornò a separarsi da quello di Elio o Sole, che divenne un culto sincretistico: il Sol Invictus, compagno dell'imperatore, che regnava sul cielo, così come l'altro regnava in terra. In epoca tarda il culto è ancora vivo fino ai primi anni di regno di Costantino I, che, prima della sua conversione al cristianesimo, si faceva raffigurare nelle statue onorarie come il Sole. Gli stessi cristiani d'occidente utilizzarono l'iconografia di Apollo-Sole per le prime raffigurazioni di Cristo, che era raffigurato come un tipo apollineo, giovane, imberbe, con un nimbo di luce sul capo.\n\nApollo presso gli Etruschi.\nNella religione etrusca è possibile trovare un corrispettivo di Apollo nel dio dei tuoni Aplu o Apulu. Tuttavia non è ancora chiaro se l'immagine del dio etrusco sia derivata dal dio greco. Quale dio della profezia presso gli Etruschi però trovava un corrispettivo anche in Suri.\n\nOrigini del culto.\nLe origini del culto apollineo si perdono nella notte dei tempi. È comunque opinione comune e consolidata tra gli studiosi che il culto del dio sia relativamente recente e che, precedentemente ad Apollo, il santuario di Pito avesse una sua antichissima religione ctonia, legata al culto della Dea Madre. Lo stesso racconto di Eschilo su Apollo che riceve il santuario da Gea, Febe e Temi, tenderebbe a confermarlo. Una teoria però, basata sulla decifrazione degli enigmatici e tanto discussi documenti greci di Glozel (Vichy, Francia), tenderebbe ad ampliare il quadro mitico-storico interessante l'oracolo e collegherebbe la nuova, non identificata divinità, alla vicenda cadmea di Europa e a quella dell'alfabeto portato dallo stesso Cadmo in Beozia in periodo premiceneo. Divinità semitica che di quell'alfabeto, di provenienza siro-palestinese, era l'assoluta detentrice. Il santuario ctonio di Pito era stato dunque occupato, in qualche modo, da una divinità non greca (yh: da cui il noto successivo grido di IE, per Apollo 'IEIOS') la quale però, a sua volta, venne grecizzata, secondo quanto fa intendere il noto racconto erodoteo (Historiae, I,61-62) sulla cacciata dei Cadmei, ovvero dei semiti, da parte degli Argivi. Tuttavia la divinità inglobata nella sfera della cultura greca manteneva alcuni dei caratteri orientali della divinità, come ad esempio l'ineffabilità, la figura androgina, l'aspetto di dio cacciatore e inseguitore del lupo (da cui Apollo Liceo), le qualità di dio ambiguo od obliquo (Lossia) ma, per chi sapeva capirlo rettamente, salvatore e liberatore. Con la calata dei Dori (XII-XI secolo a.C.), una volta annientati i Micenei, il santuario, verosimilmente, subì l'umiliazione e la distruzione dei vincitori e solo verso il IX-VIII secolo a.C. fu riaperto e si risollevò, ma con un Lossia del tutto trasformato e in linea con la nuova religione. Il potentissimo dio androgino di origine semitica entrerebbe così a far parte della sacra famiglia olimpica, sdoppiandosi in Apollo e Artemide e diventando figlio di Zeus e di Leto. Sempre secondo questa teoria, supportata da accertati documenti, la famosa E apud Delphos (la lettera alfabetica epsilon posta tra le colonne nell'ingresso del santuario apollineo) di cui scrive Plutarco, la 'E' che stava alla base dell'epifonema esprimente 'acuto dolore' (Esichio) dei fedeli, potrebbe fornire la prova che il nome di Apollo (mai sufficientemente compreso e spiegato dagli studiosi: Farnell, Kern, Hrozny, Nilsson, Cassola, ecc.) fosse derivato da un A/E -pollòn (il grido di dolore 'ah!, eh!' esclamato più volte, così come testimoniano la letteratura greca tragica e paratragica).\nNell'età del bronzo greca non esistono attestazioni (almeno nelle tavolette di lineare B note) ad Apollo. Ne esistono invece numerose per il dio Paean (Παιών-Παιήων), un epiteto di Apollo in età classica, noto in lingua achea come pa-ja-wo-ne (e collegato con numerosi santuari antichi di Apollo). Paean è il guaritore degli dei, e il dio della magia e del canto (da cui peana) magico-profetico. Come dio della cura Paean compare anche nell'Iliade, dove, significativamente, non è completamente sovrapposto con Apollo (che parteggia esclusivamente per i troiani).\nInfatti esisteva un importante dio anatolico (forse connesso con l'antica religione indoeuropea, e simile al dio vedico Rudra o meglio alla coppia Rudra-Shiba), noto come Aplu (stranamente lo stesso nome dell'Apollo etrusco) che è un dio terribile, legato alla malattia, ma anche alla cura, e un potente arciere, forse anche un protettore della caccia e degli animali selvatici. Per gli Ittiti e gli Hurriti Aplu era il dio della peste e della fine della pestilenza (come nell'Iliade). Per gli Hurriti soprattutto andava collegato agli dei mesopotamici Nergal e Šamaš. Molti culti anatolici sono legati alla profezia e alle sacerdotesse (o anche ai sacerdoti) che cadono in trance mistica per profetizzare, proprio come le sacerdotesse di Apollo a Delfi. Apollo, come già ricordato, è uno degli dei che parteggiano per l'asiatica e anatolica città di Troia nell'Iliade, forse elemento che nasconde una reminiscenza micenea, ovvero un dio che durante la fine dell'età del bronzo non sarebbe ancora greco, ma decisamente anatolico, e sarebbe aggiunto agli olimpi solo in un momento successivo a quella guerra (si veda anche di seguito).\nSempre in età arcaica, con probabili connessioni al periodo miceneo, esistono dei riferimenti ad Apollo Smintheus, il dio 'ratto' legato all'agricoltura (forse una divinità pre-indeuropea, assunta a epiteto del dio Apollo), e in particolare ad Apollo Delfino. Questo epiteto di Apollo, molto venerato a Creta e in alcune isole egee, potrebbe essere un dio marino minoico. Ma Apollo poteva trasformarsi in tutti gli animali, fra cui proprio nei delfini, sovente raffigurati nell'arte minoica. Delfino (Delphinios) è un'etimologia alternativa a grembo (Delphyne) per il principale santuario del dio a Delfi. Sempre nella, per ora pressoché sconosciuta, religione minoica esisteva una signora degli animali, collegabile ad Artemide-Diana, o anche a Britomarti/Diktynna (nome a sua volta presumibilmente di etimologia minoica), che presumibilmente avrebbe dovuto avere un doppio maschile. E se la divinità femminile è antesignana di Artemide, quella maschile è da porsi in riferimento ad Apollo. Inoltre i sacerdoti di Apollo a Delfi si definivano Labryaden, nome che a sua volta rimanda alla doppia ascia e al labirinto, simboli religiosi importanti per i Cretesi. Tutti questi riferimenti secondo questa meticolosa ma discutibile analisi portano a ipotizzare che nell'Apollo classico siano confluiti uno o più dei minoici o comunque pre-indeuropei della Grecia e almeno un dio anatolico.\n\nAttributi ed epiteti.\nApollo è normalmente raffigurato coronato di alloro, pianta simbolo di vittoria, sotto la quale alcune leggende volevano che il dio fosse nato e anche in virtù dell'epilogo del suo infatuamento per Dafne (che in greco significa lauro, alloro). Suoi attributi tipici sono l'arco, con le sue portentose frecce, e la cetra. Altro suo emblema caratteristico è il tripode sacrificale, simbolo dei suoi poteri profetici. Animali sacri al dio sono i cigni (simbolo di bellezza), i lupi, le cicale (a simboleggiare la musica e il canto), e ancora i falchi, i corvi, i delfini, in cui spesso il dio amava trasformarsi e i serpenti, questi ultimi con riferimento ai suoi poteri oracolari, e il gallo. Altro simbolo di Apollo è il grifone, animale mitologico di lontana origine orientale.\nCome molti altri dei greci, Apollo ha numerosi epiteti, atti a riflettere i diversi ruoli, poteri e aspetti della personalità del dio stesso. Il titolo di gran lunga maggiormente attribuito ad Apollo (e spesso condiviso dalla sorella Artemide) era quello di Febo, letteralmente 'splendente' o 'lucente', riferito sia alla sua bellezza sia al suo legame con il sole (o con la luna nel caso di Artemide). Quest'appellativo venne mutuato e utilizzato anche dai Romani.\nAltri epiteti del dio sono:.\n\nAkesios o Iatros, dal comune significato di guaritore e riferiti al suo ruolo di protettore della medicina, in quanto padre di Esculapio. In questo senso, i Romani gli diedero invece l'epiteto di Medicus, e un tempio della Roma antica era dedicato appunto all'Apollo Medico.\nAlexikakos' o Apotropaeos, entrambi significanti 'colui che scaccia - o tiene lontano - il male'. Un simile significato ha anche l'appellativo di Averruncus che gli diedero i Romani. Questi appellativi si riferivano, oltre che al suo già citato ruolo di patrono dei medici, al suo potere di scatenare - e dunque anche di tener lontane - malattie e pestilenze.\nAphetoros (dio dell'arco) e Argurotoxos (dio dall'arco d'argento), in quanto patrono degli arcieri e provetto tiratore lui stesso. I Romani lo definivano invece Arcitenens, 'colui che porta l'arco'.\nArchegetes, 'colui che guida la fondazione', in quanto patrono di molte colonie greche oltremare.\nLyceios e Lykegenes, che possono essere sia un riferimento al lupo, animale a lui sacro, sia alla terra di Licia, la regione nella quale alcune leggende riportavano che Apollo fosse nato.\nLoxias (l'oscuro) e Coelispex (colui che scruta i cieli) con riferimento alle sue capacità oracolari.\nMusagete (guida delle Muse) in quanto fu lui a convincerle ad abbandonare la loro antica dimora, il monte Elicona, portandole a Delfi e divenendo il loro protettore.\nPhoebus (il luminoso), l'epiteto più usato dai Greci e Romani.\nTargelio in quanto apportatore del fecondo calore che matura i prodotti della terra.\n\nMito.\nNascita.\nApollo nacque, come sua sorella gemella Artemide, dall'unione extraconiugale di Zeus con Leto. Quando Era seppe di questa relazione, desiderosa di vendetta, proibì alla partoriente di dare alla luce suo figlio su qualsiasi terra, fosse essa un continente o un'isola. Disperata, Leto vagò fino a giungere sull'isola di Delo, appena sorta dalle acque e, stando al mito, ancora galleggiante sulle onde e non ancorata al suolo. Essendo, perciò, Delo non ancora una vera isola, Leto poté darvi alla luce Apollo e Artemide, precisamente ai piedi del Monte Cinto.\nAltri miti riportano che la vendicativa Era, pur di impedirne la nascita, giunse a rapire Ilizia, la dea del parto. Solo l'intervento degli altri dei, che offrirono alla regina dell'Olimpo una collana di ambra lunga nove metri, riuscì a convincere Era a desistere dal suo intento. I miti riportano che Artemide fu la prima dei gemelli a nascere, e che abbia in seguito aiutato la madre nel parto di Apollo. Questi nacque in una notte di plenilunio, che fu da allora il giorno del mese a lui consacrato: nel momento in cui nacque il dio, cigni sacri vennero a volare sopra l'isola, facendone sette volte il giro, poiché era il settimo giorno del mese.\nAncora altri dicono che Era avesse mandato un serpente sulla Terra per seguire Leto tutta la vita, impedendo, così, a chiunque di ospitarla e darle un rifugio. Leto vagò per molto tempo ma Poseidone, impietosito dalla sua situazione, lasciò che si rifugiasse in mare (dato che letteralmente non era terra) visto che lui, essendo il fratello di Zeus, poteva permettersi di sfidare Era.\n\nGenealogia (Esiodo).\nGiovinezza: l'uccisione di Pitone e istituzione dell'Oracolo di Delfi.\nPoco più che bambino, Apollo si cimentò nell'impresa di uccidere il drago Pitone, colpevole di aver tentato di stuprare Leto mentre questa era incinta del dio. Partito da Delo, Apollo subito si diresse verso il monte Parnaso, dove si celava il serpente Pitone, nemico di sua madre, e lo ferì gravemente con le sue frecce forgiate da Efesto. Pitone si rifugiò presso l'oracolo della Madre Terra a Delfi, città così chiamata in onore del mostro Delfine, compagna di Pitone; ma Apollo osò inseguirlo anche nel tempio e lo finì dinanzi al sacro crepaccio.\nLa Madre Terra, oltraggiata, ricorse a Zeus che non soltanto ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe, ma istituì i giochi pitici in onore di Pitone, e costrinse Apollo a presiederli per penitenza. Apollo, invece di recarsi a Tempe, andò a Egialia in compagnia della sorella Artemide, per purificarsi; e poiché il luogo non gli piacque, salpò per Tarra a Creta, dove re Carmanore eseguì la cerimonia di purificazione. Al suo ritorno in Grecia, Apollo andò a cercare Pan, il dio arcade dalle gambe di capra e dalla dubbia reputazione, e dopo avergli strappato con blandizie i segreti dell'arte divinatoria, si impadronì dell'oracolo delfico e ne costrinse la sacerdotessa, detta pitonessa o la Pizia, a servirlo.\n\nApollo e Tizio.\nLeto si era recata con Artemide a Delfi, dove si appartò in un sacro boschetto per adempiere a certi riti. Era, per vendicarsi di Leto suscitò un forte desiderio al gigante Tizio, che stava tentando di violentarla, quando Apollo e Artemide, udite le grida della madre, accorsero e uccisero Tizio con nugolo di frecce: una vendetta che Zeus, padre di Tizio, giudicò atto di giustizia. Nel Tartaro Tizio fu condannato alla tortura con le braccia e le gambe solidamente fissate al suolo e due avvoltoi gli mangiavano il fegato.\n\nApollo, Marsia e i figli di Niobe.\nAltre azioni che gli sono state attribuite dai miti durante la giovinezza, non furono così nobili: il dio sfidò il satiro Marsia (o, secondo altre fonti, venne da questi sfidato) in una gara musicale di flauto; in seguito alla vittoria, per punire l'ardire del satiro, che si era impudentemente vantato di essere più bravo di lui, lo fece legare a un albero e scorticare vivo. Un altro mito racconta invece come si vendicò terribilmente di Niobe, regina di Tebe, la quale, eccessivamente fiera dei suoi quattordici figli (sette maschi e sette femmine), aveva deriso Leto per averne avuti solo due. Per salvare l'onore della madre, Apollo, insieme con sua sorella Artemide, utilizzò il suo terribile arco per uccidere la donna e i suoi figli, risparmiandone solo due, Amicla e Clori, i quali riuscirono a ottenere la pietà dei fratelli divini.\n\nApollo e Admeto.\nQuando Zeus uccise Asclepio, figlio di Apollo, come punizione per aver osato resuscitare i morti con il suo talento medico, il dio per vendetta massacrò i ciclopi, che avevano forgiato i fulmini di Zeus. Stando alla tragedia di Euripide Alcesti, come punizione per questo suo gesto Apollo venne costretto dal padre degli dei a servire l'umano Admeto, re di Fere, per nove anni. Apollo lavorò dunque presso il re come pastore, e venne da costui trattato in modo tanto gentile che, allo scadere dei nove anni, gli concesse un dono: fece sì che le sue mucche partorissero solo vitelli gemelli. In seguito, il dio aiutò Admeto a ottenere la mano di Alcesti, che per volere del padre sarebbe potuta andare in sposa solo a chi fosse riuscito a mettere il giogo a due bestie feroci: Apollo gli regalò dunque un carro trainato da un leone e un cinghiale.\n\nApollo e Orfeo.\nOrfeo era un suonatore di cetra. Perse sua moglie Euridice, per cui tentò di salvarla dagli Inferi ma non ci riuscì. Sedusse Persefone con la sua musica e in cambio chiese di riportare in vita Euridice e lei acconsentì a un solo prezzo: non avrebbe dovuto guardare sua moglie finché non fossero stati all'uscita degli Inferi. Ma lui, quasi alla fine del corridoio che conduceva alla salvezza, si girò e lei morì per sempre. Disperato tentò il suicidio e distrusse la sua cetra. Così Apollo, lo prese con sé e lo portò sull'Olimpo.\n\nApollo ed Ermes.\nUn mito degli inni omerici racconta dell'incontro tra il giovane Ermes e Apollo. Il dio dei ladri, appena nato, sfuggì infatti alla custodia della madre Maia e incominciò a vagabondare per la Tessaglia, fino a imbattersi nel gregge di Admeto, custodito da Apollo. Ermes riuscì con uno stratagemma a rubare gli animali e, dopo essersi nascosto in una grotta, usò gli intestini di alcuni di essi per confezionarsi una lira; un'altra leggenda a questo proposito parla invece di un guscio di tartaruga. Quando Apollo, infuriato, riuscì a rintracciare Ermes e a pretendere, con l'appoggio di Zeus, la restituzione del bestiame, non poté fare a meno di innamorarsi dello strumento e del suo suono, e accettò infine di lasciare a Ermes il maltolto, in cambio della lira, che sarebbe diventata da allora uno dei suoi simboli sacri. Divenne quindi il dio della musica, mentre Ermes venne considerato anche come il dio del commercio. La lira poi passò a Orfeo; alla morte di questi, Apollo decise di tramutarla in cielo nell'omonima costellazione.\n\nApollo e Oreste.\nApollo ordinò a Oreste, tramite il suo oracolo di Delfi, di uccidere sua madre Clitennestra; per questo suo crimine Oreste venne a lungo perseguitato dalle Erinni.\n\nApollo durante la guerra di Troia.\nL'inizio dell'Iliade di Omero vede Apollo schierato a fianco dei Troiani, durante la guerra di Troia. Il dio era infatti infuriato con i Greci, e in particolare con il loro capo Agamennone, per il rapimento da questi perpetrato di Criseide, giovane figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Per vendicare l'affronto, il dio decimò le schiere achee con le sue terribili frecce, fino a che il capo dei Greci non acconsentì a rilasciare la prigioniera, pretendendo in cambio Briseide, schiava di Achille. Questo fatto provocò l'ira dell'eroe Mirmidone, che è uno dei temi centrali del poema.\nApollo continuò comunque a parteggiare per i Troiani durante la guerra: in un'occasione salvò la vita a Enea, ingaggiato in duello da Diomede. Da non dimenticare, infine, l'importantissimo aiuto che il dio offrì a Ettore e a Euforbo nel combattimento che li vedeva avversari del potente Patroclo, amante e allievo del valoroso Achille; il dio infatti, oltre ad aver stordito il giovane, che i Troiani avevano scambiato per il re mirmidone, vista l'armatura che indossava, lo privò di quest'ultima sciogliendola come neve al sole. Distrusse perfino la punta della lancia con cui Patroclo stava mietendo vittime tra le file troiane.\nFu infine Apollo a guidare la freccia scoccata da Paride che colpì Achille al tallone, l'unico suo punto debole, uccidendolo.\n\nAmori di Apollo.\nApollo e Daphne.\nUn giorno, Cupido, stanco delle continue derisioni di Apollo, che vantava il titolo di dio più bello, di essere il dio della poesia nonché un arciere migliore di lui, colpì il dio con una delle sue frecce d'oro, facendolo cadere perdutamente innamorato della ninfa Daphne. Allo stesso tempo però, colpì anche la ninfa con una freccia di piombo arrugginita e spuntata in modo che rifiutasse l'amore di Apollo e addirittura rabbrividisse per l'orrore alla sua vista. Perseguitata dal dio innamorato, la ninfa, piangendo e gridando, chiese aiuto al padre Penéo, dio del fiume omonimo, che la tramutò in una pianta di lauro (alloro). Apollo pianse abbracciando il tronco di Daphne, che ormai era un albero. Per questo il lauro divenne la pianta prediletta da Apollo con la quale era solito far ornare i suoi templi e anche i suoi capelli.\n\nApollo e Giacinto.\nUno dei miti più conosciuti riferiti al dio è quello della sua triste storia d'amore con il principe spartano Giacinto, mito narrato, fra gli altri, da Ovidio nelle sue Metamorfosi. I due si amavano profondamente, quando un giorno, mentre si stavano allenando nel lancio del disco, il giovane venne colpito alla testa dall'attrezzo lanciato da Apollo, spintogli contro da Zefiro, geloso dell'amore fra i due. Ferito a morte, Giacinto non poté che accasciarsi tra le braccia del compagno che, impotente, lo trasformò nel rosso fiore che porta il suo nome, e con le sue lacrime tracciò sui suoi petali le lettere άί (ai), che in greco è un'esclamazione di dolore.\nSaputo che Tamiri, un pretendente 'scartato' da Giacinto, reputava di superare le muse nelle loro arti, il dio andò dalle sue allieve per riferire tali parole. Le muse, allora, privarono Tamiri, reo di presunzione, della vista, della voce e della memoria.\n\nApollo e Cassandra.\nPer sedurre Cassandra, figlia del re di Troia Priamo, Apollo le promise il dono della profezia. Tuttavia, dopo aver accettato il patto, la donna si tirò indietro, rimangiandosi la parola data. Il dio allora, sputandole sulle labbra, le diede sì il dono di vedere il futuro, ma la condannò a non venir mai creduta per le sue previsioni. La previsione più tragica e inascoltata di Cassandra fu la caduta di Troia.\n\nApollo e Marpessa.\nApollo amò anche una donna chiamata Marpessa, che era contesa fra il dio e l'umano chiamato Ida. Per dirimere la contesa tra i due intervenne addirittura Zeus che decise di lasciare la donna libera di decidere; questa scelse Ida, perché consapevole del fatto che Apollo, essendo immortale, si sarebbe stancato di lei quando l'avesse vista invecchiare.\n\nApollo e Melissa.\nSecondo un altro mito, Apollo s'innamorò della ninfa Melissa. Fu un amore profondo e incondizionato, e il dio lasciò spazio soltanto alla fedele e totale devozione per la fanciulla piuttosto che adempiere i suoi doveri da divinità del Sole. Il carro del Sole venne quindi sempre meno guidato e trasportato, e il mondo cadeva sempre più nelle tenebre. Allora, per un decreto di entità superiori, Apollo venne punito e la ninfa venne trasformata in un'ape regina. Fu così che la meschina ragione infranse il cuore del dio.\n\nFigli di Apollo.\nCome tutti gli Dèi greci, le leggende riportano come Apollo ebbe molti figli, da unioni con donne mortali e non.\nDa Cirene, ebbe un figlio di nome Aristeo.\nDa Ecuba, moglie di Priamo e regina di Troia, ebbe un figlio di nome Troilo, che venne ucciso da Achille.\nIl figlio più noto di Apollo è però certamente Asclepio, dio della medicina presso i Greci. Asclepio nacque dall'unione fra il dio e Coronide; quest'ultima però, mentre portava in grembo il bambino, si innamorò di Ischi e fuggì con lui. Quando un corvo andò a riferire l'accaduto ad Apollo, questi dapprima pensò a una menzogna, e fece diventare il corvo nero come la pece, da bianco che era. Scoperta poi la verità, il dio chiese a sua sorella Artemide di uccidere la donna. Apollo salvò comunque il bambino, e lo affidò al centauro Chirone, perché lo istruisse alle arti mediche. Come ricompensa per la sua lealtà, il corvo divenne animale sacro del dio e venne dotato da Apollo del potere di prevedere le morti imminenti. In seguito Flegias, padre di Coronide, per vendicare la figlia diede fuoco al tempio di Apollo a Delfi, e venne per questo ucciso dal dio e scaraventato nel Tartaro.\n\nAmanti e figli di Apollo.\nAcacallide - Figlia di Minosse.\nNasso - Insediato nell'isola.\nMileto - Fondatore della città.\nAnfitemi - Pastore libico.\nCalliope - Musa della Poesia epica.\nOrfeo - Celebre musico.\nIalemo - Dio del canto nuziale.\nImeneo - Dio del matrimonio.\nChione - Principessa della Focide.\nFilammone - Poeta e musico.\nCirene - Ninfa tessala.\nAristeo - Dio del miele, del formaggio e dell'olio.\nIdmone - Veggente e Argonauta.\nClimene - Ninfa oceanina.\nFetonte - Guidò il carró di Apollo, ma morì nell'impresa.\nCoricia - Ninfa del Parnaso.\nLicoreo - Re di Licorea.\nCoronide - Ninfa Lapita.\nAsclepio - Dio della medicina.\nCreusa - Violentata dal dio.\nIone - Sacerdote di Delfi.\nDanaide - Ninfa.\nCureti - Popolo Etolo.\nDia - Figlia di Licaone.\nDriope - Re dei Driopi.\nDriope - Amadriade.\nAnfisso - Fondatore di Eta.\nEcuba - Regina troiana.\nEttore - Eroe troiano (secondo alcune fonti).\nPolidoro - Ucciso da Polimestore (secondo alcune fonti).\nTroilo - ucciso da Achille.\nEubea.\nAgreo.\nEvadne - Figlia di Poseidone.\nIamo - Indovino di Olimpia.\nFtia - Eponima della regione.\nDoro.\nLaodoco.\nPolipete - Ucciso da Etolo.\nManto - Indovina, figlia di Tiresia.\nMopso - Celebre indovino.\nMelaina - Ninfa (o Tia o Celeno).\nDelfo - fondatore di Delfi.\nProcleia - Troiana.\nTenete - Eroe di Tenedo.\nEmitea - Principessa di Tenedo.\nPsamate - Principessa di Argo.\nLino - Sbranato da cani.\nReo - Discendente di Dioniso.\nAnio - Sovrano di Delfi.\nRodope - Ninfa.\nCicone - Capostipite dei Ciconi.\nTalia - Musa della Commedia.\nCoribanti - Seguaci di Dioniso.\nTiria - Figlia di Anfinomo.\nCicno - Abitante dell'Etolia.\nUrania - Musa dell'Astronomia e della geometria.\nLino - Notevole musico.\nDa madre ignota.\nErimanto.\nMelaneo.\nCariclo.\n\nApollo nell'arte.\nParnaso - affresco di Raffaello Sanzio (1511).\nApollo e Dafne - gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini (1625).\nTramonto del sole di François Boucher (1752).\nApollo et Hyacinthus - operina di Wolfgang Amadeus Mozart.\nApollon musagète o Apollo balletto neoclassico in due quadri musicato da Igor' Fëdorovič Stravinskij.\n\nNella cultura di massa.\nIl celebre progetto spaziale Apollo della NASA, che negli anni sessanta portò l'uomo sulla luna, deve il suo nome proprio al dio greco, in quanto protettore delle colonie e dei pionieri.\nFamosa è la filastrocca popolare dedicata ad Apollo e al suo fantomatico 'figlio' Apelle (tra l'altro, un pittore realmente esistito):.\nNel manga e anime di Record of Ragnarok, Apollo è uno degli dei che combatte al torneo del Ragnarok. Scende in campo al nono round affrontando Leonida.\nNell'anime C'era una volta... Pollon, Apollo è il padre della protagonista Pollon.\nNell'anime UFO Diapolon (1976), il nome del robot è Daiapolon, ovvero 'Grande Apollo' in giapponese.\nApollo compare varie volte nelle serie di libri Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo,Eroi dell'Olimpo e nel racconto extra Percy Jackson and the Singer of Apollo (pubblicato per Guys Read: Other Worlds, inedito in italiano) di Rick Riordan. Sotto forma di mortale e con lo pseudonimo di Lester Papadopoulos, è il protagonista della serie Le sfide di Apollo, sempre di Riordan." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Apriate.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Apriate (in greco antico: Άπριάτη) era il nome di una fanciulla di Lesbo.\n\nIl mito.\nEuforione di Calcide, nel poema 'Thrax', racconta una delle versioni della storia di Apriate: secondo il poeta alessandrino, Trambelo, figlio di Telamone, si innamorò di questa fanciulla, che, però, non lo ricambiava. Egli decise, dunque, di rapirla, mentre la ragazza si dirigeva in un possedimento paterno, vicino al litorale dell'isola di Lesbo. Siccome, però, lei lottava strenuamente per proteggere la propria virginità, Trambelo la gettò nel mare più profondo.\nSecondo un'altra versione, forse riconducibile ad Aristocrito di Mileto, sarebbe stata lei stessa ad annegarsi, pur di mantenersi illibata.\nTrambelo, del resto, sarebbe stato punito di lì a poco dal destino: incontrò, infatti, Achille, che lo uccise e poi pianse amaramente sulle sue spoglie, venuto a sapere il suo nome e le sue origini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Apsirto.\n### Descrizione: Apsirto (in greco antico: Ἄψυρτος?, Ápsyrtos, in latino Absyrtus, -i), conosciuto anche come Assirto o Absirto, è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eete e di Asterodea, nonché fratello di Medea.\n\nMitologia.\nVengono date due versioni del mito concernente questo personaggio. Secondo la Medea di Seneca, Apsirto era un bimbetto che seguiva passo passo la sorella. Questa, innamorata di Giasone, mentre si apprestava a fuggire con l'amante sopra la nave Argo, recando con sé il favoloso vello d'oro, fu inseguita dal padre e i suoi uomini; per dissuaderlo dall'inseguimento, Medea, ignorando i lamenti e le suppliche del fratellino, lo uccise e ne smembrò il corpo gettandone i pezzi tra le onde in direzione del padre Eete, che si fermò a raccoglierli in modo da poter dare degna sepoltura al figlio.\nCiò permise a Giasone e Medea di fuggire senza essere disturbati. Ma Zeus mandò sulla nave una tempesta per l'atroce crimine commesso da Giasone e Medea e gli Argonauti furono infine gettati sull'isola della maga Circe, zia di Medea, che purificò i due assassini.\nL'Argo infine, poté riprendere la regolare navigazione.\nIn altre versioni, come nella Medea di Euripide, Apsirto è un giovane adulto. Eete mandò il figlio ad inseguire la nave Argo. Medea avrebbe, quindi, attirato il fratello in una trappola e facendogli credere che Giasone si fosse impossessato di lei con la forza, lo invitò ad un appuntamento in un luogo sacro, dove Giasone gli tese un'imboscata e lo uccise.\nSecondo una tradizione locale, l'origine etimologica di Tomi, una città della Grecia, deriverebbe proprio da questo evento poiché in lingua greca antica τέμνω indica il verbo 'tagliare'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aracne.\n### Descrizione: Aracne (in greco antico: Ἀράχνη; era detta anche Aragne) è una figura mitologica. Ovidio narra la sua storia nel VI libro delle Metamorfosi, ma pare che il personaggio, già citato nelle Georgiche virgiliane, sia d'origine greca.\n\nMito.\nAracne viveva a Colofone, nella Lidia. La fanciulla, figlia del tintore Idmone e sorella di Falance, era abilissima nel tessere, tanto che girava voce che avesse imparato l'arte direttamente da Atena, mentre lei affermava che fosse la dea ad aver imparato da lei. Ne era tanto sicura che sfidò la dea a duello.\nDi lì a poco un'anziana signora si presentò ad Aracne, consigliandole di ritirare la sfida per non causare l'ira della dea. Quando lei replicò con sgarbo, la vecchia uscì dalle proprie spoglie rivelandosi come la dea Atena, e la gara iniziò.\nAracne scelse come tema della sua tessitura gli amori degli dei e le loro colpe; il suo lavoro era così perfetto ed ironico verso le astuzie usate dagli dei per raggiungere i propri fini che Atena si adirò, distrusse la tela e colpì Aracne con la sua spola.\nAracne, disperata, cercò di impiccarsi, ma la dea la trasformò in un ragno costringendola a filare e tessere per tutta la vita dalla bocca, punita per l'arroganza dimostrata (hýbris) nell'aver osato sfidare la dea.\nEsiste anche una versione minore del mito, molto diversa da quella sopra narrata. In questa Aracne, insieme al fratello Falance, era allieva di Atena, lei nella tessitura e lui nelle arti belliche. I due, tuttavia, furono sorpresi dalla dea mentre consumavano un amore incestuoso, e per questo puniti con la metamorfosi lei in ragno e lui in vipera.\n\nLetteratura.\nAracne è citata da Virgilio nelle Georgiche, da Ovidio nelle Metamorfosi, da Dante nell'Inferno (Canto XVII) nel Purgatorio (Canto XII), da Boccaccio nel De mulieribus claris, da Torquato Tasso nella Gerusalemme liberata e da Giambattista Marino nella poesia Donna che cuce.\nIl ragno nero (Die schwarze Spinne), è una novella o romanzo breve scritto dallo svizzero Jeremias Gotthelf (1841), che tratta questi argomenti, riprendendo una tradizione popolare simile presente tra i contadini del bernese, il luogo delle sue origini.\n\nArti visive.\nLe raffigurazioni antiche del mito di Aracne scarseggiano: potrebbe riferirsi a lei ad esempio un fregio marmoreo del foro di Nerva a Roma.\n\nRaffigurazioni della gara tra Aracne e Atena.\nFrancesco del Cossa, 1467-1470, Palazzo Schifanoia, Ferrara.\nTintoretto (1575 circa, Galleria degli Uffizi di Firenze).\nRubens, Pallade e Aracne, (1636).\nDiego Velázquez, Le filatrici (La favola di Aracne) (1657 circa).\nLuca Giordano (1695, Museo del Prado di Madrid).\nHermann Posthumus, Aracne è trasformata in ragno (1542).\nPerin del Vaga, Palazzo del Principe, Genova, 1527.\n\nRaffigurazioni a carattere politico.\nTaddeo Zuccari, affresco a Palazzo Farnese di Caprarola (1560 circa).\nLambert Sustris, affreschi nella Burg Trausniz presso Landshut (1574).\nJohann Hans Bocksberger il vecchio e Ludwig Refinger, ciclo di affreschi nella residenza cittadina di Lodovico X di Baviera a Landshut (1540), benché in questo caso l'ammonimento ai sudditi a non voler gareggiare con i potenti sia un elemento che rimane sullo sfondo dell'opera.\n\nIncisioni e illustrazioni.\nBernard Salomon (1557).\nAntonio Tempesta (1555).\nanonimo in Greek and Roman Mytholgy A to Z di Kathleen N. Daly (proprietà della New York Public Library Picture Collection).\nJean-Jacques-François Le Barbier, L'epifania di Athena guarda l'immagine.\nJohannes Baur, Minerva e Aracne guarda l'immagine.\nBullfinch, Atena colpisce Aracne (1667) guarda l'immagine.\nSusan Seddon Boulet, Aracne guarda l'immagine.\nGiovanni Caselli, Aracne nel The Illustrated Bulfinch's Mythology: Legends of Charlemagne, the Age of Chivalry, the Age of Fable.\nGustave Doré, illustrazione al XII canto del Purgatorio di Dante; le illustrazioni delle favole di La Fontaine, nello specifico 'La rondine e il ragno'; rilievo scultoreo di urna (dopo il 1871);.\nRaphael Regius (1509).\nLudovico Dolce (1558).\nKupferstich (1667).\nJohann Ulrich Krauss (1690).\n\nMusica.\nIl tema di Aracne è stato rappresentato in due balletti di Roussel (1944) e Alfred Koerppen (1968)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arai (divinità).\n### Descrizione: Le Arai erano, nella mitologia greca, le tre dee della vendetta. Ogni volta che qualcuno veniva sconfitto sulla Terra e lanciava una maledizione al suo assassino, le Arai si occupavano di dare al colpevole la lezione che si meritava. La loro reggia era nelle viscere del Tartaro. Secondo Esiodo erano figlie della divinità primordiale Notte.\n\nInfluenza culturale.\nLe Arai compaiono nella saga Eroi dell'Olimpo. In Eroi dell'Olimpo: la casa di Ade Percy Jackson e Annabeth Chase le incontrano nel Tartaro e scagliano maledizioni ai due mezzosangue.\n\nVoci correlate.\nTartaro (mitologia).\nEroi dell'Olimpo.\nEroi dell'Olimpo: la casa di Ade.\nPersonaggi di Percy Jackson.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Arai, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Arcadia (poesia).\n### Descrizione: L'Arcadia (in greco: Ἀρκαδία) è una regione storica della Grecia, nella penisola del Peloponneso (cfr. l'attuale omonima unità periferica) che, nel corso della storia della letteratura, è stata elevata a topos letterario, in quanto percepita come un mondo idilliaco. Si presenta infatti come una regione montuosa, disabitata per via della sua topografia: prevalentemente occupata da pastori, ha assunto nella poesia e nella mitologia i connotati di sogno idilliaco, in cui non era necessario lavorare la terra per sostenersi, perché una natura generosa provvedeva già a donare all'uomo il necessario per vivere. Ha una diversa connotazione dal concetto di utopia.\n\nArcadia nella letteratura.\nSecondo la mitologia greca, l'Arcadia del Peloponneso era un possedimento di Pan, la deserta e vergine casa del dio della foresta e la sua corte di driadi, ninfe e spiriti della natura. Viene spesso identificata come una sorta di paradiso terrestre, abitato però solamente da entità sovrannaturali, non un luogo in cui le anime si rifugiassero dopo la morte.\n\nVirgilio e lo stile bucolico.\nL'Arcadia è rimasta un soggetto artistico sin dall'antichità, sia nelle arti visuali, sia in letteratura. Le immagini di bellissime ninfe che giocano e corrono in una rigogliosa foresta sono state frequenti fonti di ispirazione per pittori e scultori.\nLa stessa mitologia greca è fonte di ispirazione per il poeta romano Virgilio nello scrivere le sue Bucoliche, una serie di poemi la cui ambientazione è molto simile a quella dell'Arcadia.\nIl risultato poi dell'influenza virgiliana nella letteratura medioevale, come ad esempio lo è nella Divina Commedia, l'Arcadia è diventato il simbolo della semplicità dello stile di vita dei pastori, del loro attaccamento alla Natura.\n\nIl Rinascimento: l'Arcadia in Europa.\nGli scrittori rinascimentali europei infatti rivisitarono spesso questo tema, che divenne ben presto simbolo di un luogo idilliaco. Importanti autori che si rifecero a questa tradizione furono per esempio Garcilaso de la Vega, in Spagna o Torquato Tasso, in Italia, nella sua favola pastorale Aminta.\nCome è evidente, il termine 'utopia', coniato da Tommaso Moro, non ha la stessa connotazione del termine Arcadia: non riprende una società ed una Natura idealizzata dall'uomo secondo le sue esigenze; l'Arcadia rappresenta il risultato spontaneo della vita vissuta naturalmente, lontano dalla corruzione della civiltà.\nNel 1502, Jacopo Sannazaro pubblicò il suo poema Arcadia, che fissò la nuova concezione dell'Arcadia come un mondo perduto, di felicità perfetta e duratura, raccontato come un ricordo lontano e felice. Anche l'opera Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare è ambientata entro i limiti di un regno con le stesse caratteristiche dell'Arcadia, governato da un re fatato e una regina. Nell'ultimo decennio del XVI secolo, Sir Philip Sidney fa circolare delle copie di un suo poema eroico The Countess of Pembroke's Arcadia, stabilendo l'Arcadia come un modello del Rinascimento.\nIl tema dell'Arcadia fu in gran voga anche nel XVIII secolo: celebre è il villaggio costruito a Versailles, dove la regina Maria Antonietta, smessi i panni di sovrana, aveva l'occasione di essere una felice contadinella in un mondo fatato ed idilliaco.\n\nL'Arcadia nel panorama della letteratura italiana.\nL'Accademia dell'Arcadia rappresenta, oltre ad un circolo letterario, un vero e proprio movimento letterario, fondato a Roma il 5 ottobre 1690. I suoi fondatori sono 14 letterati e intellettuali, tutti appartenenti al circolo della regina Cristina di Svezia, che risiedette nello Stato Pontificio dopo aver abdicato al trono, dal 1655 alla morte (1689). Il nome, oltre a ricollegarsi idealmente alla classicità e al poema di Jacopo Sannazaro, rievoca il carattere evasivo dell'attività poetica svolta all'interno dell'Arcadia. Era ancora viva, infatti, all'interno dell'accademia l'abitudine di matrice seicentesca, al 'travestimento': ogni accademico si sceglieva un nome tra quelli dei pastori protagonisti delle opere di carattere bucolico greco-latine (ad esempio Opico Erimanteo era il soprannome di Gian Vincenzo Gravina e Artino Corasio quello di Pietro Metastasio), la sala riunione venne rinominata Bosco Parrasio, l'archivio 'Serbatoio', l'insegna 'sampogna di Pan' (il dio Pan era il protettore dei pastori e delle greggi) e a capo dell'organismo vi era un custode che svolgeva attività analoghe a quelle dell'odierno presidente di un circolo culturale. Tra i custodi che si sono succeduti durante la vita dell'Arcadia è necessario ricordare Gian Vincenzo Gravina. In tale accademia entrarono a far parte filosofi, storici, scienziati appartenenti alla scuola galileiana.\nTappa finale dell'Arcadia era teorizzare una via alternativa al 'cattivo gusto' barocco. La sua volontà era di impedire alla poesia di divenire mero artificio retorico. Per questo suo fine ultimo, l'accademia è stata spesso definita come una coscienza di decadenza, ovvero come la consapevolezza che la letteratura avesse raggiunto il suo apice nel periodo classico greco-latino e nel Petrarca. Si svilupparono in tale prospettiva due filoni interni all'Arcadia: quello 'petrarcheggiante', i cui massimi esponenti furono Giambattista Felice Zappi e Paolo Rolli e quello 'classicheggiante', il cui massimo esponente fu Pietro Metastasio.\nNonostante le copiose teorizzazioni estetiche ad opera dell'accademia, essa ebbe un carattere non-rivoluzionario, e la sua influenza rimase circoscritta al territorio italiano. L'accademia soffrì infatti di tre gravi limiti:.\n\nLa mancanza di ideali nuovi, più freschi e meno anacronistici;.\nLa mancanza di concretezza, l'accademia aveva assunto, infatti, i caratteri di una realtà alternativa e fittizia, poco attenta alle strade letterarie intraprese nel resto d'Europa,.\nLa mancanza di 'verità': la produzione Arcadica era sì caratterizzata da una grande raffinatezza formale, ma era frutto di una concezione manieristica della poesia, alla rielaborazione di già ben noti topoi letterari.Tali limiti appena citati hanno aggiunto al termine Arcadia un significato figurato e quello di una riunione di persone o una corrente culturale che tratti futilmente di cose senza importanza.\n\nLetteratura contemporanea.\nVi è un riferimento ad Arcadia anche nella serie di romanzi di Ulysses Moore, scritta da Pierdomenico Baccalario. Essa è infatti uno dei paesi immaginari raggiungibili dalle Porte del Tempo o dal Labirinto d'Ombra, che la collega agli altri porti dei sogni. Parte dell'ottavo, del nono e del dodicesimo libro della serie è ambientata ad Arcadia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arcandro.\n### Descrizione: Arcandro (in greco antico: ?) è un personaggio della mitologia greca, figlio, oppure nipote (a seconda delle fonti) di Acheo e fratello di Architele.\n\nMitologia.\nInsieme al fratello Architele combatté una guerra contro Lamedonte, re di Sicione, e ne furono sconfitti.\nSi trasferì dalla sua città natale Ftia ad Argo, (la città bianca), capitale dell'Argolide. Da tale luogo in seguito riuscì a prendere il comando del regno e aumentò il suo potere arrivando a regnare anche sulla Laconia. Secondo il mito lui fu il primo a chiamare Achei gli abitanti di quei luoghi.\nArcandro sposò una delle figlie di Danao, la giovane Scaia e suo fratello scelse un'altra figlia dello stesso padre, chiamata Automata." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Archefonte.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Archefonte era un giovane eroe innamorato di Arsinoe, la figlia di Nicocreonte.\n\nMitologia.\nArchefonte amava con tutto se stesso la donna ma lei continuava a rifiutarlo, fino a quando lui disperato decise di uccidersi.\nDi fronte a tale spettacolo Arsinoe non diede alcun segno di dispiacere ed Afrodite piena d'ira vedendo un cuore tanto freddo, decise di trasformarla in pietra." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Archelao (figlio di Temeno).\n### Descrizione: Archelao (in greco antico: Ἀρχέλαος?, Archélaos) è un personaggio della mitologia greca. Fu il fondatore della città di Ege.\nIgino scrive che sia un antenato di Alessandro Magno.\n\nGenealogia.\nFiglio di Temeno.\nNon sono noti nomi di spose o progenie.\n\nMitologia.\nEsiliato dai suoi fratelli, abbandonò la città di Argo e si trasferì presso il regno di Cisseo, in Macedonia che, trovandosi con una guerra in atto ed in difficoltà, colse l'occasione di schierare Archelao al suo fianco promettendogli in cambio la mano della figlia ed il regno.\nCisseo però, si rimangiò la parola data e fece scavare una fossa piena carbone a cui diede fuoco prima di celarla con una copertura di fronde e cercando di fare in modo che Archelao ci cadesse dentro, ma Archelao fu avvisato da un servo e così, dopo aver chiesto di conferire con Cisseo, lo gettò nella sua stessa fossa uccidendolo.\nArchelao poi, interrogò un oracolo che gli consigliò di abbandonare il regno seguendo il cammino di una capra di nome Ege ed in seguito fondò una città che chiamò con lo stesso nome della capra." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Archemaco di Eubea.\n### Descrizione: Archemaco di Eubea (in greco antico: Ἀρχέμαχoς?, Archémachos; Eubea, ... – ...; fl. III secolo a.C.) è stato uno storico greco antico.\n\nBiografia e opere.\nDi Archemaco abbiamo notizia che avrebbe composto almeno tre libri che trattavano della sua isola nativa (Eubea).\nÈ incerto se questo Archemaco sia stato l'autore dell'opera grammaticale I cambiamenti di nome (Aι Μετωνυμιαι),." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Archia (ecista).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Archia (in greco antico: Ἀρχίας) era il nome del mitico fondatore (ecista) di Siracusa.\n\nL'origine e l'esilio.\nDiscendenza.\nSi narra che Archia fu figlio d'Evageto; costui era il decimo discendente dell'eraclida Temeno, il quale era a sua volta figlio di Aristomaco - discendente di Illo; figlio d'Ercole e fondatore del popolo degli Illiri - insieme ai due fratelli, Cresfonte e Aristodemo, conquistò e invase il Peloponneso. Avendone scacciato gli Achei, a Temeno toccò la città di Argo - mentre i suoi due fratelli si insediarono presso la Messenia e la Laconia - divenendone reggente.\nFu dal mito di questa discendenza che Archia si disse, oltre che eraclide e bacchiade, anche argivo, poiché suo padre traeva radici genealogiche da quel Temeno signore d'Argo. Il nome di Evageto è attestato nel Marmor Parium, e tuttavia non si è certi della piena affidabilità di tale frammento scolpito.\nArchia era un componente della famiglia dei Bacchiadi; era tra i membri più influenti e autorevoli. Tale stirpe viene fatta risalire al ramo dei Dori, e il suo primo esponente fu Alete, il dorico eraclida che occupò Corinto governandola con la sua discendenza fino a Bacchi di Prumnide, e da questi la famiglia mutò il suo nome da Eraclidi in Bacchiadi. Secondo altre versioni invece l'origine del nome sarebbe derivato da Bacchia figlia del dio Bacco.\nDa re alle più alte cariche, i Bacchiadi controllavano la vita sociale, militare e politica di Corinto.\n\nI Bacchiadi e Atteone.\nL'esilio di Archia è dovuto alla tragica vicenda dell'argivo giovane Atteone, figlio di Melisso, il quale, secondo diverse versioni discordanti, venne ucciso dai Bacchiadi.\n\nLa narrazione di Plutarco.\nPlutarco - colui che ci ha fornito la versione più dettagliata - narra che tutto ebbe inizio quando Fidone, re di Argo - e discendente di Temene - decise di voler conquistare Corinto per poi farne la propria sede principale dalla quale porre l'avvio all'intera conquista del Peloponneso. Tale Fidone aveva chiesto con una scusa 1.000 giovani corinzi, tra i più fiorenti e coraggiosi, ma il suo reale intento non era amichevole, egli infatti voleva uccidere questi giovani per privare Corinto delle sue forze migliori. Il suo piano fallì a causa del tradimento dei comandanti argivi Dessandro e Abrone; quest'ultimo per fuggire dalle ire di Fidone prese la sua famiglia e si portò con essa al riparo dentro le mura di Corinto. Qui fu ben accolto avendo salvato la città dalle mire argive.\nAbrone ebbe un figlio che chiamò Melisso, il quale a sua volta fu genitore di Atteone. Questo giovane, narra Plutarco, era per virtù e bellezza il primo fra i corinzi. Ma egli per queste sue qualità aveva dietro una schiera di spasimanti che volevano sedurlo, dei quali il più ardimentoso era proprio Archia dei Bacchiadi.\n\nArchia venne più volte rifiutato dal giovane Atteone, e non volendo rassegnarsi decise allora che avrebbe usato la forza per averlo. Con altri Bacchiadi della sua famiglia si presentò presso la casa di Melisso, deciso a rapire e portare con sé il giovane argivo. Ma egli e i suoi complici incontrarono la decisa resistenza del padre, Melisso, il quale chiamando altri suoi amici voleva impedire il ratto del figlio.\nNella gran foga che si creò, Atteone venne strattonato dagli uni e dagli altri, finendo lacerato, ucciso in questa maniera. Di tale tragedia Melisso invocò giustizia. Recante il corpo del figlio, si portò in pubblica piazza e qui pronunciò parole d'astio e rammarico verso i corinzi, i quali, dimentichi del bene fatto da suo padre Abrone, lasciavano che i Bacchiadi restassero impuniti per tale crimine commesso ai danni della sua prole.\nEgli voleva giustizia contro Archia, ma i corinzi temevano l'ereclida a causa della potente fama di cui erano stati insigniti i Bacchiadi. Vedendo che né Senato e né popolo osava parlare contro il colpevole, durante i giochi dell'Istimo, salì sul Tempio di Poseidone - o Nettuno - e maledicendo i Bacchiadi e invocando il nome di tutti gli dei, afflitto dal profondo dolore, si gettò da un dirupo, non sopravvivendo così al figlio.\n\nDopo la sua morte incominciò un lungo periodo di carestia e pestilenza presso Corinto. Disperati gli abitanti andarono a consultare l'Oracolo delfico - il più importante tra gli oracoli dei greci - e questi rispose loro che l'ira del dio Poseidone era stata scatenata, e non si sarebbe mai placata fino a quando la morte di Atteone non sarebbe stata vendicata.\nArchia, che faceva parte della delegazione di corinzi mandati presso l'oracolo, udendo tali parole decise di auto-esiliarsi. Per i sensi di colpa che gli vennero nei confronti dell'intera città, o per il timore che l'ira funesta di Poseidone potesse abbattersi contro di lui se fosse rimasto a Corinto.\n\nAltre narrazioni.\nLa narrazione tramandata negli scoli ad Apollonio Rodio è invece differente da quella di Plutarco. Non vi è un Abrone argivo, ed è Melisso ad aiutare la città di Cortinto contro le mire espansionistiche di Argo. Inoltre Atteone non venne ucciso dalla foga di Archia che lo strattonava, ma piuttosto furono colpevoli tutti i Bacchiadi.\nMelisso venne a chiedere vendetta, ma non contro il singolo Archia, bensì contro tutta la stirpe dei Bacchiadi. Poiché essi, ritenuti eredi di Bacco, dimostrarono di non poter convivere pacificamente a Corinto, a causa della loro genetica che li rendeva pericolosi. Il responso dell'Oracolo delfico fu quindi l'esilio forzato per tutto il genos dei Bacchiadi.\nLo Scolio di Apollonio nomina solamente Chersicrate, come esponente della famiglia bacchiade. Ed informa che questi andò a fondare Corcira. In questo caso Archia sarebbe stato espulso da Corinto al pari degli altri componenti.\nMa le versioni sull'esilio dei Bacchiadi sono discordanti; Strabone ci informa che Archia venne cacciato insieme a Chersicrate - e non si nomina l'auto-esilio di cui rende testimonianza Plutarco - mentre il resto della famiglia bacchiade rimase in Corinto fino all'avvento della tirannia di Cipselo.\n\nVi sono dunque due date differenti tra l'abbandono di Archia e il resto della famiglia: Archia andò via da Corinto - insieme al bacchiade Chersicrate - verso la metà del VII sec. a.C., mentre il resto del genos rimase nella città peloponnesiaca fino all'anno 658-657 a.C., ovvero fino a quando Cipselo - per metà bacchiade anche lui - con una scusa mandò i più illustri membri della famiglia a consultare l'oracolo di Delfi e una volta fuori non li fece più rientrare, costringendoli tutti all'esilio.\nIn altre versioni ancora, a uccidere Atteone non furono i Bacchiadi, ma i devoti di Bacco, i quali durante le feste ad esso dedicate, si resero protagonisti del violento rito dionisiaco, per cui dilaniarono il povero Atteone.\nInfine nella narrazione di Diodoro Siculo sparisce qualsiasi riferimento all'argivo Fidone, Abrone o alla collera di Melisso, poiché lo storico d'Agira si concentra solamente sulla vicenda dell'Archia invaghito dell'Atteone.\n\nE così conclude:.\n\nIl traduttore di Diodoro, Campagnoni - come altri storici - informa inoltre che secondo Massimo di Tiro Atteone non era figlio di Melisso ma di Eschilo.\n\nL'Oracolo di Delfi e la fondazione di Siracusa.\nDiscendenza.\nArchia ebbe due figli, Ortigia e Siracusa.\n\nL'Archia argivo e il borgo di Tenea.\nStorici come Eugenio Manni, considerando la non indifferente quantità di indizi che collegano in un modo o nell'altro (attraverso l'archeologia e attraverso le fonti antiche) Argo a Siracusa, hanno ipotizzato che la leggenda che vuole Archia un corinzio di nascita e dunque un Bacchiade-Eraclide, fosse in realtà da rivedere in chiave argiva. Per questo motivo, alcuni sostengono che il Marmor Parium si fosse equivocato stabilendo che Archia era un Bacchiade di Corinto, mentre in realtà egli era solamente in stretti rapporti con tale nobile famiglia; ciò spiegherebbe anche l'anomalia del comportamento di Melisso, padre di Atteone, che non aveva voluto concedere suo figlio ad un nome tanto importante come quello degli Eraclidi. Il borgo di Tenea - il più esteso della regione corinzia - sarebbe stato in origine appartenente all'Argolide, e solo dopo la sconfitta del re argivo Fidone, sarebbe passato alle insegne corinzie. Dunque Archia, che avrebbe risieduto in Tenea - dal quale preleverà il maggior numero dei suoi coloni - era un argivo e come lui lo erano tutti i teneati che, proprio a causa della sconfitta di Fidone e dell'annessione della loro terra a Corinto, furono costretti all'esilio. Col passare del tempo la situazione politica corinzia si stabilizzò, ed essendo la metropoli divenuta ben più nota del suo borgo i coloni di Siracusa si dissero solamente corinzi, così come solamente corinzia si disse la sua origine: dimenticando l'importante componente argiva che l'aveva fondata. Ciò rimane ovviamente solo una delle tante ipotesi che girano intorno al periodo meno noto e più arcaico di Siracusa." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Areio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Areio secondo una delle versioni del mito era uno dei partecipanti alla spedizione dedita al recupero del vello d'oro.\n\nIl mito.\nAreio rientra nell'annovero posto da Apollonio Rodio, di coloro che spinti dall'entusiasmo di Era, la moglie di Zeus, risposero all'appello degli araldi mandanti in tutta la Grecia per il recupero dell'oggetto sacro. Fu dunque uno degli argonauti, ubbidì silente al loro comandante Giasone e non si distinse nel viaggio per impresa o altro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Areo (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Areo era il nome di uno dei figli di Biante.\n\nNella mitologia.\nAreo era il fratello di Talao e di Leodoco.\nSecondo Apollonio Rodio, quando Giasone dovette partire per la conquista del vello d'oro (incarico affidatogli da Pelia quale impresa per riscattare la propria famiglia), Areo fu uno degli eroi che insieme ai fratelli rispose all'appello. Durante il viaggio degli argonauti, questo il nome del gruppo di eroi, non si distinse in maniera particolare.\nAreo regnò a Preto come ricompensa del re per aver salvato dalla follia le figlie del re." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Areopago.\n### Descrizione: L'Areòpago, o Areopàgo, (in greco antico: Ἄρειος Πάγος?, 'collina di Ares') è una delle colline di Atene (Grecia) situata tra l'agorà e l'acropoli.\n\nStoria.\nNel periodo monarchico dell'antica Grecia vi si riuniva il collegio delle supreme magistrature dello Stato presiedute dal re (governo dei 9 arconti), mentre intorno al 624 a.C. tale termine venne utilizzato per indicare l'assemblea degli anziani (ex arconti). La principale funzione di tale assemblea era quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento fu del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini.\nL'Areopago perse lentamente il controllo della vita pubblica col sorgere delle prime forme di democrazia, che si affermarono subito rispetto alle leggi arcaiche dell'arcontato, i cui membri erano addirittura eletti a vita, senza possibilità di rinnovo del consiglio.\nA partire dal 487 a.C. si assistette al declino dell'Areopago, grazie alla rivoluzione democratica già avviata nel 508/7 a.C. da Clistene, la cui costituzione assegnò il potere a una Boulé composta da cinquecento membri, sorteggiati da una lista di candidati delle tribù ateniesi.\nFurono Efialte e Pericle nel 462/61 a limitare definitivamente i poteri dell'Areopago, che passò a occuparsi solamente dei reati relativi al sacrilegio e all'omicidio volontario. L'organismo riacquistò importanza col declino della democrazia e il sorgere della civiltà ellenistica.\n\nEtimologia.\nEtimologicamente Areopago deriva da Ares, dio della guerra greco e i motivi del nome sono due:.\n\nSecondo la leggenda, il dio sarebbe stato accusato di omicidio da Poseidone, dio del mare greco, e Ares sarebbe stato giudicato da dodici giurati proprio su quella collina;.\nStoricamente sulla collina sorgeva un tempio dedicato ad Ares.Nell'epoca classica comunque l'Areopago si riteneva presieduto dalla dea Atena.\n\nReligione.\nFamoso è il Discorso dell'Areopago di san Paolo in Atti degli apostoli (17,22-34) agli areopagiti, per annunciare loro la morte e la resurrezione di Cristo. Il versetto 21 menziona che 'tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare'. Paolo, predicatore dalla sua conversione, iniziò a testimoniare riguardo a Dio e all'uomo che Dio 'ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti'. Paolo prese occasione dal simulacro ivi dedicato al 'Dio ignoto', identificato da Paolo con il Dio cristiano, proclamando che Dio è creatore di tutte le cose e che ha dato prova, risuscitandolo dalla morte, che il Figlio Gesù Nazareno detto Cristo, morto e risorto, è colui che un giorno giudicherà il mondo con giustizia. Paolo rinforzò il suo dire evocando un verso del poeta ellenistico, Arato di Soli, che cita: 'di Lui noi siamo la stirpe' (17,28). Ma gli areopagiti, filosofi scettici, lo licenziarono dicendogli: 'Su questo ti sentiremo un'altra volta', perché non credevano al risorgere dai morti in quanto contrario alla contrapposizione greca tra puro spirito e la materia meno pura. La predicazione di Paolo tuttavia fece dei proseliti secondo quanto riportato negli Atti degli Apostoli (17,34) dove si specifica che 'alcuni divennero credenti, fra questi anche Dionìgi membro dell'Areopago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arestore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Arestore o secondo alcuni Arestoride, era il padre di Argo Panoptes (Argo dai cento occhi).\n\nIl mito.\nArestore a seconda delle varie tradizioni risulta essere padre o fratello di Argo, non il fondatore della città ma del guardiano di Io, che secondo una tradizione minore fu il figlio a chiamarsi per tale discendenza con l'epiteto di Arestoride.\n\nDiscendenza.\nSecondo Igino, da Niobe e Zeus nacque Argo il fondatore della città, da lui ed Evadne nacquero Arestore e Argo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Aretaone.\n### Descrizione: Aretaone (in greco Ἀρετάων) è una figura mitologica dell'Iliade (VI, v. 31); fu un guerriero troiano.\nAretaone fu ucciso da Teucro in un'azione bellica descritta nel libro VI dell'Iliade relativo all'incontro di Ettore e Andromaca.\n\nOmonimia e paternità.\nNel poema omerico il nome identifica anche il padre dei tre guerrieri frigi Ascanio, Forci, Mori e Palmi.\n\nSecondo Apollodoro, Aretaone è il padre di Ascanio e Forci.\nOmero invece, riferisce solo che Forci era figlio di Fenope, il che fa sì che questo personaggio si possa ricondurre allo stesso del padre di Ascanio (Aretaone)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Arete (moglie di Alcinoo).\n### Descrizione: Arete (in greco antico: Ἀρήτη?, Arḕtē) è un personaggio della mitologia greca, sposa e nipote di Alcinoo re dei Feaci e madre di Nausicaa e Laodamante.\n\nMitologia.\nLegata ad una vicenda narrata da Omero nel libro V dell'Odissea e riguardante uno dei naufragi di Ulisse.\nIn terra dei Feaci Ulisse trova ospitalità e ottiene, grazie all'intermediazione di Arete verso il marito, i mezzi per riprendere il suo viaggio di ritorno a Itaca.\nArete è anche famosa per aver aiutato MedeaSecondo Esiodo Arete sarebbe anche una sorella di Alcinoo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argalo.\n### Descrizione: Argalo (in greco antico: Ἄργαλος?) è un personaggio della mitologia greca, terzo re di Sparta.\nArgalo era figlio primogenito ed erede del re di Sparta Amicla e, presumibilmente, di sua moglie Diomeda. I suoi fratelli erano Cinorta, Giacinto, Polibea, Laodamia, (o Leanira) e secondo altre versioni, Dafne.Argalo non ebbe figli e per questo motivo il suo successore sul trono di Sparta fu il fratello Cinorta. Secondo altre versioni, invece, Argalo ebbe come figlio Ebalo, che divenne anch'egli re di Sparta, ma non immediatamente dopo il padre, bensì come sesto re." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arge.\n### Descrizione: Arge (in greco antico: Ἄργης?, Árgês) o Arges è un personaggio della mitologia greca, figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra).\nViene chiamato Piracmone da Virgilio e Acmonide (in latino Acmŏnĭdēs, -ae, lett. 'figlio dell'incudine') da Ovidio nei Fasti.\n\nMitologia.\nSecondo Esiodo era un ciclope ed aveva due fratelli (Sterope e Bronte), sapeva lavorare il ferro e costruire mura. Prestava all'inizio aiuto al dio Efesto nel preparare i fulmini di Zeus. In seguito Arge divenne una guardia di Zeus e sposò una ninfa ed ebbe dei figli che incontrarono Ulisse molti anni dopo.\n\nLa morte.\nApollo voleva molto bene a suo figlio Asclepio e quando venne a sapere che Zeus lo aveva ucciso si volle vendicare uccidendo a sua volte i tre ciclopi e quindi Arge. Si racconta che la sua ombra vaga alle pendici del vulcano Etna.\n\nCuriosità.\nUn minerale è stato dedicato a questo ciclope: l'acmonidesite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argeio.\n### Descrizione: Argeio (in greco antico: Άργεῖος), un personaggio della mitologia greca, uno dei figli di Licimnio e di Perimede.\n\nMitologia.\nAveva due fratelli Eono e Mela.\nAmico e compagno di guerra insieme a Mela di Eracle andò a combattere Eurito il re di Ecalia trovandovi la morte insieme al fratello.\nIl semidio, loro lontano parente li seppellì entrambi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argenno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Argenno o Arginno era il nome di uno dei giovani della Beozia, noto per la sua bellezza.\n\nIl mito.\nArgenno era un ragazzo dalla grande bellezza. Un giorno egli si trovava nell'Aulide dove la flotta achea aspettava di poter salpare per raggiungere Troia che avevano giurato tra loro di distruggere. Il capo supremo dell'armata, Agamennone, notò, in quei luoghi, Argenno e si innamorò perdutamente di lui. Raggiunse il ragazzo presso le rive del fiume Cefiso, cercò di sedurlo, ma non vi riuscì perché il giovane, determinato a sfuggirgli, morì annegando nelle sue acque. Agamennone addolorato, eresse in suo nome un tempio solenne dedicato ad Afrodite." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Argeo (re di Argo).\n### Descrizione: Argeo (in greco antico: Ἀργεύς?) era un re mitologico di Argo nell'antica Grecia, figlio di Megapente forse fu padre di Anassagora." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Argeo.\n### Descrizione: Argeo (in greco antico: Ἀργεῖος?, Arghêios) è un personaggio della mitologia greca ed uno dei figli di Frisso e Calciope e fu fratello di Frontide, Citissoro e Mela.\n\nMitologia.\nPrese parte con i suoi fratelli al viaggio verso la Colchide ed in seguito si unì agli Argonauti.\nSecondo alcuni morì nella spedizione di Eracle contro Laomedonte; secondo altri, insieme a suo fratello Mela, morì nella conquista di Ecalia. Eracle, avendo promesso a suo padre di riportarglielo a casa, ne riportò le ceneri." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argia (mitologia).\n### Descrizione: Argia o Argea (in greco antico: Ἀργεία?, Arghèiā), è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Adrasto e di Anfitea (figlia di Pronace) o Demonassa, sposò Polinice e fu madre di Tersandro.\n\nMitologia.\nFu la prima nata fra le tre sorelle e una volta adulta partecipò con altre donne ai funerali di Edipo, di cui in seguito sposò il figlio Polinice. Dopo la morte del marito, caduto a Tebe nella celebre guerra, si recò in quella città per recuperarne il corpo: lì venne sorpresa dalle guardie di Creonte, ma riuscì a fuggire.\nArgia è citata da Giovanni Boccaccio nell'opera De mulieribus claris." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Argiope (figlia di Teutrante).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Argiope (Ἄργιόπη) era la figlia del re Teutrante di Misia, che secondo una versione fu la prima moglie di Telefo, al quale diede i figli Tarconte e Tirreno. Forse i due generarono insieme anche Ciparisso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argiope (ninfa).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Argiope (Ἄργιόπη) era una ninfa che abitava sul Parnaso e dalla unione con Filammone aveva generato Tamiri celebre cantore che si vantò di essere superiore alle stesse Muse ma che venne da queste accecato.\n\nFonti.\nBiblioteca (Apollodoro), 1, 3, 3." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argo (cane).\n### Descrizione: Argo (in greco antico: Ἄργος?, Árgos) è il cane di Odisseo (Odissea, XVII, 290-327).\n\nAllevato come cane da caccia dall'eroe prima di partire per Troia, nel poema di Omero compare in un passo, ad Itaca, soltanto nella terza e ultima parte: ormai vecchio, disteso «su cumuli di letame di muli e buoi addossato dinanzi all'ingresso», tormentato dalle zecche; ugualmente, vede subito il padrone Odisseo (travestito da mendicante) dopo averlo lungamente atteso nonostante la prolungata assenza, e agita la coda, abbassa le orecchie, non avendo la forza di avvicinarsi a lui. Argo allora viene «preso dalla nera morte per sempre, dopo essere riuscito a rivedere alla fine Odisseo dopo vent'anni», e Odisseo si asciuga di nascosto una lacrima (l'unica che versa dopo il suo ritorno ad Itaca), senza che Eumeo se ne accorga. Il cane Argo rappresenta la fedeltà nei confronti del padrone.\n\nArgo riconosce o no Odisseo?.\nIn merito alla questione del riconoscimento da parte di Argo di Ulisse, la esegesi di Vincenzo Di Benedetto riportata nelle note del testo dice :.\n\nBensì Argo non riconosce inizialmente Ulisse ma riconosce il padrone solo dopo che Eumeo entrò nel palazzo circondato dai Proci." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Argo (città antica).\n### Descrizione: Argo è un'antica città dell'Argolide, in Grecia, importante polis al centro di molteplici eventi storici e mitologici.\n\nNome.\nLa regione di Argo è conosciuta come Argolide (Argolis o Argeia). Gli abitanti di Argo sono detti Ἀργεῖοι Arghèioi in greco e Argīvī in latino.\nIl nome della città può avere origine pregreca ('pelasgica') mentre lo è sicuramente il nome della sua acropoli, Larissa. La città deriva il suo nome dal mitico fondatore Argo, figlio di Zeus e Niobe, figlia di Foroneo, che successe allo zio Api come re di Foronea, che ribattezzò dandole il suo nome. Secondo un racconto, sposò Evadne, figlia di Strimone e Neera, ed ebbe come figli Ecbaso, Peiranto, Epidauro e Criaso.\nSecondo un'altra versione, sua moglie era senza nome, e i suoi figli furono Peiranto, Forbante, e Tirinto.\nSe il nome è di origine indoeuropea probabilmente è collegato alla radice arg- che significa 'brillante' o 'splendente' o simili (per esempio argyros, argento).\n\nStoria.\nPeriodo greco antico.\nOrigini e fondazione.\nLa città sorge ai piedi di una catena montuosa che chiude a nord l'omonima pianura e che a sud termina nel golfo di Nauplia. Inserita lungo importanti vie di comunicazione che collegavano il Peloponneso all'Attica ed alla Beozia, la città poteva contare sulle produzioni agricole della pianura circostante e sui commerci marittimi che si svolgevano nel vicino porto di Nauplia.\nAd est ed a ovest della città sorgono due colline, Larissa e Aspis. La prima fu la sede dell'agglomerato e della rocca micenea, sulla seconda sorgeva un tempio dedicato ad Apollo Liceo (Lyceios) ed altri dedicati a Diomede ed Atena.\nSulla collina dell'Aspis inoltre si trova un insediamento miceneo databile tra il 2000 e il 1600 a.C. La collina ebbe una frequentazione successiva anche in epoca classica.\n\nEdificata durante l'età del bronzo fu probabilmente rifondata nel 1000 a.C. come gli altri centri dell'Argolide fu abitata dagli Ioni, poi scacciati dai Pelasgi, che a loro volta furono sostituiti dai Pelopidi, la stirpe di Agamennone, re di Micene. Quindi, nel X secolo a.C. i Dori giunsero nella regione e si mescolarono alle genti che si erano qui stabilite.\n\nL'egemonia di Argo.\nLa città fu nella Grecia antica la seconda città del Peloponneso ed 'una delle più importanti terze forze nel quadro internazionale greco'.\nDell'Argo dell'epoca micenea restano ben poche vestigia. La città, insieme a Micene e Tirinto, doveva far parte dell'organizzazione difensiva palaziale micenea, che si è persa nei secoli successivi.\nDopo secoli bui, caratterizzati dalla decadenza dei palazzi micenei e da un brusco calo della popolazione del Peloponneso, Argo si riformerà per sinecismo di alcuni piccoli centri situati ai piedi delle due colline espandendosi poi fino a raggiungere la massima estensione nell'VIII secolo a.C.\n\nPersonaggio fra mito e storia di questo periodo fu il tiranno Fidone. Sotto la sua guida, fra l'VIII ed il VI secolo a.C. Argo raggiunse l'apice della sua potenza arrivando a controllare la maggior parte del Peloponneso, a dirigere i giochi Olimpici strappando Olimpia dal controllo degli Elei e consegnandola ai suoi alleati Pisiati, ad imporre un diverso sistema di misure (più piccole di quelle ateniesi e dette appunto fidoniane) ed infine a possedere l'esercito più potente grazie alla introduzione della falange oplitica. La supremazia militare di Argo nel Peloponneso e su Sparta si mantenne fino al 600 a.C.\nL'espansione si consolidò con la schiacciante vittoria a Isie nel 669 a.C. contro Sparta, dopo tale scontro le due città furono eterne nemiche.\nEstendendo il suo dominio sull'Argolide e su parte del Peloponneso, in questo periodo espanse la sua influenza alle oramai decadute città micenee di Tirinto e Micene, occupando Nauplia e il suo porto, espandendosi ad ovest verso l'Arcadia e a sud lungo il fiume Parnone riducendo gli occupati, definiti orneati in una condizione di semilibertà simile a quella dei perieci spartani.\nNon dobbiamo infatti dimenticare che la stirpe argiva era dorica, come gli Spartani, e quindi con una impostazione politica simile. Ciò che è interessante nella storia di questa città è l'evoluzione originale che ebbero le sue forme di governo, sulla spinta delle ricorrenti crisi demografiche, causate dallo stato di guerra continua, ben descritto da Isocrate:.\n\nAnche la città di Corinto e l'isola di Egina subirono per un certo periodo la supremazia argiva.\n\nLa decadenza.\nDopo il periodo fidoniano Argo comincia gradatamente a perdere il proprio predominio. A Nord, nelle città di Sicione e Corinto si affermarono due dinastie di tiranni, gli Ortagoridi di Sicione e i Cipselidi di Corinto, fortemente ostili ad Argo che contrastarono non solo il dominio politico e commerciale argivo ma anche quello culturale (il tiranno ortagoride Clistene (ca.600 a.C. - 570 a.C.) vieterà la lettura dell'Iliade perché esaltava troppo le glorie degli eroi argivi).\n\nArgo così, con l'andare del tempo, vide diminuire la sua area di influenza su territori via via più importanti strategicamente, come le città di Epidauro, Trezene ed Ermione e successivamente l'isola di Egina. Trovandosi in tale difficoltà nel Peloponneso, Argo dovette cercare alleanze al di fuori di questa regione. Gli argivi perciò cominciarono ad interessarsi alle vicende ateniesi ed infatti un contingente di mercenari argivi aiutarono Pisistrato a divenire tiranno di Atene nel 549 a.C..\nIn particolare fu l'intervento di Sparta a ridimensionare definitivamente la potenza argiva fino ad impedirle il controllo della stessa pianura circostante. Sparta infatti strappò la città di Tirea al dominio argivo nel 545 durante la cosiddetta battaglia dei campioni che vide gli spartani vittoriosi, se pur con notevoli perdite. In seguito a questa battaglia numerose poleis più piccole si posero sotto la tutela spartana.\nDopo aver vinto i Corinzi che assediavano l'alleata Megara, Argo subì altre gravi sconfitte ad opera degli spartani durante il regno del potente re spartano Agiade, Cleomene I. La prima nel 510 a.C. quando Argo fu salvata dalle donne che scesero in armi a difendere la città sotto il comando della poetessa Telesilla. La seconda e più grave nel 494 a.C., con la battaglia di Sepeia, nei pressi di Tirinto (gli spartani ebbero qui l'appoggio della flotta di Sicione ed Egina), nella quale le perdite argive furono così gravi da provocare una tale crisi demografica che la città dovette essere governata per un lungo periodo dagli orneati (perieci) dando origine a quel complesso ed instabile equilibrio politico che caratterizzerà tutta la successiva storia di Argo.\nErodoto e Pausania forniscono indicazioni sulla situazione politica interna di Argo durante queste vicende: a Fidone succedette il figlio Leocede che fu accusato di debolezza e considerato responsabile delle sconfitte subite e dovette dimettersi, stessa sorte subì suo figlio Melta la cui scacciata sancì la fine della monarchia ereditaria ad Argo.\nIl potere politico venne controllato dall'Assemblea, dalla Boulè (un'assemblea ristretta riservata ai più anziani) ed a varie magistrature come quella dei Damiurghi. Rimarrà ancora la figura del re ma sarà elettiva e con poteri molto limitati (sacerdotali e militari, probabilmente presiedeva la Boulè).\nLa sconfitta di Sepeia (Sepia) con la successiva strage di opliti avversari operata del re spartano Cleomene I causerà una gravissima crisi demografica in Argo (Erodoto parla di 6000 caduti). Dell'antica aristocrazia dorica restavano solo vecchi, donne e bambini, fu necessario coinvolgere nell'amministrazione della città i perieci. Non vi fu un vero e proprio mutamento istituzionale ma molte persone nuove entrarono nelle strutture di potere della polis. L'antica aristocrazia dovette accettare questo mutamento, conservando il controllo della Boulè, in attesa che i bambini crescessero ed una nuova generazione di nobili fosse disponibile. Argo comunque non venne distrutta (e di questo gli spartani accusarono Cleomene I), non dovette entrare nella lega del Peloponneso e poté mantenere l'indipendenza.\n\nLa complicata situazione politico sociale creatasi ad Argo durante questo periodo è dimostrata anche dal comportamento ambiguo che la città ebbe durante la guerra fra Egina ed Atene nel periodo fra la prima e la seconda guerra persiana. Argo negò l'appoggio agli Egineti in quanto questi avevano partecipato alla battaglia di Sepia come alleati degli Spartani, ma poi inviò un contingente di mille volontari al comando di Euribate, un campione olimpico del pentathlon antico.\nQuando nel 480 a.C., dopo il consiglio dell'istmo, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra persiana, ambasciatori della greci confederati contro la Persia vennero a chiedere l'aiuto di Argo, la Boulè argiva chiese una pace trentennale con Sparta ed il comando di almeno la metà dell'esercito per partecipare all'impresa (si voleva guadagnare tempo per permettere alla nuova generazione argiva di divenire adulta). Era una richiesta non accoglibile che nascondeva anche l'incapacità della polis a radunare un esercito efficace in quel periodo.\nIl mutamento sociale ad Argo è ulteriormente testimoniato dall'introduzione di una nuova tribù nella suddivisione del corpo cittadino: alle tre classiche doriche dei Dimani, degli Illei e dei Panfili viene aggiunta quella degli Irnati che comprendeva la maggior parte dei nuovi venuti. Le tribù erano suddivise in dodici fratrie. Ogni fratria eleggeva un magistrato (consiglio dei dodici) con funzioni probabilmente finanziarie (magistratura interna alle tribù). Ciascuna tribù eleggeva un magistrato con funzioni sacerdotali: gli ieromnemoni.\nDal 474 a.C. al 470 a.C. sarà in Argo l'ateniese Temistocle che, ostracizzato da Atene per le sue idee antispartane, tenta da qui di organizzare una lega antispartana. La presenza del grande stratega e politico ateniese probabilmente favorì ulteriormente il processo di democratizzazione della città.\nIl mutamento della politica estera ateniese sotto il dominio di Cimone, con il concetto delle due sfere di influenza e la fine della ostilità verso Sparta, lascerà sconcertati gli argivi che infatti non parteciparono alla battaglia di Dipea a fianco degli Arcadi contro gli Spartani. Ciò favorì una ripresa del partito oligarchico nel 468 a.C. Quando i figli degli aristocratici giunti alla maggiore età ripresero il controllo della città scacciando gran parte dei nuovi venuti che si rifugiarono a Tirinto conquistandola. Per un qualche tempo fra le due città regnò la pace ma poi gli esuli tentarono di riconquistare Argo (Erodoto racconta che furono in questo consigliati da un certo Cleandro proveniente dall'Arcadia) e furono definitivamente sconfitti. Nel 464 a.C. Argo non approfittò della debolezza spartana causata da un forte terremoto e non scese in guerra a fianco dei Messeni probabilmente a causa degli accennati problemi interni. Ma il processo di democratizzazione era ormai avviato perché i giovani aristocratici erano cresciuti in una città diversa dal passato ed avevano ammirazione per la democratica, Atene, nemica di Sparta ed anche perché stava crescendo una nuova generazione di meticci fra i vecchi e nuovi cittadini. Il potere dell'assemblea (che raccoglieva tutti i cittadini adulti) continuò a crescere e le nuove magistrature (come gli artini) ridussero ulteriormente il potere regio fino alla sua scomparsa.\n\nL'alleanza con Atene.\nCon la caduta del partito filospartano ad Atene e l'ostracismo di Cimone a favore di Efialte e Pericle si avrà un riavvicinamento fra Atene ed Argo con la firma di un nuovo trattato di alleanza ed una ripresa del partito democratico argivo (462 a.C.). Le aspettative sia di Atene che di Argo su questa nuova alleanza erano notevoli ma i risultati non furono quelli sperati perché Argo non riuscì mai a mettere in seria crisi la supremazia militare spartana nel Peloponneso, anzi, negli anni successivi, l'ostilità sia di Argo che di Atene sembrano spostarsi più su Corinto che non Sparta e questa fu la causa della cosiddetta prima guerra del Peloponneso.\nDurante la seconda guerra sacra Argo sarà fedele alleata di Atene, subendo anch'essa la sconfitta di Tanagra in Beozia per il tradimento della cavalleria tessala (i caduti argivi vennero seppelliti ad Atene) e contribuendo alla successiva vittoria Ateniese sui Beoti a Enofita sconfiggendo i rinforzi spartani a Enoe, sulla importante via diretta da Argo a Mantinea.\nDal 451 al 421 a.C. Argo mantenne una politica estera ambigua. Nel 446 a.C. firmerà insieme ad Atene il trattato di pace trentennale con Sparta e rimarrà neutrale durante la prima fase della guerra del Peloponneso. È da notare però che, per la strategia militare adottata da Pericle in questa fase (solo difendersi a terra ed attaccare per mare), un contributo argivo alla guerra non era necessario e poi gli argivi erano legati ancora al trattato di pace trentennale con Sparta che gli ateniesi avevano infranto. Tucidide però annota la presenza dell'argivo Pollide (se pur in qualità di privato) fra i membri della missione diplomatica inviata dai peloponnesiaci al gran re di Persia (per chiederne l'appoggio contro Atene) e che fu intercettata in Tracia nel 430 a.C.. Tutti questi fatti ed anche la presenza come privato di Pollide nella missione diplomatica verso la Persia sembrano indicare uno stato di instabilità politica e dissidi in Argo almeno fino al 421 a.C.\nNel 421 a.C., allo scadere del trattato trentennale con Sparta, Argo rifiutò di rinnovare il trattato adducendo come scusa la mancata restituzione del territorio della Cinuria che gli Spartani avevano assegnato agli esuli di Egina nel 431 a.C. e che gli Argivi reclamavano come loro. La potenza spartana si trovava infatti in difficoltà per i mancati successi nella guerra del Peloponneso ed Argo intendeva approfittarne. Sparta tentò di isolare internazionalmente Argo stringendo un vero patto di alleanza cinquantennale con Atene, ma il malumore di Corinto e di altri alleati di Sparta verso la cessazione delle ostilità contro Atene diede ad Argo nuove possibilità.\nGli ambasciatori di Corinto proposero un'alleanza con Argo incitandola a divenire la città guida del Peloponneso al posto di Sparta. All'alleanza aderirono Mantinea, gli Elei, ma non i Beoti. Al rifiuto di adesione alla nuova lega anche di Tegea, Corinto abbandonò Argo e tornò all'alleanza con Sparta. Nel frattempo però i rapporti fra Sparta ed Atene erano tornati a peggiorare ed il partito della guerra in Atene, ora diretto da Alcibiade, spingeva per la rottura del patto con gli Spartani e per un nuovo trattato con Argo. Fu così che Atene aderì alla lega degli Argivi.\nIl primo scontro importante fra l'esercito della nuova lega argiva e quello della lega del Peloponneso avvenne nei pressi di Tegea nel 418 a.C. e si risolse in una sconfitta argiva non grave tanto dal punto di vista militare quanto dal punto di vista politico. In Argo infatti prese il potere un governo oligarchico filospartano che trattò prima una tregua e poi una vera e propria alleanza con Sparta ed intimò agli ex alleati Ateniesi di rientrare in Attica. Anche Mantinea fu costretta a sottoscrivere l'alleanza con Sparta. Nell'anno successivo i democratici filoateniesi riprendono il potere approfittando del periodo delle Gimnopedie (feste sacre spartane durante le quali l'esercito non combatteva). Con l'aiuto di maestranze ateniesi gli Argivi tentano anche di prolungare le mura fino al porto onde permettere i rifornimenti via mare anche in caso di assedio, ma l'intervento militare spartano, al comando del re Agide II, se pur tardivo, riesce ad impedire il progetto. L'estate successiva lo stratega Alcibiade con una flotta ateniese sbarca in città per deportare gli ultimi partigiani del partito filospartano. Termina così anche queste ennesima guerra civile in Argo con il ritorno della città nell'alleanza con Atene.\nNel 415 a.C. un contingente di opliti scelti di Argo parteciperà alla disastrosa spedizione ateniese in Sicilia. Saranno proprio questi opliti ad ottenere la prima vittoria sulle truppe siracusane. Molti Argivi perderanno poi la vita in Sicilia prigionieri dei Siracusani nelle cave di pietra. Sempre un nutrito contingente di Argivi sarà poi a fianco degli Ateniesi nel fallito assedio di Mileto che nel 412 a.C. si era alleata con Sparta.\n\nMito.\nIl mito attribuisce la sua fondazione ad Argo i cui discendenti regnarono per nove generazioni fino al re Gelanore. Questi fu detronizzato da Danao (nipote di Poseidone e gemello di Egitto), che divenne così il decimo re di Argo.A questi succedette Linceo (che sposò Ipermnestra) ed a questi il figlio Abante che fu marito di Aglea e che fu il padre dei gemelli Acrisio e Preto e di Idomenea e di Lirco, quest'ultimo un figlio bastardo.\nI due gemelli essendo entrambi figli maggiori e pretendendo entrambi alla successione lottarono a lungo, fino a quando Preto non venne sopraffatto, e Acrisio poté salire al trono della città di Argo. Preto si rifugiò a Tirinto e divenne re di questa città.\nSecondo il mito, dal matrimonio del re Acrisio con Euridice nacque una figlia: Danae.\n\nPerseo.\nDanae è la protagonista del celebre mito, che ha ispirato molti pittori fra cui Tiziano e Gustav Klimt. Il racconto è questo: un oracolo predisse al re Acrisio che sarebbe stato ucciso per mano del figlio di sua figlia. Dato che sua figlia Danae, bellissima ragazza, non aveva ancora figli, Acrisio pensò bene di rinchiuderla in un appartamento sotterraneo, o forse in una torre di bronzo; ma Zeus se ne innamorò e la raggiunse sotto forma di pioggia d'oro. Dalla loro unione nacque Perseo. Quando il re Acrisio seppe della nascita del nipote fece rinchiudere Danae e Perseo in una cassa che fu poi abbandonata in mare.\nNonostante i molti ostacoli e pericoli, con l'aiuto di Poseidone, Perseo e Danae riuscirono a tornare a casa, approdando sull'isola di Serifo. Acrisio, appena apprese la notizia del loro ritorno, abbandonò la città e si rifugiò nella rocca di Larissa. Nonostante tutte queste precauzioni, ciò che era stato predetto si avverò: Perseo fu chiamato a Larissa per partecipare a dei giochi funebri e lanciando il disco, colpì involontariamente Acrisio, che morì.\n\nGli altri re.\nPerseo divenne così re di Argo, ma, non sentendosi degno di succedere a un re che aveva involontariamente ucciso, propose al cugino Megapente, succeduto al padre Preto come re di Tirinto, di scambiarsi i regni. Poi fondò Micene, facendo costruire ai Ciclopi delle mura invincibili come quelle di Tirinto. Micene divenne la capitale del regno.\nA Megapente succedette prima il figlio maggiore Ifianira e poi l'altro figlio Anassagora. Quando le donne argive impazzirono, per colpa di Dioniso, la loro furia venne scatenata durante il regno di Anassagora. Il re allora chiese aiuto all'indovino Melampo e a suo fratello Biante che riuscirono a riportarle alla ragione, grazie alle loro tecniche mediche. Essi però chiesero in cambio al re un terzo del regno. Quando il re si rifiutò di accontentarli, le donne tornarono a impazzire e Anassagora dovette richiamarli e pregarli di guarirle di nuovo, ma questa volta la richiesta fu di un terzo del regno a testa e il matrimonio con le figlie del re. Anassagora acconsentì, tenendo per sé solo il terzo del regno comprendente la città di Argo. Seguirono dunque alcune generazioni in cui i re furono tre: i discendenti di Anassagora e quelli di Melampo e quelli di Biante.\nAd Anassagora succedette il figlio Alettore, poi Ifi. Ifi lasciò il regno a un nipote Stenelo (figlio di suo fratello Capaneo) che fu uno degli Epigoni nel secondo mitico assedio di Tebe e partecipò alla guerra di Troia come auriga di Diomede. Questa famiglia regnò più a lungo di quella di Biante e quella di Melampo, e così il regno fu riunito sotto Cilarabe.\nA Melampo succedette il figlio Antifate, poi il figlio di questi Oicle che accompagnò Eracle nella sua guerra contro Troia. A Oicle succedette il figlio Anfiarao che ereditò i poteri di Melampo divenendo indovino e che morì durante il primo assedio a Tebe (è probabile che uno dei due bronzi di Riace, quello detto il vecchio, provenga da Argo e rappresenti proprio Anfiarao). Il casato di Melampo terminò con i figli di Anfiarao, Alcmeone che morì dopo la guerra degli Epigoni e Anfiloco che dopo la guerra degli Epigoni partecipò alla guerra di Troia e fu uno dei guerrieri chiusi con Ulisse nel cavallo, aveva capacità di veggente e fu ucciso da Apollo.\nA Biante succedette il figlio Talao, e a questi il figlio Adrasto che fu l'ideatore della prima e disastrosa mitica impresa contro Tebe, coinvolgendovi anche Anfiarao. Adrasto lasciò il regno al figlio, Egialeo, che morì durante la guerra degli Epigoni. Adrasto appresa questa notizia morì a sua volta di crepacuore. Essendo il figlio di Egialeo ancora piccolo, divenne re Diomede, nipote di Adrasto attraverso il genero Tideo e la figlia Deipile e fu re di Argo durante la guerra di Troia. Ultimo re di questa casata fu Cianippo, figlio di Egialeo, salito al trono subito dopo l'esilio di Diomede e morto senza eredi.\nDopo il regno di Cianippo il trono venne occupato da Agamennone, re di Micene e, dopo il suo assassinio, dal figlio Oreste. Il trono passò poi a Tisameno, figlio di Oreste, fino alla conquista degli Eraclidi, che posero Temeno, discendente di Eracle, alla guida della città.\nDurante il medioevo ellenico, Argo scompare dalla storia, per ricomparire nel X-XI secolo a.C." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argo (nave).\n### Descrizione: Argo (in greco antico: Ἀργώ?, Argṓ), nella mitologia greca, era la nave che portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del vello d'oro.\n\nMito.\nLa nave fu costruita dal carpentiere Argo di Tespi, che le diede il nome, e il suo equipaggio era protetto dalla dea Era. La principale fonte che ci ha trasmesso questo mito è Le Argonautiche di Apollonio Rodio.\nAlcune versioni del mito tramandano come Argo fosse stata progettata o costruita con l'aiuto di Atena. Secondo altre versioni questa nave conteneva nella sua prua un frammento di legno magico proveniente dalla foresta di Dodona che poteva parlare e fornire profezie.\nDopo il viaggio, Argo venne consacrata a Poseidone nell'istmo di Corinto. Venne quindi trasportata in cielo e trasformata nella costellazione della Nave Argo.\nDiversi autori dell'antichità (Apollonio Rodio, Plinio, Filostefano) discussero dell'ipotetica forma della nave. Veniva in genere immaginata come una nave da guerra greca, una galera che, con i suoi circa cinquanta rematori, doveva appartenere alla classe pentecontera. Gli autori ipotizzarono che fosse anche la prima nave di questo tipo che avesse intrapreso un viaggio in alto mare.Oggi la nave viene identificata come una piroga monossile, ovvero ricavata da un solo tronco colossale, proveniente secondo la mitologia dall'ultimo albero della sua razza, che si trovava sul Monte Ossa e venne abbattuto, sagomato e scavato all'interno con zappa e fuoco fino a formare un affusolato guscio impenetrabile spinto da cinquanta eroi.\n\nEtimologia.\nGli autori antichi erano divisi sulle origini del nome dato alla nave. Alcuni lo riconducono al nome del suo costruttore, Argo, figlio di Frisso; altri la vedono come una dedica dell'autore ad Argo, il cane appartenuto, secondo Omero, all'eroe Greco Odisseo (Ulisse), altri ancora alla parola greca αργός, 'rapida', a sottolinearne la leggerezza; altri alla città di Argo, dove sarebbe stata costruita; altri ancora alle Argive, che vi salirono a bordo, secondo il distico citato dallo statista dell'antica Roma Cicerone nel suo primo Tuscolano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Argo di Tespi.\n### Descrizione: Argo (in greco antico: Ἄργος?, Árgos) è un personaggio della mitologia greca, Argonauta e costruttore della nave Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Arestore secondo Apollonio Rodio, di Polibo (o Danao) ed Argia secondo Igino.\n\nMitologia.\nLa nave.\nFu un grande costruttore di navi dell'epoca e quando Giasone gli chiese di fabbricarne una con cinquanta remi si mise al lavoro nel cantiere a Pagase utilizzando del vecchio legno del monte Pelio.\nGrazie all'aiuto di Atena la nave fu presto completata.\n\nLe avventure degli Argonauti.\nDurante le avventure degli argonauti i Colchi, avvertiti dai sacerdoti di Ares dell'intrusione, ferirono in battaglia diversi eroi, fra cui lo stesso Argo, in seguito guarito grazie all'aiuto dei filtri magici di Medea.\nÈ stato anche il costruttore di una statua in legno dedicata ad Era ed oggetto di culto a Tirinto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argonauti.\n### Descrizione: Gli Argonauti (in greco antico: Ἀργοναῦται?, Argonáutai) furono un mitologico gruppo di circa 50 eroi che, sotto la guida di Giasone, diede vita a una delle più note e affascinanti narrazioni della mitologia greca: l'avventuroso viaggio a bordo della nave Argo, che li condurrà nelle ostili terre della Colchide alla riconquista del vello d'oro.Gli eroi erano accorsi alla chiamata degli araldi inviati in tutta la Grecia per organizzare la spedizione che Pelia, re di Iolco, aveva imposto a Giasone, figlio di suo fratello Esone.\nPelia, infatti, era diventato re di Iolco dopo avere usurpato il trono a suo fratello Esone, legittimo erede al trono, da lui fatto imprigionare insieme al resto della famiglia. Giasone accettò l'insidiosa richiesta alla sola condizione che, in caso di successo, Pelia avrebbe liberato i suoi cari.\n\nIl mito.\nIl vello d'oro.\nUn tempo, a causa di un oracolo ingannevole, Atamante l'Eolio, re di Beozia, era stato in procinto di sacrificare Frisso, il figlio avuto da Nefele. In lacrime, avrebbe adempiuto ciecamente al verdetto oracolare se non fosse apparso Eracle a distoglierlo dal gesto, convincendolo dell'avversione che suo padre Zeus provava per i sacrifici umani. In seguito Ermes, per ordine di Era o di Zeus, inviò dal cielo Crisomallo, un ariete alato dal vello interamente d'oro. L'animale magico, giunto al cospetto di Frisso, iniziò a parlargli, ordinandogli di montargli in groppa. Il ragazzo accettò l'invito e volò in questo modo verso la Colchide dove, una volta giunto, sacrificò l'animale. Il vello d'oro rimase intatto e fu tenuto in conto come un grande tesoro dagli abitanti del luogo.\n\nGli Oracoli di Pelia.\nIl primo oracolo.\nPelia, figlio naturale di Poseidone, divenne re alla morte di suo padre adottivo Creteo, nonostante il legittimo erede fosse suo fratello Esone. Avvisato da un oracolo che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso, fece sterminare chiunque avesse un rapporto di discendenza con il dio dei venti: tutti tranne Esone, che nel frattempo aveva avuto un figlio di nome Giasone. Il bambino fu segretamente trasportato fuori dal palazzo e affidato al centauro Chirone, che lo allevò.\n\nIl secondo oracolo.\nUn altro oracolo mise in guardia Pelia dall'incontro con un giovane che avesse ai piedi un solo calzare.\nTempo dopo gli capitò infatti di incontrare su una spiaggia un giovane, alto e armato di due lance, con un solo piede calzato: si trattava proprio di Giasone, che aveva perso un sandalo aiutando pietosamente una vecchina a guadare le acque fangose del fiume Anauro. Sotto le vesti di quella povera vecchia che, fino all'arrivo di Giasone, aveva inutilmente chiesto aiuto ai viandanti, si nascondeva in realtà una teofania di Era; la moglie di Zeus, continuamente trascurata da Pelia, fu a lui sempre avversa.\nAlla vista di quel giovane il re lo interrogò chiedendogli quale fosse il suo nome e chi fosse suo padre e il giovane gli rispose con franchezza; al che il sovrano gli chiese come si sarebbe comportato se un oracolo gli avesse predetto che un proprio concittadino stesse per ucciderlo. Giasone, ispirato da Era, rispose che avrebbe inviato quell'uomo nella Colchide, alla ricerca del vello d'oro.Ma quando riconobbe nel suo interlocutore l'usurpatore, Giasone gli chiese di restituirgli il trono; il re gli rispose ponendogli una condizione: prima avrebbe dovuto salvare il regno da una maledizione.\n\nL'incarico.\nPelia gli narrò così di essere tormentato dall'ombra di Frisso, fuggito tempo addietro da Orcomeno e a cui mai era stata data degna sepoltura. Pelia aggiunse che, secondo un oracolo, la loro terra sarebbe rimasta sempre povera fino a quando non fosse stato riportato in patria il vello d'oro, custode dell'anima di Frisso. Promise a Giasone che, se questi avesse accettato l'incarico, gli avrebbe restituito il trono non appena l'eroe fosse ritornato con il vello.\nGiasone inviò araldi in tutte le terre dell'Ellade a chiedere aiuto, ma poi, indeciso sul da farsi, si rivolse all'oracolo di Castalia, che gli suggerì di partire al più presto con una nave. La nave fu costruita e la stessa Atena ne ornò la prua con una polena apotropaica.\n\nPartecipanti.\nMolte sono le liste tramandate degli eroi che presero parte all'impresa. Nelle fonti più autorevoli troviamo:.\nAcasto, figlio di Pelia.\nAdmeto, principe di Fere.\nAnceo il Grande di Tegea, figlio di Posidone.\nAnceo il piccolo, il Lelego di Samo.\nAnfirao, il veggente argivo.\nArgo di Tespi, costruttore della nave Argo.\nAscalafo di Orcomeno, figlio di Ares.\nAsterio, figlio di Comete, un Pelopide.\nAtalanta di Calidone, vergine cacciatrice.\nAttore, figlio di Ippaso, da Pellene.\nAugia, figlio di re Forbante di Elide.\nBute, di Atene, apicoltore.\nCalaide, l'alato figlio di Borea.\nCanto l'Eubeo.\nCastore, lottatore spartano, uno dei Dioscuri.\nCefeo, figlio dell'Arcade Aleo,.\nCeneo il Lapita, che un tempo fu donna.\nCorono il Lapita, di Girtone in Tessaglia.\nEchione, figlio di Ermes, l'araldo.\nEracle di Tirinto.\nErgino di Mileto.\nEufemo di Tenaro, il lottatore.\nEurialo, figlio di Mecisteo, uno degli Epigoni.\nEuridamante il Dolopio, del lago Siniade.\nFalero, l'arciere Ateniese.\nFano, il figlio cretese di Dioniso.\nGiasone, il capo della spedizione.\nIdas, figlio di Afareo di Messene.\nIdmone l'Argivo, figlio di Apollo.\nIficle, figlio di Testio l'Etolo.\nIfito, fratello di re Euristeo di Micene.\nIla il Driope, scudiero di Eracle.\nLaerte, figlio di Acrisio l'Argivo, futuro padre di Odisseo (Ulisse).\nLinceo, fratello di Idas.\nMelampo di Pilo, figlio di Amitaone.\nMeleagro il Calidone.\nMopso il Lapita.\nNauplio l'Argivo, figlio di Posidone, famoso navigatore.\nOileo il Locrese, futuro padre di Aiace d'Oileo.\nOrfeo, il poeta Tracio.\nPalemone, figlio di Efesto, un Etolo.\nPeante, figlio di Taumaco il Magnesio.\nPeleo il Mirmidone, padre di Achille.\nPeneleo, figlio di Ippalcimo, il Beota.\nPericlimeno di Pilo, figlio di Neleo.\nPiritoo, Re dei Lapiti, figlio di Issione,.\nPolluce, pugile spartano, uno dei Dioscuri.\nPolifemo, figlio di Elato, l'Arcade.\nStafilo, fratello di Fano.\nTelamone, fratello di Peleo, futuro padre di Aiace Telamonio.\nTeseo, figlio del re Egeo l'ateniese.\nTifi il timoniere, di Sife in Beozia.\nZete, fratello di CalaideGiasone desiderava portare con sé uno dei figli di Pelia, onde evitare che il re indirizzasse le sue maledizioni sul viaggio della nave Argo. Per questo Giasone si recò a reclutare il prode Acasto, uno dei figli del re; ma fu lo stesso Acasto, desideroso di partire per l'avventura, a proporsi a Giasone, andandogli incontro e salutandolo come 'fratello'.\n\nAltri partecipanti.\nApollonio Rodio.\nLe Argonautiche aggiungono altri personaggi alla spedizione:.\n\nAnfidamante.\nAreio.\nClizio.\nErito.\nEulide.\nEurobote.\nFleias.\nLaocoonte.\nLeodoco.\nMenezio.\nTalao.\n\nPseudo-Apollodoro.\nAutolico.\nIalmeno.\nLeito, figlio di Alettore.\nPoias.\n\nArgonautiche orfiche.\nAttoride.\nEneio.\nErito.\nEtalide, altro nome di Echione.\nEuritone.\nLaodoco.\n\nIgino.\nNelle favole ritroviamo:.\n\nAgriamone, figlia di Perseone.\nDeucalione.\nFilottete.\nFoco.\nNeleo.\nPriaso, figlio di Ceneo.\nTeseo.\n\nIl viaggio.\nLa partenza.\nA comando della spedizione fu inizialmente proposto Eracle, in virtù della sua fama, ma il semidio rifiutò e propose la candidatura di Giasone che, benché giovane e inesperto, aveva organizzato il viaggio. Appena la nave ebbe preso il largo, gli Argonauti sacrificarono due buoi ad Apollo, per propiziarsi il viaggio. Mentre il fumo si alzava nel cielo gli Argonauti fecero festa; inebriati e resi violenti dal vino, gli eroi avrebbero sicuramente compromesso l'esito del viaggio, se non fosse intervenuto Orfeo che placò gli animi dei compagni con il dolce suono della sua lira.\n\nL'isola di Lemno.\nLa prima isola che gli Argonauti incontrarono lungo il viaggio fu Lemno, abitata da sole donne; queste, abili guerriere, erano state vittime di una maledizione di Afrodite, che le aveva indotte a sterminare tutti i loro uomini. Appena avvistarono l'imbarcazione decisero di attaccarla, pensando che fosse una nave nemica. Giasone decise allora di inviare come ambasciatore Echione che, con un bastone alla mano, riuscì a dissuaderle guadagnandosene l'ospitalità. Gli Argonauti furono quindi ben accolti dalle donne, che vollero giacere con loro per procreare una stirpe di eroi. Ipsipile offrì a Giasone il trono del piccolo regno, mentendogli sulle circostanze che avvolgevano la scomparsa degli uomini nell'isola, ma Giasone rifiutò, ricordandole lo scopo del suo viaggio, la conquista del vello d'oro.\nErgino, preso in giro dalle donne per la sua canizie, sfidò e vinse nei giochi Calaide e Zete, i due velocissimi figli di Borea, affermando poi che anche ai giovani crescono capelli grigi prima del tempo.In quelle notti furono concepiti molti figli, ma alla fine Eracle, stanco di restare solo a guardia alla nave, richiamò tutti gli Argonauti e li obbligò a riprendere il viaggio. Gli eroi partirono alla volta della Samotracia.\n\nRe Cizico.\nRipreso il viaggio, gli Argonauti si trovarono ad affrontare il terribile passaggio attraverso l'Ellesponto, sapendo che il re troiano Laomedonte non permetteva il libero transito alle navi greche. Attesero quindi la notte per costeggiare lentamente la Tracia, avvicinarsi al mar di Marmara e sbarcare su una penisola chiamata Arto.\nIl giovanissimo re dei Dolioni Cizico, figlio di Eneo, li accolse come eroi, invitandoli alla sua festa nuziale che si sarebbe celebrata di lì a poco. Nella notte gli Argonauti furono svegliati dall'attacco di giganti a sei braccia figli della terra, ma riuscirono ad avere la meglio.\nDopo avere consacrato la loro ancora ad Atena, partirono per il Bosforo, ma una tempesta li fece deviare e approdare su una buia spiaggia, dove furono assaliti da guerrieri bene armati. Gli Argonauti ancora una volta vinsero la battaglia, ma ben presto scoprirono chi erano i loro avversari: la sorte li aveva riportati sulla penisola di Arto contrapponendoli inconsapevolmente con i loro ospiti in uno scontro armato; e riconobbero tra gli altri i corpi senza vita dello stesso re e di Artace, il più noto dei suoi sudditi, grandissimo guerriero ed eroe.Nel dispiacere generale si celebrarono i riti funebri, durante i quali, all'improvviso, giunse un alcione che si poggiò sulla prua di Argo. Mopso, che aveva il dono di sapere interpretare i presagi, capì che quell'uccello era inviato da Gea, la dea della terra, quale segno della sua offesa per la sorte subita dai giganti a sei braccia, suoi figli. Gli eroi prima di riprendere il viaggio, eressero un simulacro della dea per placarne l'ira.\n\nSulle rive del fiume Chio.\nDurante questa parte del viaggio, gli Argonauti decisero di sfidarsi in una gara di resistenza: avrebbe vinto chi fosse riuscito a vogare più a lungo. Ben presto rimasero solo Giasone, Eracle e i Dioscuri. Giunti alla foce del fiume Chio anche i Dioscuri cedettero; Giasone svenne ed Eracle ruppe il remo. Decisero allora che era tempo di una pausa. Approdati su di un'isola, Eracle si allontanò andando in cerca di un nuovo remo; quando risalì sulla nave gli fu riferito che Ila, suo scudiero e amante, andato in cerca di acqua, non aveva ancora fatto ritorno. L'eroe si allontanò sulla spiaggia, seguito a breve da Polifemo, lanciandosi alla disperata ricerca del ragazzo. Ma la generosità dei due eroi era destinata all'insuccesso: il ragazzo era stato stregato da alcune ninfe che, invaghitesi di lui, lo imprigionarono per l'eternità. Il mattino seguente la giornata si presentava così ventilata che Giasone decise di fare vela senza i compagni perduti. Inutili furono le proteste di alcuni così come i tentativi di convincere Tifide a cambiare rotta, ma Giasone - appoggiato da Calaide e Zete - fu irremovibile.\nProseguendo il viaggio raggiunsero l'isola di Bebrico, dove regnava un re di nome Amico; figlio di Poseidone, che si vantava di essere un buon pugile. Egli volle mettere alla prova gli Argonauti, sfidando Polluce, il migliore tra loro. Fu il dioscuro a uscire vincitore, uccidendo l'avversario e scatenando la furia del popolo. Gli Argonauti ebbero facile sopravvento sulla folla inferocita e poterono saccheggiare il palazzo reale; poi, offerti in sacrificio venti tori per ingraziarsi Poseidone, ripresero l'avventura sul mare.\nUna volta giunti sul promontorio di Salmidesso, gli eroi incontrarono il figlio di Agenore, Fineo tormentato dalle Arpie. Calaide e Zete, figli del vento, poterono spiccare il volo e respingere i due mostri. Il re, per ricompensarli, profetizzò sul loro viaggio consigliando loro la rotta più sicura.\n\nSeguendo i consigli di Fineo.\nTutte le navi dirette verso il Bosforo dovevano fare i conti con le insidie delle rocce nascoste nella nebbia eterna, che puntualmente le faceva affondare. Tuttavia Eufemo, seguendo il consiglio di Fineo, fece volare una colomba: gli Argonauti la seguirono e, incoraggiati da Atena e dal suono della lira di Orfeo, riuscirono a evitare gli scogli. Dopo avere costeggiato la sponda meridionale, giunsero nell'isola di Tinia dove ebbero l'apparizione del divino Apollo, che mostrò rispetto per la loro avventura.\nArrivarono in seguito all'isola di Mariandine, dove dopo avere ricevuto l'avviso di Dimante a riguardo di Amico e averlo sconfitto, il re Lico, felice per la morte del suo rivale (Amico) offrì loro, in segno di gratitudine, suo figlio Dascilo come guida. Il giorno dopo gli Argonauti, in procinto di salire sulla nave, furono assaliti da un enorme cinghiale, che ferì Idmone alle gambe, affondandogli le zanne nella carne. Ida giunse in soccorso e uccise la bestia con la lancia, ma l'emorragia di Idmone risultò impossibile da arrestare. L'eroe morì dissanguato e gli Argonauti lo piansero a lungo.Tifide, che fino allora era stato il nocchiero, si ammalò e morì poco dopo lasciando la guida della nave ad Anceo il grande, che in quel ruolo si rivelerà la scelta migliore. Giasone, di fronte alla decimazione dei suoi uomini decise di fare una breve sosta a Sinope, in Paflagonia, la città che doveva il suo nome alla figlia di Asopo. Qui il comandante scelse tre nuovi membri, i fratelli Deileonte, Autolico e Flogio, vecchi amici di Eracle.Nuovamente in viaggio, gli Argonauti passarono accanto al paese dei Tibareni, un popolo che si distingueva per una singolare caratteristica: durante il parto, i mariti erano in preda alle doglie allo stesso modo delle consorti.\n\nL'isola di Ares.\nGli Argonauti arrivarono poi davanti alla piccola isola di Dia, sacra ad Ares, il dio della guerra. Subito stormi di uccelli si levarono da quel luogo infausto e attaccarono la nave. Questi uccelli combattevano alla loro particolare maniera, scagliando le proprie piume sugli avversari; fu in questo modo che Oileo rimase ferito alla spalla. Gli Argonauti si ricordarono allora dei consigli di Fineo, e di come questi aveva riferito dell'avversione di questi animali al rumore: indossati gli elmi dispersero lo stormo rivolgendo agli uccelli urla possenti. Metà di loro si diede a remare mentre gli altri li proteggevano sollevando gli scudi, e con il clangore che ottenevano percuotendone la superficie con le spade.Seguendo ancora i consigli del re sbarcarono sull'isola e misero in fuga ogni creatura mostruosa vi si nascondesse. Si scatenò quindi un violento nubifragio; al cospetto degli Argonauti apparve una piccola imbarcazione su cui erano quattro naufraghi, Citissoro, Argeo, Frontide e Melanione (o Mela), i figli di Frisso e di Calciope. Gli Argonauti furono ben lieti di trarli in salvo, e di cooptarli nella spedizione. Arrivati tutti insieme alla foce del fiume Fasi, che bagna la Colchide, Giasone convocò un'assemblea per decidere come recuperare il vello.\n\nLa conquista del Vello d'oro.\nGiasone dichiarò subito le sue intenzioni: accompagnato dai figli di Frisso, intendeva recarsi nella città di Ea, su cui regnava Eete, per rivendicare, con maniere gentili, il prezioso oggetto. Solo al rifiuto di Eete avrebbero attaccato battaglia. La proposta fu accolta con un applauso; a Giasone volle unirsi Augia, un fratellastro di Eete, convinto di potere avere un ruolo. Il gruppo avanzò attraverso il cimitero di Circe, dove si presentò ai loro occhi lo spettacolo dei cadaveri esposti sulle cime dei salici (l'usanza del luogo riservava la sepoltura alle sole donne, mentre i corpi dei maschi erano lasciati alla mercé degli uccelli).\n\nL'incontro con Calciope.\nMentre si avvicinava al palazzo, a Giasone apparve Calciope, moglie del defunto Frisso; ella era, con Medea, una delle figlie che Eete aveva avuto dalla prima moglie, la defunta ninfa Aterodea. Calciope, udendo la storia del salvataggio dei suoi figli, ringraziò il comandante.\nSopraggiunse allora Eete, che si infuriò nello scoprire che gli Argonauti avevano infranto il divieto imposto da Laomedonte. Chiese allora al suo nipote prediletto, Argeo, di spiegare il motivo di quella visita. Il ragazzo, senza perdersi d'animo, raccontò la storia del viaggio degli Argonauti, narrando anche di come fosse stato tratto in salvo dal naufragio insieme ai suoi fratelli.Ma Eete, cui un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto, per tutta risposta si infuriò, burlandosi del comandante e dei suoi compagni. Disconobbe Augia come fratello e ordinò agli intrusi di fare ritorno ai loro luoghi d'origine, minacciandoli di torture se fossero rimasti.\nGiasone non rispose alla collera con l'ira: i suoi modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea. Volle contrattare, ma le sue condizioni rimasero inaccettabili.\n\nLe condizioni di Eete.\nPer recuperare il vello d'oro Giasone avrebbe infatti dovuto:.\naggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti; fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno;.\ntracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago: quelli, pochi e perduti, che Cadmo aveva seminato tempo addietro a Tebe.Nell'udire le condizioni Giasone rabbrividì, ma in suo aiuto intervenne il favore degli dei: Eros, il dio dell'amore, fece sì che Medea si innamorasse del giovane comandante.\nIl dio era in realtà mosso da interessi personali, spinto dalla madre Afrodite ad agire per ottenere in cambio la pietra lucente che desiderava. La dea era in combutta con altre due divinità, Era e Atena, e insieme avevano cospirato alle spalle della ragazza.Medea a lungo cercò di contrastare quel sentimento affiorato così all'improvviso, chiedendosi il perché di tanto interesse verso una persona conosciuta da poco. Alla fine la donna, comprendendo che le prove imposte a Giasone l'avrebbero condotto a morte certa si risolse ad aiutarlo, convinta che se avesse agito diversamente sarebbe stata fredda come una pietra.Calciope intanto cercò l'appoggio di sua sorella e quando scoprì l'amore di lei per Giasone colse l'occasione e fece da tramite fra i due. Medea decise di aiutare Giasone, ma in cambio voleva diventare sua sposa.\n\nLa prova di Giasone.\nLa principessa, abile maga, diede al suo amato una pozione nella quale era infuso il sangue di Prometeo, fautore dell'emancipazione del genere umano, che lo avrebbe protetto dal fuoco dei due tori.\nArrivato il giorno atteso per la prova, molti erano gli spettatori che si riunirono per assistere all'evento, fra cui lo stesso re. I tori bruciavano l'erba con il fuoco; puntandolo con le loro corna d'acciaio, andarono incontro al figlio di Esone ma l'eroe, grazie alle arti magiche di Medea, non soffriva il calore. Giasone con grande fatica riuscì a domare le bestie e, soggiogatele, le costrinse ad arare per tutto il giorno.A notte iniziò a seminare i denti del drago, da ciascuno dei quali spuntò dalla terra.\nun guerriero; alla fine si formò un esercito che si rivolse contro di lui. Medea lanciò un altro potente incantesimo grazie al quale Giasone scagliò in mezzo a loro un enorme masso, creando una nube di polvere e molta confusione. I guerrieri iniziarono a uccidersi fra loro e continuarono a farlo fino a quando Giasone non ebbe eliminato personalmente i pochi sopravvissuti, superando così la prova.\n\nIl drago custode del vello d'oro.\nAnche se Giasone aveva superato queste prove impossibili, il re Eete si rimangiò la parola data, minacciando di dare fuoco alla nave Argo e di ucciderne l'equipaggio. Allora Medea guidò Giasone al luogo dove il vello era nascosto. Un enorme drago, immortale e dalle mille spire, faceva da guardia al tesoro. Il mostro, lungo più della loro nave, era figlio di Tifone, un gigante che in passato era stato ucciso a fatica da Zeus. Medea fece sfoggio di vari incantesimi, grazie ai quali riuscì ad ammaliare il drago fino a farlo addormentare. Giasone, approfittando del momento, staccò dai rami della quercia il vello d'oro e lo portò con sé nella fuga.\nIntanto, i sacerdoti di Ares avevano dato l'allarme e i Colchi erano scesi in battaglia contro gli Argonauti, ferendo Ifito, Argo, Atalanta, Meleagro e anche il loro comandante. Medea curò tutti con i suoi filtri magici, ma non fece in tempo a completare l'opera, tanto che Ifito morì comunque per le ferite ricevute.\n\nIl ritorno.\nDurante il ritorno, seguendo un altro dei saggi consigli di Fineo, gli Argonauti, inseguiti dalle galere di Eete, navigarono attorno al Mar Nero nel senso contrario al giro del sole.\nUna delle versioni riporta che, quando Eete raggiunse Giasone e i compagni alla foce del Danubio, Medea prese il piccolo Apsirto, il fratellastro che aveva portato come ostaggio, e lo fece a pezzi, gettandone i pezzi in mare. Eete, inorridito di fronte a tale orrore, costrinse le navi inseguitrici a fermarsi presso Tomi, per recuperare i brandelli del figlio dilaniato. Secondo altri autori, invece, Giasone riuscì a uccidere anche Eete.Secondo la versione più dettagliata, Apsirto, qui presentato come un giovane uomo, inseguì Giasone per ordine di suo padre, mentre gli Argonauti giunsero in un'isola sacra ad Artemide. Qui, una volta sbarcati, avrebbero aspettato il giudizio del re dei Brigi. Medea, che non voleva per alcun motivo essere abbandonata, inviò segretamente un messaggio al fratellastro, sostenendo di essere trattenuta con la forza e supplicandolo di venire a salvarla. La sera stessa Apsirto scese sull'isola, dove fu inseguito e colpito alle spalle da Giasone. Per evitare di essere perseguitato dalla sua ombra, leccò e sputò immediatamente alcune gocce del suo sangue e amputò gli arti del ragazzo. Quando Medea tornò sulla nave, gli Argonauti scesero in battaglia contro i soldati che, senza un comandante, fuggirono impauriti.\n\nLa rotta del ritorno.\nDopo la morte di Apsirto, gli Argonauti furono liberi di affrontare la rotta che li avrebbe ricondotti a casa. Fra i mitografi antichi e moderni non vi è accordo sulla rotta intrapresa:.\n\nalcuni affermano che invertirono la rotta passando per l'Oceano Indiano, entrando poi nel Mediterraneo dal lago Tritoni;.\naltri sostengono che la nave risalì il Danubio, per poi passare al Po, scendendo quindi fino all'Adriatico;.\naltri ancora raccontano che, risalito il Danubio, giunsero all'isola di Circe, passando per il Po e per il Rodano;.\naltri narrano che risalirono il Don e poi trasportarono l'Argo fino alle acque di un fiume che sfocia nel Golfo di Finlandia;.\naltri, infine, raccontano che, percorsi il Danubio e l'Elba, raggiunsero lo Jutland. Una volta giunti in quelle terre si diressero verso l'oceano a occidente, arrivando fino all'Irlanda e poi, superando le colonne d'Ercole, arrivarono all'isola di Circe.Tutte queste rotte sono frutto della fervida fantasia dei mitografi, ma in realtà impossibili da seguire: la nave Argo, probabilmente, ritornò semplicemente da dove era venuta, dal Bosforo superando l'Ellesponto senza però incontrare le difficoltà della prima volta visto che Eracle nel frattempo aveva attaccato e distrutto l'intera flotta troiana per poi giungere fino alla città, dove uccise Laomedonte e mise al suo posto l'ultimo dei suoi figli, Priamo (chiamato anche Podarce).\n\nMedea e Giasone.\nLa polena della nave, che aveva poteri oracolari, sentenziò che Giasone e Medea dovevano purificarsi per i delitti commessi. I due scesero dalla nave e andarono incontro alla zia di Medea, Circe, anch'essa maga. La donna, pur non avendo alcuna intenzione di intervenire, li purificò usando sangue di scrofa.\nNel frattempo i Colchi riuscirono a scoprire dove Giasone si nascondeva.\nUna volta arrivati a Corcira, a quei tempi chiamata Drepane, i Colchi si recarono dai regnanti locali, il re Alcinoo e sua moglie Areta. Reclamarono sia il vello che la testa di Giasone, ma il re decise di porre una condizione, che sarebbe stata riferita soltanto il giorno dopo. Areta, ormai amica di Medea, tenne sveglio il consorte tutta la notte, fino a farsi rivelare quale fosse la condizione per liberare, il giorno seguente, la sua amica Medea.\nLa condizione era che Medea fosse ancora vergine. Areta subito avvertì la donna di questo e Giasone sposò la strega la notte stessa nella grotta di Macride. Gli Argonauti banchettarono e il vello d'oro fu messo ai piedi dei due sposi. Il mattino seguente Alcinoo fece il suo proclama ma si sentì rispondere da Giasone che Medea era già sua sposa. I Colchi allora non poterono più eseguire gli ordini imposti e neanche tornare in patria; essi vagarono fondando nuove città. Solo un paio d'anni dopo Eete seppe tutta la verità.\n\nLa fine del viaggio.\nGiasone continuò il suo viaggio, fino a raggiungere l'isola delle Sirene. Gli Argonauti poterono udire il loro canto, ma la fatale melodia fu vinta da un suono ancora più dolce, quello della lira di Orfeo. Il solo Bute, incantato comunque dalle Sirene, non riuscì a resistere e cercò di raggiungerle gettandosi a mare. La sua morte sarebbe stata certa se Afrodite, obbedendo a un capriccio, non lo avesse salvato e portato con sé.\nGli eroi costeggiarono poi la Sicilia, dove videro Elio pascolare il suo favoloso gregge, ma riuscirono a tenere a freno i loro desideri e passarono oltre.\n\nAvventure nel deserto.\nAll'improvviso una forte burrasca travolse gli eroi, sollevando l'intera nave e gettandola contro le rocce della costa libica dove un deserto senza fine si parò davanti a loro. Stavano per perdere ogni speranza quando la triplice dea Libia apparve in sogno a Giasone. Rincuorato, il comandante decise di recuperare la nave e, sollevando e trasportando a spalla tutti insieme l'imbarcazione, in dodici giorni riuscirono a giungere fino al lago Tritonide. Durante questo lungo periodo scamparono alla sete solo grazie al ritrovamento della sorgente che Eracle aveva fatto scaturire in una delle sue fatiche.\nDurante il trasporto della nave, Canto, uno degli eroi, vide il gregge di Cafauro e, non riuscendo a resistere alla fame, cercò di rubare qualche capo; il pastore lo scoprì e infuriato lo uccise. Subito gli Argonauti lo vendicarono.\nDurante la cerimonia di sepoltura del loro amico, accadde a Mopso di venir morso al tallone da un serpente; una nebbia calò sui suoi occhi, atroci dolori si diffusero lungo il corpo, i capelli caddero e alla fine spirò. Gli Argonauti, celebrati anche i riti funebri per la scomparsa di Mopso, tornarono alla ricerca del lago.\nGiasone portava con sé due tripodi di bronzo avuti in dono dall'oracolo della Pizia. Grazie al consiglio di Orfeo, il comandante decise di offrirne uno alle divinità locali. Subito apparve Tritone che prese per sé il tripode; prima che potesse fare ritorno laddove era venuto, Eufemo, preso coraggio, gli si parò innanzi chiedendogli quale via portasse al Mediterraneo. Tritone in risposta gli donò una zolla di terra che avrebbe reso lui e i suoi discendenti sovrani di Libia, e quindi trascinò la nave degli Argonauti fino al mare.\n\nVerso casa.\nRipresa la navigazione gli Argonauti cercarono di avvicinarsi a Creta dove faceva buona guardia Talo, la sentinella di bronzo opera di Efesto. L'automa, non appena avvistò la nave, iniziò a bersagliare l'equipaggio con pietre, ma Medea ingannò il mostro e lo addormentò con una pozione. La strega si avvicinò poi al gigante e tolse il chiodo che turava la sua unica vena, facendolo morire dissanguato.Secondo altre versioni, invece, il gigante incantato dagli occhi della donna barcollò fino a ferirsi; o, secondo altre, fu ucciso da una freccia di Peante.\n\nLa morte di Esone.\nEsone, che già prima della partenza di Giasone si preoccupava per la sorte di suo figlio, della sua famiglia e del suo regno, fu rincuorato da Polimela.\n\nPoco dopo la partenza degli Argonauti, Pelia, incurante della promessa fatta a Giasone, scelse di sterminarne la famiglia. Il primo a cadere fu proprio Esone; dopo di lui il re frantumò la testa di Promaco, figlio di Esone. Polimela, disperata ma fiera, non si lasciò uccidere e scelse di morire per mano propria.\n\nLa morte di Pelia.\nUna sera di autunno gli Argonauti riuscirono ad approdare alla spiaggia di Pagase, presso Iolco, dove appresero che si era sparsa la voce della loro morte; seppero anche del massacro perpetrato da Pelia.\nUdite queste notizie, Giasone proibì a chiunque avesse visto l'attracco di parlarne; convocò quindi un consiglio nel quale tutti gli Argonauti furono d'accordo nell'uccidere il re. Ad Acasto, che non poteva certo uccidere il proprio padre, fu concesso di ritornare a casa. Molti tra gli Argonauti sostennero però l'impossibilità di compiere la vendetta, anche perché Iolco era una città molto ben munita. Di fronte al profilarsi di una rinuncia generale Medea assunse solo su se stessa l'intero compito di espugnare la città.\n\nIl piano di Medea.\nLa maga disse agli Argonauti di nascondersi in attesa di un suo cenno; trovò un simulacro cavo della dea Artemide; ordinò quindi alle sue ancelle di vestirsi in strano modo e di portarlo a turno. Medea si travestì da vecchia e, presentatasi alle porte di Iolco, offrì la fortuna di Artemide sulla città se solo le avessero aperto le porte. I guardiani non poterono rifiutare e, una volta entrate, le serve della strega ingannarono la gente inscenando finte crisi religiose.\nPelia, dubbioso, si rivolse allora alla vecchia chiedendole cosa volesse la dea da lui. La risposta fu che, se avesse creduto in Artemide e nel suo operato, avrebbe ricevuto in cambio eterna giovinezza. Il re non le volle credere e allora Medea prese un vecchio ariete, lo fece a pezzi, lo bollì e pregando la dea di assisterla e usando tutte le formule magiche a sua conoscenza, riuscì, con uno stratagemma, a fare credere che l'animale fosse ringiovanito.\nQuesto convinse il re, che si denudò e, sdraiatosi, si fece ipnotizzare. Medea chiese alle figlie del re, Alcesti, Evadne, e Anfinome, di tagliare a pezzi il proprio genitore. Dapprima rifiutarono ma la strega, usando altri inganni e piccoli incantesimi, riuscì a persuadere Evadne e Anfinome. I pezzi finirono nel calderone mentre, sempre su richiesta della finta vecchia, le due assassine agitavano delle torce: doveva essere un'invocazione rivolta alla dea luna, ma in realtà era il segnale convenuto per l'ingresso in città degli Argonauti, che poterono prendersi così la rivincita.\nGiasone, temendo la collera del figlio di Pelia, loro compagno di viaggio, non avanzò pretese sul trono: accettò l'esilio impostogli da Acasto lasciandogli anche il trono. Secondo l'antica usanza, alla morte del re furono dedicati dei giochi funebri, nei quali gli Argonauti ebbero occasione di dare prova della loro abilità, vincendo diverse prove.\n\nConfronto e note dopo le avventure.\nMolti dei reduci dall'impresa parteciparono anche alla cattura del cinghiale calidonio e alla guerra sostenuta dai Lapiti contro i centauri. Alcuni degli argonauti e molti dei loro figli, fra cui Achille e Odisseo, furono celebri eroi della guerra di Troia. Al di fuori di tali epopee gli Argonauti si incontrarono ancora e non furono mai episodi pacifici, con l'eccezione di quello che legò Atalanta e Melanione in un destino comune di innamorati. Nel caso delle duplice coppia di gemelli l'episodio che li vide ancora protagonisti fu perfino di sterminio. Dai vari racconti si comprende come il destino degli Argonauti fosse legato soprattutto a Giasone. L'episodio della morte del figlio di Zeus è l'unico collegabile alle avventure trascorse con i suoi compagni, perché sarà proprio la nave che li ha accompagnati per mille peripezie a causarne la fine.Di seguito un raffronto per ogni singolo Argonauta:.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nMolte sono le interpretazioni date al viaggio degli Argonauti. Tra le tante, spicca la rielaborazione in senso evemerista di Isaac Newton che, oltre a datarlo nel 937 a.C., lo considera il risultato di un'ambasciata greca in funzione anti-egizia, presso i coevi popoli del Mediterraneo. Guido Paduano sottolinea come Le Argonautiche di Apollonio Rodio avrebbero voluto rappresentare la più grande opera dei tempi del mito, ma fallirono in questo scopo, deludendo il lettore nell'evolversi delle vicende, affermando che la comparsa di Eracle serviva soltanto per fare vedere quanto gli altri partecipanti gli fossero inferiori, mentre Gilbert Lawall sottolinea la linea pessimistica dell'intera vicenda. Vale la pena di ricordare che questi commenti si riferiscono solo alla versione di Apollonio Rodio, non alla storia nella sua completezza.\nGiulio Guidorizzi invece individua nel recupero del vello d'oro una prova iniziatica che il ragazzo Giasone deve superare per diventare uomo.Robert Graves racconta che i partecipanti in realtà erano mercanti che dovevano stringere importanti rapporti nella regione del mar Nero, ecco il perché di molti nomi nei vari elenchi (Tzetze cita cento Argonauti), ogni città voleva un suo rappresentante per tutelare i suoi diritti nel commercio con le terre lontane. Graves inoltre esprime un giudizio comune a molti studiosi moderni, affermando che il nucleo della leggenda degli Argonauti è veramente esistito datando tale epopea nel corso del tredicesimo secolo a.C., prima della guerra di Troia.\n\nIl ruolo delle donne.\nAi tempi del mito il ruolo della donna era relegato all'idea di bellezza e di furbizia e in nessun caso si permetteva a queste di combattere. Esempio è il caso di Atalanta, unica donna tra gli Argonauti. Invece secondo alcuni autori minori si era solamente offerta di partecipare e Giasone, temendo per la reazione dei compagni, rifiutò la proposta.\n\nCenis era una bella donna che desiderava combattere e per questo venne trasformata in un uomo, lei per prima pensava che il corpo femminile fosse inadatto a combattere.\nDiversa considerazione avevano le streghe, ma in tal caso si rispettavano le arti magiche che si nascondevano dietro al loro potere, frutto di preghiere agli dei e dell'invocazione degli spiriti, non merito proprio. Per l'idea di profonda devozione e amore verso gli dei, che secondo i mitografi si nascondeva dietro a tali pratiche, le arti magiche ai tempi del mito erano quasi assoluta prerogativa delle donne.Eppure si racconta che Medea riuscì dove cinquanta uomini avevano fallito.\n\nIl ruolo degli dei.\nGli dei che sorvegliano dall'alto gli umani, in tutte le saghe eroiche, favorivano il proprio beniamino. Spesso sono loro stessi la causa di grandi avventure, come avverrà anche in altre occasioni.\nTutto iniziò per colpa di un oracolo: Era, moglie di Zeus, fu la prima a schierarsi perché Giasone fu l'unico a dare retta a lei quando aveva sembianze di una vecchia, inoltre aveva poca considerazione di Pelia che non la ricordava nei sacrifici. Andando avanti con la storia Afrodite, la dea della bellezza e Atena, dea della giustizia, all'inizio neutrali, decisero di intervenire, obbligando Medea a interessarsi a Giasone senza preoccuparsi delle tragiche conseguenze che questo loro gesto avrà in seguito, successivamente alla fine del viaggio.\n\nAntiche rivalità.\nDurante il viaggio degli Argonauti, così come nacquero molte nuove rivalità, così se ne placarono alcune, anche se solo momentaneamente:.\n\nI Dioscuri, Castore e Polluce, e gli altri due gemelli Ida e Linceo. La loro disputa iniziò prima della partenza. Durante tutto il viaggio non ci furono screzi fra loro ma, appena sbarcarono, l'odio si riaccese. Durante lo scontro finale, il solo Polluce rimase in vita.\nEracle e i due Boreadi, Calaide e Zete. Per colpa del loro comportamento durante il viaggio, Eracle li cercò a lungo fino a quando li raggiunse e li uccise.\nAnfiarao e Periclimeno. Il grande eroe Anfirao fu sconfitto proprio dall'altro Argonauta.\nAtalanta e Melanione. In questo caso si tratta di un rapporto che ha come fine lo sbocciare dell'amore fra i due, dopo una gara di corsa vinta da lui. Anche Meleagro aveva posto gli occhi sulla cacciatrice, ma tale passione sarebbe stata la causa della sua morte.\n\nIl ruolo di Eracle.\nPer rispondere alla chiamata di Giasone Eracle abbandonò le dodici fatiche, quando aveva appena compiuto la quarta, cioè dopo avere catturato il cinghiale Erimanto. Al termine della spedizione, Eracle riprese le sue prove da dove le aveva lasciate, ripulendo le stalle di uno degli Argonauti.\nSecondo alcune fonti, la sesta fatica di Eracle, quella riguardante gli uccelli stinfali, fu compiuta dagli stessi Argonauti e non da Eracle stesso.Eracle fu l'artefice del destino di molti degli eroi che presero parte al viaggio degli Argonauti. Uccise per vendetta Calaide e Zete, uccise per non avere ricevuto la ricompensa che si aspettava per la quinta fatica sia Augia che Attore, e anche Corono e Cefeo caddero per mano sua.\nPrima dell'inizio del viaggio, del resto, il semidio aveva già incontrato diversi Argonauti: aveva distrutto il regno di Ergino e per poco non lo aveva ucciso, mentre gli era sfuggito per poco Periclimeno, che cercava di vendicare i propri fratelli. Secondo alcune fonti, Eracle sarebbe stato ucciso a sua volta da uno di essi, grazie all'intervento di Peante o Filottete (citato nel novero degli Argonauti da Igino).\n\nSimilitudini e analogie.\nEsistono diversi miti simili nella mitologia celtica, fra cui le fatiche imposte a Kilhwych, l'eroe del Mabinogion. Egli vuole contrarre matrimonio con la maga Olwen, ma il padre gli impone, prima di consentire le nozze, diverse prove, affinché possa dimostrare il proprio coraggio. In particolare, queste prove appaiono molto simili a quelle sostenute da Giasone: per esempio Kilhwych deve aggiogare alcuni buoi e con essi arare un enorme campo, seminarvi il grano e raccoglierlo il giorno dopo.\nSomigliante al mito di Giasone e degli Argonauti è anche la leggenda di Peredur, figlio di Evrawc, narrata nei Mabinogion.\n\nLetteratura.\nLa storia della spedizione degli Argonauti è nota fin dai tempi dei poemi omerici: nel settimo e ventunesimo libro dell'Iliade si parla del figlio di Giasone. Il suo nome viene citato anche nel canto dodicesimo dell'Odissea. Esiodo, nella sua Teogonia, ricorda che Giasone andò a prendere Medea su ordine dello zio Pelia e che la maga gli partorì un figlio, Medeio, che fu educato da Chirone. La prima traccia della tradizione per cui Giasone fu mandato a recuperare il vello d'oro è nel poeta lirico Mimnermo, che probabilmente la raccontava per esteso. La prima trattazione giunta a noi integralmente è nella IV Pitica di Pindaro.\nIl mito degli Argonauti ispirò, successivamente, le Argonautiche di Apollonio Rodio in età ellenistica e gli Argonautica di Gaio Valerio Flacco in età flavia.\nGli Argonauti sono citati anche nel canto XXXIII de 'La Divina Commedia' di Dante, riprendendo la consuetudine medievale di indicare l'impresa come inizio della storia umana (datata 1223 a.C.).\n\nInfluenze nella cultura.\nCinema e televisione (parziale).\nNel corso dei tempi molti film e serie tv sono state dedicate al mito degli Argonauti:.\n\nThe Argonauts (1911, Stati Uniti).\nThe Argonauts of California (1916, Stati Uniti).\nArgonavtebi (Kolkheti) (1936, Unione Sovietica), cortometraggio.\nLe fatiche di Ercole (1957, Italia), regia di Pietro Francischi.\nI giganti della Tessaglia (Gli argonauti) (1960, Italia/Francia), regia di Riccardo Freda.\nGli Argonauti (Jason and the Argonauts, 1963) regia di Don Chaffey.\nGiasone e gli Argonauti (Jason and the Argonauts, 2000, Stati Uniti), regia di Nick Willing, miniserie televisiva.\nGreek Gods and Goddesses: Jason and the Argonauts, 2004, serie televisiva.\n\nVideogiochi.\nRise of the Argonauts (2008), videogioco ispirato al mito di Giasone e degli Argonauti.\n\nRadio.\nNel 1933, in Australia, è stato prodotto uno spettacolo radiofonico basato sulla storia di Giasone e gli Argonauti. The Argonauts' Club è stato trasmesso dal 1933 fino al 2 aprile 1972. L'autrice è stata Nina Murdoch.\n\nMusica.\nIl compositore austriaco Gustav Mahler attorno al 1880 scrisse un'opera, oggi perduta, intitolata Die Argonauten, ispirata da Franz Grillparzer.\nNell'album English Settlement del gruppo inglese XTC del 1982, la quarta traccia, intitolata Jason and the Argonauts e scritta da Andy Partridge, è appunto ispirata alla mitologia degli argonauti.\nPier Francesco Caletti Bruni (detto Francesco Cavalli) nel 1649 compose l'opera il Giasone (su testo di Giacinto Andrea Cicognini)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Argonautica.\n### Descrizione: Gli Argonautica (Argonautiche) sono un poema epico in otto libri, opera del poeta epico di età flavia Gaio Valerio Flacco, ispirato all'omonimo poema di Apollonio Rodio già famoso presso i Romani nella versione di Publio Terenzio Varrone Atacino. L'opera di Valerio Flacco si inscrive perfettamente all'interno del clima culturale dell'età flavia, segnato dalla reazione classicistica alla letteratura epica di età neroniana, e dunque dall'abbandono del modello di Lucano e dalla ripresa delle tematiche mitiche di stampo virgiliano.\nIl mutato gusto letterario, di cui gli Argonautica sono espressione, si spiega con il carattere cortigiano delle opere letterarie, che, com'era avvenuto in età alessandrina per la letteratura greca, non di rado contengono elogi rivolti ai principi. Attraverso la narrazione di racconti mitici, peraltro, gli autori possono anche evitare di affrontare tematiche storiche, quali l'affermazione del sistema imperiale su quello repubblicano, che costituiva invece il nucleo dell'opera di Lucano.\n\nTrama.\nCome nell'opera di Apollonio Rodio, il poema ricalca il viaggio dell'eroe Giasone e dei suoi compagni Argonauti dalla Grecia, alla ricerca del Vello d'oro verso la Colchide.Giasone viene mandato lì dal crudele zio Pelia che spera muoia affinché il nipote non possa spodestarlo dal trono, che è di Giasone per diritto. Dopo aver approdato presso l'isola di Lemno, famosa perché presieduta soltanto da donne guerriere (le amazzoni), Giasone riprende il viaggio con i compagni e giunge nella terra dell'indovino cieco Fineo, perseguitato dalle Arpie, che gli impediscono di mangiare a seguito di una punizione divina. Giasone lo libera, e prosegue il viaggio nella terra del tiranno Amico, che sconfiggerà grazie ad una gara di pugilato con i campioni Castore e Polluce, che lo uccidono.\nGiunti nella terra della Colchide, governata da Eete, Giasone scopre che deve affrontare dure prove per poter accedere al bosco sacro dove è conservato il Vello d'Oro. Visto che le sfide sono quasi impossibili da vincere, la principessa Medea, che è una maga, perdutamente innamorata del giovane eroe grazie all'intervento della dea Giunone, fa in modo che Giasone vinca tutte le prove. Con le sue magie fa sconfiggere a Giasone tutti i mostri, e addormenta il drago sputa fuoco che è posto a custodia del Vello. Dopo che però Giasone e Medea rubano il vello, sono costretti a scappare, perché il re Eete vuole ucciderli entrambi, intendendo vendicarsi dell'offesa che i due hanno recato al dio Marte, depositario del vello. Medea riesce a salvare tutta la flotta degli Argonauti grazie ad un crudele espediente: uccidere il fratellino Apsirto che è fuggito con il gruppo, e tranciarne i pezzi del corpo, gettandoli man mano nel mare, di modo che Eete sia costretto a fermarsi ogni volta per raccogliere i brandelli della cadavere per rendere al ragazzo una degna sepoltura.In sostanza Medea, Giasone e gli Argonauti si salvano con il Vello, ma nuove sciagure minacciano la flotta.\nQui s'interrompe bruscamente il racconto del poema.\n\nCronologia e pubblicazione dell'opera.\nIl proemio, dedicato a Vespasiano, lascerebbe intendere che la pubblicazione dell'opera sia anteriore al 79, anno della morte dello stesso Vespasiano, e successiva al 70, anno della conquista di Gerusalemme da parte di Tito, cui si fa riferimento. Tuttavia, non si può affermare con certezza che l'opera non sia stata composta dopo la morte di Vespasiano, sotto l'impero di uno dei due figli, Tito e Domiziano, con l'intento di celebrare l'imperatore defunto, fondatore della dinastia dei Flavi nonché nume tutelare di Valerio Flacco. Peraltro, il riferimento ai versi con cui Domiziano celebra le imprese del padre e del fratello in Palestina sembrerebbe suggerire che Flacco abbia lavorato all'opera fino alla fine della sua vita, e che essa sia dunque stata pubblicata, forse postuma, sotto lo stesso Domiziano.L'opera sembra incompiuta, ma non è noto se la condizione in cui ci è giunta sia dovuta a un guasto della tradizione manoscritta o alla morte improvvisa dell'autore. Avvalora la prima ipotesi il confronto con il modello di Apollonio Rodio, in cui il racconto del ritorno degli Argonauti occupa il IV libro: si è dunque pensato che l'intento di Valerio Flacco fosse quello di raddoppiare il numero di libri del modello. Tuttavia, la presenza di numerose incongruenze all'interno dell'opera lascia pensare che essa sia rimasta incompleta e priva della revisione finale che l'autore avrebbe voluto darle.\n\nI modelli.\nSe il modello principale di Valerio Flacco nella narrazione del mito argonautico, peraltro antichissimo e notissimo, fu di certo l'opera di Apollonio Rodio, ripresa in ambito latino da Varrone Atacino nel I secolo a.C., egli poté giovarsi, in particolare per la costruzione e l'analisi psicologica del personaggio di Medea, della tragedia di Euripide, che aveva a sua volta ispirato, a Roma, le opere di Ovidio, Seneca e Lucano.Se la narrazione di Flacco segue quella apolloniana - cui egli, peraltro, apporta modifiche marginali e aggiunge il racconto del suicidio dei genitori di Giasone e della guerra combattuta dal re della Colchide, Eeta, con il fratello Perse - è tuttavia evidente, nella struttura e nello stile, l'influsso dell'Eneide di Virgilio: come nell'Eneide la prima esade è dedicata al racconto del viaggio di Enea verso Roma, e la seconda alla guerra contro Turno, così anche gli Argonautica sono nettamente divisi tra una prima parte, in cui si parla del viaggio degli Argonauti fino alla Colchide, e la seconda, incentrata sulle vicende belliche e sul superamento della prova imposta da Eeta a Giasone. A partire da questi dati, alcuni hanno pensato che l'opera dovesse originariamente constare, secondo il progetto dell'autore, di dodici libri. Dall'opera di Flacco, peraltro, risultano completamente assenti gli elementi del gusto alessandrino caratteristici di Apollonio, quali l'erudizione geografica ed etnografica e le digressioni eziologiche.\nIn linea con la politica culturale dei Flavi, l'opera di Valerio Flacco si allontana dalle caratteristica dell'epica lucanea, per tornare a contenuti di argomento mitico e al modello virgiliano: come Virgilio rispetto ad Enea, dunque, Flacco si preoccupa di attribuire un significato straordinario all'impresa di Giasone, e celebra la costruzione di Argo e il viaggio degli Argonauti come l'inizio della navigazione. Le gesta degli eroi greci sono inoltre affiancate alla spedizione di Claudio in Britannia, cui aveva partecipato lo stesso Vespasiano, che ha avuto come frutto la conquista di nuove terre al dominio romano e l'apertura di una nuova rotta nell'Oceano. Nel I libro, inoltre, per bocca di Giove, Valerio Flacco inserisce un riferimento alla gloria e alla grandezza futura di Roma: parlando dell'impresa argonautica come del momento in cui i Greci assumono il ruolo di popolo guida nei confronti di tutta l'umanità, egli non manca di profetizzare il successivo avvento del popolo romano, che avrà in sorte di dominare il mondo intero.Rispetto all'originale di Apollonio Rodio, inoltre, Valerio Flacco tende a enfatizzare l'importanza dell'intervento divino, che svolge un ruolo determinante tanto in occasione dell'innamoramento di Medea per Giasone quanto nello svolgimento delle vicende militari. Gli Argonautica, infine, rispetto al modello greco, vedono la presenza particolarmente accentuata di espedienti retorici, come avviene quando, in occasione dell'addio di Eracle alla spedizione, nel III libro, gli Argonauti pronunciano discorsi contrapposti sull'opportunità di continuare o meno l'impresa anche senza il più forte degli eroi.\n\nLo stile.\nLo stile degli Argonautica risente della tendenza neoclassica d'età flavia, e quindi prevede la ripresa del modello virgiliano - di cui Valerio Flacco impiega, talvolta, intere iuncturae - e l'accantonamento degli elementi enfatici propri dello stile lucaneo, nonché delle tragedie di Seneca. L'intento di Valerio Flacco, dunque, è quello di ricercare la compostezza del dettato; tuttavia, nonostante il programmatico rifiuto dell'epos d'età neroniana, di esso egli riprende, con fini di variatio, lo stile oscuro, complesso e artificioso, talvolta cupo ed esasperato, che, secondo il giudizio di Michael von Albrecht, costituisce il diretto antecedente dello stile di Tacito." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argonautiche orfiche.\n### Descrizione: Le Argonautiche orfiche (in greco antico: Ὀρφέως Ἀργοναυτικά?) sono un poema epico greco, databile al V-VI secolo d.C.\n\nStoria.\nL'autore è sconosciuto. Il poema andò perduto, ma nel XV secolo fu ritrovato e copiato in un manoscritto dallo studioso greco neoplatonico Costantino Lascaris. Si trova nei manoscritti sia da solo che insieme ad altri scritti, quali gli Inni orfici o gli Inni omerici. Un'altra opera correlata è il Lithica (che descrive le proprietà e il simbolismo di diverse pietre).\n\nContenuto.\nIl poema è narrato in prima persona da Orfeo, e racconta la storia di Giasone e degli Argonauti. La narrazione è sostanzialmente simile a quella di altre versioni della storia, come Le Argonautiche di Apollonio Rodio, su cui probabilmente è basato. Le principali differenze sono l'enfasi sul ruolo di Orfeo e una tecnica di narrazione più mitologica e meno realistica: ad esempio nel poema, a differenza che in altre versioni, si sostiene che l'Argo sia stata la prima nave mai costruita." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Argone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Argone era il nome di uno dei discendenti di Eracle, uno degli Eraclidi.\n\nIl mito.\nSotto la definizione di Eraclidi rientrano tutti i discendenti di Eracle che ancora giovani furono perseguitati da Euristeo, il fratello dell'eroe che l'odiava ritenendolo favorito dalla sorte.\nArgone era figlio di Alceo, non l'Alceo figlio di Perseo, ma un altro.\nL'eroe, uno dei più attivi fra i figli dell'eroe, che più degli altri si distinse in guerra, alleatosi con i giovani compagni una volta sconfitto Euristeo, decisero il da farsi ed invasero il Peloponneso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arimaspi.\n### Descrizione: Gli Arimaspi sono un popolo leggendario citato da autori greci e latini (tra i quali Plinio il Vecchio) abitanti in un territorio posto a nord-est della Grecia.\nAvevano la particolarità di avere un unico occhio e per questo venivano chiamati anche uomini monocoli. Fanno parte dei popoli mitologici ciclopi.\nSecondo Erodoto, che cita un poema sugli Arimaspi di Aristea di Proconneso, il loro territorio si trovava tra quelli degli Iperborei e degli Issedoni, probabilmente nel nord della Scizia e quindi tra i monti del Caucaso ed il Mar Nero.\nSono spesso rappresentati mentre combattono con i grifoni (guardiani delle miniere) per il possesso delle miniere d'oro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Arisbe.\n### Descrizione: Arisbe (in greco antico Ἀρίσβη) o Arisba ed a volte chiamata Ida è un personaggio della mitologia greca, figlia del veggente Merope di Percote.\nFu la prima moglie di Priamo.\n\nIl mito.\nLe origini.\nArisbe era la figlia di Merope Percosio, noto per la sua veggenza, ed ebbe per fratelli Adrasto e Anfio.\nSposò Priamo quando questi non era ancora re di Troia; subito dopo la nascita del loro figlio Esaco, Priamo la ripudiò. All'epoca del matrimonio, i due erano giovanissimi.\nDopo aver divorziato, Priamo scelse come sposa Ecuba, figlia di Dimante, re della Frigia, mentre Arisbe divenne moglie di Irtaco che la rese madre di due maschi, Asio (fondatore e primo re della città di Arisbe) e Niso.\nIrtaco e Arisbe appena sposati si stabilirono sul monte Ida dove allevarono i propri figli che divennero ottimi cacciatori; Asio e Niso avrebbero in seguito partecipato alla guerra di Troia con i due zii materni.\nNell'Eneide, Irtaco è detto anche padre di Ippocoonte, ma non che Arisbe sia la madre.\n\nDurante la guerra di Troia.\nIn seguito alla morte di Paride, dopo che Deifobo fu preferito ad Eleno come nuovo sposo di Elena, questi preferì rifugiarsi sul monte Ida presso Arisbe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aristandro.\n### Descrizione: Aristandro (in greco antico Αρίστανδρος ο Τελμησσεύς, Aristandros) fu un indovino greco di Telmeso, in Caria. Accompagnò Alessandro Magno nei suoi viaggi, diventando il suo indovino personale. Secondo alcune fonti, avrebbe formato già parte della corte di Filippo il macedone da prima della nascita di Alessandro. Eforo di Cuma scrive di come Filippo avesse sognato di aver chiuso con un sigillo recante un leone il ventre di sua moglie Olimpia; Aristandro avrebbe interpretato correttamente il sogno, predicendo la gravidanza della regina ed il grande coraggio del nascituro.\nAnche se alcuni avvenimenti riguardanti Aristandro sono stati sfumati dalla storia o sono raccontati come fittizi, si trattò di una figura altamente influente nella vita di Alessandro ed una presenza fondamentale durante le sue campagne. Plutarco racconta che durante l'assedio di Tiro, giunti all'ultimo giorno del mese di agosto del 332 a.C., Aristandro predisse, interpretando i segni del cielo, la conquista della città entro la fine del mese; Alessandro quindi decise che quel giorno non era più il trenta ma il ventotto del mese. Alla fine di agosto le navi di Alessandro subirono un pesante attacco e molte affondarono. I Macedoni utilizzarono a quel punto varie tattiche: l'attacco ad entrambi i porti, un diversivo con una piccola unità navale e l'attacco decisivo alle mura; l'offensiva fu inizialmente guidata da Admeto, ammiraglio della nave del re, poi ucciso in quella battaglia, per cui successivamente l'attaccò fu guidato da Alessandro in persona e la città infine cadde.\nVi sono indizi indicanti che Aristandro abbia scritto diversi trattati di divinazione, ma è anche possibile che questi gli siano stati falsamente attribuiti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aristeo.\n### Descrizione: Aristeo (in greco antico: Ἀρισταῖος?, Aristàios) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Apollo e della principessa Cirene, il cui padre era il re dei Lapiti Ipseo (in altre versioni è figlio di Cliene).\n\nIl mito.\nLa nascita di Aristeo avvenne in Libia. Ermes assistette al parto e le sue ninfe si presero cura dell'infante insegnandogli l'arte della pastorizia, come produrre il formaggio, l'apicoltura e la coltura dell'ulivo. Educato dal centauro Chirone alla guerra e alla caccia, egli dedicò la sua vita ad allevare api e a fare il pastore.\nUna volta diventato adulto, sposò Autonoe e da questa unione nacque Atteone. Si trasferì in Beozia dove apprese dalle Muse le tecniche di caccia, la medicina e come custodire le greggi. Amava così intensamente Euridice da tentare di farla sua poco prima che andasse in sposa a Orfeo: nell'inseguimento che seguì Euridice riuscì più volte a sfuggirgli, finché accidentalmente calpestò un serpente velenoso che la uccise con il proprio morso.\nPer vendetta, le altre ninfe distrussero i suoi alveari. Cirene, sua madre, consigliò allora ad Aristeo di placarne l'ira offrendo loro dei capi di bestiame, lasciandoli sul suolo e tornando sul luogo dopo nove giorni. Così fece ed al suo ritorno trovò uno sciame d'api nelle carcasse (secondo un fenomeno chiamato bugonìa) che lo ripagò ampiamente della perdita subita.\nDopo la tragica morte del figlio Atteone, divorato dai suoi cani, Aristeo si ritirò nell'isola di Coo su consiglio di un oracolo di Apollo. La trovò devastata dalla peste, per cui l'eroe fermò l'epidemia con un sacrificio a nome di tutti i Greci e si dedicò a farla ripopolare e a trasmettere le sue conoscenze alla popolazione. Egli stesso lasciò due figli a Cos: Charmos (Grazia) e Callicarpo (Bel frutto). Andò poi in Sardegna – passando dalla Libia – e fu il primo che la civilizzò; passò poi in Sicilia, dove portò anche lì la sua conoscenza della coltivazione dell'ulivo agli abitanti. Finalmente si trasferì in Tracia, ove Dioniso lo prese a benvolere e gli trasmise molte conoscenze e lo iniziò ai riti segreti. Infine si stabilì sul monte Emo per poi scomparire senza che se ne abbia più notizia.\nAristeo venne onorato come un dio in molte località della Grecia per aver insegnato agli uomini l'apicoltura, la produzione del formaggio e la pastorizia. Particolare onore aveva in Sicilia, dov'era una delle divinità campestri, con una statua eretta a Siracusa nel tempio di Bacco.\nVenne talvolta assimilato al dio Pan.\nIl culto di Aristeo era diffuso anche presso le popolazioni nuragiche della Sardegna, ciò lo dimostra una statuina raffigurante il dio rinvenuta a Dule, nel territorio di Oliena. È considerato il fondatore della città di Cagliari quando giunse in Sardegna dalla Beozia, come narra lo scrittore latino Gaio Giulio Solino. Aristeo introdusse in Sardegna l'arte di far il formaggio, l'olio, e il modo di allevare le api per averne il miele e la cera; riappacificò le popolazioni indigene in lotta fra di loro e fondò appunto la città di Caralis, sulla quale in seguito regnò. Secondo Sallustio e Pausania, Aristeo venne accompagnato in Sardegna da Dedalo, malgrado l'evidente anacronismo. Dedalo sarebbe l'artefice delle imponenti opere dedalee (i Nuraghe) presenti sull'isola.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aristodemo (mitologia).\n### Descrizione: Aristodemo (in greco antico: Ἀριστόδημος?, Aristòdemos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide ed era il padre dei primi due re di Sparta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aristomaco, sposò Argia (figlia di Autesione) che lo rese padre dei gemelli Procle ed Euristene.\n\nMitologia.\nFu ucciso da Apollo con un fulmine per non aver consultato l'oracolo (oppure dai figli di Pilade ed Elettra) mentre con i suoi fratelli Temeno e Cresfonte si preparava a partire per l'invasione del Peloponneso.\nDopo la conquista del Peloponneso i suoi figli divennero i primi due re della Laconia e della città di Lacedomone che in seguito prese il nome di Sparta." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aristomaco (mitologia).\n### Descrizione: Aristomaco (in greco antico: Ἀριστόμαχος?, Aristómachos), è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide ed era il protagonista del terzo tentativo della conquista di Micene.\n\nGenealogia.\nFiglio di Cleodeo, fu il padre di Cresfonte, Temeno e Aristodemo.\n\nMitologia.\nCondusse un tentativo di catturare Micene durante il regno di Tisameno, ma dopo aver frainteso ciò che gli disse l'oracolo, fallì e morì durante la battaglia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Armeno (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Armeno secondo una delle versioni del mito era un argonauta compagno di avventure di Giasone.\n\nIl mito.\nArmeno, un tessalo del lago Bebe, secondo tale versione rispose all'appello lanciato da Giasone e partecipò come tanti altri eroi al viaggio sino alla Colchide per recuperare il vello d'oro.\nAll'inizio non si distinse per imprese o atti eroici, ma al ritorno abbandonò i compagni per fondare un vasto regno che poi chiamò il luogo intero a suo nome, Armenia. Armeno in seguito eresse alle porte di una città dei monumenti in onore di chi gli permise di realizzare questo suo sogno, Giasone.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLe origini del Regno di Armenia e la loro relazione con la figura mitica di Armeno - così come riportate dallo storico e geografo antico Strabone (libro XI, 14, 12 e 13, 10) - sono state ampiamente approfondite dal prof. Giusto Traina (storico specializzato in storia antica) in numerosi seminari dedicati all'argomento [1]." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Armonia (divinità).\n### Descrizione: Armonìa (in greco antico: Ἁρμονία?, Harmonìā) è un personaggio della mitologia greca, secondo quanto riportato da Esiodo nella sua Teogonia, figlia di Ares e Afrodite.\nÈ nota anche come la dea dell'amore romantico, dell'armonia e della concordia (anche fra soldati nemici).\n\nMitologia.\nZeus diede Armonia in sposa al fondatore di Tebe, Cadmo. Tutti gli dei scesero a Tebe dall'Olimpo per celebrare le nozze. Secondo il mito queste furono le prime nozze della storia. Fra i doni recati dagli dei, avrà una parte importante nella storia di Tebe la collana forgiata da Efesto che Afrodite mise al collo della sposa, dotandola del potere di dare eterna giovinezza e bellezza a chiunque la indossasse.\nArmonia ebbe da Cadmo quattro figlie, Agave, Autonoe, Ino e Semèle; e un figlio, Polidoro.\nDopo la morte di Semele, folgorata da Zeus, e la distruzione da parte del dio Dioniso, figlio di Semele e Zeus, della casa reale di Penteo loro nipote, Armonia e Cadmo se ne andarono da Tebe con la figlia Agave, come narrato ne Le baccanti di Euripide. Il trono andò al parente Laio, nipote del figlio Polidoro, il padre di Edipo e marito di Giocasta e nuove sventure si abbatterono su Tebe.\nAl termine del loro viaggio raggiunsero la costa adriatica ed ebbero un altro figlio, Illirio, capostipite degli Illiri.\nIl vecchio Cadmo divenne re degli Illiri, ma successivamente, essendo un mortale, per sfuggire al destino, fu trasformato dagli dei in un serpente ed Armonia, nel suo dolore pregò Cadmo di recarsi da lei e mentre fu abbracciata dal serpente Cadmo gli dèi trasformarono in serpente anche lei.\nQuando morirono, il padre di Armonia, Ares, li portò entrambi sull'Olimpo dove vissero con gli dei.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Armonide.\n### Descrizione: Nell'Iliade, Armonide è il patronimico di Tettone, un artigiano di Troia.\n\nIl mito.\nTettone Armonide era padre di Fereclo, un abilissimo costruttore di navi, veloci e robuste. Una di esse fu utilizzata da Paride per rapire Elena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Arneo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Arneo, chiamato anche Iro, era un mendicante di Itaca.\n\nIl mito.\nArneo, dalla sembianze simili a un piccolo gigante e di appetito superiore al loro era in realtà un mendicante buono e onesto di Itaca, l'isola di Odisseo (Ulisse) e dei Proci. Qui era solito frequentare le mense dei ricchi per ottenere un po' di cibo.\nAl ritorno di Odisseo non riesce a riconoscerlo e inizia a schernirlo, arrivando al punto di sfidarlo a un incontro di pugilato, da cui però esce sconfitto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arpalione (figlio di Plimene).\n### Descrizione: Arpalione (in greco antico: Ἁρπαλίων?, Harpalíōn) era un personaggio della mitologia greca citato da Omero nell'Iliade.\n\nMitologia.\nFiglio di Pilemene (figlio di Bilsate, capo della città di Eneti in Paflagonia), uno dei comandanti alleati dell'esercito troiano, fu ucciso dall'acheo Merione durante la guerra di Troia, davanti alle mura della stessa città.\nSuo padre Pilemene alla notizia della morte del figlio ne recuperò il cadavere per onorarlo e farne le esequie." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arpia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le arpie (lett. 'le rapitrici', dal verbo greco ἁρπάζειν, harpázein, 'rapire') sono creature mostruose, con viso di donna e corpo d'uccello. L'origine del loro mito deve forse ricondursi a una personificazione della tempesta.\n\nCitazioni.\nLe arpie, Celeno, Ocipete ed Aello, figlie di Taumante ed Elettra e sorelle di Iride sono citate nell'Odissea di Omero (libro XX): in una preghiera ad Artemide Penelope ne parla come di procelle e ricorda che rapirono le figlie di Pandareo per asservirle alle Erinni.\nEsiodo parla di due arpie, Aello e Ocipete; di esse dice che avessero una magnifica capigliatura e che fossero potenti nel volo.\nNelle Argonautiche di Apollonio Rodio (libro III) le arpie, per ordine di Hera, perseguitano il re e indovino cieco Fineo, portandogli via le pietanze dalla tavola e sporcandogliela.\nVirgilio cita le arpie nell'Eneide, facendo il nome di una terza sorella, Celeno.\n\nDante Alighieri cita le arpie nel Canto XIII dell'Inferno: esse rompono i rami e mangiano le foglie degli alberi al cui interno si trovano le anime dei suicidi, che, in questo modo, provano dolore e hanno dei pertugi attraverso i quali lamentarsi.\n\nNell'Orlando furioso (canto XXXIII) Ludovico Ariosto riprende la storia di Fineo, e le Arpie insozzano la tavola del cieco re di Etiopia, identificato col Prete Gianni, e vengono scacciate da Astolfo.\n\nNella cultura di massa.\nUna famosa opera di Andrea del Sarto è la Madonna delle Arpie, conservata agli Uffizi, risalente al 1517.\nGiovanni della Robbia e Santi Buglioni realizzarono due arpie sugli spigoli del fregio dell'Ospedale del Ceppo di Pistoia nel 1525.\nNel linguaggio comune si usa il termina 'arpia' per indicare una persona che ricorrendo ad artifici e sotterfugi si intromette nelle vicende altrui per influenzarle negativamente, facendo sentire il destinatario sottoposto come all'attacco di un uccello predatore. Anche di persona dall'apparenza innocua che nasconde invece comportamenti predatori o intromissori.\nNel manga Monster musume no iru nichijō una delle protagoniste femminili è un'Arpia di nome Papi.\nNel manga e anime Devilman di Gō Nagai, uno dei nemici principali del protagonista è proprio l'arpia Silen.\nElzie Crisler Segar disegnò le arpie come nemiche di Braccio di Ferro in una serie di strisce quotidiane del 1938.\nAnche il cartoonist Carl Barks disegnò le arpie come antagoniste di Paperino e zio Paperone nella storia a fumetti del 1956 dal titolo Paperino e il Vello d'oro.\nNel gioco di ruolo cartaceo Vampiri: la masquerade e nelle sue espansioni l'Arpia è un rango della comunità vampirica.\nNe I Cavalieri dello zodiaco lo Specter Valentine ha un'armatura ispirata alle Arpie.\nIn She-Ra, la principessa del potere viene mostrata una tribù di Arpie.\nNel videogioco The King of Dragons le Arpie figurano tra i nemici comuni.\nHaunted Castle è un altro videogioco arcade dove sono presenti le Arpie, anche qui come nemici comuni." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arpina.\n### Descrizione: Arpina (in greco antico: Ἅρπινα?, Hàrpina) o Arpinna è un personaggio della mitologia greca. È una ninfa ed è l'eponimo della città di Arpina.\n\nGenealogia.\nFiglia di Asopo e Metope ebbe da Ares il figlio Enomao.\n\nMitologia.\nÈ l'eponimo della città Arpina, che sorgeva presso Pisa, Olimpia ed il fiume Alfeo.\nNelle tradizioni degli abitanti dell'Elide e di Fliunte, giacque con Ares e da lui ebbe il figlio Enomao e fu quest'ultimo a dare il nome della madre alla città.\nPausania scrive della sua presenza di una scultura di gruppo presente ad Olimpia e che fu donata dagli abitanti di Fliunte.\nCome ninfa fu a volte confusa con la ninfa pleiade Sterope che a sua volta è ritenuta la madre di Enomao." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Arpiria.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Arpiria era una delle Arpie, creature mostruose metà donne e metà uccello, che tormentava gli esseri umani.\n\nIl mito.\nArpiria e sua sorella Erasia tormentavano Fineo ai tempi in cui gli Argonauti, un gruppo di avventurieri in cerca del vello d'oro, erano andati da lui per chiedere saggi consigli. Il re infastidito dal comportamento dei due mostri, chiese come condizione di essere liberato da loro, subito Giasone, il capo della spedizione ordinò a due suoi alleati, Calaide e Zete di cacciarle e loro muniti di ali fecero il proprio lavoro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Arpocrate.\n### Descrizione: Arpocrate (in greco antico: Ἃρποκράτης, -ους?, Arpokrátes, in latino Harpŏcrătēs, -is) è una divinità egizia appartenente alla religione dell'antico Egitto, corrispondente all'antichissimo dio Hor pa khred, ossia Horo il fanciullo e che identificava il figlio di Iside ed Osiride. Era anche la forma sincretica del dio Horo, del quale incarnava l'aspetto di figlio di due divinità.\n\nStoria e culto.\nCitato nei Testi delle piramidi, sviluppò il culto vero e proprio solo in Bassa Epoca e come erede terreno del padre divenne l'incarnazione della monarchia fin dal periodo predinastico.\nA partire dal Terzo periodo intermedio il suo culto divenne sempre più popolare e l'iconografia più diffusa lo rappresentava come un bambino stante o in braccio alla madre Iside, mentre si portava un dito alla bocca ad indicare che era il dio del silenzio. Jean-Pierre Corteggiani, nel suo libro L'Égypte ancienne et ses dieux dice che il dito sulla bocca non è che un atteggiamento tipico dell'infanzia che gli autori classici hanno frainteso, pensando in un invito al silenzio, legato ai misteri della dea madre Iside. In realtà il simbolo fatto con la mano altro non è che la rappresentazione del geroglifico bambino. Arpocrate fu scambiato dai greci come dio del silenzio ma in realtà è la rappresentazione di Horus bambino.\nIl mito egizio più diffuso descrive Horus quale figlio di Osiride, il re divino ucciso e smembrato dal fratello malvagio Seth, e concepito dopo che la madre Iside aveva recuperato le parti del corpo del marito, avvolgendole con le bende e inventando in tal modo la mummificazione. Iside nascose il bambino fra i papiri della palude del Delta del Nilo, un’area di confine fra la sfera umana e quella divina. Al riparo dal maligno Seth, Horus crebbe e riconquistò il trono del padre. Ma il piccolo, cui venne dato il nome Arpocrate, rimase nel suo “ruolo di base, per sempre un bambino, un riferimento e prototipo di tutti i bambini futuri”.Altro elemento tipico di Arpocrate era la sua testa completamente rasata, ad eccezione di una treccia che gli ricadeva sul suo lato destro. La sua statua si trovava all'ingresso di quasi tutti i templi, per indicare che in quel luogo si onoravano gli Dei col silenzio, ovvero, secondo Plutarco, gli uomini che avevano una imperfetta cognizione della Divinità non dovevano parlarne che con rispetto. Gli antichi portavano spesso scolpita nei loro sigilli una figura d'Arpocrate, ad indicare che il segreto delle lettere andava conservato fedelmente.\nL'immagine di Iside che allattava il figlio ispirò, secondo alcuni, successivamente i Copti nell'iconografia della Vergine con il bambino.\nAnche se di origini egiziane, soprattutto dell'area del Basso Egitto, il suo culto venne presto adottato anche nell'area greca e romana, dove rappresentò il dio del silenzio, con il dito alla bocca e cinto di un mantello cosparso di occhi e di orecchi.\n\nEtà moderna.\nIn età moderna, soprattutto nel corso del Seicento, molti eruditi, come ad esempio Ralph Cudworth, ripresero la figura di Arpocrate come esempio e metafora della discrezione in ambito politico e dell'approccio esoterico alla conoscenza.\n\nMito.\nNarra la mitologia, che il fanciullo fu punto da uno scorpione, guarì grazie alla magia della madre, divenendo così il simbolo delle guarigioni. L'amuleto che lo raffigurava in piedi, su un coccodrillo, mentre tiene in mano dei serpenti, era considerato di buon auspicio in caso di malattia.\nIl mito lo volle anche vendicatore del padre nei confronti di Seth.\n\nNella cultura di massa.\nArpocrate compare come uno degli dei ostaggi del triumvirato composto da Nerone, Commodo e Caligola nel romanzo fantasy La tomba del tiranno (della serie Le sfide di Apollo) di Rick Riordan." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Artabatici.\n### Descrizione: Gli artabatici sono un popolo favoloso dell'Africa, citato anche da Plinio il Vecchio nella Naturalis historia. Secondo la tradizione mitologica, gli artabatici erano un popolo di uomini dall'andatura quadrupede:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Artace.\n### Descrizione: Artace è un personaggio della mitologia greca. In alcune traduzioni italiane il suo nome diventa Artaceo.\n\nIl mito.\nLe Argonautiche di Apollonio Rodio sono l'unica fonte conservatasi in cui si parla del nobile eroe Artace, ricordato come uno dei Dolioni rimasti uccisi insieme al loro giovanissimo sovrano Cizico (chiamato come la capitale del regno) nel tragico scontro armato che ebbero involontariamente con gli Argonauti da loro in precedenza ospitati: fatalità volle che Giasone e compagni, ributtati a causa di una tempesta sulle coste del regno dei Dolioni in una notte senza luna, venissero assaliti da Cizico e alcuni suoi uomini che li avevano scambiati per pirati. Nessun argonauta fu tra le vittime, contro le tredici dell'altra parte: il primo a cadere fu il re, per mano di Giasone, e l'ultimo Artace, vittima di Meleagro al pari di Itimoneo, del quale il poeta ricorda il coraggio:.\n\nAppurato il tragico errore, gli Argonauti resero omaggio al re e agli altri Dolioni morti tumulandoli in un unico, maestoso sepolcro, e con giochi funebri che vennero denominati Giochi Cizici.\n\nToponimi.\nErodoto riferisce dell'esistenza, al tempo delle guerre persiane, di una località chiamata Artace vicino alla città di Cizico; essa conservava tale nome ancora in epoca cristiana, secondo quanto afferma Procopio di Cesarea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Artemidoro di Daldi.\n### Descrizione: Artemidoro (in greco antico: Ἀρτεμίδωρος ὁ Δαλδιανός?, Artemídōros ho Daldianós; Efeso, dopo il 120? – dopo il 192?) è stato uno scrittore e filosofo greco antico.\nPrincipalmente, fu interprete di sogni e visioni con scopi scientifici e didattici. Trasmise l'arte divinatoria al figlio.\nNei suoi e altrui scritti è citato come Artemidoro di Daldi.\nScrisse gli Oneirocriticà, condensato del sapere antico sull'arte divinatoria e punto di riferimento fino a Freud per la interpretazione dei sogni ispirati. Secondo Suda, fu autore di opere minori sulla chiromanzia (Chiroscopica) e ornitomanzia (Oiônoscopica, interpretazione dei volatili).\n\nBiografia.\nArtemidoro nacque ad Efeso nel II secolo, in una delle città più importanti del Mediterraneo orientale.\n\nVisse a Daldi in Lidia, donde il soprannome di Daldiano, a cui tenne molto per ricordare il luogo di origine della madre, e soprattutto per distinguersi dal nome dei numerosi interpreti di sogni di Efeso, passati e contemporanei, fai i quali il celebre geografo ellenistico Artemidoro di Efeso. Nel suo libro, sono citati numerosi poeti antichi, le letture e i suoi viaggi, da cui si desume l'alto livello culturale (e benessere familiare).\nStando ai suoi scritti, divenne l'interprete di riferimento per gli abitanti di Daldi che tramite lui interrogavano il dio Apollo. Operò, probabilmente, anche a Roma, sotto il regno di Antonino Pio e Marco Aurelio, secondo le indicazioni che si possono trarre dalla sua stessa opera, i primi tre libri della quale furono dedicati a Massimo di Tiro, operante appunto sotto gli ultimi Antonini. Il terminus post quem per la sua biografia è derivato dal fatto che menziona un sogno di Plutarco in punto di morte: essendo Plutarco morto intorno al 120 d.C., si può presumere che egli sia nato dopo questa data.\nFu sicuramente un interprete di sogni professionista, avviando un'attività che trasmise al figlio, come si nota dagli ultimi due libri dell'opera, che scrisse per fornire un prontuario all'erede per l'esercizio dell'onirocritica.\n\nGli Ὀνειροκριτικά.\nArtemidoro è autore di uno dei pochi trattati del mondo greco a noi pervenutoci sull'interpretazione dei sogni, dal titolo Onirocritica (Ὀνειροκριτικά), in cinque libri. Le sue fonti dovevano essere molto ampie se, come egli stesso scrive, aveva letto sull'argomento tutto ciò che era disponibile al suo tempo, raccolto durante i suoi viaggi in Asia, Grecia e Italia. Fu pubblicato per la prima volta in greco a Venezia nel 1518 e più volte ristampato.\nIl libro primo e quarto iniziano con una esposizione sistematica del metodo. I primi tre libri, come detto, sono dedicati al sofista Massimo di Tiro. Preminente è l'attenzione, nel libro I, dedicata all'anatomia e all'attività del corpo umano: 82 capitoli interpretano la comparsa nei sogni di soggetti come la dimensione della testa, mangiare e l'attività sessuale. Il secondo libro tratta di oggetti ed eventi nel mondo naturale, come il tempo, gli animali, gli dei e il volo. Il terzo libro è di argomento vario. La seconda parte del trattato (libri IV-V), come detto, è dedicata al figlio dell'autore e comprende numerosi sogni con la loro spiegazione, ad uso pratico dell'interprete.\nIl trattato di Artemidoro rappresenta anche una grande enciclopedia della cultura materiale del mondo greco-romano: in questo genere, è uno dei testi più ricchi a nostra disposizione, così come la storia naturale di Plinio il Vecchio, i Deipnosofisti di Ateneo di Naucrati e le opere dei lessicografi come Giulio Polluce, tutte opere caratterizzate in una certa misura da un'ambizione enciclopedica. Si tratta, comunque, di una tappa essenziale nella tradizione greco-orientale nell'interpretazione dei sogni, preceduta dall'opera di Antifonte di Ramnunte e seguita (e più volte richiamata) in età bizantina dal trattato sui sogni dell'arabo e islamico Achmet: prima opera sul tema dei sogni in lingua araba, nota in tutto il Medioevo.\nScopo principale di Artemidoro è dimostrare che l'interpretazione dei sogni, come atto puramente conoscitivo, è possibile (tesi che trovava un suo fondamento nell'idea stoica della 'simpatia' universale). Terminato l'atto conoscitivo, e data quindi un'interpretazione dei sogni, Artemidoro non si azzarda a consigliare comportamenti futuri sulla base di tale interpretazione, discostandosi quindi da quelle pratiche magiche tanto in voga al suo tempo. Nell'opera Artemidoro, in uno stile semplice, ma al tempo stesso elegante, offre una panoramica completa della materia onirica, fornendo una sistemazione scientifica dei sogni, basata sugli episodi storici, e distinguendo in tal modo i sogni legati al passato ed al presente e quelli relativi al futuro, interpretati come profetici e simbolici. Del resto «Artemidoro, come molti dei suoi predecessori, è stoico, o almeno inverniciato di stoicismo: di più non abbiamo diritto di attenderci da un professionale della divinazione».\nLa fortuna dell'opera fu ampia, come testimoniato anche da una versione araba dei primi tre libri, risalente all'877, ad opera di Hunayn ibn Ishaq, e pubblicata da Toufic Fahd con traduzione francese nel 1964 con il titolo Le livre des songes [par] Artémidore d'Éphèse." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Asbolo (centauro).\n### Descrizione: Asbolo è uno dei Centauri della mitologia greca, dotato di poteri di preveggenza.\nTentò inutilmente di dissuadere gli altri centauri dal recarsi alle nozze di Ippodamia avendo presagito lo scontro che ne sarebbe scaturito. Avvisò Nesso che sarebbe morto per una freccia scoccata da Eracle.Asbolo, sopravvissuto alla centauromachia, morì ucciso anch'egli da Eracle che lo crocifisse per punirlo della sua malvagità verso gli uomini e gli dei." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ascalafo (figlio di Acheronte).\n### Descrizione: Ascalafo è una figura della mitologia greca, era un demone figlio di Acheronte, il fiume degli inferi e di Gorgira o Orfne, che significa oscurità, ninfa d’Averno il fiume infernale.\n\nIl mito.\nQuando Ade concesse a Persefone di ritornare nel mondo dei vivi, le impose un'unica condizione: di non mangiare nulla. Ascalafo la vide rompere il giuramento e testimoniò presso Ade e Zeus che Persefone aveva mangiato i chicchi di melograno, cosa che la legò per sempre al regno dei morti.\nDemetra, infuriata per aver perso per sempre la figlia, si vendicò schiacciandolo sotto un masso. Egli tuttavia non morì e venne salvato in seguito da Eracle che riuscì a spostare quell'enorme macigno. Secondo altre leggende venne trasformato in un allocco o, da Persefone che gli gettò addosso dell’acqua dello Stige, in una civetta." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ascalafo (figlio di Ares).\n### Descrizione: Ascalafo (in greco antico: Ἀσκάλαφος?, Áskálaphos)) è un personaggio della mitologia greca ed un Argonauta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Ares e di Astioche (figlia di Attore), menzionato nell'Iliade e fratello gemello di Ialmeno.\n\nMitologia.\nFu tra i pretendenti di Elena e partecipò alla guerra di Troia, ponendosi a capo dell'esercito dei Mini, tra cui militavano anche Aspledonte e Orcomeno.\nQuando fu ucciso accidentalmente da Deifobo, suo padre Ares fu avvertito da Era e minacciò di scendere sul campo di battaglia per vendicarlo.\n\nPareri secondari.\nSecondo altre fonti Ascalafo partecipò alla spedizione degli Argonauti, gli avventurieri reclutati da Giasone per il recupero del vello d'oro e durante tali avventure, a quanto pare, non si distinse particolarmente." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ascanio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca e romana Ascanio (in greco antico Ασκάνιος, in latino Ascanius) era figlio di Enea e Creusa, figlia di Priamo. Era chiamato anche Iulo dai Latini, mentre altre fonti gli attribuiscono il nome alternativo di Eurileone.\n\nIl mito.\nLa figura di Ascanio è del tutto sconosciuta all'Iliade; nel poema omerico il nome va a identificare un giovane condottiero frigio delle truppe che provengono dall'Ascania e uno dei suoi guerrieri, ma in realtà questi due personaggi di nome Ascanio non possiedono alcun collegamento con il figlio di Enea e della troiana Creusa.\n\nNell'Eneide di Virgilio sono molti i versi dedicati ad Ascanio. Durante la notte della caduta di Troia viene improvvisamente avvolto da una misteriosa lingua di fuoco che lo lascia indenne: chiaro segno di una protezione da parte degli dei. Enea riesce comunque a fuggire da Troia con il figlio e sbarca prima a Cartagine presso la regina Didone (che s'innamora di Enea per una freccia scoccata da Cupido che ha assunto l'aspetto di Ascanio), quindi nel Lazio, dove è accolto dal Re Latino, che gli promette in sposa la figlia Lavinia. Qui però Ascanio, durante una battuta di caccia, ferisce a morte accidentalmente la cerva domestica di un giovane cortigiano del re, Almone; troiani e latini passano dalle parole alle armi; Almone viene colpito alla gola da una freccia e si accascia morto al suolo. Scoppia così la guerra, nella quale Ascanio ucciderà Numano, cognato di Turno, re dei Rutuli. La guerra è vinta dai troiani; dopo la morte di Enea, Ascanio (o Iulo) fonda Alba Longa. Suoi discendenti saranno Romolo e Remo.\nTito Livio, nel suo Ab Urbe Condita, non chiarisce la maternità di Ascanio. Se infatti all'inizio del suo racconto, l'attribuisce a Lavinia, più avanti riporta che potrebbe essere figlio di Creusa. Di certo, conclude Livio, Enea ne è il padre.\n\nMorto Enea, Lavinia, incinta, si allontana dalla reggia per contrasti con Ascanio. Si rifugia in casa di Tirro, il padre dello sfortunato Almone, dove partorisce Silvio. Paventando il rischio di nuove tensioni con Tirro, che a lungo gli aveva serbato rancore per aver provocato la rissa in cui era morto il figlio, Ascanio fa richiamare Lavinia. Tito Livio gli attribuisce la fondazione di Alba Longa sul Monte Albano; Ascanio morì quattro anni dopo.Ascanio veniva inoltre chiamato Iulo (latino: Iulus), variante onomastica di 'Ilo'. Gli successe Silvio, suo fratellastro secondo l'Eneide, secondo Tito Livio, invece, Ascanio e Silvio erano padre e figlio. . In ogni caso da qui trasse origine la gens Iulia, a cui appartennero Gaio Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. Con lui la gens assurse al rango di prima Dinastia Imperiale, divenendo in seguito nota come Dinastia Giulio-Claudia.\n\nAlbero genealogico.\nLa figura di Ascanio nell'arte.\nNell'arte romana Ascanio è raffigurato come un giovane vestito con abiti orientali, tipici della Frigia, come il berretto a punta e la corta clamide persiana.\nNell'Incendio di Borgo, affresco di Raffaello Sanzio nelle Stanze Vaticane, all'estrema sinistra sono rappresentati Enea, Anchise e Ascanio fuggenti da Troia in fiamme: Enea porta sulle spalle il vecchio padre, affiancato da Ascanio.\nL'episodio della fuga da Troia è stato immortalato anche da Gianlorenzo Bernini nel gruppo marmoreo Enea, Anchise e Ascanio.\nUno degli affreschi di Villa Valmarana ai Nani, realizzati da Giovanbattista Tiepolo, è Enea presenta Amore a Didone, nelle sembianze di Ascanio: si tratta di uno degli episodi che compongono la Sala dell'Eneide.\nIl personaggio appare come protagonista assoluto in Ascanio uccide la cerva di Almone, opera pittorica di Corrado Giaquinto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Assedio di Trioessa.\n### Descrizione: Il mitologico assedio di Trioessa avvenne durante la guerra tra i Pilii e gli Epei ai tempi dei re Neleo ed Augia, narrata dall'eroe Nestore in vari episodi dell'Iliade.\nSpecificamente tale evento viene narrato da Nestore a Patroclo nell'XI libro dell'Iliade.\n\nPrologo.\nDopo aver subito una pesante sconfitta contro Eracle, il regno di Pilio governato da Neleo è debole, e sottoposto alle angherie dei vicini Epei, chiamati anche Elei.\nRazzie, provocazioni, fino ad arrivare al furto dei cavalli da gara di Neleo da parte di Augia, portano i Pilii a non tollerare più tale atteggiamento, spingendoli a loro volta a reazioni.\n\nIl conflitto.\nCausa del conflitto.\nIl giovane figlio del re, Nestore, organizza con dei compagni una razzia contro i vicini.\nUccisi alcuni tra i guardiani e proprietari di bestiame, tra cui un certo Itimoneo ucciso dallo stesso Nestore, i Pilii si impadroniscono di un abbondante bottino.\nUna cinquantina di mandrie di bovini, altrettanti branchi di capre, lo stesso numero di gruppi di porci e di greggi di capre, oltre a centocinquanta cavalle femmine con molti puledri appresso.\nNeleo prese per sé trecento capi tra buoi e pecore, mentre il resto venne dato a tutti coloro che nel tempo avevano subito sopraffazioni.\n\nI preparativi.\nTre giorni dopo la spartizione del bottino, gli Epei si armarono e marciarono nella pianura arrivando alla città di confine Trioessa, cingendola d'assedio per conquistarla.\nAvvertiti del pericolo dalla dea Atena, il giorno dopo i Pilli si radunarono verso il fiume Minieo.\nAttesero fino a sera l'arrivo dei rinforzi delle varie città, rifocillandosi e sacrificando vittime a Zeus, un toro all'Alfeo, un toro a Poseidone ed una giovenca ad Atena.\nPreso il pasto serale divisi nei reparti e passata la notte sulle rive del fiume, il mattino dopo si presentarono a Trioessa.\n\nForze in campo.\nEntrambi gli eserciti erano di carattere Miceneo, con i membri dell'aristocrazia che combattevano su carri ed equipaggiati con costose armature in metallo, un nucleo di fanteria formato anch'esso da cittadini che potevano permettersi armi in bronzo, ed il resto dei soldati armati alla meglio.\nOmero cita Mulio al comando epeo dei combattenti col carro, quindi probabilmente svolgeva il ruolo di lawaghetas dell'esercito di Augia. Tra i combattenti sul carro troviamo anche due giovanissimi Molionidi, alla loro prima battaglia.\nNon viene citato invece il comandante delle forze di Pilio. Sappiamo che partecipò il giovane Nestore, che però si schierò tra le file dei fanti, dato che suo padre gli aveva nascosto i cavalli per non farlo partecipare alla sua prima battaglia.\nTenendo conto del Catalogo delle navi dell’Iliade, è possibile stimare che gli schieramenti erano composti dai 3.000 ai 4.000 soldati. Ma questa è solo un'ipotesi.\n\nDescrizione della battaglia.\nMolto probabilmente l'ordine di battaglia rispecchiava le classiche battaglie dell'epoca, con davanti i carri da guerra con il compito di disorganizzare le schiere nemiche, mentre la fanteria restava alle loro spalle.\nDopo l'invocazione da parte dei Pilii di Zeus e di Atena, le due schiere si affrontano.\nIl primo ad abbattere un avversario è proprio Nestore, che uccide proprio Mulio che gli si era presentato di fronte, impadronendosi in questo modo del suo carro e gettandosi tra le prime fila.\nAlla scomparsa del loro comandante, l'armata degli Epei viene atterrita ed i soldati rompono le file, permettendo in questo modo agli avversari di farne strage.\nLo stesso Nestore racconta di essersi impadronito di cinquanta cocchi, uccidendone i guerrieri.\nDurante lo scontro Nestore è sul punto di uccidere anche i Molionidi, ma l'intervento di Poseidone è propizio. Il dio riuscì a sottrarli avvolgendoli con una nuvola, togliendoli dalla vista dell'eroe vincitore.\nI Pilii vincitori inseguirono gli sconfitti per tutta la pianura fino alla città di Buprasio massacrandoli, per poi tornare indietro portando Nestore in trionfo, carichi di bottino che contava carri da guerra, cavalli, armi ed armature.\n\nSfondo storico.\nPurtroppo nulla ha dimostrato la storicità di questo assedio e del conflitto tra i due regni vicini.\nL'episodio viene raccontato solamente in quel verso dell'Iliade, e questo porta a catalogare tale conflitto tra gli eventi mitici.\nPossiamo però affermare che il racconto si muove in uno sfondo storico.\nLe razzie di bestiame erano all'ordine del giorno durante il periodo miceneo.\nI conflitti e gli scontri di minor portata tra le città ed i regni sono raccontanti in molti racconti, in miti, oltre ad essere immortalati in vasi ed altre testimonianze giunte fino ad oggi.\nAnche la geografia ha un certo peso, alcuni dei luoghi - come i fiumi - sono confermati.\nL'armamento e la tipologia della battaglia - carri da guerra, fanti armati di bronzo - rispecchiano la storicità dell'evento.\nInteressanti gli accenni all'attesa dell'arrivo dei vari reparti, della suddivisione del pasto serale in gruppi, dei sacrifici agli dei.\nQuindi sebbene possiamo catalogare il conflitto ed i suoi protagonisti e le gesta come miti, possiamo prendere questo episodio come un racconto di un generico scontro tra vicini dell'antico mondo miceneo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Asterio (figlio di Comete).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Asterio o Asterione era un figlio di Comete, figlio di Testio, e pertanto appartenente alla famiglia dei Pelopidi. Sua madre potrebbe essere stata Antigone, figlia di Fere.\nCome altri eroi, rispose all'appello di Giasone per viaggiare fino alla Colchide e recuperare il vello d'oro, ed è pertanto contato tra gli argonauti.\nNon va confuso con un altro Asterio, anch'egli a volte contato tra gli argonauti, figlio di Ippaso e fratello di Attore." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Asterio (figlio di Tettamo).\n### Descrizione: Asterio (in greco antico: Ἀστέριος?, Astérios), o Asterione (Ἀστερίων, Asteríōn), è un personaggio della mitologia greca ed uno dei re dell'isola di Creta.\n\nMitologia.\nFu il primo re di Creta e 'Signore delle stelle', era il figlio di Tettamo, che a sua volta era figlio di Doro. Il padre Tettamo sposò la figlia di Creteo l'Eoliano, mentre Asterio ebbe come moglie Europa.Sposò Europa dopo che era stata sedotta da Zeus, ed adottò i tre figli che Europa aveva avuto da Zeus (Minosse, Sarpedonte e Radamanto), nominandoli così suoi eredi.\nGli succedette Minosse." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Astianatte.\n### Descrizione: Astianatte (in greco antico: Ἀστυάναξ?, Astyánax, 're della città'; in latino Astyanax) o Scamandrio è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ettore, l'eroe troiano che combatté nella guerra di Troia prima di morire ucciso da Achille, distinguendosi come il campione tra i suoi compatrioti, e di Andromaca, figlia del re Eezione.\n\nMitologia.\nAlla nascita, il padre gli impose il nome di Scamandrio, quasi lo considerasse un dono del fiume Scamandro; ma i Troiani, memori delle imprese di Ettore, lo chiamarono Astianatte (che significa «signore della città»).Fu ucciso da Neottolemo, il figlio di Achille, che lo gettò dalle mura di Troia su consiglio di Ulisse, affinché la stirpe di Priamo non avesse discendenza; venne quindi seppellito da Ecuba, che ne pose il corpo sullo scudo che era appartenuto ad Ettore.\nSecondo altre versioni del mito, il piccolo fu salvato da un'ancella, e, una volta diventato adulto, avrebbe rifondato la città di Troia. Secondo altre versioni ancora, Neottolemo, innamorato di Andromaca e portatala a vivere come sua concubina, avrebbe risparmiato e portato con sé anche il bambino.\n\nInterpretazioni successive.\nLa cronaca di Fredegario contiene la più antica menzione di una leggenda medievale che collega i Franchi ai Troiani. Una leggenda, ulteriormente elaborata durante il Medioevo, stabilì Astianatte, sopravvissuto alla caduta di Troia e ribattezzato 'Franco', come il fondatore della dinastia merovingia e antenato di Carlo Magno.\nSecondo l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (Libro III, Canto V), Andromaca avrebbe sostituito Astianatte con un altro bambino, che fu ucciso dai Greci al posto suo, lasciando il vero figlio nascosto in un bosco. Successivamente Astianatte sarebbe stato portato da un amico di Ettore in Sicilia, dove, prima di essere assassinato dal greco Egisto, concepì con la regina di Siracusa un figlio, Polidoro, dalla cui stirpe nacque il famoso Ruggero, da cui a sua volta discende la nobile casata degli Este." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Astomi.\n### Descrizione: Nell'Induismo, gli Astomi sono un'antica razza leggendaria di persone che non hanno bisogno di mangiare o bere del tutto, e sopravvivono odorando mele e fiori.\nMegastene menziona questa gente nel suo Indica. Collocati alla foce del fiume Gange, sono descritti come esseri dai corpi rozzi, pelosi e senza bocca. Quando viaggiano sono soliti trasportare radici, fiori e mele da odorare. Possono morire a causa di odori sgradevoli.\nNe parlano Solino, Plinio e Gellio, oltre che, sulla loro scorta, Petrarca («s'alcun vive / Sol d'odore» in Canzoniere, CXCI 10-11)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Atalanta (mitologia).\n### Descrizione: Atalanta (in greco antico: Ἀταλάντη?, Atalántē) è un'eroina della mitologia greca, nota per la sua maestria nella caccia. Del suo mito esistono diverse versioni: secondo quella arcadica era figlia di Iaso e di Climene, mentre per la tradizione beotica suo padre era Scheneo, figlio di Atamante.\n\nIl mito.\nIl mito racconta che il padre di Atalanta desiderasse un maschio, ed alla nascita di Atalanta, com'era costume in questi casi, la abbandonò sul monte Pelio. Artemide allora inviò un'orsa, che se ne prese cura allattandola e allevandola. Qualche tempo dopo, Atalanta fu trovata da un gruppo di cacciatori che la crebbero.\nLa sua propensione per la caccia si manifestò presto quando affrontò e uccise con l'arco i centauri Ileo e Reco, i quali avevano tentato di violentarla. In seguito, chiese di far parte degli Argonauti e partecipò alla spedizione, diventando l'unica donna a prendere parte all'impresa (secondo altre versioni del mito invece, Giasone, che temeva la presenza di una donna sulla nave Argo, rifiutò).\nAltra prova di destrezza nella caccia Atalanta la diede partecipando alla battuta per la cattura del cinghiale calidonio, che riuscì a ferire per prima. Meleagro, in segno di onore, le fece dono della pelle della preda.\nL'eco dell'impresa la rese tanto celebre che il padre infine la riconobbe. Le insistenze del padre affinché Atalanta si sposasse incontrarono la sua contrarietà: infatti, un oracolo le aveva predetto che, una volta sposata, avrebbe perduto le sue abilità.\nAtalanta, per accontentare il padre, sicura dei propri mezzi, promise di sposarsi solo con chi l'avesse battuta in una gara di corsa. La posta era altissima: ciascun pretendente che non ne fosse uscito vincitore, sarebbe stato ucciso.\nNessuno riuscì a batterla finché non arrivò Melanione (o Ippomene) che, profondamente innamorato, volle cimentarsi nella rischiosissima impresa chiedendo aiuto ad Afrodite. La dea diede allora a Melanione tre mele d'oro tratte dal Giardino delle Esperidi ed egli, seguendone il consiglio, lasciò che cadessero a una a una durante la corsa. Atalanta ne risultò irresistibilmente attratta e si fermò ogni volta a raccoglierle, perdendo così terreno prezioso e, infine, la gara stessa.\nAtalanta viene descritta come provocante, ma fermamente virtuosa. Cacciatrice infaticabile, venne talvolta assimilata ad Artemide.\n\nIl mito nella letteratura classica greca e latina.\nEuripide afferma che il padre di Atalanta fosse Menalo, figlio di Licaone, e che suo marito fosse Ippomene; alcuni autori ritengono invece che fosse figlia del re beota Scheneo.\nSecondo alcune leggende, Atalanta è madre di Partenopeo, avuto da Meleagro o da Melanione.\nNelle Metamorfosi di Ovidio, Venere narra ad Adone l'episodio della gara fra Atalanta ed Ippomene. Secondo questo racconto, la dea si adira con il vincitore che dimentica di ringraziarla dell'aiuto ricevuto e, per vendicarsi, pervade gli sposi di desiderio mentre sono in visita al tempio di Cibele. Quest'ultima, furiosa nel vedere il suo tempio profanato dalla passione dei due giovani, li trasforma in leoni e li condanna a trainare il suo carro.\nSempre nello stesso poema, viene citata come ''Atalanta di Tegea'', partecipante alla caccia al cinghiale calidonio (senza specificare che si tratti dello stesso personaggio).\nAppare inoltre evidente la somiglianza fra la figura di Atalanta e quella di Camilla, vergine guerriera dell’Eneide di Virgilio.\n\nNella cultura moderna.\nArte.\nGuido Reni nel 1618-1619 dipinge il mito di Atalanta e Ippomene.\nLa polena chiamata Atalanta, conservata nel Museo Tecnico Navale alla Spezia, è una misteriosa scultura lignea femminile, recuperata nel 1866 dalle acque dell’Oceano Atlantico e che si crede possa stregare con il suo fascino inquietante chi la guardi troppo a lungo.\n\nLetteratura.\nIl mito di Atalanta è ripreso e variato dall'alchimista, medico e musicista, Michael Maier (1566-1622), nel suo Atalanta fugiens.\nLa psicanalista junghiana Jean Shinoda Bolen, continuatrice della mitopsicologia, nel suo Artemide. Lo spirito indomito dentro la donna ha dedicato molto spazio all'interpretazione del mito di Atalanta come figura mitologica umana corrispondente dell'archetipo di Artemide. Una prima trattazione del mitema Atalanta era già presente nel suo precedente libro, Le dee dentro la donna. Una nuova psicologia femminile, traduzione pubblicata presso la medesima casa editrice Astrolabio.\nLa figura di Atalanta ha ispirato un racconto di Gianni Rodari, con illustrazioni di Emanuele Luzzati.\nÈ inoltre una delle dodici figure le cui vicende sono narrate da Rick Riordan in Percy Jackson racconta gli eroi greci.\n\nZoologia.\nIl suo nome è stato dato da Carl von Linné a una specie di farfalla: la Vanessa atalanta diffusa nelle zone temperate di Europa, Asia e Nord America.\n\nSport.\nCon ispirazione a questa figura mitologica, il 17 ottobre 1907 venne fondata a Bergamo la squadra dell'Atalanta Bergamasca Calcio. Nonostante Atalanta nella mitologia fosse una comune mortale e non una divinità, la squadra è detta in suo onore “La Dea”.\n\nManga, anime e videogiochi.\nUn'allegoria della dea Atalanta ha ispirato il cartone: 'C'era una volta Pollon'- Episodio 31-La corsa di Atalanta.\nAtalanta è presente nella serie di videogiochi Golden Sun, in Fate/Grand Order, nella light novel e nella serie anime di Fate/Apocrypha e in Rise of the Argonauts." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ate.\n### Descrizione: Ate (in greco antico: Ἄτη?, «rovina, inganno, dissennatezza») è una figura minore della mitologia greca.\n\nDescrizione.\nFrequentemente induce al peccato di ὕβρις (hýbris), la tracotanza che nasce dalla mancanza di senso della misura.\nAte non tocca il suolo: cammina leggera sul capo dei mortali e degli stessi dei, inducendoli in errore.\nLa seguono, senza riuscire mai a raggiungerla, le Litai, le rugose Preghiere, che si prendono cura di coloro cui Ate ha nuociuto nel suo cammino. Quando qualcuno si rivela sordo alle Preghiere, queste si rivolgono al padre Zeus perché faccia perseguitare da Ate chi le ha respinte.\nDue sono i miti principali sulle sue origini, differenti l'uno dall'altro:.\n\nIl primo è quello raccontato da Omero, secondo il quale è la figlia di Zeus. A lei Agamennone attribuisce la responsabilità degli eventi che portarono alla disputa con Achille. Lo stesso Agamennone narra che Zeus, quando suo figlio Eracle stava per nascere da Alcmena, si vantò con gli dei Olimpi che il suo prossimo discendente avrebbe regnato su tutti i vicini; sollecitato da Era, il dio ne fece giuramento, non sospettando che sulla sua testa si era in quel momento posata Ate. Era fece in modo che Euristeo, figlio di Stenelo, nascesse prima di Eracle, e questi fu dunque costretto a servire per molti anni il fratellastro. Quando Zeus scoprì l'accaduto, prese Ate per le trecce e la scagliò sulla terra, giurando che non avrebbe mai più rivisto l'Olimpo.Stando allo Pseudo-Apollodoro, Ate atterrò su una collina in Frigia, in una località che assunse il nome della dea. Nello stesso luogo Zeus scaraventò anche il Palladio, e Ilo vi fondò Troia;.\n\nIl secondo mito è quello di Esiodo, secondo il quale Ate è figlia di Eris, dea della Discordia, e strettamente imparentata a un'altra delle sue figlie, Ingiustizia. Questa seconda versione del mito è meno articolata della prima.Ate ed Eris sono talora confuse. Secondo alcuni non fu Eris, ma Ate, infuriata per non essere stata invitata alle nozze di Peleo e Teti, a lasciar scivolare durante il banchetto una mela d'oro recante la scritta 'alla più bella'. La mela della discordia generò una disputa fra Era, Atena e Afrodite, poi risolta in favore di quest'ultima con il giudizio di Paride, ponendo le premesse per la guerra di Troia.\nSecondo Nonno, Ate fu indotta da Era a convincere il giovane Ampelo, amato da Dioniso, a cavalcare un toro per impressionare il dio; Ampelo fu disarcionato e si ruppe il collo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Atena Itonia.\n### Descrizione: Atena Itonia o Itonia (greco antico Ἰτωνία, Ἰτωνίας or Ἰτωνίς) era un epiteto della dea greca Atena venerata con questo nome diffusamente in Tessaglia e altri luoghi della Grecia antica.\n\nEtimologia.\nIl nome deriva probabilmente dall'Itoni, un monte della Tessaglia presso Tebe, a sud della Ftiotide. Secondo un'altra tradizione, l'epiteto 'Itonia' deriverebbe da Itono, figlio di Anfizione, un antico re o sacerdote di Atene.\n\nCulto.\nIl culto di Atena Itonia associava misticamente Atena a quel dio degli Inferi che era chiamato Ade da Strabone, e che secondo Pausania il Periegeta sarebbe stato lo stesso Zeus. Forse Atena Itonia aveva qualcosa del carattere del suo primitivo culto ad Atene, come dea legata alla fertilità della terra e perciò affine alle divinità ctonie.\nSull'Itoni c'era un celebre santuario, a cui era associata una festa, donde l'attributo ad Atena 'incola Itoni' ('che risiede a Itoni)' Dall'Itoni il culto si diffuse in Beozia, dove Atena era la principale divinità della guerra e nella regione attorno al lago Copaide. Nel suo tempio, tra Fere e Larissa, furono appesi gli scudi dei Galati sconfitti nell'ultima vittoria dei Greci sui barbari, anche se un frammento di Bacchilide indica che Atena Itonia non era solo una dea guerriera, ma anche la protettrice di arti pacifiche, specialmente della poesia.\nIl tempio di Atena Itonia a Coronea era il luogo di incontro della Lega beotica, dove si celebravano le Pambeozie, in prossimità di un boschetto sacro ad Atena. Altri autori riferiscono che il culto di Atena Itonia fosse presente anche ad Atene e ad Amorgos, e che in suo onore si celebrava una festa a Crannone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Atena.\n### Descrizione: Atena (in greco antico: Ἀθηνᾶ?, Athēnâ; dialetto attico), o Pallade Atena (Παλλάς Ἀθηνᾶ), è la dea greca della sapienza, delle arti e della strategia in battaglia.\nDea guerriera e vergine, una delle più rispettate, ha varie funzioni: difende e consiglia gli eroi, istruisce le donne industriose, orienta i giudici dei tribunali, ispira gli artigiani e protegge i fanciulli. Ma quando è in collera, questa dea può diventare spietata.\nNella guerra tra Achei e Troiani era la protettrice dei Greci. Dea protettrice della città di Atene, le era dedicato il tempio detto Partenone (“della vergine”) sull'Acropoli della città, la cui gigantesca statua di culto crisoelefantina era opera di Fidia; inoltre di fronte ai Propilei era stata eretta una statua bronzea, i cui bagliori erano visibili dalle navi che arrivavano al Pireo; in suo onore si svolgevano ogni anno le feste panatenee. Come dea protettrice delle acropoli, aveva santuari sparsi in tutta la Grecia e nel mondo ellenistico (resti di templi di Atena sono stati scoperti nell'acropoli di Lindos, di Pergamo, a Roma, Paestum e in vari santuari minori).\nParticolarità del culto di Atena era la sua statuetta, in origine di legno poi divenuta di metallo, il Palladio, a cui si attribuivano poteri magici, poiché la statua era considerata simbolo dell'inespugnabilità della città. Proprio per questo, durante la guerra di Troia, Ulisse e Diomede compiono l'impresa di introdursi di notte nell'acropoli troiana per rubarne il palladio.\nLa statua ad Atena ogni anno riceveva durante le feste Panatenaiche una nuova veste ricamata dalle fanciulle ateniesi. Callimaco nel suo inno 'Per i lavacri di Pallade' narra di una cerimonia argiva, che consisteva nel portare il Palladio ogni anno al fiume Inaco per lavarlo e riallestirlo.\nLa dea viene rappresentata sempre vestita con peplo e spesso armata, attorniata dai suoi simboli sacri: la civetta Athene noctua, l'elmo, la lancia, lo scudo e l'Egida, ossia un mantello indistruttibile realizzato con la pelle della capra Amaltea, che aveva protetto e nutrito Zeus, sottratto a Crono dalla madre Rea. Suo albero sacro era l'ulivo, da lei creato come dono agli ateniesi, per divenire la loro divinità protettrice.\nAtena per le sue capacità profetiche e mediche era adorata anche nei santuari di Delfi e di Epidauro. Nelle Vite parallele di Plutarco (Pericle e Fabio Massimo), Atena appare a Pericle in sogno ordinando delle cure per un cittadino malato di Atene. Dopo questo episodio venne eretta una statua in bronzo in onore delle divinità Ermes e Atena. Minerva, dea della religione romana, veniva associata dai romani ad Atena.\n\nEtimologia e origini del nome.\nÈ possibile che il nome Athena sia di origine Lidia. Potrebbe trattarsi di una parola composta, derivata in parte dal Tirreno ati, che significa 'madre', e in parte dal nome della Dea hurrita Hannahannah che spesso è abbreviato in Ana. Sembrerebbe fare la sua comparsa in una singola iscrizione in lingua micenea nelle tavolette in scrittura Lineare B. In un testo facente parte del gruppo delle 'Tavolette della stanza del carro' rinvenute a Cnosso, la più antica testimonianza di scrittura lineare B, si trova 'A-ta-na-po-ti-ni-ja', '/Athana potniya/'. Sebbene questa frase venga spesso tradotta come 'Padrona Atena', letteralmente significa 'la potnia di At(h)ana', che probabilmente vuol dire 'La signora di Atene': non è comunque possibile stabilire con certezza se vi sia una connessione con la città di Atene. Si è rinvenuta anche la forma 'A-ta-no-dju-wa-ja', '/Athana diwya/', la cui parte finale è la scomposizione in sillabe in Lineare B di quella che in greco è conosciuta come Diwia (in miceneo di-u-ja o di-wi-ja), ovvero 'divina'- Atena, attributo della Dea della tessitura e delle arti.\nNel suo dialogo Cratilo, Platone fornisce un'etimologia del nome di Atena che rappresenta il punto di vista degli antichi Ateniesi sostenendo che derivi da 'A-theo-noa' (A-θεο-νόα) o 'E-theo-noa' (H-θεο-νόα), che significa 'la mente di Dio', in quanto Atena era nata dalla mente di Zeus:.\n\nPlatone ed Erodoto notarono anche che in Egitto, nella città di Sais, si adorava una dea della guerra il cui nome in egiziano era Neith e la identificano con Atena:.\n\nI nomi e gli appellativi di Atena.\nAtena glaukopis (glaucopide).\nDa Omero in poi, l'epiteto di Atena più comunemente usato in poesia è ”glaukopis” (γλαυκώπις), che viene solitamente tradotto come “con lo sguardo scintillante” o “dagli occhi lampeggianti”. Il termine è una combinazione di glaukos (γλαύκος, che significa 'lucente', 'argenteo' e, in epoche più tarde 'blu-verdastro' e 'grigio') e ops (ώψ, 'occhio' o talvolta 'viso').\nÈ interessante notare che glaux (γλαύξ, civetta) deriva dalla medesima radice, probabilmente per i particolari occhi di cui è dotato l'animale. La figura di quest'uccello notturno, capace di vedere nell'oscurità, è strettamente legata alla Dea della saggezza: a partire fin dalle prime raffigurazioni è dipinta con la civetta appollaiata sulla testa. In epoca arcaica Atena potrebbe essere stata una “dea-uccello” simile a Lilith o alla dea raffigurata con ali e artigli da civetta sul Rilievo Burney, un rilievo in terracotta mesopotamico degli inizi del secondo millennio a.C.\n\nAtena Tritogenia.\nNell'Iliade (4.514), negli Inni omerici, nella Teogonia di Esiodo e nella Lisistrata di Aristofane viene attribuito ad Atena il singolare epiteto di Tritogeneia, reso in latino come Tritonia Virgo.\nIl significato di questo termine non è chiaro; sembrerebbe voler dire “nata da Tritone”, forse riferendosi al fatto che secondo alcuni antichi miti suo padre è il Dio del mare o, ipotesi ancor più dubbia, che fosse nata nei pressi del lago Tritone che si trova in Africa.\nAltro possibile significato è “tre volte nata” o “terza nata”, riferendosi a lei come terza figlia di Zeus oppure alludendo al fatto che era nata da Zeus, da Meti e anche da sé stessa; varie leggende la indicano infatti come figlia nata successivamente ad Artemide e Apollo, al contrario di altre che ne parlano come della primogenita.\n\nPallade Atena.\nUn suo appellativo molto frequente è Pallade Atena (Παλλάς Αθηνά). L'origine e il significato di tale epiteto sono andati perduti, e non è facile ricostruirli. Pallade potrebbe derivare da πάλλω, 'scagliare', con riferimento alla lancia, oppure da παλλακίς, con il significato di 'giovane'.\nSecondo il mito prevalente, riportato nella Biblioteca, l'epiteto deriverebbe dal nome di una ninfa chiamata Pallade, una compagna di giochi della giovane Atena, che la uccise per errore mentre simulavano un combattimento. Atena prese quindi il nome di Pallade in segno di lutto per dimostrare il suo rimorso.Nell'Inno omerico a Ermes, Pallade era invece il padre della dea della luna Selene. In altre versioni si trattava di uno dei Giganti che Atena uccise nella Gigantomachia, o ancora il nome del padre di Atena. Le cose però potrebbero essere andate in maniera ancora diversa, e Atena avrebbe soppiantato una precedente mitica Pallade assorbendola nella sua figura in modo meno 'traumatico', quando questa divenne dapprima Pallas Athenaie, Pallade di Atene (come Hera di Argo era Here Argeie), e infine Pallade Atena, cambiando lentamente ma completamente identità.Per gli Ateniesi, d'altronde, ella era semplicemente “La Dea” (ἡ θεά, he theá), senz'altro un epiteto molto antico.\n\nAltri epiteti.\nAtena Ergane (“industriosa”): patrona di artisti e artigiani, ideatrice di strumenti come il flauto e dei lavori femminili come la filatura, tessitura, ecc.\nAtena Parthenos (“vergine”): nome con cui veniva adorata sull'Acropoli, con celebrazioni specifiche: le Panatenee.\nAtena Promachos (“prima in battaglia”): condottiera di eserciti in battaglia.\nAtena Polias (Atena della città): protettrice di Atene ma anche di altre città tra le quali Argo, Sparta, Gortyna, Lindos e Larissa. In tutte queste città il tempio di Atena era il più importante dell'acropoli.\nAtena Areia: per il suo ruolo di giudice al processo di Oreste (che viene assolto), per l'assassinio della madre Clitennestra, nonché per l'istituzione del tribunale per giudicare il comportamento degli uomini.\nAtena Itonia: da Itono, figlio di Anfizione. Le era dedicato un tempio a Coronea (Beozia) abbellito con statue di Agoracrito. In onore di Atena Itonia si celebravano le Pambeozie.\nAtena Atritonia: dal verbo greco tryo, 'logorare', 'distruggere', più alfa privativo e quindi 'l'instancabile' (cfr. per esempio «Ascolta anche me ora, figlia di Zeus, Atritonia»).\n\nIconografia.\nAtena nell'arte antica.\nNell'iconografia arcaica Atena è perlopiù raffigurata mentre avanza verso il combattimento o promachos (colei che sta nelle prime file) con il braccio levato, brandendo l'asta e lo scudo contro i nemici.\nL'iconografia classica di Atena prevede che sia ritratta in modo pacifico, in piedi mentre indossa l'armatura e l'elmo, tenuto alto sulla fronte; porta con sé una lancia e uno scudo sul quale è fissata la testa della Gorgone Medusa. Proprio in questa posizione è stata scolpita da Fidia nella sua famosa statua crisoelefantina, alta 11 metri – ora perduta – l'Athena Parthenos che si trovava nel Partenone. Spesso, poggiata sulla sua spalla, si trova la civetta, simbolo di saggezza.\nA prescindere dagli attributi tipici, a partire dal V secolo a.C. sembra esserci stata una sostanziale uniformità di vedute tra gli artisti su quale dovesse essere l'aspetto della Dea. Un naso importante con un alto ponte che sembra essere la naturale continuazione della fronte, occhi profondi, labbra piene, una bocca stretta e appena più larga del naso, il collo allungato ne tratteggiano una bellezza serena ma un po' distaccata.\n\nAtena nell'arte rinascimentale e barocca.\nLa riscoperta dei classici nel Rinascimento portò al recupero dell'iconografia di Atena, che viene raffigurata da grandi artisti come divinità positiva, di cui uno dei primi esempi è nel Salone dei Mesi dipinto a Palazzo Schifanoia: nel dipinto Marzo Atena-Minerva è raffigurata in trionfo su un carro di unicorni, circondata da sapienti e da donne industriose. Andrea Mantegna la raffigura nel Trionfo della Virtù sui vizi e Botticelli in Pallade e il centauro. Un esempio di arte cinquecentesca è la Minerva di Parmigianino.\nNel seicento e nel settecento le raffigurazioni di Atena sono numerose, ma in genere di carattere meramente allegorico, come il quadro Minerva protegge la Pace da Marte di Peter Paul Rubens.\n\nAtena nell'arte moderna.\nL'iconografia di Atena come protettrice delle arti e delle lettere favorì la diffusione di sue statue e raffigurazioni in università e biblioteche. Il classicismo vide la ripresa di raffigurazioni neoclassiche, in genere piuttosto accademiche e fredde, come l'Atena posta nella fontana di fronte al Parlamento di Vienna. Le correnti della secessione viennese invece preferirono esaltarne gli aspetti arcaici, più simbolici e oscuri come nel quadro ad olio di Pallade Atena di Gustav Klimt, dove la dea con una Nike nuda in mano riluce di riflessi d'oro. Il nome di Pallade fu dato nell'800 ad un asteroide e all'elemento chimico Palladio.\n\nPsicologia.\nAtena, la guerriera saggia e forte, rappresenta le qualità intellettuali, sia dell'uomo sia della donna (infatti la Dea era la protettrice delle arti femminili). Nella città di Atene erano gli uomini a prendere ogni decisione (anche riguardo alla vita delle proprie mogli o figlie), tuttavia la Dea Atena era considerata la custode del Tribunale, colei a cui spettava l'ultima parola, in caso di parità di voti. Tale prerogativa veniva fatta risalire al mitico giudizio di Oreste, accusato di matricidio.\nForse, il carattere della Dea va collegato all'idealizzazione delle donne di Sparta di condizione sociale elevata: dovevano essere atletiche, combattive, forti e sagge. La Dea è nata dal padre Zeus, è quindi 'tutta del padre', con un carattere bellicoso, al punto da saper maneggiare la folgore di Zeus, con la quale uccide Aiace Oileo. Tuttavia, per contrasto, il culto femminile di Atena è attestato in Grecia e Magna Grecia dai numerosi ex voto ritrovati presso i templi; la dea viene anche invocata come protettrice delle nascite e dei bambini, in collegamento con il mito di Erittonio, suo figlio adottivo. Ad Atene, nella processione annuale delle feste Panatenaiche veniva donato alla statua della dea un prezioso peplo tessuto dalle fanciulle della città.\n\nMitologia.\nLa nascita di Atena.\nTra gli dei dell'Olimpo Atena viene ritratta come la figlia prediletta di Zeus, nata già adulta e armata, dalla testa del padre o dal polpaccio secondo altri, dopo che lui ne aveva mangiato la madre Meti. Varie sono le versioni riguardo alla sua nascita; infatti una versione dice che Atena è solo figlia di Zeus. Quella più comune dice che Zeus si coricò con Meti, Dea della prudenza e della saggezza, ma subito dopo ebbe paura delle conseguenze che ne sarebbero derivate: una profezia diceva che i figli di Meti sarebbero stati più potenti del padre, fosse stato anche lo stesso Zeus. Per impedire che questo si verificasse, subito dopo aver giaciuto con lei, Zeus indusse Meti a trasformarsi in una goccia d'acqua oppure, a seconda della tradizione, in una mosca o in una cicala e la inghiottì, ma era ormai troppo tardi: la Dea aveva infatti già concepito un bambino. Meti cominciò immediatamente a realizzare un elmo e una veste per la figlia che portava in grembo, e i colpi di martello sferrati mentre costruiva l'elmo provocarono a Zeus un dolore terribile. Così Efesto aprì la testa di Zeus con un'ascia bipenne e Atena ne balzò fuori già adulta e armata, iniziando a fare una danza guerresca. Così Zeus uscì, malconcio ma vivo, dalla brutta disavventura.\nAlcuni frammenti attribuiti alla storia dal semi-leggendario Sanconiatone, che si dice essere stata scritta prima della guerra di Troia, suggeriscono che Atena sia invece la figlia di Crono, il re dei Titani, padre di Zeus, Dio del cielo, Poseidone, Dio del mare, e di Ade, Dio degli Inferi, fatto a pezzi dalla sua stessa arma per mano dei figli e gettato nel Tartaro (la parte più profonda degli Inferi).\n\nGenealogia (Esiodo).\nLeggende e racconti relativi ad Atena.\nGigantomachia.\nQuando i Giganti, i mostruosi figli di Gea, si ribellarono contro gli dei dell'Olimpo, cercando di prenderne il posto, ne scaturì una lotta furiosa, cui Atena prese parte con valore. La dea sconfisse vari giganti, tra cui Pallante, Encelado e Alcioneo. La lotta tra dei e Giganti è raffigurata nel fregio marmoreo dell'altare di Pergamo.\n\nErittonio.\nSecondo quanto racconta lo Pseudo-Apollodoro, il dio Efesto tentò di unirsi ad Atena ma non riuscì nell'intento. Il suo seme si sparse al suolo e fecondò Gea e così dalla terra nacque Erittonio, metà umano e metà serpente. Atena decise comunque di allevare il bambino come madre adottiva. Una versione alternativa dice che il seme di Efesto cadde sulla gamba della Dea, che se la pulì con uno straccetto di lana che gettò poi a terra: Erittonio sarebbe così nato dalla terra e dalla lana. Un'altra leggenda narra che Efesto avesse voluto sposare Atena ma che la Dea scomparve all'improvviso dal talamo nuziale, cosicché lo sperma di Efesto finì per cadere a terra. Atena chiuse dentro ad una cesta il bambino, che aveva la parte inferiore del corpo a forma di serpente e lo affidò alle tre figlie di Cecrope (Herse, Pandroso e Aglauro), avvisandole di non aprirla mai. Agraulo, curiosa, aprì ugualmente la cesta e la vista dell'aspetto mostruoso di Erittonio fece impazzire le tre sorelle che si uccisero lanciandosi giù dall'Acropoli, oppure secondo Igino, nel mare.\nUna versione diversa dice che, mentre Atena era andata a prendere una montagna per usarla per costruire l'Acropoli, due delle sorelle aprirono la cesta: un corvo vide la scena e volò a riferirlo alla Dea che accorse infuriata lasciando cadere la montagna, che ora è il Monte Licabetto. Herse e Pandroso impazzirono per la paura e si uccisero lanciandosi da una scogliera, e neppure il corvo fu risparmiato dall'ira di Atena che, si narra, fece diventare da allora nere le piume di quest'animale.\nErittonio diventò in seguito re di Atene e introdusse molti cambiamenti positivi nella cultura ateniese. Durante il suo regno Atena fu frequentemente al suo fianco per consigliarlo e proteggerlo.\n\nAglauro.\nIn un'altra versione del mito di Aglauro, narrata nelle Metamorfosi di Ovidio, Ermes si innamora di Herse. Quando le tre sorelle si recano al tempio per fare un'offerta sacrificale in onore di Atena, Ermes si avvicina ad Aglauro e le chiede il suo aiuto per sedurre Herse. Questa in cambio chiede a Ermes dei soldi e il Dio le dà il denaro che avevano sacrificato ad Atena. Atena, per punire l'avidità di Aglauro, ordina all'Invidia di possedere Aglauro: questa obbedisce e Aglauro ne resta pietrificata.\n\nPoseidone.\nAtena era in competizione con Poseidone per diventare la divinità protettrice della città capitale dell'Attica che, all'epoca in cui si svolge questa leggenda, ancora non aveva un nome. Si accordarono in questo modo: ciascuno dei due avrebbe fatto un dono ai cittadini e questi avrebbero scelto quale fosse il migliore, decidendo così la disputa. Poseidone piantò al suolo il suo tridente e dal foro ne scaturì una sorgente. Questa avrebbe dato loro sia nuove opportunità nel commercio che una fonte d'acqua, ma l'acqua era salmastra e non molto buona da bere. Atena invece offrì il primo albero di ulivo adatto ad essere coltivato. Gli Ateniesi scelsero l'ulivo e quindi Atena come patrona della città, perché l'ulivo avrebbe procurato loro legname, olio e cibo. Si pensa che questa leggenda sia sorta nel ricordo di contrasti sorti nel periodo Miceneo fra gli abitanti originari della città e dei nuovi immigrati. Alcuni credono che Atena avesse addirittura una relazione con Poseidone prima della contesa per la città.\nUna diversa versione della leggenda dice che Poseidone offrì in dono, anziché la sorgente, il primo cavallo, simbolo di guerra, che gli Ateniesi maschi preferivano, mentre le donne, che erano la maggioranza, scelsero il dono di Atena, simbolo di pace. Si può supporre che uno dei motivi per cui la scelta dei cittadini si orientò in questo senso, fu che Poseidone era considerato una divinità molto difficile da compiacere, come dio dei terremoti aveva causato distruzioni anche nelle città delle quali era patrono. Atena rappresentava quindi un'alternativa migliore.\n\nAracne.\nUna donna di nome Aracne un giorno si vantò di essere una tessitrice migliore di Atena, che di quest'arte era la Dea stessa. Atena andò così da lei travestita come una vecchia e consigliò Aracne di pentirsi della sua arroganza (hybris), ma la donna invece la sfidò ad una gara. Atena allora riassunse le sue vere sembianze e accettò la sfida. La Dea realizzò un arazzo che rappresentava gli Dèi che punivano gli uomini, in particolare lo scontro fra Poseidone e la città di Atene, mentre Aracne ne fece uno in cui si derideva Zeus e le sue numerose amanti. Secondo la versione di questo mito narrata nelle Metamorfosi di Ovidio, quando Atena vide che Aracne non solo aveva insultato gli Dèi ma aveva realizzato un arazzo più bello del suo, fu oltraggiata. Ridusse l'opera di Aracne in brandelli e la colpì in testa tre volte. Terrificata e umiliata, Aracne si impiccò. Al che la Dea decise di trasformarla in un ragno, obbligandola a tessere la sua tela per l'eternità e a tramandare il suo sapere ai suoi discendenti.\n\nPerseo e Medusa.\nAtena è al fianco di Perseo quando intraprende il viaggio al termine del quale affronterà Medusa, l'unica fra le tre Gorgoni ad essere mortale.\nAtena detestava la giovane Medusa, perché, fiera della propria splendida chioma, aveva osato competere con lei nella bellezza. Offesa, la dea aveva mutato Medusa in una creatura ripugnante e la sua chioma in un groviglio di serpi, cosicché chiunque ne avesse incrociato lo sguardo sarebbe rimasto pietrificato.\nAtena quindi istruisce Perseo a farsi cedere dalle tre Graie i tre oggetti prodigiosi che lo aiuteranno nell'impresa di decapitare la Gorgone la cui testa dovrà portare come dono nuziale a Polidette. L'eroe riceve da Ermes un affilatissimo falcetto adamantino, dalla stessa Atena riceve lo scudo lucente attraverso il quale potrà guardare senza restare pietrificato. Ottiene dalle Graie anche gli strumenti magici.\nCon l'elmo di Ade, che rende invisibili, i calzari alati e la bisaccia magica dove nascondere la testa di Medusa, Perseo giunge all'oceano attraverso la tetra foresta di statue che precede la dimora di Medusa. Atena è ancora al suo fianco e gli guida la mano. Perseo porta a compimento la propria impresa: si rende invisibile indossando l'elmo di Ade, si libra in aria grazie ai sandali alati e recide il capo di Medusa. Atena lo fisserà sulla sua ègida.\n\nLe Argonautiche.\nIn vista della spedizione degli Argonauti per recuperare il vello d'oro, Atena partecipò alla costruzione della nave Argo, ornando la prua con un intaglio di quercia di Dodona, sacra al padre Zeus. La dea seguì le imprese del suo protetto Giasone e dei suoi compagni.\n\nEracle.\nAtena era la dea protettrice del fratello semidivino Eracle e lo guidò e lo consigliò per tutta la vita. I due erano rispettivamente la figlia e il figlio preferiti da Zeus. In particolare, rilevante fu l'aiuto della dea in alcune delle fatiche di Eracle: nella prima fatica, dopo l'uccisione del leone di Nemea, Atena trasformata in anziana, consigliò Eracle su come scorticare la belva e gli suggerì di indossare la pelle come protezione invincibile agli attacchi dei nemici. Sempre Atena assistette il fratello nella sesta fatica di scacciare i letali uccelli del lago Stinfalo. Dopo aver fallito al primo tentativo, Eracle ricevette dalla dea due enormi sonagli di bronzo e con essi stordì gli uccelli, che fuggirono via liberando la popolazione vicina.\n\nTiresia e Cariclo.\nIn un mito si narra che il giovane Tiresia mentre andava a caccia, sorprese per caso Atena mentre faceva il bagno nuda con delle ninfe ed ella lo rese cieco. Sua madre, la ninfa Cariclo, la supplicò di ritirare la maledizione, ma Atena non aveva il potere di farlo e decise, come riparazione, di dotarlo del dono della profezia.\n\nMarsia.\nAtena creò con dei bastoncini forati il primo aulos (una specie di doppio flauto) e provò a suonarlo. Tuttavia la dea si arrabbiò, perché lo strumento deformava le sue gote e lo gettò via. Il satiro Marsia passava di li per caso e lo raccolse. Col tempo divenne abilissimo nel suonarlo, tanto da osare sfidare il dio Apollo, dio della musica, in una gara. Marsia fu sconfitto da Apollo e per punizione fu scorticato. La scena della dea che getta il flauto era raffigurata nel famoso gruppo scultoreo di Atena e Marsia, dello scultore Mirone, posto nell'Acropoli.\n\nGiudizio di Paride.\nTutti gli dei partecipavano alle nozze di Peleo e Teti nell'Olimpo. Eris, Dea della Discordia, gettò una mela d'oro al banchetto nuziale nell'Olimpo con incisa sopra la scritta 'alla più bella'. Per evitare contese fra le tre Dee maggiori, Zeus mandò Ermes con Atena, Afrodite ed Era sulla terra dove il giovane pastore troiano Paride dovette fare da giudice su chi fosse la Dea più bella tra loro. Ogni Dea promise un dono a Paride in caso di vittoria: Era di renderlo ricco e potente (donandogli l'Asia minore), Atena di farlo il più saggio degli uomini (o, secondo una versione diversa, di renderlo invincibile in guerra) e Afrodite di dargli in sposa la donna più bella del mondo, Elena, la figlia di Zeus e Leda. Paride scelse Afrodite, causando così involontariamente la guerra di Troia.\n\nL'Iliade.\nNella guerra di Troia gli dei si dividono a favore dei due schieramenti. Era e Atena decidono di combattere con i Greci contro i troiani, per vendicarsi dell'offesa di Paride. Quando Agamennone pretende la schiava di Achille, l'intervento invisibile di Atena, che lo trattiene per i capelli, impedisce all'eroe di uccidere Agamennone in un impeto d'ira. Durante gli scontri e i duelli Atena interviene spesso in modo decisivo in battaglia a sostegno di Achille, di Diomede e degli eroi greci. Durante uno scontro Atena, 'dea tremenda' si mette l'elmo di Ade per divenire invisibile, scaccia l'auriga e combatte con Diomede sul suo carro. I due assieme riescono a ferire gravemente al fianco Ares il dio della guerra, che si deve ritirare dallo scontro. L'astuta Atena inganna anche Ettore, assumendo la forma del fratello Deifobo, per incoraggiarlo ad affrontare Achille nello scontro, che gli sarà fatale.\n\nLa caduta di Troia.\nPoiché nella cittadella di Troia era custodito il Palladio, simulacro arcaico in legno della Dea a protezione della città, Ulisse e Diomede dovranno rubarlo nottetempo, col tacito consenso della dea, per poter espugnare la città. Secondo altre versioni del mito invece Enea avrebbe portato con sé il Palladio quando fuggì da Troia.\nQuando compare sulla spiaggia il cavallo di legno, Atena fa uscire dal mare due serpenti marini per uccidere il sacerdote troiano Laocoonte. Tuttavia in un'occasione Atena non fu dalla parte dei Greci: la profetessa troiana Cassandra si era rifugiata sull'altare di Atena, luogo sacro, per sfuggire ad Aiace Oileo ma questi la aveva raggiunta e presa brutalmente, profanando l'altare. Ciò scatenerà l'ira di Atena sull'eroe greco che sarà ucciso dalla dea con un fulmine del padre Zeus sulla via del ritorno in patria.\n\nL'Odissea.\nL'astuto e scaltro Odisseo aveva conquistato la benevolenza e la protezione di Atena. Questa però non aveva potuto aiutarlo nel viaggio di ritorno verso Itaca. Solo quando giunse sulla costa dell'isola di Scheria dove Nausicaa, figlia del re Alcinoo, stava lavando i suoi panni, Atena poté intervenire ed apparve in sogno alla principessa inducendola a soccorrere Odisseo e ad aiutarlo a ritornare in patria.\nAd Itaca, Atena si presenta a Odisseo sotto mentite spoglie e, mentendo, gli dice che sua moglie Penelope si è risposata perché lo si crede morto. Odisseo però riconosce la dea che, compiaciuta dalla risolutezza e sagacia dell'eroe, gli rivela la propria natura e gli spiega come fare per riconquistare il suo regno. A questo scopo muta le sembianze di lui in quelle di un vecchio mendicante, Iro, in modo che non venga riconosciuto dai Proci (i principi pretendenti alla mano di Penelope), che si sono insediati a palazzo ed assediano la regina. Lo aiuta poi a sconfiggerli, intervenendo a risolvere anche la disputa finale con i loro parenti. La dea guidò anche Telemaco, il figlio di Odisseo, nei suoi viaggi (Telemachia) assumendo la forma del precettore Mentore.\n\nNella cultura di massa.\nNelle serie di libri Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo di Rick Riordan la dea Atena è la madre della semidea Annabeth Chase e svolge, insieme ad altri dei, un importante ruolo nella sconfitta del Titano Crono. Nella serie Eroi dell'Olimpo si alterna con la sua controparte romana Minerva ed ha importanza per la pace tra greci e romani.\nLa figura di Atena compare nei film Scontro di titani e Immortals.\nIn Giappone è uscita una serie di manga e anime dal titolo I Cavalieri dello Zodiaco, dove un gruppo di cavalieri guidati dalla dea Atena combattono contro altre divinità come Poseidone, Ade o Odino.\nAtena appare come personaggio ricorrente in quasi tutti i giochi della saga videoludica di God of War.\nNel videogioco Shin Megami Tensei: Persona 3 Atena appare come evoluzione della Persona di Aigis, una dei coprotagonisti.\nAtena appare nel videogioco MOBA SMITE come dea greca giocabile, ricoprendo il ruolo di guardiana (Guardian), che fa da tank assorbendo i colpi nemici proteggendo la propria squadra.\nNella serie animata Winx Club, Athena, la pixie guardiana di Fonterossa, è ispirata all'Atena mitologica." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ati (re di Lidia).\n### Descrizione: Ati (in greco antico: Ἄτυς?, Átys) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Lidia, in quei tempi conosciuta come Meonia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Mane o di Eracle e di Onfale, fu il padre di Lido e Tirreno (o Torebo).\n\nMitologia.\nIn seguito ad una grande carestia che durò per diciotto anni Ati dovette scegliere quale dei due figli tenere in patria e quale costringere ad emigrare assieme ad una parte della popolazione e così tenne Lido, mentre Tirreno fu inviato fuori dalla Lidia e condusse i suoi seguaci in Umbria dove si stabilirono e divennero noti come Tirreni.\nDionigi di Alicarnasso però cita Xanto Lidio il quale asserisce che i figli di Ati furono Lidio e Torebo e che i due si divisero il regno dopo la morte del padre e che nessuno dei due lasciò mai la Lidia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ati (semidio).\n### Descrizione: Ati (in latino Athis) è un personaggio della mitologia classica. L'unica fonte pervenutaci in cui si parla di lui sono Le Metamorfosi di Ovidio.\n\nIl mito.\nLe origini: un fanciullo guerriero.\nNel poema latino, Ati appare come un giovane semidio indiano, figlio di Limnee, una naiade del Gange che l'avrebbe generato nelle acque del fiume dopo l'accoppiamento con un mortale sconosciuto, di nobile lignaggio. Aveva preso parte a varie battaglie fin da fanciullo, distinguendosi per valore: in particolare egli era dotato di una mira infallibile sia come lanciatore di aste sia soprattutto come arciere, al punto da venire considerato il migliore di tutti a quel tempo. Ma Ati era noto anche per la sua dolcezza: aveva lasciato la terra di origine per stabilirsi a Tiro, in Fenicia (prendendo quindi a esibire l'abbigliamento proprio della popolazione locale, comprendente tra l'altro una clamide orlata d'oro, di cui andava molto orgoglioso, in bell'accostamento con il diadema della stirpe, posto sui capelli profumati di mirra), e probabilmente fu qui che conobbe Licabas, un guerriero assiro poco più grande di lui, col quale formò una coppia legata da un amore reciproco e autentico; dove andava l'uno, l'altro lo seguiva. A sedici anni, la fama che Ati si portava dietro era quella di un eroe giovinetto eccezionalmente bello d'aspetto, dunque caratterizzato da kalokagathia (integer, secondo il testo ovidiano, ossia 'integro', 'puro'); ma proprio allora commise l'errore che gli sarebbe stato fatale.\n\nLa morte.\nFineo, re d'Etiopia insieme al fratello Cefeo, avrebbe dovuto sposare la figlia di questo, Andromeda, ma non avendo fatto nulla per liberare la promessa sposa dal mostro marino che stava per ucciderla fu allontanato dal fratello, che assegnò Andromeda a Perseo, il semidio figlio di Zeus suo salvatore. Non accettando questa decisione, Fineo meditò un piano per riprendersi la ragazza. Stando alla fonte greca più antica, egli tentò di rapire Andromeda con l'aiuto dell'amico Abaride, un personaggio originario della zona del Caucaso: Perseo se ne accorse e convertì entrambi in pietra con la testa di Medusa. Ma secondo la versione più comune, ripresa da Ovidio, Fineo fece irruzione nella reggia con Abaride e molti altri uomini armati, provenienti in gran parte dall'Asia e dal Nordafrica, mentre era in corso il banchetto nuziale, con l'intenzione di eliminare Perseo e i suoi compagni lì presenti; l'eroe greco all'inizio uccise con varie armi alcuni nemici, tra cui Ati e Licabas, per poi estrarre la testa di Medusa con la quale pietrificò quelli che erano ancora in vita. Le Metamorfosi ovidiane sono il solo testo classico pervenutoci che menzioni Ati e Licabas tra i compagni di Fineo, tuttavia il poeta non spiega come mai i due giovani, che malvagi certo non erano (a differenza di molti loro commilitoni), avessero deciso di sostenere la causa del mancato sposo..\nLo scontro tra i due gruppi armati era appena iniziato, quando il sedicenne indiano estrasse il suo arco portandosi quindi al centro della sala. Stava per scoccare il primo dardo verso alcuni compagni di Perseo, ma senza accorgersi che l'eroe greco si era intanto silenziosamente avvicinato a lui, con un piccolo ceppo tra le mani; Perseo rapidissimamente colpì con esso il suo nemico presso la tempia. Il bellissimo volto di Ati venne per metà deformato dalla violenta percossa, il suo cranio fratturato; il giovane orientale cadde moribondo ai piedi di Perseo, fissando coi propri occhi il pavimento ricoperto di sangue. L'agonia fu breve. Mentre Ati esalava l'ultimo respiro, Licabas, che aveva visto tutto, giurò di vendicarlo: prese l'arco del compagno e scoccò una freccia in direzione di Perseo, che nel frattempo si era allontanato; ma troppo scosso per l'accaduto fallì. Anziché mirare un altro dardo contro Perseo, oppure fuggire, l'assiro, preso improvvisamente dal desiderio di seguire Ati nell'oltretomba, rimase immobile, aspettando la reazione del figlio di Zeus, che non ebbe pertanto alcuna difficoltà nel trafiggerlo al petto con la spada. Licabas si gettò sul corpo di Ati, morendo con un sorriso sulle labbra per essersi ricongiunto con l'amato, mentre Perseo corse ad affrontare altri nemici, e, dopo averne uccisi un gran numero, pietrificò con la testa di Medusa i superstiti, tra cui lo stesso Fineo.\n\nInterpretazione dell'episodio.\nNell'episodio ovidiano di Perseo e Fineo sono più i versi dedicati ad Ati e al suo compagno che non quelli con la descrizione della metamorfosi del re etiope. Fonti letterarie greche andate perdute dovevano evidentemente raccontare sia le gesta eroiche di Ati negli anni della fanciullezza sia il motivo che lo spinse a farsi seguace di Fineo.\nIl tenero amore-amicizia di Ati e Licabas, oltre a stridere fortemente con la volgarità dei loro commilitoni e di Fineo, ricorda quello caratterizzante molte altre coppie maschili mitologiche, Eurialo e Niso, Cidone e Clizio, ma soprattutto Achille e Patroclo: Ati infatti è semidio come Achille (entrambi hanno per madre una ninfa), e come lui è più forte rispetto al compagno pur essendo più giovane. Ma se Achille e Patroclo nell'Iliade sono presentati soprattutto come guerrieri, il poema ovidiano mette principalmente in rilievo l'intensa passione che lega i due seguaci di Fineo, in quella 'de-eroizzazione' che secondo Charles Segal caratterizzerebbe l'opera nel suo complesso: con una doppia morte descritta essenzialmente in versi più elegiaci che epici. C'è infine da parte di Ovidio uno sguardo rivolto alla pozza del loro sangue che intiepidisce quindi il suolo (ed è qui che scivoleranno Forbas e Anfimedonte, le due successive vittime di Perseo): come se ciò indicasse la discesa delle anime di Ati e Licabas nel mondo sotterraneo, coppia di nuovo riunita.\n\nAti nella cultura moderna.\nLa figura del semidio indiano, guerriero formidabile nonostante la giovanissima età e al tempo stesso eromenos di grande dolcezza, ha ispirato molti artisti e scrittori postclassici, alcuni dei quali hanno dato spazio più a lui - nonostante non sia oggetto di metamorfosi - che non a Fineo.\n\nNel dipinto di Jean-Marc Nattier Perseo, protetto da Minerva, pietrifica Fineo Ati e Licabas appaiono in primo piano, verso destra, già morti, quasi fossero i protagonisti dell'opera, con una raffigurazione di Ati fedelissima ai versi ovidiani (l'eroe indiano prono sul pavimento col diadema allacciato alla chioma intrisa di mirra, la ferita mortale sulla tempia, la guancia insanguinata), mentre la pietrificazione di Fineo è relegata sullo sfondo.\nNel cosiddetto Piatto con lotta tra Perseo e Fineo, eseguito da artista ignoto, Ati e Licabas occupano addirittura il centro della scena: vi si vede Licabas agonizzante che cade abbracciando il cadavere di Ati (non però prono bensì riverso, con una capigliatura curiosamente bionda, alquanto insolita per un indiano, e la parte sinistra del volto ricoperta di sangue scuro), laddove Perseo e i nemici da lui pietrificati sono qui personaggi assolutamente secondari.\nNell'opera pittorica Perseo affronta Fineo con la testa di Medusa di Sebastiano Ricci, Ati è facilmente riconoscibile nel giovane arciere che giace morto nell'angolo sinistro, mentre manca Licabas, essendo l'artista evidentemente poco interessato alle suggestioni dell'eros e concentrato soprattutto su Perseo che pietrifica Fineo e la maggior parte dei seguaci di costui.\nNella Sinfonia n.5 di Carl Ditters von Dittersdorf, rievocante lo scontro tra Perseo e Fineo, l'assalto di Ati e la sua morte costituiscono l' 'Allegro assai' che fa da secondo movimento alla composizione." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Atimnio (figlio di Cassiopea).\n### Descrizione: Atimnio (in greco antico: Ἀτύμνιος?, Atýmnios) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nEra figlio di Zeus o di Fenice e di Cassiopea.\nNon ci sono notizie al riguardo di spose o progenie.\n\nMitologia.\nAtimnio era un bel ragazzo di cui si erano innamorati i due fratelli Minosse e Sarpedonte.\nNella stessa parte della leggenda il protagonista potrebbe essere Mileto con cui poi Sarpedonte fuggì.\nEbbe culto eroico, che sembra essere stato praticato a Gortyna nell'isola di Creta insieme a quello di Europa." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Atimnio (licio).\n### Descrizione: Atimnio (in greco antico: Ἀτύμνιος) è un personaggio della mitologia greca, presente nell'Iliade di Omero.\nAtimnio era un giovane guerriero della Licia, figlio del nobile Amisodaro e fratello di Maride. Partecipò con quest'ultimo alla guerra di Troia in difesa della città assediata e venne ucciso in combattimento da Antiloco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Atlantide.\n### Descrizione: Atlantide (AFI: /aˈtlantide/; in greco antico: Ἀτλαντὶς νῆσος?, Atlantìs nêsos, 'isola di Atlante') è un'isola leggendaria, il cui mito è menzionato per la prima volta nel IV secolo a.C. da Platone nei dialoghi Timeo (17a-27b) e Crizia.\nSecondo il racconto di Platone, oltre le Colonne d'Ercole ci sarebbe stata una serie di piccole isole che attraversavano un immenso mare fino a un grande continente a dirimpetto nel quale prosperava una potenza marittima denominata Atlantide che avrebbe conquistato anche molte parti mediterranee dell'Europa occidentale fino all'Etruria a nord e del Nordafrica fino all'Egitto a sud, novemila anni prima del tempo di Solone (cioè approssimativamente nel 9600 a.C.). Dopo avere fallito l'invasione di Atene, Atlantide sarebbe sprofondata 'in un singolo giorno e notte di disgrazia' per opera di Poseidone. Il nome dell'isola-continente deriva da quello di Atlante, leggendario governatore dell'oceano Atlantico, figlio di Poseidone, che sarebbe stato anche, secondo Platone, il primo re della potenza marittima.\nLa descrizione geografica apparentemente indica oltre all'isola Atlantide anche l'America, citata come un vero continente circondato da un vero mare, in contrapposizione al mar Mediterraneo, definito 'un porto di angusto ingresso'.Essendo una storia funzionale ai dialoghi di Platone, Atlantide è generalmente vista come un mito concepito dal filosofo greco per illustrare le proprie idee politiche. Benché la funzione di Atlantide sembri chiara alla maggior parte degli studiosi, essi disputano su quanto e come il racconto di Platone possa essere ispirato da eventuali tradizioni più antiche. Alcuni argomentano che Platone si basò sulla memoria di eventi passati come l'eruzione vulcanica di Thera o la guerra di Troia, mentre altri insistono che egli trasse ispirazione da eventi contemporanei come la distruzione di Elice nel 373 a.C. o la fallita invasione ateniese della Sicilia nel 415-413 a.C.\nLa possibile esistenza di un'autentica Atlantide venne attivamente discussa durante l'antichità classica, ma fu generalmente rigettata e occasionalmente parodiata da autori posteriori. Quasi ignorata nel Medioevo, la storia di Atlantide fu riscoperta dagli umanisti nell'era moderna. La descrizione di Platone ha ispirato le opere utopiche di numerosi scrittori rinascimentali, come La nuova Atlantide di Bacone. Al tema sono state dedicate alcune migliaia di libri e saggi. Atlantide ispira la letteratura contemporanea, soprattutto quella fantasy, ma anche la fantascienza, i fumetti, i film, i videogiochi, essendo divenuta sinonimo di ogni e qualsiasi ipotetica civiltà perduta nel remoto passato.\n\nI dialoghi di Platone.\nI dialoghi di Platone Timeo e Crizia, scritti intorno al 360 a.C., contengono i primi riferimenti ad Atlantide. Platone introduce Atlantide nel Timeo (17-27):.\n\nI quattro personaggi che compaiono in entrambi i dialoghi di Platone sono due filosofi, Socrate e Timeo di Locri, e due politici, Ermocrate e Crizia, benché il solo Crizia parli di Atlantide. Nelle sue opere Platone fa ampio uso dei dialoghi socratici per discutere di posizioni contrarie nel contesto di una supposizione.\nNel Timeo all'introduzione segue un resoconto della creazione e della struttura dell'universo e delle antiche civiltà. Nell'introduzione Socrate riflette sulla società perfetta, già descritta in Platone nella Repubblica (c. 380 a.C.), chiedendo se lui e i suoi ospiti possano ricordare una storia che esemplifica tale società. Crizia menziona un racconto storico che presumibilmente avrebbe costituito l'esempio perfetto e prosegue descrivendo Atlantide, come riportato nel Crizia. Nel suo racconto, l'antica Atene sembra costituire la 'società perfetta' e Atlantide la sua avversaria, che rappresentano l'antitesi dei tratti 'perfetti' descritti nella Repubblica.\nSecondo Crizia, le antiche divinità divisero la Terra in modo che ogni dio potesse avere un lotto; a Poseidone fu lasciata, secondo i suoi desideri, l'isola di Atlantide. L'isola era più grande dell'antica Libia (Nord Africa) e dell'Asia Minore (Anatolia) messe assieme, ma in seguito venne affondata da un terremoto e diventò un banco di fango impraticabile, impedendo di viaggiare in qualsiasi parte dell'oceano. Gli Egiziani, affermava Platone, descrivevano Atlantide come un'isola composta per lo più di montagne nella parte settentrionale e lungo la costa, 'mentre tutt'intorno alla città vi era una pianura, che abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme, tutta allungata, lunga tremila stadi [circa 555 km] sui due lati e al centro duemila stadi [circa 370 km] dal mare fin giù. [...] a una distanza di circa cinquanta stadi [9 km], c'era un monte, di modeste dimensioni da ogni lato [...] L'isola, nella quale si trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi' [circa 0,92 km].\nNel Timeo si racconta di come Solone, giunto in Egitto, fosse venuto a conoscenza da alcuni sacerdoti egizi di un'antica battaglia avvenuta tra gli Atlantidei e gli antenati degli Ateniesi, che avrebbe visto vincenti i secondi. Secondo i sacerdoti, Atlantide era una monarchia assai potente, con enormi mire espansionistiche. Situata geograficamente oltre le Colonne d'Ercole, politicamente controllava l'Africa fino all'Egitto e l'Europa fino all'Italia. Proprio nel periodo della guerra con gli Ateniesi un immenso cataclisma fece sprofondare l'isola nell'oceano, distruggendo per sempre la civiltà di Atlantide.\n\nNel dialogo successivo, il Crizia, rimasto incompiuto, Platone descrive più nel dettaglio la situazione geopolitica di Atlantide, collocando il tutto novemila anni prima.\nCrizia racconta che il dio Poseidone s'innamorò di Clito, una fanciulla dell'isola, e «recinse la collina dove ella viveva, alternando tre zone di mare e di terra in cerchi concentrici di diversa ampiezza, due erano fatti di terra e tre d'acqua», rendendola inaccessibile agli uomini, che all'epoca non conoscevano la navigazione. Rese inoltre rigogliosa la parte centrale, occupata da una vasta pianura, facendovi sgorgare due fonti, una di acqua calda e l'altra di acqua fredda. Poseidone e Clito ebbero dieci figli, il primo dei quali, Atlante, sarebbe divenuto in seguito il governatore dell'impero. La civiltà atlantidea divenne una monarchia ricca e potente e l'isola fu divisa in dieci zone, ognuna governata da un figlio del dio del mare e dai relativi discendenti. La terra generava beni e prodotti in abbondanza, e sull'isola sorgevano porti, palazzi reali, templi e altre maestose opere. Al centro della città vi era il santuario di Poseidone e Clito, lungo uno stadio (177 metri), largo tre pletri e alto in proporzione, rivestito di argento al di fuori e di oricalco, oro e avorio all'interno, con al centro una statua d'oro di Poseidone sul suo cocchio di destrieri alati, che arrivava a toccare la volta del tempio.Ognuno dei dieci re governava la propria regione di competenza, e tutti erano legati gli uni agli altri dalle disposizioni previste da Poseidone e incise su una lastra di oricalco posta al centro dell'isola, attorno a cui si riunivano per prendere decisioni che riguardavano tutti. Crizia descrive anche il rituale da eseguire prima di deliberare, che prevedeva una caccia al toro armati solo di bastoni e una libagione con il sangue dell'animale ucciso, seguita da un giuramento e da una preghiera. La virtù e la sobrietà dei governanti durò per molte generazioni, finché il carattere umano ebbe il sopravvento sulla loro natura divina. Caduti preda della bramosia e della cupidigia, gli abitanti di Atlantide si guadagnarono l'ira di Zeus, il quale chiamò a raccolta gli dei per deliberare sulla loro sorte.Le notizie che Platone narra di Atlantide provengono molto probabilmente dalla tradizione greca, da Creta e forse dall'Egitto e da altre fonti a noi perdute, il tutto reinterpretato letterariamente dal filosofo.È anzitutto evidente il punto di vista da cui viene narrato il mito, che pone al centro la città di Atene, simbolo di sobrietà e rigore, ma oltre all'immediato paragone con la polis corrotta dell'epoca di Platone, è riscontrabile nel dialogo una proposta utopica, che si esprime nella contrapposizione delle due città, a cui corrispondono due diverse concezioni del modello divino.\nSia l'Atene primitiva, suddivisa in aree da coltivare e abitata da contadini e artigiani, sia la ricca e potente Atlantide sono infatti rappresentazioni del modello divino tratteggiato nel Timeo, a cui la città 'storica' deve guardare nella sua organizzazione politica ed economica; la loro decadenza invece, sentenziata da cataclismi naturali e, nel caso di Atlantide, dovuta alla cupidigia degli uomini, è un palese richiamo alla corruzione degli Stati già descritta nella Repubblica. In analogia con la struttura del Timeo, la seconda parte del Crizia avrebbe dovuto descrivere la realtà intermedia tra il logos e il disordine, con un chiaro riferimento alla situazione delle poleis nel decennio tra il 360 e il 350 a.C., caratterizzata da scontri tra un centro e l'altro per il controllo dei traffici commerciali: decaduta anch'essa dopo la scomparsa della città rivale, l'Atene del mito avrebbe potuto salvarsi dall'inesorabile declino solo rivolgendosi a leggi ispirate al bene.\n\nRicezione e teorie.\nAntichità.\nAl di fuori dei dialoghi Timeo e Crizia di Platone, non esistono testimonianze concrete su Atlantide.\nNonostante alcuni nell'antichità avessero ritenuto un fatto storico il racconto riportato da Platone, il suo allievo Aristotele non diede peso alla cosa, liquidandola come un'invenzione del maestro. Ad Aristotele è infatti attribuita la frase 'L'uomo che l'ha sognata, l'ha anche fatta scomparire.'.\nAlcuni autori antichi videro Atlantide come frutto dell'immaginazione, mentre altri credettero fosse reale. Il primo commentatore di Platone, il filosofo Crantore da Soli, allievo di Senocrate, a sua volta allievo di Platone, è spesso citato come esempio di autore che ritenne la storia un fatto autentico, in quanto gli fu riferito di cronache su Atlantide scritte sulle stele dell'antico tempio di Sais in Egitto. Proclo riferisce in proposito: L'opera di Crantore, un commento al Timeo di Platone, è perduta, ma essa ci è nota grazie alla suddetta testimonianza di Proclo, che ne scrisse sette secoli dopo. Un altro filosofo dell'antichità che credette nell'esistenza del luogo mitico citato da Platone fu Posidonio di Rodi (II-I secolo a.C.), secondo quanto riferisce Strabone.Il racconto di Platone sull'Atlantide può inoltre avere ispirato imitazioni parodiche: scrivendo solo pochi decenni dopo il Timeo e Crizia, lo storico Teopompo di Chio narrò di una terra in mezzo all'oceano conosciuta come Meropide (ovvero terra di Merope). Questa descrizione era inclusa nel libro VIII della sua voluminosa Filippica, che contiene un dialogo tra re Mida e Sileno, un compagno di Dioniso. Sileno descrive i Meropidi, una razza di uomini che crescevano al doppio dell'altezza normale e abitavano due città sull'isola di Meropis (Cos?): Eusebes (Εὐσεβής, 'città pia') e Machimos (Μάχιμος, 'città combattente'). Egli inoltre scrive che un'armata di dieci milioni di soldati attraversarono l'oceano per conquistare Iperborea, ma abbandonarono tale proposito quando si resero conto che gli Iperborei erano il popolo più fortunato del mondo. Heinz-Günther Nesselrath ha argomentato che questi e altri dettagli della storia di Sileno sono intesi come imitazioni ed esagerazioni della storia di Atlantide, allo scopo di esporre al ridicolo le idee di Platone.Zotico, un filosofo neoplatonico del III secolo d.C., scrisse un poema epico basato sul racconto di Platone.Diodoro Siculo (I secolo a.C.) - confermato sostanzialmente da Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) - collocava la capitale di Atlantide a Kerne, avamposto cartaginese sulla costa atlantica dell'Africa fondato da Annone il Navigatore: probabilmente nel Río de Oro, ex Sahara spagnolo.Lo storico romano del IV secolo d.C. Ammiano Marcellino, dissertando sulle perdute opere di Timagene, uno storico attivo nel I secolo a.C., scrive che i Druidi della Gallia riferirono che parte degli abitanti di quella terra erano migrati lì da isole lontane. Alcuni hanno inteso che si parlasse di sopravvissuti di Atlantide giunti via mare nell'Europa occidentale, ma Ammiano in realtà parla di 'isole e terre oltre il Reno', un'indicazione che gli immigrati in Gallia vennero dal Nord (Britannia, Olanda o Germania).\nSecondo Diodoro Siculo, comunque, i Celti che venivano dall'oceano adoravano gli dei gemelli Dioscuri che apparvero loro provenienti dall'oceano.Durante il Medioevo l'argomento fu pressoché ignorato. Un trattato ebraico sull'astronomia computazionale datato al 1378-1379, apparentemente una parafrasi di una precedente opera islamica a noi ignota, allude al mito di Atlantide in una discussione concernente la determinazione dei punti zero per il calcolo della longitudine.\n\nEpoca moderna.\nRiscoperta dagli umanisti nell'era moderna, la storia di Platone ha ispirato le opere utopiche di numerosi scrittori dal Rinascimento in poi. La scoperta dell'America, inoltre, pose subito il problema di una qualche sua conoscenza previa, e dunque anche il problema della discendenza e dell'origine della umanità americana del tutto inaspettata nella cultura europea dell'epoca.\nBartolomé de Las Casas sostenne che la stessa impresa di Cristoforo Colombo era stata sollecitata dal desiderio di vagliare il mito dell'esistenza di Atlantide. Nel capitolo ottavo della sua Historia de las Indias, Las Casas scriveva che Colombo sperava di raggiungere le Indie anche appoggiandosi a isole che erano ciò che restava del mitico continente. In generale, con la scoperta dell'America il mito platonico venne utilizzato, con indirizzi diversi, per rispondere alla questione della legittimità dei possedimenti coloniali, nonché al problema dell'inquadramento storico delle popolazioni native. Agustín de Zárate (1514-1560; Historia del descubrimiento y conquista de la provincia del Perú, 1555) opinò che il racconto platonico andasse preso alla lettera e che, di conseguenza, Francisco Pizarro derivasse la propria autorità di governatore del Perù dalla corona spagnola e non da una cessione di diritti da parte dei capi indigeni. Ammettere l'autenticità del continente di Atlantide significava infatti concepire la possibilità di un passaggio, tramite esso, dei discendenti di Noè dall'Europa all'America. Viceversa, Francisco López de Gómara (1511-1566; Historia general de las Indias, 1552-1553), nell'intento di difendere la legittimità delle conquiste messicane di Hernán Cortés, identificava Atlantide con il Nuovo Mondo. Infatti, su terre così antiche poteva vantare un diritto dinastico solo chi le aveva conquistate. In tal modo, però, l'origine delle popolazioni che le abitavano risultava scarsamente ricollegabile al ceppo di Adamo ed Eva, e ciò lasciava spazio a un pericoloso poligenismo.La nuova Atlantide di Francesco Bacone del 1627 descrive una società utopica, chiamata Bensalem, collocata al largo della costa occidentale americana. Un personaggio del libro sostiene che la popolazione proveniva da Atlantide, fornendo una storia simile a quella di Platone e collocando Atlantide in America. Non è chiaro se Bacone intendesse l'America settentrionale o quella meridionale.\nLo scienziato Olaus Rudbeck (1630–1702) scrisse nel 1679-1702 Atlantica (Atland eller Manheim), un lungo trattato dove sostenne come la propria patria, la Svezia, fosse la perduta Atlantide, la culla della civiltà, e come lo svedese fosse la lingua di Adamo da cui si sarebbero evoluti il latino e l'ebraico.The Chronology of the Ancient Kingdoms Amended (1728, postumo) di Isaac Newton studia una varietà di collegamenti mitologici con Atlantide.\nVerso la fine del Settecento l'astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly tornò a parlare di Atlantide, nelle sue opere più importanti, tra cui l′Histoire de l'astronomie ancienne (1775) e le Lettres sur l'Atlantide de Platon (1779). Egli unì la tradizione di Atlantide al mito di Iperborea, una leggendaria civiltà nordica di cui Erodoto e altri storici antichi avevano lasciato delle testimonianze. Bailly sosteneva infatti la tesi secondo cui un'Atlantide nordica fosse la civiltà originaria del genere umano, che essa avesse inventato le arti e le scienze e che avesse 'civilizzato' i Cinesi, gli Indiani, gli Egizi e tutti i popoli dell'antichità. Egli posizionò questo popolo primordiale nel lontano nord dell'Eurasia, nell'isola di Spitzbergen, nei pressi della Siberia, argomentando che quelle dovevano essere state le prime terre abitabili quando la Terra, originariamente incandescente e inospitale alla vita secondo le ipotesi paleoclimatiche teorizzate da Buffon e Mairan, aveva incominciato a raffreddarsi. Il costante raffreddamento della Terra le aveva però, successivamente, rese inabitabili e aveva seppellito l'ancestrale territorio di questa civiltà sotto delle lastre di ghiaccio, in modo da perdere completamente le tracce degli Atlantidei, e obbligando i loro discendenti a spostarsi più a sud per colonizzare le altre zone del globo.Alla metà e nel tardo Ottocento numerosi rinomati studiosi mesoamericani, a partire da Charles-Etienne Brasseur de Bourbourg, tra i quali Edward Herbert Thompson e Augustus Le Plongeon proposero l'idea che Atlantide fosse in qualche maniera correlata alla civiltà maya e alla cultura azteca.\n\nLa pubblicazione nel 1882 di Atlantis: the Antediluvian World di Ignatius Donnelly stimolò un notevole interesse popolare per Atlantide. Donnelly prese seriamente il resoconto di Platone su Atlantide e tentò di stabilire che tutte le antiche civiltà conosciute discendessero da questa progredita cultura del Neolitico.\nNegli antichi geroglifici del Tempio di Edfu dedicato al dio Horus é presente un racconto analogo alla leggendaria Atlantide, descritta da Platone nel Timeo e nel Crizia, basata su un'antica tradizione storica egizia udita dal suo lontano parente Solone. Le iscrizioni riportano ad un periodo arcaico, chiamato 'Età degli dei primordiali'. Questi dei non erano originariamente egizi, ma vivevano su un'isola sacra, la 'Patria dei Primordiali', nel mezzo di un grande oceano. In seguito, in un momento non specificato del passato un cataclisma con inondazioni e incendi colpì l'isola, dove vi erano le «più antiche dimore degli dei», distruggendola e uccidendo la maggior parte dei suoi divini abitanti. Le iscrizioni descrivono che il primo dio originario che governò l'isola era una «divinità morta, il Ka», che viene descritto come il 'Dio della Terra'. Il termine 'Ka' si trova nel papiro Leningrad 1115 del Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo, risalente alla XII dinastia (ca. 2000 a.C.), che contiene un racconto in prosa, noto come Il racconto del naufrago.\nL'isola era conosciuta anche come la 'Casa di Ka', e che «questo Ka che abitava tra i canneti dell'isola». In particolare, nei geroglifici del tempio di Horus si legge di un canale circolare pieno d'acqua, che circondava il territorio sacro originario che si trovava al centro dell'isola, un anello d'acqua che aveva lo scopo di rafforzare e proteggere tale luogo consacrato Ciò é un parallelo diretto con Atlantide, dove il territorio sacro nel quale si ergeva il tempio e il palazzo del dio Poseidone era circondato da un anello d'acqua, posto al centro di altri anelli concentrici separati da anelli di terra, con lo scopo di fortificare e proteggere. Vi é anche un'altra correlazione tra l'inondazione dell'isola di Atlantide, replicato nell'inondazione della Patria dei Primordiali descritta nei testi del tempio di Edfu: «così violento che distrusse la sacra terra… L'acqua primordiale… sommerse l'isola… e l'isola divenne la tomba degli abitanti divini originari…… La Patria finì nell'oscurità al di sotto delle acque primordiali». Anche in questo caso é presente una somiglianza con l'opera di Platone che ci narra di 'terremoti e inondazioni di straordinaria violenza', citando i famosi passi «in un giorno e una notte terribili… l'isola di Atlantide venne… inghiottita dal mare e scomparve». Dopo il cataclisma essi «videro solo delle canne che galleggiavano sulla superficie dell'acqua». Vi era anche una grande quantità di fango, una scena che ricorda la descrizione dell'area attorno Atlantide dopo l'inondazione: «quell'area di mare é inaccessibile, essendo la navigazione impedita dal fango presente nei bassifondi, uniche vestigia dell'isola sprofondata».\n\nAtlantide nell'occultismo.\nNel corso della fine dell'Ottocento le idee sulla natura leggendaria di Atlantide si combinarono con storie di altre ipotetiche 'terre perdute' nate nel frattempo come Mu e Lemuria. La teosofa Helena Blavatsky, riprendendo parzialmente e sviluppando le tesi di Bailly, scrisse nel suo libro La dottrina segreta (1888) le informazioni contenute in un antico manoscritto perduto intitolato Le Stanze di Dzyan, tra cui le storie degli Atlantidei nordici che sarebbero stati eroi culturali (mentre Platone li descrive dediti principalmente alle arti militari), e che erano la quarta 'razza radicale' (Root Race) dopo quella polare, iperborea e lemurica, a cui sarebbe ora succeduta la quinta e attuale 'razza ariana': questa sarebbe dunque composta da persone che avrebbero già vissuto, in vite precedenti, su quel continente remoto.Le rivelazioni della Blavatsky e di altri teosofi come Annie Besant, Charles Webster Leadbeater, Rudolf Steiner, derivanti da indagini occulte nell'akasha condotte tramite presunte capacità chiaroveggenti, contribuirono a diffondere una concezione di Atlantide come del luogo primordiale della sapienza e della civiltà umane.\nTra i punti in comune delle loro tesi vi era la suddivisione della razza atlantidea in sette sotto-razze, a cui corrispondono sette epoche di sviluppo e di progressiva evoluzione del genere umano. Esse sono:.\n\nI Rmoahals, il cui nome deriva dal loro grido di guerra, furono la prima sotto-razza atlantidea: dominati da impulsi e sentimenti collettivi, i Rmoahals avevano una grande capacità mnemonica con cui compensavano la mancanza di pensiero logico. Animati da una profonda venerazione per la natura, erano capaci di utilizzarne le forze vitali per trasformarle in energie motrici. La condivisione delle memorie collettive portò i primi Atlanti allo sviluppo del linguaggio: la parola, originariamente dotata di potere magico e sacrale (in grado di far guarire dalle malattie e agire sulla crescita delle piante), fece così la sua comparsa tra gli uomini.\nI Tlavatli, succeduti ai Rmoahals, svilupparono ulteriormente la forza evocativa della memoria ma anche deviandola verso l'ambizione: si cominciarono a venerare gli antenati e le gesta delle persone ritenute valorose.\nI Tolteki, terza sotto-razza atlantidea, presero a unirsi in gruppi accomunati non più da simpatie naturali, ma dal ricordo dei propri eroi e condottieri, le cui qualità venivano trasmesse per via ereditaria ai discendenti. Nacquero fiorenti comunità, insieme con un nuovo culto della personalità, incoraggiata dai maestri delle scuole iniziatiche, che godevano allora di una venerazione sconfinata, essendo diretti portavoce degli dei. Lo splendore della civiltà tolteka è quella narrata nei dialoghi di Platone.\nI Turani primitivi svilupparono a tal punto l'ambizione da tramutarla in egoismo: la capacità atlantidea di dominare le forze della natura venne abusata con conseguenze nefaste. L'uso sfrenato del potere a fini personali degenerò in pratiche di magia nera che, opponendosi l'un l'altra, condussero alla distruzione di Atlantide in un solo giorno e una sola notte come riferito da Platone.\nI Protosemiti riuscirono in parte ad arginare i devastanti effetti delle forze scatenate dalla sotto-razza precedente grazie al primo sviluppo del pensiero logico, in grado di tenere a freno i desideri egoistici. Nacque la facoltà di giudizio, e l'impulso all'azione venne distolto dalla natura esterna, cominciando a essere vagliato interiormente, producendo il germe dell'umanità attuale.\nGli Accadi svilupparono ulteriormente la forza del pensiero, perdendo così il dominio sui poteri vitali delle piante, acquisendo soltanto il controllo su quelli minerali. L'ordine e l'armonia degli Stati non si ressero più su ricordi comuni, ma sull'elaborazione di leggi in grado di sottomettere il dispotismo individuale. Si dette importanza all'intelligenza e alla capacità di innovazione delle persone, anziché alla vividezza delle loro imprese passate.\nI Mongoli, settima e ultima sotto-razza di Atlantide, raggiunse uno sviluppo del pensiero in grado di connettersi con la potenza degli elementi vitali, su cui si era comunque perso ogni controllo. La caratteristica di abbandonarsi alle forze occulte della vita è quella che si sarebbe in parte mantenuta nelle attuali popolazioni asiatiche, secondo la Besant discendenti dei Turani primitivi che si erano rifugiati in Cina dopo la catastrofe.Le prime tre razze furono definite rosse, le altre quattro invece bianche. Da un piccolo gruppo della quinta sotto-razza Protosemita, inoltre, il supremo iniziato dell'Oracolo del Sole, conosciuto nella letteratura teosofica come Manu, avrebbe scelto alcuni individui particolarmente progrediti nel pensiero logico per separarli dagli altri e condurli all'interno dell'Asia, dove dare vita alla nuova razza-radicale dell'umanità, quella attuale.\nDopo la scuola teosofica, sarà il sensitivo americano Edgar Cayce a menzionare Atlantide per la prima volta nel 1923, asserendo in seguito che essa era collocata nei Caraibi e proponendo che fosse un'antica civiltà, altamente evoluta, ora sommersa, dotata di forze navali e aeree mosse da una misteriosa forma di cristallo di energia. Egli predisse inoltre che delle parti di Atlantide sarebbero riemerse nel 1968 o 1969. La Bimini Road, una formazione rocciosa sommersa con pietre rettangolari appena al largo di North Bimini Island, è stata descritta come una possibile prova di questa civiltà.Si è sostenuto che prima del tempo di Eratostene (250 a.C. circa), autori greci avessero collocato le Colonne d'Ercole nello stretto di Sicilia, ma non ci sono prove di tale ipotesi. Secondo Erodoto (c. 430 a.C.) una spedizione fenicia circumnavigò l'Africa con il benestare del faraone Necho II, navigando a sud sotto il mar Rosso e l'oceano Indiano e verso nord nell'Atlantico, facendo ritorno nel Mediterraneo attraverso le Colonne d'Ercole. La sua descrizione dell'Africa nord-occidentale rende molto chiaro che localizzò le Colonne d'Ercole precisamente dove sono oggi. Malgrado questo, la credenza che le Colonne fossero collocate nello stretto di Sicilia prima di Eratostene è stata citata in alcune ipotesi sulla collocazione di Atlantide.\nIl concetto di Atlantide attrasse anche i teorici nazisti. La 'teoria del ghiaccio cosmico' (1913) di Hanns Hörbiger (1860-1931) aveva infatti conquistato un vasto appoggio popolare in Germania e venne promossa dal regime nazista per le sue implicazioni razziali. Hörbiger riteneva che la Terra fosse soggetta a periodici cataclismi provocati dalla caduta di una serie di corpi celesti che da comete erano diventati satelliti; la sommersione di Atlantide e di Lemuria sarebbero state provocate dalla cattura dell'attuale satellite della Terra, la Luna. I periodi di avvicinamento dei satelliti avrebbero provocato (per diminuzione della gravità) la nascita di stirpi di giganti di cui parlano la varie mitologie. Alfred Rosenberg (Mito del XX secolo, 1930) parlò di una razza dominante 'nordico-atlantiana' o 'ariano-nordica'.\nNel 1938 l'alto ufficiale Heinrich Himmler (allora capo supremo delle forze dell'ordine del Terzo Reich) organizzò una ricerca in Tibet allo scopo di trovare le spoglie degli Atlantidei bianchi. Julius Evola, in Rivolta contro il mondo moderno (1934), riprendendo chiaramente le tesi di Bailly, identifica in Atlantide uno dei molti riferimenti presenti nelle opere antiche alla sede iperborea, luogo d'origine di esseri 'più che umani' regnanti durante l'età dell'oro, a sua volta ritenuta essere il polo nord, ancora non colpito da un clima rigido, ma anzi regione definita 'solare'.\nDa quando la deriva dei continenti divenne largamente accettata nel corso degli anni sessanta, la popolarità di buona parte delle teorie sul 'continente perduto' di Atlantide incominciò a svanire, mentre si cominciava ad accettare ampiamente la natura immaginaria degli elementi della storia di Platone.\nLa studiosa di Platone Julia Annas ha avuto modo di dire al riguardo:.\n\nKenneth Feder fa notare che la storia di Crizia nel Timeo fornisce un indizio importante. Nel dialogo, Crizia dice, riferendosi alla società ipotetica di Socrate:.\n\nFeder cita Alfred Edward Taylor, che scrive «Non ci potrebbe essere detto in modo più chiaro che l'intera narrazione della conversazione di Solone con i sacerdoti e la sua intenzione di scrivere il poema su Atlantide sono un'invenzione dell'immaginazione di Platone».\n\nAtlantide secondo Rudolf Steiner.\nL'esoterista Rudolf Steiner scrisse in merito ad Atlantide come del quarto grande periodo di evoluzione della Terra, precedente quello attuale. Egli la descrisse come un continente perennemente immerso dentro nebbie e vapori, per la costante presenza di anime in procinto di incarnarsi, e situabile all'incirca dove oggi si trova l'oceano Atlantico; le isole Canarie rappresenterebbero l'ultimo avamposto sopravvissuto dopo che esso sprofondò nel mare.\n\nGli Atlantidei avrebbero posseduto facoltà di chiaroveggenza oggi scomparse, in virtù del fatto che all'epoca il loro corpo fisico era piuttosto separato dalle altre componenti spirituali. Questa costituzione favoriva la possibilità che entità più progredite si incarnassero nei loro corpi per guidarli come maestri spirituali all'interno delle scuole iniziatiche, cosa che gli arcangeli mettevano in pratica agendo direttamente in questo modo, oppure che facessero la conoscenza di divinità superiori così come oggi si parla con un'altra persona. La percezione delle cose e pertanto il gusto erano diversi, tanto che allora la musica e il canto erano sviluppati su accordi di settima, all'epoca di Steiner ancora considerati da qualcuno come dissonanze da risolvere in consonanze (oggi invece sono di uso comune).Nei primi tempi, la consistenza particolarmente 'molle' del corpo umano consentiva loro, ad esempio, di allungare elasticamente un arto o le dita a loro piacimento, mentre la vista era meno sviluppata, consentendo di vedere gli oggetti con contorni poco definiti. Il pensiero logico non era ancora sviluppato, ma i suoi limiti erano compensati da un'incredibile memoria con cui gli Atlantidei tenevano a mente ogni dato di esperienza. Steiner fa l'esempio della capacità di risolvere semplici calcoli grazie alla memoria esperenziale.\n\nUn retaggio del modo in cui appariva un individuo di Atlantide, con la parte eterica della testa più evoluta, sovrastante l'aspetto fisico ancora animalesco, secondo Steiner sarebbe visibile tuttora nelle sculture delle Sfingi dell'antico Egitto: la Sfinge rappresenterebbe lo sviluppo incompiuto dell'essere umano, il cui corpo attende di essere modellato dalla testa già compiuta.\nGli Atlantidei vivevano a stretto contatto con la natura, le stesse abitazioni erano formate da oggetti naturali trasformati. L'uomo viveva in piccoli gruppi con un forte senso gerarchico dell'autorità e tenuti assieme da affinità di sangue. Essi possedevano dei veicoli che sfruttavano la combustione delle piante con cui trasformavano la forza vitale in energia in grado di far volare i velivoli. Tuttavia le condizioni in cui si realizzavano tali possibilità tecniche sarebbero state diverse da oggi in quanto sia la densità dell'aria sia la fluidità dell'acqua erano diverse e pertanto di difficile riproducibilità oggi.Atlantide sarebbe stata distrutta da catastrofi idriche e glaciali, tuttavia gruppi di Atlantidei sopravvissero tramite migrazioni partite dalle aree dell'attuale Irlanda verso sud. Steiner inoltre sostenne che un grande iniziato atlantideo scelse gli individui più progrediti ed emigrò in oriente nella regione dell'odierno Tibet.\n\nLe ipotesi sulla collocazione.\nSulla scorta di Aristotele e per la mancanza di fonti prima di Platone, si ritiene in genere che il mito di Atlantide sia solo una finzione letteraria, interamente elaborata dal filosofo greco a partire da riferimenti mitologici e dalle proprie idee politiche e filosofiche. Seppure Atlantide in quanto tale appaia solo raramente nei testi greci o latini (e solo come rielaborazione a partire dal racconto di Platone), miti e leggende di continenti o città sommersi sono ricorrenti e, come quello del diluvio universale, appartengono a numerose antiche civiltà e culture. La tradizione antica è in effetti piena di eventi catastrofici.Alcuni tuttavia hanno cercato di immaginare Atlantide come un luogo realmente esistito, o quantomeno di identificare gli elementi storici e geografici che possono avere originato il racconto di Platone.Dai tempi di Donnelly, ci sono state dozzine - o meglio centinaia - di proposte di localizzazione per Atlantide, al punto che il suo nome è divenuto un concetto generico, indipendente dal racconto di Platone. Questo è riflesso dal fatto che, in effetti, molti dei siti proposti non sono affatto nell'ambito dell'oceano Atlantico. Si tratta a volte di ipotesi di accademici o archeologi, mentre altre si devono a sensitivi o ad altri ambiti parascientifici. Molti dei siti proposti condividono alcune delle caratteristiche della storia originale di Atlantide (acque, fine catastrofica, periodo di tempo rilevante), ma nessuno è stato né può essere dimostrato come la 'vera' Atlantide storica o platonica.Le ipotesi sull'effettiva collocazione di Atlantide sono le più svariate. Se è vero che Platone nei suoi due dialoghi parla esplicitamente di 'un'isola più grande della Libia e dell'Asia Minore messe insieme' (cioè il Nord Africa conosciuto al tempo e l'Anatolia) oltre le Colonne d'Ercole (che si suppone fossero sullo stretto di Gibilterra), alcuni studiosi, vista l'effettiva difficoltà nell'immaginarsi un'isola-continente nell'Atlantico scomparsa in breve tempo senza lasciare pressoché nessuna traccia, hanno proposto collocazioni alternative.\n\nAfrica.\nSecondo lo scrittore Carlos Alberto Bisceglia, Atlantide era una penisola che partiva dal monte Atlante, in Marocco, fino ad arrivare in un territorio compreso tra Sahara Occidentale e Mauritania, bagnata a nord dal Mediterraneo a ovest dall'oceano Atlantico e a est dal fiume Tamanrasett, oggi scomparso. Il palazzo di Poseidone descritto da Platone sarebbe stato identificato nell''Occhio del Sahara' o 'Struttura di Richard', un cratere di cui non si conosce l'origine, dove sono stati trovati nel suo interno fossili di molluschi databili attraverso il radiocarbonio tra il 13 000 a.C. e il 4730 a.C. (tratto dal libro Homo Reloaded).\n\nAmerica.\nDapprima si è pensato all'America, che in effetti è un continente in mezzo all'oceano (Atlantico) che però ai tempi di Platone non era per nulla conosciuto e che, per quanto se ne sappia, non ha conosciuto cataclismi recenti.\nAlcuni hanno voluto vedere, male interpretando le mappe turche dell'America meridionale del primo Cinquecento come la mappa di Piri Reìs, la rappresentazione di Atlantide nell'estremo Sud, proprio dopo la Terra del Fuoco, fra l'America meridionale e l'Antartide. Secondo costoro infatti è probabile che l'Antartide, un tempo terra fertile e rigogliosa, sia stata la sede di Atlantide. I sostenitori di questa ipotesi parlano di resti di vegetazione datati all'analisi al carbonio 14 come risalenti a 50 000 anni fa, lasciando supporre che l'Antartide fosse sgombro dai ghiacci, ma questi dati sono riconosciuti come pseudoscientifici e mai replicati, anche perché tutta la ricerca sull'Antartide (e in particolare i carotaggi nei depositi glaciali) conferma come 50 000 anni fa il continente di ghiaccio fosse prossimo al picco glaciale, e quindi notevolmente più freddo di oggi. Tutta la ricerca storico-scientifica ha visto nelle stesse mappe solo delle rappresentazioni dell'America meridionale, con alcuni errori (anche voluti) assai ben spiegabili nella prassi dell'epoca. Infine altri ancora identificherebbero Atlantide con un altro ipotetico continente perduto, Lemuria, situato fra l'Africa e l'India.\nAlcuni, sulla base dell'assonanza dei nomi e di una somiglianza etimologica, hanno accostato Aztlán, la leggendaria terra d'origine degli Aztechi, all'Atlantide narrata da Platone. Il Codice Boturini descrive Aztlán come 'un'isola in mezzo a una distesa d'acqua'. La teoria, come molte altre analoghe, non ha avuto alcun riscontro scientifico.\nAltra ipotetica collocazione è, secondo alcuni tra cui il sensitivo Edgar Cayce, nel mar dei Sargassi: i Fenici, secondo lui, conoscevano le Azzorre e lungo la faglia atlantica non sono sconosciuti casi di emersione e affondamento di isole, anche in tempi storici recenti; si tratta comunque di piccole isole e non di continenti che potessero ospitare fiumi navigabili come nel racconto di Platone.\nIl geologo inglese Jim Allen sostiene che Atlantide si trovasse in Bolivia, nell'area dell'Altiplano, basandosi sulla presenza di una piana rettangolare corrispondente alle dimensioni specificate da Platone e di depressioni concentriche ad arco di cerchio subito a est della città di Pampa Aullagas, da lui identificate con i canali della capitale.\nIn Brasile l'archeologo e antropologo francese Marcel Homet indagò sui resti di un antico popolo che egli riteneva discendere dalla civiltà di Atlantide.\n\nPolo nord.\nIl primo a elaborare l'ipotesi di un'Atlantide nordica fu, molto probabilmente, lo svedese Olaus Rudbeck che, nel XVII secolo, posizionò - soprattutto per motivi nazionalistici - il continente perduto in Svezia. Le sue idee furono riprese, modificate e razionalizzate dall'astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly che, nella seconda metà del Settecento, arrivò a posizionare Atlantide nelle remote regioni siberiane, in prossimità dell'isola di Spitzbergen.\n\nDopo aver descritto dettagliatamente il rapporto di Platone nel Timeo sul continente perduto di Atlantide, e dopo aver considerato quanto era stato detto su questo argomento sia da Sancuniatone, per quanto riguardava la storia dei Fenici, sia da Diodoro Siculo, per la storia greca, Bailly procedette nella sua indagine per dimostrare 'scientificamente' che Atlantide non si trovasse né su di un'isola opposta alle Colonne d'Ercole e immersa nell'oceano Atlantico (di cui le isole Madeira si supponeva fossero i resti) — come voleva la tradizione — né tra le Canarie e nemmeno nel continente americano. Il popolo atlantideo avrebbe invece abitato, secondo Bailly, le regioni brulle e ghiacciate della Siberia, che - a suo giudizio - in epoche remotissime dovevano essere moderatamente temperate e abbastanza fertili, mentre un caldo torrido affliggeva il resto del globo rendendolo praticamente inabitabile. Tutto questo era previsto dalle ipotesi paleoclimatiche di Mairan e Buffon, secondo cui in passato il clima era globalmente più caldo a causa della maggiore 'incandescenza' che la Terra doveva avere primitivamente. Questa 'incandescenza' primitiva era poi diminuita nel corso del tempo causando un lento e globale raffreddamento del pianeta. Bailly abbracciava questa teoria che, a suo giudizio, costituiva una prova infallibile alle sue ipotesi sul posizionamento di Atlantide.\n\nLa Siberia infatti, secondo l'ipotesi di Bailly, anticamente doveva essere ben più calda e quindi abitabile, mentre le zone equatoriali dovevano essere praticamente incandescenti, inabitabili e quindi inabitate. Perciò non poteva che ricercarsi a nord l'origine dell'umanità e dunque l'origine delle scienze.\nLe remote regioni tartariche, o quelle artiche furono di conseguenza la sede primitiva della scienza, la dimora della più antica razza umana, i celebri Atlantidei che, nei secoli successivi, discendendo a sud dalle pianure della Scizia, attraversarono le steppe caucasiche e portarono con loro nell'Asia meridionale i rudimenti delle arti e delle scienze e il culto del sole e del fuoco, che, come asseriva Bailly, poteva essersi originato soltanto in una zona dal clima freddo, e dunque nel «freddo impero della notte polare». Si capisce dunque perché Bailly individuasse negli Atlandidei anche la popolazione degli Sciti che abitava le zone settentrionali dell'Asia. Supporre altre possibilità, concepire ad esempio che questi culti si fossero originati in Persia, in India, o in altri regni orientali — dove il Sole anticamente «bruciava le foglie e consumava i vegetali» e dove il Sole stesso era raffigurato mentre «cavalcava un leone che nella sua furia divorava tutto ciò che gli capitava a tiro» — nell'opinione di Bailly era letteralmente «assurdo». Bailly finì dunque per unire in un tutt'uno mitologico la tradizione di Atlantide con quella della leggendaria terra nordica di Iperborea, narrata e tramandata da storici come Erodoto, Pindaro ed Esiodo.\nL'eredità lasciata da Bailly continuò a vivere anche dopo la sua morte. La sua tesi di una 'Atlantide Iperborea' era stata comunque sonoramente respinta in un primo momento. Ad esempio lo stesso Jules Verne in qualche modo voleva anche prendere in giro Bailly in Ventimila leghe sotto i mari (1869), quando i suoi personaggi scoprirono la 'vera' Atlantide nell'oceano Atlantico. Malgrado tutto, vi furono altri teorici che sostennero le stesse tesi di Bailly: ad esempio nel 1885 William Fairfield Warren, allora professore di teologia sistematica presso la Boston University, scrisse un libro, Paradise Found: The Cradle of the Human Race at the North Pole, per promuovere l'ipotesi secondo la quale il nucleo originario del genere umano provenisse anticamente dal polo nord. In questo lavoro Warren collocò Atlantide al polo nord, così come il giardino dell'Eden, il monte Meru, Avalon e Iperborea.Anche un'esoterista, Helena Blavatsky, prese molto sul serio le idee di Bailly. Blavatsky fu una delle teorizzatrici della teosofia, una dottrina mistico-filosofica, il cui credo era precisato nel suo libro La dottrina segreta (1888). In quest'opera ermetica, Blavatsky rispolverò la teoria di Bailly (citandolo addirittura ventidue volte), e incorporò l'ipotesi di una 'Atlantide Iperborea' all'interno di una pseudostoria (o storia fantastica) che coinvolgeva vari continenti e varie razze umane e semiumane. Atlantide era rappresentata da Blavatsky come un continente polare che si estendeva dall'attuale Groenlandia fino alla Kamčatka e il cui destino si legò indissolubilmente a quello di una razza particolarmente controversa: gli Ariani, che secondo Blavatsky erano una razza superiore, seconda in ordine cronologico tra le razze umane, costituita da giganti androgini dalle fattezze mostruose. Nell'ipotesi pseudostorica di Blavatsky, quando gli Ariani migrarono a sud verso l'India, scaturì da loro una 'sotto-razza', quella dei Semiti. Il mito di una 'Atlantide Iperborea' fece così ingresso all'interno delle ideologie ariane e antisemite della fine del XIX secolo.La teoria di Bailly-Blavatsky trovò sostegno tra alcuni degli ideologi ariani viennesi più fantasiosi. Furono proprio questi circoli, come la società Thule (che prendeva proprio il nome della mitica capitale di Iperborea), a derivare molte teorie antisemite e ariane dal lavoro mitologico di Blavatsky, e indirettamente da Bailly (il quale, in realtà, nei suoi lavori, mostrava chiare posizioni antirazziste). I membri della società Thule, in particolare, prestarono un aiuto fondamentale ad Adolf Hitler (che probabilmente aveva letto alcuni libri dei teosofi ariani viennesi quando viveva in Austria) nel fondare il NSDAP, il partito nazista. Uno di loro, Alfred Rosenberg, compagno vicino a Hitler durante gli anni in cui questi stette a Monaco di Baviera, aveva posto il mito di un'Atlantide Iperborea al cuore di un suo voluminoso tomo dottrinale: Il mito del XX secolo (Der Mythus des 20. Jahrhunderts), pubblicato nel 1930. Rosenberg, infatti, incominciò quest'opera assumendo come vera la passata esistenza di Atlantide nel lontano nord e riproponendo quasi integralmente la tesi baillyiana. La tesi di Bailly fu anche ripresa dal filosofo italiano Julius Evola il quale identificava, in Atlantide, un riferimento sulla sede di Iperborea.\nSebbene la maggior parte delle ipotesi su cui si fonda la tesi di un'Atlantide nordica siano ritenute pseudoscientifiche o palesemente inconsistenti sia dalla scienza sia dalla storiografia contemporanee, alcuni isolati scienziati e ricercatori, come il russo Valery Dyemin, Ph.D., ritengono che Iperborea «sia esistita davvero» nel circolo polare artico.\n\nNel Mediterraneo.\nLa maggior parte delle ipotesi avanzate di recente indicano la collocazione della mitica isola non più nell'oceano o in altri luoghi troppo remoti (ormai scartati per motivi geologici, cronologici e storici), ma più vicino, nel Mediterraneo o nei suoi immediati dintorni, dove Platone più probabilmente poteva avere tratto i vari elementi per costruire il suo racconto. Le conoscenze geografiche dei Greci all'epoca di Platone erano infatti molto vaghe e limitate al bacino del Mediterraneo, ed erano in realtà sufficientemente precise solo nell'ambito dell'Egeo.È stato ipotizzato che Platone potesse avere tratto qualche ispirazione dai terremoti e maremoti che non molti anni prima, nel 373 a.C., avevano ingoiato le isole di Elice e Bura. Fu distrutta anche un'isola di nome Atalante, vicino a Locri in Calabria.Altri studiosi hanno ravvisato somiglianze con il racconto omerico della guerra di Troia, tra i quali Eberhard Zangger che nel 1992 ha elaborato la tesi secondo cui la narrazione di Platone sarebbe un riassunto della storia di Troia dal punto di vista egiziano.Alcuni identificano con l'isola di Cipro i resti del continente di Atlantide.\nAltri hanno pensato al Sahara, che in periodi molto remoti (30 000 anni fa) non era desertico ma ricoperto da foreste lussureggianti e che fu abitato fin dalla preistoria, ma che non trova particolari corrispondenze nel racconto di Platone.\n\nCreta.\nUna tra le teorie più accreditate, studiata e approfondita nella prima metà del Novecento, e indirizzata negli ultimi anni anche in relazione a scavi archeologici condotti in Turchia, sostiene che il mito di Atlantide non sarebbe altro che la memoria deformata nel tempo, della civiltà minoica (civiltà cretese dell'età del bronzo), che ebbe fine intorno al 1450 a.C., in circostanze non ancora ben chiarite. La causa potrebbe essere l'esplosione del vulcano dell'isola di Tera o Thera, attualmente Santorini, eruzione “super-colossale”, classificata di livello 7 (su 8) nell’indice di esplosività vulcanica, una delle eruzioni più distruttive nella storia dell’umanità, che provocò lo sprofondamento parziale dell'isola e giganteschi terremoti: l'esplosione di Thera avrebbe propagato nel Mediterraneo un terrificante maremoto in grado di spazzare via gli insediamenti lungo le coste (le onde si sarebbero diffuse in tutto il bacino dell'Egeo in sole due ore, raggiungendo un'altezza di circa trenta metri), a cui sarebbero seguite entro due-tre giorni le ceneri riversate dall'esplosione vulcanica. Di recente sono stati portati alla luce i resti di un uomo ed un cane sulla costa turca nel sito archeologico di Çeşme-Bağlararası, causati da uno tsunami databile nello stesso periodo in cui esplose Thera. Uno studio recente ha inoltre evidenziato delle analogie letterarie tra il testo platonico su Atlantide e alcuni canti dell'Odissea di Omero. Altri studiosi ritengono comunque improbabile il riferimento al vulcano di Thera, perché mille anni sono troppi per mantenere il ricordo preciso di un evento.\n\nMonte Argentario.\nUlteriore teoria è stata avanzata da Costantino Cattoi ex colonnello della Regia Aeronautica, collaboratore di Gabriele D'Annunzio e stimato amico di Italo Balbo. Lo studioso, nel 1955, riportò alla luce una serie di opere pre-etrusche, fra le quali un'enorme roccia alta una decina di metri con i lineamenti del volto distintamente abbozzati e il classico copricapo egizio, ritenuta legata alla figura del dio Thot. I ritrovamenti, ritenuti importanti dagli esperti del settore, portarono Cattoi a collaborare con l'antropologo statunitense George Hunt Williamson, l'esoterico peruviano Daniel Ruzo e il francese Denis Saurat, che pur lavorando in modo autonomo, giunsero alle medesime conclusioni, collegando le sculture rupestri italiane, alle simili scoperte a Marcahuasi in Perù, rafforzando la loro convinzione sull'esistenza di un legame tra il promontorio dell'Argentario, quale parte superstite di Atlantide, e il lontano Perù.\n\nSardegna.\nUna teoria analoga è stata avanzata dal giornalista italiano Sergio Frau nel suo libro Le colonne d'Ercole (2002): le 'colonne' di cui parla Platone andrebbero identificate con il canale di Sicilia (che è assai turbinoso, come Platone descrive le Colonne), dunque l'isola di Atlantide sarebbe in realtà la Sardegna: il popolo che edificò gli oltre 7 000 nuraghi coinciderebbe allora con il misterioso popolo dei Shardana o Šerden (dai quali appunto si vorrebbe che la Sardegna abbia preso il nome), citati tra i 'popoli del Mare' che secondo le cronache degli antichi Egizi tentarono di invadere il Regno d'Egitto. Un passo della descrizione platonica si vuole coincida con la forma della Sardegna: 'Una pianura (il Campidano) che attraversa l'isola in senso longitudinale (ha coste a est e a ovest), situata tra due zone montuose a nord e a sud; le coste sono alte e rocciose, scoscese'. Del resto, la Sardegna possiede ancora oggi zone pianeggianti situate alcuni metri sotto il livello del mare e ciò farebbe pensare che, essendo una terra geologicamente troppo antica per subire o aver subito catastrofi naturali di dimensioni disastrose, possa invece esser stata soggetta in passato a cataclismi legati al mare, il cui territorio probabilmente non avrebbe potuto respingere a causa appunto dell'altezza della sua superficie rispetto a quella marina. Oltretutto la mancanza di terremoti avrebbe permesso una grande espansione edilizia all'interno dell'isola, che all'epoca sarebbe potuta apparire in maniera notevolmente diversa. La 'fine' di Atlantide viene anche fatta coincidere con la diffusione della malaria nell'isola. Nel gennaio 2021 Luigi Usai, ricercatore indipendente, ha diffuso una nuova ipotesi secondo la quale l'affondamento di Atlantide è da addebitare al repentino scioglimento dei ghiacci a seguito della glaciazione chiamata Würm. Ai geologi è noto infatti che il livello del mar Mediterraneo ha raggiunto -120 metri sotto il livello attuale circa 14 000 anni fa. È altrettanto nota la cosiddetta 'crisi della salinità del Messiniano', durante la quale Sardegna e Corsica erano congiunte a causa dell'abbassamento di oltre cento metri del livello del mare, e le si poteva percorrere a piedi. Nel periodo della guerra che divampò tra Atlantide e la Grecia, ossia nel 9600 a.C., cioè 11600 anni fa circa, è noto ai geologi che Sardegna e Corsica e una grande parte delle coste attualmente sommerse formavano quella che appariva come una grossa isola, che era chiamata nel terzo capitolo del Timeo e nel Crizia, da Platone, col nome di Atlantide. Al centro della pianura Atlantidea e racchiusa dall'attuale Pianura del Campidano, ci sarebbe quella che era la capitale di Atlantide, nota anch'essa col nome di Atlantide ma oggi conosciuta col nome di Sulcis, e che partiva da una collina nei pressi del piccolo paesino di Santadi e di Masainas e Teulada, formando cerchi concentrici di terra e di mare. È tuttora possibile notare come, a partire da Santadi, tutto il piano urbanistico si sviluppi per cerchi concentrici, persino porzioni di montagne. È inoltre presente una vasta toponomastica relazionata al mito di Atlantide. Infatti, come fa notare Usai, accanto a Santadi esistono molte località il cui nome richiama le fonti d'acqua calda e fredda create da Poseidone, che secondo Usai era un semplice uomo, probabilmente un Re, e non un Dio. Poseidone, mise nella Capitale di Atlantide una sorgente d'acqua calda e una d'acqua fredda. Infatti ancora oggi esistono delle frazioni di paesi chiamate ' Acquacadda.' (Acqua Calda, in lingua sarda campidanese), S'acqua callenti de basciu. (L'Acqua calda di sotto, in sardo campidanese) e S'Acqua Callenti de Susu (L'Acqua calda di sopra, anche questo in dialetto sardo campidanese, la variante dialettale della lingua sarda parlata nel meridione della Sardegna), mentre nel vicino paese di Siliqua è presente ancora oggi la fonte d'acqua fredda di Zinnigas. Sempre a Siliqua, piccolo paese anch'esso situato in provincia di Cagliari, esiste tuttora il 'Castello d'Acquafredda', attualmente noto per la celebre storia raccontata da Dante Alighieri relativa al Conte Ugolino, che vi aveva soggiornato secondo una leggenda tramandata per via orale. Il castello di Acquafredda prende il nome dalla cittadina medievale di Acquafredda, sparita alcuni secoli fa, il cui nome ricorda la fonte d'acqua fredda di Poseidone, mentre in provincia di Carbonia Caput Acquas insiste sul tema dell'acqua. Inoltre, segnala Usai, sono stati trovati i tridenti di Poseidone scolpiti nelle rocce neolitiche e paleolitiche trovate presso il paese di Laconi, in Sardegna. Accanto a Santadi c'è un paese chiamato Narcao, che ha due frazioni, dette 'Is Sais Superiore' e 'Is Sais Inferiore'; ciò è un chiaro riferimento secondo Usai, alla città di Sais in Egitto, nella quale il sommo sacerdote Sonchis rivelò la storia di Atlantide a Solone, il celebre politico greco. Inoltre, Sais è anche un cognome sardo. Esistono ancora altri due toponimi interessanti: Acqua Callentis (un altro modo di dire 'Acqua Calda' in dialetto campidanese e sulcitano sardo), nota anche col nome di 'Is Perdas' (ossia 'Le Pietre'): anche questa località ricorda le fonti d'acqua calda e fredda poste da Poseidone nel mito platonico; e la località di Terresoli (crasi di Terra De Soli, ossia Terra del Sole in Sardo campidanese e sulcitano) che richiama molto da presso il nome di Eliopolis, altra città legata al mito di Atlantide: infatti mentre Eliopolis in greco significa Città del Sole, Terresoli significa Terra del Sole. Anche la località di Piscinas si trova nel Sulcis e riprende il tema degli inondamenti d'acqua: in lingua sarda infatti si usa questo termine per indicare un luogo dove c'è stato un enorme ristagno d'acqua. La teoria di Usai, che prende nome di 'paradigma sardo corso atlantideo', afferma che la specie degli elefanti di cui parla Platone in Timeo e Crizia sia quella del Mammuthus Lamarmorai, presente nell'isola sardo-corsa attualmente semisommersa, e di cui sono stati trovati resti in almeno tre luoghi dell'attuale Sardegna: a Gonnesa, nel Sinis e ad Alghero. Alla fine del racconto di Atlantide, nel Timeo, Platone afferma che l'isola era circondata da fango che impediva la navigazione: questo sarebbe stato causato dall'erosione della piattaforma continentale sardo corsa ad opera di millenni di risacca. L'isola di Atlantide era la più grande di tutte, secondo Platone: effettivamente il blocco geologico sardo corso era un'isola di terra emersa ed è realmente la più grande di tutte quelle del Mediterraneo Occidentale, che secondo Usai era chiamato Oceano Atlantico ancora prima che venissero realizzati papiri e rotoli che trattassero la geografia, motivo per il quale non è rimasta memoria, ed in seguito la geografia è stata modificata. Ad Atlantide c'erano i vecchi più vecchi: effettivamente la Sardegna, che sarebbe solo un altopiano emerso di Atlantide, ancora oggi è famosa in tutto il mondo per il suo popolo di centenari, in particolare la popolazione della zona blu di Perdas De Fogu . Atlantide era ricca di minerali, ed effettivamente le miniere del Sulcis sono le più antiche d'Europa. Gli Atlantidei erano 'costruttori di torri' secondo i dialoghi platonici: e infatti sono presenti e studiati oltre 7000 nuraghi e centinaia di altri vengono continuamente scoperti ma non scavati. Usai afferma inoltre che l'antico testo letterario della Meropide tratti proprio dell'isola di Atlantide come blocco sardo-corso semisommerso: attualmente invece, tutti i testi ufficiali considerano la Meropide soltanto una parodia dei testi platonici. La scoperta nel riparo sottoroccia a Su Carroppu di Sirri di tre individui sardi antichi, di cui due hanno restituito la possibilità di analizzare il DNA antico, ha mostrato che questa popolazione del Sulcis non risale a 8000 anni fa come inizialmente creduto, bensì risale a 11000 anni fa , e la guerra tra Atlantide e la prima Grecia di cui si parla nel Timeo e nel Crizia divampò, secondo Platone, 11600 anni fa: ciò sembrerebbe essere una conferma della presenza di popolazione sarda nel periodo in cui è collocato il racconto di Atlantide. Il DNA ritrovato è differente dal DNA della popolazione neolitica che colonizzò l'isola di Sardegna circa tremila anni dopo, e l'analisi ha mostrato che queste popolazioni di 11000 anni fa predavano risorse marine, ossia si nutrivano di frutti di mare e vivevano lungo le coste, in conformità col paradigma atlantideo di Usai.\nPlatone afferma che ad Atlantide si costruiva facendo uso di pietre di tre colori: nere, rosse e bianche; le pietre nere sarebbero l'ossidiana , in particolare quella del Monte Arci, che la Sardegna ha esportato in tutta Europa per migliaia di anni e l'ardesia, le rocce rosse sarebbero quelle di Arbatax e di Carloforte e altre sommerse nelle paleocoste sardo-corse. Le Colonne d'Ercole sarebbero il Faraglione Antiche Colonne di Carloforte come proposto da Giorgio Saba, ancora esistente e di storia antichissima, e non lo Stretto di Gibilterra come fino ad ora creduto dalla maggior parte delle teorie: oltre le Colonne d'Ercole di Carloforte quindi, vi era un porto angusto, ossia il porticciolo formato dalle isole di Sant'Antioco e San Pietro, e fuori da questo porticciolo vi era il vero mare, chiamato in Timeo e Crizia anche Oceano Atlantico, ma oggi chiamato Mediterraneo Occidentale. Il paradigma sardo corso atlantideo propone che gli atlantidei popolassero la piattaforma continentale sardo-corsa attualmente semisommersa nel Mediterraneo, costretti poi a delle migrazioni quando il livello eustatico saliva drasticamente , forse a causa di ripetuti Meltwater Pulses , distribuiti su vari millenni. Queste migrazioni avrebbero poi preso vari nomi: Sumeri e Vasconi, tra gli altri, dando origine alla civiltà megalitica lungo le coste di tutta Europa. A sostegno di ciò Usai afferma che questi popoli hanno lingue semitiche agglutinanti, una caratteristica 'atlantidea'; i Baschi infatti hanno figure carnevalesche preistoriche simili a quelle sarde perché entrambi i popoli 'provengono da Atlantide', ossia dal blocco geologico sardo corso semisommerso: i Joaldun, i Mammutthones, i Boes e i Merdules. Inoltre i Baschi avrebbero portato la tradizione dei tori descritta da Platone in Timeo e Crizia, tori che ad Atlantide erano venerati e rispettati, a Pamplona nella Navarra l'uso dell'Encierro, che poi è mutata nella corrida spagnola.\n\nSicilia.\nTra i numerosi luoghi in cui viene collocata la formidabile minaccia marittima di Atlantide ve ne sono due che riguardano da vicino la Sicilia: l'omonimo canale e Malta. Questa vicinanza ha indotto il maltese Giorgio Grognet de Vassé - fautore della teoria che vede in Malta un residuo di Atlantide - ad asserire che nel museo di Siracusa si conservava un reperto di Atlantide: un capitello. Grognet de Vassé era infatti convinto che gli Atlantidei dopo la distruzione della loro isola si fossero divisi in colonie (lo stesso Antico Egitto, secondo il maltese, non era altro che una colonia atlantidea) e quel capitello richiamava il particolare stile egizio (a suo dire prova inconfutabile della presenza atlantidea in quei luoghi).\nAl capitello aggiungeva un idoletto, rinvenuto nei pressi di Scicli e una medaglia rinvenuta a Naxos; anch'essi di presunta provenienza atlantidea. Il maltese tuttavia è stato spesso coinvolto in falsificazioni di iscrizioni o travisamenti di reperti.\n\nParallelismi con la Siracusa dionisiana.\nAl dialogo Crizia avrebbe dovuto seguire l'Ermocrate; in ordine di successione il terzo protagonista del dialogo platonico. L'Ermocrate siracusano (i pareri intorno alla sua identificazione sono pressoché unanimi) viene accennato nel Crizia e gli sarebbe stato affidato un compito ancora da scoprire:.\n\nAlcuni studiosi hanno ipotizzato che la trilogia di Atlantide venisse elaborata da Platone durante il suo primo soggiorno alla corte di Dionisio I; suo mecenate. Il fine ultimo sarebbe stato un messaggio politico divulgato dinanzi alla società greca. Ma la morte del tiranno e la mancata organizzazione del festival culturale avrebbero bloccato la stesura della trilogia, rimasta per questo incompiuta. I dialoghi pervenuti vennero infine resi noti, in maniera postuma, dall'accademico Crantore di Atene.Siracusa viene presa in esame per dimostrare come il filosofo ateniese avesse modellato Atlantide e l'avesse idealizzata in base alla sua esperienza politica e sociale in Sicilia. Una conseguenza dei suoi viaggi in Sicilia.\n\nLo svedese Gunnar Rudberg, specialista platonico, agli inizi del XX secolo elaborò per primo tale teoria; seguito da numerosi altri studiosi. Ad esempio per Phyllis Young Forsyth solamente Siracusa e la Sicilia offrono dei convincenti parallelismi con Atlantide. Viceversa, Muccioli, autore di un'approfondita opera sul tempo di Dionisio II, ritiene più plausibile l'ipotesi secondo la quale Atlantide va identificata con la decadenza di Atene, mentre ritiene improbabile un'eco della crisi siracusana di IV sec. a.C.Konrad Gaiser appoggia l'identificazione di Forsyth ma non condivide l'ipotesi secondo cui lo scopo di Platone era di ammonire Dionisio II mostrandogli la cruenta fine di Atlantide: se egli non avesse attuato lo Stato ideale, alla sua città sarebbe toccato quell'infelice destino.Affine è il pensiero di Mary Louise Gill, la quale sostiene che la serie del Timeo-Crizia-Ermocrate (lasciata intenzionalmente incompiuta da Platone) doveva dare un forte messaggio politico alla società greca del suo tempo, ormai in declino: Atlantide e Atene degenerarono nella corruzione; anche Siracusa si sarebbe dovuta aspettare la punizione di Zeus, poiché era stata corrotta dal potere.A favore di tale identificazione vi sono molteplici coincidenze tra l'Atlantide platonica e la Siracusa dionisiana:.\n\nIl punto di forza di Atlantide era il controllo dei mari con le sue navi. Siracusa era temuta dai Greci per lo stesso motivo.\nAtlantide controllava l'Africa, bloccandosi al confine dell'Egitto, e l'Europa fino al mar Tirreno. La Siracusa dionisiana aveva fondato colonie sull'Adriatico e sul Tirreno. Sempre acceso fu inoltre il conflitto con le forze africane dei Punici.\nLa descrizione fisica dell'isola di Atlantide: vi era un vulcano identificabile con l'Etna; una fertile piana circondava la capitale, qui identificabile con la piana di Catania; la capitale di Atlantide si estendeva su quattro cerchi concentrici, allontanandosi dal palazzo del potere che era posto sull'isola centrale, così come la Siracusa dionisiana poneva il palazzo dei tiranni nell'isola di Ortigia e - pur senza cerchi concentrici - divideva la propria area urbana in quattro città diverse (Neapolis, Tiche, Acradina, Epipoli), ciascuna protetta da proprie fortificazioni.\nL'estrema varietà di armamenti e reparti militari che caratterizzavano l'esercito di Atlantide, sarebbe stata ispirata dall'esercito, prettamente mercenario, di Dionisio I, nel quale le milizie di ciascun popolo erano esortate a usare le armi tipiche dei propri Paesi di provenienza.La potenza di Atlantide trovò infine la sua nemesi in Atene (l'altra società perfetta di Platone); quando decise di conquistarla ne fu sconfitta. Atene fu la rivale di Siracusa (le due capitali della grecità; le due mete politiche di Platone) ma Atene cercò lo scontro con Siracusa, non venne da questa attaccata.\nMary Louise Gill (che non identifica una città precisa con Atlantide) intravede la possibile spiegazione nel terzo dialogo platonico (perduto o mai scritto) volto idealmente nell'epoca di Ermocrate: l'Atlantide corrotta rappresentava l'Atene di Alcibiade, mentre Siracusa rappresentava l'Atene ancora pura che sconfisse le mire espansionistiche di Atlantide. Ma come l'Atene antica, anche Siracusa si fece a sua volta corrompere dal potere, mettendo al comando i tiranni.\n\nSpagna.\nUna tra le molte teorie collocherebbe Atlantide in Spagna, precisamente in Andalusia, vicino a Cadice. È l'opinione dello studioso tedesco Rainer Kuehne che si avvale di rilevazioni satellitari, attribuite però a Georgeos Dìaz-Montexano. Qualcosa combacia, come la forma delle strutture rilevate e l'ambientazione vicino a montagne (in questo caso la Sierra Morena e la Sierra Nevada), come le descrizioni di Platone, in cui sono anche presenti ricche miniere di rame. Tuttavia, se avesse ragione Kuehne, non si tratterebbe di un'isola, come vuole la tradizione, e le dimensioni rilevate dal satellite non combaciano con quelle di Platone.\nUn'altra teoria vuole Atlantide nelle isole Canarie nell'oceano Atlantico (che sono effettivamente oltre le Colonne d'Ercole ovvero lo stretto di Gibilterra), malgrado la più antica civiltà di quell'arcipelago sia stata quella neolitica.\n\nAtlantide nella cultura di massa.\nAd Atlantide sono state dedicate alcune migliaia di libri e saggi. Un catalogo bibliografico incompleto della letteratura sull'Atlantide, compilato nel 1926 da J. Gattefossé e C. Roux, comprendeva 1 700 titoli.Una lista completa delle apparizioni di Atlantide nei mass media moderni è troppo estesa per poterla inserire qui. Questa è una selezione.\n\nNarrativa.\nIl classico di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari (1870) comprende una visita alle rovine sommerse di Atlantide. Scesi dal sottomarino Nautilus, il capitano Nemo conduce il professore Aronnax verso la città leggendaria in una delle tante passeggiate in scafandro del libro (nel capitolo IX della seconda parte del romanzo). La città sarebbe situata a 300 metri di profondità sul fondo dell'oceano Atlantico, al centro di un bosco sottomarino dietro a un promontorio sommerso.\nAtlantide è un romanzo fantastico avventuroso di Yambo (Enrico Novelli) del 1901; da esso lo stesso autore trasse il fumetto Gli uomini verdi (1935), una delle primissime storie italiane di fantascienza a fumetti.\nNel suo celebre romanzo L'Atlantide (1919), Pierre Benoît immagina i discendenti del continente perduto nel Sahara; il romanzo di Benoît ha ispirato la maggior parte dei film successivi sul tema.\nNel romanzo Aėlita (1922), Aleksej Nikolaevič Tolstoj fa ritrovare i superstiti degli Atlantidei sul pianeta Marte.\nIl romanzo breve di Arthur Conan Doyle L'abisso di Maracot (The Maracot Deep, 1929), tradotto anche come L'abisso di Atlantide, narra le avventure di tre scienziati che scoprono, con l'ausilio di un batiscafo ottocentesco, una civiltà ancora fiorente sul fondo dell'oceano Atlantico. Tale popolazione approverebbe i dialoghi di Platone.\nLost Continent., un racconto parte dei Libri di Aleister Crowley, offre un resoconto fantastico basato sulle idee di Crowley sulla civiltà ideale, con accenni di satira sociopolitica.\nNei racconti fantasy di Robert E. Howard su Conan il barbaro (1932) il popolo barbarico dei Cimmeri, di cui fa parte il protagonista titolare, sono i discendenti del popolo di Atlantide, che si sono devoluti dopo il cataclisma che ha inabissato il continente e a seguito di lunghe guerre contro diversi popoli ostili. Prima dell'ideazione di Conan, nel 1929 Howard aveva creato Kull di Valusia, guerriero atlantidese le cui avventure sono ambientate prima del cataclisma.\nNel romanzo Il nipote del mago (1955), di Clive Staples Lewis, che secondo la cronologia della trama è il primo del ciclo Le cronache di Narnia, lo zio Andrew riferisce al nipote Digory Kirke che gli anelli, che permettono di viaggiare fra mondi diversi, dispongono di questo potere perché sono stati trattati con una polvere magica che Andrew scoprì provenire da Atlantide.\nLa caduta dell'isola di Númenor ne Il Silmarillion (1977) di Tolkien ricorda molto da vicino il mito di Atlantide. Nella cornice dell'opera, l'evento viene ricordato come 'La Caduta' - che nella lingua elfica inventata da Tolkien diventa 'Atalantë'. Dato che l'opera di Tolkien intende descrivere una 'mitologia immaginaria' del nostro mondo, l'implicazione evidente è che Númenor sia di fatto Atlantide.\nLe luci di Atlantide (Web of Light - Web of Darkness, 1983; nelle successive edizioni: Fall of Atlantis) di Marion Zimmer Bradley.\nIn Buona Apocalisse a tutti! (1990) di Neil Gaiman e Terry Pratchett, il giovane Anticristo fa risorgere Atlantide dalle acque.\nIl romanzo fantascientifico Il codice di Atlantide (2001) di Stel Pavlou presenta Atlantide, situata al polo sud, come la città 'sopita' di un'antica civiltà molto avanzata, pronta però a risvegliarsi come una bomba a orologeria nel momento (previsto dagli Atlantidei con calcoli astronomici) in cui il Sole avrebbe messo in pericolo la Terra.\nClive Cussler, Atlantide (2002). Dirk Pitt (l'eroe creato dall'autore) è alla scoperta dei segreti degli Amenes tra mille pericoli nell'oceano Antartico.\nNel romanzo per ragazzi Nina e l'Occhio Segreto di Atlantide (2005) della scrittrice italiana Moony Witcher, Nina raggiunge Atlantide per liberare l'arcano dell'Acqua intrappolato dal conte Karkon.\nIn cerca di Atlantide (2007), thriller di Andy McDermott.\nCronache di Atlantide (2010), romanzo di Steve Coldwell, basato sul racconto platonico.\nNel romanzo di Anne Rice Prince Lestat and the Realms of Atlantis (2016), Amel, lo spirito a cui il vampiro Lestat è legato, si rivela essere stato il sovrano di Atlantide durante la propria vita mortale.\n\nAtlantide al cinema.\nAd Atlantide si è ispirato numerose volte il cinema, soprattutto quello di fantascienza e il filone fanta-mitologico:.\n\nL'Atlantide (1921) di Jacques Feyder, tratto dall'omonimo romanzo di Pierre Benoît.\nAėlita (Mežrobpom, 1924), film kolossal sovietico di Jakov Protazanov tratto dall'omonimo romanzo di Aleksej Nikolaevič Tolstoj.\nL'Atlantide (Die herrin von Atlantis, 1932) di Georg Wilhelm Pabst, seconda versione del romanzo di Benoît.\nAtlantide (Siren of Atlantis, 1949) di Gregg G. Tallas, terzo adattamento del romanzo di Benoît.\nTotò sceicco, commedia italiana del 1950 di Mario Mattoli, parodia di tutti i film ispirati alla storia di Benoît.\nIl continente scomparso (Lost Continent, USA 1951) di Sam Newfield.\nAtlantide, il continente perduto (Atlantis, the Lost Continent, 1961) di George Pal.\nAntinea, l'amante della città sepolta (1961) di Edgar G. Ulmer e Giuseppe Masini, quarto adattamento del romanzo di Benoît.\nErcole alla conquista di Atlantide (1961) di Vittorio Cottafavi.\nLe 7 città di Atlantide o I signori della guerra di Atlantide (Warlords of Atlantis) di Kevin Connor (1978).\nL'isola degli uomini pesce (1979) di Sergio Martino.\nI predatori di Atlantide (1983) di Ruggero Deodato.\nL'Atlantide, film del 1992 di Bob Swaim, quinto adattamento del romanzo omonimo di Benoît.\nGamera - Daikaijū kuchu kessen (1995) di Shūsuke Kaneko, in cui viene rivelato che gli Atlantidei crearono i mostri Gamera e Gaos.\nAtlantis - L'impero perduto (Atlantis: The Lost Empire, USA 2001), lungometraggio d'animazione prodotto dalla Disney e ispirato alle atmosfere di Verne.\nAtlantis - Il ritorno di Milo (Atlantis - Milo's return 2003), il seguito di Atlantis - L'impero perduto.\nViaggio nell'isola misteriosa (Journey 2: The Mysterious Island) di Brad Peyton (2012), basato su L'isola misteriosa di Verne.\nAquaman (Aquaman, 2018) di James Wan, basato sull'omonimo personaggio della DC Comics, è ambientato per buona parte nel regno di Atlantide, di cui una piccola parte era stata mostrata in Justice League (2017).\nGodzilla II - King of the Monsters (Godzilla: King of the Monsters), di Michael Dougherty. Godzilla, dopo la prima sconfitta subita da Ghidorah si ritira nella sua dimora situata negli abissi dell’oceano Atlantico coincidente appunto con la città di Atlantide.\nCold skin - La creatura di Atlantide. (2015).\n\nSerie TV.\nL'uomo di Atlantide (1977-1978), con Patrick Duffy che interpreta un sopravvissuto del continente perduto dotato di poteri sovrumani.\nIl segreto del Sahara (1988), miniserie di coproduzione italiana che, pur dichiarandosi 'ispirata all'opera di Emilio Salgari' (senza precisare quale), mostra evidenti influenze del romanzo di Benoît.\nStargate Atlantis, serie TV realizzata come spin-off di Stargate SG-1 e ambientata nella città di Atlantide riscoperta nella galassia di Pegaso.\nAtlantis, serie TV realizzata da BBC One a partire dal 2013 e ambientata in questa città leggendaria.\n\nFumetti e animazione.\nNell'universo DC, sia Aquaman sia Lori Lemaris proverrebbero da un'Atlantide sommersa; nel caso di Lori Lemaris il suo popolo sopravvisse trasformandosi in sirene e tritoni.\nNell'universo Marvel un popolo analogo, dalla pelle blu e branchiato, viene governato dal principe Namor il Sub-Mariner.\nIl disegnatore belga Edgar P. Jacobs ha ambientato ad Atlantide una delle avventure del ciclo Blake e Mortimer (L'enigma di Atlantide, 1955).\nAtlantide ha un ruolo centrale nelle avventure di Martin Mystère, il detective dell'impossibile ideato dall'italiano Alfredo Castelli nel 1982 per Sergio Bonelli Editore. Secondo le ricerche del prof. Mystère, Atlantide e Mu erano due imperi o civiltà rivali, tecnologicamente molto avanzate e in cui parte della popolazione era dotata di poteri telepatici o magici, che si autodistrussero a causa di un'arma muviana impazzita, dopo secoli di convivenza caratterizzati da periodi alterni di conflitto aperto e guerra fredda, ricacciando l'umanità nella barbarie. La capitale di Atlantide era Poseidonia, la 'città dei cinque anelli', mentre la capitale di Mu era Corinna, 'perla d'oriente'. Nel 1982, all'epoca dell'uscita della serie, era evidente il riferimento alla Guerra Fredda e alle due superpotenze USA e URSS che si spartivano l'influenza su diverse aree geografiche. Nella serie a fumetti, in particolare, la sfera d'influenza di Atlantide era il continente americano e l'Europa. Resti della stessa Atlantide compaiono, con importanza secondaria, anche in storie facenti parte dello stesso universo narrativo, ma su collane dedicate a differenti personaggi bonelliani (Zagor, Mister No e Nathan Never). La cosiddetta saga di Atlantide di Nathan Never (1996) narra dello scontro finale tra l'Agenzia Alfa e i signori di Atlantide, che stanno tentando di riportare sulla Terra da un limbo al di fuori dello spazio e del tempo il centro del perduto continente, unica zona sopravvissuta alla distruzione totale delle antiche civiltà di Mu e di Atlantide.\nIn Topolino e l'Atlantide continente perduto (sceneggiatura di Giorgio Pezzin, disegni di Massimo De Vita, 1987), facente parte del filone di storie sulla macchina del tempo del professor Zapotec, Topolino e Pippo assistono alla distruzione di Atlantide causata da un meteorite. Papersera.net - La ricerca I.N.D.U.C.K.S. - Dettaglio della storia. URL consultato il 28 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015)..\nSempre sull'albo Topolino è stata pubblicata una serie legata ad Atlantide con i vari capitoli dislocati nel corso degli anni e ideata da Casty, che vede Topolino, Pippo ed Eurasia Tost confrontarsi anche con la misteriosa Società delle Lepri Viola. Il primo racconto Topolino e il Colosso di Rodi (sceneggiatura di Casty, disegni di Cavazzano) è del 2005, il secondo Topolino e le miniere di Fantametallo (sceneggiatura e disegni di Casty) è del 2011 e il terzo Topolino ed il raggio di Atlantide (sceneggiatura e disegni di Casty) è del 2016.\nAnche Hugo Pratt, con Corto Maltese affronta il tema, correlandolo al mito di Mu. In Mu la città perduta (1988), l'ultima storia del ciclo di Corto, Atlantide sarebbe stata la potente colonia orientale ribellata all'impero di Mu.\nNella serie animata italiana Huntik - Secrets & Seekers (2009-2011), ad Atlantide si trova l'Amuleto della Volontà, un talismano che può richiamare il Titano dell'Immortalità Overlos. Nell'episodio in cui appare Atlantide è una città sommersa nel mar Mediterraneo, a cui si può accedere attraverso un passaggio segreto situato tra le rovine del tempio di Poseidone a Capo Sounion.\nAtlantis - C'Sir, Principessa Shardana e il mistero della Cassa Nuziale trafugata (2007), romanzo a fumetti di Enzo Marciante, riprende la teoria di Sergio Frau. Narra di un'isola meravigliosa in mezzo al Mediterraneo d'Occidente e delle peripezie di una principessa sfortunata, in un sogno-avventura nel mondo Shardana.\nIl mito è protagonista di un episodio della serie animata Ai confini dell'universo.\nAtlantide appare anche in un episodio di Tartarughe Ninja alla riscossa, in cui Shredder intende prendere il controllo del continente sprofondato, più un episodio della serie Tartarughe Ninja del 2003: alleati dei mutanti protagonisti diventano i sovrani delle due versioni animate, rispettivamente Ali-Sel-Malik e Versallia.\nIn una puntata di Transformers: Generation One (1986) i Decepticon scoprono l'esistenza di Atlantide, e si alleano con i suoi abitanti per sconfiggere gli Autobot.\nNelle prime puntate di Transformers: Cybertron, Vector Prime identifica nel simbolo di Atlantide, indossato su una maglietta da un personaggio umano, una reliquia cybertroniana chiamata lucchetto Omega.\nSi fa cenno ad Atlantide (Atlantean) anche in Zak Storm essendo la co-protagonista una principessa del mondo sottomarino.\nNell'ottava puntata della serie animata Netflix Inside Job (2021), viene rivelato che il continenete di Atlantide con l'immensa civiltà è tuttora esistente ed è visibile dallo spazio, venendo quindi celata dai servizi segreti.\n\nAnime e manga.\nNel manga (e poi anche anime) Fantaman (1964) il personaggio omonimo è un eroe atlantideo 'resuscitato'.\nNel manga e anime One Piece, il regno antico è un chiaro riferimento ad Atlantide. Viene descritto come un regno vasto, potente e prosperoso. Viene raffigurato come un'isola e viene fatto intendere che il governo mondiale l'abbia distrutto perché se si fosse saputa la storia del regno, avrebbe costituito una minaccia.\nToriton, protagonista del manga e anime omonimo è un membro della stirpe dei Tritoni, abitanti di Atlantide.\nIn Nadia - Il mistero della pietra azzurra (1990-1991), serie anime della Gainax liberamente ispirata a Ventimila leghe sotto i mari di Verne, la civiltà di Atlantide era una colonia fondata da alcuni alieni giunti sulla Terra, di cui alcuni dei protagonisti della storia sono gli ultimi discendenti.\nNell'anime tratto dal manga Yu-Gi-Oh! (poiché la storia nel manga originale è assente), Atlantide era un regno leggendario di pace e giustizia, dedito alla scienza e alla pacifica convivenza tra gli esseri umani e il regno ultraterreno dove dimoravano i ka generati dagli uomini. Questo fino al giorno in cui gli abitanti di Atlantide conobbero le emozioni negative, tramutandosi a loro volta in ka maligni divorati dall'oscurità. Dartz, il sovrano di Atlantide, tentò allora di risvegliare Leviathan, un dio caduto che sperava potesse purificare nuovamente il suo regno distruggendo tutti i ka (ma in realtà era stato proprio lui a portare l'oscurità su Atlantide), ricorrendo al potere proibito del Sigillo di Orichalcos. Suo padre e sua figlia tentarono di fermarlo radunando un esercito di ka benigni, ma pur venendo sconfitti riuscirono a far sì che i tre Cavalieri di Atlantide potessero sigillare Leviathan e far sprofondare la città nell'oceano. Diecimila anni dopo Dartz ritorna con un nuovo seguito di servitori per tentare nuovamente di risvegliare Leviathan, ma viene sconfitto da Yami Yugi.\nI cieli di Escaflowne (天空のエスカフローネ?, Tenkū no Esukafurōne, in inglese The vision of Escaflowne) (1996), anime da cui sono stati tratti due manga. Il protagonista maschile, principe Van Fanel, è discendente da parte di madre dai draconiani, discendenti a loro volta dai popoli di Atlantide, popolo per altro considerato funesto e dotato di ali bianche da angelo che all'avvicinarsi della morte diventano nere (come accade infatti a Folken Fanel, fratello maggiore di Van).\nAquarion (創聖のアクエリオン?, Sōsei no Akuerion, Aquarion della Sacra Genesi) è una serie anime del 2005 ideata da Shōji Kawamori dove i nemici dell'umanità sono gli Angeli delle Tenebre, residenti nella città di Atlandia (indicata in un episodio come Atlantis).\nNel manga I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade (2006-2011) parte della storia si svolge ad Atlantide.\nNell'anime Moby Dick 5 una guerra nel lontano passato ha causato l'annientamento reciproco di Atlantide e Mu. Il regno di Atlantide, letteralmente scagliato nello spazio dal cataclisma, sta tornando per dominare il pianeta: a questa invasione si oppongono le reincarnazioni di alcuni guerrieri muviani, aiutate da una gigantesca balena robotica e dalla figlia cyborg del re di Mu.\n\nVideogiochi e giochi di ruolo.\nNell'ambientazione di Mystara del gioco di ruolo Dungeons & Dragons, l'impero di Alphatia è ispirato al mito di Atlantide. Nell'avventura La prova dei signori della guerra (CM1 - Test of the Warlords di Douglas Niles (1984)) ci si riferisce a esso addirittura con il nome di Atlantide, e il continente su cui è situato subisce infine la stessa sorte della leggendaria città, sprofondando nell'oceano. Sempre in Dungeons & Dragons, l'ambientazione Blackmoor, inizialmente stand-alone, venne poi integrata nell'ambientazione Mystara, assumendo l'identità di un'antica civiltà tecnologicamente molto avanzata, distrutta poi dalla furia degli dei, proprio come Atlantide.\nIl gioco di ruolo Rifts (1990).\nAtlantide è il soggetto di un videogioco d'avventura, Indiana Jones e il destino di Atlantide (Indiana Jones and The Fate of Atlantis, 1992) della LucasArts. Nel gioco, il protagonista lotta contro i nazisti per ritrovare Atlantide e per fermare la loro scoperta dei segreti del mitico oricalco.\nIn Eternal Champions (1993), della SEGA, il personaggio di Trident era stato creato dagli scienziati di Atlantide per combattere una guerra contro i Romani.\nNel primo episodio della saga di videogiochi di avventura di Tomb Raider (1996), la protagonista archeologa Lara Croft deve svelare un mistero riguardo a un oggetto magico che si trova in Atlantide, dove nell'ultima parte del gioco si recherà alla ricerca dell'artefatto (anche se, in effetti, arriva qui per distruggere il manufatto, lo Scion di Atlantide, pronuncia Schìon, rubatole da una ex-regina del regno perduto, Natla).\nNell'espansione del gioco strategico in tempo reale Signore dell'Olimpo - Zeus intitolata Signore di Atlantide - Poseidon (2001) il giocatore ha la possibilità di intraprendere delle missioni atte a espandere i domini atlantidei dalle Americhe sino al Medio Oriente. Il gioco s'ispira all'ipotesi fantastica per cui lo sviluppo culturale mondiale sia dovuto alle interazioni fra le popolazioni indigene e gli Atlantidei, e alla volontà di questi ultimi di rendere disponibili le proprie conoscenze, secondo intenzioni pacifiche.\nAtlantide è il luogo d'origine di Arkantos, protagonista del videogame di strategia in tempo reale Age of Mythology (2002); gli Atlantidei sono inoltre una delle quattro civiltà utilizzabili nell'espansione Age of Mythology: The Titans (2003): qui gli abitanti dell'isola vengono rappresentati come i protetti dei titani greci Gaia, Crono e Urano, in seguito a un'alleanza stretta fra Titani e popolo di Atlantide.\nIl gioco di ruolo Maghi: il risveglio (2005).\nIn Marvel: La Grande Alleanza (2006), un episodio prevede un viaggio del team in Atlantide, per soccorrere Namor dalle grinfie del ribelle Attuma che ha preso il potere.\nIn God of War: Ghost of Sparta (2010) per PlayStation Portable, il protagonista Kratos si reca ad Atlantide per trovare spiegazione ai sogni premonitori sulla madre scomparsa. Successivamente, uccidendo il mostro Scilla, viene compromesso il meccanismo che tiene a galla il continente, il quale affonda.\nIn Assassin's Creed: Odyssey Atlantide è un mondo collegato ai manufatti della Prima Civilizzazione (Le mele dell'Eden), e sorvegliato dal matematico Pitagora.\n\nMusica.\nAtlantis è un singolo del 1968 del cantautore britannico Donovan.\nAtlantide è un album del 1972 del gruppo musicale The Trip.\nAtlantis è una canzone del 1987 del cantante Tom Hooker.\nAtlantide è un gruppo musicale che nel 1976 ha inciso l'album Francesco ti ricordi.\nReturn To Atlantis è un brano di musica trance del 1999 prodotto dalla band Liquid Childs.\nAtlantide ha ispirato un brano strumentale dei The Shadows, degli album della band olandese Earth and Fire e della band black metal britannica dei Bal-Sagoth.\nAtlantide è una canzone di Francesco De Gregori contenuta nell'album Bufalo Bill.\nVisions of Atlantis sono una band di Symphonic metal austriaca formatasi nel 2000.\nAtlantide è citata nel brano Atlantis dell'album della band heavy metal Marshall intitolato Garden Of Atlantis.\nIl gruppo di neoprogressive Pallas ha inciso un concept album dal titolo The Sentinel, in cui si racconta una variante fantascientifica della storia della fine di Atlantide.\nIl mito di Atlantide ha ispirato un concept album della band progressive-power metal Symphony X intitolato V. Nella vicenda di quest'album si parla del figlio del Sole che raggiunge le coste d'Egitto.\nFranco Battiato si è ispirato al mito di Atlantide per l'omonima canzone contenuta nell'album Caffè de la Paix (1993).\nAtlantide è un tema ricorrente nei testi del gruppo Epic/Heavy Metal Manilla Road.\nAtlantis viene citata nel testo della canzone Faded di Alan Walker, il testo parla proprio della città e del senso di perdizione.\nMax Gazzè si è ispirato al mito di Atlantide per la canzone Il diluvio di tutti contenuta nell'opera elettronico-orchestrale Alchemaya (2018).\n\nAltre isole perdute.\nTra le altre ipotetiche terre perdute, le più famose sono le isole di Avalon e Thule, oltre agli ipotetici continenti di Lemuria e di Mu (entrambi 'nati' nella seconda metà dell'Ottocento). Il filosofo greco Evemero nelle sue opere narra di una simile isola leggendaria di nome Pancaia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Atreo.\n### Descrizione: Atrèo (in greco antico: Ἀτρεύς?, Atrèus) è una figura della mitologia greca, figlio di Pelope e di Ippodamia, fratello di Tieste e padre di Agamennone e Menelao.\n\nEtimologia.\nIl nome potrebbe derivare dalle parole greche ateirés = 'indomabile', àtreston = 'intrepido', o ateròn = 'accecato dal male'. Il personaggio compare nell'Iliade.\n\nIl mito.\nAtreo, insieme a suo fratello Tieste, uccise il fratellastro Crisippo, attirandosi la maledizione paterna. Atreo e Tieste si rifugiarono presso i Danaidi che regnarono a Micene (Stenelo e poi Euristeo) e succedettero a essi dopo che furono sterminati dagli Eraclidi.\nUna versione vuole che Euristeo, re di Micene e nipote di Atreo, delegasse a quest'ultimo la reggenza durante la sua spedizione contro gli Eraclidi. Euristeo però morì in battaglia, e Atreo venne nominato re dai notabili della città. Un'altra versione racconta invece di un oracolo che avrebbe invitato i Micenei a scegliere un nuovo sovrano, dopo che Stenelo - il quale aveva fatto chiamare i cognati Atreo e Tieste - ed Euristeo erano morti.A questo punto Atreo dovette rispettare la promessa fatta ad Artemide di sacrificarle « il più bel capo del suo gregge ». Tuttavia, dopo aver ucciso l'agnello, ne nascose il vello dorato, vantandone pubblicamente il possesso. Erope, la moglie di Atreo, era segretamente innamorata di Tieste, e gli promise il vello per commettere adulterio con lui. Questi approfittò dell'occasione e così, quando nella Sala del Concilio Atreo era ormai sicuro di sedere sul trono, poiché il regno spettava al possessore del prezioso oggetto, si scoprì ingannato e perse la corona.Siccome Zeus nutriva una predilezione nei confronti del fratello defraudato, imbastì un nuovo trabocchetto per permettere ad Atreo di recuperare il trono. Gli mandò infatti Ermes per consigliargli di chiamare Tieste e farsi promettere il trono qualora il sole avesse mutato il proprio corso. Convinto di non dovere temere nulla, il sovrano accettò la proposta, ma quando Eris aiutò Apollo ad operare il prodigio, Tieste fu costretto a cedere lo scettro. Divenuto finalmente re di Micene, Atreo prima bandì Tieste, poi venne a sapere dell'adulterio e si infuriò. Fece richiamare il fratello fingendo una riconciliazione, ma durante una cena gli offrì in pasto Aglao, Callileonte e Orcomeno, i tre figli che Tieste aveva avuto con una ninfa. Poi lo esiliò nuovamente.Fuggito a Sicione, Tieste seguì il consiglio dell'oracolo, secondo cui doveva concepire un figlio con sua figlia Pelopia. Dalla loro unione nacque Egisto. In seguito Pelopia sposò lo zio Atreo, che allevò anche Egisto (credendo fosse figlio suo) finché non lo inviò a uccidere Tieste; il giovane, scoperto che la vittima designata era suo padre, uccise lo zio, prozio e patrigno.Agamennone e Menelao erano figli di Atreo e Erope o, secondo un'altra versione, di Plistene, figlio di Atreo a lui premorto.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Atride.\n### Descrizione: Atrìde è il patronimico dei figli di Atreo: Agamennone e Menelao. Agamennone era maggiore di età e perciò era detto Atríde maggiore, mentre Menelao era l'Atríde minore. I due Atridi hanno un ruolo centrale nell'Iliade di Omero. Agamennone è il capo della spedizione dei Greci a Troia mentre Menelao è lo sposo di Elena la cui fuga con Pàride è la ragione della guerra.\nIn senso ampio, il termine 'Atridi' si riferisce ai discendenti di Atreo, quindi anche ai discendenti di Agamennone e Menelao.\n\nAtreo.\nAtrèo è una figura mitologica greca, figlio di Pèlope e Ippodamia.\nLa vita di Atreo era stata costellata da lutti: Atreo, insieme a suo fratello Tieste, uccise il fratellastro Crisippo, attirandosi la maledizione paterna. La rivalità tra i fratelli nacque dalla contesa per il titolo regale e fu esasperata dall'adulterio di Aèrope, moglie di Atreo, col cognato. Divenuto finalmente re di Micene, Atreo prima bandì Tieste, poi, richiamatolo, si vendicò dell'adulterio facendo con l'inganno mangiare al fratello i tre figli da lui avuti con una ninfa.\n\nAgamennone.\nAgamennone era una delle più importanti figure mitologiche greca, figlio di Atreo e della regina Erope.\n\nMenelao.\nMenelao è una figura mitologica greca, figlio di Atreo e della regina Erope. Fu re di Sparta e marito di Elena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Atteo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Atteo era un autoctono dell'Attica, dal quale la regione avrebbe preso il nome, e secondo una versione, ne sarebbe stato il primo re.\n\nNella mitologia.\nAtteo era il padre di Aglauro e diede il nome all'Attea, una parte dell'Attica.\nAtteo era anche l'epiteto che si utilizzava per chiamare diverse figure dell'olimpo, fra cui Zeus, il padre degli dei.\n\nPareri secondari.\nSecondo altre versioni non era Atteo il primo re dell'Attica ma il marito di Agraulo, Cecrope, l'essere per metà umano e per metà serpente." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Attis.\n### Descrizione: Attis è il paredro di Cibele, il servitore autoeviratosi, che guida il carro della dea.\nIl centro principale del suo culto era Pessinunte, nella Frigia, da cui attraverso la Lidia passò approssimativamente nel VII secolo a.C. nelle colonie greche dell'Asia Minore e successivamente nel continente, da cui fu esportato a Roma nel 204 a.C.\n\nOrigini.\nSecondo la tradizione frigia, conservata in Pausania e in Arnobio, il demone ermafrodita Agdistis (un essere che si pone come intermediario fra il mondo divino e il mondo umano) sarebbe nato dallo sperma di Zeus caduto sulla pietra, mentre il dio cercava di accoppiarsi con la Grande Madre sul monte Agdistis chiamato anche Agdos.Gli dei dell'Olimpo spaventati dalla potenziale forza del figlio di Zeus, in cui si sommavano le caratteristiche del maschile e femminile, mandarono Dioniso, che lo evirò mentre dormiva e lasciandolo solo con i caratteri sessuali esterni femminili; il sangue sgorgato al momento dell'asportazione del membro virile del ragazzo generò un albero di mandorlo (o di melograno).\nLa figlia del fiume Sakarya (Sangarios), Nana, colse un frutto dall'albero e rimase incinta. Il figlio che nacque venne chiamato Attis, in quanto fu allattato da una capra (in frigio attagos), dopo essere stato cacciato sulle montagne per ordine di Sakarya.\nAttis crebbe allevato da alcuni pastori che lo avevano trovato fra i monti. Si distinse per la sua bellezza, cosicché CibeIe, la figlia di Macone re di Frigia che era stata anch'essa abbandonata ed allevata dai pastori, se ne innamorò e ne ebbe un figlio. Poco tempo dopo, Cibele fu riconosciuta e raccolta dal padre che, informato della sua relazione, fece uccidere Attis e Io lasciò insepolto. Cibele ne fu talmente afflitta che errò impazzita per la campagna.\nSecondo altri, la dea Cibele era invaghita di Attis, malgrado ciò egli si innamorò della ninfa chiamata Sangaride, figlia di Sangario fiume della Frigia. Cibele, scoperto questo segreto, fece morire Sangaride tagliando un albero al quale erano attaccati i suoi giorni, ed Attis, nel suo dolore, si mutilò in modo da non poter più corrispondere alle brame della Dea. Cibele considerò questo castigo troppo crudele e gli restituì il membro virile, prendendolo al suo servizio.\nSecondo un altro mito, Attis fu mandato a Pessinunte per sposare la figlia del re Mida. Durante la celebrazione del matrimonio, Agdistis, innamorato del giovane, fece impazzire tutti gli invitati e lo stesso Attis, che, sotto un pino, si amputò il pene. Dal suo sangue nacquero le viole mammole. Cibele, madre degli dei, ottenne che il giovane si salvasse e diventasse il cocchiere del suo carro.\nI poeti ed i mitologi variano moltissimo nel raccontare gli amori di Cibele e di Attis. Catullo ne compose un piccolo poema, mentre secondo Ovidio, Attis fu trasformato in un pino, rappresentato in molti antichi monumenti.\nAttis fu adorato in Frigia e chiamato il Dio di Pessinunte; alcuni autori dicono che Cibele lo trasformò in una quercia per cui questo albero fu a lei sacro, ma i più vogliono che l’albero sacro a Cibele fosse il pino, ed in pino fu da lei mutato Attis.\n\nCulto nella Roma antica.\nGià durante il I secolo a.C. le vicende del giovane erano ben note ai Romani come dimostra la reinterpretazione catulliana del mito nel carmen LXIII del Liber Catullianus. In epoca imperiale il ruolo di Attis, la cui morte e resurrezione simboleggiava il ciclo vegetativo della primavera, si accentuò gradualmente, dando al culto una connotazione misterica e soteriologica.Ad Attis erano dedicate un ciclo di festività che si tenevano fra il 15 e il 28 marzo, e che celebravano la morte e la rinascita del dio. Tra queste vi erano il Sanguem, celebrato dai Galli e l'Hilaria. Tracce di questi culti, che presero il nome di Attideia, sono presenti anche in colonie greco-romane (ad esempio quella di Egnazia in Puglia).\n\nDal suo mito l'imperatore Flavio Claudio Giuliano incomincerà a scrivere uno dei suoi più famosi testi l'Inno alla madre degli dei, in cui loda Cibele e indaga sul significato filosofico di Attis e della dea.\nSecondo lo storico ed etnografo Antonio Basile, il rito del sangue del dio Attis sopravvive tuttora in una manifestazione dei riti della settimana santa a Nocera Terinese in Calabria, dove i vattienti compiono il 'rito devozionale' della flagellazione consistente nel percuotersi cosce e gambe con tredici pezzi di vetro collocati su un pezzo di sughero denominato 'cardo'. Nella pubblicazione Folklore della Calabria, Basile asseriva che: «'[..] non è meraviglia che sopravviva ancora in un vecchio paese della Calabria il rito antichissimo del sangue: originario per la morte di Adone e per la sua resurrezione e per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adottato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza'».\n\nCorrispondenze della divinità.\nIl dio Attis è associato dagli studiosi a tutte divinità legate agli antichi riti di propiziazione della fecondità della terra, trovando corrispondenza in Adone, nel mesopotamico Tammuz e in Sandan di Tarso di Cilicia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Attore (figlio di Ippaso).\n### Descrizione: Attore è un personaggio della mitologia greca. Viene contato tra gli Argonauti.\nDi lui si sa che era figlio di Ippaso, e che proveniva dalla città di Pellene, in Acaia. Come gli altri Argonauti, rispose all'appello di Giasone per partecipare al recupero del vello d'oro.\nNon si distinse particolarmente durante il viaggio e non è citato in altri contesti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Augia.\n### Descrizione: Augia (in greco antico: Αὐγείας?, Augèiās) è una figura della mitologia greca. Era un re dell'Elide.\nÈ conosciuto soprattutto per le sue stalle, protagoniste di una delle fatiche di Eracle.\n\nGenealogia.\nIgino lo indica come uno degli Argonauti e figlio di Elio e di Nausidame mentre Pausania lo indica come figlio di un re d'Elide di nome Eleo e di Nausidame. Apollodoro lo indica figlio di Poseidone o figlio di Forbante e Irmine.\ne fratello di Astidamia.\nNon sono pervenuti i nomi della moglie o delle mogli, ma tra i suoi figli ci furono Agastene, Fileo ed Eurito, e tra le figlie la maga Agamede ed Epicasta, rapita da Eracle..\n\nMitologia.\nAugia aveva ereditato moltissimo bestiame che, grazie all'origine divina, era immune dalle malattie e cresceva indefinitamente.\nAugia non puliva mai le stalle e le scuderie, tanto che il letame che continuava ad accumularsi creava seri problemi nei dintorni e il cielo era oscurato dagli sciami di mosche attirate dalla sporcizia.\nLa quinta impresa delle fatiche di Ercole consistette nella pulizia delle stalle in un solo giorno, su ordine di Euristeo così Ercole disse al re Augia che avrebbe ripulito lo sterco dalle sue enormi stalle prima del calar del sole e in cambio gli chiese un decimo di tutto il suo bestiame.\nIl re incredulo accettò la scommessa e i due giurarono sul loro accordo. Ercole aprì due brecce nei muri delle stalle e deviò il corso dei vicini fiumi Alfeo e Peneo e le acque impetuose invasero le enormi stalle e i cortili spazzando via lo sterco fino alle valli del pascolo.\nCosì Eracle compì la sua quinta fatica ripulendo l'intera terra dell'Elide senza nemmeno fare fatica.\nTerminato il lavoro Ercole chiese al re Augia la ricompensa promessa, ma questi rifiutò dicendo che non era stato Eracle a ripulire le stalle bensì i fiumi e sostenendo di essere stato da lui ingannato. Ercole chiese che la controversia fosse sottoposta a giudizio che però fu a suo svantaggio e venne scacciato dall'Elide. Infine Euristeo non considerò valida la fatica poiché Ercole ne avrebbe ricevuto un compenso.\nSecondo un'altra versione, la lite che seguì alla mancata ricompensa per il lavoro svolto portò a una guerra dove Ercole vinse e Augia fu ucciso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ausia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ausia era una delle ninfe.\nFu l'amata sposa di Proteo, figlio di Oceano e della nereide Teti, da cui ebbe una figlia, chiamata Mera, dalla quale deriva il nome del fiume omonimo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ausone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ausone o Ausonio era il re di un popolo italico, gli Ausoni.\n\nMito.\nIl padre di Ausone era Ulisse, l'eroe protagonista dell'Odissea, mentre la madre era la maga Circe oppure la ninfa Calipso.\nAusone in seguito ebbe un figlio chiamato Liparo (che avrebbe dato il nome all'Isola di Lipari).\n\nVersioni alternative.\nSecondo l'interpretazione del mito che lo volle figlio di Calipso, Ausonio venne in Italia e diede il suo nome ad una terra chiamata in seguito Ausonia.\nPer Strabone (VI 225 vg), Ausone avrebbe fondato la città di Temesa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Auspicia.\n### Descrizione: Gli Auspicia (plurale dal latino auspicium), secondo la religione romana, sono divinazioni tratte dall'osservazione di fenomeni considerati divini.\n\nStoria.\nNati come divinazioni tratte dall'augure dall'osservazione del volo degli uccelli, acquisite dagli Etruschi, nel tempo sono state tratte da altri tipi di osservazioni.\nTenuti in gran conto durante l'epoca Monarchica e per lungo tempo anche durante quella Repubblicana, gli Auspicia con il tempo andarono perdendo il loro carattere religioso, acquisendo quello di atto tradizionale, tanto che verso la fine della Repubblica, accadeva che gli auguri fossero pagati per trarre presagi positivi.\n\nTipi di auspicia.\nPresso i romani esistevano cinque diversi tipi di auspici.\n\nEx avibus (dagli uccelli).\nAnche se gli auspici spesso erano di questo tipo, non tutti gli uccelli del cielo erano considerati come portatori della volontà degli Dei. C'erano due classi di uccelli: gli Oscines, che esprimevano la volontà degli dei attraverso il loro canto, e gli Alites, che esprimevano gli auspici attraverso il volo. A seconda del movimento degli uccelli, del loro numero e da altri fattori, un augure tracciava dei segni immaginari nel cielo e poi li riportava, proiettandoli, sul pavimento, creando una specie di mappa.\n\nEx caelo.\nQuesto auspicio, una particolare forma di aeromanzia, comportava l'osservazione di tuoni e fulmini e spesso è stato visto come l'auspicio più importante. Ogni volta che un augure riferiva che Giove aveva mandato giù tuoni e fulmini, non si potevano tenere i comitia.\nI Romani consideravano come segno favorevole il lampo che balenava nel cielo da sinistra a destra, e sfavorevole il lampo che scorreva da destra a sinistra.\n\nEx tripudiis.\nQuesti auspici erano legati alle abitudini alimentari dei polli e generalmente sono stati utilizzati durante le spedizioni militari. I polli erano tenuti in una gabbia sotto la cura del pullarius; questi, quando doveva trarre gli auspici, liberava i volatili ai quali veniva lanciato qualche forma di pane. Se i polli si rifiutavano di uscire dalle gabbie o di mangiare, se battevano le ali o volavano via, l'auspicio era considerato sfavorevole.\n\nEx quadrupedibus (da quadrupedi).\nQuesti auspici, che non venivano utilizzati nelle funzioni pubbliche, venivano tratti dal cammino di un quadrupede, una volpe, lupo, cavallo, o un cane, che attraversava il percorso di una persona.\n\nEx diris (da presagi).\nA questa categoria di auspici apparteneva ogni altro evento o avvenimento che non rientra nelle altre categorie. Potevano essere accadimenti accidentali, come uno starnuto o un inciampo, che poteva essere preso come un segno degli Dei da interpretare.\n\nEsempi di auspicia.\nAscanio, figlio di Enea, trasse auspici favorevoli, nella forma di un lampo che scorreva da sinistra a destra, prima di scendere in battaglia contro Mezenzio.\nLa versione più accettata della Fondazione di Roma si basa sugli auspici tratti da Romolo e Remo dal volo degli uccelli per decidere chi tra loro sarebbe stato il primo Re di Roma.\nRomolo accettò la nomina solo dopo aver preso gli auspici favorevoli del volere degli dei, che si manifestò con un lampo che balenò da sinistra verso destra.Marco Valerio Corvo ebbe un segno da un corvo che si appollaiò sulla galea contro il nemico gallo di proporzioni gigantesche, quando iniziò il combattimento il corvo di levò sulle sue ali e si gettò con il rostro e gli artigli contro gli occhi del nemico, aiutando il tribuno a vincere. Battuto l'enorme gallo, la vittoria arrise ai romani.A retaggio o eredità delle tradizioni passate, da questi auspicia è nata la leggenda dei 'giorni della merla', con le sue molteplici varianti; oppure troviamo ancora viva la leggenda dei 'corvi della Torre di Londra'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Autoctono (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, un autoctono (dal greco αὐτός, autòs, stesso, e χθών, chthòn, suolo) era un essere nato spontaneamente dalla terra, senza l'intervento di genitori mortali o divini.\nMolti fondatori delle più antiche poleis greche erano considerati autoctoni. Il concetto si contrappone a quello di colono, che era invece un fondatore proveniente da un'altra regione.\n\nMitologia.\nIl fondatore e primo re di Atene, Cecrope, era considerato autoctono e nato con la parte inferiore del corpo a forma di serpente, che era considerato un simbolo della terra stessa. Anche altri re di Atene, tra cui Cranao e Anfizione, erano, in certe tradizioni, autoctoni. Il primo re della Laconia, Lelego, della Beozia, Ogigo, e dell'Arcadia, Pelasgo, erano parimenti considerati autoctoni.\nIl mito presenta alcune varianti, e alcuni autoctoni nascono dalla terra tramite un intervento umano o divino: Cadmo, il primo re di Tebe, fu aiutato nella fondazione della città dagli Sparti, esseri nati dai denti di un drago gettati nella terra. Nel mito di Deucalione e Pirra, la coppia gettò dei massi nella terra, e da quelli gettati da Deucalione nacquero gli uomini, mentre da quelli gettati da Pirra nacquero le donne. Erittonio, un altro re mitologico di Atene considerato autoctono, nacque in realtà dal seme di Efesto disperso sulla terra.\n\nInterpretazione.\nIl mito dell'autoctonia riflette la convinzione degli storici o delle tribù stesse di essere i primi umani ad abitare la loro terra, e fu probabilmente sviluppato per rafforzare l'autonomia delle poleis e il legame tra i cittadini e la loro patria.\nIl concetto sopravvisse all'ambito della mitologia, e fu applicato anche dagli storici antichi, in riferimento a vari popoli: il termine appare dal V secolo a.C., negli scritti di Erodoto e di Tucidide, e fu impiegato anche da Ellanico di Lesbo e Strabone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Autonoe (figlia di Cadmo).\n### Descrizione: Autonoe (in greco antico: Αὐτονόη?, Autonòē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Cadmo e di Armonia.\n\nMitologia.\nFu moglie di Aristeo, da cui ebbe un figlio, Atteone.\nSecondo il mito, durante una crisi estatica, la donna uccise Penteo, con Agave e Ino, poiché lo credeva una belva feroce.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Auxesia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Auxesia era il nome di una divinità dedita alla fertilità, alla crescita.\n\nEtimologia.\nIl suo nome dervia dal greco áuxo, ovvero crescere.\n\nNel mito.\nSi tratta di una divinità venerata a Epidauro con Damia, si racconta anche della festa chiamata Lithobolia (festa del lancio delle pietre. I due nomi della divinità vengono anche considerati degli appellativi sia di Demetra, che di Bona e di Persefone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Aventino (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Aventino era il nome di uno dei figli di Eracle e di Rea.\nDiventò re degli Albani. Si unì successivamente a Turno nella guerra contro Enea.\nDal nome di questo personaggio mitico potrebbe derivare quello del colle Aventino (Roma)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Axto.\n### Descrizione: Axto è un personaggio minore del mito di Minosse e del Minotauro.\nMentre Pasifae si trovava nella vacca di bronzo costruita per lei da Dedalo perché potesse unirsi al Toro di Creta, fu vista da un contadino che lavorava nei campi, Axto.\nQuest'ultimo venne catturato e portato al cospetto del re, il quale lo fece torturare per tre giorni, fino a quando Axto rivelò ciò che aveva visto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Azoro.\n### Descrizione: Azoro (in greco antico: Ἀζωρος?) era una città dell'antica Grecia ubicata in Tessaglia.\n\nStoria.\nSi trovava nel distretto di Perrebia, nelle vicinanze di Dolice e Pitione tanto che queste tre città costituivano un'unità politica chiamata Tripolis. Strabone la sitaa a centoventi stadi da Ossinio.Durante la guerra romano-siriaca, Tripolis venne colpita da un esercito di soldati dell'Etolia comandati da Menipo nel 191 a.C. Viene citata nel corso della terza guerra macedone: le tre città si arresero all'esercito macedone comandato da Perseo di Macedonia nel 171 a.C., ma nello stesso anno i romani riconquistarono le tre città. Nel 169 a.C. vi giunse un esercito guidato dal console romano Quinto Marcio Filippo che si accampò tra Azoro e Dolice.Le tre città coniarono una moneta comune con la scritta «ΤΡΙΠΟΛΙΤΑΝ»." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Babi (mitologia greca).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Babi era il nome di uno dei figli di Meandro.\n\nIl mito.\nBabi, figlio di una delle divinità minore dei fiumi, in quanto nell'antica Grecia si credeva che ogni fiume avesse origini divine, fratello di Marsia, famoso per essere tanto abile nel suonare il flauto da sfidare il divino Apollo, quando il dio si vendicò della presunzione di Marsia stava per far esplodere la sua rabbia anche contro Babi, ma fu salvato dalle sue capacità scarsissime con il flauto.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nNell'antica Grecia tale storia diede origine a proverbi, ormai caduti in disuso come “suonare peggio di Babi”." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bacchiade.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bacchiade (in greco antico: Βάκχις) era il nome di uno dei figli di Prumnide.\n\nIl mito.\nBacchiade discendente da Eracle, l'eroe famoso per le sue innumerevoli avventure, o di Dioniso il dio del vino, riuscì a creare una delle più importanti stirpi di eroi che diedero grande lustro alla città di Corinto, dove regnò con giustizia per molti anni. I suoi discendenti presero il nome di bacchiadi.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nCorinto era una città famosa all'epoca greca, maestosa e piena di potere, i mitografi vollero donare un alone di divinità alla loro stirpe, affermando una loro discendenza dal dio o dal più famoso degli eroi. Questo artificio era molto comune a quei tempi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Baia di Eleusi.\n### Descrizione: La baia di Eleusi è un'insenatura costiera di Eleusi, comune greco della prefettura dell'Attica Occidentale, e centro abitato già nell'antica Grecia, situato nel sito dove oggi sorge Elefsina, in Attica, davanti all'isola di Salamina, a circa 18 km a N-0 di Atene.\nSi trova all'estremità settentrionale del golfo di Saronico, o golfo di Egina (in greco: Σαρωνικός κόλπος, Saronikós kólpos), un ampio golfo sulla costa orientale della Grecia, aperto alle acque del mar Egeo, situato nel lato orientale dell'istmo di Corinto.\n\nVoci correlate.\nEleusi.\nMisteri eleusini.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Baia di Eleusi.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Sito ufficiale, su eleusina.gr." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Baleo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Baleo era il nome di uno dei compagni di Eracle che lo aiutò nelle sue imprese.\n\nIl mito.\nEracle durante il compimento delle sue dodici fatiche fu aiutato da tantissimi amici che vedevano in lui un compagno ed un eroe su cui contare. Uno di loro fu Baleo, abile guerriero che aiutò il semidio durante la cattura della mandria di Gerione. Durante il lungo viaggio Baleo morì in una delle isole che dopo presero il nome da lui, le Baleari." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Balio e Xanto.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Balio (Balios, dal significato di 'pezzato, pomellato') e Xanto (Xanthos, dal significato di 'giallo, fulvo, baio') erano due cavalli immortali nati dal vento dell'ovest Zefiro (oppure, secondo un'altra tradizione, da Zeus) e dall'Arpia Podarge. Entrambi avevano il dono della parola, concessogli da Era. Erano guidati da Automedonte, il cocchiere di Achille.\n\nIl mito.\nAlle nozze di Peleo e Teti, tutte le divinità fecero dono allo sposo di qualcosa di prezioso. Il dio Poseidone, re dei mari, gli donò i cavalli immortali Xanto e Balio.\nTroppo vecchio per partecipare alla guerra di Troia, Peleo fece quindi dono al figlio Achille di molti dei suoi tesori, fra cui i due formidabili cavalli. Tali animali fecero compagnia all'eroe fino alla fine dei suoi giorni. Xanto predisse ad Achille la sua morte imminente, facendolo infuriare.\nQuando nella famosa guerra Achille uccise Ettore, ne legò il cadavere al proprio cocchio ed istigò i cavalli Xanto e Balio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Bandiera della Sicilia.\n### Descrizione: La bandiera della Sicilia è la bandiera ufficiale della Regione Siciliana, regione a statuto speciale.\nLa bandiera, le cui origini risalgono al regno di Sicilia nel XIII secolo, è stata adottata ufficialmente, su proposta dell'allora presidente dell'Assemblea regionale siciliana Nicolò Cristaldi, con la legge regionale 4 gennaio 2000 n. 1, e viene esposta in tutti gli edifici pubblici siciliani.\n\nStoria.\nLa bandiera siciliana ha avuto sempre come simboli distintivi la triscele e il gorgoneion.\n\nOrigini della triscele.\nLa triscele, comunemente chiamata anche trinacria, è lo storico simbolo della Sicilia. Si tratta della raffigurazione di un essere con tre gambe (dal greco τρισκελής appunto). È un simbolo di origine Neolitica, e ha una storia articolata e complessa; essa è similare a simboli di altre civiltà antiche come i Celti, e di diverse aree geografiche del pianeta, dal centro America, alla Mesopotamia e all'India.\n\nDopo il ritrovamento di una triscele nella zona di Agrigento, a Palma di Montechiaro, sarebbe da accreditare in particolare l'ipotesi dell'origine minoica delle prime civiltà sull'isola, a conferma di quanto racconta Omero, e cioè che Minosse, partito da Cnosso all'inseguimento di Dedalo, sbarcò in Sicilia. Questa Triscele di terracotta è conservata presso il Museo Archeologico di Agrigento.\n\nIl gorgoneion.\nL'altro simbolo della bandiera intersecato con la triscele è il gorgoneion, ovvero la testa della Gòrgone (comunemente chiamata Medusa), i cui capelli erano serpenti.\nAltra versione della testa è quella di una donna dalla quale spuntano delle ali che simboleggiano il trascorrere del tempo, contornata da serpenti per indicare la saggezza. Furono poi aggiunte le spighe di grano dai Romani, sia come simbolo di fertilità sia perché la Sicilia infatti fu la prima provincia e 'granaio' di Roma.\n\nLa prima bandiera e usi successivi.\nLa bandiera venne utilizzata per la prima volta nel 1282 nella Rivoluzione del Vespro dai siciliani, volendo simboleggiare l'unità della Sicilia nello scacciare gli Angioini.\nIl significato dei colori, posizionati in ordine inverso rispetto alla odierna bandiera della Regione Siciliana, simboleggerebbe l'unione dei colori comunali di Palermo (capofila nelle ribellioni) e Corleone (in ordine, rosso e giallo), unitisi per primi nella rivoluzione che vedeva i Siciliani fronteggiare gli Angioini. Palermo era la capitale sin dal tempo dell'Emirato di Sicilia, Corleone era importante centro agricolo e civile dell'entroterra di Sicilia.Nel 1296, con l'ascesa di Federico III, sul trono di Sicilia, viene introdotta quella che sarà la bandiera del Regno di Sicilia fino al 1816. Il vessillo si presenta con una inquartatura in decusse, ovvero in croce di Sant'Andrea: al 1° e al 4° quarto sono poste le barre d'Aragona, mentre, al 2° e al 3° quarto, campeggiano, affrontate o rivolte verso il pennone, le aquile di Svevia-Sicilia.\nNella rivoluzione del 1848, precisamente il 27 maggio, la Trinacria, posta al centro del tricolore italiano, fu adottata quale simbolo dell'isola dal Parlamento siciliano:.\n\nLa triscele fu usata anche sull'elmetto della Guardia nazionale siciliana tra il 1848 ed il 1849.\nLo stesso simbolo fu poi brevemente riutilizzato dai comitati rivoluzionari, ed in seguito dalle amministrazioni dell'isola nel 1860 sotto l'amministrazione di Garibaldi, durante la spedizione dei Mille, ma venne sostituita un mese dopo dalla bandiera del Regno d'Italia con Decreto Dittatoriale n. 43 del 17 giugno 1860.\nNel 1944 il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia adottò una bandiera tagliata di rosso e di giallo, come simbolo del separatismo siciliano.\nL'Assemblea regionale siciliana nel 1990 approvò l'adozione di stemma e gonfalone, e nel 2000 dell'attuale bandiera.\n\nDescrizione.\nLa bandiera è costituita, secondo la legge, da 'un drappo di forma rettangolare che al centro riproduce lo stemma della Regione siciliana, con dimensioni pari a tre quinti dell'altezza della bandiera, formato da uno scudo alla francese raffigurante al centro la triscele color carnato, con il gorgoneion e le spighe. Il drappo ha gli stessi colori dello stemma: rosso aranciato e giallo'.\n\nGonfalone e stemma.\nLo stemma ed il gonfalone della Regione sono stati adottati con la legge regionale 28 luglio 1990 n. 12 approvata dall'Assemblea regionale siciliana, su proposta del parlamentare regionale e storico Giuseppe Tricoli.\nNel gonfalone sono presenti lo stemma normanno, quello svevo, la triscele e quello aragonese.\nLo stemma è costituito da uno scudo alla francese raffigurante al centro la triscele color carnato, con il gorgoneion e le spighe, in campo trinciato color rosso aranciato e giallo.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Basilica di Paestum (tempio greco).\n### Descrizione: La Basilica (detta anche tempio di Hera) si trova nel sito archeologico di Poseidonia, città della Magna Grecia ribattezzata dai Romani Paestum. È ubicato nel santuario meridionale della città, dove si erge, parallelamente e pressoché allineato sul lato orientale, a breve distanza dal posteriore tempio di Nettuno.\nSebbene siano andate completamente distrutte le parti superiori della trabeazione, nonché le strutture murarie del naos (la cella) ed ampissime porzioni della pavimentazione, lo stato di conservazione è da considerarsi eccellente. La Basilica di Paestum è infatti l'unico tempio greco di epoca arcaica in cui la peristasi, qui composta da 50 colonne, è conservata integralmente.\n\nStoria.\nIl tempio fu edificato a partire dalla metà del VI secolo a.C., ma la sua costruzione dovette terminare solamente nell'ultimo decennio. Come lasciano ipotizzare i materiali votivi con dedica alla dea ritrovati nei suoi dintorni, il tempio era probabilmente dedicato ad Era, sposa di Zeus e principale divinità venerata a Poseidonia, l'importanza della quale è attestata dall'Heraion alla foce del Sele, il grande santuario extraurbano interamente dedicato alla dea, la cui costruzione fu avviata simultaneamente alla fondazione della città.\nLa denominazione 'Basilica', con la quale il tempio è più noto, gli venne attribuita nella seconda metà del XVIII secolo, quando la cultura architettonica neoclassica cominciò ad interessarsi a Paestum. La totale sparizione dei timpani e di gran parte della trabeazione, assieme all'anomalo numero dispari delle colonne sulla fronte, rese incerta l'identificazione funzionale, come tempio, dell'edificio; questo, interpretato come 'porticato' oppure come 'ginnasio o collegio', venne chiamato basilica, nel significato, proprio del termine romano, di struttura porticata adibita a sede di tribunale ed alle assemblee dei cittadini.\n\nStruttura planimetrica.\nÈ un tempio periptero enneastilo (cioè con nove colonne sulla facciata e sul retro) con diciotto colonne sui lati lunghi. ll rettangolo dello stilobate misura 24,50 x 54,24 m. L'edificio è orientato verso est come il vicino tempio di Nettuno, assieme al quale determina il grandioso aspetto monumentale del santuario meridionale di Poseidonia. Un grande altare, riportato alla luce durante gli scavi condotti da Vittorio Spinazzola agli inizi del secolo scorso, fronteggia ad est il tempio, a 29,50 m di distanza, in posizione perfettamente parallela alla fronte templare e simmetrica rispetto all'asse dell'antistante edificio.\nIl semplice rapporto proporzionale 1:2 si esprime dunque non nelle dimensioni lineari del rettangolo del tempio ma nel numero delle colonne (9 x 18). Queste sono intervallate da interassi di misura differente tra le fronti (interasse di ca. 2,86 m) e i fianchi (interasse di ca. 3,10 m). Dall'assenza di contrazione degli interassi angolari per la soluzione del conflitto angolare si deduce che le metope angolari erano allungate rispetto a quelle 'normali'.\nLa Basilica ha la particolarità di avere un numero dispari (9) di colonne sulla fronte, come conseguenza della disposizione, lungo l'asse dell'edificio, di un unico colonnato centrale all'interno della cella. La presenza di un colonnato interno in posizione assiale, certamente in funzione di supporto del colmo centrale della copertura a doppio spiovente, rappresenta un sicuro indicatore architettonico dell'archeicità del tempio. Tale soluzione planimetrica fu poi rifiutata dall'architettura greca del periodo classico (e da ogni stile classicista, nei vari secoli successivi), perché impediva l'accesso e la vista assiale verso il naos, negando un rapporto diretto con la sacralità del tempio.\n\nSpazi interni.\nLa cella (naos), profonda 9 interassi, era preceduta da un pronao, di 2 interassi di profondità, con tre colonne disposte tra due ante, dalle quali si originano i muri che la chiudevano lungo i lati. Coerentemente con la disposizione di una colonna esterna centrale in posizione assiale, la cella è bipartita da un colonnato interno centrale, formato da 7 colonne, di cui sono conservate le prime tre.\nDietro la cella è ricavato l'adyton, un ambiente chiuso e anch'esso profondo 2 interassi, introdotto in sostituzione dell'opistodomo (il corrispondente simmetrico del pronao sul retro) al termine di ripensamenti progettuali in corso d'opera, rilevati grazie ad indagini sulle fondazioni; queste hanno permesso di accertare tre fasi di progettazione, a conclusione delle quali, oltre alla sostituzione dell'opistodomo con un adyton, il colonnato centrale della cella venne ridotto da otto a sette elementi; è ipotizzabile che la motivazione di questi ripensamenti progettuali risieda in sopraggiunte modifiche alle pratiche di culto, che implicarono l'introduzione di rituali con processioni richiedenti una nuova configurazione degli spazi interni. Il vano dell'adyton, caratteristico dei templi greco-occidentali (Magna Grecia e Sicilia) nel periodo arcaico, era accessibile, attraverso porte che lo collegavano al naos, solo agli addetti al culto. Esso era probabilmente la sede del tesoro del tempio e del simulacro della divinità.\n\nLe colonne. Stile e decorazioni.\nLe colonne sono di tipo dorico e sono alte circa 6,48 m, hanno un fusto percorso dalle canoniche 20 scanalature e fortemente rastremato, con un diametro inferiore di circa 1,45 m ed uno superiore di circa 0,98 m. L'aspetto delle colonne è determinato innanzitutto dal caratteristico rigonfiamento nella zona mediana dovuto ad un'entasi assai evidente, con una 'freccia' di circa 4,8 cm. L'echino del capitello, come si addice a colonnati di età arcaica, è molto schiacciato ed espanso, e l'abaco molto largo.\nLo stile dorico in cui sono realizzate le colonne della Basilica presenta potenti tendenze decorative, che lo ricollegano a quello diffuso, in epoca arcaica, in altre colonie di fondazione achea; si tratta di uno stile che, sottoposto ad una razionalizzazione formale, ispirerà anche la realizzazione del successivo tempio di Athena, e di cui il tempio di Nettuno, costruito in uno stile dorico oramai 'canonico', segnerà a Poseidonia il definito abbandono.\n\nTre sono i fenomeni decorativi che interessano la Basilica. (1) I collarini di ciascuna colonna sono decorati con foglie baccellate di numero variabile.(2) Su alcune colonne della fronte occidentale le decorazioni interessano addirittura la parte inferiore dell'echino, immediatamente al di sopra degli anuli, sulla quale è scolpita in rilievo una fascia decorativa floreale differente in ciascuna colonna; tra queste spicca, per lo stato di conservazione e la sua bellezza, la decorazione realizzata sul capitello della colonna in posizione centrale, composta da un'alternanza di rosette e fiori di loto. (3) Questo stile decorativo raggiunge il suo culmine con l'ornamento floreale a rilievo (sequenze di fiori di loto e palmette), di cui non esistono altri esempi, che percorre l'intero corpo dell'echino delle sei colonne con capitello in arenaria disposte all'interno (le tre del pronaos e le prime due del colonnato centrale assiale) e all'angolo sud-est della peristasi; vivaci policromie, di cui rimangono tracce (rosso e blu), rivestivano queste decorazioni floreali.\n\nTrabeazione e tetto.\nDella trabeazione rimangono gli architravi e pochi altri elementi, che però, assieme ad importanti resti della copertura fittile del tetto, ne hanno consentito una ricostruzione quasi completa, il tetto e la trabeazione erano decorati con materiale litico di travertino locale e di marmo importato dall'Egeo.\nL'ordine delle strutture superiori del tempio, al di sopra degli architravi, si discosta profondamente da quello dorico 'canonico' ed è da ricollegare alla tradizione architettonica seguita nelle colonie achee durante il periodo arcaico. Invece del sistema di taenia e regulae sovrastante gli architravi, gli architetti della Basilica disposero una modanatura realizzata in arenaria, della quale rimangono ancora elementi. Questa struttura fungeva da base per il fregio, che nell'ordine dorico 'canonico' è invece direttamente collegato al sottostante colonnato. Grazie alle tracce di posizionamento presenti ed al loro andamento è stato infatti possibile arguire l'esistenza di un fregio dorico, costituito dall'usuale alternanza di triglifi, coordinati con gli assi delle colonne ed i centri degli architravi, e metope; è possibile che queste ultime, come quelle provenienti dall'Heraion di Foce Sele, fossero scolpite.\n\nL'alzato era privo di un geison orizzontale. Il suo coronamento non era in pietra ma composto da un rivestimento in terracotta policroma, con finte grondaie a testa di leone, delle quali riemersero numerosi frammenti (alcuni esposti al Museo Archeologico Nazionale di Paestum) durante gli scavi del 1912. I bordi della copertura terminavano con antefisse che, come è stato possibile comprendere grazie ai ritrovamenti, alternavano la forma di palmetta a quella di fiore di loto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bassaride.\n### Descrizione: Bassaride (in greco antico: βασσαρίς, -ίδος?, bassarís, -ídos, 'volpe, baccante, cortigiana'; in latino: Bassăris, -ĭdis, «Baccante») è uno dei nomi con cui erano indicate le baccanti della Tracia e della Lidia, chiamate così perché nel culto dionisiaco si coprivano di pelli di volpe.\nIl termine greco deriva infatti dal vocabolo anario βασσάρα (bassàra) che indicava la volpe. In Egitto la volpe era chiamata con un nome simile ('wasar') e il Lepsius aveva trovato immagini in cui dei sacerdozi egizi indossavano pelli di volpe (Denkmäler aus Ägypten und Äthiopien, II, 112, 128). In Lidia e Tracia, ma non nell'Ellade rimanente, durante i riti le seguaci di Dioniso indossavano pelli di volpe lunghe fino ai piedi, e anche a Dioniso veniva dato l'appellativo di 'Bassàreo'. I riti consistevano in una specie di trance allucinatoria che culminava nel rito dello sparagmòs (in greco antico: σπαραγμός), cioè nell'uccisione di un giovane animale, nello smembramento e nella consumazione delle sue carni crude (in greco antico: ὠμοϕαγία?, omophagìa).\n\nOpere.\nLe Bassaridi (in greco antico: βασσάραι?, Bassàrai) - tragedia di Eschilo per noi perduta. Uno scolio ravennate alle Tesmoforiazuse di Aristofane (Thesm. 135) cita una perduta tetralogia di Eschilo intitolata Licurgea comprendente le tragedie Edoni, Bassaridi e Giovinetti e il dramma satiresco Licurgo. Licurgo era il re degli Edoni, nemico di Dioniso e delle bassaridi, il quale fu squartato dai suoi sudditi sul monte Pangeo. Tuttavia una citazione di Eratostene di Cirene riferisce che, «come dice Eschilo», Orfeo preferì a quello di Dioniso il culto di Apollo Elio e si recò sul Pangeo per onorarlo; irato, Dioniso gli scatenò contro le bassaridi le quali lo sbranarono. Non è chiaro pertanto quale fosse l'argomento della tragedia Bassaridi della tetralogia Licurgea. Non è infatti chiaro se la vicenda di Licurgo costituisse l'argomento della sola prima tragedia (Edoni), né che rapporto avesse la prima con la seconda tragedia (Bassaridi), salvo la presenza di Dioniso. Il frammento 18 superstite delle Bassaridi cita il monte Pangeo, ma questo potrebbe essere legato sia alla vicenda di Licurgo sia a quella di Orfeo.\nLe Bassaridi (The Bassarids), opera seria in un atto di Hans Werner Henze su libretto di W.H. Auden e Chester Kallman, tratto da Le Baccanti di Euripide. Penteo, il giovane re di Tebe, sdegnato contro la sfrenata licenza, vieta il nuovo culto di Dioniso, suscitando la tremenda vendetta del dio il quale fa uccidere Penteo dalla propria madre Agave.\nNell'Alessandra (Ἀλεξάνδρα), poema del IV secolo a.C. di Licofrone, fra le profezie di Alessandra, figlia di Priamo, vi è anche quella, alquanto sorprendente, di Penelope che accoglierebbe Ulisse, al suo ritorno a casa, come una lussuriosa bassaride, coperta di una pelle di volpe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Baubo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Baubo, o Baubò (in greco antico: Βαυβώ), era il nome della sposa di Disaule, un'antica divinità, definita dea dell'oscenità.\n\nIl mito.\nNon si hanno molte informazioni riguardanti la divinità, si può supporre che gli antichi greci si ispirarono a culture precedenti, soprattutto a quelle nelle quali erano presenti dee primitive, per così dire, archetipiche della sfera sessuale e della fertilità. Rammenta le divinità femminili neolitiche, misteriose nella loro incompiutezza corporale, talvolta manifestata da mutilazione negli arti e altre volte nel capo, ma indicanti segni di fertilità.Demetra, disperata per aver perso la figlia Persefone catturata e offerta come sposa al dio Ade, la cercava in continuazione triste e travestita in tutte le terre. Baubo, una vecchia, un giorno le apparve alla casa di Metanira e Celeo; offrì da bere alla dea e mostrò, alzandosi in piedi, il suo ventre alla dea. Di fronte a tale spettacolo Demetra rimase impassibile ma il figlio Iacco, che la accompagnava, rise di gusto riuscendo così a strappare alla madre di Persefone un sorriso, che fu il primo da quando la dea aveva perso la figlia.Secondo un'altra versione, Baubo era una donna magica molto particolare, perché era priva di testa e parlava tramite la vulva. Intrattenne Demetra, disperata per la perdita della figlia, ballando in un modo alquanto esilarante e raccontando storie licenziose, e inoltre collaborò, assieme all'anziana Ecate e al sole Elio, alla ricerca di Persefone, che alla fine fu rintracciata consentendo così al mondo di rifiorire nuovamente.Baubò ebbe due figlie, Protonoe e Nisa, e un figlio Eubuleo.\n\nPareri secondari.\nSecondo una versione minore, fra i suoi figli vi era anche Trittolemo, in altre versioni si associa il nome di Baubò a quello di Ecate.\n\nLetteratura e filosofia.\nNella prefazione alla seconda edizione de La gaia scienza, scritta nell'ottobre del 1886 a Ruta, frazione del comune di Camogli presso Genova, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche identifica la Verità con la dea Baubo:.\n\nRitrovamenti.\nUna statuetta femminile raffigurante la dea Baubò è stata rinvenuta nel 1961 durante gli scavi sull’acropoli di Gela, in Sicilia. Il ritrovamento del reperto, datato tra il 460 e il 450 a.C., restituisce sino a oggi la più antica immagine della divinità, immortalata nell'atto apotropaico dell’anasyrma (ἀνάσυρμα), il gesto di sollevare la veste ed esibire i genitali. La dea è ritratta in un lungo chitone con dei seni cadenti, un volto gonfio e delle rughe attorno alla bocca che delineano una figura femminile in età avanzata. La statua veniva adoperata nelle cerimonie in onore della dea Demetra Tesmofora presso il Thesmophorion di Bitalemi, uno dei luoghi di culto demetriaci più noti nella Sicilia greca, ubicato su una collinetta ad est dell'omonimo fiume della città siceliota. La combustione riscontrabile nella parte superiore del manufatto viene fatta risalire all’assedio cartaginese di Gela nell'estate del 405 a.C.." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bellerofonte.\n### Descrizione: Bellerofonte (in greco antico: Βελλεροφῶν?, Bellerophṑn o Βελλεροφόντης, Bellerophóntēs; Bellerofonte, letteralmente 'uccisore di Bellero', era il soprannome che gli fu dato dopo che uccise Bellero, re di Corinto), o Ipponoo, è un personaggio della mitologia greca, un eroe la cui impresa più grande fu quella di uccidere la Chimera, un mostro che Omero descrisse con la testa di un leone, il corpo di una capra e la coda di serpente.Esiodo ed altri autori tragici hanno immaginato che l'eroe fosse seduto a cavallo di Pegaso, ma nell'Iliade di Omero (libro VI) viene raffigurato senza il celebre cavallo alato. Pindaro, nelle Olimpiche (la versione più nota), lo affianca nuovamente a Pegaso, assegnando a taluni personaggi nome diverso rispetto alle versioni dei suoi contemporanei.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e di Eurimede sposò Filonoe (figlia di Iobate), e fu padre di Laodamia, Ippoloco e Isandro.\n\nMitologia.\nOrigini.\nA seconda delle versioni, Bellerofonte era uno dei discendenti della famiglia reale che a quell'epoca dominava Efira, l'odierna città di Corinto.\nIn realtà il nome con cui fu chiamato alla nascita era Ipponoo, ma egli non poté conservarlo a lungo a causa del crimine che avrebbe commesso di lì a pochi anni.\n\nIl nome di suo padre, secondo la versione più comune ed accettata, e anche quella riferita da Omero, è Glauco, il figlio di Sisifo, il quale aveva ricevuto alla morte dal padre il potere sulla città. Infatti Sisifo, il quale fu non solo il primo re di Corinto ma anche il suo fondatore, era stato punito dalle divinità a causa del suo comportamento di sfida e privo di timore degli dei.\nSua madre si chiamava invece Eurimede (o Eurinome, a seconda delle leggende), e passava per essere la figlia del re di Megara, Niso, il re al quale Atena aveva conferito tutta la sua arte, lo spirito e la saggezza.\nDiversa è l'ipotesi che dà invece Igino nelle sue Fabulae; egli infatti aggiunge nell'elenco dei figli di Poseidone anche il nome dell'eroe Bellerofonte, che il dio avrebbe avuto dalla stessa Eurinome, moglie di Glauco e figlia di Niso.\n\nLa stessa genealogia è riportata da Esiodo in suo frammento sui Cataloghi delle Donne: secondo il poeta greco il dio del mare giacque con la fanciulla nella casa del figlio di Sisifo, e qui la rese incinta dell'eroe.\n\nL'esilio.\nBellerofonte di Corinto, resosi colpevole dell'involontario omicidio del re di Corinto Bellero (ma secondo Apollodoro crf. Biblioteca II, 2-3) egli invece aveva ucciso per sbaglio il proprio fratello Deliade (o secondo alcuni Pirene o Alcimene), giunse ospite presso Preto, re di Tirinto, in grado di purificare le anime. Stenebea, moglie di Preto, si invaghì di lui, venendo però rifiutata.\nAssetata di vendetta, la Donna istigò il marito ad uccidere Bellerofonte, raccontandogli di essere stata sedotta da costui. Le leggi greche dell'ospitalità (la Xenia) impedivano però l'uccisione di un commensale; pertanto Preto inviò Bellerofonte da Iobate, re di Licia (e padre di Stenebea), con la scusa di consegnargli una lettera (che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione). Anche Iobate però ospitò Bellerofonte, e per le solite leggi, non se la sentì di assassinarlo direttamente richiedendo, invece, al giovane di uccidere la Chimera, un mostro che sputava fiamme, con la testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente.\n\nLa cattura di Pegaso.\nPolido disse a Bellerofonte che avrebbe avuto bisogno di Pegaso. Per ottenere i servizi del cavallo alato selvatico, Polido suggerì a Bellerofonte di dormire presso il tempio di Atena. Mentre Bellerofonte dormiva, sognò che Atena metteva una briglia d'oro accanto a lui, dicendo: «Dormi, principe della casa di Aiolo? Vieni, prendi questo incantesimo per il destriero e mostralo al Domatore tuo padre e come sacrificio ponigli un toro bianco». Quando si svegliò trovò effettivamente la briglia d'oro. Per catturarlo Bellerofonte avrebbe dovuto avvicinarsi a Pegaso mentre beveva da una fonte; Polido gli disse quale fonte, ossia quella di Pirene nella cittadella di Corinto, la città di nascita di Bellerofonte.\nAltri racconti dicono che Atena portò Pegaso già domato e imbrigliato, o che fu Poseidone come domatore di cavalli, segretamente il padre di Bellerofonte che gli portò Pegaso, come affermava Pausania.\n\nL'uccisione della Chimera.\nGrazie a Pegaso, riuscì a gettare del piombo nella gola della Chimera, che, fondendosi, soffocò il mostro. Iobate tentò nuovamente di mantenere la richiesta della missiva e chiese a Bellerofonte di combattere contro i Solimi e le alleate Amazzoni. Per mezzo di Pegaso, mise in fuga i nemici lanciando loro sassi.\nBellerofonte tornò da Iobate che, con ammirazione, gli mostrò il messaggio di Preto. Bellerofonte raccontò al re la verità. Il licio gli diede in sposa l'altra figlia, Filinoe, e divenne erede al trono. L'orgoglio si impossessò di Bellerofonte: il forte desiderio di raggiungere l'Olimpo portò l'eroe ad essere disarcionato da Pegaso. Gli dei infatti, infastiditi dalla sua vanità, mandarono un tafano a mordere Pegaso. Bellerofonte sopravvisse alla grave caduta, ma rimase solo e infermo fino alla morte.\n\nProgenie di Bellerofonte.\nDei suoi figli, Isandro morì giovanissimo, Laodamia divenne madre di Sarpedonte e Ippoloco fu padre di Glauco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Belone (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Belone era il nome di un inventore secondo quanto racconta Igino nelle sue Fabulae.\n\nIl mito.\nBelone scoprì l'uso dell'ago e lo diffuse nel mondo, tanto che - come afferma Igino sempre nel passo - lo stesso termine “ago” deriva in greco dal suo nome.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nIgino nel citato passo descriveva tutti i personaggi degni di nota che avevano costruito qualcosa che cambiò la vita delle persone dell'epoca. Il personaggio non viene citato in altri passi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bendis.\n### Descrizione: Bendis, conosciuta anche come Bendi o Bendide (in greco antico: Βενδῖς?), era la dea della Luna e della caccia adorata in Tracia e, dal V secolo a.C. in poi, anche in Attica; gli Ateniesi, in base alle sue caratteristiche, la identificavano con Artemide 'Munichia'.\nIl culto di Bendis ha lasciato pochissime tracce in Tracia, e queste sono quasi sempre posteriori all'età classica. Si può invece affermare che in Attica il culto di Bendis fu uno dei più floridi in età classica: Bendis, infatti, è la divinità tracia citata col maggior numero di dettagli dagli scrittori greci (tra cui Platone, all'inizio del suo dialogo La Repubblica), e le vicende del suo culto furono strettamente legate alla turbolenta storia di Atene nel periodo della guerra del Peloponneso.\n\nCulto di Bendis in Tracia.\nDato che non si è conservata alcuna fonte scritta tracia, l'unica prospettiva per definire il culto di Bendis in Tracia è quella greca. Erodoto, quando menziona velocemente la religione tracia, non nomina Bendis, ma parla di Artemide: secondo gli studiosi moderni Erodoto, qui come in altri casi, identifica una divinità straniera (Bendis) colla corrispondente divinità greca (Artemide) al fine di farsi capire facilmente dal pubblico greco, al quale la sua opera era rivolta.Nessuno scrittore greco nomina espressamente il culto di Bendis in Tracia. Tito Livio menziona un tempio della dea nella regione, ma la sua testimonianza riguarda l'epoca romana; il tempio, di cui finora non sono emersi resti archeologici, si trovava vicino al fiume Evros, vicino all'odierna İpsala. Allo stesso modo, in Tracia non sono emersi resti di altri templi o santuari dedicati a Bendis.Neanche le iscrizioni danno informazioni riguardo al culto di Bendis: in cinque casi Bendis è attestato come nome proprio femminile, ma in nessuno di questi ci sono riferimenti all'omonima dea. Esistono alcuni antroponimi derivati da Bendis (Bendidoro, Bendidora, Bendifane, Bendizeta, Debabenzi…), attestati in Tracia, in Attica e in aree ad esse connesse (Eubea, Macedonia, Taso, Eno, Maronea, Bisanzio e nord della Turchia), ma nella maggior parte dei casi le iscrizioni che li citano sono di età ellenistica o successive.L'unica vera prova del culto di Bendis in Tracia potrebbe venire dall'isola di Samotracia: Claude Brixhe ritiene che alcune iscrizioni, debitamente ricostruite, possano restituire una dedica a Bendis e quindi provare la presenza di un suo santuario sull'isola. Al momento, però, non si dispone di prove decisive.\n\nIconografia in Tracia.\nIn Tracia sono stati ritrovati molti rilievi raffiguranti una divinità femminile: di solito vengono identificati con Artemide o con Bendis. Sono state distinte due categorie iconografiche:.\n\nLa prima categoria è l'Artemide-Bendis ellenizzata, presente in alcune tavolette votive del II/III secolo d.C. ritrovate nelle valli dello Strimone, del Vardar e del Mesta, nei Rodopi occidentali e presso Filippopoli. La dea presenta i tratti tipici di Artemide: indossa un vestito corto, degli stivali alti e un cappello di pelliccia, impugna una lancia o un arco, è accompagnata da dei cani o da un cervo. Artemide-Bendis viene adorata in quanto divinità protettrice dei bambini (in greco antico: κουροτρόφος?, 'allevatrice di bambini').\nLa seconda categoria è la Bendis-Grande Madre, di origine pre-greca: anche se non ci sono prove scritte, si nota una somiglianza colla Magna Mater latina, colla Potnia Theron greca e colla Cibele frigia. Bendis-Grande Madre è strettamente legata al culto della fertilità, al matrimonio, al parto dei bambini, e, più in generale, alla protezione degli animali, delle piante e di tutta la natura; questi tratti sono simili a quelli dell'Artemide arcaica e dell'Artemide basileia ('regina'), descritta da Erodoto quando parla del culto della fertilità praticato dalle ancelle trace e peonie. La dea spesso ha come attributi pigne e spighe di grano.A Bendis sono state legate anche alcune divinità della notte (Ecate, Cibele e Coti), associate al ciclo della vita e alla fertilità. In particolare, Bendis era legata alla Grande Dea dell'isola di Lemno, i cui adepti praticavano la magia nera e compivano sacrifici umani: un frammento di ceramica di età arcaica proveniente da Lemno, raffigurante una cacciatrice, attesta il legame tra le due dee.In molti templi e santuari Bendis, in base alle sue caratteristiche, era identificata con altre divinità greche: oltre alle già nominate Artemide ed Ecate, in alcune zone venivano adorate Parthenos (di solito identificata con Artemide o Atena) e Phosphoros ('portatrice di luce' o 'portatrice di torce', di solito identificata con Artemide).\n\nCulto di Bendis in Attica.\nAtene fu sempre molto interessata alla Tracia, territorio strategico per la sua posizione e le sue risorse naturali. Il primo scrittore a menzionare Bendis è Ipponatte (VI secolo a.C.), che la paragona a Cibele. Dato che viene nominata anche in due frammenti di Cratino e di Aristofane, probabilmente Bendis era molto nota ad Atene nella seconda metà del V secolo a.C. Grazie a Platone si sa che ad Atene le Bendidee (delle celebrazioni dedicate a Bendis) furono introdotte all'inizio di giugno 429 a.C., poco dopo la stipula di un'alleanza tra Atene e Sitalce, re degli Odrisi, il quale disponeva di un esercito di fanti e cavalieri ben addestrati: gli Ateniesi concessero la prossenia al genero di Sitalce, Ninfodoro di Abdera, e la cittadinanza ateniese a un figlio di Sitalce, Sadoco, e forse introdussero nella loro città il culto di Bendis per consolidare i loro legami colla Tracia. L'introduzione di una divinità straniera, che aveva motivazioni non religiose, ma politiche, era un atto senza precedenti per la polis attica.Secondo Christopher Planeaux il culto di Bendis in Attica si sviluppò gradualmente, non fu introdotto improvvisamente: fu introdotto da immigrati traci negli anni 440 a.C.; fu dotato di un tempio e di feste dedicate (le Bendidee) nel 429 a.C.; fu ufficializzato dallo stato nel 413 a.C.; prese interamente il controllo delle Bendidee in una data imprecisata tra il 413 e il 330 a.C.Un possibile terminus ante quem per l'introduzione ad Atene del culto di Bendis è il 429/428 a.C., periodo a cui risale un'iscrizione menzionante il tesoro della dea presso il Pireo. Questo, però, non significa automaticamente che le Bendidee siano state introdotte in quell'anno: alcuni studiosi, basandosi su un decreto riguardante alcuni aspetti dell'organizzazione delle Bendidee, non accettano come data dell'introduzione delle Bendidee il 429 a.C., ma la posticipano al 413 a.C. Contro questa ipotesi, è stato notato che nel 413 a.C. la Tracia aveva scarsissima importanza per Atene, mentre nel 429 a.C. era appena stata conclusa un'importante alleanza militare: nel 413 a.C. gli Ateniesi non avrebbero avuto alcun motivo cogente per introdurre una divinità straniera in patria. Inoltre, sarebbe difficile spiegare la ricchezza del tesoro di Bendis nel 423 a.C., ricavabile da un'iscrizione, se non si ponesse l'introduzione delle Bendidee nel 429 a.C.William Scott Ferguson espose una teoria che tuttora suscita opinioni contrastanti: le Bendidee sarebbero state introdotte nel 429 a.C. su ordine di Zeus per placare Bendis, che assieme ad Artemide, era ritenuta responsabile della buona salute, in particolare dei bambini (pur non essendo una divinità guaritrice in senso stretto), ritenuta responsabile della peste di Atene del 430 a.C.\nIn vari casi Bendis è associata all'eroe guaritore Delotte, che è in piedi al suo fianco in alcuni rilievi (l'IN 462 del Ny Carlsberg Glyptotek e il BM 2155 del British Museum). Si sa che Delotte, strettamente legato a Bendis, era raffigurato come Asclepio. Christopher Planeaux fa notare che, poiché il culto di Asclepio fu introdotto ad Atene solo dopo la pace di Nicia (421 a.C.), prima di quest'epoca il culto di Delotte probabilmente ebbe una notevole importanza nell'area del Pireo, dove era associato a quello di Bendis: questa considerazione potrebbe sostenere l'ipotesi di Ferguson e quindi avvalorare la tesi che pone l'introduzione delle Bendidee nel 429 a.C.\n\nLuoghi di culto di Bendis in Attica.\nA seguito di un responso dell'oracolo di Dodona che aveva richiesto agli Ateniesi di concedere alcuni terreni per l'edificazione di un tempio dedicato alle divinità tracie, alcuni immigrati traci eressero, nel territorio di Atene, un tempio dedicato a Bendis. I Traci potevano adorare Bendis secondo le loro usanze e nel rispetto delle leggi ateniesi. Inoltre si sa che nel 404 a.C. esisteva un santuario dedicato a Bendis nella parte orientale del Pireo, vicino al tempio di Artemide Munichia. Un altro santuario privato, più piccolo di quello del Pireo, fu costruito presso il Laurio alla fine del IV secolo a.C.Il fatto che il tempio di Bendis fosse vicino a quello di Artemide Munichia non era casuale. Artemide Munichia aveva attributi molto simili a quelli di Ecate, dea della Luna, visto che entrambe erano festeggiate il 16 munichione durante la luna piena e ad Ecate, durante la processione a Munichia, venivano offerti dei dolci rotondi con delle piccole torce corrispondente a quelle usate per la corsa dedicata a Bendis; il culto di Artemide Munichia era legato anche a quello di Artemide Brauronia, che conservava caratteristiche risalenti al Neolitico. Artemide Munichia, quindi, possedeva tratti un po' diversi da quelli comunemente attribuiti ad Artemide: proteggeva le donne in relazione ai cicli lunari, il matrimonio e la fertilità dell'uomo e della natura. Bendis, probabilmente, fu percepita dagli Ateniesi in modo simile: una divinità protettrice, strettamente legata alla natura e ai cicli vitali delle donne.Delle iscrizioni della metà del IV secolo a.C. attestano il culto di Bendis sull'isola di Salamina.Nelle miniere del Laurio, dove lavoravano molti Traci, sono state ritrovate delle statuette votive di Bendis e un'iscrizione a lei dedicata, del 300 a.C., sulla base di una statua.In base alle fonti disponibili, si può affermare che il culto di Bendis, dotato di tre templi e di celebrazioni annuali, fu uno dei più importanti nell'Attica dell'età classica. Le ultime prove relative al culto di Bendis risalgono al III secolo a.C.: dopo questo periodo esso scomparve dall'Attica per ragioni sconosciute.\n\nBendidee.\nLe Bendidee, celebrate il 19-20 targelione, facevano parte delle feste religiose organizzate dallo stato ateniese (forse a partire dal 413 a.C.), che stanziava dei fondi per la loro preparazione.L'evento più importante era la processione (in greco antico: πομπή?, pompé) della durata di un'intera giornata, alla quale partecipavano Ateniesi e Traci separatamente, che partiva dal Pritaneo e si concludeva presso il santuario della dea. Di sera c'erano delle corse notturne di portatori di torce a cavallo, citate da Platone all'inizio de La Repubblica:.\n\nLe celebrazioni e i sacrifici continuavano per tutta la notte presso il santuario del Pireo.\n\nIconografia in Attica.\nMolti vasi attici rappresentano Bendis assieme ad altre divinità: in essi viene raffigurata pronta per la caccia (per questo era non di rado identificata con Artemide), con un corto chitone con cintura, una pelliccia (zeira), un cappello di pelle di volpe (alopekis) e degli stivali; spesso porta due lance (Bendis era chiamata 'dalla doppia lancia', in greco antico: δίλογχος?) o delle altre armi, a volte ha in mano una patera o un altro tipo di vaso per raccogliere il sangue dei tori a lei sacrificati." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Beroe (nutrice di Semele).\n### Descrizione: Beroe (in greco antico: Βερόη?, Beróē) è un personaggio della mitologia greca. Ninfa e nutrice di Semele, fu una delle amanti di Zeus.\n\nMitologia.\nUn giorno Zeus decise di sedurre Semele, quindi assunse l'aspetto di Beroe per potersi avvicinare senza destare sospetti.\nEra, quindi, si trasformò a sua volta in Beroe, per chiedere a Semele di far rivelare la sua vera forma alla prima finta Beroe (Zeus).\n\nVoci correlate.\nSemele." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Biblide (Bouguereau).\n### Descrizione: Biblide (Biblis) è il nome di due dipinti del pittore francese William-Adolphe Bouguereau, entrambi realizzati nel 1884. La prima versione del dipinto è conservata nel museo Salar Jung di Hyderābād, in India, mentre la seconda si trova in una collezione privata.\n\nStoria.\nEntrambe le versioni dell'opera vennero realizzate a Parigi nel 1884 ed una delle due venne esposta al Salon dell'anno successivo.\n\nDescrizione.\nQuesti due dipinti raffigurano la ninfa Biblide, un personaggio della mitologia greca. Secondo la variante della leggenda riportata da Ovidio nelle sue Metamorfosi, Biblide si innamorò di suo fratello Cauno e si confessò a lui, ma questo la rifiutò e fuggì. Biblide allora si mise alla sua ricerca, ma alla fine, dopo aver attraversato vari paesi senza ritrovare il fratello, si arrese e morì esausta, versando molte lacrime. Gli dèi ebbero pietà di lei e, dato che era morta piangendo, decisero di trasformarla in una sorgente.\nLa scena si svolge presso un ruscello (il quale è più dettagliato nella seconda versione dell'opera), in un'ambientazione silvestre, e raffigura il momento nel quale Biblide scopre che Cauno è fuggito. La ninfa viene raffigurata nuda, dato che nelle Metamorfosi di Ovidio viene detto che Biblide viene colta da un attacco di follia dopo la fuga del fratello e si squarcia le vesti. Biblide è piegata verso il ruscello e poggia le sue braccia su una roccia. La ninfa viene raffigurata nell'atto di piangere, dato che presto morirà e verrà tramutata in una sorgente. Il movimento della donna risulta grazioso e il suo incarnato è delicato, tanto da sembrare morbido." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Bidente (attrezzo).\n### Descrizione: Un bidente è un attrezzo costituito da una lunga asta terminante con due punte metalliche; è simile perciò a un forcone. Nella mitologia greca, il bidente è l'attributo di Ade/Plutone, il sovrano degli inferi.\nAllo stesso modo, il tridente è l'attributo di suo fratello Poseidone (assimilato dai Romani a Nettuno), dio dei mari e delle sorgenti, mentre il fulmine è un simbolo del loro fratello più giovane, Zeus (assimilato dai Romani a Giove ), re degli dei e del cielo.\n\nEtimologia.\nLa parola 'bidente' deriva dal latino bidens (al genitivo bidentis), che significa 'con due denti (o rebbi)'.\n\nUsi storici.\nGli antichi Egizi usavano un bidente come strumento da pesca, a volte attaccato a una lenza. Armi a due punte, principalmente di bronzo, compaiono nella documentazione archeologica dell'antica Grecia.\nNell'agricoltura romana, il bidens era una zappa a doppia lama o una zappa a due punte che serviva per dissodare e smuovere un terreno sassoso e duro. Il bidens è raffigurato su mosaici e altre forme di arte romana.\n\nNella mitologia.\nUna tegola rinvenuta a Urbs Salvia, nell'antico Picenum, raffigura un insolito Giove composito: un fulmine, un bidente e un tridente, che rappresentano i regni del cielo, della terra e del mare. Inizialmente, quindi, i due oggetti erano intercambiabili, come provano anche brani di Seneca.\n\nNell'arte.\nNel Rinascimento, il bidente si fissò definitivamente come attributo convenzionale di Plutone nell'arte. Plutone, con Cerbero al suo fianco, è raffigurato con in mano il bidente nel Concilio degli dei di Raffaello, nella Loggia di Psiche della Villa Farnesina (Roma), compiuto nel 1517-18.\nAnche Agostino Carracci raffigurò Plutone con un bidente in un disegno preparatorio per il suo dipinto Plutone (1592), in cui il dio detiene invece la sua caratteristica chiave.\nIn Giove, Nettuno e Plutone di Caravaggio (ca. 1597), un dipinto basato su un'allegoria alchemica, Plutone, con il suo cane a tre teste, Cerbero, tiene un bidente. Accanto a lui, Nettuno è mostrato invece con un tridente." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,### Titolo: Bienore (centauro).\n### Descrizione: Bienore è uno dei Centauri menzionato nell'episodio delle nozze di Ippodamia.\nDurante la battaglia che scoppiò a seguito del tentativo attuato dai Centauri di rapire la sposa e le altre donne presenti al festeggiamento morì ucciso da Teseo che dopo essergli saltato in groppa ne torse la testa e la colpì con un tronco di quercia. +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Blemmi.\n### Descrizione: I blemmi (in greco: Βλέμυες; in latino: Blemmyae) erano un'antica popolazione nomade della Nubia menzionata da alcune fonti storiche tardo-romane e bizantine. Altre fonti, greco-romane e soprattutto medioevali, ne forniscono invece una descrizione mitizzata; in questo secondo contesto, i blemmi sono un popolo mostruoso stanziato in un luogo imprecisato dell'Africa orientale: la Nubia, l'Etiopia, o più genericamente le terre a sud dell'Egitto.\n\nPopolo mostruoso.\nI blemmi mostruosi sono descritti come degli esseri acefali, con gli occhi e la bocca posti sul ventre o sul torace. Così li riassume, ad esempio, Plinio il Vecchio (23-79) nella sua Naturalis historia: «Si dice che i Blemmi non abbiano il capo, e che abbiano la bocca e gli occhi nel petto».Pomponio Mela nella sua Chorographia sostiene che i 'Blemyae non hanno teste, ma hanno le facce sul petto'.Jehan de Mandeville verso il 1371 scriveva:.\n\nShakespeare fa accennare a Otello, rivolto a Desdemona, di certi uomini 'le cui teste crescono sotto le spalle'.Anche nel canone pāli buddhista si trovano accenni ai Blemmi, sia nel Vinaya Piṭaka (iii, IV, 9.3) che nel Sutta Piṭaka (Majjhima Nikāya, III, 203). In questo caso è il discepolo Mogallana che narra al Buddha di una sua visione, in cui degli esseri rilasciati dagli inferni, già colpevoli di uccisioni, vagano in cerca di rifugio. Della lista che ne viene fatta, uno viene descritto come 'tassa ure akkhīni ceva honti mukhañca', privo di testa 'con occhi e bocca sul tronco'. Il Buddha lo chiama Hārika e lo identifica come un ex boia di Rajgir.\n\nPopolazione storica.\nProcopio di Cesarea (500-565), storico bizantino del VI secolo, cita i blemmi nel primo libro della sua opera in otto volumi sulle campagne militari di Giustiniano I contro i sasanidi in Persia, i vandali in Numidia e gli ostrogoti in Italia.\n\nSecondo Procopio, i blemmi abitavano la Nubia assieme ai nobati, e, come questi ultimi, adoravano le stesse divinità dei greci, oltre ad Iside e Osiride. Il loro territorio era delimitato ad ovest dal Nilo e ad est dal Mar Rosso, e si estendeva, da nord a sud, da Copto nell'Alto Egitto alla città di Axum, in Etiopia.Una fonte latina del IV secolo, la Historia Augusta, elenca i blemmi fra i popoli che onorarono il trionfo di Aureliano nell'anno 274. Nel III secolo, infatti, sia i blemmi che i nobati erano entrati in conflitto più volte con l'impero romano. I nobati, tuttavia, dopo aver subito una dura repressione da parte dall'imperatore Diocleziano nel 298, erano divenuti alleati dei romani (foederati) in Dodecascheno proprio contro i blemmi, anche se i governatori romani d'Egitto pagavano comunque ai nobati un tributo annuale in oro per prevenire possibili incursioni nel proprio territorio. I blemmi continuarono a rappresentare una minaccia per l'impero anche nel secolo successivo, come testimonia un'iscrizione in demotico del 373 che ricorda una loro incursione nell'oasi di Kharga, nel Deserto Libico-Nubiano.La loro localizzazione e il loro stile di vita hanno indotto alcuni storici contemporanei ad avanzare l'ipotesi che i blemmi fossero gli antenati dei begi, un gruppo etnico del Corno d'Africa.\n\nInflusso culturale.\nI Blemmi mostruosi sono menzionati in alcune opere di narrativa contemporanea: ad esempio, nel romanzo del 1919 di Pierre Benoît L'Atlantide: «...del resto sarei curioso - riprese con un'allegria un po' forzata - di entrare in contatto con questi geni e di verificare le informazioni di Pomponio Mela, che li ha conosciuti e li colloca effettivamente nelle montagne dei Tuareg. Lui li chiama Egipani, Blemmi, Ganfasanti, Satiri...» e nella voce I nesnas del Manuale di zoologia fantastica di Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero del 1957, dove sono descritti come essere «[...] capaci di linguaggio articolato; alcuni hanno la faccia nel petto come le blemmie, e cosa simile a quella della pecora.»I Blemmi sono citati, insieme agli Sciapodi e a molti altri esseri fantastici dei bestiari medioevali, nel romanzo Baudolino di Umberto Eco, che li colloca nel mitico regno del Prete Gianni; li cita, inoltre, Valerio Massimo Manfredi nel suo romanzo La torre della solitudine. Andrea Frediani li inserisce come nemici del giovane Costantino nei primi capitoli de Roma Caput Mundi: L'ultimo Pretoriano.\nLa fisionomia di un blemmo sembra poter esser stata inoltre la fonte d'ispirazione per il Pokémon Hitmonlee, la cui somiglianza con le raffigurazioni classiche è molto evidente." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Boreadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca i Boreadi sono i figli di Borea.\nI più noti sono i gemelli Calaide e Zete. Essi erano dotati di ali e svolgono un ruolo importante nel mito degli Argonauti, come vincitori delle Arpie. Furono uccisi da Eracle, ma secondo un'altra versione morirono al ritorno dalla lotta con le Arpie e dopo la loro morte furono trasformati in venti.\nGli altri figli di Borea sono Cleopatra e Bute.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Boreadi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Botaco.\n### Descrizione: Botachos (in greco Βώταχος) è un eroe eponimo della mitologia greca.\nBotachos è il figlio di Iokritos e il nipote di Licurgo. Secondo Pausania e Stefano di Bisanzio, fu nominato a capo del Demos di Botichidai in Tegea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Brachistomi.\n### Descrizione: I brachistomi (in lingua latina Homo brachystomus) sono uno dei popoli mostruosi.\nSono caratterizzati da una bocca molto piccola, una sorta di piccolo foro che permette loro di nutrirsi con l'ausilio di una lunga cannuccia.\nSono descritti e raffigurati da Kaspar Schott nella sua 'Physica Curiosa' nel paragrafo dedicato ad 'astomi' (popoli privi di bocca), 'brachiostomi' (con bocca piccola) ed 'elingui' (privi di lingua o del suo uso).\nSchott cita ampi stralci di Pomponio Mela e di Plinio i quali, descrivendo i popoli dell'Etiopia, parlano di genti con un solo foro sotto le narici che devono nutrirsi di singoli granelli di grano attraverso una cannuccia ('calamis avena')." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Branco di Mileto.\n### Descrizione: Branco (in greco antico: Βράγχος?, Bránchos) è un personaggio della mitologia greca. I suoi discendenti, i Branchidi, furono un influente clan di profeti.\n\nMitologia.\nFiglio di Apollo (oppure figlio di Smicro ed amante di Apollo), nacque da una donna di Mileto che, già incinta, disse di aver sognato che il sole le entrava dalla gola e le usciva dal ventre ed una volta divenuto grande il fanciullo avrebbe incontrato il padre che, dopo averlo abbracciato, gli avrebbe dato uno scettro e una corona.\nUn'altra leggenda vuole che Branco fosse soltanto un pastore di cui Apollo si era invaghito e a cui aveva dato il dono di profetizzare. In seguito il giovane mortale eresse ad Apollo un tempio a Didima e un santuario a Mileto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Bremusa.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bremusa (in greco antico: Βρέμουσα) è un'Amazzone che faceva parte del contingente con il quale Pentesilea, regina delle Amazzoni, prestò soccorso ai Troiani dopo la morte di Ettore. È ricordata da Quinto Smirneo nel libro I del Posthomerica.\n\nIl mito.\nOrigini.\nBremusa era una delle dodici fanciulle guerriere che accompagnarono la loro sovrana Pentesilea, figlia di Ares, presso la città di Priamo, allorché la regina dovette purificarsi per l'omicidio involontario della sorella Ippolita. Pentesilea e il suo contingente di Amazzoni pervennero a Troia nel momento in cui in città vi era lutto per la morte di Ettore, abbattuto da Achille. Alla loro vista, l'anziano Priamo avvertì un leggero sentimento di sollievo che lo distrasse dalla perdita del figlio e provvide a ricompensare Pentesilea con grandi doni.\n\nNella guerra di Troia.\nDopo una notte di riposo nella reggia del sovrano, Pentesilea condusse le Amazzoni in campo aperto per affrontare gli Achei e ricacciarli verso le loro navi. Nello scontro che seguì, la regina delle Amazzoni fece strage di avversari, ma perdette una dopo l'altra tutte le compagne che facevano parte del suo contingente.\nBremusa, che pure si batteva con valore nella mischia, venne trafitta alla mammella destra dalla lancia di Idomeneo, che la privò così della vita; lanciando un ultimo gemito, l'Amazzone si accasciò al suolo rendendo l'anima, come, riporta Quinto Smirneo, un albero di frassino che è abbattuto dalla scure di un boscaiolo che cade con un secco rimbombo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Brento.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Brento era il nome di uno dei figli di Eracle e di Balezia.\n\nIl mito.\nEracle, l'eroe che compì le dodici fatiche, ebbe nella sua vita molte compagne e con loro ebbe molti figli, chiamati eraclidi. Fra essi vi fu Brento.\nBrento, come altri figli dell'eroe, decise di viaggiare alla volta dell'Italia diventando l'eroe e il fondatore di Brindisi.\n\nPareri secondari.\nBrento a volte viene confuso con Bretto, eroe dei Bretti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Brise.\n### Descrizione: Brise (in greco antico: Βρίσης?; in latino Brises) o Briseo (Βρισεύς) era un sacerdote di Apollo (o secondo altre versioni di Dioniso) residente a Lirnesso, una città dell'Asia Minore.\nÈ conosciuto soprattutto per essere il padre di Ippodamia, la quale proprio da lui ricevette il patronimico di Briseide.\n\nIl mito.\nLe origini.\nBrise era un sacerdote di Apollo al tempo della guerra di Troia e abitava a Lirnesso, un'antica città dell'Asia Minore, a quel tempo governata dai fratelli Minete ed Epistrofo, figli di Eveno. Era il fratello di Crise, un sacerdote troiano, ed era padre di due figli: Ippodamia e un certo Eezione (da non confondere con l'eroe omonimo). Una tradizione contrastante, riportata da Ditti Cretese, afferma che Brise era il re dei Lelegi, in Caria, e che da una moglie di cui non si conosce il nome aveva avuto un'unica figlia, Ippodamia oppure anche conosciuta come Briseide.\n\nLa morte.\nIl sacerdote viveva tranquillamente nella sua città, fino al tempo dello scoppio della guerra di Troia, nel momento in cui Enea, l'eroe troiano, inseguito da Achille, trovò rifugio a Lirnesso. L'eroe greco, inesorabile e deciso a uccidere il nemico, assediò la città e, in poco tempo, grazie al suo contingente di Mirmidoni, la conquistò e fece strage degli abitanti. Minete, il marito di Ippodamia, venne ucciso brutalmente dall'eroe, mentre il fratello Epistrofo subiva la sua stessa tragica sorte. Brise stesso oppose invano resistenza ad Achille ma, alla vista della sua casa ridotta in macerie, disperato, decise di impiccarsi. La figlia Ippodamia, presa in ostaggio dall'eroe, divenne in seguito la sua schiava preferita." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Briseide condotta ad Agamennone.\n### Descrizione: Briseide condotta ad Agamennone è un affresco eseguito da Giambattista Tiepolo, nella Sala dell'Iliade di Villa Valmarana ai Nani, a Vicenza.\n\nDescrizione.\nL'opera fa parte di una serie di tre dipinti su muro, in cui vengono rappresentati altrettanti episodi relativi al primo libro del poema omerico sulla Guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Briseide.\n### Descrizione: Briseide (in greco antico: Βρισηίς?, Brisēís; in latino Briseis) è il patronimico usato da Omero nell'Iliade per Ippodamia, nativa di Lirnesso, figlia di Briseo, sacerdotessa troiana di Apollo.\n\nIl mito di Briseide.\nBriseide era una principessa di Lirnesso, figlia di Briseo, un sacerdote di Apollo. Sposò Minete, re di Cilicia e fratello di Epistrofo.\nDurante la guerra di Troia, Achille nella presa di Lirnesso, città alleata di Troia, si riservò Briseide nella divisione del bottino, facendone la sua schiava.A sua volta Agamennone catturò Criseide, figlia di Crise, un sacerdote di Apollo, ma quando il dio scatenò una pestilenza sul campo degli Achei i capi greci lo costrinsero a rendere Criseide. Agamennone accettò, ma volle in cambio Briseide.\nLo scambio provocò l'ira furibonda (l'ira funesta) di Achille, che abbandonò gli scontri. Agamennone tentò di restituire la schiava, insieme a del denaro, ma Achille non volle sentire ragioni e persistette in tale risoluzione nel corso di un anno intero, nonostante i progressi fatti dai Troiani in battaglia. Dopo la morte di Patroclo, Agamennone restituì Briseide ad Achille, carica di ricchi doni, giurando di averla rispettata. Ella pianse amaramente sul cadavere di Patroclo in quanto quest'ultimo l'aveva sempre trattata con gentilezza e le aveva promesso di farle sposare Achille (Iliade, XIX).\nSecondo la Bibliotheca Classica probabilmente Briseide (o forse invece Clitemnestra) diede a Agamennone un figlio, che fu chiamato Aleso.\n\nIn letteratura.\nLa disputa tra Achille e Agamennone per Briseide è narrata nell'Iliade di Omero.\nNelle Eroidi di Ovidio, Briseide scrive ad Achille una lunga lettera d'amore.\n\nNell'arte.\nPittore di Achille (anche detto 'Pittore di Briseide'), anfora attica a figure rosse con Scene del ratto di Briseide, ceramica dipinta, 450 a.C. circa.\nGiovambattista Tiepolo, Briseide condotta ad Agamennone, affresco, 1757.\nFelice Giani, Patroclo consegna Briseide agli araldi di Agamennone, affresco, inizio del XIX secolo.\nAntonio Canova, Briseide consegnata da Achille agli araldi di Agamennone, gesso, inizio del XIX secolo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Britomarti.\n### Descrizione: Britomarti (in greco antico: Βριτόμαρτις?) è un personaggio della mitologia greca, una delle compagne di caccia di Artemide, le teneva i cani al guinzaglio e con la sua inventiva creò le reti per cacciare, dea della fertilità, della caccia, della rete per la pesca, dell'uccellagione e della caccia di piccola selvaggina.\nNella versione più comune, Britomarti è figlia di Zeus e di Carme ma esistono versioni dove la madre è Latona.\n\nMitologia.\nMinosse, re di Creta, aveva avuto molte amanti nel corso della sua vita. La sua preferita era Britomarti. La ragazza fuggì dal re nascondendosi in un bosco pieno di querce e nella casa di Bize, ma per nove mesi Minosse non smise di darle la caccia per monti e per valli, fino a quando disperata si gettò a mare e venne salvata da un gruppo di pescatori.\n\nLa divinizzazione.\nEra considerata la dea della fertilità cretese. Essa appare anche collegata al culto della Luna, e viene identificata dai mitografi come una variante del mito della Dea Madre. La sua figura venne in seguito a confondersi con quella di Artemide, la dea della caccia.\n\nI nomi.\nArtemide divinizzò Britomarti con il nome di Dictinna (collegata a dictyon=rete), ad Egina invece venne chiamata Afea perché scomparve, infine a Cefalonia era ricordata come Lafria.\nBrite, invece, è un doppione della leggenda di Britomarti. Figlia di Ares (Marte) fuggì da Minosse e, gettatasi in mare, fu salvata da una rete di pescatori. L'oracolo, dopo lo scoppio di una epidemia di peste, rispose che per averne ragione, occorreva rendere onori divini a Diana Dittinna, l'Artemide della rete (Enciclopedia dei miti, Garzanti).\n\nIn letteratura.\nLa ninfa Britomarti figura come interlocutrice di Saffo in Schiuma d'onda, brano dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.\nAppare inoltre anche Nella saga letteraria Le sfide di Apollo,scritta da Rick Riordan." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Brizo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Brizo o Brizò era il nome delle divinità del sonno.\n\nIl mito.\nBrizo era il nome di una divinità minore del sonno venerata dalle donne di Delo. La dea forniva indicazioni precise in sogno sulla pesca e sulla navigazione. Per via di questa particolarità si pensava che fosse anche una dea protettrice della navigazione.\nCome doni alla dea le donne offrivano piccole creazioni manuali, dei piccoli modelli che raffiguravano delle imbarcazioni. Il suo significato è “colei che placa”." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bronte (mitologia).\n### Descrizione: Bronte (in greco antico: Βρόντης?, Bróntēs) è un figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra).\n\nMitologia.\nEra un ciclope che viveva nell'Etna ed era colui che faceva rombare i tuoni.\nEsiodo lo descrive (insieme ai suoi fratelli Sterope e Arge) come una creatura prodigiosa e conoscitore dell'arte della lavorazione del ferro.\nCome i due fratelli forgiava i fulmini di Zeus. Nell'Inno ad Artemide di Callimaco tenne la giovane dea sulle gambe durante la fanciullezza ed ella per gioco e per dimostrare la propria forza, gli strappò il pelo del petto in un solo gesto.\nDa esso prende il nome il comune siciliano di Bronte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Brotea.\n### Descrizione: Brotea (in greco antico: Βροτέας?, Brotéas) o Broteo è un personaggio della Mitologia greca. Fu un cacciatore.\n\nGenealogia.\nFiglio di Tantalo di Lidia e di Eurinassa (figlia di Pattolo), fu secondo Pausania uno dei possibili padri di un secondo Tantalo, che lo stesso autore ipotizza anche essere figlio di Tieste.\n\nMitologia.\nBrotea era un famoso cacciatore che si era rifiutato di onorare Artemide, così la dea lo fece impazzire facendo sì che si autoimmolasse su un rogo, come sacrificio propiziatorio.\nUn frammento di Esiodo contenuto in un papiro di Ossirinco collega Dardano, Brotea e Pandione. Riguardo a questa tradizione però, non sono sopraggiunte altre fonti.\n\nLa scultura di Brotea.\nSi diceva che Brotea avesse scolpito l'immagine più antica della Grande Madre degli Dei (Cibele), un'immagine che ai tempi di Pausania il Periegeta (II secolo d.C.) che era ancora considerata sacra dagli abitanti di Magnesia ad Sipylum. L'immagine venne scavata nella parete rocciosa della rupe Coddino, a nord del massiccio del Sipilo, il cui demone era indicato da alcuni mitografi come nonno di Brotea.La scultura scavata nella parete rocciosa menzionata da Pausania fu identificata con il rilievo di Manisa nel 1881 da W. M. Ramsay e si può ancora vedere sopra la strada, a 6 o 7 km ad est di Manisa (la città moderna sorta sul sito dell'antica Magnesia ad Sipylum), sebbene la testa si sia parzialmente staccata, per cause naturali. La figura alta 8–10 m scolpita in una rientranza nella roccia a un centinaio di metri d'altezza sopra la pianura paludosa vicina al villaggio di Akpınar è stata confusa con una vicina formazione rocciosa naturale associata a Niobe, la 'Niobe del Sipilo' (la 'Roccia Piangente', in turco Ağlayan Kaya), menzionata anche da Pausania.A parte la testa gravemente danneggiata, la figura seduta molto probabilmente non fu fatta da un professionista. La dea, che indossa un copricapo detto polos, si tiene il seno con le mani; una vaga traccia di quattro geroglifici ittiti può essere vista in una sezione quadrata alla destra della sua testa. Il sito è ittita, risalente al II millennio a.C.\nVicino, anche altri siti archeologici tradizionalmente associati sin dall'antichità con la stirpe di Tantalo sono di fatto ittiti. A circa 2 km ad est di Akpınar ci sono altri due monumenti sul monte Sipilo, anch'essi menzionati da Pausania: la tomba di Tantalo (cristianizzata come 'tomba di San Caralambo') e il 'trono di Pelope', in realtà un altare roccioso.\n\nBroteo e l'invettiva rinascimentale.\nNella letteratura del Rinascimento e successiva Brotea è chiamato spesso 'Broteo' (Brotheus) e viene descritto come un figlio di Vulcano che si gettò tra le fiamme (a volte si specifica che si gettò nel cratere del monte Etna) a causa della sua deformità. La fonte immediata per il tropo rinascimentale di Broteo e della sua autoimmolazione è il poema di Ovidio Ibis, un erudito sfogo di macabre minacce che catalogava il destino di numerose figure mitiche e storiche. Il riferimento di Ovidio è brevissimo:.\n\nL'umanista Domizio Calderini (conosciuto anche col nome latino di Domitius Calderinus) aggiunse l'Ibis alla sua edizione annotata di Marziale (1474); la nota di Calderini dice che Broteo era il figlio di Vulcano e Minerva e che, disprezzato a causa della sua bruttezza, si gettò in una pira ardente (Calderini poi procede identificando Broteo con Erittonio.) Nello stesso anno, attingendo alle sue fonti classiche, Calderini pubblicò la Defensio adversus Brotheum ('Difesa contro Broteo'), un attacco ai suoi rivali letterari Angelo Sabino e Niccolò Perotti, chiamati rispettivamente Fidentino (Fidentinus), dal nome del plagiatore preso in giro nel I libro degli Epigrammi di Marziale, e Broteo (Brotheus). Questa faida letteraria è menzionata in diverse fonti, incluso il Giraldi, e la sua notorietà contribuì a stabilire la versione predominante del mito nei secoli XV-XVIII.Le idiosincratiche ma enormemente influenti Mythologiae di Natale Conti (1567) menzionano questa versione del mito in un capitolo sugli aspetti di Vulcano e della sua progenie: 'Broteo, che fu deriso da tutti a causa della sua apparenza malformata, si gettò nel fuoco, come per scappare alla diffamazione per mezzo della morte.' Questa descrizione è ripetuta molto simile in The Anatomy of Melancholy (1621) di Robert Burton, e ancora le versioni del dizionario della lingua inglese di Samuel Johnson risalenti all'inizio dell'Ottocento specificano che Broteo 'si gettò nel monte Etna'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,### Titolo: Bucentauro.\n### Descrizione: Il Bucentauro è un animale mostruoso della mitologia greca dal corpo di bue e dal busto umano.\n\nAraldica.\nUn bucentauro femmina compare nello stemma del comune di Taormina.\n\nVoci correlate.\nCentauro.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Bucentauro. +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Bucolione.\n### Descrizione: Bucolione (in greco antico: Βουκολίων?, Būkolíōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu un pastore.\n\nGenealogia.\nFiglio di Laomedonte e della ninfa Calibe, ebbe dalla naiade Abarbarea i gemelli Pedaso ed Esepo.\n\nMitologia.\nEra il figlio maggiore del re di Troia Laomedonte ma per motivi non chiari nacque in segreto e visse lontano dalla corte: divenuto un pastore, si unì alla Naiade Abarbarea dalla quale ebbe i due figli gemelli, che combatterono e furono uccisi nella guerra di Troia.\nNon si sa se Bucolione sopravvisse alla caduta della città.\n\nOmonimina.\nNon va confuso con l'omonimo guerriero acheo che durante la guerra di Troia fu ucciso da Euripilo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bufago.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bufago (in grecp antico: Βουφάγος) era il nome di uno dei figli di Giapeto e di Tornace.\n\nMitologia.\nBufago, il cui nome significa mangiatore di buoi, sposò Promne e curò, a dispetto dei suoi modi di fare quasi incivili, Ificle il fratello di Eracle, quando venne ferito in battaglia, anche se la sua morte avvenne lo stesso.\nIn seguito il suo carattere divenne ancora più insopportabile arrivando a importunare anche le divinità fra cui Artemide che infuriata lo uccise.\nSecondo un'altra versione del mito Bufago si era innamorato di Artemide.\n\nPareri secondari.\nBufago era anche uno degli epiteti di Eracle ed anche il nome di un affluente dell'Alfeo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bugono.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Bugono o Bunomo era il nome di uno dei figli di Elena e di Paride.\n\nIl mito.\nDopo il rapimento della bella Elena ad opera di Paride, uno dei principi troiani, i due amanti ebbero diversi figli fra cui Bugono.\nBugono insieme ai suoi fratelli era ancora in fasce quando scoppiò la guerra di Troia, dove i greci reclamavano la donna, durante le varie battaglie la città fu scossa e durante una di esse il soffitto della casa dove Bugono risiedeva non resistette agli urti crollando e uccidendo l'infante." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Buno.\n### Descrizione: Buno (in greco antico: Βοῦνος?, Bùnos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ermes e di Alcidamia.\n\nMitologia.\nEete affidò a Buno il trono di Efira (un antico nome di Corinto) quando decise di emigrare nella Colchide, pregandolo di tenerlo fino a quando i suoi figli fossero tornati. Si racconta che Buno abbia costruito un santuario per Era 'Bunia' sulla strada che portava all'Acrocorinto.\nDopo la morte di Buno, Epopeo di Sicione, giunto dalla Tessaglia, estese il suo regno fino ad includere Corinto; quando il suo ultimo successore (Corinto) morì a sua volta senza eredi, i Corinzi mandarono a chiamare Medea da Iolco per assegnare a lei il regno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Bute (figlio di Borea).\n### Descrizione: Bute (in greco antico: Βούτης) è un personaggio mitologico, semidio figlio di Borea.\n\nIl mito.\nBute era un principe tracio, che cercò di usurpare il trono al fratellastro Licurgo, venendo però cacciato; divenne allora un pirata e occupò l'isola di Stromboli facendone la base della sua attività. Durante una festa di Dioniso in Tessaglia, violando i doveri della xenia, ossia l'ospitalità rituale dei greci, stuprò Coronide, una menade, e la costrinse a sposarlo. Per punirlo, Coronide ottenne da Dioniso di farlo impazzire. Bute si gettò così in un pozzo e annegò. Secondo una versione era lui il padre di Ippodamia, che sposò Piritoo re dei Lapiti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Bute (figlio di Pandione).\n### Descrizione: Bute (in greco antico: Βούτης?, Bútēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Pandione e Zeusippe fu uno degli Argonauti.\n\nMitologia.\nBute era fratello di Eretteo (il suo gemello), Procne e Filomela ed era considerato il più grande apicoltore dell'antichità.\nQuando il padre morì, Bute scelse di officiare come sacerdote di Atena e Poseidone, mentre il potere andò a suo fratello. In seguito sposò la figlia di suo fratello Eretteo, Ctonia.\nDa lui derivò la stirpe sacerdotale dei Butadi.\n\nGli Argonauti.\nDurante la spedizione degli Argonauti, quando Giasone, recuperato il vello d'oro, stava per fare ritorno, si trovò ad affiancare l'isola delle sirene. Già il canto magico delle creature stava per ammaliare l'equipaggio quando Orfeo, il mitico cantore, intonò una melodia ancora più affascinante. Fra tutti, il solo Bute si gettò in mare, ma venne tratto in salvo da Afrodite, che, per ingelosire il bell'Adone, passò molte notti con lui sul Lilibeo, facendo di lui il suo amante.\nDa lui, Afrodite ebbe Erix, futuro ottimo pugile e re di Erice. Bute ebbe anche una figlia femmina, Didamia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Buzige.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Buzige (in greco antico: Βουζύγης) era un legislatore ateniese.\n\nMitologia.\nBuzige era un inventore che creò il giogo con il quale per primo riuscì a domare i tori e che trovò la maniera di aggiogare i buoi all’aratro. Diventò un legislatore e fra le leggi che stilò ci fu quella del divieto di uccidere gli animali che potevano essere preziosi per l'agricoltura, quali tori e buoi.\nDemoofonte gli diede il Palladio che gli era stato consegnato da Diomede, onde lo portasse ad Atene." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Caanto.\n### Descrizione: Caanto (in greco antico: Κάανθος?, Káanthos) è un personaggio della mitologia greca, il cui mito è raccontato da Pausania. Era uno dei figli di Oceano, quindi presumibilmente un dio-fiume, e in quanto tale era anche il fratello della ninfa Oceanina Melia.\n\nMitologia.\nIl divino Oceano, non trovando più sua figlia Melia, ordinò a Caanto di ritrovarla. Lui si mise alla sua ricerca, trovandola alla fine a Tebe, in compagnia del dio Apollo. La sorella era infatti diventata una delle sue amanti. Spaventato nel dover affrontare un abitante dell'Olimpo, Caanto cercò di trovare un altro modo per separare i due amanti: decise quindi di bruciare il recinto cercando di distrarre il figlio di Zeus, ma non poté sfuggire all'ira della divinità e trovò la morte per mano di una freccia scoccata da Apollo.\nCaanto fu sepolto vicino a una sorgente del fiume Ismeno, e sul luogo fu eretto un tempio di Apollo. Pausania identifica la sorgente con la sorgente di Ares, dove secondo il mito Cadmo uccise il drago che la custodiva..\nAlla morte di Caanto, il ruolo di dio-fiume fu infine svolto da suo nipote Ismeno, figlio di Apollo e di Melia, che diede così il suo nome al fiume." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cabarno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cabarno (in greco antico: Κάβαρνος) era un abitante della città di Paro caro a Demetra.\n\nIl mito.\nLa divina Demetra aveva una figlia chiamata Persefone che non riusciva più a ritrovare, si mise alla sua ricerca nel mondo intero fin quando arrivata in un'isola Cabarno riuscì ad informarla della verità. Infatti egli aveva le prove che sua figlia era stata rapita in precedenza da un altro dio, Ade, la divinità degli inferi. La dea fu molto grata per l'informazione rendendo Cabarno suo sacerdote.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nDa Cabarno discendono i Cabarni, i sacerdoti di Paro che dovevano presenziare alle cerimonie in favore della dea, inoltre secondo altre fonti il nome della stessa isola cambiò nome in Kabarnis." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cabiri.\n### Descrizione: I Cabiri (in greco antico: Κάβειροι?, Kábeiroi) sono figure della mitologia greca oggetto di un culto misterico.\n\nGenealogia.\nFigli di Efesto e Cabeiro oppure di Cadmilo o Prometeo.\n\nNomi e quantità.\nA seconda dell'autore il numero dei Cabiri varia ma dalla somma dei nomi citati se ne ottengono cinque: Alcon, Eurimedone, Onnes, Aitinaio e Tonnes.\n\nMitologia.\nI Cabiri erano un gruppo di enigmatiche divinità dell'oltretomba, probabilmente di origine frigia o tracia e protettori dei marinai che in seguito furono importati nel rito greco, dove corrispondevano a dei nani figli del dio Efesto, che forgiavano i metalli nella sua fucina di Lemno insieme alla madre Cabeiro.\nSpesso erano anche identificati con i Cureti cretesi, i Dattili troiani ed i Coribanti frigi ma nella loro origine remota comunque, corrispondevano a divinità mistiche venerate o temute in varie parti del mondo antico e l'oscurità che incombe su di loro e le contraddizioni che si incontrano nei resoconti degli antichi stessi, hanno portato gli scrittori moderni a scrivere ognuno una propria teoria che spesso contrasta con le altre. È altresì incerta l'origine ed il significato del loro nome così come la loro reale origine o provenienza.\nSecondo alcuni erano due fratelli che presiedevano alle danze orgiastiche dei misteri di Samotracia anticamente svolti in onore delle dee Demetra, Persefone ed Eche.\nSecondo Pausania (vissuto nel II sec.d.C), nel luogo dove era situato il Kabirion a lui contemporaneo, esistevano una città e degli uomini chiamati Kabeiroi. Demetra si recò da uno di questi, chiamato Prometeo, e diede loro qualcosa da custodire, chiamato teleté. Al tempo degli Epigoni i Cabiri furono cacciati dalle loro case dagli Argivi.\nClemente Alessandrino (nato forse ad Atene intorno alla metà del II sec.d.C e morto in Oriente intorno al 215), ricorda di come i Cabiri fossero originariamente tre, ma di come due fratelli commisero un atto di fratricidio.\nNella tragedia Cabiri di Eschilo, le due figure accolgono gli Argonauti nella loro isola e li coinvolgono in riti orgiastici.\nGli dei gemelli vennero identificati anche con i Dioscuri specialmente nel mito degli Argonauti.\n\nErano venerati nell'isola di Samotracia come Grandi Dei in un culto misterico che aveva il suo centro nel Santuario dei Grandi Dei ed era strettamente collegato a quello di Efesto. Qui si racconta che il dio ebbe da Cabeiro il figlio Cadmilo e che a sua volta ebbe tre figli detti Cabiri e tre figlie dette le Cabridi.\nSecondo alcuni i Cabiri della Samotracia erano un gruppo più grande di divinità e comprendeva non solo i figli di Efesto ma anche diversi figli coribantici del dio Apollo ed entrambi i gruppi sono stati ritratti come dei rissosi guerrieri danzanti presenti nelle orge.\nCedalione infine, il servitore di Efesto che condusse il gigante Orione verso est era talvolta considerato come uno dei Cabiri.\n\nCulto.\nIl culto si diffuse rapidamente in tutto il mondo greco durante il periodo ellenistico ed in seguito fu adottato anche dai Romani." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cacia (mitologia).\n### Descrizione: Cacia (in greco: Kακία, Kakia; in latino: Cacia) è la dea greca dello spirito tentatore del vizio e del crimine. È raffigurata come una donna vana, grassoccia e pesantemente truccata. Cerca di invogliare gli esseri umani a diventare cattivi, e la sua più celebre tentazione è quella di traviare Eracle, il più grande e famoso degli eroi divini della mitologia greca.\nIl suo opposto è Areté (Αρετη), dea della virtù.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project: Kakia (with reference to Xenophon, Memorabilia 2.1.21)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cadmea.\n### Descrizione: Cadmea (in greco antico: Καδμεία?) era l'antica rocca di Tebe, capitale della Beozia (Grecia antica).\n\nIl mito.\nUna leggenda complessa, ma probabilmente tardiva, ne faceva derivare il nome da Cadmo, l'eroe mitologico fratello o zio di Europa, inviato in occidente dal re fenicio Agenore a cercare la fanciulla rapita da Zeus. Non riuscendo a ritrovarla, Cadmo avrebbe interrogato l'oracolo di Delfi il quale gli indicò di seguire una giovenca e stabilirsi dove questa si fosse fermata. Dal nome della giovenca la regione avrebbe preso il nome di Beozia mentre la rocca della città di Tebe avrebbe preso il nome dallo stesso Cadmo.\nSecondo la tradizione, il palazzo e le mura della Tebe micenea furono distrutti poco tempo prima della Guerra di Troia (circa 1200 a.C.) dagli epigoni, i figli dei 'Sette contro Tebe'. Diomede, figlio di Tideo e di Deipile, partecipò infatti sia alla conquista di Tebe che alla guerra di Troia.\n\nStoria.\nI più antichi resti archeologici indicano come la Cadmea fosse sicuramente abitata in età micenea (attorno al XVI secolo a.C.) Tuttavia nel cosiddetto Catalogo delle navi dell'Iliade, composto presumibilmente verso l'VIII-VII secolo a.C. e, secondo alcuni studiosi in Beozia, Tebe non compare: è menzionata invece la modesta Ipotebe, una località ai piedi della Tebe beotica.\nSi desume pertanto la rocca Cadmea, popolata in età micenea, fosse stata abbandonata dopo l'invasione beotica e non ancora ripopolata all'epoca della redazione del Catalogo delle navi. Tucidide data l'arrivo dei Beoti «sessant’anni dopo la fine della guerra di Troia».\nNell'età classica e in quella ellenistica, la Cadmea svolse una funzione simile all'Acropoli di Atene; vi erano situati molti edifici pubblici e si pensa che vi si svolgessero le riunioni della Lega beotica.\nNel 382 a.C. venne occupata con uno sleale colpo di mano dallo spartano Febida, che, aiutato dal polemarco Leonziade, instaurò in città un'oligarchia, abbattuta tre anni dopo da Pelopida e Gorgida.\nVenne occupata anche dalle truppe di Filippo II di Macedonia: dopo la sconfitta delle forze greche a Cheronea Tebe dovette infatti accettare un presidio macedone nella cittadella. Tre anni (335 a.C.) dopo la rocca fu distrutta: poiché Tebe e Atene si erano ribellate al dominio macedone, ingannati dalla falsa notizia della morte di Alessandro Magno, Alessandro ordinò che Tebe fosse distrutta e gli abitanti venduti come schiavi.\nTebe e la rocca vennero ricostruite da Cassandro I nel 316 a.C., ma il declino di Tebe fu tuttavia irreversibile, tanto che nel II secolo d.C. Pausania il Periegeta riferisce che Tebe e i territori circostanti erano ormai disabitati, e che solo poche persone abitavano nella rocca Cadmea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cafauro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cafauro (in greco antico: Κάφαυρος) era un pastore figlio di Garamante e di una ninfa lacustre.\n\nEtimologia.\nIl nome 'Cafauro' deriva dalla canfora, che non cresce in Libia; la storia rimane comunque plausibile, viste le scarse conoscenze geografiche dei mitografi.\n\nNella mitologia.\nCafauro, discendente di Acacallide e di Apollo, pascolava come sempre con il suo gregge in Libia, quando Canto, un argonauta che, come gli altri, era rimasto senza cibo, affamato cercò di sottrargliene un paio.\nAccortosi del tentativo del furto, Cafauro assalì Canto e lo uccise. Gli altri argonauti, appena si resero conto dell'omicidio, vendicarono subito l'amico, uccidendo il pastore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Calaide.\n### Descrizione: Calaide (in greco antico: Κάλαϊς?, Kàlais) o Calai è un personaggio della mitologia greca, è il fratello gemello di Zete ed è figlio di Borea e Orizia.\n\nMitologia.\nAi due fratelli, ai quali era stato predetto che sarebbero morti allorché non avessero raggiunto chi inseguivano, quando divennero adulti, spuntarono le ali e furono scelti da Giasone per partecipare alla missione degli Argonauti per la cerca del vello d'oro.\n\nLe avventure degli argonauti.\nL'abbandono di Eracle.\nQuando Giasone decise di abbandonare Eracle con Polifemo, molti degli Argonauti non appoggiarono tale decisione. Una volta in mare tentarono anche di convincere il timoniere Tifi a tornare indietro a riprenderlo, ma proprio Calaide e Zete negarono tale possibilità.\nPer questo motivo Eracle non li perdonò.\n\nFineo e le arpie.\nApprodati a Salmidesso, Giasone chiese a re Fineo, figlio di Agenore informazioni sul vello d'oro e lui disse che avrebbe risposto se lo avessero liberato dalle Arpie che lo tormentavano da tempo. Grazie alle loro ali e alla loro abilità con l'arco, Calaide e Zete riuscirono a inseguire le orride creature fino alle isole Elote. Si fermarono solo dopo aver ricevuto da Iride, messaggera di Era, la garanzia che esse avrebbero smesso di tormentare Fineo.\nIn seguito furono loro a liberare i figli di Fineo e Cleopatra imprigionati per colpa di Idea.\n\nAltri pareri.\nCalaide ebbe a quanto pare una relazione omoerotica con Orfeo. Il rapporto tra i due sarebbe già nato ai tempi della spedizione degli Argonauti, per rinsaldarsi dopo la tragica fine di Euridice, moglie di Orfeo.\n\nLa morte.\nI due fratelli vinsero ai giochi funebri di Pelia due gare: Zete quella della corsa podistica più breve e Calaide quella più lunga. Mentre facevano rientro alla loro terra furono assaliti da Eracle, che non aveva mai perdonato loro il rifiuto di cambiare rotta quando lo abbandonarono. Eracle li abbatté a colpi di clava, ma pentitosi subito dopo di ciò che aveva fatto seppellì personalmente i cadaveri dei due giovani erigendo in loro memoria una stele funeraria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Calamo (mitologia).\n### Descrizione: Càlamo (dal greco antico κάλαμος, «canna») è una figura della mitologia greca, figlio di Meandro, una divinità fluviale.\nEra un bellissimo giovane, la sua storia viene narrata da Eros, nel poema epico intitolato Dionysiaca di Nonno di Panopoli, che cerca così di consolare Dioniso della morte del suo amato Ampelo.\nCalamo era innamorato di un suo coetaneo, Carpo (dal greco antico καρπóς, «frutto»), figlio di Zefiro e anch'egli bellissimo. I due amanti vivevano felici del loro amore reciproco, ma durante una gara di nuoto nel fiume Meandro, Carpo fu trascinato indietro da un vento contrario ed affogò. Disperato, anche Calamo si lasciò annegare nelle acque del suo stesso padre, pregando Zeus che gli togliesse la vita e lo riunisse all'amante. Il Dio, toccato dal dolore del giovane, trasformò Calamo in una pianta palustre, di quelle che crescono ordinariamente sulle sponde dei fiumi e alla quale diede il nome di 'Calamo', che significa 'canna'. Gli fu assegnato il compito di sostenere la vite contro il vento, mentre Carpo divenne un frutto del suolo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Calcomedusa.\n### Descrizione: Calcomedusa (in lingua greca Χαλκομέδουσα) è un personaggio della mitologia greca, secondo fonti omeriche fu sposa di Arcesio o Arcisio, madre di Laerte (argonauta e padre di Ulisse).\nCalcomedusa risulta quindi essere nonna paterna di Ulisse e bisnonna di Telemaco.\nIl suo nome, formato dal sostantivo χαλκος, 'bronzo', e dal participio µέδουσα, voce del verbo µέδοµαι, 'governare', significa 'colei che governa con il bronzo'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Calesio.\n### Descrizione: Calesio è un personaggio dell'Iliade.\n\nMito.\nCalesio era lo scudiero e auriga di Assilo, un alleato di Priamo proveniente da Arisbe. Queste mansioni gli vennero date in occasione della guerra di Troia, perché prima egli era semplicemente un servo di Assilo.\nFu ucciso col suo signore da Diomede. L'episodio si conclude con l'immagine delle due anime che discendono nell'oltretomba.\n\n(Omero, Iliade, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Calimno.\n### Descrizione: Calimno (in greco Κάλυμνος?, Cálymnos; in italiano anche Càlino) è un'isola greca del mar Egeo facente parte del Dodecaneso. È famosa per l'abilità dei suoi abitanti nel pescare le spugne e per essere uno tra i centri più rinomati al mondo per la pratica dell'arrampicata sportiva.\n\nGeografia.\nCalimno è un'isola montuosa e brulla. Ha una forma massiccia con una lunga e smilza penisola che si protende verso Leros. Le sue coste sono assai frastagliate e al largo si trovano numerosi scogli e isolotti tra cui i più importanti sono Telendos, sul versante occidentale e Pserimos su quello orientale.\n\nStoria.\nIn contrasto con l'abbondante materiale archeologico rinvenutovi, la storia di Calimno è poco nota. Omero la cita nell'Iliade come una delle isole Calydnae. (Le altre erano probabilmente Leros, Telendos). Calimno fu colonizzata dai Dori. Al tempo delle guerre persiane fu soggetta ad Artemisia I di Alicarnasso insieme alla vicina isola di Coo e Nisiro. Finite le guerre divenne un'alleata di Atene.\nOvidio la descrive come 'l'isola dai boschi ombrosa' in contrasto con l'aspetto odierno dell'isola, alquanto spoglio. L'isola produce fichi, vino ed olio oltre ad un eccellente miele per cui era già celebre nell'antichità. Un sito archeologico si trova nella valle del porto di Linaria sul versante occidentale dell'isola. Le principali rovine sono quelle della grande chiesa dedicata a Cristo di Gerusalemme costruita sopra le fondamenta di un precedente tempio di Apollo di cui rimane ancora qualche traccia. L'epoca ellenistica è documentata nella zona di Vathy. Una necropoli è stata individuata a Damos.\nNel 1912, in seguito alla guerra italo-turca, fu occupata dall'Italia. La sovranità italiana venne riconosciuta nel 1923. Per due anni, fu governata dal Generale Francesco Traina Gucciardi.\nIl 24 settembre 1943 fu occupata dalle truppe britanniche, che la evacuarono il 4 ottobre, in seguito all'occupazione tedesca di Coo. Il 7 ottobre 1943 fu occupata dai tedeschi, dopo che metà delle truppe italiane si erano rifugiate in Turchia. Parte delle truppe italiane continuò la resistenza per circa un mese nell'interno dell'isola, prima di essere catturate. Occupata dalle truppe britanniche nel maggio 1945, fu annessa alla Grecia nel 1948.\n\nCentri abitati.\nPothia.\nPothia è il centro più importante e la sede del municipio. È affacciata su una profonda insenatura della costa occidentale. Pothia ha un piccolo museo archeologico accolto nella villa della famiglia Vouvalis. Le collezioni spaziano dal periodo arcaico, classico a quello ellenistico e provengono per lo più dalla necropoli di Damos.La villa della famiglia Vouvalis è stata restaurata e riportata all'aspetto del secolo XIX quando Calimno era un fiorente centro di pesca delle spugne.\n\nCastello della Crysocherià.\nA metà circa della strada tra Pothia e Chora, si ergono su un'altura le rovine del castello di Chrysocherià costruito al tempo in cui il Dodecaneso era sottoposto al dominio dei Cavalieri ospitalieri. Lungo la scala in pietra che conduce all'ingresso orientale castello si vedono gli stemmi del cavaliere Fantino Querini governatore di Coo e del Gran Maestro Jean Bompart de Lastic che ne decisero la costruzione tra il 1445 e il 1450. Sono visibili anche i blasoni di Adimaro Dupuy (1464 – 1466) e di Giacomo de la Geltru sotto i cui governi il castello fu rimaneggiato. Oggi il castello con le sue due torri e i suoi due ingressi si presenta in buone condizioni grazie ad interventi della fine del XX secolo. Al suo interno però restano solo tracce delle antiche costruzioni. Tra queste è la chiesetta di Crysocherià (la Madonna dalle mani d'oro) che preesisteva al castello. A breve distanza vi sono i ruderi di due mulini per la macina del grano di proprietà del cavalier Querini. Il castello fu abbandonato poco dopo, alla fine del XV secolo a seguito delle frequenti incursioni dei Turchi. Non fu più restaurato perché il governo aveva deciso la costruzione di una più grande fortezza a Chora in posizione più sicura. Quest'ultima fortezza fu completata nel 1495.\n\nChora.\nChora era l'antica capitale di Calimno. Oggi è un piccolo villaggio del retroterra, ad ovest del capoluogo. Sul monte che la sovrasta stanno i ruderi di un'antica fortezza bizantina.\nTra Chora e Panormos si trovano i ruderi della chiesa di Cristo di Gerusalemme, fondata su un antico tempio di Apollo.\n\nMegalo Kastro.\nMegalo Kastro è una fortezza costruita alla fine del XV secolo dai cavalieri di Rodi con lo scopo di difendere Kalymno dalla incombente minaccia turca. Megalo Kastro, il cui nome tradotto in italiano è Grande Fortezza, si trova ad un'altezza di 255 metri. La fortezza poteva ospitare una popolazione di 1.200 persone. All'interno si trovano numerose chiesette. La fortezza continuò ad essere abitata anche negli anni successivi della dominazione ottomana. Fu abbandonata solo verso la fine del XVIII secolo, quando diminuì il fenomeno della Pirateria e le coste furono nuovamente sicure.\n\nMyrties.\nMyrties è un villaggio su un promontorio della costa occidentale in posizione molto pittoresca, di fronte all'isola di Telendos. Vicino alla chiesetta di Agios Ioannis sono visibili i resti di un tempio.\n\nMasouri.\nMasouri è a 1 km più a nord di Myrties; è anch'essa una stazione balneare con molte spiagge nei suoi dintorni.\n\nEmporiòs.\nEmporiòs (in greco Εμπορειός?) è una località balneare lungo la smilza penisoletta che si protende verso Nord Ovest fin quasi a toccare Lero. Nelle vicinanze di Emporiòs si trova il sito archeologico di Kastrì, un antico luogo fortificato. Un sentiero in salita conduce alla porta munita di due torri, di cui una ancora in piedi. All'interno del perimetro delle mura sono visibili tracce delle fondamente di vari edifici. Vi sono stati identificati un frantoio e due cisterne. Kastrì fiorì tra il IV e il III secolo a.C..\n\nVathy.\nVathy è un centro della costa orientale allo sbocco di una fertile valle che fu abitata fin dal Neolitico come hanno dimostrato importanti rinvenimenti in vari punti della zona.\nTra questi i più importanti sono:.\n\nLa Grotta di Daskaliò.\nLa grotta di Daskaliò si trova nel profondo e stretto golfo di Rina sulla rocciosa costa a nord dello scalo di Vathy. Nel 1922 fu esplorata dall'archeologo Amedeo Maiuri. All'interno della grotta vennero ritrovati reperti del Neolitico e dell'età del bronzo. Fra questi spiccano un'ascia in pietra, un idolo in bronzo del minoico, un disco in terracotta del minoico di mezzo e vasi micenei.\n\nCollina Peristeriàs.\nLa Collina di Peristerià (in italiano: Collina della Colomba) si trova nell'insenatura di Vathy, dalla parte opposta alla grotta di Daskaliò. È un sito che fu abitato alla fine Neolitico. La zona che si estende fino in località Voukolià al limite della strada asfaltata, ha prodotto alcuni vasi in ceramica nera del periodo geometrico. Non vi sono state rinvenute tracce di abitazioni. Probabilmente queste erano costituite da capanne.\n\nIl centro di Kastella.\nIl centro di Kastella si trova lungo le pendici del monte a settentrione di Vathì, a 500 m di distanza dalla località Metòchi. Le imponenti rovine si allargano fino al monte Rito ad occidente. Le costruzioni (circa 50), disposte su assi ortogonali, erano realizzate con blocchi di pietra locale, di forma quadrata e trapezoidale, posti l'uno sull'altro senza l'uso di materiali leganti. Alcune pietre hanno dimensioni di 1,60 m di altezza x 1,30 m di lunghezza. Nella parte alta dell'abitato si trovano mura spesse che appartenevano forse ad un tempio o all'abitazione di qualche dignitario. Il luogo fu abitato dalla preistoria fino all'età classica. Vi sono stati ritrovati idoli fittili della tarda età del bronzo, monili della tarda età del bronzo, monete di Mileto e di Coo e punte di frecce in bronzo del V secolo a.C. Probabilmente gli abitanti erano di etnia Caria. L'abitato cessò di esistere nel V secolo a.C.\n\nL'acropoli di Embola.\nL'acropoli di Embola era un luogo fortificato nella valle di Vathy, ad est della località Metòchi. È visibile il muro di cinta spesso poco più di 1 metro e con un perimetro di 75x 42 metri. Vi si aprivano porte di 4 metri di larghezza. L'acropoli fu costruita nel IV secolo a.C. e fu abitata per tutto il periodo ellenistico.\n\nLa basilica Taxiarchi.\nLa basilica Taxiarchi si trova a nord dell'acropoli di Embola. Fu costruita nel VI secolo d.C. con materiali di recupero dell'acropoli. Era una chiesa paleocristiana di 21,60 x 13,60 m, con il pavimento decorato a mosaico colorato per lo più con motivi geometrici. Vicino c'è una chiesa con tracce di affreschi del XIII e del XIV secolo.\n\nRina.\nRina era un porto del versante orientale, oggi all'interno. Il nome deriva da un'antica basilica paleocristiana di Santa Irene (La pace divina) o, più probabilmente, dalla parola greca 'reo' che significa scorrere. L'agglomerato fu fiorente nella prima era bizantina (V e VI secolo d.C.). Le abitazioni private erano dotate di cisterne per la conservazione di acqua potabile. Vi sono state rinvenute 7 chiese. L'abitato decadde nell'VIII secolo, molto probabilmente per le sempre più frequenti incursioni di Arabi dal mare. Si sviluppò nuovamente nel X secolo con la ripresa dello Stato bizantino.\n\nStimenia.\nStimenia è una località corrispondente alla zona nord ovest della valle di Vathy. A 50 metri dai ruderi della chiesa bizantina di San Nicola c'è una grotta che fu abitata in epoca preistorica. Intorno alla chiesa sono state rinvenute tombe di epoca bizantina.\n\nElies.\nElies è una località molto piccola, in realtà praticamente una piazza, lungo la strada che da Arxangelos porta a Myrties. Ritrovo serale di giovani e turisti, Elies conserva il naturale clima di ospitalità e allegria tipico della Grecia.\n\nSito d'arrampicata.\nL'isola è un importante sito d'arrampicata che offre più di 3000 vie verticali e strapiombanti su roccia calcarea. Grazie al clima prevalentemente asciutto può essere considerata una meta adatta per ogni stagione, sebbene la primavera e l'autunno siano le stagioni migliori per praticare.\nSull'isola sono presenti vie per ogni stile di arrampicata, ma il tratto distintivo sono sicuramente le vie strapiombanti in grotta caratterizzate da grosse stalattiti sporgenti dalla parete.\n\nI settori.\nAlcuni tra i settori più classici e frequentati dell'isola sono:.\n\nAfternoon.\nAhri.\nGrande Grotta.\nOdyssey.\nPanorama.\nSecret Garden.\nSikati Cave.\n\nLe vie.\nLe vie più difficili:.\n\n9a/5.14d:.\nLos Revolucionarios - 25 maggio 2009 - Adam Ondra.\n8c+/5.14c:.\nInshallah - ottobre 2007 - Nicolas Favresse.\nGora Guta Gutarak - maggio 2007 - Nicolas Favresse.\nTitanthrope - 23 ottobre 2006 - Dave Graham.\n\nAmministrazione.\nGemellaggi.\nCalimno è gemellata con:.\n\nArles, dal 2004." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Callisto.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Callisto (in greco antico: Καλλιστώ?, pronuncia kallistɔ̌ː) era una ninfa o, secondo altre versioni, la figlia di re Licaone o di uno dei suoi figli, Keteus o Nykteus. Era una delle ancelle della dea Artemide (Diana per i romani), che Zeus sedusse poiché attratto dalla sua bellezza. Secondo alcune versioni, ispirate dall'omonima commedia di Anfide, Zeus si trasformò proprio in Artemide per poter attirare Callisto e giacere con lei. In seguito a tale rapporto ella rimase incinta e, quando venne scoperta, fu espulsa e trasformata in un orso da Artemide o Era. Come orso diede quindi nascita ad Arcade, eroe eponimo della regione Arcadia. Nell'ultima parte del mito, un attimo prima di essere uccisa proprio da una freccia del figlio (che l'aveva scambiata per un orso normale), Zeus le salvò la vita ponendola tra le stelle come l'Orsa Maggiore.\nUna delle lune galileiane di Giove ed un asteroide della fascia principale prendono il nome da Callisto.\n\nGenealogia.\nSecondo altre versioni, Callisto viene invece indicata come figlia di Nykteus o Keteus,, entrambi figli di Licaone. Uno scoliaste dell'Oreste di Euripide, nel 1646, indica come genitori Keteus e Stilbe.\n\nMitologia.\nEsiodo racconta di Callisto nella sua Astronomia. Anche se l'opera originale è andata perduta, Eratostene di Cirene riporta la versione di Esiodo nei suoi Catasterismi. In questa versione, Callisto era figlia di Licaone e viveva sulle montagne d'Arcadia, dove faceva parte del corteo di caccia della dea Artemide ed era, in quanto tale, votata alla castità. In seguito, Zeus la sedusse, giacque con lei e la mise incinta. Callisto riuscì a nascondere la gravidanza per un po' di tempo, finché Artemide riuscì a vederla nuda mentre faceva il bagno e si accorse del ventre gonfio. Infuriata, la dea la scacciò dal gruppo e la trasformò in un orso. In questa forma la principessa partorì il figlio Arcade, ma fu separata dal piccolo quando un gruppo di pastori tentò di cacciarla. Arcade venne quindi portato a Licaone. Alcuni anni dopo, Callisto entrò nel santuario di Zeus, non sapendo che fosse proibito accedervi; per questo motivo un gruppo di arcadi, tra cui il figlio stesso, la inseguirono per ucciderla, ma prima che lei potesse perdere la vita Zeus ebbe pietà e la mise tra le stelle come la costellazione dell'Orsa Maggiore (in greco in greco antico: Ἄρκτος Μεγάλη?, Arktos Megale). Questa versione della storia viene riportata anche nel De Astronomia di Igino l'Astronomo, dove viene aggiunto che Diana (Artemide) provava molto affetto per la ragazza a causa del loro carattere simile.\nIl primo ad aggiungere il dettaglio secondo cui Zeus si trasformò in Artemide stessa per sedurre Callisto fu il commediografo Anfide nella sua commedia omonima Kallisto. Sebbene anche tale opera sia ad oggi perduta, un riassunto è presente nel De Astronomia. Zeus avrebbe seguito, sotto forma della figlia, la principessa arcade come se volesse aiutarla nella caccia, e la prese non appena furono separati dal resto del gruppo. Quando Artemide le chiese il motivo del suo ventre gonfio Callisto disse che era stata colpa della dea, al che questa la trasformò in orso e la scacciò. A differenza della versione di Esiodo, Callisto non viene separata dal figlio, ma, trovati i due da un gruppo di etoli, essi furono portati in Arcadia come dono per Licaone. Quando l'orsa sconfina nel tempio di Zeus (indicato da Igino come quello di Iuppiter Lycaeus, in greco Zeus Lykaios) viene seguita dal figlio e gli arcadi quindi li inseguono entrambi, ma Zeus, conscio della propria indiscrezione, li salva ponendoli assieme tra le stelle.\n\nIgino racconta anche altre versioni. In una di queste, Callisto fu trasformata in un'orsa da Era mentre giaceva con Zeus. In seguito venne uccisa da Artemide, che non la riconobbe, ma appena scoperta la sua identità ella venne piazzata tra le stelle. In un'altra versione, che ricorda molto il mito di Io, fu Zeus stesso che, mentre inseguiva Callisto, la trasformò in un orso per nascondere il fatto ad Era, la quale lo aveva raggiunto mossa dal sospetto di un tradimento. Trovando un orso al posto di una ragazza, Era indicò la bestia ad Artemide, che stava cacciando nei dintorni, e questa la uccise. Nuovamente, fu trasformata in una costellazione da Zeus. Igino racconta anche che il motivo per cui l'Orsa Maggiore non tramonta mai è che Tethys rifiuta di accoglierla tra le sue acque poiché ella fu un'amante del marito di Era, della quale la titanide fu in passato nutrice..Pausania il Periegeta, nella sua Periegesi della Grecia, racconta similmente che Callisto fu trasformata in orsa da Era, e che Artemide la uccise per compiacere la regina degli dei; Zeus però chiese a Ermes di salvare il bambino che l'amante aveva in grembo (mostrando similarità con il mito di Semele), prima di trasformare questa nella costellazione.. Secondo Pausania, la storia di Io e quella di Callisto sono praticamente uguali, in quanto entrambe coinvolgono 'amore di Zeus, ira di Era, e metamorfosi, diventando la prima una mucca e la seconda un'orsa. Questo mostra come, per Pausania, la presenza di Era nel mito fosse uno degli elementi principali. Da notare, inoltre, che Pausania non descrive mai Callisto come compagna di Artemide, per quanto non si possa dire con certezza se tale mancanza sia intenzionale o meno. Sicuramente, però, egli era cosciente di come l'arcade fosse a volte legata al culto di Artemide: sempre nella Periegesi egli indica la posizione della tomba di Callisto, raggiungibile 'discendendo trenta stadi da Cruni' (vicino all'attuale Balčik, in Bulgaria), e la descrive come 'un tumulo di terra, sul quale crescono molti alberi, sia di quelli coltivati che di quelli che non producono alcun frutto. Sulla cima del tumulo vi è un santuario di Artemide, soprannominata Kalliste' (in greco antico: Καλλιστη?).Nella Biblioteca di Pseudo-Apollodoro viene ripresa la versione di Pausania, ma viene di nuovo fatto riferimento a Callisto come compagna di caccia di Artemide. Zeus la prese con la forza dopo averla ingannata con l'aspetto di Artemide od Apollo, e la trasformò in orsa per nasconderla ad Era. Anche in questa versione fu Artemide ad uccidere Callisto con una freccia, come richiesta da parte di Era oppure per punirla per non aver protetto la propria verginità. Zeus, tuttavia, riuscì a salvare proprio figlio dal grembo della madre e lo affidò alle cure di Maia (la madre di Ermes) in Arcadia; viene specificato, inoltre, che fu proprio Zeus a scegliere il nome di Arcade.\n\nLa tradizione latina.\nOltre che nel De Astronomia, il mito di Callisto viene riportato anche nelle Fabulae (secondo alcuni da attribuire a Gaio Giulio Igino piuttosto che all'ancora ignoto Igino l'Astronomo). Anche in questa versione Callisto viene trasformata da Giunone (Era), catasterizzata da Giove (Zeus) e non può tramontare per divieto di Tethys, ma in questo caso la costellazione viene chiamata 'Septentrio', e viene riferito come nome greco 'Helice'. Questa è anche una delle versioni meno dettagliate della storia: Arcade viene citato come suo figlio e progenitore della razza degli arcadi, ma è mancante qualunque episodio coinvolgente i due e non viene menzionato in che occasione avviene il catasterismo; la stessa Diana (Artemide) sembra non vere alcuna connessione con Callisto, che fu semplicemente sedotta da Giove durante la di questi visita a Licaone. Un altro elemento di differenza è che, nonostante la paternità di Callisto venga attribuita al figlio di Pelasgo, la ragazza viene comunque considerata una ninfa, e infatti, nello stesso testo viene riportata la trascrizione di versi cretesi (un inno ad Arcade) in cui essa viene chiamata 'Ninfa Licaoniana'.Ovidio riprende il mito nelle Metamorfosi (II, 404-507), dove narra che Callisto fu inizialmente avvicinata da Giove sotto le sembianze di Diana, ma che, una volta accortasi della passione di questo, tentò di fuggire, costringendo il dio a riassumere il suo vero aspetto per prenderla con la forza. Uscita dal boschetto dove si trovava, Callisto notò Diana che la chiamava ma, per paura che potesse trattarsi di un nuovo travestimento di Giove, si rifiutò di avvicinarsi finché non vide il resto del corteo avvicinarsi, al che, convinta dell'identità della dea, si riunì al gruppo. Passato un po' di tempo, dopo aver partecipato ad una battuta di caccia con Diana e le altre ancelle, Diana propose di fare il bagno presso una fonte. Callisto tentò di nascondersi dietro alle altre ancelle per occultare il fatto di essere incinta, ma venne infine scoperta e Diana, adirata, la scacciò.\nCallisto diede quindi alla luce il figlio di Giove, Arcade, e solo allora Giunone, infuriata per la messa al mondo di un figlio illegittimo del marito, la trasformò in un'orsa. Callisto vagò nei campi e nei pressi degli uomini ma avendo le sembianze di un orso fu temuta e scacciata sia dagli uomini che dai cani. Similmente, nella natura, era lei stessa a fuggire dalle altre bestie selvagge, compresi i lupi, 'nonostante suo padre fosse un lupo'. Quindici anni dopo riconobbe il figlio Arcade che si era addentrato nella foresta per cacciare, ma quando cercò di avvicinarsi questo spaventato tentò di colpirla con una lancia nel petto. Giove, tuttavia, non permise il crimine di un figlio che uccide la propria madre, e mandò un vento che li sollevò entrambi da terra e lì collocò come costellazioni in cielo. Giunone, infuriata nel vedere i due venire onorati con questa condizione, si recò da Tethys e Oceano per chiedere che impedissero a madre e figlio di riposarsi nelle loro acque tramontando, e i due esaudirono tale richiesta.Nei Fasti, Ovidio associa Callisto all'Orsa maggiore ed Arcade all'Orsa Minore, chiamandole con i loro nomi greci (rispettivamente Arktos, 'Orso', e Arctophylax, 'Guardiano d'orsi'). Qui racconta in modo meno dettagliato la stessa versione presente nelle Metamorfosi, con la sola differenza che, durante la scena del bagno, Callisto non tenta di nascondersi ma invece rifiuta di spogliarsi; fino a che Diana, insospettita, le strappa la veste. Viene anche specificato che il corteo di caccia di Diana è composto da amadriadi, ma non è chiaro se anche Callisto sia una ninfa o meno.In entrambe queste narrazioni, Ovidio critica la freddezza e la spietatezza di Diana e Giunone e cerca di appellarsi alla loro pietà, dichiarando come Callisto non sia altro che un'innocente vittima di Giove.\n\nCallisto nell'arte.\nCallisto e Diana di Bernardo Castello (Genova 1557 - 1629) affresco sulla volta d'un salotto del piano nobile della Villa Centurione del Monastero (ora Presidenza della Scuola Secondaria di Primo Grado San Pier d'Arena), di Genova Sampierdarena, Piazza del Monastero, 6.\nDiana e Callisto di Pieter Paul Rubens (1637-1638).\nBagno di Diana e storie di Atteone e Callisto di Rembrandt (1634).\nGiovanni Faustini (circa 1619-1651), Calisto, libretto per La Calisto musicata da Francesco Cavalli (1602-1676). Altri libretti d'opera sullo stesso tema sono stati scritti da Luigi Groto, Francesco Clerico, Domenico Lalli e Almerico Passarelli.\nFrançois Boucher (1703-1770) Diana e Callisto (più versioni).\nCorneille Bos (1506/1510-1556) e Hendrick Goltzius, (1558-1617), Giove e Callisto (incisione).Anche Giambattista Tiepolo ha dipinto la storia della ninfa Callisto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Calunnia (divinità).\n### Descrizione: Calunnia era una divinità minore del pantheon greco e romano.\nConsiderata una divinità malefica, era onorata dagli Ateniesi sotto il nome di Diabolé (Διαβολὴ), da cui è derivato il nome di 'Diavolo' dato al Demonio, padre della menzogna e della calunnia. I Greci le innalzarono altari e offrivano dei sacrifici affinché non facesse loro alcun male.\nPer rappresentare la calunnia, il pittore Apelle, dipinse una donna molto bella e ben vestita, con sembiante fiero e adirato; con la sinistra teneva una fiaccola accesa e con la destra trascinava per i capelli un giovane, l'Innocenza, avanzando verso un re con delle orecchie lunghissime che stava seduto le tendeva la mano, con a fianco due figure che gli sussurravano nelle orecchie: il Sospetto e l'Ignoranza.\nSulla base della descrizione di Luciano di Samosata della tavola di Apelle, Raffaello ha dipinto il quadro della Calunnia. La stessa descrizione ispirò Sandro Botticelli per la sua Calunnia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Campe.\n### Descrizione: Campe (in greco antico: Κάμπη) è una figura della mitologia greca, era la custode del Tartaro.\n\nCaratteristiche.\nAveva l'aspetto di una donna anziana per la metà superiore, per la metà inferiore di drago ricoperta di serpenti, come i suoi capelli. Dove si congiungono le due metà la pelle ribolle e talvolta si formano teste di animali. Può essere armata di due spade avvelenate. Rea predisse a Zeus che avrebbe potuto vincere la guerra contro i Titani e spodestare il padre Crono solo se si fosse alleato con i Ciclopi (Arge, Sterope e Bronte) che tempo addietro erano stati confinati nel Tartaro dallo stesso Crono. Questi li aveva utilizzati nella guerra contro Urano e in seguito se ne era sbarazzato temendo le loro abilità di fabbri di oggetti magici.\nZeus quindi decise di liberarli e uccise Campe, che si era opposta. Liberò così i Ciclopi e gli Ecatonchiri. Secondo un'altra versione Zeus si limitò ad ubriacarla per poi procedere all'apertura della prigione.\nCampe è nominata anche nel libro Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: La battaglia del labirinto come guardiana del centimane Briareo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Campi Elisi.\n### Descrizione: I Campi Elisi, Elisio o Esilio, sono, secondo la mitologia greca e romana, il luogo nel quale dimoravano dopo la morte le anime di coloro che erano giudicati buoni da Minosse, Eaco e Radamante, i giudici delle anime.\nDi questo regno fanno parte il poeta Museo, Anchise, Omero, Solone e le anime di coloro che devono ancora nascere (es.: Romolo e Remo).\n\nNella letteratura classica.\nNell'Odissea, Omero ricorda che i Campi Elisi saranno la destinazione di Menelao, amato appunto dagli dèi, poiché genero di Zeus in quanto marito di Elena, dandoci anche una descrizione del luogo (libro IV, 562-569): un luogo in cui per i mortali la vita è bellissima, mai toccata da neve o pioggia, né dal freddo, ma con eterni soffi di zefiro, rinfrescanti per gli uomini, mandati da Oceano. I Campi Elisi si presentano come immensi campi fioriti, dove si vive perennemente sereni.\nNell'Eneide di Virgilio, Enea, dopo la sua fuga da Troia, arriva in Campania, al lago d'Averno, per consultare la Sibilla; ella lo accompagna fino ai Campi Elisi, dove incontra suo padre Anchise, deceduto da poco.\n\nNella cultura di massa.\nNel videogioco rougelike Hades il protagonista, il dio ctonio Zagreus, figlio secondo il mito di Ade e Persefone, deve oltrepassare i Campi Elisi per riuscire a emergere dall'oltretomba; per riuscirci dovrà però affrontare l'eroe ateniese Teseo e il leggendario Asterio, toro di Minosse. Sconfiggendoli emergerà al Tempio dello Stige.\n\nVoci correlate.\nAde (regno).\nTartaro (mitologia).\nPrati D'Asfodelo.\nParadiso.\nOltretomba.\nAvenue des Champs-Élysées.\n\nAltri progetti.\nWikiquote contiene citazioni di o su Campi Elisi.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Campi Elisi.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Elysium Greek / mythology / Also known as: Elysian Fields, Elysian Plain, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Campi del Pianto.\n### Descrizione: I Campi del Pianto, nella mitologia greco-romana, secondo Virgilio, sono il luogo dove i morti suicidi e coloro che in vita furono travolti dalla passione, passano la vita dopo la morte.\nQui si trova l'anima di Didone, regina di Cartagine suicidatasi per la perdita di Enea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Canale di Serse.\n### Descrizione: Il canale di Serse è una ciclopica opera di ingegneria idraulica progettata, a fini bellici, da Serse I di Persia, quale atto propedeutico all'invasione della Grecia per mare, nella seconda spedizione delle guerre persiane.\n\nL'idea.\nL'intento dell'opera era quello di tagliare l'istmo della più orientale delle tre propaggini che costituiscono la penisola Calcidica: vale a dire il promontorio del Monte Athos.Erodoto narra come il canale dovesse permettere il passaggio delle navi persiane, evitando le insidie del pericoloso periplo del promontorio di Athos, che, già nella spedizione precedente (nel 492 a.C.), si era rivelato rovinoso per le sorti della flotta, condottavi da Mardonio.\nUna simile motivazione, già allo stesso Erodoto, doveva tuttavia apparire sproporzionata rispetto all'impegno da profondere nella sua realizzazione, soprattutto se la si confronta con la più facile alternativa del trasporto delle navi sulla terraferma.\nLo stesso storico di Alicarnasso fa mostra di ritenere come la reale motivazione dell'opera dovesse risiedere invece nella mania di grandezza del re persiano.\nMa poteva esserci, probabilmente, un ulteriore motivo: una simile impresa avrebbe fornito una notevole ostentazione di potere, trasformandosi in una potente arma nell'ambito di quella campagna di propaganda bellica e di guerra psicologica che Serse andava abilmente intessendo nella fase preparatoria all'invasione.\nNon bisogna dimenticare che il re persiano, durante la marcia di avvicinamento alla Grecia, aveva già offerto una spettacolare ostentazione di potere con lo scenografico transito dell'armata persiana sul ponte di barche sull'Ellesponto, un'altra notevole opera ingegneristica.\n\nFonti antiche.\nSeguendo Erodoto, la larghezza dell'istmo, nel punto da sezionare, era di circa 12 stadi, corrispondenti a oltre 2 chilometri.\nLa lingua di terra venne suddivisa in settori, ciascuno assegnato a una delle diverse nazionalità che partecipavano alla spedizione (ma allo scavo contribuirono anche gli abitanti del luogo). La direzione dei lavori fu affidata ad Artachea (figlio di Arteo) e Bubare (figlio di Megabazo), entrambi persiani.\nLo scavo procedeva sollevando i materiali su per i gradini intagliati nelle pareti appositamente sagomate.\nI più ingegnosi, ci riferisce Erodoto, si rivelarono, come sempre, gli astuti Fenici. Questi, nel tratto di loro competenza, adottarono una tecnica di scavo a pareti oblique, anziché verticali. Questa scelta, sebbene richiedesse una superiore mole di scavo, dovendosi partire da un invaso più largo, veniva ampiamente ripagata dal più agevole trasporto dei materiali di risulta lungo i fianchi inclinati.\nLa larghezza del canale doveva consentire il passaggio contemporaneo di due triremi affiancate spinte a forza di remi. Poiché l'ingombro di una trireme in fase di spinta era di circa 12 metri, se ne deduce, da questa descrizione, una larghezza di 25 metri e oltre.\nIl completamento dell'opera, tra turnazioni dei lavoratori e imperiali frustate, richiese tre anni.\nErodoto ci informa come, durante la costruzione, sopraggiungesse la morte per malattia di Artachea, uno dei due direttori dei lavori. Artachea viene descritto come il più alto tra i Persiani («5 cubiti imperiali meno 4 dita» - circa 2,15 metri) e dotato della voce più tonante del mondo (una qualità che dovette tornargli senz'altro utile durante la direzione dei lavori).\nSerse, affranto, gli tributò grandi onori erigendogli un tumulo a cui contribuì tutto l'esercito. Il tumulo è probabilmente identificabile con la collina presente presso lo sbocco occidentale del canale.\n\nStudi moderni.\nLa storiografia moderna ha sempre guardato con notevole scetticismo alla descrizione di Erodoto, in particolare per l'assenza di tangibili resti di tale opera ingegneristica.\nQuesto ha portato molti a ritenere più probabile che le navi siano state tuttalpiù trasportate sulla terraferma, attraverso un invaso o una pista tracciata.\nPer questi motivi l'effettiva costruzione del canale, sebbene attestata da una fonte storica, è sembrata, per lungo tempo, essere solo ipotetica.\nIl motivo psicologico che avrebbe portato Erodoto ad una simile falsificazione sarebbe da rinvenire nella volontà del logografo di ingigantire la potenza persiana e far così risaltare la successiva impresa dei Greci.Già nel XIX secolo alcuni studiosi o anche solo curiosi hanno riferito di tracce che potevano essere attribuite al canale.\nNegli anni novanta del XX secolo una ricerca multidisciplinare, svolta in sinergia tra archeologi, ingegneri e geofisici, di varia provenienza, utilizzando avanzate tecniche di prospezione geofisica, fotografica, sismica, sedimentologica, ha fornito conferma non solo della effettiva esistenza dell'opera ma anche della fondatezza della tradizione erodotea circa le caratteristiche tecniche della realizzazione.\nLa ricerca è stata in grado di determinare, ad esempio, la larghezza del canale, rivelatasi essere di 25–35 m nella parte alta e di 20 m sul fondale. La profondità del canale, dall'attuale livello del suolo, sulla base delle discontinuità dei sedimenti depositatisi, è stata stimata in 14–15 m.\nL'analisi del controverso sbocco a sud ha poi escluso l'esistenza di ostacoli e discontinuità nella costruzione, confermando che, quasi certamente, l'opera fu interamente completata.\nAnche l'assenza di organismi marini nella parte centrale del canale sembra avvalorare la narrazione erodotea, secondo la quale il canale fu abbandonato a se stesso subito dopo il suo utilizzo. La mancanza di manutenzione portò rapidamente all'ostruzione del passaggio in seguito al collasso delle pareti. Questa circostanza sembra suggerire, nelle parole degli stessi scopritori, «che Serse costruì il canale non meno per ottenerne prestigio e quale dimostrazione di forza che per il suo mero ruolo funzionale»." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Canto (mitologia).\n### Descrizione: Canto (in greco antico: Κάνθος?) è un personaggio della mitologia greca ed un Argonauta.\n\nGenealogia.\nEra figlio di Caneto e di Enioche nonché fratello di Scirone.\n\nMitologia.\nOriginario dell'Eubea, fu uno di coloro che risposero all'appello, diffuso dagli araldi inviati da Giasone in tutta la Grecia, a partecipare all'impresa di recuperare il vello d'oro sottratto al tempio di Zeus e custodito nella Colchide.\n\nLe avventure degli Argonauti.\nDurante il ritorno dalla Colchide gli argonauti si ritrovarono sospinti sulla costa libica. Canto scorse un gregge di pecore sulla terraferma e mosso dalla fame si avvicinò con l'intento di rubarne una. Cafauro, un pastore garamanto proprietario di quel gregge, si accorse del furto e lo uccise.\nI suoi compagni ne vendicarono la morte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Canzoniere di Santa María del Puerto.\n### Descrizione: Il Canzoniere di Santa María del Puerto (CSMP) è un gruppo di ventiquattro Cantigas de Santa Maria (CSM) il cui tema è relazionato all'immagine di Santa María de El Puerto, alla sua devozione, al suo santuario e ai suoi miracoli. Le cantigas in questione sono quelle catalogate con i numeri 328, 356, 357, 358, 359, 364, 366, 367, 368, 371, 372, 375, 376, 377, 378, 379, 381, 382, 385, 389, 391, 392, 393 e 398. Santa María del Puerto (nelle Cantigas, Santa Maria do Porto) era un'invocazione mariana che aveva radici nella popolazione andalusa di El Puerto de Santa María, chiamata Alcanate o Alcanatir all'epoca di al-Andalus. Alfonso X il Saggio trasformò la moschea di Alcanate in un santuario fortificato per la venerazione dell'immagine di Santa María di El Puerto. Oggi si conosce l'immagine con il nome di Nuestra Señora de los Milagros ('Nostra Signora dei Miracoli') e il santuario fortificato con il nome di Castillo de San Marcos, popolarmente detto el Castillito.\n\nDiscografia.\nEduardo Paniagua. Música Antigua. Santa María del Puerto I. [1]. Contiene, tra le altre, le Cantigas 328, 358, 356, 364, 377, 378, 382 e 385 che formano parte del Canzoniere de Santa María de El Puerto.\nEduardo Paniagua. Música Antigua. Cantigas de Jerez. [2]. Contiene, tra le altre, le Cantigas 359, 371, 381, 391 e 398, che formano parte del Canzoniere di Santa María de El Puerto e menzionano Jerez de la Frontera." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Caos (mitologia).\n### Descrizione: Caos o Chaos (in greco antico: Χάος?, Cháos) è un'entità primigenia, propria della mitologia greca. È plausibile pensare che Chaos sia la personificazione del disordine primordiale, luogo dove nacquero spontaneamente le prime divinità.\nChaos viene menzionato e indicato nella Teogonia (Esiodo):.\n\nCaos nella mitografia.\nNella Teogonia, Caos è una delle quattro potenze principali, insieme a Gea, Tartaro ed Eros, e generò Erebo e Nyx. Anche nell'orfismo è una delle quattro potenze, però insieme a l'Erebo, il Tartaro, e Nyx.\n\nCaos nella filosofia.\nConsiderando che originariamente questa parola non aveva l'attuale connotazione di 'disordine' che si ritrova nella parola d'uso comune 'caos', il termine greco antico 'Chaos' viene reso come 'Spazio beante', 'Spazio aperto', 'Voragine' dove indica, nella sua etimologia, 'fesso, fenditura, burrone', quindi simbolicamente 'abisso' dove sono 'tenebrosità, oscurità'.\nEsiodo lo descrive come eghéneto, non il principio quindi, ma ciò che da questo per primo appare:.\n\nIl Caos, secondo alcuni autori, risulta essere nella mitologia e nella cosmogonia degli antichi greci, la personificazione dello stato primordiale di 'vuoto', il buio anteriore alla generazione del cosmo da cui emersero gli dèi e gli uomini.\n\nAltri interpreti della Teogonia avvertono che Caos non coinciderebbe solo con il 'Vuoto'. Graziano Arrighetti ricorda che su questa nozione/divinità non si ha concordanza tra gli studiosi ma «si è in generale d'accordo che Χάος non è semplicemente il 'vuoto', il 'luogo' dove le entità vengono in essere e trovano collocazione»; ma, da un'attenta disamina del termine, risulterebbe essere un'entità non solo spaziale ma anche materiale: «una sorta di nebulosità senza forma associata all'oscurità».Lo scoliaste lo descrive come kenón, lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata:.\n\nQuello che Esiodo chiama Caos non coincide in realtà con quello che i posteri filosofi a partire da Talete identificarono come il principio di tutte le cose o come soprattutto Anassimandro identificò con il termine di archè, ma è l'origine di cose che prima non erano, l'entità eterna ma che non esiste dall'eternità. Da Erebo e Notte si generano le negatività del pensiero greco arcaico: Morte, Sonno e Sogni, le Moire e le Kere, Biasimo, Sventura, Discordia.\nEsiodo concepisce infatti una seconda generazione dovuta a Gaia (la madre Terra) che è all'origine del mondo naturale: il cielo, le montagne, il mare e dalla sua unione con Urano (il Cielo stellato) nasceranno gli dei. Gaia «non è generata da Caos, di essa si dice solo l'ingenerato esserci...né mai si incontrano, Gaia e Caos; neppure le loro discendenze si incrociano».Da notare che nella teogonia orfica riportata da Eudemo da Rodi e dal Papiro di Derveni in principio è la Notte (Nyx) e non Caos. Mentre nella teogonia di ispirazione orfica riportata da Aristofane in Gli uccelli Caos è all'origine unitamente a Erebo, Notte e Tartaro.\nCosì Filodemo di Gadara in Sulla pietà riassume, ad esempio, alcune differenti antiche dottrine teogoniche:.\n\nPer Anassagora come per Platone il 'caos' è il luogo della materia informe e rozza a cui attinge un principio superiore, la 'Mente' per Anassagora e il Demiurgo per Platone, per la formazione del mondo ordinato: il cosmo.\n\nCaos nella religione.\nLa Bibbia (Genesi 1, 1-5) dice che Dio creò il Cielo e la Terra e che 'la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: 'Sia la luce' E la luce fu'. Della separazione fra Cielo e Terra e del caos (Apsû) parlavano le religioni della Mesopotamia. La medesima idea si ritrova anche nell'Induismo (Brahmā e la sua nascita dal caos in Manusmṛti I, 5 sgg.) e nella religione egizia (caos).\n\nCaos nella scienza.\nL'origine dell'universo - secondo la scienza moderna - è in un punto che ha iniziato ad espandersi, mentre la sua energia diventava materia (big bang).\nLa teoria della relatività ci ha permesso di risalire fino a questo 'buco nero al contrario'. 'Buco' poiché risucchia anche masse enormi, come le galassie; 'nero' perché neanche la luce può uscirne; ed è 'al contrario' poiché espelle la materia invece di inghiottirla.\nDi questo espansione dell'universo da una sorgente puntiforme possiamo ricostruire la storia (13,8 miliardi di anni), ma ci manca ancora un piccolissimo pezzo di questa storia: i primi 10 alla -43 secondi (il cosiddetto tempo di Planck), quando le interazioni fondamentali, cioè le quattro forze dello spazio-tempo (gravitazionale, elettromagnetica, debole, forte) sono tutt'uno. Nell'era di Planck il cosmo emerge da un chaos, confuso ed indefinito, un vuoto nel quale, secondo la fisica quantistica, ci possono essere fluttuazioni di energia, che si trasforma in materia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Caradrio.\n### Descrizione: Il caradrio (anche caladrio o calandro) è un uccello bianco che, secondo la leggenda, viveva nei giardini reali. Ha la caratteristica unica di espellere feci mentre mangia. Platone lo cita nel Gorgia nel discorso di Socrate con Callicle per raffigurare l'uomo dissoluto alla perpetua ricerca dei piaceri.\n\nPoteri.\nLe sue feci si dice abbiano il potere di curare le infiammazioni degli occhi. Inoltre esso aveva la capacità di sapere se una persona era affetta da una malattia mortale o no. In tal caso l'uccello distoglieva lo sguardo dal malato, altrimenti lo fissava e ne assorbiva i malesseri, poi volava verso il sole bruciando in tal modo le malattie raccolte.\n\nSimbologia.\nConsiderato nel medioevo simbolo di purezza e del sacrificio di Cristo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Carcino.\n### Descrizione: Carcino (in greco antico Καρκινος, letteralmente 'granchio'), è un personaggio della mitologia greca, che viene descritto come un enorme granchio.\n\nMitologia.\nNel mito, compare durante la lotta di Eracle contro l'idra di Lerna emergendo dalla palude per soccorrere l'idra in combattimento, il carcino pizzicò i piedi di Eracle con le sue chele, ma l'eroe lo schiacciò sotto il tallone.\nPer ricompensarlo del suo sacrificio Era lo trasportò in cielo dove divenne la costellazione del Cancro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Care (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Care era il nome di colui che creò l'arte inaugurale di trarre auspici dal volo degli uccelli.\n\nIl mito.\nCare, cui diede il proprio nome alla Caria intera, viene ricordato, secondo una tradizione, come colui che è riuscito per primo a predire il futuro osservando il volo degli uccelli. Da tale studio vennero in seguito creati i cosiddetti auguri, sacerdoti addetti a tale culto anche nell'antica Roma." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cariddi.\n### Descrizione: Cariddi (in greco Χάρυβδις) è un mostro marino della mitologia greca.\n\nMitologia.\nIn principio era una naiade, figlia di Poseidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno rubò a Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni, tanto che Zeus la fulminò e la fece cadere in mare, dove la mutò in un gigantesco mostro simile a una lampreda, con una gigantesca bocca piena di varie file di numerosissimi denti e una voracità infinita, che risucchiava l'acqua del mare e la rigettava (fino a tre volte al giorno), creando enormi vortici che affondavano le navi in transito. Le enormi dimensioni del mostro facevano sì che sembrasse tutt'uno col mare stesso.\nLa leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla, sicché le navi che imboccavano lo stretto erano costrette a passare vicino a uno dei due mostri.\nSecondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo, rappresentato dai due mostri, infatti sono stati guidati da Teti, una delle Nereidi e madre di Achille. Cariddi è menzionata anche nel canto XII dell'Odissea di Omero, in cui si narra che Ulisse, preferì affrontare Scilla, perdendo quindi solo sei compagni (i rematori più valorosi), divorati dalle altrettante teste di Scilla, anziché l'intero equipaggio. Tuttavia, dopo che Elio e Zeus distrussero la sua nave, Odisseo per poco non finì nelle sue fauci, aggrappandosi a una radice di un fico sull'isola di Cariddi, prima di venire inghiottito.\nAnche Virgilio, nel terzo libro della sua Eneide, fa una descrizione.\n\nOrigine del mito.\nNell’antichità questa leggenda si è originata poiché secondo molti la navigazione sullo stretto di Messina, in corrispondenza del passaggio tra Scilla in Calabria e il Capo Peloro era pericolosa, ma questo in realtà non corrisponderebbe al vero." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Carite.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Carite (forme equivalenti del nome possono sono anche Charis o Carita) è una delle Grazie, o Cariti. Il nome stesso (Charis, in greco: Χάρις) la identifica come la Grazia personificata, simbolo dell'armonia e della perfezione, a cui un essere mortale dovrebbe tendere per considerarsi puro nel corpo e nello spirito.\n\nNel mito.\nLe origini.\nLe leggende legate a questa figura puramente astratta non trovano riscontri in altri miti; solo alcuni poeti, quali Nonno di Panopoli e Pausania, si sono interessati alle sue vicende e hanno trasformato tale personaggio in una figura più concreta, e quindi, in una divinità.Nessun autore, tuttavia, specifica le origini di Carite; la tradizione più semplice e più ovvia la definisce figlia di Zeus, padre della maggior parte delle Cariti: Eufrosine, Talia, Aglaia e Pasitea.\n\nMatrimonio con Efesto.\nNell'Iliade, Carite appare felicemente sposata con Efesto, il dio fabbro, figlio di Zeus e di Era e suo fratellastro. Tale matrimonio non è però altrimenti noto: nell'Odissea, poema attribuito addirittura allo stesso autore dell'Iliade, il dio appare al contrario maritato con Afrodite, mentre della giovane Carite non si fa menzione. Ulteriori tradizioni affermano che Efesto sposò un'altra Grazia, sorella della precedente, Aglaia.\n\nCarite, nell'«Iliade».\nL'unica comparsa di Carite in ambito letterario avviene infatti solo nell'Iliade, al libro XVIII. In tale occasione, Carite, definita da Omero «velo splendente» e «bella», è la prima ad accogliere Teti la Nereide, la quale, addolorata per lo sconforto del figlio Achille di fronte alla perdita dell'amante Patroclo in battaglia, ha intenzione di rivolgersi al dio Storpio per richiedere la costruzione di una ricca armatura.\nLa reazione di Carite di fronte alla sua visita, è di grande comprensione, venata tuttavia da un leggero rimprovero:.\n\nDopodiché l'accompagnò presso un trono a borchie d'argento, e chiamò il marito, il quale, alla vista di una presenza tanto cara e gentile, accorse subito in aiuto di Teti e forgiò per lei le armi con cui Achille giunse a Troia e vendicò la morte dell'amico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Carneio.\n### Descrizione: Carneio o Carneo, (in greco antico: Κάρνειος?) era una divinità antica dei Dori, fusa in seguito con l'epiteto d'Apollo, figlio di Zeus e di Leto (Latona per i Romani).\n\nIl mito.\nSono diversi i miti legati al nome di Carneio e alla sua origine, fra cui:.\n\nEsisteva un bosco sacro ad Apollo dei Cornioli, al che utilizzarono il suo legno per creare il cavallo poi usato per espugnare la città di Troia nella famosa guerra. La divinità si infuriò e per placarsi ebbe numerosi sacrifici, in quell'occasione venne chiamato per la prima volta Carneio spostandone alcune lettere dal nome precedente.\nIn Sparta veniva chiamato Oiketes (della casa), per via del fatto che si trattava di un culto domestico, primo cultore di tale era Crio il figlio di Teocle, per via delle antiche lotte fra Sparta e Dori (la conquista dei secondi della prima).\nIl nome di un veggente, Carno.\n\nCulto.\nDiverse prove del culto della divinità sono ormai andate perdute, ma alcune testimonianze le ritroviamo negli scritti e nei racconti dell'epoca, Pausania ricorda di un tempio a Sicione, vicino al santuario di Era.\n\nFestività.\nNel mese del carneo a Sparta si tenevano le Carnee, feste tenutesi in onore di Apollo Carneio, durante le quali ogni attività bellica veniva sospesa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Carno.\n### Descrizione: Carno (in greco antico: Κάρνος?, Kárnos), noto anche come Carneio o Carneo, è un personaggio della mitologia greca. Fu un Indovino.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e di Europa, fu adottato da Apollo e Leto.\n\nMitologia.\nCarno era un indovino proveniente dall'Acarnania. Quando giunse presso l'esercito degli Eraclidi che, riuniti a Naupatto si apprestavano ad invadere il Peloponneso, Ippote (figlio di Filante) ordinò che venisse ucciso, credendolo una spia.\nAlcuni giorni dopo scoppiò un'epidemia di peste che sconvolse l'esercito e l'oracolo, consultato, rivelò che la causa di ciò era l'ira di Apollo, sdegnato per l'uccisione del suo sacerdote.Per punizione Ippote fu cacciato via mentre gli Eraclidi tributarono un culto ad Apollo «Carneio»." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Caronte (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca e nella mitologia romana, Caronte era il traghettatore dell'Ade. Come psicopompo trasportava le anime dei morti da una riva all'altra del fiume Acheronte, ma solo se i loro cadaveri avevano ricevuto i rituali onori funebri (o, in un'altra versione, se disponevano di un obolo per pagare il viaggio); chi non li aveva (o non aveva l'obolo) era costretto a stare in eterno senza pace tra le nebbie del bosco silente, nel vestibolo (o, secondo alcuni autori, per cento anni).\n\nNell'antica Roma vigeva la tradizione di mettere una moneta sotto la lingua del cadavere prima della sepoltura. La tradizione rimase viva in Grecia fino ad epoche abbastanza recenti ed è probabilmente di origine antica. Qualche autore sostiene che il prezzo era di due monete, sistemate sopra gli occhi del defunto o sotto la lingua. Nessuna anima viva è mai stata trasportata dall'altra parte, con le sole eccezioni della dea Persefone, degli eroi Enea, Teseo, Piritoo e Ercole, Odisseo, del vate Orfeo, della sibilla cumana Deifobe, di Psyche e, nella letteratura e nelle tradizioni successive a quella greca antica, di Dante Alighieri.\nCaronte è figlio di Erebo e Notte.\nNella mitologia etrusca il suo corrispettivo è.\nCharun.\nIl suo nome è stato dato al principale satellite di Plutone.\n\nDescrizioni.\nLe due opere più significative in cui s'incontra la figura di Caronte sono sicuramente l'Eneide di Virgilio e la Divina Commedia di Dante Alighieri. Alla fine del V secolo a.C., compare nella commedia Le rane di Aristofane, in cui urla insulti nei riguardi della gente che lo attornia. Nella Divina Commedia viene descritto con la barba e i capelli bianchi e con gli occhi cerchiati di rosso come il fuoco.\nViene spesso detto che Caronte trasportava le anime attraverso il fiume Stige; ciò è descritto nell'Eneide. Comunque per molte fonti, incluso Pausania e, in seguito, l'Inferno di Dante, il fiume era l'Acheronte.\n\nCaronte virgiliano nell'Eneide.\nCaronte viene citato nell'Eneide da Virgilio al libro VI, per la prima volta al v. 299.\n\nCaronte dantesco nella Divina Commedia.\nRitroviamo nel canto III dell'inferno delle terzine che descrivono Caronte in vari lati della sua figura:.\n\ncome vecchio e canuto;.\ncome nocchiero con la barba e gli occhi infuocati;.\ncome demonio severo, ordinato e sistematico.\nIl Caronte dantesco si differenzia dalla tradizione precedente perché viene infernalizzato, ovvero perde la sua virilità e la sua forza ma diventa un semplice esecutore in negativo della volontà divina (un demonio).\n\nNella cultura di massa.\nIl “Caronte” era lo schiavo incaricato di accertarsi della morte del gladiatore sconfitto, non graziato, dandogli il colpo finale, nel caso fosse ancora in vita. A tal fine utilizzava una mazza ed aveva il volto coperto da una maschera, rappresentante Caronte (il nocchiero mitologico che traghettava le anime dei morti da una riva all'altra del fiume Acheronte, nel regno degli Inferi). Dopo aver assolto a questo compito, recuperava il cadavere, caricandolo su un carro o su una barella, attraverso la porta dell'inferno e lo deponeva nello spoliarium, l’obitorio dell’anfiteatro, dove venivano tolti gli abiti e le armature al gladiatore morto.\nLo spoliarium era una stanza senza angoli (più facile da pulire) nella quale i caronti generalmente facevano commercio del sangue dei gladiatori, che era considerato sia amuleto che cura per debolezza ed impotenza. I caronti si coloravano la pelle con colore verdastro, tipico dei cadaveri in decomposizione. Il rituale della 'mazza' è rimasto fino ai giorni nostri, quando un papa muore viene chiamato tre volte con il nome di battesimo e gli viene dato qualche colpo di martelletto alla tempia per verificare che sia morto. A partire dal 2012 il suo nome è stato spesso utilizzato in Italia per riferirsi ad ondate di calore particolarmente intense nel periodo estivo con il significato allegorico di 'traghettare' nel cuore della torrida estate." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Carpo (figlio di Zefiro).\n### Descrizione: Carpo (in greco antico: Καρπός?, Karpós, letteralmente 'frutto') nella mitologia greca era un giovane noto ed ammirato per la sua grande bellezza.\nFiglio di Zefiro (il vento di ponente) e di Clori (la primavera o nuova vegetazione-fioritura), viene così ad assumere in se stesso una metafora naturale: il vento di ponente che annuncia la rinnovata crescita primaverile, che in seguito darà i frutti. Carpo si trova quindi ad avere il potere di accrescere ed aggiungere sapore, colore e vita ai frutti e per le sue funzioni è associabile alla dea romana Pomona.\n\nMitologia.\nLa sua vicenda viene raccontata da Nonno di Panopoli nel suo poema epico intitolato Dionisiache: si narra dell'amore vicendevole tra due giovani, Carpo e Calamo (figlio del re Meandro, da cui prese il nome il fiume). Carpo annegò proprio in quel fiume, mentre i due amanti si trovavano impegnati in una competizione, una gara di nuoto.Calamo, sopraffatto dal dolore per aver perso il suo compagno, si lasciò anch'egli annegare tra le stesse acque. Egli sarà poi trasformato in una canna acquatica, il cui frusciare al vento è interpretato come un perenne sospiro di lamentazione." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Carya (figlia di Dione).\n### Descrizione: Carya (in greco antico: Καρυά?) è un personaggio della mitologia greca, una delle figlie del re della Laconia Dione e Anfitea, figlia di Pronace.\nLe sue sorelle erano Lyco e Orphe.\n\nMitologia.\nApollo, nel ricambiare la referenza e dell'ospitalità ricevuta da Dione ed Anfitea, donò l'arte di profetizzare alle tre figlie imponendo però una restrizione e cioè che non tradissero gli dei e che non ricercassero cose proibite.\nDioniso a sua volta fece visita alla casa di Dione venendo ricevuto con altrettanta ospitalità e durante la sua permanenza si era innamorato di Carya giacendo con lei in segreto.\nPoi se ne andò e sentendone la mancanza, ritornò in breve tempo con il pretesto di consacrare un tempio che Dione aveva eretto in suo onore. Ma Orphe e Lyco, sospettando della storia d'amore fecero la guardia a Carya perché non si unisse con Dioniso e facendo questo ruppero una delle restrizioni imposte da Apollo. Dioniso quindi, dopo diverse minacce ed avvertimenti fece impazzire le sorelle così che esse corsero sul monte Taigeto, dove furono trasformate in rocce. Carya invece, fu trasformata da Dioniso in un noce (in greco karya)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cassandra (mitologia).\n### Descrizione: Cassandra è una figura della mitologia greca. È ricordata da vari autori tra cui Omero (sia nell'Iliade che nell'Odissea), Apollodoro, Virgilio e Igino. Gemella di Eleno e sorella minore di Ettore, figlia di Ecuba e di Priamo re di Troia, fu sacerdotessa nel tempio di Apollo da cui ebbe la facoltà della preveggenza. Profetizzò terribili sventure ed era pertanto invisa a molti.\n\nIl mito.\nIl dono della profezia.\nVi sono diverse versioni sull'origine del dono profetico di Cassandra. Secondo una prima versione, il giorno del compleanno di suo padre fu celebrata una festa nel santuario di Apollo Timbreo. Cassandra e il fratello gemello Eleno, stanchi dal gioco, s'addormentarono all'interno mentre i loro genitori li dimenticarono, abbacinati dal vino. Il mattino seguente, Ecuba corse al tempio e urlò inorridita quando vide che i serpenti sacri stavano lambendo le orecchie dei bambini per purificarli. I serpenti subito si ritrassero, strisciando in un cespuglio d'alloro, e da quel momento Eleno e Cassandra praticarono l'arte profetica.Secondo un'altra versione, la più famosa, Apollo le donò la dote profetica in cambio del suo amore, ma lei, una volta ricevuto il dono, rifiutò di concedersi; adirato, il dio le sputò sulle labbra e con questo gesto la condannò a restare sempre inascoltata.\nStando ad altre versioni ancora, Apollo le donò il potere della profezia, ma poi, quando ella cercò di fuggire dall'amore che lui le imponeva, il dio la maledisse e così nessuno credette più alla povera Cassandra.\nLa figura di Cassandra è presente nell'Iliade, in cui però non si fa mai cenno alle sue facoltà divinatorie.\n\nProfetessa inascoltata.\nAncora bambina, alla nascita di Paride predisse il suo ruolo di distruttore della città, profezia non creduta da Priamo ed Ecuba ma confermata da Esaco, interprete di sogni, che consigliò ai sovrani di esporre il piccolo sul monte Ida. Paride però si salvò e quando divenne adulto tornò a Troia per partecipare ai giochi; durante la competizione, fu riconosciuto dalla sorella, che chiese al padre e ai fratelli di ucciderlo, scatenando la reazione contraria e facendo ritornare il giovane Paride al suo rango originale di principe. Profetizzò sciagure quando il fratello partì per raggiungere Sparta, predicendo il rapimento di Elena e la successiva caduta di Troia. Ritenuta una delle più belle fra le figlie di Priamo ebbe diversi pretendenti, fra cui Otrioneo di Cabeso e il principe frigio Corebo, morti entrambi durante la guerra di Troia, il primo ucciso da Idomeneo, il secondo da Neottolemo (il figlio di Achille, detto anche Pirro), o, secondo altre fonti, da Peneleo. Quando il cavallo di legno fu introdotto in città, rivelò a tutti che al suo interno vi erano soldati greci, ma rimase inascoltata. Solo Laocoonte credette alle sue parole e si unì alla sua protesta, venendo per questo punito dalla dea Atena (o da Poseidone in alcune versioni), favorevole ai greci, che lo fece uccidere da due serpenti marini assieme ai figli.\n\nLa morte.\nLa città di Troia fu così conquistata dai greci, che le diedero fuoco, massacrandone i cittadini. I membri della famiglia reale si rinchiusero nei templi troiani, ma tutto ciò valse a poco. Priamo morì sull'altare del santuario ucciso da Neottolemo mentre Cassandra, rifugiatasi nel tempio di Atena, fu trovata da Aiace di Locride e violentata sul posto. Trascinata via dall'altare, si aggrappò alla statua della dea, il Palladio, che Aiace, empio e miscredente, fece cadere dal piedistallo. A causa del suo comportamento furono puniti quasi tutti i principi greci, che non ebbero felice ritorno a casa: Aiace trovò addirittura la morte in mare per volere di Atena e Poseidone.\nCome detto nell'Odissea, nell'Orestea e ne Le troiane, Cassandra divenne quindi ostaggio di Agamennone e fu portata da lui a Micene come schiava e concubina. Nel poema Alessandra si lascia intendere che Agamennone si innamorò poi della profetessa e la sposò, aumentando l'odio e la gelosia della moglie Clitemnestra. Giunta in città, profetizzò all'Atride la sua rovina, ma quest'ultimo non volle credere alle sue parole, cadendo così nella congiura organizzata contro di lui dalla moglie Clitemnestra (adirata col marito per via del sacrificio di Ifigenia) e da Egisto, nella quale morì la stessa Cassandra.\n\nModo di dire.\nPer antonomasia è frequente l'attribuzione dell'appellativo 'Cassandra' alle persone che, pur annunciando eventi sfavorevoli giustamente previsti, non vengono credute.Viene altresì detta 'sindrome di Cassandra' la condizione di chi formula ipotesi pessimistiche ed è convinto di non poter fare nulla per evitare che si realizzino.\n\nL'Alessandra di Licofrone.\nLicofrone, poeta calcidese del IV-III secolo a.C., compose un poema epico in trimetri giambici, l'Alessandra, Ἀλεξάνδρα, sinonimo greco di Cassandra, in cui descrisse le sue profezie con uno stile oscuro ed enigmatico ma di grande fascino.\n\nRiprese moderne.\nMarion Zimmer Bradley, La Torcia, Longanesi, 1988.\nChrista Wolf, Cassandra, Edizioni e/o, 1990, ISBN 88-7641-083-X.\nMarcial Gala, Chiamatemi Cassandra, Sellerio Editore, 2022, ISBN 88-389-4409-1." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cassifone.\n### Descrizione: Cassifone, secondo la mitologia greca, è la figlia di Ulisse e della maga Circe. Cassifone uccide per sbaglio il padre Ulisse, alcuni anni dopo che questi è riuscito finalmente a tornare ad Itaca. Telemaco, il figlio che Ulisse ha avuto dalla sua sposa Penelope, vendica Ulisse uccidendo Cassifone. Circe e Telemaco si innamorano e si sposano. Circe, venendo a sapere che il suo amato è colui che ha assassinato la figlia, tenta di ucciderlo, ma fallisce; è invece Telemaco ad uccidere lei per legittima difesa. Preso dai sensi di colpa, Telemaco si getta infine da un'altissima scogliera.\nSecondo altre versioni, Cassifone sposa il fratellastro Telemaco, per poi vendicarsi di lui, quando l'uomo le uccide la madre." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Castalia (mitologia).\n### Descrizione: Castalia (in greco antico: Κασταλία?, Kastalía) era una ninfa amadriade, figura della mitologia greca, figlia di Acheloo.\nApollo si innamorò di lei, ma la ninfa fuggì da lui gettandosi in una fonte del monte Parnaso. Secondo una variante della leggenda Apollo la tramutò poi in una fonte, alle cui acque diede la virtù di far diventare poeti quelli che la bevessero. La fonte sarebbe stata consacrata alle Muse.\nAncora oggi i visitatori del santuario di Delfi passano nel loro percorso turistico dalla fonte Castalia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Catalogo Troiano.\n### Descrizione: Il Catalogo Troiano o Ordine di guerra troiano è una sezione del secondo libro dell'Iliade, che elenca tutti i contingenti alleati che combatterono per Troia nella guerra di Troia. Il catalogo è noto per la mancanza di dettagli rispetto al precedente Catalogo delle navi, che elenca i contingenti Greci.\n\nIl catalogo nel dettaglio.\nIl catalogo elenca sedici contingenti dei dodici diversi popoli alleati dei Troiani (Luce 1975). Essi vivevano in 33 posti diversi, identificati dai toponimi.\n\nNel libro XI del poema verrà citato come condottiero anche Timbreo, un re di cui non si conosce la provenienza." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Catalogo delle navi.\n### Descrizione: Il Catalogo delle navi (in greco antico: νεῶν κατάλογος?, neṑn katàlogos) è un passaggio del secondo libro dell'Iliade di Omero (II, 494-759) che elenca i contingenti dell'esercito acheo giunti a Troia in nave.\nIl catalogo indica i nomi dei comandanti di ogni contingente, il luogo di provenienza di ogni contingente, indicato a volte con un epiteto descrittivo che completa un emistichio o articola il flusso di nomi, discendenza e luogo di provenienza; inoltre indica il numero di navi con cui ogni contingente era arrivato a Troia, con ulteriori indicazioni circa la loro importanza. Il Catalogo delle navi è seguito da un simile, anche se più corto, Catalogo dei Troiani e dei loro alleati (II, 816-877).\n\nContesto storico.\nLa designazione Catalogo delle navi suggerisce che il passaggio sia in qualche modo separabile dal suo contesto. Esso costituisce una parentesi tra due invocazioni. Nel dibattito che si è instaurato sin dall'antichità sul Catalogo, le questioni centrali riguardano la credibilità delle informazioni elencate, se il Catalogo sia stato composto da Omero stesso, fino a che punto esso rifletta un documento pre-omerico o la tradizione orale, forse risalente alla civiltà micenea, o se sia il risultato di uno sviluppo post-omerico. Il dibattito sull'identità di Omero e sull'autore dell'Iliade e dell'Odissea è denominato convenzionalmente 'Questione omerica'.\nPrima della metà del XX secolo, era pacifico che il Catalogo delle navi non fosse opera dell'uomo che compose l'Iliade, anche se l'autore si era sforzato di renderlo un'opera d'arte; inoltre era pacifico che il materiale del testo fosse essenzialmente miceneo o sub-miceneo. Invece non c'era accordo sulla portata delle aggiunte posteriori.\nSe si assume che contenga un resoconto accurato, il Catalogo delle navi fornisce un raro sommario della situazione geopolitica nella Grecia antica, in un'epoca tra l'Età del bronzo e l'VIII secolo a.C. Seguendo la teoria di Milman Parry sulla poesia orale omerica, alcuni studiosi, come Denys Page, sostengono che il Catalogo rappresenta una recitazione pre-omerica incorporata nell'epica di Omero. Alcuni sostengono che le parti delle recitazioni, come le formule che descrivono i luoghi, risalgono all'età della guerra di Troia, alla metà del XIII secolo a.C., o forse a un'epoca precedente. Altri affermano che il Catalogo risale all'epoca di Omero stesso, l'VIII secolo a.C., e rappresenta un anacronistico tentativo di imporre informazioni contemporanee a eventi accaduti cinque secoli prima.\nSecondo una teoria intermedia, il Catalogo si è formato in un processo di accrescimento che ha accompagnato la tradizione orale del poema e riflette la graduale inclusione delle città di mecenati locali, protettori dei singoli cantori. In un recente studio sul Catalogo, Edward Visser dell'Università di Basilea, conclude che il Catalogo è compatibile con il resto dell'Iliade nella sua tecnica di improvvisazione ritmica, che l'ordine dei nomi ha un significato e che gli epiteti geografici indicano una concreta conoscenza geografica. Visser sostiene che questa conoscenza fu trasmessa dal mito eroico e ogni sezione geografica introduce elementi di mito eroico. W. W. Minton colloca il Catalogo all'interno di simili 'enumerazioni' in Omero ed Esiodo e suggerisce che in parte il loro scopo era quello di impressionare l'uditorio con una dimostrazione di memoria da parte dell'aedo.La caratteristica più notevole della geografia del catalogo è che non rappresenta la Grecia dell'Età del ferro, cioè l'epoca in cui visse Omero. A quell'epoca un gruppo di tribù, i Dori, avevano invaso la Grecia occidentale, il Peloponneso e Creta, mentre le coste della Ionia erano densamente popolate da un popolo che sosteneva di discendere da famiglie delle regioni neo-doriche della Grecia. La parte nord-occidentale della Grecia non è mai menzionata e questi popoli (epiroti, macedoni, alcuni tessali ecc.) pensavano di essere di stirpe dorica. Il Catalogo ritrae invece delle città-stato unite tra di loro da legami non molto stretti, soprattutto della Grecia continentale, governate da dinastie ereditarie sotto l'egemonia de re di Micene. Praticamente nessuno di loro è dorico e i greci della Ionia mancano quasi del tutto. Questa fotografia politica è innegabilmente una fotografia della Grecia della tarda età del bronzo, ma con delle eccezioni. Mancano infatti diverse cittadelle fortificate fiorenti nella tarda età del bronzo (in particolare nelle isole Cicladi ed Egee), anche se l'assenza di numerose realtà politiche micenee non implica necessariamente che furono dimenticate e sono possibili anche altre ipotesi: ad esempio non erano città legate all'alleanza con Agamennone e Menelao, e quindi non presero parte alla spedizione.\nUn altro dato da sottolineare è la presenza di due ordini di dati nel catalogo: il numero dei regni che partecipò all'alleanza achea contro Troia e il numero dei soldati (approssimato in base alla navi) che questi mobilitarono. La verosimiglianza di un dato è indipendente da quella dell'altro: anche oggi è di dominio comune ricordare quali Stati europei parteciparono alla prima o alla seconda guerra mondiale e quali restarono neutrali, mentre le dimensioni degli eserciti sono dati ricordati solo dagli specialisti.\n\nIl Catalogo.\nIl Catalogo greco elenca ventinove contingenti guidati da 46 comandanti, per un totale di 1.186 navi. Se consideriamo il numero dei Beoti di 120 uomini per nave, il risultato è un totale di 142.320 uomini trasportati nella Troade. Essi sono chiamati con vari etnonimi e vivevano in 164 luoghi descritti da toponimi. Quasi tutti questi luoghi sono stati identificati ed erano occupati durante la tarda età del bronzo. I termini Danai, Argivi e Achei o 'figli degli Achei' sono usati per l'esercito nel suo complesso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Catasterismo.\n### Descrizione: Per catasterismo (dal greco καταστερίζω, letteralmente 'colloco fra le stelle', composto da κατά, 'giù', e ἀστήρ, 'astro') si intende, nella mitologia greca e romana, quel processo attraverso il quale un eroe, una divinità, una creatura o anche un oggetto viene tramutato in astro o in costellazione.\n\nLetteratura.\nOvidio, ultimo esponente del Circolo di Mecenate, fu costretto da Augusto all'esilio volontario (relegatio) presso Tomi, sul Mar Nero. Il motivo dell'esilio è incerto. Alcuni autori, esaminando gli accenni di Ovidio tramandanti, ipotizzano fosse conseguenza della sua Ars amatoria (II, 359 – 372), con la quale si pensò che alludesse alla figlia dell'imperatore Augusto.Per riconquistare la stima di Augusto e soprattutto la possibilità di tornare nei territori romani, Ovidio scrisse un'opera intitolata Le metamorfosi, ove narrò le trasformazioni epiche. L'opera, divisa in quindici libri, doveva esaltare l'immagine di Augusto nei confronti di Cesare; Ovidio trattò strategicamente nel quindicesimo libro il catasterismo di Cesare: Luna volat altius illa flammiferumque trahens spatioso limite crinem stella micat natique videns bene facta fatetur esse suis maiora et vinci gaudet ab illo (l'anima vola più in alto della Luna e, trascinandosi dietro lungo lo spazio una coda di fiamma, brilla come stella, ma vedendo i meriti del figlio ammette che sono maggiori dei suoi e gioisce che lui vinca).\nIn età contemporanea, Catasterismo, è il titolo di un'opera pubblicata da Francesco Pirovano.\n\nEsempi.\nMitici.\nFigure della mitologia greca divenute costellazioni includono:.\n\nIl grande toro in cui si era trasformato Zeus per rapire la principessa Europa divenuto il Toro (costellazione).\nL'aquila in cui si trasforma Zeus per rapire il bellissimo principe dei troiani Ganimede divenuta l'Aquila (costellazione).\nLo stesso Ganimede, nella sua qualifica di coppiere degli dèi diviene l'Aquario (costellazione).\nAndromeda (mitologia) divenuta Andromeda (costellazione).\nI Dioscuri divenuti i Gemelli (costellazione).\nErcole divenuto Ercole (costellazione).\nCarcino divenuto il Cancro (costellazione).\nL'Idra di Lerna divenuta l'Idra (costellazione).\nLa Dea Demetra (ma anche Iside) assimilata alla Vergine (costellazione).\nAsclepio divenuto Ofiuco.\nCassiopea (mitologia) divenuta Cassiopea (costellazione).\nCeto (mitologia) divenuto Balena (costellazione).\nPan (in alternativa Amaltea (mitologia)) divenuto il Capricorno (costellazione).\nIl Leone di Nemea divenuto il Leone (costellazione).\nOrione (mitologia) divenuto Orione (costellazione).\nPegaso (mitologia) divenuto Pegaso (costellazione).\nPerseo divenuto Perseo (costellazione).\nIl satiro Croto divenuto il Sagittario (costellazione).\nChirone divenuto il Centauro (costellazione).\nCefeo (figlio di Belo) divenuto Cefeo (costellazione).\nEridano (mitologia) divenuto Eridano (costellazione).\nCallisto divenuta l'Orsa Maggiore.\n\nPersonaggi storici.\nEsempi di catasterismo rivolti a personaggi terreni eroicizzati o divinizzati post-mortem sono quelli riguardanti Berenice II d'Egitto moglie di Tolomeo III; lo stesso Callimaco, uno dei più fini rappresentanti della cultura nel periodo ellenistico, aveva creato il catasterismo a lei dedicato, trasformando i capelli della regina in una costellazione: la Chioma di Berenice.\nUn altro celebre catasterismo è quello sorto attorno alla figura di Antinoo, il giovinetto amato dall'imperatore romano del II secolo Publio Elio Traiano Adriano e morto prematuramente in un incidente: divenne così la costellazione di Antinoo - nei pressi dell'Aquila - la quale si richiama a sua volta alla mitico personaggio dell'adolescente Ganimede rapito da Zeus in forma di Aquila.\n\nOggetti.\nCome per l'esempio concernente la 'Chioma di Berenice' vi sono stati altri oggetti particolari, perlopiù appartenenti ad importanti figure mitiche, che sono stati assunti in cielo; tra questi:.\n\nLa corona di Arianna divenuta la Corona Boreale.\nLa lira appartenuta ad Orfeo, che diventa la Lira (costellazione).\nLa nave Argo su cui viaggiarono gli Argonauti, che diviene la Nave Argo (costellazione).\nLa lettera Delta, quarta dell'alfabeto greco ed iniziale del nome Zeus (oppure il Delta del Nilo) divenuto il Triangolo (costellazione)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cattedrale di Poti.\n### Descrizione: La cattedrale di Santa Maria (in georgiano ფოთის საკათედრო ტაძარი?), chiamata anche Soboro, è una cattedrale ortodossa di Poti, in Georgia.\n\nStoria e descrizione.\nI lavori di costruzione della cattedrale furono avviati il 14 settembre 1906, nel giorno della festività dell'Esaltazione della Santa Croce, con la benedizione del vescovo di Guria e Samegrelo Giorgi Aladashvili. La cattedrale fu completata nel 1907. Rappresenta un'imitazione della basilica di Santa Sofia a Istanbul e può contenere fino a 2.000 persone. Un grande contributo alla sua costruzione fu dato dall'allora sindaco di Poti, Niko Nikoladze. Egli stesso scelse il punto in cui l'edificio sarebbe dovuto sorgere, individuando nell'area centrale della città la posizione ideale che avrebbe reso visibile la cattedrale da ogni zona di Poti.\nI progettisti della cattedrale, tipico esempio di architettura neobizantina, furono Zelenko e Marfeld. I bassorilievi e le decorazioni del tempio furono realizzati ricalcando lo stile di quelli delle chiese e dei monasteri medievali della Georgia e delle zone montane di Trebisonda. Le tre iconostasi della cattedrale vennero dipinte da Viktor Dumirashko, un pittore dell'Accademia Russa di Belle Arti. Tra le icone spiccano quelle dedicate a Santa Nino, a Sant'Andrea apostolo ed al re e santo Davide IV di Georgia.\nNel 1923, dopo l'invasione sovietica della Georgia, la cattedrale fu chiusa al culto e successivamente trasformata in teatro. Nel 1930 le campane furono rimosse e destinate al fondo di industrializzazione. Nel 2005 l'edificio fu restituito alla Chiesa ortodossa georgiana. Nel dicembre 2011 il presidente della Georgia Mikheil Saak'ashvili ha assegnato 700 000 lari al progetto di ricostruzione della cattedrale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cavalle di Diomede.\n### Descrizione: La cattura delle cavalle di Diomede fu l'ottava delle dodici fatiche di Eracle.\n\nVicenda.\nNella mitologia greca le 'cavalle di Diomede' o 'cavalle della Tracia' erano quattro feroci giumente che si nutrivano di carne umana. Bestie splendide e incontrollabili, appartenevano al gigante Diomede, re della Tracia, figlio di Ares e Cirene, che viveva sulle rive del Mar Nero. Si diceva che le giumente si nutrissero della carne dei soldati caduti in battaglia, e che quando non era in guerra Diomede avesse risolto il problema dando ogni giorno una grande festa nel suo palazzo per poi uccidere i suoi ospiti, dandoli in pasto ai feroci animali. La leggenda volle poi che Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, fosse un discendente di tali cavalle.\n\nL'ottava fatica.\nIncaricato di rubare le giumente, Eracle portò con sé Abdero, uno dei suoi eromenoi, ed alcuni altri giovani. Essi riuscirono a rubare le cavalle e furono perciò inseguiti da Diomede e dai suoi uomini. Eracle non sapeva però della pericolosità delle cavalle, e quindi incaricò l'amico Abdero di sorvegliarle mentre lui uccideva Diomede; Abdero fu così divorato dalle giumente. Per vendetta, Eracle diede in pasto Diomede ai suoi stessi animali, che poi si lasciarono domare. In memoria del ragazzo fondò poi la città di Abdera sul sito della sua tomba. Una volta a Micene, Eracle lasciò le cavalle a Euristeo che le liberò sul monte Olimpo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cavalli di Elio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elio, figlio di Iperione era il dio del Sole e possedeva un carro fatto completamente di fuoco e trainato da quattro cavalli.\n\nI nomi.\nEssi erano i 4 velocissimi destrieri del carro di fuoco che, aggiogati dal dio, percorrevano rapidissimi la volta celeste diffondendo la luce del giorno:.\n\nEòo.\nEtone.\nFlegone.\nPiroide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cavallo di Troia.\n### Descrizione: Il cavallo di Troia è una macchina da guerra che, secondo la leggenda, fu usata dai greci per espugnare la città di Troia. Questo termine è entrato nell'uso letterario, ma anche nel lessico comune, per indicare uno stratagemma con cui penetrare le difese.\n\nStoria del cavallo di Troia.\nPer quanto l'episodio del cavallo costituisca a tutti gli effetti l'atto conclusivo della guerra di Troia, la narrazione del mito non appartiene all'Iliade di Omero, che si conclude, mentre il conflitto è ancora in corso, con i giochi funebri in onore di Patroclo e con il funerale di Ettore, e neppure all'altro poema omerico, l'Odissea, nel quale la vicenda è solamente citata. Viene invece ampiamente sviluppato nel secondo libro dell'Eneide di Virgilio: Enea, esule troiano, durante la sua permanenza nella città di Cartagine, riferisce infatti la storia del cavallo alla regina Didone.\nDopo dieci lunghi anni di assedio inconclusivo, i Greci, attuando un piano escogitato da Ulisse, abbandonano la spiaggia di fronte a Troia, lasciandovi un enorme cavallo di legno costruito da Epeo con l'aiuto di Atena, e si nascondono presso la vicina isola di Tenedo, fingendo di ritornare in patria; dentro al cavallo si celano però alcuni tra i più valorosi guerrieri di Agamennone, guidati da Ulisse stesso.\n\nI Troiani, avendo assistito all'apparente ritirata dei Greci, si convincono che la guerra sia realmente conclusa: si dividono soltanto sulla sorte da riservare al cavallo. In merito alla questione interviene Laocoonte, guerriero troiano divenuto sacerdote di Apollo, che consiglia ai suoi concittadini di diffidare del nemico e di distruggere il cavallo; lancia dunque verso quest'ultimo un giavellotto, spaventando gli Achei nascosti all'interno, senza riuscire però a rivelarne la presenza:.\nMentre i Troiani discutono a proposito del destino del cavallo, giunge sulla spiaggia Sinone, un giovane greco che si consegna spontaneamente al nemico. Egli, giurando il falso, racconta che Ulisse, al quale egli era stato apertamente ostile, aveva spinto l'indovino Calcante a sacrificarlo come augurio per un tranquillo ritorno in patria: sarebbe poi riuscito a sottrarsi alla cerimonia fuggendo tra le paludi.\nAlla domanda di Priamo, che, pur provando compassione per le sciagure del giovane, vuole conoscere le cause della ritirata dei Greci, Sinone risponde che Atena, la divinità che prima fra tutte proteggeva l'esercito di Agamennone, aveva cessato di sostenere i Micenei da quando Ulisse aveva profanato il tempio a lei dedicato nella città di Ilio, costringendo l'intero esercito alla resa. Il cavallo sarebbe dunque un'offerta alla dea, affinché espiasse il sacrilegio commesso. Sinone giustifica inoltre le dimensioni della suddetta effigie dicendo che era stata costruita in modo tale da impedire ai Troiani di trasportarla all'interno delle mura della fortezza, poiché se questo fosse avvenuto l'ira di Minerva si sarebbe riversata sui Greci. Nel caso in cui i Teucri avessero distrutto o danneggiato il cavallo, la dea avrebbe invece perseguitato quest'ultimi. Gli abitanti di Troia decidono dunque di aprire una breccia nelle loro stesse mura al fine di consentire l'accesso dell'enorme cavallo di legno, per quanto Laocoonte e la profetessa Cassandra avessero consigliato di non farlo.\nPer portare a termine l'inganno di Ulisse è perciò fondamentale la presenza di Sinone, che a causa delle sue menzogne viene giudicato sleale e ingannatore da Enea, quando egli racconta alla regina di Cartagine Didone la fine di Troia: il giovane greco aveva chiamato infatti a testimonianza della validità del suo giuramento gli altari e le bende che sarebbero stati necessari per il suo sacrificio, il quale però non si sarebbe mai dovuto svolgere.\n\nMentre Laocoonte è intento a compiere il rito di immolazione di un toro nel tentativo di convincere gli dei ad impedire l'imminente distruzione della città, due terrificanti serpenti, dagli occhi infuocati e dalle alte creste, emergono dalle acque spumeggianti e agguantano i suoi giovani figli; il sacerdote sopraggiunge in loro aiuto brandendo le armi, ma anch'egli viene stritolato dai mostri marini: le sue bende sacre sono così tragicamente cosparse del suo stesso sangue. Terminato il proprio compito i due serpenti si dileguano infine tra le onde, rifugiandosi ai piedi della divinità che li aveva mandati in ausilio agli Achei, Pallade Atena, e trovando riparo sotto il cerchio del suo scudo.\nQuella stessa notte i soldati rimasti per tutto quel tempo all'interno del cavallo escono cautamente dal loro nascondiglio e, cogliendo di sorpresa i Teucri che stanno festeggiando l'improvvisa ed inaspettata vittoria, riescono ad uccidere le sentinelle e aprire le porte della rocca fortificata ai loro compagni, avvertiti nel frattempo da Sinone e sbarcati nuovamente sulla costa, agevolando così decisamente la conquista della città.\nIn questo modo gli Achei riuscirono finalmente ad entrare a Troia, incendiandola e sterminandone gli abitanti: il massacro continuò anche per l'intera durata della giornata seguente, poiché i Troiani, benché disperati e confusi dagli effetti dell'alcool, cercarono di difendere la propria città con tutti i mezzi che avevano a disposizione. Neottolemo, figlio di Achille e della principessa Deidamia, uccide Polite e Priamo malgrado essi fossero indifesi e sotto la protezione delle divinità, trovandosi presso l'altare di Zeus all'interno del palazzo del re stesso. Conclusa la strage i Greci si dividono il bottino: Agamennone si aggiudica Cassandra mentre Andromaca è data a Neottolemo ed Ecuba a Odisseo. Enea, uno dei pochi eroi rimasti in vita, prende il padre sulle spalle, il figlio per mano e fugge dalla città in fiamme.\n\nNelle versioni più recenti (fra cui il film Troy o i romanzi di Valerio Massimo Manfredi), si vede il cavallo di legno come ultima vittima delle fiamme che avevano bruciato la città.\n\nIpotesi interpretative.\nNel corso del tempo sono state formulate molteplici ipotesi, che hanno messo in dubbio, di volta in volta, la sua natura di 'dono', il suo aspetto esteriore, o la stessa essenza materiale (trasferendo talvolta la simbologia del cavallo su un piano metaforico).\nNel IV secolo a.C. Palefato nelle sue Storie incredibili spiega che il cavallo venne costruito appositamente troppo grande per poter passare attraverso le porte di Troia. I troiani smontarono le porte per farlo entrare, e gli argivi, nascosti poco lontano, ne approfittarono per entrare ed espugnare la città.\nGià nell'antichità, Pausania, celebre storico greco vissuto nel II secolo d.C., nella sua Periegesi della Grecia metteva in dubbio la verosimiglianza dell'episodio, visto che la scelta di far entrare tra le mura un cavallo donato dai nemici, qualificherebbe come dabbenaggine il comportamento tenuto dal popolo troiano.\nIl naturalista romano Plinio il Vecchio, nella Naturalis historia, ha sostenuto che il cavallo di Troia fosse in realtà un ariete da assedio. Secondo l'autore infatti equus, 'cavallo', era appunto il nome di una macchina da assedio, introdotta da Epeo per assediare Troia e corrispondente all'aries ('ariete') romano. Anche alcuni storici moderni hanno ipotizzato che il cavallo di Troia fosse in realtà un ariete da assedio a forma di cavallo, la cui descrizione sarebbe poi stata trasformata nel mito attraverso i processi di tradizione orale che ne hanno tramandato la memoria.\nUn'altra teoria, proposta in origine da Fritz Schachermeyr, trasferisce su un piano metaforico l'idea del cavallo di Troia, sostenendo che, in realtà, si trattasse di una metafora riferita a un devastante terremoto che avrebbe danneggiato le mura di Troia permettendo ai Greci di penetrare nella città. Secondo questa teoria, il cavallo rappresenterebbe Poseidone, dio del mare, ma anche dio dei cavalli e dei terremoti. Come sostegno a tale ipotesi vi sarebbe anche il fatto che gli scavi archeologici condotti sul sito hanno mostrato come la distruzione della cinta muraria di Troia VI mostri chiari segni degli effetti di un terremoto, ma una tale teoria è difficile da riconciliare con la pretesa mitologica secondo cui sarebbe stato Poseidone l'artefice delle mura della città.\nUno studio di un archeologo navale dell'Università di Aix-en-Provence e Marsiglia, Francesco Tiboni, sostiene un'ipotesi interpretativa secondo cui il Cavallo di Troia, in realtà, sarebbe stato una nave, per la precisione una nave oneraria fenicia molto diffusa a quei tempi, chiamata 'Hippos' (plurale Hippoi) per via della polena ornata da una testa di cavallo. Secondo Tiboni, col tempo si sarebbe perso l'accostamento al significato navale, e i diffusori e copiatori dell'opera omerica sarebbero incappati nel facile errore di interpretazione di ἵππος come 'cavallo'. Questo giustificherebbe le dimensioni della struttura in legno e la possibilità da parte dei soldati greci di nascondervisi comodamente, rendendo più plausibile la vicenda.\n\nUomini nel cavallo.\nDalle fonti classiche ci sono giunte numerose varianti circa il numero di uomini che presero parte all'inganno del cavallo di Troia nascondendovisi dentro. Secondo la Piccola Iliade, antico poema andato perduto, essi erano 13, secondo Apollodoro 50, per Tzetze 23, mentre Quinto Smirneo, nei Posthomerica (versi 641-650), dà il nome di 30 capi, affermando però che ve ne erano anche molti altri. Nella tarda tradizione si stabilì la seguente lista di 35 uomini:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cecrope.\n### Descrizione: Cecrope (in greco antico: Κέκροψ?, Kèkrops) è considerato il primo mitico re di Atene o il secondo, che avrebbe governato per 50 anni.\n\nGenealogia.\nSposò Aglauro, figlia di Atteo, dalla quale nacquero le figlie Aglauro, Erse e Pandroso e fu padre anche del maschio Erisittone che non ebbe figli.\n\nMitologia.\nNacque dal suolo (alcune versioni dicono dal seme di Efesto che cercava di sedurre Atena) e mutò il nome alla sua terra da Atte o Attice a Cecropia. Era rappresentato come una sorta di uomo rettile, metà uomo e metà serpente, poiché nell'antichità il serpente era uno dei simboli della terra.\nSecondo un'altra versione, nacque a Saida in Egitto. Alla testa di una colonia di egizi approdò nell'Attica 400 anni avanti la caduta di Troia, dove sposò Agraulo, figlia di Atteo e primo re di Atene, che lo adottò per suo successore. Gli abitanti dell'Attica vivevano nei boschi come selvaggi; Cecrope li sottomise e li trasse fuori dalle foreste.\nSecondo Filocoro, Cecrope riunì gli abitanti originari dell'Attica e li organizzò in una dodecapoli costituita da Cecropia, Tetrapoli, Epacria, Decelea, Eleusi, Afidna, Torico, Braurone, Citero, Sfetto, Cefisia e Falero; condusse un censimento in cui ogni abitante dovette portare una pietra (contando le pietre si sarebbe poi saputo il numero degli abitanti).Costruì il castello di Cecropia sull'Acropoli ed introdusse il matrimonio, le prime istituzioni statali e il diritto di proprietà. Sempre a Cecrope è attribuita l'introduzione del sacrificio incruento, della scrittura, della sepoltura dei morti e del culto di Crono e Rea. Introdusse in Grecia il culto delle principali deità e specialmente di Zeus e di Atena.\nCecrope morì dopo un regno di 50 anni; il suo successore fu l'ateniese chiamato Cranao.Fu testimone o arbitro nella disputa tra Poseidone e Atena per il possesso dell'Attica, vinta dalla dea che aveva piantato un ulivo nell'area in seguito occupata dal Pandroseion.Ebbe un culto sull'Acropoli (un antro o una tomba), il cui sacerdote apparteneva al ghenos degli Aminandridi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ceculo.\n### Descrizione: Ceculo, o Cecolo (in latino Caeculus), è un personaggio della mitologia romana, figlio di Vulcano e di Preneste.\nPreneste, mentre stava seduta presso la fucina del nume, fu colpita da una scintilla che la ingravidò; partorì un bambino a cui diede il nome di Ceculo perché aveva gli occhi piccolissimi. Fu quindi da lei esposto vicino ad un tempio di Giove; le sacerdotesse di quel tempio, avendolo trovato quasi morto di freddo, lo portarono per riscaldarlo vicino ad un gran fuoco, il che fece dire ch'egli doveva la vita a Vulcano.\nCatone nelle Origines dà una versione leggermente diversa della sua parentela col fabbro divino: alcune vergini, andando ad attingere acqua, trovarono Ceculo in mezzo al fuoco e perciò pensarono che egli fosse figlio di Vulcano.\nUna volta divenuto adulto, Ceculo si mise a capo di una truppa di ladroni ma, stancatosi presto di questo genere di vita, fondò una citt�� nell'antico Lazio, che chiamò Preneste in memoria di sua madre, e ne divenne re. Con l'aiuto del padre Vulcano, la popolò con abitanti provenienti dai dintorni.\nCeculo combatté poi alla testa delle sue milizie nell'esercito di Turno contro i Troiani che Enea aveva condotto in Italia.\nAssieme al condottiero marso Umbrone, lottò eroicamente prima di venire ucciso da Enea.\nLa gens patrizia dei Caecilii pretendeva di discendere da Ceculo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cedalione.\n### Descrizione: Cedalione (in greco antico: Κηδαλίων?, Kêdalíôn) è un personaggio della mitologia greca. Fu l'assistente di Efesto.\n\nGenealogia.\nNon sono mai stati ritrovati scritti a riguardo della sua genealogia.\nPotrebbe essere uno dei Cabiri. Se così fosse i suoi genitori più accreditati sono Efesto e la ninfa marina Cabeiro.\n\nMitologia.\nFu mandato da Hera sull'isola di Lemno per imparare il mestiere di fabbro presso la fucina del dio Efesto che un giorno lo incaricò di condurre il gigante Orione (che era accecato) verso est. Cedalione obbedì salendogli sulle spalle ed indicandogli la strada da percorrere fino ad incontrare Helios (il sole) che con i suoi raggi ridiede la vista al Gigante.\nTra le opere di Sofocle esiste un dramma satirico dedicato a Cedalione, di cui però solo da pochi frammenti è stato possibile leggerne il testo.\nLa trama, gli episodi dell'accecamento di Orione ed il suo percorso verso est sono incerti ma risulta invece la presenza dei satiri lungo il tragitto del viaggio ed un frammento in cui si legge dell'esistenza di un coro di Cabiri." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cefalo (mitologia).\n### Descrizione: Cefalo (in greco antico: Κέφαλος?, Kèphalos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Deioneo e di Diomeda, sposo di Procri, figlia di Eretteo.\nÈ considerato l'eponimo del demo di Cefale e dell'isola di Cefalonia.\n\nMitologia.\nCefalo era un uomo di grande bellezza, e questo fece innamorare la dea dell'aurora Eos, che lo rapì mentre stava cacciando.\nCefalo non voleva tradire la sua sposa Procri, ma Eos insinuò nel giovane il dubbio che la stessa Procri era facile a tradirlo appena qualcuno le avesse fatto un regalo. Per avvalorare la sua tesi lo trasformò in un'altra persona, presentandosi sotto mentite spoglie alla moglie. Quando offrì a Procri un prezioso dono procuratogli dalla dea, la donna accettò le sue avances fino a che non si accorse di essere di fronte a suo marito e, per la vergogna, fuggì a Creta.\n\nA questa evidenza Cefalo abbandonò la moglie per cadere fra le braccia di Eos. Secondo Esiodo da questa unione nacque Fetonte, da non confondere con l'omonimo Fetonte, nato da Elios e Climene.\nProcri in seguito tornò da Cefalo, e i due si riconciliarono andando a caccia insieme. Sfortuna volle però che Cefalo, pensando di mirare ad un animale nascosto tra i rami, colpì mortalmente Procri, e per quest'atto involontario fu condannato all'esilio. Giunse così a Tebe, dove regnava Anfitrione, che lo accolse e gli fece omaggio di un'isola che da allora venne chiamata Cefalonia.\nQui pare che un giorno, colto dal rimorso per la fine di sua moglie, si sia gettato in mare da una rupe.\n\nAltre versioni e discendenza.\nVersioni minori ne fanno il figlio di Erse e Ermes dicendo che fu rapito da Eos e che da lui ebbe il figlio Titoneo in Siria. Igino nelle Fabulae scrive invece che Procri lo rese padre di Arcesio.\nUna versione etrusca del mito, identifica Cefalo come un dio, nominato per l'appunto Dio Cefalo, re dei musici e del pescato fresco, il cui tempio si presumeva sorgere imponente fra le colline dell'attuale Toscana e gli abissi del mar Tirreno. Di notevole interesse, inoltre, i riti che gli adepti al sacro culto del Dio Cefalo praticavano in eventi comuni, spesso accompagnati da musica, bevande alcoliche e cibarie (fra le quali una sorta di tortell primordiali ripieni di carne di rabiro), secondo le fonti e le testimonianze riportate dai contemporanei." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cefeo (figlio di Aleo).\n### Descrizione: Cèfeo (in greco antico: Κηφεύς?, Kephéus) (o Cefèo) è un personaggio della mitologia greca, re di Tegea ed Argonauta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aleo e di Neera e fratello di Licurgo, Anfidamante, Auge ed Alcidice.\nFu padre di venti figli e tra cui il maschio Aeropo e le femmine Sterope, Aerope ed Antinoe.\n\nMitologia.\nFu re di Tegea e partecipò al viaggio degli Argonauti insieme a suo fratello Anfidamante.\nFu convinto da Eracle ad intervenire in suo favore nella disputa contro Ippocoonte e nell'impresa la sorte si rivelò infausta poiché dei suoi figli ne sopravvissero tre secondo Diodoro Siculo mentre secondo Apollodoro nessuno ritornò indietro.\nEracle lo convinse facendo un regalo a sua figlia Sterope.\nLa città di Cafias dovrebbe portare il suo nome e sembra che sia stato anche il fondatore di Kyrenia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cefeo (figlio di Belo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cefeo (AFI: /ˈʧɛfeo/ o /ʧɛˈfeo/; in greco antico: Κηφεύς?, Kēpheus) era il nome di uno dei figli di Belo e di Anchinoe. È raffigurato nel mito soprattutto come re d'Etiopia, marito di Cassiopea e padre di Andromeda, sposa di Perseo. Visto il numero di generazioni che intercorrono tra il padre Belo e il genero Perseo, è tuttavia possibile che si tratti di due individui diversi.\n\nIl mito.\nFratello di Egitto, Dànao e di Fineo, fu re dell'Etiopia, che nella mitologia greca comprendeva i territori dalla Palestina al Mar Rosso.\nSposò Cassiopea e con lei generò Andromeda.\nNella mitologia greca viene citato perlopiù in quanto padre di Andromeda; morì senza eredi maschi e il suo regno andò al nipote Perse figlio di Perseo e Andromeda.\nSecondo altri non era re dell'Etiopia ma di Babilonia o dell'odierna Giaffa. Infatti, secondo Pomponio Mela, gli abitanti di Giaffa ritenevano che in quella città vi sarebbe stata una reggia di Cefeo e che lungo le loro coste sarebbe stata incatenata Andromeda e pietrificato il mostro marino (da Perseo che stava tornando in Grecia dopo aver tagliato la testa a Medusa nella Libia). Tale apparente contraddizione è comunque armonizzabile. Plinio il Vecchio riporta infatti una tradizione in base alla quale Cefeo era un potente re dell'Etiopia e il suo regno etiope si sarebbe esteso fino alla Siria.\n\nAstronomia.\nDa Cefeo prende nome l'omonima costellazione (Cefeo); la costellazione è situata tra Cassiopea (la moglie) e Andromeda (la figlia); sulla superficie della Luna è stato inoltre battezzato il cratere Cefeo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Celeno (arpia).\n### Descrizione: Celeno (in greco antico: Κελαινώ?, Kelainṑ) è un personaggio della mitologia greca ed una delle tre Arpie, figlie di Taumante e di Elettra.\n\nMitologia.\nEra una delle tre sorelle Arpie, ciascuna delle quali rappresentava un diverso aspetto della tempesta e il suo nome significava oscurità. Secondo alcune fonti sarebbe stata lei e non Podarge l'amante di Zefiro, il vento che viene dall'occidente ed insieme a lui generò Balio e Xanto, i due cavalli parlanti di Achille.\n\nEnea l'incontrò sulle isole Strofadi.\n\nDurante l'incontro con Enea, Celeno diede all'eroe Troiano delle profezie riguardo al viaggio che doveva affrontare; in particolare, che una volta giunti in Italia una terribile fame (dira fames) avrebbe costretto lui e i suoi compagni a mangiare le loro stesse mense (i piatti di farro essiccato su cui di solito si nutrivano).\nCome le altre sorelle viene rappresentata come una donna con le ali, o come un uccello dal viso di donna e dagli artigli aguzzi e ricurvi, con i quali fanno razzie, rapiscono i bambini o le anime." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Celeutore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Celeutore (in greco antico Κελεύτωρ) era uno dei figli di Agrio.\n\nIl mito.\nCeleutore, insieme ai suoi fratelli decise di regalare il regno di Oineo al loro padre, partirono in guerra andando contro il loro parente (infatti Eneo era in realtà il fratello di Agrio e quindi loro zio). Lo sconfissero e regalarono come desiderarono il trono ad Agrio, ma Diomede che era nipote del vecchio re decise di vendicare il parente e alla fine uccise Celeutore e quasi tutti i suoi fratelli." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Celto (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Celto (in greco antico: Κέλτος; Galate secondo altre tradizioni) era il figlio di Polifemo e Galatea (Nereide), e il fratello di Illyricus e Galas. In un'altra versione era il nome di uno dei figli di Eracle. Secondo il mito si deve l'origine di tutti i celti.\n\nIl mito.\nCeltine o Celtina, figlia del re della Gran Bretagna (Britanno) ai tempi in cui Eracle era giovane, rimase incinta di lui, ella lo convinse con l'inganno ad unirsi con lei, infatti l'eroe stava tornando dopo una delle dodici fatiche (quella del bestiame di Gerione che per riuscirci dovette viaggiare per tutta l'Europa conosciuta), ma senza che Eracle se ne accorgesse la ragazza riuscì a nascondere l'intera mandria oggetto della missione. La ragazza acconsentì a rivelare dove avesse nascosto gli animali solo se il semidio si fosse unito a lei. Da tale unione nacque Celto: Eracle prima di lasciare la città diede alla ragazza un arco affermando che se un giorno il futuro figlio fosse riuscito a domare con forza quell'arma prodigiosa sarebbe diventato re.\n\nPareri secondari.\nAltri autori indicano Sterope o Peribea come madre di Celto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ceneo.\n### Descrizione: Ceneo (in greco antico: Καινεύς?, Kainèus) o Cenide (in greco antico: Καινίς?, Kainìs) è un personaggio della mitologia greca, era una giovane donna che diventò un uomo.\n\nGenealogia.\nFiglio secondo alcuni di Elato il lapita, oppure secondo altri di Corono. Secondo un'altra versione del mito suo padre era Atrace.\nAppare comunque strettamente connesso con alcune importanti vicende mitiche che riguardano i Lapiti. Nel culto lunare antecedente all'avvento della religione olimpica Cenide impersonava probabilmente il novilunio (il suo nome significa infatti 'nuova').\nLa sua assoluta singolarità nel panorama della mitologia greca sta nel suo mutamento di sesso, giacché era nato con un corpo femminile; si tratta probabilmente del più antico caso di cambiamento di sesso ricordato nella cultura occidentale. È indubbiamente significativo come archetipo, sebbene comunque in questa vicenda sia il prodigio soprannaturale a determinare gli eventi.\n\nIl mito.\nCenide fu amata dal dio Poseidone, che le volle offrire in dono qualsiasi cosa lei desiderasse. Cenide domandò di essere trasformata in uomo, e di essere invulnerabile; il dio eseguì la richiesta.\nCenide mutò il nome in Ceneo (greco Καινεύς Kainèus, latino Caeneus), divenendo un fortissimo guerriero e guidando con successo gli eserciti lapiti in battaglia. Ceneo generò anche un figlio, chiamato anche lui Corono, che fu uno degli Argonauti e venne ucciso molti anni dopo da Eracle durante uno scontro. Ceneo si fece presto prendere la mano, e pieno di orgoglio per il suo successo arrivò a piantare una lancia nel mezzo della piazza del mercato della città in cui risiedeva, e costrinse tutti a venerarlo come se fosse una divinità. Zeus si indispettì per questo comportamento e decise di punirlo. Quando Ceneo partecipò al matrimonio di Piritoo e Ippodamia, durante il quale si scatenò la celebre lotta tra Lapiti e Centauri (vedi Teseo e Piritoo), Zeus indusse i Centauri ad accanirsi contro di lui e ucciderlo. Ceneo ebbe la meglio su molti di loro, perché grazie alla sua invulnerabilità gli attacchi dei Centauri andavano a vuoto; alla fine però venne sotterrato a colpi di tronchi d'albero e finito con terra e pietre, morendo soffocato.\nSecondo quanto racconta Ovidio, Mopso scorse la sua anima volare via da sotto la catasta d'alberi in forma d'uccello dalle ali fulve, visto solo in quell'occasione: ma una volta giunta nell'Ade, essa riprese forme umane e femminili; del resto al momento del funerale ci si accorse che anche il corpo di Ceneo era nuovamente quello di una donna." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cerbero.\n### Descrizione: Cerbero (in greco antico: Κέρβερος?, Kérberos) è una creatura della mitologia greca, uno dei mostri a guardia dell'ingresso degli Inferi su cui regnava il dio Ade.\nIn seguito è divenuto anche noto per la descrizione che ne offre Dante Alighieri nel suo Inferno, anche se con fattezze e indole non differenti dal mito originale.\n\nAspetto.\nÈ un mostruoso cane mastino gigantesco e sanguinario dotato di tre teste e di cui Zachary Grey, scrittore inglese del secolo XVIII, afferma:.\n\nAnziché di pelo, il suo corpo è ricoperto di serpenti velenosi che si rizzano facendo sibilare le proprie orrende lingue ad ogni suo latrato il quale non corrisponde a quello di un cane normale ma ad un rombo di tuono.\n\nGenealogia.\nCerbero è figlio di Tifone e di Echidna e quindi fratello di Ortro, dell'Idra di Lerna e della Chimera.\n\nMitologia.\nIl suo compito era sorvegliare l'accesso dell'Ade, o Averno, affinché nessuno dei morti ne potesse uscire. Nessuno è mai riuscito a domarlo, tranne Eracle e Orfeo.\nNell'antichità anche il 'nudo suolo' era definito Cerbero (o 'lupo degli dei') poiché ogni cosa seppellita pareva essere divorata in breve tempo: il termine è entrato nella lingua italiana a designare, per antonomasia e spesso ironicamente, un guardiano arcigno e difficile da superare.\n\nL'ultima fatica di Eracle.\nCerbero fu affrontato e sconfitto da Eracle che, per svolgere l'ultima delle dodici fatiche fu costretto a catturarlo (vivo) per portarlo a Micene da Euristeo. Il cane non fu combattuto con armi e non fu ucciso, ma soltanto sottomesso, poiché il compito di Eracle era solo quello di dimostrare di averlo sconfitto in combattimento.Cerbero fu in seguito portato a Tirinto e poi riportato nell'Ade dove tornò ad esserne il guardiano.\n\nLa musica di Orfeo.\nOrfeo, che doveva recarsi nell'Ade per riportare la defunta Euridice nel regno dei vivi suonò il suo strumento (una lira) fino ad incantarlo.\n\nAraldica.\nIn araldica, il cerbero (nome comune) è una figura immaginaria del tutto corrispondente alla sua raffigurazione mitologica: un cane tricefalo dalle gole spalancate, la coda di drago e con teste di serpente sul dorso. Certune raffigurazioni utilizzano i serpenti come chioma.\n\nIn taluni stemmi il cerbero, guardia feroce della città infernale, allude al cognome Medico, che vigila a che nessuno entri nella città dei malati. L'eventuale collare simboleggia la sottomissione del medico alla sua missione.\n\nLetteratura.\nAmore e Psiche.\nNella fiaba di Amore e Psiche contenuta ne L'Asino d'oro di Apuleio, l'eroina (Psiche) è costretta a compiere un viaggio agli inferi e deve affrontare, all'entrata e all'uscita, Cerbero, che nel testo non viene chiamato per nome ma descritto come canis praegrandis, teriugo et satis amplo capite praeditus, immanis et formidabilis, tonantibus oblatrans faucibus mortuos, quibus iam nil mali potest facere, frustra territando ante ipsum limen et atra atria Proserpinae semper excubans servat vacuam Ditis domum ('un cane enorme, con una triplice testa in proporzione, gigantesco e terribile, che con fauci tonanti latra contro i morti, cui peraltro, non può fare alcun male; cercando di terrorizzarli senza motivo, e standosene sempre tra la soglia e le oscure stanze di Proserpina, custodisce la vuota dimora di Dite').\n\nEneide.\n'L'enorme Cerbero col suo latrato da tre fauci rintrona questi regni giacendo immane davanti all'antro. La veggente, vedendo ormai i suoi tre colli diventare irti di serpenti gli getta una focaccia soporosa con miele ed erbe affatturate. Quello, spalancando con fame rabbiosa le tre gole l'afferra e sdraiato per terra illanguidisce l'immane dorso e smisurato si stende in tutto l'antro. Enea sorpassa l'entrata essendo il custode sommerso nel sonno profondo'. Nell'Eneide, Cerbero si oppone alla discesa agli Inferi di Enea ed è ammansito dalla Sibilla che gli getta un'offa (focaccia) di miele intrisa di erbe soporifere. Cerbero, che in Virgilio ha dei serpenti attorcigliati al collo, la afferra con fame rabbiosa ed è forse il motivo per cui nella tradizione medievale era talvolta interpretato come immagine del peccato di gola.\n\nDivina Commedia.\nLa figura mitologica di Cerbero è presente anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri, dove esso vigila l'accesso dell'Inferno, quello di coloro che peccarono di incontinenza riguardo alla gola. Nella rappresentazione dantesca la figura di questo mostro mitologico si fonde con l'ideologia del fantastico di stampo medievale, in cui prevalgono significati simbolici; ne risulta una figura nuova, i cui particolari realistici danno una straordinaria vivacità.\nViene presentato attraverso tre apposizioni, 'fiera', 'vermo' e 'demonio', secondo una lettura classica, fantastica e religiosa.\nGli vengono anche attribuite caratteristiche fisiche umane, tra cui la barba, le mani e le facce. Viene descritto con gli occhi vermigli per l'avidità, con il ventre largo per la voracità e con le zampe artigliate per afferrare il cibo. Le interpretazioni allegoriche di questo personaggio (delle sue teste) nella Commedia sono tre: le tre teste indicherebbero i tre modi del vizio di gola: secondo qualità, secondo quantità, secondo continuo (cioè mangiare in continuazione senza preoccuparsi né della qualità né della quantità); le teste sarebbero il simbolo delle lotte intestine fra fazioni appartenenti a una stessa città, oppure perché vigila nel 3° cerchio.\n\nNella cultura moderna.\nA Cerbero sono intitolati i Cerberus Tholi su Marte.\nLa ASUS ha sviluppato un auricolare gaming con prestazioni avanzate chiamato 'Cerberus V2' disponibile in una scelta di tre colori: rosso, verde e blu.\nCerbero è parte integrante del fumetto Geppo, il diavolo buono disegnato da Giovan Battista Carpi.\nAppare in un film horror del 2005 chiamato Cerberus - Il guardiano dell'Inferno, dove fa la guardia alla leggendaria spada di Attila.\nCerbero è anche uno dei boss del gioco Devil May Cry 3 e può controllare il ghiaccio di cui è ricoperto.\nCerbero è un nemico comune nel videogioco God of War. In God of War II ve ne è anche uno più grande, il Cerbero originario, che è un mini-boss, mentre in God of War III sono presenti diverse varianti di Cerbero, compresa una infuocata che è possibile domare e cavalcare. In God of War: Ascension ve ne è una variante viola, che si teletrasporta e che sputa fiamme violacee.\nIl cane a tre teste appare anche in Kingdom Hearts e Kingdom Hearts II come avversario da battere nel mondo di Ercole. Nel primo capitolo lo si affronta in un torneo, mentre nel secondo capitolo viene evocato da Ade.\nÈ presente anche nel cartone animato dei Cavalieri dello Zodiaco nella seconda prigione degli Inferi. Inoltre è la costellazione di appartenenza (realmente esistente ma ora non più considerata nella lista ufficiale delle costellazioni) del cavaliere Vesta.\nIn My Little Pony - L'amicizia è magica Cerbero, raffigurato come un dolce ma spaventoso gigantesco bulldog nero tricefalo, è il guardiano dei cancelli del Tartaro, la prigione dei mostri che attaccano il regno.\nNel videogioco Dante's Inferno, ispirato all'opera di Dante Alighieri, Cerbero è il boss del girone dei golosi. Qui le sue caratteristiche animalesche e mostruose vengono notevolmente accentuate. Il mostro infatti ricorda una sorta di ibrido cane-verme, con tre teste circondate da altre bocche più piccole, intento a masticare e vomitare tutto ciò che trova.\nNella serie televisiva Supernatural viene chiamato anche 'Cane Infernale' e il suo ruolo è quello di uccidere tutti coloro che hanno stretto un patto con i demoni, dopo dieci anni dalla stipula.\nNel romanzo e nel film Harry Potter e la pietra filosofale è presente una bestia delle stesse fattezze, a guardia di una botola, che risponde al nome di Fuffi.\nIn Resident Evil i Cerberus sono cani zombie.\nAppare anche in One Piece come guardiano di Thriller Bark. In questa versione, Cerbero è un mostro assemblato con vari pezzi di altri animali. Infatti una delle tre teste è di volpe, ed il mostro pare anche offendersi quando tale osservazione viene fatta dai personaggi del manga. Anche il personaggio del giudice Baskerville sembra essere ispirato a tale mito.\nCerbero è il nome dato al 'mostro' nella serie TV Lost dal Progetto DHARMA. Questo perché sembra fare la guardia al Tempio, vivere sia sulla terra, sia sotto di essa e sapersi dividere in tre parti per poi tornare un unico fumo.\nCherberos è il nome del custode del sole (meglio noto come Kero-chan) in Pesca la tua carta Sakura.\nCerbero è anche fonte di ispirazione per il nome della TVR Cerbera Speed 12, probabilmente in virtù del metaforico parallelismo riguardante il carattere poco docile del mostro mitologico e il caratteristico brusco comportamento della vettura sportiva inglese.\nIl Cerbero è il logo usato dalla casa di produzione Cerberus (traduzione inglese di Cerbero), che ha prodotto, nel periodo in cui erano molto usate, valvole termoelettroniche per apparecchiature militari e di consumo.\nCerberus nei videogame della trilogia Mass Effect è il nome dell'organizzazione 'a guardia' dell'umanità.\nCerberus nel romanzo di Clive Cussler Walhalla è il nome dell'associazione contro cui combatte il protagonista Dirk Pitt.\nCerberus è un demone ricorrente nella serie Shin Megami Tensei.\nNel cartone animato Huntik - Secrets & Seekers, Cerberus è il Titano di Marduck, membro del Cercatore malvagio della Spirale di Sangue.\nZeo della serie Beyblade V-Force utilizza un beyblade il cui Bit Power è un Cerbero, chiamato Cerbero di Fuoco.\nCerbero nel film Attacco al potere, è un software creato dal governo degli Stati Uniti d'America con tre codici, di due lettere e quattro numeri ciascuno, da usare in caso di un accidentale lancio di un missile nucleare.\nNella serie di giochi Kid Icarus appare come boss Bicerberus (Twinbellows nella versione originale) un cerbero con sole due teste con il corpo ricoperto di fiamme.\nIn Super Paper Mario, il boss che si affronta all'uscita del Mondodigiù (l'aldilà) è il Catecerbero: tre Categnacci con una catena in comune.\nIn Miitopia, il boss del Vulcano di Ertutnia, è un cerbero contenenti le 3 facce dei suoi compagni di viaggio.\nIn Helltaker, Cerbero è raffigurato come tre gemelle demone dalle orecchie canine che condividono un'unica anima. Sono dispettose e vogliono portare il caos nel mondo umano.\nNel manga Magi: The Labyrinth of Magic, Cerberus è il Djinn a tre teste della regina di Artemyra chiamata Mira Dianus Artemira.\nNella serie Netflix 1899, Kerberos è il nome della nave su cui si svolge la storia e che ritrova l'altra nave misteriosamente scomparsa, il Prometheus.\nUn podcast italiano trasmesso su Twitch è chiamato Cerbero Podcast.\nIl gruppo rap italiano Club Dogo ha come logo un cerbero." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cerebia.\n### Descrizione: Cerebia (in greco antico: Κηρεβία?, Kērebía) è un personaggio della mitologia greca e madre di Ditti e di Polidette.\n\nMitologia.\nI suoi figli ebbero un'importante parte nelle vicende di Perseo.\nTra le versioni dei mitografi però, è in dubbio chi sia stato il compagno di Cerebia in quanto secondo alcuni fu il dio dei mari Poseidone mentre secondo altri il padre dei due ragazzi fu un uomo di modeste origini e di nome Magnete." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cerva di Cerinea.\n### Descrizione: La cerva di Cerinea (in greco antico: Κερυνῖτις ἔλαφος?, Kerynîtis élaphos) era, nella mitologia greca, una cerva dai palchi d'oro e dalle zampe d'argento e di bronzo che era stata dedicata ad Artemide dalla ninfa Taigete quando la dea l'aveva salvata dall'inseguimento di Zeus.\n\nMitologia.\nLa cerva di Cerinea fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno; poiché era una cerva sacra, il suo sangue non poteva essere assolutamente sparso.\nQuando Eracle fu incaricato da Euristeo di catturarla, inizialmente si limitò a inseguirla: la cerva si rifugiò salendo su una montagna di nome Artemisio e cercò di attraversare il fiume Ladone, ma durante la traversata Eracle riuscì a catturarla colpendola con una freccia in un punto della zampa cartilagineo, quindi privo di vasi sanguinei; poi caricandosela sulle spalle la portò in Arcadia. Lungo la strada Artemide ed Apollo lo fermarono e la dea lo rimproverò di aver tentato di uccidere il suo animale sacro, ma l'eroe riuscì a placare le sue ire e ottenne da lei il permesso di portare la cerva ad Euristeo.\nLa cerva fu infine portata a Micene e lì fu liberata." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cesarea di Filippo.\n### Descrizione: Cesarea di Filippo (in latino Caesarea Philippi) è stata un'antica città romana, oggi sito archeologico e parco nazionale tra i più importanti del nord di Israele. Nota anche con il nome di Banyas (corruzione di Paneas, nome attribuito al luogo in epoca ellenistica, per via della presenza di un tempio dedicato al dio Pan), è situata alla base sud ovest del monte Hermon, in un contesto naturalistico di impressionante bellezza: nei pressi dell'antico tempio di Pan, infatti, sgorga una delle sorgenti del fiume Giordano.\n\nStoria.\nIl primo insediamento di quella che sarebbe diventata Cesarea di Filippo risale al periodo ellenistico. Le origini sono legate all'edificazione di un luogo di preghiera voluto dai sovrani della dinastia tolemaica nel III secolo a.C. Il luogo fu chiamato Panea in onore di Pan, divinità delle terre desolate, e si trova a poca distanza dalla 'terra vicina al mare' menzionata da Isaia.Di Panea si parla nelle Storie di Polibio a proposito della battaglia combattuta nel 198 a.C. fra l'esercito dell'Egitto tolemaico e i Seleucidi guidati da Antioco III. La vittoria di Antioco rafforzò il controllo seleucide sulla Fenicia, la Galilea, la Samaria e la Giudea fino alla rivolta dei Maccabei nel 166 a.C. Furono i Seleucidi ad edificare un tempio dedicato a Pan.\n\nL'età erodiana.\nNel 20 a.C. Panea fu annessa al regno di Erode il Grande il quale vi fece edificare un tempio in marmo bianco dedicato all'imperatore Augusto. Nel 3 a.C. Filippo il Tetrarca fondò sul sito di Panea una nuova città, capitale amministrativa della Batanea.\n\nNel 14 d.C. Filippo diede alla città il nome di Caesarea, in onore dell'imperatore Tiberio (il cui nome completo era Tiberio Giulio Cesare Augusto). Nelle sue Antichità giudaiche Flavio Giuseppe menziona la città col nome di Caesarea Panias, mentre nel Nuovo Testamento è indicata come Cesarea di Filippo, per distinguerla da Cesarea Marittima. Alla morte di Filippo, nel 33, la Giudea fu incorporata nella provincia di Siria. Nel 61 il re Agrippa II ribattezzò la città col nome di Neronia, omaggio all'imperatore Nerone che rimase però nell'uso comune solo fino al 68. Durante la Prima guerra giudaica Vespasiano si accampò con le sue truppe a Cesarea di Filippo (67), da dove poi sferrò l'attacco decisivo contro i ribelli.\n\nI Vangeli.\nNei vangeli sinottici si narra che Gesù, nelle sue peregrinazioni, abbia sostato con i suoi discepoli nei villaggi intorno a Cesarea. La città, o i suoi dintorni, sono indicati come il luogo nel quale avvenne l'episodio della cosiddetta confessione di Pietro, nella quale l'apostolo riconosce esplicitamente in Gesù il Cristo della tradizione giudaica. In un altro luogo dei Vangeli si narra invece l'episodio di una donna di Panea che aveva sanguinato per dodici anni e fu miracolosamente guarita da Gesù.\n\nLa dominazione araba.\nNel 635 Panea venne sottomessa dalle armate islamiche guidate da Khālid ibn al-Walīd, che aveva sconfitto l'esercito dell'imperatore Eraclio. L'anno seguente la città divenne base di partenza di una nuova spedizione araba ai danni dell'Impero bizantino, che si concluse con la sconfitta dei musulmani a Yarmuk. La conquista araba provocò il rapido spopolamento di Panea e il suo declino. La città rimase ugualmente il principale centro del distretto di al-Djawlan, nella provincia di Damasco, grazie soprattutto alla sua posizione strategica.\n\nIl periodo delle Crociate.\nDopo la conquista della Palestina da parte dei Crociati, nell'XI secolo, fu eretto nelle vicinanze di Panea il castello di al-Subayba, che nel 1126 fu assegnato dall'atabeg di Damasco Tughtigin al capo ismailita Bahrām. Ma le violenze che condussero alla morte di quest'ultimo riportarono il castello sotto il controllo crociato. Nel 1132 Bāniyās fu conquistata da Būrī (fondatore della dinastia buride a Damasco) e poi consegnata a Zankī, eponimo della dinastia zengide e padre di Norandino, fin a quando i crociati non la riconquistarono nel 1140. Ma nel 1164 Norandino la strappò definitivamente all'Islam.\nNel maggio del 1179 il sultano di Siria Saladino si accampò col suo esercito nei pressi di Panea, in attesa di affrontare le truppe crociate guidate dal re Baldovino IV. La battaglia ebbe luogo il 10 giugno e vide la schiacciante vittoria dei musulmani, che fecero prigioniero il Gran Maestro dei Templari Oddone di Saint-Amand e i cavalieri Ugo di Tiberiade e Baldovino di Ramla. L'episodio fu all'origine della successiva battaglia del Guado di Giacobbe, nella quale i musulmani riportarono un'ulteriore vittoria sui crociati." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ceutonimo.\n### Descrizione: Ceutonimo (in greco: Κευθόνυμος Keuthònymos) era lo spirito dell'aldilà e padre di Menezio. Ceutonimo è forse uguale a Giapeto, e padre di un certo Menezio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Chelmi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Chelmi (greco antico: Κέλμις, Kèlmis, tradotto anche come Chelmide, Celmi o Scelmi) era uno dei Dattili, un gruppo di divinità collegate con la dea Rea e con la lavorazione dei metalli. Tra essi, Chelmi rappresentava l'attrezzo del coltello, o anche il processo metallurgico di colata.\nSecondo un mito raccontato da Ovidio, Chelmi giocava insieme ai suoi fratelli con il bambino Zeus, sul Monte Ida, ma in seguito Rea, la madre di Zeus, si offese per alcune battute di Chelmi e chiese a Zeus di trasformarlo in un blocco di diamante, cosa che Zeus fece." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cherone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cherone (in greco antico: Χαίρων) era il nome di uno dei figli di Apollo e di Tero.\n\nIl mito.\nLa figlia di Filante venne sedotta dal figlio di Zeus, e, caratteristica del ragazzo, dal padre degli dei aveva discendenza anche dal lato della madre visto che la donna era nipote di Antioco, figlio di Eracle.Crebbe Cherone diventando un abile e forte domatore di cavalli, fu eroe ed eponimo della città della Beozia Cheronea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Chimera (mitologia).\n### Descrizione: La chimera (in greco antico: Χίμαιρα?, Chímaira) è un mostro leggendario nella mitologia greca, in quella romana e in quella etrusca formato con parti del corpo di animali diversi.\n\nAspetto.\nLe descrizioni del mostro variano a seconda degli autori dell'epoca e spesso il morso del serpente era velenoso e posto sulla coda. Esiodo scrive che avesse testa e corpo di leone ma con una testa di capra sulla schiena ed una coda di serpente mentre Omero scrive che avesse il corpo di capra, coda di drago, testa di leone e che sputava fuoco dalle fauci.\n\nGenealogia.\nSecondo il mito greco fa parte della progenie di Tifone ed Echidna, insieme all'Idra di Lerna, Cerbero e Ortro. Secondo Esiodo fu Chimera a partorire la Sfinge ed il Leone di Nemea avuti dal fratello Ortro e progenie che secondo altri autori apparterrebbe a sua madre Echidna oppure ad altre madri.\n\nOrigine del mito.\nAutori greci e romani.\nVari autori (Plinio il Vecchio, Servio Mario Onorato, Virgilio, Omero) parlano del luogo dove la chimera si trovava. Strabone riuscì a descrivere anche una montagna situata sulla costa della Licia e altri alti promontori che si trovano vicino a una città. In quel luogo esiste il Monte Chimera, situato nelle vicinanze di Adalia, che in passato era citato dagli stessi autori per i suoi fuochi perenni.\n\nCiviltà etrusca.\nNella civiltà etrusca, la Chimera appare già nel periodo orientalizzante e che precede l'arte arcaica etrusca ed appare nelle pitture murali etrusche del IV secolo a.C.\n\nAntico Egitto.\nUna leonessa sputafuoco era una delle più antiche divinità solari e di guerra dell'antico Egitto ed era rappresentata già 3000 anni prima del periodo greco e le influenze sono possibili. La leonessa rappresentava la dea della guerra e protettrice di entrambe le culture che si sarebbero unite come Antico Egitto.\n\nCiviltà Neo-Ittita.\nLa Chimera neo-ittita di Karkemish, datata tra l'850 e il 750 a.C. ed esposta nel Museum of Anatolian Civilizations è ritenuta una base per la leggenda greca. Si differenzia dalla versione greca in quanto la leonessa raffigurata ha anche una testa umana che sale dalle sue spalle ed è alata.\n\nMitologia.\nChimera fu uccisa da Bellerofonte su ordine del re di Licia Iobate stanco delle scorrerie della bestia sul suo territorio. Bellerofonte aveva la punta della sua lancia fatta di piombo e quando la scagliò fra le fauci aperte del mostro il calore delle fiamme che le uscivano dalla bocca sciolse quel metallo soffocandola. Nell'Iliade Omero scrive anche che prima che Bellerofonte la uccidesse, la Chimera fu tenuta a bada dal licio Amisodaro, che in seguito divenne padre dei giovani eroi Atimnio e Maride. Secondo altre fonti postume all'Iliade, Chimera non è locata nella Licia, ma nell'Aspromonte.\n\nNella cultura di massa e multimediale.\nLa Chimera è un nemico ricorrente nella serie videoludica God of War. Compare in due capitoli della serie: in God of War: Ascension ne compare solo una, che genera ghiaccio, mentre in God of War III ne compaiono diverse, tutte che generano fuoco.La Chimera è uno dei boss nel videogioco arcade Gauntlet Legends nella sua espansione Gauntlet Dark Legacy.Nel romanzo di Valerio Massimo Manfredi Chimaira si allude al mostro mitologico come responsabile di alcune morti misteriose avvenute negli ambienti dell'archeologia etrusca della Tuscia.Nel film Mission: Impossible 2 è un virus creato in laboratorio che produce effetti letali sul sistema nervoso dell'essere umano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Chimereo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Chimereo (in greco antico: Χιμαιρεύς) era il nome di uno dei figli di Prometeo, il gigante e di Celeno la figlia di Atlante.\n\nIl mito.\nFratello di Lico, una volta morto venne seppellito insieme al parente nelle terre di Troia, vi era una leggenda sulle loro tombe. Infatti a Sparta vi era un epidemie di peste, per poter sopravvivere alla malattia si consultò un oracolo, prassi comune a quei tempi. Il consiglio fu quello di offrire un sacrificio sulla tomba dei due fratelli, e chi doveva fare l'offerta doveva essere un nobile spartano. Il prescelto fu Menelao che nel viaggio incontrò Paride, questo fu il loro primo incontro che porterà alla guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Chione (figlia di Borea).\n### Descrizione: Chione (in greco antico: Χιόνη?, Chiónē, da χιών khiṑn, 'neve') è un personaggio della mitologia greca e corrisponde alla divinità della neve.\n\nGenealogia.\nFiglia di Borea e di Orizia, sorella di Zete, Sebone, Calaide e Cleopatra.\n\nMitologia.\nFu amata da Poseidone che la rese incinta di Eumolpo, bambino di cui nascose la gravidanza e che gettò in mare dopo il parto. Eumolpo fu poi salvato dallo stesso Poseidone e dato a Bentesicima perché lo crescesse in Etiopia.\nEliano racconta di un'altra Chione che fu moglie di Borea e da cui ebbe i tre Iperborei.\nDopo la sua morte si pensa che si sia reincarnata nel corpo di suo fratello minore Sebone, che ne diventó il suo erede prendendo l'epiteto de 'Il dio delle nevi'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Chirone.\n### Descrizione: Chirone (in greco antico: Χείρων?, Chéirōn) è un personaggio della mitologia greca, centauro, figlio di Crono e dell'oceanina Filira.\n\nGenealogia.\nSposo della ninfa Cariclo divenne padre di Ociroe che visse sul Monte Pelio.\nDal monte prendono il nome le ninfe Pelionidi che sono attribuite a Cariclo ed a Chirone.\nFu anche padre di Endeide, Melanippe (più conosciuta come Ippe) e di Caristo.\n\nMitologia.\nPoiché nacque da Filira e da Crono che per conquistarla si trasformò in un cavallo, Chirone è un essere immortale ed è metà uomo e metà cavallo.\nEsperto nelle arti, nelle scienze e in medicina, è considerato il più saggio e benevolo dei centauri. Ebbe per allievi numerosi eroi: Aiace, Achille, Aristeo, Asclepio, Atteone, Ceneo, Enea, Eracle, Fenice, Giasone, Oileo, Palamede, Patroclo, Peleo, Telamone, Teseo e secondo alcune leggende anche Dioniso.\n\nChirone e Achille.\nChirone, in quanto medico, fu chiamato a curare Achille quando quest'ultimo, a seguito delle magie praticate da sua madre Teti per renderlo immortale, ebbe la caviglia ustionata. Chirone gliela sostituì con quella di un gigante morto, Damiso, particolarmente dotato nella corsa (ciò avrebbe reso Achille pie' veloce).\nAl rientro verso casa, egli si smarrì ma la via di casa gli fu indicata dall'aquila dei venti mandatagli da Zeus.\n\nFine di Chirone.\nEssendo Eracle venuto a contrasto con i Centauri, ne uccise alcuni ed i superstiti si rifugiarono presso la grotta dove viveva Chirone, che peraltro era amico dell'eroe. Nel corso della battaglia una freccia, scagliata da Eracle, colpì al ginocchio Chirone. Questa ferita, causata da una freccia avvelenata, non poteva guarire ma nemmeno poteva portare a morte Chirone, nato immortale, cosicché gli causava indicibili sofferenze che lo portarono alla disperazione più cupa.\nDesiderando la morte, Chirone riuscì ad ottenerla scambiando la sua immortalità con Prometeo che era diventato mortale per i suoi contrasti con Zeus.\nIl padre degli Dei, al quale il centauro era particolarmente caro, lo volle comunque vicino a sé nel cielo, dando origine alla costellazione del Centauro.\n\nCaratteristiche.\nA differenza degli altri centauri, che come i satiri erano ignoranti e dediti alla violenza, Chirone si distingueva per la grande bontà d'animo, per la saggezza, per la conoscenza delle scienze, in particolare quella medica. Fu pertanto considerato il capostipite di quella scienza in quanto maestro di colui che la mitologia greca considerava il dio della medicina Asclepio.\nChirone è anche considerato precursore della scienza erboristica, in quanto lo storico tedesco Giustino Febrònio (pseudonimo di Johann Nikolaus von Hontheim) racconta che egli aveva, nel territorio di Collepardo, il suo 'Orto del Centauro'.\nSecondo alcuni autori antichi, egli fu anche astrologo; sulla medesima scia, Isaac Newton lo considera un 'astronomo pratico' e, attraverso un'audace interpretazione di un passo degli Stromateis di Clemente Alessandrino, lo individua come uno dei primi a delineare le costellazioni in Grecia.\n\nNella cultura di massa.\nChirone viene citato nella Divina Commedia (canto XII dell'Inferno) di Dante Alighieri.\nAnche Niccolò Machiavelli menziona la figura di Chirone ne Il Principe. Ne sottolinea la natura al contempo umana e bestiale, sostenendo che il buon principe debba fare affidamento su entrambi questi aspetti della personalità umana, nessuno dei quali è di per sé sufficiente.\nJohann Wolfgang Goethe lo inserisce nell'atto secondo del Faust Secondo. Dialogherà con lo stesso Dottor Faust a partire dal verso 7331 e lo condurrà da Manto. Viene rappresentato come una figura estremamente positiva in quanto modello di modestia e grandezza morale, cavalcato dai più splendidi eroi dell'antichità.\nChirone appare nel videogioco gioco Age of Mythology, come protagonista di supporto nella campagna.\nChirone è protagonista nel romanzo Aktaion Onder de stelle dello scrittore olandese Simon Vestdijk.\nIl romanzo Il Centauro di John Updike Chirone è raffigurato come l'insegnante George Caldwell che è completamente inadatto a insegnare in un ambiente moderno.\nNella serie fantasy Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo (prima apparizione in: The Lightning Thief) ed Eroi dell'Olimpo di Rick Riordan, Chirone è l'insegnante principale dei protagonisti al Campo Mezzosangue.\nChirone è un personaggio principale nella serie TV Young Hercules interpretato da Nathaniel Lees. In questa versione è un direttore di un'accademia dove si trovano Ercole, Iolao e Giasone.\nNel romanzo fantasy La storia infinita, il nome del personaggio Cairone si rifà a quello di Chirone: sono entrambi centauri e saggi medici.\nChirone è protagonista, insieme a Ermete, di un racconto breve in forma dialogica intitolato Le cavalle, quarto nei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.\nChirone appare come servitore di classe arciere nel videogioco per smartphone Fate/Grand Order e nella serie animata Fate/Apocrypha.\nChirone appare in uno scenario di Titan Quest: parlando con lui partirà una missione secondaria, il recupero del suo arco; portandola a termine, il giocatore sarà ricompensato con un bonus." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Chryse e Argyre.\n### Descrizione: Chryse e Argyre erano una coppia di isole leggendarie, situate nell'oceano Indiano, che si diceva fossero fatte di oro (chrysos in greco) e di argento (argyros).\nNel capitolo 23 del VI libro della sua Storia Naturale, Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) afferma che al largo della foce dell'Indo si trovano le isole di Crise e Argire, «ricche, a mio avviso, di miniere, perché avrei difficoltà a credere che il loro suolo sia d'oro e d'argento, come alcuni sono inclini a ritenere».\n\nCirca cinque o sei secoli dopo, nella sezione VI,11 del XIV libro dell'opera enciclopedica Etimologie, Isidoro di Siviglia (ca. 560-636) ripete più o meno le stesse informazioni: «Le isole Crisia ed Argiria si trovano nell'Oceano Indiano. Sono così ricche di differenti metalli che molti hanno detto che il loro suolo è formato da oro ed argento, donde anche il loro nome». Questa informazione è stata quasi certamente ricavata - come anche in altri casi nelle Etymologies, come lo stesso Isidoro ammette liberamente - direttamente dalla Storia Naturale. Entrambe queste opere latine, la Storia Naturale e specialmente le Etimologie, furono ampiamente lette in Europa per tutto il Medioevo, e questo assicurò la sopravvivenza della leggenda delle isole d'oro e d'argento fino all'inizio delle grandi scoperte geografiche.\nMan mano che i geografi europei raccoglievano informazioni più affidabili sull'oceano Indiano, la presunta posizione di Chryse e Argyre si spostò sempre più a est ai confini del mondo conosciuto. Quando Martin Behaim creò il suo globo Erdapfel nel 1492, si credeva che queste isole fossero vicine al Giappone, forse perché Marco Polo aveva dichiarato che il Giappone stesso (che chiamò Cipangu) era ricco di oro e di argento; Behaim è noto per aver usato come fonti sia Plinio che Marco Polo.\n\nLa scoperta delle Americhe cambiò ogni cosa. Gli esploratori europei alla ricerca di favolose terre dell'oro iniziarono a navigare ad ovest, verso l'El Dorado, invece che ad est, verso il Cipangu. L'opera di Isidoro di Siviglia cadde nel dimenticatoio e le isole di Chryse e Argyre sparirono lentamente dall'immaginario popolare.\nNel 1877, tuttavia, i loro nomi furono riportati in auge dall'astronomo Giovanni Schiaparelli, che sfruttò l'opposizione planetaria di quell'anno per iniziare a mappare il pianeta Marte. Come esperto di astronomia e geografia antiche conosceva bene le leggende classiche e le terre leggendarie, e da esse traeva ispirazione per nominare le formazioni che poteva vedere attraverso il telescopio. Ipotizzò che le aree scure presenti sul pianeta fossero bassi «mari» pianeggianti, come quelli della Luna, mentre le «terre» fossero le zone più chiare. Notò in particolare alcune zone chiare che scambiò per isole: nominò così la più grande e circolare Hellas (dall'antico nome della Grecia) e le altre due Chryse e Argyre.\nFu solo con le osservazioni compiute dall'orbita marziana della Mariner 9 nel 1972 che divenne chiaro che queste aree chiare non erano affatto isole, ma depressioni tappezzate di polveri spazzate dal vento. Chryse è in realtà una distesa pianeggiante, ma il nome è stato mantenuto, ed è ora nota come Chryse Planitia, «pianura di Chryse». Argyre (come Hellas) è invece un cratere ad ampio impatto, noto oggi come Argyre Planitia, «pianura di Argyre», che a sua volta ha dato il nome a uno dei quadrangoli cartografici dell'atlante marziano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ciane (ninfa).\n### Descrizione: Ciane (in greco antico: Κυάνη?, Kyánē) è una ninfa della mitologia greca.\nIl nome Ciane è dovuto molto probabilmente al colore verde-azzurro della sorgente del fiume omonimo che sgorga nella regione paludosa ad ovest del Porto grande di Siracusa. Una antica tradizione introdusse Ciane nel mito del ratto di Persefone, per cui a Siracusa ebbe culto insieme con Persefone e fu onorata con feste annuali e processioni.\n\nCiane, ninfa naiade della zona di Siracusa, cercò di opporsi al dio dei morti Ade quando prese Persefone rapendola; il dio la trasformò in una fonte. Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta che Ciane si sciolse dalle lacrime per non essere riuscita a salvare l'amica.Il giovane Anapo, innamorato della ninfa Ciane vistosi liquefare la fidanzata, si fece mutare anch'egli in un fiume.\nI Siracusani ogni anno celebravano delle feste chiamate Coree, in onore di Core (altro nome di Persefone), istituite da Eracle, durante le quali alcuni tori venivano immersi nella fonte Ciane. A Ciane sono state dedicate le porte sacre agrigentine che si trovano in prossimità del sepolcro siracusano." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ciceone.\n### Descrizione: Il ciceone (in greco antico: κυκεών?, kykeón) è una bevanda rituale in uso nell'antica Grecia, legata, in particolare, al digiuno osservato durante la celebrazione dei misteri eleusini.\n\nUso rituale.\nL'uso rituale del ciceone è associato alla celebrazione dei misteri eleusini, riti religiosi iniziatici dell'antica Grecia relativi al culto di Demetra e Persefone. Questa associazione nasceva dalla tradizione mitologica greca, secondo cui il ciceone sarebbe stata l'unico rifocillamento e ristoro accettato da Demetra durante la ricerca, in Sicilia, della perduta Persefone. Tale tradizione rimanda all'inno omerico, in particolare all'Inno a Demetra, in particolare ai versi 200-201 e 208-211.Per questo motivo, il ciceone era la bevanda che veniva assunta da chi si sottoponeva al rito di iniziazione nel Telesterion. In tale occasione, infatti, egli pronunciava la frase iniziatica: 'Ho digiunato, ho bevuto il ciceone', con cui esprimeva le due condizioni fondamentali e propedeutiche per poter accedere all'iniziazione: il digiuno e l'assunzione del ciceone. Su tale fase preparatoria, appartenente a un percorso iniziatico di un rito misterico, non esistono rivelazioni e testimonianze: a giudicare dall'Inno a Demetra, si potrebbe dedurre che l'assunzione esclusiva del ciceone fosse associata a una pratica preparatoria di digiuno stretto, della durata di nove giorni.\n\nComposizione.\nIl significato della parola greca κυκεών è quello di 'bevanda composita' e, all'occorrenza, 'mescolata'. Era, infatti, un miscuglio di ingredienti su una base di acqua: in una coppa riempita venivano aggiunti farina d'orzo e menta (γλήχων):.\n\nOvidio, nel descrivere la mistura, non nominandola nello spazio dei suoi versi, ne indica la composizione come vino con aggiunta di fiocchi di segale tostati.\nPoiché gli ingredienti aggiunti non erano in grado di dissolversi nel liquido, vi rimanevano in sospensione, così che era necessario agitare ripetutamente la mistura durante la beva, fino al suo completo consumo.\nSecondo l'etnologo Gordon Wasson, il chimico Albert Hofmann e altri studiosi, gli stati mistici e rivelatori ottenuti dai partecipanti ai Misteri Eleusini erano ottenuti tramite il ciceone stesso, nella cui preparazione sarebbe rientrata segale cornuta, cioè segale infestata dal fungo parassita Claviceps purpurea, comunemente detto ergot, di cui sono noti gli effetti psicoattivi (ergotismo) e dalla quale si ricava l'LSD.\n\nCitazioni.\nIl ciceone è oggetto di numerose citazioni, fin dai testi omerici.\nNell'Odissea di Omero, il ciceone è la pozione composta di vino di Pramnio, mescolato a latte rappreso, farina e miele, che viene offerta dalla dea Circe, come dono di ospitalità ai compagni di Ulisse, che vengono trasformati in porci. Ulisse invece, quando beve il miscuglio da una tazza d'oro, resta immune al sortilegio grazie al moli (μῶλυ), la pianta-antidoto fornitagli da Ermes, e può così salvare i compagni.\nIn un frammento di Eraclito, l'esempio del ciceone, con i suoi ingredienti immiscibili inconciliabili, è utilizzato come illustrazione familiare e metaforica della necessità degli opposti.\nIn un frammento di Ipponatte, il ciceone è chiamato 'rimedio contro la miseria', cioè una bevanda che possa placare la fame o la sete, fatta con farina di orzo.\nNella commedia La pace di Aristofane, Hermes raccomanda il ciceone al protagonista eroico dell'opera, il vignaiolo Trigeo, che ha mangiato troppa frutta secca e noci. Per questo è stato congetturato che potesse avere proprietà digestive.\nIn un passo di Teofrasto si descrive un contadino zotico che, dopo aver bevuto il ciceone, si reca a una seduta dell'ecclesia con un alito insopportabile.\n\nCognidium.\nSecondo una congettura formulata da Nino Tamassia, il suono greco del nome può essere accostato a quello latino del cognidium, probabilmente un vino medicato bevuto dal padre della Chiesa Papa Gregorio I." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ciclopi.\n### Descrizione: I Ciclopi (in greco antico: Κύκλωπες) sono delle figure della mitologia greca. Sono in genere uomini giganteschi con un occhio solo al centro della fronte, a volte dipinto come unico organo visivo della creatura, altre volte invece accompagnato da una coppia di occhi. Compaiono in vari racconti della mitologia greca e la loro descrizione varia a seconda dell'autore: nella Teogonia di Esiodo vengono rappresentati come artigiani e fabbri eccezionali, figli di Urano e Gea, mentre nell'Odissea di Omero diventano delle creature rozze, violente e selvagge dedite alla pastorizia e, occasionalmente, all'antropofagia; di quest'ultimo gruppo fa parte uno dei ciclopi più noti, ossia Polifemo.\nIl nome deriva dal greco 'κύκλος' (cerchio) e 'ὤψ' (occhio).\n\nEsistono due diverse tipologie di Ciclopi nella mitologia greca. In Esiodo (cfr. Teogonia) i tre Ciclopi Bronte, Sterope e Arge sono, come i Titani e gli Ecatonchiri (o Centimani), figli di Urano e di Gea. Questi Ciclopi sono esseri civilizzati e alleati degli dei olimpici. Vengono descritti come abilissimi artigiani, alti conoscitori dell'arte della lavorazione del ferro e la loro attività era fabbricare i fulmini di Zeus. Inoltre, sono dotati di conoscenza e intelletto straordinari. In Callimaco (cfr. Inno ad Artemide) i Ciclopi sono gli aiutanti di Efesto.\nIn Omero invece, che ne parla nell'Odissea (libro IX), i Ciclopi sono ridotti al rango di esseri mostruosi, dei giganteschi energumeni che vivono isolati l'uno dall'altro in caverne naturali e praticano la pastorizia per vivere, non disdegnando però di cibarsi di esseri umani. Oltretutto, a rimarcare la loro inferiorità rispetto ai Ciclopi originali, in Omero non sono più figli di Urano e Gea (quindi in qualche senso zii degli dèi e a loro antecedenti), ma soltanto del dio dei mari Poseidone.\n\nOmero dà solo il nome di uno di loro, Polifemo, che fece prigionieri Ulisse e i suoi compagni. Il suo accecamento da parte dell'eroe sarà causa della collera di Poseidone.\nEsiste in realtà una terza tipologia di Ciclopi, chiamati Gasterochiri. Questi sarebbero originari della Licia, seguirono Preto nell'Argolide quando questi tornò in Grecia. Erano muratori ed edificarono per lui le mura della città di Tirinto e per conto di suo nipote Perseo le mura di Micene e Midea.\n\nRealtà storica.\nUna qualche verità storica riguardo all'esistenza di una popolazione o tribù dal nome di 'Ciclopi' ci viene data da Tucidide nel libro VI delle sue Storie allorquando si accinge a parlare delle popolazioni barbare esistenti in Sicilia prima della colonizzazione greca. Così scrive:.\n\nIl mito che descrive i Ciclopi con un unico occhio centrale, secondo alcune ipotesi, potrebbe essere nato a causa di alcuni ritrovamenti fossili di elefanti nani, vissuti in Sicilia al tempo del Paleolitico. La particolarità dei loro crani è di avere un grande buco al centro, che non è altro che il foro nasale dell'elefante. Tali resti fossili potrebbero quindi essere stati scambiati per uomini giganteschi con un occhio solo e infatti anche il filosofo Empedocle afferma che in molte caverne siciliane furono ritrovati fossili di una stirpe di uomini giganteschi oggi scomparsa.\nL'ipotesi più attendibile rimane oggi quella secondo cui i Ciclopi, antichi fabbri, fossero in realtà degli artigiani emigrati da oriente fino alle isole Eolie dove si sono trovate tracce della lavorazione dei metalli durante la facies Diana (IV millennio a.C.). I riscontri archeologici potrebbero così confermare il mito che li voleva residenti proprio su tali Isole. La presenza di un occhio solo potrebbe essere una tradizione legata all'usanza di coprire con una benda l'occhio sinistro per proteggerlo dalle scintille o da un ipotetico tatuaggio sulla fronte rappresentante il Sole, elemento al quale questi antichi artigiani potevano probabilmente essere devoti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cicno (figlio di Apollo).\n### Descrizione: Cicno era un bellissimo e crudele giovane, figlio di Apollo e Tiria o Irie.\nA causa del suo carattere, tutti i suoi pretendenti lo abbandonarono, tranne Filio, al quale Cicno chiese di eseguire delle prove per dimostrare il suo attaccamento.\nSuperate le prime due prove, per la terza Filio chiese l'aiuto di Eracle, che gli consigliò di ribellarsi alle angherie di Cicno.\nFilio allora si rifiutò di consegnare a Cicno il dono promesso e questi per la delusione si gettò in un lago, seguito dalla madre. Apollo allora lo trasformò in un cigno.\nIl mito e la fonte principale della storia è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cicno (figlio di Ares).\n### Descrizione: Cicno è una figura della mitologia greca, figlio di Ares e di Pirene. Secondo la mitologia greca sarebbe morto intorno al 600 a.C.\nEgli viveva da brigante. Uccideva e derubava i pellegrini in cammino per l'oracolo di Delfi, saltando fuori da una foresta della Tessaglia sacra al dio Apollo.\nFu ucciso da Eracle, che a causa di ciò dovette battersi con Ares. In questa occasione il dio fu battuto dal figlio di Zeus.\n\nIl Mito.\nL'Eee di Esiodo.\nLa sua storia è riportata da molte fonti, ma quella più interessante e di maggior rilievo è certamente riportata in un'opera minore di Esiodo: l'Eee (italianizzato dal titolo greco Ἡ οἰὴ, che apriva la storia di ogni eroina di cui si riportavano i rapporti con gli dei ed i figli da loro avuti). In un frammento si legge che Eracle, figlio di Zeus e di Alcmena, riposandosi nel guardare i suoi buoi che pascolavano, ne fu derubato dal Gigante Cicno. Egli li portò in una caverna con uno stratagemma, ma Eracle lo scoprì. Una volta raggiunto il brigante lo stritolò fra le sue braccia possenti e Cicno tentò inutilmente di liberarsi sputando fuoco ma non vi riuscì e perì. Gli studiosi pensano che questo ipotetico scontro fosse da collocare intorno al 600 a.C. e a Pagase, città della Tessaglia non distante dal golfo di Iolco. Il racconto di Esiodo riprende poi con la descrizione dello scudo di Eracle (da cui, inoltre, il poeta aveva tratto la storia della battaglia dell'eroe con il gigante).\n\nLe altre fonti.\nIl mito è riportato, come già accennato, da diverse fonti oltre a quella di Esiodo. La più antica conosciuta è presentata nello scritto anonimo Lo scudo di Eracle. Pare che l'autore, nel narrare il mito di Cicno, abbia preso spunto, o comunque abbia fatto riferimento, al gruppo scultoreo dell'Acropoli di Atene, ad una metopa ritrovata a Delfi, ed a un rilievo del trono di Apollo, rinvenuto invece in un villaggio della Grecia: Amycles. L'argomento trattato è lo stesso riportato nell'Eee di Esiodo. Vi è poi un'altra fonte degna di nota, ovvero quella risalente all'epoca romana, riportata nella Biblioteca di Apollodoro (Pseudo-Apollodoro).\n\nRiusi del mito.\nIl mito di Cicno, ed in particolare l'episodio di Eracle, fu ripreso da Virgilio nella sua Eneide, ed in particolar modo nel canto VIII, dove il re Evandro racconta la storia di un certo Caco, che rubò i buoi di Eracle da cui venne in seguito stritolato." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cidippe (sacerdotessa).\n### Descrizione: Cidippe (in greco antico: Κυδίππη?, Kydíppē) è un personaggio della mitologia greca, madre di Cleobi e Bitone.\n\nMitologia.\nCidippe, una sacerdotessa della dea Era, doveva recarsi ad una cerimonia in suo onore, ma il bue destinato a trainare il suo carro non arrivava e così i suoi figli Bitone e Cleobi si offrirono di trainare il carro lungo tutto il percorso che era lungo 45 stadi (circa 8 km).\nCidippe fu molto impressionata dalla loro devozione e chiese ad Era di fare ai suoi figli il dono più bello che un dio potesse fare ad un mortale e così la dea fece sì che i due fratelli morissero all'istante, dato che, secondo un dio (immortale), il miglior dono che potesse fare loro era di concedergli di morire senza sofferenze nel momento della loro massima devozione verso di lui.\nLa più diffusa interpretazione del significato di questa leggenda è che 'nessun uomo è mai così tanto benedetto fino a quando è morto'. Questa è la versione della leggenda riferita da Erodoto (Storie, I, 31) e che venne usata dall'ateniese Solone per spiegare al Re Creso chi fossero state le persone più felici della storia..\nErodoto (la fonte originale di questo aneddoto), però, non cita il nome della madre dei due ragazzi: la prima menzione del suo nome si trova in Plutarco, fr. 133 (apud Stobeo, IV, 52, 43) 'ἔτι δὲ Κλέοβις καὶ Βίτων, Κυδίππης τῆς μητρὸς αὐτῶν ...'. Plutarco, nel I secolo d.C., è dunque per noi il primo riferimento indicante il nome della sacerdotessa e, probabilmente, una parte di questa leggenda è andata persa, poiché Plutarco visse circa mezzo millennio dopo che Erodoto raccontò questa storia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cidippe (sposa di Aconzio).\n### Descrizione: Cidippe (in greco antico: Κυδίππη?, Kydíppē) era un personaggio della mitologia greca, sacerdotessa di Artemide e sposa di Aconzio.\n\nMitologia.\nCome racconta Callimaco all'interno degli Aitia, Aconzio, straordinariamente colpito dalla bellezza della giovane, escogitò un sistema particolare per farla sua sposa: presa una mela, vi scrisse sulla buccia: 'giuro per il santuario di Artemide di sposare Aconzio' e la inviò alla fanciulla.\nNel tempio della dea, lei lesse ad alta voce la frase senza accorgersi di compiere un giuramento solenne; così, nonostante suo padre l'avesse promessa in sposa per tre volte ad altri uomini, per tre volte lei fu colpita da malattia ed il matrimonio non poté essere celebrato.\nCidippe infine tramite un oracolo comprese che i tre matrimoni erano stati impediti dalla dea Artemide e prese Aconzio come sposo.\nIl mito viene riproposto anche nelle Heroides di Ovidio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cilla.\n### Descrizione: Cilla (in greco antico: Κίλλα?, Kílla) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nSposò Timete (a volte citato come Timoete) ed ebbe un figlio di nome Munippo.\nNon sono note le sue ascendenze.\n\nMitologia.\nUn indovino predisse che sarebbe nato un bambino con il quale Troia sarebbe stata distrutta e quel giorno nacquero sia Paride (al cognato Priamo) e suo figlio (di Cilla) Munippo.\nPer timore che la profezia si realizzasse, Priamo (re di Troia) ordinò che Munippo e sua madre Cilla fossero uccisi risparmiando invece Paride.\nSorella di Ecuba è spesso confusa con un'altra Cilla, sua cognata e figlia Laomedonte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cimopolea.\n### Descrizione: Cimopolea (in greco antico: Κυμοπόλεια?, Kymopóleia) era, nella mitologia greca, una divinità minore, dea delle tempeste marittime, figlia di Poseidone e di Anfitrite.\nIn più, il dio del mare, diede Cimopolea in sposa a Briareo, in segno di gratitudine verso il gigante centimano poiché aveva aiutato gli Olimpi nella Titanomachia.\nQuesto personaggio appare solo nella Teogonia di Esiodo.\n\nInfluenza culturale.\nCimopolea compare nel libro Eroi dell'Olimpo 5: Il sangue dell'Olimpo di Rick Riordan. Jason Grace e Percy Jackson la incontrano sulla strada per Atene, e vengono quasi uccisi da lei e dal gigante Polibote.\n\nVoci correlate.\nPoseidone.\nBriareo.\nOlimpi.\nTitanomachia.\nPolibote.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Cimopolea, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cinghiale calidonio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, il cinghiale di Calidone o calidonio è un essere ferino di straordinaria possanza che compare in diversi miti come antagonista di grandi eroi. Era detto essere figlio della scrofa di Crommio. Fu mandato da Ares, per gelosia, a uccidere Adone quando costui si innamorò di Afrodite.\n\nMitologia.\nLa fiera trovò la morte nella 'caccia calidonia', una battuta di caccia al cinghiale organizzata dal re Oineo di Calidone. Il cinghiale era stato inviato da Artemide a distruggere i campi di Calidone perché Oineo era venuto meno nelle offerte votive succedute all'eccellente raccolto calidonio trascurando la dea e per liberarsi della belva, Oineo organizzò una caccia in cui chiese la partecipazione di quasi tutti gli eroi del mito greco; tra gli altri, Giasone, Castore e Polluce, i Cureti, Ida e Linceo, Admeto e Atalanta.\n\nSvolgimento della caccia ed uccisione.\nAll'inizio della caccia, i cacciatori sguinzagliarono i cani e seguirono le grandi orme della bestia fino a quando la snidarono presso un corso d'acqua intenta ad abbeverarsi. Il cinghiale, scoperto, si scagliò ferocemente in mezzo ai cacciatori che cercarono di ferirlo. Nestore trovò scampo a fatica salendo su un albero mentre Giasone lanciò il proprio giavellotto mancando il bersaglio (lo ferì solo marginalmente al fianco sinistro). Telamone in seguito scagliò la lancia contro la bestia ma colpì accidentalmente il cognato Euritione, uccidendolo mentre stava tentando di scagliare i suoi giavellotti. Peleo e Telamone rischiarono di essere caricati dalla belva che per fortuna fu colpita ad un orecchio da una freccia di Atalanta e fuggì. Purtroppo perì anche Anceo che, spintosi troppo avanti per dare un colpo d'ascia al cinghiale, venne lacerato dalle zanne della bestia e anche Ileo venne ucciso e con lui molti dei suoi cani da caccia.\nInfine Anfiarao assestò al cinghiale una pugnalata ad un occhio riuscendo ad accecarlo e quando Teseo fu sul punto di essere travolto, fu Meleagro che riuscì a conficcare il suo giavellotto nel ventre dell'animale e che poi lo finì con un colpo di lancia nel cuore.\n\nCacciatori.\nSecondo Omero gli eroi che hanno partecipato provenivano da tutta la Grecia. Bacchilide li ha definiti 'I migliori fra tutti i Greci'.\nLa tabella elenca:.\n\nQuelli visti da Pausania sul Tempio di Atena Alea a Tegea.\nQuelli elencati dallo scrittore latino Igino (Fabulae 173).\nQuelli nominati da Ovidio nell'ottavo libro dell'opera Le Metamorfosi (VIII, 301-317).\nQuelli elencati da Apollodoro nella Biblioteca." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cinghiale di Erimanto.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, il cinghiale di Erimanto (in greco antico: ὁ Ἐρυμάνθιος κάπρος?; in latino aper Erymanthius) era un poderoso e ferocissimo esemplare di suide che viveva sul monte Erimànto e che terrorizzava tutta la regione.\n\nMitologia.\nSecondo il racconto, Eracle riuscì eroicamente a catturarlo vivo e lo portò a Euristeo che, per la paura, si nascose in una botte.La sua cattura fu la quarta delle dodici fatiche di Ercole." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cinira e Mirra.\n### Descrizione: Cinira o Teia (Θείας in greco antico) e sua figlia Mirra o Smyrna (Σμύρνα in greco antico che significa mirra) sono due personaggi della mitologia greca. La loro unione incestuosa avrebbe generato Adone.\nIl mito di Cinira e Mirra è descritto in alcune fonti classiche greco-latine e, pur contemplando degli arricchimenti e delle varianti anche significative, segue sostanzialmente lo schema narrativo descritto nell'opera in lingua greca chiamata Biblioteca, un vasto compendio di mitologia greca attribuito allo Pseudo-Apollodoro scritto probabilmente tra il I secolo e il II secolo d.C. che ha influenzato tutti i mitografi successivi fino all'epoca moderna.\n\nLe versioni di Apollodoro e Igino.\nTeia era un re assiro la cui unica figlia, Mirra, viene punita da Afrodite, adirata per la sua scarsa devozione, facendola innamorare del padre. La giovane donna, per merito della compiacente nutrice, riesce a giacere dodici notti di seguito con un Teia inconsapevole della sua vera identità. Tuttavia il re, desideroso di vederla in volto, alla luce di un lume la riconosce, scopre così l'inganno e, adirato, la insegue per ucciderla. Mirra fugge pregando gli dei di renderla invisibile e costoro, impietositi, la trasformano in un albero dalla resina profumata: la mirra. Dopo nove mesi l'albero si apre e dal suo fusto viene alla luce il bellissimo Adone.La versione di Igino ha due varianti: la prima è che la causa che scatena l'ira di Afrodite è ora l'hybris (ὕβρις) della madre Cencreide che afferma che sua figlia Mirra è più bella della dea dell'amore. La fanciulla, scossa da questo «amore mostruoso», tenta il suicidio, ma senza successo venendo salvata dalla nutrice.\nLa seconda variante concerne il significato che assume la nascita di Adone. Grazie alla nutrice, Mirra riesce a giacere con il padre per poi scappare nei boschi, «spinta dal pudore», una volta accortasi di essere incinta. Afrodite ne ha pietà e la trasforma nell'albero della mirra da cui, nove mesi dopo, nasce Adone di cui viene detto «che fece scontare [ad Afrodite] le sofferenze della madre». Il finale della fiaba di Igino è un riferimento al dolore che sconvolgerà anni dopo una innamorata Afrodite per la morte del giovane e bello Adone chiudendo idealmente, in questo modo, il ciclo della colpa all'origine della vicenda.\n\nLe Metamorfosi di Ovidio.\nIl poeta latino Ovidio dedica al mito una sezione del decimo libro delle Metamorfosi, con una narrazione più particolareggiata rispetto agli scarni resoconti precedenti. Il racconto segue lo schema dello Pseudo-Apollodoro, con le varianti di Igino (significative anche perché riprese attraverso il testo di Ovidio da molti autori successivi).\nCinira (Cinyra) è un cipriota nativo di Pafo e «se fosse rimasto senza prole, si sarebbe potuto annoverare fra le persone felici». Il luogo dove si svolgono le vicende è la Pancaia (Panchaea), un'isola favolosa sulla costa dell'Arabia. Ovidio avverte il lettore dell'empietà di cui sta per narrare che, per fortuna, riguarda una terra lontana. Viene dunque descritto il tormento crescente di Mirra per un amore tanto intenso quanto impuro. Il voler mettere fine a questa angoscia conduce Mirra a tentare il suicidio impiccandosi, ma la fanciulla viene salvata in tempo dalla anziana nutrice. A seguito delle insistenze e delle preghiere della balia, Mirra rivela il suo amore straziante per il padre. La nutrice, dopo aver giurato di aiutarla, propone a Mirra di sostituirsi nel letto alla madre Cencreide. Questa, infatti, partecipando ai misteri in onore della dea Cerere (festeggiata in quel periodo dell'anno) faceva voto di astenersi dai rapporti sessuali.\nÈ lo stesso Cinira ad ordinare che Mirra venga condotta nel suo talamo, quando apprende dalla nutrice che una giovane e splendida vergine «dell'età di Mirra» spasima per lui, non immaginando che si tratti proprio della figlia. Mirra in questo modo, sia pure turbata fra rimorso e desiderio, ma con l'aiuto dell'anziana nutrice, fa l'amore con il padre. I due giacciono assieme per diverse notti fino a che Cinira, desideroso di vedere la sua amante, accende una lampada e si accorge della verità. La fanciulla, gravida, abbandona la Pancaia per sfuggire dalle ire del padre che vuole ucciderla. La fuga dura per tutto il periodo della gravidanza fino a che Mirra, già prossima a partorire, giunge nella lontana terra di Saba. Spossata, la ragazza ammette agli dei la propria colpa e chiede di essere bandita sia dal mondo dei vivi che da quello dei morti. Gli dei ascoltano la sua preghiera e Mirra, piangente, viene trasformata in un albero che stilla gocce di pianto profumato dalla corteccia.\nL'ultimo atto è la nascita di Adone, «creatura mal concepita cresciuta sotto il legno» (At male conceptus sub robore creverat infans), che cerca di uscire dalla prigione arborea in cui si è tramutata la madre che non ha voce per chiamare Giunone Lucina. La dea, impietosita, accorre comunque vicino all'albero, impone le sue mani sulla corteccia e pronunciando la formula del parto vi apre un varco. Dall'apertura esce un bellissimo neonato che viene subito preso in cura dalle Naiadi che lo ungono con le lacrime della madre." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cinnamologo.\n### Descrizione: Il Cinnamologo (Cinnamologus in latino) è una leggendaria creatura descritta in vari bestiari come un uccello gigantesco che costruisce i suoi nidi con la cannella.\n\nSecondo Erodoto.\nErodoto nelle sue Storie descrive un grande uccello che si diceva vivesse in Arabia, unico produttore di cannella noto all'epoca. Tali uccelli erano soliti raccogliere le stecche di cannella da un paese sconosciuto dove crescevano gli alberi di cannella, impiegandole nella costruzione dei loro nidi, situati su scogliere a strapiombo. Per mettere le mani sulla pregiata spezia gli arabi utilizzavano un trucco: facevano a pezzi buoi e altri animali da soma, deponendoli nelle vicinanze dei nidi ritirandosi lontano. Gli uccelli, tentati dal facile pasto, scendevano per portare i pezzi di carne ai loro nidi. Una volta lasciate le carcasse nel nido, però, il loro peso faceva crollare la struttura, permettendo agli arabi la raccolta della cannella caduta.\n\nSecondo Aristotele.\nNella sua Historia Animalium, Aristotele illustra come il cinnamologo portasse la cannella da terre ignote per edificare il suo nido sulla cima di alti alberi, tra i rami più sottili. Gli abitanti di quelle terre attaccavano pesi di piombo alle punte delle loro frecce per far cadere i nidi, raccogliendo poi i bastoncini di cannella al loro interno. Aristotele chiamò l'uccello kinnamômon orneon, ovvero uccello della cannella.\n\nSecondo Plinio il Vecchio.\nPlinio il Vecchio fu più scettico sulla creatura. Egli screditò nella sua Naturalis historia gli antichi e in particolare Erodoto, affermando che i racconti relativi all'uccello erano stati inventati dai nativi al fine di aumentare il prezzo di vendita delle loro merci.\n\nAltre apparizioni nella letteratura.\nDe Natura Animalium di Claudio Eliano.\nCollectanea Rerum Memorabilium di Gaio Giulio Solino.\nIl Fisiologo, un bestiario.\nUn bestiario in prosa latina del XII secolo con la versione di Aristotele della leggenda.\nGargantua e Pantagruel di François Rabelais, che lo chiama con il nome di cinnamologi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cinocefalo.\n### Descrizione: Un Cinocefalo (dal greco antico κυνοκἐφαλος che significa testa di cane) è un essere mitico dal corpo d'uomo e dalla testa di canide, di dimensioni variabili da umane a gigantesche.\nI Cinocefali, assieme agli Sciapodi, i Blemmi, i Ciclopi, gli Ippopodi e altre creature consimili, vengono più in generale categorizzati come Popoli mostruosi. Ai Cinocefali vengono attribuite, nella maggioranza dei casi, caratteristiche negative quali l'irrazionalità, l'aggressività e la dissolutezza dei costumi.\n\nSignificato, diffusione e fonti storiche del mito.\nIl mito del popolo di uomini-cane è presente in tutte le culture indoeuropee di età classica, dall'Africa settentrionale alla Grecia, dalla Persia all'India, nelle quali i Cinocefali vengono sempre indicati con nomi concernenti l'attributo canino. Popolazioni di uomini-cane vengono descritte da vari autori latini e greci con nomi diversi e collocate nei luoghi più remoti.\n\nVengono descritti come creature mostruose realmente esistenti, talvolta mutuando, però, racconti o miti di altri paesi, come probabilmente viene fatto da Ctesia (IV secolo a.C.) descrivendo, nella sua storia dell'India, i Calystrien. Le creature di Ctesia coincidono con gli Swamukha indiani (letteralmente faccia di cane) citati nei Purāṇa.\nLa fonte greca più antica (VIII secolo a.C./VII secolo a.C.), Esiodo, distingue fra Hemikynes (in greco antico ἡμίκυνες, mezzi cane) descritti come umanoidi dal corpo di cane e kynokephaloi, dalla testa di cane e corpo umano, ma li colloca, entrambi, sulle coste del Mar Nero, trattandoli come un'unica popolazione. Popoli di uomini-cane vengono anche creati ex novo, come fa Luciano di Samosata, nella composizione dell'opera satirica Storia Vera, introducendo la razza immaginaria dei Cinobalanoi (in greco antico Κυνοβάλανοι, ghiande canine, riferito alle ghiande - col significato probabile di peni - alate cavalcate da questi esseri).\nGli autori classici successivi non apportano varianti al mito, se non per il luogo (sempre molto distante) e il nome. Per Strabone e Plinio il Vecchio si chiamano Cynamolgi e abitano in Etiopia, mentre Tertulliano descrive i Cynopennae e li colloca nella Persia.\nI Cinocefali vengono, successivamente, catalogati (come già facevano, in parte, gli stessi autori classici, ma ora molto più estesamente), in trattati quali il Liber monstrorum de diversis generibus (VIII secolo), assieme a molteplici creature mostruose, abitanti nelle terre orientali lontane e sconosciute ritenute contigue al Giardino dell'Eden.\nPopoli reali, poco noti o ostili, vengono altresì identificati da autori medievali occidentali, più o meno direttamente, con questi esseri fantastici. Per esempio, Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum afferma che i Longobardi, per intimorire degli avversari, alimentassero la diceria di avere tra loro dei feroci Cinocefali. Il miniaturista francese Ademaro di Chabannes scrive nella Historia Francorum - riferendosi ad alcuni Saraceni catturati dai Franchi presso Limoges - che costoro non si esprimevano nella loro lingua, ma guaivano e abbaiavano come cani. Il chierico Hyon de Narbonne (Ivo di Narbona), in una lettera indirizzata a Gerardus de Malemort, arcivescovo di Bordeaux, testimonia l'assedio dei Tartari a Wiener Neustadt, cittadina del ducato austriaco al confine con l'Ungheria. Nel descrivere le atrocità compiute dagli assedianti, Hyon afferma che i capi dei Tartari hanno dei Cinocefali tra le loro file, a cui danno in pasto i corpi sezionati dei prigionieri. Il frate francescano Giovanni da Pian del Carpine nella Historia Mongalorum, attribuisce caratteristiche canine al volto dei Samoiedi.\n\nAnubi, il Buon Pastore e San Cristoforo Cinocefalo.\nAffini ai Cinocefali, dal punto di vista 'teratologico' avendo le stesse fattezze, sono anche le divinità egizie Anubi e Upuaut. In questo caso, però, l'uomo-cane assume un significato simbolico differente, quale tramite fra il mondo dei vivi e quello dei morti, nel quale il defunto rinasce a nuova vita.\n\nIl santo cristiano Cristoforo viene raffigurato in moltissime icone e affreschi bizantini con le fattezze di Cinocefalo. Nella Passio sancti Christophori martyris, un testo presente in varie opere di patristica e che ebbe molta diffusione in epoca medioevale, viene narrata la leggenda del santo, che sarebbe proprio un Cinocefalo convertitosi al Cristianesimo.\nSan Cristoforo Cinocefalo presenta caratteri comuni sia al dio egizio (San Cristoforo traghetta Gesù bambino, portandolo sulle spalle, da una riva all'altra di un fiume, così come Anubi 'traghetta' le anime fra il regno dei vivi e quello dei morti) sia ai molteplici racconti di Cinocefali (talvolta San Cristoforo viene rappresentato come un gigante, attributo condiviso da diverse popolazioni di uomini-cane).\nLa figura di San Cristoforo, sebbene acquisisca alcuni tratti del mito dei Cinocefali (il gigantismo, l'abbrutimento prima della conversione), ne ribalta completamente lo status morale, nella sua santità. Un autore altomedievale (IX secolo), il monaco benedettino Ratramno di Corbie (Ratramnus), nella lettera Epistola de Cynocephalis afferma che i Cinocefali debbano essere considerati come esseri umani. Questo documento esprime un duplice e più complesso atteggiamento verso i popoli mostruosi che si sviluppa nel tempo, che vede, al di là dell'ostilità prevalente, anche l'accettazione come parte della creazione di Dio.\nCome riportato da Massimo Izzi, A. H. Krappe e Ph. Walter, la figura di San Cristoforo sarebbe, anche, un retaggio di culti pagani legati al moto astronomico di Sirio, stella appartenente alla costellazione del Cane Maggiore. La festa del santo cade il 25 luglio e il riferimento astronomico riguarderebbe il periodo della 'canicola', quello in cui il sorgere e tramontare di Sirio coincidono con quelli del Sole.\n\nVarianti del mito.\nTerra (o Paese) dei CaniUna variante significativa che descrive popolazioni in cui le femmine (talvolta indicate come amazzoni) sono sempre completamente umane, mentre i maschi sono Cinocefali o cani. La progenie di queste donne, a seconda del sesso del nascituro, perpetua questo dimorfismo. Il mito ha la medesima ampia diffusione di quello dei popoli Cinocefali. Il cronachista medievale tedesco Adamo da Brema nella sua Descriptio Insularum Aquilonis, in cui descrive la geografia, i popoli e costumi della Scandinavia colloca questa terra sulle coste del Mar Baltico." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cintura di Afrodite.\n### Descrizione: La cintura di Afrodite o cintura di Venere (in greco: ἱμάς, himás: cinghia; κεστός, kestós: cintura; in latino: cingulum Veneri, cestus Veneris; interpretata come cintura o fascia) è un oggetto magico e mitologico appartenente ad Afrodite, la dea greca dell'amore e della bellezza.\n\nDescrizione mitologica e funzione.\nSecondo la tradizione mitologica omerica, la cintura aveva il potere di persuadere e indurre il desiderio amoroso sia nei confronti dei mortali che negli immortali, rendendo qualunque donna la indossasse ammaliante e seducente. Era, la dea del matrimonio, a volte la prendeva in prestito da Afrodite per placare le liti tra gli innamorati, per stimolare i corteggiatori a spostarsi e in almeno un'occasione per manipolare suo marito Zeus.Nel suo testo dell'Iliade, Omero suggerisce che il kestós himás, tradizionalmente tradotto come 'cintura ricamata', potrebbe descrivere una sorta di fascia pettorale decorata (στρόφιον, stróphion). Esiste un esempio di scultura tardo-ellenica che sembra confermare ciò, raffigurando la dea che avvolge uno stróphion (da stróphos, 'fascia attorcigliata') attorno al suo petto.\nRobert du Mesnil du Buisson, in uno studio sugli ornamenti che compaiono sulle figure di Ishtar, Astarte, Atargatis e Afrodite, pone l'attenzione su un caratteristico ornamento costituito da due fasce, ciascuna delle quali passa sopra una spalla e sotto il braccio formando insieme una croce diagonale, che chiama Decusse.\nNell'antichità, era usanza come tradizione per le spose greche e romane, indossare il giorno del matrimonio una cintura come abbellimento in onore della dea Afrodite o Venere, che veniva chiamata cesto o cinto di Venere (dal latino: cestus; dal greco κεστός)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ciparisso.\n### Descrizione: Ciparisso (dal latino Cyparissus; in greco antico: Κυπάρισσος?, Kyparissos) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno dei ragazzi più amati da Apollo, ma alcune versioni alternative della storia riferiscono che fu concupito ed ammirato anche da altre divinità.\nNel racconto più noto della vicenda, la compagnia preferita del giovane Ciparisso era un bel cervo addomesticato, che accidentalmente finì con l'uccidere col suo giavellotto durante una battuta di caccia svoltasi all'interno di un boschetto. Il dolore del ragazzo era talmente grande ed inconsolabile che finì per trasformarsi in un Cipresso, l'albero della tristezza e simbolo classico del lutto; si tratta pertanto di un mito di fondazione atto a spiegare l'eziologia della relazione sussistente tra la pianta ed il suo significato culturale.\nCiparisso era secondo una versione figlio di Telefo e quindi nipote del semidio Eracle; in alternativa è presentato come un giovane appartenente a umile famiglia. In ogni caso la sua storia è ambientata a Chio. Il soggetto è noto principalmente grazie alla letteratura latina durante l'ellenizzazione e agli affreschi rinvenuti a Pompei antica.\nNon è stato identificato alcun culto degli eroi a lui dedicato.\n\nMito iniziatico.\nIl mito di Ciparisso, così come quello del suo coetaneo Giacinto, principe spartano, è stato spesso interpretato come il riflesso del costume sociale dell'antica pederastia istituzionalizzata nell'antica Grecia, con il ragazzo amato come eromenos dal dio in versione di erastès. Questo rimando mitologico al concetto di pederastia greca rappresenta il processo di iniziazione alla vita adulta di tutti gli adolescenti di sesso maschile, con il passaggio attraverso una 'morte e trasfigurazione' per il più giovane eromenos. In tutti questi racconti, osserva Karl Kerényi, i bei ragazzi sono dei doppi di Apollo stesso, come dei suoi alter ego.\nIl cervo come dono fatto da Apollo riflette l'usanza ben presente nella società greca arcaica che vede il maschio più anziano (erastes appunto) regalare al suo amato un animale, un atto spesso accennato anche nella pittura vascolare della ceramica greca. Nel contesto iniziatico, la caccia è invece una preparazione - sotto la sorveglianza maschile adulta - per le arti virili della guerra, oltre che un banco di prova per il comportamento ed il rafforzamento del carattere, con il cervo recato in dono che diviene la preda del cacciatore.\n\nVersione di Ovidio.\nLa docilità e mansuetudine del cervo può essere l'invenzione del poeta latino dell'età augustea Publio Ovidio Nasone, e di una inversione tardiva letteraria del ruolo tradizionale del ragazzo. Il Ciparisso di Ovidio è così fortemente addolorato dall'aver ucciso accidentalmente il suo animale domestico che chiede ad Apollo di permettere che le sue lacrime scorrano per sempre. Il dio acconsente trasformando così il ragazzo in un albero di cipresso (latino: Cupressus), la cui resina vegetale sul fusto ha la forma di goccioline del tutto simili a lacrime.\nOvidio incornicia il racconto all'interno della storia del musico Orfeo; questi, dopo la mancata riuscita nell'impresa di recuperare la sua sposa Euridice dalla morte, è indotto ad abbandonare l'amore verso delle donne per favorire invece quello rivolto ai bei ragazzi. Quando Orfeo suona la sua cetra, anche gli alberi sono smossi nel profondo dalla sublime bellezza di quella musica; nella famosa cavalcata degli alberi che segue, la posizione del cipresso alla fine richiede una transizione verso il racconto della trasformazione fisica di Ciparisso.\n\nCommentario di Servio.\nUn'altra tradizione romana fa dell'adolescente l'amante del dio dei boschi Silvano. Un'invocazione tratta da Publio Virgilio Marone di «Silvano che porta il cipresso snello sradicato» è stato spiegato nel commento di Servio Mario Onorato come allusivo ad una storia d'amore. Nel suo breve racconto, Servio differisce da Ovidio principalmente nel sostituire Silvano con Apollo, ma cambia anche il genere del cervo, oltre a rendere il dio direttamente responsabile della sua morte:.\nNon è chiaro se Servio stia inventando un 'aition' (eziologia), una storia per spiegare perché Silvano era raffigurata in possesso di un ramo sempreverde, o per registrare una versione altrimenti sconosciuta. Altrove, Servio cita una versione in cui l'amante di Ciparisso era Zefiro, il vento di ponente. Il cipresso, egli osserva, è stato associato col regno di Ade, o perché non crescono più quando vengono potati troppo severamente, o perché in Attica le famiglie in lutto sono inghirlandate con rametti e foglie di cipressi.\n\nKyparissos in Focide.\nSecondo una tradizione diversa Ciparisso, forse non lo stesso trattato fino ad ora, era il figlio di Orcomeno - figlio di Eteocle e fratello di Minia - il mitico fondatore di Kyparissos in Focide, che in seguito fu chiamata Anticira.\n\nIn botanica.\nLa parola Cupressus è stata utilizzata per descrivere un genere di Cupressaceae; questo genere è stata descritto per la prima volta nel XVIII secolo dal biologo svedese Linneo. Nei tempi moderni c'è un dibattito tassonomico riguardo quali specie dovrebbero essere mantenute nel genere 'Cupressus'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Circe.\n### Descrizione: Circe (AFI: /ˈʧirʧe/; in greco antico: Κίρκη?, Kìrkē) è una figura della mitologia greca e compare per la prima volta nell'Odissea (X, 210 e sgg.). È figlia del Titano Elios e di Perseide, di conseguenza è sorella di Perse, Eete e Pasifae.\n\nMito.\nCirce compare, come dea, per la prima volta nell'Odissea, quale abitante nell'isola favolosa di Eea.\n\nFiglia di Elio e della ninfa Perseide, i suoi fratelli sono Eete (re della Colchide e padre di Medea), Pasifae (moglie di Minosse e madre di Fedra, di Arianna e del Minotauro) e Perse. Secondo un'altra tradizione è figlia del Giorno e della Notte. Stando invece a quanto riporta Euripide nella Medea, quest'ultima viene descritta come figlia dei sovrani della Colchide, ossia Eete e Ecate. Essendo Eete figlio del Sole (e così si spiegherebbe l'etimologia del nome Eete, da ἕως [eos], aurora, sole), dunque Circe sarebbe sorella del re e zia di Medea (mortale).\nOmero colloca l'isola ad Oriente (cfr. XII,3: νῆσόν τ' Αἰαίην, ὅθι τ' Ἠοῦς ἠριγενείης/οἰκία καὶ χοροί εἰσι καὶ ἀντολαὶ Ἠελίοιο); la tradizione successiva identificherà questa con il promontorio Circeo nel Lazio.\nLa sua dimora è in un palazzo circondato da un bosco, abitato da festose bestie selvatiche (Virgilio in Æneis, VII, 19-20, ci dice che queste bestie altro non sono che uomini così ridotti dai sortilegi della dea-maga: quos hominum ex facie dea saeva potentibus herbis induerat Circe in voltus ac terga ferarum) che ella aveva incantato con filtri maligni (τοὺς αὐτὴ κατέθελξεν, ἐπεὶ κακὰ φάρμακ᾽ ἔδωκεν, X, 213).\n\nL'incontro con Ulisse.\nUlisse, dopo aver visitato il paese dei Lestrigoni, giunge all'isola di Eea. L'isola, coperta da fitta vegetazione, sembra disabitata e Ulisse invia in ricognizione parte del suo equipaggio, sotto la guida di Euriloco. In una vallata gli uomini scoprono che all'esterno di un palazzo, dal quale risuona una voce melodiosa, vi sono animali selvatici. Tutti gli uomini, con l'eccezione di Euriloco, entrano nel palazzo e vengono bene accolti dalla padrona, che altro non è che Circe. Gli uomini vengono invitati a partecipare a un banchetto ma, non appena assaggiate le vivande, vengono trasformati in maiali, leoni, cani, a seconda del proprio carattere e della propria natura. Subito dopo, Circe li spinge verso le stalle e li rinchiude.\n\nEuriloco torna velocemente alla nave e racconta a Ulisse quanto accaduto. Il sovrano di Itaca decide di andare da Circe per tentare di salvare i compagni. Dirigendosi verso il palazzo, incontra il dio Ermes, messaggero degli dèi, con le sembianze di un ragazzo cui spunta la prima barba, che gli svela il segreto per rimanere immune ai suoi incantesimi. Se mischierà in ciò che Circe gli offre da bere un'erba magica chiamata moly, non subirà alcuna trasformazione.\nUlisse raggiunge Circe, la quale gli offre da bere (come aveva fatto con i suoi compagni), ma Ulisse, avendo avuto la precauzione di mescolare il moly con la bevanda, non si trasforma in porco. Egli minaccia di ucciderla, al che riconosce la propria sconfitta e ridà forma umana ai compagni di Ulisse e anche a tutti gli altri tramutati in porci.\nDopo un anno, Ulisse è costretto a cedere ai desideri dei suoi compagni, che vogliono tornare a casa; chiede, dunque, a Circe la strada migliore per il ritorno, e la dea gli consiglia di visitare prima gli inferi e di consultare l'ombra dell'indovino Tiresia. Al ritorno dagli inferi, Circe darà ad Ulisse numerosi suggerimenti su come superare al meglio le successive difficoltà lungo la strada per Itaca.\nSecondo la tradizione, Circe ebbe un figlio da Ulisse, Telegono.\n\nCirce: dea o maga?.\nLa figura di Circe appare per la prima volta nell'Odissea dove viene chiaramente e ripetutamente indicata come dea. Questa dea, figlia di Elio, il dio Sole e della ninfa oceanina, Perseide, ha il potere di preparare dei potenti 'pharmaka' con i quali trasforma a sua volontà gli uomini in animali. Tale trasformazione non fa perdere agli sventurati il proprio nous ('consapevolezza').\nIl termine e la nozione greca di mágos era del tutto sconosciuto all'autore dell'Odissea in quanto introdotto secoli dopo da Erodoto per indicare i sacerdoti persiani.\nCon il termine moderno di 'mago' si indica comunemente un personaggio che esercita la magia, gli incantesimi, che prepara potenti 'pozioni' magiche, un essere dotato di poteri soprannaturali. Tale termine entra in lingua italiana già prima del XIV secolo proveniente dal latino magus, a sua volta dal greco antico mágos, a sua volta dall'alto persiano maguš. Se l'etimologia è chiara e diretta, i significati nell'antichità erano molto diversi da quelli moderni.\n\nÈ quindi Erodoto che introduce il termine nella lingua greca adattandolo dall'alto persiano e lo fa per descrivere il sacrificio dei Persiani atto a rendere favorevole l'attraversamento dell'esercito di Serse del fiume Strimone. I mágoi immolano dei cavalli bianchi, ma Erodoto, descrivendo la bellezza, quindi l'esito positivo del sacrificio da parte dei sacerdoti persiani, utilizza un verbo che non appartiene alla tradizione cultuale greca, pharmakeuein (cfr. VII, 113). Tale termine nella lingua greca indica piuttosto delle preparazioni rituali che possono avere, come nel caso di medicinali o di veleni, degli effetti opposti. Erodoto ritiene che il rito persiano sia piuttosto una sorta di preparazione 'potente', certamente con delle connotazioni negative, come parte della loro cultura religiosa è agli occhi del greco Erodoto. Allo stesso modo lo storico greco indica le intonazioni sacrificali dei Persiani che richiamando la propria teogonia suonano all'orecchio di Erodoto non come una preghiera rituale quale si riscontra nella pratica cultuale del greco, ma come una 'epode', un incantesimo.\nSaranno proprio questi termini, pharmaka ed epodai collegati da Erodoto ai magoi a generare nella cultura greca quel malinteso che inventa la nozione di 'magia' in Grecia.\nPer questa ragione «nell'Odissea Circe non è una maga (e in termini greci, non potrà esserlo prima del V secolo a.C.)» ma solo «una dea terribile, che trasforma arbitrariamente gli uomini in animali».\n\nInfluenza culturale.\nA Circe è intitolato il cratere Circe su Teti e 34 Circe, un grande asteroide nella fascia principale.\nNel 2018 la scrittrice americana Madeline Miller racconta nel romanzo Circe la vita della dea, in una rilettura basata sulle fonti Omeriche, ma con una delineazione del personaggio molto più 'umana' e caratterizzata. Il romanzo è stato finalista per il Women's Prize for Fiction. Scritto in lingua inglese, è stato tradotto in altre sei lingue tra cui l'italiano.\nAll'interno del romanzo sono riprese le ambientazioni dell'Odissea: per esempio, vi sono riferimenti a Scilla e Cariddi situate, secondo il mito, nello stretto di Messina. Il riferimento principale è quello all'isola di Eea che si trova, sempre secondo il mito, al sud di Roma nel Mar Tirreno. L'isola è infatti il luogo di esilio dove abita la dea Circe.\nLa storia si apre con la nascita di Circe alla corte del dio Elios suo padre, dove la dea vive fino al giorno del suo esilio. La sua infanzia è priva di affetto sia genitoriale che fraterno. Circe, infatti, cerca sempre un modo per rendere orgogliosa la sua famiglia fallendo ogni volta. Quando però scopre i suoi poteri di dea-maga, grazie ad una particolare pianta, viene considerata un mostro ed esiliata. Sull'isola di Eea Circe comprende appieno i suoi poteri e quello che è in grado di fare. Per esempio, riesce ad evocare dei leoni che le faranno compagnia durante la sua vita sull'isola. Inoltre riesce a preparare delle pozioni magiche, dette 'pharmaka', con le quali può tramutare le persone in animali, a seconda della loro personalità. Durante la sua vita fa la conoscenza di molte figure maschili, positive, come Ermes che le portava notizie dal mondo esterno, oppure negative, come i pirati che si approfittano della sua ospitalità e le usano violenza." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ciso.\n### Descrizione: Ciso (in greco antico: Κεῖσος?, Keisos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Temeno, fu padre di Medone, Marone e Flia.\n\nMitologia.\nCosì come fecero i suoi fratelli, anche Ciso non condivise la decisione del padre di concedere i suoi affetti a sua sorella Irneto ed a suo marito Deifonte e per questo motivo complottarono contro di loro e Ciso, in qualità di figlio maggiore, prese il potere.\nDopo la sua morte fu succeduto dal figlio Medone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cisseo e Gia.\n### Descrizione: Cisseo e Gia sono due personaggi dell'Eneide di Virgilio, citati nel decimo libro del poema.\n\nIl mito.\nLe origini.\nCisseo e Gia sono due giovani fratelli tra i guerrieri che contrastano Enea sbarcato nel Lazio. Essi sono sudditi di re Latino, ma hanno ascendenze greche poiché il padre Melampo era stato uno dei compagni di Ercole.\n\nLa morte.\nCisseo e Gia vengono uccisi dalla spada di Enea, benché proprio come Ercole fossero armati di clava.\n\nOmonimia.\nQuesto Gia non deve essere confuso con un Gia omonimo presente nel poema, che è uno dei giovani luogotenenti di Enea.\n\nVoci correlate.\nErcole.\nGia (Eneide)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Citissoro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Citissoro in greco antico: Κυτίσωρος?, Kytíssōros o Citisoro o Cilindro era il nome di uno dei figli di Frisso e di Calciope, quest'ultima anche citata come Iofassa.\nFu fratello di Argeo, Mela e Frontide.\n\nIl mito.\nCitissoro, nipote di Atamante, in uno dei suoi viaggi trovò il nonno pronto ad essere sacrificato per Zeus, lo liberò facendo arrabbiare il divino padre. Da allora tutti i primogeniti non possono entrare nell'Acaia Ftiotide, altrimenti devono venire subito catturati e sacrificati al dio.\nIn un'avventura con gli argonauti Citissoro ed i suoi fratelli naufragarono ed incontrando in seguito sia Giasone che altri compagni, gente a cui si unirono per proseguire insieme il viaggio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Civetta di Atena.\n### Descrizione: La civetta di Atena (o anche di Minerva) è la civetta (o, con termine desueto, la 'nottola') che accompagna da Omero in poi, le rappresentazioni di Atena glaucopide nei miti dell'antica Grecia e di Minerva nei miti dell'antica Roma. È il simbolo della filosofia e della saggezza.\n\nSimbologia.\nGli occhi e il becco della civetta seguono la linea della lettera φ (fi), simbolo alfabetico greco della filosofia e in seguito della sezione aurea. Lettera che quindi accomuna armonia, bellezza e amore per la conoscenza e per la ricerca in senso lato.Hegel ricorre a tale espressione anche come simbolo della preveggenza della filosofia (che è poi post-veggenza), in vista del raggiungimento ex-post del 'regno intellettuale':.\n\nCon ciò il pensatore tedesco intende significare che la filosofia giunge a comprendere una condizione storica solo dopo che questa è già trascorsa (quando il processo di formazione della realtà è già ultimato), attuando il senno del poi senza poter offrire capacità precognitive.\nStoricamente, tale simbolo fu marchiato a fuoco sulla fronte degli abitanti dell'isola di Samo come punizione per aver abbattuto il governo democratico filoateniese. Tale repressione fu guidata dallo stesso Pericle, il noto statista ateniese.Il simbolo della civetta di Minerva è stato anche usato dagli Illuminati e nella Massoneria per i novizi che quando salivano ai gradi superiori venivano chiamati Minervali con allusione alla dea della saggezza.\n\nRappresentazioni.\nLa civetta di Minerva è stata rappresentata anche nella moneta greca da un euro, così com'era raffigurata in un'antica tetradracma ateniese del V secolo a.C., per ricordare le loro tradizioni mitologiche e la cultura, soprattutto quella filosofica e quella scientifica che è la radice del pensiero filosofico e scientifico occidentale." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cizico (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cizico (in greco antico: Κύζιχος?) era figlio di Oineo (già compagno di Eracle) e di Enete, a sua volta figlia del nobile trace Eussoro e dunque sorella dell'eroe Acamante, che da vecchio avrebbe partecipato alla guerra di Troia.\nSua moglie Clite era invece la sorella di Arisbe (prima moglie di Priamo) e di Adrasto e Anfio, i re di due città della Troade, anch'essi coinvolti in seguito in difesa dei troiani.\n\nIl mito.\nCizico regnava pacificamente sulla popolazione dei Dolioni: salito al trono ancora adolescente, prese subito in sposa Clite (o Clita), figlia dell'indovino Merope di Percote. Egli dominava l'intera penisola di Arto dove si notava fra l'altro l'alto monte Dindimo. Suo padre gli aveva dato lo stesso nome della capitale del regno. Per il buon giovinetto tutti prospettavano un regno lungo e felice: ma le cose andarono diversamente.\n\nArgonauti.\nIl benvenuto.\nIl re si era appena sposato quando Giasone e compagni approdarono sulle rive della sua penisola: per l'amicizia che aveva unito il defunto padre a uno degli Argonauti, Eracle, invitò tutti loro a partecipare alla festa nuziale. Durante la notte gli argonauti furono attaccati da certi giganti che lesti ricacciarono. Il giorno dopo decisero di ripartire.\n\nIl tragico ritorno.\nIl vento di nord est decise di rinviare il viaggio degli argonauti, allora in preda alla tempesta cercarono di tornare sulla penisola di prima, ma apparentemente non riuscirono nell'impresa, approdando infine su una spiaggia deserta, in una notte senza luna.\nQui furono improvvisamente assaliti da guerrieri armati di tutto punto: essi riuscirono a respingere l'attacco uccidendo alcuni degli assalitori. Tornata la calma si accorsero di essere approdati di nuovo sulla penisola e che fra le vittime c'era anche Cizico, che li aveva scambiati per pirati.\n\nLa ripartenza.\nSofferenti per la morte del re adolescente gli Argonauti celebrarono le dovute esequie con giochi funebri, come si usava a quel tempo. Mopso riuscì intravedendo nei segni del cielo a comprendere che era la madre terra Rea la colpevole di tutto. Infatti i giganti che avevano affrontati prima erano i figli della dea, e anche Cizico tempo addietro l'aveva fatta infuriare uccidendo un leone senza sapere che esso era a lei sacro. Placata la furia divina riuscirono a prendere di nuovo il viaggio.\nL'uccisione del leone è probabilmente riferita al fatto che il culto di Rea era stato soppresso in favore di altre divinità.\n\nDopo la morte.\nLa moglie del re quando venne a sapere la triste notizia si tolse la vita, mentre le ninfe del bosco piansero fino a formare una fontana che prese il suo nome.\nI Dolioni decisero di prolungare il lutto per un mese intero e presero di comune accordo l'idea di non accendere fuochi limitandosi a mangiare cibi crudi: usanza osservata anche in epoca post-mitica durante i Giochi Cizici." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cladeo.\n### Descrizione: Il fiume Cladeo scorre attraverso Olimpia nell'Elide, nel sud della Grecia, e sfocia nel fiume Alfeo. Già nell'antichità classica, il fiume è stato dirottato nei pressi di Olimpia per evitare inondazioni in inverno. Tuttavia, il santuario di Olimpia fu ricoperto da uno strato di sedimento spesso 4 m quando fu scavato nel 1875. Di lunghezza conta 13 km.\nKladeos (in greco Κλάδεος, in latino Cladeus) era un dio fluviale della mitologia greca, uno dei figli di Oceano e Teti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Claros.\n### Descrizione: Claros (Greco: Κλάρος, Klaros; Latino: Clarus) fu un antico santuario greco sulla costa della Ionia. Conteneva un tempio ed un oracolo di Apollo, onorato qui come Apollo Clarius. Claros era situato nel territorio di Colofone.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Claros.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Claros, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cleobi e Bitone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cleobi e Bitone erano i figli di Cidìppe o di Teano, una sacerdotessa di Era della città di Argo.\n\nNel mito.\nDurante una festa in onore alla dea Era, la loro madre doveva essere condotta al tempio per la celebrazione dei riti. Poiché non c'erano buoi disponibili, Cleobi e Bitone trainarono il carro al loro posto per cinque miglia (precisamente per 45 stadi, circa 8,3 km/5,1 miglia).\nLa madre, commossa per tanta devozione mostrata, pregò la dea di elargire ai figli il dono più grande che si potesse dare a dei comuni mortali; la dea allora li fece cadere entrambi in un sonno piacevole ed eterno. Nelle Storie di Erodoto viene narrato che per questa azione Solone, interrogato dal re Creso su chi fosse il più fortunato degli uomini, pose i due fratelli al secondo posto, dopo Tello di Atene.\n\nIl sacrificio.\nIl mito si riferisce ai sacrifici umani che in quel periodo venivano proposti ogni volta che si voleva consacrare un edificio di culto alla dea-luna.\nAd Argo infatti venivano scelti due gemelli che dovevano eseguire tale viaggio prima di venire uccisi.\nIn seguito dovevano essere sepolti vicino al tempio per allontanare ogni sorta di spirito malevolo che si potesse solo avvicinare al sacro tempio.Ne esiste una famosa coppia di statue nel Museo archeologico di Delfi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cleodeo.\n### Descrizione: Cleodeo (in greco antico: Κλεόδαιος?, Kleódaios) o Cleodemo (in greco antico: Κλεόδημος?, Kleódēmos), è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide.\n\nGenealogia.\nFiglio di Illo e di Iole, fu il padre di Aristomaco.\n\nMitologia.\nPer via del padre era uno dei nipoti di Eracle ed i suoi discendenti furono coloro che riconquistarono le città di Argo, Messene e Sparta nel Peloponneso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cleofema.\n### Descrizione: Cleofema (in greco antico: Κλεοφήμα, Kleophema) è un personaggio della mitologia greca.\nSecondo quanto tramandato dal poeta Isillo nel suo Inno ad Asclepio, Zeus diede in sposa sua figlia, la musa Erato, al mortale Malo, eroe eponimo del Capo Malea. Dalla loro unione nacque Cleofema, che si unì poi al re dei lapiti Flegias e con lui generò Coronide, che rapita dal dio Apollo diede infine alla luce il dio della medicina Asclepio.Secondo un'iscrizione rinvenuta presso il tempio di Asclepio a Epidauro, Isillo chiese consiglio all'Oracolo di Delfi prima di formulare la sua genealogia di Asclepio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cleopatra (figlia di Borea).\n### Descrizione: Cleopatra (in greco antico: Κλεοπάτρα?, Kleopátra) è un personaggio della mitologia greca, era figlia di Borea e di Orizia.\nCleopatra era sorella di Chione, Emo, Calaide (o Colai) e Zete.\n\nMitologia.\nFu la prima moglie di Fineo re dei Traci, dal quale ebbe Plexippo e Pandione.\nIn seguito Fineo, innamoratosi di Idea, ripudiò Cleopatra. Sposò poi Idea, la quale, istigandolo, riuscì a convincerlo ad accecare i figli e ad imprigionarli insieme a Cleopatra.\nMa gli Argonauti, attraccando sulla costa tracia per altri motivi ed informati del fatto, uccidono Fineo e liberano Cleopatra, che mette i due figli sul trono." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cleta.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Cleta era il nome di una delle più famose Amazzoni, il popolo composto interamente da donne guerriere, fra esse ricopriva la carica di nutrice della regina, Pentesilea.\n\nIl mito.\nNelle vicende dove Licofrone afferma che Cleta prestava aiuto alla vergine armata, si narra che partita con la regina alla volta di Troia, Pentesilea trovò la morte e Cleta decise allora di tornare in patria, durante il viaggio una tempesta colse impreparata la nave su cui viaggiava e attraccò nell'Italia meridionale fondando la città di Cleto.\nLa donna ebbe un figlio, tale Caulone, e morì in uno scontro con gli abitanti di Crotone non prima di avere fondato la città di Caulonia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Climeno (padre di Arpalice).\n### Descrizione: Climeno (in greco antico: Κλύμενος?, Klýmenos) è un personaggio della mitologia greca, padre di Arpalice, donna con cui poi ebbe un rapporto incestuoso.\n\nMitologia.\nDella storia di Climeno esistono due versioni differenti, seppur accomunate dal nome della figlia (Arpalice) e dal rapporto incestuoso con il padre:.\n\nNella versione di Partenio di Nicea il padre Climeno era figlio di Teleo di Argo e Arpalice aveva due fratelli, Ida e Teagro. Il padre, dopo aver promesso Arpalice in sposa ad Alastore (un discendente di Neleo) già in giovane eta, vedendola crescere se ne innamorò fino a stringere con lei una relazione amorosa che durò qualche tempo, ma poi, quando Alastore giunse per chiederla in moglie e portarla via, Climeno la rapì riportandola indietro e costringendola a vivere con lui come sua moglie. Arpalice quindi, sconvolta dal trattamento ricevuto dal padre, uccise il fratello minore e lo servì a suo padre in banchetto; gli dei, per le sue preghiere o per punizione, la mutarono in un uccello, mentre Climeno si uccise.\nNella versione di Igino, Climeno era il re di Arcadia figlio di Scheneo e s'innamorò della figlia fino ad avere con lei un rapporto incestuoso; quando il bambino nacque, lei lo uccise per poi servirlo al padre in un banchetto e il padre, una volta scoperta la natura del cibo servitogli, la uccise..Di quest' ultima versione esiste un finale diverso: Arpalice non uccise suo figlio, ma un altro figlio di Climeno (un suo fratello quindi) e che gli dei la punirono trasformandola in un uccello, mentre Climeno s'impiccò." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Clita.\n### Descrizione: Clita (in greco antico Κλείτη) o Clite è un personaggio della mitologia greca, sposa di Cizico e figlia dell'indovino Merope.\n\nIl mito.\nClita era la moglie del giovanissimo re Cizico, colui che accolse benevolmente gli argonauti durante il loro viaggio. Il fato volle che alla fine per colpa del buio il re affrontò gli eroi alla ricerca del vello d'oro, finendo per essere ucciso da Giasone.\nClita, molto legata al marito quando seppe della sua morte si disperò fino ad impazzire e decise di impiccarsi.\nDalle sue lacrime nacque una sorgente, chiamata Clite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Clitemnestra.\n### Descrizione: Clitemnestra (in greco antico: Κλυταιμνήστρα?, Klytaimnḕstrā), o Clitennestra, o Clitemestra, è un personaggio della mitologia greca. Fu regina di Micene e assassina di Agamennone, suo marito.\nA Clitemnestra è dedicato il nome dell'asteroide della fascia principale 179 Klytaemnestra.\n\nGenealogia.\nEra figlia di Tindaro e di Leda, e sorella, fra gli altri, di Elena e dei gemelli Polluce e Castore. Sposò in prime nozze Tantalo , da cui ebbe un figlio, ed in seguito Agamennone, da cui ebbe il figlio Oreste e le figlie Ifigenia, Elettra e Crisotemi. Secondo alcune fonti, da Agamennone ebbe anche altre due figlie, Ifianassa e Laodice, altrove considerate nomi alternativi di Ifigenia ed Elettra.\nDa Egisto ebbe il figlio Alete e le figlie Erigone ed Elena.\n\nMitologia.\nCome per le sue sorelle, anche per Clitemnestra (per un errore del padre e per volontà di Afrodite) era stato preparato un destino infelice che prevedeva di divenire adultere, di doversi sposare più volte e di dover soffrire per le gesta dei mariti.\nClitemnestra sposò in prime nozze Tantalo (figlio di Tieste o di Brotea) cui diede un figlio. Tantalo fu ucciso da Agamennone, che uccise anche il figlio in fasce avuto da Clitemnestra, per poi obbligare la stessa Clitemnestra a sposarlo. Ebbero un figlio e almeno tre figlie.\n\nL'inganno da parte di Agamennone.\nAl momento della partenza delle navi achee per la guerra di Troia, viene imposto ad Agamennone il sacrificio della figlia Ifigenia come condizione per placare l'ira di Artemide, che non permetteva alla flotta spartana di salpare.\nCosì Agamennone manda da Clitemnestra Odisseo e Taltibio per dirle di mandare la figlia in Aulide dove sarebbe stata data in sposa ad Achille. Quando la figlia si avvicina all'altare (dove invece doveva essere compiuto il sacrificio), viene salvata da Artemide che ha pietà di lei e che lascia uccidere una cerva al suo posto e fa credere a tutti i reali di aver sacrificato Ifigenia.\nArtemide rapisce poi Ifigenia avvolgendola nel suo velo e Clitemnestra non verrà mai a sapere che la figlia è stata salvata.\nSecondo la versione di Sofocle invece, il sacrificio è avvenuto, e questo diventa una giustificazione del crimine commesso da Clitemnestra contro Agamennone quando questi ritorna vittorioso dalla guerra di Troia.\n\nEgisto e la vendetta.\nIl sacrificio così non si consuma, ma quell'inganno produce in Clitemnestra un rancore inestinguibile; nonostante Agamennone l'abbia messa sotto sorveglianza di un Aedo, ella si lascia portare su un'isola da Egisto (cugino di Agamennone). Clitemnestra inoltre, aveva creduto a ciò che Nauplio stava dicendo alle donne greche (che i loro mariti stavano prendendo concubine durante la guerra di Troia) e si lascia sedurre da Egisto, da cui ha un figlio e due figlie.\nCosì, quando Agamennone ritorna a Micene dopo la distruzione di Troia, conducendo con sé la schiava Cassandra, a palazzo lo attende la congiura ordita da Egisto e Clitemnestra che porta all'uccisione dell'Atride e della sua schiava.\n\nLa tomba di Clitemnestra.\nClitemnestra viene uccisa dal figlio (suo e di Agamennone) Oreste, che uccide anche la piccola Elena (avuta da Egisto).\nSecondo Pausania la tomba di Clitemnestra si trovava in un luogo fuori dal recinto delle mura di Micene ed all'inizio del XIX secolo, una tomba a cupola risalente al XIII secolo a.C. fu scoperta al di fuori delle mura di Micene e fu chiamata 'tomba di Clitemnestra'.\n\nCommento.\nClitemnestra è un personaggio di grande rilievo e di forte temperamento, in quanto incarna la dignità e la forza femminile e il sentimento materno di fronte alla minaccia che incombe sulla prole.\nGrazie alle opere dei poeti tragici, colpiti dal suo destino e dalla sua gelosia, Clitemnestra ricopre un ruolo di rilievo nella mitologia greca, pur avendo episodi limitati nei grandi miti. Essi si servirono di pochi stralci sparsi nell'Odissea per comporre struggenti drammi che vedono protagonista Clitemnestra. Tra gli autori che dedicarono a lei la propria opera ci sono Eschilo, Sofocle ed Euripide. Fra gli autori latini vanno ricordati Lucio Anneo Seneca, Livio Andronico e Lucio Accio.\nInoltre Martha Graham, considerata una delle madri della danza moderna nel Novecento, usò la storia e i temi del mito di Clitemnestra per creare un balletto dall'omonimo titolo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Clito (Poseidone).\n### Descrizione: Clito o Cleitolo (in greco antico: Κλειτώ?, Kleitó) è un personaggio della mitologia greca, madre di dieci figli avuti con Poseidone.\n\nMitologia.\nIl Crizia, uno degli ultimi dialoghi di Platone, racconta che il dio Poseidone s'innamorò di Clito, una bellissima fanciulla che abitava nell'isola di Atlantide, e «recinse la collina dove ella viveva, alternando tre zone di mare e di terra in cerchi concentrici di diversa ampiezza, due erano fatti di terra e tre d'acqua», rendendola inaccessibile agli uomini, che all'epoca non conoscevano la navigazione. Poseidone rese inoltre rigogliosa la parte centrale, occupata da una vasta pianura, facendovi sgorgare due fonti, una di acqua calda e l'altra di acqua fredda.\nSull'isola Clito e Poseidone ebbero dieci figli, il primo dei quali, Atlante, sarebbe divenuto in seguito il governatore dell'impero, mentre ad Eumelo, Anfere, Evemone, Mneseo, Autoctono, Elasippo, Mestore, Azae e Diaprepe spettò il governo di una delle dieci sezioni in cui fu divisa l'isola.Sempre secondo il Crizia, Poseidone fece erigere un tempio a loro due dedicato: le due mura esterne erano placcate rispettivamente con ottone e stagno, mentre le mura della terza cinta, che comprendevano l'intera cittadella, «risplendevano con la rossa luce dell'oricalco»." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Clitonimo.\n### Descrizione: Cletonimo (detto anche Clisonimo o Eanete) era, nella mitologia greca, un fanciullo figlio di Anfidamante di Opunte. Si misurò in una partita a dadi con il giovanissimo amico Patroclo, ma l'eroe lo uccise involontariamente per una lite, infiammato d'ira. Per espiare il crimine, il padre Menezio affidò il figlio a Peleo, re di Ftia, che lo crebbe nella sua corte insieme al figlio Achille. Qui si sviluppò il rapporto intimo tra i due eroi.\nL'omicidio del giovinetto è raccontato nel ventitreesimo canto dell'Iliade, ma il suo nome è tralasciato. Apollodoro gli conferisce il nome di Clitonimo, mentre Strabone quello di Eanete.\n\nFonti.\nOmero, Iliade, libro XXIII, v. 87.\nPseudo-Apollodoro, Biblioteca, libro III, 13, 8.\nStrabone, libro IX, 4, 2." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Clizia (ninfa).\n### Descrizione: Clizia è un’oceanina greca, figlia di Oceano e Tethi. Ripudiata dall'amato, il Sole, verrà trasformata in un girasole (per la precisione in Eliotropio, tipo di pianta presente ai tempi dei Greci antichi) proprio da quest’ultimo, impietosito. Viene raffigurata in due modi: nelle vesti di una fanciulla piangente oppure mentre si compie la sua trasformazione.\nClizia è una delle giovani amate dal Sole. Il dio si innamora però di Leucotoe, figlia del re Orcamo, e, assunte le sembianze della madre della ragazza, si introduce nella sua stanza e la seduce. Ingelosita e offesa, Clizia riferisce l'accaduto al padre di Leucotoe, che, in preda all'ira, ordina di seppellire la figlia viva in una buca profonda. Disperato, il Sole cosparge il luogo della sepoltura di un nettare profumato; dalla terra inumidita nascerà la pianta dell'incenso.\nLa bella Clizia, sentendosi in colpa per l’accaduto e ripudiata dall'amato, passa i giorni seduta a terra, senza toccare né acqua e né cibo, nutrendosi di sola rugiada, intenzionata a seguire con lo sguardo il percorso del carro del Sole, finché quest'ultimo impietositosi vedendo la ninfa consumarsi d'amore per lui, la trasforma in 'girasole' , il fiore sempre rivolto verso il Sole.\nClizia viene raffigurata nel compiersi della metamorfosi oppure il girasole compare vicino alla fanciulla o sul suo capo. In lontananza appare solitamente il carro del Sole. Il fiore, peraltro, compare in alcuni autotratti di Van Dyck a indicare la profonda devozione dell'artista per Carlo I, re d'Inghilterra, presso il quale l'artista soggiornò per un breve periodo.\nLa figura di Clizia pertanto, nella mitologia greca viene associata al fiore omonimo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Clizio (figlio di Eurito).\n### Descrizione: Clizio (in greco antico Κλυτίος Klytìos) era un personaggio della mitologia greca ed uno dei figli di Eurito e di Antiope.\n\nMitologia.\nClito appoggiò suo padre quando accusò Eracle del furto del suo bestiame e fu ucciso.\nSecondo Igino fu anche uno dei pretendenti di Elena e tra gli Argonauti, con il fratello Ifito." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Clizio (figlio di Laomedonte).\n### Descrizione: Clizio (in greco antico: Κλυτίος?, Klytíos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Laomedonte e di Strimo o Placia (figlia di Otreo) o Leucippe, sposò Laotoe (Λαοθόη) e fu padre di Caletore, Procleia e Pronoe (o Pronome).\n\nMitologia.\nFu il terzo figlio avuto da Strimo e svolgeva il ruolo di consigliere durante il periodo della guerra di Troia e fu, come suo fratello Priamo (l'ultimogenito), uno degli anziani che osservarono la guerra in lontananza e seduti sulle mura delle Porte Scee della città.\nLa figlia Pronoe fu la madre di Polidamante." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Clizio (troiano).\n### Descrizione: Clizio è un personaggio dell'Eneide. Non va confuso con l'omonimo giovinetto latino presente anch'egli nel poema.\n\nMito.\nSi tratta di un compagno di Enea, come lui profugo da Troia in fiamme: insieme ai tre figli Acmone, Menesteo ed Euneo si è quindi imbarcato su una delle navi troiane alla volta dell'Italia. Muore nella guerra fra Troiani e Italici, per opera di Turno; la sua uccisione è narrata nel libro IX dell'Eneide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Clonia (amazzone).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Clonia (in greco antico: Κλονία) è un'amazzone, il popolo di donne guerriere, discendenti dal dio Ares e dalla ninfa Armonia, le quali abitavano il nord dell'Asia Minore.\nClonia appare, nel poema di Quinto Smirneo, come una delle dodici Amazzoni che facevano parte del contingente, guidato dalla regina Pentesilea, giunto in soccorso a Priamo, nella guerra di Troia.\n\nIl mito.\nArrivo a Troia.\nInsieme alle altre sue compagne, Clonia figura tra i più preziosi alleati dei Troiani, agli ordini della valorosa regina Amazzone, Pentesilea. Essa viene ricordata nell'elenco delle Amazzoni all'inizio del primo libro del Posthomerica:.\n\nCombattimenti nella guerra.\nTrascorso un certo tempo presso la città di Troia, per ristorarsi e rinvigorirsi prima della nuova battaglia, tutte le Amazzoni, sotto il comando di Pentesilea si diressero verso il campo di battaglia per affrontare gli avversari Achei. La prima ad avventarsi sui nemici fu la stessa regina, la quale massacrò uno dopo l'altro sette guerrieri avversari. Dopo di lei, fu l'Amazzone Derinoe ad attaccare, uccidendo il prode Laogono.\nClonia si gettò dunque sui nemici, e con la sua lancia trafisse Menippo, un valoroso guerriero di Filace, intimo amico di Protesilao, l'eroe acheo che morì dieci anni prima per mano di Ettore.\n\nAlla vista dell'amico morto, Podarce, fratello di Protesilao, balzò sull'Amazzone e la trafisse con la lancia. Colpita a morte, Clonia cadde a terra in un lago di sangue, mentre le sue viscere si spargevano a terra.\nMa Pentesilea, accortasi della morte della compagna, si vendicò a sua volte e scagliò la lancia su Podarce, trafiggendogli il braccio destro. L'eroe precipitò anch'esso a terra, ululante di dolore, e, dopo pochi minuti, spirò a causa della grave perdita di sangue. Non appena gli uomini di Filace videro il loro capitano ucciso, si diedero alla fuga." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Clonia (ninfa).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Clonia è una ninfa naiade, associata alla mitologia di Tebe. Probabilmente figlia del dio-fiume Asopo, divenne con Ireo la madre di Lico e Nitteo, che furono reggenti della città di Tebe.\nIn altre versioni, Lico e Nitteo sono invece figli di Clonia e Ctonio, uno degli Sparti, o del dio Poseidone e della pleiade Celeno." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Clori (figlia di Anfione).\n### Descrizione: Clori (in greco antico Χλωρις) od anche citata come Cloride (Χλωριςιδος) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Anfione re di Tebe e di Niobe.\nDetta anche Niobide dal nome della madre.\n\nMitologia.\nMelibea era il suo vero nome ma dopo aver assistito alla terribile strage dei fratelli, il suo viso volse permanentemente al pallido. Clori infatti significa esattamente 'pallido'.\nLei e il fratello Amicla furono gli unici figli di Niobe a non essere uccisi da Apollo e Artemide a causa della hybris (superbia) della madre.\nLa morte delle sue sorelle fu dovuta alla sfrontatezza della madre, che osò vantarsi della sua prole con Latona (che invece aveva avuto solo due figli, Apollo ed Artemide) che chiese vendetta ottenendola.\nDopo aver visto lo sterminio (ed esserne sopravvissuta), impallidita cambiò il nome in Clori.\nPausania scrisse di una statua a lei dedicata vicino al santuario dedicato a Latona presso Argo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Clori (ninfa).\n### Descrizione: Clori (in greco antico: Χλωρίς?), o anche citata come Cloride, è un personaggio della mitologia greca, una ninfa e dea della primavera, dei fiori e dello sviluppo (crescita). Divenuta Flora per la mitologia romana, quindi identificata con la Flora dai popoli Italici.\n\nMitologia.\nDi Clori si credeva anche che avesse vissuto nei Campi Elisi ed il mito raccontava che fosse stata rapita da Zefiro (dio del vento di ponente) che in seguito la sposò e trasformò nella dea (Flora appunto).\nDa Zefiro ebbe il figlio Carpo, il frutto.\nEra anche ritenuta responsabile delle trasformazioni di Adone, Attis, Croco, Giacinto e Narciso in fiori." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cloto.\n### Descrizione: Clòto (in greco antico: κλωθώ?, klōthṓ, 'la Filatrice') era una delle tre Moire (o Parche), figlia, secondo una versione, della Notte o, secondo un'altra, di Zeus e di Temi o Mnemosine. Era la più giovane e tradizionalmente associata alla nascita. Era la tessitrice, che filava lo stame della vita.\n\nInfluenza culturale.\nA Cloto è intitolata la Clotho Tessera su Venere." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cnosso.\n### Descrizione: Cnosso (in greco antico: Κνωσός?, Knōsós, greco miceneo ko-no-so, minoico ku-ni-su) è il più importante sito archeologico dell'età del bronzo di Creta.\nSorge nella parte centrale dell'isola di Creta, a 6 km dal mare e a 5 km da Heraklion, sul fiume Katsaba (antico Kairatos).\nFu un importante centro della civiltà minoica (la civiltà cretese dell'età del bronzo). Il palazzo di Cnosso è legato ad antichi miti della Grecia classica, come Minosse e il labirinto costruito da Dedalo, e quello di Teseo e il Minotauro. Questa leggenda racconta che Minosse, re di Creta, abbia fatto costruire un labirinto per chiuderci dentro il Minotauro nato dall'unione di sua moglie con un toro. Questo essere mostruoso aveva la testa di toro e il corpo di uomo. Ogni anno bisognava dare 7 fanciulli e 7 fanciulle in pasto al Minotauro nel labirinto.\n\nStoria del palazzo.\nAbitato già nel neolitico, divenne un florido centro della civiltà minoica verso il 2000 a.C., epoca della costruzione del grande palazzo che, privo di mura difensive, era simbolo dell'egemonia cretese sul mar Egeo. In questo periodo gli abitanti di Cnosso cominciarono ad avere rapporti commerciali con la civiltà egizia dalla quale appresero le tecniche per realizzare gli straordinari affreschi rinvenuti. Verso il 1700 a.C. un cataclisma, forse un terremoto provocato dall'eruzione del vulcano dell'isola di Thera (l'odierna Santorini), distrusse tutti i palazzi dell'isola, incluso quello di Cnosso.\nDurante il periodo neopalaziale (1700 a.C.-1400 a.C.) il palazzo venne ricostruito ancora più sontuoso di quello di epoca palaziale, ancora una volta privo di mura difensive, cosa che testimonia la totale assenza di invasioni da parte di altri popoli. Verso il 1450 a.C. Cnosso fu devastata dai micenei, popolazione proveniente dal Peloponneso, come testimoniano i testi in lineare B rinvenuti nel palazzo, finché verso la metà del XIV secolo a.C. la città decadde completamente. Vi sono infine fonti che indicano la presenza di artigiani cretesi nelle città micenee dove veniva apprezzata la loro alta conoscenza nel campo dell'oreficeria.\n\nEtà ellenistica e romana.\nDopo la fine della civiltà minoica, Cnosso si ripopolò a partire dal 1000 a.C. Secondo Strabone da qui partirono i colonizzatori di Brindisi. Nel quarto e terzo secolo a.C. Cnosso fu impegnata in diverse guerre per il predominio sull'isola contro altre città come Litto e Polyrrenia, che videro l'intervento esterno di leghe greche e di Filippo V di Macedonia, cui Cnosso si oppose con altri nella guerra di Creta. L'intervento romano permise a Cnosso di diventare per qualche decennio la città più importante dell'isola, ma con la conquista romana del 67 a.C. le venne preferita Gortys come capitale della nuova provincia di Creta e Cirene. Vicino al palazzo sorse una colonia romana, Iulia Nobilis. Negli anni venti dell'800 l'isola venne conquistata dagli arabi e la popolazione si spostò a Candia, che in origine era forse uno degli scali portuali di Cnosso.\n\nStoria degli scavi archeologici a Cnosso.\nDa molti anni era noto che in quest'area si dovesse trovare una città di nome Cnosso. Infatti gli abitanti della regione, coltivando i loro campi, trovavano spesso degli oggetti antichi.\nIl primo a intraprendere gli scavi fu Minos Kalokairinos, un antiquario, commerciante di Iraklion, che nel 1878 scoprì due dei magazzini del palazzo. I turchi, padroni del terreno, lo costrinsero a fermare le ricerche. Fallirono pure i tentativi di Heinrich Schliemann nel comprare la collina di 'Kefala' a causa delle eccessive pretese dei turchi. Questi ultimi, infatti, volevano vendere al ricercatore molti più olivi di quanti non ce ne fossero sulla collina, pretendendo una somma ingente che però il tedesco respinse con indignazione.\nLa fortuna aiutò invece Sir Arthur Evans, archeologo e in quel periodo direttore dell'Ashmolean Museum di Oxford, che incominciò scavi sistematici nel 1900, seguito dal suo assistente, l'archeologo inglese Duncan Mackenzie, che teneva anche il diario di scavo, dopo la proclamazione dell'autonomia dell'isola. Verso la fine del 1903 quasi tutto il palazzo era scoperto e la ricerca procedette nei dintorni. Evans continuò così fino al 1931, con un'interruzione durante la prima guerra mondiale. Più tardi pubblicò la sua opera 'The Palace of Minos at Knossos', in quattro volumi.\nFin dall'inizio i monumenti scoperti avevano bisogno di restauro. Così certe parti del palazzo sono state ricostruite secondo l'interpretazione di Evans e in questi lavori fu usato cemento armato in abbondanza. Le parti che corrispondevano a costruzioni in legno furono all'inizio dipinte in giallo (oggi il colore giallo è sostituito). Inoltre, copie dei meravigliosi affreschi trovati durante gli scavi sono state collocate ai posti originali. Questo metodo di restauro è stato criticato da molti a causa dell'utilizzo di materiali estranei all'architettura minoica. Altri scienziati hanno contestato certi risultati di Evans. A parte tutto ciò, la intuizione, l'immaginazione creativa e la profonda conoscenza scientifica di Evans sono sempre state ammirate. In grandissima parte si deve a lui la scoperta dello splendore del mondo minoico, che fino alla sua epoca si rifletteva solo nella mitologia greca. Dopo la sua morte, gli scavi di Cnosso, che continuano fino a oggi, sono stati intrapresi dalla Scuola Britannica di Atene.\n\nIl palazzo.\nCome gli altri palazzi di Creta, anche quello di Cnosso costituiva il centro politico, religioso ed economico dell'impero marittimo minoico e possedeva inoltre un carattere sacro. Il palazzo ricopriva una superficie di 22000 m², era a più piani e a pianta molto complessa e intricata. Pare potesse ospitare fino a 12 000 persone e conteneva 1 300 stanze, sale per il culto e per i ricevimenti, gli alloggi del re, della regina e dei funzionari dell'amministrazione. Fu edificato sopra le rovine di un più antico palazzo, costruito attorno al 2000 a.C. e distrutto probabilmente da un grande terremoto intorno al 1628 a.C., dovuto alla catastrofica eruzione vulcanica di Thera, l'odierna isola di Santorini.Il 'secondo palazzo' fu costruito all'inizio del XVI secolo a.C. Il palazzo di Cnosso era costruito intorno a un cortile in terra battuta dove si esibivano dei ginnasti che volteggiavano sui tori, animale sacro per i cretesi, sfidando la morte come i gladiatori del Colosseo. Il palazzo era così grande e la trama era così complessa che viene menzionato come labirinto nel mito del Minotauro e del filo di Arianna. Infatti nel mito si dice che il palazzo era stato progettato dall'architetto ateniese Dedalo aiutato dal figlio Icaro (mito di Dedalo e Icaro). Vi è inoltre un riferimento anche morfologico lessicale che riconduce al famigerato labirinto: il simbolo del palazzo era l'ascia bipenne, in greco antico: λάβρυς?, labrys, da cui, con il suffisso -into, a indicare il luogo, labyrinthos.\nParticolare del palazzo sono i famosi bagni degli appartamenti della regina che, secondo studi approfonditi, sarebbero i più avanzati di tutta l'antichità, con canalizzazioni sotterranee, fogne, canali di scarico, acqua calda sempre disponibile... un miracolo della tecnica cretese.\nInfine si pensa che il palazzo di Cnosso sia stato ubicato proprio in quella posizione perché nei pressi del monte Ida, il luogo dove era vissuto Zeus e probabilmente anche Poseidone.\n\nGli affreschi di Cnosso.\nA Cnosso vi era una profonda cultura degli affreschi. I cretesi dipingevano sulle pareti del palazzo di Cnosso opere eccezionali con la classica visione di profilo tipica dell'arte egizia. Il motivo di questa particolare tecnica rappresentativa è la causa dei continui scambi commerciali e culturali tra la civiltà cretese e quella egizia. Al museo archeologico di Candia sono conservati notevoli affreschi ancora ben conservati che rappresentano scene di giochi con i tori (taurocatapsia), processioni, ecc.\nI muri erano ricoperti da intonaci affrescati con soggetti marini, combattimenti con tori e motivi geometrici. Per la prima volta le immagini non erano usate per rappresentare concetti e simboli come nell'arte egizia, ma per abbellire i luoghi di vita. Il rapporto dei cretesi con la natura, specie quella marina, è testimoniato dalla pittura e dall'arte scultorea. La religione cretese infatti attribuiva caratteri divini ad alcuni animali, come il toro e il serpente, che costituivano perciò il soggetto privilegiato delle pitture." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Coalemo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Coalemus è il dio della stupidità, citato una volta da Aristofane, e trovato anche nelle Vita di Plutarco. E indicato come un demone, più che uno spirito di divinità minore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Codro.\n### Descrizione: Codro (Atene, 1091 a.C., Sparta, 1070 a.C.) o, meno frequentemente, Kodro (in greco antico: Κόδρος?, Kòdros), è stato, secondo la leggenda, l'ultimo re di Atene.\n\nNella mitologia.\nLa fine della monarchia fu determinata, sempre secondo il mito, da una guerra contro Sparta: l'oracolo di Delfi aveva infatti profetizzato al re che gli ateniesi avrebbero vinto se il loro sovrano fosse stato ucciso. La notizia giunse presto alle orecchie degli spartani, i quali, naturalmente, fecero attenzione a non fargli del male.\nIl re, tuttavia, travestito da vecchio, provocò alcuni soldati spartani andati a fare legna, che lo uccisero. Gli Ateniesi svelarono l'inganno andando a chiedere la restituzione del corpo del loro re al campo degli Spartani, che così seppero chi fosse il vecchio ucciso con tale noncuranza e persero la guerra.Aristotele, nella Politica (V 10, 1310b 34-40) propone la vicenda di Codro come exemplum di sacrificio personale per il bene della patria.\nSconfisse Alete re di Corinto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Colchide.\n### Descrizione: Nell'antica geografia, la Colchide (georgiano e laz: კოლხეთი, k'olxeti; greco antico: Κολχίς, Kolchís) era un antico stato georgiano, regno e regione situato nella Georgia occidentale (regione del Caucaso), che giocò un ruolo importante nella formazione etnica e culturale del popolo georgiano e dei suoi sottogruppi. Il regno della Colchide come primo stato georgiano contribuì in modo significativo allo sviluppo dello stato georgiano medievale dopo la sua unificazione con il regno georgiano orientale di Iberia-Kartli. Il termine colchici viene usato come nome collettivo per significare le tribù georgiane che popolavano la costa orientale del Mar Nero.Secondo le fonti greche, il limite occidentale della Colchide era a Trebisonda, nell'odierna Turchia. A nord comprendeva l'attuale Sukhumi, in Abcasia. La maggior parte dell'antica Colchide fa attualmente parte della Georgia.\nSi ritiene che la popolazione della Colchide parlasse una delle lingue caucasiche, in quanto il suo territorio è oggi occupato da parlanti di due lingue di questa famiglia strettamente imparentate tra loro: il Megrelio e il Laz.\nLa sua geografia è principalmente ascritta a ciò che è adesso la parte occidentale della Georgia. La Colchide era nella mitologia greca il regno di Eete e la patria di sua figlia Medea nonché la destinazione degli Argonauti, essendo anche la possibile patria delle Amazzoni. Questa antica regione è rappresentata grosso modo dalle attuali province georgiane di Abcasia, Mingrelia, Svanezia, Racha, Imerezia, Guria, Agiaria, dai rajon russi di Soči e Tuapsinskij e dalle città turche di Rize, Trebisonda e Artvin (Lazistan, Tao-Klarjeti). I colchici si erano stabiliti nel Caucaso nella media età del bronzo.\n\nGeografia e toponimi.\nIl regno di Colchide, esistente dal VI al I secolo a.C., viene considerato come il primo stato georgiano, mentre il termine colchico venne utilizzato come un termine collettivo per indicare le prime antiche tribù georgiane che popolarono la costa orientale del Mar Nero.Secondo l'esperto di studi caucasici Cyril Toumanoff:.\n\nTuttavia, era gi�� esistito un precedente stato colchico. Si trattava di un'unione tribale georgiana formatasi nel XIII secolo a.C. sulla costa del Mar Nero, che diede vita al Regno di Qulha nella Georgia occidentale, già chiamato 'Colchide' dai Greci. Questo regno fu una prima formazione statale degli antichi georgiani. Secondo la maggior parte degli autori classici, il territorio della Colchide confinava a sud-ovest con il Ponto, a ovest con il Mar Nero fino al fiume Corax (probabilmente l'attuale Bzybi, Abcasia, Georgia), a nord con la catena montuosa del Caucaso, che la separava dalla Sarmazia asiatica, a est dall'Iberia e i Monti Moschici (adesso Caucaso minore), e a sud con l'Armenia. C'è qualche piccola differenza tra gli autori riguardo all'estensione della regione verso occidente: perciò Strabone fa iniziare la Colchide a Trebisonda, mentre Tolomeo, d'altra parte, estende il Ponto fino al fiume Rioni. Pitsunda era l'ultima città nel nord della Colchide.\nIl nome di Colchide per primo appare in Eschilo e Pindaro. Gli scrittori più antichi si riferiscono ad essa soltanto con il nome di Aea (Aia), la residenza del mitico re Eete: 'L'Aia colchica giace oltre i limiti del mare e della terra', scriveva più tardi Apollonio di Rodi. I fiumi principali erano il Fasi (adesso Rioni) che, molto probabilmente, scorreva attraverso la zona centrale della regione dal Caucaso verso occidente (per sfociare nell'Eusino meridionale) e l'Anticite o Atticito; secondo alcuni scrittori era il confine meridionale della Colchide. Arriano menziona molti altri fiumi per nome, ma sembra siano stati poco più che torrenti montani, i più importanti dei quali erano: Charieis, Chobus o Cobus, Singames, Tarsuras, Hippus, Astelephus, Chrysorrhoas, molti dei quali vengono anche citati da Tolomeo e Plinio. Le città principali erano Dioscurias o Dioscuris (sotto i romani chiamata Sebastopoli, adesso Sukhumi) situata lungo la zona costiera dell'Eusino, Sarapana (adesso Shorapani), Fasi (adesso Poti), Pityus (adesso Pitsunda), Apsaros (adesso Gonio), Surium (adesso Vani), Archeopoli (adesso Nokalakevi), Macheiresis, e Cyta o Cutatisium (adesso Kutaisi), il tradizionale luogo di nascita di Medea, mentre Scilace, contrariamente ad altri scrittori, menziona Mala o Male come città natale di Medea.\n\nStoria.\nPrimi periodi.\nNell'antichità, la regione del Mar Nero orientale fu la patria della ben sviluppata cultura del bronzo nota come cultura colchica, correlata alla contigua cultura di Koban, che emerse verso la media età del bronzo. Alla fine del II millennio a.C., secoli prima dell'insediamento greco, in almeno alcune parti della Colchide, il processo di urbanizzazione sembra essere stato in una fase abbastanza avanzata. La tarda età del bronzo colchica (dal XV all'VIII secolo a.C.) vide lo sviluppo di una significativa abilità nella fusione e lavorazione dei metalli iniziata molto prima che essa venisse ad essere utilizzata con padronanza in Europa . Vennero fabbricati utensili agricoli sofisticati e i bassopiani fertili e ben irrigati con il favore di un clima mite favorirono la crescita di progredite tecniche agricole.\nLa Colchide era abitata da un certo numero di tribù imparentate ma distinte i cui insediamenti si trovavano principalmente lungo la riva del Mar Nero. Le principali erano i macheloni, heniochi, zudreti, lazi, calibi, tabal, tibareni, mossineci, macroni, moschi, marri, apsili,, soani (suani), sanigae, geloni e melanchlaeni. Queste tribù differivano così totalmente nella lingua e apparenza rispetto ai popoli circostanti che gli antichi fornivano varie teorie per spiegarne il fenomeno.\nPer esempio, Erodoto afferma che i colchici, insieme agli egiziani ed agli etiopici, fossero stati i primi a praticare la circoncisione, un costume che - egli dichiarava - gli stessi colchici ereditarono dai resti dell'esercito del faraone Senusret III (1878-1841 a.C.). Erodoto dunque li considera egiziani. Apollonio di Rodi afferma che gli egiziani della colchide conservassero come cimeli un certo numero di tavolette in legno che raffiguravano mari e strade maestre con molta accuratezza. Sebbene la teoria 'egiziana' riguardo all'origine non fosse stata adottata in modo unanime dagli antichi, essa è stata difesa – ma non con pieno successo - da alcuni scrittori moderni . All'inizio del XX secolo esisteva una piccola popolazione di razza negra nella regione, talché è possibile pensare che ci fosse stata una componente negra (che precede il commercio di schiavi arabo) nella regione del Mar Nero, le cui origini potrebbero essere plausibilmente fatte risalire a un'antica spedizione nella regione dei negri d'Africa. Tuttavia, in assenza di ogni prova archeologica conclusiva, questa asserzione resta puramente speculativa.Molte teorie moderne ipotizzano che gli antenati dei laz-mingreliani fossero nell'antichità la dominante etnica e la presenza culturale nella regione, e perciò giocassero un ruolo significativo nell'etnogenesi dei georgiani moderni.\n\nKolkha.\nNel XIII secolo a.C. venne a formarsi il Regno di Colchide come risultato del costante consolidamento delle tribù che abitavano la regione. Questa potenza, celebrata nella mitologia greca come la destinazione degli Argonauti, la patria di Medea e il regno speciale della stregoneria, era noto agli urartei come Kolkha. Essendo i popoli limitrofi in uno stato permanente di guerra, i colchici vennero ad assorbire parte del popolo dei Diauehi verso il 750 a.C. ca., ma perdendo molte province (inclusa la “città reale” di Ildemusa) a favore di Sarduris II di Urartu, in seguito alle guerre del 750-748 e 744-742 a.C. Invasa da sciti e cimmeri pressappoco tra 730 e il 720 a.C., il regno si disintegrò in vari staterelli. Verso la metà del VI secolo a.C. questi caddero sotto il dominio achemenide. Le tribù che abitavano nella Colchide meridionale (tibareni, mossineci, macroni, moschi e marri) vennero incorporate nella 19ª satrapia dell'impero persiano, mentre le tribù settentrionali si sottomisero “volontariamente” con l'obbligo di mandare alla corte persiana 100 fanciulli e 100 fanciulle ogni 5 anni. L'influenza esercitata sulla Colchide dal vasto impero achemenide, con il suo prospero commercio e i vasti legami economici e commerciali con altre regioni, accelerarono il suo sviluppo socioeconomico. Successivamente il popolo della Colchide sembra avere sovvertito l'autorità persiana formando uno stato indipendente . Secondo Ronald Suny: Questo stato georgiano occidentale era federato a quello di Kartli-Iberia, e i suoi re governavano attraverso skeptukhi (governatori reali) i quali ricevevano consulenti dal re.\n\nColonizzazione greca.\nIl progresso economico e le favorevoli condizioni geografiche e naturali della regione attrassero i greci milesi che colonizzarono la costa colchica stabilendo qui i loro uffici commerciali (a Fasi, Gyenos e Sukhumi) nel VI-V secolo a.C. Secondo un'antica espressione proverbiale greca della società di allora, il tragitto per giungere nella regione colchica era considerato 'il viaggio più lungo', il luogo più orientale mai conosciuto al mondo, laddove sorgeva il sole. Essa era situata proprio fuori dai territori conquistati da Alessandro Magno. Fasi e Sukhumi furono delle splendide città greche dominate da oligarchie mercantili, che talvolta venivano importunate dai colchici dell'entroterra, prima di essere apparentemente assimilati totalmente. Dopo la caduta dell'impero persiano, una parte significativa della Colchide, localmente nota come Egrisi, venne annessa al Regno di Iberia (Kartli) creato nel 302 a.C. ca. Tuttavia, ben presto la Colchide si rese indipendente ma si frantumò in tanti piccoli principati governati dagli sceptuchi. Essi conservarono un grado di indipendenza fino a che non vennero conquistati (circa 101 a.C.) da Mitridate VI del Ponto.\n\nSotto il Ponto.\nMitridate VI soffocò una rivolta nella regione nell'83 a.C. dando il governo della Colchide nelle mani di suo figlio Mitridate Cresto, il quale venne presto giustiziato essendo stato sospettato di complotto contro suo padre. Durante la terza guerra mitridatica, Mitridate VI mise al trono della Colchide un altro suo figlio Macare, che mantenne il suo potere, ma per un breve periodo. Con la sconfitta di Mitridate VI del Ponto nel 65 a.C., la Colchide venne occupata da Pompeo, facendo prigioniero uno dei capi locali (sceptuchi) Oltace, e insediandovi Aristarco come dinasta (65-47 a.C.). Dopo il declino e la morte di Pompeo, Farnace II, figlio di Mitridate, si avvantaggiò del fatto che Giulio Cesare si trovasse impegnato in Egitto, e perciò occupò la Colchide, l'Armenia e parte della Cappadocia, sconfiggendo successivamente Gneo Domizio Calvino, mandato da Cesare contro di lui. Il suo trionfo fu, comunque, di breve durata. Sotto Polemone I, figlio e successore di Farnace II, la Colchide faceva parte del Ponto e il Regno del Bosforo. Dopo la morte di Polemone (dopo il 2 a.C.), la sua seconda moglie Pitodorida mantenne il possesso della Colchide insieme al Ponto stesso, sebbene il Regno del Bosforo le venisse strappato. Suo figlio e successore Polemone II del Ponto fu indotto dall'imperatore Nerone ad abdicare, e quindi sia il Ponto che la Colchide vennero ad essere incorporati nella provincia di Galazia (63 d.C.) e più tardi in quella di Cappadocia (81 d.C.).\n\nSotto il governo romano.\nNonostante il fatto che tutte le maggiori fortezze lungo zona costiera fossero state occupate dai romani, il loro governo fu alquanto vago. Nel 69, il popolo del Ponto e della Colchide sotto Aniceto scatenò una grande rivolta contro i romani che risultò però infruttuosa. I bassopiani e la zona costiera subivano frequentemente invasioni delle feroci tribù montanare delle quali le più potenti erano quelle dei soani ed eniochi. Pagando un omaggio nominale a Roma, essi crearono il loro propri regni godendo di una significativa indipendenza. Il Cristianesimo iniziò a diffondersi all'inizio del I secolo. I resoconti tradizionali raccontano l'evento con Sant'Andrea, San Simone lo Zelota e San Matata. Tuttavia, le credenze religiose ellenistiche, pagane locali e mitraiche si sarebbero diffuse fino al IV secolo. Nel decennio compreso fra il 130 e il 140, i regni dei macheloni, eniochi, egrisi, apsilia, abasgia e sanigia avevano occupato il distretto da sud a nord. I goti, che dimoravano in Crimea, saccheggiarono la Colchide nel 253, ma vennero comunque respinti con l'aiuto della guarnigione romana di Pitsunda. Dal III-IV secolo, la maggior parte dei regni e principati venne ad essere soggiogato dai re lazici, dopodiché la regione cominciò ad essere generalmente riferita come Lazica (Egrisi).\n\nRegnanti.\nPoco si conosce dei regnanti della Colchide;.\n\nEete, il celebre potente re della Colchide raccontato nelle leggende greche. Alcuni storici hanno avanzato l'ipotesi che fosse stato veramente un personaggio storico, sebbene non vi sia nessuna prova al riguardo.\nKuji, un principe (eristavi) di Egrisi sotto l'autorità di Farnavaz I di Iberia (ca 302-237 a.C.) (secondo gli annali georgiani medievali).\nAristarco (65-47 a.C.), un dinasta sotto l'autorità di Pompeo.\nAkes (Basileus Aku) (fine del IV secolo a.C.), re della Colchide; il suo nome è stato trovato su una moneta da lui fatta coniare.\nSaulaces, 're' nel II secolo a.C. (secondo alcune fonti antiche).\nMitridate Cresto (morto nell'83 a.C.), sotto l'autorità del Ponto.\nMacare (morto nel 65 a.C.), sotto l'autorità del Ponto.N.B. - Durante il suo regno, i capi locali, gli scettuchi, continuarono ad esercitare un qualche potere. Uno di loro, Oltace, viene menzionato da fonti romane come prigioniero di Pompeo nel 65 a.C.\n\nLa Colchide nella mitologia greca.\nSecondo la mitologia greca, la Colchide era una terra favolosamente ricca, situata alla periferia misteriosa del mondo eroico. Qui, nel boschetto sacro al dio della guerra Ares, il re Eete teneva appeso il vello d'oro fino a quando Giasone e gli Argonauti non giunsero nel suo regno con l'intenzione di impadronirsene. Ad aiutare Giasone nella conquista del vello d'oro fu Medea, figlia di Eeta e dunque principessa della Colchide, protagonista anche di una tragedia di Euripide dal titolo, appunto, di Medea. La Colchide era anche la terra dove il personaggio mitologico Prometeo fu punito, per avere rivelato all'umanità il segreto del fuoco; fu incatenato quindi a una montagna, mentre un'aquila veniva a mangiargli ogni giorno il fegato. Anche le Amazzoni si diceva fossero di origine scita della Colchide. Secondo la mitologia greca i principali personaggi della Colchide, oltre a Eete, furono Idia, Pasifae, Circe, Medea, Calciope e Absirto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Colias croceus.\n### Descrizione: La crocea o limoncella (Colias croceus (Geoffroy in Fourcroy, 1785)) è un lepidottero diurno appartenente alla famiglia Pieridae, diffuso in Eurasia e Nordafrica.\n\nDescrizione.\nBiologia.\nDistribuzione e habitat.\nTassonomia.\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Collana di Armonia.\n### Descrizione: La Collana di Armonia era un oggetto leggendario della mitologia greca. Secondo la leggenda portò grandi disgrazie a tutte le sue proprietare od indossatrici, che principalmente erano regine e principesse delle dinastie tebane.\n\nOrigine dell'oggetto.\nEfesto, il fabbro degli dei dell'Olimpo, scoprì Afrodite durante un rapporto sessuale con Ares ed infuriatosi giurò di vendicarsi per l'infedeltà della moglie maledicendo ogni lignaggio di figli risultante dall'affare.\nAfrodite partorì Armonia che una volta cresciuta fu promessa in sposa a Cadmo re di Tebe ed Efesto donò a Cadmo un peplo ed una collana da lui forgiata (e maledetta) come regalo di nozze e quella maledizione avrebbe afflitto chiunque l'avesse indossata.\n\nAspetto e proprietà.\nAnche se non esiste una descrizione concreta della collana, questa è in genere descritta nella forma di due serpenti e con le bocche aperte per fare il fermaglio, e realizzata in oro splendidamente lavorato ed intarsiato con vari gioielli.\nLa collana magica, indicata semplicemente come Collana di Armonia, permetteva a qualsiasi donna la indossasse di rimanere sempre giovane e bella, divenendo così nei miti greci un oggetto molto ambito tra le donne della casa reale di Tebe.\n\nProprietari e maledizioni.\nArmonia e Cadmo furono entrambi trasformati in serpenti (o draghi in alcune versioni del mito) ma la realtà sulla loro fine è discutibile perché si dice che entrambi siano ascesi al paradiso dei Campi Elisi dopo la loro trasformazione.\n\nSemele.\nLa collana passò poi a loro figlia Semele che la indossò il giorno stesso in cui Hera le fece visita e per effetto della maledizione, Semele insinuò che suo marito non fosse Zeus per poi chiedere che il dio dimostrasse la sua identità esibendosi in tutta la sua gloria come il signore del cielo.\nSemele fu distrutta per il suo gesto.\n\nGiocasta ed Edipo.\nDiverse generazioni dopo, la regina Giocasta indossò la collana ed ottenne di conservare la sua giovinezza e bellezza e così, dopo la morte del marito Laio, finì per sposare inconsapevolmente il proprio figlio Edipo. Quando la verità fu scoperta, lei si suicidò, Edipo si strappò gli occhi ed i discendenti e le relazioni di Edipo soffrirono varie tragedie personali che furono descritte nelle 'Tre opere tebane' Edipo re, Edipo a Colono ed Antigone di Sofocle.\n\nPolinice ed Erifile.\nPolinice quindi ereditò la collana e la diede ad Erifile come mezzo di persuasione nei confronti del marito Anfiarao restio ad intraprendere la spedizione contro Tebe. Ciò portò alla morte di Erifile, Alcmeone, Fegeo e dei figli di quest'ultimo.\nAttraverso Alcmeone, figlio di Erifile, la collana passò nelle mani della figlia di Fegeo (Alfesibea) e poi ai figli Pronoo ed Agenore ed infine ai figli di Alcmeone, Acarnano ed Anfotero che, per prevenire ulteriori disastri tra gli uomini, consegnarono la collana al Tempio di Atena Pronaia di Delfi.\n\nIl tiranno Phayllus.\nIl tiranno Phayllus, uno dei capi della Focide nella terza guerra sacra (356 a.C. - 346 a.C.), rubò la collana dal tempio e la offrì alla sua amante che, dopo averla indossata per un po', suo figlio fu preso dalla follia e diede fuoco alla casa dove morì tra le fiamme insieme a tutti i suoi tesori mondani." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Colluto.\n### Descrizione: Colluto (Licopoli, ... – ...; fl. fine V secolo) è stato un poeta egiziano.\n\nBiografia.\nColluto era originario di Licopoli (l'attuale città di Asyūṭ), all'epoca sede vescovile della provincia romana della Tebaide Prima nella diocesi civile di Egitto. Essa faceva parte del patriarcato di Alessandria ed era suffraganea dell'arcidiocesi di Antinoe. Riguardo all'epoca, come detto dalla Suda, visse all'epoca dell'imperatore Anastasio I (491-518) e si situa nella tendenza di rielaborazione dell'epica mitologica in senso classicistico, nella linea di Quinto Smirneo e Trifiodoro.\n\nOpere.\nSecondo il lessico Suda, Colluto fu autore di due poemi, Storie di Calidone in sei libri e Storie Persiane, anche se a noi resta solo un epillio in 394 esametri, la ῾Αρπαγὴ τῆς ῾Ελένης (Harpaghè tês Helénes, «Il ratto di Elena»), in cui si racconta il rapimento di Elena da parte di Paride che scatenò la guerra di Troia.\nIl tema del rapimento di Elena era già stato trattato nei Canti Ciprii, generalmente attribuiti in epoca pre-ellenistica a Omero, ma la critica più recente tende a porre alla base della rielaborazione di Colluto un epillio di analogo argomento risalente all'età alessandrina. Dopo una breve invocazione alle Ninfe, il poeta descrive nei particolari le nozze di Peleo e Teti, il giudizio di Paride e la partenza del principe troiano per Sparta, dove incontra e seduce Elena che, partendo, si congeda dalla figlioletta Ermione, con il cui lamento l'epillio si conclude.\nL'opera di Colluto, ritrovata dal cardinale Bessarione, fu edita per la prima volta da Aldo Manuzio nel 1521 insieme a quella di Quinto Smirneo e Trifiodoro e tradotta in versi da Corradino dall'Aglio, che la pubblicò a Venezia nel 1741.\nIl giudizio dei critici su Colluto è sempre stato unanime e la sua mediocrità non è mai stata messa in discussione, anche se in alcuni riferimenti egli mostra una discreta erudizione mitologica risalente alla lettura dei poeti ellenistici. Nella sua Storia della letteratura greca, comunque, Albin Lesky afferma che il suo poema avrebbe potuto perdersi senza rimpianti; Gottfried Hermann, tuttavia, nei suoi Opuscula, racconta di aver risposto, a chi gli chiedeva perché perdesse tempo a emendare Colluto, che i filologi, come i medici, non devono rifiutare la loro attenzione a nessuno che ne abbia bisogno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Colonne d'Ercole.\n### Descrizione: Le Colonne d'Ercole (Eracle per gli antichi Greci) nella letteratura classica occidentale indicano il limite estremo del mondo conosciuto. Oltre che un concetto geografico, esprimono metaforicamente anche il concetto di 'limite della conoscenza'. Geograficamente e tradizionalmente, visto che la loro esistenza è presunta, esse vengono collocate, una in corrispondenza della Rocca di Gibilterra, un promontorio che sorge nell'omonima città, e l'altra sulla montagna Jebel Musa, che si affaccia sullo stretto di Gibilterra, oppure sul Monte Hacho, una piccola collina che sorge nella città di Ceuta (la collocazione di questa seconda colonna è incerta).\nI nomi tradizionali, che troviamo nel racconto del mito, dei monti alla cui pendici sorgerebbero le Colonne sono Calpe (il monte sul versante europeo dello stretto di Gibilterra) e Abila (il monte sul versante africano). Più che un luogo geografico il monito posto dal mitologico Ercole identifica la frontiera del mondo civilizzato e, come tale, non può fare altro che seguire il progredire delle scoperte geografiche e l'avanzare delle rotte navali. È in questo ambito che si inserisce una ipotesi oggetto di studio secondo la quale la collocazione delle Colonne, con l'espandersi della civiltà greca, sia mutata, passando dal canale di Sicilia allo stretto di Gibilterra appunto.\n\nIl mito di Ercole.\nEsiste più di una versione del mito di Ercole. Secondo una di queste, Ercole ricevette da Euristeo l’ordine di catturare le mandrie di Gerione, terribile mostro a tre teste, con tre busti e sei braccia, figlio di Crisaore e dell’oceanina Calliroe. Gerione era il re dell'Isola dell'Eritea, situata nell'Oceano occidentale e che si estendeva fino ai confini di Tartesso. Gli armenti che Ercole avrebbe dovuto catturare erano sorvegliati da un pastore di nome Eurizione. Ercole attraversò la Libia e l'isola di Tartesso e infine giunse alle pendici dei monti Calpe e Abila, due ostacoli naturali che nel mondo antico delineavano i confini del mondo occidentale che gli uomini non dovevano in alcun modo oltrepassare.\nSulle rive dello stretto di Gibilterra (sul quale si affacciavano i due monti), Ercole fece erigere due colonne, le quali erano sormontate da una statua che raffigurava un uomo. Essa era rivolta a est (ossia verso la direzione dalla quale provenivano i navigatori) e recava nella mano destra una chiave, quasi ad indicare l'intenzione di aprire una porta, mentre nella sinistra teneva una tavoletta che recava l’iscrizione non plus ultra, 'non più oltre'. Con questa frase Ercole intendeva definire il limite del mondo civilizzato, sottolineando il divieto per i mortali di spingersi oltre, in direzione dell’Oceano.\nSecondo un'altra versione del mito, le Colonne in realtà erano i resti dei monti Calpe a Gibilterra e Abila a Ceuta (i quali tra l'altro nel mito erano considerati all’origine della separazione tra Europa e Africa) distrutti da Ercole in un momento di ira.Le Colonne nelle fonti classiche.\nPer Omero e per gli antichi greci tali Colonne si ponevano a Est, all'ingresso del Ponto Eusino, il mar Nero. Omero stesso lo definisce uno spazio senza confini e secondo Strabone i greci ai tempi di Omero immaginavano il Ponto Eusino come un altro oceano.\nNell'Odissea non vi è l'equazione Colonne = Gibilterra, poiché il mondo greco allora orbitava tra il Mediterraneo orientale e il mar Nero: è solo del 637 a.C. che compare per la prima volta la terra iberica nelle storie greche. Questo è uno dei fatti che hanno portato Sergio Frau e successivamente l'Accademia dei Lincei Italiani a prima ipotizzare e poi spostare la collocazione delle antiche colonne d'Ercole al canale di Sicilia.\nErodoto (484-425 a.C.) descrive due luoghi diversi per le Colonne. A est, nel Bosforo, quelle più antiche; a ovest, dopo Cartagine, quelle libiche, riflettendo in tal modo l'ampliarsi degli orizzonti ellenici.\nNeanche Platone, nel suo dialogo Timeo, parla però ancora di coste iberiche: cita sì il monte Atlante, ma in riferimento agli Iperborei (popolo posto a Nord dell'Ellade). A causa del monopolio cartaginese sul bacino occidentale del Mediterraneo la prima spedizione ellenica al di là di Gibilterra di cui si ha effettiva notizia è del 330 a.C., dopo, quindi, la morte di Platone (347 a.C.).\nCon la nascita del mondo romano Ercole raggiunge le coste mediterranee ponentine, e anche Gerione, che nel mito greco ha casa nel Ponto Eusino, con i romani diventa finalmente re di Tartesso. È qui che probabilmente nasce il mito romano delle Colonne d'Ercole poste nello stretto di Gibilterra che è rimasto sino ai giorni nostri, in quanto l'ampliamento dei confini e del mondo conosciuto ha spostato i confini. Inoltre sappiamo che il termine Tartesso per i greci probabilmente non era uno stato ma il confine del mondo occidentale, per cui pare plausibile pensare che già all'epoca dei romani si perse o si cambiò volontariamente la collocazione delle Colonne d'Ercole e i miti legati a esse.\nLe dislocazioni delle Colonne nel Mediterraneo Occidentale.\nNel libro “Tartesso in Sardegna” (ed. 2018), lo studioso Giuseppe Mura ha riportato, tra le altre, una puntuale analisi delle antiche fonti greche che affrontano il tema della dislocazione delle Colonne, evidenziando come i 'pilastri' che segnavano il passaggio per mare dell'eroe di Argo, Eracle, furono molteplici: indicavano il limite estremo del mondo conosciuto ed esprimevano concetti legati alle conoscenze geografiche. Tanto è vero che esse fanno la loro comparsa solo quando i Greci iniziano la loro vera espansione in Occidente (VIII secolo a.C.), iniziando così quel processo che condurrà alla formazione dell'entità politico-economica che i latini chiameranno Magna Grecia.\nL'avanzare delle prime esplorazioni greche verso Occidente (praticate in particolare dagli Eubei e dai Focei) comportava sempre lo spostamento del limite conosciuto (i “confini della terra' di Omero ed Esiodo) in precedenza, così, specie se il luogo si prestava alla collocazione di nuove “Colonne” (passaggi stretti per mare tra promontori, isole o quant'altro), queste erano regolarmente attribuite al loro personaggio più rappresentativo: Eracle.\nA detta del poeta greco Licofrone (IV sec. a.C.) esisteva anche la 'porta di Tartesso', situata nei pressi della sera (l'occidente dei Greci) e che indicava simbolicamente il confine all'ardimento esplorativo umano.\nLa più antica descrizione delle Colonne, in termini paesaggistici, è invece attribuibile al poeta greco Pindaro (VI-V sec. a.C.): “Lieve non è tragittare nel mare inviolabile delle Colonne d'Eracle, che l'eroe dio piantò testimoni dell'ultimo varco. E domava le fiere enormi del mare, i reflussi esplorava delle lagune egli solo, dove toccò la meta d’illeso ritorno e rivelò la terra. Anima mia, verso quale promontorio straniero tramonti il tuo corso.” Il poeta lirico qui descrive Colonne che, oltre ad essere testimoni dell'ultimo varco nel 'mare inviolabile', conducono in un luogo caratterizzato da 'lagune e un promontorio'.\nQuanto alle antiche dislocazioni delle Colonne nel bacino del Mediterraneo occidentale, ecco, in proposito, le testimonianze di importanti autori antichi:.\n\nPseudo Scilace (VI-V sec. a.C.): descrive Colonne distanti tra loro circa un giorno di navigazione e posizionate una in Libia (che terminava in territorio cartaginese, odierna Tunisia) e una nelle isole Gadire ubicate 'davanti all'Europa'. Colonne strane, queste, la prima dislocata chiaramente, la seconda molto meno. Nel periodo interessato Gadir era identificata con Cadice, ma non è pensabile che Scilace intendesse collocare un pilastro a Cartagine e l'altro al di là dello Stretto di Gibilterra. In realtà il termine Gadir, in lingua fenicia, indicava genericamente un luogo munito di fortificazioni. Il conflitto tra Greci e Cartaginesi nel Mediterraneo occidentale incentivò la costruzione delle opere di difesa, contribuendo così a moltiplicare a dismisura i siti aventi questo nome, come confermano sia le fonti che la toponomastica antica. Ora, le 'isole Gadire' citate dello Pseudo Scilace che ospitano la seconda Colonna sono situate 'davanti all'Europa' e distano un giorno di navigazione dalla prima (territorio cartaginese), pertanto tutte le isole del Mediterraneo occidentale affacciate alla costa africana si candidano per ospitarla (in primis, la Sardegna e le sue isole meridionali che peraltro, coi 7000 nuraghi distribuiti su tutto il territorio sardo, potevano ragionevolmente reggere l'appellativo di isole gadire, cioè fortificate).\nAristotele (IV sec. a.C.): “[...] facendosi strada con uno stretto passaggio alle cosiddette Colonne d’Eracle, l'Oceano penetra nel mare interno come in un porto e, allargandosi poco a poco, si estende abbracciando grandi golfi [...] che costituiscono le cosiddette Sirti, delle quali l'una è denominata Grande e l'altra Piccola. Dall'altra parte non forma più golfi simili a essi e forma invece tre mari, ossia il Mar di Sardegna, il Mare di Galazia e l'Adriatico e, subito appresso, situato in senso obliquo, il Mare di Sicilia”. Queste Colonne quindi separano due mari: da una parte si trovano i golfi delle Sirti (che bagnano le coste della Libia), e 'dall'altra parte' i mari che formano il Mediterraneo occidentale (mare di Sardegna, mare di Galazia o di Gallia e, tramite lo stretto di Messina, l’Adriatico e infine il mare di Sicilia). A proposito della Libia scrive inoltre: “La Libia è quella regione che si estende dall’istmo Arabico (o dal Nilo) fino alle Colonne d’Eracle”. Ne deriva insomma che le colonne descritte da Aristotele risulterebbero dislocate presso il canale di Sicilia. Aristotele, oltre alle Colonne che conducono alle Sirti, ne propone un'altra coppia quando descrive il Mediterraneo come un mare tutto interconnesso e interessato da correnti, fiumi e profondità diverse: “Al di là delle Colonne d'Eracle il mare è poco profondo e calmo a causa della melma perché giace in un infossamento”.\nTimeo di Tauromenio (IV-III sec. a.C.): “La Sardegna si trova presso le Colonne d'Eracle”. Egli, quindi, con questa affermazione perentoria, introduce direttamente l'isola dei Nuraghi tra i luoghi interessati dai “Pilastri” dell'eroe.Le testimonianze più antiche che certificano l’esistenza di molteplici Colonne d’Eracle conducono a luoghi del Mediterraneo Occidentale descritti diversamente dallo Stretto di Gibilterra: Gibilterra è presente nel pensiero prevalente moderno quale luogo di identificazione delle Colonne, ma tale identificazione è in realtà da far risalire solo alla tarda tradizione greca (e latina) e non alle antiche fonti che narravano di navigazioni attraverso le Colonne dell’eroe.\nGiorgio Saba ha pubblicato un lavoro che identifica le Colonne d'Ercole con il Faraglione Antiche Colonne di Carloforte nell'attuale Sardegna .\n\nOltre le Colonne.\nOltre le Colonne, oltre il mondo conosciuto, c'è sempre la speranza di trovare terre migliori, più ricche:.\n\nPlatone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice che novemila anni prima dell'epoca di Solone, dopo avere fallito l'invasione di Atene, sprofondò in un giorno e una notte.\nDante invece pone a cinque mesi di navigazione oltre le Colonne il monte del Purgatorio, che Ulisse riesce a vedere prima che lui e i suoi compagni vengano travolti da un turbine divino (Canto XXVI).\nsulla base della congettura dantesca alcuni, come lo scrittore Paolo Granzotto, hanno ipotizzato che Ulisse abbia navigato effettivamente oltre Gibilterra e abbia raggiunto le isole britanniche, terre effettivamente ricche di metalli preziosi agli occhi dei greci di Omero.\nAltri, invece, come il giornalista Sergio Frau, ridimensionando le potenzialità della tecnica navale greca, riconoscono le Colonne nello stretto di Sicilia, e Atlantide e Tartesso in Sardegna, anch'essa terra molto ricca. Tra l'altro a Nora (area archeologica nel comune di Pula in provincia di Cagliari) è stata ritrovata una stele che riporta la più antica epigrafe che citi Tartesso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cometo (figlia di Pterelao).\n### Descrizione: Cometo (in greco antico: Κομαιθώ?, Komaithó) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Pterelao re di Tafo.\n\nMitologia.\nCometo si innamorò perdutamente di Anfitrione che aveva cinto d'assedio la città di cui il padre era re e per aiutarlo nell'impresa strappò al padre il capello d'oro che gli conferiva l'immortalità, provocandone così il decesso.\nAnfitrione conquistò la città: avendo poi appreso ciò che era accaduto, condannò a morte Cometo. ." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Complesso di Edipo.\n### Descrizione: Il complesso di Edipo è un concetto originariamente sviluppato nell'ambito della teoria psicoanalitica da Sigmund Freud, che ispirò anche Carl Gustav Jung (fu lui a descrivere il concetto e a coniare il termine 'complesso'), per spiegare la maturazione del bambino attraverso l'identificazione col genitore del proprio sesso e il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto.\nSi basa sul mito greco di Edipo, che, a sua insaputa, uccise suo padre Laio e, altrettanto inconsapevolmente, sposò la propria madre Giocasta.\n\nGeneralità.\nNella concezione classica freudiana, il complesso edipico indica un insieme di desideri sessuali ambivalenti che il bambino prova nei confronti delle figure genitoriali. Relativamente alle fasi dello sviluppo psicosessuale, esso insorge durante la fase fallica (3 anni) e il suo superamento introduce al periodo di latenza (6 anni).\nSi tratta di un atteggiamento ambivalente di desiderio di morte e sostituzione nei confronti del genitore dello stesso sesso e di desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore di sesso opposto. Questi sentimenti sono non solo ambivalenti ma anche vissuti negativamente (in maniera opposta), cioè i ruoli dei due genitori (amato e odiato) si scambiano alternandosi.\nL'impostazione di tale problematica ha segnato, fin dagli albori del movimento psicoanalitico, il dissidio Freud-Jung e poi la scissione degli psicoanalisti di orientamento junghiano dall'Associazione Internazionale di Psicoanalisi.\n\nLa questione edipica mostra una natura complessa anche in relazione all'approfondimento del mito greco: secondo il mito, infatti, Edipo non conosceva i suoi veri genitori, essendo stato a questi sottratto ancora infante. L'uccisione del padre e il rapporto con la madre sono stati perciò involontari e causati, paradossalmente, dal loro desiderio di sfuggire al destino così come lo avevano sentito annunciare dall'oracolo. Si potrebbe parlare, in questo senso, piuttosto di complesso, o sindrome, di Laio e/o di Giocasta (i genitori di Edipo), il che riconduce alcune scuole psicologiche ad esplicitare le questioni psicodinamiche di carenza, gelosia e invidia affettive da parte delle figure genitoriali o accudenti; in questo senso il complesso di Edipo sarebbe nient'altro che un modo per invertire le reali responsabilità delle dinamiche inconsce nelle relazioni intra-familiari.\n\nPrimi accenni alla tematica incestuosa-edipica.\nIl primo accenno alla figura di Edipo nell'opera freudiana risale a una lettera scritta da Freud nel 1897 al dottor Fliess, suo amico più intimo in quel periodo. Si tratta solo di un accenno, che però non ebbe seguito immediato; solo lentamente, infatti, questa tematica andrà acquistando la sua centralità in psicoanalisi.\n\nIl trauma sessuale.\nAscoltando i discorsi, le fantasie e i sogni dei suoi pazienti, Freud aveva maturato l'ipotesi che essi manifestassero quei sintomi a causa d'un trauma sessuale risalente alla prima infanzia (teoria della seduzione), e che avevano rimosso a causa di un inconscio meccanismo di difesa. Fu proprio questa prima ipotesi freudiana a scatenare l'indignazione dei benpensanti contro la psicoanalisi, per il fatto stesso che essa implicava non solo il postulato del bimbo come perverso polimorfo, dotato d'una propria sessualità infantile, ma anche l'abuso sessuale di cui l'infanzia è oggetto.\n\nDal trauma (teoria della seduzione) al desiderio (fantasie di seduzione).\nIn seguito, Freud si ricredette a proposito del trauma sessuale, arrivando a sostenere che si trattava quasi sempre solo di fantasie di seduzione. Cominciò così ad elaborare l'impalcatura teorica che è il centro del pensiero psicoanalitico: il desiderio incestuoso, il tabù dell'incesto e la susseguente vicenda edipica. In questa fase Freud giunse a identificare la censura del desiderio incestuoso originario come la causa prima di ogni forma di nevrosi.\nIn seguito, nei quattro saggi pubblicati come Totem e tabù, Freud ipotizzò anche che l'evoluzione del desiderio incestuoso nella vita individuale, prima sperimentato e poi rimosso (il cosiddetto romanzo familiare) fosse al tempo stesso l'evoluzione stessa della civiltà, che avrebbe avuto nella sua origine una uguale rimozione e sublimazione di quell'originario desiderio incestuoso.\nFreud, che imperturbabile procedeva nelle sue ricerche scientifiche coadiuvato in queste da altri pochi pionieri in maggioranza medici, nel suo primo viaggio dall'Europa in America commentò tuttavia in proposito che si accingeva a portare la peste anche oltreatlantico. Ebbe però modo di ricredersi poiché, come ebbe a dire in seguito, la portata radicale del suo messaggio era stata alquanto annacquata dalla psicologia americana.\n\nLo 'scandalo Masson'.\nDurante i primi anni del 1980 Jeffrey Moussaieff Masson, all'epoca fresco direttore dei Freud Archives, «basandosi principalmente sull'esame di documenti riservati ai quali solo lui aveva accesso (soprattutto certe lettere tra Freud e Fliess fino ad allora non pubblicate), sostenne che l'abbandono della teoria della seduzione - cioè l'ammissione di Freud di essersi sbagliato quando originariamente aveva creduto che la genesi della nevrosi nell'adulto dovesse essere ricercata in una reale seduzione sessuale del bambino da parte di un genitore - fu un grave errore, fatale per lo sviluppo e la fecondità della psicoanalisi. Freud - secondo Masson - avrebbe abbandonato questa teoria in realtà non con un atto di coraggio, avendo riconosciuto l'errore e mosso dall'interesse per lo sviluppo della disciplina, ma 'per codardia', perché gli era difficile sostenerla di fronte al mondo accademico di allora, e soprattutto per una difesa inconscia, rivolta a proteggere se stesso, le sue stesse storie di seduzioni, gli errori suoi e dell'amico Fliess. L'abbandono della teoria della seduzione, confessato da Freud nel 1897 in una lettera a Fliess, e reso pubblico solo nel 1905, viene considerato invece dalla tradizione psicoanalitica come un evento che segna la data di nascita stessa della psicoanalisi, il momento in cui questa giovane scienza incominciò a riconoscere l'importanza delle fantasie, e in genere della vita psichica inconscia, e non semplicemente della realtà esterna.\nSecondo Masson sarebbe vero esattamente il contrario: l'abbandono della teoria della seduzione segnerebbe invece la fine della psicoanalisi, non la sua nascita, perché dando enfasi al mondo della fantasia, anziché a quello della realtà, inevitabilmente avrebbe impresso una svolta alla storia della psicoanalisi per aver fatto distogliere l'attenzione dalla realtà della vita del paziente e dagli eventi traumatici che in definitiva sono i veri responsabili dei problemi psichici. Queste posizioni furono esposte da Masson [...] nel libro Assalto alla verità. La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione, che rappresentò l'apice del cosiddetto 'scandalo Masson'.».\n\nL'Edipo e il dissidio Freud-Jung.\nGli stessi protagonisti più conosciuti della storia della psicoanalisi non sono stati risparmiati dal vivere ciò che essi andavano studiando: l'Edipo come mito attuale.\nL'Edipo è stata la causa del dissidio Freud-Jung tra il 1912 e il 1914, e ciò significa due cose:.\n\nJung nel 1912 pubblica un testo eretico dal punto di vista dell'interpretazione freudiana dell'Edipo. Il libro aveva come titolo La libido. Simboli e trasformazioni. In esso lo psichiatra e psicoanalista svizzero, designato successore di Freud alla guida del movimento psicoanalitico internazionale, ritiene che il desiderio incestuoso che sta alla base della vicenda edipica non vada inteso letteralmente e quindi sessualmente. Come egli dice, il desiderio di congiungersi alla madre è il desiderio dell'individuo di ritornare alle proprie radici per rinascere rigenerato a nuova vita e quindi è un desiderio di trasformazione. Il desiderio incestuoso da questo punto di vista acquista quasi il significato di un battesimo, di un'iniziazione alla vita spirituale oltre il concretismo di cui l'interpretazione meramente sessuale della vicenda è essa stessa sintomo e che blocca l'individuo nella vicenda ripetitiva dell'Edipo che fa invece la nevrosi. «L'io è invero il 'luogo del timore', come dice Freud nel Das Ich und das Es ('Wo Es war soll Ich werden', 'Dove è l'inconscio deve diventare Io'); ma solo fino a quando esso non è tornato al 'Padre' e alla 'Madre'. Freud naufraga sulla questione di Nicodemo: 'Può un uomo rientrare nel grembo materno e rinascere?'».\nJung stesso nel trattare le interpretazioni dell'Edipo vive in lui un momento dell'Edipo, in quanto Freud è vissuto da Jung come un padre buono, eroico, stimato, di cui si è onorati di essere il privilegiato tra i fratelli psicoanalisti. Con la pubblicazione di questo libro Jung, in qualche maniera ribellandosi al padre-Freud, lo uccide ai suoi occhi e la relazione tra i due eminenti medici fa venire alla mente il racconto, mitologico anch'esso, della genesi del mondo come raccontata nell'Antico Testamento nel Libro di Daniele allorché la spada di Michele Arcangelo si interpose tra la creatura ambiziosa ma anche presuntuosa e il Creatore. Parimenti una nuova concezione del mondo appena nata in seno alla psicoanalisi come comunità scientifica viene scacciata dalla famiglia psicoanalitica con tutta la sofferenza che ciò ha comportato non solo per il figlio-Jung ma anche per il padre-Freud. Freud infatti non era da meno nella sua stima per Jung e su lui aveva riposto tutte le speranze che nutriva per il futuro della sua creatura, la psicoanalisi, anche perché l'annoverare l''ariano' Jung fra i suoi membri smentiva l'accusa di essere una 'setta ebraica'.\n\nDopo Freud.\nIn forma alquanto simile, due autori come Ernst Bloch (1885-1977) e James Hillman (1926-2011) hanno proposto d'evitare il «complesso materno» di Edipo auspicando una fusione fra le caratteristiche filiali (Puer) e quelle paterne (Senex), «una trasformazione del conflitto tra estremi in unione di uguali» che estrometterebbe la figura genitoriale femminile. Nonostante l'apparenza rivoluzionaria della prospettiva, l'identità (omousia) di Bloch tra Figlio e Padre ereditata dalla teologia cristiana, così come la conjunctio oppositorum di Puer-et-Senex in Hillman, anch'egli esplicito debitore della dottrina trinitaria (coerentemente con questa visione, diversi autori hanno identificato in Gesù una figura che rappresenta i valori opposti a quelli rappresentati da Edipo, ossia il massimo grado di sintonia tra padre e figlio), sembra dimenticare l'aspetto fondamentale del triangolo edipico, dove il ruolo del terzo che spezza la simbiosi bimbo-madre è dovuto proprio allo svezzamento della genitrice che impone al piccolo la meta del «desiderio del desiderio» di lei. Detto altrimenti, non c'è imitatio patris che non si fondi sulle esigenze, aspettative e richieste materne, Giocasta, Grande Madre o Maria che sia.\nInoltre, Bloch e Hillman parlano di oltrepassamento e trascendimento della consueta identità antropobiologica per la risoluzione dei conflitti intergenerazionali e intersessuali, ma non per un loro radicale superamento, bensì per l'approdo al compimento della ierogamia sizigiale.\nKaren Horney sostiene che la struttura dinamica dell'attaccamento infantile ai genitori così come si rileva retrospettivamente nell'analisi dei neurotici adulti, sia «completamente diversa da ciò che Freud concepisce come complesso di Edipo. Essi sono una manifestazione precoce di conflitti neurotici, piuttosto che un fenomeno primario sessuale. (...) Nell'attaccamento, creato principalmente dall'ansia, l'elemento sessuale non è essenziale. (...) Nell'attrazione incestuosa il fine è l'amore, ma nell'attaccamento provocato dall'ansia il fine principale è la sicurezza. (...) In ambedue i gruppi l'attaccamento ai genitori non è uno speciale fenomeno biologico, ma una reazione alle provocazioni esterne».\n\nPsicanalisi e filosofi francesi.\nNella psicanalisi di Jacques Lacan, l'Edipo diventa piuttosto la vicenda dell'accesso all'ordine linguistico del discorso che permette di godere del piacere derivante dal sentirsi appartenenti alla socialità umana, sganciandosi dal tema del piacere sessuale in senso stretto, ovvero della sessualità del bambino.\nNella loro opera L'Anti-Edipo - capitalismo e schizofrenia, del 1972, il filosofo francese Gilles Deleuze e lo psicoanalista Félix Guattari hanno proposto una severa critica della concezione freudiana del desiderio, concepito come mancanza anziché come produzione sociale. In questa ottica, il complesso di Edipo è considerato un'elaborazione interpretativa propria della psicoanalisi, utile per costringere la sessualità del bambino entro il tessuto di relazione proprio della famiglia autoritaria borghese e tradizionale, schizofrenizzando, attraverso l'ambivalenza edipica, il desiderio originariamente univoco e affermativo del bambino, che investe tutto il campo storico-sociale e non esclusivamente il padre e la madre.\n\nIl tabù dell'incesto quale legge universale.\nNel 1949 appare il testo Le strutture elementari della parentela di Claude Lévi-Strauss, etnologo che insieme al linguista Ferdinand de Saussure viene considerato l'iniziatore del metodo di pensiero strutturalista.\nIn esso, dopo ampie ricerche sul campo tra popolazioni da lui considerate ancora allo stato primitivo, l'autore esprime le conclusioni a cui era giunto, secondo le quali tutte le culture pongono un divieto al desiderio incestuoso e pertanto il tabù dell'incesto si configura come una legge universale che è la legge di base senza la quale non potrebbe nascere la cultura come altro dalla natura.\n\nL'Edipo in Lacan.\nOggigiorno, ormai la critica del desiderio incestuoso e dell'Edipo - portata soprattutto dagli junghiani ai freudiani sui limiti di una interpretazione concretistica e quindi meramente sessuale, cioè riduttiva, come si dice nel gergo psicoanalitico - non ha più molta attualità, visto che con Jacques Lacan la lezione junghiana è stata in parte recepita e l'Edipo è inteso come la porta attraverso la quale il singolo individuo accede alla socialità, e perciò al processo di umanizzazione progressiva.\nL'Edipo diviene un processo di iniziazione alla vita sociale e quindi alla vita propriamente umana.\nCon più di cento anni di storia della psicoanalisi alle spalle, siamo quindi molto distanti ormai da una lettura dell'Edipo rozzamente sessuale come poteva essere ai primordi della psicoanalisi. L'Edipo è in breve un momento necessario del processo progressivo della conoscenza, che si appropria del mondo, sì, ma questa appropriazione si realizza mediandola tramite la parola.\nOvviamente Lacan nel suo programma di 'ritorno a Freud' non segue Jung più di tanto e intendiamo riferirci alla natura della funzione simbolica, per cui l'impianto tragico che vede l'uomo crocefisso senza alcuna possibilità di resurrezione in una dialettica infinita tra natura e cultura che aveva fatto parlare Freud di 'disagio della civiltà' permane quale prezzo che il singolo in prima persona deve pagare come costo della civiltà.\n\nCritica dell'Edipo in Deleuze-Guattari.\nTale complesso fu rivisto (nell'Anti-Edipo, 1972) dal filosofo Gilles Deleuze e dallo psicoanalista Félix Guattari i quali contestarono che esso fosse un concetto cardine della psicoanalisi infantile, privilegiando più gli aspetti cognitivi, relazionali e in generale le valenze affettive nel rapporto con i genitori.\nLa critica dell'Edipo svolta dai due autori è una critica a una psicoanalisi che ai loro occhi ha smarrito la dimensione sociale e della storia.\nCome essi dicono, la psicoanalisi era divenuta una storia noiosa, da nuovi preti che ripetono le nuove litanie ad ogni interpretazione: mamma, papà, bambino.\nPer questo leggono la svolta junghiana come un'apertura della psicoanalisi alla storia e alla dimensione sociale anche se non seguono Jung in quello che ai loro occhi è uno sviluppo idealistico della psicoanalisi. Come loro dicono: Jung crede di superare la sessualità.\nLa critica che essi muovono al movimento psicoanalitico è che ritengono in questo che la psicoanalisi non conosca altro che la famiglia edipica e che non riesca ad andare oltre la famiglia edipica. La loro critica all'Edipo in realtà è anche e soprattutto una critica alla famiglia come istituzione che si regge proprio sull'Edipo.\nL'Anti-Edipo vorrebbe essere una critica radicale degli investimenti libidici edipici che ripetono e perpetuano la modalità edipica di investire libidicamente il campo del sociale e della storia.\nIn questa critica non salvano nemmeno l'esperienza dell'antipsichiatria con le sue comunità terapeutiche, che per questi autori somigliano semplicemente a famiglie un po' più allargate. Se si pensa che proprio la famiglia come istituzione era stata forse il maggiore obiettivo di critica del movimento di medici e pazienti detto dell'antipsichiatria che tacciavano l'istituzione famiglia come ammorbatrice della psiche sana dei bambini, come origine di patologie psichiche, risulta chiaro come l'obiettivo dei due filosofi nel condurre la critica a Edipo è proprio non tanto la famiglia in sé o il famigliarismo in cui inseriscono altre varianti di famiglia quanto la radice del famigliarismo: Edipo. E la psicoanalisi è proprio criticata dai due pensatori francesi perché accusata di fare il gioco di questa istituzione che ormai sta inevitabilmente raggiungendo l'esaurimento della sua funzione storica e lo fa puntellando l'Edipo lì dove invece l'Edipo dimostra di non reggere più: nei nevrotici ma soprattutto in coloro che più coraggiosi non volendone più sapere dell'Edipo si dirigono senza le sicurezze di punti saldi di riferimento, verso qualcosa che può rappresentare un'apertura della mente, e in alcuni casi lo è, ma anche una possibile chiusura definitiva nel buio impenetrabile della psicosi. Proprio per questa loro conclusione sono stati accusati di avere un'idea romantica della follia e altri ancora hanno visto dietro la loro critica nietzschiana della mediazione come rappresentazione e spettacolo altro dalla vita, di apologia irresponsabile dell'immediatezza.\nSono stati definiti infine antipsicoanalisti più che antipsichiatri, ma hanno replicato che il loro pensiero è tutt'altro in quanto anzi ritengono che l'analisi dell'inconscio sia una pratica rivoluzionaria irrinunciabile dopo che la semplice conquista del potere statale ha dimostrato come la rivoluzione esclusivamente politica possa trasformarsi in una nuova forma di fascismo.\nIl significato dell'Anti-Edipo è a ogni modo una denuncia contro qualcosa che non va, a loro parere, nella psicoanalisi; riferendosi al pensiero di Lacan che era uno dei loro referenti teorici il quale si lamentava che nessuno lo aiutava concludono: noi abbiamo voluto aiutare la psicoanalisi a liberarsi dall'Edipo.\n\nOltre l'interdipendenza che sostanzia l'Edipo: l'intersoggettività radicale.\nQuesto è in sintesi il programma psicoanalitico che la psicoanalista Silvia Montefoschi di formazione junghiana ma i cui debiti alla dialettica hegeliana servo-padrone non sono pochi, svolge a partire da 'L'uno e l'altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico' del 1977.\nIn questo libro la teorizzazione dell'infrazione simbolica del tabù dell'incesto come la via di conoscenza che conduce oltre l'Edipo prende il suo avvio e abbandonato nei lavori successivi il tradizionale paesaggio psicoanalitico della relazione duale analista-analizzato si avventura nei territori del sociale e della storia aprendo la riflessione psicoanalitica alla stessa storia biologica e materiale dell'umanità sino alla sua origine nel big bang.\nIn questa rilettura psicoanalitica della storia dell'universo tutto, la chiave interpretativa, dell'incesto e del suo tabù che generano l'Edipo, scaturita proprio dalla nuova scienza psicoanalitica, trova conferma non solo come legge universale dell'universo umano bensì dell'universo tutto ivi incluso del mondo atomico e molecolare sino ad arrivare all'atto iniziale da cui tutto è scaturito: il big bang.\nConseguente a questa lettura del percorso dell'essere nella storia, è la proposta, scaturita dalla viva esperienza psicoanalitica dell'inconscio universale della stessa psicoanalista e di tutti coloro che con lei hanno condiviso la coriflessione sui messaggi provenienti dall'inconscio, dell'intersoggettità radicale quale 'rivoluzione radicale del reale' che chiude definitivamente la storia dell'universo come la storia delle ripetute infrazioni del tabù dell'incesto che ha fatto la storia della materia, quella biologica e infine quella umana e della civiltà." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Complesso di Elettra.\n### Descrizione: In psicoanalisi, il complesso di Elettra è una sorta di analogo femminile del complesso di Edipo. Secondo la definizione di Carl Gustav Jung, tale complesso si definisce come il desiderio della bambina di possedere il padre e della competizione con la propria madre per il possesso del genitore.\n\nOrigine del nome.\nIl nome viene dal personaggio mitologico di Elettra, figlia di Agamennone e Clitemnestra. Quest'ultima aveva fatto uccidere il suo sposo dal proprio amante Egisto e, quando Elettra scoprì di chi fosse la responsabilità della morte di suo padre, si vendicò facendo uccidere la madre dal proprio fratello Oreste.\n\nCaratteristiche.\nIl complesso di Elettra è descritto come fase di passaggio dello sviluppo psicosessuale. Quest'ultimo consiste, a sua volta, di cinque fasi successive: orale, anale, fallica, latente e genitale, a seconda delle varie zone erogene della bambina dalle quali origina la libido. Tale fenomeno si presenta tra i tre e i sei anni di età, durante la fase fallica.\nLa teoria era stata già proposta da Sigmund Freud nella sua definizione del complesso di Edipo: il bambino, di qualsiasi sesso, intorno ai tre anni si accorge che i genitori intrattengono rapporti sessuali dai quali si sente escluso; ma mentre il bambino entra in competizione con il proprio padre per ottenere l'attenzione di sua madre, la bambina, non avendo il pene, più che entrare in conflitto aperto con il padre, non soffre del complesso di castrazione, cioè la paura di perdere il pene, ma della frustrazione legata al fatto di non averlo. Tra le varie reazioni che la bambina può avere vi è quella di scegliere il padre come obiettivo sessuale; scelta calcolata in quanto mirata ad appropriarsi del pene che le manca e che comunque non esclude la pulsione sessuale naturale verso la propria madre, anche se durante la fase acuta del complesso quest'ultima è vista sia come rivale per il possesso del pene paterno, sia come responsabile per averla creata senza pene." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Conosci te stesso.\n### Descrizione: L'esortazione «conosci te stesso» (in greco antico γνῶθι σαυτόν, gnōthi sautón, o anche γνῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón) è una massima religiosa greco antica iscritta nel tempio di Apollo a Delfi.La locuzione latina corrispondente è nosce te ipsum. È anche utilizzata in latino la versione temet nosce.\n\nOrigine.\nSulla base dell'opera di Porfirio Sul «conosci te stesso» essa viene fatta risalire a quattro possibili, differenti origini:.\n\ncreata da Femonoe (già Pizia, sacerdotessa di Delfi) o da Fenotea;.\ncreata da uno dei sette savi: Talete, Chilone o Biante;.\npronunciata dall'oracolo delfico (quindi attribuita ad Apollo stesso) in risposta a un quesito di Chilone;.\nriportata sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi quando questo venne ricostruito in pietra dopo essere stato distrutto.Altri riferimenti:.\n\nDiogene Laerzio (I, 40) riferisce che Antistene la attribuì a Talete.\nPer Demetrio Falereo (Müllach, fr. 3) l'autore è Chilone.\nCitata anche in Pittaco Sentenze, 16.\nSocrate domanda a Eutidemo se l'ha vista nel tempio di Apollo a Delfi (Senofonte, Detti memorabili, IV, 2, 24).\n\nSignificato.\nGli studiosi, anche se con alcune differenze, concordano sul fatto che con questa sentenza Apollo intimasse agli uomini di «riconoscere la propria limitatezza e finitezza».\nNel Prometeo incatenato di Eschilo, con analoga sentenza Oceano consiglia Prometeo:.\n\nEd è proprio a partire da questa opera che lo scoliaste indica la sentenza delfica nella forma greca a noi più nota: γνῶθι σεαυτόν (gnōthi seautón) commentando così: «conosci te stesso ed abbi la consapevolezza di essere inferiore a Zeus».\nL'invito a 'stare al proprio posto', a non 'sconfinare' in ruoli che non gli sono propri, a conoscere i propri limiti è quello mosso da Apollo a Diomede (V, 440-2) e ad Achille (X, 8-10) nell'Iliade; in quanto, come rammenta Apollo allo stesso Posidone, gli uomini non sono altro che «dei miseri mortali che, come le foglie, ora fioriscono in pieno splendore, mangiando i frutti del campo, ora languiscono e muoiono».\nIl significato originario è incerto: per deduzione da alcune formule a noi pervenute (Nulla di troppo, Ottima è la misura, Non desiderare l'impossibile), l'intento sarebbe quello di voler ammonire l'interlocutore a conoscere i propri limiti, «conosci chi sei e non presumere di essere di più»; sarebbe stata dunque una esortazione a non cadere negli eccessi a non offendere la divinità pretendendo di essere come il dio. Del resto tutta la tradizione antica mostra come l'ideale del saggio, colui che possiede la sophrosyne (la saggezza), sia quello della moderazione.\n'Conosci te stesso' non solo era una frase incisa in greco sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, ma era anche una delle sentenze memorabili attribuite ai Sette Sapienti dell'antichità (tra cui si annovera Talete di Mileto, considerato per convenzione il primo filosofo occidentale). Così si esortava gli uomini a indagare nelle profondità della propria anima, riconoscendo però al contempo la propria condizione mortale e la limitatezza umana. Socrate ne fece la sua massima preferita, interpretandola come un chiaro invito a considerare i limiti della conoscenza umana (il celebre 'sapere di non sapere', consapevolezza necessaria prima di procedere lungo la via virtuosa del vero mediante la dialettica). Ciò si connette socraticamente all'arte maieutica: il vero maestro deve aiutare i propri allievi a trarre da sé la verità così come fanno le ostetriche, che aiutano le donne a partorire. Al contrario, non bisogna imporre la verità dogmaticamente dall'esterno.\nSecondo Giovanni Reale la comprensione del motto non può prescindere dalla conoscenza dell'elaborazione successiva di Platone e dei Neoplatonici (pur tenendo presente la maggior vicinanza di Socrate con l'originaria religione delfica). In particolare Platone, nell'Alcibiade Maggiore, sostiene che per conoscere adeguatamente noi stessi, dobbiamo guardare il divino che è in noi.\nNon a caso troviamo questo concetto in vari elementi filosofici e religiosi del periodo ellenico e romano, gli Orfici credevano che l'anima fosse di natura divina e infatti la chiamavano dáimōn, che significa divinità minore. Inoltre per gli stoici la realizzazione, chiamata oikeiosis, avveniva attraverso la percezione interna, pratica simile se non identica alla meditazione di base induista e buddhista, mentre nel neoplatonismo l'anima proveniva dall'Uno ed attraverso l'estasi tornava ad Esso. Infine nello Gnosticismo, in cui la cultura greca ebbe grande influenza, la conoscenza del Divino partiva dalla conoscenza di sé che spesso si otteneva attraverso pratiche meditative.\n\nNelle Enneadi di Plotino questo precetto delfico è al centro della trattazione della parte antropologica e psicologica e segna il percorso evolutivo e mistico diretto al congiungimento con la propria essenza divina.\nUn concetto simile si trova anche nel monito di Sant'Agostino: 'Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas' («Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede la verità»).\nIl processo conoscitivo, sostiene infatti Agostino, non può che nascere all'inizio dalla sensazione, nella quale il corpo è passivo, ma poi interviene l'anima che giudica le cose sulla base di criteri che vanno oltre gli oggetti corporei.\nEgli osserva come ad esempio i concetti matematico-geometrici che applichiamo agli oggetti corporei abbiano le caratteristiche spirituali della necessità, dell'immutabilità, e della perfezione, mentre gli oggetti in sé sono contingenti. Per esempio nessuna simmetria, nessun concetto perfetto si potrebbe riconoscere nei corpi se l'intelligenza non conoscesse già in anticipo questi criteri di perfezione. Da dove deriva questa perfezione? La risposta è che al di sopra della nostra mente c'è una somma Verità, una ratio superior, ossia più elevata del mondo sensibile, dove le idee restano immutate nel tempo e ci permettono di descrivere la realtà degli oggetti contingenti.\nSi può notare come Agostino assimili quei concetti perfettissimi alle Idee di Platone, ma diversamente da quest'ultimo egli le concepisce come i pensieri di Dio che noi intuiamo non in virtù della platonica reminiscenza, ma per illuminazione operata direttamente da Dio.\n\nCultura di massa.\nNella trilogia cinematografica di Matrix l'Oracolo ha una targa in legno che riporta la scritta «temet nosce», che serve da monito e da guida ai potenziali Eletti, come Neo, al fine di capire e comprendere essi stessi e assurgere così a un livello superiore di coscienza e autocoscienza." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Contesa del Tripode.\n### Descrizione: La contesa del tripode è un episodio della mitologia greca che vede protagonisti Eracle e Apollo, che si contendono il tripode dell'oracolo di Delfi.\n\nIl mito.\nDopo le dodici fatiche, Eracle si cimentò in altre imprese. Tra queste, in preda alla follia e alla malattia, si recò presso il Santuario di Apollo a Delfi, dove c'era il famoso oracolo, e, vistosi rifiutare il responso da parte della Pizia, cercò di impossessarsi del tripode, emblema del santuario e oggetto rituale sopra il quale la sacerdotessa dava i responsi del dio. Ne nacque una contesa con Apollo, nella quale risultò vincitore il dio, cosicché il tripode rimase nel santuario di Delfi. Tale racconto mitico potrebbe aver tratto ispirazione dal tentativo di ingerenza dei popoli che nel VII secolo a.C. volevano estendere la loro influenza sul santuario." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Corebo (Eneide).\n### Descrizione: Corebo è un giovane guerriero nell'Eneide. Viene menzionato anche da Quinto Smirneo nell'opera Posthomerica, e dallo Pseudo-Euripide nel Reso.\n\nMito.\nFiglio del re Migdone di Frigia e di Anassimene, innamorato di Cassandra, viene ucciso da Peneleo durante la notte della caduta di Troia, nel tentativo di difendere la sacerdotessa amata.\n\n(Virgilio, Eneide, libro II, traduzione di Luca Canali).\n\nCollegamenti esterni.\n\nCorebo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\n(EN) Coroebus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Coribanti.\n### Descrizione: I coribanti (in greco antico: Κορύβαντες?, Korýbantes) erano i sacerdoti di Cibele, una divinità anatolica solitamente identificata con Rea.\n\nGenealogia.\nDiverse e contrastanti sono le tradizioni legate alle loro origini: le sei versioni più verosimili e accettate sono:.\n\nfigli di Saoco e della ninfa Combe;.\nfigli di Crono;.\nfigli di Helios e di Atena;.\nfigli di Zeus e della musa Calliope;.\nfigli di Apollo e della musa Talia;.\nin alternativa, figli di Apollo e della ninfa Retia.\n\nMitologia.\nSecondo la leggenda essi onoravano la loro divinità con danze sfrenate e orgiastiche, durante le quali spesso si autoinfliggevano delle ferite.\nSuonando tamburi, cimbali e flauti creavano musica basata sul ritmo ossessivo per curare l'epilessia e per sconfiggere la malinconia di Zeus.\nInoltre onoravano il pino in onore di Attis (figlio della dea).\nFurono spesso identificati con i Cureti e i Grandi Dei di Samotracia.\n\nNomi e numero.\nI Coribanti erano solitamente sette. Nonno di Panopoli fornisce i loro nomi, che sono per questo autore gli stessi dei Cureti, ovvero Melisseo, Damneo, Ideo, Primneo, Mimante, Acmone, Ocitoo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Corinto (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Corinto era un re ed eponimo della città di Corinto.\n\nIl mito.\nCorinto era l'eroe dell'omonima città, e nelle sue parti si era diffusa la credenza delle sue origini divine, dove si presumeva che fosse figlio del padre degli dei, Zeus. Questa credenza dei Corinzi era mal vista dagli altri greci, tanto che arrivarono a creare il proverbio 'Corinto, figlio di Zeus', che indicava un qualcosa di ripetitivo e monotono.\nIl suo padre mortale era Maratone, con cui viaggiò per poi tornare e diventare re di Corinto, e secondo una versione del mito fu ucciso dai propri sudditi. Il suo successore fu Sisifo, della stirpe di Deucalione, che lo vendicò." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Corito (figlio di Paride).\n### Descrizione: Corito (in greco antico: Κόρυθος?, Kórythos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Paride e della ninfa Enone. I suoi fratellastri erano i figli di Paride e Elena: Bugono, Agano, Ideo ed Elena II.\n\nMitologia.\nDopo il rapimento di Elena di Sparta da parte di Paride, Enone, delusa dal comportamento dell'amato, mandò Corito a combattere tra i Greci nella guerra contro Troia e questi, una volta giuntovi, fu notato da Elena.\nEra talmente bello che riuscì a conquistarle il cuore, ma fu scoperto dal suo stesso padre, che lo uccise.\nSecondo Partenio, invece, Corito sarebbe un figlio degli stessi Paride ed Elena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cornucopia.\n### Descrizione: La cornucòpia, letteralmente corno dell'abbondanza, dal latino cornu («corno») e copia («abbondanza»), è un simbolo mitologico di cibo e abbondanza. Si trova in mano ai Lari e alla dea Fortuna.\n\nStoria.\nSecondo la mitologia greca è il corno perduto dal fiume Acheloo nella lotta con Ercole per Deianira e riempito dalle Naiadi di fiori e di frutta, come simbolo dell'abbondanza, alludendo con ciò alla fertilità della valle dove scorreva l'Acheloo e all'imbrigliamento del fiume stesso per opera di qualche principe velato sotto il nome del semidio.\nSecondo un'altra versione del mito, il corno apparterrebbe ad Amaltea, la capra che accolse e nutrì Zeus nella sua infanzia a Creta. Come ringraziamento il padre degli Dei benedisse le sue corna conferendo loro poteri magici.\nIn forma di corno traboccante frutta e fiori è spesso presente nei dipinti in braccio alla figura simbolica dell'abbondanza. È anche uno dei tradizionali attributi della fortuna.\n\nVoci correlate.\nAbbondanza (divinità).\nAmaltea (mitologia).\nCornucopia (araldica).\nCorno portafortuna.\n\nAltri progetti.\nWikizionario contiene il lemma di dizionario «cornucopia».\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla cornucopia.\n\nCollegamenti esterni.\nCornucopia, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato l'8 febbraio 2016." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Corono.\n### Descrizione: Corono (in greco antico: Κόρωνος?) è un personaggio della mitologia greca, fu un re dei Lapiti ed uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio di Ceneo e padre di Andremone e di Leonteo e della figlia Liside.\n\nMitologia.\nOriginario della Tessaglia, Corono il lapita partecipò all'impresa della riconquista del vello d'oro rispondendo all'appello di Giasone.\nRientrato nel suo regno fu coinvolto nella guerra che lui stesso intraprese per una questione di confine contro i Dori di Estiotide e governati dal re Egimio.\nSulle primi Lapiti del monte Olimpo al suo comando ebbero la meglio ma quando gli avversari proposero ad Eracle un terzo del loro regno in cambio del suo aiuto, questi accettò l'alleanza e vinse.\nCorono morì in battaglia.\n\nSignificati.\nCorono significa corvo, cornacchia, Infatti molti uomini famosi secondo il mito si trasformavano dopo la morte in corono, ovvero in corvi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Corrispondenza tra divinità greche e romane.\n### Descrizione: Le corrispondenze tra divinità greche e romane sono il segno più visibile di un continuum religioso e culturale tra le popolazioni che hanno orbitato intorno al Mar Mediterraneo e che si sono spinte verso il nord dell'Europa.\nSulla scorta di questa tesi, i diversi Pantheon e culti religiosi si sono differenziati nel corso del tempo e in base alle caratteristiche culturali di ogni popolo; sono stati influenzati dalle invasioni di popoli nomadi provenienti dall'Est e dalla diffusione del cristianesimo; sono stati esportati oltreoceano, riconoscibili nel folclore americano d'origine anglosassone.\nNella religione romana esistevano 'spiriti protettori' del benessere familiare e sociale a cui si rivolgevano riti privati in famiglia. Questi 'spiriti protettori' erano i Mani, spiriti benevoli degli antenati ai quali rivolgersi nelle feste delle Parentalia, quando il popolo si recava alle tombe per onorarli; i Penati, che garantivano il benessere della famiglia, ricordati in ogni casa con delle statuette votive, poste in una nicchia, spesso vicino al focolare domestico; i Lari, protettori della proprietà famigliare, collocati e venerati in una nicchia sul muro esterno della casa. Accanto ad essi c'erano tutte le divinità romane. Infatti il Pantheon (cioè l'insieme delle divinità) di Roma era molto popolato. Capo di tutti era Giove; seguiva sua moglie Giunone, Minerva, Marte, Apollo e tanti altri. Queste divinità furono riprese da quelle della religione greca e poi rivisitate, cambiando loro nome e qualche caratteristica fisica. Infatti il capo degli dei Giove, corrisponde nel Pantheon greco a Zeus, Giunone ad Era, Marte ad Ares, Minerva ad Atena, e così via. Solo alcuni di questi presentano lo stesso nome in entrambe le religioni: ad esempio Apollo, dio della luce, ed Eolo, dio del vento.\nLe corrispondenze tra divinità greche e romane spiccano immediatamente all'occhio essenzialmente per la stretta vicinanza temporale tra le due culture, ma anche per l'importanza egemonica che i due popoli hanno avuto nel mondo antico.\nLa tabella sottostante riporta alcune corrispondenze:.\n\nVoci correlate.\nDictionary of Greek and Roman Biography and Mythology.\n\nCollegamenti esterni.\nCarlos Parada, Greek Mythology Link, su maicar.com." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Corteo bacchico.\n### Descrizione: Il corteo bacchico si formava durante il baccanale, una festività romana - ma di origine greca - che si celebrava a sfondo propiziatorio, alla semina e alla raccolta delle messi. Divenne poi una festa orgiastica, al tempo della vendemmia.\n\nDescrizione.\nIl baccanale era un culto misterico, ossia riservato a soli iniziati: cioè i sileni e le baccanti o menadi, che cadevano in preda a frenesia estatica e si sentivano invasate dal dio. Con il nome Sileno si indicava un satiro anziano e barbuto. Si narrava che il saggio Sileno, dopo aver educato Dioniso giovinetto, si era abbandonato al vizio del bere, per cui veniva sempre rappresentato ubriaco.\nRappresentare in pittura la scena del corteo bacchico o tiaso bacchico, con il vecchio Sileno in groppa a un asino e con Bacco (o Sileno) ubriaco e trasportato a braccia da satiri, con la presenza di leonesse o di leopardi, con menadi che danzano e suonano tamburelli e piatti, tornò di moda nel Rinascimento. La rappresentazione di Bacco o di Sileno che con il ventre gonfio incede a fatica, sostenuto da due o da quattro satiri, era presente in altorilievi, in dipinti parietali, anche in cammei di epoca romana. Marcantonio Raimondi, nella sua incisione Baccanale, probabilmente misse insieme figure che vide in diverse raffigurazioni d'epoca romana. A questa sua incisione sono riferibili successive rappresentazioni del corteo bacchico. Secondo l'estro del pittore, alla raffigurazione del corteo bacchico furono aggiunti amorini e satirelli, paesaggi con vigneti, botti coppe e boccali, caproni e anche il carro con Bacco e Arianna.\n\nRappresentazioni del corteo bacchico." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Coti (mitologia).\n### Descrizione: Coti (in greco antico Κότυς Kòtys) era una dea adorata nella Tracia, che veniva celebrata con feste religiose note come Cotizie. Era particolarmente adorata tra gli Edoni. I greci consideravano Coti un aspetto di Persefone.\n\nEtimologia.\nIl nome Coti secondo alcune fonti avrebbe il significato di 'guerra, macellazione' simile al norreno Höðr, che significa 'guerra, macellazione'.\n\nCulto.\nI seguaci di Coti erano conosciuti come βάπται bàptai, che significa 'bagnanti', perché la loro cerimonia di purificazione pre-culto comportava un elaborato rituale di balneazione.\nCoti era spesso adorata durante le cerimonie notturne, che erano spesso associate a orge e ad un comportamento osceno.Il suo culto era molto simile al culto della dea Bendis.\nCoti era adorata anche a Corinto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cotto (mitologia).\n### Descrizione: Cotto nella mitologia greca era uno dei tre giganti Centimani o Ecatonchiri, figli di Urano e Gea.\nPartecipò, insieme a Briareo e Gige, gli altri due Ecatonchiri, alla Titanomachia, dopo che Zeus liberò lui e i suoi fratelli dalla prigionia nel Tartaro.\nFu messo in seguito insieme agli altri due giganti a guardia dei Titani, rinchiusi in un'enorme fortezza nel Tartaro con delle grandi porte di metallo create da Poseidone.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Cotto, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cranao.\n### Descrizione: Cranao (in greco antico: Κραναός?) è un personaggio della mitologia greca, successe a Cecrope divenendo il secondo mitologico re di Atene.\nCranao era un autoctono 'figlio del suolo' e sposò Pedias che era figlia di Mynes e proveniva dalla Laconia. Fu padre di Cranae, Menaechme ed Attide, quest'ultima morì giovane e Cranao diede il suo nome all'Attica.\nSecondo Esichio di Alessandria Cranao fu anche il padre di Raro (Ῥᾶρος) e risulta che Anfizione abbia sposato una delle sue figlie.\n\nMitologia.\nDurante il suo regno (1506-1497 a.C. circa) dovrebbe essere avvenuto il Diluvio universale citato da Deucalione e secondo alcune fonti lo stesso Deucalione fuggì da Licorea ad Atene con i figli Elleno ed Anfizione. Deucalione morì poco dopo e si pensa che sia stato sepolto vicino ad Atene.\nCranao fu deposto da Anfizione che regnò al suo posto divenendo il terzo re." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Creonte (figlio di Liceto).\n### Descrizione: Creonte (in greco antico: Κρέων?, Kréōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Liceto e re di Corinto e padre di Glauce e Ippote.\nNelle Fabulae, Igino lo chiama figlio di Meneceo erroneamente, in quanto il Creonte a cui si riferisce è invece il re di Tebe.\n\nMitologia.\nCreonte interviene nella vicenda di Giasone e Medea, decidendo di dare la propria figlia Glauce in sposa a Giasone in modo che questi ripudiasse Medea. Quest'ultima volle allora vendicarsi, così fece un sortilegio su alcuni vestiti e gioielli, che inviò come regalo alla promessa sposa. Questi, una volta indossati dalla vittima, cominciarono a bruciare, facendo morire sia Glauce sia il padre Creonte, accorso per aiutarla.Secondo una tragedia perduta di Euripide, riassunta nella Biblioteca di Apollodoro, Alcmeone affidò a Creonte la cura dei due figli avuti dalla veggente Manto, Anfiloco e Tisifone. Quest'ultima crescendo divenne così carina che per gelosia la moglie di Creonte la fece vendere come schiava. Tisifone fu successivamente acquistata da suo padre Alcmeone, che non riconoscendola non comprese la verità, fino a quando un giorno si recò a Corinto per riavere i suoi figli e lì scoprì tutto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Creontiade.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Creontiade (in greco antico: Κρεοντιάδης) era il nome di uno dei figli di Eracle e di Megara, figlia di Creonte, il re di Tebe.\n\nIl mito.\nEracle durante la sua pazzia uccise Creontiade, i suoi fratelli e alcuni dei suoi cugini.\n\nPareri secondari.\nSolo alcuni autori parlano dei suoi fratelli indicando anche i loro nomi: Terimaco e Deicoonte, ma altri invece affermano che da Megara Eracle ebbe sette figli e nessuno con il nome di Creontiade. Pausania nei suoi libri parla della tomba dei figli di Megara, visibile a Tebe.\n\nCulto.\nIn onore dei figli morti di Megara vi furono delle feste celebrate ogni anno, dove si effettuavano sacrifici." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cresfonte.\n### Descrizione: Cresfonte (in greco antico: Κρεσφόντης?, Kresphóntēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide e re di Messene.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aristomaco, sposò Merope e fu padre di Telefonte, più un secondo figlio non nominato ed un terzo di nome Epito.\nNella tragedia di Euripide intitolata Cresfonte, il nome del figlio innominato è lo stesso del padre (Cresfonte).\n\nMitologia.\nDopo aver conquistato il Peloponneso, Cresfonte il fratello Temeno ed due figli di Aristodemo (Procle ed Euristene), costruirono tre altari dedicati a Zeus e cercarono un accordo per dividersi in tre parti la regione appena conquistata.\nCresfonte desiderava la Messenia, la parte più ricca e poiché per decidere chi fosse il primo a scegliere stabilirono un sistema di estrazione a sorte, decisero di gettare ognuno un sasso in un'anfora colma d'acqua cosicché quando ognuno di loro avesse ripescato proprio sasso, si sarebbe stabilito chi fosse il primo a scegliere.\nL'astuzia di Cresfonte, fu quella di gettare una zolla di terra anziché un sasso e la zolla sciogliendosi subito nell'acqua non poté in nessun modo essere ripescata. Questo stratagemma gli diede il diritto di scegliere la parte che desiderava.\nPoiché il suo governo era principalmente diretto a favore del popolo, i ricchi si ribellarono e lo uccisero assieme a tutti suoi figli eccetto Epito.\nApollodoro scrive che il suo uccisore fu Polifonte (un altro Eraclide) e che questi, prima sposò la vedova di Cresfonte (Merope) e poi fu ucciso da Epito.\nIgino cambia il nome di Epito con Telefonte.\nAlla morte di Cresfonte, suo successore fu Polifonte.\n\nTragedia di Euripide.\n\nNella tragedia di Euripide, intitolata Cresfonte esiste un figlio omonimo del padre (Cresfonte) che durante la ricerca del padre viene accolto dalla madre Merope che lo spaccia per l'assassino del marito." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Creta (Grecia).\n### Descrizione: Creta (AFI: /ˈkrɛta/; in passato anche Creti /ˈkrɛti/; in greco Κρήτη?, Krī́tī, AFI: [ˈkɾiti]; in greco antico: Κρήτη?, Krḗtē, AFI: [krέːtεː]) è un'isola greca, la maggiore e più popolosa del Paese e la quinta per estensione (8 261 km²) tra quelle del Mediterraneo dopo la Sicilia, la Sardegna, Cipro e la Corsica. Assieme agli isolotti contigui costituisce la periferia di Creta (in greco: Περιφέρεια Κρήτης, Periféreia Krī́tīs), una delle province greche, e la diocesi decentralizzata di Creta (in greco: Αποκεντρωμένη Διοίκηση Κρήτης, Αpokentrōménī Dioíkīsī Krī́tīs), una delle prefetture greche, due distinte seppur coestensive autorità con 623 065 abitanti e capoluogo Candia.\nTra il III e il II millennio a.C. l'isola fu il fulcro della civiltà minoica, una delle più antiche civiltà avanzate d'Europa, che aveva in Cnosso, Cidonia e Festo i suoi centri principali. Nel corso dei secoli fu conquistata e abitata da micenei, greci, romani, bizantini, musulmani andalusi, veneziani e con una breve parentesi di dominio dei genovesi (1267-1290) e turchi ottomani fino alla definitiva unificazione con lo stato greco nel 1913.\nCreta è tra le principali mete turistiche della Grecia per via dei numerosi siti archeologici e naturalistici e per il particolare patrimonio culturale di cui dispone, espresso attraverso specificità linguistiche, letterarie, musicali e gastronomiche.\n\nGeografia fisica.\nCreta dista circa 95 km dalla Grecia continentale e costituisce il limite meridionale del mar Egeo e quello settentrionale del mar Libico. Su tutti i lati è circondata da un gran numero di isole minori e isolotti, tra cui Gozzo, il punto più meridionale dell'Europa fisica. Il suo nome proviene dalla presenza di una grandissima quantità di creta (o argilla, materiale con cui gli abitanti costruivano utensili e vasi). Ha una forma stretta e lunga; il suo terreno è in massima parte montuoso e le pianure costituiscono una percentuale modesta del suo territorio. Fra queste la più importante è la piana di Messarà, posta nella zona centro-meridionale.\nTra i massicci montuosi i più importanti vi sono:.\n\nil massiccio del Monte Ida, che culmina a 2.456 metri;.\nil massiccio dei Lefka Ori (i monti bianchi), che raggiungono un'altitudine di 2.454 metri;.\nDikti Oros, la cui cima più elevata raggiunge i 2.146 metri.Le coste sono in genere molto frastagliate, ma esistono profonde differenze tra la costa settentrionale e quella meridionale.\nLa prima è più densamente popolata a causa delle catene costiere che scendono più dolcemente verso il mare.\nLa seconda, invece, è perlopiù ripida e scoscesa e ha un clima molto più secco, ed è stata sempre poco popolata.\n\nIsole minori.\nNumerose sono le isole e gli isolotti che si trovano a breve distanza da ambedue le coste. Alla costa settentrionale appartiene l'isola di Dia (municipalità di Gouves). Alla costa meridionale appartengono le isole di Gozzo, Mikronissi e Chrysi.\n\nStoria.\nOrigini.\nLa prima civiltà mediterranea risale all'età del bronzo 3000 a.C., e venne definita 'minoica', termine derivato da Minosse e coniato dall'archeologo britannico Arthur Evans, che riportò alla luce la città di Cnosso a Creta.\n\nLa vantaggiosa posizione geografica dell'isola favorì il sorgere di un fiorente impero marittimo che dal Mar Egeo controllava una rete commerciale che raggiungeva l'Egitto, la Siria, le regioni a nord del mar Nero e l'Occidente.\nLa civiltà cretese presenta una scrittura geroglifica cuneiforme denominata 'lineare A', che, a differenza della scrittura 'lineare B' micenea, non è stata ancora decifrata; una testimonianza di questa scrittura è la tavoletta di Festo.\nIl centro economico e politico di Creta erano i palazzi. Possiamo benissimo capire che la popolazione non era propensa alla guerra, poiché le città non erano protette da mura.\nGli affreschi ritrovati nei palazzi (come nel caso di Cnosso) ci mostrano scene di cerimonie religiose, processioni, gare tra atleti (la più famosa era quella del salto del toro chiamata taurocatapsia) a cui anche le donne potevano partecipare come anche in veste di sacerdotesse e nelle processioni e decorazioni con elementi naturalistici. Si pensava che inizialmente si fosse sviluppato un culto della vegetazione. Molti sono infatti i santuari naturali come le grotte, fonti e monti, poiché in origine le cerimonie religiose si svolgevano all'aperto, a contatto con la natura. Solo in seguito alcuni locali vennero dedicati al culto anche all'interno dei palazzi. Sulle divinità minoiche si sa poco: l'unica figura ritrovata è femminile ed è ritratta in tante piccole statuette. In lei gli studiosi riconoscono la grande dea madre che incarna la fertilità; è accompagnata spesso da serpenti, leoni e uccelli.\n\nLa decadenza dei Cretesi.\nA Thera, oggi Santorini, attorno al 1620-1610 a.C. esplose un vulcano. Seguì una catena di terremoti di cui risentì anche Creta, da quel momento in poi iniziò la sua decadenza, di cui non sono state trovate le ragioni. Nel 1400 a.C. circa Creta non seppe resistere all'invasione dei Micenei, un popolo bellicoso della città di Micene, posta nel Peloponneso: il grande palazzo di Cnosso venne nuovamente distrutto e non fu più ricostruito.\nIl declino progredì e accelerò nell'XI secolo a.C., quando i Dori occuparono interamente l'isola di Creta. Da allora Creta non si distinse più dalle altre città della Grecia; quando altrove fiorivano le polis, lì vigevano ordinamenti arcaici (leggi di Gortina) e Creta fu importante solo come emporio di mercenari. La costituzione di Gortina, a carattere aristocratico come quella spartana di cui quella cretese fu forse il modello, prevedeva un governo collegiale di dieci cosmi, magistrati appartenenti alla nobiltà corrispondenti ai cinque efori spartani i quali governavano la città con l'assistenza della gherusia, un consiglio di anziani scelti fra gli ex cosmi. Con il dissolvimento dell'impero macedone di Alessandro Magno (IV secolo a.C.) i Cretesi riuscirono a conservare una certa indipendenza e l'economia si volse alla pratica della pirateria.\n\nPeriodo romano e bizantino.\nL'esercizio della pirateria portò Creta in urto con i Romani. Quinto Cecilio Metello Cretico la conquistò nel corso di una campagna contro i pirati dal 69 a.C. al 67 a.C.\nNel 34 a.C., a seguito della Donazione di Alessandria, l'isola venne ceduta da Marco Antonio a Cleopatra d'Egitto; fu in seguito conquistata da Ottaviano, dopo la battaglia di Azio contro la flotta egizia. Con la riforma augustea del 27 a.C. venne incorporata nella provincia di Creta e Cirene e con la riforma dioclezianea fu nuovamente separata e fece parte della Diocesi delle Mesie . Con la spartizione definitiva dell'impero alla fine IV secolo d.C. Creta entrò a fare parte dell'Impero bizantino.\n\nDominazione araba.\nSubì la dominazione araba dall'826 al 961, anno in cui fu riconquistata dal generale bizantino Niceforo Foca, destinato in seguito a salire sul trono imperiale.\n\nPeriodo veneziano: Candia.\nIn seguito agli eventi della quarta crociata fu occupata dai Veneziani che la tennero dal 1204 al 1669 e presero a chiamare l'isola come la sua capitale, Candia.\nEretta a ducato su modello della madrepatria nel 1212, venne divisa in feudi raccolti in sei regioni, ciascuna assegnata a coloni di uno dei sestieri di Venezia. Il governo autonomo dell'isola venne inoltre organizzato su modello di quello veneziano, attraverso un sistema di assemblee.\nOggetto di numerose e sanguinose rivolte, sia da parte della locale popolazione greca sia dei nobili veneziani ivi residenti (1274, 1277, 1283-1299, 1332-1333, 1341-1348), l'ultima ribellione, quella del 1363-1366, portò a una feroce repressione da parte di Venezia, la quale privò Creta della sua autonomia e dei suoi privilegi e la pose sotto il diretto governo della Repubblica, inviandovi stabilmente dei governatori, i provveditori.\nFiorente centro di commerci, divenne il principale possedimento coloniale della Serenissima e suo ultimo baluardo nella secolare lotta contro i turchi.\n\nPeriodo ottomano: Girit.\nGli Ottomani sbarcarono sull'isola nel 1645 conquistando La Canea e cinsero d'assedio Candia (o Iraklio, capoluogo dell'isola) che capitolò il 27 settembre 1669, dopo la strenua difesa di Francesco Morosini, durata ben 23 anni, durante i quali la città si ridusse a un cumulo di macerie (tra i veneziani i morti furono circa 30 000, tra i turchi 80 000) coinvolgendo nobiltà e volontari da tutta l'Europa. Nel 1715 capitolava anche la fortezza di Spinalonga, ultimo baluardo della presenza della Serenissima sull'isola.\nDal 1832 al 1840 Creta fu sotto la dominazione egiziana. Nel 1867 una insurrezione fu domata solo parzialmente dall'intervento severo e crudele di Omar Pascià. In questo ambito è rimasto famoso l'episodio della battaglia di Arkadi, un monastero a sud di Retimo nel quale si erano asserragliati numerosi capi della rivolta. Il 9 novembre 1866 esso fu espugnato, a caro prezzo, dalle truppe turche e tutti i capi della insurrezione restarono uccisi. Nel 1897, a sostegno di una nuova insurrezione, prontamente soffocata dal sultano, scoppiò la guerra greco-turca, a cui seguì l'intervento internazionale, in particolare un contingente di Carabinieri italiani permise la formazione di un Reggimento di Gendarmeria per mantenere l'ordine pubblico, in seguito al quale Creta ottenne uno statuto autonomo, nell'ambito dell'impero ottomano; fu nominato alto commissario il principe Giorgio di Grecia. Nel 1913, dopo la fine delle guerre balcaniche, Creta fu assegnata alla Grecia con il trattato di Londra.\n\nLa seconda guerra mondiale.\nIl 20 maggio del 1941 le truppe tedesche occupavano Creta con un fulmineo sbarco aereo navale 'Operazione Mercurio' costringendo le truppe britanniche a una precipitosa ritirata. Questo capitolo della seconda guerra mondiale è passato alla storia come battaglia di Creta. L'intervento costituiva il completamento dell'occupazione della penisola balcanica e della Grecia realizzato dalle truppe tedesche che avevano invaso la Grecia dopo il fallimento dell'invasione italiana dell'Epiro e aveva spinto i britannici a intervenire per aprire un fronte balcanico. L'operazione fu affidata soprattutto ai soldati delle truppe paracadutiste guidate dal generale Kurt Student.\nNonostante le alte perdite subite essi riuscirono ad avere ragione delle truppe del Commonwealth - britannici, australiani e neozelandesi - anche se queste avevano nel frattempo ricevuto rinforzi dall'Egitto, mentre a est sbarcava un corpo di spedizione italiano proveniente dal Dodecaneso. Il 1º giugno 1941 l'isola era completamente in mano all'Asse. Rimase presidiata da Tedeschi e Italiani fino all'8 settembre 1943. In seguito all'armistizio dell'Italia e alla cattura della guarnigione da parte germanica l'isola rimase presidiata dai Tedeschi sino al maggio del 1945.\n\nMonumenti e luoghi d'interesse.\nAgía Triáda.\nMonastero di Arkadi.\nGortina.\nGournia.\nMuseo archeologico di Candia.\nKáto Zákros, palazzo minoico.\nCnosso.\nLato.\nMália, palazzo minoico.\nFesto (Phaistós), palazzo minoico.\nFourní (Phourni), necropoli.\nSpinalonga, fortezza veneziana.\nTylisos.\nVathypetro.\nMonastero di Preveli.\nForesta di palme a Vai.\nGole di Samariá.\nMonte Ida.\nLaguna di Balos.\nspiaggia rosa di Elafonīsi.\n\nCultura.\nCucina.\nUn piatto tipico dell'isola è il dakos, una fetta di pane guarnita con pomodori, feta ed erbe locali.\n\nMusica.\nLa lira cretese è lo strumento più diffuso e suonato nell'isola.\n\nPolitica.\nSuddivisione amministrativa.\nLa periferia di Creta è ripartita in 24 comuni (dhimi) distribuiti in quattro unità periferiche aventi per capoluogo Candia, La Canea, San Nicolò e Retimo; l'intero territorio corrisponde a una delle sette diocesi istituite con il programma Callicrate, nonché alla chiesa ortodossa di Creta, retta in status di semi-autonomia da un arcivescovo ma posta sotto la giurisdizione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.\n\nUnità periferiche.\nComuni.\nA seguito della riforma in vigore dal 1º gennaio 2011 Creta è divisa nei seguenti comuni:.\n\nAgios Vasileios.\nAmari.\nAnogeia.\nApokoronas.\nArchanes-Asterousia.\nCandia.\nChersonissos.\nFesto.\nGozzo.\nGortina.\nIerapetra.\nKantanos-Selino.\nKissamos.\nLa Canea.\nMalevizi.\nMinoa Pediada.\nMylopotamos.\nOropedio Lasithiou.\nPlatanias.\nRetimo.\nSan Nicolò.\nSfakia.\nSitia.\nViannos.\n\nPrefetture.\nNel vecchio sistema di suddivisione amministrativa, Creta era divisa in 4 prefetture che corrispondono alle attuali unità periferiche.\n\nEconomia.\nL'economia di Creta è prevalentemente basata su servizi e turismo. Tuttavia l'agricoltura svolge un ruolo importante e Creta è una delle poche isole greche che possono sostenersi indipendentemente senza turismo. L'economia ha cominciato a cambiare visibilmente negli anni settanta, dato che il turismo ha acquisito importanza. Sebbene agricoltura e allevamento di bestiame siano ancora importanti, a causa del clima e del terreno dell'isola, si è registrato un calo della produzione e un'espansione dei servizi (soprattutto nel turismo). Tutti e tre i settori dell'economia cretese (agricoltura, trasformazione-imballaggio, servizi) sono direttamente connessi e interdipendenti. L'isola ha un reddito pro capite molto superiore alla media greca, mentre la disoccupazione è di circa il 4%, un sesto di quello del paese in generale. Come in molte regioni della Grecia la viticoltura e gli oliveti sono significativi; vengono coltivati anche aranci e citroni. Fino a poco tempo fa sono state limitate le importazioni di banane in Grecia, pertanto le banane sono state coltivate sull'isola, prevalentemente nelle serre. I prodotti lattiero-caseari sono importanti per l'economia locale e ci sono una serie di formaggi locali come mizithra, anthotyros e kefalotyri.\n\nInfrastrutture e trasporti.\nAeroporti.\nSull'isola vi sono sei aeroporti di cui tre con traffico commerciale:.\n\nSport.\nCalcio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Creusa (figlia di Priamo).\n### Descrizione: Creusa è una figura della mitologia greca. Era figlia di Priamo e di Ecuba e sposò Enea, dando alla luce Ascanio. Mentre fuggiva insieme al marito da Troia, si perse. Enea tornò sui propri passi a cercarla, ma incontrò solo la sua ombra, che lo spinse a proseguire il viaggio, iniziato per volere degli dei.\n\nIl mito.\nCreusa, detta Euridice nella tradizione più antica, era figlia di Priamo e di Ecuba, nonché sorella di Ettore, Paride, Laodice, Cassandra e Polissena. In gioventù, ebbe come nutrice una donna di nome Caieta, da cui in seguito prese il nome la città di Gaeta.In seguito, Creusa sposò Enea, figlio di Anchise, da cui ebbe un figlio, Ascanio, e forse una figlia, Etia.Creusa si smarrì la notte della caduta di Troia. Enea riempì di richiami le strade alla ricerca della moglie, finché scorse il suo fantasma. L'eroe tacque per l'orrore, i capelli irti sul capo. Creusa parlò ribadendo che gli dèi avevano voluto che ella non seguisse il marito nei suoi viaggi ma fosse assunta in cielo per servire Cibele, la Grande Madre. In un estremo, toccante addio, l'ombra della donna ripose in Enea il suo amore per il figlioletto Ascanio. Enea protese gemendo le braccia per abbracciare Creusa, ma il fantasma si dissolse come un soffio di vento.\n\nAltre versioni.\nNella tradizione romana tramandataci da Ennio, ebbe due figlie da Enea, come si ricava dal frammento da cui è tratto Il sogno di Ilia.\n\nAlbero genealogico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Criaso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Criaso era il nome di uno dei figli di Argo e Evadne.\n\nNella mitologia.\nDi lui racconta Apollodoro, che rimane fra le varie versioni la più importante, racconta di sua madre la figlia del dio mare Strimone e dei suoi fratelli: Ecbaso, Pira e Peranto (o Epidauro).\nSposò Melanto e fu il padre di Forbante, Ereutalione e Cleobea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Criosfinge.\n### Descrizione: La criosfinge è un essere mitico molto presente nella scultura egizia. Si tratta di un leone con testa di ariete, talvolta portante un copricapo. Nell'Antico Egitto essa simboleggiava la possanza fisica e l'energia fecondatrice del dio Amon-Ra, in quanto riuniva la forza del leone e l'ardore delle capre.\nIl nome 'criosfinge' venne coniato da Erodoto dopo che questi ebbe visto le sfingi a testa di capra egiziane.\nSono criosfingi le statue che si trovano in fila davanti al tempio di Luxor (l'antica Tebe), e nei dromos dei templi dedicati ad Amon presenti a Karnak e a Napata.\n\nCuriosità.\nLa figura della criosfinge è stata utilizzata per l'interno dell'album degli Iced Earth Something Wicked This Way Comes.\nAndrosfinge, Ieracosfinge e Criosfinge sono anche i nomi di tre carte di Yu-Gi-Oh! (rispettivamente EP1-002, TLM-012, TLM-013).\n\nVoci correlate.\nIeracosfinge (Erodoto dette il nome anche a quest'altra figura).\nAndrosfinge.\nSfinge.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Criosfinge." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Crisaore.\n### Descrizione: Crisaore (in greco antico: Χρυσάωρ?, Chrysáōr) è un personaggio della mitologia greca figlio di Medusa o (a seconda del mito) nato dal suo sangue.\nCrisaore si unì all'oceanina Calliroe da cui nacquero il gigante con tre teste Gerione e la madre di mostri Echidna.\n\nMitologia.\nEra un gigante armato di una spada d'oro, da cui il nome Crisaore che in greco significa 'spada d'oro'.\nEsistono due miti differenti sulla sua origine.\n\nNella prima versione, egli nacque da un'avventura amorosa di Poseidone con la Gorgone Medusa sotto gli occhi della casta Atena (secondo alcune fonti, addirittura nel tempio della dea); quest'ultima, inorridita dallo spettacolo, maledisse la ragazza, rendendola il terribile mostro noto per il potere pietrificatore del suo sguardo e i capelli serpentini.\nIn base alla seconda versione, invece, Crisaore nacque assieme a Pegaso dal sangue di Medusa quando Perseo la uccise mozzandole la testa.Durante la sua vita Crisaore uccise numerosi uomini che avevano compiuto azioni molto malvagie, seguendo una condotta di vita impeccabile; per tal motivo Poseidone andava fiero di lui, tanto che lo fece portatore anche della sua arma sacra.\n\nNella cultura di massa.\nCrisaore compare nella serie di romanzi Eroi dell'Olimpo di Rick Riordan, dove, contrariamente al mito, è un crudele pirata, nemico minore dei protagonisti.\nNell'anime e manga I Cavalieri dello zodiaco vi è un personaggio chiamato Crisaore, che brandisce una lancia d'oro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Crise.\n### Descrizione: Crise (in greco antico: Χρύσης?, Chrýsēs) è un personaggio della mitologia greca, sacerdote di Apollo.\n\nGenealogia.\nSecondo Eustazio di Tessalonica, il padre di Crise fu Ardi (Ardys). Crise è il padre di Criseide (presumibilmente sono originari della città di Crisa), ed è fratello di Brise, a sua volta padre di Briseide.\n\nMitologia.\nSacerdote troiano del dio Apollo, all'inizio del libro dell'Iliade giunge presso le navi degli Achei che hanno rapito sua figlia Criseide per chiederne la restituzione «con molto prezzo».Rivoltosi agli Atridi Agamennone e Menelao, riceve dal primo un adirato rifiuto alla sua richiesta di riscatto; di conseguenza, allontanatosi, invoca la vendetta di Apollo, il quale, infuriato per il sacrilegio, con una pestilenza fa strage di guerrieri achei dopo aver ucciso una grande quantità di «giumenti e presti veltri»." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Criseide.\n### Descrizione: Criseide è il patronimico usato da Omero nell'Iliade per denominare la fanciulla Astinome. Criseide fa parte della mitologia greca, è figlia di Crise sacerdote d'Apollo.\nCugina di secondo grado di Ettore, Paride e tutti i loro fratelli e sorelle.\nNel primo libro dell'Iliade, Criseide è schiava di Agamennone, che se ne è impadronito quale preda di guerra e rifiuta di restituirla al padre Crise. Apollo, di cui Crise è sacerdote, scatena così una pestilenza tra l'esercito greco, per fermare la battaglia. Agamennone è costretto a rinunciare a lei; in cambio però pretende di avere Briseide, schiava di Achille, atto che offende il guerriero a tal punto da indurlo a rifiutarsi di proseguire la guerra contro Troia.\nSecondo una tarda leggenda greca, narrata nelle Fabulae di Igino, la fanciulla ebbe da Agamennone un figlio, che chiamò Crise (come suo padre).\nEbbe anche una breve relazione amorosa con l'eroe Achille, prima della sua morte.\nAlcuni affermano che Crise l'avesse mandata a Lirnesso perché fosse più sicura, oppure affinché partecipasse ai festeggiamenti in onore di Artemide.\nNella letteratura medievale, Criseide si sviluppa nel personaggio di Cressida, protagonista della celebre opera shakespeariana.\n\nIn letteratura.\nLe vicende di Criseide vengono narrate in diverse opere:.\n\nNell'Iliade di Omero si narra di Criseide schiava di Atride (Agamennone figlio di Atreo).\nNelle Fabulae, Igino riprende i temi dell'Iliade e in due di esse ('Crise' e 'Il riscatto di Ettore') parla di Criseide.\nNel Crise di Pacuvio si narra di Crise, appunto, figlio di Criseide ed Agamennone e nipote di Crise il vecchio.\nNel Filostrato di Giovanni Boccaccio, dell'amore di Criseide e Troilo, l'ultimo figlio di Priamo, e della morte di quest'ultimo. Di quest'opera esiste anche una versione in prosa di Loys de Beauvau intitolata 'Romanzo di Troilo'.\nAnche Geoffrey Chaucer dedica il poema Troilo e Criseide allo sfortunato amore.Nel poema settecentesco Inarime di Camillo Eucherio Quinzio (o de Quintiis) compare una Criseide, ma si tratta della ninfa che fonde l'oro nelle sorgenti d'acqua.\n\nNell'arte.\nLuigi Ademollo, Ulisse riporta la figlia Criseide al sacerdote Crise, incisione su carta, XVII-XIX secolo.\nFelice Giani, Crise che con doni prega Agamennone di rilasciargli la figlia Criseide, affresco, inizio del XIX secolo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Crisippo (mitologia).\n### Descrizione: Crisippo (in greco antico Χρύσιππος, Chrýsippos) è un personaggio della mitologia greca, secondo il mito tebano, fu il figlio di Pelope e della ninfa Astioche.\n\nMitologia.\nCostui abitava nella reggia del padre quando, esule da Tebe durante il regno di Anfione e Zeto, venne invitato come ospite da Laio e questi non appena lo vide, fu preso da una violenta passione e fece di Crisippo il suo amante.Ippodamia però, la matrigna di Crisippo e moglie legittima di Pelope, non volendo correre rischi verso l'eredità del regno destinata ai suoi figli, s'insinuò una notte nella stanza dove i due amanti dormivano e uccise Crisippo per accusare poi del delitto Laio che gli giaceva accanto.Ispirandosi a questa leggenda, Euripide compose una tragedia, intitolata Crisippo, nella quale rivide il racconto originario e, a imitazione dell'altra e più famosa leggenda riguardante Giove e Ganimede, narra che Crisippo viene rapito da Laio, condotto a Tebe e nella reggia tebana finisce vittima dell'incontenibile brama del suo rapitore; dopo di che, il giovane per la vergogna si toglie la vita.\nNel finale, al padre Pelope, sconvolto dal dolore, non resta altro che maledire Laio, augurandogli di non aver mai figli o, se ne avesse avuti, rimanere ucciso da colui che aveva generato.\nUn'ulteriore versione della leggenda più antica, appartenente alla mitologia di Micene, coinvolgeva invece nella morte di Crisippo la brama di potere dei due fratelli Atreo e Tieste, i quali, temendo che Pelope avesse intenzione di privilegiarlo nella successione, lo uccisero, istigati da Ippodamia, loro madre nonché matrigna del giovane Crisippo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Crisomallo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Crisomallo era il nome di un ariete dal vello d'oro, dotato di poteri magici. Era stato generato da Poseidone e Teofane.\n\nIl mito.\nAtamante fu prima sposo di Nefele ed in seguito di Ino. Dalla prima moglie ebbe due figli: Frisso ed Elle, ma la seconda moglie non vedeva di buon occhio i due ragazzi e decise, con uno stratagemma, di condannarli a morte. Infatti con il sacrificio di Frisso sarebbe terminata, a suo dire, la carestia che colpiva il popolo. Ermes, il messaggero degli dei, aveva già donato il magico Crisomallo a Nefele. Quando la donna seppe del pericolo che minacciava i suoi figli subito lo inviò a salvarli. L'ariete, che comprendeva il linguaggio umano e sapeva volare, subito li raggiunse e li portò in salvo. Il suo vello d'oro sarà poi oggetto di disputa e l'inizio dell'impresa che Giasone compirà con gli Argonauti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Croco (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Croco (in greco antico: Κρόκος, Krókos) era il nome di un giovane ricordato per il suo amore infelice con una ninfa.\n\nIl mito.\nCroco era innamorato di una ninfa chiamata Smilace, ma non era corrisposto, gli dei allora tramutarono Croco in una pianta e in seguito anche la ninfa. Secondo altre fonti i due morirono insieme amandosi.\nSecondo un'altra versione del mito, riportata da Galeno, Croco era un giovane di grande bellezza amato da Ermes, che lo uccise accidentalmente giocando al lancio del disco. Profondamente turbato e tormentato dalla colpa, il dio trasforma il giovane nel fiore omonimo insieme con la ninfa Clori. La storia è talmente simile a quella di Giacinto da aver fatto ipotizzare ad alcuni studiosi che essa ne sia una variazione o che, più semplicemente, Galeno abbia confuso i due miti.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLa pianta in cui la donna venne trasformata era usata a quei tempi nei culti dionisiaci." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Crotone (mitologia).\n### Descrizione: Crotone (in greco antico: Κρότων?, Króton; in latino Croto), figlio di Eaco, nella mitologia greca era il nome dell'eroe famoso per avere dato il nome alla città omonima situata nell'Italia meridionale.\n\nIl mito.\nEracle, di ritorno da una delle sue fatiche (quella che lo vide occupato contro Gerione), si riposò a casa di tale Crotone. La mandria di cui il semidio era incaricato di occuparsi fu rubata da un ladro; subito Eracle, insieme a Crotone, andò a stanarlo nel luogo dove abitava, ma nella seguente colluttazione oltre al ladro morì Crotone, ucciso proprio dal figlio di Zeus. Eracle pianse la morte del caro amico. Senza indugio, provvedette alla costruzione di un reale monumento funebre, supplicando gli Dei di far sì che su quella tomba sorgesse una delle città più fiorenti dell'antica Magna Grecia.\nSecondo una leggenda, l'oracolo di Apollo a Delfi ordinò ad Archia di Corinto di fondare Siracusa, mentre a Miscello di Ripe di fondare una nuova città nel territorio compreso fra Capo Lacinio e Punta Alice. Dopo aver attraversato il mare ed esplorato quelle terre, Miscello di Ripe pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già florida e accogliente anziché affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città. Il dio adirato gli ordinò di rispettare il responso dell'oracolo. Secondo Ovidio sarebbe stato invece Eracle ad ordinare a Miscello di Ripe di recarsi sulle rive del fiume Esaro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Cubismo orfico.\n### Descrizione: Il cubismo orfico (od orfismo) è un movimento pittorico sviluppatosi in Francia nei primi anni del 1910.\n\nStoria.\nIl movimento deve il suo nome allo scrittore e critico francese Guillaume Apollinaire, che lo aveva scelto per definire il gruppo di artisti chiamati Section d'Or, su suggerimento di Jacques Villon. Tra loro vi erano anche i suoi fratelli, Raymond Duchamp-Villon e Marcel Duchamp, e, inoltre, Roger de La Fresnaye, Fernand Léger, Marie Laurencin. Questa compagnia aveva l'obiettivo di rappresentare dei quadri che avessero rigorosi rapporti geometrici tenendo comunque conto della vitalità del colore presente in essi. Section d'Or fu anche il titolo della rivista che crearono e del Salon col quale esordirono a Parigi nel 1912.\nQuesti artisti erano soliti riunirsi nella casa parigina di Jacques Duchamp, sita nel sobborgo di Puteaux. Tutti avevano sviluppato una visione del cubismo diversa da quella del cosiddetto gruppo di Montmartre (rappresentato principalmente da Picasso e Braque): le composizioni incominciarono ad essere completamente create dal pittore e non tratte dalla realtà, il colore tornò parte essenziale del dipinto, non più finalizzato alla mera scomposizione dei volumi. Questo rimando all'orfismo vuole sottolineare la spiritualità espressa attraverso il colore e la sua suggestione.\nI pittori František Kupka e Robert Delaunay, furono tra i maggiori esponenti dell'arte astratta e dell'orfismo.\n\nInfluenze.\nIl cubismo orfico influenzerà il movimento futurista, soprattutto per quel che riguarda il movimento, la velocità, e le nuove tecniche pittoriche basate sulla simulazione della cronofotografia (in quegli stessi anni Giacomo Balla stava facendo sperimentazioni fondamentali in tal senso).\nIn realtà il Futurismo compare prima nel 1909 con il dinamismo simultaneo, è il Cubismo orfico a sviluppare le idee futuriste, ma dopo il 1909." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Culti ateniesi.\n### Descrizione: Ogni città della Grecia antica possedeva specificità culturali che gli consentivano di rafforzare la propria identità. Questi adattamenti sono facilitati dall'assenza di dogmi scritti e dall'attaccamento del clero al potere politico. Sono generalmente caratterizzati dall'esistenza di una divinità tutelare e da una storia romanzata e poi sacralizzata. Ad Atene troviamo questi elementi in un mito fondativo.\n\nMito fondativo.\nLa città fu fondata secondo il mito da Cecrope, un serpente nativo della terra d'Attica e primo re del luogo. Per Erodoto, gli dei dell'Olimpo non erano assenti a questa fondazione. Infatti, Atena e Poseidone si disputarono la protezione della città e, per sedurre gli abitanti, offrirono rispettivamente la prima un olivo e dei cavalli. Il regalo della dea era quello che seduceva di più i nativi. Cecrope scelse l'ulivo, che fu la base dell'agricoltura in Attica nei tempi antichi; in cambio, la città prese il nome della sua nuova dea protettrice, scegliendo come emblema il gufo (comunemente l'animale che rappresenta Atena), con la promessa di non praticare sacrifici umani e adorare Zeus come re degli dei. L'Eretteo, tempio dell'Acropoli, fu costruito in memoria di questo evento sul luogo in cui sarebbe stata fatta la scelta del sovrano. Oltre Cecrope Erittonio, un altro leggendario re di Atene, è considerato il fondatore della festa delle Panatenee e l'inventore del carro, ispirato da Atena. Fu in suo onore che l'Eretteo fu costruito.\nInfine, il leggendario re Teseo che è il capo del sinecismo ateniese, dopo aver rilasciato la sua città cretese al giogo imposto dal Minotauro, il ricordo del sinecismo è stato guardato dai sinecisti (συνοικίαι / sunoikíai), celebrando ogni anno il sedicesimo giorno del mese delle Ecatombi.\n\nReligione civica.\nTeofrasto scrisse che le antiche prescrizioni del culto ateniese erano state copiate sul regolamento delle cerimonie dei Coribanti cretesi. La religione occupa un posto preponderante nella vita dei greci, tutti gli eventi sono legati alla volontà divina. Per l'ateniese si aggiunge a questo forte rispetto greco per i culti e i miti particolare devozione alla loro dea protettrice a causa dell'attribuzione ad Athena dell'invenzione dell'olio di oliva, essenza dell'agricoltura per gli abitanti dell’Attica, così come i successi militari della città dall'assimilazione della dea della Vittoria Nike ad Athena. L'importanza data a quest'ultima all'interno del Pantheon, pertanto, aumentò solo con l'aumento della dominazione militare ateniese che viene tradotta con un vero e proprio imperialismo. La ricchezza di questa egemonia, tra cui il tributo della Lega di Delo è stato utilizzato per costruire i magnifici templi dell'Acropoli, l'obiettivo era di ringraziare la dea benefattrice per impressionare altre città. L'influenza culturale ateniese beneficiava anche della nuova fortuna della città, il teatro diventava gratuito per i cittadini. Questo intrattenimento, il più popolare, era collegato al dio Dioniso, il cui culto festivo sembrava essere il più stimato nell'antica Grecia. Questa divinità era quindi il principale contrappeso a un dominio dello spazio religioso ateniese da parte dell'unica dea Atena. Per capire l'importanza della religione nella società ateniese, dobbiamo sapere che al suo apice erano riportati più di 100 giorni non lavorativi per onorare le divinità, tra cui Dioniso e Atena.\nLa religione Ateniese si distingue non solo per la sua forte concentrazione su queste due divinità, ma anche per la sua funzione di integrazione. Le panatenee, le più grandi feste di Atene, esclusivamente in onore di Atena, erano quindi un'occasione per riunire tutti gli abitanti della città tra cui i meteci (stranieri), le donne e i bambini che sfilavano in coda alla processione andando al tempio dell’Eretteo con il peplo, una lunga tunica appositamente tessuta da cento ragazze ateniesi per coprire la statua lignea di Atena Polia (protettrice). La partecipazione di tutti a questo rito centrale della religione ateniese era il vero simbolo del carattere dell'unità sociale di questa religione, e quindi consentiva d’essere considerarla come 'civica'.\nLa religione non costituisce un cemento della società ateniese unicamente attraverso questa celebrazione, come dimostrano le Tesmoforie, celebrazioni riservate alle donne, durante le quali la preda veniva sacrificata a Demetra. Questa religione civica faceva parte di un contesto più ampio rappresentato dalle liturgie, compiti di interesse generale finanziati da un ricco cittadino, alcuni dei quali erano religiosi come l'organizzazione di spettacoli teatrali gratuiti.\n\nAdattamenti democratici.\nIl nuovo regime di democrazia ateniese, creato da Clistene, arricchisce la religione ufficiale di un nuovo culto, basato sui miti preesistenti e che legittima la riorganizzazione spaziale dell'Attica. Rafforza quindi l'aspetto civico della religione ateniese. Così, le entità politiche su cui si muovono le nuove istituzioni democratiche, le 10 tribù, che ricevono la protezione di un eroe eponimo, che sono queste:.\n\nEretteide.\nEgeide.\nPandionide.\nLeontide.\nAcamantide.\nEneide.\nCecropide.\nIppotoontide.\nAiantide.\nAntiochideLe celebrazioni si svolgono sull'agorà in onore di questi protettori locali, tuttavia la credenza è debole, questa nuova adorazione non incontra alcun fervore popolare. Soprattutto, funge da simbolo della coesione ateniese, come dimostra l'esistenza del monumento agli eroi eponimi, composto da 10 statue di bronzo che rappresentano tutti questi eroi e situato di fronte al Bouleuterion, vale a dire, al centro di Atene: questa piattaforma serviva per esporre i decreti e le leggi dell'Ecclesia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Culti e templi dell'antica Siracusa.\n### Descrizione: I culti e templi dell'antica Siracusa risalgono all'epoca preistorica, greca e romana della città.\nSiracusa (in greco antico: Συϱάϰουσαι?, Syrakousai) durante l'epoca greca fu il principale centro culturale e religioso della Sicilia. Grazie ai contatti con i diversi popoli del Mediterraneo la polis si arricchì di culti e dèi venerati presso i templi.\nNella città si trovano i resti archeologici del più antico tempio siciliano edificato in stile dorico e dedicato al dio del sole Apollo. Nel parco archeologico della Neapolis, inoltre, sorge una delle più vaste aree votive dell'antichità: l'Ara di Ierone.\nUna peculiarità siracusana è quella di avere incorporato interamente uno dei suoi templi più importanti, il tempio di Atena, facendolo divenire una chiesa cristiana (cattedrale della Natività di Maria Santissima); ancora oggi è possibile ammirarne le imponenti colonne, collocate in entrambi i lati delle navate dell'edificio. Un altro antichissimo tempio, consacrato a Demetra e Kore, è stato incorporato nell'area del santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa.\n\nContesto storico.\nSiracusa e le ninfe.\nSiracusa è un luogo ricolmo di acqua, sia dolce che salata. Circondata dal mare, al suo interno si sviluppano numerose sorgenti, grazie alla falda freatica iblea. Sorgenti, letti di fiumi e paludi vennero consacrate dai Siracusani a divinità del mondo acquatico. Per comprendere la grande importanza dell'acqua per questa città, basti considerare che finanche il suo nome, secondo le fonti, deriverebbe da una delle sue paludi: «Syraka», il cui significato sarebbe per l'appunto «abbondanza di acqua».\nLe sue sorgenti divennero ben presto sede delle ninfe: creature femminili protettrici della natura e degli esseri umani. Siracusa legò particolarmente il suo nome a due ninfe: Aretusa e Ciane; entrambe furono tumultuosamente tramutate in acqua pura: la prima divenne la fonte che sgorga nell'isola consacrata ad Artemide, Ortigia, mentre la seconda formò la fonte consacrata a Kore, sua divina compagna. Il fatto che entrambe le fonti furono sede di culto - i pesci della fonte Aretusa erano sacri e nelle acque della fonte ciane si compivano sacrifici - acuisce la sacralità rappresentata dall'elemento acquatico: l'acqua come simbolo di vita, di purificazione, di rinascita.\nPer i Siracusani la fonte Aretusa recava in sé le acque sacre del fiume Alfeo proveniente dall'Elide (Ibico, Scoli a Teocrito, I, 117), poiché il suo eponimo, il dio fluviale Alfeo, figlio del Titano Oceano, si era perdutamente invaghito di una ninfa seguace di Artemide, Aretusa; questa per sfuggirgli invocò la sua dea che colta da pietà la mutò in fonte. Alfeo ridiventò a sua volta fiume ed entrambi sprofondarono sottoterra nel solco aperto da Artemide, riaffiorando in superficie nell'isola sacra di Artedime, Ortigia. In verità si narra che un tempo la bramosia di Alfeo fosse rivolta alla stessa Artemide, in Siracusa infatti si venerava l'Artemide Alfeiola, solo in seguito la sua figura sarebbe stata sostituita da quella della ninfa.\nLa ninfa Ciane ebbe un popolare culto a Siracusa, probabilmente trasportato dall'Eubea - poiché in origine Siracusa è stata coinvolta dalla presenza euboica - e la fonte Ciane potrebbe essere un ricordo euboico delle argonautiche rupi o isole-roccia Cianee (vd. anche la figura di Cianippo che indica sia un re di Argo e sia il padre di Ciane in un'altra versione meno nota del mito). Il culto per Ciane è legato al letto del fiume Ciane, sito appena fuori dalla porta sud di Siracusa, e alla sua omonima fonte. Ciane, in greco antico: Κυανῆ?, Cyăne, significa «azzurro», narra il mito che fosse compagna della dea Kore, detta Persefone, figlia di Demetra e signora della primavera.\n\nLe ninfe e l’oracolo di Maie ad Akrai.\nIl legame tra Ciane, Kore, Aretusa e Demetra.\nNarra Ovidio che Kore venne rapita presso le campagne fiorite di Enna dal dio Plutone, re dell'Ade, e che Ciane, sua amica, tentò di salvarla cercando di trattenere il carro del dio, ma questi giunto alle porte di Siracusa, con il suo tridente trasformò Ciane in una fonte e si immerse in essa, scomparendo sott'acqua con Kore e aprendo da lì un varco per il suo tenebroso regno. La madre Demetra giunta presso la fonte incontrò Aretusa la quale le disse di aver visto in quelle acque galleggiare Persefone, divenuta ormai regine dell'Ade. Demetra colta dall'ira devastò allora le campagne della Sicilia.\n\nErcole arrivato a Siracusa si recò presso la fonte e in onore di Persefone vi sacrificò uno dei suoi tori più belli, ordinando e insegnando ai Siracusani come fare i sacrifici ogni anno per commemorare il rapimento di Kore, la figlia della dea della Terra e il gesto eroico di Ciane, divinità della natura. Si istituirono così, per volere di Ercole, le panegiris.\n\nIl tempio di Ciane.\nDiodoro Siculo dà testimonianza di un tempio dedicato a Ciane nei pressi del tempio di Zeus Olimpico: lo storico di Agira afferma che Dionisio I e il suo esercito, nel 396 a.C., per sorprendere i Cartaginesi durante uno degli assedi perpetrati durante le guerre greco-puniche, si accampò presso il tempio di Ciane.I resti calcarei di questo tempio, o santuario, sono stati riconosciuti dall'archeologo Francesco Saverio Cavallari in un sito poco distante dal fiume Ciane, nei pressi delle sue sorgenti, tra Cozzo Pantano e Cozzo Scandurra, nel quale sono stati rinvenuti elementi architettonici e votivi d'epoca arcaica. Alcuni di essi, come dei grandi recipienti trovati allineati lungo la parete, ricordano esattamente il culto delle ninfe, alludendo alla descrizione omerica dell'antro delle Naiadi presso Itaca:.\n\nVicino a questo sito è stata rinvenuta una testa di una divinità, identificata come tale grazie alla presenza in cima al capo del Polos; ornamento che conferiva sacralità alle figure femminili, essa è stata scolpita in stile dedalico agli inizi del VI secolo a.C. con il calcare del Plemmirio (sito siracusano prossimo al Ciane e all'Anapo), ed è divenuta celebre poiché vi si è identificata, data la vicinanza con il presunto santuario, il volto della ninfa Ciane.\n\nGli Olimpi.\nAfrodite.\nL'Afrodite Callipigia di Siracusa.\nAfrodite è venerata sotto diversi nomi, ma soprattutto tramite la leggenda delle sorelle Kallipige. Cicerone parla dell'esistenza di un tempio in Ortigia.\n\nIl culto dell'Afrodite siracusana in Adriatico.\nApollo.\nAd Apollo era dedicato il primo tempio greco della Sicilia in Ortigia. Inoltre Cicerone, parla di una statua di Apollo Temenite presso l'omonimo colle. Plutarco parla delle feste Carnee, dedicate ad Apollo Carneio.\n\nPanoramica del tempio di Apollo.\n\nAres.\nLa polis come sacro terreno di Ares.\nIl tebano Pindaro definisce Siracusa «tempio» del dio della guerra Ares (traducibile anche come «sacrario» e «sacro terreno» di Ares), tuttavia il culto per questo bellicoso dio non sembra aver messo salde radici in Sicilia né tanto meno a Siracusa; è pur vero che esso compare nelle monete dei siracusani, ma solo dopo il 212 a.C., ovvero dopo l'avvenuta conquista della polis da parte dei Romani. La frase dunque che fa di Siracusa un luogo sacro al dio della guerra è attribuibile esclusivamente al ruolo egemone ricoperto dalla città sul campo di battaglia; innumerevoli sono infatti i conflitti intrapresi dai Siracusani in epoca antica.\nL'epoca in cui scrive Pindaro è quella del tiranno Ierone I, periodo in cui la polis di Siracusa doveva apparire in perenne stato di guerra: Ierone, ereditando l'apparato bellico introdotto da Gelone, fece largo uso di mercenari; situazione che sarà accentuata sotto Dionisio I, che farà dell'esercito siracusano il primo per numero di mercenari, facendolo divenire il più variegato del mondo greco (a Siracusa giungevano guerrieri dalla Gallia, dall'Italia, dall'Iberia, dall'Africa e dalla Grecia). Ritornando al periodo di Pindaro, il 476 a.C. è anche l'anno in cui la polis aretusea dichiarò guerra alle città ioniche di Nasso e Katane, conquistandole e deportandone gli abitanti. Nel frattempo, 474 a.C., le sue navi giunte nel mar Tirreno si scontrarono con quelle etrusche, riportando la vittoria nelle acque di Cuma e facendo di Pitecusa un altro possedimento siracusano, chiudendo in questo modo le porte del Tirreno ad Atene. Si alimentava così la rivalità egemonica degli Ateniesi nei confronti dei Siracusani che avrebbe infine portato al celebre scontro tra le due poleis. Il Tebano fu testimone di tutto ciò e scrisse di Siracusa osservando gli eventi da Aitna, nuova fondazione ieroniana di dori Siracusani e peloponnesiaci alle falde dell'Etna. In altri scritti pindarici è la guida della polis Ierone I, «padre eponimo di riti venerandi, fondatore di Etna», che viene velatamente comparato a un dio, allo stesso Zeus Etneo, figlio di Crono, il cui culto fu dal Siracusano stabilito ad Aitna/Etna.\n\nApprofondendo quindi il contesto storico appare più che giustificata l'espressione di Pindaro che vede in Siracusa un luogo caro alla più bellicosa delle divinità olimpiche.La polis di Siracusa giocò inoltre un ruolo primario, se pur indirettamente, nella diffusione in alcune aree dell'isola del culto di Ares, poiché fu essa ad assoldare i Mamertini, mercenari italici della Campania devoti al dio della guerra (essi si dicevano suoi discendenti), i quali ribellatisi ai Siracusani si stabilirono presso Messana, portando con sé la devozione per Ares, città nella quale compaiono a seguito della loro presenza le monete di Ares giovanile con alloro sul capo.\n\nArtemide.\nLa dea Artemide ha un forte riscontro nell'isola di Ortigia dove sorgeva un suo tempio e uno dei culti più importanti in Sicilia. Inoltre la rappresentazione della dea in alcune monete, la fa associare alla protezione della città. Probo e Diomede parlano di una festa ad essa dedicata poiché la dea liberò la città da un morbo che avrebbe colpito il bestiame; per questo motivo alla festa partecipavano i pastori. Durante l'assedio romano, Livio e Plutarco parlano della celebrazione di una festa in onore di Artemide che avrebbe potuto liberare la città dall'assedio.\n\nArtemide e Aretusa.\nAtena.\nCome testimoniano Cicerone e le tante raffigurazioni della dea sulle monete della polis, Atena era molto amata dai Siracusani; essa era considerata la protettrice dei navigatori e la sua saggezza guidava alla vittoria le armate delle poleis. In cima all'Athenaion di Siracusa un grosso scudo dorato aveva proprio il compito di indicare ai naviganti la costa, come fosse stato un enorme faro luccicante. E l'incisore Eukleidas, operante a Siracusa nel tempo in cui detennero il potere Ermocrate e Dionisio I, ebbe il compito di raffigurare la dea Atena sui conii emessi dalla polis attorniata da delfini; noto simbolo di Siracusa, per celebrare la vittoria sulle armate di Atene, ottenuta con il favore della dea.Marco Claudio Marcello conquistata la città propiziò doni ad Atene di Lindo, mentre il pretore Verre spoliò il tempio siracusano da ogni oggetto prezioso. Probabilmente furono i Dinomenidi, tramite il primo tiranno di Siracusa, Gelone, a importare nella polis il culto per questa dea. Il suo tempio sorse sulle fondamenta di uno più antico e affiancato ad un altrettanto antico e raro tempio ionico, conosciuto come l'Artemision di Siracusa. L'Athenaion che Cicerone descrive sontuosamente, edificato sul lato di levante dell'isola di Ortigia, venne verso il IV secolo d.C. consacrato a Cristo in quanto divenuto nuovo tempio del Cristianesimo e dedicato alla Madonna.\nSe pur si è concordi nell'identificazione del tempio, sono sorti alcuni dubbi riguardo alla frase di Ateneo, il quale nel descrivere lo scudo dorato dell'Athenaion dice che esso era l'ultima cosa che i marinai vedevano prima che Siracusa scomparisse alle loro spalle; si è quindi ipotizzato che il luogo ideale dove si verificasse ciò non fosse l'area sacra posta al centro dell'isola ma un punto più aperto vicino al mare, come il lato di ponente della stessa isola.\n\nDemetra e Kore.\nIl culto e il mito per le divinità ctonie a Siracusa.\nIl culto di Demetra e Kore, come visto, si intreccia a Siracusa profondamente con quello della ninfa Ciane e in maniera significativa anche con la figura della ninfa Aretusa. Narra il mito siciliano che dopo la scomparsa della figlia, prima che Aretusa la informasse del suo destino, Demetra la cercò per tutta l'isola, salendo fin sulla cima dell'Etna, adoperando la lava del vulcano per accendere grosse fiaccole che potessero aiutarla nella ricerca. Non potendo riavere Kore al suo fianco, la Madre-Terra si rifiutò di risalire in cielo e ciò comportò lo sconvolgimento della natura: il suo lutto segnò l'inizio della carestia per le campagne siciliane e quelle di tutto il mondo:.\n\nSi sostiene che fu Gelone di Gela, ierofante di Demetra e Kore - ierofantia ereditata dai Dinomenidi - a diffondere il culto per le divinità ctonie a Siracusa e da qui nel resto della Sicilia. Ma non tutti concordano con questa affermazione. Stando alle antiche fonti, per volere del tiranno geloo venne eretto nel 480 a.C. il tempio di Siracusa consacrato a Demetra e Kore, sorto per celebrare la vittoria sui Cartaginesi sconfitti ad Imera. Gelone, ierofante degli «dei ctoni», certamente ricoprì un ruolo molto importante nel propagandare il culto di Demetra e Kore, ma più verosimilmente i Greci raccolsero questa eredità culturale dalle popolazioni autoctone dell'isola che già in tempi preistorici veneravano divinità della terra, dell'agricoltura, con altri nomi; un caso celebre è rappresentato dalla dea Iblea, identificata sia con una Grande Madre, la divinità che rappresenta la maternità, la creazione, e sia con Afrodite-Persefone, dea della rigenerazione della natura, della fertilità, il cui culto, dato l'epiteto della dea (se di epiteto si tratta), doveva avere avuto origine presso il sito geografico di Ibla; località siciliana egemone ignota, ma che non può trovarsi troppo distante da Siracusa, dato che le antiche fonti collocano la sua area di influenza nei dintorni della polis aretusea.Da sottolineare inoltre come il mito greco-siciliano che coinvolge Siracusa ricalchi, e in certo senso mescoli, in maniera notevole i miti mesopotamici della dea sumerica Inanna (Discesa di Inanna negli Inferi) e della dea babilonese Ištar (Discesa di Ištar negli Inferi); si tratta infatti in tutti e tre i casi di dee che scendono negli inferi, costrette a rimanervi, e la loro risalita in superficie rappresenta la rigenerazione della Terra. Mentre la figura di Demetra corrisponde nel mito mesopotamico a quella maschile del dio babilonese Dumuzi, che come Demetra può avere al suo fianco la dea infera per 6 mesi l'anno e in questo arco di tempo, in cui Kore/Inanna/Ištar resuscita, la natura si risveglia e subentra la primavera e l'estate.\n\nIl culto nelle colonie siracusane.\nLa Sicilia è strettamente legata al mito di Demetra, la dea della vita e della morte, e Kore, la dea alla quale per volere di Zeus venne concessa in dote l'intera isola. Due luoghi in particolar modo compaiono nel mito e nel culto: Enna, luogo in cui Kore venne rapita e indiscusso centro del mito, e Siracusa, luogo dal quale la medesima dea raggiunse il regno di Ade e principale luogo propagandistico del culto. Interessante notare che queste due città sono tra l'altro storicamente legate, al punto tale che secondo la fonte di Stefano di Bisanzio, Henna, sorta al centro della Sicilia, venne fondata dai Siracusani nel 664 a.C.; la coppia divina rinsalda questo antico rapporto.Il riscontro del culto delle due dee ctonie nelle colonie siracusane è molto importante per stabilirne la presenza anche nella madre-patria poiché, specialmente nei primi tempi, Siracusa era ben presente sotto tutti gli aspetti nelle sue fondazioni, per cui esse riflettono in maniera veritiera l'immagine socio-culturale della polis. Ad esempio nella colonia posta a sud, Eloro, che rappresentava il confine sacro della chora aretusea verso la costa, è stato portato alla luce un santuario di Demetra e Kore risalente al tardo VI secolo a.C., ed esso era direttamente collegato con Siracusa tramite una strada che si suppone fosse processionale. Il VI secolo a.C. è anche la datazione espressa per il busto di Kore rinvenuto nella colonia di Siracusa posta sulle cime più alte dei monti Iblei, Casmene (nei pressi dell'odierna Buscemi), sul monte Casale. Qui l'archeologo Paolo Orsi rinvenne un altro santuario consacrato a Demetra e Kore. Tracce eloquenti del culto delle due dee si sono trovate anche nella colonia posta più a ovest di Siracusa, Camarina, definita apoikia in quanto autosufficiente, anche se in questo luogo il culto sembra avere più che altro caratteristiche private e non pubbliche. Infine ad Akrai (odierna Palazzolo Acreide), la prima colonia degli aretusei fondata sui monti che coronavano la polis, gli scavi hanno riportato alla luce un Thesmophorion composto da circa 25 ambienti per il culto di Demetra e Kore, risalente al III secolo a.C.; sorto in età ellentistica per volere del re siracusano Ierone II, al quale era particolarmente caro il culto delle due dee poiché consapevole del grande seguito che esso aveva tra il popolo. Akrai è inoltre importante perché sede di antichi culti indigeni, estranei al Pantheon greco: un esempio sono i cosiddetti «Santoni» di Akrai, notevole santuario nel quale è stato riconosciuto il principale centro di culto della dea anatolica Cibele; significativo il fatto che questa Magna Mater fosse stata identificata dall'Orsi e da Pace con Demetra.\n\nDemetra, Kore e Artemide.\nLa festa e i templi di Demetra e Kore.\nDopo la vittoria su Imera fece innalzare templi per le dee nel quartiere Neapolis, rafforzando il culto. Secondo Diodoro Timoleonte salpando da Corinto fu accompagnato dalle dee per sorreggerlo nell'impresa di Sicilia.\nDiodoro racconta che a Siracusa la festa era celebrata nel tempo delle seminagioni e durava dieci giorni. Ateneo e Plutarco parlano anche delle Tesmoforie di Siracusa, il che fa supporre ad un legame tra le feste. Esse infatti avvenivano entrambe a ottobre. Eraclide aggiunge che per la festa delle Tesmoforie si facevano focacce di sesamo e miele, poi portati in giro in onore delle dee. C'era anche la festa delle Anagoge o Anodos di Cora, ossia il suo ritorno in cielo dalla madre. Callippo inoltre giurò presso il tempio delle Tesmofore, cioè di Demetra e Core, poi anche Agatocle. Divenne comune giurare anche per le donne.\nLe dee figuravano in molte monete antiche come fanciulle con la fiaccola in mano.\n\nDioniso.\nLo storico Timeo parla dell'esistenza di una festa legata a questo culto, dove in un banchetto pubblico i convitati facevano a gara a chi lo bevesse prima. A dirigere la gara era proprio lo stesso principe Dioniso, che proponendo un premio al vincitore, ostentava un carattere democratico del suo regno. Inoltre Polemone di Atene parla di un'usanza presso i marinai, che in alto mare, quando non vedevano più lo scudo del tempio di Atena di siracusa, gettavano in mare un calice pieno di fiori e aromi in onore a Dioniso, ritenuto protettore dei naviganti.\n\nHermes.\nSi sa che in suo onore si celebravano delle feste, nelle quali si facevano giochi di lotta tra fanciulli in onore di Hermes Agonios. A Siracusa Dioniso innalza sull'Anapo diversi ginnasi, opera poi proseguita da Gerone II.\n\nPoseidone.\nEssendo Corinto la madrepatria dove fioriva il suo culto, esso era giunto anche a Siracusa. Secondo Plutarco, Archia da Corinto, il mitologico fondatore della città, sarebbe giunto sulle coste siciliane a causa dell'ira di Poseidone, scatenata per via della supplica di Melisso, genitore dell'argivo Atteone; il giovane morto a causa del rapimento da parte di Archia, il quale andò incontro per questo motivo all'ira funesta di Poseidone che maledisse l'intera Corinto spingendolo ad auto-esiliarsi. Mentre secoli dopo Timoleonte venuto in soccorso di Siracusa, mandò doni al dio nel tempio di Corinto. Il culto appare anche nelle monete siracusane.\n\nZeus.\nZeus era un dio importante per Siracusa, lo attesta la presenza di un monumento ad esso dedicato nella zona dei Pantanelli, di cui parla persino Cicerone. Un successivo tempio fu innalzato da Gerone II presso l'attuale foro. Il culto probabilmente proveniva da Corinto, città fondante.\nDopo la vittoria della battaglia di Imera Gelone aveva fatto costruire una statua del dio a Olimpia. Con la cacciata di Trasibulo di Siracusa, invece, si affermò anche il culto di Zeus Eleutherios, innalzando una statua colossale.\nPer le festività in onore di Zeus si immolavano 450 buoi poi estesa nella famosa Ara di Ierone.\n\nI diversi epiteti di Zeus nella polis.\nUrio.\nAltre divinità.\nAsclepio.\nIl culto per la divinità della medicina.\nDa Siracusa proviene la più antica attestazione del culto di Asclepio nel Mediterraneo (IV secolo a.C.). Numerosi storici antichi ne testimoniano il culto nella polis: Ateneo di Naucrati afferma che il tiranno Dionisio I sottrasse una trapeza d'oro dal tempio del dio, mentre per Polieno, il tiranno mise in vendita le offerte d'oro e d'argento che i Siracusani avevano donato al dio. Gli antichi Romani Cicerone, Valerio Massimo, il berbero Arnobio e il suo allievo Lattanzio raccontano del furto della barba d'oro della statua di Asclepio sempre ad opera di Dionisio I; noto per i suoi stratagemmi finanziari volti a sostenere il costo del suo numeroso esercito e oggetto di una spietata critica anti-tirannica da parte dei filosofi del suo tempo (cfr. le critiche di Platone e quelle di Lisia nei confronti del suo governo). Ma a parte i sacrilegi compiuti da Dionisio I, che sono al centro degli scritti degli storici sopracitati, le loro testimonianze sono preziose poiché attestano con certezza la presenza del culto per il dio della medicina a Siracusa.Cicerone è inoltre particolarmente prezioso perché dà modo di associare il culto siracusano per Asclepio a quello ben noto della città dell'Argolide, Epidauro, appellando con tale toponimo la statua del dio sita in Siracusa. Oltre ciò, lo storico di Arpino informa dell'esistenza di un tempio dedicato al dio in questione, quando afferma che il pretore Verre, la cui sede era Siracusa, rubò una statua di Apollo all'interno del luogo sacro votato dai Siracusani ad Asclepio.\n\nCollocazione del suo tempio.\nDiversi i luoghi ipotizzati per l'Asklepieion: presso il Ginnasio romano dove sono stati rinvenuti reperti assimilabili ad un Asklepieion e una statua raffigurante il dio; nell'area dell'anfiteatro romano, Neapolis, dove è stata riportata alla luce una testa marmorea del dio risalente ad epoca augustea; presso l'isola di Ortigia, accanto al tempio di Apollo, ipotesi più probabile, poiché Asclepio era considerato figliod ella divinità Apollo, e a supporto di ciò sono state rinvenute in zona una statua d'epoca romana della dea della salute Igea ed un'iscrizione greca dedicata ad un medico.Il dio compare inoltre sulle monete bronzee della polis.\nAltri reperti siracusani raffiguranti Asclepio.\n\nEolo.\nPlutarco parlando di Dione di Siracusa narra dei sacrifici che egli fece in favore del dio affinché arrecasse vittorie. Il dio è anche rappresentato nelle monete siracusane e il culto diffuso nelle colonie.\n\nIside e Serapide.\nL'esistenza di culti egiziani è confermata dall'esistenza di epigrafi dedicatorie, nonché da Cicerone della presenza di un tempio di Serapide. Infatti il rinvenimento di una statua di marmo con scritte in geroglifico fa supporre la presenza del tempio nell'attuale Ginnasio Romano.\n\nTiche.\nIl culto di Tiche assume una particolare importanza anche per l'esistenza di un omonimo quartiere, dove c'era un tempio della dea, come spiega Cicerone, nella descrizione dei quartieri della città. Il quartiere, considerato il più popoloso e frequentato, era dotato di un tempio alla dea Tycha, oltre ad altri edifici di culto e un ginnasio. Diodoro Siculo sottolinea come, nel 450 a.C, Ducezio si fa supplice entrando nell'agorà (l'odierno Foro) e implorando pietà al governo democratico di Siracusa. L'opinione prevalente del consiglio degli anziani era che Ducezio fosse stato vittima della sorte, e che uccidere un supplice vittima della Fortuna, avrebbe provocato la rabbia degli dei. Per questo Ducezio fu risparmiato e inviato a Corinto. Questo passaggio ci fa comprendere come Tycha fosse molto importante per i Siracusani, visto che il demos della città invocò la grazia per Ducezio, per rispetto a questa divinità.\n\nIl culto degli eroi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Cureti.\n### Descrizione: I Cureti (in greco antico: Κουρητες, Kourêtes, ovvero 'giovani') sono un gruppo di divinità minori della mitologia greca, facente parte del corteggio di Rea, moglie di Crono. Furono più volte identificati con altre figure simili come i Coribanti o i Dattili.\n\nMito.\nIndicati come popolo dell'Etolia nel IX libro dell'Iliade di Omero, sono più spesso collegati al mito della nascita di Zeus: la madre Rea, al momento di partorirlo, per paura che anche l'ultimo dei suoi figli potesse essere inghiottito da Crono, fuggì a Creta; qui trovò i Cureti, cacciati dalla loro terra, l'Eubea, dal padre Saoco e approdati su quest'isola insieme alla madre Calcide (o Combe). Quando Rea partorisce Zeus, essi sono pronti a proteggere il bambino dalla famelicità di Crono. Le loro danze e il frastuono delle armi battute contro gli scudi riescono a nascondere i vagiti del piccolo Zeus." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dafni (Monte Athos).\n### Descrizione: Dafni (in greco Δάφνη?) è un piccolo paese del Monte Athos. Si trova nella costa meridionale della penisola tra il Monastero di Xiropotamou e il Monastero di Simonopetra. È il porto principale del Monte Santo e l'unico posto di entrata nella repubblica monastica tramite un servizio di traghetti giornaliero che parte da Uranopoli. Secondo il censimento greco del 2001 il paese contava 38 abitanti.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dafni.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Dafni su macedonian-heritage.gr, su macedonian-heritage.gr." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dafni (mitologia).\n### Descrizione: Dafni (in greco antico: Δάφνις?, Dáphnis) è un personaggio della mitologia greca, figlio della ninfa Dafnide e del dio Ermes, nato in un bosco di alloro vicino alla vallata del fiume Irminio nel ragusano.\n\nMitologia.\nIn certe versioni del mito diventa l'amato pederastico di Hermes, piuttosto che suo figlio: Dafni è descritto e mostrato allora come un eromenos.\nFamoso per la sua bellezza, di lui si presero cura Apollo, Pan e Artemide e dagli stessi apprese molte cose, fra le altre a comporre poesie bucoliche.Divenne un pastore esperto e fu amato dalla ninfa Achenais, che gli fece giurare di non esserle mai infedele. La rivale di Achenais, Chimera, riuscì però a sedurre Dafni ubriaco, così che la ninfa lo punì privandolo della vista. Dafni concluse i propri giorni intonando tristi pastorali, di cui è considerato l'inventore. Cercò di uccidersi buttandosi da una rupe (la Rocca di Cefalù), ma il dio Dioniso lo salvò trasformandolo in pietra.\nUn'altra versione del mito dà alla ninfa napea il nome di Nomía, alla quale è anche attribuita la trasformazione di Dafni in statua di pietra presso Cefalù.\nSecondo il Ciaceri la leggenda di Dafni è uno di quei casi in cui un culto indigeno preesistente è stato trasformato ed adattato dalla civiltà greca. Dafni ci si presenta infatti come la personificazione della vita pastorale degli antichi Siculi (Emanuele Ciaceri, Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia).\n\nOmonimia.\nQuesto Dafni non va confuso con l'omonimo protagonista del romanzo Gli amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista tradotto da Annibale Caro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Daita.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Daita con il fratello Tieste erano due abitanti dell'isola di Lesbo di cui si raccontano le gesta.\n\nIl mito.\nI due fratelli vengono ricordati per aver tenuto cura di un uovo, da cui nacque un uomo devoto al dio del divertimento Dioniso. Il ragazzo si chiamava Enorco ed eresse un tempio.\n\nPareri secondari.\nViene ricordato anche per essere il padre di Machereo, il sacerdote di Delfi, ma potrebbe trattarsi di omonimia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Damaseno.\n### Descrizione: Damaseno, nella mitologia greca, era uno dei Giganti che presero parte alla Gigantomachia, costruendo una scala verso il Monte Olimpo ammucchiando una montagna dietro l'altra spinti dalla madre Gea. Essi nacquero dal sangue di Urano quando Crono lo evirò.\nFiglio di Gea e Tartaro, Damaseno ricevette l'ordine da Gea di spodestare Ares, ma questi si ribellò al suo destino poiché, nascendo come opposto del dio della guerra, crebbe pacifista. Si dedicò alla vita agricola, vivendo come un pastore.\nUn giorno sentì le grida di un suo amico in pericolo, e corse ad aiutarlo. Lo trovò attaccato da un dragone memoniano, e corse in suo aiutò uccidendo il drago. Gea e Tartaro allora lo punirono facendolo cadere nel Tartaro, profondo abisso negli Inferi. Qui, il gigante, avrebbe dovuto condurre una vita da agricoltore, la vita misera che aveva scelto. E, ogni giorno, un dragone memoniano sarebbe venuto ad attaccarlo, rinascendo dopo la morte del giorno prima.\nIn questo modo Damaseno non avrebbe mai trovato pace.\n\nInfluenza culturale.\nDamaseno appare nel libro Eroi dell'Olimpo: la casa di Ade, il quarto della serie Eroi dell'Olimpo, che a sua volta segue quella di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. I protagonisti, Percy Jackson e Annabeth Chase, lo incontrano sul fondo del Tartaro. Viene poi anche citato in Eroi dell'Olimpo: il sangue dell'Olimpo.\n\nVoci correlate.\nDragone memoniano.\nAde (regno)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Damia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Damia era il nome di una divinità dedita alla fertilità.\n\nNel mito.\nSi tratta di una divinità venerata in molte zone della Grecia e a Taranto insieme con la dea Auxesia. Entrambi questi nomi vengono anche considerati degli appellativi sia di Demetra, che di Bona e di Persefone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Damnameneo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Damnameneo (greco antico: Δαμναμενευς, Damnameneus, ovvero 'soggiogatore dei metalli') era uno dei Dattili, le divinità associate alla dea Rea e alla lavorazione dei metalli. Tra essi rappresentava l'attrezzo del martello, mentre i suoi fratelli Acmone e Chelmi rappresentavano rispettivamente l'incudine e il coltelloCon il nome di Damneo, che presenta la stessa etimologia, è indicato da Nonno di Panopoli anche come uno dei Coribanti e dei Cureti, divinità collegate e spesso identificate con i Dattili." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Damone e Finzia.\n### Descrizione: Damone (in greco Δάμων, Damon) e Finzia (in greco Φιντίας, Phintias) sono due protagonisti di una leggenda greca che simboleggia la fiducia e la lealtà in un rapporto di vera amicizia. La storia è di Aristosseno, giuntaci tramite Giamblico nel De vita pythagorica; dopo di lui, la leggenda è stata riportata da diversi altri, fra i quali Cicerone (nel De officiis), Valerio Massimo (nei Factorum et dictorum memorabilium libri IX) e Diodoro Siculo.\n\nLeggenda.\nNel IV secolo a.C., Finzia e Damone, due cari amici e seguaci del filosofo Pitagora, si recano a Siracusa; qui, Finzia contesta il dominio tirannico di Dionisio il Giovane, e viene quindi condannato a morte (secondo altre versioni, l'accusa è falsa, orchestrata dai cortigiani di Dionisio per mettere alla prova l'amicizia dei due).\nFinzia chiede che gli sia permesso di fare ritorno per un'ultima volta a casa, per salutare la sua famiglia e disporre delle sue cose, ma Dionisio rifiuta, convinto che se gli fosse stato concesso, Finzia avrebbe colto l'occasione per fuggire. Damone si offre allora di prendere il posto di Finzia mentre questi è via: Dionisio accetta, a condizione che, se Finzia non avesse dovuto fare ritorno, Damone sarebbe stato giustiziato al suo posto.\n\nDamone accetta le condizioni, e Finzia parte; tuttavia, il tempo passa e Finzia non ritorna. Giunto il giorno dell'esecuzione, Dionisio dà il via ai preparativi per uccidere Damone, deridendolo per la sua malriposta fiducia; Damone rimane però convinto che l'amico farà ritorno, e infatti appena prima che il boia esegua il suo compito, Finzia arriva sulla scena. Scusandosi con Damone per il ritardo, Finzia spiega che la nave su cui si trovava per tornare a Siracusa era stata colta da una tempesta, e poi dei banditi l'avevano aggredito lungo la strada, ma era riuscito ad arrivare giusto in tempo.\nStupito e compiaciuto da questa prova di forte lealtà, Dionisio decide di perdonarli entrambi, e chiede anche di poter diventare a sua volta loro amico.\n\nOpere derivate.\nLa leggenda ha ispirato un buon numero di opere letterarie, teatrali e cinematografiche; già nel XVI secolo Richard Edward compose l'opera Damon and Pythias (nella quale cambiò il nome del secondo personaggio da Phintias a Pythias, forma che prese piede nei paesi anglofoni); del 1800 è Damon and Pythias: A Tragedy in 5 Acts, di John Bynum, mentre nel 1908 viene prodotto da Otis Turner il film muto Damon and Pythias, di cui lo stesso regista realizzerà un remake omonimo nel 1914. Nel 1962 viene realizzato il peplum Il tiranno di Siracusa, conosciuto anche come Damon e Pitias.\nSchiller nel 1799 scriverà la ballata Die Bürgschaft che ispirerà poi Schubert mettendola in musica e persino lo scrittore giapponese Osamu Dazai che scriverà il racconto Corri Melos.\nUna vicenda simile a quella del mito è presente nel film d'animazione della Dreamworks Sinbad - La leggenda dei sette mari." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Danai.\n### Descrizione: Danai è un termine usato come sinonimo di Greci, i quali facevano parte dei Popoli del Mare. Letteralmente significa 'la stirpe di Danao'. Secondo la leggenda Danao era il re di Libia, fratello gemello di Egitto, re dell'Egitto. Dopo varie vicissitudini scappò dal fratello verso occidente, approdando ad Argo in Grecia. Essi sono stati citati nelle lettere di Amarna del XIV secolo a.C., come eventuale riferimento alla 'Terra della Danuna' situata vicino Ugarit.È un epiteto perlopiù generico: Danai può significare 'occidentali', in contrapposizione agli 'orientali' Troiani. Nell'Iliade di Omero, gli attaccanti greci sono descritti con tre differenti nomi, spesso usati come sinonimi: Argivi (in greco antico: Ἀργεῖοι?, Argéioi), Danai (Δαναοί) e Achei (Ἀχαιοί).\nÈ frequentemente utilizzato da Virgilio nell'Eneide, nella celebre frase di Laocoonte, o ad esempio quando Didone chiede a Enea di narrargli l'origine delle insidie dei Danai («…et a prima dic, hospes, origine nobis / insidias, inquit, Danaum…» I 753-754). Il poeta latino utilizza l'epiteto con riferimento alle arti subdole degli Achei, discendenti di Danao, che aveva ordito il complotto per uccidere gli Egiziadi, suoi nipoti e generi.\n\nImpero ittita.\nI danai nella regione storica turca della Cilicia sono stati identificati come la popolazione di Adana, il termine veniva già utilizzato dal tardo impero ittita. Si ritiene che essi si siano insediati a Cipro. I sovrani di Adana facevano parte della 'Casata dei Mopsos', che deriva dalla lingua luvia 'Moxos' e dal fenicio 'Mopsos'. Solitamente venivano chiamati anche Dananiyim. Può riferirsi all'area della Mopsukrene (dal greco Mopsus che significa 'fontana' oppure 'cuore') e della Mamistra.\n\nIncursioni in Egitto.\nMar Egeo.\nTribù di Dan." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Danaidi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Danaidi erano le cinquanta figlie di Danao, re di Libia, protagoniste di mitologiche vicende da cui sarebbe derivata l'origine del popolo dei Danai, cioè i Greci. Queste vicende si intrecciano con l'antagonismo fra Danao e il suo fratello gemello Egitto, re d'Egitto e padre di cinquanta figli maschi, gli Egittidi.\n\nMito.\nLe sorelle erano figlie di diverse madri, tra le quali Polisso e Pieria. Esse, rifiutandosi di sposarsi con i propri cugini, fuggirono con il padre ad Argo, ma i giovani le inseguirono e le costrinsero al matrimonio. Danao diede ad ognuna l'ordine di uccidere il proprio marito la prima notte di nozze. Tutte obbedirono eccetto Ipermnestra, che aveva sposato Linceo. In seguito Danao fece sposare le altre quarantanove figlie con principi e gente del luogo dando origine ai Danai. Linceo non tarderà a vendicare i suoi fratelli uccidendole tutte e risparmiando dalla morte la sola Ipermnestra.\nNegli inferi, le Danaidi vennero rinchiuse nella zona del Tartaro e furono condannate da Zeus a riempire d'acqua una gran botte che aveva il fondo bucato, così, quanta acqua vi versavano, tanta ne usciva. L'odierno modo di dire 'botte delle Danaidi' o 'vaso delle Danaidi' è usato in riferimento a progetti o azioni faticosi ma presumibilmente non concludibili.La leggenda delle Danaidi fu d'ispirazione per la tragedia Le Supplici di Eschilo.\n\nNomi.\nSegue un elenco di alcune delle Danaidi conosciute:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Danao.\n### Descrizione: Danao (in greco antico: Δαναός?, Danaós) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re della Libia e di Argo.\nIl suo mito corrisponde alle leggende della fondazione (o rifondazione) della città di Argo che fu una delle principali città della civiltà micenea nel Peloponneso.\nNell'Iliade inoltre, il nome Danai, così come quello di Achei, designa le forze greche che nella guerra di Troia erano opposte ai Troiani.\n\nGenealogia.\nFiglio di Belo e di Anchinoe, sposò Polisso e Pieria ed ebbe le amanti (o concubine) Elefantis, Europa (una regina od una figlia di Nilo), le amadriadi Atlantia e Febe, Menfi, Erse, Crino, Melia ed infine una donna senza nome e proveniente dall'Etiopia.\nDa queste donne (o da alcune di loro) Danao divenne padre di cinquanta figlie, dette le Danaidi.\n\nMitologia.\nFratello di Egitto, ebbe dal padre il regno di Libia mentre ad Egitto spettò l'Arabia ma i due litigarono e Danao, temendo i figli del fratello (detti Egittidi), seguì il consiglio di Atena di costruire una nave e di fuggire con le sue figlie, cosa che fece approdando a Rodi per poi stabilrsi a Lindo, luogo dove dedicò una statua ad Atena. Tre delle sue figlie morirono durante la permanenza a Rodi mentre le altre lo seguirono quando si spostò ad Argo.\nAd Argo vinse il re Pelasgo (noto anche come Gelanore), gli successe al trono e chiamò gli abitanti come sé stesso (Danai).\nDanao temeva ancora gli Egittidi ma quando loro giunsero ad Argo per chiedere le sue figlie in spose e per cessare l'inimicizia, sulle prime acconsentì ma dopo aver indetto una festa, diede alle sue figlie dei pugnali per uccidere gli Egittidi durante la notte successiva. Tutte obbedirono eccetto Ipermnestra che, scelta da Linceo per quella notte, lo salvò perché aveva rispettato la sua verginità.\nDanao sulle prime mise Ipermnestra in carcere ma in seguito, dopo che le altre sorelle furono purificate dagli omicidi, la unì in matrimonio con Linceo e fece sposare le altre ai vincitori di una gara atletica.\nAd Argo dedicò un tempio ad Apollo.\n\nDanao, l'acqua ed i pozzi.\nApollodoro racconta che, una volta giunto ad Argo, Danao scoprì che il paese era senz'acqua, poiché 'Poseidone aveva prosciugato persino le sorgenti per la rabbia di Inaco, che aveva testimoniato che la terra apparteneva ad Hera', e che mandò le sue figlie ad attingere acqua.\nSecondo Plinio il Vecchio, Danao potrebbe aver introdotto in Grecia l'utilizzo dei pozzi per attingere l'acqua dal sottosuolo (già diffusi in Egitto ed in altri paesi molto tempo prima). Plinio osserva anche che il termine dipsion (sete), che doveva essere stato applicato al distretto di Argo prima dell'arrivo di Danao, poteva dimostrare che gli abitanti non conoscessero alcun mezzo per rifornirsi di acqua nonostante la zona fosse ben fornita di acqua.\n\nLetteratura.\nLe vicende di Danao e Egitto sono state rappresentate da Eschilo in una sua tragedia: Le supplici.\nNell'Iliade di Omero gli Achei vengono chiamati anche Δαναοί (della tribù di Danao). Anche nell'Eneide (II, 49) di Publio Virgilio Marone i Greci tutti vengono chiamati così, come nella famosa frase: Timeo Danaos et dona ferentes ('temo i Greci anche quando portano doni')." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dardanelli.\n### Descrizione: Lo stretto dei Dardanelli (in turco Çanakkale Boğazı), anticamente chiamato Ellesponto (nella letteratura classica è noto come Hellespontus, Hellespontium Pelagus, Rectum Hellesponticum, o Fretum Hellesponticum), è uno stretto che collega il mar di Marmara all'Egeo e che, assieme allo stretto del Bosforo, fa da confine fra Europa e Asia.\n\nDescrizione.\nLa larghezza minima dello stretto è pari a 1250 metri, mentre quella massima è di 8 km; in tutto è lungo circa 62 km. La profondità media si attesta sui 60 m, la massima 100 m. Il nome Dardanelli deriva da Dardania, l'antica terra sulla sponda asiatica dello stretto che a sua volta prende il nome da Dardano, il mitico figlio di Zeus e di Elettra.\nIl nome Ellesponto, che letteralmente significa 'mare di Elle', deriva invece da un altro mito: Elle, sorella di Frisso e figlia di Atamante e Nefele, durante il viaggio verso la Colchide in groppa all'ariete dal vello d'oro giunto per trarli in salvo da un sacrificio, cadde in questo braccio di mare che da allora prese nome di Ellesponto.\nLungo le coste dei Dardanelli si trovano varie antiche città: nella parte europea si trovano Eleunte, Maidos, Sesto, Gallipoli; nella parte asiatica si trovano Troia, Dardano (odierna Çanakkale), Abido, e altre.\n\nStoria.\nIn virtù della sua rilevanza strategica, sono numerosi gli episodi storici correlati allo stretto dei Dardanelli.\nFra le prime vicende storiche che riguardano lo stretto, come si apprende da Erodoto, vi è il passaggio del re persiano Serse, figlio di Dario, e del suo enorme esercito nel 480 a.C., in occasione delle guerre persiane. L'attraversamento dello stretto avvenne grazie a due ponti di barche, sacrileghi per gli antichi Greci, poi distrutti da una tempesta e ricostruiti. In quell'occasione il tratto di mare subì l'ira del re persiano che gli inflisse la pena della fustigazione, nota appunto come flagellazione dell'Ellesponto.\nIn seguito anche Alessandro Magno attraversò lo stretto in senso opposto. Una battaglia combattuta presso i Dardanelli fu quella che nel 323 d.C. vide Crispo, figlio diciassettenne di Costantino e della prima moglie di questi, Minervina, sconfiggere e catturare Licinio. La Repubblica di Venezia si scontrò diverse volte con la flotta ottomana in particolare va menzionata la Battaglia di Gallipoli del 1416 o la Spedizione veneziana dei Dardanelli nel 1654 che sconfisse la flotta turca. Altre battaglie combattute nella zona furono la battaglia di Elli (1912) nel corso della Prima guerra balcanica e la campagna dei Dardanelli (1915-1916) nel corso della prima guerra mondiale.\nIl 20 luglio 1936 con la Convenzione di Montreux, Francia, Turchia, Bulgaria, Giappone, Grecia ed Unione Sovietica, si accordano circa il nuovo regime di navigazione degli stretti (Stretto dei Dardanelli, Mar di Marmara e il Bosforo sono tutti accomunati nella denominazione di Stretti). Il principio base affermato nella Convenzione è quello di riconoscere, nel quadro della sicurezza della Turchia e degli Stati rivieraschi del Mar Nero, la completa libertà di transito delle navi mercantili di qualsiasi bandiera in tempo di pace, mentre in tempo di guerra la libertà di passaggio e navigazione per i mercantili è limitata ai Paesi non in conflitto con la Turchia, chiaramente qualora la Turchia sia uno Stato belligerante.\nIn tal caso il transito è permesso solo di giorno, e rispettando rotte obbligate. Per quanto riguarda invece le navi da guerra, è sancito l'obbligo di informare il Governo turco otto giorni prima del transito, e solo per le navi inferiori alle 15000 tonnellate. Possono superare tale limite solo i paesi rivieraschi del Mar Nero, purché le navi passino singolarmente. Per i sottomarini è consentito il passaggio solo se di paesi rivieraschi, e solo se costruiti ed acquistati all'estero. La Convenzione non contiene alcuna disposizione che autorizzi espressamente il transito delle navi portaerei.\nIl controllo dello Stretto dei Dardanelli è stato causa scatenante e significativa della crisi all'origine della Guerra Fredda nel 1946. La Turchia, infatti, fu appoggiata dagli Stati Uniti d'America nel contrasto con l'Unione Sovietica.\n\nMitologia.\nFra i miti riguardanti i Dardanelli, oltre a quello che riguarda l'etimologia del nome dello stretto, c'è anche quello di Ero e Leandro. Più recentemente, sulle orme di quest'ultimo, ad attraversare a nuoto l'Ellesponto è stato Lord Byron.\n\nVoci correlate.\nBosforo.\nArtace (Misia).\nPonte dei Dardanelli.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dardanelli.\n\nCollegamenti esterni.\n\nDardanelli, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\nEllesponto, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.\nDardanelli, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.\n(EN) Dardanelles, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dardania (Asia minore).\n### Descrizione: La Dardania era una regione mitica esistente nell'Asia minore da cui si dice provenissero gli abitanti di Troia.\nSi situa nell'odierna Turchia, nella provincia di Çanakkale, sulla riva asiatica dell'Ellesponto, cioè dello stretto dei Dardanelli da cui deriva il nome. È a sud-ovest della città antica di Abido.\n\nStoria mitologica.\nSecondo Apollodoro ed Omero, Dardano, figlio di Zeus, fondò la città di Dardania nella regione dopo aver approdato dalla vicina isola di Samotracia.\n\nI Dardani.\nOmero scrive che le popolazioni locali, i Dardanoi, non avevano città e vivevano semplicemente sulle pendici del monte Ida. Apollodoro assimila queste tribù al popolo del re Teucro, ritenuto il primo re mitico della Troade. Dardano gli succederà, sposandone la figlia Batea, tant'è che il popolo assumerà il nome di 'dardani'. Anni più tardi, la città di Troia venne fondata dal pronipote di Dardanio, Ilo. Secondo alcuni autori, il primo nome di Troia fu proprio Dardano.Sovente gli autori tardi usano indistintamente i termini 'troiano'e 'dardanio' per indicare il popolo abitante la Troade. Ciononostante, sia Omero che Apollodoro li considerano due gruppi distinti, come lo sottolineano i seguenti versi del Catalogo Troiano:.\n\nStoria antica.\nErodoto menziona la Dardania come uno dei territori dell'Ellesponto conquistati dai persiani dopo la Rivolta ionica dell'anno 498 a.C.Anni più tardi, la Dardania entrò a far parte della Lega delio-attica ed appare nei registri dei tributi versati ad Atene fra gli anni 451 e 429 a.C., oltre che nel registro di valutazione dei tributi dell'anno 425 a.C. La Dardania fu quindi teatro della battaglia di Cinossema nella parte finale della Guerra del Peloponneso, che vide vincere la Lega delio-attica contro la flotta spartana nel 411 a.C.Durante la guerra dei romani contro Antioco III e lega etolica, le città di Dardania, Eleunte e Reteo inviarono ambasciate per porsi sotto la protezione di Roma. Con la Pace di Apamea dell'anno 188 a.C., i romani dichiararono Dardania città libera." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dascilo (figlio di Lico).\n### Descrizione: Dascilo (in greco antico: Δάσκυλος?, Dáskylos) è un personaggio della mitologia greca, nipote di Dascilo e pronipote di Tantalo.\n\nMitologia.\nA quell'epoca si era soliti dare il nome del proprio padre al proprio figlio e questo è il caso di Dascilo.\nDurante il loro viaggio gli Argonauti giunsero all'isola di Mariandine, luogo su cui suo padre Lico, regnava. Poco prima gli Argonauti avevano ucciso Amico, uno dei rivali del re, ed egli per ricompensarli offrì loro l'aiuto di Dascilo, che ben conosceva la Colchide, il luogo dove gli eroi erano diretti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dattili.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, i Dattili (in greco antico: Δάκτυλοι, Dáktuloi, ovvero 'Dita') erano un gruppo di antiche divinità, associate alla dea Rea e alla metallurgia. Erano a volte identificati con i Cureti.\n\nMitologia.\nNascita.\nSecondo una versione, mentre stava partorendo Zeus, Rea presa dal dolore poggiò le sue dita a terra, premendole con tanta forza che uscirono fuori i Dattili. Cinque maschi dalla mano destra e consequenzialmente, cinque femmine dall'altra mano. In un'altra versione, i Dattili vivevano sul monte Ida molto tempo prima rispetto alla nascita di Zeus. Oppure, nella versione di Apollonio Rodio, la ninfa Anchiale li diede alla vita nella grotta del Monte Ditte. Mnasea, nel libro Sull'Asia, dice che si chiamarono in questo modo perché il loro padre era Dattilo e la madre Ide; l'autore della Foronide scrive così: «lì avevano dimora gli incantatori Idei, frigi, uomini dei monti, Chelmide, Damnameneo e il possente Acmone, destri servitori della montana Adrastea, che per primi trovarono l'arte dell'astuto Efesto tra le balze montane, lo scuro ferro, e lo posero sulla fiamma e mostrarono un'opera eccellente».\nI fratelli dattili erano bravissimi fabbri, infatti furono i primi a scoprire il ferro, in un monte a loro vicino, il Berecinzio.\nInvece le loro sorelle, stabilitesi a Samotracia, avevano maestria nell'arte della magia e iniziarono Orfeo al mistero della dea.\n\nNomi e numero.\nSecondo la tradizione più antica, testimoniata da uno scolio al primo libro di Apollonio Rodio, i Dattili erano:.\nAcmone: l'incudine.\nDamnameneo: il martello.\nChelmi: il coltelloIn un altro passaggio, lo stesso autore aggiunge Tizia e Cilleno, portando il loro numero a cinque.Anche secondo la versione di Pausania, i Dattili erano cinque, e rappresentavano le dita della mano:.\nEracle: il pollice, da non confondere con il più famoso Eracle, figlio di Zeus e Alcmena;.\nEonio (o Peonio): l'indice.\nEpimede: il medio.\nGiasio (o Iasio): l'anulare.\nAcesida (o Ida): il mignoloSi dice anche che fossero sei e cinque, destri i maschi e mancine le femmine. Ferecide racconta invece che i destri erano venti e i mancini trentadue. Erano stregoni e incantatori, e Ferecide racconta chi di loro faceva gli incantesimi era mancino, chi li scioglieva era destro.\nCome sostiene Ellanico, furono chiamati Dattili perché mentre vivevano sull'Ida incontrarono Era e le toccarono le dita.\nAltri sostengono invece che i Dattili erano i Cureti, che difesero il dio Zeus quando in tenera età si trovava a Creta e per scampare alla furia di Crono subito eressero a lui un tempio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: De bello Troiano.\n### Descrizione: Daretis Phrygii Ilias De bello Troiano ('L'Iliade di Darete Frigio: sulla guerra troiana') è un poema epico in latino, scritto attorno al 1183 dal poeta inglese Giuseppe Iscano. Racconta la storia dei dieci anni della Guerra di Troia come era conosciuta in Europa durante il medioevo occidentale. L'antica epica greca sul soggetto, l'Iliade, era inaccessibile; al suo posto, le fonti disponibili includevano i “diari“ fittizi di Ditti Cretese e Darete Frigio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dea Iblea.\n### Descrizione: La dea Iblea è una divinità femminile sicula attestata in Sicilia orientale e menzionata unicamente da Pausania nella sua opera Viaggio in Grecia Pare che fosse una divinità di origine sicana e in un secondo momento introdotta nel pantheon siculo.\nPausania afferma l'esistenza di un tempio, nella Ibla che egli chiama la Gereatis, dedicato a una dea Iblea venerata dai popoli barbari di Sicilia, ma poiché egli tace il nome di questa divinità, tutti i derivati odierni, come l'appellativo di «dea Ibla», rimangono pure congetture.Lo storiografo palermitano Filippo Paruta, nel suo trattato seicentesco Della Sicilia descritta con medaglie, sostiene di aver individuato una dea sicula, che egli chiama Ibla, in una moneta raffigurante la testa della divinità avvolta da un velo, in un contesto iconografico già di epoca greca (III sec. a.C.).\nInoltre, secondo diversi autori alcuni versi del Pervigilium Veneris indicano senza dubbio che nel poema celebrativo del trionfo dell'amore, della primavera e della fecondità, Venere ordina a una dea (Hybla) di fare parte della sua corte e di vestirsi di fiori, tanti quanti ricoprono la campagna etnea.\nSicuramente, dati gli studi sul materiale archeologico riscontrato nei siti siculi o greco-siculi, il popolo dei Monti Iblei aveva una particolare devozione per i culti potniaci, cioè quelli incentrati sulle divinità della terra, in particolare la Grande Madre. Infatti, proprio a Megara Hyblaea è stata rinvenuta una statua della Grande Madre che allatta due gemelli, divinità che potrebbe essere identificata con la dea Iblea nominata da Pausania. Lo confermerebbe il toponimo della città di Megara, a cui è aggiunto l'aggettivo greco 'Hyblaia', che potrebbe significare 'della dea Hybla'. Molti storici sono concordi nell'affermare che anche il nome di Hybla Heraia deriva dalla dea Hybla. Si ipotizza dunque che fosse una divinità della fertilità, protettrice dei campi e della coltivazione dei cereali, con riferimento anche alla Flora romana." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dea dei serpenti.\n### Descrizione: La Dea dei serpenti è una dea della civiltà minoica, riferibile a rituali della fecondità, figura ricorrente della scultura minoica. È spesso in maiolica, di altezze varianti dai 29,5 cm ai 38,5 cm. Sono state reperite nella camera sotterranea del tesoro del santuario centrale del palazzo di Cnosso, del medio minoico. La datazione è 1600-1580 a.C.\nLa statuetta ha il tipico abito a falde ricadenti, bloccato ai fianchi da un elemento a sella che sembrerebbe realizzato in stoffa più pesante. Uno stretto corpetto, che comprime e lascia scoperti i seni, questo elemento coi seni scoperti è tipico delle sacerdotesse, cinge anche la parte superiore delle braccia. Le mani della dea stringono due serpenti, abitanti della terra e portatori a volte di morte, mostrandoli all'osservatore.\nÈ una statuina di ceramica smaltata,questa tecnica permette di variare i temi decorativi, mentre la superficie rimane brillante e luminosa.\nSi è soliti considerarla un’immagine di divinità ctonia (dal greco chthon, “terra”) cioè legata al culto delle forze sotterranee e degli inferi.\n\nIdentificazione con la Dea Madre cretese.\nLa Dea dei serpenti è spesso vista come la Dea Madre cretese, divinità femminile venerata da almeno il 3000 a.C. fino al 1200 a.C. legata alla fertilità e alla vita, ma anche alla morte, ed identificata dagli antichi greci con Potnia theron.\nLa religione cretese vuole che la Dea Madre abbia guidato il suo popolo lontano dalla loro terra originaria per condurli altrove, ma non trovando ospitalità per il suo popolo in nessuna terra.\nLa Dea, allora, creò Creta e vi fece stabilire coloro che la veneravano.\nA Creta sono state trovate statue di dee con serpenti in mano, ma anche statue di dee con altri simboli; fra queste ricordiamo la Dea dei Papaveri e la Dea della Morte. Alcuni pensano che siano varie dee, ma prevale l'ipotesi che quelle divinità siano aspetti di un'unica Dea Madre invocata con diversi nomi e attributi a seconda della richiesta." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dea di Taranto.\n### Descrizione: Dea di Taranto è il nome convenzionale attribuito ad una statua in marmo, capolavoro della scultura greca, detta anche Divinità in trono, datata intorno al 480 a.C., che secondo gli esperti rappresenterebbe una dea greca, probabilmente Persefone, Afrodite o Era. Proveniente da Taranto, oggi appartiene all'Antikensammlung Berlin, inventariata al Nr. SK 1761, ed è esposta all'Altes Museum nella Museuminsel di Berlino. Presso il Museo archeologico nazionale di Taranto, è presente una copia realizzata tramite scansione laser nel 2016 donata dall' Altes Museum, che riconobbe la paternità dell'opera alla città di Taranto.\n\nDescrizione.\nLa statua fu rinvenuta durante la costruzione di palazzi privati in via Duca degli Abruzzi a Taranto nel 1912. Da Taranto, espatriata con documenti falsi, fu messa all’asta in Svizzera e acquistata dall’Imperatore di Germania, Guglielmo II, per la consistente cifra di un milione di marchi. Secondo le teorie di alcuni studiosi, tra cui il professore Vincenzo Casagrandi, gli scrittori Gaudio Incorpora e Pino Macrì, e l'archeologo Paolo Orsi, sarebbe stata invece rinvenuta nei primi del '900 da un contadino in una vigna del territorio di Locri, in Calabria, dove sorgeva l'antica città di Locri Epizefiri, e in seguito fu trasportata di nascosto a Taranto. Tuttavia, la magistratura locrese aprì un'inchiesta che si chiuse subito, in quanto il contadino non venne ritenuto credibile. Non esiste infatti alcuna prova tangibile o documento che attesti l'effettiva appartenenza della statua all'area della locride.[1] Sia nella poleis di Taras (l'odierna Taranto) che in quella di Locri il culto di Persefone era ampiamente diffuso in epoca greca.\nFu anche battezzata Persefone Gaia, per il sorriso caratteristico delle statue del periodo arcaico, tuttavia l'assenza di qualsiasi attributo non permette alcuna affermazione certa su quale dea vi sia raffigurata.\nIl notevole peso della dea assisa in trono non è portato dalle esili ed elaborate colonnine, ma da un enorme cubo di marmo nascosto sotto il sedile. Ci sono solo poche tracce del colore della statua sul retro del trono, mentre piccoli fori di ingresso testimoniano la presenza di orecchini e diadema, oggi scomparsi.\nLa statua è caratterizzata da un aspetto solenne, in cui la rigida postura tipica dello stile arcaico si combina con un raffinato abbigliamento e con la serenità dell'arte tardo-arcaica o severa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dedalione.\n### Descrizione: Dedalione (in greco antico: Δαιδαλίων?, Daidalíon) è un personaggio della mitologia greca, era figlio di Espero, il nome dato al pianeta Venere quando è visibile sull'orizzonte ad ovest subito dopo il tramonto) e fratello di Ceice. Nelle leggende è tratteggiato il suo carattere violento e bellicoso.\n\nMitologia.\nFu il padre di Chione che, innamoratasi di Apollo e poi di Hermes, destò la gelosia di Artemide che la uccise trafiggendola con una freccia.\nDedalione, sconvolto, si mise a vagare senza meta ed un giorno, giunto sulla sommità di un monte tentò il suicidio gettandosi nel vuoto, ma l'intervento di Apollo lo trasformò in un falco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Deidamia (Händel).\n### Descrizione: Deidamia è un'opera lirica in tre atti di Georg Friedrich Händel (HWV 42), su libretto di Paolo Antonio Rolli basato su un precedente libretto di Metastasio.\nI primi due atti dell'ultima opera di Händel furono composti tra il 27 ottobre e il 7 novembre 1740, il terzo dal 14 al 20 novembre.\nLa prima assoluta ebbe luogo al Lincoln's Inn Fields Theatre di Londra il 10 gennaio 1741, replicata per 3 sere soltanto. Nell'occasione il ruolo della protagonista fu interpretato dal soprano Élisabeth Duparc, detta 'La Francesina'.\nL'opera è stata riesumata negli anni cinquanta del XX secolo (nel 1953 fu eseguita in lingua tedesca ad Halle sul Saale, città natale di Händel) ed è ancora occasionalmente rappresentata.\n\nTrama.\nIl giovane Achille, che si finge una fanciulla di nome Pirra, si trova nell'isola di Sciro, dove si innamora di Deidamia, figlia del re Licomede.\nUlisse, travestito da Antiloco, e Fenice, ambasciatore greco, si recano nell'isola per smascherare l'eroe e convincerlo a partecipare alla guerra di Troia.\nDurante una caccia, Achille svela la propria identità; quando Ulisse offre in dono alle fanciulle stoffe, gioielli e armi, Achille sceglie queste ultime e lascia Deidamia per seguire i greci alla guerra.\n\nDiscografia.\nRudolph Palmer (direttore), Palmer Singers, Brewer Chamber Orchestra - Julianne Baird (Deidamia), Máire O'Brien (Nerea), D'Anna Fortunato (Achilles), Brenda Harris (Odysseus), Peter Castaldi (Phönix), John Cheek (Licomede) - Albany Records (3 CD, 2001).\nAlan Curtis (direttore), il Complesso Barocco - Simone Kermes (Deidamia), Dominique Labelle (Nerea), Anna Maria Panzarella (Achilles), Anna Bonitatibus (Odysseus), Furio Zanasi (Phönix), Antonio Abete (Licomede) - Virgin (3 CD, 2003).\n\nVoci correlate.\nAchille a Sciro.\nComposizioni di Georg Friedrich Händel.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Deidamia.\n\nCollegamenti esterni.\nLibretto in formato pdf (PDF), su haendel.it. URL consultato il 25 novembre 2006 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2012).\nTrama e recensione su haendel.it, su haendel.it. URL consultato il 25 novembre 2006 (archiviato dall'url originale il 18 novembre 2006)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Deidamia.\n### Descrizione: Deidamia (in greco antico Δηϊδάμεια) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Licomede re di Sciro.\n\nMitologia.\nSposò Achille mentre l'eroe era alla corte del padre, dove era stato celato dalla madre Teti sotto spoglie femminili affinché non partisse per la guerra di Troia; dal loro matrimonio nacque Neottolemo (detto anche Pirro).\nLa fanciulla fu abbandonata dall'eroe incinta del bambino, a causa dell'astuto stratagemma messo a punto da Ulisse per ottenere la partecipazione di Achille al conflitto. Deidamia concesse la partenza del figlio Neottolemo una volta che i capi Achei lo reclamarono ed al termine della guerra di Troia venne data in sposa ad Eleno figlio di Priamo.\nTalune tradizioni attribuiscono la maternità di Neottolemo alla figlia di Agamennone, Ifigenia.\nDante parla di Deidamia nei versi 61-62 del canto XXVI dell'Inferno, in riferimento all'inganno col quale Ulisse e Diomede scoprirono Achille mentre si trovava a Sciro: 'Piangevisi entro l'arte per che, morta, / Deïdamìa ancor si duol d'Achille'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Deifonte.\n### Descrizione: Deifonte (in greco antico: Δηιφόντης?, Diifóntis) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide ed un re di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Antimaco, sposò Irneto e divenne padre di Antimene, Santippo, Argeo ed Orsobia.\n\nMitologia.\nFu consigliere di Temeno e comandante del suo esercito nonché lo sposo di sua figlia Irneto ed al momento della successione per il trono di Argo, si avvalse dell'appoggio dell'esercito ed ottenne il regno, dopodiché si stabili ad Epidauro assieme alla moglie incinta.\nMa Falche e Ciso (i figli di Temeno) tramarono contro di lui e cercarono di convincere sua moglie Irneto a lasciarlo ma poiché lei non credette alle loro calunnie e si rifiutò di seguirli, i due la rapirono caricandola sul loro carro e fuggirono.\nDeifonte li inseguì con il suo carro ed uccise Ciso con una freccia ma valutò che era troppo rischioso colpire anche Falche durante la corsa poiché che cingeva Irneto per trattenerla e così preferì cercare di raggiungerli piuttosto che rischiare di colpirla. Falche però, ben deciso a trattenerla, la strinse così forte che la uccise.\nDeifonte ed i suoi figli le costruirono un Heroon ad Epidauro dando al luogo dove Irneto morì il nome di Hyrmethium." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Deipile.\n### Descrizione: Deipile (in greco antico: Δηιπύλη?, Dēipýlē) o Deifile è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Adrasto e di Anfitea (figlia di Pronace) o Demonassa, sposò Tideo e fu madre di Diomede.\n\nMitologia.\nFu la più giovane delle tre sorelle e fu data in sposa a Tideo (che aveva una pelle di cinghiale) dopo che il padre ebbe la rivelazione di dare la mano di due delle tre figlie ad un leone e ad un cinghiale.\nDante Alighieri la cita nel canto XXII del Purgatorio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Delfi.\n### Descrizione: Delfi (in greco antico: Δελφοί?, Delphói) è un importante sito archeologico, nonché una storica città dell'antica Grecia, sede del più importante e venerato oracolo del dio Apollo, assieme a Didima.\nSituata nella Focide sulle pendici del monte Parnaso, a circa 130 km a nord-ovest da Atene e a 600 m s.l.m. all'incrocio di antiche vie di comunicazione. Nei tempi antichi si pensava che Delfi fosse il centro del mondo, quindi era sede dell'onfalo o ombelico del mondo.\n\nStoria del santuario.\nCentro abitato già in età micenea (XI-X secolo a.C.), Delfi mostra le prime tracce di un culto legato alla dea Terra (Gea) e al serpente Pitone a partire dall'VIII secolo a.C.. Successivamente subentra al culto di Gea quello del dio Apollo, detto Pizio, ossia vincitore di Pitone. Il culto si caratterizza per la richiesta di vaticini alla sacerdotessa di Apollo, la Pizia, che emetteva i responsi al centro del santuario, seduta su un tripode, dopo essere entrata in trance respirando il vapore che fuoriusciva da una fessura della terra. La tradizione vuole che Zeus avesse indicato il luogo di fondazione del santuario nel punto in cui due aquile, fatte volare da lui, fossero atterrate insieme. Questo punto identificava Delfi come il centro del mondo. I vaticini della Pizia erano spesso ambigui e oscuri, come quello dato al re di Lidia Creso.\nIl nucleo più primitivo del santuario risale al VII secolo a.C. e fu più volte ricostruito a seguito di incendi e fenomeni naturali, come i terremoti. I Giochi pitici cominciarono ad avere luogo tra il 591 e il 586 a.C., ma già poco dopo la sua fondazione il santuario era stato sede di competizioni poetiche.\nFin dalla sua fondazione l'oracolo divenne centrale nella vita sociale e politica dei Greci, come nel caso della Grande Colonizzazione dell'VIII-VII secolo a.C., durante la quale i responsi oracolari facevano da guida per i coloni. Rivestendo una così grande importanza venne fondato un ente per la salvaguardia della neutralità dell'oracolo, chiamato Anfizionia di Delfi. Nonostante questa precauzione, molte famiglie aristocratiche greche tentarono di accaparrarsene i favori, come nel caso dell'incendio del 548 a.C. che distrusse il santuario, ricostruito a spese della famiglia ateniese degli Alcmeonidi. La stessa Anfizionia di Delfi fu spesso al centro di eventi bellici chiamati guerre sacre (in totale quattro), la prima delle quali, di dubbia storicità, ebbe luogo all'inizio del VI secolo a.C..\nA partire dalla fine del VII secolo a.C. le città greche cominciarono a depositare presso il santuario i propri tesori votivi, ospitati in apposite 'cappelle' chiamate θησαυρόι thēsauròi, costruite a spese della città depositante, spesso non senza un valore propagandistico.\nPer tutta la durata del secondo grande conflitto della storia greca, la guerra del Peloponneso, il santuario fu sotto il controllo della città di Sparta.\nDal 357 al 346 a.C. si combatté la terza guerra sacra, che vide emergere la Macedonia come potenza dominante dell'Anfizionia di Delfi, egemonia confermata durante l'ultima guerra Sacra, la quarta (340-338 a.C.), che segnò inoltre, con la battaglia di Cheronea del 338 a.C., la definitiva egemonia della Macedonia sulle città greche.\nCon la battaglia di Pidna del 168 a.C., e la conseguente caduta della Grecia nel gruppo delle province romane nel 145 a.C., Roma impiantò stabilmente la propria influenza sul santuario, che venne ripetutamente restaurato dagli imperatori Augusto, Domiziano e Adriano.\nLa diffusione del Cristianesimo minò all'origine il prestigio del santuario apollineo, fino alla sua definitiva chiusura da parte dell'imperatore Teodosio I nel 394, anche se già nel 391 erano stati aboliti i culti pagani.\n\nAbbandono e riscoperta di Delfi.\nNonostante le sue vicende fossero scritte in tutte le opere degli antichi scrittori greci, per molti secoli Delfi venne dimenticata, persino nella sua ubicazione. Nel 1410 d.C. gli ottomani avevano esteso il loro dominio sulla Focide e quindi anche su Delfi, che poi rimase per secoli quasi disabitata.\n\nSolo nel 1436, in età umanistica, Ciriaco d'Ancona ritrovò il sito di Delfi, nel corso dei suoi viaggi marittimi alla ricerca delle testimonianze dell'epoca classica. Visitò Delfi in marzo e vi rimase per sei giorni. Registrò tutti i resti archeologici visibili basandosi per l'identificazione sul testo di Pausania. Descrisse lo stadio e il teatro, nonché alcune sculture. Ha anche registrato diverse iscrizioni, la maggior parte delle quali ora sono andate perdute.\nTra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo iniziò a formarsi un insediamento sul sito dell'antica Delfi, che alla fine finì per formare il villaggio di Kastri. Sembra che uno dei primi edifici dell'età moderna costruito sul sito dell'antica Delfi sia stato il monastero della Dormizione di Maria (o della Panagia), costruito sopra l'antica palestra.\nI primi scavi archeologici vennero avviati solo dopo la conquista dell'indipendenza da parte della Grecia. Sebbene il sito dell'antica Delfi fosse stato identificato in modo sicuro sin dal viaggio di Ciriaco d'Ancona, era molto difficile avviare uno scavo sistematico, poiché l'espropriazione di un intero villaggio era quasi impossibile date le magre finanze del neonato Stato greco. Nel 1840 e nel 1860 vennero eseguiti alcuni saggi di prova. Dopo un terremoto, il villaggio rimase per alcuni anni in abbandono. Nel 1880 Bernard Haussoulier, dell'École française di Atene, promise una somma di denaro per facilitare il trasferimento degli abitanti del villaggio nel sito della moderna città di Delfi e, in cambio, ottenne una concessione decennale per scavare il sito. Si stima che il villaggio fosse composto da circa cento case e duecento abitanti. Il primo monumento riscoperto fu la Stoà degli Ateniesi.\n\nI Giochi pitici.\nI Giochi pitici erano uno dei quattro Giochi panellenici dell'antica Grecia e si disputavano ogni quattro anni al santuario di Apollo a Delfi.\nErano fatti in onore di Apollo due anni dopo ogni edizione dei Giochi Olimpici, prima dei Giochi di Nemea e dopo i Giochi Istmici. Sono stati fondati all'incirca nel VI secolo a.C. e si sono svolti dal 582 a.C. fino al 384 d.C. A differenza dei Giochi Olimpici prevedevano anche competizioni per musicisti e poeti.\nLe competizioni sportive erano le stesse che erano disputate ad Olimpia.\n\nLe Soterie delfiche.\nLe Soterie delfiche erano le feste soterie più importanti e sono le meglio conosciute di tutto il mondo greco. Vennero istituite dopo la sconfitta dei Galli e del loro capo Brenno, che nel 279 avevano osato aggredire il santuario panellenico di Apollo a Delfi. Il loro nome deriva dal fatto che erano dedicate ad Apollo, chiamato con l'epiclesi di 'Soter' (salvatore), dato che la vittoria sui Galli era ritenuta un effetto della sua protezione.\nOltre agli agoni ginnici, comprendevano anche gare musicali e teatrali. Nel 243-242, gli Etoli dettero nuovo impulso alle Soterie, cercando di portarle al medesimo livello dei giochi pitici, che venivano celebrati nello stesso santuario delfico ogni cinque anni ed erano considerati giochi panellenici. Le Soterie delfiche ebbero la massima fama nella seconda metà del sec. III e nella prima del II.\n\nMitologia.\nIl fondatore di Delfi è il mitico re Delfo figlio di Poseidone e Melanto, per giacere con lei il dio dei mari si trasformò in un delfino il cui nome ha un evidente richiamo. Tuttavia il mito proprio di Delfi e dell'oracolo proviene dall'intervento di Apollo contro il drago-serpente Pitone figlio di Gea. Apollo decise di ucciderlo in quanto aveva insidiato sua madre Latona mentre era incinta di lui. Egli viveva nel monte Parnaso e Apollo con le sue frecce lo fece fuggire a Delfi che prendeva il nome da Delfine il drago-compagna di Pitone. Apollo lo inseguì anche nel tempio. La Madre Terra, oltraggiata, chiese l'intervento di Zeus che non soltanto ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe, ma istituì i giochi pitici in onore di Pitone, costringendo Apollo a presiederli per penitenza. Apollo, dopo essersi purificato andò a cercare il dio Pan, da cui ottenne i segreti dell'arte divinatoria, divenendo il protettore e creatore dell'oracolo delfico costringendo la sacerdotessa, detta pitonessa o Pitia, a servirlo. L'impresa di Apollo poi gli meritò l'appellativo di Pizio o Pitico. Secondo un'altra versione Apollo saltò su una nave sotto forma di delfino e la condusse a Crisa, porto di Delfi. Qui saltò dritto al tempio in forma di giovane consacrando i Cretesi che facevano parte dell'equipaggio come sacerdoti.Sempre da Apollo proviene il mito della fonte Castalia che era una ninfa degli alberi e viveva nel monte Parnaso, Apollo la insidiò e lei si gettò dal Parnaso venendo trasformata in fonte. La suddetta fonte poi divenne celebre come luogo di ispirazione dei poeti.\nDelfi è anche il luogo in cui vennero seppelliti i resti di Zagreo, divinità figlia di Persefone e Zeus fatta a pezzi dall'invidia dei Titani. Qui è presente anche l'onfalo sia come che come concetto legato al mito, perché la città era considerata l'ombelico del mondo. L'onfalo era la pietra fatta ingoiare da Rea a Crono nascondendo così Zeus che divenuto adulto nell'intento di liberare i fratelli ingoiati dal padre fece bere una bevanda che lo fece vomitare. Oltre ai titani Crono sputò l'onfalo che cadde a Delfi.\nFlegias, la cui figlia Coronide fu sedotta e messa incinta da Apollo, per vendicarne poi la successiva morte tentò di incendiare il tempio di Apollo. Questo gesto non venne però perdonato tanto che il dio, dopo averlo crivellato di frecce, lo scaraventò nel Tartaro.\n\nIl significato religioso.\nIl nome Delphòi deriva dalla stessa radice di δελφύς delphýs, 'utero' e potrebbe indicare la venerazione arcaica di Gaia nel sito. Apollo è collegato al sito dal suo epiteto Δελφίνιος Delphìnios, 'il delfico'. L'epiteto è collegato ai delfini (greco δελφίς, -ῖνος) nell'Inno omerico ad Apollo (linea 400), che narra la leggenda di come Apollo venne per la prima volta a Delfi sotto forma di un delfino, portando sulla schiena i sacerdoti di Creta. Il nome omerico dell'oracolo è Πυθώ Pythṑ. Un'altra leggenda sostenne che Apollo si recò a Delfi da nord e si fermò a Tempe, una città della Tessaglia, per raccogliere il lauro (noto anche come albero della baia) considerata una pianta sacra. Per commemorare questa leggenda, i vincitori dei Giochi pitici ricevevano una corona di alloro colta nel Tempio stesso.\n\nDelfi divenne il sito di un importante tempio di Apollo di Febo, così come i giochi pitici e il famoso oracolo preistorico. Anche dell'epoca romana rimangono centinaia di statue votive, descritte da Plinio il Giovane e viste da Pausania. Scolpite nel tempio c'erano tre frasi: γνῶθι σεαυτόν (gnṑthi seautón = 'conosci te stesso') e μηδὲν ἄγαν (mēdén ágān = 'nulla in eccesso'), e ἐγγύα πάρα δ'ἄτη (engýā pára d'àtē = 'impegnati e il male ti sarà vicino'), Nell'antichità, l'origine di queste frasi fu attribuita a uno o più dei Sette Saggi della Grecia da autori come Platone e Pausania. Inoltre, secondo il saggio di Plutarco sul significato della 'E di Delfi' - l'unica fonte letteraria per l'iscrizione - c'era anche un'iscrizione (nel tempio) di una grande lettera E. Tra le altre cose, epsilon corrisponde al numero 5. Tuttavia, studiosi antichi e moderni hanno dubitato della legittimità di tali iscrizioni. Secondo una coppia di studiosi:.\nSecondo l'inno omerico all'Apollo Pitico, Apollo lanciò la sua prima freccia come fanciullo che effettivamente uccide il serpente Pitone, il figlio di Gaia, che custodiva il luogo. Per espiare l'omicidio del figlio di Gea, Apollo fu costretto a volare e spendendo otto anni in servitù prima che potesse tornare espiato. Ogni anno veniva organizzata una festa, la Septeria, in cui veniva rappresentata l'intera storia: l'uccisione del serpente, il volo, l'espiazione e il ritorno del dio.I Giochi Pitici avevano luogo ogni quattro anni per commemorare la vittoria di Apollo. Un altro festival di Delfi era la Teofania (Θεοφάνεια), un festival annuale in primavera che celebrava il ritorno di Apollo dai suoi luoghi invernali a Iperborea. Il culmine del festival era un'esibizione di un'immagine degli dei, di solito nascosta ai fedeli presso il santuario.La Theoxenia si teneva ogni estate ed era incentrata su una festa per 'dèi e ambasciatori di altri Stati'. I miti indicano che Apollo uccise il serpente ctonio Pitone, Pythia nei miti più antichi, ma secondo alcuni conti successivi sua moglie, Pizia, che viveva accanto alla sorgente Castalia. Alcune fonti dicono che egli uccise Pitone perché aveva tentato di violentare Leto mentre era incinta di Apollo e Artemide.\nQuesta sorgente scorreva verso il tempio ma scompariva di sotto, creando una fessura che emetteva vapori chimici che favorivano l'oracolo a Delfi in grado di rivelare le sue profezie. Apollo uccise Pitone ma dovette essere punito per questo, in quanto figlio di Gea. Il santuario dedicato ad Apollo era originariamente dedicato a Gea e condiviso con Poseidone. Il nome Pizia rimase come titolo dell'Oracolo di Delfi.\nErwin Rohde scrisse che il Pitone era uno spirito terrestre, che fu conquistato da Apollo e sepolto sotto l'onfalo, e che si tratta di una divinità che erige un tempio sulla tomba di un altro.\n\nIl sito archeologico superiore.\nIl complesso degli scavi si snoda lungo una via principale lastricata detta Via Sacra, che sale dalla fonte Castalia lungo il pendio del monte Parnaso.\nAl principio della Via Sacra sono ancora visibili i resti di tombe e simulacri d'età romana, testimonianza degli interventi che il santuario subì da parte degli imperatori romani dal I secolo a.C. al II secolo d.C.\nSalendo si incontrano le prime importanti vestigia di fattura greca, in particolare i resti dei thesauroi votivi delle città greche. Sebbene per la maggior parte non restino altro che le fondazioni, sono da segnalare due eccezioni: il Tesoro dei Sifni, ricostruito con copie dei materiali originali (i materiali autentici si trovano all'interno del Museo), e il Tesoro degli Ateniesi, ricostruito quasi completamente con i materiali originali.\nIl Tesoro dei Sifni (proveniente appunto dalla città di Sifno), costruito nel 530-525 a.C., era un tempietto ionico distilo in antis con due cariatidi in sostituzione delle colonne tra i muri laterali del pronao; offre sul lato nord (quello rivolto alla Via Sacra percorsa dal pellegrino che andava in cerca del responso dal dio della sapienza e delle arti) un importante fregio con la rappresentazione di una drammatica battaglia fra gli dei e i Giganti.\nNella parte più alta del sito si trova lo Stadio di Delfi, uno degli stadi meglio conservati della Grecia.\n\nIl tempio di Apollo.\nSalendo ancora lungo la Via Sacra si incontra il vero e proprio cuore del santuario, il Tempio di Apollo.\nI resti del tempio dedicato all'Apollo Delfico (Ἀπόλλων Δελφίνιος Apòllōn Delphìnios) della mitologia greca fanno parte, con il famoso teatro e lo stadio (in cui ogni quattro anni si svolgevano i giochi pitici che seguivano di tre anni l'Olimpiade e prendono il nome dalla Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo), del famoso sito archeologico visitato annualmente da migliaia di turisti.\nSull'architrave del portale al santuario (all'interno del quale ardeva l'ἄσβεστος φλόξ àsbestos phlox, fiamma eterna) erano riportate delle massime di sapienza, tra cui il celebre motto ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seautón) che significa 'conosci te stesso' e che sarà poi fatto proprio da Socrate. All'interno del recinto erano presenti delle statue, tra le quali due scolpite da Patrocle di Crotone.\nPer costruirlo venne riportata della terra dalla valle del Parnaso, che venne impiegata per costruire un terrapieno in cui il tempio potesse affondare le fondazioni. La Via Sacra costeggia il terrapieno e lungo il tratto di passaggio venne eretto il Muro Poligonale, sul quale molti pellegrini del santuario hanno lasciato iscritte nella pietra le loro intenzioni votive o i loro ringraziamenti al dio Apollo. Tra queste iscrizioni se ne è conservata una di grande valore storico e letterario. Si tratta dell'iscrizione di Gerone I, tiranno di Siracusa della famiglia dei Dinomenidi, che si recò a Delfi per ringraziare il dio per la sua vittoria nella corsa dei cavalli ai Giochi olimpici. Di questa vittoria parla anche il poeta Pindaro, in una delle sue odi Olimpiche.\nDi fronte al tempio si trova il teatro, scavato alle pendici della montagna, e proseguendo lungo la Via Sacra si arriva ai resti dello stadio.\n\nIl Santuario di Atena Pronaia.\nAl di là della gola Castalia, ai confini orientali della città, Atena Pronaia, cioè “colei davanti al tempio”, aveva il suo santuario. Su una terrazza lunga 150 m ma profonda soltanto 40 si allineavano cinque edifici tutti raggruppati verso Sud in maniera casuale e arbitraria, orientati verso il pendio: anzitutto il tempio più antico verso l'ingresso orientale nel peribolo circondato dalle mura di sostegno, due tesori, un edificio rotondo (la “tholos”) e infine il tempio più recente che sostituì un doppio edificio di non chiara destinazione, la cosiddetta “abitazione dei sacerdoti”. Anche questo santuario è venuto crescendo a poco a poco. Sotto il tempio più antico è stato trovato uno strato di doni votivi del secondo millennio che conteneva circa 200 idoli di creta di una divinità dalle braccia spalancate, la prima signora del luogo. Nell'VIII o VII secolo questo antichissimo luogo sacro fu circondato da un muro ricurvo ancora legato interamente al paesaggio. I muri di macigni poligonali grezzamente commessi ma accuratamente inzeppati sembrano avere, a prima vista, molti punti di contatto con le mura micenee, ma un abisso separa quelle opere ciclopiche innalzate per difesa dalla sottile commettitura delle nostre mura a piccole pietre che rivelano già la singolare disposizione dei loro costruttori a elaborare completamente anche l’elemento più semplice e rozzo.Nella seconda metà del VII secolo Atena ricevette il suo primo tempio (1), un periptero di cui sono conservati nelle fondamenta del tempio più recente, oltre ai resti di fondamenta poligonali, anche dodici capitelli di poros e dieci rocchi di colonne. Si tratta delle più antiche colonne doriche conservate al completo. Il loro fusto sottile (alto solo 3,35 m ovvero 6 volte e mezzo il diametro inferiore, con 16 scanalature) e l’echino piatto, molto slargato, quasi tornito non si accordano affatto con le colonne grevi e pesanti quali le conosciamo nel VI secolo. Esse ci fanno intuire qualcosa degli indizi, per noi perduti, della struttura del tempio. Una trabeazione di legno molto leggera era probabilmente sostenuta da queste colonnette molto distanziate, il fregio doveva essere formato da tavole di argilla policrome, quali le conosciamo da Thermos (Etolia), e le tavolette sporgenti del tetto sostenevano il geison ugualmente policromo decorato con antefisse e rivestimenti di argilla. Fu forse un tempietto del genere, diafano e arioso, che Apollo trasportò senza sforzo, attraverso l’aria, agli Iperborei dell’estremo Nord dei quali evidentemente non aveva grande fiducia come costruttori di un'abitazione divina.\nDopo la costruzione del tempio degli Alcmeonidi, anche nel Santuario di Atena fu ampliato il peribolo e alla fine del VI secolo fu innalzato un secondo tempio (m 13,25 x 27,46, 1:2). Racchiuso dalla stretta terrazza esso rinunciò all'opistodromo e per questo presenta solo dodici colonne nel fianco in confronto alle sei della facciata. L’insolito orientamento verso Sud è forse condizionato dalla struttura del suolo poiché l’altare principale, rivolto verso Oriente e circondato da piccoli altari dedicati a tutte le virtù soccorritrici di Atena, si trova davanti alla parte longitudinale del tempio.\nIl canone dorico è giunto qui alla sua formulazione quasi completa. Gli intercolunni angolari sono contratti, il fregio è scandito regolarmente. Le ali esterne delle pareti della cella si protendono avanti, avvicinandosi alle assi della seconda e della quinta colonna della facciata. Tuttavia alcune anomalie rivelano ancora l’incertezza arcaica: le interassi della facciata (m 2,49) sono più ampie di quelle della parte longitudinale (m 2,42), e invece dell’armonica tripartizione del basamento il tempio presenta solo due gradini. I capitelli appartengono a un grado di sviluppo un po’ più arcaico di quello del Tesoro degli Ateniesi.\nGià nel V secolo l’edificio fu danneggiato dalla caduta di massi: Pausania lo vide in rovina. Nel 1905 precipitò sulle rovine da poco dissotterrate una nuova frana che distrusse dodici delle quindici colonne ancora in piedi e sconvolse le fondamenta con forza titanica. Al nuovo tempio di Apollo fece seguito nel IV secolo l’erezione di un terzo tempio per la sorella olimpica, questa volta in posizione meno pericolosa, all'estremità Occidentale della terrazza (2). La costruzione, priva di decorazione, intagliata in materiale duro e freddo (calcare azzurro del Parnaso), senza il fasto del colore, senza sculture, presentava in luogo della ricca corona dell’atrio anulare soltanto nude pareti in tre lati e una fragile serie di colonne doriche sulla facciata; questo avaro complesso può forse apparire povero rispetto ai suoi predecessori finché l’occhio non si sia abituato a vedere quello che non è visibile, finché non si comprende che qui l’effetto è condizionato dalle proporzioni, dai rapporti delle parti fra di loro e delle parti con il tutto. In luogo della molteplice melodia del più antico edificio ascoltiamo qui un unico accordo, modulato con chiarezza.\nL’atrio è ampliato dal protendersi delle pareti laterali; tra le ante sono inserite snelle colonne ioniche a cui corrispondono semicolonne inserite nella parete senza ingombrare lo spazio. Già qui, e più forte ancora nella rinuncia alla peristasi a favore della spazialità della cella, si manifesta quella nuova esigenza di spazio interno. Questo edificio infatti è uno dei primi che non dev'essere giudicato solo dall'esterno, dalla struttura architettonica, ma anche dall'interno, dallo spazio che esso abbraccia.\nAi templi più antichi si collegano due tesori: una costruzione in antis dorica e il Thesauros di Massalia. Il tesoro dorico assomiglia talmente al Tesoro degli Ateniesi per materiale, tecnica e stile che si potrebbe supporre che sia stato eretto dagli stessi donatori alla Signora delle città. Le maestranze hanno evidentemente preso lo spunto dall'edificio nel recinto di Apollo costruito solo pochi anni prima: le interassi delle ante sono in questo caso contratte, il fregio a triglifi è scandito regolarmente e anche le cinque guttae della regula sono state sostituite dalle sei normali.\n\nL’edificio più sorprendente e più originale della terrazza è senza dubbio la Tholos costruita all'inizio del IV secolo: un edificio rotondo la cui cella circolare è circondata da una corona di 20 colonne doriche (diametro dello stilobate 13,50 m, della cella 8,60 m; altezza totale fino alla sima 8,32 m). L’idea del periptero rotondo corrisponde in pieno per il suo aspetto circolare, per la sua ricchezza di rapporti geometrici, molteplici e al tempo stesso concentrati, allo spirito della tarda antichità quale si manifesta in tre delle sue opere più preziose (oltre a questo edificio, la tholos di Epidauro e il Philippeion di Olimpia). Tuttavia essa non è nuova e proprio a Delfi furono trovate inserite nel Tesoro di Sicione le parti di un'insolita tholos dell’inizio del VI secolo. Si tratta evidentemente di uno dei primi tentativi della giovane architettura in pietra che sperimentava ogni sua possibilità: sopra le 13 colonne della peristasi corre un fregio di 30 triglifi e metope senza alcun rapporto con la peristasi stessa, un’assurdità unica in tutta la storia dell’architettura greca. Venti è anche il numero cardinale della tholos più recente. Ognuna delle 20 colonne ripete, con i 20 spigoli delle sue scanalature, la pianta. Nell'interno della cella corrispondono alle colonne esterne 10 colonne corinzie (una delle quali è soppressa per fare luogo all'ampia apertura della porta), che cadono nei raggi alternati dell’intercolunnio esterno.\nDappertutto si nota l’influsso delle opere di Ictino: il suolo della cella e lo zoccolo a strati delle colonne della cella stessa formano (costituite come sono di sicuro calcare eleusino) un nobile contrasto con il marmo pentelico della costruzione. Le colonne corinzie che hanno fatto il loro ingresso trionfale nel Tempio di Apollo Epicurio a Bassae, sono legate alla parete per non togliere allo spazio un’ampiezza sia pure modesta. Anche la copertura a cassettoni formata da rombi ha in Bassae il suo prototipo, tuttavia l’architetto della tholos, Teodoro di Focea, che scrisse un libro sopra questa sua opera, è tutt'altro che un artista poco indipendente come lo dimostrano anche i profili disegnati in modo fresco e originale (per esempio il kyma lesbio nella base della parete), i singolari capitelli corinzi il cui robusto “cesto” portante è circondato da due giri di foglie di acanto di struttura plastica e mosse liberamente, i vivaci giri di acanto, le palmette e le teste di leoni della sima. È alla base di tutto una comprensione per la natura che domina e trasforma le forme naturali, libere da ogni schiavitù illusionistica.\nLe colonne si ergono snelle e senza peso, come giammai era avvenuto prima, incontro alla trabeazione (altezza 5,93 m [?], 6,8 volte il diametro inferiore di 0,87 m; le tre colonne ora in piedi furono risollevate nel 1938). Il corpo della cella emerge coerentemente, come una sorta di tamburo sopra al tetto marmoreo del colonnato, coronato da una piccola sima.\nDella decorazione scultorea delle metope – gruppi movimentati di amazzoni e di centauri – è rimasto solo ben poco; della mirabile esattezza nell'intaglio della pietra basti portare un esempio: le sottili superfici frontali dei triglifi seguono (cosa appena avvertibile anche per un occhio esercitato) la forma circolare dell’architrave.\nUn'altra proporzionalità matematica ha racchiuso nella sua articolazione rigorosa anche le parti più piccole (fino all'orlo concavo dei gradini che diminuisce verso l’alto con l’altezza e la larghezza dei gradini stessi) ed è cosa mirabile che il numero e la geometria non abbiano inaridito la vitalità dell’edificio, ma anzi servano come mezzi per mettere in evidenza nella forma più limpida, la corposità dell’edificio addolcita da una sottile freschezza.\n\nIl museo.\nGli scavi sul sito di Delfi vennero avviati nel 1889 da parte dell'École française d'Athènes, che ancora oggi se ne occupa e pubblica i nuovi ritrovamenti nel bollettino Fouilles de Delphes (FD). Nel museo sono raccolte le opere d'arte ritrovate negli scavi. Fra esse spicca la statua della Sfinge dei Nassi, in origine posta in cima a una colonna, la statua bronzea dell'auriga di Delfi, l'onfalo marmoreo, raffigurante l'ombelico del mondo, la statua del pugile Agias e la statua marmorea di Antinoo, di epoca romana. Molteplici i reperti di offerte votive: elmi, armi, vasi, monete, statuette e gioielli, che testimoniano secoli ininterrotti di culto al dio di Delfi.\n\nGli scavi.\nL’attuale sito archeologico di Delfi era stato occupato fin dal medioevo dal villaggio di Kastri. Perciò, prima che uno scavo sistematico potesse essere intrapreso, il villaggio doveva essere trasferito ma i residenti opposero resistenza. L'opportunità di trasferire l’intero centro abitato si è presentata quando questo è stato notevolmente danneggiato da un terremoto, con gli abitanti del borgo che hanno proposto un villaggio completamente nuovo in cambio del vecchio sito.\nCosì, nell'autunno del 1892, sotto la direzione di Théophile Homolle e della Scuola Archeologica Francese, iniziò il cosiddetto 'Grande Scavo' (La Grande Fouille). La spedizione rimosse vaste quantità di terreno da numerose frane fino a rivelare i principali edifici e strutture del Santuario di Apollo e di Atena Pronaia, insieme a migliaia di oggetti, iscrizioni e sculture. Il Grande Scavo durò per dieci anni e si concluse con la creazione del primo museo sul posto. Negli anni a seguire comunque, il sito non ha mai smesso di essere scavato e indagato.\nIl luogo è ora un sito archeologico e una destinazione turistica molto popolare. È facilmente raggiungibile da Atene come gita di una giornata; la sua visita è spesso associata alle possibili attività invernali sul monte Parnaso, come pure alle spiagge e alle strutture turistiche estive della vicina costa della Focide (Itea, Cirra, Galaxidi, ecc.).\nIl sito è inoltre salvaguardato come un luogo di straordinaria bellezza naturale, e anche i suoi panorami sono tutelati: nessun manufatto industriale può essere visto da Delfi se non le strade e le residenze di architettura tradizionale (per esempio le linee elettriche dell’alta tensione e simili sono posizionate in modo tale da risultare invisibili dall'area del Santuario).\n\nDelfi nel V secolo.\nDurante gli scavi successivi sono stati scoperti resti architettonici risalenti a una basilica cristiana del V secolo, quando Delfi era una diocesi. Altri importanti edifici di epoca tardo romana sono le Terme Orientali, la casa con il peristilio, l'Agorà romana e la grande cisterna. Alla periferia Est della città si trovano cimiteri tardo romani.\nA sud-est del recinto di Apollo si trova la cosiddetta Villa Sud-Orientale, un edificio molto grande con una facciata lunga 65 metri, distribuita su quattro livelli, con quattro sale da pranzo (triclinia) e bagni privati. Giare di grande capacità conservavano le provviste, mentre altri vasi di terracotta e oggetti di lusso sono stati scoperti nelle stanze. Tra i reperti spicca un minuscolo leopardo in madreperla, forse di origine sasanide, esposto nella galleria al piano terra del Museo Archeologico di Delfi. La villa risale all'inizio del V secolo e funzionò come casa privata fino al 580, ma in seguito fu trasformata in un laboratorio di ceramisti. È solo allora, all'inizio del VI secolo, che la città sembra subire un declino: le sue dimensioni si riducono e i suoi contatti commerciali sembrano drasticamente diminuiti. La produzione locale di ceramiche avviene in grandi quantità: è più grossolana e fatta di argilla rossastra, con l’intenzione di soddisfare i bisogni degli abitanti e non di essere esportata.\nLa Via Sacra rimase la strada principale dell'insediamento, trasformata, tuttavia, in una strada a uso commerciale e industriale. Attorno all'agorà furono costruiti laboratori e anche l'unica basilica cristiana entro le mura. L'area residenziale si è diffusa principalmente nella parte occidentale dell'insediamento. Le case erano piuttosto spaziose e due grandi cisterne fornivano loro acqua corrente.\n\nRappresentazione di Delfi nell'arte.\nA partire dal XVI secolo l'Europa occidentale sviluppò un interesse per Delfi. Verso la metà del XV secolo il geografo e storico greco Strabone fu tradotto per la prima volta in latino. Le prime raffigurazioni di Delfi, a opera del tedesco N. Gerbel, che pubblicò nel 1545 un testo basato sulla mappa della Grecia di N. Sofianos, erano totalmente immaginarie. L'antico santuario era raffigurato come una città fortificata. I primi viaggiatori con interessi archeologici, oltre al precursore Ciriaco d'Ancona, furono il britannico George Wheler e il francese Jacob Spon, che visitarono la Grecia in una spedizione congiunta nel 1675-76. Hanno pubblicato le loro impressioni separatamente. Nel 'Journey into Greece' (Viaggio in Grecia) di Wheler, pubblicato nel 1682, apparve uno schizzo della regione di Delfi, dove erano raffigurati l'insediamento di Kastri e alcune rovine. Le illustrazioni della pubblicazione di Spon 'Voyage d'Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, 1678' sono considerate originali e rivoluzionarie.\n\nViaggiatori hanno continuato a visitare Delfi per tutto il XIX secolo, pubblicando i loro resoconti in libri che contenevano diari, schizzi, vedute del sito e immagini di monete. Le illustrazioni riflettevano spesso lo spirito del romanticismo, come è evidente nelle opere di Otto Magnus von Stackelberg, dove, oltre ai paesaggi (La Grèce, Vues pittoresques et topographiques, Parigi 1834) sono raffigurati anche figure umane (Costumes et usi des peuples de la Grèce moderne dessinés sur les lieux, Parigi 1828). Il pittore filellenico H. W. Williams ha incluso il paesaggio di Delfi fra i suoi temi paesaggistici (1829). Personalità importanti come François Ch. H. L. Pouqueville, W.M. Leake, Christopher Wordsworth e Lord Byron sono tra i visitatori più celebri di Delfi.\nDopo la nascita del moderno Stato greco al termine della guerra d'indipendenza (1821-1832), la stampa iniziò a interessarsi anche a questi viaggiatori. Così scrive 'Ephemeris' (17/03/1889):.\n'In Revues des Deux Mondes Paul Lefaivre pubblicava le sue memorie circa un'escursione a Delfi. L'autore francese racconta in modo affascinante le sue avventure lungo il percorso, lodando in particolare l'abilità di un’anziana donna di rimettere a posto il braccio ferito di uno dei suoi compagni di viaggio stranieri, che era caduto da cavallo. Ad Arachova l'uomo greco è conservato intatto. Gli uomini sono 'atleti' piuttosto che contadini, allenati alla corsa e alla lotta, particolarmente eleganti e snelli sotto il loro abbigliamento da montagna. Solo brevemente si riferisce alle antichità di Delfi, ma descrive un muro pelasgico lungo 80 metri, sul quale sono incise innumerevoli iscrizioni: decreti, norme e affrancamenti di schiavi'.\nGradualmente apparvero le prime guide turistiche. I rivoluzionari libri 'tascabili' inventati dal tedesco Karl Baedeker, accompagnati da mappe utili per visitare siti archeologici come Delfi (1894), insieme a piantine dettagliate e manualetti divennero progressivamente pratici e popolari. L'obiettivo fotografico rivoluzionò il modo di raffigurare il paesaggio e le antichità, in particolare dal 1893 in poi, quando iniziarono gli scavi sistematici della Scuola Archeologica Francese. Tuttavia, artisti come Vera Willoughby hanno continuato a ispirarsi al paesaggio.\nI temi relativi all'immaginario delfico sono stati fonte d'ispirazione per diversi artisti. Infatti oltre il paesaggio e le rovine degli antichi edifici, la stessa Pizia/Sibilla è divenuta un soggetto variamente illustrato, anche sulle carte dei tarocchi. Esempi famosi sono costituiti dalla Sibilla delfica di Michelangelo (1509), l'incisione tedesca dell'Ottocento Oracolo di Apollo a Delfi, il dipinto L'oracolo delfico (1899) di John William Godward, così come il più recente L'oracolo di Delfi, inchiostro su carta, della svedese Malin Lind. Artisti moderni hanno trovato ispirazione anche nelle massime delfiche. Esempi di tali opere sono esposti nel 'Parco delle sculture del Centro Culturale Europeo di Delfi' e nelle mostre che si svolgono presso il Museo archeologico di Delfi.\n\nDelfi nella letteratura.\nDelfi è stata di ispirazione anche per la letteratura. Nel 1814 William Haygarth, amico di Lord Byron, fa riferimento a Delfi nella sua opera Greece, a Poem. Nel 1888 Charles Marie René Leconte de Isle ha pubblicato il suo dramma lirico L’Apollonide, accompagnato dalla musica di Franz Servais. Autori francesi più recenti hanno utilizzato Delfi come fonte di ispirazione, come Yves Bonnefoy (Delphes du second jour) o Jean Sullivan (soprannome di Joseph Lemarchand) in L’Obsession de Delphes (1967), ma anche Rob MacGregor nel suo Indiana Jones and the Peril at Delphi (1991).\nLa presenza di Delfi nella letteratura greca è molto intensa. Poeti come Kostis Palamas (Inno delfico, 1894), Kostas Karyotakis (Festa delfica, 1927), Nikephoros Vrettakos (Ritorno da Delfi, 1957), Ghiannis Ritsos (Delfi, 1961-62) e Kiki Dimoula (L'ombelico della terra e Terra adatta, 1988), per citare solo i più celebri che hanno dato il loro tributo a Delfi. Angelos Sikelianos compose Dedica (al discorso delfico) (1927), Inno delfico (1927) e la tragedia Sibilla (1940), mentre nel contesto dell'Idea Delfica (Δελφική Ιδέα - Delfikí Idéa) e dei Festival Delfici (Δελφικές Εορτές - Delfikés Eortés) pubblicò un saggio intitolato L'unione delfica (1930). Il premio Nobel in Letteratura Giorgios Seferis scrisse nel 1963 un componimento sotto il titolo di Delfi, incluso nel libro Dokimes.\nL’importanza di Delfi per i greci è significativa. Questo luogo è entrato a fare parte integrante della memoria collettiva e si è espresso nel tempo attraverso la tradizione. Nikolaos Politis, famoso etnografo greco, nei suoi Studi sulla vita e sulla lingua del popolo greco - parte prima riporta due esempi riguardo Delfi:.\na) Il sacerdote di Apollo (176). Quando nacque Cristo, un sacerdote di Apollo stava effettuando un sacrificio sotto il monastero di Panayia, sulla strada per Livadia (Λειβαδιά), in una località chiamata Logari. All'improvviso abbandona il sacrificio e dice al popolo: 'In questo momento è nato il figlio di Dio, che sarà molto potente, come Apollo, ma poi Apollo lo batterà'. Non ebbe il tempo di terminare il suo discorso che un tuono scese giù a bruciarlo, aprendo la roccia vicina in due. [p. 99].\nb) I Signori (108). I Signori non sono cristiani, perché nessuno li vede mai farsi il segno della croce. Sono originari da antichi abitanti pagani di Delfi che abitavano in un castello chiamato Adelfì – “Fratelli” in greco –, poiché due fratelli principi lo avevano edificato. Quando Cristo e sua madre sono “arrivati” in questo luogo e tutte le persone intorno si sono convertite al Cristianesimo, i signori pensarono che sarebbe stato meglio allontanarsi; così partirono verso ovest con tutti i propri averi. I Signori vengono ancora qui ora e adorano queste pietre. [p. 59]." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Delfine.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Delfine (in greco antico: Δελφύνη?) era il nome di un gigantesco drago femmina ucciso da Apollo a Delfi. Nei racconti del periodo ellenistico è talvolta identificata con Pitone.\n\nIl mito.\nSecondo l'Inno omerico ad Apollo (VII-VI secolo a.C.), Delfine era la madre adottiva del mostro serpente Tifone, che fu dato alla dragonessa da sua madre Era. Tifone alla fine avrebbe combattuto contro Zeus per la supremazia del cosmo. L'Inno prosegue descrivendo come, mentre costruiva il suo tempio oracolare a Delfi, Apollo incontrò la serpe nei pressi di una 'dolce sorgente'. Apollo colpì la dragonessa con una freccia dal suo arco e la uccise.Apollonio di Rodi (inizio III secolo a.C.), afferma che Apollo 'uccise con il suo arco il mostro Delfine', 'sotto il costone roccioso del Parnaso', e che la vittoria fu acclamata dalle 'ninfe Coricie', che erano associate al grotta Coricia alle pendici del Parnaso sopra Delfi.Plutarco (c. 46 d.C. - 120 d.C.), si riferisce al mostro che 'combatté con Apollo per l'oracolo a Delfi' come femmina, e dice che sebbene un tempo l'oracolo di Delfi era ' desolato e inavvicinabile', 'fu la desolazione ad attrarre la creatura piuttosto che la creatura a causare la desolazione'.Delfina compare anche nel racconto di Apollodoro (I o II secolo d.C.) della battaglia di Tifone con Zeus, dove è chiamata sia 'drago' (drakaina) che 'fanciulla semi-bestiale'. Secondo Apollodoro, Tifone riuscì a tagliare i tendini di Zeus dal suo corpo. Nascose quindi i tendini recisi nella grotta Coricia in Cilicia (una grotta diversa da quella sopra Delfi) e incaricò la dragonessa Delfine di custodirli. I tendini furono poi recuperati e restituiti a Zeus dagli dei Ermes e Pan.Infine, secondo la Suda, un'opera del X secolo d.C., il nome della città di Delfi deriverebbe da Delfine." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Delfo (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Delfo era il nome di uno degli eroi della città di Delfi, di cui è visto e venerato come il leggendario fondatore.\n\nNella mitologia.\nSecondo varie versioni, la sua discendenza è comunque eroicaː alcuni lo indicano come figlio di Poseidone e Melanto (figlia di Deucalione); per giacere con lei il dio dei mari si trasformò in un delfino.\nAltri autori, invece, ne fanno un figlio di Apollo e di una donna non ben identificataː ad esempio, Celeno, figlia di Hyamus e nipote di Lycorus, e, secondo altri, da Tia, la figlia dell'autoctono Castalio, o da Melaina, la figlia di Cefisso. In un'altra versione, sua madre è Melanis, una figlia di Hyamus e Melantea, e il padre non è menzionato.\nSi dice che Delfo abbia ereditato il regno di suo nonno nei pressi del monte Parnaso, che abbia sposato Castalia e che abbia avuto due figli, un figlio Castalio e una figlia Femonoe, la prima persona a scrivere esametri; un'altra versione aggiunge come figlio Pythis, che governava il paese sul monte Parnaso e da cui l'oracolo ricevette il nome di Pytho (Pizia). Suo nipote tramite Castalio era Lafrio, e il suo bisnipote Noutio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Delo.\n### Descrizione: Delo (AFI: /ˈdɛlo/; in greco Δήλος?, Dilos; in greco antico: Δῆλος?) è un'isola della Grecia, nel Mar Egeo. Estesa 3,4 km², fa parte dell'arcipelago delle Cicladi ed è situata vicino all'isola di Mykonos (3,5 miglia marine e 1 miglio marino dalla sua estremità ovest), dalla quale è raggiungibile tramite battelli.\nL'isola è oggi praticamente disabitata ed è un immenso sito archeologico che richiama turisti e appassionati di archeologia da ogni parte del mondo. È dal 1990 nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Un piccolo stretto separa Delo dalla vicina isola di Rineia, ugualmente disabitata.\n\nStoria.\nNell'antichità l'isola si chiamava Ortigia (Ortyghia). I reperti archeologici hanno dimostrato che l'isola era già abitata fin dal 3000 a.C. sulla cima del monte Cinto. I coloni dell'isola (circa nel 1000 a.C.) furono poi soppiantati dai micenei che probabilmente vi portarono il culto di Apollo, dio della luce e della musica e di Artemide, dea della Luna e della caccia, adorati in triade con la madre Latona. Successivamente la figura del dio Apollo prevalse sulle altre divinità e il santuario di Apollo, famoso già nei tempi omerici, raggiunse il suo massimo splendore nei tempi arcaici (VIII-VII sec. a.C) e classici (V-IV sec. a.C).\nFu sotto l'influsso della città di Atene dal VI secolo al IV secolo a.C. Prestigiosa sede della Lega di Delo (o Lega delio-attica) tra le città greche dal 478 a.C. fino al 454 a.C., nei pressi del santuario custodiva l'enorme somma dei contributi delle città greche. Quando la Lega di Delo passò sotto l'egemonia Ateniese, il tesoro fu trasferito all'Acropoli di Atene nel 454 a.C., segno visibile dell'accresciuta importanza politica di Atene e del suo stratega Pericle. Nell'inverno del 426/5 a.C. gli Ateniesi decisero la 'purificazione' di Delo, a scopi religiosi. Aprirono tutte le tombe dell'isola e trasportarono i resti trovati alla vicina isola di Renea, ove li seppellirono in una fossa comune. Si decise che nessuno sarebbe più potuto nascere o morire nell'isola sacra, per cui le donne partorienti e gli ammalati gravi avrebbero dovuto trasferirsi a Renea. Da quel momento gli abitanti di Delo rimasero senza patria. Nel 422 a.C. gli Ateniesi portarono a termine la 'purificazione', esiliando tutta la popolazione locale. Subito dopo, malgrado il fatto che fossero ancora in guerra, gli Ateniesi cominciarono per ingraziarsi gli dei, la costruzione di un nuovo grandioso Tempio di Apollo, di marmo bianco pentelico e istituirono le Feste Delie in onore di Apollo, da celebrare ogni cinque anni.\nNel III e II secolo a.C. divenne una città-Stato indipendente, e il più grande mercato di schiavi della Grecia. I Greci consideravano segno di prestigio erigere monumenti e fare generose offerte al santuario. Delo decadde dopo il saccheggio di Mitridate VI, re del Ponto (86 a.C.), quando i suoi monumenti vennero distrutti e gli abitanti (circa 20 000) vennero uccisi, anche se gli studiosi tendono oggi a rivedere verso il basso una simile cifra. Nel periodo romano Delo conobbe un nuovo periodo di rinascita ed espansione edilizia, cui seguì nel tardo impero un'epoca di progressiva decadenza fino al definitivo abbandono. Nel 1400 l'umanista Ciriaco d'Ancona visitò l'isola e descrisse i resti delle sculture ancora presenti, tra i quali spiccava una statua colossale arcaica di Apollo. Nel 1500 i veneziani, guidati da Morosini, portarono via uno dei leoni di marmo della cosiddetta 'Terrazza dei leoni' per abbellire l'ingresso dell'Arsenale di Venezia.\n\nMonumenti.\nDal 1872 l'École française di Atene incominciò nell'isola scavi sistematici che ancora oggi continuano. L'isola può definirsi un'immensa area archeologica, a cominciare dalla parte occidentale, dove nell'antichità si trovava il porto sacro. Risale all'VIII secolo uno degli esempi più antichi di moli di protezione, rappresentato da una poderosa struttura in blocchi di granito locale che si estende per circa 100 m.\nNella parte nord-occidentale si trovano i Propilei e l'Agorà dei Compitaliasti o Ermesiasti che fu fondata nel II secolo a.C. e veniva usata dai commercianti romani e dai liberti i quali vi si radunavano e onoravano i Lares compitales, cioè le divinità dei crocicchi; subito dopo, la Via Sacra con le basi degli ex voto. A ovest c'era la grande Stoà di Filippo, costruita intorno al 210 a.C. Nella parte opposta c'è il cosiddetto Portico Sud (III secolo a.C.) e l'Agorà Sud o Agorà dei Delii. Il santuario di Apollo si trovava a nord-est della Stoà di Filippo insieme a tre templi dedicati al dio, il terzo dei quali, di cui si conservano le fondazioni, è noto come 'Tempio degli Ateniesi'.\nNelle vicinanze, un po' prima del tempio di Apollo, si trova la Casa dei Nassi (metà del VI secolo a.C.), a nord l'altare Keraton e a nord-est di esso il tempio di Artemide (II secolo a.C.), costruito sui ruderi di un tempio precedente. Nella parte nord del tempio si trovano i cosiddetti 'Tesori' e a est di essi il Prytaneion (metà del V secolo a.C.) e a ovest il monumento del toro (IV-III secolo a.C.). A sud-est del monumento, l'altare di Zeus Salvatore protettore dei marinai e a nord il tempio di Dioniso (inizi III sec.) e il portico che si dice sia stato fondato da Antigono Gonata alla fine del III secolo a.C.\nNella parte ovest c'erano vari edifici l'Ekklesiasterion', luogo di riunione della Bulè e del Demos dei Delii e il 'Tesmoforion', costruzione del V secolo, collegato al culto di Demetra. Nella parte nord del santuario, nel quartiere del lago si trovava L'Agorà di Teofrasto, il santuario dei dodici dei dell'Olimpo, il tempio di Latona e l'Agorà degli italiani. Dal tempio di Latona, a nord del Lago Sacro, una strada portava alla famosa Via dei Leoni, ex voto degli abitanti dell'isola di Nasso del VII secolo a.C., consistente in nove leoni di marmo dei quali se ne conservano solo cinque. Un sesto si trova all'ingresso della Grande Porta dell'Arsenale di Venezia, depredato dall'Isola di Delo dall'Ammiraglio Francesco Morosini nel 1687. Un po' più in basso si trovava il lago sacro dove, nell'antichità, nuotavano i cigni di Apollo, coperto con terra nel 1926 dopo un'epidemia di malaria.\nA nord-ovest della Via dei Leoni si trovava la sede dei Poseidoniasti di Beirut, centro di commercianti che adoravano Poseidone, con le statue realizzate dallo scultore Menandro, due palestre, il santuario dell'Archegeta, il Ginnasio e lo Stadio. Il quartiere più abitato era quello del Teatro. Molte sono le abitazioni di età ellenistica e romana ornate con mosaici i pavimenti musivi: Casa dei Delfini, Casa delle Maschere, Casa del Tridente, Casa di Dioniso. Da questo punto si può arrivare al museo che custodisce reperti degli scavi dell'isola.\nA nord-ovest della Casa delle Maschere si conservano le vestigia del Teatro che aveva una capienza di 5 500 posti, costruzione del II secolo a.C.\nTroviamo inoltre nel Monte Cinto (Kynthos) resti del santuario di Zeus del Cinto e quello di Atena del Cinto.\n\nLe statue.\nLe opere arcaiche.\nLa statua del culto di Apollo, nonostante non ci sia pervenuto nulla, è delle più celebri e documentate di Delo: essa doveva essere in legno (secondo la tradizione di lavorazione xoana e degli sphyreleta) con alcune parti asportabili in oro. Tutti i testi epigrafici e letterari che studiano quest'opera la definiscono àgalma.\nTra le varie fonti letterarie, Pausania (IX, 35, 3) riconduce la sua realizzazione agli scultori arcaici Tektaios e Angelion allievi della grande scuola artistica (Pausania, II, 32, 5). sviluppatasi a Creta nel VII secolo a.C. e chiamata 'dedalica', che si occupava della realizzazione di coana (opere in legno) e sphyrelata (in lamina in bronzo sbalzata). Nel V secolo, nei Saturnali (I, 17, 13) Macrobio descrive la figura stante e reggente nella mano destra tre Grazie e quella sinistra l'arco e la freccia. Ne scrive anche Plutarco (anche se l'opera non è di certa attribuzione) nel De Musica, dove, nel capitolo 14, descrive la statua di Apollo, aggiungendo che a loro volta le tre Cariti reggono degli oggetti in mano: una lira, un aulòs e un syrinx a sostegno della sua tesi per cui Apollo non era solo l'inventore della lira, ma di tutti i principali strumenti musicali. Infine, un'interessante testimonianza è fornita dagli Aitia di Callimaco, dove il poeta riporta una descrizione della statua nella forma di un dialogo-epigramma.\nNonostante la frammentarietà del testo, grazie a questo dialogo si viene a conoscenza, oltre alle componenti descrittive come il fatto che fosse rivestito d'oro e che avesse una cintura intorno alla vita, anche del significato simbolico delle Cariti e dell'arco: le prime erano sostenute dalla mano destra, di modo che Apollo fosse disposto a conferire le sue grazie, mentre l'arco era posto nella mano sinistra, cosicché egli fosse più lento a castigare gli uomini.\nUn confronto iconografico dell'opera si ritrova nel rilievo A 6995 e Apollo è ancora una volta rappresentato stante in nudità con la gamba destra in appoggio, la sinistra in avanti e le ciocche di capelli che ricadono sul petto; nelle mani regge arco e faretra, accanto ai suoi piedi vi sono due altari rotondi sui quali siedono due sfingi di profilo, accanto alla spalla sinistra una figura femminile alata e dalla parte opposta un moscoforo.\nRisalente alla fine del VII-inizio del VI secolo a.C. è il Colosso dei Nassi. Ora il torso e il bacino si trovano nell'Artemision mentre la base è addossata al lato nord dell'oikos dei Nassi. Essa misurava circa 8 metri in altezza calcolando le dimensioni delle parti rimanenti: il torso (2,30 m) su cui si appoggiano, sia sul petto sia sulla schiena, ciocche di capelli intrecciati e il bacino (1,25 m). Essa rispecchia la tendenza delle opere nassie a dare vita a forme più sottili e snelle, come si nota dall'assottigliamento del tronco nella zona addominale e della vita. Petto e sterno sono meglio lavorati e definiti (come si nota nei pettorali e nella fossa del giugulo, la cui profondità è indice di ricerca naturalistica) a differenza della zona addominale e della schiena che sono trattate superficialmente. Era dotata di ornamenti in bronzo, a noi non pervenuti, ma di cui rimangono i fori per il fissaggio sul petto e sulla vita. Il colosso è un'opera particolare nel suo genere: se infatti il modello è quello dei kouroi, esso presenta delle innovazioni rispetto a quelli prodotti in Attica e soprattutto in area dorico-peloponnesiaca: nessun kouros del VII-VI secolo a.C. presentava le braccia portate in avanti, come in questo caso (anche se non pervenute si desume dalle cavità sul torso che servivano a inserire i tenoni delle braccia all'altezza del gomito) dove gli avambracci creano un angolo retto con le braccia.\n\nLe opere ellenistiche.\nLa statua di Apollo musico riprende anch'essa parzialmente l'iconografia di Helios: la capigliatura richiama quella di Helios sul carro, anche in questo caso, dalla metopa di Troia; il dio, in un'estasi quasi dionisiaca, è rappresentato con il corpo che, con la gamba destra leggermente portata in avanti così come la spalla sinistra, crea un avvitamento su sé stesso che termina nella testa, ruotata verso sinistra il cui movimento è sottolineato dall'ondulazione dei capelli.\nEssa faceva parte di un gruppo di cinque statue, accompagnato da Artemide (A 4126), Latona (A 4127) e due Muse (A 4128 e A 4129) che furono scoperte nella Casa delle Cinque Statue. La prima (1,30 m) si presenta mancante del naso e di metà degli avambracci; indossa un sottile chitone sopra al quale ricade un peplo più pesante. Ha un atteggiamento composto e calmo ma non rigido. Teneva probabilmente degli attributi nelle mani, forse un arco nella mano sinistra. Sono state ritrovate tracce di policromia originale sul peplo, che era blu con il bordo oro, mentre tracce di rosso erano sul chitone, tra i capelli, sulle labbra e sugli occhi. Latona (1,09 m) manca della parte superiore del torso, della testa e della mano destra. Il peso è sulla gamba sinistra e il corpo è interamente coperto dalle vesti pesanti e larghe, che nascondono la zona della vita. Indossa un peplo e un mantello dalla stoffa pesante, che ricade sul braccio sinistro. Proprio sugli abiti sono state ritrovate tracce di policromia originale: blu e giallo sul peplo, blu e rosso sul mantello e marrone-rossastro sui sandali. La prima Musa “con la nebride” (1,20 m) manca della testa, del braccio destro e della mano sinistra. Indossa un chitone lungo fino a terra, sopra al quale vi è un mantello poggiato sulle spalle che le copre la schiena e una pelle di cervo, legata sulla spalla destra e stretta sotto il seno da una cintura. Marcadé sottolinea che il fatto che indossi la nebride potrebbe suggerire che si tratti di un'Artemide. La seconda musa (1,30 m) è mancante della spalla e del braccio sinistri, delle dita della mano destra e di parte del piede destro. Sul capo indossa un leggero velo, ricavato dall'himation, che copre i capelli delicatamente raccolti dietro la nuca e scende poi sulla schiena avvolgendosi davanti sotto le anche; è vestita di un chitone dalle pieghe spesse sopra al quale indossa un koplos. Marcadé ha proposto che si potesse trattare di una Tyche più che una Musa, per via del peplo e del capo velato e soprattutto perché egli ha supposto che nella mano sinistra tenesse una cornucopia. Le dimensioni (la figura di Apollo misura 1,11 m) e il fatto che fossero poco lavorate sulla parte posteriore suggeriscono che le statue formassero un gruppo unitario e che facessero parte della scena del teatro. F. Queyrel ha invece proposto che il gruppo appena descritto, l'Apollo che calpesta gli scudi galati e la statua ritratto A 4142 fossero tutte opera della stessa bottega e che provenissero dalla Casa di Dioniso invece che dal Teatro. La testa del ritratto A 4142 e numerosi frammenti di Apollo che calpesta gli scudi galati provenivano infatti da quella casa che fu abbandonata e successivamente riutilizzata come sede per dei forni per la calce; di conseguenza, le sette opere sarebbero potute appartenere alla decorazione della Casa di Dioniso e spostate in seguito nella Casa delle Cinque Statue. La figura di Apollo porta un lungo chitone di forma tubolare, stretto in vita da una cintura, sopra al quale indossa un mantello. Questo tipo di abbigliamento è riflesso di un preciso schema iconografico: si rappresenta Apollo musico che suona la cetra o la regge con la mano sinistra (occasionalmente può essere appoggiato a un pilastro) indossando un chitone legato e un himation. Un confronto si può fare con l'Apollo con la cetra o con l'Apollo n° inv. 1344 probabilmente proveniente dal frontone del tempio di Apollo del IV secolo a.C. a Delfi, che nel braccio sinistro, ora mancante, doveva reggere una cetra; entrambi indossano un chitone e un himation. Sulle vesti sono rimaste tracce della policromia originari che permettono di capire che i mantello era dipinto di blu, la cintura di giallo e i sandali di rosso.\nLa statuetta di Apollo e il piccolo torso di Apollo nudo sembrano testimoniare una ripresa di forme arcaiche. Il fatto che la statuetta di Apollo e il piccolo torso di Apollo nudo non siano statue arcaiche è deducibile dalla delicatezza delle forme e dal leggero sbilanciamento delle anche che testimoniano una conoscenza delle opere di Prassitele e l'acquisizione di tecniche scultoree più avanzate nella resa della figura umana. Anch'esse presentano la figura stante in nudità, poggianti sulla gamba destra mentre quella sinistra è leggermente portata in avanti e in entrambe, nonostante siano mancanti della testa, rimangono le ciocche di capelli intrecciati poggianti sia sul petto sia sulla schiena.\nJean Marcadé ha inoltre avanzato l'ipotesi che una piccola sfinge di epoca ellenistica (fig. nº 7) potesse essere pertinente alla statuetta di Apollo (cat. nº 1) e che insieme potessero formare una riproduzione della statua di culto arcaica di Apollo. Anche la testa di Apollo riprende, nella severità del volto, modelli più antichi, se non arcaizzanti, almeno dell'inizio del V secolo a.C. La capigliatura, tenuta da una fascia che circonda la nuca, ricade sulle spalle in grossi boccoli ed è definita da Marcadé “libica” in quanto la sua origine è egiziana e caratterizza la dea Iside e ogni altro esempio che si trova al di fuori dall'Egitto è connesso al culto isiaco. Tuttavia il volto, che in origine apparteneva a una statua, è difficilmente assimilabile a un'effigie femminile sia per i tratti marcati, come la mascella larga, sia per la capigliatura, dove le ciocche dalle tempie si allungano fino a coprire la base del collo ma non arrivano oltre le spalle come invece avviene nei soggetti femminili.\nLa statua di Apollo che calpesta tre scudi di Galati rappresenta un caso a sé rispetto alle altre opere analizzate; essa infatti non raffigura l'iconografia diffusa di Apollo musico, ma si riferisce a un preciso fatto storico. Sono stati riconosciuti negli scudi che il dio calpesta dei thyrei, ovvero degli scudi galati: ciò potrebbe suggerire che la statua si riferisse alla sconfitta subita dai Galati nel 279 a.C. alle porte di Delfi, che secondo Callimaco, Apollo nel ventre della madre aveva profetizzato “ἀσπὶδας, αἲ Γαλάτησι κακὴν ὀδὸν ἄφροι φύλω στήσονται.” (Inno a Delo, vv. 184-185). B.S. Ridgway ha inoltre supposto che quest'opera potesse essere parte di un più grande monumento commemorativo, ma rimane solamente un'ipotesi dal momento che essa fu trovata in molti frammenti sparsi per l'area del teatro e che le sue dimensioni minori del reale (1,33 m) suggeriscono che potrebbe essere stata una statua volta alla decorazione domestica. La posa sembra essere una fusione di più modelli: da un lato il braccio portato sulla testa richiama l'Apollo Liceo di Prassitele, dall'altra la gamba poggiante sugli scudi ricorda il tipo di Afrodite poggiante su una tartaruga. L'Apollo Liceo, un'opera di Prassitele della metà del IV secolo a.C., rappresenta il dio poggiante sulla gamba destra mentre la pianta della sinistra, libera dal peso si stacca da terra, creando un movimento a S del corpo sottolineato dallo sbilanciamento delle anche. Il braccio sinistro è posato su un pilastro e regge nella stessa mano un arco, mentre il braccio destro, sollevato, poggia sulla testa. Essa è caratterizzata da un'acconciatura femminile, con i boccoli che contornano il viso, delicatamente raccolti sulla nuca. Un confronto con una statua di Afrodite in una posa simile è possibile con l'Afrodite Brazzà, conservata al museo di Berlino, riproduzione di un originale di Fidia che rappresenta la dea, vestita di un peplo e un himation riccamente drappeggiato che ricade sulla coscia sinistra, piegata in avanti e appoggiata a una tartaruga.\n\nLe opere policrome.\nLa statuaria in marmo greca e romana che ci è giunta raramente conserva traccia del suo aspetto originario, quando spesso era completamente dipinta; la pittura era processo fondamentale nella realizzazione di una statua. Andreas Karydas e Hariclia Brecoulaki hanno analizzato a raggi X tracce di colore arancione, marrone, viola, verde e nero che hanno mostrato come essi provenissero da un'ampia gamma di pigmenti tra cui anche minerali: tra essi il blu egizio (che veniva prodotto in loco), il solfuro di arsenico, la jarosite, la celadonite o altri più esotici come il cinabro e l'orpimento: essi venivano applicati sul marmo sia puri sia mischiati tra di loro attraverso collanti naturali quali la robbia o la malva. I colori più utilizzati erano il giallo, il blu e il rosa: come riporta C. Blume vi era una particolare propensione all'impiego del blu chiaro e del rosa acceso, frequentemente applicati in associazione tra loro. Il colore veniva applicato sul marmo senza preparazione sottostante oppure su uno strato biancastro di polvere di piombo che conferiva una maggiore aderenza al colore -veniva infatti usato per i colori più preziosi-, rendeva la superficie più liscia e esaltava l'intensità del colore. L'abilità degli artisti permetteva loro, sfruttando pochi colori, di creare molte sfumature; esse si ottenevano in diversi modi: usando colori puri -dai pigmenti e dai minerali-, creando una miscela di pigmenti, giocando sul grado di polverizzazione, sfruttando il legante o sovrapponendo tra loro strati di colori (anche fino a quattro). Un altro modo di completare le statue, oltre alla pittura, era la doratura: veniva utilizzata la foglia d'oro (e non la polvere) che si applicava sul marmo o in modo diretto con dei collanti naturali, oppure attraverso uno stato preparatorio composto di ocra gialla o rossa e piombo.\nIl ruolo della doratura e della pittura non era semplicemente decorativo: nell'interagire con la forma divenivano parte integrante dell'opera di cui arricchivano il significato. Innanzitutto queste tecniche potevano servire a coprire i punti di connessione nelle statue laddove fossero stati usati blocchi di marmo diversi; inoltre, sottolineando elementi scolpiti (come le labbra) la pittura poteva potenziarne il realismo, creare dei motivi che fossero in parte scolpiti e in parte dipinti oppure sostituirsi direttamente alla tecnica plastica, creando degli elementi solo attraverso il colore (come ad esempio la decorazione di una veste).\nLa doratura non era da meno: essa era funzionale ad arricchire le statue di gioielli in alcuni casi, o in altri a coprirne tutto il corpo lasciando poco spazio alla pittura.\nLa prima opera analizzata che riporta tracce di policromia fu trovata nello stesso contesto della statua di Apollo seduto: la statua di Apollo nudo. La posa morbida e il corpo femmineo hanno permesso di individuare la figura come Apollo, più che come un atleta vittorioso. Il corpo è nudo e sensuale, in quanto la totale nudità è accentuata dalla clamide che morbidamente ricade dalla spalla sul braccio sinistro, senza nascondere nulla. Il ritrovamento, fatto nella Casa delle Maschere, ha portato Marcadé a supporre che essa fosse la sede di un'associazione di teatranti di cui la statua era simbolo di un culto apposito. Proprio sulla clamide Philippe Jockey e Brigitte Bourgeois hanno ritrovato tracce della policromia originaria grazie alla fluorescenza UV: la faccia esterna era dipinta di rosa, quella interna di blu e il bordo era dipinto d'oro. Ma il fattore più importante è che sono state ritrovate delle tracce d'oro sul corpo. Le tecniche utilizzate dovevano molto a quelle egizie: lo strato rossastro sottostante la foglia d'oro, ritrovato su alcune statue delie era utilizzato nella doratura delle maschere in stucco delle mummie egizie. Gli scultori delii cominciarono a utilizzare questa tecnica ricoprendo il corpo delle statue in foglia d'oro -per i committenti più abbienti- mentre gli abiti erano dipinti. Il fine era quello di creare un'opera la cui efficacia non fosse affidata alla sola scultura, ma vi partecipassero, completandola, anche la pittura e la doratura.\nIl Diadumeno è una delle opere più celebri ritrovate a Delo: fu trovata nella Casa del Diadumeno insieme allo Pseudo-Atleta e a una figura di Artemide. La seconda pervenuta intera tranne che per il braccio destro e l'avambraccio sinistro, indossa un himation, sotto al quale vi è un apoptygma, stretta da una cintura sul busto e porta un arco in mezzo ai seni, dove sono stati individuati dei buchi per il fissaggio della freccia. Lo Pseudo-Atleta pervenuto intero combina il volto di un mercator romano, dai tratti naturalistici e realistici (come le orecchie leggermente sporgenti) con il corpo idealizzato che, invece, si rifà a modelli classici. Il Diadumeno fu trovato in un angolo della sala E della casa e rappresenta una copia dell'originale di Policleto del V secolo a.C.: una figura maschile nuda intenta a cingersi il capo con una benda in segno di vittoria. Quest'opera viene inserita tra le raffigurazioni di Apollo nonostante non sia certo che voglia rappresentare il dio che nelle versioni della serie copistica (e dunque, presumibilmente anche nell'originale bronzeo) non presenta alcun attributo apollineo; nella copia delia, invece, il supporto non è un semplice tronco di palma ma a esso sono appoggiati un mantello e una faretra, uno dei simboli, quest'ultimo, di Apollo, il dio arciere. La resa del corpo segue i precetti policletei, attenendosi al noto principio di proporzione tra le parti anatomiche, mentre il volto è vivo: ogni dettaglio contribuisce all'impressione di vita e movimento, come ad esempio l'irregolarità dei nastri della banda che ricrea l'effetto della stoffa che preme sulla voluminosa capigliatura o la precisione dei rami del tronco dell'albero. Il corpo è molto giovane ma al contempo elegante, le varie parti sono definite in modo deciso ma non eccessivo. Il leggero sbilanciamento delle anche, con quella destra portata più in alto, si accorda in corrispondenza chiastica con l'inclinazione delle spalle, che dunque vede la destra più in basso. Lo sguardo pacato e dolce è rivolto verso il basso. È significativo il fatto che, confrontando quest'opera con la copia del Metropolitan Museum, sia risultato che esse hanno le stesse dimensioni (tanto che è stato possibile ricostruire calchi in gesso del torso perduto e la parte superiore delle gambe della statua di New York grazie a quella delia, con la quale coincideva perfettamente): ciò significa che la precisione delle misure e dei calcoli effettuati per realizzare la copia di Delo non era un fatto eccezionale, ma comune ad altre copie. La singolarità della statua delia stava, invece, nella la presenza della faretra (l'unica tra le copie) che dimostra come l'innovazione e l'iniziativa non mancassero agli scultori delii, che non si limitavano dunque a copiare.\nLe analisi condotte con il video-microscopio da Brigitte Bourgeois e Philippe Jockey hanno mostrato che la statua era completamente rivestita in foglia d'oro: sono state trovate tracce sulle orecchie, il collo, il bicipite destro, sui capelli e sui peli pubici. Inoltre anche il sostegno era integralmente rivestito in oro. L'oro era steso (e non applicato in grani o in polvere) con la tecnica “a ciotola”: veniva applicato su uno strato di polvere biancastra (piombo), gialla e rossa (ocra). Dei fasci luminosi puntati sulla statua hanno poi permesso di individuare delle inclusioni di mica grazie al riflesso dovuto al colore argentato.\n\nLe opere incerte.\nVi sono due opere la cui identità rimane dibattuta in quanto lo schema iconografico è molto simile; potrebbero essere rappresentati, infatti, sia Apollo sia Dioniso. La prima dalle dimensioni piuttosto ridotte (30,5 cm) presenta una lavorazione sommaria e incompleta. La figura, priva della testa e dell'avambraccio sinistro, poggia il peso sulla gamba destra e con un'accentuata curvatura laterale della schiena si sostiene a un pilastro appoggiandovi il gomito sinistro. L'himation cade dalla spalla sinistra e scende dalla schiena verso l'anca destra, avvolgendosi poi intorno al bacino. Nella mano sinistra teneva probabilmente un arco (il marmo non ancora lavorato si incurva appoggiandosi all'avambraccio). Il pilastro quadrato si differenzia dalla piccola colonna con capitello modanato cui si poggia la statua.\nQuest'opera è pervenuta in condizioni migliori della precedente: è mancante della testa, del braccio destro e dell'avambraccio sinistro, ma la lavorazione della figura è più fine; solamente il trattamento superficiale del retro della statua fa pensare che non sia ultimata. La posa è molto simile a quella dell'altra statua: con il peso sulla gamba destra rigida mentre la sinistra è portata in avanti e piegata, la figura si appoggia alla colonna con il gomito sinistro, provocando uno sbilanciamento delle anche. Sulla schiena e sulle spalle ricadono ciocche ondulate di capelli. Anche in questo caso l'himation si appoggia al braccio sinistro avvolgendosi dietro la schiena e coprendo l'inguine grazie al sostegno della coscia destra sul quale ricade creando delle spesse pieghe. L'identificazione, in entrambi i casi, della figura è incerta: la morbidezza dell'inclinamento delle anche, sottolineato dall'inguine deliberatamente quasi del tutto scoperto, donano alla figura sensualità, tratto che si avvicina di più a Dioniso, mentre le ciocche ondulate di capelli che ricadono sulle spalle sono assimilabili a entrambe le divinità.\nLo schema iconografico del dio che si appoggia a una colonna a un pilastro, diventa frequente per la rappresentazione di entrambi gli dei e facilmente alternabile grazie allo scambio degli attributi: un arco o una corona, una phiale o un kantharos, un ramo di alloro o un grappolo d'uva.\nA Delo, Apollo, così come Dioniso, è dio delle arti, della musica e del teatro: questo rapporto di entrambi gli dei con il teatro si riflette nelle somiglianze tipologiche fra diverse statue. Ad esempio nel caso di un dio appoggiato a un pilastro o a una colonna è difficile distinguere quale dei due sia rappresentato, in assenza di attributi; si possono inoltre riscontrare caratteri dionisiaci nell'estasi musicale di Apollo, come nel caso della statua di Apollo musico. Un'altra contaminazione tipologica la si nota nella statua di Apollo che calpesta tre scudi di Galati, dove i capelli del dio sono tenuti da una mitra dionisiaca, elemento che raramente viene attribuito ad Apollo.\nDurante l'Ellenismo non fu raro un avvicinamento e una sovrapposizione dell'iconografia di Apollo e Dioniso: il primo cominciò ad assumere un aspetto più languido ed effeminato, più vicino al dio del vino, mentre questo a sua volta perse la connotazione di dio barbuto e maturo, per assumere l'aspetto di una giovinezza apollinea. Questa assimilazione avveniva in corpi rappresentati spesso nudi o semi-nudi, forti e giovanili ma non più efebici.\nCome riporta E. Calandra, in una recensione al testo di Schröder “Römische Bacchusbilder in der Tradition des Apollon Lykeios. Studien zur Bildformulierung und Bildbedeutung in späthellenistisch-römischer Zeit' in epoca ellenistica la sovrapposizione delle due figure divine è dovuta esclusivamente a una nuova concezione della produzione ormai standardizzata “decontestualizzando le singole componenti e ristrutturandole nella nuova iconografia”: il tipo, ad esempio dell'Apollo Liceo è nell'ellenismo intercambiabile fra le due figure.\nAnche la condivisione di aspetti del teatro e della musica, secondo Marcadé, ha permesso la sovrapposizione iconografica tra Dioniso e Apollo dove è stato il secondo ad avere la meglio, acquisendo un'iconografia più ricca del primo.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia greca era inizialmente un'isola galleggiante dove si rifugiò Latona per partorire i figli gemelli di Zeus lontano dall'ira di Era. È pertanto considerata il luogo di nascita del dio Apollo e della dea Artemide, figli di Latona.\nAsteria, figlia della titanide Febe e del titano Ceo, fu la sposa del titano Perse, e gli diede una figlia che chiamarono Ecate. Per sfuggire all'amore fedifrago di Zeus, Asteria si trasformò in una quaglia, ma la fuga precipitosa la fece precipitare nel mar Egeo, come un astro (appunto Asteria). Zeus ne fu addolorato e trasformò Asteria in un'isola, che si chiama anche Ortigia, ovvero 'isola delle quaglie'. Su quest'isola Latona (sorella di Asteria) trovò asilo e vi partorì Apollo e Artemide. E siccome per la nascita di Apollo, dio del Sole, l'isola fu tutta circonfusa di luce, fu, da allora, chiamata Delo, dal verbo greco δηλόω (deloo) che significa “mostrare', poiché era ormai visibile.\nNelle odi, Pindaro scrisse '[…] che gli uomini chiamano Delo ma i beati sull'Olimpo, astro della terra scura, visibile da lontano'; il poeta ne dà dunque due denominazioni: la prima, più umana, con il significato di 'chiara'; mentre la seconda, divina, la definisce 'astro', in greco Ἄστρον sinonimo di ἀστήρ che richiama Asteria, il nome utilizzato prima che l'isola fosse chiamata Delo.\n\nAmministrazione.\nDal punto di vista amministrativo l'isola è compresa nel comune di Mykonos.\nIn realtà, il fatto che sia disabitata dipende da un preciso motivo: il divieto di pernottarvi è infatti legato alla sacralità del luogo, che i governi moderni hanno voluto preservare." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Demiurgo.\n### Descrizione: Il demiurgo, figura filosofica e al tempo stesso mitologica, è un essere divino, dotato di capacità generatrice, descritto la prima volta da Platone nel Timeo (anche se un breve accenno alla sua figura è presente già nel X libro della Repubblica). Il termine greco da lui usato è δημιουργός (dēmiurgòs, 'lavoratore pubblico'), composto di δήμιος (dèmios, 'del popolo') ed ἔργον (èrgon, 'lavoro', 'opera').\n\nIl Demiurgo nel mito.\nLa figura del Demiurgo, senza il quale «è impossibile che ogni cosa abbia nascimento», non è propriamente un dio generatore come quello cristiano, ma piuttosto ordinatore: egli dà il soffio vitale a una materia informe e ingenerata che preesiste a lui. Per questo fu definito da Celso come un «semidio».Fu descritto all'inizio da Platone soltanto come ipotesi cosmologica che ha carattere verosimile, cioè in forma di mito, di cui egli si serviva come in altri casi per descrivere in modo intuitivo e narrativo, anziché con una rigorosa argomentazione dimostrativa, un aspetto del suo pensiero particolarmente difficile da illustrare e comprendere.\n«Artefice e padre dell'universo», il Demiurgo è nel mito platonico una forza ordinatrice, imitatrice, plasmatrice, che vivifica la materia, dandole una forma, un ordine, e soprattutto un'Anima Mundi.\n\nFunzione filosofica.\nSul piano filosofico il Demiurgo corrisponde alla necessità di introdurre un principio unitario in grado di giustificare e superare il rigido dualismo, teorizzato da Platone, fra il mondo delle idee e la realtà sensibile.\nQuesto divino artigiano rappresenta quindi il mediatore tra la dimensione intellegibile e la materia, dualismo altrimenti inscindibile. Il demiurgo è infatti l'intelligenza che progetta il mondo, guardando alle idee come modello e usando la materia (o chora) come strumento.\nLe idee platoniche sono eterne, necessarie e precedono ogni origine temporale. Esse sono l'oggetto della vera intellezione in quanto 'pura forma'. Sono dunque esenti da generazione e corruzione, a differenza del mondo sensibile che è al contrario generato e corruttibile. Il mondo sensibile, soggetto al divenire e generato, deve necessariamente discendere da un principio, giacché non vi è generazione senza una causa. Il Demiurgo, essendo legato imprescindibilmente all'idea di Bene, non può che creare il migliore dei mondi possibili. Pur avendo come modelli eterni le idee iperuraniche, il Demiurgo è legato alla 'minorità ontologica' del mondo sensibile. Il Demiurgo quindi non crea affatto ex nihilo (dal nulla), ma è costretto ad operare trasmettendo la forma ideale ad una materia preesistente.\nNell'antica Grecia, tuttavia, il termine demiurgo si riferiva anche ai lavoratori liberi, agli artigiani che vivevano liberamente dei frutti del loro lavoro. L'utilizzo dell'analogia tra la figura cosmogonica del Demiurgo e quella dell'artigiano è presto detta: il Demiurgo, come un artigiano, trasmette il modello ideale ad una materia già esistente, e possiede, oltre che carattere intellettuale, anche competenze tecniche.\n\nIl Demiurgo nello gnosticismo.\nGran parte delle sette gnostiche teorizzavano che il mondo fosse stato creato non da Dio, ma da eoni. Il Demiurgo in particolare è un dio minore creatore e governatore della materia assieme agli Arconti suoi sottoposti, mentre il vero Dio è trascendente, lontano, l'Uno.\nGli eoni, in molti sistemi gnostici, rappresentano le varie emanazioni del dio primo, noto anche come l'Uno, la Monade, Aion Teleos (l'Eone Perfetto), Bythos (greco per Profondità), Proarkhe (greco per Prima dell'Inizio), Arkhe ('Inizio'). Questo primo essere è anch'esso un eone e contiene in sé un altro essere noto come Ennoia ('Pensiero'), o Charis ('Grazia'), o Sige ('Silenzio'). L'essere perfetto, in seguito, concepisce il secondo ed il terzo eone: il maschio Caen ('Potere') e la femmina Akhana ('Verità', 'Amore').\nQuando un eone chiamato Sophia emanò senza il contributo del suo eone partner, Cristo, il risultato fu il Demiurgo, o mezzo-creatore o Primo Arconte (nei testi gnostici a volte chiamato Yaldabaoth, Hysteraa o Rex Mundi per i catari), una creatura che non sarebbe mai dovuta esistere, identificata a volte con la divinità monoteista ebraica Yahweh. Questa creatura, non appartenente al Pleroma, creò tutto il mondo materiale, ma Sophia riuscì ad infondere nella materia la sua scintilla divina (pneuma), salvando così il creato e l'umanità dal Demiurgo. Gli gnostici credevano nella teoria della doppia divinità (dualismo) che contrapponeva il Demiurgo creatore al vero Dio, sconosciuto e trascendente. L'eone Sophia in certe scuole gnostiche è considerato incarnato nella figura di Maria Maddalena, compagna mistica di Gesù, incarnazione dell'eone Cristo.\nAnche il vangelo di Giuda (un apocrifo, non inserito nei vangeli canonici e quindi non presente nella Bibbia) recentemente scoperto, tradotto e poi acquistato dalla National Geographic Society, menziona gli eoni e parla degli insegnamenti di Gesù al loro riguardo. In un passo di tale vangelo, Gesù deride i discepoli che pregano l'entità che loro credono essere il vero Dio, ma che è in realtà il malvagio Demiurgo.\nGli gnostici ofiti veneravano il serpente, perché era stato mandato da Sophia (o era lei stessa in sue sembianze) per indurre gli uomini a nutrirsi del frutto della conoscenza proibito dal Demiurgo, al fine di far loro acquisire la gnosis di cui avevano bisogno per svegliarsi dai suoi inganni.\nIl Demiurgo era la soluzione gnostica al problema del male. Gli gnostici ritenevano che un Dio buono non avrebbe potuto creare il male del mondo e per tale motivo contrapponevano il Demiurgo creatore alla trascendenza di Dio.\n\nIl demiurgo nelle altre religioni.\nLa figura del demiurgo, quanto divinità archetipica creatrice, è presente in molte altre religioni del mondo. Ad esempio la popolazione dei Semang nella penisola della Malacca considera come demiurgo la divinità Plē. Presso alcune popolazioni bantu il demiurgo è Unkulunkulu. Tra gli indiani Tlingit il Corvo assurge a questo ruolo, mentre tra gli indiani Tupi prende il nome di Tamosci." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Denti di drago (mitologia).\n### Descrizione: Nel mito greco i denti del drago (in greco ὀδόντες (τοῦ) δράκοντος?, odontes (tou) drakontos) sono presenti in primo piano nelle leggende del principe fenicio Cadmo e nella ricerca del vello d'oro da parte di Giasone. In ogni caso, i draghi sono presenti e sputano fuoco. I loro denti, una volta piantati, sarebbero diventati guerrieri completamente armati.\n\nMiti.\nCadmo.\nCadmo, portatore di alfabetizzazione e civiltà, uccise il sacro drago che custodiva la sorgente di Ares. Secondo la Bibliotheca, Atena diede a Cadmo metà dei denti del drago, consigliandogli di seminarli. Quando lo fece, dai solchi balzarono feroci uomini armati, conosciuti come Sparti ( greco antico : Σπαρτοί, traduzione letterale: 'seminati [uomini]', da σπείρω, speírō , 'seminare'). Cadmo scagliò contro di loro una pietra perché li temeva, ed essi, pensando che la pietra fosse stata lanciata da uno degli altri, si combatterono finché rimasero solo cinque di loro: Echione (futuro padre di Penteo), Udeo, Ctonio, Iperenore e Peloro. Questi cinque aiutarono Cadmo a fondare la città di Tebe, ma Cadmo fu costretto a essere schiavo di Ares per otto anni per espiare l'uccisione del drago. Alla fine dell'anno gli fu data in moglie Armonia, figlia di Afrodite e Ares.\nTuttavia, Ellanico scrive che sorsero solo cinque Sparti, omettendo la battaglia tra di loro. Nella sua versione Zeus dovette intervenire per salvare Cadmo dall'ira di Ares, che voleva ucciderlo. In seguito Echione sposò Agave, la figlia di Cadmo, e il loro figlio Penteo succedette a Cadmo come re.\n\nGiasone.\nAllo stesso modo, Giasone fu sfidato dal re Eete della Colchide a seminare i denti di drago di Atena per ottenere il vello d'oro. Medea, figlia di Eete, consigliò a Giasone di lanciare una pietra tra i guerrieri che spuntavano dalla terra. I guerrieri iniziarono a combattere e ad uccidersi a vicenda, senza lasciare alcun sopravvissuto tranne Giasone.\n\nRiferimenti moderni.\nLe leggende classiche di Cadmo e Giasone hanno dato origine alla frase 'seminare i denti del drago'. Questo è usato come metafora per riferirsi a fare qualcosa che ha l'effetto di fomentare controversie. In svedese, il mito è l'origine dell'idioma ' draksådd ' ( seme del drago ) con il significato di diffondere idee corruttrici o, in senso più ampio, azioni con conseguenze disastrose.\nJohn Milton fa riferimento al mito nella sua Areopagitica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Derinoe.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Derinoe (in greco antico: Δηρινόη) è una delle Amazzoni che combatterono nella guerra di Troia insieme alla regina Pentesilea come alleate dei Troiani. È citata nel Posthomerica, tardivo poema di Quinto Smirneo.\n\nIl mito.\nCompagna d'armi di Pentesilea, giunse a Troia, richiamata da Priamo, dopo la morte di Ettore. Quinto Smirneo la ricorda come una delle dodici Amazzoni che scortarono la regina in Frigia; è descritta inoltre come una fanciulla nobile e prode, simile per aspetto ad una dea.Tra le compagne, Derinoe fu una di quelle che più si distinsero in battaglia, uccidendo con la sua lancia Laogono. Cadde per mano di Aiace d'Oileo, che la trafisse con la spada in un punto compreso tra la spalla e la gola." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Despina (mitologia).\n### Descrizione: Despina (in greco, Δέσποινα, Dèspoina) era la figlia di Demetra e di Poseidone e sorella del cavallo alato Arione. Il nome con cui è identificata (Δέσποινα), e che era impronunciabile ai non iniziati, era forse solo un epiteto e significa semplicemente la Signora (dal greco-miceneo *des-potnia e ancora prima dal proto-indoeuropeo *dem/*dom, casa, dimora e potni, padrona, signora).\n\nIl mito.\nIl mito narra che mentre Demetra era intenta a cercare la figlia Persefone, rapita da Ade, fu vista da Poseidone che volle farla sua. Demetra, cercando di sfuggirgli, si trasformò in una giumenta. Allora anche il dio si trasformò in stallone, e da questa unione nacquero una figlia, Despina, ed un puledro, Arione. Despina si innamorò di Borea, il vento del Nord, che in seguito sposò. Egli la accompagna in volo, annunciando l'arrivo della stagione invernale, nella quale viene rappresentata.\n\nCulto.\nIl culto di Despina era praticato a Licosura, nei pressi di Megalòpoli, in Arcadia ed era legato a quello di altre divinità femminili come quello della madre Demetra, di Artemide ed Ecate. Dei culti misterici in suo onore non si sa nulla, ma probabilmente rientravano nell'ambito cultuale dei Misteri Eleusini o più in generale nel culto della Grande Dea.\n\nIdentificazione con Persefone.\nIn seguito Despina venne identificata soprattutto con Persefone (Kore), che secondo una versione alternativa del mito era lei stessa figlia di Demetra e Poseidone, invece che di Demetra e Zeus. Pausania, comunque, è chiaro nel separare Despina dalla sorellastra Persefone:Gli Arcadi venerano questa Signora sopra ogni altra divinità e sostengono che Ella è figlia di Poseidone e Demetra. Signora è uno dei nomi che le danno, così come essi soprannominano la figlia di Demetra avuta da Zeus la Giovinetta (Kore). Ma mentre il nome della Giovinetta è in realtà Persefone, così come scritto da Omero e Panfo nei loro poemi, il vero nome della Signora ho paura a rivelarlo ai non iniziati.\n\nIl gruppo del santuario di Despina a Licosura.\nDespina appare nel gruppo del santuario di Despina a Licosura; alto 5,30 m, il gruppo si trovava su di un basamento di 8 metri ed è stato realizzato da Damofonte di Messene. Rimangono ormai soltanto le teste di Artemide, Demetra e Anito, ma Pausania ce ne parla molto dettagliatamente. Despina e Demetra sono di dimensioni maggiori, poste al centro del basamento e sedute su di un trono. Demetra porta nella mano destra una fiaccola, Despina nella sinistra ha uno scettro ed era coperta da un velo, perciò invisibile, oltreché innominabile, dai non iniziati. Ai lati, Artemide e Anito, il titano che aveva allevato la piccola Despina." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dessicreone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Dessicreone era il nome di un mercante dell'isola di Samo, di cui nel mito si raccontano le gesta.\n\nIl mito.\nDurante uno dei suoi tanti viaggi era capitato nell'isola di Cipro, qui era nell'intento di ripartire caricando la nave di mercanzia come era solito fare quando Afrodite si avvicinò a lui rivelandosi e chiedendogli, senza darne spiegazioni, di caricare la nave con solo acqua e di salpare immediatamente. Dessicreone accettò il consiglio e subito si mise all'opera, preso il largo la sua e tante altre navi vicine ebbero dei problemi di navigazione dovuta ad un'improvvisa bonaccia. Tutti i naviganti pagarono a caro prezzo l'acqua del mercante, e lui per ringraziare dell'affare la dea della bellezza appena tornato in patria fece erigere una statua alla dea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Deucalione (figlio di Prometeo).\n### Descrizione: Deucalione (in greco antico: Δευκαλίων?, Deukalíōn) è un personaggio della mitologia greca ed è legato al mito di Deucalione e Pirra.\n\nGenealogia.\nFiglio di Prometeo e di Pronoe (a volte citata come Esione Pronoea) o di Climene, sposò la cugina Pirra che lo rese padre di Protogenia, Elleno, Anfizione, Pandora e Tia.\n\nMitologia.\nNel racconto di Apollodoro, Zeus aveva deciso di distruggere la razza umana con un grande diluvio perché la vedeva ormai corrotta e abbruttita. Deucalione lo seppe dal padre Prometeo, che gli consigliò di costruire un'arca sulla quale porre in salvo se stesso e sua moglie. Deucalione fabbricò l'arca sulla quale salirono e Zeus sommerse l'Ellade con il diluvio per eliminare la 'stirpe di bronzo'. Dopo nove giorni e nove notti di tempesta, Deucalione e Pirra sbarcarono sul monte Parnaso. Allora Zeus mandò loro Ermes perché esaudisse un loro desiderio. Deucalione chiese di far nascere sulla Terra una nuova generazione. Zeus ordinò agli sposi di camminare raccogliendo le pietre che avrebbero trovato sul loro cammino e di gettarsele alle spalle; da quelle pietre si liberarono, mano a mano, uomini e donne nuovi.\nFigli di Deucalione e Pirra furono Protogenia la 'prima generata', Elleno (per alcuni figlio di Zeus), Anfizione che fu re dell'Attica.\nElleno, poi, con la ninfa Orseide concepì Doro, Xuto ed Eolo. Dato il proprio nome agli Elleni, egli divise il paese fra i suoi figli: il Peloponneso a Xuto, la terra antistante il Peloponneso a Doro e la Tessaglia a Eolo.\n\nAltre versioni.\nPer Pindaro dopo il diluvio Deucalione e Pirra si insediarono ad Opunte in Sicilia. Qui diedero vita alla stirpe dei Lai gettandosi pietre alle spalle.\nSecondo Igino invece, Deucalione e Pirra si salvarono perché si erano rifugiati sull'Etna, «Che in Sicilia dicono altissimo».\nPausania poi riferisce che ad Atene Deucalione avrebbe fatto costruire il tempio di Zeus Olimpio, e che accanto a questo si trovava la sua tomba.\nSecondo il Marmor Parium il diluvio avvenne nel 1539 a.C.Ovidio, nelle Metamorfosi, riprende il mito e ne fa un racconto poetico in cui scandisce le età dell'uomo ed il suo stato, la collera degli dei e la rinascita dell'umanità.\n'Giove scagliò innumerevoli folgori ma infine, temendo che il fuoco potesse arrivare alla reggia celeste, volle mandare il diluvio.\nRinchiuse il vento Aquilone che allontana le nubi e scatenò Noto, che le porta. Iride raccolse le acque alimentando le nuvole e Nettuno, fratello di Giove, ordinò ai fiumi di straripare e scosse la terra con il suo tridente.\nIl mondo fu inondato, le campagne, le case, le città sommerse. Chi non annegò salvandosi sulle imbarcazioni più tardi morì di fame.\nSulla vetta del Parnaso, che ancora emergeva, ripararono Deucalione e Pirra, gli unici sopravvissuti, giusti e religiosi.\nAllora Giove liberò Aquilone perché allontanasse le nuvole e Nettuno mandò Tritone a richiamare le acque.\nSalvi ma disperati, Deucalione e Pirra si rivolsero alla dea Temi che aveva un oracolo sul monte. Fu loro ordinato di gettare sassi dietro le spalle e, miracolosamente, i sassi gettati da Deucalione divennero uomini, donne quelli scagliati da Pirra.\nA poco a poco la terra rigenerò la vegetazione e la fauna.Nel 'De Syria Dea' di Luciano, si racconta che Deucalione avrebbe costruito, nella 'Città sacra', in Siria, un tempio in onore della dea Giunone, nei pressi di una voragine formatasi a seguito del diluvio.\n\nGalleria d'immagini.\nDeucalione e Pirra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Deucalione e Pirra.\n### Descrizione: Deucalione e Pirra sono i due protagonisti della variante greca del mito del diluvio universale.\nDeucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo ed Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli. Gli dei permisero loro di salvarsi dal diluvio che si sarebbe abbattuto sulla terra in modo che facessero rinascere l'umanità.\nSu ciò che avviene dopo il diluvio esistono due versioni, che comunque portano allo stesso epilogo.\nSecondo una prima versione essi hanno, come premio per la loro virtù, diritto ad un desiderio, ed essi chiedono di avere con loro altre persone. Zeus consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre dietro la loro schiena, e queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra.\nSecondo un differente racconto l'idea di gettare pietre deriva da una profezia dell'oracolo di Temi, che indicava ai due di lanciare dietro di loro 'le ossa della grande madre'. Essi comprendono allora che l'oracolo si riferisce alla Terra, ricordiamo che entrambi sono figli di Titani, e che le ossa della Terra sono le pietre, quindi se le lanciano alle spalle e queste si tramutano in uomini e donne ripopolando la terra.\nIl mito è spesso collocato nell'Epiro, sull'Etna o in Tessaglia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Diana di Versailles.\n### Descrizione: La Diana di Versailles è una statua di marmo, poco più grande della grandezza naturale, raffigurante la dea greca Artemide (Diana nella mitologia romana) con un capriolo. L'opera si trova al Museo del Louvre di Parigi. È una copia romana (I-II secolo d.C.) da un originale bronzeo greco, attribuito a Leocare (325 a.C. circa) e andato perduto. La statua è anche nota come Diane à la biche (in francese Diana della cerva), Diane Chasseresse (Diana cacciatrice), Artemide della caccia oppure Artemide con la cerva.\n\nStoria.\nLa statua fu scoperta in Italia: il sito web del Louvre suggerisce nella città di Nemi, dove in antichità era presente un santuario; altre fonti ritengono che sia stata rinvenuta a Tivoli, nei pressi di Villa Adriana; statue dal medesimo soggetto sono state trovate nelle aree archeologiche di Leptis Magna (odierna Libia) e Adalia (attuale Turchia). Nel 1556 fu donata da Papa Paolo IV a Enrico II di Francia, con un sottile ma ineludibile allusione alla sua maîtresse-en-titre, Diana di Poitiers.\nFu installata come elemento principale nel giardino della Regina (jardin de la Reine) presso il castello di Fontainebleau, esposta ad ovest della Galleria dei cervi; lì era l'opera che spiccava maggiormente ed era tra le prime sculture romane ad essere viste in Francia. 'Sola tra le statue esportate dall'Italia prima della seconda metà del XVII secolo, la Diana cacciatrice acquisì una reputazione fuori dall'Italia pari ai capolavori del Belvedere o di Villa Borghese', sebbene i suoi visitatori la confondessero con l'Artemide di Efeso.\nNel 1602 Enrico IV la rimosse per trasferirla al Palazzo del Louvre, dove la statua fu installata in una galleria progettata appositamente per essa, la Salle des Antiques (Sala degli Antichi, ora Salle des Caryatides, Sala delle Cariatidi). All'epoca il suo restauro fu ad opera di Barthélemy Prieur. Fu sostituita nel Palazzo di Fontainebleau da una copia bronzea del Prieur nel 1605; la copia fu posta su di un alto piedistallo marmoreo in stile manierista, elaborato dall'ingegnere idraulico Tommaso Francini, con riproduzioni di cani da caccia e teste di cervo bronzei dai quali fuoriescono zampilli d'acqua, con un parterre circondato da una limonaia. Un'ulteriore replica in bronzo delle stesse dimensioni fu realizzata nel 1634 da Hubert Le Sueur per Carlo II d'Inghilterra, il cognato di Luigi XIII di Francia.La Diana fu spostata nella Galleria degli Specchi della Reggia di Versailles da parte di Luigi XIV. Per il castello di Marly fu eseguita una copia marmorea nel 1710 da Guillaume Coustou. Poiché considerata uno dei tesori francesi, la Diana cacciatrice tornò al Louvre nell'An VI della Prima Repubblica (1798). Fu restaurata una seconda volta nel 1802 da Bernard Lange.\nUna miniatura dell'opera si trovava sul caminetto del salotto di prima classe del Titanic. Nel 1986, Robert Ballard scoprì e fotografò la statua sul fondale marino vicino alla prua del relitto.\n\nDescrizione.\nDiana è rappresentata come una cacciatrice dalla figura snella e mascolina, seguita da un cervo (più piccolo rispetto alle dimensioni reali) colmo di vitalità. Lei guarda verso destra, forse proprio verso un cervo, siccome con la mano destra alzata prende una freccia dalla faretra. Nella mano sinistra sta impugnando un arco, in gran parte andato perduto, pronta per attaccare; proprio la mancanza dell'arco trasforma il soggetto da cacciatrice e preda a uno pastorale. Diana, o Artemide, indossa un chitone dorico, un himation attorno alla sua vita e dei sandali." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Diana e Atteone (arte).\n### Descrizione: Diana e Atteone è un soggetto classico della pittura, della scultura e della musica che godette di una diffusione amplissima tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo.\n\nDescrizione.\nIl tema deriva dalla mitologia greca e romana e si rifà ad un episodio delle Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone. Secondo il mito, il cacciatore Atteone, nipote di Cadmo, si imbatte inconsapevolmente in Diana (Artemide per i greci), la dea della caccia, nota per la sua castità: quest'ultima si sta facendo un bagno nuda in una sorgente con le sue compagne ninfe. Essendosi rese conto del cacciatore, le ninfe urlano e cercano di coprire la dea adirata che, per impedire che egli vada a raccontare l'accaduto, gli spruzza dell'acqua sulla testa, tramutandolo in un cervo. Non riconoscendolo, i cani da caccia di Atteone comincieranno a inseguirlo ed egli scapperà fino ad una fonte dove si accorgerà della sua metamorfosi. Infine, i suoi segugi lo raggiungeranno e lo sbraneranno.Raffigurato raramente in epoca classica, con l'epoca rinascimentale, questo episodio ebbe maggiore fortuna, perchè divenne un pretesto per raffigurare dei nudi femminili in un paesaggio naturale ricco di contrasti tonali. Atteone viene per lo più ritratto con due corna da cervo sulla fronte, con la testa mutata o a trasformazione completata. Alcuni autori si concentrarono sul momento della metamorfosi, altri (come Tiziano Vecellio) sulla scena del bagno, mentre pochi raffigurarono il culmine violento della vicenda (come in un quadro tizianesco concluso nel 1575). Un celebre esempio sono gli affreschi dipinti dal Parmigianino per la Stufetta di Diana e Atteone della Rocca Sanvitale a Fontanellato. Questo ciclo di affreschi raffigura la trasformazione del cacciatore in cervo e la sua morte cruenta. La storia era popolare nelle maioliche rinascimentali italiane.\nIn epoca barocca e rococò, il tema dell'assalto dei cani da caccia divenne popolare nella statuaria destinata a parchi e giardini, come il gruppo scultoreo situato nei giardini della reggia di Caserta, in Campania. Con il tempo il tema andò svanendosi lentamente, anche se non del tutto: nel 1946, la pittrice messicana Frida Kahlo trasse ispirazione da questa storia per realizzare un dipinto nel quale un cervo dal volto umano, simile al suo, fugge nella foresta trafitto da alcune frecce.\n\nPittura.\nMatteo Balducci, Diana e Atteone, prima metà del XVI secolo.\nParmigianino, Stufetta di Diana e Atteone, 1524.\nLucas Cranach il Vecchio, Diana e Atteone (Diana und Aktäon) ,1540 circa.\nTiziano Vecellio:.\nDiana e Atteone, 1556.\nMorte di Atteone, 1559–1575François Clouet, Il bagno di Diana (Le Bain de Diane), 1559-1560.\nPaolo Veronese, Diana e le ninfe sorprese da Atteone, tra il 1560 e il 1569.\nBernaert Rijckere, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1573.\nJacopo Bassano, Diana e Atteone, tra il 1580 e il 1590.\nJoseph Heintz il Vecchio, Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), 1590 circa.\nJohann Rottenhammer, Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), tra il 1596 e il 1606.\nAlessandro Turchi, Diana e Atteone, 1600 circa.\nCavalier d'Arpino:.\nDiana e Atteone, 1602-1603.\nDiana e Atteone, 1603.\nCristoph Gertner (attribuito), Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), tra il 1610 e il 1615.\nFrancesco Albani, Diana e Atteone, 1617.\nHendrick van Balen il Vecchio, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1621.\nRembrandt van Rijn, Bagno di Diana e storie di Atteone e Callisto (Das Bad der Diana mit Aktäon und Kallisto), 1634.\nMichel Dorigny, Diana e Atteone (Diane et Actéon), 1635-1640.\nVictor Wolfvoet il Giovane, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1639-1652.\nJacob Jordaens, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1640 circa.\nFrancesco Albani, Atteone trasformato in cervo, 1640 circa.\nPietro Liberi, Diana e Atteone, 1660 circa.\nJames Thornhill, Diana e Atteone (Diana and Actaeon), 1704-1705.\nGiambattista Tiepolo, Diana e Atteone, 1720-1721.\nLouis Galloche, Diana e Atteone (Diane et Actéon), 1725.\nJean-François de Troy, Diana sorpresa da Atteone (Diane suprise par Actéon), 1734.\nGiacomo Ceruti, Diana e le ninfe sorprese da Atteone, 1744.\nMartin Johann Schmidt, Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), 1785.\nThomas Gainsborough, Diana e Atteone (Diana and Actaeon), 1785-1788.\nAndrea Appiani, Diana e Atteone, 1801 circa.\nRoman Maksimovič Volkov, Diana, circondata dalle ninfe, e Atteone (Diana, okružennaja nimfami, i Akteon), 1810 circa.\nHermann Steinfurth, Diana sorpresa da Atteone a farsi il bagno (Diana wird von Aktäon im Bade überrascht), 1847.\nHenryk Siemiradzki, Diana e Atteone (Diana i Akteon), 1886.\nZygmunt Waliszewski, Diana e Atteone (Diana i Akteon), 1935.\n\nDisegno.\nHans Speckaert, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), prima del 1577.\nThéodore Chassériau, Diana e Atteone (Diane et Actéon), 1840.\n\nScultura.\nFrancesco Mosca, Rilievo di Diana e Atteone, 1554-1564 circa.\nPietro Solari, Paolo Persico e Angelo Brunelli, sculture dalla Fontana di Diana e Atteone della Reggia di Caserta, seconda metà del XVIII secolo.\nLibero Andreotti, Diana e Atteone, 1913-1914.\nJohn Paddison, Diana e Atteone (Diana and Actaeon), 1990-1997." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology.\n### Descrizione: Il Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology ('Dizionario di biografia e mitologia greca e romana') è un dizionario biografico e storico-mitologico in lingua inglese sulla cultura classica greca e latina, compilato da William Smith in 3 volumi e pubblicato per la prima volta a Londra da Taylor, Walton & Maberly e da John Murray nel 1849.\n\nCaratteristiche.\nL'opera annovera 35 autori, oltre al curatore che è anche autore di alcuni articoli. Gli autori sono studiosi classici, provenienti perlopiù da Oxford, Cambridge, dalla Rugby School e dall'Università di Bonn. Molte voci mitologiche furono scritte dal tedesco espatriato Leonhard Schmitz, che contribuì a diffondere gli studi classici tedeschi in Gran Bretagna.Per quanto riguarda le biografie, Smith scrive:.\n\nMolti articoli sono riportati in opere più recenti e Robert Graves è stato accusato di aver tratto senza troppi riguardi o verifiche informazioni dal Dizionario di Smith per la redazione della sua celebre opera I miti greci. Il dizionario è ormai di dominio pubblico ed è disponibile in diversi siti su Internet. Se da una parte rimane ancora ampiamente accurato (soltanto raramente il testo antico citato è stato alterato), dall'altra è ormai superato, soprattutto a causa delle scoperte successive (come ad esempio La Costituzione degli Ateniesi di Aristotele, o la decifrazione della Lineare B) e dei ritrovamenti epigrafici e papirologici; inoltre, il contesto nel quale vengono valutate le antiche testimonianze è spesso cambiato nel corso di un secolo e mezzo.\n\nLista degli autori." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Didima.\n### Descrizione: Dìdima (in greco antico Δίδυμα) fu un'antichissima città greca della Ionia, presso l'odierna cittadina turca Didim (vicino a Yeni Hisar nel distretto di Söke in provincia di Aydın).\n\nOrigini.\nLa città si formò direttamente all'esterno del maestoso santuario che ospitava il tempio e l'oracolo di Apollo, il cosiddetto Didymaion. In greco didyma significa 'gemello'; i greci reinterpretarono in tal senso il toponimo già esistente, che deriverebbe invece dalla lingua caria, analogo a Idyma, Cibyma, Olymos, Loryma, Sidyma, come notò Joseph Eddy Fontenrose.\n\nL'epoca d'oro.\nDidima fu, al pari di Delfi, la più rinomata stazione oracolare di tutto l'antico mondo ellenistico, menzionata dai Greci fin dall'epoca degli Inni omerici ad Apollo, come citato da Fontenrose il quale dimostra che lo 'Zeus Didymeus' menzionato da Nicandro è un fantasma che prende il nome da un epiteto meramente geografico: lo Zeus di Didima.\nSia Erodoto sia Pausania datano il santuario a epoca antecedente alla colonizzazione degli Ioni, che abitarono la città dal VI secolo a.C.\nProbabilmente connesso con l'antico culto di Cybele Dyndimena, l'oracolo, e il suo tempio costruito attorno al VII secolo a.C., erano succeduti al suo cuore più antico edificato a partire dal II millennio a.C. e in seguito arricchito da Creso, l'ultimo sovrano della Lidia.\nFino alla sua distruzione da parte dei Persiani, questa città veniva amministrata dai Branchidi, i sedicenti discendenti del leggendario Branco, giovane amato da Apollo.\n\nLa distruzione e la ricostruzione.\nLa città venne distrutta nel 494 a.C. da Dario I in una incursione persiana a seguito della quale fu trafugata ad Ecbatana la statua bronzea di Apollo che, secondo la tradizione, era opera di Cànaco di Sicione.\nNel 334 a.C. con la conquista di Alessandro il Grande venne riparato e riconsacrato il tempio, che da allora passò alle dipendenze di Mileto.\nNel 300 a.C. Seleuco I, uno dei generali di Alessandro che gli succedettero, riportò al tempio alcuni dei tesori trafugati, tra cui la statua bronzea del dio, mentre i milesi diedero inizio a una grande ristrutturazione con l'edificazione di un diptero di Ordine ionico, un pronao di tre file di colonne e numerose altre imponenti innovazioni che lo fecero poi divenire il tempio più grande del mondo greco.\nIl tempio venne chiuso definitivamente dal prefetto Materno Cinegio tra il 384 e il 388.\n\nGalleria d'immagini.\nDidima." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Diluvio universale.\n### Descrizione: Il diluvio universale (o anche semplicemente il Diluvio) è la storia mitologica di una grande inondazione mandata da una o più divinità per distruggere la civiltà come atto di punizione divina. È un tema ricorrente in molte culture, anche se generalmente le più conosciute in tempi moderni sono il racconto biblico dell'arca di Noè, la storia Indù Puranica di Manu, passando per la storia di Deucalione nella mitologia greca e per l'Utnapishtim nell'epopea di Gilgameš della mitologia babilonese.\nLa diffusione di un simile mitologema in culture molto diverse ha suggerito che possa esistere un fondamento di realtà: un'antica catastrofe, ingigantita e mitizzata, che è giunta fino a noi, dapprima tramite la tradizione orale, poi grazie agli scritti antichi.\n\nOpinioni e teorie sul Diluvio.\nIn linea generale esistono tre opinioni sul Diluvio:.\n\nChi ritiene che sia accaduto come viene tramandato dalla propria fede religiosa;.\nChi ritiene che sia solo un mito e non sia mai accaduto;.\nChi ritiene che derivi da uno o più eventi realmente accaduti, successivamente ingigantiti e/o mitizzati.\n\nIl Diluvio secondo la Bibbia.\nL'opinione che il racconto biblico del Diluvio descriva un evento reale e che dalla Bibbia si possa risalire approssimativamente alla data reale in cui tale diluvio sarebbe avvenuto è tipica dei creazionisti della terra breve.\nSecondo queste congetture, l'evento sarebbe avvenuto in Mesopotamia e l'Arca sarebbe approdata sul monte Ararat.\nLa data che si ottiene elaborando la cronologia biblica non è definita con precisione e soprattutto è notevolmente diversa a seconda che si utilizzi il testo ebraico, quello greco o quello samaritano.\nLa maggior parte dei creazionisti utilizza il testo ebraico, che implica una data del diluvio tra il XXIV e il XXIII secolo a.C. (se la data della creazione viene posta al 4004 a.C., secondo i calcoli del vescovo anglicano Usher, il Diluvio sarebbe iniziato nel 2348 a.C.). Questa data è troppo vicina all'epoca storica e risulta in conflitto con le conoscenze archeologiche sulla storia antica degli Egiziani e dei Sumeri.\nSeguendo invece le datazioni proposte dal testo greco della Bibbia dei LXX, la creazione può essere collocata nel VI millennio a.C., e il Diluvio circa nel 3400 a.C.\nLa scienza medievale credeva che le conchiglie e i molluschi rinvenuti in alta montagna si fossero depositati dopo il ritiro delle acque del Diluvio universale.\n\nIl Diluvio: solo un mito.\nA partire dall'illuminismo, con la scienza e la filosofia che andavano via via smarcandosi dalla teologia, molti studiosi iniziarono ad interrogarsi sulla verità dei miti che da sempre accompagnavano la cultura umana; tra questi il racconto del diluvio universale.\nIl metodo scientifico richiede osservazioni, logica, prove ed esperimenti, e la tesi del Diluvio poteva portare ben pochi riscontri in questi campi. Così, a partire dall'inizio dell'Ottocento, la tesi che il Diluvio fosse solo un mito prese sempre più piede negli ambienti scientifici, mentre la cultura popolare rimase fedele alle narrazioni legate alla propria fede religiosa. La situazione permane sostanzialmente immutata fino ad oggi, 'nonostante le goffe e incolte resistenze degli ambienti più conservativi, secondo cui entrambi (ed altri) racconti potrebbero risalire tramite una «memoria» plurimillenaria ad un evento reale da collocarsi nei tempi geologici, si tratta invece di un caso evidente di derivazione letteraria [e] in quanto archetipo mitico, il diluvio universale non può e non deve essere «spiegato» come memoria di una qualche catastrofe preistorica; può e deve essere spiegato come elaborazione di eventi ricorrenti (in questo caso annuali) e parte dell'esperienza comune', come evidenzia lo storico e archeologo Mario Liverani.Lo storico Bart Ehrman evidenzia anche come un diluvio universale sia 'materialmente impossibile: non esiste alcuna testimonianza geologica, anzi, è provato il contrario. È quindi più sensato pensare che questi vari testi abbiano avuto origine in culture radicate in aree soggette periodicamente a inondazioni, alcune delle quali devono essere state così devastanti da ispirare tali miti'.\nAnche gli esegeti della Bibbia Edizioni Paoline, in merito al diluvio e in specifico a quello descritto nella Bibbia, osservano 'alle spalle di questa narrazione ci sono elementi arcaici che rielaborano miticamente una catastrofe mesopotamica divenuta oggetto anche di poemi mitologici orientali come la famosa Epopea di Gilgamesh o il poema di Atrahasis. Questo tragico ricordo si riferiva forse ad una calamità antica e terribile, rimasta per frammenti nella memoria collettiva: qualcosa di collegato al Tigri e all'Eufrate, i due grandi fiumi della regione, fonti di benessere e di tragedia [...] ma con l'improvviso sciogliersi primaverile delle nevi possono invece diventare portatrici di catastrofi. Appunto di fronte ad un'alluvione eccezionale si era elaborata in Mesopotamia la storia epica di un cataclisma universale, provocato, secondo la teologia babilonese, da capricciose divinità decise a sterminare il genere umano'.\nCon lo sviluppo della psicanalisi, alcuni studiosi si sono cimentati a dare persino qualche interpretazione sul senso di un racconto tanto diffuso, considerato come frutto di una paura primitiva della mente umana, ma queste interpretazioni non sono condivise nemmeno tra i cultori del campo psicanalitico.\n\nIl Diluvio: un possibile evento veramente accaduto.\nA partire dal 1880, con le prime traduzioni dell'epopea di Gilgameš, il racconto del Diluvio cominciò ad essere rivalutato.\nSchliemann aveva da poco scoperto Troia, dimostrando che quello che si riteneva un mito era una realtà storica. L'esistenza di un testo mitologico di una cultura estranea a quella biblica, che descriveva un evento simile a quello del Diluvio, cominciò a far pensare che, anche in questo caso, dietro il presunto mito si nascondesse un nocciolo di realtà storica.\nI primi a interessarsi all'argomento furono i fautori delle 'tesi teologiche'; ma sulla scia si accodarono anche altri studiosi più 'laici', i quali ritenevano che dietro le narrazioni del Diluvio, tramandate dalle antiche popolazioni in forma di racconti mitologici, si nascondesse il ricordo di uno o più eventi realmente accaduti.\nIn più di un secolo sono state sviluppate tante teorie, volte ad individuare quale possa essere l'evento, o gli eventi, all'origine del racconto del Diluvio. Di seguito ne sono sintetizzate alcune (l'elenco non è esaustivo).\n\nIpotesi dell'alluvione mesopotamica.\nL'ipotesi che ha avuto maggiori sostenitori nel XX secolo è quella secondo cui, all'origine del mito del Diluvio, vi sia stata un'eccezionale alluvione preistorica nell'area mesopotamica.\nNel periodo post-glaciale la Mesopotamia vantava un clima molto diverso da quello attuale, molto più umido e con maggiori flussi fluviali. Si ipotizza che l'area (già molto antropizzata per la fioritura delle prime culture neolitiche) ad un certo momento della Preistoria sia stata interessata da un'imponente alluvione con un effetto devastante sulla popolazione che viveva in prossimità dei fiumi. Solo chi già disponeva di imbarcazioni abbastanza grandi (e in grado di trasportare provviste) ebbe la possibilità di salvarsi.\nL'evento eccezionale, tramandato dai sopravvissuti, sarebbe stato poi ingigantito, mitizzato e inquadrato nella struttura di credenze delle culture successive.\n\nTeoria dell'inondazione preistorica del Mar Nero.\nNel 1998 William Ryan e Walter Pitman, geologi della Columbia University, pubblicarono le prove che una massiccia inondazione attraverso il Bosforo si verificò intorno al 5600 a.C. Lo scioglimento dei ghiacci in epoca post-glaciale aveva trasformato il Mar Nero e il Mar Caspio in vasti laghi d'acqua dolce, mentre il livello del mare continuava a rimanere basso a livello globale. I laghi d'acqua dolce riversavano le loro acque nel Mar Egeo. Dal momento che i ghiacciai si erano ritirati, i fiumi che si riversavano nel Mar Nero riducevano la loro portata e trovavano nuovi sbocchi verso il Mare del Nord e il livello del Mar Nero tendeva ad abbassarsi a causa dell'evaporazione. Quindi, suggeriscono Ryan e Pitman, intorno al 5600 a.C. il Mediterraneo, il cui livello stava aumentando, alla fine straripò oltre il Bosforo. L'evento avrebbe allagato 155000 km² di territorio e avrebbe ingrandito significativamente le dimensioni del Mar Nero verso nord e ovest.Nonostante l'agricoltura del Neolitico avesse a quel tempo già raggiunto le pianure della Pannonia, l'autore collega la sua diffusione al trasferimento dei popoli allontanatisi dai territori allagati. La data del disastro, le sue conseguenze sulle popolazioni e la posizione geografica suggeriscono che l'evento potrebbe essere la fonte della narrazione che si trova trascritta nei racconti della Mesopotamia (Epopea di Gilgamesh) e nella Genesi.\nQuesta ipotesi è supportata da una serie di altri dati che possono sembrare conferme: traccia del livello del mare in un canyon alla destra del Bosforo, sensibili anomalie nella distribuzione di strati di acqua, depositi marini di acqua dolce del livello del mare e ricoperto di torbidità, sedimenti, tracce di sedimenti fossili al di sotto del livello attuale del mare, ecc.\nSe si accetta l'ipotesi del rilascio catastrofico di acqua attraverso il Bosforo, si può anche pensarne l'origine in un evento sismico su una falla nel nord dell'Anatolia nella zona della Marmara e dei Dardanelli, una delle regioni più sismicamente attive al mondo. L'analisi dei sedimenti del Mar Nero nel 2004 da parte di un gruppo di ricerca paneuropeo (Assemblage - Noah Project) ha confermato la conclusione di Pitman e Ryan. Inoltre, i calcoli di Mark Siddall avevano previsto un canyon sommerso che venne in seguito trovato.\nL'ipotesi di una cascata catastrofica, che interesserebbe comunque un'area limitata, è stata accettata da molti, ma non in modo unanime.\n\nTeorie glaciologiche.\nLe teorie glaciologiche sono accomunate dall'ipotizzare che il diluvio sia avvenuto alla fine dell'ultima glaciazione, risalente a circa diecimila anni fa. Lo scioglimento dei ghiacci in seguito all'aumento della temperatura post-glaciazione avrebbe determinato l'innalzamento del livello dei mari. Eventi catastrofici localizzati potrebbero essere stati determinati anche dall'improvviso straripamento di enormi laghi, la cui esistenza è stata sostenuta dai geologi. Possibili indizi ed eventi da associare alle teorie glaciologiche sono:.\n\nuna grossa esondazione tra il Mar Mediterraneo e il Mar Nero tra l'8500 a.C. e il 7150 a.C., dopo l'ultima glaciazione; in conseguenza di ciò, il livello del mare si sarebbe alzato di 155 metri e le onde avrebbero coperto una regione di 150 000 km². Studi fatti sul Monte Carmelo e in Galilea hanno rilevato la sommersione di sei villaggi neolitici. L'archeologo inglese Sean Kingsley, tuttavia, attribuisce il fenomeno ad un'onda anomala localizzata.\n\nEruzione minoica di Thera.\nSecondo un'altra teoria, il Diluvio sarebbe avvenuto in conseguenza di uno tsunami (1630 a.C.-1600 a.C.) causato dall'eruzione minoica di Thera; sembra però che questa eruzione abbia colpito il Mar Egeo e Creta, non toccando la Grecia.\n\nIpotesi del meteorite.\nIl Diluvio sarebbe avvenuto in conseguenza alla caduta di un meteorite nell'Oceano Indiano (3000-2800 a.C.), causa di un cratere di 30 km, che avrebbe generato giganteschi tsunami, con l'inondazione di coste e isole. Un'altra ipotesi fa riferimento al presunto cratere corrispondente al lago Umm al Binni, nell'Iraq meridionale, causato probabilmente dalla caduta di un meteorite verso l'inizio della civiltà dei Sumeri, cioè tra il 5000 e il 4000 a.C.\nIl presunto impatto sarebbe quindi avvenuto in un periodo storico del quale i discendenti di quelle antiche popolazioni potevano avere memoria, e questo spiegherebbe un riferimento a questa catastrofe presente nell'epopea di Gilgamesh, tanto più che il cratere si troverebbe proprio in una delle aree di nascita della civiltà sumera, circa 100 km a est della città di Ur. Il fatto narrato nel poema, pur essendo un episodio mitologico, farebbe riferimento a una catastrofe realmente avvenuta in quella stessa zona alcuni millenni prima.\nIn questo caso l'impatto, che avvenne in un luogo a quel tempo sotto il livello del mare o comunque molto vicino alla costa, avrebbe provocato frequenti piogge nella zona per l'evaporazione dell'acqua e forse un enorme maremoto, di cui si sarebbero trovate tracce in un deposito di sedimenti sabbiosi, spesso più di due metri, scoperto proprio a Ur. L'effetto di questo ipotetico maremoto in Mesopotamia sarebbe effettivamente paragonabile a quello del diluvio universale, mentre è possibile supporre che le piogge abbiano portato prosperità e fertilità del terreno anche in una zona come quella del vicino deserto Arabico.\n\nIl racconto del Diluvio in varie culture.\nEuropa.\nScandinavia.\nNella mitologia norrena esistono due diluvi separati. Secondo l'Edda in prosa di Snorri Sturluson, il primo si ebbe all'alba dei tempi, prima che il mondo fosse creato. Ymir, il primo gigante, venne ucciso dal dio Odino e dai suoi fratelli Víli e Vé, e quando Ymir morì, perse così tanto sangue dalle sue ferite che fece affogare quasi l'intera razza di giganti, con l'eccezione del gigante di brina Bergelmir e di sua moglie. Essi scapparono su una nave e sopravvissero, divenendo i progenitori di una nuova razza di giganti. Il corpo di Ymir venne usato per formare la terra mentre il suo sangue divenne il mare.\nIl secondo diluvio, nella linea temporale della mitologia norrena, è destinato ad accadere nel futuro durante il Ragnarǫk, la battaglia finale tra gli dei e i giganti. Durante questo evento apocalittico, Jormungandr, il grande serpente marino che giace nelle profondità del mare circostante Miðgarðr, il regno dei mortali, salirà dagli abissi marini e si unirà al conflitto; questo causerà un'alluvione catastrofica che sommergerà la Terra. Tuttavia, dopo il Ragnarök la Terra rinascerà, e comincerà una nuova era per l'umanità.\n\nIrlanda.\nSecondo il Lebor Gabála Érenn, un libro che racconta la mitologia irlandese, i primi abitanti dell'Irlanda, guidati dalla nipote di Noè, Cessair, vennero quasi tutti spazzati via da un'inondazione quaranta giorni dopo aver raggiunto l'isola; si salvò soltanto una persona. Più avanti, dopo che il popolo di Partholón e Nemed ebbe raggiunto l'isola, ci fu un altro diluvio che uccise tutti gli abitanti tranne una trentina, che si sparsero per il mondo. Dato che i primi a scriverne la storia furono monaci cattolici (prima era tramandata oralmente), è possibile che i riferimenti a Noè siano stati inseriti nella storia, nel tentativo di cristianizzare il paese.\n\nGrecia.\nDeucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo ed Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli, scelti per salvarsi dal diluvio che sarebbe caduto sulla Terra e quindi per far rinascere l'umanità. Su ciò che avviene dopo il diluvio esistono due versioni, che comunque portano allo stesso epilogo. Secondo la versione di Igino nelle Fabulae (153) i due coniugi hanno, come premio per la loro virtù, diritto a un desiderio, ed essi chiedono di avere con loro altre persone; Zeus consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre dietro la loro schiena, e queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra. Invece, secondo il racconto di Ovidio (Le metamorfosi I, vv. 347-415), l'idea di gettare pietre deriva da una profezia dell'oracolo di Temi, che indicava ai due di lanciare dietro di loro le ossa della loro madre: essi comprendono allora che l'oracolo si riferisce alla Terra (ricordiamo che entrambi sono figli di titani), ed essi agiscono di conseguenza. Il mito è spesso collocato nell'Epiro, sull'Etna o in Tessaglia.\n\nMedio-Oriente.\nMesopotamia.\nIl racconto biblico dell'Arca di Noè presenta delle somiglianze con l'analogo mito babilonese descritto nell'epopea di Gilgamesh, che narra di un antico re sumero di nome Utanapishtim che fu aiutato dal dio della giustizia e della saggezza, Enki o Ea, a costruire un'imbarcazione, nella quale avrebbe potuto salvarsi dal diluvio inviato da Enlil. La più antica versione dell'epopea di Atraḫasis (di origine sumera) è stata datata all'epoca del regno del pronipote di Hammurabi, Ammi-saduqa, tra il 1646 a.C. e il 1626 a.C., e ha continuato ad essere riproposta fino al primo millennio a.C.\nLa leggenda di Ziusudra, a giudicare dalla scrittura, potrebbe risalire alla fine del XVI secolo a.C., mentre la storia di Utnapishtim, che ci è nota grazie a manoscritti del primo millennio a.C., è probabilmente una variazione dell'epopea di Atraḫasis di origine sumera.\nLe varie leggende mesopotamiche sul Diluvio hanno conosciuto una notevole longevità, tanto che alcune di esse sono state trasmesse fino al III secolo a.C.\nGli archeologi hanno trovato un considerevole numero di testi originali in lingua sumera, accadica e assira, redatti in caratteri cuneiformi su tavolette di creta. La ricerca di nuove tavolette prosegue, come la traduzione di quelle già scoperte.\nSecondo un'ipotesi scientifica, l'evidente parentela tra la tradizione mesopotamica e quella biblica potrebbe avere come radice comune la rapida salita delle acque nel bacino del Mar Nero, oltre sette millenni fa, a causa della rottura della diga naturale costituita dallo stretto del Bosforo.\n\nL'epopea di Atraḫasis, scritta in accadico (la lingua dell'antica Babilonia), racconta come il dio Enki ingiunge all'eroe di Shuruppak di smantellare la propria casa, fatta di canne, e di costruire un battello per sfuggire al Diluvio che il dio Enlil, infastidito dal rumore delle città, intende mandare per sradicare l'umanità.Il battello deve disporre di un tetto 'simile a quello di Apsû' (l'oceano sotterraneo di acqua dolce di cui Enki è signore), di un ponte inferiore e di uno superiore, e deve essere impermeabilizzato con bitume.Athrasis sale a bordo con la sua famiglia e i suoi animali, e ne sigilla l'entrata.La tempesta e il Diluvio cominciano, 'i cadaveri riempiono il fiume come libellule', e anche gli dèi si spaventano.Dopo sette giorni il diluvio cessa, e Athrasis offre dei sacrifici. Enlil è furioso, ma Enki lo sfida apertamente, dichiarando di essersi impegnato alla preservazione della vita. Le due divinità si accordano infine su misure diverse, per regolare la popolazione umana.Della storia esiste anche un'altra versione assira più tarda.\nLa leggenda di Ziusudra, scritta in sumero, è stata ritrovata nei frammenti di una tavoletta di Eridu. Essa narra di come lo stesso dio Enki avvertì Ziusudra, («egli ha visto la vita», in riferimento al dono di immortalità che gli fu concesso dagli dei), re di Shuruppak, della decisione degli dei di distruggere l'umanità ad opera di un diluvio, il passaggio con la spiegazione di questa decisione è andato perduto. Enki incarica allora Ziusudra di costruire una grande nave, ma le istruzioni precise sono andate anch'esse perdute. Dopo un diluvio di sette giorni, Ziusudra procede ai sacrifici richiesti e si prostra poi di fronte ad An, il dio del cielo, ed Enlil, il capo degli dei. Riceve in cambio la vita eterna a Dilmun, l'Eden sumero.L'epopea babilonese di Gilgamesh racconta le avventure di Utanapishtim (in realtà una traduzione di «Ziusudra» in accadico), originario di Shuruppak. Ellil (equivalente di Enlil), signore degli dei, vuole distruggere l'umanità con un diluvio. Il dio Ea (equivalente di Enki) consiglia ad Uta-Napishtim di distruggere la sua casa di canne e di utilizzarne il materiale per costruire un'arca, che deve caricare con oro, argento, e la semenza di tutte le creature viventi e anche di tutti i suoi artigiani. Dopo una tempesta durata sette giorni ed altri dodici giorni passati alla deriva sulle acque, l'imbarcazione si arena sul monte Nizir, che è presumibilmente la montagna conosciuta oggi come Pir Omar Gudrun (2743 m. d'altitudine), vicino alla città di Sulaymaniyah nel Kurdistan iracheno. Il nome può significare 'Monte della salvezza'. Dopo altri sette giorni Uta-Napishtim manda fuori una colomba, che ritorna, poi una rondine, che torna indietro anch'essa. Il corvo, alla fine, non ritorna. Allora Uta-Napishtim fa sacrifici agli dei a gruppi di sette. Quelli sentono il profumo del grasso arrosto e affluiscono 'come le mosche'. Ellil è infuriato che gli umani siano sopravvissuti, ma Ea lo rimprovera: 'Come hai potuto mandare un diluvio in questo modo, senza riflettere? Lascia che il peccato riposi sul peccatore, e il misfatto sul malfattore. Fermati, non lasciare che accada ed abbi pietà [che gli uomini non periscano]'. Uta-Napishtim e sua moglie ricevono allora il dono dell'immortalità, e se ne vanno ad abitare 'lontano, alla foce dei fiumi'.\nNel III secolo a.C. Berosso, gran sacerdote del tempio di Marduk a Babilonia, redasse in greco una storia della Mesopotamia (Babyloniaka) per Antioco I, che regnò dal 323 a.C. al 261 a.C. L'opera è andata perduta, ma lo storico cristiano Eusebio di Cesarea, all'inizio del IV secolo, ne trasse la leggenda di Xisuthrus, una versione greca di Ziusudra ampiamente simile al testo originale. Eusebio riteneva che l'imbarcazione fosse ancora visibile 'sui monti corcirii [sic] d'Armenia; e la gente gratta il bitume con il quale essa era stata rivestita all'esterno per utilizzarlo come antidoto o amuleto.'.\n\nAntico Egitto.\nRa, il dio solare degli Egizi, mandò la dea leonessa Sekhmet a punire l'umanità per il suo eccessivo inorgoglimento. Per evitare che la feroce divinità completasse lo sterminio, Ra sommerse la Terra di birra mista a ocra rossa: Sekhmet, scambiandola per sangue, se ne ubriacò e mise fine al massacro.\n\nBibbia.\nIl protagonista del racconto biblico, che occupa il settimo e l'ottavo capitolo della Genesi, è Noè. Incaricato da Dio di costruire un'arca per raccogliere tutti gli animali terrestri, all'inizio della catastrofe si rifugia all'interno dell'imbarcazione con la moglie, i figli e le loro mogli. Per quaranta giorni e quaranta notti la tempesta ricopre la superficie terrestre, fin sopra a tutte le montagne più alte; dopo quaranta giorni Dio fa cessare vento e pioggia e le acque cominciano a ritirarsi dopo centocinquanta giorni. L'arca - sempre secondo il racconto biblico - si arena sul monte Ararat. Noè decide quindi di lasciare andare un corvo per capire se le acque si sono abbassate completamente. L'uccello però non fa più ritorno, così decide di impiegare una colomba. La prima volta torna indietro perché non trova una superficie dove posarsi; al secondo tentativo fa ritorno portando un ramo d'ulivo nel becco, a significare che la terra è nuovamente visibile; la terza volta la colomba non torna, e Dio ordina a Noè di scendere dall'arca mentre nel cielo appare uno sfolgorante arcobaleno, segno della nuova alleanza tra Dio e gli uomini.\nSecondo alcuni critici, in merito al succedersi degli eventi narrati, andrebbe considerato come il racconto biblico sia 'frutto dell'intarsio tra due tradizioni, quella jahvista [J] molto vivace e quella Sacerdotale [P] più rigorosa ma anche più fredda. Questo innesto è venato qua e là da incongruenze'; ad esempio, come evidenziano gli esegeti dell'interconfessionale Bibbia TOB, 'secondo la narrazione «sacerdotale», il Diluvio durò un anno e dieci giorni (un intero anno secondo la versione greca); secondo quella «jahvista», sarebbe invece durato solo quaranta giorni, preceduto da una settimana e seguito da altre tre'; inoltre, 'per P le acque sopra e sotto la terra, rinchiuse là all'inizio (1,6-10), fecero irruzione sulla terra (7,11), mentre in J le acque del diluvio furono le piogge ininterrotte per 40 giorni e notti (7,12)'; anche in merito al numero degli animali portati sull'arca vi sono due versioni contrastanti in quanto 'per P, tutta la creazione è buona (Gen, 1) e le distinzioni tra puro e impuro saranno date solo al Sinai. Quindi Noè prende due di ogni animale «secondo la sua specie» [...] mentre in J Noè prende sette paia di animali puri e due animali impuri'.\n\nTradizione ebraica midrashica.\nPrecedentemente al diluvio universale, un terzo dell'umanità perse la vita in un'altra alluvione.\nUna delle cause principali della punizione fu il peccato di molti animali accoppiatisi tra loro anche se di specie differente a cui si riferisce il versetto: ...e la Terra era corrotta. Infatti, imitando i peccatori, anche il cane peccava unendosi con i lupo ed il gallo con l'anatra; un altro grave peccato fu la perdita sulla terra del seme maschile. I peccati furono l'idolatria, l'omicidio, l'immoralità ed infine il furto, infatti anche i giudici erano corrotti, non rispettando le leggi e i tribunali (Bereshit Rabbah).Tra gli animali rimasti vivi non vi furono animali ibridi, inoltre i pesci non vennero puniti perché rimasti 'innocenti'.\nLonganime, Dio attese molto la Teshuvah di quella generazione, prima di punire con il Diluvio, persino concedendo dei giorni di grande bellezza perché rinsavissero e si pentissero ma questo non avvenne: furono soprattutto nel periodo di lutto per la morte di Matusalemme a cui Dio volle dare onore e per cui attese ancora.Inoltre, prima di esso, tutte le montagne erano ricoperte di alberi e vegetazione.\nLe acque sgorgarono anche dalle riserve sotterranee e, mischiatesi persino al Ghehinnom, esse sciolsero la carne dei peccatori per l'enorme calore delle stesse e bruciarono anche le loro ossa; inizialmente essi cercarono di impedire che l'acqua fuoriuscisse dalle fonti ponendo i loro figli come ostacolo, essi non si pentirono neanche durante l'ultimo momento in cui stava per manifestarsi la giustizia divina: furono tanto sfacciati ed iniqui da dire a Noè che l'acqua non sarebbe giunta nemmeno al loro collo e che ne avrebbero fermato la fuoriuscita con i loro talloni.La tradizione spiega che essi non risusciteranno durante l'era messianica nemmeno per ricevere la punizione della vergogna.\nDio mantenne tre fonti d'acqua calda zampillante come ricordo: una è in Tiberiade (Bereshit Rabbah 33, 4; Matanot Kehunà).\nLe fonti di quanto sopraccitato sono tratte dal testo 'Il Midrash racconta. Libro Bereshit. Parte I' edito da Mamash.\n\nIslam.\nIl Corano racconta una storia simile a quella ebraico-cristiana del Diluvio della Genesi. Le maggiori differenze sono che solo Noè e pochi seguaci laici entrarono nell'arca. Il figlio di Noè (uno dei quattro) e sua moglie rifiutarono di entrare nell'arca pensando di poter affrontare il Diluvio da soli. L'arca coranica si posò poi sul monte Judi, tradizionalmente identificato con una montagna vicino Mosul nell'odierno Iraq; il nome pare derivi dal nome locale del popolo curdo del luogo, anche se questo non è certo.\nBen diversa invece la storia del crollo della diga di Ma'rib in Yemen e la susseguente inondazione (sayl al-ʿarīm), di cui parla lo stesso Corano, che avrebbe innescato mutamenti profondi nel tessuto antropico dell'Arabia, col mescolamento delle tribù arabe settentrionali e meridionali.\n\nAsia.\nIndia.\nIl racconto del Diluvio è presente nel Śatapatha Brāhmaṇa (I, 8, 1). Manu incontra un pesce mitico nell'acqua che gli era stata portata per lavarsi. Esso gli promette di salvarlo se egli, a sua volta, lo salverà. Manu conserva il pesce in un vaso, poi lo porta al mare. Si costruisce un battello e, nell'anno predetto dal pesce, avviene il diluvio. Il pesce nuota verso il battello di Manu e aggancia il suo corno all'imbarcazione conducendola fino alla montagna del nord. Manu è l'unico essere umano sopravvissuto. Pratica l'ascesi e compie un sacrificio dal quale, dopo un anno, nasce una femmina e da lei 'egli procreò questa posterità, che è la posterità di Manu' (op. cit.).\nNella versione riportata nel Bhāgavata Purāṇa (VIII, 24, 7 e segg.) il Diluvio sopraggiunge durante il sonno di Brahmā. Anche qui la rivelazione degli eventi spetta ad un pesce che poi diventerà lungo un milione di miglia. Per miracolo l'arca della salvezza è concessa al re e al capo dei sacerdoti.\nIl pesce mitico è un avatāra di Visnù.\n\nIsole Andamane.\nNelle leggende delle tribù aborigene che abitarono le Isole Andamane, le persone divennero remissive ai comandi dati loro. Puluga, il dio creatore, cessò di far visita a loro e senza avvertimenti mandò una devastante inondazione. Solo quattro persone sopravvissero: due uomini, Loralola e Poilola, e due donne, Kalola e Rimalola, che ebbero la fortuna di trovarsi su canoe. Quando scesero a terra scoprirono di aver perso il fuoco, e tutti gli esseri viventi erano morti. Puluga allora ricreò gli animali e le piante, ma non diede loro ulteriori istruzioni, e non restituì loro il fuoco.\n\nCina.\nEsistono molte fonti di leggendarie alluvioni nell'antica letteratura cinese. Alcune appaiono come un diluvio mondiale, ma molte versioni vengono riportate come inondazioni locali. Un certo numero di esse ha come tema l'alluvione causata da dèi ostili; altre sono basate su eventi storici.\nShu Jing, o Libro della Storia, probabilmente scritto attorno al 500 a.C. o prima, inizia con l'Imperatore Yao mentre affronta il problema delle acque alluvionali che hanno 'raggiunto i cieli'. Questo è il contesto per l'intervento del famoso Da Yu, che riuscì con successo a controllare le acque e fondò poi la prima dinastia cinese. La traduzione dell'edizione del 1904 datò il Diluvio cinese al 2348 a.C. circa, calcolando che questo fu lo stesso anno del Diluvio biblico secondo alcuni studiosi.\nShan Hai Jing, Il Classico delle Montagne e dei Mari, si conclude con il regnante cinese Da Yu che spende dieci anni a controllare un Diluvio le cui acque alluvionali avevano raggiunto il cielo.\nChu Ci, il Liezi, Huainanzi, Shuowen Jiezi, Siku Quanshu, Songsi Dashu, e altri libri, come pure molte leggende popolari, contengono tutti riferimenti a una donna di nome Nüwa. Nüwa riparò i cieli dopo la grande alluvione o calamità, e ripopolò il mondo con le persone. Esistono molte versioni di questa leggenda.Le antiche civiltà cinesi concentrate attorno al Fiume Giallo, vicino alla odierna Xian, credevano che le alluvioni del fiume fossero causate da draghi (rappresentanti dèi) che vivevano nel fiume, quando si arrabbiavano per gli errori commessi dagli uomini.\n\nIndonesia.\nNelle tradizioni del popolo Batak, stanziato nell'odierna Sumatra, la Terra poggiava su un enorme serpente chiamato Nāga-Padoha, che un giorno, stanco del pesante fardello, scaricò la Terra in mare. Il dio Batara-Guru sostituì il serpente con una montagna per salvare la propria figlia, che divenne la capostipite della razza umana. La Terra successivamente venne rimessa sulla testa del serpente.\n\nIndocina.\nSecondo la leggenda di Khun Borom, fondatore delle stirpi tai, le trasgressioni degli esseri umani furono punite dal Re degli Spiriti Celesti Phya Theng con una devastante alluvione. I sopravvissuti raggiunsero il Cielo a bordo di un'imbarcazione galleggiante e ottennero il perdono da Phya Theng. Tornati sulla terra si moltiplicarono generando il caos e Phya Theng inviò il figlio Khun Borom a civilizzarli.\nSi venne a creare una razza superiore che si suddivise in diversi gruppi etnici, tra cui i principali furono i siamesi nell'odierna Thailandia Centrale, i laotiani nel Laos e nella Thailandia del Nordest, i lanna nella Thailandia del Nord, gli shan in Birmania e i dai nel sud della provincia cinese dello Yunnan e nel Vietnam del Nord.\n\nMalesia.\nMito del Jakun.\nSecondo gli antichi abitanti della regione del Jakun, la Terra era solo una sottile crosta su un abisso d'acqua. Il dio Pirman spezzò la crosta, inondando e distruggendo il mondo. In precedenza, Pirman aveva creato un uomo e una donna e li aveva messi in salvo su un'imbarcazione coperta di legno di pulai. Quando la nave finalmente si fermò, la coppia si ritrovò su una terra smisurata. Il sole non era ancora stato creato e quando si fece la luce, videro sette arbusti di rododendro e sette ciuffi d'erba sambau. La donna concepì un maschio che nacque dal polpaccio destro e una femmina da quello sinistro, dai quali sarebbe discesa tutta l'umanità.\n\nMito del Kelantan.\nPer celebrare una circoncisione venne organizzata una festa durante la quale si svolsero dei combattimenti tra animali. Mentre si effettuava l'ultimo scontro, tra cani e gatti, una grande inondazione arrivò dalle montagne, da cui si salvarono solo alcuni servitori che erano stati mandati sulle colline a raccogliere legna da ardere. Subito dopo il sole, la luna, e le stelle si estinsero. Quando la luce tornò, non esisteva più la terra, e tutte le dimore degli uomini erano state distrutte.\n\nMito dei Temuan.\nSecondo la leggenda dei Temuan, i peccati degli abitanti di una delle diciotto tribù Orang Asli della penisola malese, fecero arrabbiare gli dèi e gli antenati, che li punirono con un'alluvione, il celau (tempesta della punizione). Solo due persone della tribù Temuan, Mamak e Inak Bungsuk, sopravvissero al diluvio scalando un albero sulla Gunung Raja (Montagna Reale), che divenne il luogo di nascita e la casa ancestrale della tribù Temuan.\n\nOceania.\nAustralia.\nSecondo alcuni aborigeni australiani, durante l'era dei sogni una gigantesca rana bevve tutta l'acqua del mondo dando inizio a una grande siccità. L'unica maniera per far terminare la siccità era quella di farla ridere. Dopo che ci avevano provato tutti gli animali australiani, ci riuscì un'anguilla. La rana si svegliò, cominciò a tremare, la sua faccia si rilassò, e alla fine scoppiò in una risata che risuonò come un tuono. L'acqua eruppe dalla sua bocca in un'enorme inondazione che riempì tutti i fiumi e ricoprì la Terra. Solo le montagne più alte erano visibili, come isole in mezzo al mare. Molti uomini e animali annegarono. I pellicani all'epoca erano completamente neri, mutarono il colore usando argilla bianca e passarono da isola in isola in una grande canoa, a salvare altri animali neri. Da quei tempi, il pellicano è bianco e nero in ricordo della grande alluvione.\n\nNuova Zelanda.\nSecondo la tradizione dei Ngati Porou, una tribù maori della costa est della Nuova Zelanda, Ruatapu si arrabbiò quando il padre Uenuku elevò il fratello minore Kahutia-te-rangi a un rango più alto del suo. Ruatapu invitò Kahutia-te-rangi e un grande numero di giovani di alto rango nella sua canoa e li portò in mare dove li annegò. Egli chiamò gli dèi del mare e li inviò a distruggere la Terra con un'inondazione. Mentre lottava per non annegare, Kahutia-te-rangi invocò delle megattere (paikea in Maori) per portarlo in salvo. Fu l'unico sopravvissuto del diluvio e prese il nome Paikea.\n\nPolinesia.\nDiverse storie di alluvioni e diluvi si sono tramandate nella tradizione orale dei polinesiani, anche se nessuno di essi raggiunge le proporzioni del Diluvio biblico.\nGli abitanti di Ra'iatea narrano che i due amici Te-aho-aroa e Ro'o stavano pescando e accidentalmente svegliarono il Dio dell'oceano Ruahatu con i loro ami da pesca. Arrabbiato, il Dio disse loro che avrebbe fatto scomparire Ra'iatea sotto il mare. Te-aho-aroa e Ro'o chiesero perdono, e Ruahatu li avvertì che l'unico modo per salvarsi era quello di portare le loro famiglie sull'isolotto di Toamarama. Questi così fecero, e durante la notte l'isola scivolò sotto l'oceano e riaffiorò il mattino successivo. Nessuno sopravvisse ad eccezione delle due famiglie, che eressero sacri marae (templi) dedicati al Dio Ruahatu.\nUna leggenda simile è presente a Tahiti, secondo cui l'intera isola affondò nell'oceano ad eccezione del monte Pitohiti, dove una coppia di esseri umani riuscì a fuggire con i propri animali e a sopravvivere.\nNelle Hawaii, Nu'u e Lili-noe sopravvissero ad un'inondazione rifugiandosi sulla cima del Mauna Kea. Nu'u fece sacrifici alla luna, alla quale aveva erroneamente attribuito la sua salvezza. Kane, il Dio creatore, discese sulla Terra su un arcobaleno, spiegò a Nu'u il suo errore, e accettò il suo sacrificio.\nNelle Isole Marchesi, il dio della guerra Tu si rattristò per i rimproveri ricevuti dalla sorella Hii-hia. Le sue lacrime passarono attraverso il cielo fino al mondo di sotto e crearono un torrente di pioggia che portò via tutto sul suo cammino. Solo sei persone sopravvissero.\n\nAmerica.\nMi'kmaq.\nNella mitologia Mi'kmaq, il male e la cattiveria tra gli uomini crebbero al punto che essi cominciarono a uccidersi tra di loro. Questo causò un grande dispiacere al dio-creatore-sole, che pianse lacrime che divennero pioggia, sufficienti a creare un Diluvio. Le persone tentarono di salvarsi salendo su canoe di corteccia, ma solo un uomo vecchio e una donna sopravvissero e popolarono la Terra.\n\nHawaii.\nSecondo la mitologia hawaiana gli dèi fecero venire un grande diluvio e solo Nu'u si salvò costruendo una grande nave dove furono ospitati tutti gli animali.\n\nCaddo.\nNella mitologia Caddo, quattro mostri crebbero in altezza e potenza fino a che non raggiunsero il cielo. A quel tempo, un uomo udì una voce che gli ordinò di piantare una canna vuota. Egli così fece, e la canna crebbe alta molto in fretta. L'uomo entrò nella pianta con sua moglie e una coppia di tutti gli animali buoni. Le acque si alzarono, e coprirono tutto tranne la cima della canna e le teste dei mostri. Una tartaruga quindi uccise i mostri, le acque si placarono e i venti asciugarono la Terra.\n\nHopi.\nNella mitologia Hopi, le persone disobbedirono molte volte al loro creatore Sotuknang. Egli distrusse il mondo la prima volta col fuoco, poi col gelo, e lo ricreò entrambe le volte per le persone che ancora seguivano le sue leggi, che sopravvissero nascondendosi sottoterra. Quando le persone divennero corrotte e bellicose per la terza volta, Sotuknang li portò dalla Donna Ragno, ed ella tagliò canne giganti e riparò le persone nelle cavità dei gambi. Sotuknang quindi causò una grande inondazione, e le persone galleggiarono sulle acque nelle loro canne. Le canne quindi si posarono su un piccolo pezzo di terra, e le persone emersero, con tanto cibo quanto ne avevano all'inizio. Le persone viaggiarono con le loro canoe, guidati dalla loro saggezza interiore (che si dice derivò da Sotuknang). Viaggiarono verso nord-est, passando per isole sempre più grandi, fino a che non raggiunsero il Quarto Mondo. Quando raggiunsero il Quarto Mondo, le isole si inabissarono nell'oceano.\n\nAzteca.\nNel manoscritto azteco chiamato Codice Borgia (Codice Vaticano), si racconta della storia del mondo diviso in età, l'ultima terminò con un grande Diluvio per mano della dea Chalchitlicue.\n\nInca.\nNella mitologia inca, Viracocha distrusse i giganti con una grande inondazione, da cui si salvarono soltanto due persone, all'interno di caverne sigillate, che poi ripopolarono la Terra.\n\nMaya.\nNella mitologia del popolo maya-quiché (e nel Popol Vuh) si parla di un Gran Diluvio di pioggia nera, inviato dal dio Haracan per distruggere gli uomini di legno.\n\nMapuche.\nNella mitologia Mapuche, la leggenda di Trenten Vilu e Caicai Vilu racconta che una battaglia tra due mitici serpenti provocò una grande inondazione; e successivamente creò il mondo Mapuche così come lo conosciamo.\n\nMuisca.\nNella mitologia Muisca, il dio Chibchacún causò l'inondazione dell'altopiano di Bogotá. Il dio superiore Bochica ritornò dal suo esilio volontario, cavalcando un arcobaleno, e asciugò la pianura aprendo la cascata del Tequendama con un colpo del suo bastone sulle rocce. Quindi punì Chibchacún obbligandolo a portare la terra sulle sue spalle. Ogni volta che si scrolla le spalle causa un terremoto.\n\nNell'arte.\nIl diluvio universale, data la sua grandissima capacità narrativa e simbolica, ha sempre ispirato numerosi artisti nel comporre diverse delle loro opere più significative.\n\nDipintiDiluvio universale e recessione delle acque, Paolo Uccello, 1447-1448 (Firenze, Santa Maria Novella).\nDiluvio universale, Michelangelo, 1508-1512 (Roma, Cappella Sistina).\nDiluvio universale, Hans Baldung Grien, 1525 (Bamberga, Historisches Museum).\nDiluvio universale, Antonio Carracci, 1616-1618, Parigi, LouvreMusicaIl diluvio universale, oratorio del 1682 di Michelangelo Falvetti.\nIl diluvio universale, opera del 1830 di Gaetano Donizetti.\nNoye's Fludde, opera per bambini del 1958 di Benjamin BrittenCinema.\n\nNoah, diretto da Darren Aronofsky, 2014.\nUn'impresa da Dio, diretto da Tom Shadyac, 2007." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dimante (Mariandino).\n### Descrizione: Dimante (in greco antico: Δύμας?, Dýmas) o Dimas è un personaggio della mitologia greca. Era un Mariandino (abitante della Frigia) che avvisò gli Argonauti della crudeltà e spavalderia di Amico.\n\nMitologia.\nDimante avvisò gli Argonauti della spavalderia di Amico, figlio di Poseidone e re dei Bebrici, il quale, ottimo pugile, vantandosi ed usando un tono arrogante sfidò Polluce, che era il migliore tra gli Argonauti.Polluce schivò i suoi colpi e lo colpì vincendo ed uccidendolo, poi i soldati di Amico insorsero e vennero subito sconfitti.Secondo Quinto di Smirne questo Dimante era il padre di Megete, i cui figli combatterono a Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Diocle (personaggio omerico).\n### Descrizione: Diocle (in greco antico: Διοκλῆς), figlio di Ortiloco, nipote di Alfeo, signore di Fere, località della Messenia.\nI suoi figli, Cretone e Orsiloco, andarono con lui alla spedizione di Troia.\n\nTesti.\nRicordato in:.\n1) Odissea, 3, 488-490:.\n\n...ες Φηράς δ'ίκοντο Διοκλήος ποτί δώμα,.\nυιέος Ορτιλόχοιο, τόν Αλφειός τέκε παίδα,.\nένθα δέ νυκτ'άεσαν, ό δ'άρα ξεινήια δώκεν....\n...e giunsero a Fere, a casa di Dìocle,.\nfiglio d'Ortìloco, che l'Alfèo generò.\nqui dormirono la notte, che diede loro accoglienza. (versione di Rosa Calzecchi Onesti)2) Iliade, 5, 541-544:.\n\n....Ένθ' αύτ' Αινείας Δαναών έλεν άνδρας αρίστους,.\nυίε Διοκλήος, Κρήτωνά τε Ορσίλοχόν τε,.\nτών ρα πατήρ μέν έναιεν ευκτιμένη ενί Φηρή,.\nαφνειός βιότοιο....\n...Ma allora anche Enea uccise fortissimi eroi dei Danai,.\ni due figlioli di Dìocle, Orsìloco e Crètone;.\nil padre loro viveva in Fere ben costruita,.\nabbondante di beni.... (versione di Rosa Calzecchi Onesti)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Diomeda (figlia di Xuto).\n### Descrizione: Diomeda (in greco antico: Διομήδη?, Diomḕdē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Xuto e probabilmente di Creusa.\n\nMitologia.\nSposò Deioneo re della Focide ed ebbe da lui i figli Asterodia, Eneto, Attore, Filaco e Cefalo quest'ultimo sposo di Procri figlia di Eretteo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Diomede (figlio di Ares).\n### Descrizione: Diomede è una figura della mitologia greca, figlio di Ares e della ninfa Cirene.\nDiomede era re della Tracia e, secondo il mito, possedeva delle giumente che si nutrivano di carne umana; questi animali vengono citati nel mito delle dodici fatiche di Eracle.\nEracle tentò di catturare le cavalle, ma il trambusto lo fece scoprire da Diomede. Nel combattimento che ne seguì Diomede perse la vita. Le cavalle divorarono il suo cadavere e, domate, seguirono Eracle ad Argo.\nDa non confondersi con l'omonimo eroe omerico Diomede, re di Argo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Diomede." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Diomede in Puglia.\n### Descrizione: Diomede in Puglia è un poema composto da Casimiro Perifano e pubblicato a Napoli nel 1823. Esso consta di 1241 versi endecasillabi sciolti suddivisi in 4 Canti e corredati da note storiche e filologiche curate dall'autore stesso.Partendo dal 'nostos', viene raccontato di come l'eroe della guerra di Troia Diomede arrivi nel Tavoliere delle Puglie per respingere i Messapi, alleandosi con Dauno, e fondare la città di Arpi così come predetto da Cassandra.\n\nContenuto.\nA introduzione del libro sulla quale il poema è stato stampato, si trova una lettera dell'autore indirizzata a Filantropo, nella quale gli racconta di come abbia trovato l'ispirazione per la realizzazione dell'opera di cui è destinatario. L'amico destinatario - dal nome parlante - è anche l'interlocutore alla quale si rivolge nelle note di commento.\n\nCanto I.\nAppena dopo il proemio, viene mostrata Cassandra nell'atto di vaticinare le sorti avverse della sua patria e degli Achei che dovranno fare ritorno ai loro regni: Diomede, fra i vari, sarà costretto a fuggire e fonderà nella Daunia Arpi. Caduta Troia, infatti, l'eroe torna con il suo esercito ad Argo dove l'accoglienza fredda e imbarazzata di sua moglie Egialea l'attende. Comprende così il tradimento della regina sua consorte e, ricolmo di rancore, medita nella notte insonne se vendicarsi o meno. Nel mentre dei congiurati tentano un attacco furtivo a Diomede che riesce a salvarsi eliminandoli. A seguito di ciò, l'eroe, non sentendosi benvoluto, riprende il largo accompagnato dai suoi compagni più fidati.\n\nCanto II.\nNavigando verso nuove terre, l'eroe etole riceve il sostegno del suo amico fidato Toante mentre ripensa alla vergogna subita e ancora ad una possibile vendetta. Vengono quindi sorpresi da una tempesta che frantuma alcune delle navi, i cui soldati a bordo, nonostante l'avversità, vengono soccorsi per volere del comandante. Raggiungono, scampato il pericolo, le coste della Daunia nella quale, dopo un discorso di Diomede, offrono sacrifici all'altare di Minerva. Il canto di un uccello viene interpretato di buon auspicio e viene deciso di incontrare l'indomani Dauno, il sovrano del luogo.\n\nCanto III.\nAll'alba del nuovo giorno, Diomede racconta al suo seguito di aver visto la dea Minerva che le ha preannunciato il futuro glorioso che attende loro e il popolo della città che fonderanno - non prima di aver versato altro sangue.\n\nLa dea prosegue col dire che la grandezza che alla sua gente spetta non passerà con il cambio di costumi, di lingua e di fede sotto l'Italia unita e chiude anticipando la nascita di Giuseppe Rosati, che definisce della gloria il figlio / Lo splendor della Patria, e ‘l mio decoro (III, 134-135). Forti di queste promesse, l'armata si dirige al cospetto di re Dauno alla quale Diomede parla delle sue avventure. Il re, stupito e pieno di speranza, si mostra amico al Titide e lamenta dei nemici messapi che minacciano i suoi territori. Diomede è deciso ad affrontare questa battaglia ma è l'imbrunire.\n\nCanto IV.\nLo squillo di trombe segna l'inizio della battaglia fra gli Argivi, raggiunti poi dalle truppe Daune guidate dal proprio re, e i Messapi. Il canto è occupato dalla descrizione delle imprese e delle stragi militari delle due fazioni fin quando gli aggressori sono spinti fino al fiume Ofanto che si tinge del sangue dei caduti. Sopraffatto e consapevole dell'avversario che ha fronteggiato, il duce de Messapi si arrende a Diomede. Esaltato l'eroe, il poeta interrompe il suo poema terminata ormai l'ispirazione, augurandosi che questa venga colta dai posteri.\n\nFonti ed influenze.\nPerifano cita nelle note le fonti dalla quale trae sia le informazioni storiografiche sia le citazioni alle opere classiche. Nel dettaglio, il poema presenta numerosi richiami ad Omero, considerando che il poeta leggeva i due poemi in lingua e nelle versioni di Monti e Cesarotti; allo stesso modo sono fortemente presenti citazioni dell'Eneide. Di particolare interesse è il debito verso l'Alessandra di Licofrone Calcidese tradotto in terzine dantesche da Onofrio Gargiulli, dalla quale prende i principali episodi dei ritorni in patria degli Achei.\nI primi ritrovamenti dei reperti di Arpi, avvenuti già in periodo napoleonico, ispirano la stesura dell'opera come il poeta più volte riporta nei versi e nelle note. In appendice, a tal proposito, troviamo la descrizione di quattro monete arpane, alle quali Perifano ha confrontato le tavole numismatiche illustrate nei cataloghi di Goltz; queste monete forniscono al poeta il riscontro riguardo la presenza dell'eroe etole in Capitanata." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Diomede.\n### Descrizione: Diomede (in greco antico: Διομήδης?, Diomḕdēs) è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Tideo e di Deipile, fu uno dei principali eroi achei della guerra degli Epigoni e della guerra di Troia. Oltre all'importanza come guerriero, Diomede assume un ruolo rilevante come diffusore della civiltà, specie nell'Adriatico.\nRe di Argo, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Agamennone e degli Achei, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero valorosissimo, assume un ruolo centrale all'interno dell'Iliade di Omero, specialmente nel V canto, a lui dedicato interamente, che, probabilmente, si rifaceva ad un poema epico preesistente che vedeva la figura di Diomede come protagonista.\nDopo Achille e Aiace Telamonio, fu il più valoroso eroe dell'esercito acheo.\nLa figura di Diomede, uomo insigne per intelligenza e coraggio, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Omero, come Virgilio, che lo inserirà nel suo poema epico, l'Eneide, e come Quinto Smirneo nei Posthomerica.\n\nMito.\nOrigini.\nI suoi sei cugini, figli dello zio Agrio, Celeutore, Licopeo, Melanippo, Onchesto, Protoo e Tersite, decisero di deporre il nonno Oineo dal trono di Calidone, su cui regnava, e che, essendo molto anziano, era incapace di difendersi, e insediarono così il loro padre. Oineo venne tenuto sì in vita ma incatenato tra le torture dei nipoti. Allora Diomede, nato in esilio, ad Argo, detta l'Inclita, dopo essere arrivato a Calidone in gran segreto con l'aiuto di Alcmeone, uccise uno dopo l'altro i figli di Agrio, usurpatori del trono, rimettendo il nonno al capo del regno. E dal momento che questi era ormai molto avanti negli anni, Diomede affidò il regno ad Andremone, marito di Gorga, e perciò genero di Oineo. Dei figli di Agrio, solo Tersite e Onchesto sfuggirono alla strage e si rifugiarono nel Peloponneso, mentre Agrio, espulso dal regno, si tolse la vita. L'eroe portò Oineo con sé ad Argo.\nDiomede passò la giovinezza ad allenarsi nell'arte della guerra insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette Epigoni: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il Re di Argo.\nQuando Elena, la figlia di Zeus e Leda, raggiunse l'età da marito, la sua bellezza attirò al palazzo del suo patrigno Tindaro re e principi di tutta la Grecia che pretesero la sua mano, in cambio di ricchi doni.\nGiovane e bello, Diomede, insieme ad altri principi della Grecia, si presentò al palazzo di Tindaro per chiedere Elena in moglie.\nAd Argo Diomede si sposò con Egialea, la figlia ormai orfana del re, e diventò così sovrano della città. Avrebbe voluto governare in pace e dedicarsi alle gioie familiari ma ben presto dovette partire per la guerra di Troia.\n\nGuerra di Troia.\nDiomede partì alla volta di Troia con 80 navi da guerra (un gran numero per quell'epoca) e arrivò addirittura a scendere in campo contro Ettore, Enea e gli dei stessi: ferì Afrodite, accorsa per aiutare il figlio, e l'amante di lei, Ares, dio della guerra.\nDiomede era protetto dalla dea Atena. Omero afferma che, durante le battaglie, Diomede era simile ad un torrente in piena, che tutto travolge. Come è raccontato nell'Iliade, in particolare nei libri V e VI, Diomede compì molte gesta eroiche, uccidendo diversi guerrieri, tra cui i fratelli Xanto e Toone, l'arciere Pandaro, Dreso e il giovane possidente Assilo insieme all'auriga Calesio.\n\nLo scontro con Enea.\nFu eroe valoroso e spesso supportato da Atena.\nAtena diede a Diomede l'ispirazione di realizzare un massacro di nemici sul campo: simile all'astro della canicola, sotto le sue armi si accese un fuoco. Lo affrontarono allora due guerrieri, che combattevano su un carro, figli di Darete, sacerdote di Efesto a Troia, i quali gli corsero incontro: uno di questi, Fegeo, cercò di colpirlo con la sua lancia, ma lo mancò. L'eroe scagliò a sua volta l'asta contro di lui e colse il nemico in pieno petto, facendolo precipitare morto dal cocchio.\nDiomede, nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, uccise Pandaro, che combatteva sul carro da guerra in compagnia di Enea. Quest'ultimo lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.\n\nAffrontò dunque Enea, che rimase ferito a causa di un masso scagliato dal greco. L'eroe troiano venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, la ferì ad una mano costringendola alla fuga.\nAres corse in aiuto di Afrodite, che riuscì in tal modo a fuggire col suo carro sull'Olimpo insieme a Iris. Il corpo di Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Apollo, allora, apostrofò Diomede con queste parole: “Tu, mortale, non tentare il confronto con gli dei!”. Diomede si scontrò quindi con Ares e lo ferì al ventre: il dio dovette uscire dalla battaglia e rifugiarsi sull'Olimpo dove verrà curato dal medico degli dei, Panèon..\n\nDiomede e Glauco.\nDiomede non era però solo furia e impeto: egli diede nel pieno della lotta un'altissima prova di lealtà e di spirito cavalleresco: fu poco prima di intraprendere il duello con Glauco, il nobile di Licia, che si batteva a fianco dei Troiani. È questo uno degli episodi più toccanti dell'Iliade: dopo aver chiesto al nemico il suo nome, Diomede si rese conto che l'uomo che aveva di fronte era legato da un antico vincolo di amicizia e di ospitalità con la propria famiglia. Gettò allora la spada a terra e i due nemici, anziché scontrarsi, si strinsero la mano e si scambiarono le armi, secondo consuetudine. Glauco, preso dall'entusiasmo del gesto e noncurante del loro valore, scambiò le sue armi d'oro con armi di bronzo, pari al valore di cento buoi per nove buoi.\n\nDiomede e Ulisse.\nAssecondò spesso Ulisse, quando si trattò di condurre trattative delicate (sia presso Agamennone che presso Achille), e con lui compì varie imprese pericolose, tra le quali il furto del Palladio (la statua da cui dipendevano le sorti di Troia), e l'incursione notturna nell'accampamento del giovane re tracio Reso, che Diomede colpì con la spada mentre dormiva. Narra Omero che il sonno di Reso, famoso russatore, fu quella notte più rumoroso che mai, essendogli apparso in sogno il suo assassino.\n\nDopo la caduta di Troia.\nDopo che Troia fu conquistata, Diomede viaggiò per tornare ad Argo, con una veloce navigazione favorita da Afrodite, desiderosa di accelerare il ritorno dell'eroe in patria, dove aveva intenzione di vendicarsi dell'offesa subita durante la guerra.\nSecondo una variante del mito, invece, una tempesta suscitata da Afrodite, sempre per vendicare l'offesa subita, spinse Diomede sulle coste della Licia: qui fu sul punto di essere sacrificato ad Ares dal re Lico, che voleva vendicare la morte di Sarpedonte caduto a Troia, ma poté salvarsi per l'intervento di Calliroe, figlia del re, che lo aiutò a ripartire. Secondo alcune fonti Diomede sarebbe poi sbarcato per errore ad Atene, e qui avrebbe perso il Palladio, finito nelle mani di Demofonte.\nArrivato ad Argo, Diomede ebbe un'amara sorpresa: né sua moglie Egialea, né i suoi sudditi lo ricordavano più, in quanto Afrodite aveva cancellato il ricordo di Diomede dalla loro memoria. Secondo una variante del mito, Egialea, ispirata dalla dea, tradì Diomede con Comete, il giovane figlio di Stenelo, e gli tese molti agguati.\n\nViaggio di Diomede, eroe della civilizzazione.\nDiomede decise di abbandonare la città, imbarcandosi per l'Italia insieme ai suoi compagni: Acmone, Lico, Idas, Ressenore, Nitteo, Abante. Dopo aver errato a lungo nel mare Adriatico si fermò in più porti insegnando alle popolazioni locali la navigazione e l'addomesticamento ed allevamento del cavallo. La diffusione della navigazione forse aveva l'intento di ottenere il perdono dalla dea nata dalla spuma del mare e considerata divinità della buona navigazione (Afrodite euplea). In ogni caso si realizza così una straordinaria trasformazione: da campione della guerra Diomede diventa l'eroe del mare e della diffusione della civiltà greca. Era infatti venerato come benefattore ed ecista ad Ankón (Ancona), città nella quale è nota la presenza di un suo tempio, a Pola, a Capo San Niccolò (in Dalmazia), a Vasto, a Lucera e all'estremo limite dell'Adriatico: alle foci del Timavo. In questi luoghi il culto di Diomede si era sovrapposto a quello del Signore degli animali, un'antichissima divinità dei boschi.\nLa caratteristica di civilizzatore viene rafforzata dalla fondazione di molte città italiane, tra cui Vasto (Histonium), Andria, Brindisi, Benevento, Argiripa (Arpi) presso l'attuale Foggia, Siponto presso l'attuale Manfredonia, Canusio (Canosa di Puglia), Equo Tutico (Ariano Irpino), Drione (San Severo), Venafrum (Venafro) e infine Venusìa (Venosa). La fondazione di quest'ultima città, come lo stesso toponimo (da Venus) ricorda, coincide con il perdono ottenuto da Afrodite, in seguito al quale si stabilì in Italia meridionale e si sposò con la figlia del Re del popolo dei Dauni: Evippe.\nStretto fu il rapporto tra l'eroe e la Daunia. Il primo contatto con questa terra si ebbe con l'approdo alle isole che da lui avrebbero preso il nome di Insulae Diomedeae, tradizionalmente identificate con le isole Tremiti.\nSbarcò quindi nell'odierna zona di Rodi, sul Gargano alla ricerca di un terreno più fecondo e si spostò a sud dove incontrò i Dauni, che prendevano il nome dal loro re eponimo, Dauno, figlio di Licaone e fratello di Enotro, Peucezio e Japige.\n\nDiomede si guadagnò le simpatie di Dauno il re che 'pauper aquae agrestium regnavit populorum' e dopo avergli prestato valido aiuto nella guerra contro i Messapi, per il suo alto valore militare - victor Gargani - ebbe in sposa la figlia Evippe (secondo alcuni si chiamava Drionna, secondo altri Ecania) ed in dote parte della Puglia - 'dotalia arva'-, i cosiddetti campi diomedei, 'in divisione regni quam cum Dauno'. Fu allora che fondò Siponto, detta così dal nome greco sipius, a motivo delle seppie sbalzate sulla riva da onde gigantesche.\nVirgilio nell'Eneide ci racconta che i Latini e i Rutuli, bisognosi di alleati per scacciare Enea dalla loro terra, chiedono aiuto a Diomede, ricordando i trascorsi tra i due eroi. Diomede, però sorprende gli ambasciatori a lui pervenuti, rifiutando di combattere il suo antico nemico ed anzi invocando la pace tra i popoli. Secondo il poema latino, Diomede non è genero di Dauno, che è invece padre di Turno, il re dei Rutuli.\n\nMorte.\nSecondo gli scolii dell'Alessandra di Licofrone, che rappresentano la tradizione più diffusa, Diomede fu ucciso da Dauno a causa della spartizione di un bottino; invece, nelle Metamorfosi di Antonino Liberale, Diomede sposò la figlia di Dauno e morì di vecchiaia.\n\nStrabone (VI, 3, 9) elenca addirittura quattro diverse varianti sulla fine dell'eroe. Una afferma che nella città di Uria Diomede stava facendo un canale verso il mare, quando fu richiamato in patria ad Argo, dove morì. La seconda afferma che rimase a Uria fino alla fine della sua vita. La terza narra che scomparve sull'isola disabitata di Diomedea (chiamata così in suo onore e identificata in San Domino, una delle Tremiti o Diomedee), dove secondo la leggenda vivono i suoi compagni trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini, le diomedee, il che implica una sorta di deificazione. La quarta variante sostiene che Diomede ebbe un'apoteosi misteriosa nel paese dei Veneti.\nUna tradizione identifica in una spiaggia dell'isola di San Nicola il luogo della sua sepoltura. Nel film di Federico Fellini 8½, un cardinale racconta questa storia all'attore Marcello Mastroianni.\n\nImmortalità.\nSecondo il racconto omerico, Diomede ricevette da Atena l'immortalità, che non aveva dato a suo padre. Per raggiungere l'immortalità, uno scolio di Nemea X dice che Diomede sposò Ermione, l'unica figlia di Menelao ed Elena, e vive con i Dioscuri come un dio immortale godendosi anche gli onori di Metaponto e Turi.\nEra adorato come un essere divino sotto vari nomi in Italia, dove statue di lui esistevano ad Argi, Metaponto, Turi e in altri luoghi. Nell'Adriatico c'era un tempio consacrato a Diomede ad Ankón, l'attuale Ancona, nello sperone più settentrionale del promontorio su cui sorge la città; un altro tempio sorgeva alle foci del Timavo, dove l'eroe era venerato con l'epiteto tratto dal nome del fiume. Ci sono tracce del culto di Diomede anche in Grecia.\nLe prime due tradizioni elencate da Strabone non danno alcuna indicazione sulla divinità se non più tardi attraverso un culto eroe, e le altre due dichiarano fortemente l'immortalità di Diomede come più di un semplice eroe di culto.\n\nDiomede nella Commedia di Dante Alighieri.\nDante Alighieri (Inferno - Canto ventiseiesimo) colloca Diomede nell'VIII bolgia dell'VIII cerchio, quella dei consiglieri fraudolenti, che in vita agirono con inganno e di nascosto e quindi la loro pena nell'inferno sarà quella di essere celati dalle fiamme alla vista altrui. Egli infatti si trova avvolto in una fiamma a due capi insieme ad Ulisse, poiché proprio con lui andò nottetempo a rubare il Palladio, la statua di Atena protettrice della città di Troia.\n\nVittime di Diomede.\nFegeo - Figlio di Darete (libro V, 17-19).\nAstinoo - (libro V, 144-147).\nIpeirone - (libro V, 144-147).\nAbante - Figlio di Euridamante (libro V, 148-151).\nPolido - Figlio di Euridamante (libro V, 148-151).\nXanto - Figlio di Fenope (libro V, 152-158).\nToone - Figlio di Fenope (libro V, 152-158).\nCromio - Figlio di Priamo (libro V, 159-165).\nEchemmone - Figlio di Priamo (libro V, 159-165).\nPandaro - Figlio di Licaone, abile arciere (libro V, 290-296).\nAssilo - Figlio di Teutra, proveniente da Arisbe (libro VI, 12-19).\nCalesio - Auriga e scudiero di Assilo (libro VI, 17-19).\nEniopeo - Figlio di Tebeo (libro VIII, 118-123).\nDolone - Araldo troiano, figlio di Eumede (libro X, 455-459).\nReso - Re dei Traci, figlio di Eioneo (libro X, 482-497).\nAdrasto - Re di Adrastea, figlio di Merope l'indovino (libro XI, 328-334).\nAnfio - Re di Pitiea, fratello del precedente (libro XI, 328-334).\nTimbreo - Re asiatico (libro XI).\nAgastrofo - Eroe, figlio di Peone (libro XI).\nAgelao - Figlio di Fradmone (libro VIII)Diomede uccise 20 dei 362 nemici caduti contro i Greci, cui vanno aggiunti i 12 guerrieri traci agli ordini di Reso colpiti nel sonno insieme al loro signore; quindi in totale 33." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Diomo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Diomo era il nome di uno degli eroi dell'antichità, figlio di Colitto e padre di Alcioneo.\n\nIl mito.\nSi racconta di Diomo in occasione della vita di Eracle, che conobbe verso la sua morte. Quando il figlio di Zeus fu loro ospite ebbe occasione di conoscere il ragazzo e si innamorò di lui.\nDopo la morte del semidio gli offrì un sacrificio, ma un animale disturbò l'evento, rubando l'animale in sacrificio e lasciandolo molto lontano. A quel punto Diomo decise di fondare, in quello stesso luogo, un santuario." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dion (Macedonia Centrale).\n### Descrizione: Dion o Dium (in greco Δίον? o Δίο) è un ex comune della Grecia nella periferia della Macedonia Centrale di 10885 abitanti secondo i dati del censimento 2001.È stato soppresso a seguito della riforma amministrativa, detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011 ed è ora compreso nel comune di Dion-Olympos.\nLa città si trova nella zona pianeggiante della pianura della Pieria ai piedi del Monte Olimpo. A poca distanza dalla città si trova un importante sito archeologico con resti del IV secolo a.C.\nIl centro principale è Kondariotissa, con 1980 abitanti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,### Titolo: Dion-Olympos.\n### Descrizione: Dion-Olympos (in greco Δίο-Όλυμπος?) è un comune della Grecia situato nella periferia della Macedonia Centrale (unità periferica di Pieria) con 25872 abitanti secondo i dati del censimento 2001.\nÈ stato istituito a seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni. +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dioniso nelle arti.\n### Descrizione: La figura di Dioniso nelle arti ha avuto una particolare rilevanza e considerazione sia in epoca classica ed ellenistica sia nell'era moderna dal rinascimento in poi, esprimendosi in molteplici forme, dalla scultura alla pittura al pensiero astratto-filosofico alla musica ed al teatro.\n\nIn età classica.\nIl dio Dioniso è apparso su molti crateri e in altri contenitori per il vino utilizzati nell'Antica Grecia. La sua iconografia è diventata col tempo, soprattutto durante il periodo ellenistico, più raffinata e complessa, immersa tra uno stile severo arcaicizzante alla tipologia del neoatticismo come accade con il 'Dioniso Sardanapalo' per finire alle tipologie che lo ritraggono come un giovane indolente e androgino spesso mostrato in stato di nudo eroico.\nLa Coppa di Licurgo risalente al IV secolo è una coppa diatreta che cambia colore quando la luce passa attraverso il vetro; mostra il re mitologico di Tracia, Licurgo, mentre viene schernito dal dio e attaccato da un satiro.\nElizabeth Kessler ha teorizzato che un mosaico che appare sul triclinium nel piano rialzato interno della 'Casa di Aion' a Pafo possa raffigurare i dettagli di un culto monoteista di Dioniso. Nel mosaico sembrano esser presenti anche altre divinità, ma possono essere solo rappresentazioni minori che attorniano la figura centrale di Dioniso, la quale si impone sopra tutti.\nL'antico tragediografo greco Euripide gli dedica Le Baccanti.\n\nProspettive moderne.\nIl Rinascimento non solo ha giocato un ruolo enorme nel campo dell'arte, ma ha anche fatto rivivere gli ideali e i temi romani e greci nell'arte visiva riguardante la figura di Bacco.\nBacco, che in quanto personificazione del vino una volta simboleggiava la resurrezione nel cristianesimo, è risorto se stesso divenendo ancora una volta un argomento appropriato per l'ispirazione e la creazione più eminentemente artistica. La mano di Michelangelo Buonarroti, che era stato assoldato dal cardinale Raffaele Riario per produrre una statua di Bacco da installare all'interno del suo palazzo durante la prima epoca rinascimentale, ha completato la riabilitazione dell'antico dio del vino.\nIl mito concernente l'esistenza travagliata del dio ha ispirato innumerevoli artisti, tra cui:.\n\nTiziano con Bacco e Arianna.\nCima da Conegliano con le Nozze di Bacco e Arianna.\nPiero di Cosimo con la Scoperta del miele.\nGiovanni Bellini con Bacco fanciullo.\nRosso Fiorentino con Bacco, Venere e Amore.\nMichelangelo Merisi da Caravaggio, con il Bacchino malato e anche con Bacco.\nDiego Velázquez con il Trionfo di BaccoMa anche Allart van Everdingen, Benvenuto Tisi da Garofalo, Sebastiano Ricci, Guido Reni, Rembrandt, Pieter Paul Rubens si sono cimentati nello stesso tema. Uscita dalla bottega di Leonardo da Vinci è anche la tela del Bacco databile 1511-15.\nIn musica si può citare l'Opera intitolata 'Bacco' di Jules Massenet.\nMa Dioniso è rimasto fonte di ispirazione per artisti, filosofi e scrittori durante tutta l'epoca moderna. Ne La nascita della tragedia (1872), il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche contrappone Dioniso con il fratello dio solare e della luce Apollo, come simbolo della sfrenatezza fondamentale degli istinti di base nonché 'principio estetico' della potenza della musica e dell'ebbrezza artistica rispetto al principio della forma, della bellezza e della vista che viene ben rappresentato dal principio apollineo.\nNietzsche ha inoltre affermato che le più antiche forme di tragedia greca sono state interamente basate sulla sofferenza della vita, morte e resurrezione di Dioniso. Nietzsche ha continuato a contemplare il carattere di Dioniso per tutto il periodo della propria riflessione filosofica, rivisitandolo nelle pagine finali della sua opera del 1886 intitolata Al di là del bene e del male . Questo Dioniso riconcepito in forma nietzschiana è stato richiamato come incarnazione della volontà di potenza, uno dei concetti centrali della filosofia di Nietzsche e su cui si sofferma in particolare negli ultimi lavori: Il crepuscolo degli idoli, L'Anticristo e Ecce Homo.\nIl Semperoper è dedicato al dio: sulla esedra della facciata principale lo si vede condurre con sé Arianna in groppa ad una quadriga di pantere. La grande statua in bronzo è opera di Johannes Schilling.\nDioniso, che era stato il personaggio principale della commedia di Aristofane Le rane, viene successivamente riproposto in una versione moderna in forma di musical su libretto di Burt Shevelove e musica di Stephen Sondheim ('Il tempo è il presente. Il luogo è antica Grecia. ...' ), scritto nel 1941 ma portato in scena solo nel 1974. Nell'opera, Dioniso e il suo schiavo Xanthius si avventurano nell'Ade per portare un famoso scrittore indietro dalla morte, con la speranza che la presenza dello scrittore nel mondo risolverà tutta la natura dei problemi terreni. Nel lavoro aristofanesco Aristofane invece Euripide compete contro Eschilo su chi sia stato il miglior tragediografo e quindi anche il più degno di essere recuperato dagli inferi; nella versione di Sondheim e Shevelove è invece George Bernard Shaw ad affrontare William Shakespeare.\n\nAltre interpretazioni.\nJohann Jakob Bachofen vede Dioniso come un dio del momento 'eterico' del mondo, vigente prima cioè dell'introduzione delle strutture di potere e del matrimonio; egli scrive nel suo monumentale saggio Il matriarcato che ciò corrisponde ai Pelasgi pre-ellenici di cultura ancora matriarcale. Dopo il trionfo del patriarcato la religione pelasgica continuò a sopravvivere nei culti misterici.\nWalter Friedrich Otto lo ha visto come l'incarnazione dell'esperienza che ruota attorno alle 'vibrazioni del parto', mostrando tutta la paura e l'intima natura che circonda la ferocia della follia dionisiaca.\nKároly Kerényi, uno studioso ungherese di filologia classica e uno dei fondatori degli studi moderni di mitologia greca, ha caratterizzato Dioniso come il rappresentante della forza vitale psicologica (Zoé). Anche altri studiosi propongono interpretazioni psicologiche di Dioniso, ponendone in primo piano l'emotività e concentrandosi sulla gioia, la paura o l'isteria associati al dio.\nIl poeta, drammaturgo e filosofo russo Vjačeslav Ivanovič Ivanov ha elaborato una sua teoria del dionisismo, che ripercorre le radici dell'arte letteraria in generale e l'arte della tragedia in particolare, agli antichi misteri dionisiaci. Le sue opinioni sono state espresse nei trattati 'La religione ellenica del Dio soffernte' (1904), e 'Dioniso e il precoce dionisismo' (1921).\nIspirati da James Frazer, alcuni hanno etichettato Dioniso come una divinità di vita-morte-rinascita; il già citato mitografo Karl Kerényi ha dedicato molta energia e studi lungo tutta la sua carriera accademica sopra la figura di Dioniso, riassumendo poi il suo pensiero in 'Dioniso: l'archetipo della vita indistruttibile' (1976)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dioniso.\n### Descrizione: Dioniso (AFI: /diˈɔnizo/, alla latina /dioˈnizo/; in greco antico: Διόνυσος?, dialetto attico; in greco omerico: Διώνυσος; in greco eolico: Ζόννυσσος o Ζόννυσος; in Lineare B) è una divinità della religione greca.\nOriginariamente fu un dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito fu identificato come dio dell'estasi, del vino, dell'ebbrezza e della liberazione dei sensi; venne quindi a rappresentare l'essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l'elemento primigenio del cosmo, l'irruzione spirituale della ζωή greca, ossia l'esistenza intesa in senso assoluto, la frenetica corrente di vita che tutto pervade.\nDio 'ibrido' dalla multiforme natura maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica, Dioniso incarna, nel suo delirio mistico, la scintilla primordiale e istintuale presente in ogni essere vivente; che permane anche nell'uomo civilizzato come sua parte originaria e insopprimibile, e che può riemergere ed esplodere in maniera violenta se repressa e non elaborata correttamente.\nVeniva identificato a Roma con il dio Bacco (simile a Dioniso), con il Fufluns venerato dagli Etruschi e con la divinità italica Liber Pater, ed era soprannominato λύσιος lýsios, 'colui che scioglie' l'uomo dai vincoli dell'identità personale per ricongiungerlo all'originarietà universale. Nei misteri eleusini veniva identificato con Iacco.\nStrettamente legato alle origini del teatro, Dioniso è forse il dio della mitologia greca di maggior fortuna nella cultura contemporanea, in particolare nel Novecento, dopo che il filosofo Friedrich Nietzsche, nella Nascita della tragedia, ha creato la categoria estetica del dionisiaco – emblema delle forze naturali, vitalistiche e irrazionali – contrapponendola a quella dell'apollineo.\n\nAttributi ed epiteti.\nSolitamente accompagnato da un corteo chiamato tiaso e composto dalle sue sacerdotesse (dette menadi o baccanti, donne in preda a frenesia estatica e invasate dal dio), bestie feroci, satiri e sileni. Care al dio erano le piante della vite (da cui il legame con il vino e la vendemmia) e all'edera (in particolare alcune specie di edera, contenenti sostanze psicotrope e che venivano lasciate macerare nel vino).\nUno dei suoi attributi era infatti il sacro tirso, un bastone nodoso avvolto da edera e pampini e sormontato da una pigna; altro suo attributo è il kantharos, una coppa per bere caratterizzata da due alte anse che si estendono in altezza oltre l'orlo.\nA seguire, alcuni degli epiteti con cui il Dio era chiamato:.\n\nBromio – da βρόμος, 'fragore', 'fremito' e usato anche da Euripide ne Le Baccanti; secondo il mito il dio era stato generato in mezzo ai fragori del tuono dalla madre Semele colpita dal fulmine, o perché l'ebbrezza del vino produce fremito e furore;.\nLysios o Lieo – 'colui che scioglie';.\nBassareo, soprannome di Bacco derivato secondo alcuni da Bassaro, un borgo della Lidia ove aveva un tempio, secondo altri da una lunga veste chiamata 'Bassara' (o 'Bassaris') fatta di pelli di volpi originaria della Tracia che Bacco portava, o da un calzare detto 'Bassaro'. La sacerdotessa di Bacco si chiamava Bassarida.\nCretogeno – nato a Creta.\nCtonio – in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo;.\nZagreo (Zαγρεύς) – in quanto figlio di Zeus e Persefone.\nBacco.\n\nMito.\nOrigini.\nL'origine del nome Dioniso è suggerita dal genitivo Διός e da νῦσος, quindi il nysos di Zeus: il 'giovane figlio di Zeus'. Per altri studiosi, l'etimologia è invece legata al monte Nisa, dove il dio venne allevato (theos-Nyses, il dio di Nisa); e c'è anche chi propende per il significato di 'dio notturno' (theos-nykios). Il poeta Apollonio Rodio invece propose il significato di 'nato due volte' (da di-genes) o 'il fanciullo dalla doppia porta'.\nSecondo Detienne, Dioniso è il dio straniero per eccellenza, poiché proveniva dalla Tracia. Le ricerche più recenti, in effetti, hanno messo in rilievo l'esistenza di elementi comuni nel culto greco di Dioniso e nei culti della Tracia, con possibilità di rapporti reciproci, uniti forse a influssi dall'Asia Minore (già autori antichi, come Euripide, sostenevano l'origine frigia di Dioniso, che presenta forti affinità col dio Sabazio). Questa tesi ben si accorda al fatto che diversi elementi attestano l'antichità del culto di Dioniso in terra greca: in particolare la presenza del nome sulle tavolette micenee in lineare B, il carattere orgiastico dei culti della vegetazione della religione minoica, nonché la credenza, diffusa a Creta, che il toro rappresenti una forma di epifania divina (e Dioniso venne talvolta invocato con l'appellativo di 'toro').\nLe notizie relative alle modalità della nascita di Dioniso sono intricate e contrastanti. Sebbene il nome di suo padre, Zeus, sia indiscusso, quello di sua madre è invece oggetto di numerose interpretazioni da parte degli autori mitografi. Alcuni dicono che il dio fosse frutto degli amori del dio con Demetra, sua sorella, oppure di Io, o ancora di Lete; altri ancora lo fanno figlio di Dione, oppure di Persefone.\nQuest'ultima versione, nonostante non sia accettata dalla maggior parte dei mitografi, non è comunque stata scartata del tutto dalla tradizione letteraria. In alcune leggende orfiche la madre di Dioniso è infatti definita 'la regina della morte', il che fa appunto pensare a Persefone. Zeus stesso, innamoratosi di sua figlia, che era stata nascosta in una grotta per volere di Demetra, si tramutò in serpente e la raggiunse mentre era intenta a tessere. La fecondò e la fanciulla partorì così due bambini, Zagreo e lo stesso Dioniso.\n\nGenealogia (Esiodo).\nNascita di Dioniso.\nLa versione generalmente più conosciuta è quella che vuole come madre Semele, figlia di Armonia e di Cadmo, re di Tebe: d'altra parte il suo nome può significare 'la sotterranea', se non si riferisca a Selene, la dea Luna, che ribadisce così all'immagine della Terra intesa come grembo oscuro, ma stranamente fecondo, che sottrae la vita alla luce e l'assorbe per riprodurla, in un eterno ciclo di morti e resurrezioni. Anche sulle versioni del concepimento di Dioniso le tradizioni non concordano: secondo alcuni Zeus, dopo avere raccolto ciò che rimaneva del corpicino del diletto figlioccio Zagreo, generato dal fratello Ade e dalla nipote Persefone e ucciso dai Titani, cucinò il cuore del fanciullo in un brodo che fece bere alla giovane Semele, sua amante. Oppure il padre degli dei stesso, innamorato perdutamente di Semele, assunse l'aspetto di un mortale per unirsi a lei nel talamo, rendendola incinta di un bambino.\nL'ennesimo tradimento di Zeus con una mortale non restò oscuro a Era, che si poteva ritenere l'unica moglie legittima del dio. Infuriata, e non potendo vendicarsi sul marito, la dea ispirò nelle tre sorelle di Semele invidia per la sorella, che nonostante fosse in età da nubile poteva vantare già un amante e anche una gravidanza. La povera Semele subì le crudeli beffe di Agave, Ino e Autonoe, le quali criticavano non solo il fatto che fosse già incinta, ma anche che nonostante il concepimento il padre del bambino non si fosse ancora deciso a venire allo scoperto e a dichiararsi.\nNel frattempo la regina degli dei, approfittando di questi contrasti, assunse l'aspetto di una vecchia anziana, Beroe, nutrice della fanciulla, la quale era sua assistente sin dalla nascita. La regina degli dei si presentò quindi a Semele, già incinta da sei mesi, che, credendola la nutrice, cominciò a parlare con lei fino a quando il discorso non cadde sul suo amante. La vecchia mise in guardia Semele, consigliandole di fare una singolare richiesta al suo amante, ovvero quella di rivelarle la propria identità, smettendo di ingannarla e nascondersi; altrimenti avrebbe potuto pensare che il suo aspetto fosse in realtà quello di un mostro. Secondo una versione diversa Semele era a conoscenza dell'identità del suo amante ed Era l'aveva messo in guardia proprio dal fidarsi del dio, esortandola a esigere una prova della sua vera identità. Suggerì quindi di chiedere a Zeus di presentarsi a lei come quando si presentava al cospetto di Era.\n\nDopo qualche tempo, quando Zeus tornò nuovamente dalla sua amante per godere le gioie del sesso, Semele, memore delle parole della vecchia, pregò Zeus di rivelarle la sua identità e di smettere di continuare a fingere. Per timore della gelosia di sua moglie Era il dio rifiutò, e a questo punto Semele si oppose al condividere il suo letto con lui. Adirato, Zeus le apparve tra folgori e fulmini accecanti, tanto che la fanciulla, non potendo sopportare il tremendo bagliore, venne incenerita.\nSecondo l'altra versione quando il padre degli dei tornò dalla sua amante Semele gli chiese di offrirle un regalo ed egli promise di esaudire qualsiasi desiderio della fanciulla. Semele chiese allora al re degli dei di manifestarsi in tutta la sua potenza. Zeus, disperato, fu costretto a realizzare la richiesta di Semele, che rimase uccisa. Per impedire che il bambino morisse Gea, la Terra, fece crescere dell'edera fresca in corrispondenza del feto; ma Zeus incaricò Ermes (o secondo altri lo fece egli stesso) di strappare il feto dal ventre materno e se lo fece cucire dentro la coscia. Passati altri tre mesi e finito il periodo di gestazione, il sovrano degli dèi partorì il bambino, perfettamente vivo e formato, dandogli il nome di Dioniso che vuol dire il 'nato due volte' o anche 'il fanciullo dalla doppia porta'.\n\nInfanzia e giovinezza di Dioniso.\nQuando il piccolo Dioniso nacque dalla coscia di Zeus, lui lo affidò alle cure della sorella di Semele, Ino e a suo marito Atamante. Questo però non passò inosservato agli occhi attenti di Era, la quale fece impazzire i due sposi. Atamante, credendo di vedere un cervo nel figlio Learco, lo uccise a colpi di freccia, mentre Ino gettò il piccolo Melicerte in una tinozza di acqua bollente, uccidendolo, e una volta schiarita la mente e resosi conto di quello che aveva fatto si gettò in mare.\nDioniso era stato prontamente trasformato in una capra da Zeus, o forse da Ermes, e aveva potuto osservare tutto. Dal quel momento capì la pericolosità della pazzia e della poca chiarezza di mente, e in seguito ne fece uno dei suoi poteri divini. La capra diventò anche uno dei suoi animali sacri.\nDioniso rimase solo nella casa abbandonata e chissà cosa gli sarebbe successo se Ermes non lo avesse preso con sé. Lo portò in una lontana montagna dell'Asia minore sulla quale vivevano le, Iadi, ninfe dei boschi. Queste crebbero amorevolmente il piccolo Dioniso finché non fu tempo di trovargli un precettore. Chiesero allora a Sileno, un anziano figlio di Pan e di una ninfa che possedeva una straordinaria saggezza ed il dono della divinazione.\n\nLa divinità errante.\nRaggiunta la maturità, Era non poté fare a meno di riconoscerlo come figlio di Zeus, punendolo però al contempo con la pazzia. Egli iniziò allora a vagare insieme al suo tutore Sileno e a un gruppo di satiri e baccanti (così erano dette le seguaci del dio) fino in Egitto, dove si batté con i Titani.\nIn seguito si diresse in oriente, verso l'India, sconfiggendo numerosi avversari lungo il suo cammino (tra cui il re di Damasco, che scorticò vivo) e fondando numerose città: dopo aver sconfitto il re indiano Deriade, Dioniso ottenne l'immortalità. Ma al suo ritorno gli si oppose il popolo delle Amazzoni, che egli aveva già precedentemente respinto fino a Efeso: le donne guerriere vennero nuovamente sbaragliate dal dio e dal suo seguito.\nFu allora che decise di tornare in Grecia in tutta la sua gloria divina, come figlio di Zeus; dopo essersi purificato dalla nonna Rea per i delitti commessi durante la pazzia, sbarcò in Tracia, dove regnava re Licurgo. Quando il re della Tracia Licurgo seppe che Dioniso aveva fatto irruzione nei suoi territori, gli si oppose facendo imprigionare tutti i seguaci del dio: questi riuscì però a fuggire rifugiandosi da Teti.\nAdirato contro il re di Tracia, Dioniso inviò una terribile siccità che scatenò una rivolta tra il popolo, e maledisse Licurgo facendolo impazzire: reso folle dal dio, il sovrano uccise a colpi d'ascia il figlio scambiandolo per un ramo d'edera. Un oracolo nel frattempo, a cui era stato chiesto consiglio, aveva emesso questo verdetto, che tutto il regno sarebbe rimasto secco e sterile fino a quando Licurgo fosse rimasto in vita: il popolo trascinò quindi fuori dal palazzo il proprio sovrano e lo linciò sulla pubblica piazza.\nCon la morte di Licurgo Dioniso liberò la Tracia dalla maledizione. In una versione alternativa della storia Licurgo aveva tentato di uccidere un seguace del dio ma questi, che era stato trasformato immediatamente in un vitigno, si attorcigliò strettamente attorno al re infuriato e lo trattenne tra le sue spire fino a strangolarlo.\nIn seguito Dioniso tolse il senno anche al fratellastro di Licurgo, il pirata Bute, che aveva violentato una delle Menadi.\n\nIl ritorno in Grecia.\nSottomessa la Tracia, passò in Beozia e poi alle isole dell'Egeo, dove noleggiò una nave da alcuni giovani marinai diretti a Nasso; questi si rivelarono poi essere pirati che intendevano vendere il dio come schiavo in Asia, ma Dioniso si salvò tramutando in vite l'albero maestro della nave e sé stesso in leone, popolando nel contempo la nave di fantasmi di animali feroci che si muovevano al suono di flauti.\nI marinai, sconvolti, si gettarono in mare ma il dio li salvò trasformandoli in delfini: pur consapevoli che non avrebbero più riacquistato la forma umana, i giovani compresero anche che il dio aveva voluto concedere loro la possibilità di riscattarsi, e così dedicarono il resto della loro vita a salvare i naufraghi. Per essersi dimostrato più buono degli altri pirati, Acete, il timoniere, non subì metamorfosi, divenendo sacerdote del dio.\n\nQuando Dioniso giunse nella sua città natale, Tebe, il sovrano Penteo, suo cugino, si oppose ai nuovi riti introdotti dal dio, facendo arrestare Acete e alcune Menadi. La vendetta di Dioniso su Tebe e sulla sua famiglia è narrata da Euripide nella tragedia intitolata Le Baccanti, composta mentre si trovava alla corte del re Archelao di Macedonia.\nNell'opera teatrale, in cui è argomentata la natura più terrifica e distruttiva del dio (al punto da far pensare che si tratti di un'opera critica verso la religione dionisiaca) Dioniso fa impazzire le donne della città, colpendo per prime le sue zie (Agave, Ino, Autonoe) le quali a loro tempo non avevano dato fiducia alle affermazioni di Semele che diceva d'esser stata messa incinta dal padre degli dèi.\nDioniso vuole anche punire l'intera città che continua a negare la sua divinità e si rifiuta pertanto di adorarlo. Le cittadine tebane lasciano la città per andare nei boschi del monte Citerone a celebrare le orge sacre a Dioniso.\nInfine il dio spinge lentamente alla pazzia anche re Penteo, convincendolo a travestirsi da donna per andare a spiare le menadi mentre celebrano nei tiasi i riti sacri al dio. Attirato sul monte Citerone, lo fa uccidere dalle donne tebane, che invasate dalla divinità, scambiano Penteo per un animale selvatico; il sovrano viene letteralmente fatto a pezzi.\nLa prima ad avventarsi su di lui è proprio Agave, sua madre, posta a capo di un gruppo di baccanti. La donna torna a Tebe con la testa del figlio su una picca e non riconosce il proprio figlio se non quando oramai è troppo tardi e non può far altro che versare amarissime lacrime. Dioniso infine condanna all'esilio da Tebe i suoi parenti, garantendo così la sua totale vendetta.\nUna volta riconosciuto come dio, secondo la volontà di Zeus, Dioniso ascende all'Olimpo.\n\nLe relazioni amorose.\nChirone.\nViene anche detto che il giovane Dioniso sia stato uno dei tanti allievi illustri del centauro Chirone: secondo Toloneo Chennus (testimonianza raccolta da Fozio nella sua Biblioteca) «il giovinetto Dioniso era amato da Chirone, dal quale apprende le arti del canto e della danza, oltre alle regole iniziatiche dei futuri riti bacchici».\n\nAmpelo.\nIl primo amore pederastico di Dioniso fu quello espresso nei confronti del giovanissimo satiro di nome Ampelo: l'adolescente con i piedi da capretto rimase ucciso cadendo dalla groppa di un toro impazzito per essere stato punto da un tafano inviatogli da Ate, la dea della malizia. Le Moire a seguito della supplica inviata loro dallo stesso dio che voleva intercedere a favore dell'amante, concessero ad Ampelo una seconda vita in forma di tralcio di vite.\n\nProsimno.\nUna tra le storie più note riguardanti la discesa del giovane semidio nel regno dei morti per riportare in vita la madre è quella che racconta anche del rapporto omosessuale avuto con Prosimno. Guidato dall'uomo lungo il viaggio che lo condusse fin alle porte di Ade, sulla costa dell'Argolide nei pressi di Lerna (e considerato da tutti un pozzo infinito senza possibilità alcuna d'uscita) gli venne chiesta come ricompensa di farsi amare come una donna: Dioniso accettò, gli chiese solo di aspettare che avesse portato in salvo Semele dalle grinfie della morte. Al suo ritorno dagli inferi però Dioniso scoprì che il pastore era morto prima ch'egli potesse onorare il suo impegno.\nDirettosi al tumulo che conteneva le spoglie mortali di Prosimno, Dioniso s'impegnò a soddisfarne almeno l'ombra: da un ramo di ulivo (o di fico) creò un Phallos di legno e vi si sedette sopra. Infine pose la figura dell'amante tra le stelle del cielo.\nQuesto racconto è sopravvissuto solamente grazie a fonti cristiane, il cui obiettivo primario era quello di screditare moralmente tutta la religione pagana precedente: è servita tuttavia come spiegazione parziale per spiegare alcuni tra gli oggetti segreti che venivano rivelati durante i misteri dionisiaci.\n\nIl matrimonio con Arianna.\nIl dio giunse all'isola di Nasso, dove incontrò Arianna abbandonata da Teseo e la sposò, dopodiché riprese di nuovo il mare per la Grecia. Sbarcato ad Argo, Perseo gli eresse un tempio perché placasse le donne di quella città, fatte impazzire dal dio come punizione per l'eccidio dei suoi seguaci, permettendo a Dioniso di entrare nell'Olimpo.\n\nAmanti e figli di Dioniso.\nDioniso Zagreo e la tradizione orfica.\nIn antropologia Dioniso rappresenta il mito della 'resurrezione del Dio ucciso'. La versione religiosa orfica della venuta al mondo di Dioniso ribattezza il dio col nome di Zagreo. Zagreo (Zαγρεύς) è il figlio che Ade, sotto forma di serpente, ebbe dalla moglie Persefone (o, secondo altre versioni, nato da Persefone e il padre Zeus). Tale nome appare per la prima volta nel poema dal VI secolo Alcmenoide, nel quale si dice: Potnia veneranda e Zagreo, tu che sei sopra tutti gli dei. Secondo Diodoro Siculo, i Cretesi consideravano Dioniso figlio di Ade, o Zeus, e Persefone e loro conterraneo. Di fatto gli epiteti di Dioniso a Creta erano Cretogeno, Ctonio, in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo, e appunto Zagreo.\nSecondo questo mito, Zeus aveva deciso di fare di Zagreo il suo successore nel dominio del mondo, provocando così l'ira di sua moglie Era. Zeus aveva affidato Zagreo ai Cureti affinché lo allevassero. Allora Era si rivolse ai Titani, i quali attirarono il piccolo Zagreo offrendogli giochi, lo rapirono, lo fecero a pezzi e divorarono le sue carni. Le parti rimanenti del corpo di Zagreo furono raccolte da Apollo, che le seppellì sul monte Parnaso; Atena invece trovò il cuore ancora palpitante del piccolo e lo portò a Zeus.\nIn base alle diverse versioni:.\n\nZeus avrebbe mangiato il cuore di Zagreo, poi si sarebbe unito a Semele e questa avrebbe partorito Dioniso.\nZeus avrebbe fatto mangiare il cuore di Zagreo a Semele che avrebbe dato al dio divorato una seconda vita, generando appunto Dioniso.Zeus punì i Titani fulminandoli, e dal fumo uscito dai loro corpi in fiamme sarebbero nati gli uomini. Questa versione è narrata anche da Nonno di Panopoli nelle Dionisiache.\nNegli Inni orfici, che presentano una diversa teogonia rispetto a quella più famosa di Esiodo, nell'elenco dei sovrani degli dei, Dioniso è il sesto (dopo Fanes, Notte, Urano, Kronos e Zeus); «l'ultimo re degli dei, investito da Zeus; il padre lo pone sul trono regale, gli dà lo scettro e lo fa re di tutti gli dei». Sempre negli Inni Orfici, Dioniso viene fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo. E, parlando della nascita di Dioniso: «La prima è dalla madre, un'altra è dalla coscia, la terza avviene quando, dopo che è stato straziato dai Titani, e dopo che Rea ha rimesso insieme le sue membra, egli ritorna in vita».\nUn'antica etimologia popolare, farebbe risalire di-agreus (perfetto cacciatore), il nome Zagreo.\n\nIl simbolo della maschera.\nL'impetuoso avvento di Dioniso e la sua misteriosa presenza sono simboleggiate da un'immagine da cui traspare l'enigma perturbante della sua duplicità e con esso la sua frenesia: la maschera. Nella festa della vendemmia, ad esempio, Dioniso era presente in figura d'una maschera. La maschera, invero, ricorre anche in altri culti greci, ma solo quelle dionisiache rappresentavano il dio nella sua epifania. A causa delle notevoli dimensioni, tali maschere dunque non venivano indossate ma erano concepite come le immagini stesse del dio. La materia è ancora controversa, ma le diverse ipotesi confluiscono sul concetto della maschera come 'epifania' ed essenza del dio, e non semplice simbolo.\n\nSul vaso François, Dioniso, nel corteo degli dei, si presenta diversamente dagli altri: mentre quelli si mostrano di profilo, solo lui volge direttamente all'osservatore il suo gigantesco volto dagli occhi immensi. Questa particolarità viene generalmente spiegata col fatto che fino dall'antichità Dioniso sarebbe stato rappresentato di preferenza con la maschera, ma lo si rappresentava così perché era “il contemplante”, il dio della più immediata presenza. Dal vaso François ci guarda in modo così penetrante proprio perché è sua caratteristica apparire improvvisamente, e con tanta potenza agli occhi degli uomini che la maschera - tipica delle divinità naturalistiche e degli spiriti primigeni - gli serve da simbolo e da personificazione nel culto.\nIl volto dagli occhi scrutatori è stato da tempi immemorabili considerato come la più caratteristica manifestazione delle nature di tipo umano o ferino, e questa manifestazione viene riaffermata efficacemente dalla maschera, in quanto essa è la più forte immagine della presenza, della frontalità, di ciò “che viene incontro”: i suoi occhi sbarrati davanti a sé sono tali che non si può fuggire, il suo volto è intenso, vibrante e ambiguo, simbolo contraddittorio di immediata presenza e assoluta assenza, di realtà e illusione, ragione e follia.\nLa maschera di Dioniso si distingue da quella delle altre divinità perché è più penetrante e immediatamente sensibile, ed è collegata con l'infinito enigma della duplicità e della contraddizione: i misteri ultimi dell'essere e del non-essere fissano l'uomo con occhi smisurati in un'esperienza totalizzante, che investe la dimensione dell'assoluto. Questo spirito della duplicità che contraddistingue Dioniso e il suo regno ricorre in tutte le forme del suo operare, è la causa di quello stravolgimento che ogni elemento dionisiaco non manca mai di suscitare perché è lo spirito di una natura selvaggia e universale.\n\nI Misteri Dionisiaci.\nIn onore di Dioniso si svolgevano riti misterici, riservati cioè ai soli iniziati, corrispondenti a quelli romani in onore di Bacco.\nElemento tipico del culto di Dioniso è la partecipazione essenzialmente femminile alle cerimonie che si celebravano in svariate zone della Grecia: le baccanti (chiamate anche menadi, lene, tiadi o bassaridi) ne invocavano e cantavano la presenza soprannaturale e, anche per mezzo di maschere (importanti nel culto di Dioniso, che si suppone legato alla nascita della tragedia greca), riproducevano ritualmente il mitico corteo dionisiaco di sileni, satiri e ninfe. Si identificavano con il dio e ne acquisivano il 'furore', inteso come stato d'invasamento divino: scopo del rito era quello di ricordare le vicende mitologiche di Dioniso; erano incoronate da frasche di alloro, tralci di vite e pampini, e cinte da pelli di animali selvatici, e reggevano il tirso, una verga appesantita a un'estremità da una pigna che ne rendeva instabili i movimenti; gli uomini erano invece camuffati da satiri (vi partecipavano anche gli schiavi). Ebbro di vino, il corteo, chiamato tiaso, si abbandonava alla vorticosa suggestione musicale del ditirambo, lirica corale e danza ritmica ossessiva ed estatica. Un rito particolarmente violento e brutale era lo Sparagmòs (σπαραγμός) che consisteva nel dilaniare a mani nude degli animali allo scopo di mangiarne le carni crude. Tale rito è persino descritto ne Le Baccanti di Euripide.\nNei rituali dionisiaci venivano stravolte le strutture logiche, morali e sociali del mondo abituale. Il filosofo Friedrich Nietzsche, ne La nascita della tragedia, affermò che la potenza dionisiaca induceva in uno stato di estasi ed ebbrezza infrangendo il cosiddetto 'principio di individuazione', ossia il rivestimento soggettivo di ciascun individuo, e riconciliava l'essere umano con la natura in uno stato superiore di armonia universale che abbatteva convenzioni e divisioni sociali stabilite arbitrariamente dall'uomo. Nietzsche sosteneva che la vita stessa, come principio che anima i viventi, è istinto, sensualità, caos e irrazionalità, e per questo non poté che vedere in Dioniso la perfetta metafora dell'esistenza: ciò che infonde vita nelle arterie del mondo è infatti una fonte primeva e misteriosa che fluttua caotica nel corpo e nello spirito, è la tempesta primigenia del cosmo in eterno mutamento. Hegel, da parte sua, nella prefazione alla Fenomenologia dello spirito, raffigurò in un'immagine dionisiaca la conoscenza del Vero, quando la paragonò al «vacillare della baccante, in cui non v'è membro che non sia ebbro».\n\nMircea Eliade scrive: «Il Mistero era costituito dalla partecipazione delle baccanti all'epifania totale di Dioniso. I riti vengono celebrati di notte, lontano dalla città, sui monti e nelle foreste. Attraverso il sacrificio della vittima per squartamento (sparagmós) e la consumazione della carne cruda (omofagia) si realizza la comunione con il dio, perché gli animali fatti a brani e divorati sono epifanie, o incarnazioni, di Dioniso. Tutte le altre esperienze - la forza fisica eccezionale, l'invulnerabilità al fuoco e alle armi, i 'prodigi' (l'acqua, il vino, il latte che scaturiscono dal suolo), la 'dimestichezza' con i serpenti e i piccoli delle bestie feroci - sono resi possibili dall'entusiasmo, dall'identificazione con il dio. L'estasi dionisiaca significa anzitutto il superamento della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, il raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibili ai mortali».\n\nLa natura di Dioniso.\nDivinità enigmatica e ammaliante, Dioniso si faceva beffe di ogni ordinamento e convenzione, sconvolgeva le coscienze, sgretolava regole e inibizioni riconducendo gli uomini, in un vortice delirante, al loro stato di purezza primordiale. Per il filologo Walter Otto rappresenta «lo spirito divino di una realtà smisurata» che si manifesta in un eterno deflagrare di forze opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e silenzio; è una pulsione vitale dirompente e selvaggia, che affascina e inquieta: la sinfonia inebriante dell'universale realtà del cosmo.\nPer Karl Kerenyi «dove regna Dioniso la vita si rivela irriducibile e senza confini». Per Roberto Calasso, il dio ubriaco era «intensità allo stato puro» che «travolgeva nell'ebbrezza e usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse». Per Giorgio Colli è «il dio della contraddizione, di tutte le contraddizioni [...] è l'assurdo che si dimostra vero con la sua presenza».\nE ancora: è il dio della potenza provvidenziale e distruttiva per Jeanne Roux; è «il dio dell'ambiguità», «il differente», che unisce le polarità contraddittorie dell'umano per H.S. Versnel; è il dio di una no man's land in cui gli opposti della saggezza e della follia si uniscono per Claude Calame; è il dio che rappresenta quell'elemento di alterità che ogni essere umano porta dentro di sé per Jean-Pierre Vernant; non è una divinità greca come le altre per Dabdab Trabulsi; è «un'arborescenza illimitata di doppie tensioni» per Charles Segal; è un paradosso, «la somma di innumerevoli contraddizioni», tanto da presentarsi come «abisso ed enigma», per Albert Henrichs.\n\nLe Dionisie urbane e campestri.\nIl culto di Dioniso, diffuso in tutta la Grecia, era particolarmente vivo in Beozia e in Attica. Ad Atene erano importanti le dionisie rurali (o Piccole Dionisie) e quelle urbane (o Grandi Dionisie). Nelle prime, celebrate nei vari borghi dell'Attica, è elemento tipico la falloforia, o processione del fallo, che fa riferimento alle connotazioni agricole e di fecondità del dio; nelle dionisie urbane sono elemento centrale le rappresentazioni teatrali, presenti anche in un'altra festa dionisiaca ateniese, le lenee.\nIl ciclo delle celebrazioni ufficiali in onore del dio ad Atene era chiuso dai tre giorni delle antesterie, all'inizio della primavera: vi si riscontra la relazione con la vegetazione e il legame col regno dei morti (il terzo giorno si pensava che i morti ritornassero fra i vivi per essere poi, al termine della festa, ritualmente allontanati). A Delfi i tre mesi invernali erano sacri a Dioniso, e l'immagine del dio e del suo corteo era raffigurata su una delle due facciate del tempio.\nIl culto di Dioniso venne introdotto in Italia dalle colonie greche e fu oggetto anche di provvedimenti repressivi, come il senatoconsulto del 186 a.C. che vietava i baccanali, ma nella religione mistica ebbe sempre grande importanza fino all'età imperiale. Nella tarda antichità il culto di Dioniso assurse a religione cosmica e si espanse capillarmente in maniera del tutto spontanea: solo le vicende storiche posero fine alla sua influenza.\n\nDioniso e le origini del teatro.\nLa tragedia è una creazione del mondo greco, ma riguardo alle sue origini le fonti sono scarse e frammentarie. Tutti gli studiosi concordano tuttavia sull'iniziale matrice religiosa del teatro greco che andrebbe rintracciata nei riti celebrati in onore di Dioniso, di cui la danza e la musica erano parte integrante. Aristotele collega la tragedia con il ditirambo, un canto corale in onore di Dioniso che veniva intonato da un corteo di satiri danzanti, guidato da un corifeo, in occasione di feste legate al culto del dio, e con un elemento satiresco; fornendo anche l'etimologia del termine come 'canto dei capri',(trágos, capro; ōdē, canto), dalle maschere dei partecipanti. Interpretazioni successive parlano invece di 'canto in onore del capro' o di 'canto per ottenere il premio di un capro'.\nSecondo la tradizione il ditirambo, sorto nel VII secolo a.C. nella regione di Corinto, sarebbe stato introdotto in Attica da Tespi, un personaggio quasi leggendario che non solo avrebbe conferito forma letteraria al genere ma avrebbe anche creato per primo la figura dell'attore, introducendo la presenza di un interlocutore (l'hypokrités) che dialogava con il corifeo, e dando così una dimensione drammatica al canto primitivo. Da qui sarebbe scaturita la rappresentazione teatrale vera e propria, accolta nel contesto sociale come parte di un ciclo di festeggiamenti che si svolgeva periodicamente ad Atene due volte l'anno. Un'origine analoga avrebbe dato vita alla commedia, derivata da una processione spontanea a carattere buffonesco in onore di Dioniso conclusa da un canto fallico.\n\nDioniso e la psicologia.\nDioniso nell'interpretazione della scuola junghiana.\nJames Hillman (1926-2011), fra i principali successori di Jung nella scuola della psicologia analitica, ha sviluppato profonde riflessioni sulla figura e sull'archetipo di Dioniso. Nel suo saggio breve Dioniso negli scritti di Jung, primo capitolo di Figure del mito, sintetizza quanto Jung aveva scritto a proposito di Dioniso e del dionisiaco per poi fornire una personale interpretazione.\nDioniso non è stato un tema centrale per Jung: secondo Hillman, ciò è causato da un lato dagli originali studi di Erwin Rohde e di Nietzsche che lasciavano ben poco spazio a un’ulteriore esplorazione dal tema, dall’altro dall’interesse prevalente di Jung verso la schizofrenia e la figura archetipica di Ermes-Mercurio piuttosto che verso l’isteria e l’archetipo dionisiaco; non a caso Freud, che iniziò la costruzione della sua teoria a partire proprio dall’isteria, fece al contrario più volte uso di metafore dionisiache (la zoé, il bambino e la bisessualità rappresentate da Dioniso) nel parlare delle zone erogene e dell’infante come perverso polimorfo. Nondimeno in diverse occasioni Jung analizza il dio classico e l’archetipo a cui egli dà il nome. Negli scritti alchemici di Jung, Dioniso è associato alla scimmia e alla Messa nera, a “Sua Maestà il Diavolo”. In altri scritti Jung evidenzia le affinità fra Dioniso e Wotan, analizzando la figura di Nietzsche e la pazzia che caratterizzò l’ultima parte della sua vita in riferimento allo smembramento di Zagreo. Lo smembramento di Dioniso è tuttavia la dimostrazione della sua divisibilità in parti: da un lato lo smembramento rimanda alla disgregazione e alla scomposizione del corpo dell’individuo e della sua stessa vita, ed è in qualche modo replicato dai processi che stanno alla base dei sintomi psicosomatici, dell’isteria, nelle fantasie-fobie sul cancro; dall’altro lato l’esperienza dello smembramento del controllo centrale rappresenta la “resurrezione della luce naturale della coscienza archetipica distribuita in ciascun organo del corpo”, la stessa “distribuzione della coscienza nelle membra, negli organi e nelle zone del corpo” che si evince dal simbolismo dell'Ulisse di Joyce.\nHillman sviluppa la riflessione del suo maestro sul dionisiaco affermando che la coscienza della psicologia analitica “è sempre stata governata da una struttura archetipica che privilegia i principi della luce, dell’ordine e del distanziamento rispetto al coinvolgimento emotivo, ovvero, più brevemente, il principio apollineo rispetto al dionisiaco”: pertanto sia la psichiatria di impianto tradizionale che gli studi classici avrebbero impedito la consapevolezza del dionisiaco e la risoluzione di problemi analitici fondamentali relativi a questo archetipo, provocando anzi una rimozione e una distorsione di tutti i fenomeni ad esso connessi bollati come “isterici, femminei, incontrollabili e pericolosi”:.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Diore (figlio di Amarinceo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Diore (in greco antico Διώρης, Diorês) è uno dei personaggi dell'Iliade.\nFu uno dei comandanti del contingente degli Epei alla Guerra di Troia, assieme a Anfimaco, Talpio e Polisseno. Nel corso della guerra venne ucciso da Piroo.\n\nGenealogia.\nDiore era figlio di Amarinceo, a sua volta figlio di Alettore, figlio di Epeo. Il padre di Amarinceo viene però indicato anche come Pizio o Onesimaco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dioscuri.\n### Descrizione: I Diòscuri (in greco antico: Διόσκουροι?, Dióskouroi - in latino Dioscuri) ovvero Càstore (in greco antico: Κάστωρ, -ορος?, Kástōr, in latino Castōr, -ŏris) e Pollùce o Polideuce (in greco antico: Πολυδεύκης, -ους?, Polydéukēs, in latino Pollūx, -ūcis), sono due personaggi della mitologia greca, etrusca e romana. Conosciuti soprattutto come i Diòscuri ossia 'figli di Zeus', ma anche come Càstori, Gemini e Tindaridi, avevano entrambi una propria specificità: Castore era domatore di cavalli mentre Polluce si distingueva ottimamente nel pugilato.\nErano anche considerati come protettori dei naviganti durante le tempeste marine e furono associati alla costellazione dei Gemelli e alla comparsa della stella Sirio nel cielo in prossimità dell'equinozio di primavera, poiché propiziava la semina dei campi e l'inizio della primavera stessa. Nell'astronomia moderna Castore dà il nome ad Alpha Geminorum e Polluce a Beta Geminorum. Vengono talvolta considerati anche patroni dell'arte poetica, della danza e della musica.\n\nGenealogia.\nFigli di Tindaro e di Leda (quando le leggende li considerano nati da un padre mortale) o di Zeus e Leda (quando assegnano loro una discendenza divina). Esistono inoltre versioni dove Tindaro è il padre di Castore e Zeus quello di Polluce. Leda, dopo che Zeus in forma di cigno l'aveva fecondata, partorì due coppie di uova, da cui sono nati i gemelli, che a ricordo della loro origine, portano un copricapo a forma di uovo. Assieme ai Dioscuri nacquero le loro sorelle Elena e Clitennestra. Castore sposò Ileria e divenne padre di Anogon. Polluce sposò Febe e divenne padre di Mnesileo (o Mnasinous).\n\nMitologia greca.\nPrincipi di Sparta, furono Argonauti, parteciparono alla caccia del cinghiale calidonio, al salvataggio della sorella Elena e al rapimento delle Leucippidi.\n\nArgonauti.\nCome Argonauti, compirono il viaggio verso la Colchide nella ricerca del Vello d'oro e alla caccia al cinghiale calidonio. Polluce (già celebrato come grande pugile) sconfisse in un incontro di pugilato il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo fondarono la città eponima di Dioscuria (sempre collocata in Colchide secondo il mito), e nel viaggio di ritorno aiutarono Giasone e Peleo a distruggere la città di Iolco come ritorsione al tradimento del suo re Pelia.\n\nIl salvataggio di Elena.\nQuando Teseo rapì Elena per portarla con sé ad Afidna, i Dioscuri invasero il regno dell'Attica per salvarla e per ritorsione rapirono Etra che fu portata con loro a Sparta dove divenne schiava di Elena.\n\nLa mandria, Leucippidi e la morte.\nGli episodi della loro morte sono raccontati in due versioni diverse:.\nApollodoro racconta che razziarono del bestiame con la complicità dei fratelli Idas e Linceo ma ebbero una lite sulla spartizione del bottino poiché Idas usò nei confronti dei Dioscuri uno stratagemma scorretto e in seguito si allontanarono con i capi migliori della mandria. Per ritorsione i Dioscuri marciarono contro la città di Messene e dapprima si ripresero il bestiame e molto altro ancora e in seguito tesero un'imboscata a Idas e Linceo, che però fallì poiché Castore, nascostosi per colpire Idas fu scorto da Linceo e Idas lo uccise. Polluce li inseguì e vendicò il fratello uccidendo Linceo con la sua lancia, ma fu da questo colpito alla testa con un sasso e cadde a terra. Questa versione (che considera Polluce figlio di Zeus), dice che per vendicare la morte del figlio, Zeus lanciò un fulmine che uccise Idas.\nIgino e Teocrito invece, scrivono che Leucippo (il padre di Febe e Ilaria, dette Leucippidi), dopo aver promesso le due figlie a Idas e Linceo si lasciò tentare dai doni offerti dai Dioscuri e acconsentì al matrimonio con gli ultimi due che le portarono a Sparta e le resero madri. Idas e Linceo però presero le armi e marciarono contro di loro, così Castore colpì a morte Linceo e si oppose a Idas impedendogli di seppellire la vittima e sostenendo che quel cadavere ora gli appartenesse e Idas, usando la spada, reagì trafiggendolo mortalmente alla coscia. Polluce infine, sconfisse Idas e seppellì il proprio fratello (Castore). Di questa versione esistono delle varianti che aggiungono che Polluce, implorando Zeus di rendere immortale il fratello Castore, ottenne che vivessero in alternanza un giorno nell'Olimpo e uno nell'Ade.\nEuripide scrive invece che Zeus concesse loro di vivere per sempre nel cielo e nella forma della costellazione dei Gemelli e come emblemi di immortalità e morte.\nAltre leggende raccontano che i Dioscuri, come Eracle, siano stati iniziati ai misteri eleusini.\n\nMitologia e culto romano.\nNato a Sparta (la loro patria) dal mito greco, il loro culto ebbe anche la divinazione di renderli i protettori dei naviganti (poiché secondo la leggenda Poseidone affidò loro il potere di dominare il vento e il mare) e dopo essersi diffuso nella Magna Grecia, dal V secolo avanti Cristo fu assimilato presso i Latini e divenne oggetto di venerazione da parte dei Romani.\n\nProbabilmente l'assimilazione del mito greco presso i Romani fu la conseguenza della trasmissione culturale avvenuta attraverso le colonie greche della Magna Grecia del sud Italia e la relativa conquista da parte di Roma.\nUn'iscrizione arcaica latina del VI o V secolo a.C. trovata a Lavinio che recita 'Castorei Podlouqueique qurois' ('Per Castore e Polluce, i Dioscuri'), suggerisce una trasmissione diretta dai Greci e la parola 'qurois' è praticamente una traslitterazione della parola greca 'κούροις', mentre 'Podlouquei' (Poliducei) è effettivamente una traslitterazione del greco 'Πολυδεύκης'.\n\nA Roma (e con il nome di Càstori) venivano ricordati nel Tempio dei Dioscuri collocato all'interno del Foro Romano e nelle vicinanze del Tempio di Vesta che fu costruito per un voto (votum) offerto dal dittatore Aulo Postumio durante la battaglia del Lago Regillo avvenuta nel 495 a.C. e la stessa istituzione del tempio può anche essere una forma di 'evocatio', ovvero il trasferimento di una divinità tutelare da una città sconfitta a quella dei vincitori (Roma), dove il culto sarebbe offerto in cambio di favore. Il risultato della battaglia, inizialmente sfavorevole ai guerrieri dell'Urbe, si dice sia stato deciso dall'apparizione dei Diòscuri che combatterono alla testa dell'esercito romano e successivamente riportarono la notizia della vittoria a Roma.\nTito Livio scrive che nel momento più drammatico della battaglia Aulo Postumio fece il voto di erigere un tempio a Castore in caso di vittoria.\nI Locridi della Magna Grecia avevano attribuito il loro successo a una leggendaria battaglia sulle rive del Sagra all'intervento dei Diòscuri e la leggenda romana potrebbe avere origine dal racconto locrese e potrebbe fornire ulteriori prove della trasmissione culturale tra Roma e la Magna Grecia.\n\nOgni anno il 15 luglio i Romani dedicavano a loro una festività poiché credevano che li aiutassero sul campo di battaglia e l'emulazione dei gemelli li rendeva particolarmente attraenti per gli equites e la cavalleria romana. Durante i festeggiamenti, 1 800 cavalieri sfilavano per le strade di Roma in uno spettacolo elaborato dove ogni cavaliere indossava un completo abbigliamento militare e qualsiasi altra decorazione avesse guadagnato durante la sua carriera.\nCastore e Polluce sono rappresentati anche nel Circo Massimo grazie all'utilizzo di uova come contagiri (questo perché secondo una leggenda greca, Castore, Polluce e due delle loro sorelle (Elena e Clitennestra) nacquero dalla loro madre Leda dopo che Zeus per possederla si trasformò in un cigno e invece di un normale parto la madre diede alla luce quattro uova).\n\nLe fonti citano a Roma un altro tempio dedicato ai Dioscuri, situato nella zona del Circo Flaminio, probabilmente collocato tra questo e la riva del Tevere: in questa zona infatti, presso la chiesa di San Tommaso ai Cenci, vennero ritrovate le due statue dei Dioscuri attualmente collocate sulla balaustra della piazza del Campidoglio. A causa dello stretto spazio disponibile ebbe una pianta con cella disposta trasversalmente (come il tempio di Veiove sul Campidoglio e il tempio della Concordia nel Foro Romano). Secondo le ipotesi degli studiosi il tempio potrebbe essere datato tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. e la sua costruzione essere forse attribuibile a Quinto Cecilio Metello Pio, dopo il suo trionfo sulla Spagna (71 a.C.): questa attribuzione sembrerebbe confermata dallo stile delle statue attualmente conservate sul Campidoglio.\nIl culto dei Dioscuri nel Lazio è molto antico, come ha rivelato il ritrovamento di una lamina a Lavinio con dedica a Càstore e Polluce. lo stile fortemente grecizzante del reperto ha fatto supporre che il culto fosse arrivato da una città della Magna Grecia. Come in Grecia, i due fratelli erano protettori dei cavalieri, che a quell'epoca erano composti dalla sola aristocrazia.\nA Cori, in provincia di Latina, esiste un tempio dei Dioscuri, risalente nella sua prima fase al V secolo a.C. e i cui resti attuali appartengono ad una ricostruzione del I secolo a.C.\nA Napoli l'antico tempio dei Dioscuri, ricostruito in età tiberiana, rimase in piedi, riutilizzato come basilica di San Paolo Maggiore, fino al crollo per un terremoto nel 1688. Sulla facciata della chiesa, ricostruita dopo il crollo, sono visibili ancora due delle colonne che appartenevano al tempio antico.\nNella Valle dei Templi, ad Agrigento, sono presenti rovine di un tempio a loro dedicato.\nSecondo Virgilio parteciparono alla fondazione della città di Amyclae nel Lazio.\n\nDionigi di Alicarnasso.\nDella battaglia del Lago Regillo, Dionigi d'Alicarnasso narra che «Nel corso del combattimento apparvero, tanto al dittatore Postumio quanto ai soldati, due cavalieri di età giovanile, assai superiori a chiunque altro per bellezza e per statura. Essi si posero alla testa della cavalleria romana e, respinto l'attacco dei Latini, li misero in fuga. È fama che quella sera stessa furono visti nel Foro romano due giovani di straordinaria bellezza, in abito militare, che sembravano reduci da un combattimento e portavano cavalli madidi di sudore. Essi abbeverarono gli animali e si lavarono alla sorgente che scaturisce presso il tempio di Vesta… e a quanti domandavano notizie, riferirono dell'andamento e dell'esito della battaglia e della piena vittoria dei Romani; quindi, allontanatisi dal Foro, non furono visti mai più». Sempre Dionigi dice che i Romani si resero conto che si trattava di un'apparizione miracolosa e rapidamente identificarono i due giovani con Castore e Polluce.\nQuesto episodio leggendario raccontato da Dionigi è successivo ad un episodio analogo, ugualmente leggendario: nel corso della battaglia del fiume Sagra combattuta intorno al 550 a.C. tra Locri e Crotone i soldati di Locri, meno armati e meno numerosi di quelli di Crotone, vinsero solo dopo il fondamentale intervento di due giovani a cavallo, di straordinaria bellezza e di grande valore, che anche in questo caso, a battaglia conclusa, apparvero a Locri per annunciare la vittoria. Anche loro furono identificati dai Locresi come i Dioscuri.\n\nGli etruschi Kastur e Pultuce.\nGli Etruschi venerarono i Diòscuri con i nomi di Kastur e Pultuce che consideravano come 'figli di Tinia' (la controparte etrusca di Zeus) e allo stesso modo dei Greci potevano anche raffigurarli simbolicamente come ad esempio nei dipinti della Tomba del Triclinio ritrovata a Tarquinia e dove è dipinto un lectisternio dedicato a loro. Particolare è la riproduzione dei due pilei a punta e coronati di alloro molto simili ai berretti usati dai illiri in antichità e i Toschi del sud Albania oggi e con cui i Diòscuri venivano raffigurati anche nel culto romano.\n\nNel culto cristiano.\nAnche dopo l'avvento del cristianesimo, nei riguardi dei Diòscuri continuò una forma di venerazione popolare che assorbì la loro iconografia con quella della nuova religione, tanto che sia nelle ceramiche sia nelle sculture del Nord Africa del IV secolo venivano raffigurati accanto ai Dodici Apostoli, la Resurrezione di Lazzaro o con San Pietro.\nNel V secolo papa Gelasio I attestò la presenza di un 'culto di Castore' che la gente non voleva abbandonare e in seguito la chiesa assunse un atteggiamento ambivalente, rifiutando l'immortalità dei Diòscuri ma cercando di sostituirli con coppie cristiane equivalenti per arrivare a mettere Pietro e Paolo come patroni dei viaggi (Castore e Polluce lo erano dei marinai) e i santi Cosma e Damiano come santi medici.\n\nAnalogie indoeuropee.\nL'incontro di gemelli nella mitologia non è raro poiché, oltre alla presenza dei Diòscuri nella mitologia greca, romana ed etrusca, altre mitologie Indoeuropee hanno i loro equivalenti.\n\nNel Veda, il libro sacro degli Arii sono citati gli Ashvin che, al pari dei Diòscuri, vengono identificati con la costellazione dei Gemelli.\nNella mitologia baltica esistono gli Ašvieniai degli antichi Lituani e che prendono il nome di Dieva per gli antichi Lettoni.\nNella mitologia baltica Castore è l'equivalente di Autrympus e Polluce di Potrympus che sono considerati divinità come altri dei del loro Pantheon.\nNella mitologia germanica del popolo dei Naarvali esistono gli Alcis, altrettanto ritenuti divini e da Tacito direttamente associati ai Diòscuri.\n\nIconografia.\nSono generalmente rappresentati in nudità eroica, con il pileo, un copricapo a forma di guscio, particolarmente diffuso in illiria e in genere vengono accompagnati da un cavallo e a volte recano con sé una lancia.\n\nA Roma furono rappresentati quasi ininterrottamente sul rovescio della principale moneta romana (il denario), dalla incerta data della sua emissione (che i più ritengono avvenuta nel 211 a.C.) fino alla seconda metà del II secolo a.C." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Diotima.\n### Descrizione: Diotima di Mantinea (in greco antico: Διοτίμα?, Diotíma; Mantinea, V secolo a.C. – ...) è una figura magistrale e sapienziale di donna che Platone nel Simposio introduce come maestra di Socrate sul concetto dell'Eros.\n\nLa maestra dell'Eros.\nNel dialogo platonico, Socrate tratteggia la figura di Diotima come quella di una veggente o sacerdotessa che rese edotto, lui giovane, sulla filosofia dell'Eros. Socrate aggiunge anche che Diotima riuscì a ottenere che gli Dei posponessero di dieci anni la pestilenza che avrebbe colpito Atene.\nIl logos pronunciato da Socrate durante il convito in onore di Agatone, modellato sull'insegnamento di Diotima, prende le mosse da quanto detto immediatamente prima da Aristofane, con la sua esposizione del mito dell'androgino, riguardante l'inadeguatezza e l'insufficienza che l'eros è in grado di svelare.\n\nNatura dell'eros.\nL'insegnamento maieutico di Diotima, come espresso dal discorso socratico, si focalizza sui profili teleologici dell'indagine conoscitiva circa la natura dell'eros.\nEros, infatti, non ha natura divina né mortale ma consiste in un'entità demonica, generata dall'unione di Pòros (la Ricchezza) e Penìa (la Povertà). Questa genesi accidentale simboleggia l'indole contraddittoria di Eros, nella cui natura convivono le tensioni che nascono dal bisogno e dalla mancanza (Penìa). Esse si compongono con la situazione di felicità connessa all'aspirazione a conoscere la bellezza, una condizione, quest'ultima, destinata, però, a rimanere uno stato di felicità solo potenziale: infatti, il possesso della bellezza, precluso agli esseri umani, è prerogativa esclusiva della natura pienamente divina; ma aspirare alla conoscenza, senza poterla possedere, è nella natura stessa della ricerca filosofica e rivela il senso, nell'ottica del sapere di non sapere, per cui l'eros, il cui oggetto è la sapienza, è da considerarsi filosofo.\n\nTeoria dell'eros.\nLa teoria dell'eros di Diotima unifica e racchiude gli aspetti accidentali e accessori messi in luce dagli altri simposiasti e risolve la gerarchia delle diverse gradazioni ed espressioni che l'eros può assumere, riassumendola nell'idea iperuranica della bellezza in sé, eterna, sovrana, immutabile e intangibile al divenire. L'aspirazione alla bellezza è il fine stesso dell'esistenza e della felicità che deriva dalla ricerca del bene. Il logos socratico, e l'insegnamento di Diotima, giungono alle soglie della kalokagathia e del percorso che conduce alla bellezza. Ma a questo punto del dialogo non rimane spazio per altro. Entra in scena la vita esterna, e il compassato convito è destabilizzato dall'irrompere dionisiaco del komos di Alcibiade. La discussione sul difficile percorso che conduce alla bellezza è solo rimandata e si compirà nel Fedro.\n\nAmore platonico.\nMa è qui da ricordare la riflessione di chi, con fine annotazione, sottolinea come l'irruzione esterna dia lo spunto a Platone per l'esposizione della sua concezione di amore, servendosi delle parole e dell'agire scomposto dell'ebbro Alcibiade e grazie al ribaltamento del rapporto omoerotico implicato dalla sua dichiarazione d'amore per Socrate: qui, infatti, la tensione erotica che si esprime proviene dall'eromenos (il giovane e bello) e si rivolge all'erastès (l'anziano e brutto), realizzando l'antitesi della norma convenzionale della pederastia greca, che vuole la tensione indirizzata in senso opposto. Ma se è permesso un simile rovesciamento delle convenzioni, è solo perché, a questo punto del dialogo, ci si trova immersi nell'ottica della perfetta intellettualizzazione del rapporto erotico: l'invaghimento puramente intellettuale del giovane per il Bello in sé.\n\nLa storicità di Diotima.\nPoiché la nostra unica fonte è Platone, non possiamo essere certi se si trattasse di un personaggio storico o invece di una creazione letteraria. Occorre tuttavia notare che i personaggi nominati nei dialoghi platonici hanno quasi sempre trovato una corrispondenza nella vita reale della società ateniese del tempo.\nSi è spesso ritenuto, da parte degli studiosi del XIX e XX secolo, che la figura di Diotima adombrasse in realtà quella di Aspasia, dapprima concubina e poi moglie di Pericle, tanto egli era colpito dall'intelligenza e dall'arguzia della donna milesia. La questione non è ancora del tutto risolta ma qualche studioso ha argomentato, in maniera convincente, la storicità della figura di Diotima.\n\nIconografia.\nLa sua figura è forse riconoscibile in una scena da un rilievo frammentario conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Atene, databile alla seconda metà del V secolo a.C., nel quale è effigiata una sacerdotessa che procede verso sinistra, raffigurata di tre quarti, recando un oggetto nella mano sinistra (forse il fegato divinatorio). Il bassorilievo è completamente mutilo della testa della donna, di parte del braccio destro, e di quasi tutto l'albero che chiude sulla sinistra la scena (una palma).\nAlcuni studiosi hanno proposto la sua identificazione in una figura femminile (più probabilmente Aspasia di Mileto) raffigurata in compagnia di Socrate, su un rilievo bronzeo conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, qualora si interpreti come benda sacerdotale l'oggetto da lei recato in mano.\n\nCalchi nominali e pseudonimi.\nLa suggestione che emana dalla sua figura ha fatto sì che il suo nome, analogamente a quanto successo per quello di Aspasia, sia stato spesso usato come pseudonimo o attribuito a progetti artistici o filosofici, riviste, saggi, ecc.\n\nLa scrittrice polacca Jadwiga Łuszczewska (1834-1908) usò il nome d'arte Diotima (Deotyma).\nFriedrich Hölderlin usò il nome d'arte Diotima come pseudonimo dietro cui celare l'identità della scrittrice Susette Borkenstein Gontard (1769-1802), che lo aveva ispirato alla scrittura del romanzo Hyperion. In quest'opera epistolare, l'Io narrante è Hyperion, un eroe che si batte per la libertà di una Grecia oppressa dalla dominazione turca. Egli indirizza la sua corrispondenza agli amici Diotima e Bellarmin.\nLuigi Nono ne usò il nome come parte di un titolo in una delle sue più importanti composizioni, Fragmente-Stille, an Diotima, per quartetto d'archi, includendovi citazioni tratte dalle lettere di Hyperion a Diotima, dell'opera di Hölderlin.\nDiotima è il soprannome dato da Ulrich a Hermine, una delle protagoniste femminili de L'uomo senza qualità di Robert Musil.\nIn suo onore è stato chiamato con il suo nome l'asteroide 423 Diotima, scoperto il 7 dicembre del 1896." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dirce.\n### Descrizione: Dirce è una figura della mitologia greca, moglie di Lico. Non ha alcuna relazione con l'omonimo personaggio della tragedia Oedipe di Pierre Corneille.\n\nMito.\nUn giorno Lico accolse sua nipote Antiope, cacciata dal fratello Nitteo (un'altra versione afferma che Lico la sottrasse con la forza ad Epopeo, il re di Sicione, che aveva accolto Antiope, che era fuggita dal padre adirato per la sua gravidanza).\nDirce trattò Antiope come una schiava, maltrattandola. Presso la casa di Dirce, Antiope diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto (i cosiddetti Dioscuri tebani), ma quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero esposti alle belve sul monte Citerone. Un pastore però trovò i gemelli e li allevò come figli propri.\nPer i maltrattamenti della zia, Antiope fuggì e dopo varie peripezie giunse alla grotta dove abitavano i suoi figli, che la riconobbero solo successivamente. Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico e poi punirono atrocemente Dirce, attaccandola ad un toro furioso, che la trascinò via uccidendola.\nDioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in una fonte presso Tebe; in altre versioni, venne gettata in una fonte, che assunse il suo nome.\nFamosa rappresentazione di questo mito è la scultura ellenistica del Toro Farnese conservata nel Museo archeologico nazionale di Napoli. Lo scultore Lorenzo Bartolini, nel 1834, eseguì una languida raffigurazione di Dirce, ora conservata al Louvre." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ditirambi di Dioniso e Poesie Postume.\n### Descrizione: Ditirambi di Dioniso e Poesie postume è il titolo di una raccolta di componimenti poetici del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche pubblicata da Adelphi nel volume VI, tomo IV della collana 'Opere di Friedrich Nietzsche'.\nI Ditirambi di Dioniso sono l'ultima opera che Nietzsche scrisse e lasciò pronta per la stampa, alle soglie della pazzia.\nNei suoi quaderni e taccuini dopo la pubblicazione di Idilli di Messina e di La gaia scienza fino a Ditirambi di Dioniso, cioè dall’autunno del 1882 fino al gennaio del 1889, si trovano altri numerosi tentativi poetici, taluni elaborati fino in fondo, altri invece rimasti a uno stadio più o meno frammentario.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ditirambi di Dioniso e Poesie Postume." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ditirambo.\n### Descrizione: Il ditirambo (in greco antico: διθύραμβος?, dithýrambos) era, nell'antica Grecia, un canto corale in onore del dio Dioniso.\n\nStoria.\nIl termine διθύραμβος è di origine sconosciuta, probabilmente non greca classica ma pelasgica; compare per la prima volta in Archiloco, che lo indica come quel 'canto a Dioniso' che viene eseguito sotto l'ispirazione del vino.\nInizialmente era intonato da un gruppo di persone dirette da un corifeo, o exarchōn. Si trattava di una composizione poetica corale, dove poesia, musica e danza erano fuse insieme e tutte e tre indispensabili in ugual misura. La danza collettiva, drammatica e rapida, era eseguita in circolo da danzatori incoronati da ghirlande; l'exarchōn rappresentava lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnavano con lamentazioni e canti di giubilo.\nIl Ditirambo accompagnava anche i cortei (pompè) di cittadini mascherati che, in stato d'ebbrezza, inneggiavano a Dioniso, accompagnati dal suono di flauti e tamburi; un suono cupo, poco melodico, ma di profonda potenza, furente, che accompagnava alla perfezione il corteo barcollante di uomini mascherati. Alcune feste a Dioniso infatti presupponevano il totale mascheramento, con pelli di animali e grandi falli; le Menadi, seguaci dirette del Dio, portavano il Tirso, un bastone con in cima o un ricciolo di vite o una pesante pigna.\nSecondo Erodoto, fu trasformato in genere letterario a Corinto verso la fine del VII secolo a.C. da Arione di Metimna (c. 625 - c. 585 a.C.), che lo dispose secondo un preciso schema, facendolo intonare da un coro..\nTra VI e V secolo a.C. Simonide, Pindaro e Bacchilide divennero i principali poeti ditirambici; degli ultimi due rimangono numerosi frammenti.\nAltri poeti minori che hanno scritto in ditirambi sono Teleste di Selinunte, Antagora di Cutro e Timoteo di Mileto.\nLaso di Ermione introdusse il ditirambo ad Atene, dove organizzò un concorso tra le dieci tribù, ognuna delle quali partecipava con un coro di adulti ed uno di ragazzi, ciascuno di 50 membri; in seguito i concorsi ditirambici furono introdotti negli agoni in onore di Dioniso (509 a.C.), il cui primo vincitore sembra sia stato Ipodico di Calcide.Il ditirambo ha una rilevante importanza concettuale come una 'forma-lancio', se così la possiamo definire, che prepara a, o meglio genera, quelle che saranno la tragedia e la commedia. Aristotele, nella Poetica, afferma che esso diede origine alla tragedia; secondo la tradizione, il primo ad aver eseguito un ditirambo in senso 'scenico', ad Atene, sarebbe stato un poeta 'girovago', Tespi.\nL'indicazione più chiara del ditirambo come proto-tragedia deriva da un testo di Bacchilide, anche se composto dopo che la tragedia si era completamente sviluppata. Il ditirambo 18 di Bacchilide, infatti, è un dialogo tra un singolo cantore ed il coro e può dare una indicazione di come potesse apparire la tragedia prima dell'aggiunta di un secondo attore, operata da Eschilo.\nNella letteratura italiana il ditirambo è un componimento giocoso sul tema del vino e dell'allegrezza conviviale. Il più celebre componimento ditirambico italiano è il Bacco in Toscana di Francesco Redi.\nFriedrich Nietzsche utilizzò il ditirambo come strumento filosofico: gran parte delle sue poesie ed anche alcune sue opere posseggono la forma metrica ditirambica, proprio in onore al dio (o filosofo, come lui lo chiama) Dioniso. Esemplare in tal senso è l'opera maggiore di Nietzsche, Così parlò Zarathustra." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Divinità della mitologia greca.\n### Descrizione: Il seguente elenco riassume gli dèi e le dee della religione dell'antica Grecia e altre figure divine o semi-divine della mitologia greca.\n\nImmortali.\nI Greci hanno creato immagini di divinità per diversi scopi, uno di questi è quello di far vedere quanto ci tenevano alle loro divinità e per onorarle agli altri. Un tempio ne ospitava spesso una statua ed era spesso decorato con scene in bassorilievo o altorilievo. Le loro immagini erano presenti su sarcofagi, affreschi, mosaici, monete, alabastron, anfore o altre ceramiche, dove venivano rappresentate.\nLe tre divinità più importanti sono: Zeus (padre e re degli dèi, ultimo figlio del titano Crono, fratello di Poseidone e Ade e primo in ordine di importanza), Poseidone (fratello di Zeus e Ade e re dei mari, secondo per importanza) e Ade (fratello di Zeus e Poseidone, signore degli Inferi e terzo per importanza).\n\nDèi e dee maggiori.\nDèi primigeni o primordiali.\nNella cosmologia orfica.\nTitani.\nI titani sono rappresentati nell'arte greca meno spesso degli Olimpi. Identificati come nemici dei Dodici Dei.\n\nGiganti, ecatonchiri e altri.\nConcetti personificati.\nDivinità ctonie.\nDivinità dell'acqua.\nAcheloo (Ἀχελῷος), dio dell'omonimo fiume greco.\nArchilo, divinità marina a forma di squalo.\nAnfitrite (Ἀμφιτρίτη), dea del mare e moglie di Poseidone.\nArpie (Ἁρπυῖαι), spiriti alati che comandano i colpi di vento e le folate improvvise:.\nAello (Ἀελλώ) o Aellopoda o Aellope (Ἀελλώπη) o Aellopo (Ἀελλόπους);.\nArpiria, che tormentò Fineo;.\nCeleno (Κελαινώ), incontrata da Enea;.\nNicotoe (Νικοθόη);.\nOcipete (Ὠκυπέτη) o Ocipode (Ὠκυπόδη) o Ocitoe (Ὠκυθόη);.\nPodarge (Ποδάργη) o Podarche (Ποδάρκη).\nBentesicima (Βενθεσικύμη), figlia di Poseidone, residente in Etiopia.\nBrizo (Βριζώ), dea dei sogni dei marinai, dava suggerimenti sulla navigazione e sulla pesca.\nCeto (Κητώ), dea dei pericoli marini.\nCariddi (Χάρυβδις), mostro marino dei vortici e delle correnti.\nCimopolea (Κυμοπόλεια), dea minore delle tempeste marine violente, figlia di Poseidone, sposò il gigante Briareo.\nDelfino (Δέλφιν), dio dei delfini dell'aspetto omonimo, Poseidone lo mise in cielo a fare la costellazione omonima, per premiarlo di aver convinto Anfitrite a cedergli.\nEgeone (Αἰγαίων), dio dei mari violenti alleato dei titani.\nForco (Φόρκυς), dio delle forze nascoste e dei pericoli del mare.\nGalene (Γαλήνη), dea del mare calmo.\nGlauco (Γλαῦκος), pescatore divenuto divinità per sortilegio.\nGorgoni (Γοργόνες), creature marine, figlie dei summenzionati Forco e Ceto.\nEuriale (Εὐρυάλη), perversa sessualmente;.\nMedusa (Μέδουσα), perversa intellettualmente, l'unica delle tre non immortale;.\nSteno (Σθεννώ), perversa moralmente.\nGraie (Γραῖαι), spiriti marini che personificano la schiuma del mare, in tre condividevano un occhio e un dente:.\nDeino (Δεινώ);.\nEnio (Ἐνυώ);.\nPenfredo (Πεμφρεδώ).\nIdro (Ὕδρος), dio primordiale delle acque.\nIdotea (Εἰδοθέα), profetica ninfa marina, figlia di Proteo.\nIppocampo (ἱππόκαμπος), cavalli del mare, metà pesci, nel corteo di Posidone.\nIttiocentauri (Ἰχθυοκένταυροι), due fratelli centauri marini:.\nBito (Βύθος), profondità del mare;.\nAfro (Ἄφρος), schiuma del mare.\nCarcino (Καρκίνος), un granchio gigante che si alleò con l'Idra contro Eracle. Quando morì, Era lo mise in cielo a fare la costellazione del Cancro.\nLadone (Λάδων), serpente di mare dalle cento teste che faceva la guardia ai confini occidentali del mare e all'isola delle mele d'oro delle Esperidi. Quando morì divenne la costellazione di Dragone.\nLeucotea (Λευκοθέα), dea del mare che aiutava i marinai in difficoltà.\nNaiadi (Ναϊάδες), ninfe delle acque correnti:.\nCreniadi (Κρηναῖαι), naiadi delle fontane:.\nAganippe (Ἀγανίππη), naiade vicino a Tespie, in Beozia, alla base del monte Elicona;.\nAppia, più propriamente della mitologia romana, naiadi associate secondo Ovidio a una fontana nel Foro di Cesare;.\nMirtoessa (Μυρτώεσσα), una delle nutrici di Zeus in Arcadia;.\nSitnidi (Νύμφαι Σίθνιδες), gruppo di naiadi associate a un acquedotto in Megara.\nEleadi (Ἒλειάδες), naiadi delle paludi.\nLimniadi, naiadi dei laghi:.\nAstacidi (Ἀστακίδες), ninfe del lago di Astaco, in Bitinia;.\nBolbe (Βόλβη), ninfa di un lago della Tessaglia, elencata anche tra le oceanine;.\nLiriope (Λειριόπη), madre di Narciso;.\nPallade (Παλλάς), compagna di giochi di Atena;.\nTritonide (Τριτονίς), ninfa di un lago salato della Libia.\nPegee (Πηγαῖαι), ninfe delle sorgenti e delle cascate:.\nAlbunea, ninfa della mitologia romana, vicina al luogo della profetessa dell'oracolo che annunciò la nascita di Cristo;.\nAlessiroe (Ἀλεξιρόη), ninfa figlia del fiume Granico (Γράνικος) sul Monte Ida, sacro a Cibele, nella Troade. Di lei si innamorò Priamo.\nAnigridi (Νύμφαι Ἀνίγριδες), figlie del fiume Anigro sul Monte Menta, dove si curavano le malattie della pelle;.\nArchidemia o Aretusa (Ἀρέθουσα), dove nasce la fonte omonima;.\nArpina (Ἅρπινα), collegata a Pisa;.\nCastalia (Κασταλία) o Cassotide (Κασσωτίς);.\nCometo (Κομαιθώ), figlia del fiume Cidno;.\nCoricie o Tia (Θυία), tre ninfe sorelle sul Parnaso:.\nCleodora (Κλεoδώρα), nota per i suoi doni;.\nDafni (Δάφνις), del lauro;.\nMelaina (Μελαίνη), la nera.\nCiane (Κυανῆ);.\nCirtoniane (Νύμφαι Κυρτωνίαι), ninfe locali della città di Cirtone (Κυρτώνη), in Beozia;.\nDeliadi (Νύμφαι Δηλίαδες), figlie di Inopo (Ἴνωπός), dio del fiume omonimo sull'isola di Delo;.\nDirce (Δίρκη), nata donna e trasformata in naiade dopo la morte;.\nGargafia (Γαργαφία) o Platea (Πλαταῖα), una delle figlie del fiume Asopo;.\nAgno (Ἅγνω), nutrice di Zeus bambino;.\nImerie, naiadi ricordate da Pindaro;.\nInachidi (Νύμφαι Ἰνάχιδες), figlie del fiume Inaco (Ἴναχος):.\nIo (Ἰώ), naiade poi trasformata in giovenca da Zeus per la gelosia di Era;.\nAmimone (Ἀμυμώνη);.\nFilodice;.\nMessi;.\nIperia (Ὑπέρεια).\nIonidi (Νύμφαι Ἰώνιδες), naiadi:.\nCallifea (Καλλιφίεια);.\nIasi (Ἴασις);.\nPegaea (Πηγαῖα);.\nSinallassi (Συνάλλασις), della riconciliazione.\nIsmene (Ἰσμήνη);.\nItachesi (Νύμφαι Ἰθακίαι), naiadi nelle caverne sacre di Itaca;.\nLangia (Λαγγία), ricordata dalla Tebaide di Stazio;.\nLibetridi (Νύμφαι Λιβήθριδες), naiadi, tra cui:.\nLibetria (Λιβηθρίας);.\nPetra (Πέτρα);.\nLimnee (Λιμναία), naiade del fiume indiano Gange, e madre di Ati;.\nMagea, naiade siciliana;.\nMilichie, naiade siciliana;.\nMetope (Μετώπη), figlia di Ladone e moglie di Asopo;.\nMisiane (Νύμφαι Μυσίαι), naiadi del lago Ascanio in Bitinia. Furono responsabili del rapimento di Ila:.\nEuneica o Eunica;.\nMali;.\nNicheia;.\nOrtigia (Ὀρτυγία), naiade o naiadi delle sorgenti dell'Isola di Ortigia, vicino a Siracusa;.\nNana (Νάνα), naiade del fiume turco Sakarya;.\nPegasi (Πήγασις), figlia del fiume Grenico;.\nPirene (Πειρήνη);.\nFarmacia (Φαρμάκεια), ninfa di una sorgente velenosa in Attica e compagna di giochi di Orizia;.\nPsani, naiade di una sorgente in Arcadia;.\nRindacidi (Νύμφαι Ῥυνδάκιδες), figlie del fiume Rindaco, in Anatolia;.\nSalmace (Σαλμακίς), ninfa innamorata di Ermafrodito;.\nSpercheidi (Νύμφαι Σπερχεῖδες), figlie del fiume Spercheo (Σπερχειός), in Tessaglia;.\nStrofia (Στροφ��α), sorgente del Monte Citerone, vicino a Tebe, raramente personificata in una ninfa (per esempio in Callimaco);.\nTelpusa (Θέλπουσα) o Telfusa (Τέλφουσα), figlia del fiume Ladone;.\nTemeniti, naiade siciliana ricordata da Plinio.\nPotamidi (Ποταμηίδες), ninfe dei fumi.\nNereidi (Νηρηίδες), ninfe di mare, figlie di Nereo e Doride, erano 50 ma i loro nomi ricordati sono di più e comprendono:.\nActea (Ἀκταία) o Attea (Ἀκταίη), abitatrice della riva;.\nAgave (Ἀγαυή), l'illustre, da non confondere con Agave che uccise il proprio figlio Penteo;.\nAlie (Ἁλίη) dagli occhi grandi;.\nAlimede (Ἀλιμήδη), ninfa gentile del Mar Mediterraneo;.\nAmateia (Ἀμάθεια), dai bei riccioli, ricordata da Omero;.\nAmphinome (Ἀμφινόμη) o Anfitoe (Ἀμφιθόη), che si muove dolcemente;.\nAnfitrite (Ἀμφιτρίτη), dai capelli neri;.\nApseude (Ἀψευδής);.\nAretusa (Ἀρετοῦσα), poi trasformata in fontana;.\nAutonoe (Αὐτονόη), l'autonoma nel pensiero;.\nCallianassa (Καλλιάνασσα), la regina amata;.\nCallianira (Καλλιάνειρα);.\nCalipso (Καλυψώ), la concepita;.\nCeto (Κητώ);.\nCidippe (Κυδίππη);.\nCimatolege (Κυματολήγη), colei che calma l'onda;.\nCimo (Κυμώ), l'onda;.\nCimodoce o Cimodocea (Κυμοδόκη), che raccoglie l'onda;.\nCimotoe (Κυμοθόη), delle onde in corsa;.\nClio (Κλειώ);.\nClimene (Κλυμένη), della fama;.\nCranto o Crato (Κρατόη);.\nCreneide;.\nDeiopeia;.\nDero (Δηρώ);.\nDessamene (Δεξαμένη), la cui mano destra è forte;.\nDinamene (Δυναμένη);.\nDione (Διώνη);.\nDoride (Δωρίς);.\nDoto (Δωτώ);.\nDrimo (Δρυμός);.\nDinamene (Δυναμένη);.\nEfire o Efira (Ἔφυρα), della città omonima in Tesprozia;.\nEione (Ἠιόνη), delle spiagge sottili;.\nErato (Ἐρατώ), l'amorevole;.\nEuagore (Εὐαγόρη), che assembla i banchi di pesci;.\nEuarne o Evarne (Εὐάρνη), la ben partorita;.\nEucrante (Εὐκράντη), a protezione dei viaggi dei pesci;.\nEudore (Εὐδώρη), dai bei doni;.\nEulimene (Εὐλιμήνη), dei buon ritorni al rifugio o al porto;.\nEumolpe (Εὔμολπος), dal bel canto;.\nEunice (Εὐνίκη), la vittoriosa;.\nEupompe (Εὐπόμπη), della bella processione;.\nEuridice (Εὐρυδίκη);.\nEvagore o Euagora (Εὐαγόρη);.\nFerusa (Φέρουσα), la trasportatrice;.\nFillodoce, ricordata da Igino;.\nGalene (Γαλήνη), dei mari calmi;.\nGalatea (Γαλάτεια), la gloriosa, dalla spuma bianca;.\nGlauce (Γλαυκή), delle acque blu-grigie;.\nGlauconome (Γλαυκονόμη);.\nIaera (Ἴαιρα);.\nIanassa (Ἰάνασσα);.\nIanira (Ἰάνειρα);.\nIfianassa (Ἰάνασσα);.\nIone;.\nIpponoe (Ἱππονόη) o Ippotoe (Ἱπποθόη);.\nLaomedea (Λαομέδεια), a capo degli affollamenti;.\nLeagore o Leiagore (Ληαγόρη), che unisce i pesci in banchi;.\nLeucotoe (Λευκοθέα);.\nLicoreia (Λυκωριάς);.\nLigea o Ligeia;.\nLimnoreia o Limnoria (Λιμνώρεια), delle paludi salmastri;.\nLisianassa (Λυσιάνασσα), delle consegne regali;.\nMarea o Mera o Maira (Μαῖρα);.\nMelite (Nereidi) (Μελίτη), dei mari calmi;.\nMenippe (Μενίππη), dei cavalloni d'onde;.\nNausitoe (Ναυσιθόη), delle navi veloci;.\nNeera (Νέαιρα) o Neaira o Nerea (Νηρεας);.\nNemerte (Νημερτής), la più saggia delle sorelle, dai consigli giusti ma non ascoltati;.\nNeomeride;.\nNesea (Νησαίη) o Neso (Νησώ), delle isole;.\nOpi (Οὖπις);.\nOrizia (Ὠρείθυια), del mare mosso, da non confondere con Orizia;.\nPanopea (Πανόπεια) o Panope (Πανόπη) o Pinope o Panopeia, del bel panorama di mare;.\nPasitea (Πασιθέη), divina in tutto;.\nPlessaure, delle brezze cangianti;.\nPloto (Πλωτώ), la navigante;.\nPolinoe o Polinome (Πουλυνόη), dai molti pascoli e dalla mente ricca;.\nPontomedusa (Ποντομέδουσα), nereide regina;.\nPontoporea (Ποντοπόρεια), che attraversa il mare;.\nPronoe (Προνόη), previdente;.\nProto (Πρωτώ), dei primi viaggi;.\nProtomedea (Πρωτομέδεια), prima regina;.\nPsamate (Πσαμάθη o Ψαμάθη), dea delle spiagge bianche;.\nSao (Σαώ), dei passaggi salvi;.\nSpeo o Speio o Spio (Σπειώ), delle grotte marine;.\nTemisto (Θεμιστώ), delle leggi abitudinarie in mare;.\nTalia (Θαλίη) o Talia (θάλεια), del mare in florescenza;.\nTeti (Θέτις), a capo delle nereidi, presidiava sulla riproduzione marina, madre di Achille;.\nToe (Θόη), dei movimenti d'onda.\nNereo (Νηρέας), il vecchio del mare, dio dell'abbondanza di pesca.\nNerito (Νερίτης), spirito del mare, trasformato in conchiglia da Afrodite.\nOceanine (Ὠκεανίδες), figlie del titano Oceano e di Teti, sorelle dei tremila fiumi-dèi detti Potamoi (Ποταμοί). Esiodo dice che sono tremila ma ne nomina 41, mentre Igino ne nomina altre 17 (e 17 fiumi). Alcune portano lo stesso nome di naiadi, nereidi, muse o ninfe boschive:.\nAcaste (Ἀκάστη), che raccoglie fiori selvatici;.\nAdmete (Ἀδμήτη);.\nAmaltea (Ἀμάλθεια);.\nAnfiro, (Ἀμφίρω) circondante;.\nAnchiroe (Ἀγχιρόη);.\nArgia (Ἀργία);.\nArtemidee (Νύμφαι Ἀρτεμίσιαι), gruppo di sei più giovani, assistenti di Artemide:.\nCrocale (Κροκάλη), sua parrucchiera;.\nIale (Ὑάλη), come il cristallo, lamentosa;.\nNefele (Νεφέλη), delle nuvole, verginea;.\nFiala (Φιάλη), sua profumiera;.\nPseca (Ψέκας), come la pioggia;.\nRanide (Ῥανίς), come una goccia.\nAsia (Ἀσία), sorella di Europa;.\nAsterodia (Ἀστεροδεία);.\nAsteope, che fondò Agrigento;.\nBeroe (Βερόη) o Beirut (Βηρυτός), della città omonima, in Fenicia;.\nBolbe (Βόλβη), bellissima;.\nCalipso (Καλυψώ), colei che nasconde;.\nCalliroe (Καλλιρόη), madre di Gerione;.\nCamarina (Καμάρινα), nell'omonima colonia greca in Sicilia;.\nCafira (Κάφειρα), sull'isola di Rodi;.\nCercei (Κέρκηις), dalla bella figura;.\nCeto (Κητώ);.\nCleodora (Κλεόδωρα);.\nClimene (Κλυμένη);.\nClio (Κλειώ), da non confondersi con l'omonima musa;.\nClizia (Κλυτία);.\nCriseide (Χρυσηΐς);.\nDaira o Daeira (Δάειρα), colei che sa, madre della città di Eleusi (Ἐλευσίς);.\nDione (Διώνη), l'amabile;.\nDodone (Δωδώνη), associata a un pozzo della città di Dodona;.\nDoride, che dà giovamento all'uomo, madre delle Nereidi e di Nerito;.\nIdia o Idua (Εἴδυια o Ἴδυια), la più giovane, madre di Medea e Apsirto;.\nElettra (Ἠλέκτρη), il cui nome indica lo zampillare dell'acqua, moglie di Taumante, con cui generò le Arpie e Iride;.\nEfira (Ἔφυρα);.\nEtra (Αἴθρα);.\nEvagori (Εὐαγόρεις);.\nEudora, che dà buoni doni all'uomo;.\nEurinome (Εὐρυνόμη);.\nEuropa (Εὐρώπα) o Europe (Εὐρώπη), sorella di Asia;.\nGalassaure (Γαλαξαύρη), la cui fonte è bianca come latte;.\nEsione (Ἡσιόνη), probabilmente la stessa chiamata Pronoia;.\nIppo (Ἵππω).\nIache (Ἰάχη), dalle esplosioni di gioia;.\nIanira (Ἰάνειρα), incantatrice;.\nIante (Ἰάνθη), il cui nome indica il colore violetto delle nuvole cariche di pioggia;.\nItome (Ἰθώμη), nutrice di Zeus da piccolo, lo ha lavato con Neda in un pozzo;.\nLeuce (Λεύκη).\nLeucippe (Λευκίππη);.\nLisitea (Λυσιθέα);.\nMelia (Μέλια), sorella di Caanto;.\nMelibea (Μελίβοια);.\nMelite, fondante Malta;.\nMelobosi (Μηλόβοσις), dove si abbeveravano le greggi;.\nMenesto (Μενεσθώ), forte e veloce;.\nMerope (Μερόπη);.\nMeti (Μῆτις), prima sposa di Zeus;.\nMopsopia (Μόψοπια);.\nMirtoessa (Μυρτώεσσα), nutrice di Zeus;.\nNeda o Nede, nutrice di Zeus, lo lavava con Itome;.\nNemesi (Νέμεσις), ridistributrice di giustizia per delitti impuniti o irrisolti;.\nOcirroe (Ὠκυρρόη) o Ociroe;.\nEnoe (Οἰνόη), nutrice di Zeus;.\nOzomene (Ὀζομένη);.\nPasitoe (Πασιθόη);.\nPersuasione (Πειθώ);.\nPeribea (Περίβοια), circondata da bestiame;.\nPerseide (Περσηΐς), madre di Circe;.\nPetrea (Πετραίη), fonte amabile delle rocce;.\nFeno (Φαίνω);.\nFilira (Φιλύρα);.\nFrissa;.\nPleaxure, il cui zampillo fende l'aria;.\nPleione (Πληιόνη), madre delle Pleiadi e dea delle lumache;.\nPluto (Πλουτώ), in salute;.\nPolidora (Πολυδώρη), bella fonte che dà molti doni all'uomo, da non confondersi con Polidoro;.\nPolife (Πολύφη);.\nPolisso o Polisso (Πολυξώ);.\nPrimno (Πρυμνώ), ninfa delle acque profonde e dei pozzi;.\nPronoia, probabilmente la stessa chiamata Esione;.\nRodope (Ῥοδόπη), dal viso rosa;.\nRodia (Ῥόδεια), fonte delle rose;.\nStige (Στύξ), la più illustre e odiata di tutte;.\nStilbe (Στίλβη);.\nTelesto (Τελεστώ), dal peplo di croco (ovvero tinto di giallo zafferano);.\nTisoa (Θεισόα);.\nTiche (Τύχη);.\nToe (Θόη), la veloce;.\nUrania (Οὐρανίη), divina;.\nXante (Ξάνθη) o Xantho;.\nZeuso (Ζευξώ).Oceano (Ὠκεανός), Dio titano del fiume che circonda il mondo, fonte di tutte le acque.\nPalemone (Παλαίμων), conosciuto anche come Melicerte, giovane dio del mare, aiutava i marinai in difficoltà a tornare in porto, corrisponde al latino Portuno.\nPegasidi (Πηγάσιδες), ninfe dei pozzi naturali, collegate a Pegaso.\nPonto (Πόντος), dio primigenio del mare, padre dei pesci e di tutte le creature marine.\nProteo (Πρωτεύς), vecchio dio oracolare del mare, mutaforme e pastore delle foche di Poseidone.\nRodo, figlio di Poseidone, diede nome all'isola di Rodi.\nScilla (Σκύλλα), dea marina mostruosa dello stretto di Messina.\nSirene (Σειρῆνες), ninfe del mare che tentano i naviganti con i propri canti per farli naufragare:.\nAglaope (Αγλαόπη) o Aglaofono (Ἀγλαόφωνος) o Aglaofeme (Ἀγλαοφήμη), dalla voce incantatrice;.\nImerope (Ίμερόπη);.\nLeucosia (Λευκοσία);.\nLigea (Λιγεία);.\nMolpe (Μολπή);.\nPartenope (Παρθενόπη);.\nPeisinoe (Πεισινόη) o Peisithoe (Πεισιθόη);.\nRaidne (Ῥαίδνη);.\nTele (Τέλης);.\nTeltteria (Θελχτήρεια);.\nTelsiope (Θελξιόπη) o Telsiepea (Θελξιέπεια), piacevole all'occhio.\nTelchini (Τελχῖνες), spiriti del mare che abitavano l'isola di Rodi e furono quasi tutti uccisi dagli dèi perché dediti alla magia nera:.\nAtteo (Ἀκταῖος);.\nArgirone (Ἀργυρών);.\nAtabirio (Αταβύριος);.\nCalcone (Χαλκών);.\nCrisone (Χρυσών);.\nDamone (Δάμων) o Demonatte (Δημώναξ);.\nDamnameneo (Δαμναμενεύς);.\nDessitea (Δεξιθέα);.\nLico (Λύκος) o Litto (Λύκτος);.\nLisagora (Λυσαγόρας);.\nMachelo (Μακελώ);.\nMegalesio (Μεγαλήσιος);.\nMila (Μύλας);.\nNicone (Νίκων);.\nOrmeno (Ὅρμενος);.\nSimone (Σίμων);.\nSchelmi (Σκελμίς).\nTeti (Τηθύς), dea dei titani, origine dall'acqua fresca, madre dei fiumi, delle sorgenti, dei ruscelli, delle fontane e delle nuvole.\nTalassa (Θάλασσα), dea primigenia del mare e moglie di Ponto.\nTaumante (Θαῦμας), dio delle meraviglie del mare.\nToosa (Θόοσα), dea delle correnti e madre di Polifemo.\nTriteia (Τρίτεια), figlia di Tritone e madre con Ares di Melanippo.\nTritone (Τρίτων), figlio di Poseidone, a capo anche di:.\nTritoni (Τρίτωνες), spiriti dalla coda di pesce, nati da Tritone, che scortavano le barche (ricordati da Plinio).\n\nDivinità dell'aria e del cielo.\nAcheloide (Ἀχελωΐς), dea minore della luna, che «fa passare i dolori».\nAlectrona (Ἀλέκτρονα), dea solare del mattino e del risveglio, sorella degli Eliadi.\nAnemoi (Ἄνεμοι), dèi dei venti o loro personificazione:.\nBorea (Βορέας), dio del vento freddo del nord (per i romani il Septentrio);.\nEuro (Εὖρος), dio del vento dell'est (per i romani Subsolanus) o dall'est 'sfortunato' (sud-est);.\nNoto (Νότος), dio del vento del sud (per i romani Auster);.\nZefiro (Ζέφυρος), dio del vento dell'ovest (per i romani il Favonius);.\nAnemoi Thyellai (Ἄνεμοι θύελλαι), spiriti dei venti di tempesta creati da Tifone:.\nApeliote (Ἀφηλιώτης), dio dei venti dell'est (quando Euro è considerato da sud-est) (per i romani Apeliotus o Vulturnus);.\nCacia (Κακíας), da nord-est (per i roman Caecius);.\nLipi (Λίψ), dio del vento da sud-ovest (per i romani Afer ventus o vento dall'Africa);.\nScirone (Σκείρων), dio del vento da nord-ovest (per i romani Caurus o Corus).\nAltri dèi di venti minori:.\nApartia (Ἀπαρκτίας), venti del nord diversi da Borea;.\nArgeste (Ἀγέστης), venti dell'ovest o da nord-ovest (o altro nome per Skeiron);.\nCircio (Κίρκιος) o Trascia (Θρασκίας), vento da nord-nord-ovest;.\nEuronoto (Εὐρονότος), dio del vento da sud-est;.\nIapige (Ἰάπυξ), vento da nor-ovest (o altro nome di Skeiron);.\nLibonoto (Λιβόνοτος), vento da sud-sud-ovest (per i romani Austro-Africus);.\nMese (Μέσες), altro nome di venti da nord-ovest;.\nOlimpia (Ὀλυμπίας), probabilmente lo stesso di Skeiron o Argestes;.\nFenicia (Φοινίκας), altro nome dei venti di sud-est, specificamente provenienti dalla Fenicia.\nApollo (Ἀπόλλων), dio olimpico del sole, della luce, della conoscenza, della musica, della cura e delle arti.\nArche (Ἄρκη), messaggera dei titani e sorella gemella di Iride.\nArtemide (Ἄρτεμις), dea olimpica delle vergini, della luna, della natura, della caccia e degli animali selvatici.\nAstreo (Ἀστραῖος), dio titano delle stelle, dei pianeti e dell'arte dell'astrologia.\nAstra Planeti (Ἄστρα Πλανέτοι), dèi delle cinque stelle vaganti o pianeti:.\nStilbone (Στιλβών), dio di Mercurio (Ἀστὴρ Ἡρμάων);.\nEosforo (Ἠωσφόρος), dio di Venere, stella del mattino;.\nEspero (Ἕσπερος), dio di Venere, stella della sera;.\nPiroi (Πυρόεις), dio di Marte (Ἀστὴρ Ἄρειος);.\nFetone (Φαέθων), dio di Giove;.\nFenone (Φαίνων), dio di Saturno (Ἀστὴρ Κρονίων).\nAura (Αὖρα), dea titana dell'aria fresca del mattino.\nAure (Αὖραι), ninfe della brezza e dei venticelli.\nCaos (Χάος), l'entità primigenia che contiene tutto ma essa è nulla, a volte rappresenta l'atmosfera che circonda la terra.\nChione (Χιόνη), dea della neve, figlia di Borea.\nEliadi (Ἡλιάδαι), figli di Elio e Rodo:.\nAtti (Ἀκτίς);.\nAuge (Αὔγης);.\nCandalo (Κάνδαλος);.\nCercafo (Κέρκαφος);.\nMacari (Μάκαρ) o Macareo (Μακαρεύς);.\nOchimo (Ὄχιμος), il primogenito;.\nTenage (Τενάγης);.\nTrinace (Θρίναξ);.\nTriope (Τρίωψ).\nElio (Ἥλιος), dio titano del sole, guardiano dei giuramenti.\nEmera (Ἡμέρα), dea primigenia del giorno.\nEolo (Αἴολος), dio dei venti.\nEos (Ἠώς), dea titana dell'aurora.\nEosforo (Ἑωσφόρος), personificazione della stella del mattino.\nEra (Ἧρα), regina del paradiso, dell'aria e delle costellazioni.\nErsa (Ἒρση), dea della rugiada.\nEsperidi (Ἕσπερίδες), ninfe serali associate con la pioggia, figlie di Notte e rappresentate nella costellazione del Toro, variano da tre (più spesso) fino a sette:.\nEgle (Αἴγλη), la radiante;.\nEritea (Ἐρύθεια) o Eriti (Ἐρύθεις), la rossa;.\nEsperetusa (Ἑσπερέθουσα), dagli occhi di bue, a volte separate in:.\nEsperia o Espera (Ἑσπέρα);.\nAretusa (Ἀρέθουσα).\nAltri nomi della tradizione per le esperidi:.\nAerica;.\nEope;.\nAnteia (Ἀντεῖα);.\nAsterope (Ἀστερόπη);.\nCalipso (Καλυψώ);.\nCrisotemi (Χρυσόθεμις);.\nDonaci;.\nEstia (Ἑστία);.\nIppolita (Ἱππολύτη);.\nIgia (Ὑγίεια);.\nLipara (Λίπαρα);.\nMapsaura;.\nMermesa;.\nNelisa;.\nTara (Τάρα);.\nTeti (Θέτις).\nEtere (Αἰθήρ), divinità primigenia del cielo.\nIride (Ἴρις), dea dell'arcobaleno e dei messaggi divini.\nNuvole (Νεφέλαι), ninfe delle nuvole.\nNotte (Νύξ), dea della notte.\nPandia (Πανδία), figlia di Selene e Zeus.\nFosforo (Φωσφόρος), personificazione della luce e del mattino.\nPleiadi (Πλειάδες), dee delle omonime costellazioni:.\nAlcione (Ἀλκυόνη);.\nCeleno (Κελαινώ);.\nElettra (Ἠλέκτρα);.\nMaia (Μαῖα);.\nMerope (Μερόπη);.\nSterope (Στερόπη);.\nTaigete (Ταϋγέτη).\nSelene (Σελήνη), dea titana della luna.\nUrano (Οὐρανός), dio primigenio dei cieli.\nZeus (Ζεύς), dio dei cieli e del cielo, delle nuvole, dei tuoni e dei lampi.\n\nDivinità dei boschi.\nDivinità agricole.\nDivinità della salute.\nAltre divinità.\nMortali.\nSemidèi.\nEroi.\nEroine.\nVeggenti e indovini.\nAnfiloco (Ἀμφίλοχος).\nAnio (Ἄνιος), figlio di Apollo che profetizzò che la guerra di Troia sarebbe stata vinta nel suo decimo anno.\nBranco (Βράγχος), altro figlio (od amante) di Apollo.\nCalcante (Κάλχας), veggente argivo che aiutò i greci durante la guerra di Troia.\nCarno, veggente dell'Acarnania e amante di Apollo.\nCaria, veggente e amante di Dioniso.\nCassandra (Κασσάνδρα), principessa troiana che fu maledetta: conosceva il futuro ma non era creduta.\nCeleno ;regina delle arpie, sulle strofadi, aveva il potere di prevedere il futuro.\nEnnomo (Ἔννομος), veggente misiano ucciso da Achille durante la guerra di Troia.\nEleno (Ἕλενος), fratello gemello di Cassandra, indovino e poi re dell'Epiro.\nAliterse (Ἁλιθέρσης), veggente di Itaca che predisse alle cucitrici di Penelope il ritorno di Odisseo.\nIamo (Ἴαμος), figlio di Apollo con il dono della profezia, fondò la dinastia degli Iamidai.\nIdmone, veggente che navigò a seguito degli Argonauti.\nManto (Μαντώ), figlia di Tiresia.\nMelampo (Μελάμπους), leggendario guaritore, indovino e re di Argo.\nMopso (Μόψος) – indovino, figlio di Ampice e Cloride, che partecipò alla spedizione degli Argonauti.\nMopso (Μόψος) – indovino, figlio di Apollo (o Racio) e Manto.\nPolido (Πολύιδος), veggente di Corinto che riportò in vita Glauco.\nTelemo (Τήλεμος), indovino che predisse che Polifemo sarebbe stato accecato da Odisseo.\nTeoclimeno (Θεοκλύμενος), indovino che vive alla corte di Penelope.\nTiresia (Τειρεσίας), celebre indovino cieco di Tebe.\n\nAmazzoni (figlie di Ares).\nEgea, regina delle amazzoni (Ἀμαζόνες), donne guerriere mitiche;.\nAella (Ἄελλα), uccisa da Eracle;.\nAlcibia (Ἀλκιβίη), uccisa da Diomede;.\nAlcippe (Ἀλκίππη), uccisa da Eracle;.\nAntandra (Ἀντάνδρη), uccisa da Achille;.\nAntibrote (Ἀντιβρότη), uccisa da Achille;.\nAntioche (Ἀντιόχη), ricordata da Igino;.\nAntiope (Ἀντιόπη), figlia di Ares, regina delle Amazzoni;.\nAntrobota;.\nAreto (Ἀρετώ);.\nArmotoe, dagli occhi neri;.\nAsteria (Ἀστερία), uccisa da Eracle;.\nBremusa (Βρέμουσα), uccisa da Idomeneo;.\nCeleno (Κελαινώ), uccisa da Eracle;.\nCleta (Κλήτα), la famosa, nutrice di Pentesilea;.\nClonia (Κλονίη), la tumultuosa;.\nDeianira (Δηιάνειρα), colei che combatte gli uomini, uccisa da Eracle;.\nDerimacheia, uccisa da Diomede;.\nDerinoe (Δερινόη), ricordata da Quinto Smirneo;.\nDiossippe, ricordata da Igino;.\nEuripila (Εὐρυπύλη), capo delle amazzoni che assalirono Babilonia;.\nIppotoe (Ἱπποθόη), uccisa da Achille;.\nIfito (Ἰφιτώ);.\nIppolita (Ἱππολύτη), regina della amazzoni, figlia di Ares;.\nLampedo (Λαμπεδώ), dalla torcia, regnò con sua sorella Marpesia;.\nLisippa (Λυσίππη);.\nMarpesia (Μαρπεσία), regnò con la sorella Lampedo;.\nMelanippe (Μελανίππη), altra sorella di Antiope e Ippolita;.\nMolpadia (Μολπαδία), uccise probabilmente Antiope;.\nMirina (Μύρινα), regina della amazzoni;.\nOrizia (Ὠρείθυια); regina della amazzoni;.\nOtrera (Ὀτρήρα), regina delle amazzoni, madre di Ippolita;.\nPantariste (Πανταρίστη), amazzone che aiutò Ippolita contro Eracle;.\nPentesilea (Πενθεσίλεια), regina della amazzoni che combatté alla guerra di Troia contro i greci;.\nPolemusa (Πολεμοῦσα), uccisa da Achille;.\nTalestri (Θάληστρις), ricordata nel Romanzo di Alessandro.\n\nVoci correlate.\nMitologia greca.\nLista di divinità.\nReligione dell'antica Grecia.\nLe opere e i giorni e Teogonia (Esiodo).\nIliade e Odissea.\nBiblioteca (Pseudo-Apollodoro).\nPeriegesi della Grecia (Pausania).\nGuerra di Troia.\nMitologia romana." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dodici fatiche di Eracle.\n### Descrizione: Le dodici fatiche (in greco dodekathlos) di Eracle, poi Ercole nella mitologia romana, sono una serie di episodi della mitologia greca, riuniti a posteriori in un unico racconto, che riguardano le imprese compiute dall'eroe Eracle per espiare il fatto di essersi reso colpevole della morte della sua famiglia. Secondo un'ipotesi, il ciclo delle dodici fatiche sarebbe stato per la prima volta fissato in un poema andato perduto, l'Eracleia, scritto attorno al 600 a.C. da Pisandro di Rodi. Attualmente le fatiche di Eracle non sono presenti tutte insieme in un singolo testo, ma si devono raccogliere da fonti diverse.\nNelle metope del Tempio di Zeus ad Olimpia, che risalgono al 450 a.C. circa, si trova una famosa rappresentazione scultorea delle Fatiche: potrebbe essere stato proprio il numero di queste metope, 12 appunto, ad aver fin dai tempi antichi indotto a fissare a questa cifra il tradizionale numero delle imprese.\n\nPremessa.\nZeus, dopo aver reso Alcmena incinta di Eracle, proclama che il primo bambino da allora in poi nato dalla stirpe di Perseo sarebbe diventato re di Tirinto e di Micene. La moglie di Zeus, Era, però, sentito questo, fa in modo di anticipare di due mesi la nascita di Euristeo, appartenente appunto alla stirpe di Perseo, mentre quella di Eracle viene ritardata di tre. Venuto a sapere quanto successo, Zeus va su tutte le furie, tuttavia il suo avventato proclama rimane valido.\nAnni dopo, mentre si trova in preda ad un attacco di follia provocatogli da Era, Eracle uccide sua moglie e i suoi figli. Ritornato padrone di sé e rendendosi conto di ciò che ha fatto, decide di ritirarsi a vivere in solitudine in un territorio disabitato. Rintracciato dal cugino Teseo, viene convinto a recarsi dall'Oracolo di Delfi dove la Pizia gli dice che, per espiare la sua colpa, deve recarsi a Tirinto al fine di servire Euristeo per dodici anni compiendo una serie di imprese, le quali sarebbero state stabilite proprio da costui. Euristeo però, problematicamente, è l'uomo che aveva rubato ad Eracle i diritti di sovranità e che, di conseguenza, egli odia più di ogni altro. Come compenso per il completamento delle fatiche, ad Eracle sarebbe stata poi concessa l'immortalità.\n\nLe fatiche.\nDurante le sue fatiche, Ercole viene spesso accompagnato da un giovane compagno (un Eromenos) che secondo alcuni si chiama Licinio, secondo altri invece è il nipote Iolao. Sebbene dovesse originariamente compiere soltanto dieci imprese, è costretto a causa di questo compagno a cimentarsi anche in altre due, infatti Euristeo non giudica valida l'uccisione dell'Idra perché il compagno l'ha aiutato, né l'episodio delle stalle di Augia perché questi ha percepito un compenso. L'ordine tradizionale delle fatiche è riportato dallo Pseudo-Apollodoro (2, 5, 1-12):.\n\nUccidere l'invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;.\nUccidere l'immortale idra di Lerna;.\nCatturare la cerva di Cerinea;.\nCatturare il cinghiale di Erimanto;.\nRipulire in un giorno le stalle di Augia;.\nDisperdere gli uccelli del lago Stinfalo;.\nCatturare il toro di Creta;.\nRubare le cavalle di Diomede;.\nImpossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;.\nRubare i buoi di Gerione;.\nRubare i pomi d'oro del giardino delle Esperidi;.\nPortare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.\n\nIl significato delle fatiche.\nAlle sovrumane imprese di Ercole, spesso compiute con un atteggiamento di sfida alla morte, si può attribuire anche un significato filosofico, morale e allegorico che supera quello immediato di semplice narrazione di gesta eroiche: la figura di Eracle rappresenta una tradizione di mistica interiore e le Fatiche possono essere tranquillamente interpretate come una sorta di cammino spirituale. Le ultime tre Fatiche di Ercole sono generalmente interpretate come una metafora della morte. Ercole è l'unico eroe greco al quale non sia stato attribuito un luogo di sepoltura, e i sacrifici e le libagioni ctonie in suo onore venivano celebrati contemporaneamente in tutte le località. Alcuni studiosi di recente hanno sostenuto l'ipotesi per cui le dodici fatiche di Ercole (Eracle) siano state assimilate ai dodici segni dello zodiaco, anche se in alcuni casi è difficile vederne una analogia.\nRecenti studi scientifici, pubblicati nel 2017 dal CNR, hanno riconosciuto come il ciclo leggendario di Eracle preservi invece una descrizione dettagliata, benché trasfigurata dalla tradizione orale, dell’epopea di quei gruppi umani che gli archeologi moderni chiamano “Micenei”, dal loro primo manifestarsi nella piana di Argo ai contatti stabiliti con altre civiltà del Mediterraneo, durante tutta l'età del Bronzo.\n\nLa geografia delle fatiche.\nLa ricerca di una possibile localizzazione geografica dei luoghi in cui le Fatiche vengono portate a termine porta a concludere che la maggior parte di esse si svolga nel territorio dell'Arcadia o, comunque, siano in relazione con esso.\n\nLa cittadina di Nemea a nord-ovest di Argo.\nIl lago Lerna, ora scomparso, a sud dell'omonima cittadina.\nIl monte Erimanto, attualmente chiamato Olonos.\nLa cittadina di Cerinea, nel nord-ovest del Peloponneso.\nIl lago Stinfalo, immediatamente a ovest di Cerinea, che anticamente era una palude.\nIl fiume Alfeo, che scende dai monti ad occidente.\nLa città di Sparta, dove si colloca l'entrata al mondo dei morti.\nL'isola di Creta, abitata da abili navigatori e commercianti.\nLa nazione della Tracia, descritta come nemica di Argo durante la Guerra di Troia, e qui collegata al mito di Diomede.\n\nLetteratura.\nAgatha Christie: Le fatiche di Hercule, 1947." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dodona.\n### Descrizione: Dodona (in greco Δωδώνη?) era un'antica città situata nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, dove si trovava un oracolo dedicato a due divinità Greche, Zeus, il dio del fulmine re dell'Olimpo, e la Dea Madre, identificata con Dione (mentre in altri luoghi era associata a Rea o Gaia). Secondo quanto riportato dallo storico del V secolo Erodoto, Dodona fu il più antico oracolo di tutta la Grecia; sicuramente sorto in epoca pre-ellenica, è forse risalente al II millennio a.C.\nLo studioso di Oxford e membro della British Academy Martin Litchfield West ha sostenuto nel 2007 che il sito religioso di Dodona nell'Iliade di Omero era un'istituzione illirica e che la dea Demetra ha un'etimologia correlata all'illirico 'Da-' (Alb. 'dhe' [ terra]).\n\nCulti e storia del santuario.\nA Dodona, Zeus fu associato ad un altro dio pre-ellenico sconosciuto, e veniva adorato col nome di Zeùs Molossòs o di Zeùs Nàios. Originariamente dedicato alla sola Dea Madre, il sito fu poi condiviso sia da Zeus sia da Dione, la forma femminile di Zeus a volte associata come sua sposa e il nome della quale, così come Zeus, significa semplicemente 'divinità'. Tuttavia, durante l'epoca classica, Dione venne destinata a ricoprire un ruolo di minor rilevanza, poiché la consorte del re degli dèi era considerata la gelosissima Era.\nAll'epoca in cui Omero compose l'Iliade (800-750 a.C. ca.), non era presente nessun edificio nel sito, e i Selloi, i sacerdoti del culto, dormivano sul terreno senza alcun riparo. Precedentemente al IV secolo a.C. c'era invece un piccolo tempio in pietra dedicato a Zeus. Da quando Euripide nominò Dodona nella sua opera Melanippo, ed Erodoto scrisse dell'oracolo, si installò anche un corpo di sacerdotesse.\nIl culto, incentrato attorno alla quercia sacra a Zeus, prevedeva l'interpretazione da parte dei Selloi del fruscío delle foglie dell'albero sacro a Zeus, in una prima fase, mentre con l'avvento del collegio femminile di sacerdotesse, l'oracolo veniva probabilmente divinato attraverso deliri mistici e transe ispirate dal dio, in modo simile a quanto avveniva nei santuari di Delfi o della Sibilla Eritrea d’Asia Minore. Gli uccelli, come le colombe selvatiche o l'aquila (uccello sacro a Zeus), avevano un ruolo centrale nell'oracolo, in qualità di intermediari fra il mondo dei vivi e la divinità.\nNonostante non riuscisse ad eclissare la fama e ricchezza dell'oracolo di Apollo a Delfi, Dodona acquistò allo stesso modo una certa importanza e celebrità fra i Greci. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, la narrazione dei viaggi di Giasone e degli Argonauti, la nave di questi ultimi aveva la capacità di profetizzare perché un'asse della sua carena era stata intagliata nel legno di una quercia proveniente da Dodona.\nNel III secolo a.C., Pirro, re dell'Epiro, fece ricostruire il santuario di Zeus in maniera grandiosa, aggiungendo molti altri edifici, con festeggiamenti che prevedevano giochi atletici, agoni musicali e tragedie da rappresentarsi nel nuovo teatro. Furono costruite delle mura che circondavano l'oracolo e gli alberi sacri, così come vennero edificati i templi di Eracle e Dione.\nNel 219 a.C., gli Etoli invasero la regione e bruciarono il tempio fino alle fondamenta. Nonostante Filippo V di Macedonia avesse fatto ricostruire tutti gli edifici più grandi e belli di quanto fossero mai stati, e avesse aggiunto al complesso uno stadio per i giochi annuali, l'oracolo di Dodona non si riprese mai completamente. Nel 167 a.C. il centro fu nuovamente distrutto e poi saccheggiato dalla tribù trace dei Maedi. Fu poi ancora riedificato, per l'ultima volta, nel 31 a.C. grazie all'imperatore Augusto. Quando il geografo e viaggiatore Pausania vi sostò nel 167 d.C., Dodona era ridotta ad una singola quercia. I pellegrini ad ogni modo continuarono a consultare l'oracolo fino al 391 d.C., quando i cristiani abbatterono l'albero. Anche se ciò che rimaneva della città era un insignificante agglomerato di casupole, il vecchio sito pagano dovette sembrare di una certa importanza alla comunità cristiana, visto che il vescovo di Dodona partecipò al Concilio di Efeso nel 431.\nScavi archeologici durati ben più di un secolo hanno riportato alla luce diversi manufatti, molti dei quali sono ora conservati al Museo Archeologico Nazionale di Atene, altri al museo archeologico sito vicino a Ioannina.\n\nErodoto e le origini di Dodona.\nQuando nel V secolo a.C. Erodoto giunse per i suoi studi a Tebe (in Egitto), alcuni sacerdoti della città gli raccontarono che due grandi sacerdotesse erano state rapite dai Fenici molto tempo addietro, e che una fu venduta come schiava in Libia, l'altra in Ellade; costoro furono le fondatrici dei due più importanti santuari dedicati al dio supremo: Dodona (nel quale era adorato Zeus) e Siwa in Libia (ove si venerava Amon, divinità egizia che i greci identificarono con il padre degli dei olimpici). Secondo tradizioni mitologiche, l'oracolo di Amon nell'oasi di Siwa in Libia e quello epirota di Dodona sarebbero stati ugualmente antichi, similmente trasmessi dalla cultura fenicia, e con una forte somiglianza nelle forme di divinazione a causa dell’origine egizia comune ai due culti.\n\nEcco come Erodoto racconta di ciò che gli fu riferito dalle sacerdotesse stesse, chiamate peleiades ('colombe'), a Dodona:.\n\nL'elemento della colomba potrebbe essere comparato all'etimologia popolare del nome arcaico con cui si indicavano le donne sacre, che non aveva perso di significato. L'elemento pel- di peleiadi potrebbe essere collegato con l'omografa radice (traducibile con 'nero', 'fangoso') nei nomi 'Peleo' o 'Pelope'.\nErodoto aggiunge:.\n\nThesprotia, sulla costa a ovest di Dodona, non sarebbe stata mai accessibile ai navigatori Fenici, che già i lettori di Erodoto ritenevano non essere penetrati così tanto all'interno da raggiungere Dodona.Molti secoli dopo, anche i cristiani rimasero affascinati dal mito delle colombe, che interpretarono come un veicolo dello spirito di Dio.\n\nGalleria d'immagini.\nDodona." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dolopione.\n### Descrizione: Dolopione è un personaggio della mitologia greca, citato nell'Iliade di Omero.\n\nMitologia.\nDolopione era un troiano, suddito di Priamo e suo coetaneo. Era padre del bellissimo Ipsenore, il gran sacerdote del fiume Scamandro: entrambi erano tenuti in grande considerazione dai loro concittadini. A causa dell'età avanzata Dolopione non poté combattere nella guerra di Troia. S'ignora la sua sorte dopo la caduta della città." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Dolos (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Dolos (in greco antico: Δόλος) era lo spirito di trucchi, inganni, astuzie e artifici. Era il figlio di Gea ed Etere o Erebo e Notte.Dolos è un apprendista del titano Prometeo e un compagno degli Pseudologi (Bugie). La sua controparte femminile è Apate, che è la dea della frode e dell'inganno. Il suo equivalente romano è Mendacio. Esistono anche alcune storie in cui Dolos inganna gli dei attraverso bugie." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Domus di Amore e Psiche.\n### Descrizione: La domus di Amore e Psiche è una domus tardoantica della città romana di Ostia, costruita in opera listata nel secondo quarto del IV secolo, su una precedente fila di taberne di II secolo.\nL'ingresso si apre su un diverticolo di via del tempio di Ercole, nel settore a nord di via della Foce, poco fuori dalla porta occidentale dell'antico castrum. Nella numerazione data dagli scavatori l'edificio è il n.5 dell'isolato XIV della regione I (I,XIV,5).\nPrende il nome da un piccolo gruppo statuario con Amore e Psiche, rinvenuto in uno dei cubicoli (stanze da letto) e sostituito da un calco in gesso danneggiato da azioni vandaliche.\nDue delle taberne sul lato ovest, con ingresso indipendente su via del tempio di Ercole, sono rimaste in attività, espandendosi anche nel portico che in origine le precedeva.\n\nDescrizione.\nL'accesso è da un vestibolo sul lato sud, con banchi in muratura rivestiti in marmo, addossati alle pareti. Il vestibolo si apre con una porta laterale su un ambiente centrale con banco addossato all'estremità sud e pavimentato con un mosaico geometrico policromo. Di fronte all'ingresso un corridoio accede ad una piccola latrina privata.\nA sinistra si aprono tre piccole stanze (probabilmente cubicoli, o stanze da letto). Le due laterali sono pavimentate con mosaico geometrico in bianco e nero e una aveva pareti affrescate. Il cubicolo centrale aveva pavimento in opus sectile e rivestimento in lastre di marmo della parte bassa delle pareti; al centro un sostegno marmoreo reggeva un piccolo gruppo scultoreo sempre in marmo con Amore e Psiche, che ha dato il nome alla casa.\nSul lato opposto dell'ambiente centrale, quattro arcate su colonne danno su un piccolo giardino interno, con ninfeo (fontana monumentale) sul lato di fondo. Il ninfeo presenta un podio con cinque nicchie semicircolari, con un piccolo scivolo scalettato in marmo per far scendere l'acqua; al di sopra la parete presenta altre cinque nicchie per statue, alternativamente rettangolari e semicircolari, in origine rivestite a mosaico, inquadrate da colonnine in marmo lunense.\nSul fondo sopraelevata con un gradino, si apre la sala di rappresentanza, che probabilmente doveva avere un'altezza di due piani, con pavimento in opus sectile di grande qualità e con parte inferiore delle pareti rivestita in marmo. Sulla parete di ingresso è una nicchia con fontana. Dalla sala si apre sul lato sinistro l'accesso alla scala interna per il piano superiore che probabilmente si estendeva solamente sulle quattro stanze più piccole." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Doro (mitologia greca).\n### Descrizione: Doro (in greco antico: Δῶρος?, Dṑros) è un personaggio della mitologia greca, eponimo e capostipite dei Dori.\n\nGenealogia.\nSecondo Apollodoro è il figlio primogenito di Elleno e della ninfa Orseide ed è fratello di Suto e Eolo ed i suoi figli furono Tettamo, Egimio e Iftime.\nEuripide presenta una genealogia leggermente diversa: Doro e Acheo sarebbero, secondo questo autore, i figli di Suto, figlio di Elleno, mentre Ione sarebbe il loro fratello adottivo, in realtà figlio di Apollo.\nInfine Apollodoro apparentemente distingue due personaggi di nome Doro: il primo è il figlio di Elleno e Orseide, il secondo è un etolico, figlio di Apollo e Ftia e padre di Santippe.\n\nMitologia.\nDoro si fermò nel Peloponneso, dove diede origine alla stirpe dei Dori.\nSecondo Diodoro Siculo, suo figlio, Tettamo, ha portato il reinsediamento di Eoli e Pelasgi a Creta.\n\nInterpretazione.\nIl mito apparentemente collega i vari popoli ellenici, che invasero la Grecia nel II millennio a.C., in un'unica stirpe, discendente da Deucalione, il patriarca che sopravvisse alla versione greca del diluvio universale. Mentre gli Eoli si identificarono con questo mito, e rivendicarono la discendenza da Eolo, i cui figli hanno largo spazio nella mitologia, i Dori preferirono invece identificare in Eracle il loro antenato, tanto che nel mito il personaggio di Doro ha in realtà poco spazio, e l'invasione dorica è rappresentata prevalentemente dai racconti sul ritorno degli Eraclidi, ovvero i discendenti di Eracle." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Drachio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Drachio è un guerriero acheo nella guerra di Troia citato nel libro XIII dell'Iliade.\n\nIl mito.\nDrachio è ricordato nel tredicesimo libro dell'Iliade tra gli Epei che seguono Mege per battersi nella guerra contro Troia, in Asia Minore. Nel secondo giorno di battaglia cantato nel poema epico Drachio accorre al seguito del capo epeo (in cui compare anche il guerriero Anfione) e saldamente respinge le orde troiane che affluiscono sulla spiaggia sospinte da Ettore per appiccare fuoco alle navi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Drago greco.\n### Descrizione: I draghi greci (in greco antico: δράκων?, drákōn, dal verbo δέρκομαι dérkomai, 'guardare attentamente', probabilmente per le credenze popolari sullo sguardo paralizzante del serpente) sono creature leggendarie serpentiformi ricorrenti nella mitologia greca, dove talvolta giocano un grande ruolo. Alcuni autori parlano di drakaina (δράκαινα) per designare le femmine di drago, ad esempio nella storia di Pitone contenuta negli inni omerici dedicati a Febo.\n\nDescrizioni.\nA differenza dell'iconologia dei draghi medievali, alla quale sono stati assimilati e paragonati, presentano principalmente fattezze serpentiformi, raramente con ali e zampe.\nGli antichi testi si riferiscono ai dragon come a dei grandi serpenti, alcuni dei quali con favolosi attributi: un respiro velenoso, molte teste, ecc. altre volte questi dragoni sono stati designati nei testi antichi semplicemente con il nome di óphis (ὄφις, 'serpente'). Così nella Teogonia di Esiodo, il drago Ladone è designato dalla parafrasi δεινὸν ὄφιν, 'il terribile serpente'.\nQueste creature mostruose sono spesso poste dagli Dèi a protezione di tesori e/o luoghi sacri, come descritto nelle fonti greche che utilizzano il termine drákōn per riferirsi sia a serpenti di grossa taglia sia a questi mitici draghi custodi. Questo doppio significato evidenzia così il ruolo di sorveglianti e custodi che gli vengono attribuiti.\n\nElenco dei draghi greci.\nLadone.\nLadone sorvegliava le mele d'oro attorcigliato attorno all'albero nel giardino delle Esperidi. Veniva anche descritto con un centinaio di teste. Fu ucciso da Eracle. Dopo pochi anni, gli Argonauti passarono nello stesso punto, durante il viaggio di ritorno sotterraneo dalla Colchide al lato opposto del mondo, e avvertirono il lamento dell'Aquila del Caucaso (Æthonem aquilam: Igino Fabulae), per gli spasmi dell'uccisione di Ladone che ancora non erano cessati (Argonautiche, libro IV). È associato con la costellazione Draco.\nLadone è affibbiato da diverse miti arcaici a varie ascendenze, quali quella di «Ceto, unitasi in amore con Forco» (Esiodo, Teogonia, 333) o di Tifone, che era lui stesso un drago-serpente dalla vita in giù, ed Echidna (Biblioteca 2.113; Igino, prefazione a Fabulae), oppure dalla sola Gaia, o anche, nella sua manifestazione olimpica, da Era, dato che «il Drago che custodiva le mele d'oro è stato il fratello del leone Nemeo» asserito da Tolomeo Efestione in una sua opera andata perduta (Storia nuova), ma sintetizzata nella Biblioteca di Fozio.\n\nIdra di Lerna.\nL'Idra di Lerna, figlia di Tifone ed Echidna, era un drago-fluviale, conosciuta oltreché per le sue emanazioni velenose dal respiro, dal sangue e dalle zanne, anche per il numero dei suoi capi, da cinque a cento, anche se la maggior parte delle fonti la ritraggono con un numero di teste che inizialmente va da sette a nove all'incirca, poi per ogni testa tagliata, una o più d'una ricrescevano di nuovo al posto di quella mozzata (Diodoro di Sicilia; Ovidio, Metamorfosi). Tra le sue teste una sola aveva la caratteristica di essere immortale rimanendo in vita anche se fosse elisa dal corpo. Alcuni resoconti sostengono che il capo immortale fosse fatto d'oro. Visse in una palude nei pressi di Lerna e spesso terrorizzò la gente del paese fino a quando fu sconfitta da Eracle, che compiendo una delle sue fatiche, recise tutte le teste dell'Idra, aiutato del nipote Iolao, che ripassava i monconi con un tizzone ardente per prevenire eventuali ricrescite di nuove teste. Era provò a inviare un granchio gigante per distrarre Eracle, ma egli lo schiacciò semplicemente sotto il suo piede. In seguito Era lo pose nel firmamento come costellazione del Cancro. Dopo aver ucciso il serpente, Eracle seppellì la testa immortale sotto una roccia e immerse le sue frecce nel sangue della creatura per renderle fatali contro i suoi nemici. In una versione, le frecce avvelenate si sarebbero dimostrate la rovina del suo maestro centauro Chirone, poi collocato nei cieli come la costellazione Centaurus.\n\nPitone.\nNella mitologia greca Pitone era il dragone terreo che sorvegliava Delfi, da sempre rappresentato nelle pitture vascolari e da scultori come serpente. Miti diversificati ritraggono Pitone di volta in volta o come un maschio o una femmina (drakaina). Pitone era il nemico ctonio di Apollo, che uccise per rimpossessarsi del suo oracolo, il più celebre in Grecia.\nSono narrate varie versioni della nascita di Pitone e della sua morte per mano di Apollo; nel primo inno omerico ad Apollo, oltre al dettaglio della lotta del Dio celeste con il serpente. La versione riportata da Igino sostiene che quando Zeus concepì con la dea Leto, Artemide e Apollo, Era inviò Pitone per perseguitarla ovunque si fosse recata, così facendo il sole, che era portato da Apollo, splendeva sempre ogni giorno circolando a causa della fuga. Quando Apollo crebbe decise di sconfiggere la sua nemesi, facendosi strada verso il Parnaso dove il dragone dimorava, incoraggiato da un oracolo di Gaia a Delfi, penetrò attraverso il recinto sacro e lo/la uccise con le sue frecce accanto alla fessura della roccia dove la sacerdotessa sedeva sul suo cavalletto. La sacerdotessa dell'Oracolo venne poi intesa come Pizia, dal toponimo Pito, a causa della putrefazione (πύθειν) del corpo del serpente dopo che era stato ucciso.\n\nDrago della Colchide.\nIl drago della Colchide (in georgiano კოლხური დრაკონი?), figlio di Tifone ed Echidna, custodisce il vello d'oro. Gli fu ordinato di non riposare mai per non abbassare la vigilanza. Secondo Ovidio (Metamorfosi) il mostro aveva una cresta e tre lingue. Quando Giasone partì per recuperare il Vello, la strega Medea gli consigliò di far addormentare il dragone con la sua magia e con un siero soporifero, ma anche di utilizzare il talento musicale di Orfeo per assopirlo con la sua lira. In seguito, Medea lo mise tra i suoi draghi da traino per il carro.\n\nDrago Ismeneo.\nIl drago ismeneo, o ismenio, cioè della terra della ninfa Ismene (figlia di Asopo), nei pressi di Tebe, è stato ucciso da Cadmo. Figlio di Ares, in seguito il dio della guerra tramutò l'eroe che lo uccise in un serpente." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Driante (figlio di Ares).\n### Descrizione: Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ares.\n\nIl mito.\nPartecipò alla caccia al cinghiale di Calidone e combatté a fianco dei Lapiti contro i Centauri. Il fratello Tereo, fraintendendo la risposta di un oracolo, lo uccise, temendo che fosse proprio Driante il congiunto che avrebbe assassinato il suo figlioletto Iti.\n\nInterpretazione.\nProbabilmente la scena della morte di Driante in realtà mostrava una quercia (Driante significa quercia) e un sacerdote che prevedeva il futuro, al modo druidico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Driante (figlio di Licurgo).\n### Descrizione: Driante è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licurgo re della Tracia.\nTrovò la morte ancora fanciullo quando il padre, impazzito per il volere degli dei, lo colpì più volte con un'accetta scambiandolo per un tralcio di vite, pianta sacra al dio Dioniso, il cui culto Licurgo aveva cercato di estirpare. Dopo questo tragico evento le terre di Licurgo, inorridite per l'accaduto, divennero sterili.\n\nFonti.\nRobert Graves, I miti greci.\nIgino, Fabulae.\nPausania, Periegesi della Grecia, Libro I.\nApollodoro, Libro III.\nSofocle, Tereo, frammenti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Driope (Iliade).\n### Descrizione: Driope è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nDriope era un guerriero troiano che combatté contro Achille quando questi ritornò al combattimento infuriato per la morte dell'amico Patroclo ucciso da Ettore sotto le mura di Troia. Fu il primo guerriero a essere assalito da Achille (dopo che questi non era riuscito a colpire Ettore), che lo ferì mortalmente al mento con la lancia, lasciandolo quindi disteso sul terreno cosparso di sangue." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Driope (re dei Driopi).\n### Descrizione: Driope o Driopo (greco antico: Δρύοψ, Dryops) è un personaggio della mitologia greca, re ed eponimo del popolo dei Driopi.\nDriope era figlio del dio-fiume Spercheo e della danaide Polidora, oppure di Apollo e Dia, figlia del re Licaone di Arcadia.. Secondo la mitologia, regnò sul Monte Eta, e fu il padre di Driope (Δρυόπη, Dryòpē), una principessa che fu trasformata in ninfa, e di Cragaleo, noto per la sua saggezza.\nIl nome Driope (Δρύοψ), così come quello della figlia Driope (Δρυόπη), omonima in italiano, e del popolo dei Driopi (Δρύοπες), hanno una radice comune, derivata da δρῦς drys, ovvero quercia. Driope potrebbe perciò significare 'uomo-quercia'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Duello pianistico.\n### Descrizione: Con duello pianistico si intende una sfida tra due pianisti, una pratica divenuta celebre del Settecento e dell'Ottocento grazie a contese tra musicisti famosi.\nL'evento prevede l'alternarsi di momenti musicali in cui gli strumentisti, a turno o insieme, dimostrano le proprie capacità virtuosistiche esibendosi nel proprio repertorio o in improvvisazioni su un tema assegnato. Solitamente le sfide erano riservate all'ambiente aristocratico e ai salotti della nobiltà.\n\nOrigini.\nPossiamo trovare i primi esempi di duello musicale tra i miti del mondo greco-latino. Nell'undicesimo libro delle Metamorfosi di Ovidio (vv. 146-174) viene narrata la contesa tra Pan e Apollo. Dopo aver disprezzato i canti di Apollo, Pan è chiamato a dimostrare la propria bravura in una gara. Giudice è il monte Tmolo, luogo in cui si svolge il duello. Pan è il primo a intonare un canto con la zampogna; a seguire Apollo suona la sua cetra ed ottiene la vittoria. Solo re Mida, testimone della contesa e devoto a Pan, è contrario al verdetto. Apollo è protagonista di un ulteriore duello musicale raccontato nel libro sesto delle Metamorfosi (vv. 382-400). A sfidarlo è il satiro Marsia, entrato in possesso del flauto della dea Atena. La sfida si conclude nuovamente con la vittoria di Apollo.\n\nMozart - Clementi.\nIl 24 dicembre 1781, alla corte imperiale di Giuseppe II a Vienna, Wolfgang Amadeus Mozart e Muzio Clementi furono protagonisti di una celebre competizione musicale. Tra il 1781 e il 1782 Clementi compì una tournée che lo portò a Parigi, Strasburgo, Monaco e Vienna. Lo stesso Mozart in una sua lettera al padre del 22 dicembre 1781 riporta l'incontro con il pianista italiano a corte.\nIn una seconda lettera al padre datata 16 gennaio 1782 Mozart racconta come si è svolto il duello con Clementi. I due, dopo essersi scambiati reciprocamente i complimenti di rito, assecondarono le richieste da parte dei reali. L'Imperatore Giuseppe II decise che a cominciare sarebbe stato Clementi, il quale preludiò ed eseguì per intero una sonata. A seguire Mozart suonò una serie di variazioni su un tema. Al termine delle due esibizioni la granduchessa Sofia Dorotea di Württemburg presentò ai due sfidanti lo spartito da lei trascritto di alcune sonate di Giovanni Paisiello, suo maestro di musica a San Pietroburgo. Mozart dovette suonare il tempo Allegro della sonata mentre Clementi l'Andante e il Rondò. Infine i due si alternarono su due pianoforti nell'esecuzione di una serie di variazioni sul tema. Nella lettera Mozart sottolinea come l'imperatore avesse voluto mettere alla prova il maestro italiano assegnandogli uno strumento scordato e con tre tasti bloccati.Secondo il compositore austriaco l'unica dote di Clementi era una solida capacità tecnica. Al contrario Clementi si espresse in termini più generosi. Sebbene Mozart fosse considerato il vincitore del duello ciò non lo aiutò ad ottenere lo sperato incarico presso la corte viennese.\n\nI duelli di Beethoven.\nBeethoven - Gelinek.\nNon sono chiare le circostanze in cui si svolse il duello tra Ludwig van Beethoven e Josef Gelinek. Il giovane Beethoven rappresentava la novità nel panorama musicale mentre Gelinek rispondeva a pieno alla richieste del gusto viennese dell'epoca. Beethoven, ancora sconosciuto ai più, aveva ottenuto il sostegno di figure autorevoli dell'aristocrazia. Probabilmente il contesto in cui si svolse la sfida era stato creato dai sostenitori di Beethoven per introdurlo nell'ambiente nobiliare di Vienna. Carl Czerny, pianista e compositore contemporaneo ai due sfidanti, riporta le considerazioni di Gelinek dopo il duello nelle sue memorie Erinnerungen aus meinem Leben.\nSebbene non vi siano testimonianze circa il verdetto del duello, date le parole dello stesso Gelinek, è lecito pensare ad una netta vittoria da parte di Beethoven.\n\nBeethoven - Wölfl.\nNel marzo 1799, presso la casa del Barone Raimund von Wetzlar, Ludwig van Beethoven e Joseph Wölfl si sfidarono in un duello musicale. Se contro Gelinek e, successivamente, contro Steibelt la vittoria per Beethoven fu schiacciante, altrettanto non si può dire in questo caso. Nei dieci anni precedenti al duello Wölfl aveva conquistato popolarità presso il pubblico viennese mentre la carriera di Beethoven era legata principalmente ai salotti aristocratici. Wölfl era un pianista eccellente e dalle doti fisiche peculiari: le sue mani molto grandi gli permettevano virtuosismi tecnici preclusi a molti. La sfida metteva a confronto due diversi ambienti musicali: la spettacolarità virtuosistica e la limpidezza nell'esecuzione di Wölfl, amato da un pubblico vasto, e la potenza espressiva e dinamica di Beethoven, sostenuto dall'aristocrazia colta. Ignaz von Seyfried, testimone della sfida, descrive lo svolgimento del duello. Tra i sostenitori di Beethoven spiccava la figura del Principe Karl Lichnowsky, mentre tra i sostenitori di Wölfl il più attivo era sicuramente il Barone von Wetzlar, uomo colto e brillante, nonché ospite del duello. I due virtuosi incominciarono ad esibirsi con i brani più recenti di loro composizione. In alcuni momenti sedevano contemporaneamente ai due pianoforti e si alternavano improvvisando su temi proposti l'un l'altro, dando vita a Capricci a quattro mani. Il duello si concluse con una sostanziale parità tra i due sfidanti sebbene col tempo la fama di Beethoven portò a considerarlo vincitore della contesa.\n\nBeethoven - Steibelt.\nDaniel Steibelt, uno dei più rinomati pianisti europei, giunse a Vienna nel 1800. Incontrò Ludwig van Beethoven presso la dimora del Conte Fries. Ferdinand Ries, in una delle prime biografie del compositore, Biographisce Notizen über L. van Beethoven, descrive lo svolgimento del duello. Steibelt suonò un quintetto di sua composizione ottenendo grandissimo successo. Successivamente si esibì in un'improvvisazione sul tema conclusivo dell'ultimo movimento di un trio di Beethoven. Secondo Ries tale improvvisazione risultò palesemente preparata in anticipo e studiata accuratamente. A seguire Beethoven si sedette al pianoforte e cominciò ad improvvisare. Prese la parte di violoncello del quintetto suonato da Steibelt in apertura e, dopo averla rigirata al contrario, suonò il primo tema con un dito solo. Il palese affronto provocò in Steibelt una rabbia tale da spingerlo ad abbandonare la sala prima ancora che Beethoven avesse terminato. Si narra che in seguito al duello Steibelt non volle più incontrare Beethoven e per ogni invito ricevuto era sua premura accertarsi che il rivale non comparisse tra la lista dei presenti.\n\nLiszt - Thalberg.\nLa sera del 31 marzo 1837, a Parigi, nella dimora della Contessa Cristina Belgiojoso, donna di estrema cultura e fascino, si tenne il celebre duello tra Franz Liszt e Sigismond Thalberg. Liszt frequentava assiduamente il salotto della Belgiojoso dunque l'ambiente in cui si svolse la sfida era per lui congeniale. La fama di Thalberg a Parigi crebbe a tal punto da attirare l'attenzione del pubblico parigino che cominciò a prendere le parti di uno o dell'altro a seconda del gusto o dell'estrazione sociale. Ne nacque una vera e propria querelle alimentata dalla stampa e, alla fine, il duello si considerò pari. Lo si può vedere con ciò che scrisse il critico Jules Janin quanto la sfida nel Journal des Débats del 3 aprile 1837.[2][3]." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Dulichio.\n### Descrizione: Dulichio (in greco Δουλίχιον, Dūlìchion, «Isola lunga») è un'isola citata a più riprese nell'Odissea di Omero.\nSecondo il testo omerico, Dulichio è molto vicina ad Itaca (la patria di Ulisse) e alle altre isole greche occidentali: Zacinto, Samo, Asteris. Tuttavia mentre Itaca, Zacinto (oggi Zante) e Samo (cioè Cefalonia, sulla quale esiste ora la città di Sami; da non confondere con l'attuale isola di Samo, che si trova nel Mar Egeo e non nello Ionio) sono tuttora conosciute, oggi non siamo in grado di identificare Dulichio né Asteris. Sull'isola regnava un certo Niso: suo figlio Anfinomo era uno dei Proci.\n\nEsistenza reale.\nMolti studiosi hanno indagato il mistero della perduta isola di Dulichio, e gran parte hanno osservato che i molti luoghi dell'Odissea in cui si parla di Itaca mal si accordano con la posizione dell'isola attualmente chiamata Itaca: essa dovrebbe essere più a occidente e più a sud, e fra essa e Samo dovrebbe trovarsi l'isola di Asteris, anch'essa non riconoscibile. Fra le attuali Itaca e Cefalonia esiste solo la piccolissima isola di Daskalio (grande meno di un campo di calcio) che non può certo ospitare due porti come detto nell'Odissea.\nIn generale si conclude che l'Odissea è un'opera di poesia e non ha senso prestare attenzione a questi particolari.\nTuttavia alcuni ricercatori hanno recentemente suggerito una possibile soluzione. La vera Itaca potrebbe essere la parte più occidentale della attuale Cefalonia (chiamata Paliki), che al tempo di Omero era - secondo la loro congettura - un'isola a sé stante; in tal caso Samo sarebbe la parte orientale della attuale Cefalonia, e di conseguenza Dulichio sarebbe l'attuale Itaca. In tal modo si potrebbe identificare anche Asteris nella penisola di Argostoli - bisognerebbe però supporre che Omero usasse la stessa parola sia per isola che per penisola.\nUna soluzione completamente diversa è stata proposta da Felice Vinci nel suo libro Omero nel Baltico: egli ritiene che l'ambientazione originale dei poemi omerici fosse in realtà il Mar Baltico e identifica questo gruppo di isole con un arcipelago della Danimarca. Dulichio, in particolare, sarebbe l'isola di Langeland (che in danese significa 'isola lunga', proprio come Dulichio in greco)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ea (ninfa).\n### Descrizione: Ea era una ninfa, delle Naiadi, che chiese l'aiuto degli Dei per sfuggire al fiume Fasi che la corteggiava e venne tramutata in un'isola.\nEra anche il nome di una regione della Colchide, ma fu usata da Valerio Flacco come un sinonimo della Colchide stessa." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eaco.\n### Descrizione: Èaco (in greco antico: Αἰακός?, Aiakòs; in latino Aeăcus) è un personaggio della mitologia greca. Nasce dalla ninfa Egina con cui Zeus un giorno si accoppiò trasformandosi in aquila e portando con sé la ninfa sull'isola di Enopia, che prese dalla ninfa il nome di Egina.\n\nMitologia.\nLe leggende narrano che Era, sposa di Zeus, quando seppe della nascita di Eaco, scaricò la sua gelosia sull'isola avvelenando i corsi d'acqua ed ordinando ai venti meridionali di soffiare senza tregua. Fu così che tutti i raccolti andarono perduti e ciò che seguì fu una grave carestia ed il caldo torrido portato dai venti meridionali costrinse gli abitanti a bere le acque dei fiumi avvelenati uccidendoli tutti. Vedendo il suo regno alla rovina, Eaco si rivolse al padre Zeus e questi fece cadere sull'isola una pioggia fresca, che fermò i venti e ricambiò le acque avvelenate, poi trasformò le formiche dell'isola in esseri umani ed Egina ritornò fiorente grazie ai Mirmidoni (da murmex che significa appunto formica). Eaco spartì i suoi possedimenti tra i suoi sudditi e l'isola ritrovò la pace.\nIn seguito Eaco sposò Endeide, figlia di Scirone (o Chirone, secondo l'erronea traslitterazione del nome da parte di Igino) e di Cariclo, da cui ebbe i figli Telamone e Peleo. Peleo fu il padre di Achille, che fu accompagnato alla guerra di Troia da un esercito di mirmidoni.\nEaco ebbe un ulteriore figlio dall'unione con la ninfa Psamate, una delle figlie di Nereo, che per sfuggirgli si trasformò in foca ma lui si unì lo stesso a lei e nacque un figlio chiamato Foco. In seguito Telamone, geloso del fratellastro Foco, lo uccise e lo seppellì con l'aiuto di Peleo. Quando Eaco scoprì il fatto, cacciò entrambi i figli dall'isola.\nPindaro indica in Eaco il costruttore delle mura di Troia, con l'aiuto di Apollo e Poseidone.\nEaco era considerato un uomo profondamente giusto e per questo era chiamato spesso a fare da arbitro nelle contese. Dopo la sua morte Zeus lo nominò giudice negli Inferi. Platone cita come giudici dell'Ade Minosse, Radamante, Eaco e Trittolemo.\nLa leggenda inoltre narra che Eaco era custode delle chiavi dell'Ade e che doveva occuparsi delle anime di provenienza europea.\n\nNella cultura di massa.\nIl nome Eaco viene dato ad un personaggio del manga Saint Seiya; in esso (e nella versione animata) ha il nome Eaco di Garuda è presentato come uno dei tre generali di Ade, re degli Inferi, nonché giudice dei morti (un riferimento mitologico); Tuttavia, poiché l'autore Masami Kurumada utilizzò la dizione greca del nome (Aiakos), all'epoca della prima edizione italiana del manga (edita da Granata Press) il nome venne tradotto erroneamente in Aiace; anni dopo, l'edizione della Star Comics utilizzò invece i nomi greci per i tre Giudici, quindi Eaco venne riferito semplicemente come Aiacos; ma in seguito l'adattamento italiano della versione animata e del prequel The Lost Canvas ripristinò stabilì l'uso definitivo di Eaco. Nel sequel Next Dimension il personaggio viene chiamato Suikyo, ed è un ex cavaliere d'argento passato dall'esercito di Atena a quello di Ade; comunque, in The Lost Canvas verso la fine della storia Aaron (il giovane che ospita lo spirito di Ade) spoglia Eaco di cosmo e armatura, sigillando l'anima di specter che lo possedeva e ridandogli il suo vero nome: Suikyo! Questo espediente narrativo potrebbe essere un omaggio dell'autrice Shiori Teshirogi nei confronti di Kurumada (autore dell'opera originale e di Next Dimension); in un'intervista Teshirogi spiegò che inizialmente le due opere dovevano procedere di pari passo e narrare la stessa storia da punti di vista differenti; ma proseguendo i due autori finirono per scrivere due trame differenti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eagro.\n### Descrizione: Eagro (in greco antico: Οἴαγρος?, Óiagros) è un personaggio della mitologia greca, possibile padre di Orfeo. Dopo la morte sarebbe divenuto un dio fluviale.\n\nGenealogia.\nLe tradizioni variano sulla sua genealogia: è detto essere figlio di Carope (al quale succedette come re di Tracia), oppure figlio di Piero, a sua volta figlio di Macedone, e della ninfa Metone. Un'altra versione ancora, registrata dalla Suda, lo considera figlio di Piero, figlio di Lino, figlio di Apollo.\nApollodoro afferma però che Eagro potrebbe essere stato generato dalla musa Calliope e dal dio Apollo. Le Dionisiache di Nonno di Panopoli fanno menzione di Eagro, l'audace figlio di Ares, dio della guerra (Libro XIII,428).\nPer quanto riguarda la discendenza, Eagro è ricordato soprattutto per essere il padre di Orfeo, in genere avuto da una musa, Calliope o Polimnia. Fonti tarde lo considerano anche il padre di Marsia, Lino il cantore, secondo Apollodoro di Atene (Libro I, III, 2), per il quale è fratello di Orfeo (Libro I, IX, 16), e Cimotone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ebe.\n### Descrizione: Ebe (in greco antico: Ἥβη?, Hḕbē) nella mitologia greca è la divinità della giovinezza, figlia di Zeus e di Era. La sua figura appare più volte nei poemi omerici e viene citata anche da Esiodo.\nNel monte Olimpo Ebe era l'enofora, ovvero l'ancella delle divinità, a cui serviva nettare e ambrosia (nell'Iliade, libro IV). Il suo successore fu il giovane principe troiano Ganimede. Nel libro V dell'Iliade è anche colei che immerge il fratello Ares nell'acqua, dopo la battaglia con Diomede.\nNell'Odissea (libro XI) è la sposa di Eracle (anche se l'autenticità del brano non è certa). Euripide comunque la cita nelle Eraclidi.\nA Sicione Ebe era inoltre venerata come dea del perdono e della misericordia.\nIl suo opposto nella mitologia greca è Geras, dio della senilità, mentre la dea corrispondente nella mitologia romana è Iuventas.\n\nMito.\nÈ citata nella Teogonia come figlia di Zeus e di Era, sorella di Ilizia e Ares.\nEppure, una tradizione vivida vuole che lei sia figlia solamente di Era - sedutasi su una lattuga, precisa una fonte tarda.\nOleno fa di Era la madre di Ebe e di Ares, senza menzionare il padre; Pindaro fa lo stesso per Ebe e Ilizia.\nNell'Iliade la sua ascendenza è citata tre volte: serve agli Dèi da coppiera, versando loro l'ambrosia e il nettare; cura le ferite che Diomede ha inflitto a suo fratello Ares; aiuta Era ad agganciare il suo carro. Il primo ruolo di coppiera non sembra essere la sua attività principale: è menzionato solo una volta, e anche Efesto viene riferito a questo ufficio. Iris è più frequentemente associata a questo ruolo, sia nei testi sia nell'iconografia, prima di essere sostituita da Ganimede.\nSecondo l'Odissea, la Teogonia e Il catalogo delle donne, ella sposa Eracle (o Ercole) dopo l'apoteosi di questo. Ne ha due figli, Alessiare e Aniceto.\nNonostante ciò, il tema della salita al cielo dell'eroe, che può essere datato dal VI secolo a.C., sembra far ipotizzare che queste citazioni siano interpolate. Aristarco di Samotracia aveva già smentito il passaggio incriminato dell'Odissea, considerandolo contraddittorio con quello dell'Iliade in cui Ebe fa il bagno ad Ares, dicendo che il fatto di lavare qualcuno è dovere delle giovani ragazze - a torto, poiché il bagno è preparato piuttosto dalle serve domestiche.\nConsiderando che l'eterna giovinezza è una delle caratteristiche degli dèi dell'Olimpo è difficile valutare esattamente il suo ruolo. Forse in un periodo arcaico del mito la sua presenza era necessaria per conferire agli dèi la loro perenne giovinezza.\n\nCulto.\nAd Ebe era dedicato un famoso tempio a Corinto ed era particolarmente venerata a Sicione, a Flio e ad Atene dove vi era un altare a lei dedicato, nel ginnasio ateniese di Cinosarge, vicino a quello di Eracle.\n\nRappresentazioni.\nNell'arte greca, Ebe è la maggior parte delle volte rappresentata in compagnia di Eracle. Un ariballo di Corinto e qualche vaso attico, dalle figure nere o rosse, dipingono anche le sue nozze con un eroe sull'Olimpo.\nAppare ugualmente come coppiera di Zeus o di Era su dei vasi attici dalle figure rosse, ma senza che la sua identificazione sia certa. Inoltre, è spesso dipinta come compagna della dea Afrodite. La si vede spesso come una dolce giovane ragazza.\nIn arte, è una nota statua di Antonio Canova, di cui esistono quattro versioni: la definitiva si trova ai musei di San Domenico a Forlì; le altre sono custodite presso l'Alte Nationalgalerie di Berlino e al museo dell'Ermitage a San Pietroburgo.\n\nEvocazioni artistiche.\nLes Fête di Hébé è un'opera lirica di Jean-Philippe Rameau. Ebe è anche un personaggio de Les Indes galantes dello stesso Rameau.\nIl canto di Ebe, dal Lucifero di Mario Rapisardi, Edizioni Ricordi, t.s. 1883.\n\nInfluenza culturale.\nA Ebe sono intitolati l'Hebes Chasma e l'Hebes Mensa su Marte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ecamede.\n### Descrizione: Ecamede (in greco antico: Ἑκαμήδη) è un personaggio della mitologia greca, menzionata nell'Iliade.\nFiglia di Arsinoo, venne catturata da Achille nella conquista dell'isola di Tenedo mentre lo stesso si recava a Troia. Successivamente divenne schiava di Nestore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ecate.\n### Descrizione: Ecate (Ècate; alla greca Ecàte; in latino Hecata, in greco antico: Ἑκάτη?, Hekátē), conosciuta anche come Zea (con questo nome fu venerata particolarmente ad Atene), è un personaggio di origine pre-indoeuropea che fu ripreso nella mitologia greca e romana e trasportato poi nella religione greca e romana.\nEcate era la dea della magia e degli incroci ed era la potente signora dell'oscurità, regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti. Era invocata da chi praticava la magia e la necromanzia.\nEra una delle numerose divinità adorate nell'antica Atene come protettrice dell'oikos (famiglia), insieme a Zeus, Estia, Hermes e Apollo.Negli scritti post-cristiani degli Oracoli caldaici (II-III secolo d.C.) era anche considerata con (un certo) dominio su terra, mare e cielo, nonché un ruolo più universale come Salvatore (Soteira), Madre degli Angeli e l'Anima del Mondo Cosmico.Riguardo alla natura del suo culto, è stato rimarcato che 'è più a suo agio ai margini che al centro del politeismo greco. Intrinsecamente ambivalente e polimorfa, si trova a cavallo dei confini convenzionali ed elude la definizione'.La più antica rappresentazione di Ecate è stata ritrovata a Selinunte in Sicilia.\nIl più noto santuario dedicato a Ecate si trova a Lagina, in Turchia sudoccidentale.\n\nGenealogia.\nA seconda degli autori è figlia di Zeus e di Asteria o del Titano Perse e Asteria.\nSecondo Apollonio Rodio fu madre di Scilla avuta da Forco mentre secondo Diodoro Siculo fu madre di Circe, Medea ed Egialeo avuti da Eete.\nVa però considerato che gli autori che attribuiscono a Ecate queste progenie sono posteriori ad altri che la citavano come vergine.\nLe sue ancelle erano demoni femminili chiamate Empuse.\n\nNome e etimologia.\nSia l'etimologia del nome Ecate (Ἑκάτη, Hekátē) che il paese d'origine del suo culto sono sconosciuti, ma diverse teorie sono state proposte.\nSecondo alcuni, il suo nome avrebbe la stessa radice della parola greca “cento”, allude alle molte forme che lei può assumere: Ecate, discendente dei Titani, la “multiforme”.\n\nOrigine greca.\nChe il culto di Ecate sia nato in Grecia o no, alcuni studiosi hanno suggerito che il nome potrebbe derivare da una radice greca, e hanno identificato diverse parole da cui potrebbe derivare. Per esempio, ἑκών 'desiderio, volere' (colei che fa il suo volere o dispensatrice di desideri), potrebbe essere connesso col nome Ecate. Tuttavia, nessuna fonte indica il volere o la volontà come un attributo importante di Ecate, che rende questa possibilità improbabile.Un'altra parola greca suggerita come l'origine del nome Ecate è Ἑκατός Hekatos, un raro epiteto di Apollo tradotto in moltissimi modi, come “che opera da lontano e che colpisce”. Ciò è stato suggerito mettendo a confronto gli attributi della dea Artemide, fortemente associata con Apollo e spesso comparata con Ecate nel mondo classico. Promotori di questa etimologia sostengono che Ecate era inizialmente considerata un aspetto di Artemide, prima della sua adozione all'interno del pantheon Olimpico. In quel periodo, Artemide sarebbe stata associata fortemente con la purezza e la verginità da un lato, mentre i suoi attributi originali più oscuri, come la magia, le anime dei morti e la morte, sarebbero invece state venerate separatamente, sotto il suo nominativo Ecate. Anche se spesso considerata l'origine greca più probabile, la teoria Ἑκατός non tiene conto della sua venerazione nell'Asia minore, dove la sua associazione con Artemide sembra essere stata un'evoluzione successiva, e delle teorie che l'attribuzione dei suoi aspetti più oscuri e della magia non erano originariamente parte del culto di Ecate.R. S. P. Beekes ha rifiutato un'etimologia greca e ha suggerito un'origine precedente ai greci.\n\nOrigine egizia.\nUna forte possibilità per l'origine del nome potrebbe essere Heket (ḥqt), una divinità egizia della fertilità e della rigenerazione, con la testa a forma di rana, e che, come Ecate, era associata con ḥqꜣ. La parola 'heka' nel linguaggio egizio è sia la parola utilizzata per la magia che il nome del dio della magia e della medicina, Heka.\n\nOrigine e forme della divinità.\nHecate, Hekate o Hekat era in origine una dea delle terre selvagge e del parto proveniente dalla Tracia, dalla Tessaglia o dalla Caria e i culti popolari che la veneravano come una dea madre inserirono la sua persona nella cultura greca come Ἑκάτη.\nNell'Alessandria tolemaica essa in ultima analisi ottenne le sue connotazioni di dea della stregoneria e il suo ruolo di Regina degli Spettri e in queste vesti fu poi trasmessa alla cultura post-rinascimentale.\nOggi viene vista spesso come una dea delle arti magiche e della stregoneria.\nEcate era una divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei morti. Spesso è raffigurata con delle torce in mano, proprio per questa sua capacità di accompagnare anche i vivi nel regno dei morti (la Sibilla Cumana, a lei consacrata, traeva da Ecate la capacità di dare responsi provenienti, appunto, dagli spiriti o dagli dei).\nNell'iconografia Ecate viene rappresentata spesso con tre corpi o con sembianze di cane o, accompagnata da cani infernali ululanti in quanto veniva considerata protettrice dei cani.\n\nMitologia.\nDea degli incantesimi, degli spettri e protettrice degli incroci di tre strade. In quest'ultimo aspetto essa è raffigurata come triplice e le sue statue venivano poste negli incroci (trivi), a protezione dei viandanti (Ecate Enodia o Ecate Trioditis).\nDai romani era chiamata Trivia.\nEcate veniva associata anche ai cicli lunari così come avveniva con altre divinità femminili: Perseide rappresentava la luna nuova, Artemide (Diana per il latini) rappresentava la luna crescente, Selene la luna piena ed Ecate la luna calante.\nFu Ecate a sentire le grida disperate di Persefone, rapita da Ade presso il Lago Pergusa e portata negli Inferi, e fu sempre lei ad avvertire Demetra di quanto era accaduto. Si riteneva anche che Ecate accompagnasse Persefone nei suoi viaggi periodici tra il mondo dei morti e quello degli dei.\n\nRappresentazioni.\nL'iconografia spesso associata ad Ecate è quella nella sua triplice forma, che rispecchia il suo aspetto terrestre, lunare e ctonio.\nLe prime rappresentazioni di Ecate, invece, sono singole. Lewis Richard Farnell sostiene che: «La testimonianza lasciata dai monumenti sulle caratteristiche e il significato di Ecate è altrettanto ricca di quella trasmessa dalla letteratura, ma solo nel periodo più tardo essi esprimono la sua natura molteplice e mistica. Prima del quinto secolo è quasi certo che fosse spesso rappresentata come una singola forma, come ogni altra divinità, ed è così che la immaginò il poeta della Beozia, perché nulla nei suoi versi allude a una divinità dalla triplice forma. Nel 2017 i geologi dell’Università di Camerino hanno individuato sotto Selinunte - con una termocamera caricata su un drone - la più antica raffigurazione di tutto il mondo greco di Hekate, risalente a circa 2700 anni fa. Il monumento più antico rinvenuto è una piccola terracotta trovata ad Atene, con una dedica a Ecate (tavola XXXVIII. a), in una scrittura tipica del sesto secolo. La dea è seduta su un trono e ha una corona attorno alla testa; non ha nessun tratto o caratteristica distintivi e l'unico valore dell'opera, che è chiaramente di un tipo comune ed è degna di menzione solo per l'iscrizione, è che prova come la forma singola fosse quella originale e che ad Atene era conosciuta prima dell'invasione persiana».\n\nPausania sosteneva che Ecate fosse stata raffigurata per la prima volta nella forma triplice dallo scultore Alcamene durante il periodo greco classico, verso la fine del quinto secolo. Alcuni ritratti classici, come quello illustrato qui in basso, mostrano la dea in forma triplice mentre regge una torcia, una chiave e un serpente. Altri continuano a rappresentarla in forma singola. Nell'esoterismo greco, di derivazione egiziana, con riferimento a Ermete Trismegisto e nei papiri di magia della Tarda Antichità è descritta come una creatura a tre teste: una di cane, una di serpente e una di cavallo. La triplicità di Ecate è espressa in una forma più ellenica, con tre corpi, mentre prende parte alla battaglia contro i titani nel vasto fregio del grande altare di Pergamo, ora a Berlino. Nell'Argolide, vicino al sacrario dei Dioscuri, Pausania, grande viaggiatore nel corso del II secolo dell'era cristiana, vide il tempio di Ecate davanti al santuario di Ilizia: «L'immagine è opera di Scopas, realizzata in pietra, mentre le immagini in bronzo che si trovano davanti, che hanno come soggetto sempre Ecate, furono realizzate rispettivamente da Policleto il Giovane e suo fratello Naucide, figlio di Motone» (Description of Greece ii.22.7).\nUn rilievo in marmo del IV secolo d.C. di Crannone in Tessaglia recava una dedica di un proprietario di cavalli. Il rilievo mostrava Ecate, in compagnia di un cane, mentre posa un serto sul capo di una cavalla. Questa statua si trova nel British Museum, inventario n. 816. La cagna è la sua compagna e il suo equivalente animale e una delle forme più usuali di offerte era lasciare della carne ai crocicchi. A volte gli stessi cani le venivano sacrificati (un giusto accenno alle sue origini non elleniche, dato che i cani, insieme con gli asini, raramente venivano tenuti in così alta considerazione negli antichi rituali greci).\n\nInfluenza culturale.\nA Ecate sono intitolati l'Hecates Tholus su Marte e l'Hecate Chasma su Venere.\nEcate appare nel Macbeth di Shakespeare ed è una delle streghe della tragedia. Le sue arti magiche e l‘iconografia a tre corpi vengono evocate nell‘Amleto di Shakespeare dall'attore Luciano (lll, ii): '... tu fetida mistura d‘erbe raccolte a mezzanotte e dal male d‘Ecate tre volte unte ed infette, la tua magia spontanea, la tua atroce virtute usurpano di colpo ogni vital salute...'. Ecate compare nelle saghe di Percy Jackson ed Eroi dell'Olimpo scritte da Rick Riordan. La figura di Ecate viene inoltre citata della serie TV Penny Dreadful quando viene introdotto il personaggio di Hecate Poole, strega figlia di Evelyn Poole e nella serie TV Le terrificanti avventure di Sabrina, quando alla fine della terza stagione la congrega della protagonista decide di venerarla al posto di Lucifero e delle altre entità infernali, e lo farà per tutto il corso della quarta stagione.\nEcate è impersonificata in Touhou 15: Legacy of Lunatic Kingdom da Hecatia Lapislazuli, anche lei capace di viaggiare liberamente tra mondi, avendo persino tre corpi. Ecate appare nei romanzi di Michael Scott della serie I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale. Ecate è un personaggio di grande rilevanza nella serie a fumetti Sandman, di Neil Gaiman.\nEcate, indicata con la variante Hekate, è il simbolo dell'omonimo Boot loader alternativo per la console portatile Nintendo SwitchEcate appare nei libri Eroi Dell’Olimpo La casa di Ade e Eroi dell'Olimpo: il sangue dell'Olimpo di Rick Riordan. Nella saga aiuta Hazel Levesque, a dominare la foschia, che le sarà utile per sconfiggere Pasifae e in seguito aiuterà la figlia di Plutone nello sconfiggere Clizio (gigante). Ne “Il sangue Dell’Olimpo” è nel gruppo di Dei che accorrono in aiuto dei semidei nel corso della battaglia ad Atene contro i giganti.\nEcate viene nominata nella canzone Hecate's Nightmare, composta dai Children of Bodom e presente nell'ultimo loro album Hexed, pubblicato nel 2019 dalla Nuclear Blast.\nLa figura di Ecate, nella sua raffigurazione triplice viene citata nel romanzo Cherudek di Valerio Evangelisti appartenente alla saga di Nicholas Eymerich.\nUna versione di Ecate in tempi moderni è presente nei romanzi fantasy La Morte degli Dèi di Franz Palermo, in cui riveste il ruolo di antagonista dopo essere rinata in tre corpi mortali.\nEcate è presente in Saint Seiya - Next Dimension - Myth of Hades dove aiuta Athena e i suoi cavalieri a salvare la vita di Seiya.\n\nEcate viene citata nella serie Riverdale quando Cheryl usa la magia e la necromanzia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ecatonchiri.\n### Descrizione: Gli Ecatonchiri (in greco antico: Ἑκατόγχειρες?, Hekatóncheires, 'che hanno cento mani'; in latino Hecatonchīres o Centimanī) sono figure della mitologia greca.\nErano figli di Urano (il cielo) e di Gea (la terra), che venne fecondata dalla pioggia che Urano fece cadere dal cielo.\nGli Ecatonchiri furono tre, di nome Cotto, Briareo e Gige. Ognuno di loro aveva cento braccia e cinquanta teste che sputavano fuoco.\nIl padre, che temeva la loro forza, li gettò nel Tartaro, ovvero la parte più remota ed oscura degli inferi, assieme ai Ciclopi, loro fratelli, controllati dal terribile mostro Campe (servitrice di Crono, re dei Titani). Da qui furono liberati da Zeus che dopo averli rifocillati con nettare e ambrosia, li coinvolge nella Titanomachia, dove diverranno così decisivi, e che si concluderà con la sconfitta dei titani alleati di Crono e la loro segregazione nel Tartaro, chiuso da mura e da porte di bronzo costruite appositamente da Poseidone e guardati a vista dagli stessi tre Centimani.\nIn seguito si ribellarono anch'essi a Zeus, come racconta la Gigantomachia, ma non riuscirono a sopraffare gli Olimpi.\n\nI nomi.\nI tre giganti sono chiamati Cotto, Briareo e Gige. Il primo era un nome comune della Tracia e molto probabilmente legato a quello della dea Kotys. Il secondo, anche detto Obriareus, deriva dal greco βριαρός che significa “forte”. L’ultimo, che troviamo anche come Gyes, si rifaceva al re greco Ogyges (Ὠγύγης).\nNell’opera Teogonia, di Esiodo, si fa riferimento ai giganti in due modi: o li si indica come ���gli dei che Zeus ha tirato fuori dalle tenebre” o si usano i loro singoli nomi. I sostantivi 'ecatonchiri', che deriva dal greco ἑκατόν (hekaton, 'cento'), e χείρ (cheir, 'mano” o 'braccio') non sono mai utilizzati.\nL’Iliade utilizza semplicemente l’aggettivo 'ecatonchirio'(ἑκατόγχειρος), i.e. 'dalle cento mani' per descrivere Briareus. Tuttavia, il primo a usufruire del termine è Apollodoro.\n\nMitologia.\nGli esseri dalle cento mani.\nI fratelli Cotto, Briareo e Gige sono tre dei diciotto figli di Urano e Gea. Secondo Esiodo, sono gli ultimi della progenie; secondo Apollodoro i primi. Nella mitologia esiodea, i tre giocano un ruolo chiave nella trasmissione del mito greco, perché raccontano come Crono spodesta il padre Urano. Secondo il mito, i tre vengono imprigionati dal padre insieme ai loro fratelli Ciclopi. Urano incorona Crono signore del cosmo e questi, con la sorella Rea, dà vita a una lunga discendenza. Tuttavia, i figli sono ingoiati uno a uno poco dopo la loro nascita. Solo l’ultimo, Zeus, riesce a salvarsi e a liberare i fratelli, dando origine agli dei olimpici. Così inizia la Titanomachia, la lotta tra la nuova e la vecchia generazione per il controllo del cosmo.\nSeguendo il consiglio di Gea, Zeus libera dalla schiavitù gli “esseri dalle cento mani” e vince la guerra, imprigionando poi i Titani nel Tartaro e facendoli sorvegliare dai Centimani.\nIl poema epico Titanomachia, purtroppo disperso, contiene versioni diverse degli eventi: qui, la lotta dei Centimani è contro i nuovi dei, al fianco dei Titani, e non il contrario.\nSecondo Palefato, Cotto e Briareo non sono giganti, bensì uomini, (chiamati in quel modo perché provenienti da Hecatoncheiria. i.e. 'Centomani'), che aiutano gli dei olimpici per scacciare i Titani dalla loro città.\n\nBriareo/Aegaeon.\nTra i tre fratelli, Briareo è forse il più importante. Come scritto in Teogonia, è il più buono e, per questo, viene ricompensato da Poseidone, che gli dona in sposa sua figlia Cimopolea.\nOmero spiega che Briareo è il nome utilizzato dagli dei, mentre Aegaeon è quello assegnatogli dagli uomini. Nell'Iliade, l’autore racconta che Era, Poseidone e Atena vogliono incatenare Zeus e chiamano in loro soccorso “colui dalle cento mani, che gli dei chiamano Briareo e gli uomini Aegaeon. Questi si sedette accanto a Zeus e gli dei olimpici ebbero paura di lui”.\nIl secondo nome (Aegaeon) non sembrerebbe un’invenzione omerica. Già Apollonio Rodio, poeta del terzo secolo a.C. conosce entrambi gli appellativi e nel poema epico Titanomachia erano presenti tutti e due.\n\nAlleato dei Titani.\nSe per Esiodo e Omero, il potente centimani Briareo è un fedele alleato di Zeus, nella Titanomachia ci viene raccontato ben altro: Aegaeon è figlio di Gea e Pontus (re del mare prima di Poseidone), non di Urano, e combatte per i Titani, non per gli dei. A quanto detto da Apollonio Rodio, inoltre, il gigante è sconfitto da Poseidone.\nAnche per i poeti latini Virgilio e Ovidio, Briareo è nemico degli dei. Nell’Eneide, infatti, vediamo Aegaeon in guerra contro di loro, “con cinquanta scudi e cinquanta spade”. In Fasti, l’autore racconta che, per restaurare il potere dei Titani, il gigante sacrifica un bue, bruciando poi le sue interiora, come vuole la profezia.\n\nLegame con il mare.\nNella Titanomachia, Aegaeon è figlio di Pontus e vive nel mare. L’associazione con l’acqua è presente già in Omero e Esiodo, secondo cui il gigante viveva lontano dai fratelli, con la ninfa Cimopolea, figlia di Poseidone.\nAnche il nome greco Αἰγαίων᾽ ci dà un indizio. La radice αἰγ- è tipica delle parole associate al mare: αἰγιαλός riva, αἰγες e αἰγάδες,onde.\nIn Metamorfosi, Ovidio lo descrive come “un re del mare scuro, le cui forti braccia possono sconfiggere enormi balene” e Plinio dice che il gigante fu il primo a salpare su una “lunga nave”.\n\nEuboea.\nBriareo/Aegaeon ha un legame particolare con l’isola greca Euboea.\nProbabilmente, Briareo e Aegaeon erano due entità separate all’inizio. Spiega lo scrittone romano Solino che Briareo venne portato a Carystus, mentre Aegaeon a Calcide.\nUn'altra ipotesi è quella secondo cui Aegaeon è il nome di un regnante di Carystus e che Briareo fosse il padre di Eubobea, alla quale venne intitolata l’isola.\n\nPoseidone.\nIl gigante è legato anche alla figura di Poseidone. Secondo Omero, il suo palazzo si trova proprio ad Aegae e il dio stesso viene chiamato anche Aegaeon o Aegaeus (Αἰγαῖος).\nUn'altra possibilità, è quella secondo cui Aegaeon sarebbe un patronimico: “figlio di Aegaeus” o “l’uomo di Aegae”.\nUna leggenda corinzia dice che Briareo fa da moderatore in una disputa tra Poseidone ed Elio (Sole) per Corinto: il centimano dà al primo la parte della città più vicina al mare e al secondo l’acropoli.\n\nSepolto sotto l'Etna e inventore dell'armatura.\nIl poeta Callimaco e lo scrittore Filostrato dicono che Briareo, scambiato per un gigante, viene seppellito sotto l’Etna. Questi, muovendo le spalle da una parte all’altra, sarebbe stato la causa dei terremoti.\nSecondo i papiri di Ossirinco, “il primo a utilizzare un’armatura di metallo fu Briareo; fino a quel momento gli uomini avevano utilizzato la pelle degli animali”.\n\nPossibili origini.\nL'entità Briareo/Aegaeon può anche essere legata alla figura di un mostro marino, così che possa spiegare la forza incontrollabile del mare.\nPotrebbe anche essere un dio precedente a Poseidone, o la versione greca del mito orientale che vedeva scontrarsi Yammu (mare) e Baal (tempesta).\n\nFonti principali.\nTeogonia.\nSecondo Esiodo, Urano e Gea hanno diciotto figli: dodici Titani, tre Ciclopi e, per ultimi, tre centimani. L’opera recita: “Poi, dall’unione tra Cielo e Terra nacquero altri tre figli, giganteschi, forti e presuntuosi: erano Cotto, Briareo e Gige. Cento braccia si sviluppavano dalle loro spalle e cento teste da ciascuna spalla; la loro forza era immensa'.\nUrano odia i suoi figli, tanto che 'li legò, non curante della loro stazza, e li imprigionò nelle profondità della Terra, dove doloranti e sofferenti rimasero a lungo, con la tristezza nel cuore”. È il titano Crono a castrare il padre Urano e liberare i suoi fratelli (tranne i Centimani), diventando così il nuovo dio del cosmo. Crono sposa la sorella Rea, da cui ha cinque figli, tutti inghiottiti appena nati, tranne l’ultimo, Zeus, salvato dalla madre e cresciuto dalla nonna Gea. Quando Zeus cresce, costringe il padre a “restituirgli” i suoi fratelli. Ecco che comincia la Titanomachia, guerra che vede Zeus e i suoi fratelli, da una parte, e Crono e i Titani, dall'altra.\nGrazie alla profezia di Gea, secondo cui Zeus avrebbe potuto vincere solo con l’aiuto dei Centimani, i tre fratelli giganti rivedono la luce. Prima di unirsi alla guerra, il dio fa mangiare loro nettare e ambrosia. Cotto, parlando anche per i fratelli Centimani, ringrazia Zeus di averli tirati fuori dalle tenebre e slegato le loro catene, cosa che pensavano non potesse succedere. Ecco, quindi, il motivo per cui avrebbero partecipato con entusiasmo alla guerra contro i Titani.\nCon un masso in ciascuna mano, Cotto, Briareo e Gige eclissano i Titani. Seguendo l’esempio di Urano, i tre fratelli li legano e li fanno affondare quanto più possibile nelle profondità della Terra.\nIl destino dei Centimani è poco chiaro: all’inizio di Teogonia, ci viene detto che i tre fratelli ritornano a Tartaro, vicino le prigioni dei Titani; più avanti, leggiamo che Cotto e Gige vivono in ville sull’oceano, mentre Briareo, premiato da Poseidone per la sua bontà, sposa Cimopolea, figlia del dio del mare.\n\nL'Iliade.\nIn quest’opera, il nome di Briareo è accennato dall’autore quando: dice che il gigante ha in realtà anche un secondo nome, Aegaeon; si parla della guerra tra titani e dei; in un episodio della vita di Achille. Il guerriero, chiedendo alla madre di intercedere per lui con Zeus, le ricorda di quando lei gli raccontava di avere salvato il dio, in lotta con i fratelli, dopo aver portato Briareo sull’Olimpo.\n\nLa Titanomachia.\nNon possiamo dirlo con certezza, perché il poema epico è disperso, ma, basandoci sul titolo, l’argomento trattato doveva essere la guerra tra gli dei dell’Olimpo e i titani. Nonostante fosse stata scritta dopo, Titanomachia presentava una versione dei fatti diversa da quella riportata in Teogonia. Apollonio Rodio, infatti, scrive che Briareo è figlio della Terra e del Mare, dove vive, e combatte al fianco dei titani.\n\nIone di Chio.\nAnche il poeta del quinto secolo A.C. scrive che Aegaeon vive nel mare ed è figlio di Talassa.\n\nVirgilio.\nVirgilio, come Esiodo, racconta che i Centimani vengono dal sottosuolo, insieme a creature bestiali quali centauri, Scilla, l’Idra di Lerna, la Chimera, le gorgoni, le arpie e Gerione.\nNell’Eneide, il poeta rappresenta Briareo con cento braccia e cento mani, tutti con una spada e uno scudo per proteggersi dai fulmini di Giove. Capiamo, quindi, che secondo Virgilio i Centimani combattono al fianco dei titani nella guerra contro gli dei.\nAnche Servio sembrerebbe conoscere due versioni diverse della Titanomachia: una in cui i centimani combattono a fianco degli dei olimpici e una in cui si alleano ai Titani.\n\nOvidio.\nIl poeta latino fa riferimento a Briareo e Gige nei suoi poemi. In Fasti, Briareo appare come “la stella del Nibbio” (probabilmente un astro o una costellazione che prendono il nome dal volatile) che arriva per dimorare nei cieli. Secondo Ovidio, la madre Terra dà vita a un figlio mostruoso, parte toro e parte serpente, a cui viene predetto che chi avrebbe bruciato le sue interiora, sarebbe riuscito a sconfiggere gli dei. Avvisato dalle tre Moire, il fiume Stige chiude il gigante in un bosco oscuro senza vie di fuga. Dopo che i Titani sono sconfitti, Briareo sacrifica il toro con un’ascia, ma mentre sta per bruciare le interiora, i nibbi inviati da Giove riescono a sottrargliele e portarle via. Come ricompensa, il dio olimpico gli dedica una costellazione.\nIn Metamorfosi, Ovidio descrive Aegaeon come un dio marino di colore scuro, le cui braccia forti possono sconfiggere le balene più forti.\nIn entrambi i poemi, lo scrittore segue la tradizione mitologica riportata nella Titanomachia, dove Briareo è figlio di Pontus e alleato dei Titani.\nIn Amores, viene citato anche Gige, nell’episodio in cui la Terra tenta debolmente di vendicarsi e arrivare a Ossa e in Fasti, vediamo Cerere (Demetria) lamentarsi del rapimento di sua figlia e dire: “quale destino peggiore avrei sofferto se Gige avesse vinto e fossi stata io la sua prigioniera”. In entrambi i poemi, Ovidio confonde i centimani con i Giganti (un’altra discendenza di Gea), che invece assaltano l’Olimpo nella Gigantomachia.\n\nApollodoro.\nCome Ovidio, anche lo storico greco Apollodoro parla dei centimani, ma in modo diverso. Secondo lui, i tre fratelli sono i primi figli di Urano e Gea, seguiti poi dai Ciclopi e i Titani.\nLo storico li descrive “di statura senza eguali e con cento mani e cinquanta teste”. Urano imprigiona i centimani e i ciclopi nel Tartaro, “un posto buio nell’Ade, tanto distante dalla Terra quanto quest’ultima lo è dal cielo”, ma, contrariamente a quanto dice Esiodo, non vengono incatenati. Dopo aver sconfitto Urano, i Titani liberano i fratelli e fannodi Crono il loro sovrano. È proprio Crono, però, a segregare di nuovo i sei familiari.\nNel decimo anno dall’inizio della Titanomachia, Zeus apprende da Gea che per vincere, avrebbe avuto bisogno di centimani e ciclopi: ecco che li libera.\n\nAltri.\nIn Leggi, Platone cita brevemente “Briareo e le sue cento mani”.\nOrazio menziona due volte Gige, associandolo alla Chimera. i due diventano esempi di un potere malvagio, odiato dagli dei.\nAnche Servio sembrerebbe conoscere due versioni diverse della Titanomachia: una in cui i centimani combatterono a fianco degli dei olimpici, come dice anche Esiodo, e una in cui furono alleati dai Titani, come scritto nella versione perduta del poema.\nNel suo Dionisiache, Nonno di Panopoli menziona Briareo con le sue “mani scattanti” e Aegaeon come il “protettore delle leggi di Zeus”.\n\nNella letteratura.\nBriareo viene citato due volte nella Divina Commedia di Dante: è il primo gigante che troviamo nel nono cerchio dell’Inferno ed è un esempio di superbia, scolpito nella pavimentazione della prima cornice del Purgatorio.\n\nNella cultura di massa.\nNel romanzo Lunedì inizia sabato dei fratelli Strugatskij (1965), Briareo, Cotto e Gige vivono nel vivarium dell'istituto di ricerca per la magia e la stregoneria di Solovets e alle volte vengono impiegati per lavori di fatica, come trasportare e caricare sui camion le attrezzature scientifiche.\nNel videogioco per PlayStation 3 God of War: Ascension l'ecatonchiro Briareo si ribella a Zeus, con il quale era stato alleato nel corso della Titanomachia. Avendo tradito il suo patto di alleanza con Zeus, Briareo scatena l'intervento delle Erinni, che lo catturano, lo torturano e trasformano il suo corpo in una gigantesca fortezza vivente nella quale rinchiudono i traditori da loro puniti. In questa fortezza verrà anche rinchiuso per breve periodo il protagonista Kratos per avere violato il suo patto di fedeltà con Ares.\nBriareo compare nel quarto volume della saga di Percy Jackson e gli dei dell'olimpo. È tenuto prigioniero da Campe nel carcere di alcatraz, terrorizzato dal ritorno dei titani. Viene salvato da i protagonisti Percy Jackson, Annabeth Chase, Tyson e Grover. Una volta liberato, e convinto a combattere da Tyson e Dedalo, si unisce prima alla Battaglia del labirinto e poi alla guerra dei titani unendosi con gli dei contro Tifone nel quinto e ultimo volume della prima saga.\nIn Street Fighter V di Capcom Hecatoncheires è il nome di una delle mosse speciali appartenenti a Seth, con la quale può scagliare una violenta raffica di pugni come se fosse dotato, appunto, di molte braccia.\n\nRiferimenti.\nAelian, Historical Miscellany, tradotto da Nigel G. Wilson, Loeb Classical Library No. 486. Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1997. ISBN 978-0-674-99535-2. Online version at Harvard University Press.\nApollodorus, Apollodorus, The Library, with an English Translation by Sir James George Frazer, F.B.A., F.R.S. in 2 Volumes. Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press; London, William Heinemann Ltd. 1921. Online version at the Perseus Digital Library.\nApollonius Rhodius, Argonautica, edito e tradotto da William H. 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Egli crebbe e sposandosi ebbe un figlio, Agenore (o Arestore); fu nonno del mostro Argo Panoptes, che per ordine di Era tenne a bada Io, colei che Zeus voleva, che in realtà essendo figlia di Inaco a sua volta era una discendente del fratello di Ecbaso, Peranto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Echela.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Echela (in greco antico: Ἐχέλαος) era il nome di uno dei figli di Pentilo.\n\nIl mito.\nPartì con il suo gruppo, fra cui vi era Sminteo, decisi a colonizzare l'isola di Lesbo. Durante il viaggio giunsero innanzi ad uno scoglio noto con il nome di Mesogeon. A quel punto dovevano appagare le richieste avanzate dall'oracolo tempo addietro: dovevano sacrificare un toro e una donna, il primo per soddisfare il dio dei mari Poseidone, il secondo sacrificio era per placare le ire possibili delle Nereidi. Scelsero a caso la fanciulla da sacrificare e il destino scelse la figlia di Sminteo. Enalo, un ragazzo innamorato della ragazza si gettò con lei, e forse si salvarono." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Echidna (mitologia).\n### Descrizione: Echidna (in greco antico: Ἔχιδνα?, Échidna) è un personaggio della mitologia greca che aveva la forma di un corpo di donna che terminava con una coda di serpente al posto delle gambe.\n\nGenealogia.\nLa figura di Echidna è stata ripresa da vari autori.\nEsiodo cita dei riferimenti all'oceanina Ceto e senza specificare che il padre sia il marito Forco ma poi la definisce figlia di Crisaore e di un'altra oceanina (Calliroe) e quindi sorella di Gerione. Pausania cita come madre l'oceanina Stige, mentre Apollodoro scrive invece che sia figlia di Tartaro e Gaia.\nLe sono stati attribuiti molti figli mostruosi, avuti non sempre dallo stesso compagno. Unendosi a Tifone generò Ortro Cerbero, la Sfinge, l'Idra di Lerna e la Chimera. Unendosi al figlio Ortro generò il Leone di Nemea e, secondo Esiodo, sempre da Ortro e non da Tifone partorì anche Sfinge.Secondo alcuni anche il drago Ladone e l'avvoltoio che torturava il titano Prometeo, quando quest'ultimo era incatenato sul Caucaso, erano figli di Echidna. Pare che anche la scrofa di Crommio fosse figlia di Tifone ed Echidna. Anche Porcete e Caribea (i due serpenti che assalirono e uccisero Laocoonte e i suoi figli) e il Drago della Colchide (che custodiva il Vello d'Oro) erano figli di Tifone ed Echidna.\nSi racconta che Echidna ebbe anche tre figli da Eracle: Agatirso, Gelono e Scite (capostipite degli sciti). Infatti, mentre l'eroe stava conducendo da Euristeo la mandria di Gerione durante la decima sue fatiche, Echidna gli rubò la mandria e le cavalle e glieli riconsegnò solo dopo aver goduto dell'eroe.\n\nMitologia.\nViveva rinchiusa in una caverna della Cilicia, nel paese degli Arimi. Altre tradizioni la pongono nel Peloponneso: qui sarebbe stata uccisa da Argo dai Cento Occhi, perché aveva l'abitudine di divorare i passanti.\nGli abitanti delle colonie greche del Ponto Eusino raccontavano una leggenda su Echidna piuttosto diversa. Secondo loro, una volta giunto in Scizia Eracle mise i suoi cavalli a pascolare prima di addormentarsi; una volta risvegliatosi, non li trovò più. Cercandoli, trovò il mostro Echidna che viveva in una caverna e che gli promise di restituirgli i cavalli se avesse acconsentito a unirsi a lei. Eracle accettò ed essi ebbero tre figli: Agatirso; Gelono, eponimo della città di Gelona; e Scite, che dette il nome alla stirpe degli Sciti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Echione (figlio di Ermes).\n### Descrizione: Echione (in greco antico: Ἐχίων?, Echìōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ermes e Antianira.\n\nEtimologia del nome.\nIl nome Echione (greco antico: Ἐχίων, gen.: Ἐχίονος), deriva da ἔχις èchis 'vipera'.\n\nMitologia.\nFu tra i partecipanti alla caccia del cinghiale di Calidone e fece parte degli Argonauti che conquistarono il vello d'oro come araldo del gruppo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Echo stoa.\n### Descrizione: L'Echo Stoà era una stoà del Santuario di Olimpia. Fu costruito intorno al 350 a.C., ad est dell'Altis. Delimitava il recinto orientale del santuario.\n\nL'edificio.\nLo stadio, cessando di essere un luogo di culto, si trasferì fuori dall'area sacra dell'Altis. C'era una zona vuota tra il versante orientale del nuovo stadio e i limiti del sito sacro dove arrivavano le macerie della nuova tribuna. Per abbellire l'area e dare un contenimento alle terre è stato costruito l'Echo stoà.Una serie di dettagli tecnici e artistici suggeriscono che è stato costruito nella stessa epoca del Philippeion Con entrambi gli edifici fu abbellito l'Altis, e in questo modo Filippo II di Macedonia ha voluto ingraziare i greci dopo la battaglia di Cheronea.Le sue dimensioni erano 96,50 m di lunghezza e 12,50 m di profondità. La facciata aperta che si affacciava sull'Altis era costituita da 44 colonne doriche. Un secondo colonnato in stile ionico sosteneva il soffitto a volta. La parte finale dell'edificio consisteva in uno spazio della stessa lunghezza totale dell'edificio, stretto e diviso in diversi compartimenti che probabilmente servivano per il deposito delle attrezzature sportive. Il muro di fondo fungeva da muro di confine e contenitore dell'argine della tribuna ad ovest dello stadio.Di fronte alla facciata che dava sull'Altis, sorsero numerose figure di ex-voto e statue, alcune le cui fondamenta sono ancora apprezzabili.Secondo Pausania, l'edificio fu chiamato anche Pecile perché le sue pareti erano precedentemente decorate con dipinti. Aggiunge, che si chiamava anche Stoà dell'Eco, perché dalla sonorità del suo recinto, il suono di un urlo veniva ripetuto sette volte o anche più dall'eco. Così l'altro nome era anche Eptafono.Sotto il mandato dell'imperatore romano Adriano furono eseguite diverse riforme e riparazioni nell'edificio di cui a malapena rimase traccia dopo essere stato smantellato nell'anno 267, per usare i suoi materiali nella costruzione del muro difensivo contro l'invasione degli Eruli." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ecuba.\n### Descrizione: Ecuba (greco: Ἑκάβη Hekábē; latino: Hecuba) o Ecabe è un personaggio della mitologia greca che fu regina di Troia, seconda moglie di Priamo e madre della maggior parte dei suoi figli.\nALBERO GENEALOGICO.\n\nLa sua genealogia era oggetto di controversia nell'antichità. Esistevano due tradizioni: una ne faceva la figlia di Dimante, re di Frigia ; l'altra, quella di Cisseo, re di Tracia e di Telecleia. Nel primo caso ella discende dal fiume Sangario. Una variante di questa tradizione faceva del Sangario non un suo bisnonno, ma suo padre, il quale l'avrebbe avuta dalla ninfa Evagora. Le si attribuiva, altresì per madre, la figlia di Xanto, Glaucippe. La moglie di Dimante invece era la ninfa Eunoe ed aveva avuto un altro figlio, Asio.\nLa tradizione che ricollega Ecuba a Dimante e alla Frigia è quella dell'Iliade. Le origini tracie sono preferite dai Tragici, particolarmente da Euripide. Nelle fonti che vogliono Ecuba figlia di Cisseo, ella ha due sorelle, Teano, sposa di Antenore, e un'altra di cui non si conosce il nome, molto più giovane, moglie di Ifidamante, l'ultimogenito di Teano.\nIl problema genealogico posto dalla figura di Ecuba era così complesso che l'imperatore Tiberio, di facile ironia, amava proporlo ai grammatici del suo tempo.\n\nMito.\nMatrimonio con Priamo.\nIl re di Troia Priamo sposò dapprima Arisbe, figlia del veggente Merope, e lei gli dette un figlio di nome Esaco, anch'egli indovino. Ma quando fu stanco di lei, la ripudiò affidandola a Irtaco, che a sua volta generò con lei due figli, Asio e Niso, gli Irtacidi, i quali in seguito presero parte alla guerra di Troia.\nPriamo prese dunque in seconde nozze Ecuba, che allora era molto giovane e di cui egli si era profondamente innamorato. Ella generò al marito diciannove dei cinquanta figli che Priamo ebbe in totale, tra cui Ettore, Paride, Cassandra, Eleno e il primo Polidoro. Priamo istituì la poligamia per poter sposare anche Laotoe, figlia del re dei Lelegi, che gli diede altri due figli (Licaone e il secondo Polidoro), mentre tutti gli altri furono generati con concubine e schiave. Ma ciò è smentito da Euripide, che portava a cinquanta il numero dei figli e li considerava tutti procreati dalla sola Ecuba.\nApollodoro invece parla solo di quattordici figli:.\n\nil primogenito fu Ettore, sebbene egli fosse ritenuto figlio di Apollo e della regina;.\nParide, soprannominato Alessandro, la cui nascita fu annunciata da un sogno profetico, era il secondogenito;seguirono poi quattro figlie:.\n\nIliona (che la maggior parte degli autori non riporta), andata in sposa a Polimestore, re di Tracia; questa prima figlia fu seguita da:.\nCreusa, sposa di Enea;.\nLaodice, la più bella;.\nPolissena, la più giovane di queste quattro;seguirono poi figli maschi, e tra di loro la profetessa Cassandra; l'ordine sarebbe questo:.\n\nDeifobo;.\nEleno;.\nCassandra, (che secondo una versione è sorella gemella di Eleno);.\nPammone;.\nPolite;.\nAntifo;.\nIpponoo.\nPolidoro, che secondo alcuni autori fu però generato in Ecuba da Apollo.\nL'ultimo nato fu Troilo, il più amato della famiglia, secondo alcune leggende generato anch'egli da Apollo. Le si attribuiva anche un quindicesimo figlio, chiamato Polidamante.Il matrimonio con Priamo permise ad Ecuba di affiancarlo nel governo della città e nelle esigenze dei loro sudditi. La regina, alternando alla politica l'allevamento e l'educazione dei suoi figli, si rivelò un'abile donna, anche capace di dare consigli utili al marito e alla sua numerosa prole. Durante questo periodo, Ecuba si rivelò fedele a Priamo nei suoi doveri coniugali, sebbene alcuni autori raccontino delle sue avventure erotiche con il dio Apollo. La divinità, delusa dall'ostinato rifiuto amoroso di una figlia di Ecuba, Cassandra, si consolò con la regina con la quale giacque per una notte. Dall'unione sarebbe nato Polidoro (che altrove è ritenuto figlio di Priamo), e probabilmente anche Troilo, il quale, secondo un oracolo annunciato dallo stesso Apollo, se avesse compiuto venti anni avrebbe risparmiato alla città su cui governavano i suoi genitori una fine triste. Stesicoro attribuiva a questi amori segreti anche il concepimento dell'eroe Ettore.\n\nPremonizioni di Ecuba.\nEcuba ebbe numerosi figli dal matrimonio con Priamo, alcuni dei quali, in particolar modo, si rivelarono prodigiosi a causa di doni o benefici concessi loro dagli dèi stessi. Più volte la regina troiana si trovò ad essere la testimone di questi eccezionali doni, o addirittura l'intermediaria tra la divinità e la sua progenie, attraverso sogni, visioni, o incubi notturni.\nDopo la nascita del primogenito Ettore, la regina rimase incinta di un secondo bambino, ed era ormai sul punto di darlo alla luce. La notte del parto, tuttavia, Ecuba sognò di partorire dal suo ventre una fascina di legna, ricolma di serpenti; contemporaneamente vedeva una torcia accesa, che nasceva sempre dal suo ventre, appiccando fuoco alla roccaforte di Troia e all'intera foresta del monte Ida. La regina si svegliò urlando per l'orrenda visione, il che spaventò Priamo che ordinò immediatamente di condurre i migliori indovini a corte. Il primo ad essere consultato fu suo figlio Esaco.\n\nLa tragica fine.\nLa figura di Ecuba assume un ruolo di primissimo piano in due tragedie di Euripide: Le Troiane e Ecuba. Nella prima Ecuba viene destinata come schiava ad Ulisse e le tocca di assistere alla morte del nipote Astianatte. Nella seconda, dramma personale, si esalta l'orgoglio e l'amore di una regina che vede i suoi figli perire uno ad uno. La morte del figlio Polidoro per mano del re del Chersoneso Polimestore viene da lei vendicata con l'accecamento dello stesso Polimestore. Ecuba s'accese d'ira per la caduta di Troia e l'uccisione dei suoi abitanti e uccise Elena, la nipotina frutto dell'amplesso di Paride con Elena.\nEcuba fu destinata in schiava ad Ulisse e salpò alla volta del Chersoneso, in Tracia, ma ricoprì d'insulti Ulisse e la sua ciurma per la loro mancanza di parola e crudeltà al punto che i soldati la misero a morte. Il suo spirito assunse l'aspetto di un'orrenda cagna nera che segue Ecate, si tuffò in mare e nuotò sino all'Ellesponto. Fu sepolta in un luogo, che prese il nome «Cinossema' o 'Tomba della Cagna». Sarebbe effettivamente esistito presso l'odierna Gallipoli (Turchia), sullo stretto dei Dardanelli, in epoca antica un alto cumulo di pietre in riva al mare, che serviva come punto di riferimento ai marinai. Un mito successivo aggiunge che Ecuba fu posta da Zeus tra le stelle del firmamento, divenendo la costellazione dell'Orsa Minore, così che con la Stella Polare orienta i naviganti, come sulla Terra fa la Cinossema.\nSecondo un'altra versione, Ecuba rinvenne il corpo del piccolo Polidoro sulla spiaggia, su cui era stato sospinto dalle onde del mare. Il fanciullo era infatti stato affidato da Priamo al re Polimnestore, ma l'uomo lo uccise per appropriarsi dell'oro destinato alla sua educazione. Ecuba richiamò Polimnestore con il pretesto di dovergli rivelare la posizione di un tesoro reale celato tra le ceneri di Troia. Quando il re accorse in fretta insieme ai due figlioletti al cospetto della regina, Ecuba estrasse una spada dalle sue vesti, uccise i due bambini e accecò Polimnestore affondandogli le dita con forza nelle orbite. L'uomo, imbestialito per il tradimento, supplicò Agamennone di punire la donna, ma il re di Micene prese le difese di Ecuba e ribadì che Polimnestore era stato così punito per la sua avidità. Polimnestore predisse in risposta l'uccisione di Agamennone e Cassandra.\nI nobili del Chersoneso s'avventarono allora furenti contro Ecuba per vendicare il loro re scagliandole sassi e dardi, ma essa si tramutò in una cagna chiamata Mera e iniziò a correre in tondo latrando e frantumando le pietre con i denti, al punto che tutti si ritrassero impauriti.\n\nEcuba di Shakespeare.\nNella tragedia Amleto di William Shakespeare nell'atto secondo, il principe Amleto, meditando la sua vendetta, chiede a una compagnia di attori di recitare quel momento della presa di Troia quando Pirro uccide selvaggiamente il vecchio re Priamo. L'attore, quando descrive la regina Ecuba disperata, sbianca e piange calde lacrime. Amleto ne rimane colpito, pensando a sua madre e riflettendo che Ecuba è solo un personaggio antico, mitico, eppure è capace suscitare in un uomo così lontano dalla sua epoca queste forti emozioni, per cui esclama: «E tutto ciò per nulla!... Per Ecuba! Che cos'è Ecuba per lui, o lui per Ecuba, perch'egli possa piangere così?»." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Edilogo.\n### Descrizione: In mitologia greca, Edilogo (greco antico: Ἡδυλόγος Hēdýlogos) era il dio delle dolci parole sussurrate, dell'adulazione, dell'adorazione, delle chiacchiere e delle lusinghe e uno degli dei dell'amore alati chiamati eroti, insieme a Pothos, Eros, Anteros, Imero ed Imene.\nNon è menzionato in nessuna letteratura esistente, ma è raffigurato su antiche pitture vascolari greche. Un esempio di sopravvivenza su una pisside a figure rosse della fine del V secolo a.C. mostra Edilogo insieme al fratello Pothos disegnare il carro di Afrodite.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Edilogo, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Edipo a Colono.\n### Descrizione: Edipo a Colono (in greco antico: Oἰδίπoυς ἐπὶ Κολωνῷ?, Oidìpus epì Kolōnō) è una tragedia scritta da Sofocle e rappresentata postuma nel 401 a.C. L'opera viene a volte indicata anche come Edipo coloneo o Edipo secondo, in quanto costituisce la prosecuzione della vicenda raccontata dallo stesso Sofocle nell'Edipo re. La storia collettiva della famiglia di Edipo viene chiamata saga dei Labdacidi.\n\nTrama.\nEdipo, ormai mendico e cieco, nel suo vagabondare insieme alla figlia Antigone, arriva a Colono, un sobborgo nei pressi di Atene, in obbedienza ad un'antica profezia che diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo, conosciuta la sua identità, vorrebbero allontanarlo, ma il re di Atene, Teseo, gli accorda ospitalità e protezione. A questo punto Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli Ateniesi la sua tomba preserverà i confini dell'Attica.L'altra figlia, Ismene, li raggiunge portando la notizia dello scontro fra i fratelli Eteocle e Polinice, anch'essi figli di Edipo. Secondo un oracolo avrebbe ottenuto la vittoria quello dei fratelli che fosse riuscito ad assicurarsi l'appoggio paterno. Arriva anche Creonte, re di Tebe, per convincere Edipo a tornare in patria ma, visto il rifiuto di quest'ultimo, Creonte prende in ostaggio le figlie, che vengono però messe in salvo da Teseo. Giunge poi Polinice nel tentativo di ingraziarsi le simpatie del padre, ma, dopo un litigio nel quale maledice lui e il fratello Eteocle (i due moriranno l'uno per mano dell'altro, come viene raccontato nei Sette contro Tebe di Eschilo), viene scacciato da Edipo. Infine si manifestano una serie di prodigi divini che fanno capire ad Edipo che la sua fine è vicina.Egli viene accompagnato da Teseo in un boschetto sacro alle Eumenidi e lì sparisce per volontà degli dei, dopo aver predetto al re di Atene lunga prosperità per la sua città. Antigone e Ismene vorrebbero correre a vedere il luogo in cui il loro padre ora riposa ma Teseo le ferma: a nessuno è lecito accostarsi a quel luogo. Le due sorelle si preparano allora a fare rientro a Tebe.\n\nCommento.\nLa riabilitazione di Edipo.\nGiunge a conclusione la vicenda umana di Edipo, un re che aveva conosciuto grandi glorie e ancor più grandi sventure. Aveva ottenuto il trono grazie ad un'impresa mai riuscita ad altre persone: aveva risposto correttamente all'enigma posto dalla Sfinge. Edipo era dunque un re carismatico, illuminato e rispettato, ma senza sua colpa perse tutto quanto aveva ottenuto, perché si seppe che, sia pure senza saperlo, aveva ucciso il proprio padre Laio, per poi procreare figli con Giocasta, la propria madre. Edipo diventò dunque in breve tempo un mendicante in esilio, cieco e disprezzato da tutti. Con l'Edipo a Colono quel cieco, che aveva subito le peggiori sventure senza averne colpa, viene alla fine riabilitato, poiché la sua sparizione nel boschetto di Colono significa in primis la sua trasformazione in un prescelto, un eroe protettore della città.\n\nUna riflessione sulla morte.\nSofocle, che era nativo proprio di Colono, scrisse questa tragedia quando aveva novant'anni, pochi mesi prima di morire. Non può essere quindi un caso che l'autore ormai anziano abbia scelto di trattare proprio il tema della morte di Edipo, intrecciando quindi il mito con aspetti chiaramente autobiografici. Un esempio è il primo stasimo dell'opera, un commosso inno alle bellezze di Colono, alle sue piante, ai suoi cavalli e al mare, che nasconde probabilmente il nostalgico ricordo della giovinezza dell'autore nel suo paese natale. Verso la fine dell'opera, poi, quando Edipo è prossimo a recarsi nel boschetto dove incontrerà il suo destino, il coro si lancia in una riflessione sulla morte che indubbiamente riflette le convinzioni degli antichi greci sul punto, nonché, forse, dello stesso autore. La vita umana è un mistero, pieno di sofferenze ed apparentemente insensato, su cui infine si distende la morte come una forma di liberazione." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Edipo.\n### Descrizione: Edipo (in greco antico: Οἰδίπους?, Oidípūs, che significa 'dai piedi gonfi' da ��ἶδος òidos 'rigonfiamento' e πούς pūs 'piede'; in latino Oedĭpus) è un eroe della mitologia greca.\n\nIl mito.\nLa nascita e il destino di Edipo.\nLaio, marito di Giocasta e re di Tebe, era afflitto dalla mancanza di un erede: consultò quindi in segreto l'oracolo di Delfi, che gli spiegò come quella che sembrava una benedizione, fosse in realtà una disgrazia, dato che suo figlio non soltanto l'avrebbe ucciso ma avrebbe anche sposato la madre, dando inizio a uno spaventoso susseguirsi di disgrazie che avrebbero provocato la rovina della casa. Sperando di salvarsi Laio ripudiò la moglie senza spiegazioni ma, ubriacatolo, Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte.\n\nQuando, nove mesi dopo, la donna partorì un bambino, per evitare il compimento dell'oracolo, Laio lo strappò dalle braccia della nutrice, gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo fece 'esporre' (lo abbandonò cioè in una foresta) da un servo; il piccolo venne poi trovato dal pastore Forbante che lo portò da Peribea, moglie del re di Corinto Polibo, presso la cui corte il bimbo crebbe credendo di essere figlio del re. Al bambino venne dato il nome Edipo, che in greco vuol dire 'piede gonfio', a causa delle ferite che aveva nelle caviglie.Anni dopo un nemico di Edipo, volendolo offendere, gli disse che lui non era figlio di Polibo ma un trovatello: turbato, il giovane interrogò il re di Corinto il quale, dopo molte reticenze, mentì dicendogli che quella non era affatto la verità. Edipo, ancora incerto, stabilì di interrogare l'oracolo di Delfi per sapere chi fossero i suoi genitori ma quando giunse al santuario la Pizia, inorridita, lo cacciò predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Edipo, atterrito dal vaticinio, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe.\nDurante il cammino verso la Focide, Edipo si imbatté in un cocchio guidato da Laio e diretto al santuario delfico per chiedere alla Pizia come liberare Tebe dalle calamità che la tormentavano (in particolare una Sfinge imponeva indovinelli a chi passava e, se l'interrogato non riusciva a rispondere, lo divorava): vedendo il giovane l'araldo di Laio, Polifonte (o Polipete), gli ordinò di lasciare passare il re, ma poiché Edipo non obbediva Polifonte uccise uno dei suoi cavalli e avanzò con il carro ferendogli un piede; incollerito, Edipo balzò sul cocchiere uccidendolo mentre Laio si trovò incastrato nelle redini dei cavalli ed Edipo, gettatolo a terra e frustate le bestie, lo trascinò nella polvere fino a ucciderlo. La prima parte della profezia si era compiuta.\nAlla notizia della morte di Laio i tebani elessero come re Creonte, fratello di Giocasta, il quale fece annunciare che avrebbe ceduto il trono e dato in moglie la sorella a colui che avesse risolto l'enigma della sfinge.\n\nL'enigma della Sfinge.\nEdipo giunse quindi a Tebe e incontrò la Sfinge accovacciata sul monte Ficio: la creatura, figlia di Tifone e di Echidna, era un mostro con la testa di donna, il corpo di leone, una coda di serpente e ali di rapace ed era stata inviata contro i tebani da Era perché in passato Laio aveva rapito e violentato Crisippo, figlio del re Pelope, il quale si era poi suicidato.\nA ogni passante la creatura esponeva un enigma insegnatole dalle Muse: «Qual è l'essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre e che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?»; esisteva anche un altro enigma: «Esistono due sorelle, delle quali l'una genera l'altra, e delle quali la seconda, a sua volta, genera la prima. Chi sono?». Una versione forse più antica raccontava che ogni giorno i Tebani si incontravano nella piazza della città per cercare di risolvere in comune l'indovinello e ogni giorno, a conclusione della seduta, la Sfinge divorava uno di essi.\n\nDopo avere ascoltato gli enigmi Edipo comprese quali erano le risposte: quella al primo indovinello era l'uomo, perché esso cammina durante l'infanzia a quattro gambe, poi a due e infine si appoggia a un bastone nella vecchiaia; al secondo erano il Giorno e la Notte. La Sfinge, indispettita, si precipitò dall'alto della rupe sulla quale era appollaiata mentre, secondo altre versioni, fu Edipo stesso a spingerla nell'abisso. Creonte, soddisfatto dell'impresa e soprattutto di vedere vendicata la morte di suo figlio, cedette il trono a Edipo, il quale sposò Giocasta andando ad avverare fino in fondo la tremenda profezia: dalla loro unione nacquero due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigone e Ismene.\nDopo un lungo e felice periodo di regno, la peste si abbatté sulla città di Tebe ed Edipo inviò Creonte a chiedere all'oracolo di Delfi la ragione di quel flagello: Creonte ritornò riportando la risposta della Pizia secondo cui la peste sarebbe cessata soltanto se la morte di Laio fosse stata vendicata. Edipo pronunciò allora contro l'autore di quel delitto una maledizione condannandolo all'esilio e poi interrogò l'indovino Tiresia per chiedergli chi fosse il colpevole. Tiresia, che grazie alle sue facoltà era a conoscenza della verità, tentò di evitare la risposta e così Edipo sospettò che lo stesso Tiresia e Creonte fossero gli autori del delitto.\nGiocasta mise quindi in discussione la chiaroveggenza di Tiresia e a prova di questo riportò la profezia che lui stesso aveva fatto: Laio doveva infatti morire per mano del figlio ma era stato ucciso dai briganti a un trivio. Edipo temette quindi di essere l'assassino di Laio e si fece descrivere il precedente re e la carovana che lo portava, quando giunse da Corinto un araldo che lo informò della morte dell'uomo che lui credeva suo padre, Polibo. Giocasta e Edipo credettero così che la profezia fosse stata scongiurata, ma l'araldo disse a Edipo che in realtà Polibo non era suo padre: ormai scoperta la tremenda verità Giocasta si impiccò ed Edipo si trafisse gli occhi con la spilla della moglie-madre.\n\nL'esilio e la fine di Edipo.\nPer qualche tempo Creonte, rieletto re, tenne nascosta la vicenda finché i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, scoperta la verità gli chiesero di cacciarlo da Tebe: disgustato dal loro comportamento, Edipo li maledisse predicendo loro che si sarebbero divisi e sarebbero morti l'uno per mano dell'altro; successivamente l'ex re, accompagnato dalle figlie, cominciò a peregrinare per il Paese chiedendo l'elemosina.\n\nDopo lunghi anni, in cui vagò per tutta la Grecia, Edipo giunse infine con le figlie a Colono presso il bosco dedicato alle Erinni, nel quale si addentrò per attendere la morte: ebbe così modo di trovare Teseo, il giusto e sapiente re di Atene, che lo confortò e lo accolse ospitalmente nella sua reggia. Avendo un oracolo dichiarato che il paese che avesse accolto la tomba di Edipo sarebbe stato benedetto dagli dei, Creonte cercò di convincere Edipo a tornare a Tebe ma l'ex re si rifiutò in modo che la benedizione legata alla sua morte andasse a ripagare l'ospitalità di Teseo.\nPoiché aveva saputo che la fine gli sarebbe stata annunciata da tuoni e fulmini, al primo tuono fece chiamare Teseo: assieme a lui Edipo giunse nei pressi di un abisso, presso il quale alcuni gradini di bronzo conducevano agli Inferi. Edipo si sedette, si tolse gli abiti sporchi, si fece lavare e vestire dalle figlie e con loro intonò il lamento funebre; appena terminato il canto si sentì la voce di un dio che chiamava Edipo e subito dopo risuonò un altro tuono, così forte che Teseo si coprì la faccia con il mantello. Quando tolse le mani dagli occhi, Edipo non c'era più.\n\nEdipo nella psicoanalisi.\nL'Edipo re viene citato a proposito di uno dei più importanti concetti elaborati dallo psicoanalista Sigmund Freud, denominato complesso di Edipo. Esso descrive le pulsioni, anche di tipo sessuale, di ogni maschio nei confronti dei genitori, in particolare in età infantile, e può essere descritto come un desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore dell'altro sesso, accompagnato conseguentemente dal desiderio di morte e di sostituzione del genitore dello stesso sesso. Per quanto riguarda le donne è stato elaborato il concetto parallelo di complesso di Elettra.\n\nGenealogia.\nEdipo nell'arte.\nPittura.\nJean-Auguste-Dominique Ingres, Edipo e la Sfinge (1827) - Museo del Louvre, Parigi.\nGustave Moreau, Edipo e la Sfinge (1864) - Metropolitan Museum, New York.\n\nLetteratura.\nEdipo (Oedipe) di Pierre Corneille.\nEdipo di Francisco Martínez De La Rosa.\nEdipo (Oedipus) di John Dryden e Nathaniel Lee.\nEdipo di Eschilo (opera perduta).\nEdipo di Euripide (opera perduta).\nEdipo (Oédipus) di Lucio Anneo Seneca il giovane.\nEdipo (Oedipe) di Voltaire.\nEdipo a Colono di Sofocle.\nEdipo e la Sfinge di Hugo von Hofmannsthal.\nEdipo nel bosco delle Eumenidi di Giovanni Battista Niccolini.\nEdipo re di Sofocle.\nEdippo - Tragedia di Giovanni Andrea Dell'Anguillara.\nL'Edipo romantico di August von Platen-Hallermünden.\nEdipodia (opera perduta), poema epico forse di Cinetone di Sparta.\nTebaide di Stazio.\nLa machine infernale di Jean Cocteau.\nMes Oedipes di Jacqueline Harpman.\nLa morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt.\nEdipo sulla strada di Henry BauchauAnche il dramma di Pedro Calderón de la Barca La vita è sogno è riconducibile, pur con alcuni elementi traslati verso il Cristianesimo, alla vicenda di Edipo.\n\nMusica.\nEdipo (Oedipus) di Henry Purcell per l'Edipo re di Sofocle.\nOedipe, opera di George Enescu in quattro atti, libretto di Edmond Fleg.\nEdipo a Colono di Flor Alpaerts, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Felix Mendelssohn Bartholdy, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Heinrich Bellermann, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Eduard Lassen, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Frank Martin, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Joseph Guy Ropartz, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Gioachino Rossini, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Antonio Maria Gaspare Sacchini, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo a Colono di Nicola Antonio Zingarelli, musiche di scena per l'Edipo a Colono di Sofocle.\nEdipo ad Atene di Modest Petrovič Musorgskij.\nEdipo re di Eduard Lassen, musiche di scena per l'Edipo re di Sofocle.\nEdipo re di Ruggero Leoncavallo.\nEdipo re di Ildebrando Pizzetti, musiche di scena per l'Edipo re di Sofocle.\nEdipo re di Max von Schillings.\nEdipo re di Charles Villiers Stanford.\nEdipo re (Oedipus Rex), opera-oratorio di Igor' Fëdorovič Stravinskij, libretto di Jean Cocteau.\n\nCinema.\nEdipo re di Giuseppe De Liguoro (1910).\nEdipo re di Pier Paolo Pasolini (1967).\nEdipo Sindaco di Jorge Alì Triana (1996).\nEdipo relitto di Woody Allen (1989), contenuto in New York Stories." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Edoné.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Edoné (Hedoné, Ἡδονή), è una divinità di straordinaria bellezza, figlia di Eros e Psiche, è l'incarnazione del piacere. Può essere annoverata fra le divinità dette Astrazioni.\nNella mitologia romana è chiamata Volupta.\n\nIl mito di Psiche e la nascita di Edoné.\nAfrodite era gelosa della bellezza di una donna mortale di nome Psiche (Psyché, Ψυχή). Chiese quindi a Eros di usare le sue frecce dorate per farla innamorare dell'uomo più brutto della terra. Eros accettò ma si innamorò egli stesso di Psiche (o pungendosi inavvertitamente con una delle sue frecce). Nel frattempo, i genitori di Psiche erano ansiosi perché temevano che la figlia rimanesse senza marito. Consultarono un oracolo che disse loro che Psiche non era destinata ad un amante mortale, ma ad un mostro che viveva in cima ad una certa montagna. Psiche era rassegnata al suo destino e scalò la cima della montagna. Lì, Zefiro, il vento dell'ovest, la sospinse gentilmente verso il basso. Psiche entrò in una caverna di detta montagna, sorpresa di trovarla piena di gioielli e abiti lussuosi. Eros la visitò ogni notte nella caverna ed ebbero dei rapporti sessuali. Eros le chiese solo di non accendere mai alcuna lampada, poiché non voleva che lei sapesse chi egli fosse (avere le ali lo rendeva individuabile). Le due sorelle, gelose di Psiche, la convinsero a trasgredire e così una notte ella accese una lampada, riconoscendo Eros all'istante. Una goccia di olio bollente cadde sul petto di Eros svegliandolo e facendolo fuggire.\nQuando Psiche disse alle sue sorelle maggiori che cosa era successo, esse gioirono in segreto e ognuna si recò separatamente in cima alla montagna per ripetere il modo in cui Psiche era entrata nella caverna, sperando che Eros avrebbe scelto loro. Zefiro invece non le raccolse ed entrambe morirono precipitando fino ai piedi della montagna.\nPsiche andò in cerca del suo amante vagando per la Grecia, quando infine giunse a un tempio di Demetra, il cui pavimento era coperto da mucchi di granaglie mischiate. Psiche iniziò a suddividere i semi per tipo e quando ebbe finito, Demetra le parlò, dicendole che il modo migliore per trovare Eros era quello di trovare la madre di costui, Afrodite, e guadagnarsi la sua benedizione. Psiche trovò un tempio di Afrodite e vi entrò. Afrodite le assegnò un compito simile a quello del tempio di Demetra, ma le diede anche una scadenza impossibile per terminarlo. Eros intervenne, dato che la amava ancora, e fece sì che delle formiche sistemassero i semi per lei. Afrodite si infuriò per il successo e quindi inviò Psiche in un prato dove pascolavano delle pecore dorate per procurarsi della lana dorata. Psiche andò al pascolo e vide le pecore, ma venne fermata dal dio del fiume che avrebbe dovuto attraversare per entrare nel pascolo. Egli le disse che le pecore erano cattive e pericolose e l'avrebbero uccisa, ma se avesse aspettato fino a mezzogiorno, le pecore sarebbero andate a cercare l'ombra dall'altra parte del campo per mettersi a dormire; Psiche avrebbe quindi potuto raccogliere la lana rimasta impigliata tra i rami e sulle cortecce degli alberi. Psiche fece così e Afrodite si infuriò ancor più per lo scampato pericolo ed il successo. Alla fine Afrodite sostenne che lo stress del doversi prendere cura del figlio, depresso e malato per via dell'infedeltà di Psiche, le aveva fatto perdere parte della sua bellezza. Psiche doveva recarsi nell'Ade a chiedere a Persefone, la regina degli Inferi, un po' della sua bellezza da mettere in una scatola nera che le era stata consegnata da Afrodite. Psiche andò fino ad una torre, avendo deciso che il modo più rapido per raggiungere gli inferi era quello di morire. Una voce la fermò all'ultimo minuto e le rivelò un percorso che le avrebbe permesso di entrare e fare ritorno ancora viva, oltre a dirle come passare oltre Cerbero, Caronte e altri pericoli sul percorso. Psiche placò Cerbero, il cane a tre teste, con un dolce al miele e pagò a Caronte un obolo perché la portasse nell'Ade. Lungo il percorso vide delle mani che spuntavano dall'acqua. Una voce le disse di lanciare loro un dolce al miele. Una volta arrivata, Persefone le disse che sarebbe stata lieta di fare un favore ad Afrodite. Al ritorno Psiche pagò nuovamente Caronte, gettò il miele alle mani e ne diede ancora a Cerbero.\nPsiche lasciò gli Inferi e decise di aprire la scatola e prendere per sé una piccola parte della bellezza, credendo che così facendo Eros l'avrebbe sicuramente amata; nella scatola c'era però un 'sonno infernale' che la sopraffece. Eros, che l'aveva perdonata, volò da Psiche e le tolse il sonno dagli occhi, quindi implorò Zeus e Afrodite affinché dessero il loro consenso a sposarla. Essi accettarono e Zeus la rese immortale. Afrodite danzò alle nozze di Eros e Psiche e i due ebbero una figlia chiamata Edoné, o (nella mitologia romana) Volupta.\n\nVoci correlate.\nAmore e Psiche.\nEros.\nPsiche (mitologia).\nAfrodite.\nEdonismo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Edoné." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eea.\n### Descrizione: L'isola di Eea (in greco antico: Αἰαίη?, Aiáiē o Αἰαία, Aiáiā, in latino Aeaea) viene nominata nell'Odissea come dimora della maga Circe e prendeva il nome da Eos, l'aurora.\nChe la sede di Circe fosse un'isola è ben chiaro nel libro X dell'Odissea in quanto Ulisse, salito su una roccia scorse nella sua interezza il contorno dell'isola:.\ne il pelago tutto d'intorno la stringe e ghirlanda.\nTale isola è stata identificata, fin dall'antichità (lo testimonia Strabone), con l'attuale promontorio del Circeo. Tuttavia il Circeo non è che un promontorio e in passato era una penisola; si è ipotizzato quindi che in epoca antica dovesse essere separato dalla terra e circondato dal mare o collegato alla terra da una spiaggia.\nA ricordo di questa sede ipotetica esiste ancora una grotta indicata come 'della Maga Circe', dove il termine maga (di uso popolare e letterario non greco) sostituisce quello originario di dea, nonché le rovine del cosiddetto 'Tempio di Circe (o di Venere)', dove fu rinvenuta la testa di una statua, attribuita alla divinità.\nLa dimora di Circe era al centro dell'isola, in un'aprica pianura e in giro si vedevano ampie strade.Come si può notare sia l'isola che le ampie strade lasciano dei dubbi sull'identificazione di Eea con il Circeo, tuttavia il promontorio del Circeo, visto da Gaeta o Sperlonga, può sembrare proprio un'isola.\n\nUn autore, Fernando Jaume, identificò l'isola di Circe con Didyma, o isola di Salina, le 'rocce erratiche' essendo i Faraglioni di Lipari, accanto all'Isola delle Sirene e all'Ade in Sicilia, forse altrettante evocazioni del vulcanismo di questo arcipelago. La spiaggia stretta, le foreste dedicate a Persefone sarebbero lì, ad Acquedolci.\nAlcuni storici hanno ipotizzato che l'isola corrispondesse all'acropoli di Terracina o comunque in una zona vicina a Terracina. Inoltre a Terracina il tempio della dea Feronia sembra potersi identificare proprio con Circe.\nAltri hanno ipotizzato, invece, che fosse l'isola di PonzaPiù di recente altri ancora, come il professore e storiografo neozelandese L.G. Pocock, studiando e ripercorrendo approfonditamente gli eventi descritti nell'Odissea di Omero, hanno identificato Eèa nell'Isola di Ustica, la quale, anche per lo scrittore Marco Carlo Rognoni, sembra corrispondere al luogo più plausibile a motivo della sua particolare storia, posizione e morfologia.\nSecondo Robert Graves '... Si suppone che gli Argonauti abbiano navigato lungo il Po, di fronte alla cui foce, sull'altra sponda dell'Adriatico, si trovava Eea, ora chiamata Lussino...'.\nAltre interpretazioni collocano l'isola prossima alla Sardegna ed in alcuni casi l'isola stessa; molte persone attribuiscono la forma dell'isola, simile ad una donna sdraiata, alla “Maga Circe” della tradizione popolare." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eete.\n### Descrizione: Eete (in greco antico: Αἰήτης?, Aiḕtēs) o Eeta oppure Eeto, è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nEra figlio del dio Elio e di Perseide, nonché fratello di Circe, Perse e Pasifae, moglie di Minosse e regina di Creta.\nEbbe il figlio Apsirto da una ninfa del Caucaso di nome Asterodea.\nDa Idia, figlia di Oceano, ebbe Medea e Calciope.\n\nMitologia.\nIl viaggio verso est.\nEete ebbe la terra dell'Efira nel Peloponneso da suo padre Elio e ne divenne re, ma lasciò quel luogo a uno dei suoi uomini fidati (Buno), che fu posto come reggente della città, e partì verso oriente, attraversando l'Ellesponto ed il Mar Nero fino a raggiungere le regioni costiere del Caucaso, dove s'insediò. Fondò la città di Aia sul fiume Fasi, nella regione della Colchide.\n\nFrisso, gli Argonauti ed il vello d'oro.\nEete fu raggiunto da Frisso, che fuggiva dalla Beozia volando su un ariete con il manto d'oro (il Crisomallo) e doni che cedette in cambio della mano di Calciope. Una volta sacrificato l'ariete a Zeus, Frisso ne donò il manto a Eete, che lo fece inchiodare a una quercia.\nQuando Giasone e gli Argonauti giunsero ad Aia con lo scopo di recuperare il vello d'oro e riportarlo a Pelia, Eete, cui un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto, per tutta risposta si infuriò, burlandosi del comandante e dei suoi compagni, e ordinandogli di fare ritorno ai propri luoghi d'origine.Giasone non rispose alla collera con l'ira: i suoi modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea, ma pose comunque delle condizioni inaccettabili. Per recuperare il vello d'oro Giasone avrebbe infatti dovuto:.\naggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti; fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno;.\ntracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago: quelli, pochi e perduti, che Cadmo aveva seminato tempo addietro a Tebe.Nell'udire le condizioni Giasone rabbrividì, ma in suo aiuto intervenne il favore degli dei: Eros, il dio dell'amore, fece sì che Medea si innamorasse del giovane comandante.\n\nLa maga Medea.\nInnamoratasi di Giasone e temendo che fosse ucciso dai tori, Medea, nata in Colchide e diventata maga, promise all'uomo di aiutarlo a superarli e di consegnargli il vello solo se avesse giurato di sposarla e di portarla con sé nel viaggio di ritorno in Grecia. Lui giurò di farlo e ottenne da lei un unguento che lo avrebbe protetto per un solo giorno, da usare ungendo lo scudo, la lancia ed il corpo, così da poter sfidare i tori senza temere il loro fuoco o i loro zoccoli.\nMedea mise anche in guardia Giasone del fatto che quando i denti del drago sarebbero stati seminati, subito dalla terra sarebbero spuntati degli uomini armati e destinati ad avventarsi su di lui, suggerendogli di lanciare delle pietre contro di essi, così da distrarli e cogliere il momento per attaccarli..\nQuando, grazie ai consigli della donna, Giasone ebbe sconfitto i tori e ucciso i nemici, Eete rifiutò lo stesso di cedere il vello e così Medea, rivoltandosi al padre, addormentò per una notte il drago che difendeva il vello e lo portò a Giasone il quale, salito a bordo dell'Argo si preparò a salpare con lei e il resto dell'equipaggio. Sopraggiunse anche Apsirto, fratellastro di Medea, che si imbarcò con gli Argonauti.\n\nL'inseguimento.\nQuando Eete scoprì il furto del vello, prese anch'esso il mare e partì all'inseguimento della nave, ma Medea, spietata, uccise Apsirto e ne tagliò il corpo in pezzi, gettandoli in mare e costringendo così Eete a fermarsi per raccoglierli, e a tornare indietro per dare al figlio un degno funerale.\nEete mandò molte persone alla ricerca dell'Argo e della figlia, ma queste non tornarono mai.\n\nL'epilogo della tragedia.\nEete un giorno uccise Frisso poiché un oracolo gli aveva predetto che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso.\nTempo dopo Eete fu deposto dal trono da suo fratello Perse, così Medea ritornò in Colchide per uccidere lo zio e rimettere sul trono il padre." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eetione (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eetione (in greco antico: Ἠετίων) era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re della Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell'Iliade.\n\nIl mito.\nSotto tale nome ritroviamo:.\n\nEetione o Ezìone, padre di Andromaca e di Pode.\nEetione, di Imbro, colui che riscattò comprando a caro prezzo Licaone, il figlio di Priamo che Achille aveva catturato e venduto come schiavo.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLa figura di Eetione di Imbro è misteriosa perché viene citata soltanto una volta da Omero e nessun altro mitografo si interessa di lui benché abbia svolto un ruolo importante nelle vicende di Licaone ed Achille." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egemone (divinità).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Egemone (in greco antico: Ἡγεμόνη?) o Egemona era la divinità greca delle piante; le veniva attribuita la capacità di farle fiorire e prosperare. Il suo nome significa potere.Secondo Pausania, il nome di Egemone era uno dei nomi attribuiti ad Artemide.Egemona era, secondo gli ateniesi, una 'grazia'.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nMentre Omero parla di due sole grazie e lo stesso fecero gli ateniesi cambiando però il nome. Soltanto successivamente furono portate a tre, ed infatti ancora oggi sono note tre Grazie." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egeone.\n### Descrizione: Egeone (Iliade 1.403-404) è il dio greco delle mareggiate. Ha combattuto nella battaglia tra Titani e dei dalla parte di Crono, a differenza di Oceano che non si è schierato da nessuna delle due parti. È nato da Gea (madre) e Ponto (padre). Ha un fratello di nome Nereo. È padre di Melite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egeria.\n### Descrizione: Nella mitologia romana Egeria è una delle antiche divinità latine delle acque sorgive, le Camene.\n\nLeggenda.\nSecondo la leggenda, fu amante, consigliera e moglie del re Numa Pompilio. Quando il re morì, Egeria si sciolse in lacrime, dando vita a una fonte («…donec pietate dolentis / mota soror Phoebi gelidum de corpore fontem / fecit…» Ovidio, Metam. XV 549-551), che divenne il suo luogo sacro e che la tradizione identifica con la sorgente esistente presso la Porta Capena. Esiste anche un'altra fonte Egeria nel bosco di Aricia, sui monti Albani, vicino a Roma.A Egeria venivano offerti sacrifici da parte delle donne incinte per il buon esito del parto. Era chiamata anche Camena, che significa cantante, vaticinatrice, e per questa ragione la valle in cui si trovava la fonte di Egeria era detta Vallis Camenarum. I colloqui tra la ninfa e il Re si svolgevano nella grotta nel Bosco delle Camene. Insieme a Virbio, altra divinità minore del pantheon latino, la si ritrova associata al culto di Diana Nemorensis, nel Nemus Aricinum, l'insieme dei boschi che circondavano il lago di Nemi presso Aricia.\nAlla sua figura è stato dedicato l'asteroide 13 Egeria.\nNella lingua italiana alla polirematica 'ninfa egeria' è rimasto, per antonomasia, il significato di ispiratrice e consigliera segreta. Ancora oggi, in francese, il termine égérie ha il significato di 'musa ispiratrice', specialmente nel campo della moda." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egesta.\n### Descrizione: Egesta è un personaggio della mitologia greca.\nEsistono varie leggende che ruotano attorno alla venuta di questa Troiana in Sicilia. Servio racconta che quando Laomedonte si rifiutò di pagare Apollo e Poseidone, poiché avevano costruito le mura di Troia, gli dei scagliarono sciagure contro il suo paese: Poseidone lo devastò con un mostro marino e Apollo con un'epidemia; quest'ultimo, interrogato, rivelò il rimedio contro il mostro di Poseidone. Egli disse che occorreva dare in pasto all'animale giovani nobili del paese. Così numerosi Troiani mandarono rapidamente i loro figli all'estero, e come tanti, Egesta venne affidata dal padre Ippote ad alcuni mercanti che la portarono in Sicilia. Qui Crimiso, un dio-fiume, la sposò e generò con lei Aceste, il fondatore della città di Segesta.\nSecondo Licofrone, invece, Egesta fu figlia del Troiano Fenodamante, che aveva suggerito ai suoi compagni di dare in pasto al mostro la figlia di Laomedonte, Esione, che, per vendicarsi, diede ai marinai le tre figlie di Fenodamante, perché le esponessero alle belve in Sicilia. Le tre fanciulle sfuggirono il pericolo aiutate da Afrodite. Una di loro, Egesta, sposò Crimiso, con cui ebbe Egeste, il quale fondò tre città: Segesta, Erice ed Entella.\nUn'altra tradizione racconta che Egesta, figlia di Ippostrato, ritornò dalla Sicilia a Troia, dove dal marito Capi aveva avuto il figlio Anchise.\n\nVoci correlate.\nEryx." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egialea.\n### Descrizione: Egialea (in greco antico: Αἰγιάλεια?, Aigiáleia) o Aegiale (in greco antico: Αἰγιάλη?, Aighiálē) o Eurialeia è un personaggio della mitologia greca. Fu una regina di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Adrasto e di Anfitea (figlia di Pronace), sposò Diomede.\nNon sono noti nomi di progenie.\nPotrebbe essere figlia di Egialeo anche se in genere è ritenuta sua sorella.\n\nMitologia.\nDurante la guerra di Troia, ad Argo girava voce che alcuni uomini stessero tradendo le mogli con delle donne troiane e che quando la guerra fosse finita sarebbero tornati indietro portandole con loro. Così Aegiale si lasciò tentare da Comete e dopo aver tradito il marito al suo ritorno lo cacciò impedendogli di entrare in città (Diomede), lui fuggì verso l'Italia e lungo le coste del mare Adriatico." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egialeo (re di Sicione).\n### Descrizione: Egialeo (in greco antico: Αἰγιαλεύς?, Aighialéus) è un personaggio della mitologia greca, re di Egialea, figlio del dio fluviale Inaco e dell'oceanina Melia, anche se nella tradizione locale di Sicione fu autoctono, ovvero nato direttamente dalla terra.\nSe era figlio di Inaco, era inoltre fratello di Foroneo e di Io.\n\nMitologia.\nStoricamente è considerato il colono originario del Peloponneso e fondatore della città di Aegialea più tardi conosciuta come Sicione.\nSecondo Pausania ebbe un figlio di nome Europo mentre secondo Apollodoro non ebbe figli e dopo la sua morte il regno fu governato da Foroneo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egida.\n### Descrizione: L'ègida (dal latino aegis, a sua volta calco del greco aigís) è lo scudo di Zeus e un tipo di protezione indossato da Atena.\nGeneralmente si pensa che sia fatta di pelle di capra, ma da un'opera di Eschilo si è ipotizzato che in origine l'egida fosse immaginata come una nube tempestosa (e precisamente il cerchio di nubi che si addensa sulla testa di Zeus al momento del tuono divino). Infatti vi è somiglianza tra i termini aix, aigòs (= capra) e kataigís (= uragano).\nL'egida usata da Atena è una corta corazza con le frange oppure uno scudo magico, dove in alcune versioni dal suo centro spicca la testa della Gorgone, attorniata da Lotta, Paura, Forza e Inseguimento.\nPer traslato, nel lessico quotidiano egida significa 'protezione, difesa, riparo'.\n\nDiverse egide.\nL'egida era la magica sacca di pelle di capra contenente una serpe e protetta dalla maschera della Gorgone. Erodoto lo conferma, e descrive come l'abbigliamento delle donne libiche fosse caratterizzato da grembiuli di pelle di capra, ornati di frange. I Greci ne presero esempio, ma al posto dei serpenti posero delle striscioline di cuoio.\nLe prime due versioni del mito:.\n\nPerseo uccise Medusa mozzandole la testa, la quale era in grado di pietrificare all'istante chiunque la guardasse. Atena in seguito si appropriò del talismano (la testa di Medusa) inserendolo in uno scudo fatto di pelle di capra, ed esso divenne il suo scudo magico in grado di pietrificare all'istante i suoi nemici.\nIl gigante Pallante tentò di violentare Atena, ma la dea lo uccise e lo scorticò; il gigante era ricoperto, al posto di pelle umana, di pelle caprina, con la quale Atena si fabbricò l'egida, uno scudo magico che nessuna arma poteva infrangere.Leggende più tarde (così anche Omero nell'Iliade) vogliono che l'egida fosse stata fabbricata da Efesto con la pelle di Amaltea, la capra balia di Zeus. Efesto ne fece uno scudo indistruttibile e resistente perfino alla folgore. Zeus è definito Egioco proprio perché fornito di egida.\nZeus non la usa come scudo da combattimento, ma per scatenare tempeste, agitandola.\nMolto più tardi Pseudo-Apollodoro, nella Biblioteca, racconta che, durante un combattimento fittizio tra Atena e la sua giovane compagna di giochi, la libica Pallade figlia di Tritone, Zeus gettò l'egida (una cosa che si poteva legare al petto) distraendo Pallade che non vide arrivare il fendente di Atena che la uccise. Estremamente rattristata dal fatto, Atena modellò un'immagine di Pallade di legno e attorno al petto legò l'egida che l'aveva spaventata. Poi posò la statua accanto a Zeus e la onorò.\nNell'Iliade, l'arma viene usata a volte anche da Apollo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Egipan.\n### Descrizione: Egipan (in greco antico Αἰγίπαν, Aegipan) era una divinità della religione e della mitologia greca, alcune volte considerato un aspetto del dio Pan, altre volte come una divinità distinta.\n\nMitologia.\nSecondo Igino era figlio di Zeus (alcune fonti dicono di Apollo) e di Ega (chiamata anche Betea o Beroe), e fu trasferito nelle stelle. Altri ancora fanno di Egipan il padre di Pan. Sia Pan che Egipan erano in genere rappresentati come uomini con i piedi caprini, simili a un satiro, o ancora come metà capre e metà pesci. Nell'arte greca, Egipan è quindi spesso raffigurato come un capricorno, la mitica creatura rappresentata nella costellazione del Capricorno.\nQuando Zeus nella sua lotta con i Titani fu privato dei tendini delle sue mani e dei suoi piedi, Ermes ed Egipan glieli restituirono segretamente e li sistemarono al loro posto.Secondo una tradizione romana citata da Plutarco, Egipan era nato dai rapporti incestuosi di Valeria di Tuscolo e suo padre Valerio, ed era considerato solo un nome diverso per il dio Silvano.\n\nLetteratura successiva.\nIn seguito i termini 'Egipan' o 'Egipani' furono usati per descrivere una razza di uomini selvaggi simili a satiri che si dice risiedessero in Libia. Questa rappresentazione è stata continuata nei bestiari medievali dove il termine veniva talvolta usato per descrivere creature scimmiesche o bestiali. Un riferimento agli egipani come specie appare anche ne La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Egitto (mitologia).\n### Descrizione: Egitto (in greco antico: Αἴγυπτος?, Áigyptos) è un personaggio della mitologia greca e fu l'eponimo e re della zona nordafricana la cui cultura si sviluppò in simbiosi con quella greca e che oggi viene identificata con lo stato d'Egitto.\n\nGenealogia.\nFiglio di Belo e della ninfa naiade Anchinoe, ebbe cinquanta figli (detti Egittidi) da donne diverse come Argifia, Caliadne, Gorgo ed Efestine.\n\nMitologia.\nFratello di Danao, ebbe dal padre il regno dell'Arabia mentre al fratello spettò la Libia. Così visse in Arabia e soggiogò in seguito la terra dei Melampodi che prese in seguito il nome di Egitto.\nDopo le dispute con Danao, Egitto ordinò ai suoi figli di partire per Argo e di chiedere al fratello Danao di pacificare le loro dispute.\nLa sua tomba si trovava a Patrae.\nSuo figlio Linceo divenne re di Argo dopo essere succeduto a Danao." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: El Puerto de Santa María.\n### Descrizione: El Puerto de Santa María è un comune spagnolo di 85.117 abitanti (2007) situato nella comunità autonoma dell'Andalusia. El Puerto de Santa María è situata sulle rive del fiume Guadalete nella provincia di Cadice. La città di El Puerto de Santa María è situata a 10 km a nord della capitale regionale Cadice ed è conosciuta per essere stato il porto dal quale Colombo partì per il suo secondo viaggio verso le Americhe.\n\nGeografia fisica.\nEl Puerto de Santa María è situato in corrispondenza della foce del Guadalete nell'Oceano Atlantico.\n\nStoria.\nSecondo la leggenda narrata nell'Odissea, dopo la guerra di Troia un ufficiale greco conosciuto come Menestheus scappò con le sue truppe attraverso lo stretto di Gibilterra e raggiunse il fiume Guadalete e qui venne fondato il Porto di Menesteo (Μενεσθέως λιμήν).\nNel 711 d.C. arrivarono dal Nord-Africa gli Arabi invadendo il sud della Spagna. Nominarono il luogo Alcante o Alcanatif che significa 'Porto del sale', vista la presenza dell'antica industria del sale attiva sia ai tempi dei Fenici che dei Romani.\nNel 1260 Alfonso X di Castiglia conquistò la città togliendola agli arabi e la rinominò Santa María del Puerto. Riorganizzò la distribuzione delle terre che divennero dominio della Corona di Castiglia.\nNel 1480 Colombo visitò El Puerto e ricevette incoraggiamenti per il progetto dei suoi nuovi viaggi. Incontrò anche Juan de la Cosa, creatore nel 1500 del primo mappamondo che mostra le terre del Nuovo Mondo.\nDurante il XVI e XVII secolo la città divenne il porto invernale delle galee reali.\nNel XIX secolo divenne il quartier generale dell'esercito francese durante la guerra d'indipendenza spagnola sotto il regno di Giuseppe Bonaparte (1801–1812).\n\nAmministrazione.\nGemellaggi.\nLa Güera.\nErmoupoli.\nCoral Gables.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su El Puerto de Santa María.\n\nCollegamenti esterni.\n\nSito ufficiale, su elpuertodesantamaria.es.\n(EN) El Puerto de Santa María, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Elasippo (figlio di Emone).\n### Descrizione: Elasippo (in greco antico: Ἐλάσιππος) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Emone (non il re di Tebe).\n\nMitologia.\nSu Elasippo, guerriero molto fiero (come lo descrive Quinto Smirneo), si abbatté la furia di Pentesilea, la regina delle Amazzoni, che lo uccise in battaglia, arricchendo la pianura di cadaveri di guerrieri achei da lei personalmente massacrati." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eleadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Eleadi (in latino Eleionomae, in greco Ελειάδες) sono le Naiadi che vivono nelle paludi.\nLe Eleadi sono una razza timida, di semi-rettili acquatici, che sono stati elevati allo status di umanoide dalla magia antica. Abitano principalmente lungo le paludi e corsi d'acqua di Teti dove abitano sulle piante con i pesci di fiume e gli uccelli. Come popolo, le eleadi sono sostanzialmente solitarie e schive, solo raramente interagiscono con le altre razze. Quando interagiscono con gli esseri umani, lo fanno come guide o come animali da traino.Solitamente queste ninfe vivono in villaggi nascosti, che si trovano nel bel mezzo delle paludi su isole artificiali, protette da mostri acquatici. La società delle Eleadi non riconosce la differenza tra i sessi e le classi sociali. Hanno molteplici capacità di sopravvivenza, ma poche artistiche, per questo sono avide di gioielli ed oggetti lucidi, in particolare di oro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eleio.\n### Descrizione: Eleio (in greco antico Ἕλειος Hèleios) è un personaggio della mitologia greca ed il più giovane dei figli di Perseo e di Andromeda.\n\nMitologia.\nNato a Micene, fu un eroe del tempo che insieme ad Anfitrione dichiarò guerra all'isola di Tafo e dopo la conquista divise con Cefalo il luogo e il regno.\nFra i suoi viaggi fondò Elo, situata nella Laconia ed in seguito divenne il capo degli Epei antrando in guerra contro Ossilo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Elena (mitologia).\n### Descrizione: Elena (in greco antico: Ἑλένη?, conosciuta anche come Elena di Troia o Elena di Sparta, per le città a cui è associata) è una figura della mitologia greca assurta, nell'immaginario europeo, a icona dell'eterno femminino. Proprio questa sua caratteristica archetipica fa sì che, nell'immensa letteratura nata attorno alla sua figura, soprattutto quella di stampo femminista, Elena venga raramente considerata responsabile dei danni e lutti provocati dalle contese nate per appropriarsi della sua bellezza.\nSecondo alcune versioni del mito, la madre di Elena, Leda, era moglie di Tindaro, re di Sparta. Leda partorì quattro bambini, di cui due, Polluce ed Elena, sarebbero stati figli di Zeus, che si era congiunto a Leda sotto forma di cigno, mentre negli altri due nati, Castore e Clitennestra, consisterebbe il frutto dell'unione con Tindaro.Un'altra versione della sua nascita racconta invece che venne al mondo uscendo da un uovo frutto dell'unione tra la dea Nemesi e Zeus, il quale la inseguì per quasi tutto il globo per ottenerla, sotto forma di diversi animali.\n\nGiovinezza.\nElena fu allevata in casa di Tindaro e ancora giovinetta fu al centro di numerosi miti di seduzione: Teseo la rapì che era ancora fanciulla. Elena infatti era ritenuta la donna più bella del mondo, e poiché i pretendenti erano numerosi, Tindaro, sotto consiglio di Ulisse, lasciò che ogni decisione fosse della ragazza, onde evitare che una sua interferenza potesse causare una guerra. La scelta cadde su Menelao, principe di Micene, che sposandola divenne re di Sparta. Dalla loro unione nacque Ermione. La sorella Clitennestra sposò invece Agamennone, fratello di Menelao.\n\nI pretendenti e il «giuramento di Tindaro».\nQuando fu in età da marito tutti i capi Greci pretesero la sua mano. Siccome la loro rivalità rischiava di generare un conflitto, su suggerimento di Ulisse, Tindaro sacrificò un cavallo sulla cui pelle fece salire i pretendenti per farli giurare che, chiunque fosse stato il fortunato sposo, tutti avrebbero dovuto accorrere in suo aiuto nel caso qualcuno avesse tentato di rapirgli la sposa.\n\nQuando era ormai moglie di Menelao Elena venne rapita dal principe troiano Paride e il patto di solidarietà stipulato tra i pretendenti alla sua mano spinse gli stessi, con a capo Agamennone, a dichiarare guerra a Troia.\n\nElena durante la guerra di Troia.\nPer vendicare il rapimento di Elena da parte del principe troiano Paride (al quale Afrodite aveva promesso la più bella delle donne) Menelao e suo fratello Agamennone organizzarono una spedizione contro Troia chiedendo aiuto a tutti i partecipanti al patto di Tindaro.\nNell'Iliade Elena è un personaggio tragico, obbligata a essere la moglie di Paride dalla dea Afrodite. Nessuna colpa le può essere rinfacciata, data la sua incolpevole bellezza, anche se le si dà la colpa della guerra che insanguina Troia e se lei stessa si rimprovera continuamente di essere la causa di tanti mali, sebbene sia consapevole che, in definitiva, quanto accaduto è dovuto al Fato. Non è una donna felice, disprezza Paride ed è invisa a molti troiani: solo Priamo ed Ettore si mostrano gentili con lei, e in occasione della morte di quest'ultimo, Elena proverà un sincero dolore.\nAlla morte di Paride, Elena è costretta a sposare il fratello Deifobo. I greci fanno irruzione nella camera da letto, trovando Deifobo addormentato e ubriaco. Le versioni a questo punto divergono: sia per quanto riguarda l'identità dell'uccisore di Deifobo (Menelao, Ulisse o entrambi), sia sul fatto che il troiano si fosse risvegliato o no.\nNel secondo libro dell'Eneide, durante l'incendio di Troia, Enea vede da lontano Elena ed è preso dall'impulso di ucciderla, ma ne viene dissuaso dalla madre Venere, che lo esorta a fuggire dalla città con i familiari.\n\nFine di Elena.\nControversa fu la sua fine.\nNell'Odissea Elena appare riconciliata con il marito e tornata a Sparta per regnarvi al suo fianco, anche se malvista dai sudditi. Si narra anche che Oreste avesse cercato di ucciderla.\nSecondo altre versioni ebbe una fine misera. Altre ancora la divinizzano insieme ai fratelli Castore e Polluce.\n\nUn'altra versione vuole che, dopo la morte di Menelao, due figli naturali di costui cacciassero Elena e la costringessero a rifugiarsi presso Rodi, dove Polisso la fece impiccare per avere causato la morte di tanti eroi sotto le mura di Troia, fra cui suo marito Tlepolemo.\nIl mito di Elena è descritto nell'Iliade e nell'Odissea, ma molti poeti successivi a Omero modificarono il personaggio e la sua mitologia. Alcune leggende la indicano figlia di Nemesi, la dea della vendetta e della giustizia. Euripide, nella tragicommedia Elena, segue quel filone mitico secondo cui Elena non fu mai rapita da Paride né visse a Troia né fu ripresa da Menelao, ma sempre visse nascosta in Egitto, costretta da Era che mise al posto suo, a Sparta, un'immagine d'aria, un simulacro vivente, per ingannare Paride e vendicarsi di non essere stata scelta al posto di Afrodite. Così sono esistite due Elena, una in Egitto e una a Troia.\nInoltre, secondo altri miti, le anime di Elena e Achille, dopo la morte e la discesa nel Tartaro, furono assunte nell'Isola dei Beati (o Campi Elisi) per i loro meriti, e lì ebbero un figlio, Euforione. Secondo una variante del mito, fu Elena, divenuta dea dopo la morte, a discendere negli Inferi attratta dall'ombra di Achille per giacere con lui generando il semi-dio Euforione. I personaggi di Elena ed Euforione, seppure con molte varianti, sono ripresi da Goethe nel suo Faust.\n\nOmonime.\nUna seconda Elena è citata in poemi posteriori come figlia di Egisto e Clitennestra. Era sorella di Alete ed Erigone e fu uccisa da Oreste che la scovò nella reggia di Micene dopo avere vagato alla ricerca dei sostenitori di Egisto e la madre, che uccise accecato dalla vendetta.Esiste anche una terza Elena: figlia di Elena di Troia e di Paride, venne uccisa ancora bambina dalla nonna paterna, Ecuba, che si accese d'ira alla caduta di Troia per la morte dei suoi abitanti e decise di uccidere la figlia della donna che aveva causato la guerra.\n\nDiscendenza.\nElena diede a Menelao una figlia, Ermione. A seconda delle fonti, potrebbe avergli dato anche uno o più figli, chiamati Nicostrato, Eziola, Megapente e Plistene, che secondo altri erano figli di Menelao da diverse concubine.\nA Paride, Elena diede tre figli, Bugono, Agano e Ideo, e una figlia, anche lei chiamata Elena, che venne uccisa dalla nonna paterna Ecuba al momento della caduta di Troia: folle di dolore, la donna si vendicò sulla bambina per le colpe della madre.\n\nInfluenza culturale.\nA Elena è intitolata la Helen Planitia su Venere.Film:.\n\nElena di Troia;.\nHelen of Troy - Il destino di un amore;.\nTroy;.\nElena sì... ma di Troia (parodia)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Elena egizia.\n### Descrizione: Elena egizia (Die ägyptische Helena) è un'opera lirica in lingua tedesca che venne eseguita la prima volta il 6 giugno 1928 alla Semperoper di Dresda. La musica è del compositore tedesco Richard Strauss, il libretto dello scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, che è basato sull'Elena di Euripide.\n\nTrama.\nLa vicenda narrata in due atti vede una Elena fidanzata e non sposata a Menelao, per accontentare la censura del periodo, che deve essere punita dal compagno. Interviene la ninfa Etra, che ha ruolo di protettrice dell'amore e di Elena, ingannando con una pozione Menelao che invece di uccidere la compagna si scaglia su di un fantasma (elemento preso dalla tradizione Stesicorea). Quando Menelao ritorna viene convinto dalla ninfa che a Troia è stato portato solo il fantasma della bella Elena, mentre quella vera è rimasta in Egitto e adesso la stessa attende nella stanza accanto. A questo punto si chiude il primo l'atto.\nIl secondo atto si apre in una atmosfera esotica in cui Elena si trova contesa dai potenti del luogo, e Menelao è in dubbio sull'identità della donna: crede infatti che ella sia il fantasma. La vicenda si conclude con l'intervento di Etra che in pieno stile deus ex machina toglie l'incanto a Menelao e questi riconosce in Elena colei che lo aveva tradito; ma vedendola sorridere decide di non ucciderla permettendo il trionfo dell'amore.\n\nOrganico orchestrale.\nLa partitura di Strauss prevede l'utilizzo di:.\n\nLegni: 8 flauti (III e IV. anche ottavino),(V e VI anche flauto dolce,(VII e VII anche flauto indiano, 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti (III. anche controfagotto).\nOttoni: 6 corni (VI anche flicorno), 6 trombe, 3 tromboni, tuba.\nPercussioni: timpani, grancassa, piatti, tamburo, tam-tam.\nAltri strumenti: glockenspiel, celesta, 2 arpe, organo.\nArchi: 16 violini I, 14 violini II, 10 viole, 10 violoncelli, 8 contrabbassi.\nSul palco: 6 oboi, 6 clarinetti, 4 corni,1 flicorno, 2 trombe, 4 tromboni, timpani, 4 triangoli, 2 tamburelli, macchina del vento.\n\nDiscografia parziale.\nElena egizia - Antal Doráti/Gwyneth Jones/Matti Kastu/Barbara Hendricks, 1979 Decca.\n\nAudio files.\nSalisburgo, 29 luglio 2003 - Fabio LuisiATTO I e ATTO II [1]." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eleno.\n### Descrizione: Eleno (in greco antico: Ἕλενος?, Hélenos) è una figura della mitologia greca e romana. Indovino, figlio di Priamo e di Ecuba, era fratello gemello di Cassandra.\n\nIl mito.\nOrigini.\nEleno e Cassandra, nel giorno genetliaco del loro padre, durante la festa nel santuario di Apollo Timbreo, si addormentarono in un canto, mentre gli incauti genitori rientrarono a casa senza i due fanciulli. Quando Ecuba ritornò al tempio, vide che i sacri serpenti stavano leccando le orecchie e la bocca dei bambini e urlò terrorizzata. I serpenti subito sparirono strisciando in un cespuglio di alloro, ma da quel momento Eleno e Cassandra ebbero il dono della profezia.\n\nImprese.\nEleno era un valoroso guerriero oltre che un indovino e benché avesse messo in guardia Paride dal disastro che avrebbe provocato il suo viaggio a Sparta, quando scoppiò la guerra combatté coraggiosamente, facendo vittime illustri come Deipiro e, secondo Tolomeo Efestione, riuscì persino a ferire il grande Achille. Dopo la morte di Paride, ucciso da una freccia scagliata da Filottete, Eleno e Deifobo si disputarono la mano di Elena e Priamo appoggiò le pretese di Deifobo affermando che egli si era dimostrato il più valoroso in battaglia. Eleno, irritato, lasciò immediatamente la città e andò a vivere presso Irtaco e Arisbe sulle pendici del monte Ida. Verso la fine dell'assedio, Calcante rivelò ai Greci che soltanto Eleno conosceva i segreti oracoli che proteggevano Troia, e Agamennone incaricò Odisseo di trascinarlo al campo greco. Eleno si trovava nel tempio di Apollo Timbreo, ospite di Crise, quando Odisseo andò a cercarlo, e si dichiarò pronto a rivelare gli oracoli segreti purché i Greci gli consentissero di rifugiarsi al sicuro in qualche terra lontana. Egli aveva abbandonato Troia, disse, non perché temesse la morte, ma perché non poteva perdonare il sacrilego assassinio di Achille compiuto da Paride in quello stesso tempio, tanto più che nessun sacrificio espiatorio era stato offerto ad Apollo. Eleno predisse dunque che Troia poteva essere conquistata a tre condizioni: se un certo osso di Pelope fosse portato nel campo greco; se Neottolemo, figlio di Achille, avesse preso parte alla guerra; se il Palladio di Atena fosse stato sottratto ai Troiani. Altre condizioni imposte da Eleno furono: che Filottete tornasse a Troia a combattere con l'arco e le frecce avvelenate di Eracle; di utilizzare un cavallo di legno per introdurre i guerrieri segretamente all'interno delle mura.\nLe profezie di Eleno si avverarono e Troia cadde.\n\nDopo la guerra di Troia.\nSecondo la più comune leggenda, Eleno con Andromaca venne assegnato come bottino di guerra a Neottolemo nelle cui grazie entrò perché, rivelandogli il futuro disastro della flotta greca, lo indusse a tornare in patria per via di terra. Allorché Neottolemo fu assassinato a Delfi, dove era andato a consultare l'oracolo, trasmise morendo a Eleno, che aveva portato con sé in Epiro, il regno e Andromaca, chiedendogli di sposarla. Da Andromaca, Eleno ebbe un figlio chiamato Cestrino. Neottolemo consentì a Eleno di costruire la città di Butrinto nell'Epiro, e quando Enea passò da quel paese nel suo viaggio verso l'Italia (Virgilio, Eneide, III), trovò Eleno che governava tranquillamente con Andromaca una nuova 'Troia'. L'indovino accolse con premura i suoi compatrioti, diede incoraggianti consigli a Enea e lo mise in guardia contro le difficoltà del lungo viaggio che lo aspettava. Eleno, morendo, trasmise il regno a Molosso, figlio di Neottolemo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Elettra (Strauss).\n### Descrizione: Elettra (Elektra) è un'opera in un atto di Richard Strauss su libretto di Hugo von Hofmannsthal, che lo derivò dalla sua tragedia Elettra, la quale si rifà alla tragedia omonima di Sofocle.\n\nInsieme a Salomè rientra nel primo periodo del teatro musicale di Strauss, caratterizzato in chiave espressionista. L'orchestra, estremamente nutrita, tiene i fili di un discorso musicale caratterizzato da aspre dissonanze e sonorità parossistiche, spesso travolgendo le voci a cui è affidato un canto prevalentemente declamatorio.\n\nTrama.\nL'azione si svolge nel periodo immediatamente successivo alla fine della guerra di Troia al palazzo degli Atridi a Micene.\nClitemnestra ha assassinato, con l'aiuto dell'amante Egisto, il marito Agamennone, dopo che costui ha fatto ritorno dalla guerra di Troia. Adesso Clitemnestra ed Egisto sono marito e moglie e governano insieme Micene. Le figlie di Clitemnestra, Elettra e Crisotemide, vivono penosamente.\nElettra vive come un animale, camminando sempre nello stesso angolo della corte del palazzo, in silenzio, senza comunicare con nessuno, con l'aspetto trasandato e lo sguardo perso. Per Clitemnestra, la presenza di Elettra è come quella di un fantasma accusatore che la incolpa in ogni istante di essere la causa dell'assassinio di Agamennone e per questo motivo cerca di evitarla.\nLe ancelle si burlano della giovane, mentre lei non smette di vegliare al solito posto nella corte. Solamente un'ancella sembra avvertire compassione per la figlia di Clitemnestra e per questo viene malamente percossa dalle compagne. Elettra è l'unica persona del palazzo che sa che proprio in quel luogo è sepolta l'ascia con cui è stato ucciso il padre.\nSopraggiunge la bella e delicata Crisotemide, sorella di Elettra. La giovane è terrorizzata: Egisto e Clitemnestra hanno deciso di recludere Elettra in una torre. Crisotemide vorrebbe soltanto fuggire da lì ed essere felice creandosi una famiglia; per questo motivo incalza la sorella affinché modifichi il suo atteggiamento nei confronti della madre, la quale, è convinta che Elettra sia colpevole della terribile atmosfera che grava sul palazzo.\nIn risposta, Crisotemide, riceve dalla sorella uno sguardo strano e inquietante. Appare allora Clitemnestra che, accompagnata dai propri sudditi, si incammina verso il tempio senza evitare l'atroce scambio di sguardi con la figlia. L'assassina di Agamennone vuole dedicare alcuni istanti della preghiera per chiedere agli dei di allontanare i fantasmi che popolano i suoi sogni e che la tormentano senza tregua. La notte precedente ha sognato il figlio Oreste, che aveva allontanato dal palazzo quando ancora era in giovane età.\n\nClitemnestra si avvicina al luogo dove si trova Elettra e chiede alla figlia cosa dovrebbe fare perché i suoi incubi la abbandonino definitivamente. Elettra rompe il silenzio dopo tanti anni e replica alla madre che solo un sacrificio molto speciale potrebbe porre fine ai suoi tormenti. Clitemnestra esige di conoscere immediatamente il miracoloso rimedio, al che la figlia le risponde che deve trattarsi di un sacrificio umano: deve morire una donna sposata per mano di un suo famigliare.\nPoi Elettra chiede alla madre perché si oppone al ritorno del fratello Oreste. Un brivido turba nuovamente la pace di Clitemnestra, ma proprio in quel momento sopraggiunge un'ancella che le riferisce a bassa voce un messaggio, che la soddisfa enormemente. Dopo aver rivolto l'ennesimo sguardo di odio alla figlia, Clitemnestra entra nel palazzo.\nMa ecco che Crisotemide sopraggiunge correndo e piangendo sconsolatamente: ha ricevuto la notizia che Oreste è morto. Elettra pare commossa: per molto tempo aveva custodito l'arma con cui il fratello avrebbe dovuto uccidere la madre, adesso, dovrà occuparsi personalmente della vendetta. Supplica allora la sorella di aiutarla e, per convincerla, la rassicura che dopo vivranno finalmente in pace. Ma Crisotemide fugge atterrita.\nElettra non può attendere, lo farà senza l'aiuto della sorella e, come impazzita, scava per terra alla ricerca dell'arma criminale. Ma un'ombra misteriosa la coglie di sorpresa e impaurita rivolge lo sguardo verso la presenza inquietante: il misterioso personaggio rivela di essere Oreste; Elettra si lascia trasportare dall'emozione e crolla ai piedi del fratello.\nAppaiono tre vecchi servi che si prostrano ai piedi del nuovo arrivato. Elettra avverte una felicità smisurata e finalmente riferisce al fratello le proprie disgrazie e reclama vendetta. Oreste è disposto a fare giustizia, effettivamente è venuto per castigare gli assassini. Entra nel palazzo e, mentre Elettra attende nella corte in uno stato d'animo che rasenta l'isterismo, si odono in lontananza le grida raccapriccianti di Clitemnestra. Le urla della moribonda sono causa di grande scompiglio nel palazzo.\nAppaiono Crisotemide e i servi seguiti da Egisto alla ricerca dell'amante, ed è la stessa Elettra che lo guida con una torcia; Oreste uccide anche lui. Elettra sprofonda in uno stato di trance: l'unico sogno che la manteneva in vita ora si è realizzato. Nonostante tutto è dispiaciuta di non aver consegnato al fratello l'arma con la quale i criminali avevano assassinato il padre. Elettra si alza in piedi e, dopo aver fatto alcuni passi, inizia una danza delirante con la quale celebra il suo trionfo fino a che cade a terra esanime. Crisotemide, che ha assistito alla tragica fine della sorella, percuote la porta del palazzo invocando il nome di Oreste.\n\nOrganico orchestrale.\nLa partitura, che rappresenta l'organico orchestrale più grande nel normale repertorio d'opera, prevede l'utilizzazione di:.\n\n4 flauti e 2 ottavini; 3 oboi e 1 corno inglese; 1 heckelphone; 4 clarinetti e 1 clarinetto in Mib; 1 clarinetto basso; 2 corni di bassetto, 3 fagotti e 1 controfagotto.\n8 corni che suonano anche 4 tube di Wagner; 6 trombe; 1 tromba bassa; 2 tromboni tenori; 1 trombone basso; 1 trombone contrabbasso; 1 basso tuba.\n6-8 timpani, tamburo, grancassa, piatti, triangolo, tam-tam, tamburello, nacchere, glockenspiel.\ncelesta (ad libitum).\n2 arpe.\narchi (24 violini, 18 viole, 12 violoncelli, 8 contrabbassi).\n\nPrincipali rappresentazioni.\nL'opera fu rappresentata in prima assoluta alla Königliches Opernhaus di Dresda il 25 gennaio 1909, diretta da Ernst von Schuch e con Annie Krull nel ruolo eponimo, raccogliendo scarso successo. Il 22 febbraio successivo avviene la prima all'Opera di Amburgo diretta da von Schuch, il 24 marzo al Wiener Staatsoper, il 6 aprile al Teatro alla Scala di Milano, come Elettra il italiano, con Solomija Krušel'nyc'ka alla presenza del compositore e il 1º febbraio 1910 al Manhattan Center di New York nella traduzione francese di Henry Gauthier-Villars. La fortuna dell'opera iniziò il 19 febbraio seguente, quando fu eseguita la prima nel Regno Unito al Royal Opera House, Covent Garden di Londra, diretta da Thomas Beecham e ancora una volta con la Kroll nel ruolo della protagonista.\nIl 25 aprile successivo avviene la prima al Teatro Nazionale di Praga, il 26 maggio al La Monnaie/De Munt nella traduzione di Gauthier-Villars e nel 1912 il 7 febbraio con Emma Carelli al Teatro Costanzi di Roma, in italiano e il 1º aprile a Glasgow per la Denhof Opera Company, in inglese.\nAllo Staatsoper di Vienna fino al 2015 l'opera è andata in scena per 325 recite.\nIl 1º gennaio 1930 avviene la prima al Teatro Regio di Torino diretta da Franco Capuana con Maria Caniglia, il successivo 19 gennaio all'Opera di Lipsia ed il 29 ottobre 1931 avviene la prima statunitense in tedesco all'Academy of Music per la Philadelphia Grand Opera Company diretta da Fritz Reiner con Nelson Eddy.\nIl 25 febbraio 1932 avviene la prima all'Opéra national de Paris ed il 3 dicembre successivo al Metropolitan Opera House di New York dove fino al 2009 vanno in scena 101 recite.\nIl 17 agosto 1934 avviene la prima diretta da Clemens Krauss con Viorica Ursuleac al Festival di Salisburgo, l'11 febbraio 1936 al Teatro Verdi (Trieste), il 21 marzo 1937 in concerto alla Carnegie Hall di New York con la Caniglia, il 30 aprile 1938 con Maria Pedrini diretta da Nino Sanzogno, alla presenza di Strauss, al Teatro La Fenice di Venezia ed il 24 ottobre successivo al San Francisco Opera diretta da Reiner con Kerstin Thorborg.\nNel 1950 avviene la prima al Teatro Comunale di Firenze diretta da Dimitri Mitropoulos con Martha Mödl, nel 1956 al Teatro San Carlo di Napoli, nel 1964 al Grand Théâtre di Ginevra con la Mödl, nel 1969 al Teatro Nuovo di Torino con la Mödl, Gino Sinimberghi, Mario Carlin ed Angelo Nosotti, nel 1975 all'Opera di Chicago.\nIl 6 maggio 1977 Carlos Kleiber presentò la prima a Londra al Covent Garden con il soprano Birgit Nilsson.\nNel 1980 fu rappresentata a Santa Fe (Nuovo Messico) con Rosalind Elias ed a San Diego, nel 1981 allo Sferisterio di Macerata diretta da André Rieu, nel 1983 all'Opéra municipal de Marseille, nel 1985 a Melbourne nella prima in Australia, nel 2003 al Teatro Filarmonico di Verona e nel 2007 a Bilbao.\n\nDiscografia parziale.\nDVD parziale.\nElettra, Birgit Nilsson / Leonie Rysanek / Mignon Dunn / Donald McIntyre, dir. James Levine, Metropolitan Opera, regia Paul Mills, registrato 1980 (concerto dal vivo); Deutsche Grammophon (2006).\nElettra, Leonie Rysanek / Astrid Varnay / Catarina Ligendza / Dietrich Fischer-Dieskau, dir. Karl Böhm, Wiener Staatsopernchor e Wiener Philharmoniker, regia Götz Friedrich, registrato 1981 (opera-film); Deutsche Grammophon (2005)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Elettra (figlia di Agamennone).\n### Descrizione: Elettra è un personaggio della mitologia greca. Era figlia di Agamennone, re di Micene, e Clitennestra; era la sorella di Oreste, Crisotemi e Ifigenia.\n\nMito.\nDopo la morte del padre Agamennone per mano di Clitennestra e col contributo di Egisto, suo amante, Elettra (che sarebbe dovuta convolare a nozze con lo zio Castore, prima che egli morisse e divenisse semidio) rimase sola a palazzo, in balia dei due amanti. Nonostante i migliori prìncipi di Grecia si disputassero la sua mano, Egisto, che temeva che essa generasse un figlio desideroso di vendicare il padre, comunicò che nessun pretendente sarebbe stato soddisfatto. Egli propose di eliminarla per paura che si giacesse in segreto con uno degli ufficiali di palazzo e desse alla luce un bastardo, ma Clitennestra, che non provava vergogna per aver cospirato contro Agamennone e non voleva far ricadere su di sé l'ira degli dei, lo dissuase dal complotto. Ciononostante concesse che Elettra andasse in matrimonio a un umile contadino miceneo.\nElettra istigò il fratello Oreste, giunto nel frattempo, a vendicare il padre, con l'aiuto di Pilade, figlio di Anassibia, una delle sorelle di Agamennone, e quindi loro cugino, che aveva seguito quest'ultimo; dopo che Oreste compì la vendetta uccidendo Egisto e Clitennestra, Elettra sposò il cugino.\n\nElettra nella letteratura.\nLa figura di Elettra ha ispirato numerose opere letterarie.\nEra, probabilmente, tra i protagonisti della Orestea di Stesicoro, da cui avrebbe attinto, anche per altri particolari, Eschilo, che vi dedicò una trilogia intitolata Orestea: il primo dramma (Agamennone) raccontava l'omicidio di Agamennone da parte di Clitennestra ed Egisto, suo amante; il secondo (Le coefore) riproponeva il matricidio di Clitennestra e l'omicidio di Egisto perpetrati da Oreste; il terzo (Le eumenidi) vede l'assoluzione di Oreste dall'orrendo crimine commesso grazie all'istituzione da parte di Atena del tribunale dell'Areopago.\nIn Attica, dove i Pelopidi erano ben noti, la tragedia di Sofocle ebbe un notevole successo, tanto che, dopo di lui, il dramma di Elettra e della sua famiglia venne portato in scena anche da Euripide, che dedicò a Elettra la tragedia omonima, dando voce a una mentalità che era molto più distante da quella eschilea.\nIn età moderna, notevoli furono Idomeneo, opera di Mozart in cui si immagina che Elettra, dopo la morte di Clitennestra, abbia trovato rifugio a Creta e s'innamori infelicemente di Idamante, figlio del re, e la tragedia di Prosper Jolyot de Crébillon, oltre alle tragedie Oreste ed Agamennone di Vittorio Alfieri.\nIn età contemporanea, si possono ricordare, tra gli altri drammi, Il lutto si addice ad Elettra (Mourning Becomes Electra) di Eugene Gladstone O'Neill, Elettra (Electre) di Benito Pérez Galdós, la Tragedia in lingua ungherese di Péter Bornemisza, la Elettra (Elektra) di Hugo von Hofmannsthal, che fu la base per l'omonima opera lirica di Richard Strauss. Ancora, si ricordano Elettra di Jean Giraudoux ed Elettra o la caduta delle maschere, un dramma di Marguerite Yourcenar.\nPer quanto riguarda il cinema, dopo Elettra (Elettra), lungometraggio prodotto da Aquila Films (1909), si ricordano la Elettra (Ηλέκτρα) di Michael Cacoyannis (1962), * Elettra, Amore Mio (Szerelmem, Elektra) - lungometraggio di Miklós Jancsó (1974), Elettra (Elettra) di Tonino De Bernardi (1987) e il mediometraggio elektraZenSuite (elektraZenSuite) di Alessandro Brucini (2006).\nAnche a livello musicale, l'eroina ha ispirato la cantante britannica Marina che, per il suo secondo album in studio, Electra Heart, ha creato un personaggio di finzione ispirato per l'appunto ad Elettra.\nIn psicoanalisi il complesso di Elettra non è altro che il complesso di Edipo al femminileː nel primo è la ragazza che ama il padre ed è gelosa della madre; in quello di Edipo il ragazzo detesta la presenza del padre.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eleusi (demo).\n### Descrizione: Eleusi (in greco antico: Ἐλευσίς?, Eleusís) era un demo dell'antica Attica, situato a 21 chilometri da Atene, al confine tra l'Attica e Megara. Era molto importante per il culto di Demetra e Persefone e per i misteri eleusini, celebrazioni misteriche in onore di esse, tanto che, fino alla fine del paganesimo, fu ritenuto uno dei luoghi più sacri della religione greca.\n\nPosizione.\nEleusi si trovava sul versante orientale di una bassa altura a breve distanza dal mare e parallela alla costa, di fronte all'isola di Salamina. La sua posizione gli garantiva tre vantaggi: l'essere collocato sulla strada che andava da Atene all'Istmo di Corinto, la vicinanza di una pianura molto fertile e la dominanza su un vasto golfo, formato su tre lati dalla costa dell'Attica e chiuso a sud dall'isola di Salamina: si dice che da Eleusi Serse assistette alla disfatta della sua flotta nella battaglia di Salamina.\n\nStoria.\nNel territorio del demo si insediarono abitanti sin dall'antichità, forse già nell'epoca micenea. Probabilmente il suo nome deriva dalla venuta (in greco antico: ἔλευσις?, héleusis) di Demetra, anche se alcuni fanno risalire il toponimo ad un eroe di nome Eleusi. Eleusi, prima del sinecismo voluto da Teseo, fu una delle città della dodecapoli in cui fu divisa l'Attica in età arcaica. Durante il regno di Eumolpo su Eleusi scoppiò una guerra con Atene, governata da Eretteo, in cui gli Eleusini furono sconfitti e furono costretti a riconoscere la supremazia di Atene in tutto, fuorché nella celebrazione dei misteri, di cui gli Eleusini mantennero la gestione.Eleusi divenne in seguito un demo dipendente da Atene, ma a conseguenza della sua importanza religiosa le venne permesso di mantenere il titolo di pólis, cioè di città, e di coniare una propria moneta, un privilegio posseduto da nessun'altra città dell'Attica ad eccezione di Atene. In seguito la storia di Eleusi si identificò con quella di Atene.\nUna volta all'anno una grande processione percorreva la strada da Atene ad Eleusi lungo la via Sacra. L'antico tempio di Demetra fu incendiato dai Persiani nel 484 a.C. e, fino all'età di Pericle, non venne fatto alcun tentativo per ricostruirlo. Quando il governo dei Trenta tiranni venne rovesciato (403 a.C.), gli oligarchi si ritirarono ad Eleusi, che avevano fortificato in precedenza, ma dopo un breve periodo furono uccisi a tradimento dagli Ateniesi, che avevano restaurato la democrazia.Durante l'età Romana Eleusi godette di grande prosperità, dato che l'iniziazione ai suoi misteri divenne una moda tra i nobili romani. Fu distrutta da Alarico nel 396 d.C. e da quel momento scomparve dalla storia. Quando Jacob Spon e George Wheler visitarono il sito nel 1676, questo si presentava in stato di totale abbandono. Nel secolo successivo fu restaurato ed Eleusi venne rifondata, ed ora è una piccola cittadina.\nNel 2001 la moderna Eleusi contava 29879 abitanti.\n\nDescrizione.\nL'estremità orientale della collina dove sorgeva la città venne livellata artificialmente per accogliere il santuario di Demetra e gli edifici sacri annessi; poco più in alto si trovava l'acropoli. La città si sviluppava in uno spazio triangolare di circa 500 metri di lato, compreso tra la collina e la costa; sul lato orientale della cinta muraria era stato realizzato un terrapieno artificiale a partire dalla bonifica di alcuni terreni paludosi, su cui, in epoca bizantina, fu costruita una fortificazione. Il terrapieno fu prolungato fino al mare in modo da formare un molo per riparare un porto artificiale: tale porto era formato da tre moli lunghi circa 100 metri ed era secondo solo al Pireo nel traffico marittimo del golfo Saronico.\nGli altri templi presenti nel demo erano un tempio di Trittolemo, uno di Artemide Propilea e uno di Poseidone Padre; inoltre era presenta un pozzo chiamato Callicoro, dove le donne eleusine ballavano e cantavano in onore della dea.\nSi diceva che nella pianura vicina alla città fu coltivato per la prima volta il mais e che l'orzo coltivato lì era usato per le torte sacrificali. Tale piana è menzionata anche nell'inno omerico ad Afrodite, ma non si sa con certezza dove fosse collocata. Vicino ad Eleusi c'era un monumento a Tello, menzionato da Erodoto. Eleusi, essendo a guardia della strada che conduceva a Megara, era la sede del secondo anno dell'efebia.\n\nIl tempio di Demetra.\nIl tempio di Demetra, a volte chiamato ὁ μυστικὸς σηκός (ho mystikòs sekós, il recinto arcano) o τὸ τελεστήριον (tò telestérion, il luogo sacro per le iniziazioni), era il più grande di tutta la Grecia e, secondo Strabone, era capace di contenere un grandissimo numero di persone, tante quante un teatro. La pianta dell'edificio fu progettata da Ictino, uno degli architetti del Partenone, ma la costruzione venne completata molti anni dopo, cosicché molti altri architetti si sono succeduti.\nIl portico di 12 colonne fu costruito al tempo di Demetrio Falereo (318 a.C. circa) dall'architetto Filone. Al termine di questo intervento era ritenuto uno dei quattro migliori esempi di architettura greca in marmo. Era rivolto a sud-est. Il suo sito è occupato dal centro del paese moderno, quindi è difficile analizzare tutti i dettagli dell'edificio; si stima che la cella fosse grande 166 metri quadrati e il suo tetto era coperto da tegole di marmo, come i templi di Atene; era sostenuto da 28 colonne doriche, di diametro (sotto il capitello) di quasi un metro; le colonne erano disposte in due file doppie attraverso la cella, una vicino alla parte anteriore, l'altra vicino alla parte posteriore, ed erano sormontate da serie di colonne più piccole, come nel Partenone. La cella era preceduta da un portico di 12 colonne doriche, che misuravano 1,5 metri di diametro alla base. La piattaforma sul retro del tempio era sopraelevata di 6 metri rispetto al pavimento del portico. Si accedeva a questa piattaforma attraverso una scalinata collocata all'angolo nord-occidentale del tempio; poco lontano un'altra scalinata portava ad un piccolo portale ornato da due colonne che metteva in comunicazione il tempio con l'Acropoli.\n\nResti archeologici.\nNell'Ottocento il sito di Eleusi presentava alcuni interessanti resti archeologici. La prima cosa che si vedeva avvicinandosi da Atene erano le tracce di una grande pavimentazione, che terminava in alcuni cumuli di rovine: si trattava di ciò che rimaneva di un propileo, di grandezza e struttura simili a quello di Atene. Prima di quello, alla metà della pavimentazione, c'erano i resti di un piccolo tempio, lungo 12 metri e largo 6: si trattava senza dubbio del tempio di Artemide Propilea. La peristasi, che confinava con il propileo, formava la recinzione esterna del tempio di Demetra. A 50 metri dal propileo si trovava l'angolo nord-est del recinto interno, della forma di un pentagono irregolare. L'ingresso si trovava in quest'angolo, dove la roccia era stata scolpita per costruire un altro propileo, molto più piccolo del primo, che consisteva in un'apertura ampia 9,7 metri tra due pareti parallele di 50 metri di lunghezza.\nIn questa zona fu trovato un busto colossale in marmo pentelico: si pensò che fosse un frammento della statua di Demetra che veniva venerata nel tempio ma, a giudicare dalla posizione in cui è stato rinvenuto e dall'aspetto grezzo della superficie, la statua sembra essere appartenuta alla decorazione architettonica del tempio, come le Cariatidi nell'Eretteo di Atene.\nNon sono state trovate rovine riconducibili al tempio di Trittolemo o a quello di Poseidone. Il pozzo Callicoro potrebbe essere identificato con quello visibile ai piedi del versante nord della collina di Eleusi, al bivio tra le strade che conducono a Megara ed Eleutere.\nLa città di Eleusi e le sue immediate vicinanze erano esposte a inondazioni del fiume Cefiso, che era quasi asciutto durante la maggior parte dell'anno ma si gonfiava in autunno fino a sommergere gran parte della pianura. Demostene allude alle inondazioni di Eleusi e l'imperatore Adriano fece costruire alcuni argini in conseguenza ad un'inondazione verificatasi mentre stava trascorrendo l'inverno ad Atene. Nella piana a circa un miglio a sud di Eleusi sono visibili i resti di due antichi tumuli, che sono probabilmente ciò che rimane degli argini di Adriano. Lo stesso imperatore dotò Eleusi di un acquedotto per la fornitura di acqua potabile, le cui rovine sono ancora visibili nel nord-est della pianura eleusina." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eleusi.\n### Descrizione: Eleusi (in greco Ελευσίνα?, Elefsina) è un comune della Grecia situato nella periferia dell'Attica (unità periferica dell'Attica Occidentale) con 29.879 abitanti secondo i dati del censimento 2001.\nA seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011, che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 37 km² e la popolazione è passata da 25.863 a 29.879 abitanti.\nSi trova di fronte all'isola di Salamina, 20 km a nord-ovest di Atene.\nNel 2021 è stata scelta per essere capitale europea della cultura, insieme a Timișoara e Novi Sad; a seguito della pandemia di COVID-19 si è deciso di modificare il calendario delle capitali europee della cultura, per cui Eleusi deterrà il titolo nel 2023 insieme a Timișoara e Veszprém.\n\nStoria.\nEleusi fu una città-stato indipendente fino al VII secolo a.C., epoca in cui entrò nello stato attico alleandosi con Atene. La città divenne un centro importante per il culto della dea Demetra, a cui era dedicato un tempio di epoca micenea, nell'acropoli. Il tempio era noto per la celebrazione di riti di iniziazione detti Misteri eleusini. Riferimenti alla città e ai Misteri si trovano in diversi miti greci. Eleusi era collegata ad Atene tramite la via sacra utilizzata dagli iniziati per compiere un pellegrinaggio di iniziazione. Parte del tracciato esiste tuttora, mentre per buona parte è coperto dalla Iera odòs.\nAlla fine del 404 a.C. i Trenta tiranni, sconfitti dai ribelli guidati da Trasibulo, si trasferirono a Eleusi.\nNel 125 d.C. l'imperatore Adriano fece costruire un ponte romano lungo la via sacra per agevolare l'attraversamento del fiume Kefisso. I resti del cosiddetto Ponte di Adriano (lungo 50m e largo 5,30 m) sono ancora visibili appena fuori dalla città.\nIl santuario fu chiuso da Teodosio I nel 381. Pochi anni dopo Eleusi fu presa e saccheggiata dai barbari, e nel 396 venne abbandonata.\n\nArcheologia.\nNella zona di Eleusi si iniziò a scavare nel 1882. Gli scavi riportarono alla luce le rovine di un edificio sacro dove si svolgevano le cerimonie, parte delle mura, e alcuni edifici legati al culto dei misteri eleusini.\nL'edificio principale, dove si svolgeva la cerimonia, è chiamato Telesterion. È una tipologia architettonica sviluppatasi dall'antico tempio di Demetra di epoca arcaica che ha assunto la forma di un anaktoron all'interno della struttura principale. Sotto l'epoca classica raggiunse la sua massima elaborazione con il progetto di Ictino, autore del Partenone. Il Telesterion era una stanza di notevoli dimensioni con addossate alle pareti 7 gradini per gli spettatori del culto. Al centro si ergevano, secondo il progetto di Ictino mai terminato, 76 colonne doriche su due ordini.\nAll’interno del sito di Eleusi è presente il Museo archeologico di Eleusi.\n\nMitologia.\nEleusi, o Eleusino, è anche l'eroe della città di Eleusi. Figlio di Ermes e Deira, sposato con Cotone, padre di Trittolemo. Perì per mano di Demetra." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Elicaone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elicaone (o Licaone) era uno dei figli del vegliardo troiano Antenore e di Teano, sua moglie legittima e sacerdotessa di Atena. Insieme a tutti i suoi fratelli, egli partecipò alla guerra di Troia, ma molto probabilmente non compì azioni molto rilevanti, dato che non è quasi mai ricordato come in battaglia.\n\nIl mito.\nElicaone poco prima della guerra di Troia aveva preso in moglie una delle figlie del re Priamo, chiamata Laodice. Riuscì a mettersi in salvo col padre durante la caduta della città." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Elicona.\n### Descrizione: L'Elicona (in greco antico: Ἑλικών?, Helikṑn, 'il (monte) tortuoso', a sua volta da ἕλιξ, hélix, 'spirale, zigzag'; in greco Ελικώνας?) è un monte situato nella regione di Tespie anticamente in Aonia e oggi in Beozia (Grecia); con i suoi 1.748 metri è la vetta più alta della regione.\n\nMitologia.\nL'Elicona è reso celebre dalla mitologia greca per la presenza della sorgente Ippocrene, sacra alle Muse e toponimo formato sulla radice hippo- 'cavallo', giacché la tradizione voleva che fosse stato uno zoccolo del cavallo Pegaso a farle zampillare e i fiumi Olmeo e Permesso che da esse discendevano, erano reputati in grado di fornire l'ispirazione a coloro che vi si fossero dissetati.\nSulle sue pendici si trovava il villaggio di Ascra, dove nacque il poeta Esiodo (VII secolo a.C.), il quale racconta di avere incontrato le Muse mentre, giovinetto, era intento a pascolare le greggi sui fianchi della montagna, dove Eros e le Muse avevano già allora santuari e un terreno per le danze vicino alla cima. Furono esse - egli sostiene - a ispirargli la Teogonia, che si apre perciò con questa invocazione:.\n\nLe Muse lo avrebbero dunque ispirato, e grazie a loro egli iniziò a cantare le origini degli dei. Fu così che l'Elicona divenne un simbolo dell'ispirazione poetica.\nOltre alle fonti sopra ricordate (e citate dallo stesso Esiodo), la tradizione vuole che si trovasse sull'Elicona anche la fonte in cui Narciso si specchiò rimanendo colpito dalla propria bellezza.\nNell'inno omerico a Posidone, il dio viene apostrofato, in una breve invocazione, come 'signore dell'Elicona'.\n\nPatrimonio dell'Umanità.\nIl monastero di Ossios Loukas (XI secolo), che si trova sul fianco occidentale dell'Elicona, è stato dichiarato dall'UNESCO 'Sito patrimonio dell'Umanità'.\n\nRiferimenti letterari.\nNumerosissimi sono i riferimenti letterari all'Elicona. Ai vv. 37-42 del ventinovesimo canto del Purgatorio Dante Alighieri, in procinto di descrivere la mistica processione celeste che precede l'apparizione di Beatrice così chiede aiuto alle Muse:.\n\nO sacrosante Vergini, se fami,.\nfreddi o vigilie mai per voi soffersi,.\ncagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.\nOr convien che Elicona per me versi,.\ne Uranìe m’aiuti col suo coro.\nforti cose a pensar mettere in versi.Un altro riferimento si trova nel famosissimo settimo sonetto del Canzoniere di Francesco Petrarca:.\n\ned è sì spento ogni benigno lume.\ndel ciel, per cui s'informa umana vita,.\nche per cosa mirabile s'addita.\nchi vuol far d'Elicona nascer fiume.Un celebre passo è contenuto nella seconda ottava del primo canto della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso:.\n\nO Musa, tu che di caduchi allori.\nnon circondi la fronte in Elicona...nel prologo dell'Orfeo di Claudio Monteverdi:.\n\nQuince a dirvi d’Orfeo desio mi sprona,.\nd´Orfeo che trasse al suo cantar le fere.\ne servo fe’ l’Inferno a’ sue preghiere,.\ngloria inmortal di Pindo e d’EliconaPiù irriverente l'accenno di Carlo Porta nel suo Sonettin col covon sul Romanticismo, in cui, atteggiandosi a 'classicista' nella polemica con i Romantici, comprova questa sua affermazione con la sua frequentazione dell'Elicona.\n\nAltro.\nL'Elicona ispirò le danze che il compositore ungherese Leó Festetics teneva nel suo castello nei pressi di Keszthely. Festetics chiamò anche Biblioteca dell'Elicona la biblioteca che fondò per promuovere la letteratura e la cultura nella sua città natale.\nSempre dall'Elicona prende il nome la Helicon Arts Cooperative, un ente no-profit che opera nell'ambito dell'arte e della produzione di film a Hollywood." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Elimo.\n### Descrizione: Elimo (in greco antico: Ἔλυμος?, Élymos) è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nSecondo alcuni autori Elimo era figlio illegittimo di Anchise e dunque fratellastro di Enea, che seguì nel suo esilio fino in Sicilia; qui egli decise di fermarsi, fondando poi numerose città insieme al re Aceste che aveva accolto i profughi troiani. Dette il suo nome al gruppo di coloni Troiani con lui immigrati che formarono in seguito il nucleo del popolo elimo.\nSecondo il libro V dell'Eneide, invece, Elimo non è parente di Enea, bensì suddito di Aceste: egli partecipa ai giochi funebri in onore di Anchise a Drepanon." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Elle (mitologia).\n### Descrizione: Elle (in greco antico: Ἕλλη?, Hèllē) o Atamantide (in greco antico: Ἀθαμαντίς?, Athamantìs) è una figura della mitologia greca, figlia di Atamante re di Beozia e di Nefele.\nSorella di Frisso, secondo le leggende più diffuse morì in mare dopo essere caduta dal Crisomallo ma secondo alcune versioni fu salvata da Poseidone e dal dio cui partorì Peone (a volte chiamato Edono) ed il gigante Almopo.\n\nMitologia.\nElle, a causa della gelosia della matrigna Ino (che aveva sposato il padre dopo che questi ne ripudiò la madre), dovette fuggire assieme al fratello (Frisso) aggrappandosi al dorso del Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro) iniziando così uno straordinario viaggio che li portò a sorvolare i mari e le terre fino a quando oltrepassarono la Penisola Tracia.\nElle si addormentò e lasciò la presa, così cadde in mare ed annegò nello stretto che da quel momento prese il nome di Ellesponto, cioè 'il mare di Elle' e che corrisponde all'attuale stretto dei Dardanelli. Secondo Luciano di Samosata, il corpo della ragazza venne recuperato dalle Nereidi e seppellito nella Troade, mentre secondo Igino fu invece salvata da Poseidone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Elleno.\n### Descrizione: Elleno (in greco antico: Ἕλλην?, Héllēn) è un personaggio della mitologia greca, re di Ftia, città della Tessaglia ed eponimo degli Elleni.\nFiglio di Deucalione e Pirra e fratello di Anfizione e di ProtogeniaApollonio Rodio invece scrive che sia figlio di Zeus e di Dorippé.\n\nMitologia.\nElleno sposò la ninfa Orseide che lo rese padre di Doro, Eolo e Xuto. Dalla loro discendenza si formarono le quattro tribù della Grecia continentale (gli Elleni) la cui patria è l'Ellade.\nDal figlio Eolo discesero gli Eoli;.\nDal figlio Doro discesero i Dori;.\nDal figlio Xuto nacquero due figli:.\nDa Acheo discesero gli Achei.\nDa Ione discesero gli IoniSecondo Tucidide essi conquistarono l'area greca della Ftia e successivamente diffusero il loro dominio sulle altre città greche continentali e la gente di quelle zone fu così chiamata 'Hellenes' dal nome del loro antenato.\nL'etnonimo Ἕλληνες Hèllēnes risale ai tempi di Omero: nell'Iliade infatti, Ἑλλάς Hellàs e Ἕλληνες erano nomi della tribù (chiamata anche 'Mirmidoni') stabilitisi in Ftia e guidata da Achille." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Elpis.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elpìs (in greco antico: ἐλπίς, ἐλπίδος?) era la personificazione dello spirito della speranza. Nell'opera del poeta greco antico Esiodo Le opere e i giorni essa è tra i doni che erano custoditi nel vaso regalato a Pandora donna creata da Efesto.\nPandora (dall'aggettivo πᾶς, pas, 'tutto' e δῶρον, dòron, 'dono', quindi 'tutti i doni'), aveva avuto l'ordine di non aprire mai il vaso, ma la curiosità fu più forte e la donna aprì il vaso facendo così uscire tutti i mali, soltanto Elpìs rimase dentro perché Pandora riuscì a richiudere il vaso. Solo un dono non riuscì ad uscire dal vaso, la speranza.\nNella mitologia romana, l'equivalente dell'Elpìs è la Spes.\n\nElpìs nell'opera Le opere e i giorni.\nLa più famosa versione del mito di Pandora è quella contenuta nel poema di Esiodo, Le opere i giorni. Il mito narra infatti che Pandora avesse con sé un vaso che non doveva aprire, ma che aprì spinta dalla curiosità infliggendo all'umanità tutti i mali.\n\nEsiodo non ha mai spiegato il motivo per il quale Elpìs sia l'unico dono a rimanere all'interno del vaso di Pandora.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Elpis, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Emitea (figlia di Stafilo).\n### Descrizione: Emitea (in greco antico: Ἡμιθέα?, Hēmithéā), conosciuta anche come Molpadia, è un personaggio della mitologia greca, figlia di Stafilo e Crisotemi e sorella di Reo e Parteno.\n\nMitologia.\nEmitea e la sorella Parteno furono incaricate di sorvegliare il vino del padre Stafilo, ma si addormentarono e, mentre dormivano, il vaso fu rotto dai maiali che la famiglia possedeva.\nQuando si svegliarono e videro che cosa era accaduto, temendo dell'ira del padre si gettarono da una scogliera, ma Apollo, che era innamorato della sorella Reo, salvò le sorelle dallo schianto e le portò in Asia, nella regione di Cherson, dove entrambe ricevettero onori divini.\nEmitea prese questo nome dopo essere giunta in questo luogo, poiché il nome avuto alla nascita era Molpadia.\nPartenio aggiunge che la donna sposò Lirco (figlio di Foroneo) e che da lui ebbe un figlio, Basileo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Emitea.\n### Descrizione: Emitea (in greco Hμιθέα) e un personaggio della mitologia greca, principessa della polis di Tenedo, sorella di Tenete (fondatore della polis) e quindi figlia di Apollo o di Cicno e di Procleia.\n\nIl mito.\nSecondo la leggenda, la storia di Emitea è legata a doppio filo a quella del fratello Tenete: quando questo rifiutò l'amore della matrigna Filonome (che si era da poco unita a Cicno), quest'ultima ordinò di gettare in mare i due giovani. A salvarli fu però il dio Poseidone, del quale erano nipoti, che li fece approdare sull'isola di Leucofri, della quale il fratello divenne re e rinominò Tenedo, partendo dal proprio nome. Quando scoppiò la guerra di Troia Tenete, contrario ai Greci, cercò di impedirne lo sbarco sull'isola ma questi vi approdarono comunque ed Achille uccise Tenete. Dopo la morte di Tenete, Achille cercò di violentare Emitea che però fuggì e cadde nelle viscere della Terra a causa di una voragine.\n\nVoci correlate.\nApollo.\nDistretto di Tenedo.\nTenete." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Emone.\n### Descrizione: Emone (in greco antico: Αἵμων?, Hàimōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Euridice e di Creonte, il re di Tebe.\nSvolge un ruolo importante nell'Antigone di Sofocle.\n\nMitologia.\nQuando Edipo lasciò il trono di Tebe, i suoi due figli, Eteocle e Polinice si accordarono di avvicendarsi sul trono ogni anno e, non mostrando alcuna attenzione per il padre, quest'ultimo li maledisse.\n\nDopo il primo anno, Eteocle rifiutò di lasciare il trono e Polinice attaccò Tebe, scatenando una guerra durante la quale, dopo che entrambi i fratelli morirono in duello, Creonte ascese al trono di Tebe e decretò che Polinice non fosse seppellito: al che Antigone, sua sorella, disobbedì all'ordine, ma fu scoperta e Creonte ordinò che fosse seppellita viva, nonostante fosse stata promessa a suo figlio, Emone.\n\nGli dei, attraverso il profeta cieco Tiresia, espressero la loro disapprovazione e lo convinsero a revocare l'ordine: Polinice fu seppellito ma, quando Creonte arrivò alla tomba dove la nipote sarebbe stata sotterrata, si scoprì che Antigone si era suicidata piuttosto che essere seppellita viva.\nEmone, disperato, attaccò il padre, denunciandone la crudeltà e poi si uccise. Ne seguì la fine dell'intera famiglia, con il suicidio della madre e dello stesso Creonte.\n\nLa stirpe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Empusa.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Empuse (sing. Empusa, greco: Έμπουσα, Empousā) sono mostri soprannaturali femminili, appartenenti alla cerchia di Ecate, di cui erano ancelle, e aventi l'abitudine di terrorizzare i viaggiatori.Esse spaventavano o addirittura divoravano coloro che percorrevano i sentieri o le strade da esse frequentate. Le Empuse potevano assumere qualsiasi forma: le più ricorrenti erano quelle di cagna o di vacca e, per attirare le proprie vittime, potevano mutare l'aspetto in quello di una donna debole o seducente; in quest'ultimo caso si potevano intrufolare nei letti dei giovani. Nonostante la metamorfosi, a uno sguardo più attento esse rivelavano ancora caratteri mostruosi o bizzarri, come una gamba di sterco d'asina e una di bronzo.\nTalvolta avevano il retro d'asina e sandali di bronzo. Nella loro forma naturale, oltre alle strane gambe, possedevano lunghi artigli, piccole ma affilate zanne, occhi completamente rossi, pelle pallida, erano molto veloci e quando morivano diventavano fuoco che poteva divampare e procurare un incendio. Le Empuse più potenti potevano divampare per sfuggire al nemico e il loro volto comparire nel fuoco.\nAnche le Empuse, come le lamie, possono venire considerate una sorta di vampiro ante litteram in quanto si nutrivano di sangue e carne umana." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Enalo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Enalo (in greco antico: Ἔναλος) era il nome di un eroe di cui si raccontano le gesta nel mito.\n\nIl mito.\nDi ricca famiglia, si unì al gruppo guidato da Echela alla volta dell'isola di Lesbo con l'intento di colonizzarla. Durante il viaggio conobbe la figlia di Sminteo e se ne innamorò. Un oracolo consultato prima della partenza aveva ordinato fra le altre cose il sacrificio di una giovane ragazza (per placare le Nereidi) e fu scelta proprio la ragazza. Prima che fosse gettata in mare intervenne Enalo che l'abbracciò gettandosi con lei, si persero nei flutti mentre la nave si allontanò. In seguito alcuni delfini giunsero e portandoli suo loro dorso li portarono in salvo. Quando il gruppo giunse a Lesbo incontrarono lo stesso Enalo che raccontò loro i fatti accaduti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Endimione.\n### Descrizione: Endimione (in greco antico: Ἐνδυμίων?, Endymíōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Etlio e di Calice.\n\nGenealogia.\nSposò la naiade Ifianassa da cui ebbe Etolo, Peone ed Epeo ed una figlia di nome Euricida.\nSecondo Pausania il nome della moglie era diverso e poteva essere Asterodia, oppure Cromia figlia di Itono, od anche Iperippe figlia di Arcade.\n\nMitologia.\nLe storie che lo riguardano sono discordanti a seconda delle regioni da cui provengono; in alcune egli è un pastore o cacciatore della tribù degli Eoli, mentre in altre è un giovane principe che si diceva vivesse ad Elis o nella zona circostante dell'Elide, ma fu anche venerato sul Monte Latmo in Caria - sulla costa più occidentale dell'Asia Minore - ove s'affermò da parte dei cittadini di Eraclea al Latmo potesse trovarsi il luogo del suo sonno senza fine. Altri infine dicono sia stato sepolto ad Olimpia in Peloponneso.\nUna fonte più tarda lo considera uno studioso di astronomia; Plinio il Vecchio cita Endymion come esser stato il primo uomo ad osservare con estrema attenzione le fasi lunari, origine simbolica del proprio amore. Nel suo ruolo assunto nel mito di amante di Selene, la divinità lunare greca arcaica, questa professione fornisce una qualche giustificazione al racconto che lo vuole trascorrere tutto il suo tempo sotto lo sguardo della Dea personificazione della Luna.\n\nVersioni del mito.\nApollonio Rodio è solo uno dei tanti poeti a narrare di come Selene fosse perdutamente innamorata di questo bellissimo mortale, tanto che giunse fino al punto di chiedere al padre degli Dèi di concedergli un'eterna giovinezza di modo che lei non sarebbe mai stata costretta a smettere d'amarlo; un'alternativa vuole invece che, mentre lo osservava con commossa ammirazione mentre egli dormiva inconsapevole all'interno di una grotta nei pressi della città di Mileto, Selene pregò ardentemente Zeus di mantenerlo eternamente in quello stato.\nCome che sia, in entrambi i casi il desiderio venne esaudito e Endimione sprofondò in un sonno ed una giovinezza eterna. Ogni notte Selene scendeva dall'alto dei cieli per fargli visita, là ove egli continuava a dormire; le cinquanta figlie che si attribuiscono loro vengono da alcuni studiosi equiparate ai 50 mesi che debbono trascorrere da un'edizione dei giochi olimpici antichi all'altra.\nSecondo un passaggio del Deipnosophistai di Ateneo di Naucrati, l'esponente della sofistica nonché poeta di ditirambi Licinnio di Chio racconta invece una storia differente, in cui fu Hypnos, il dio del sonno, a rimanere affascinato oltre ogni dire dalla sublime bellezza del giovane uomo: gli donò così la facoltà di 'dormire ad occhi aperti', così da permettere al dio di poter ammirare a pieno il suo volto.\n\nLa Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro scrive che la ninfa Calice ed il re Etlio ebbero un figlio di nome Endymion il quale guidò in seguito la popolazione degli Eoli dalla Tessaglia in direzione sud fino a fondare Elis; ma altri giungono ad affermare fosse in realtà uno degli innumerevoli figli di Zeus. Era d'insuperabile bellezza e capitò che anche la Luna s'innamorò di lui.\nZeus gli permise di scegliere la sua sorte e lui volle poter dormire per sempre, immortale e senza età.\nSi dice anche che Endimione avesse avuto da Ifianassa, una naiade, un figlio di nome Etolo il quale uccise il figlio di Foroneo, Apis, trovandosi in tal modo obbligato a fuggire fino al paese ove risiedevano i Cureti - tra l'Acheloo e il golfo di Corinto - e qui uccise i suoi ospiti Doro, Laodoco e Polipete, i figli di Apollo e Pizia, dando infine al paese il nome di Etolia.\nPausania, che descrive la storia antica degli Elei nella sua Periegesi della Grecia, indica Endimione come colui che aveva deposto il precedente re di Olimpia Climeno, asserendo vi fosse anche conservata una sua statua nel 'tesoro di Metaponto'.\n\nProperzio (Elegie Libro 2, el. 15), Cicerone nelle sue Tusculanae disputationes (Libro 1) e Teocrito discutono ampiamente il mito di Endimione, ma ribadiscono le opinioni già esistenti senza aggiungervi nulla di veramente nuovo. Le circostanze della sua vita e morte sono state poi ampliate e rimaneggiate nel corso dell'era moderna da autori come Henry Wadsworth Longfellow e John Keats, quest'ultimo nel suo poema narrativo del 1818 intitolato per l'appunto Endymion.\nMeleagro di Gadara, autore di alcuni fra i più begli epigrammi contenuti nell'Antologia Palatina, cita Endimione in un suo componimento, più precisamente il numero 165 del libro V, quando, chiedendo aiuto alla notte, auspica che il nuovo e sconosciuto amante della sua amata Eliodora venga colpito dallo stesso sonno eterno del giovane, così da rimanere «inerte sul suo seno».\nAltre fonti ancora parlano di un amore segreto e proibito niente meno che con Era, la regina degli Olimpi; una volta scoperto da Zeus, venne maledetto. Il giovane venne costretto a 50 anni di sonno continuo dal re degli dei, anche se nella Biblioteca (1.7.5) è - come s'è visto - lui stesso a chiedere il dono di non dover affrontare la vecchiaia. Una variante invece sostiene che il giovane fu costretto da Zeus a dormire per trent'anni in una caverna sul monte Latmo senza mai svegliarsi, come punizione per aver cercato di insidiare Era. Secondo tale versione del mito la dea Artemide scoprì Endimione dormiente, e incantata dalla sua bellezza si recava ogni notte a guardarlo.\n\nAstronomia.\nNel 1935 l'Unione astronomica internazionale ha dato il nome del presunto amante della Luna ad un cratere lunare, cratere Endymion.\n\nNella cultura di massa.\nEndimione dormiente, dipinto rinascimentale di Giovanni Battista Cima.\nEndymione, antologia rimata rinascimentale del Chariteo.\nEndimione dormiente, statua neoclassica di Canova.\nEndymion, storia fantastica scritta dal romanziere Dan Simmons, il cui titolo è tratto dal poema di Keats.\nGli Endymion sono un gruppo musicale olandese.\nIl personaggio di Mamoru Chiba è ispirato a Endimione.\nEndymion, Il Mago Maestro è un mostro incantatore del gioco di carte Yu-Gi-Oh!.\nEndymion (poema), poema del poeta inglese John Keats.\n\nNelle arti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Enea, Anchise e Ascanio.\n### Descrizione: Enea, Anchise e Ascanio è un gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini, eseguito tra il 1618 e il 1619, conservato nella Galleria Borghese a Roma.\n\nStoria.\nBernini, figlio di Gian Lorenzo, attribuiva l'opera al padre quindicenne, datandola quindi al 1613, proponendo una datazione che verrà accettata anche da Filippo Baldinucci. Il ritrovamento di una nota di pagamento per il piedistallo risalente al 1619 ha posticipato la realizzazione del gruppo scultoreo a ridosso di questa data (1618-1619): l'opera sarebbe stata quindi realizzata da un Gian Lorenzo ventiduenne e con la sola collaborazione del padre Pietro.Di fatto è comunque il gruppo scultoreo più antico dei quattro che il cardinale Scipione Borghese commissionò al giovane e già riconosciuto talento (gli altri sono l'Apollo e Dafne, il Ratto di Proserpina, e il David). L'opera, che arreda la villa di Scipione Borghese fuori Porta Pinciana sin dall'ottobre 1619, è esposta dal 1888 nella Sala del Gladiatore alla Galleria Borghese, a Roma.\n\nAnalisi.\nIl soggetto è ripreso dal secondo libro dell'Eneide di Virgilio, dove si racconta della rocambolesca fuga di Enea, Anchise e Ascanio da Troia in fiamme; la materia, pur essendo desunta dal testo virgiliano, è comunque interpretata da Bernini con un ampio ricorso a spunti personali e una grande profondità di pensiero. Enea ha sulle spalle il vecchio padre Anchise, paralizzato nelle gambe e con la schiena ricurva, che reca in mano il vaso con le ceneri degli antenati (i Lari Tutelari). Il terzo personaggio è il piccolo Ascanio, figlio di Enea, che segue i due parenti stringendo nella mano l'eterno fuoco custodito nel tempio di Vesta che accenderà la nuova vita di Roma.\nLa diversa età dei tre protagonisti ha dato occasione all'artista di esibire il suo virtuosismo tecnico nella resa della pelle dei tre soggetti: vellutata e morbida del bambino, vigorosa e turgida di Enea, molle e raggrinzita di Anchise. Notevole, inoltre, il dinamismo non solo fisico (con la composizione ascendente a spirale, ancora legata alle vecchie forme manieriste), bensì anche psicologico che anima il marmo. Anchise, pur timoroso, è ottimista e sostiene amorevolmente in alto il simbolo della patria abbandonata; Enea è segnato da una virile rassegnazione, e dai presagi che lo vogliono fondatore della nuova civiltà romana, mentre il riccioluto Ascanio è spaventato eppure speranzoso, proprio come il nonno Anchise.L'opera, in un certo senso ancora sperimentale, rivela inoltre una meditata riflessione su numerosi brani pittorici. Tra i riferimenti iconografici più significativi troviamo il San Girolamo di Caravaggio, cui Bernini si rifece per la figura di Anchise, ma anche l'Ultima comunione di San Girolamo di Domenichino, l'Incendio di Borgo di Raffaello Sanzio e il Tondo Doni di Michelangelo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Enea.\n### Descrizione: Enea (in greco antico: Αἰνείας?, Ainèias; in latino Aenēās, -ae) è una figura della mitologia greca e romana, figlio del mortale Anchise (cugino del re di Troia Priamo) e di Afrodite, o Venere, dea della bellezza.\nPrincipe dei Dardani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero molto valente, fu un eroe troiano secondo solo a Ettore, ma assume un ruolo di minor rilievo all'interno dell'Iliade di Omero. Enea è il protagonista dell'Eneide di Virgilio, poema in cui si narrano le vicende successive alla sua fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite causate dall'ira di Giunone. La vicenda si conclude con il suo approdo sulle sponde del Lazio e con il suo matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino.La figura di Enea, archetipo dell'uomo obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Virgilio e a Omero, come Quinto Smirneo nei Posthomerica.\n\nMito di Enea.\nOrigini.\nUn tempo, Zeus, il padre degli dèi, che non aveva mai giaciuto con la figlia adottiva, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, architettò di umiliare la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale.\nIl prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, figlio di Capi e di Temiste (oppure, secondo altre leggende, di Egesta), che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida.\nAfrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori.\nUna notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l'aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, figlia del re Otreo, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell'Ida.Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento e, sdraiatasi accanto al giovane, si accoppiò con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell'amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell'alba, Afrodite rivelò all'uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.\nTuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.\nMa allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.\n\nLa punizione di Anchise.\nAlcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avrebbe preferito passare una notte con una figlia di Priamo o con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall'ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.\nUdita la temeraria vanteria, Zeus dall'alto dell'Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore con l'intenzione di incenerirlo.\nMa Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.\nIl giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato dall'ira divina, e la stessa Afrodite perse ogni interesse per lui dopo aver generato Enea. Si racconta anche che Zeus lo punì privandolo della vista.\n\nNascita, infanzia e giovinezza dell'eroe.\nAfrodite diede alla luce Enea sul monte Ida, e qui lo allevarono le ninfe nei primissimi anni di vita. Fu poi educato, secondo alcuni, dal centauro Chirone. A cinque anni fu affidato dal padre al giovane Alcatoo, che di Enea era cognato per aver sposato la sorellastra Ippodamia. Qui Enea fu cresciuto sino alla maggiore età. Enea non fu l'unico figlio che Anchise generò: qualche autore vuole infatti che dall'unione della dea con il mandriano nascesse anche Lirno (o Liro), morto senza figli. Virgilio racconta che Enea sarebbe stato allevato sin dalla tenera età da una nutrice chiamata Caieta, alla quale l'eroe era molto affezionato e quando ella morì le riservò ogni sorta di riguardo. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio. Pausania racconta che dalla moglie Enea avrebbe generato anche un'altra figlia, Etia.\nPrima dello scoppio della guerra contro gli Achei, Enea partecipò ad alcune spedizioni militari nell'ambito della politica espansionistica intrapresa da Priamo, legando in particolare il suo nome alla conquista dell'isola di Lesbo (la cui capitale allora era Arisbe), che divenne un avamposto strategico dei troiani.\n\nGuerra di Troia.\nSecondo le fonti più antiche della saga troiana, Enea avrebbe avuto una parte nel ratto di Elena: fu sua madre Afrodite a ordinare all'eroe di rapire la regina di Sparta, che era sposata con Menelao, che era il premio che la dea aveva fatto a Paride per averle consegnato il pomo della bellezza:.\nEnea era molto amico di Ettore, ebbe invece spesso contrasti con Priamo, come è detto più volte nell'Iliade. Nel canto XIII, l'eroe siede sul campo di battaglia rancoroso per il trattamento che il re aveva nei suoi riguardi. Era contrario alla guerra e inizialmente si rifiutò di combattere ma una volta indossate le armi non si tirò indietro.\n\nPrimi combattimenti.\nEnea partecipò alla guerra di Troia ponendosi a capo di un contingente di Dardani. L'Iliade racconta che, durante un periodo di fittizia pace, l'eroe era allora mandriano del bestiame paterno sul monte Ida quando, nel corso di una scorreria nei pascoli della Troade, Achille riuscì a separarlo dai suoi armenti di buoi, li depredò e lo inseguì lungo le pendici boscose dell'Ida ma il troiano riuscì a sfuggirgli.\n\nLo scontro con Diomede.\nFu eroe valoroso, secondo solo a Ettore, e spesso supportato dagli dèi. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest'ultimo venne ucciso da Diomede, ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.\n\nAffrontò dunque Diomede, rimanendo ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, ferì anche lei e la costrinse alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze.\n\nLa battaglia presso le navi.\nEnea combatté valorosamente anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace Telamonio, e uccidendo Medonte, fratellastro di Aiace Oileo, e Iaso, condottiero ateniese. In questa circostanza perse però sia i suoi luogotenenti, Archeloco e Acamante, che erano due dei tanti figli di Antenore, sia il cognato Alcatoo.\n\nLo scontro con Achille.\nDopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo.\n\nAchille balzò contro Enea: Poseidone, che pur essendo divinità ostile ai troiani apprezzava Enea per la reverenza che aveva verso gli dèi, decise di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell'esercito. Poseidone infatti sapeva che Enea avrebbe dovuto perpetuare la sua stirpe dopo la fine di Troia.\n\nFuga da Troia.\nLa notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d'aspetto, che gli annunciò l'inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l'incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio. Durante la fuga perse però la moglie Creusa che, sotto forma di fantasma, gli rivelò il suo futuro di fondatore di un grande popolo.\nNella Iliou persis, invece, Enea scappava da Troia con i suoi seguaci subito dopo la fine di Laocoonte, avendo intuito grazie a quell'episodio l'imminente caduta della città.\nSecondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade; la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.\n\nViaggio di Enea, eroe nell'Eneide.\nEnea fuggì da Troia via mare: insieme a lui si aggregarono molti troiani e anche vari guerrieri provenienti da altre regioni che avevano preso parte al conflitto come alleati. Giunse dapprima nel Chersoneso Tracico, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò che si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso l'isola. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell'Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto.\n\nEleno, dotato del dono della profezia, annunciò all'amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l'Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell'attuale Salento, a Castro. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono in Sicilia, a Trapani (Eneide libro-3-vv-692-718: ... hinc Drepani me portus accipit ... ), benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d'odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l'Africa.\n\nLì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l'eroe narrò le sue dolorose vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina.\n\nDidone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. La flotta troiana sbarcò di nuovo a Drepana (odierna Trapani), dove per l'anniversario della morte di Anchise furono celebrati alcuni giochi in suo onore, i ludi novendiali, ai quali parteciparono sia atleti troiani sia atleti siciliani (libro V).\nNella città di Drepanon, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la Sibilla con la quale scese vivo nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della Sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone.\n\nIncontrò in seguito l'anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso a Enea in Italia.\n\nTornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche il Circeo: qui morì Caieta, la sua nutrice, ed egli la fece seppellire nel luogo che si sarebbe poi chiamato Gaeta in suo ricordo. Il re di Laurento, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l'ira di Turno, il re dei Rutuli, cui la fanciulla era stata promessa. Durante una battuta di caccia Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, l'aitante Almone, giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest'ultimo consigliò inoltre all'eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l'assenza di Enea il campo troiano venne assediato da quattordici giovani condottieri italici, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e alcuni guerrieri che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi comandati da Tarconte, ai Liguri di Cunaro e Cupavone, e agli Arcadi guidati da Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni. Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e venne meno alla sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise Lauso, il figlio del tiranno, intervenuto in sua difesa. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L'eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo assalì la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla rimase uccisa. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall'uccidere il nemico; ma riconoscendo addosso a Turno le armi di Pallante e ricordando il dolore di Evandro per la morte del figlio, gli conficcò la sua spada nel petto (...vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).\n\nLa critica storica.\nLe prime versioni del mito di Enea sono antiche, tanto che sono già note in Etruria prima del VI secolo a.C. e in Grecia nel V secolo a.C. e farebbero derivare il nome di 'Roma' da quello di una donna troiana con il significato di 'forza'.\n\nRiassunto della leggenda.\nEnea è un principe Troiano, nativo delle falde del monte Ida nella Troade, e partecipa solo alla fase finale della guerra di Troia; è imparentato con il re Priamo avendone sposato la figlia Creusa e in quanto il padre Anchise è cugino del re. Enea piace ai Romani quale capostipite perché gli permette di affondare le radici in una civiltà dal passato fulgido pur distinguendosi dai Greci.\nAnche la leggenda di Romolo e Remo, all'inizio separata da quella di Enea, viene successivamente integrata nel suo mito. In un primo momento i due gemelli vengono indicati come suoi figli o nipoti.\nEratostene di Cirene si accorge tuttavia che, essendo la data della caduta di Troia all'incirca il 1184 a.C., né Enea né i suoi più diretti discendenti potevano aver fondato Roma nel 753 a.C., data alla quale la mitologia fa risalire la nascita di Roma.\nCatone il Censore rende plausibile la storia. Secondo la sua versione, accettata poi come definitiva, Enea fugge da Troia e giunge nel Lazio. Qui, dopo aver sposato Lavinia, fonda Lavinium. Ascanio è invece il fondatore di Alba Longa e i suoi successori danno origine alla dinastia dalla quale, dopo varie generazioni, Rea Silvia darà alla luce Romolo e Remo e in seguito la gens Giulia, con Giulio Cesare e il primo imperatore Augusto.\n\nLa fine di Enea.\nSecondo la leggenda, dopo quattro anni di regno, Enea sarebbe stato assunto in cielo trionfante tra lampi e tuoni durante una battaglia contro gli Etruschi nelle vicinanze del fiume Numico e ricevuto nell'Olimpo insieme agli dèi. È interessante notare che anche a Romolo viene decretata la stessa sorte, permettendo successivamente di deificare anche Giulio Cesare e Augusto, suoi lontani discendenti. Ciò serviva a rendere incontrovertibile la tesi delle origini divine dei fondatori di Roma.\nEsiste poi una versione completamente diversa, secondo cui il cosiddetto Heroon di Enea, situato a Pratica di Mare (nella provincia di Roma), viene identificato come la sua tomba.\n\nAltre versioni sulla discendenza di Enea.\nNelle leggende più arcaiche, Romolo non ha un gemello ed è figlio di Zeus; le successive elaborazioni sono analoghe, ponendo Romolo e Remo come figli di Marte e Rea Silvia, (in alcune versioni lei era una sacerdotessa) e perciò di discendenza divina.\nUn'ulteriore versione della leggenda, indica Rea Silvia come figlia di Enea e un suo nome aggiuntivo sarebbe Ilia, per ricordare il collegamento di Roma con Troia ('Ilio' in greco).\nPer la versione romana tramandataci da Ennio, ebbe due figlie da Creusa, come si ricava dal frammento da cui è tratto Il sogno di Ilia.\n\nAlbero genealogico.\nDa Bruto di Troia (oppure da Prima e da suo marito Proculo Giulio) si genera la gens Iulia storica. Silvio è considerato in alcune versioni il figlio di Ascanio e sarebbe quindi nipote di Enea, in altre il figlio secondogenito di Enea.\n\nVittime di Enea.\nEnea uccise ben 69 nemici tra Achei e Latini: un bilancio di poco inferiore a quello dell'acheo Achille che fece in tutto 77 vittime fra Troiani e loro alleati.\n\nCretone, guerriero acheo, gemello di Orsiloco e figlio di Diocle, discendente del fiume Alfeo. (Omero, Iliade, libro V, versi 541-560.).\nOrsiloco, guerriero acheo, gemello di Cretone e figlio di Diocle, discendente del fiume Alfeo. (Omero, Iliade, libro V, versi 541-560.).\nAfareo, valoroso guerriero acheo, figlio di Caletore e fedele compagno di Idomeneo. (Omero, Iliade, libro XIII, versi 541-545.).\nMedonte, capitano acheo, figlio illegittimo di Oileo e fratellastro di Aiace Oileo. Sostituì Filottete alla guida della sua flotta. (Omero, Iliade, libro XV, verso 332.).\nIaso, capo di un contingente di Ateniesi a Troia, figlio di Sfelo e nipote di Bucolo. (Omero, Iliade, libro XV, verso 332.).\nLeiocrito, guerriero acheo, figlio di Arisbante, fedele compagno del capitano Licomede. (Omero, Iliade, libro XVII, versi 344-345.).\nAlcimedonte, comandante di un contingente di Mirmidoni, figlio di Laerce, aveva aiutato Automedonte, auriga di Achille, a uccidere Areto. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, versi 448 ss.).\nAnfione, compagno di Epeo, il mitico acheo costruttore del Cavallo di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, verso 111.).\nAndromaco, guerriero acheo proveniente da Creta. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI, verso 41.).\nAntimaco, guerriero cretese, compagno di Idomeneo nella guerra di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro VI, verso 622.).\nAristoloco, guerriero acheo. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro VIII, verso 93.).\nBremone, guerriero acheo, proveniente da Licto, città di Creta. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI, versi 41 ss.).\nDeileonte, compagno di Epeo, il mitico acheo costruttore del Cavallo di Troia. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, verso 111.).\nTossechine, scudiero di Filottete. (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XI.).\nDemoleonte, guerriero acheo, di cui poi Enea prese la corazza. (Virgilio, Eneide, libro V).\nAndrogeo e tredici achei ai suoi ordini, entrati a Troia nella notte della sua distruzione.\nTerone: guerriero latino, primo assalitore di Enea, sulla battigia del Tevere.\nLica: giovane guerriero latino. Ferito mortalmente dal colpo di spada di Enea, rimane a lungo agonizzante.\nCisseo: guerriero latino armato di clava, come l'antico Eracle.\nGia: guerriero latino, fratello di Cisseo, anche lui armato di clava.\nFaro: guerriero latino ucciso in maniera efferata. Mentre avanza verso Enea, sulle rive del Tevere, questi gli scaglia contro una lancia che penetra nella sua bocca spalancata.\nClizio: giovanissimo e biondo guerriero latino.\nMeone: guerriero latino.\nAlcanore: guerriero latino e fratello di Meone.\nMago: la prima vittima di Enea mentre l'eroe cerca Turno, uccisore dell'alleato e amico Pallante.\nEmonide: ovvero un figlio (di cui il poeta non fa il nome) del latino Emone; giovane sacerdote di Apollo e Diana.\nCeculo: capo italico, semidio figlio di Vulcano.\nUmbrone: giovane sacerdote e capo dei Marsi.\nAnxure: guerriero latino. Enea gli tronca la mano sinistra con la spada, dopo avergli trapassato lo scudo.\nTarquito: giovane semidio, figlio della ninfa Driope e del mortale Fauno, omonimo del dio italico. Dopo essere stato sconfitto in duello, chiede a Enea di essere risparmiato, ma il capo troiano per tutta risposta lo decapita con la spada e getta testa e busto nelle acque del fiume Tevere, privando così la sua vittima di ogni rito funebre da parte dei genitori e della patria.\nAnteo: guerriero rutulo, luogotenente di Turno.\nLuca: guerriero rutulo, anche lui vicinissimo a Turno.\nNuma: guerriero latino.\nCamerte: giovane signore di Amyclae, figlio di Volcente.\nLucago: guerriero latino, gettato a terra dal carro con la lancia piantata nell'inguine.\nLigeri: guerriero latino, fratello di Lucago, gettato a sua volta a terra dal carro e trafitto da un colpo di spada al petto.\nLauso: figlio del tiranno etrusco Mezenzio, ucciso dall'eroe nel tentativo di difendere il genitore, ferito dallo stesso Enea.\nMezenzio: il tiranno etrusco, ucciso da Enea in un formidabile duello dopo la morte di Lauso.\nSucrone: ucciso da Enea in maniera selvaggia, dopo che Turno, per la seconda volta, gli era sfuggito. Ferito dapprima al fianco con la lancia, viene trucidato da un colpo di spada che gli disintegra ogni costola del petto.\nTalone: guerriero latino.\nTanai: guerriero latino.\nCetego: guerriero latino.\nOnite: guerriero latino.\nMurrano: guerriero latino, imparentato con Turno, e intimo amico di quest'ultimo. Enea gli scaraventa addosso un macigno e lo catapulta a terra giù dal carro; Murrano viene finito dagli zoccoli dei suoi stessi cavalli, che, scambiandolo per un nemico caduto, lo dilaniano.\nCupenco: guerriero e sacerdote latino. Il suo petto viene trapassato da una spada, dopo che questa ha oltrepassato lo scudo di bronzo.\nTurno: l'antagonista principale di Enea nella guerra tra troiani e italici, uccisore di Pallante e di tanti altri guerrieri. Duella con Enea e viene ferito dapprima a una coscia dalla lancia del nemico, e infine ucciso con un colpo di spada in pieno petto.\nNifeo: guerriero latino sbalzato dal suo cocchio a opera di Enea, non per sua mano, ma indirettamente a causa del suo arrivo; questo avviene nei pressi del Tevere subito prima della morte di Lucago e Ligeri.\nQuattro guerrieri rutuli, figli di Sulmone, da lui immolati sul rogo di Pallante.\nQuattro guerrieri equi, figli di Ufente, uguale come sopra.Enea uccise anche Rebo, il cavallo di Mezenzio.\n\nOmaggi.\nAll'eroe troiano è stato dedicato il cratere Aeneas.\nIl comune di Roma gli ha intitolato una via.\n\nEnea nella letteratura postclassica.\nDidone abbandonata - melodramma di Pietro Metastasio.\nCassandra - romanzo di Christa Wolf (1983)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Enigma della sfinge.\n### Descrizione: L'enigma della sfinge è il primo enigma della storia di cui si abbia documentazione. Nella mitologia greca veniva posto dalla sfinge all'ingresso della città di Tebe ai passanti e chi non fosse stato in grado di risolverlo sarebbe stato strangolato o, secondo alcune fonti (Eschilo), divorato dal mostro.\n\nFonti.\nL'indovinello viene citato da vari autori, come ad esempio Pseudo-Apollodoro, che descrive la Sfinge in modo classico, ossia un leone con volto da donna ed ali da uccello. L'enigma che essa, inviata da Era ed accovacciata sul Monte Ficio, propone è:.\n\nEssa saltava sui tebani che non rispondevano e li divorava. Creonte, dopo aver perso anche il figlio Emone, stabilì che chi l'avesse sconfitta avrebbe avuto il regno e la mano della vedova di Laio, Giocasta. Edipo ebbe successo, spiegando che la risposta era 'l'uomo', che gattona da neonato, cammina su due gambe da adulto e si appoggia su un bastone da anziano. La Sfinge si suicidò dall'acropoli dopo la sconfitta.\nDiodoro Siculo propone una versione simile:.\n\nAteneo di Naucrati cita Asclepiade di Tragilo, che avrebbe riferito l'enigma in questo modo:.\n\nNé Sofocle, né Euripide citano l'enigma, pur citando lo scontro fra Edipo e la Sfinge. Pausania afferma di aver visitato il monte su cui la Sfinge sedeva.\nNeppure Igino, che considera la Sfinge figlia di Tifone.\nLa sconfitta della Sfinge è rappresentata drammaticamente da Seneca nella sua tragedia, l'Edipo.\n\nEtà moderna.\nL'alchimista Michael Maier riporta in latino l'enigma della Sfinge nel 39° epigramma del suo trattato Atalanta fugiens del 1617:.\n\nNella cultura di massa.\nLa figura della sfinge compare ne La storia infinita di Micheal Ende, dove Atreiu, per avere colloquio con l'Oracolo del Sud, deve attraversare tre portali. Il primo di questi è difeso da due sfingi, le quali tuttavia non pongono alcun quesito e concedono il passaggio solamente a chi ne sia ritenuto realmente degno.\n\nCuriosità.\nEsiste una kylix a figure rosse del 470 a.C. che rappresenta Edipo dinanzi alla Sfinge. A fianco del primo vi è la parola 'ΟΙΔΙΠΟΔΕΣ' mentre la Sfinge pronuncia la parola 'ΚΑΙΤΡΙ[ΠΟΝ]' ('e i Tripodi'), scritta al rovescio. Potrebbe essere un gioco di parole, essendo ΟΙΔΙΠΟΔΕΣ trasformabile in ΟΙ ΔΙΠΟΔΕΣ, ossia da una variante del nome 'Edipo' a 'i bipedi'. In tal caso 'i bipedi' avrebbe come risposta 'ΚΑΙ ΤΡΙ[ΠΟΝ]' (e i tripodi) che a sua volta è una citazione da varie forme dell'indovinello.\n\nSimili enigmi non greci.\nEnigmi simili a quelli della Sfinge sono stati registrati in molte culture differenti, come ad esempio fra i mongoli del Selenga, fra le tribù centrali africane un tempo colonie inglesi e fra quelle della Guascogna." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Enio (divinità).\n### Descrizione: Enio (in greco antico: Ἐνυώ?, Enūṓ) è una figura della mitologia greca, figlia di Zeus e Era, che personifica l'urlo furioso della battaglia.\nSi tratta di una divinità femminile associata alla guerra, e in particolare al dio Ares, di cui è sposa e sorella. Non ha una propria mitologia, anche se il figlio Enialio appare in uno stralcio del libro XX dell'Iliade. V'è anche la possibilità che Enialio sia uno pseudonimo dello stesso Ares.\nNella mitologia greca, Enio era a volte assimilata alla dea della discordia Eris. Corrisponde alla dea italico-romana chiamata Bellona, e presenta anche similarità con la divinità anatolica Ma." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Enipeo.\n### Descrizione: Enipeo (in greco antico: Ἐνιπεύς? Enipèus) è un personaggio della mitologia greca. Era il dio fluviale della Tessaglia, di cui s'innamorò Tiro.\n\nMitologia.\nEnipeo era considerato il più bello tra gli dei-fiumi. Poseidone prese le sue sembianze per giacere con Tiro e con lei generò i gemelli Pelia e Neleo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ennomo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ennomo (in greco antico: Ἔννομος) era il nome di vari personaggi presenti nella guerra di Troia, scoppiata per colpa del rapimento di Elena, moglie di Menelao un re acheo, effettuato da Paride figlio di Priamo il re del grande regno di Troia. Tale guerra scoppiata fra i due regni viene raccontata da Omero nell'Iliade.\n\nIl mito.\nSotto tale nome ritroviamo soltanto guerrieri che si schierarono dalla parte di Troia:.\n\nEnnomo, condottiero dei Misi;Ennomo, guerriero troiano.\n\nEnnomo di Misia.\nEnnomo di Misia fu inviato a combattere dal re Telefo, che era parente e alleato di Priamo. Ennomo era un augure che profetizzava osservando il comportamento degli uccelli in volo, spesso esortato da Ettore durante le tante battaglie, ma alla fine cadde per mano di Achille, che gettò poi il suo cadavere nello Scamandro; non però nella battaglia fluviale descritta nell'Iliade, ma in un poema successivo del ciclo troiano, a noi non pervenuto, mentre nell'Iliade viene fatta solo un'anticipazione della sua morte.\n\n(Omero, Iliade, libro II, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti).\nL'anima di Ennomo non poté raggiungere i cancelli dell'Ade, essendo rimasto insepolto il suo corpo.\n\nEnnomo di Troia.\nEnnomo fu un abile guerriero troiano, ucciso da Odisseo (Ulisse)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Enomao.\n### Descrizione: Enòmao (in greco antico: Οἰνόμαος?, Oinómaos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Pisa.\n\nGenealogia.\nFiglio del dio Ares e di Arpina (o di Sterope), sposò Evarete figlia di Acrisio (o Sterope ) e fu padre di Ippodamia, Leucippo e Alcippe.\nSecondo altre fonti ha genitori mortali (Alcione o Hyperochus) come padri ed Eurythoe come madre o moglie.\n\nMitologia.\nTemendo una profezia secondo cui sarebbe stato ucciso da suo genero, si guardava dal permettere a sua figlia Ippodamia di sposarsi.\nL'espediente da lui trovato era di esigere che ogni corteggiatore lo sconfiggesse in un agone, il cui percorso si svolgeva partendo dalla sua reggia per raggiungere l'altare di Poseidone situato sull'istmo di Corinto. Se il rivale avesse vinto avrebbe avuto la mano della figlia ma se avesse perso, lui stesso l'avrebbe ucciso.\nE aveva già appeso diciotto teste alle colonne del proprio palazzo, dei cui sconfitti Pausania ne elenca i nomi.\nIl suo carro era guidato dall'auriga Mirtilo, figlio di Ermes e tra i vantaggi di Enomao c'erano anche le due cavalle che trainavano il cocchio, Arpina e Psilla ricevute in dono dal padre Ares che erano le più veloci della Grecia e più rapide addirittura del vento del Nord.\nQuando fu il turno di Pelope, non si accorse che la figlia si era incantata per lui e nemmeno che il suo auriga (Mirtilo, che era innamorato di lei), per compiacerla manomise le ruote del suo carro rimuovendo i fermi dai mozzi e sostituendoli con dei pezzi di cera.\nDurante la corsa le ruote si staccarono, il carro si distrusse e lui, rimasto impigliato nelle redini, fu travolto a terra e morì." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Enopione.\n### Descrizione: Enopione (in greco antico: Οἰνοπίων?, Oinopíōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Chio.\n\nGenealogia.\nFiglio di Dioniso e Arianna, ebbe dalla ninfa Elice i figli Mela, Talus, Evante, Salago, Atamante e la figlia Merope.\n\nMitologia.\nFondò la città di Chio nell'isola omonima ricevuta da Radamanto e di cui divenne re.\nSi narra che dato il suo nome (l'origine derivava dal greco e significava 'bevitore di vino') avesse diffuso l'arte di coltivare le viti nei suoi territori.\n\nL'ospite Orione.\nRicevette il gigante cacciatore Orione che, giunto a Chio per cacciare la numerosa selvaggina dell'isola, fu in seguito accolto con un banchetto dove assalì sua figlia Merope.\nPer vendicarsi, Enopione lo fece ubriacare e quando si assopì lo pugnalò negli occhi e lo buttò giù dall'isola. Efesto ebbe pietà del cieco Orione e gli diede come guida il suo servitore Cedalione che lo condusse verso est, dove il sole nascente gli restaurò la vista.\nOrione volle a sua volta vendicarsi e cercò di uccidere Enopione, ma questi si nascose in una fortezza costruita dai Chiani e in seguito fuggì a Creta.\nIgino scrive che non andò a Creta ma fu rapito da Eos.\nPausania scrive che la sua (presunta) tomba si trovava a Chio nel tempo del suo viaggio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eolia (mitologia).\n### Descrizione: Eolia è una località leggendaria della mitologia greca.\nNell'Odissea di Omero (libro X) e nell'Eneide di Virgilio (libro I), Eolia è l'isola in cui dimora Eolo, re dei venti, che custodisce i venti stessi in una caverna. Nel poema omerico Eolia è descritta un’isola galleggiante, con coste alte e rocciose, circondata da una muraglia di bronzo.L'isola era situata nel Mediterraneo, vicino alla Sicilia. Questi elementi hanno portato alcuni autori ad ipotizzare che Eolia vada identificata con l'isola di Lipari, la maggiore delle Isole Eolie, o con la vicina isola di Stromboli." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eolo (figlio di Elleno).\n### Descrizione: Eolo (in greco antico: Αἴολος?, Àiolos) è un personaggio della mitologia greca, eponimo e capostipite degli Eoli, la seconda popolazione di origine ellenica che invase l'antica Grecia nel II millennio a.C.\n\nIl mito.\nSecondo Pseudo-Apollodoro è figlio terzogenito di Elleno e della ninfa Orseide, è fratello di Doro e Suto e sposando Enarete divenne padre di sette maschi e cinque femmine che presero il nome di Eoliani. Eolo regnò in Magnesia.. I nomi e l'identità dei figli variano tra gli autori: Il catalogo delle donne di Esiodo enumera Sisifo, Atamante, Creteo, Salmoneo, Deioneo, Periere, Magnete, e le figlie Pisidice, Alcione, Calice, Canace e Perimede. Altri autori includono Cercafo, Macareo, Macedone, Suto, Etlio, Ceice, Minia, Mimante, Tanagra e Tritogenia.\nIn una versione del mito, Eolo è invece figlio di Xuto e fratello minore di Iono e Acheo.\nSecondo una versione del mito, Eolo ebbe anche una figlia di nome Arne o Melanippe. Eolo sedusse Ippe, la figlia del centauro Chirone, che rimase incinta. Temendo l'ira di Chirone, con l'aiuto di Poseidone si trasformò in cavalla, e il dio del mare pose la sua immagine nel cielo. La figlia nata fu una puledra dal nome di Melanippe o Arne, e Poseidone se ne invaghì. Dalla loro unione nacquero due gemelli, Beoto ed Eolo, che furono adottati da Teano, moglie di Metaponto, re dell'omonima città della Magna Grecia. I due gemelli in seguito fondarono insediamenti, rispettivamente nella Beozia e nelle isole Eolie. Secondo una tradizione minoritaria, questo secondo Eolo sarebbe il custode dei venti di cui parla l'Odissea, ma l'Eolo omerico è in genere considerato un personaggio a sé stante, distinto sia da Eolo figlio di Elleno che da Eolo figlio di PoseidoneEolo viene citato anche nell'Iliade (libro VI, v. 154).\n\nEsegesi.\nProbabilmente le due storie che raccontano la violenza fatta da Eolo e Poseidone verso due cavalle, si riferiscono al medesimo evento, e cioè il prevalere degli Eoli sui Pelasgi adoratori del cavallo o della dea dei cavalli.Rendere Eolo e Ione figli di Suto, e non Elleni della prima generazione, significava condannare Ioni ed Eoli che con il tempo si erano piegati al culto titanico dei Pelasgi. Infatti solo gli Achei riuscirono a imporre il proprio olimpo (titanomachia)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eolo (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Eolo (in greco antico: Αἴολος?, Aíolos) è un personaggio della mitologia greca, il cui mito si confonde spesso con quello di un altro Eolo, figlio di Ippote.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone e di Arne, aveva un fratello gemello, Beoto.\nOmero scrive che fu padre di sei maschi e sei femmine e che li fece sposare tra di loro. Igino ed Ovidio ne citano due, Macareo e Canace.\n\nMitologia.\nSua madre (Arne), non fu creduta dal padre quando gli confessò di essere rimasta incinta dal dio Poseidone e così il padre (un altro Eolo, il figlio di Elleno) la consegnò ad uno sconosciuto di nome Metaponto (che in quel periodo soggiornava nella loro città) e che si fece carico di portarla a Metaponto nella Magna Grecia.\nCosì Eolo fu partorito a nella città di Metaponto assieme al gemello Beoto, ed i due bambini furono adottati da Metaponto che, essendo senza figli, accolse con favore il responso di un oracolo che gli consigliò di tenerli con sé.\nCresciuti, i due gemelli approfittarono di una ribellione per impadronirsi del regno del padre adottivo con la forza ma tra la loro madre ed Autolita, moglie di Metaponto, ebbe luogo una lite che culminò con l'uccisione di Autolita da parte dei due fratelli. Così Metaponto scaccio i tre che furono portati in mare e dopo questo episodio i due gemelli si divisero.\nEolo prese possesso delle isole del Mar Tirreno che ora portano il suo nome (le Eolie) e fondò una città a cui diede il nome Lipari.\nBeoto invece si diresse verso la terra del nonno (il padre di Arne).\n\nL'incesto e i latini.\nMentre per i greci il matrimonio tra consanguinei era una cosa possibile, per gli autori romani l'incesto era vergognoso e scioccante.\nIgino ed Ovidio infatti, presero spunto dai matrimoni tra i figli di Eolo per scrivere due poemi in cui i due fratelli, anziché essersi sposati per volere del padre, furono puniti dallo stesso per il loro rapporto incestuoso. Così.\nMacareo fu espulso dalla città , il neonato fu dato in pasto a cani feroci ed infine a Canace fu consegnata una spada con l'invito a suicidarsi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eono.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eono (in greco antico: Οἰωνός) era il nome di uno dei figli di Licimnio e di Perimede.\n\nIl mito.\nAveva due fratelli, Argeio e Mela erano alleati di Eracle morendo negli scontri con Eurito.\nEono era amico di Alcmena, la sorellastra di suo padre e cugina di Eracle, il suo compagno di avventure. Si racconta che un giorno mentre viaggiavano per le strade di Sparta un cane lo aggredì e nel difendersi lo colpì facendo infuriare il suo padrone (Ippocoonte) che insieme ai suoi figli lo uccisero, colpendolo più volte con bastoni ed altre armi improvvisate.\nEracle faticò a vendicarsi, uccidendo alla fine lo stesso Ippocoonte e tutti i suoi venti figli e rimettendo sul trono Tindaro, il fratello di quest'ultimo.\nSecondo Pausania il suo sepolcro si trovava accanto al santuario di suo cugina." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eos (divinità).\n### Descrizione: Eos (in greco antico: Ἠώς?, Ēṑs) o Eo è un personaggio della mitologia greca. È la dea greca dell'alba e corrisponde alla divinità romana Aurora e a quella etrusca Thesan.\n\nGenealogia.\nFiglia di Iperione e Tia, ebbe da Astreo i quattro venti (Zefiro, Borea, Austro e Apeliote), gli Astri (le stelle), Fosforo, Vespero e Astrea.\nDai mortali Titone ebbe i figli Emazione e Memnone, da Cefalo ebbe Fetonte e da Clito ebbe Cerano.\nTra i suoi padri, Ovidio e Gaio Valerio Flacco aggiungono Pallante, mentre tra gli altri figli a lei attribuiti c'è un altro Titone.\n\nMitologia.\nAl termine di ogni notte Eos giunge da est a bordo di una biga trainata da due cavalli (Faetonte e Lampo).\nOmero la descrive mentre è intenta ad aprire le porte del paradiso affinché il sole sorga e con la veste color zafferano e ricamata o tessuta con fiori con le dita rosee e le braccia dorate ed è raffigurata nella Ceramica greca come una bella donna, incoronata con una tiara o un diadema sul capo e con le grandi ali di uccello.\n\nTra i suoi amanti divini ci fu Orione, che portò con sé a Delo e Ares, il dio della guerra, con cui condivise più volte il suo letto.\nOffesa per il tradimento, Afrodite punì la dea sua rivale, condannandola a innamorarsi continuamente di comuni mortali e la maledizione ebbe il suo effetto poiché Eos, durante una sua passeggiata presso la città di Troia, intravide Titone, un giovane di straordinaria bellezza e di sangue reale. Così un giorno lo rapì e lo condusse con sé in Aethiopia e dalla loro unione nacquero i figli, Emazione e Memnone, quest'ultimo ucciso da Achille nella Guerra di Troia.\nDa quel giorno, ogni mattina Eos piange inconsolabilmente il proprio figlio e le sue lacrime formano la rugiada.\nEos rapì anche Cefalo (che portò in Siria) e Clito, che portò con sé nella dimora degli dei." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epafo.\n### Descrizione: Épafo (in greco antico: Ἔπᾰφος?, Épăphos) o Munanzio è un personaggio della mitologia greca, re d'Egitto e figlio di Zeus ed Io. Un'altra versione meno diffusa lo descrive come figlio di Protogenia. Épafo ebbe una sorella di nome Ceroessa e fu sposo di Menfi da cui ebbe due figlie, Lisianassa e Líbia.\nNella mitologia romana Épafo è il padre di Líbia avuta però dalla sposa Cassiopea.\nNella Religione egizia Épafo era identificato con Apis.\n\nMitologia.\nÉpafo nacque sulle rive del fiume Nilo dopo un lungo peregrinare di sua madre che, trasformata in una mucca dalla gelosia di Era (la moglie di Zeus), aveva percorso gran parte del mondo conosciuto fuggendo da un tafano che questa le aveva mandato per mortificarla. Quando infine giunse in Egitto le carezze di Zeus le restituirono la sua figura umana.\nPerò la rabbia di Era non era ancora sfumata poiché questa ordinò ai Cureti di sequestrare il neonato e coloro che furono scoperti da Zeus furono annientati da un suo fulmine prima che rivelassero dove avevano nascosto Épafo ancora infante.\nCosì la madre Io intraprese un nuovo viaggio per cercarlo e lo ritrovò in Siria, dove scoprì che veniva allattato da una sposa (Astarte o Saosis) del re Malcandro di Biblos.\nQuando Épafo fu riportato in Egitto la madre sposò il re Telegono a cui Épafo successe dopo la morte del patrigno.\nÉpafo si sposò con Menfi, una figlia del dio Nilo ed in suo onore fondò la città di Menfi che divenne con il tempo la nuova capitale del regno.\nCon Menfi ebbe una figlia chiamata Lisianasa e con la stessa o con Cassiopea, fu padre di Líbia.\nDa tali unioni discesero i libici, gli etiopi ed i pigmei, avendo così questi popoli un'origine comune argivo.\nSecondo Eschilo nel suo Prometeo incatenato, fu uno di questi discendenti (precisamente il tredicesimo) quello che liberò il titano dalle catene.\nÉpafo era grande amico di Fetonte al quale somigliava molto, ma gli scherzi o meglio le offese di Épafo durante una disputa, incitarono Fetonte a chiedere a suo padre di poter condurre per un giorno il carro del sole e con le conseguenze disastrose e che intristirono profondamente Épafo.\nDopo un regno glorioso Épafo ebbe una morte orribile ed il vedere il figlio bastardo di suo marito convertito in re di un luogo così bello accese ancora di più la sete di vendetta di Era, che decise che Épafo doveva morire mentre cacciava, e convinse i titani a ribellarsi contro suo marito. Sebbene questa ribellione risultò infruttuosa, i titani divorarono Épafo prima che Zeus e gli altri dei dell'Olimpo li gettassero nel Tartaro.\n\nAlbero genealogico." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epiales.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Epiales (anche Epialos, Epioles o Epialtes) (in greco: Επιάλης, Επιάλτης), era uno spirito (dàimon) e personificazione degli incubi.\n\nNella cultura di massa.\nEpiales appare nel libro 'Luce e Tenebra' di Rick Riordan e Mark Oshiro, come antagonista secondario.\n\nVoci correlate.\nOneiroi.\nFobetore.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project - Epiales." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epidauro (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Epidauro era il nome di uno dei figli di Argo e Evadne.\n\nNel mito.\nDi lui racconta Apollodoro, che rimane fra le varie versioni la più importante, racconta di sua madre la figlia del dio mare Strimone e dei suoi fratelli: Ecbaso, Pira e Criaso. Pausania racconta che gli Elei si discostavano da questa interpretazione, tipica degli Argivi, vedendo in Epidauro un figlio di Pelope." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Epidauro.\n### Descrizione: Epidauro (in greco antico in greco Ἐπίδαυρος? Epìdauros, in greco moderno Επίδαυρος Epìdavros) è un comune della Grecia nella periferia del Peloponneso (unità periferica dell'Argolide) conosciuta principalmente per il suo santuario dedicato ad Asclepio e per il suo teatro, ancora utilizzato al giorno d'oggi per accogliere rappresentazioni teatrali.\n\nStoria.\nEpidauro era indipendente da Argo e non era inclusa nell'Argolide fino al tempo dei Romani. Con il suo territorio, formò la piccola area chiamata Epidauria. Conosciuta per essere stata fondata o nominata come l'Epidauro Argolide, e per essere il luogo di nascita del figlio di Apollo Asclepio il guaritore. Epidauro era nota per il suo santuario situato a circa 8 km dalla città, così come il suo teatro, che è ancora in uso oggi. Il culto di Esculapio a Epidauro è attestato nel VI secolo a.C., quando il santuario più antico di Apollo Maleatas non era più abbastanza spazioso.\nL'asclepeion di Epidauro era il centro di guarigione più celebrato del mondo classico, il luogo in cui i malati andavano nella speranza di essere curati. Per scoprire la cura giusta per i loro malanni, trascorrevano una notte nell'enkoimeteria, una grande camera da letto. Nei loro sogni, il dio stesso avrebbe consigliato cosa avrebbero dovuto fare per riguadagnare la loro salute. All'interno del santuario c'era un edificio per i pellegrini con 160 camere. C'erano anche sorgenti minerali nelle vicinanze, che potevano essere state utilizzate per la guarigione.\nAsclepio, il più importante dio guaritore dell'antichità, portò prosperità al santuario, per cui nel IV e III secolo a.C. si intraprese un ambizioso programma di costruzione per l'ampliamento e la ricostruzione degli edifici monumentali. La fama e la prosperità continuarono per tutto il periodo ellenistico. Dopo la distruzione di Corinto nel 146 a.C. Lucio Mummio visitò il santuario e vi lasciò due dediche. Nell'87 a.C. il santuario fu saccheggiato dal generale romano Silla. Nel 74 a.C. una guarnigione romana sotto Marco Antonio Cretico era stata installata nella città causando una mancanza di grano. Tuttavia, prima del 67 a.C. il santuario fu saccheggiato dai pirati. Nel II secolo d.C. il santuario godette di una nuova ascesa sotto i Romani, ma nel 395 i Goti fecero irruzione.\nAnche dopo l'introduzione del cristianesimo e il silenzio degli oracoli, il santuario di Epidauro era ancora conosciuto fino alla metà del V secolo, sebbene fosse diventato un centro di guarigione cristiano.\nA seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 340 km² e la popolazione è passata da 4.471 a 8.710 abitanti.\nÈ inserita dal 1988 nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.\n\nIl santuario di Asclepio.\nIl santuario di Epidauro in età ellenistica divenne il centro per eccellenza dedicato al culto di Asclepio, divinità salutare del pantheon greco, che guariva i fedeli che si recavano in pellegrinaggio ad Epidauro durante le feste in suo onore, denominate Asclepiei.\n\nL’abaton.\nLe guarigioni dei fedeli avvenivano in un edificio detto ἄβατον (àbaton, 'impenetrabile'): prima di accedervi, infatti, il pellegrino doveva aver compiuto le lustrazioni di purificazione necessarie. L'abato si trova nel centro del santuario, nella spianata dove sorgono gli edifici di carattere più propriamente religioso (abaton, tempio, tholos).\n\nIl katagogion.\nMa non tutti i fedeli che giungevano ad Epidauro trascorrevano la notte nell'abaton: questo edificio aveva infatti una funzione prettamente sacra mentre l'accoglienza dei forestieri avveniva in un altro edificio posto a nord del santuario, il cosiddetto καταγώγιον katagṑghion (dal verbo κατάγω katàgō, 'ospitare').\nIl katagogion è un edificio di pianta quadrata, suddiviso in quattro quadrati più piccoli. Ogni quadrato è formato da un cortile sul quale si affacciano delle stanze, diverse per forma e numero in ciascuna sezione. All'interno delle camere erano disposte le κλῖναι klìnai (sing. κλίνη klìnē), sulle quali venivano consumati i pasti, mentre, per dormire, i pellegrini potevano utilizzare le porzioni di spazio lasciate libere. Il katagogion si data al III secolo a.C., ma gli attuali resti risalgono ad un rifacimento del I secolo a.C., ad opera del senatore Antonino.\nMa i pellegrini che ogni anno, in primavera, arrivavano da tutta la Grecia per festeggiare Asclepio erano molto più numerosi di quanti potevano trovare alloggio nel katagogion: questo edificio, infatti, era una sorta di albergo dal carattere elitario, mentre la gran massa dei fedeli dormiva nelle tende disposte fuori dal τέμενος tèmenos, il recinto dello ἱερόν hieròn, il tempio.\n\nIl tempio di Asclepio.\nIl tempio fu costruito nelle vicinanze dell'abaton tra il 380 e il 375 a.C. Era uno dei più piccoli peripteri dorici della Grecia, in marmo e tufo di Corinto, con undici colonne sui lati lunghi, sei sui lati minori e due colonne in antis. Si conservano le fondamenta e, nella cella a navata unica, resta visibile la base sulla quale doveva ergersi la statua di culto. Una fossa lungo la parete meridionale della cella ospitava probabilmente il tesoro di Asclepio. Una lastra in calcare, recante le iscrizioni relative alle spese di costruzione (I.G., IV², 102), riporta il nome di Teodoto quale architetto. La ricca decorazione interna del tempio era opera di Trasimede di Paro che fu forse anche autore della statua di culto crisoelefantina con l'immagine di Asclepio.\nQuest'ultima, descritta da Pausania (Paus. II.27.2) come una figura seduta, affiancata da un cane e da un serpente, è stata riprodotta sulle monete di Epidauro del IV secolo a.C. e su alcuni rilievi votivi, uno dei più fedeli conservato a Copenaghen (Ny Carlsberg Glyptotek 1425).\n\nIl teatro.\nIl teatro è stato realizzato nel 350 a.C. su progetto dell'architetto Policleto il Giovane. Malgrado non manchino testimonianze di edifici dell'epoca, come i teatri di Eretria, Delo, Priene, nessuno eguaglia per perfezione e armonia di proporzioni l'architettura di Epidauro. Per non parlare dell'eccezionale acustica ottenuta soltanto su basi empiriche.L'orchestra di 20,28 m di diametro è posta tangenzialmente alla scena ed è avvolta per circa due terzi dalle gradinate del pubblico. Uno dei pregi maggiori di questo teatro, dovuto probabilmente a un attento calcolo delle dimensioni della σκηνή (skēnḕ, spazio scenico o scena) e della curvatura della cavea (l'insieme di grandinate), è l'acustica perfetta che consente di far giungere la voce sin nei ripiani più alti, amplificando ogni minima emissione sonora.\nInizialmente fu adibito alla rappresentazione di tragedie.\nNel 1954 fu parzialmente restaurato in quanto si era conservato quasi perfettamente nel corso dei secoli. Il 24 agosto 1960 fu utilizzato per la prima volta per la rappresentazione di un'opera lirica, la Norma di Vincenzo Bellini, con Maria Callas nel ruolo della protagonista. L'anno seguente, il celebre soprano diede anche alcune recite della Medea di Luigi Cherubini.\n\nRiferimenti letterari.\nLa cittadina viene più volte citata nel libro Il colosso di Marussi di Henry Miller." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epigoni.\n### Descrizione: Gli Epigoni, figure della mitologia greca, sono i figli dei sette capi che combatterono contro Tebe (vedi I sette contro Tebe).\nIl nome 'epigoni', dal greco ἐπίγονος ('nato dopo'), significa 'coloro che vennero dopo', ossia una generazione successiva (non necessariamente quella subito dopo la prima). Il termine 'epigono' conserva, in italiano, il significato di 'continuatore'/'imitatore'. Del mito degli epigoni esiste anche la tragedia chiamata appunto Gli Epigoni di Sofocle.\nSecondo Apollodoro gli Epigoni furono: Anfiloco e Alcmeone (figli di Anfiarao), Egialeo (figlio di Adrasto), Diomede (figlio di Tideo), Promaco (figlio di Partenopeo), Stenelo (figlio di Capaneo), Tersandro (figlio di Polinice), Eurialo (figlio di Mechisteo).\nPausania aggiunge Polidoro e Timea.\n\nMito.\nDieci anni dopo la vicenda dei loro padri, per vendicarne la morte, gli Epigoni ripresero la guerra contro Tebe, guidati da Alcmeone o da Adrasto. Cominciarono col saccheggiare i villaggi attorno alla città, provocando l'intervento dei tebani che, guidati dal re Laodamante, furono sconfitti. Nella battaglia morì Egialeo ucciso da Laodamante che a sua volta fu ucciso da Alcmeone.\n\nEpigoni dei diadochi.\nSono detti epigoni (greco: Επίγονοι, Epigonoi, 'discendenti'), nella storia ellenistica, i figli e i discendenti dei diadochi (i generali macedoni che alla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C., si contesero il controllo del suo impero)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epimenide.\n### Descrizione: Epimenide di Creta (Cnosso, VIII secolo a.C. – VII secolo a.C.) è stato uno scrittore e filosofo greco antico.\n\nBiografia.\nLe principali notizie sulla sua vita sono fornite in particolare da Plutarco e Diogene Laerzio.\nNacque a Cnosso o a Festo, tra l'VIII e il VII secolo a.C. Seguendo una tradizione diversa, Platone, lo colloca circa un secolo dopo.\nSi ricava da Diogene la notizia che Epimenide, da giovane, inviato dal padre a rintracciare una pecora nei campi, si fosse addormentato in una caverna e avesse dormito per cinquantasette anni: una volta risvegliatosi e tornato in quella che avrebbe dovuto essere la sua casa, non trovandovi più alcuno che conoscesse, si era imbattuto nel fratello, ormai anziano, comprendendo quanto era successo. Da quel momento capì di essere caro agli dei e di avere un legame particolare con loro, in particolare con Apollo delfico, di cui si fa interprete. Viene, infatti, considerato sommamente abile nella divinazione.\nGrazie alla sua fama di uomo vicino alla divinità ed esperto di cose sacre, verso il 600 a.C. viene invitato ad Atene per purificare la città: gli Ateniesi, in particolare la famiglia degli Alcmeonidi, verso il 630 a.C. si erano macchiati di un sacrilegio, avendo ucciso Cilone e i suoi seguaci, che avevano tentato di impadronirsi del potere e si erano rifugiati presso gli altari delle divinità. Violando la protezione divina, gli Alcmeonidi li avevano strappati dagli altari ed eliminati: per questo motivo una maledizione era ricaduta sulla città e, secondo Diogene, una pestilenza imperversava nell'Attica. Chiamato da Solone, Epimenide purifica la città ordinando il tipo e il modo dei sacrifici da celebrare, regolamenta le istituzioni religiose e inizia la città ai sacri misteri. Quindi ritorna a Creta senza accettare ricompense. Plutarco e Diogene connettono la permanenza ad Atene con Solone, in un periodo collocabile verso la fine del VII secolo; secondo Platone, invece, Epimenide sarebbe giunto ad Atene dieci anni prima la spedizione persiana del 490 a.C.\nLa nascita di due differenti cronologie è dovuta, probabilmente, all'erronea correlazione fra Epimenide e l'esilio che gli Alcmeonidi subiscono più volte nel corso della storia ateniese. Infatti, gli Alcmeonidi colpevoli dell'omicidio di Cilone e dei suoi seguaci vengono esiliati dopo la purificazione di Epimenide, i loro discendenti rimangono colpiti dalla maledizione e si hanno notizie di altri periodi di esilio sotto Pisistrato e al momento della cacciata dei Pisistratidi (508/7 a.C.): chi ha considerato di collocare l'esperienza ateniese di Epimenide verso il 500 a.C. ha verosimilmente fatto confusione tra questi momenti. Secondo Diogene, che riporta diverse tradizioni, Epimenide sarebbe morto a Creta, non molto tempo dopo essere tornato da Atene, a circa centocinquant'anni di età.\n\nOpere e pensiero.\nDiogene fornisce una lista di opere attribuite a Epimenide, su cui permangono molti dubbi: avrebbe composto, in versi, la Nascita dei Cureti e dei Coribanti, la Teogonia, la Costruzione della nave Argo, il Viaggio di Giasone tra i Colchi, Minosse e Radamanto, e, in prosa, i Sacrifici e la Costituzione di Creta. Dalle testimonianze pervenute si può senza dubbio attribuire a Epimenide un forte interesse per il mito, che sottopone ad analisi critica.\n\nIl mito e la critica 'storica'.\nSecondo una testimonianza, alle origini, come una sorta di arché, Epimenide poneva Aere e Notte, dai quali nasceva il Tartaro. Egli, secondo quanto tramandato, ebbe fama di 'teologo', in quanto nelle opere attribuitegli sistematizzò le generazioni degli dei, secondo il principio della generazione matrilineare; in realtà, se di una sua 'teologia' si può parlare, sembra anche esservi una critica della tradizione, come, ad esempio, evidente da Plutarco, che riporta il suo criticismo verso la tradizione delfica che individuava nel luogo sacro ad Apollo l'ombelico del mondoːAlla critica della tradizione sembra si debba connettere anche il frammento riportato da Paolo, da cui già gli antichi trassero la nozione del paradosso del mentitore: «Cretesi sempre bugiardi, bestie malvagie, oziosi ghiottoni». A Epimenide, esperto di cose sacre, iniziato ai misteri e interprete della divinità, sembra vada dunque ascritto il merito di aver applicato, per primo o tra i primi, il metodo dell'analisi critica alla tradizione e di aver sottoposto a controllo tutta la conoscenza mitica e cosmologica precedente. Secondo lo storico Santo Mazzarino a Epimenide andrebbe anche riconosciuta una capacità critica in chiave storica; lo si dedurrebbe dal passo di Aristotele, in cui si dice:La disposizione di Epimenide verso il passato è intesa quale capacità di sottoporre ad analisi e interpretazione la vicenda umana: Epimenide si presenterebbe, quindi, come uno dei primi creatori del pensiero storico.\n\nIl paradosso del mentitore.\nSecondo alcuni il cosiddetto 'paradosso del mentitore' nacque proprio dall'affermazione di Epimenide che «tutti i Cretesi sono bugiardi»; essendo egli cretese avrebbe dovuto conseguentemente essere bugiardo e perciò l'affermazione è falsa poiché pronunciata da un bugiardo. Ma se così non fosse, se cioè Epimenide fosse stato un cretese che, almeno in questa occasione, non diceva il falso, l'affermazione sarebbe risultata ugualmente falsa poiché non tutti i cretesi sono bugiardi.\nNon è tuttavia noto se l'affermazione di Epimenide fosse intesa come un paradosso del mentitore. Inoltre, la proposizione, così come è formulata, non è un paradosso: se infatti egli stesso fosse un cretese falso fra altri onesti, allora l'affermazione iniziale falsa porta ad affermare logicamente che qualsiasi conclusione dichiarata, per quanto assurda, sia vera. Non conosciamo il contesto in cui Epimenide fece questa affermazione; fu solo più tardi di nuovo citata come, appunto, il paradosso del mentitore." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epiphron.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Epiphron (in greco: Ἐπίφρων) era il figlio di Erebo e Notte; spirito di prudenza, accortezza, pensosità e sagacia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Epipola.\n### Descrizione: Epipola è un personaggio della mitologia greca, figlia di Trachione.\n\nStoria.\nIl padre ricevette l'ordine di recarsi in Aulide per partecipare alla guerra di Troia. Era però troppo anziano per combattere e non aveva figli maschi da mandare in guerra. Allora sua figlia Epipola radunò gli schieramenti del padre e al suo posto si recò al porto di Aulide, mascherata da uomo. Palamede, che già aveva scoperto l'inganno di Ulisse, riuscì a svelare l'identità di Epipola e, nonostante le proteste di Achille, al quale la giovane aveva chiesto aiuto, la fece uccidere a sassate dall'esercito acheo.\nL'unica fonte antica che riferisce su questo personaggio è un passo di Tolomeo Chenno, citato dal patriarca Fozio nella sua Biblioteca (cod. 190)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Epistrofo (figlio di Eveno).\n### Descrizione: Epistrofo (in greco antico: Ἐπίστροφος?, Epístrofos) è un personaggio della mitologia greca, fratello di Minete e cognato di Briseide.\n\nMitologia.\nEpistrofo, figlio di Eveno, viveva in tranquillità nella città di Lirnesso in Cilicia.In tale città era stata portata in segreto Briseide per salvarla dalle grinfie di Achille che la desiderava, ma questi alla fine la raggiunse: dopo aver ucciso Epistrofo e Minete, distrusse la città intera e rapì Briseide per tenerla come amante e schiava." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Epito (figlio di Cresfonte).\n### Descrizione: Epito (in greco antico: Αἴπυτος?, Aípytos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Messenia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Cresfonte e di Merope, ebbe un figlio di nome Glauco.\nIgino nelle Fabulae chiama Telefonte questo personaggio, mentre invece gli altri autori scrivono che Telefonte fosse uno dei suoi fratelli.\n\nMitologia.\nEra il più giovane dei figli di Cresfonte, re di Messene che fu assassinato assieme agli altri suoi figli nel corso di una insurrezione e solo lui, che era ancora un bambino e si trovava nella casa del nonno Cipselo, scampò alla strage. Il trono del regno venne usurpato da Polifonte, appartenente anch'egli alla stirpe degli Eraclidi, il quale costrinse inoltre Merope a diventare sua sposa.\nDivenuto un adulto, Epito fece ritorno a Messene riuscendo a riconquistarla, a punire gli assassini ed anriprendere il trono grazie all'aiuto degli Arcadi e dei Dori. Epito è ricordato per aver governato con grande giustizia ed in suo onore i suoi discendenti cambiarono l'appellativo da Eraclidi ad Epitidi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Era Farnese.\n### Descrizione: L'Era Farnese è una scultura marmorea del I secolo d.C. conservata presso il museo archeologico nazionale di Napoli.\nProbabilmente si tratta di una copia romana da un originale bronzeo greco del V secolo a.C. di Policleto.\nFacente parte di una statua colossale acrolitica, il busto mostra la dea Era con un'espressione severa in volto. Proprio questa caratteristica spinse i primi archeologi che la videro ad attribuirla ad Era, seppure più recentemente si è sollevata l'ipotesi che si trattasse di Artemide.\nEntrata a far parte della collezione Farnese di Roma, la scultura fu trasferita a Napoli intorno al 1844 dall'archeologo tedesco Heinrich von Brunn." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eracle.\n### Descrizione: Èracle (in greco antico: Ἡρακλῆς?, Hēraklḕs, composto da Ἥρα, Era, e κλέος, 'gloria', quindi 'gloria di Era') è un eroe e semidio della mitologia greca, corrispondente alla figura della mitologia etrusca Hercle e a quella della mitologia romana Ercole. Era figlio di Alcmena e di Zeus, quest'ultimo bisnonno della stessa Alcmena, poiché padre di Perseo e nonno di Elettrione. Egli nacque a Tebe ed era dotato di una forza sovrumana. Il patronimico poetico che lo definisce è Alcide, derivante da Alceo, suo nonno paterno putativo.\n\nIl mito.\nLa nascita e il nome.\nElettrione, re di Micene, figlio di Perseo, aveva una figlia, chiamata Alcmena, di straordinaria bellezza. Anfitrione, giovane re di Tirinto e nipote dello stesso Elettrione, in quanto figlio di suo fratello Alceo, si invaghì di lei e decise di prenderla in sposa. Elettrione decise di dare il proprio consenso a patto che il pretendente sconfiggesse in guerra la popolazione dei Tafi che, alcuni anni prima, avevano sterminato i figli del re. Anfitrione accettò la sfida ma, durante una battaglia, uccise a causa di un incidente lo stesso Elettrione. Sconfitto da Stenelo fratello del defunto re, Anfitrione fu costretto a trovare rifugio presso Tebe dove il re locale, Creonte, gli diede in dono un magnifico palazzo, degno di un ospite tanto nobile.\nPoco dopo, Anfitrione riprese la guerra contro i Tafi, riuscendo così a compiere la vendetta promessa. Durante la sua assenza, Zeus, invaghitosi di Alcmena, prese le forme del marito e si unì a lei, facendo persino in modo che la notte durasse ben tre volte di più. Frutto di questa relazione fu appunto Eracle, il futuro eroe greco. Ermes, che aveva accompagnato il padre presso il palazzo di Tebe, rimase fuori, facendo in modo che nessuno potesse mai disturbare i due amanti. Anfitrione, tornato dalla guerra proprio in quel momento, mandò il proprio servitore, Sosia, ad avvertire la moglie del suo ritorno. Il servitore però si trovò davanti Ermes, sotto le sembianze dello stesso Sosia, che, tra un pugno e l'altro, lo convinse di non essere in realtà quello che lui credeva. Questa serie di equivoci fu fonte d'ispirazione per Plauto, che scrisse appunto una commedia chiamata 'Anfitrione'.\nAnfitrione, rientrato nelle proprie stanze, ignaro di tutto, si unisce alla propria sposa. Da questo incontro sarebbe nato Ificle, futuro guerriero e compagno del fratello in molte avventure.\nPoco prima che Eracle nascesse, Zeus si vantò di questo suo imminente figlio che avrebbe regnato sulla casa di Tirinto. Era, gelosa, ritardò allora il parto di Alcmena e accelerò quello di Nicippe, moglie di Stenelo, zio di Alcmena. Il figlio di questi ultimi, Euristeo, nacque perciò un'ora prima di Eracle e ottenne così la primogenitura. Eracle nacque dunque insieme a Ificle, e Anfitrione, ancora ignaro della relazione segreta, così come ignara era anche Alcmena, credeva di aver generato due gemelli. Fu Tiresia, il grande indovino, a rivelare alla donna la straordinaria origine del figlio.\nAlcmena capì che il piccolo sarebbe stato perseguitato dai famigerati furori della regina dei cieli, e non osando allevarlo con le sue sole forze lo portò all'aperto, in un campo, confidando che Zeus non avrebbe negato al frutto del suo seme la divina protezione. Il padre degli dei ordinò dunque al fedele Ermes di attuare un astuto stratagemma. Mentre Era dormiva il celere messaggero divino, portando in braccio il bambino lo avvicinò al seno della dea, facendogli così succhiare un po' del suo latte che, essendo divino, rendeva il fortunato un invincibile eroe. Era però, svegliatasi a causa di un morso del bambino, ebbe un moto di terrore. Quel repentino movimento fece cadere, dal seno della dea, una piccola parte del suo latte che fu dunque origine della Via Lattea, denominata così proprio in ricordo di tale evento.\nIl nome di Eracle significa letteralmente 'gloria di Era', e il motivo di ciò ha avuto varie spiegazioni, sin dall'antichità: forse perché fu a motivo delle persecuzioni di Era che Eracle dovette compiere le sue imprese ed ottenere la gloria, o forse perché fu allattato dalla dea, che può dunque vantarsi di avere allattato un eroe così forte. C'è anche un'altra spiegazione: dopo che Era fece impazzire Eracle, che fuori di sé uccise i propri figli, l'eroe si recò all'oracolo di Delfi, dove la sacerdotessa d'Apollo gli ingiunse di andare a Tirinto dal cugino Euristeo, dove avrebbe dovuto servirlo e compiere tutte le imprese che lui gli avrebbe imposto, e ciò l'avrebbe dovuto fare per la gloria di Era, e da allora in poi si sarebbe chiamato 'Eracle', cioè 'gloria di Era' (precedentemente il suo nome era Alcide).\n\nLa gioventù.\nTornando alle storie dell'infanzia di Eracle, Era non accettò l'affronto e covò contro il piccolo, frutto del tradimento del marito, propositi omicidi: qualche mese più tardi mise due serpenti velenosi nella camera dove dormivano Eracle e Ificle. Quando questi si svegliò, con il pianto fece sopraggiungere i suoi genitori, che giunsero in tempo per vedere il piccolo Eracle strangolare i serpenti, uno per mano.\nSecondo un'altra versione del mito, i serpenti non erano velenosi, ma furono messi nella camera dei gemelli da Anfitrione, che voleva sapere quale dei due fosse suo figlio, poiché aveva saputo anche lui dall'indovino Tiresia che uno dei due gemelli non era figlio suo.\nAnfitrione non risparmiò comunque nessuna cura nell'allevare quello straordinario figlio adottivo. Egli stesso insegnò al bambino a domare i cavalli e a guidare il cocchio. Da ogni angolo della Grecia vennero convocati i più rinomati maestri: Chirone, primo fra tutti, gli insegnò l'arte della medicina e della chirurgia, Eurito fu maestro di tiro con l'arco, Castore lo allenò nell'utilizzo della spada e delle armi, Autolico nello sforzo fisico e nel pugilato, materia che il giovane Eracle apprezzò grandemente. Non ebbero la stessa sorte però arti come ad esempio la musica.\nLino, discendente del divino Apollo, era suo maestro di musica. Il giovane allievo, rude nei movimenti, non era in grado di trattenere la propria forza fisica, distruggendo, letteralmente, la lira che avrebbe dovuto suonare. Lino, un giorno, non riuscendo a sopportare l'incredibile insensibilità musicale dell'allievo, lo rimproverò aspramente e lo costrinse a un severo castigo. Eracle, di carattere piuttosto focoso, sebbene inconsapevolmente, non riuscendo a trattenere la propria forza, colpì con la lira il maestro, che cadde morto a causa dell'urto.\nA causa di ciò Anfitrione fu costretto a mandarlo a vivere fra i guardiani dei suoi greggi, in montagna: qui Eracle si riconciliò col maestro Chirone e imparò dal saggio mentore non solo leggi scientifiche ma anche, e soprattutto, leggi morali. Cresciuto forte e bello, rimase presso le greggi del monte Citerone fino all'età di diciotto anni. Secondo alcuni autori raggiunse la statura di 4 cubiti e 1 piede (2,33 m), ma viene raffigurato dagli artisti come un uomo di statura normale.\nPrima di ritirarsi da questa vita faticosa ma felice, durante una meditazione, Eracle incontrò sulla via due donne affascinanti, ognuna delle quali lo invitava a raggiungerla sul proprio cammino. La prima, di aspetto florido e stupendamente vestita, rappresentava il piacere e mostrava al giovane un sentiero erboso e idilliaco. La seconda donna, in abiti solenni, era invece il dovere, che avrebbe condotto l'eroe presso un sentiero sassoso e terribile. Eracle, benché affascinato dalle proposte del piacere, preferì seguire il dovere, segnando tutta la sua vita al servizio dei più deboli.\n\nPrime imprese di Eracle.\nIn seguito alla scelta del Dovere, Eracle cominciò a prodigarsi per il bene altrui, sconfiggendo banditi e ladruncoli che imperversavano nelle pianure. Eracle si vantava di non aver mai cominciato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.\nSul monte Citerone misurò la sua forza sconfiggendo un terribile leone che faceva stragi di pecore. Durante la sua ricerca egli si fermò presso il re Tespio. Simbolo di virilità, Eracle diede esempio di grande prestanza fisica durante questo periodo di ritiro. Il re Tespio aveva cinquanta figlie e, desiderando che avessero un figlio da Eracle, mentre questi era ospite presso il suo palazzo, ne inviò una ogni notte dall'eroe, a cominciare dalla primogenita Procri e facendo credere all'eroe che fosse sempre la stessa. Secondo alcuni una sola, desiderando restare vergine, rifiutò. Eracle si unì alle altre figlie di Tespio: in tutto loro ebbero cinquanta figli, poiché la primogenita partorì due gemelli.\nAl ritorno incontrò per strada i messi del re di Orcomeno, Ergino, che si recavano a Tebe per riscuotere il tributo di cento buoi che la città gli doveva. Durante una festa infatti un tebano, tale Periere, uccise il padre del re, Climeno, scatenando così una guerra fra i Mini di Orcomeno e gli abitanti della città di Tebe. Questi ultimi persero e furono dunque costretti a pagare tributo ai vincitori. Gli araldi, mandati in città, trattavano però con brutale superiorità gli sconfitti. Questo accese il furore del giovane Eracle che, di carattere piuttosto impetuoso, li assalì e tagliò loro naso e orecchie. Gli araldi, orribilmente mutilati, tornarono presso il loro re chiedendo vendetta.\nErgino, accesosi d'ira, preparò il proprio esercito e marciò verso Tebe. I tebani, fra i quali figuravano Anfitrione, Ificle e lo stesso Eracle, non erano però disposti a cedere. Nello scontro che ne seguì l'eroe, dotato di invincibili armi, dono degli dei (frecce da Apollo, una spada da Ermes, uno scudo da Efesto), e soprattutto dalla protezione della dea Atena, dimostrò tutto il proprio coraggio e la propria tenacia, uccidendo con le proprie mani l'invasore Ergino. Tebe riuscì dunque a vincere la guerra ma gravi furono le perdite. Fra i caduti vi era anche Anfitrione, il padre adottivo di Eracle, che si era dimostrato tanto affettuoso nei suoi confronti.Creonte re di Tebe diede a Eracle come segno di riconoscenza sua figlia Megara in sposa.\n\nEracle argonauta.\nEracle partecipò alla spedizione degli Argonauti portandosi dietro il giovane e bellissimo scudiero Ila. Durante il viaggio gli Argonauti fecero sosta a Cizico, dove furono ospitati dal sovrano omonimo, che era il giovanissimo figlio di un amico defunto di Eracle. Ripresero quindi la navigazione, ma una tempesta li ricacciò nella terra di Cizico in una notte senza luna. Cizico li scambiò per pirati, gli Argonauti da parte loro non lo riconobbero, e si arrivò a uno scontro armato che vide cadere il re giovinetto e dodici suoi uomini, due dei quali vennero uccisi da Eracle. All'alba gli Argonauti capirono cosa era successo e in preda allo strazio seppellirono le loro vittime in una grande tomba. La nave arrivò quindi in Misia e qui Ila scese a terra in perlustrazione, venendo rapito dalle Naiadi del luogo. Non vedendolo tornare Eracle si mosse alla sua ricerca; i Boreadi, che nutrivano una profonda antipatia per Eracle, convinsero i compagni a ripartire senza di lui. Così Eracle, che non era riuscito a ritrovare il compagno, restò solo e decise di trattenersi per qualche tempo a Cizico, per allevare i figlioletti del re accidentalmente ucciso dagli Argonauti.\nSecondo alcuni autori, Eracle s'imbarcò prima di compiere le dodici fatiche per Euristeo, secondo altri dopo una di esse.\n\nMatrimonio con Megara.\nRitornato in Grecia, Eracle visse alcuni anni felici con la moglie Megara, dalla cui unione nacquero ben otto figli. Durante un'assenza dell'eroe, però, Lico decise di prendere in pugno la città di Tebe. Questi uccise il vecchio re Creonte e divenne un sovrano dispotico e arrogante. Lico inoltre, affascinato dall'eccezionale bellezza di Megara, volle stuprarla. Eracle, tornato in tempo per fermare questo oltraggio, aggredì l'usurpatore e lo uccise, dando giusta vendetta al suocero.\nEra non intendeva tuttavia concludere le persecuzioni contro il figliastro. In combutta con Lissa, la Rabbia, fece sconvolgere la mente dell'eroe e questi, in preda al furore, uccise di propria mano moglie e figli (o, secondo altre versioni più tarde, solo i propri figli e alcuni del fratello Ificle). Tornato in sé e resosi conto dell'accaduto, l'eroe decise di suicidarsi per porre fine alle proprie sofferenze. Fu Teseo, il giovane ateniese, a farlo desistere dal suo gesto disperato, mentre il re Tespio, che celebrò un minimo rito di purificazione, gli consigliò invece di recarsi a Delfi per chiedere al celebre oracolo un modo per cancellare dal proprio animo tutto quel sangue versato. Questa storia diede spunto per la trama della celebre tragedia Eracle di Euripide.\n\nLe dodici fatiche presso Euristeo.\nLa risposta dell'oracolo lo costrinse a mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Questi gli ordinò di affrontare dodici incredibili fatiche, simbolo della lotta fra l'uomo e la natura nella sua forma più selvaggia e terribile.\n\nIl Leone di Nemea.\nPrima fatica fu l'uccisione di un terribile leone, figlio di Tifone e di Echidna, che terrorizzava la zona fra Micene e Nemea.\nNella sua ricerca, giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a offrire un capro a Era come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero sacrificato il capro a Zeus Salvatore.\nIl leone viveva in una grotta nei pressi della zona di Nemea. Non appena Eracle vide comparirsi dinanzi la belva mostruosa tentò di colpirla con il proprio arco ma questi, dotato di una pelle invulnerabile, non venne nemmeno scalfito.\nDeciso a non arrendersi, l'eroe sradicò un enorme ulivo usandolo come clava contro l'animalesco avversario. Anche questo tentativo fu però inutile. Le sue stesse braccia sarebbero divenute armi invincibili. L'eroe riuscì infatti a soffocare il terribile mostro utilizzando semplicemente le proprie mani. Il cadavere della belva venne condotto festosamente alla presenza di Euristeo che, stupefatto, decise di affidargli una seconda prova ben più difficile della prima.\nCon la pelle invulnerabile del leone Nemea, tagliata con gli stessi artigli della belva (i soli in grado di penetrarla), Eracle si fece un mantello che l'avrebbe dunque protetto dalle armi degli altri uomini.\n\nL'Idra di Lerna.\nViveva in una palude a Lerna, in Argolide, un serpente enorme, figlio anche lui, come il Leone di Nemea, di Tifone ed Echidna. Questo mostro era immortale e aveva sette (o nove) teste, di cui una immortale, mentre le altre rinascevano appena recise. Divorava chiunque capitasse, impestava l'aria e isteriliva le terre con il suo fiato pestilenziale.\nEracle, giunto presso la tana del mostro con il proprio carro, guidato dal nipote Iolao, cominciò a colpire l'entrata della caverna con le proprie frecce, al fine di far uscire dal suo covo la terribile idra. Non appena vide apparirsi dinanzi il mostro, Eracle cominciò a decapitare le sue molteplici teste con la sua spada, ma queste ricrescevano in numero doppio non appena tagliate. L'eroe ebbe però una geniale intuizione e, grazie all'aiuto di Iolao, riuscì a bruciare i tronconi prima che le teste potessero riformarsi, impedendone così la ricrescita. L'ultima testa, immortale, venne schiacciata sotto un gigantesco masso.\nPer rendere nulla la vittoria di Eracle, Era mandò contro di lui un granchio gigante, che l'eroe riuscì comunque a sconfiggere schiacciandogli il guscio. La regina degli dei fece in modo che i due mostri sconfitti divenissero costellazioni, quelle che gli antichi denominarono 'Idra' e 'Cancro'.\nVincitore anche in questa seconda fatica, l'eroe intinse le proprie frecce nel sangue dell'idra, rendendo le ferite causate da esse inguaribili. A causa del veleno di queste frecce sarebbero morti in seguito Chirone e Paride, figlio del re di Troia Priamo.\n\nLa cerva di Cerinea.\nEuristeo, ancor più stupito per l'eccezionale efficacia di Eracle, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno.\nEracle non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per riportarla in patria.\nLungo la strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire, e ottenne da lei il permesso di portare la cerva a Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.\n\nIl cinghiale d'Erimanto.\nLa quarta fatica fu quella di catturare un feroce cinghiale selvatico che devastava le alture di Erimanto, fra l'Attica e l'Elide. Riuscì a stanarlo fuori dalla foresta fino alla nuda cima del monte, dove lo sfinì con serrati inseguimenti nei profondi cumuli di neve, fino a che fu in grado di legarlo con delle corde robuste e portarlo vivo al suo signore Euristeo che, per la paura, si rinchiuse dentro una botte.\n\nLo scontro con i centauri.\nLungo la strada che l'avrebbe portato a Erimanto, Eracle incontrò un suo amico centauro, Folo, che decise di imbandire un banchetto in suo onore. Il pasto non poteva però essere coronato con del vino, poiché l'unico disponibile era quello donato dal dio Dioniso alla comunità dei centauri che non poteva essere utilizzato senza il permesso dei compagni di Folo.\nEracle riuscì a convincere il suo ospite a trasgredire il patto: ma non appena il fortissimo aroma del vino raggiunse i boschi vicini, un'orda di centauri, armati con sassi e rami d'abete, saltò fuori da ogni cespuglio. Rabbiosi per la perdita del prezioso liquido, essi assalirono l'eroe, il quale prese a difendersi scagliando contro di loro le sue frecce mortali, costringendoli a rifugiarsi nella grotta di Chirone, suo antico precettore.\nNella mischia che ne seguì il saggio e anziano centauro venne colpito da una freccia vagante: il sangue velenoso dell'Idra nel quale era stata intrisa da Eracle condusse Chirone a una lenta agonia, senza che le sue arti di guaritore potessero arrestare il fatale processo. Anche Folo, l'ospite gentile, messosi al fianco dell'amico, morì nello scontro.\n\nGli uccelli del Lago di Stinfalo.\nQuinta prova per Eracle, fu quella di eliminare i mostruosi uccelli che devastavano la zona adiacente al lago di Stinfalo, in Arcadia. Questi micidiali volatili avevano penne, ali, artigli e becco di bronzo, uccidevano lanciando le loro penne come frecce e si nutrivano di carne umana.\nErano allevati da Ares ed erano così numerosi che quando prendevano il volo oscuravano il cielo. La palude da loro abitata inoltre emanava un odore nauseabondo a causa dei cadaveri di coloro che avevano tentato di eliminare questi feroci avversari.\nAtena consegnò a Eracle, prima di cominciare lo scontro, delle nacchere di bronzo, dono di Efesto, che avrebbero spaventato gli uccelli facendoli volare via e rendendoli quindi facilmente raggiungibili dalle frecce dell'eroe. Quest'ultimo fece quanto gli aveva consigliato la dea e, non appena suonò le nacchere, i mostruosi volatili si librarono nell'aria spaventati, diventando così suo facile bersaglio. Alcuni di loro vennero uccisi, altri riuscirono a fuggire nell'isola di Aretias, vicino alla Colchide.\n\nLe stalle del re Augia.\nLe immense stalle del re dell'Elide, Augia, non erano mai state ripulite dal letame ed erano circa trent'anni che vi si accumulavano escrementi. Euristeo ordinò dunque a Eracle di recarsi nell'Elide e ripulire in un solo giorno le stalle del re Augia. L'eroe, recatosi presso il sovrano, ricevette da questi una solenne proposta: se fosse riuscito a compiere una fatica simile avrebbe ricevuto in cambio metà delle sue ricchezze.\nEracle, che di certo era molto furbo oltre che forte, deviò le acque dei fiumi Alfeo e Peneo, riversandole all'interno delle stalle che, in un baleno, furono totalmente ripulite. Fiero della propria impresa l'eroe tornò da Augia che non volle però rispettare i patti accusandolo di aver agito con l'astuzia e non compiendo una fatica vera e propria. A parer di ciò, intentò un processo contro Eracle prendendo come testimoni i principi d'Elide suoi figli. Tutti testimoniarono a favore del padre, solo Fileo, uno di essi, osò difendere l'eroe, causando così l'ira di Augia, che lo cacciò dal suo regno insieme con l'eroe. Quest'ultimo, prima di andarsene, giurò che si sarebbe presto vendicato sul re e sui suoi figli.\nDurante il viaggio di ritorno difese la giovane Desamene dalle grinfie di un brutale centauro che venne prontamente sconfitto dall'eroe. Questi tornato da Euristeo ricevette una terribile risposta: dato che avrebbe ricevuto metà delle ricchezze di Augia, se questi avesse rispettato i patti, la fatica non avrebbe avuto più valore.\n\nLe cavalle di Diomede.\nDiomede, figlio di Ares, era re dei Bistoni, popolo di guerrieri, provenienti dalla Tracia. Questo sanguinario sovrano allevava con cura quattro cavalle, che nutrì, dapprima, con la carne di soldati caduti in battaglia, in seguito con la carne degli ospiti che egli invitava periodicamente nel proprio palazzo. Euristeo ordinò a Eracle di portare a Micene queste mitiche giumente, non rivelandogli però le loro terribili abitudini alimentari, sicuro che l'eroe sarebbe caduto nel tranello.\nIn compagnia di un gruppo di giovani compagni, fra i quali figurava Abdero, Eracle affrontò il terribile Diomede e, mentre teneva occupato quest'ultimo, ordinò ai suoi di catturare le cavalle. Abdero, che tentò per primo di catturarle, venne divorato dalle mostruose giumente. Furente, Eracle sconfisse Diomede e lo costrinse a condividere il destino delle sue vittime: anche lui divenne pasto delle sue belve. In onore del defunto amico Abdero, egli fondò, nel luogo della sua morte una città. Tornato da Euristeo gli presentò le mitiche cavalle e il sovrano, spaventato da tali animali, ordinò che venissero portati via.\nSecondo la leggenda, Bucefalo, cavallo di Alessandro Magno, era discendente da tali giumente.\n\nLa resurrezione di Alcesti.\nBenché fosse impegnato nelle fatiche impostegli da Euristeo, Eracle non era però deciso a smettere di aiutare il prossimo e a seguire il sentiero del Dovere, così come aveva scelto in gioventù.\nDurante un viaggio l'eroe trovò rifugio nel palazzo del re di Fere, Admeto, che lo accolse con tutti gli onori. Questi però nascondeva al nobile ospite un triste segreto: Apollo gli aveva infatti detto che, se qualcuno della sua famiglia si fosse sacrificato per lui, sarebbe scampato alla morte imminente. Tuttavia né il padre né la madre del re, benché anziani, avevano accolto questa richiesta, solo Alcesti, la moglie, era pronta a sacrificarsi pur di rendere felice il marito e, a tale scopo, era scesa agli Inferi poco prima dell'arrivo di Eracle.\nL'eroe ignaro dell'accaduto, cominciò a gozzovigliare mentre gli abitanti della casa piangevano nelle proprie stanze. Un servo, furioso per un simile comportamento, rimproverò l'ospite per la propria maleducazione, raccontandogli tutto l'accaduto. Vergognatosi per il proprio atteggiamento, Eracle decise allora di ripagare la gentilezza dell'ospite. Giunse presso la tomba di Alcesti, dove Thanatos aveva già dato inizio al rito funebre. Come Eracle descrisse precedentemente al servo, tese un agguato al dio, lo stritolò con la propria forza finché egli non si arrese, liberando la donna. Dunque, prese Alcesti con sé e la riportò fra i vivi, ma prima di riconsegnarla al marito Admeto, mise alla prova la fedeltà di questi, fingendo che la donna con lui fosse frutto di una vittoria a dei giochi e che necessitasse ospitalità. Admeto superò brillantemente la prova, rifiutandosi anche solo di toccare la donna; sarà Eracle il quale, provata la fedeltà dell'uomo, lo spingerà a prendere per mano Alcesti e, solo in quel momento, lui riconoscerà la moglie.\n\nIl Toro di Creta.\nEuristeo ordinò a Eracle di catturare un terribile toro, che in quel tempo devastava i domini di Minosse, sovrano di Creta. Poseidone aveva infatti mandato al re un toro possente perché lo offrisse a lui in sacrificio. Poiché Minosse non lo fece, il dio del mare rese furiosa la bestia che prese così a devastare tutta l'isola di Creta. Secondo alcune interpretazioni fu proprio questo il toro con cui si unì Pasifae, moglie di Minosse, che generò il Minotauro, per una maledizione dello stesso Poseidone.\nEracle catturò la belva, richiudendola in una rete, e la riportò presso Euristeo che ordinò di liberarla. Il toro finì i suoi giorni presso la piana di Maratona, dove verrà ucciso da Teseo.\n\nIl cinto di Ippolita.\nSu richiesta di Admeta, figlia di Euristeo, desiderosa di avere la stupenda cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, dono di suo padre Ares, Eracle dovette recarsi nel regno di queste temibili donne guerriere per compiere così la nona fatica. Insieme a un nutrito gruppo di eroi, fra i quali figurava anche Teseo, Eracle partì verso Temiscira, capitale del regno di Ippolita.\nDurante una sosta, presso l'isola di Paro, uno dei guerrieri venne ucciso per ordine di alcuni figli del re Minosse, che dimoravano in quella zona. Eracle, indignato per tale comportamento, si scontrò con questi e, grazie all'aiuto dei suoi compagni, riuscì a eliminare i principi inospitali. Il viaggio però era ancora lungo e pieno di pericoli: ospite presso il re Lico, in Misia, difese questi dall'esercito dei Bembrici, guidato da Migdone, uccidendone il comandante e costringendo i soldati nemici alla fuga.\n\nGiunti a Temiscira, gli eroi vennero accolti calorosamente da Ippolita, disposta a cedere pacificamente il proprio cinto ai suoi nobili ospiti. Era però suscitò alcune Amazzoni che, convinte che Eracle volesse rapire la propria regina, si armarono, decise a uccidere lui e i suoi compagni. Nello scontro che ne seguì la stessa regina Ippolita trovò la morte (secondo un'altra versione essa fuggì insieme con Teseo e divenne madre di Ippolito).\nDurante il viaggio di ritorno, con il prezioso cinto ben conservato, Eracle e i suoi uomini giunsero presso il lido di Troia, dove un terribile mostro marino, divoratore di uomini, stava per cibarsi della principessa Esione, figlia del re Laomedonte. Eracle, mosso a compassione, affrontò la terribile creatura e la uccise. Laomedonte, che aveva promesso all'eroe una giusta ricompensa, non rispettò i patti, scatenando così l'ira dell'eroe, pronto a ritornare a Troia dopo aver concluso le fatiche.\nNel suo tragitto Eracle incontrò ancora terribili avversari, come per esempio Sarpedonte, figlio di Poseidone, un brigante assetato di sangue. Presso Torone, fu invece ospitato da due figli di Proteo, Poligono e Telegono, abili pugili e atleti che, felici di avere nel proprio regno un simile concorrente, lo sfidarono in alcune gare. Eracle però, che spesso non riusciva a trattenere la propria forza, li uccise inconsapevolmente durante un incontro di lotta.\n\nI buoi di Gerione.\nDecima fatica per Eracle fu quella di catturare i leggendari buoi rossi di Gerione. Quest'ultimo era un mostro che dalla cintura in su aveva tre tronchi, tre teste e tre paia di braccia. Geloso dei suoi splendidi animali, il gigante aveva posto come custodi delle sue mandrie un mostruoso cane, Ortro, figlio di Echidna, e il terribile vaccaro, Eurizione, figlio di Ares.\n\nI possedimenti di Gerione erano posti agli estremi confini della terra allora conosciuta. Eracle separò così i due monti Abila e Calipe, in Europa e in Libia, e vi piantò due colonne, le cosiddette 'Colonne d'Ercole' (il moderno Stretto di Gibilterra). Mentre le attraversava osò lanciare le sue frecce contro il cocente Elio, il Sole. Il dio, ammirato per il suo coraggio, gli consentì di usare il suo battello d'oro a forma di coppa per raggiungere il nemico.\nNell'isola di Erythia vi fu lo scontro con Gerione, sia lui sia i suoi due fedeli, vennero sconfitti dai terribili colpi di Eracle che non esitò a colpire perfino la dea Era, accorsa in aiuto del mostro contro l'odiato figliastro.\nImpossessatosi della mandria, Eracle partì alla volta della Grecia, percorrendo la terra italica, colma di terribili briganti. Nella zona del Lazio viveva il gigante Caco che esalava fumo e fiamme dalle fauci. Questi rubò le bestie migliori della mandria approfittando del suo sonno. Per non lasciare tracce del furto, egli trascinò per la coda gli animali verso la caverna che gli serviva da rifugio. Ingannato dal trucco del gigante, Eracle cercò invano gli animali. Dandoli per dispersi si apprestava a riprendere il viaggio quando sentì le bestie dal fondo di una grotta. Per liberarli Eracle dovette affrontare il gigante, il quale si rese conto troppo tardi di chi aveva osato derubare.\nIn una sosta in Calabria, fu ospitato dal suo amico Crotone figlio di Eaco. Un ladro del luogo, chiamato Lacinio, rubò i tanto splendidi buoi; subito Eracle, insieme a Crotone, andò a stanarlo nel luogo dove abitava ma nella seguente colluttazione oltre al ladro morì Crotone, ucciso proprio per mano dall'eroe stesso. Eracle pianse la morte del caro amico e, senza indugio, provvide alla costruzione di un reale monumento funebre, supplicando gli Dei di far sì che su quella tomba sorgesse una delle città più fiorenti dell'antica Magna Grecia. Accolte le suppliche, Apollo, per bocca dell'oracolo di Delfi, inviò degli Achei nelle terre italiche che fondarono l'omonima città di Crotone. Secondo la versione di fondazione di Crotone di Ovidio, invece è direttamente Ercole che appare in sogno a Miscello da Ripe, obbligandolo a partire per fondare la città, nonostante che la legge della sua città vieta di partire e per chi vuole cambiare patria vi è la pena di morte.\nIn Sicilia venne sfidato in una gara di pugilato da Erice, figlio di Afrodite, che rimase ucciso; il suo luogo di sepoltura diede nome all'omonima cittadina. Non contenta, Era mandò contro le mandrie un tafano che causò la loro dispersione. Eracle le seguì freneticamente fino alle distese selvagge della Scizia. Nonostante queste disavventure riuscì comunque a portare le bestie sane e salve in Grecia, dove Euristeo voleva usarle per sacrificio, ma Era non volle per non riconoscere la gloria di Eracle. Così l'eroe tenne per sé i buoi.\nL’impresa gerionica, che è codificata come decima fatica dell’eroe, ben si presta, per la struttura narrativa in forma itineraria e diegetica, ad accogliere elaborazioni successive e connessioni secondarie e collaterali, di ambito locale e particolarmente nei miti di fondazione nell'ambito del mondo coloniale della Magna Grecia, ove la figura di Eracle diviene rilevante per la sua connotazione iconografica di creatura al margine fra natura e civiltà: molte delle avventure eraclee in occidente sono basate sulla contrapposizione fra l’eroe e il mondo degli animali, e sottolineano il suo ruolo di “eroe culturale”, cioè di civilizzatore; in altri termini, attuando la liberazione del mondo dalle creature mostruose, Eracle rese possibile agli uomini la colonizzazione. La presenza di Eracle è maggiormente evidente nelle zone poste a confine tra le colonie e le realtà indigene preesistenti, in particolare «nell’area delle colonie achee di Crotone e Sibari, la cui regione a lungo necessitò di ridefinizioni territoriali fra i coloni e gli indigeni dell’entroterra». È, nelle sue funzioni, compagno assiduo e fedele dei coloni greci, ed è indubbiamente sotto le sembianze dell’eroe tradizionale che viene adottato da molte città nel IV secolo ed accompagna la penetrazione dell’ellenismo tutta l’Italia meridionale.\n\nI pomi delle Esperidi.\nA Eracle venne ora ordinato di prendere tre mele d'oro dal giardino delle Esperidi, che era stato donato da Gea, la madre terra, a Zeus ed Era come dono di nozze. Il nome del giardino derivava dalle quattro ninfe, figlie della Notte, che lo abitavano, insieme con il dragone Ladone, dalle cento teste, che aveva l'incarico di vigilare sul giardino. Nessuno sapeva però in quale remoto angolo si trovasse il giardino delle Esperidi.\n\nLo cercò dapprima nelle zone più sperdute della Grecia, dove si scontrò con il terribile Cicno, un brigante sanguinario deciso a edificare un tempio al padre Ares con le ossa degli stranieri che passavano per il suo territorio. Eracle lo uccise, scontrandosi poi anche con Ares che fu costretto a ritirarsi sconfitto.\nPresso il fiume Eridano (Po) incontrò le splendide ninfe che lì abitavano e che gli consigliarono di recarsi presso il vegliardo Nereo, divinità marina, che aveva il dono dell'onniscienza. E così fece Eracle, il quale piombò addosso a Nereo mentre questi dormiva e lo tenne saldamente legato, nonostante questi cercasse di sfuggire utilizzando i suoi poteri di metamorfosi, così come gli avevano narrato le ninfe. Nereo infine si arrese e acconsentì a soddisfare le richieste di Eracle, indicandogli la strada per raggiungere l'isola dove si trovava il giardino delle Esperidi.\n\nDurante il viaggio egli ottenne poi altre informazioni da Prometeo, che da tanti anni si trovava incatenato sulla roccia del Caucaso, esposto alle angherie di un'aquila. Eracle eliminò il rapace con le sue frecce e, raggiunto il luogo dove Prometeo stava incatenato, lo liberò senza difficoltà. Il buon titano, grato per la recuperata libertà, si sdebitò con l'eroe fornendogli preziosi consigli per la sua impresa. Gli disse di cercare suo fratello Atlante, il titano padre delle Esperidi, e di far cogliere a lui stesso i preziosi pomi d'oro.\nGiunto in Africa, Eracle attraversò dapprima l'Egitto, dove incappò nell'odio del re Busiride per gli stranieri. Anni prima infatti la sua terra era stata devastata da una terribile carestia, e un indovino di Cipro aveva profetizzato che l'ira degli dei poteva essere placata soltanto col sacrificio di uomini nati in altre terre. Busiride aveva compiuto il primo sacrificio utilizzando proprio il malcapitato indovino, e da allora ogni anno uno straniero cadeva vittima di questo crudele rito propiziatorio. Eracle stesso, catturato per tale bisogno, ebbe però gioco facile a spezzare le catene, uccidere il re sul suo stesso altare e allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati della popolazione egiziana. Passò poi in Etiopia, dove uccise il tiranno Emazione, affidando il trono al fratello di costui, il giovanissimo Memnone, che già regnava in Persia. In Libia si scontrò con un avversario più temibile, il gigante Anteo, che aspettava al varco tutti i viaggiatori per sfidarli a una lotta all'ultimo sangue. Anteo, essendo figlio di Gea, aveva la possibilità di riprendere forza ogni volta che veniva a contatto con il terreno. L'eroe greco però, abile quanto forte, trovò il modo di impedire all'avversario di servirsi di questo vantaggio tenendolo a mezz'aria con le poderose braccia e lo strozzò.\nDopo un lungo viaggio, egli trovò finalmente Atlante, il quale reggeva sulle poderose spalle il peso della volta celeste. Eracle si offrì di sostituirlo nel gravoso compito per qualche tempo, se questi avesse acconsentito a raccogliere per lui le mele d'oro del giardino delle Esperidi, e Atlante acconsentì. Ma quando questi fece ritorno con le tre mele rubate, niente affatto voglioso di riprendere l'immane fardello, cercò di lasciarne per sempre la responsabilità a Eracle, e quest'ultimo riuscì a sottrarsi soltanto con la sua astuzia. Fingendosi onorato del delicato incarico egli chiese ad Atlante di riprendere solo per un momento la volta celeste sulle spalle, in modo da consentirgli di intrecciare una stuoia di corde che alleggerisse la pressione sulla sua schiena. Il titano riprese dunque il fardello, ma prima che potesse rendersi conto di essere stato giocato con i suoi stessi mezzi il furbo Eracle era già fuggito lontano, portando con sé il bottino delle mele d'oro.\n\nLa cattura di Cerbero.\nEuristeo scelse come ultima prova un'impresa che sembrava impossibile per ogni essere mortale, catturare Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste, guardiano delle regioni infernali. Eracle si preparò a questa prova con un pellegrinaggio iniziatico presso Eleusi, dove partecipò ai misteri detti appunto eleusini, mondandosi della colpa dello sterminio dei centauri. Quindi egli raggiunse Tenaro laddove una buia spelonca introduceva a una delle porte dell'Ade. Sotto l'autorevole guida di Ermes egli si addentrò in quel gelido mondo sotterraneo.\n\nSolo la terribile Medusa, fra tutti gli spiriti incontrati, osò affrontarlo, ed Eracle stava già per colpirla quando Ermes gli fermò la mano, ricordandogli che le ombre dell'Ade sono solo fantasmi. Anche l'ombra di Meleagro, celebre eroe vincitore del cinghiale calidonio, si apprestò con una pacifica proposta: pregava il nuovo arrivato di proteggere, una volta tornato nel mondo dei vivi, sua sorella Deianira.\nPresso le porte dell'Ade Eracle trovò inoltre due uomini legati, che riconobbe molto presto. Erano Teseo, suo compagno in svariate avventure, e Piritoo, il re dei Lapiti. Entrambi erano scesi nel mondo sotterraneo per rapire Persefone, ma erano stati scoperti dal dio Ade e condannati a restare eternamente prigionieri nel mondo dei morti. L'eroe riuscì a salvare l'amico Teseo ma, quando si apprestò a recuperare anche Piritoo, fu costretto ad allontanarsi per colpa di un terremoto.\nAde, conoscendo personalmente l'arditezza dell'eroe, che l'aveva già ferito poco prima e che aveva steso con pochi colpi il suo mandriano, si convinse che valeva la pena di ascoltare le sue ragioni. Acconsentì così a dargli il cane Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza usare armi. Così, dopo una lotta disperata, il mostruoso guardiano fu costretto ad arrendersi quando l'eroe riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base dei tre colli.\nEuristeo, vedendo Eracle tornare con il mostro infernale sulle spalle, si sentì morire per la paura e ordinò che Cerbero venisse rimandato presso il proprio padrone. Il re, avendo visto come l'eroico cugino era riuscito a vincere su tutte le prove che gli aveva commissionato, si diede per vinto e lo liberò dalla sua prigionia, ponendo così fine alle sue dodici fatiche.\n\nLe ultime imprese.\nEurito, la figlia Iole e l'omicidio di Ifito.\nEracle decise adesso, essendo passato molto tempo dalla morte di Megara, di trovarsi una nuova compagna. Si invaghì così di Iole, figlia di Eurito, che durante la sua fanciullezza era stato il suo maestro di tiro con l'arco. Il rinomato arciere offriva la figlia in sposa a chi avesse superato in una gara lui e i suoi tre figli. Eracle, partecipando alla contesa, sconfisse il suo antico maestro, ma quando egli pretese Iole in premio, Eurito cercò di impedire il matrimonio fra la sua adorata figlia e un uomo che non aveva esitato a uccidere la propria moglie.\nFra i figli del re solo Ifito prese le parti dell'eroe, da lui grandemente stimato; dal canto suo Eracle, quando si vide negare la sposa regolarmente conquistata, andò su tutte le furie.\nAccadde intanto che certi buoi appartenenti a Eurito venissero rubati dal noto ladro Autolico. Il re fece credere a tutti che il furto fosse stato attuato da Eracle per vendetta, ma Ifito non accettò nemmeno adesso l'ipotesi che l'amico potesse aver compiuto un'azione così meschina. Unitosi a Eracle, si mise sulle tracce del vero responsabile dell'azione. Durante il percorso, mentre costruivano una torretta per avvistare il bestiame rubato, Eracle venne però ripreso dalla furia, scagliatagli ancora dalla matrigna Era, e fece pagare al giovane lo sgarbo di Eurito scagliandolo giù dalla torre. Quando ritornò in sé e si accorse di aver ucciso il suo migliore amico, Eracle cadde in una profonda prostrazione.\nEracle aveva commesso uno degli atti più spregevoli: aveva ucciso un ospite nella propria casa. Questa volta, però nessuno volle compiere il rito di purificazione ed Eracle preferì tornare a Delfi per avere la punizione per il suo delitto. La pitonessa, tuttavia, non aveva intenzione di compiere il rito per un essere impuro: di nuovo in preda alla rabbia, Eracle riportò lo scompiglio nel tempio, impadronendosi del tripode sacro e minacciando di compiere il rito da sé. La Pizia, allora, invocò Apollo, che decise di affrontare Eracle. Lo scontro fu tanto cruento, che Zeus fu costretto a intervenire, separando i duellanti e imponendo alla Pizia di dire a Eracle come potesse purificarsi dall'omicidio di Ifito e dalla profanazione dell'oracolo.\n\nLa schiavitù presso Onfale.\nSotto la guida di Ermes, Eracle si imbarcò verso l'Asia, dove quasi nessuno lo conosceva, e si fece vendere per tre talenti a Onfale, regina della Lidia. Ella capì ben presto che razza di schiavo eccezionale avesse acquistato. Ma quando seppe che quello schiavo portentoso altri non era che il famoso Eracle, pensò di utilizzarlo come compagno di vita invece che come servitore.\nSotto il suo comando, egli riuscì a liberare Efesto dai Cercopi, dei mostruosi uomini scimmia che importunavano i viandanti, talmente bizzarri e simpatici che l'eroe alla fine li liberò sorridendo. Stessa sorte non toccò a Sileo, re dell'Aulide, che catturava i viaggiatori e li uccideva dopo averli obbligati a lavorare nella sua vigna.\nMa il lusso e le mollezze della vita orientale riuscirono a sopraffare l'eroe, che dovette comunque passare la maggior parte del tempo come passatempo preferito della regina, che giocava con la sua clava e la sua pelle di leone e si divertiva a vestirlo con abiti femminili e a impiegarlo nella filatura della lana.\nDopo tre anni trascorsi in questo modo, Eracle decise di dire addio a questa vita così poco adatta a un eroe che aveva scelto il Dovere come propria ragione di vita, e lasciò per sempre Onfale, con la quale nel frattempo aveva generato un figlio, Ati.\n\nLa vendetta contro i trasgressori.\nEracle si propose di punire tutti coloro che in qualche modo si erano comportati scorrettamente con lui. Le sue prime vittime furono i due Boreadi, che egli sorprese mentre facevano ritorno alla loro terra dopo aver vinto due gare sportive. Eracle li stese morti a colpi di clava, ma subito dopo si pentì di ciò che aveva fatto e seppellì personalmente i corpi dei due giovani.\nA Tirinto Eracle radunò un gruppo di compagni armati, fra i quali figuravano Iolao, Oicle re di Argo, Peleo e Telamone per muovere guerra, con solo sei navi, contro Laomedonte, il primo trasgressore, colui che, benché Eracle avesse salvato sua figlia, non aveva voluto dare il compenso promesso, e anzi aveva scacciato l'eroe in malo modo dal proprio regno, sotto insulti e imprecazioni.\nL'esercito di Eracle sconfisse Laomedonte uccidendo lui e i suoi figli maschi, risparmiando Podarce, che aveva denunciato l'imbroglio del padre: secondo una variante Podarce era stato fatto prigioniero dall'eroe e riscattato dalla sorella Esione. Oltre a lui, vennero risparmiate anche le figlie del re, Esione, Etilla, Cilla, Astioche, Procleia e Clitodora. In realtà alla morte scamparono anche altri due maschi: Titone, che da tempo era stato rapito da Eos, e Bucolione, ceduto in fasce da Laomedonte a una coppia di pastori. Vennero uccisi invece Lampo, Clitio, Icetaone e Timete. Tuttavia Omero afferma che l'eroe uccise solo il vecchio re.\nEsione sposò poi Telamone e dall'unione con lui nacque Teucro, valoroso guerriero durante l'assedio di Troia.\nPodarce divenne re di Troia e, in ricordo del riscatto pagato dalla sorella per liberarlo, decise di cambiare il suo nome in Priamo (che significa 'il riscattato').\nMa la vendetta personale dell'eroe non era ancora conclusa, vi era infatti un altro impostore da punire: Augia. Questi venne ucciso insieme con tutto il suo esercito, i suoi domini ceduti al figlio, Fileo, l'unico che aveva professato il vero e difeso Eracle in presenza del padre. La morte di Augia e dei suoi uomini scatenò le ire dei suoi alleati, che mossero così contro l'eroe.\nEracle invase i loro territori e li sterminò, uno per uno, a partire da Neleo, re di Pilo, che non aveva voluto purificarlo dopo l'uccisione di Ifito. Questo sovrano venne ucciso insieme con i suoi figli, unico sopravvissuto fu Nestore, che in quel tempo era lontano dalla propria patria.\nStessa sorte toccò ad Attore, uno degli Argonauti, a Ippocoonte e ai suoi figli, che avevano cacciato dal regno ingiustamente i fratelli Icario e Tindaro (quest'ultimo prenderà in seguito il posto di Ippocoonte, divenendo re di Sparta e futuro padre adottivo di Elena, la donna che fu causa della famosa guerra di Troia), e a molti altri usurpatori e trasgressori dei patti, alleati di Augia, tutti caddero sotto l'avanzata di Eracle, pagando con la stessa vita le loro nefandezze.\nDurante questa serie di massacri, Eracle si invaghì della figlia di Cefeo, uno dei suoi alleati, la sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe Telefo, futuro re di Misia e marito della principessa troiana Astioche, che l'avrebbe reso padre di Euripilo, valoroso condottiero nella guerra di Troia (come alleato di Priamo).\n\nLa fine terrena di Eracle.\nDeianira e il centauro Nesso.\nEracle capitò a Calidone per vedere Deianira, figlia di Eneo, alla quale doveva riferire un messaggio che il fratello Meleagro le inviava dal regno dei morti. Eracle, che già sapeva della bellezza della fanciulla, si innamorò di lei e la portò con sé come sposa, dopo un'ardua contesa con un rivale, il dio fluviale Acheloo.\nQuest'ultimo era capace di assumere le forme più disparate, mutandosi in serpente e poi in toro durante lo scontro con l'eroe. Vinto da questi però fu costretto a fuggire con un corno spezzato, gettandosi poi nel fiume Toante. Dalle gocce di sangue del corno reciso nacquero le sirene.\nI due decisero di trasferirsi a Trachis, in Tessaglia, per vivere lì insieme. Arrivati però a un corso d'acqua in piena, Eracle e la nuova moglie incontrarono il centauro Nesso, che si offrì di traghettarli sulla riva opposta portandoli sulla schiena. Dal canto suo Eracle non aveva bisogno di un tale aiuto, e dopo aver gettato sull'altra riva la clava e la pelle di leone, si gettò a nuotare agilmente nel fiume in piena; affidò, però, la moglie a Nesso.\nSubito quel rude centauro, infiammato dalla bellezza della donna, avrebbe voluto stuprarla, ma Eracle sentì le grida della moglie e con una delle sue frecce avvelenate abbatté il centauro. Negli spasimi dell'agonia, il vendicativo essere sussurrò a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell'abito magico avrebbe rinverdito alla bisogna l'amore di Eracle per lei.\n\nLa tunica fatale.\nCome trasgressore dei patti anche Eurito, re d'Ecalia e maestro d'arco, che in precedenza non aveva voluto cedere in sposa Iole a Eracle, venne sconfitto dall'eroe e ucciso insieme con i suoi familiari. Questa la sua ultima impresa, secondo un decreto dell'Oracolo di Dodona.\nDeianira, vedendo tornare lo sposo vincitore, notò che, fra gli ostaggi catturati, vi era anche Iole, antica fiamma di Eracle, e venne così presa dalla gelosia. Decisa di mettere in pratica l'incantesimo che le aveva rivelato il centauro Nesso, senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla freccia che Eracle stesso aveva scagliato, Deianira gli inviò un vestito che era stato immerso in quel veleno e l'eroe l'indossò per celebrare i riti di ringraziamento per la vittoria. Non appena il fuoco acceso sull'altare ebbe riscaldato il veleno con cui era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin nelle vene, ed egli, impotente per la prima volta nella sua vita, non poté far altro che subire l'agonia, uccidendo nella disperazione il servo Lica che, ignaro, gli aveva portato la veste fatale.\nCon le sue ultime forze, Eracle sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il coraggio di accenderlo, così Eracle fu costretto a chiedere a un pastore di nome Filottete di farlo. Questi ubbidì ed Eracle gli donò le sue armi, che si renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri.\nMentre Eracle cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse, e lo portò con sé nell'Olimpo, dove l'eroe si riconciliò con Era e sposò Ebe, la coppiera divina.\nSi era avverata la profezia dell'oracolo, che prevedeva la fine terrena di Eracle per opera di un morto.\nIolao, dopo aver osservato tale prodigio, costruì un tempio in onore dello zio e Illo, su ordine dello stesso Eracle, sposò Iole. Deianira, quando seppe ciò che era successo, in preda ai sensi di colpa si uccise.\n\nEracle nella tradizione letteraria.\nI poemi omerici.\nLe prime attestazioni letterarie su Eracle sono contenute nei poemi omerici. Omero, citando di passaggio alcuni episodi delle sue imprese, sembra conoscere puntualmente le vicende narrate da testi letterari che oggi non ci sono pervenuti.\nL'aspetto caratteristico che traspare subito dall'immagine omerica di Eracle è la sua straordinaria forza fisica, l'eroe è infatti rappresentato nell'atto di distruggere Pilo o di ferire gli dei in battaglia. In Omero Eracle non indossa ancora il suo abbigliamento tradizionale, la pelle di leone, e non è armato di clava, ma veste schinieri, corazza, elmo, scudo e adopera tutte le armi tipiche di un guerriero miceneo.\nNel testo dell'Iliade di lui parla Nestore a Patroclo, raccontando delle guerre della sua gioventù, Eracle era stato anche per Pilo dove uccise i migliori guerrieri della sua generazione.\n\nTlepolemo, re di Rodi, è un figlio di Eracle, ricordato con questo patronimico già nel libro II meglio conosciuto come 'Catalogo delle navi'. Nel libro V, il guerriero rodio ingaggia un duello con Sarpedonte di Lidia, figlio di Zeus. Durante il combattimento disprezza l'avversario ritenendolo poco potente rispetto al padre, anch'egli prole di Zeus, ma a suo dire di tutt'altra forza.\n\nNel XV libro il poeta invece, raccontando le gesta degli eroi principali, sofferma il suo sguardo su Ettore, che uccide Perifete, nunzio di Euristeo presso Eracle, citato anche in questo caso per la sua possanza fisica, che, è evidente, in questo contesto non appare aver un ruolo significativo.\n\nSempre nell'Iliade vi è inoltre il racconto dell'inganno che Era tesse alle spalle di Zeus a proposito della nascita di Eracle ed Euristeo.\n\nNell'Odissea invece minori sono i riferimenti a Eracle ma il connotato principale dell'eroe rimane comunque la forza fisica.\nNel libro VII è presente un ennesimo, analogo riferimento alla potenza guerresca di Eracle come esempio della potenza delle generazioni del passato rispetto a quelle del presente:.\n\nEracle è spesso presentato come figura brutale e dedita alla violenza, in particolar modo nel XXI libro, dove si trova un passo relativo alla morte di Eurito:.\n\nI testi di Esiodo.\nNella Teogonia di Esiodo abbondano i riferimenti alle vicende di Eracle, ma non troviamo nel poema una trattazione continua delle sue imprese. Galinsky osserva come egli ne celebri le imprese, le fatiche, la vita di sofferenze che gli guadagnarono l'accesso all'Olimpo (Theog. 954-5). Questa immagine di Eracle è solitamente considerata come paradigma dell'eroe 'culturale', portatore cioè della civiltà contro la barbarie.\nTale immagine positiva e 'morale' di Eracle si afferma anche in uno dei poemi pseudoesiodei, Lo scudo di Eracle, poemetto di 480 esametri che narra la storia dello scontro tra Eracle e Cicno figlio di Ares. In questo caso Eracle si fa portavoce non solo di un valore culturale di fronte alla barbarie, ma addirittura gioca un ruolo etico nella difesa della pietas religiosa verso il dio Apollo, i cui fedeli venivano uccisi dal mostruoso brigante.\nAnche in questo poemetto l'eroe veste ancora l'armatura del guerriero omerico: indizi cronologici interni ed esterni al testo suggeriscono che l'opera appartiene a una epoca anteriore alla rivoluzione iconografica dovuta a Stesicoro, il quale lo descrisse con la celebre pelle del leone nemeo sulle spalle e la clava.\n\nLe tragedie.\nIl quinto secolo è la grande stagione della tragedia attica: tra le opere sopravvissute fino ai nostri giorni Eracle è protagonista di quattro di esse: Le Trachinie e il Filottete di Sofocle; l'Alcesti e l'Eracle di Euripide.\n\nDalle testimonianze antiche sappiamo, però, che l'eroe aveva una parte ampia anche nella produzione di Eschilo. Holt dedica molto spazio all'analisi dei presunti frammenti degli Eraclidi di Eschilo e suppone che ci fossero riferimenti alla morte dell'eroe e alla sua apoteosi.\nL'eroe aveva certamente spazio nella terza tragedia della trilogia prometeica, il Prometeo Liberato. Egli è rappresentato nell'atto di liberare il titano che, in segno di riconoscenza gli dona una profezia sui suoi futuri vagabondaggi in Occidente e le sue fatiche successive. L'eroe assume l'immagine tradizionale di benefattore dell'umanità (come già in Esiodo e Pindaro), caricandosi di un significato altamente religioso. Eracle ha la funzione di esempio morale, in quanto rappresenta il rovescio della figura tracotante di Prometeo: come il titano si era mostrato ribelle alla volontà divina e motivo di ira per il padre degli dei, così l'eroe figlio di Alcmena è l'immagine dell'obbedienza alla divinità e strumento di riconciliazione tra il dio e l'umanità.\nSofocle si è spesso ispirato nella sua produzione a episodi della vita di Eracle. Nelle due tragedie superstiti, il Filottete e le Trachinie, abbiamo due immagini differenti dell'eroe: nella prima assume il ruolo del deus ex machina, che dopo la morte viene a dirimere la contesa che oppone lo sfortunato eroe abbandonato a Lemno e i capi greci; nella seconda offre al pubblico un'immagine decisamente più umana, di eroe al termine della vita di fronte all'inevitabilità della morte. Nel dramma di Filottete Eracle è, dunque, assunto nel ruolo di strumento della volontà divina, simile a quello giocato nel Prometeo liberato di Eschilo, ed è posto sullo stesso piano di qualsiasi altra divinità olimpica che ex machina soprattutto nei drammi euripidei viene a risolvere le vicende. Egli ha conquistato tale ruolo divino attraverso le sofferenze e le fatiche compiute durante la vita terrena al servizio di Zeus e a favore dell'umanità.\nPiù problematico è, invece, l'Eracle delle Trachinie, che sembra segnare un passo indietro rispetto all'evoluzione che la sua figura aveva assunto nel corso del VI e del V secolo a.C. Egli è raffigurato, infatti, come un eroe violento e brutale, schiavo di passione e ira, indotto alla distruzione di una città solo per conquistarne la figlia del re. L'eroe pare soccombere al suo destino a causa di un errore della dolce sposa, da lui poco considerata, che tenta di mantenerlo legato a sé con l'impiego di quello che crede un filtro d'amore. La morte causata accidentalmente dalla donna, che gli invia una tunica intrisa del sangue avvelenato del Centauro Nesso, è in realtà voluta dal destino: l'eroe deve espiare le sue mancanze e pagare le azioni superbe di cui si è reso colpevole. L'intento di Sofocle è di dimostrare come nelle vicende umane sia sempre presente lo sguardo divino, di fronte al quale neppure il più forte degli eroi può nulla. Nel corso dell'opera il protagonista è oggetto di una evoluzione, una presa di coscienza delle sue colpe e giunge ad ammettere tutto il peso delle sue azioni, riconoscendo la superiorità e la giustizia della volontà divina. Al termine del dramma, infatti, sostiene che è meglio ubbidire al padre Zeus, accettando serenamente la morte destinatagli.\n\nEuripide fornisce un'interpretazione alquanto originale anche della figura di Eracle. La prima opera in cui appare l'eroe è l'Alcesti, tragedia problematica per la sua stessa struttura e posizione all'interno della tetralogia: occupa, infatti, il quarto posto - quello tradizionalmente riservato al dramma satiresco - ed è originale per il suo lieto fine. Tra i personaggi, Eracle è quello più discusso: non appare un eroe tragico, anzi, per la sua ingordigia nel mangiare e nel bere che lo apparenta all'immagine di lui diffusa nella commedia attica, sembra un buffone da dramma satiresco. Nonostante tutto si inserisce nel dramma in un momento centrale. Dopo aver conosciuto la verità si sveste infatti dei panni del beone per assumere quelli tradizionali di benefattore, adoperandosi per il suo ospite Admeto.\nL'Eracle di Euripide è una tragedia tipica del grande poeta, problematica validità della religione olimpica e la precarietà dell'uomo di fronte al divino. Eracle è al termine delle sue fatiche, di ritorno presso la moglie Megara e i figli, insidiati dal tiranno Lico. L'arrivo dell'eroe garantisce l'immediata liberazione dei perseguitati, ma segna anche la loro fine. Euripide ha inteso creare intorno all'eroe il vuoto totale: al culmine della gloria, egli diviene oggetto della peggiore delle catastrofi per sua stessa mano, l'uccisione della moglie e dei figli. Euripide modifica alcuni particolari della storia - nel racconto tradizionale le fatiche erano imposte a Eracle in qualità di espiazione dell'assassinio di Megara e dei figli - per fare di Eracle l'eroe di fronte alla tragedia della vita. Il doloroso rimprovero agli dei, in particolare a Era, che per gelosia di una mortale ha permesso tanta sofferenza, è il grido dell'uomo impotente di fronte al fato.\nL'umanizzazione dell'eroe dinanzi al dolore è disarmante e ancora più sconvolgenti sono le motivazioni addotte da Teseo per consolare l'amico, secondo cui: «Nessuno è senza colpa, né uomo né Dio». Euripide ha inteso modificare il ruolo di Eracle rispetto alla tradizione che va da Pindaro in poi, secondo una idealizzazione etica nuova e umana.\n\nAmanti e figli di Eracle.\nEracle si sposò quattro volte, con Megara, Onfale, Deianira e infine con Ebe, ed ebbe un numero imprecisato di relazioni extraconiugali, sia con donne che con uomini, per i quali, a causa dei molti miti che lo riguardano, è difficile ricostruire un ordine cronologico. Segue una lista (non esaustiva) dei principali figli di Eracle citati nella mitologia. I figli e i discendenti di Eracle sono conosciuti collettivamente con il nome di Eraclidi.\n\nUomini amati da Eracle.\nEracle aveva anche un certo numero di amanti maschili. Plutarco, nel suo dialogo Sull'amore (Eroticos) sostiene che 'erano oltre ogni possibile conteggio'; quello a lui più strettamente legato era il tebano Iolao: secondo un mito, Iolao era auriga e scudiero dell'eroe. Eracle, alla fine, lo aiutò addirittura a trovarsi una moglie. Plutarco riporta che fino al suo tempo le coppie maschili sarebbero andate in pellegrinaggio alla tomba di Iolao a Tebe a prestare giuramento di fedeltà eterna reciproca davanti al sepolcro.\nUno degli amanti di Eracle maggiormente rappresentato sia nell'arte antica sia in quella moderna è Ila (Hylas). Anche se la vicenda è di epoca più recente (datata all'incirca al III secolo a.C.) di quella con Iolao, questa aveva temi di mentoring nei modi di relazione guerresca e di aiuto per fargli trovare alla fine una sposa degna. Tuttavia va notato che non vi è nulla di tutto ciò se non nel racconto di Apollonio Rodio, il quale suggerisce apertamente che Ila fosse anche un amante sessuale, in contrasto con la semplice qualifica di compagno e servitore.\nUn altro presunto amante maschio dell'eroe è Elacatas, suo eromenos, che è stato onorato a Sparta con un santuario e giochi annuali, gli 'Elacatea'. Il mito del loro amore è assai antico.\nVi è poi l'eroe eponimo della città di Abdera, Abdero. Si dice che è stato aggredito e ucciso dalle carnivore cavalle di Diomede di Tracia. Eracle fondò la città di Abdera proprio per onorare la sua memoria, dove è stato ricordato anche con giochi atletici.\nUn altro mito riguarda Ifito.\nAltra storia è quella che narra del suo amore per Nireo che fu «l'uomo più bello che fosse giunto sotto le mura di Troia» (Iliade, 673). Ma Tolomeo aggiunge che alcuni autori hanno rivelato invece che Nireo potesse essere uno degli stessi figli di Eracle.\nPausania il Periegeta fa menzione di Sostrato di Dyme in Acaia come uno dei probabili amanti di Eracle; si dice ch'egli sia morto giovane e che sia stato sepolto dall'eroe stesso appena fuori dalla città. La tomba si trovava lì ancora in epoca storica, e gli abitanti di Dyme onoravano Sostrato come fosse un eroe. Il giovane sembra sia stato anche indicato come Polystratus.\nC'è anche una serie di amanti che sono o invenzioni successive, o concetti puramente letterari. Tra questi Admeto, che l'ha assistito durante la caccia del cinghiale calidonio; poi Adone, Corito iberico e Nestore, che si diceva fosse amato per la sua saggezza.\nUno scholiasta delle Argonautiche elenca i seguenti amanti maschili di Eracle: 'Hylas, Filottete, Diomo, Perithoas e Phrix'. Altri nomi, menzionati da Plutarco, sono quelli di Eufemo e Frisso.\n\nAltre figure legate al mito.\nFamiliari, compagni e amici.\nAbdero, giovinetto da lui amato e suo compagno.\nAdmeto, suo ospite.\nAlcesti, sposa di Admeto.\nAlcmena, sua madre.\nAnfitrione, suo padre adottivo.\nAntore, suo compagno in alcune imprese.\nArgone, suo discendente.\nAthys, suo allievo.\nAuge, madre di suo figlio Telefo.\nAventino, suo figlio avuto da Rea.\nChirone, centauro suo precettore.\nCizico, giovanissimo re dell'omonima città, figlio del suo compagno d'armi Oineo.\nCreonte, padre di sua moglie Megara.\nDeianira, sua seconda moglie.\nDiomo, ragazzo di cui si innamorò.\nEumede, figlio avuto da Lise.\nEvandro, re di Pallanteo, che lo ospitò.\nFilottete, colui che accese il suo rogo.\nFolo, centauro suo amico.\nIficle, suo fratello gemello.\nIla, giovinetto da lui amato e suo scudiero.\nIllo, figlio avuto con Deianira.\nIolao, figlio di Ificle.\nIole, donna da lui amata.\nLica, suo araldo.\nMegara, sua prima moglie.\nMelampo, suo compagno in alcune imprese.\nMeleagro, suo cognato.\nOineo, suo compagno nelle prime imprese, re dei Dolioni e padre di Cizico.\nOnfale, regina di Lidia e madre di uno dei suoi figli.\nTelefo, il figlio avuto da Auge.\nTlepolemo, altro suo figlio.\nTeseo, suo alleato in molte imprese.\nZeus, suo padre. Fin dalla nascita, Eracle è stato il figlio mortale preferito di Zeus, tanto da essere elevato a divinità dal padre.\n\nNemici.\nAcareo, sfidante a una gara di pugilato.\nAcheloo, dio fluviale.\nAnteo, gigante figlio di Gea.\nAugia, re dell'Elide.\nBusiride, sovrano d'Egitto.\nCaco, brigante italico.\nCalaide e Zete, i due alati figli di Borea.\nCarcino, granchio.\nCerbero, cane a guardia degli inferi.\nCercopi, uomini simili a scimmie.\nCicno, figlio di Ares.\nCinghiale di Erimanto.\nDiomede, re dei Bistoni.\nEmazione, re d'Etiopia figlio di Eos.\nErgino, re di Orcomeno.\nErix, re dei Siculi.\nEuristeo, colui che gli impose le dodici fatiche.\nEurito, suo antico maestro d'arco.\nGerione, gigante dell'isola di Erythia.\nIdra di Lerna, mostro a nove teste.\nLadone, custode del giardino delle Esperidi.\nLaomedonte, re di Troia.\nLeone di Nemea, animale invulnerabile secondo alcuni fratellastro di Eracle.\nLico, usurpatore del regno di Tebe.\nNesso, centauro.\nOrtro, cane di Gerione.\nToro di Creta.\nUccelli del lago Stinfalo.\n\nAlbero genealogico.\nAnalisi critica.\nLa vicenda di questo eroe non è raccontata in una sola opera, ma ne sono state scritte molte che lo vedono protagonista, marginalmente o particolarmente. Celebri le sue incredibili imprese, quali ad esempio le dodici fatiche che lo vedono affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni dalla pelle impossibile da scalfire, uccelli in grado di sparare piume affilate come lame e molti altri mostri che l'eroe, sia per coraggio sia per astuzia, riuscì sempre a sconfiggere.\nMaggiore eroe greco, divinità olimpica dopo la morte, Eracle fu venerato come simbolo di coraggio e forza, ma anche di umanità e generosità, anche presso i Romani. Era ritenuto protettore degli sport e delle palestre. Fu onorato in numerosi santuari sparsi in tutta la Grecia e le sue tante imprese, espressione dell'altruismo e della forza fisica, lo fecero credere il fondatore dei Giochi olimpici antichi. In alcuni casi, mettendo in luce la generosità con la quale affrontava avversari temibili, si rese dell'eroe un'immagine dall'intensa forza morale, oltre che puramente fisica.\nLa sua complessa personalità, l'ambientazione di certe sue imprese e il fatto che la maggior parte di esse sia legata ad animali, assimilano talvolta l'immagine di Eracle agli antichi sciamani, dotati di poteri soprannaturali, e una certa comunanza di aspetti si rintraccia anche in eroi fenici come Melqart. Il nome stesso di Eracle, per alcuni studiosi, va fatto risalire al nome del dio sumero 'Erragal', epiteto di Nergal. Le dodici fatiche, poi, possono avere qualche correlazione con i segni dello zodiaco, molti dei quali sono appunto rappresentati da animali.\nNel mondo romano Ercole presiedeva alle palestre e a tutti i luoghi in cui si faceva attività fisica; considerato anche una divinità propizia, gli si rivolgevano invocazioni in caso di disgrazie, chiamandolo Hercules Defensor o Salutaris.\nÈ inoltre da ricordare che fin quasi all'età moderna lo Stretto di Gibilterra era noto come 'Colonne d'Ercole', con espressione chiaramente evocativa: un ricordo dei viaggi e degli spostamenti dell'eroe che, nel corso delle sue imprese, toccò paesi dell'Asia Minore e del Caucaso e raggiunse l'Estremo Oriente e il Grande Oceano, che delimitava le 'terre dei vivi'. La leggenda era d'origine fenicia: il dio tirio Melqart (identificato poi dai Romani con Ercole stesso e detto Hercules Gaditanus, per il famoso tempio di Gades/Gadeira a lui dedicato) avrebbe posto ai lati dello Stretto due colonne, che furono poi considerate l'estremo limite raggiunto da Ercole e, soprattutto nel Medioevo, il confine posto dal dio affinché gli uomini non si spingessero nell'Oceano Atlantico.\n\nAttraverso i contatti e gli scambi culturali legati alle invasioni di Alessandro Magno nei regni orientali, soprattutto nella regione della Sogdiana, la cultura greca ha incontrato e influenzato quella buddista. La figura di Eracle in particolare viene associata a quella di Vajrapāṇi, ossia il protettore del Buddha con stilizzazione greca e la tipica clava.\n\nNell'arte.\nNella pittura, si possono ricordare, di Rubens, Ercole e Onfale (1603), Ercole nel giardino delle Esperidi (1638 circa), L'origine della Via Lattea (1636-1638); L'origine della Via Lattea di Tintoretto; La scelta di Ercole di Annibale Carracci (1596). Una delle sale più importanti del Palazzo dei Normanni di Palermo, che prende appunto il nome di 'Sala d'Ercole', è decorata da magnifici affreschi parietali che raffigurano le imprese dell'eroe greco.\nPer la scultura, sono celebri Ercole e Caco di Baccio Bandinelli (1534), Piazza della Signoria, Firenze; Ercole e Lica di Antonio Canova (1795-1815), Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea, Roma; Ercole epitrapezios di Alba Fucens - I sec. a.C. Museo archeologico nazionale d'Abruzzo, Chieti; Ercole Curino - bronzo, scuola di Lisippo, Museo archeologico nazionale d'Abruzzo, Chieti.\nPer l'architettura, a Vicenza vi è il famoso Teatro Olimpico di Andrea Palladio, decorato con le imprese di Ercole.\n\nCinema.\nDagli anni sessanta in poi furono girati numerosi film di genere peplum (mitologico misto a kolossal) in cui i protagonisti, oltre a Eracle (o Ercole per i romani) in questo caso ribattezzato Hercules, erano noti eroi della mitologia greca e romana, ma nel maggior caso delle volte anche inventati. Alcune trame sono basate su avvenimenti della vicenda mitica del famoso personaggio, seguendo a volte anche le tragedie di Eschilo o Euripide, ma spesso le vicende degli altri film, molto rielaborate dagli sceneggiatori, ottenevano in pubblico scarso successo. Ciò avvenne anche per i personaggi di Maciste e di Ursus, tuttavia il primo, essendo stato creato da Gabriele D'Annunzio e interpretato nei primi film muti da Bartolomeo Pagano, ottenne più successo.\n\nLe fatiche di Ercole, regia di Pietro Francisci (1958).\nErcole e la regina di Lidia, regia di Pietro Francisci (1958).\nGli amori di Ercole, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1960).\nLa vendetta di Ercole, regia di Vittorio Cottafavi (1960).\nErcole alla conquista di Atlantide, regia di Vittorio Cottafavi (1961).\nErcole al centro della Terra, regia di Mario Bava (1961).\nMaciste contro Ercole nella valle dei guai, regia di Mario Mattoli (film parodistico del 1961 con protagonisti Franco e Ciccio).\nErcole, cortometraggio tedesco per la regia di Werner Herzog (1962).\nErcole contro Moloch, regia di Giorgio Ferroni (1963).\nErcole sfida Sansone, regia di Pietro Francisci (1963).\nErcole contro i tiranni di Babilonia, regia di Domenico Paolella (1964).\nErcole contro Roma, regia di Piero Pierotti (1964).\nErcole l'invincibile, regia di Alvaro Mancori (1964).\nErcole contro i figli del sole, regia di Osvaldo Civirani (1964).\nIl trionfo di Ercole, regia di Alberto De Martino (1964).\nErcole, Sansone, Maciste e Ursus gli invincibili, regia di Giorgio Capitani (1964).\nIl magnifico gladiatore, regia di Alfonso Brescia (1964).\nLa sfida dei giganti, regia di Maurizio Lucidi (1965).\nHercules, regia di Luigi Cozzi (1983).\nHercules nell'inferno degli dei, film per la televisione per la regia di Bill L. Norton (1994).\nHercules e il regno perduto, film per la televisione per la regia di Harley Cokeliss (1994).\nHercules e il cerchio di fuoco, film per la televisione per la regia di Doug Lefter (1994).\nHercules e le donne amazzoni, film per la televisione per la regia di Bill L. Norton (1994).\nHercules nel labirinto del Minotauro, film per la televisione per la regia di Josh Becker (1994).\nHercules, film animato della Walt Disney Pictures, diretto da Ron Clements e John Musker (1997).\nHercules: The Legendary Journeys, serie televisiva andata in onda dal 1995 al 2000.\nYoung Hercules, spin-off della serie televisiva Hercules, in onda dal 1998 al 2002.\nHercules - La leggenda ha inizio, film del 2014.\nHercules: il guerriero, film del 2014 con Dwayne 'The Rock' Johnson nei panni di Eracle.\n\nManga.\nNel manga di Record of Ragnarok, Eracle è uno degli dei che combatte al torneo del Ragnarok." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eraclidi.\n### Descrizione: Gli Eraclidi (in greco antico: Ἡρακλεῖδαι?, Hēraclêidai), nella mitologia greca, sono sia i figli di Eracle, in particolare di Eracle e Deianira, sia i loro discendenti. Gli Eraclidi svolgono un ruolo di primo piano nella mitologia greca, in quanto conquistarono il Peloponneso e altre aree dell'antica Grecia nei decenni successivi alla guerra di Troia. Gli storici e i mitografi hanno individuato un parallelismo tra il cosiddetto ritorno degli Eraclidi e l'invasione dorica, evento storico avvenuto verso il 1100 a.C.. Le dinastie che rivendicavano una discendenza da Eracle governarono la Grecia e la Macedonia per molto tempo, e anche Alessandro il Grande faceva risalire la sua dinastia a Temeno, discendente di Eracle.\n\nFigli di Eracle e Deianira.\nIllo.\nCtesippo.\nGleno.\nOnite.\nMacaria.\n\nDiscendenti.\nCleodemo (figlio di Illo).\nAristomaco.\nCresfonte.\nTemeno.\nAristodemo.\n\nFigli di Eracle ed Onfale.\nVengono definiti Eraclidi anche i discendenti di Eracle e della regina della Lidia, Onfale, figlia del fiume Iardano. La discendenza di Eracle avrebbe governato sulla regione per 505 anni, per essere poi detronizzata, dopo Candaule, da Gige, fondatore della dinastia mermnade. Tale ramo degli Eraclidi affermava di discendere dal dio del Sole che i Lidi chiamavano Sandone e i Greci identificavano, appunto, con Eracle.\n\nAltri Eraclidi.\nI capitani achei Tlepolemo, Fidippo e Antifo, che parteciparono alla guerra di Troia, possono essere annoverati tra gli eraclidi, in quanto rispettivamente figlio e nipoti di Eracle.\nUna delle tribù di Atene e alcuni re di Corinto venivano fatti risalire a Antioco, figlio di Eracle e della principessa dei driopi Meda.\n\nMitologia.\nQuando Eracle ascese tra gli dei, i suoi figli, per sfuggire alla persecuzione di Euristeo, si rifugiarono presso Ceice, re di Eraclea Trachinia; ma Euristeo, minacciando guerra, chiese a Ceice di consegnarli. Gli Eraclidi allora lasciarono Eraclea Trachinia e si dispersero per tutta la Grecia. In seguito chiesero la protezione degli Ateniesi, di cui era re Teseo, che non solo non li consegnò, ma dichiarò guerra al loro persecutore. I figli di Euristeo caddero in battaglia, e lo stesso Euristeo fuggì, ma, presso le Rocce Scironidi fu raggiunto e ucciso da un figlio di Eracle, Illo. Questi tagliò la testa ad Euristeo e la portò in dono alla madre di Eracle, Alcmena. Secondo Pausania e Pindaro Euristeo fu invece ucciso da Iolao, nipote di Eracle, e figlio del fratellastro di questi, Ificlo. Secondo Strabone invece Euristeo cadde in battaglia a Maratona.\nPausania riporta però una versione differente. Racconta, infatti, che fu lo stesso Ceice a suggerire agli Eraclidi di rifugiarsi presso Atene, poiché questa «aveva forze sufficienti per proteggerli»; Teseo si rifiutò di consegnarli a Euristeo, e questo provocò la guerra. Secondo un oracolo, Atene l'avrebbe vinta se uno dei figli di Eracle fosse stato sacrificato: Macaria, figlia di Eracle e Deianira, si uccise, e gli Ateniesi, vittoriosi, le dedicarono a Maratona una fonte, chiamata appunto fonte Macaria. Secondo Euripide gli Eraclidi si rifugiarono non da Teseo, ma dai suoi discendenti.\n\nIl ritorno in patria.\nDopo la morte di Euristeo, secondo Apollodoro, gli Eraclidi tornarono nel Peloponneso, ma a un anno dal loro ritorno una pestilenza si abbatté sulla Grecia, e l'oracolo disse che ciò era avvenuto perché erano tornati troppo presto in patria. Così abbandonarono nuovamente il Peloponneso e tornarono a Maratona. Illo, che nel frattempo, come voluto dal padre aveva sposato Iole si recò a Delfi per consultare l'oracolo e sapere quando sarebbero potuti tornare. Questi rispose che sarebbero potuti tornare “alla terza messe”. Illo pensò che significasse tre anni, e, lasciato passare quel tempo, ritornò in Attica con il suo esercito, che venne però attaccato e sconfitto da Tisameno, figlio di Oreste, che allora regnava su Sparta. Gli Eraclidi allora consultarono nuovamente l'oracolo e appresero che con “terza messe” non s'intendevano tre anni, bensì tre generazioni.\nTemeno, figlio di Aristomaco, che apparteneva alla terza generazione dopo Illo stava organizzando l'esercito e la flotta per invadere il Peloponneso, quando si presentò un indovino, di nome Carno, che predisse la distruzione dell'esercito se fossero andati nel Peloponneso; allora Ippote, uno degli Eraclidi, lo uccise. Dopo l'omicidio la flotta andò distrutta e l'esercito fu vittima di una carestia. Temeno allora consultò l'oracolo, e il dio disse che l'uccisore dell'indovino dovesse essere esiliato per dieci anni. Aggiunse che dovevano eleggere come capo un “trioculo”, qualcuno con tre occhi. Gli Eraclidi si misero in cerca di quest'uomo e infine si imbatterono in Ossilo. Questi era in sella ad un cavallo con un occhio solo. Gli Eraclidi ritennero che Ossilo fosse il personaggio indicato dall'oracolo e lo fecero loro comandante. Con Ossilo a capo dell'esercito tornarono nel Peloponneso, e uccisero Tisameno, re di Sparta.\n\nRiferimenti storici.\nIl ritorno degli Eraclidi sarebbe il ricordo leggendario dell'invasione dorica, avvenuta verso il 1100 a.C. Secondo altri, poi, gli Eraclidi furono anche i fondatori di Sparta, dopo aver distrutto la Sparta micenea (più precisamente Lacedemone). Da loro discesero secondo la tradizione i due Re di Sparta esistenti in epoca storica, tra cui Leonida I." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erasippo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Erasippo era il nome del figlio di Lisippe e di Eracle.\n\nIl mito.\nLa madre rimase incinta come le sue 49 sorelle dall'eroe che era venuto ospite in casa del padre, Erasippo e gli altri facevano parte dei Tespiadi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ercina.\n### Descrizione: Ercina, in greco Herkyna o Herkynna, è la ninfa della Beozia nella mitologia greca.\nÈ una delle compagne di Persefone, figlia di Demetra.\nUn giorno, giocando con Persefone nel bosco sacro di Trofonio, si lasciò scappare un'oca con cui Persefone era solita giocare. Le due fanciulle inseguirono l'oca che andò a nascondersi sotto una pietra. Tolta la pietra, Persefone notò che cominciò a sgorgare dell'acqua il cui flusso formò poi una sorgente e quindi un fiume a cui fu dato il nome di Ercina. Dopo ciò il terreno si apri e da lì uscì Ade, il dio degli inferi, che rapì Persefone.In questo punto fu in seguito costruito un piccolo tempio con un simulacro di Ercina con in mano l'oca." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ercole (Händel).\n### Descrizione: Ercole (Hercules HWV 60) è un Dramma musicale, oggi classificato come oratorio in tre atti di Georg Friedrich Händel, composto nel luglio e agosto 1744. Il libretto in inglese era del reverendo Thomas Broughton, basato su Le Trachinie di Sofocle e sul nono libro de Le Metamorfosi di Ovidio.\n\nStoria delle esecuzioni.\nErcole fu dato la prima volta al King's Theatre a Londra il 5 gennaio 1745 sotto forma di concerto. Erano previste solo due esecuzioni nella produzione originale Il ruolo di Lica era in origine una piccola parte per tenore, ma fu riscritto più lungo, con sei arie, per Susanna Cibber, che tuttavia, era troppo malata la prima sera per cantare e la musica fu omessa o ridistribuita in quella volta. Cantò nella seconda rappresentazione il 12 gennaio, ma la musica per il coro Wanton God e l'aria Cease, ruler of the day non è mai stata eseguita in quest'opera: la seconda fu adattata per il coro finale di Teodora. Il lavoro fu un fallimento totale e costrinse Händel a sospendere la stagione. Ercole fu eseguita altre tre volte, due nel 1749 e una nel 1752 e in quest'ultima fu completamente soppresso il ruolo di Lica e anche gran parte del resto della musica fu tagliata.Ercole era stato originariamente eseguito in teatro, ma come un oratorio, senza azione scenica. Si sostiene che questo abbia contribuito al suo abbandono in seguito, in quanto non aveva fatto la sua transizione verso la chiesa né la sala da concerto. La sua rinascita pertanto avvenne attraverso una rivalutazione nel contesto di una rappresentazione teatrale, quando fu acclamato dai Romain Rolland, Henry Prunières, Paul Henry Lang e dagli altri come uno dei capolavori supremi del suo periodo. La prima esecuzione moderna è stata a Münster nel 1925. Hercules viene talvolta messo in scena come opera completa, ad esempio in una produzione di Peter Sellars alla Chicago Lyric Opera nel 2011.\n\nRuoli.\nTrama.\nAtto I.\nLa corte piange il dolore inconsolabile di Deianira, che è convinta che il marito, Ercole, sia rimasto ucciso durante una spedizione militare che lo ha tenuto lontano da lei. Una volta consultati, gli oracoli indicano che l'eroe è morto e le cime del monte Eta sono incendiate e brillano per le fiamme. La profezia conferma i timori di Deianira; tuttavia, il loro figlio, Illo, si rifiuta di rinunciare alla speranza. Mentre quest'ultimo si prepara a partire alla ricerca del padre, Lica arriva e annuncia che Ercole è tornato in vita dopo aver conquistato Ecalia. Tra i prigionieri vi è la principessa Iole di leggendaria bellezza. La sua situazione lascia Illo profondamente commosso. Pur avendo devastato il suo paese e sacrificato il padre, Ercole rassicura Iole che, anche se in esilio, si può considerare libera.\n\nAtto II.\nIole è colta da un desiderio struggente per una semplice, umile forma di felicità lontano dalle macchinazioni del potere. Nel frattempo, Deianira, convinta che Ercole le sia stato infedele, considera la bellezza di Iole come una prova del suo tradimento, anche se i suoi sospetti sono decisamente confutati dalla sua presunta rivale. Anche Lica osserva la progressione incontenibile della gelosia di Deianira. Illo, da parte sua, dopo aver dichiarato il suo amore per la principessa prigioniera, soffre l'agonia del suo rifiuto. Mentre Ercole è chiamato a celebrare i riti della sua vittoria, Deianira dà a Lica un indumento per il marito come un segno di riconciliazione. È il mantello, intriso di sangue, affidatole da Nesso mentre stava morendo sconfitto da Ercole, apparentemente dotato del potere di condurre un cuore di nuovo alla fedeltà. Nel frattempo, Deianira mette grande impegno per convincere Iole di essere dispiaciuta per le sue accuse.\n\nAtto III.\nLica racconta come Ercole riceve il dono di Deianira al Tempio e come il mantello sia impregnato di un veleno mortale. Mentre suo figlio sta guardando, l'eroe, imbattuto fino ad oggi, muore fra terribili sofferenze maledicendo la vendetta di Deianira. Le ultime volontà espresse dal padre al figlio, di venire trasportato fino alla cima del monte Eta e adagiato su una pira funeraria, gettano una luce tardiva sul significato dell'oracolo del primo atto. Deianira viene informata della gloriosa accoglienza riservata ad Ercole sull'Olimpo. Scoprendo che è stata lei lo strumento della sua morte, Deianira sprofonda nella follia. Tale sventura suscita la pietà di Iole. Giove ordina il matrimonio tra Illo e Iole, un decreto che viene ricevuto con gioia da Illo e con obbedienza da Iole.\n\nRegistrazioni.\n1968 – Louis Quilico (Hercules), Maureen Forrester (Dejanira), Teresa Stich-Randall (Iole), Alexander Young (Hyllus), Norma Lerer (Lichas), Baruch Grabowski (Priest), Gerhard Eder (Trachinian), Martin Isepp (clavicembalo), Brian Priestman (direttore), con la Vienna Radio Orchestra, LP, RCA SER 5569-71.\n1982 – John Tomlinson e Sarah Walker, John Eliot Gardiner (Direttore), Archiv Produktion 2742 004, pesantemente tagliato.\n2002 – Anne Sofie von Otter e Gidon Saks, Marc Minkowski (direttore), Archiv Produktion 469 532-2.\n2005 – William Shimell, Joyce DiDonato, William Christie (Direttore) e Les Arts Florissants, Una rappresentazione completa su DVD realizzata da Bel Air Classique.\n2008 – Peter Kooy e Liselotte Kuhn, Joachim Carlos Martini, Naxos label Naxos 8.557960-62." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eretteo.\n### Descrizione: L'Eretteo (in greco antico: Ἐρέχθειον?, Eréchtheion) è un tempio ionico greco del V secolo a.C., che si trova sull'Acropoli di Atene. È un tempio duplice.\n\nStoria.\nNonostante la grande importanza del culto tributato ad Atena nel grande tempio (prima l'Ekatónpedon, poi il Partenone) sulla sommità dell'Acropoli, questo santuario, dedicato alla dea Atena Poliade (protettrice della città), era legato a culti arcaici e alle più antiche memorie della storia leggendaria della città, costituendo il vero nucleo sacro dell'Acropoli e dell'intera città. In questo luogo si sarebbe infatti svolta la disputa tra Atena e Poseidone: vi si custodivano le impronte del tridente del dio su una roccia, un pozzo di acqua salata da cui sarebbe uscito il cavallo, dono del dio, e l'olivo, donato dalla dea Atena alla città. Qui il re Cecrope, metà uomo e metà serpente, avrebbe consacrato il Palladio, la statua della dea caduta miracolosamente dal cielo. Il santuario ospitava inoltre le tombe di Cecrope, di Eretteo e un luogo di culto dedicato a Pandroso, la figlia di Cecrope amata dal dio Ermes.\nL'Eretteo venne costruito in sostituzione del tempio arcaico (VI secolo a.C.) avente la stessa funzione votiva, di cui restano le fondamenta tra l'edificio più recente e il Partenone; in epoca romana il nuovo edificio prese il nome di 'Eretteo' (Erechtheíon, ovvero 'colui che scuote'), dall'appellativo di Poseidone.\nIniziata da Alcibiade nel 421 a.C. in un momento di relativa pace, la costruzione fu interrotta durante la spedizione in Sicilia (Guerra del Peloponneso) e ripresa negli anni 409-407 a.C., come attestano i rendiconti finanziari conservati al Museo epigrafico di Atene e al British Museum.Costruito in marmo pentelico, l'Eretteo è opera dell'architetto Filocle. La necessità di ospitare i diversi culti tradizionali, collocati su un'area con un forte dislivello (più elevata a sud-est e più bassa di circa 3 m a nord-ovest) determinò una pianta insolita.\n\nDescrizione.\nIl tempio è prostilo (ovvero con colonne nella parte anteriore), con sei colonne ioniche sulla fronte a est; a ovest gli intercolumni (spazi tra le colonne) sono chiusi da setti murari dotati di ampie finestre e le colonne si presentano all'esterno come semicolonne sopraelevate sul muro di 3 metri costruito per superare il dislivello del terreno. L'interno era suddiviso in due celle a livello diverso e non comunicanti tra loro: quella orientale, più alta, alla quale si accedeva dal pronao esastilo, che ospitava il Palladio, e quella occidentale più in basso, suddivisa in tre vani: un vestibolo comune dava accesso a due vani gemelli che ospitavano i culti di Poseidone e del mitico re Eretteo. Al corpo centrale si addossano la loggia con le Cariatidi a sud, che custodisce la tomba del re Cecrope, e un portico a nord, più sporgente del corpo centrale verso ovest, costruito per proteggere la polla di acqua salata fatta sgorgare da Poseidone. Il portico è costituito da quattro colonne in fronte e due di lato; da qui si accede sia alla cella per il culto di Poseidone e di Eretteo, sia ad una zona a cielo aperto davanti al basamento pieno che sorregge le semicolonne della fronte occidentale, dove si trovavano l'ulivo di Atena e la tomba di Pandroso (Pandroseion).\nLe colonne si presentano particolarmente snelle ed eleganti e il tempio era ornato da una raffinata decorazione: le basi delle colonne, la fascia decorativa che sormonta e corre lungo le pareti del corpo centrale con un motivo di fiori di loto e palmette; il fregio continuo lungo l'esterno della costruzione, in pietra scura di Eleusi, sulla quale erano applicate figure scolpite in marmo bianco (con un gusto che, come annota Bianchi Bandinelli, sembra anticipare quello tardo ellenistico dei cammei in vetro a fondo azzurro). Particolarmente ricche le decorazioni del portico a nord, negli intrecci sulle colonne e nel fregio ornamentale della porta d'ingresso. Bronzi dorati, dorature, perle vitree in quattro colori sottolineavano la ricchezza dell'alzato.\n\nI lavori di restauro.\nI primi lavori di restauro sul monumento iniziarono tra il 1837 e il 1846, poi tra il 1902 e il 1909. Più recentemente tra il 1979 e il 1987. L'ultimo intervento ripristinò delle parti e tolse le cariatidi originali per sostituirle con delle copie. Le Cariatidi, forse opera dello scultore Alcamene, sono conservate nel Museo dell'Acropoli. Mentre una delle cariatidi angolari, rimossa da lord Elgin, si trova al British Museum di Londra.\nNel biennio 2014-2015 sono stati eseguiti degli interventi sulle fondazioni che oggi permettono di mostrare i resti dell'antica basilica costruita nel VII sec d.C.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ergino (argonauta).\n### Descrizione: Ergino (in greco antico: Ἐργῖνος?, Erghînos) è un personaggio della mitologia greca e fu l'argonauta che prese il timone della nave Argo dopo la morte del timoniere Tifide.\n\nGenealogia.\nFiglio di Poseidone o di Periclimeno.\n\nMitologia.\nRisiedeva nella città di Mileto in Caria e fu reclutato da Giasone per la spedizione in Colchide.\nA Lemno ed in giovane età, durante giochi funebri indetti da Ipsipile in onore del defunto padre Toante, partecipò ad una gara di corsa podistica dove il suo avversario era un Boreade.\nAll'avvio, e per causa dei suoi capelli già ingrigiti, fu deriso dalle donne del posto ma il suo passo fu molto veloce e vinse.\nAlcuni autori lo confondono con un altro Ergino e che fu re di Orcomeno." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erice (gigante).\n### Descrizione: Erice (Eryx in greco antico), è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Afrodite e di Poseidone.\n\nMito.\nFu re di Eryx, un territorio della Sicilia occidentale (l'odierna Erice). Sicuro della sua forza straordinaria e della reputazione come pugile, sfidava tutti coloro che incontrava: e questi il più delle volte rimanevano uccisi. Ebbe il coraggio di misurarsi con Eracle, che passava per la Sicilia con il bestiame di Gerione. In palio furono messi da un lato la mandria dell'eroe greco, e dall'altro il regno del semidio dei siciliani elimi. L'incontro finì tragicamente, con la morte del re siciliano che fu sepolto nel tempio dedicato alla madre Afrodite a Erice (Venere ericina), mentre il suo nome fu invece dato al monte presso il santuario.\nEracle costernato per la morte dell'avversario lasciò il regno al suo popolo dicendo (nelle Heracleidae) che uno dei suoi discendenti ne avrebbe un giorno preso possesso.\n\nFonti.\nPseudo-Apollodoro, Bibliotheca 2.5.10.\nDiodoro Siculo, Bibliotheca historica 4.22.6–23.3, 4.83 1–4.\nVirgilio, Eneide V, 387–484.\nOvidio, Metamorfosi 5.195 s." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eridano (mitologia).\n### Descrizione: L'Eridano (AFI: /eˈridano/; in greco antico: Ἠριδανός?, Hēridanós) era un fiume della mitologia greca. Fetonte vi precipitò morendo.\nNell'antichità fu spesso identificato con fiumi reali: secondo la maggior parte degli scrittori coincideva col Po; Eschilo lo identificò col Rodano; altri come Ecateo lo localizzavano nel Nordeuropa.\nVirgilio cita l'Eridano come uno dei fiumi degli Inferi (Eneide, VI, 659)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Erifile.\n### Descrizione: Erifile (in greco antico: Ἐριφύλη?, Eriphǜlē) era figlia di Lisimaca e Talao, re di Argo e sorella di Adrasto. Da questi fu data in moglie a uno dei principi argivi, Anfiarao, in seguito a un contenzioso fra i due cugini, come segno di riconciliazione.\n\nMitologia.\nErifile tradì il marito ai tempi della spedizione dei Sette contro Tebe e in seguito anche il figlio Alcmeone, inducendoli a marciare su Tebe. In cambio ottenne la collana e il manto di Armonia, rispettivamente da Polinice e dal figlio di lui Tersandro. Alcmeone, scoperta la corruzione di Erifile, uccise la madre, ma fu da questa maledetto e per ciò perseguitato dalle Erinni.\nLa vicenda di Erifile è narrata da Pseudo-Apollodoro, Pausania, Diodoro Siculo e Igino. Della omonima tragedia di Sofocle sono rimasti invece solo dei frammenti.\nAnfiarao, suo marito, era un veggente, e aveva previsto che la guerra a Tebe si sarebbe risolta con la morte di tutti gli eroi che vi avrebbero partecipato, con l'eccezione di Adrasto, che frattanto era succeduto a Talao sul trono di Argo. Per questo, disobbedendo agli ordini del re, rifiutava di partecipare alla spedizione. Tuttavia, in precedenza, durante una feroce discussione con Adrasto, quando ormai i due avevano sfoderato le armi, Erifile si era frapposta fra i contendenti e li aveva riportati alla ragione, facendosi giurare solennemente che per ogni futuro diverbio si sarebbero appellati al suo giudizio. Tideo, principe di Calidone in esilio ad Argo, venne a sapere di questo giuramento; del pari sapeva quanto Erifile temesse di perdere la propria bellezza. Ora, Adrasto aveva promesso a Tideo di reinsediarlo nel proprio regno solo dopo la marcia su Tebe; così questi suggerì a Polinice di offrire a Erifile la collana della sua ava Armonia, regalo della dea Afrodite, che donava la bellezza a chiunque la indossasse, a patto che la donna convincesse Anfiarao a intraprendere la spedizione. Erifile si lasciò corrompere, Anfiarao partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe e, come aveva predetto, vi perse la vita insieme agli altri eroi.\nIn seguito i figli dei sette, noti come gli Epigoni, giurarono di vendicare la morte dei loro padri. L'Oracolo di Delfi predisse loro la vittoria su Tebe solo se Alcmeone, figlio di Erifile e Anfiarao, avesse guidato l'attacco. Il giovane però, contrariamente al fratello Anfiloco, era restio a intraprendere la guerra, e per questo i due avevano rimesso la decisione alla madre. Tersandro, figlio di Polinice, memore dello stratagemma usato in precedenza dal padre, offrì a Erifile il manto di Armonia, e la donna si risolse in favore della guerra. Così, dieci anni dopo la spedizione dei Sette, Tebe cadde. Tersandro, però, si gloriò pubblicamente d'aver corrotto Erifile e di avere dunque il merito della vittoria. Quando Alcmeone udì quelle parole, apprendendo che la donna era responsabile della morte del padre, decise di interrogare l'Oracolo di Delfi sul destino da riservarle. L'oracolo rispose che Erifile meritava di morire, e Alcmeone, interpretando erroneamente il responso come un'autorizzazione al matricidio, la uccise. Prima di morire, però, Erifile maledisse il figlio, che per questo fu a lungo perseguitato dalle Erinni, prima di trovare la morte a Psofide per mano di re Tegeo.\nSecondo Igino, invece, Anfiarao si era nascosto per sfuggire alla sua sorte, e fu lo stesso Adrasto a offrire a Erifile un monile d'oro e gemme per sapere dove si trovasse suo marito. Anfiarao, vistosi tradito, ordinò allora ad Alcmeone di vendicarsi sulla madre dopo la propria morte.\nL'ombra di Erifile apparve poi a Odisseo, insieme a quelle di altre donne illustri, nel corso del viaggio nell'Ade intrapreso dall'eroe per incontrare Tiresia. Anche Omero, tuttavia, non menziona specificatamente la collana di Armonia, ma si limita a dire che Erifile tradì il marito per dell'oro. Un riferimento sembra esserci anche in Rutilio Namaziano (De reditu I,359): aurea legitimas expugnant munera taedas 'i doni dell'oro espugnano anche nozze legittime'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erigone (figlia di Egisto).\n### Descrizione: Erigone (in greco antico Ἠριγόνη Ērigònē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Egisto e Clitennestra.\n\nIl mito.\nNata dalla sventurata unione di Egisto con Clitennestra, Erigone è sorella di Alete e di Elena (una figlia di Egisto e Clitennestra, da non confondersi con Elena di Troia). Sopravvissuta alla furia di Oreste, che le uccise entrambi i genitori ed anche la sorella Elena, lo incolpò di avventato matricidio a fianco del nonno Tindaro (o il cugino Perilao, secondo Pausania) di fronte ai membri dell'Areopago e richiese la sua morte. Quando, per intervento di Atena, Oreste venne assolto da ogni accusa, Erigone, disperata, s'impiccò.\nSecondo un'altra versione, Erigone, che stava per essere uccisa da Oreste similmente al fratello Alete, venne salvata da Artemide che la trasportò ad Atene, dove la rese una sua sacerdotessa.\nUn'altra tradizione, accolta da Pausania, riferisce che Erigone si riconciliò con Oreste (suo fratellastro), perdonandogli l'uccisione della madre, divenne sua sposa e gli diede un figlio, Pentilo.\n\nFonti.\nFonti primarie.\nPseudo-Apollodoro, Epitome, 6, 25.\nMarmor Parium, 40, in Fragmenta historicorum Graecorum, a cura di Karl Wilhelm Ludwig Müller, I, p. 546 (Die Fragmente der griechischen Historiker (FGrHist), 239 A 25).\nEtymologicum Magnum, s. v. 'Αἰώρα'.\nIgino, Favole, 122.\nPausania, II, 18, 6.\nScolia in Euripide, Oreste, 1648." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erilo.\n### Descrizione: Èrilo è un semidio mostruoso della mitologia classica con tre vite e tre corpi.\nFiglio della dea italica Feronia e del re di Preneste, attuale Palestrina, ereditò il regno dal padre. Venne ucciso da Evandro, e la sua morte verrà ricordata nell'Eneide nel libro VIII, durante l'addio di Evandro al figlio Pallante." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eris (divinità).\n### Descrizione: Eris (in greco antico: Ἔρις?, «sfida, conflitto, lite, contesa», in italiano anche Eride) era, nelle religioni e nella mitologia dell'antica Grecia, la dea della discordia.\nIl nome corrispettivo di Eris in latino è Discordia.\nL'episodio più significativo cui la dea è legata è quello della mela della discordia, raccontato nei Canti Ciprii: furiosa per l'esclusione dal banchetto nuziale di Peleo e Teti, Eris giunse perfino a contemplare l'idea di scagliare i Titani contro gli altri Olimpi, che erano stati tutti invitati, e detronizzare Zeus.\nPoi, però, scelse una via più subdola per compiere la sua vendetta. Giunta sul luogo in cui si teneva il banchetto, fece rotolare una mela d'oro, secondo alcuni presa nel giardino delle Esperidi, dichiarando che era destinata 'alla più bella' fra le divine convitate. La disputa che sorse fra Era, Atena e Afrodite per l'assegnazione del frutto e del relativo titolo condusse al giudizio di Paride e in seguito al ratto di Elena, che originò la guerra di Troia. Inizialmente la scelta spettava a Zeus, ma egli non voleva scegliere, perché avrebbe scatenato le ire delle dee 'perdenti' in eterno. Decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare. Atena gli promise l’imbattibilità, Era la ricchezza, mentre Afrodite la donna più bella, che ai quei tempi era Elena, moglie di Menelao, re di Sparta.\nParide scelse Afrodite.\n\nNatura di Eris.\nTutti i mitografi convengono nel descrivere Eris come una dea spietata, animatrice dei conflitti e delle guerre tra gli uomini, delle quali gode.\nOmero ne offre un illuminante ritratto, descrivendola come «una piccola cosa, all'inizio» che cresce fino ad «avanzare a grandi falcate sulla terra, con la testa che giunge a colpire i cieli», seminando odio fra gli uomini e acuendone le sofferenze. Forse per questo il poeta le attribuisce anche l'epiteto di “signora del dolore”.\nUna simile rappresentazione si ritrova anche in Quinto Smirneo: mentre Eris cresce a dismisura, la terra trema sotto i suoi piedi, la sua lancia ferisce il cielo, dalla sua bocca si sprigionano fiamme spaventose, mentre la sua voce tonante accende gli animi degli uomini.\nLo stesso tema viene ripreso in una delle favole di Esopo: Eracle sta attraversando uno stretto passaggio, quando nota una mela che giace sul suolo. La colpisce ripetutamente con la sua clava, ma ad ogni percossa la mela raddoppia le sue dimensioni, fino ad ostruire completamente il cammino dell'eroe. Atena, avvedendosi della cosa, spiega allora a Eracle come quella mela sia in realtà Aporia ed Eris: se lasciata a sé stessa, rimane piccola, ma a combatterla si ottiene solo di ingigantirla.\nEsiodo rammenta comunque come la dea abbia, oltre a quella violenta, anche un'altra natura, che se compresa può essere d'aiuto ai mortali: quando si presenta nella forma della competizione, Eris è di stimolo agli uomini, spingendoli a superare i propri limiti e permettendo loro di conseguire risultati che la loro innata pigrizia renderebbe altrimenti irraggiungibili. Di natura umana in condivisione con il consorte, è considerata protettrice dell'umanità, infatti permette ad ogni essere una battaglia per salvare se stessi dopo la morte.\nAdorata e venerata da tutti gli dei, è onorata come protettrice dalla distruzione finale dell'universo.\n\nOrigine, stirpe e progenie.\nQuattro sono i miti sulle sue origini:.\n\nStando a Omero e Quinto Smirneo, Eris è sorella minore di Ares, e dunque figlia di Era e Zeus.\nUn altro mito, riportato da Ovidio e dal Primo Mitografo Vaticano, vuole che Eris sia stata concepita da Era semplicemente toccando un fiore, senza che la dea giacesse con il divino consorte Zeus.\nPer Esiodo invece sua madre fu la Notte, che la generò senza bisogno di accoppiarsi.\nSecondo Igino la Notte la concepì con Erebo.In quest'ultimo mito Eris risulterebbe allora appartenere all'era preolimpica, e in effetti il suo ruolo nel mito è frequentemente quello tipico delle altre personificazioni di concetti: la dea è un'incarnazione di una delle forze cui sono soggetti i mortali e le stesse divinità, ma non ha una storia propria né caratteristiche che la individuino, oltre a quelle strettamente legate alla sua funzione.\nSono fratelli e sorelle di Eris:.\n\nMoros, il destino avverso.\nKer, la morte violenta.\nTanato, la morte.\nIpno, il sonno.\nLa tribù degli Oneiroi, i sogni.\nMomo, la colpa, il biasimo.\nOizys, la miseria.\nNemesi, la vendetta o la giustizia divina.\nApate, l'inganno.\nPhilotes, l'amicizia.\nGeras, la vecchiaia.\nLe Esperidi, ninfe guardiane del giardino dei pomi d'oroA questo elenco, Igino aggiunge:.\n\nLetum, la dissoluzione.\nLysimele, l'affetto.\nEpifrone, la prudenza.\nStyx, l'odio.\nEufrosine, la benevolenza.\nPorfirione.\nEpafo.\nContinenza.\nPetulanza.\nMisericordiaSempre secondo Esiodo, Eris diede alla luce:.\n\nDisnomia, la disobbedienza alle leggi, il malgoverno.\nAte, l'errore, la rovina.\nLe Makhai, spiriti delle battaglie.\nPonos, il travaglio, la fatica.\nLethe, l'oblio, la dimenticanza.\nLimós, la fame.\nAlgos, i dolori.\nIsminai, i combattimenti.\nFonoi, gli omicidi.\nAndroktasiai, le stragi.\nNeikea, i litigi.\nPseudo-logoi, le bugie.\nAmfilogie, le dispute.\nHorkos, il giuramento. Per quest'ultimo figlio fu assistita nel parto dalle Erinni, cui sarebbe poi spettato il compito di perseguitare e uccidere chiunque non tenga fede ai propri voti.\n\nIl ruolo di Eris nel mito.\nPur essendo una divinità, il ruolo di Eris nella mitologia greca è marginale, limitato per lo più a brevi apparizioni sui campi di battaglia, specie durante la guerra di Troia. La dea vi è sovente appositamente inviata da Zeus per aizzare con le sue grida gli spiriti dei combattenti: non solo quelli dei greci,ma anche quelli dei troiani. Il suo accanimento supera però quello del fratello, al punto che Eris spesso rimane a gioire del sangue versato dagli uomini anche dopo che gli altri dei si sono ritirati, e ama passeggiare fra i corpi dei morti e dei morenti quando lo scontro si è già concluso.\nDi lei sappiamo che forgiò l'alabarda con cui l'amazzone Pentesilea, figlia di Ares, combatté nella guerra di Troia, e che apparve in sogno a Dioniso, sotto le mentite spoglie di Rea per rimproverare al dio i suoi ozi ed esortarlo a riprendere la battaglia con il re d'India, allettandolo con la prefigurazione della sua prossima ascesa all'Olimpo.\nAiutò Efesto a forgiare la collana di Armonia, che svolse il suo ruolo funesto nelle vicende dei Sette contro Tebe e dei loro Epigoni.\nStando a Nonno, fu l'ancella di Tifone durante la battaglia del mostro con Zeus, che invece era fiancheggiato da Nike.\nEris ebbe un ruolo anche nella vicenda del vello d'oro, nell'epoca in cui questo era entrato in possesso di Tieste, consentendogli di diventare re di Micene, ai danni dell'altro pretendente al trono, Atreo. Zeus, che prediligeva quest'ultimo, ottenne da Tieste la promessa che avrebbe ceduto il trono se il sole avesse cambiato il suo corso. Quindi, il dio inviò Eris sul cammino del carro di Elio, e la dea pose il sentiero della sera sotto gli zoccoli del cavallo dell'alba, di modo che il sole quel giorno, giunto a metà della volta celeste, invertì il suo normale tragitto e tramontò a oriente.\nInfine, quando Politecno e Aedona di Colofone vantarono di amarsi più di Zeus e Era, la dea infuriata inviò Eris fra di loro per far nascere una disputa, il cui esito finale fu l'assassinio del marito da parte di Aedona.\n\nRappresentazioni di Eris.\nEris era raffigurata sullo scudo di Eracle, nell'atto di volteggiare intorno a Phobos (la paura), e la sua immagine terrificante era riprodotta anche sullo scudo di Achille.\nVirgilio la pone all'ingresso dell'Ade, con serpi in luogo dei capelli, che tiene annodate con bende intrise di sangue.\nEris viene rappresentata come una donna con i lunghi capelli neri corvini che fluttuano ed antagonista principale nel film animato Dreamworks Sinbad - La leggenda dei sette mari con la voce originale di Michelle Pfeiffer. Il suo principale scopo è rubare il libro della pace, un mistico oggetto custodito a Siracusa per poter dare il via ad una serie di eventi che avrebbe gettato la città nel caos. Nel film dimostra di essere attratta da Sinbad (ma in particolare dai suoi aspetti negativi quali l'egoismo e l'arroganza). La sua casa è il Tartaro che si trova ai confini del Mondo. Nonostante sia una dea molto potente, Eris viene vincolata da ciò che promette, punto debole che Sinbad sfrutterà per sconfiggerla e recuperare il libro.\n\nUsi scientifici del nome.\nEris, il pianeta nano del sistema solare, prende il nome dalla divinità.\nEris è il nome di un genere di ragni." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erito.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Erito o Eurito, dal greco Ἐρυτος era uno dei figli di Ermes.\n\nIl mito.\nEurito, figlio del divino Ermes avuto con Antianira, era il fratello gemello di Echione.\n\nLa spedizione degli Argonauti.\nEurito Secondo Apollonio Rodio, ed altre fonti minori, partecipò alla spedizione degli argonauti, il viaggio per il recupero del vello d'oro a cui capo vi era Giasone, ma nel mito non vi sono tracce significanti del suo ruolo in quelle avventure." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erittonio (re).\n### Descrizione: Erittonio (in greco antico: Ἐριχθόνιος?, Erichthònios) è un personaggio della mitologia greca, successe ad Anfizione divenendo il quarto mitologico re di Atene. Secondo Pausania era figlio di Efesto e Gea ed invece nella Biblioteca di Apollodoro risulta figlio di Efesto ed Atena (o di Efesto ed Attide). Sposò la naiade Prassitea che lo rese padre di Pandione.\n\nEtimologia.\nIl nome di Erittonio secondo etimologie popolari, deriverebbe da ἔρις èris (contesa) e χθών chthṑn, (terra), oppure per quanto riguarda la prima parte da ἔριον èrion (lana, con cui Atena deterse lo sperma di Efesto). Un'altra tradizione indica come traduzione corretta del nome 'terra dell'erica'. Alcune leggende fanno derivare il nome dall'azione della dea Atena: Erittonio, cadendo sulla terra, finì su un monte ricoperto di erica.\n\nMitologia.\nPoseidone, ancora arrabbiato per la città di Atene che non gli era stata assegnata, aveva convinto Efesto che Atena sarebbe andata per amoreggiare con lui usando la scusa di cercare un'armatura nuova. Atena si recò effettivamente da Efesto desiderosa di farsi fabbricare delle armi ma questi, da poco abbandonato da Afrodite e preso dal desiderio di possederla, iniziò a inseguirla. Atena fuggì e, quando Efesto riuscì a raggiungerla, non si lasciò possedere. Il dio sparse sulle gambe di Atena il proprio seme che la dea scagliò a terra con ribrezzo, dopo essersi ripulita con un panno di lana. A causa di questo gesto, Gea (Gaia, la Terra) divenne gravida, e da questa gravidanza nacque Erittonio che, rispecchiando l'aspetto deforme del padre, nacque con due serpenti al posto delle gambe.\nAtena, però, ne ebbe pietà, e lo raccolse chiudendolo in una cesta che affidò ad Aglauro, Pandroso ed Erse (le figlie di Cecrope), imponendo loro di non aprirla. Le ragazze però, incuriosite, disobbedirono alla dea che, per punizione le spinse a gettarsi dalla rocca di Atene. L'unica ad essere risparmiata fu Pandroso, che aveva distolto all'ultimo lo sguardo. In altre versioni del mito invece tutte e tre le sorelle aprirono il cesto e morirono poi, vittime di Atena.\nLa dea, così, si occupò di Erittonio, nutrendolo e allevandolo nel recinto dell'Eretteo. Erittonio, cresciuto, scacciò Anfizione e divenne il nuovo re di Atene, poi mise nell'Acropoli una statua lignea di Atena e istituì le feste Panatenee (secondo Plutarco, le feste sarebbero state invece istituite da Teseo). Poi prese in moglie la naiade Prassitea, dalla quale nacque Pandione. Il fatto che Erittonio fosse stato nutrito nel recinto chiamato di Eretteo, ha dato forse adito alla confusione che spesso vi è tra Erittonio e il nipote Eretteo.\nIl nome di Erittonio viene ricordato inoltre perché gli viene accreditata l'invenzione della quadriga (per nascondere le sue gambe serpentiformi) e l'introduzione del denaro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erma (scultura).\n### Descrizione: L'erma (in greco antico: ἑρμῆς?) è una tipologia di statua originata nell'antica Grecia.\nSi trattava di una scultura costituita da una piccola colonna di sezione quadrangolare, di altezza variabile tra 1 e 1,5 m, sormontate da una testa scolpita a tutto tondo e - in origine - con un fallo sulla sezione quadrangolare. Diffuse a partire dalla fine dell'età arcaica (ultimo quarto del VI secolo a.C.), erano collocate lungo le strade, ai crocevia, ai confini delle proprietà e dinanzi alle porte per invocare la protezione del dio Hermes (da cui forse il nome), cui veniva attribuita, fra le altre cose, la protezione dei viandanti. Successivamente furono adottate dai Romani, mentre nel Rinascimento furono realizzate sotto forma di telamoni.\n\nDescrizione.\nL'erma deriva da una delle prime forme arcaiche di rappresentazione delle 'dimore' di una divinità, il cosiddetto betile che veniva posto a protezione delle vie e delle soglie. A volte le teste erano due, contrapposte per la nuca, secondo il tipo Giano bifronte o addirittura quattro (come sul Ponte dei Quattro Capi, all'Isola Tiberina). Ancor prima dell'epoca arcaica non esisteva nemmeno la testa (o, come a volte avveniva, gli organi genitali) ma solo una pietra tronco conica o di altra forma con evidenti allusioni di natura fallica con cui si augurava la fertilità (vedi le analoghe forme tipo lingam di Siva di culture e religioni orientali o i menhir di origine celtica).\nLa trasformazione da erma di Ermes a erma-ritratto deve essere avvenuta dall'assimilazione di Ermes quale psychopompòs, cioè funerario, che andava ad assumere i tratti fisici del defunto. Questo processo dovette svolgersi nella tarda età ellenistica o nell'epoca romana, come testimoniano le numerosissime erme romane sia in marmo che in bronzo. In ambito italico era dopotutto diffuso il cippo funerario sormontato dalla testa del defunto (negli esemplari più antichi individuabile solo dal nome, con sembianze del tutto generiche), e fu forse l'innesto di questa tradizione con l'elegante forma greca a originare le erme-ritratto. Spesso le erme presentano un fallo propiziatorio scolpito.\nSplendide le erme, di epoca augustea, del Museo Palatino a Roma in marmo nero e a forma di canefora (portatrici di cesti) che con uno gesto vezzoso accennano alla ripresa delle vesti, così come negli originali greci.\nNello stesso museo la lastra con le fanciulle che adornano un grande e splendido betile con simboli di Apollo.\nSempre nel Palatino, nel tempio della Magna Mater, ai bordi del Germalus, nello stesso periodo, era stato portato e conservato il Betile della dea Cibele, cui era dedicato il tempio: una pietra nera a forma conica.\n\nAlcibiade e il sacrilegio delle erme.\nNel 415 a.C. ad Atene, la notte prima della partenza della spedizione in Sicilia, furono mutilate molte erme delle città. Del fatto fu accusato Alcibiade, che per questo ripiegò a Sparta." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ermanubi.\n### Descrizione: Ermanubi (o Hermanubi; in greco: Ἑρμανοῦβις, Hermanùbis) è un dio greco-egizio nato dalla fusione di Ermes (Ἑρμῆς) e Anubi (Ἄνoυβις). Era considerato figlio di Seth e Nefti.\n\nCaratteristiche.\nLa grande somiglianza fra Anubi ed Ermes (entrambi divinità psicopompe, ovvero guide delle anime nell'aldilà) portò alla formazione sincretistica, nell'immaginario religioso egizio ed ellenistico d'epoca tolemaica, del dio Ermanubi. Fu popolare durante la dominazione romana dell'Egitto, epoca delle sue prime raffigurazioni, e nella stessa Roma fino al II secolo. Benché la tradizione accomunasse Ermes a Thot (difatti, le dottrine che si credeva provenissero da Thot furono definite ermetiche), la sua funzione di guida delle anime nell'aldilà incoraggiò la sua fusione con Anubi, che svolgeva la medesima funzione nell'immaginario egizio.\nRaffigurato con corpo d'uomo e testa di sciacallo, con in mano il sacro caduceo che era uno degli attributi principali del dio greco Ermes, Ermanubi rappresentava il sacerdozio egizio e la sua ricerca della verità.\n\nNome.\nIl nome Ἑρμανοῦβις compare in una manciata di fonti epigrafiche e letterarie, la maggior parte delle quali di epoca romana. Plutarco lo cita come manifestazione di Anubi nel suo aspetto funerario, mentre Porfirio si riferisce a lui come σύνθετος, composito, e μιξέλλην, mezzo greco.\nBenché combinare i nomi di due dei in questo modo fosse insolito per la tradizione greca, non si trattò di un caso unico: la figura di Ermafrodito è molto più antica, risalendo al IV secolo a.C., benché costituisca l'unione dei nomi delle due divinità che l'avrebbero generato, Ermes e Afrodite, piuttosto che di una assimilazione come nel caso di Ermanubi.\n\nIconografia.\nLe sue rappresentazioni sono piuttosto rare. Una sua statua, rinvenuta ad Alessandria d'Egitto, lo raffigura con il tipico mantello greco, l'himation, e un cestello sul capo, simbolo di abbondanza, decorato con un fiore di loto, antichissimo simbolo egizio. Impugna un ramo di palma, simbolo di vittoria sulla morte ed eternità, e un cane, o uno sciacallo, è ai suoi piedi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ermione (opera).\n### Descrizione: Ermione è un'opera - nel libretto indicata come 'azione tragica' - musicata da Gioachino Rossini su testo di Andrea Leone Tottola tratto dalla tragedia Andromaque di Jean Racine, a sua volta basata sull'Andromaca di Euripide.\n\n'Fortune' dell'opera.\nDebuttò al teatro San Carlo di Napoli il 27 marzo 1819, con poco successo (ma alcune cronache parlano addirittura di un vero e proprio fiasco). L'insuccesso dell'opera fu in parte dovuto al soggetto (il pubblico gradiva poco i finali tragici, basti pensare al lieto fine che Rossini dovette approntare per l'Otello), e in parte alla musica, forse troppo 'rivoluzionaria': la Sinfonia che apre l'opera viene due volte interrotta dal Coro che lamenta la caduta di Troia; la Gran Scena della protagonista posta non come finale, ma a metà del Secondo atto.\nA causa dell'insuccesso, l'opera non venne più ripresa in nessun altro teatro, e Rossini poté riutilizzarne parte della musica per altre opere (Bianca e Falliero, Eduardo e Cristina, Zelmira, Moïse et Pharaon).\nLa prima ripresa in tempi moderni avvenne in forma di concerto alla Chiesa dell'Annunziata a Siena nel 1977, diretta da Gabriele Ferro e sempre in concerto nel 1986 all'Auditorium Pollini di Padova diretta da Claudio Scimone con Cecilia Gasdia, Chris Merritt ed Ernesto Palacio. Invece, la prima rappresentazione in forma scenica avvenne nel 1987 al Rossini Opera Festival, protagonista Montserrat Caballé, con Marilyn Horne, Rockwell Blake, Merritt e la direzione di Gustav Kuhn. In seguito l'opera fu replicata in Italia, Europa e America, pur non essendo entrata nel consueto repertorio.\nOltre alla già citata Caballé, il ruolo di Ermione conta importanti interpreti quali Cecilia Gasdia (che per prima incise l'opera con Claudio Scimone), Anna Caterina Antonacci (riprese il ruolo a Roma, Londra, Buenos Aires, Glyndebourne) e Sonia Ganassi (la cui applaudita interpretazione al Rossini Opera Festival è testimoniata dalla registrazione video). Importanti interpreti del ruolo di Pirro sono stati Chris Merritt (che affrontò anche il ruolo di Oreste) e Gregory Kunde. Come Oreste vanno infine ricordati Rockwell Blake e Bruce Ford.\n\nCast della prima assoluta.\nTrama.\nAntefattoPoco dopo la caduta di Troia, Pirro è tornato a Buthrote, capitale del suo regno, portandosi con sé alcuni prigionieri troiani tra cui Andromaca, vedova di Ettore, e il figlio Astianatte (Tottola si discosta dal mito lasciando in vita il figlio dell'eroe, che in realtà venne scagliato giù dalle mura di Troia da Ulisse). Pirro, benché una promessa di matrimonio lo leghi a Ermione, figlia dell'eroe Menelao, si innamora di Andromaca e vuole farla sua regina: ciò desta la gelosia di Ermione e lo sdegno dei condottieri Achei, che temono di veder salire su un trono greco l'ultimo erede degli odiati troiani.\n\nAtto I.\nUn coro di prigionieri troiani (ostaggi di Pirro) lamenta la sconfitta e la distruzione della loro amata città. Tra loro vi è anche Andromaca, vedova di Ettore, che veglia il sonno del figlio Astianatte, e rivede nel suo volto le sembianze del mai dimenticato marito (Mia delizia un solo istante): invano Cefisa, sua ancella, e Fenicio, consigliere di Pirro, cercano di consolarla. A raddoppiare i suoi tormenti sono le continue insistenze di Attalo, confidente del re, che rinnova le profferte amorose del suo signore, il quale, innamorato di Andromaca, le promette di salvare la vita al piccolo Astianatte (e di accettarlo come figlio) se lei acconsentirà a sposarlo. Ma il fatto che il bambino, figlio del più grande nemico degli Achei, possa diventare l'erede al trono del figlio di Achille, fa temere a Fenicio una nuova guerra per la Grecia: il precettore spera che Pirro mantenga l'impegno di sposare Ermione (figlia di Menelao ed Elena). Ma se Ermione ama sinceramente Pirro, egli la disprezza, preferendo a lei la 'schiava frigia'.\nCleone, a capo di un coretto di confidenti di Ermione, cerca di consolare l'amica, ma invano, poiché la principessa è a conoscenza della sua imminente sciagura. A rovinare il suo umore è l'incontro con Pirro, che passeggiava vagheggiando di Andromaca; subitaneo e violento è il loro scontro: Ermione rinfaccia all'uomo la sua infedeltà, e Pirro minaccia e umilia la donna (Non proseguir! Comprendo!). Proprio in quel momento viene annunciato a Pirro l'arrivo di Oreste, a capo dei condottieri greci, giunto a Buthrote proprio per far rinsavire Pirro e imporgli il rispetto dei patti. Pirro rimane turbato dall'arrivo del figlio di Agamennone, mentre Ermione è lieta per il ritorno del suo 'liberatore'.Infatti Oreste è a sua volta innamorato di Ermione, la quale però, sia perché è sua cugina, sia perché è innamorata di Pirro, non ricambia il suo sentimento. Appena arrivato a palazzo, infatti, il giovane lamenta all'amico Pilade il suo infelice amore (Che sorda al mesto pianto). Pilade esorta Oreste a non pensare all'amore e a concentrarsi sul compito che deve svolgere. Pirro riceve l'ambasciata con tutta la sua corte (tra cui anche Ermione e Andromaca stessa), e Oreste, a nome della Grecia intera, impone a Pirro il sacrificio di Astianatte, minaccia per la sicurezza dopo la pace seguita alla guerra di Troia. La corte teme la reazione violenta di Pirro, il quale afferma con arroganza la legittimità delle sue scelte (in quanto figlio del maggiore condottiero acheo) e, con sommo dispetto dei greci e di Ermione, annuncia a tutti il suo imminente matrimonio con Andromaca (Balena in man del figlio). I condottieri sono scandalizzati, e Andromaca stessa, che vuole serbare la sua fede ad Ettore, rifiuta la mano del principe.Cleone consiglia a Ermione, sconvolta per la decisione di Pirro, di usare Oreste per vendicarsi della pubblica umiliazione. E proprio Oreste arriva in quel momento: il giovane rinnova le sue promesse d'amore ad Ermione, la quale, incerta, non se la sente di usare il suo corteggiatore come strumento della sua vendetta (Anime sventurate).Ma proprio in quel momento entra Pirro, con tutta la corte. Il giovane, infuriato per il rifiuto di Andromaca, decide di mantenere i patti: promette di sposare Ermione e di consegnare Astianatte ai condottieri greci. La decisione suscita diversi sentimenti: la speranza di Ermione e Fenicio, la preoccupazione di Andromaca e Pilade, la gelosia di Oreste (Sperar poss'io?). Mentre Pirro fa per consegnare il bambino a Oreste, Andromaca si inginocchia e supplica il principe di concedergli tempo per cambiare idea. Pirro si rallegra, ma Ermione monta su tutte le furie, e minaccia di colpire il bambino. L'atto si conclude con il turbamento generale, e il timore che qualcosa di terribile sta per avvenire (Pirro, deh serbami la fè giurata).\n\nAtto II.\nAttalo comunica a Pirro la tanto attesa decisione: Cefisa, cedendo alle sue richieste, ha convinto Andromaca a sposare il principe (il dialogo viene spiato da Cleone che si affretta a riferire tutto alla sua padrona). Pirro, entusiasta, promette ad Andromaca il trono e la salvezza per Astianatte, ma la donna, credendo di vedere il fantasma di Ettore sdegnato, cerca di frenare il suo impeto, temendo 'd'avversa stella il barbaro rigor' (Ombra del caro sposo). I piani della vedova troiana, infatti, sono ben altri: ella ha intenzione di suicidarsi dopo il matrimonio, dopo aver però ottenuto da Pirro il solenne giuramento di salvare la vita al figlio.\nMa in quel momento arriva Ermione, seguita da Fenicio e Cleone, e le due rivali si fronteggiano: la principessa achea insulta la rivale, accusandola di aver usato le sue 'arti' per arrivare al trono, mentre Andromaca, regale e altera, invece che rispondere agli insulti perdona la giovane rivale e si allontana. La gelosia e il timore iniziano a rodere il cuore di Ermione (Essa corre al trionfo!), la quale supplica Fenicio di ricordare a Pirro le sue promesse d'amore. Ma ciò è del tutto inutile, poiché risuona fuori scena la marcia nuziale che guida Pirro e Andromaca al tempio. Ermione si accascia a terra disperata: un coro di confidenti cerca di consolarla e le promette vendetta, e tra loro è presente anche Oreste. Ermione, allora, decide di approfittarne: in nome dell'amore che nutre per lei, impone al cugino di uccidere l'ingrato e di riportargli il pugnale macchiato del suo sangue. Dapprima titubante, Oreste corre a svolgere il suo criminoso compito (Se a me nemiche, o stelle).\nFenicio non è riuscito a far ravvedere Pirro, il quale l'ha scacciato, e, insieme a Pilade, lamenta il triste destino che attende la Grecia (A così trista immagine).Ermione si aggira per la reggia, in preda al rimorso, poiché si è accorta di amare ancora Pirro, e cerca invano Oreste per fermarlo, ma è tutto inutile: Oreste arriva, con un pugnale insanguinato. All'allucinata e sconvolta donna, il giovane racconta l'uccisione di Pirro (Già d'Andromaca sul crine), portando come pegno d'amore all'amata l'arma con cui è stato ucciso. Ma Ermione lo insulta e lo respinge, disperata, e gli rivela di essere sempre stata innamorata di Pirro, e fu solo in un attimo di follia che gli aveva chiesto la sua uccisione. Oreste, deluso e disperato anch'esso, invoca la morte, mentre Ermione invoca le Eumenidi per vendicare l'omicidio. Ma in quel momento arriva Pilade alla testa di un gruppo di fedeli di Oreste: il popolo di Buthrote è infuriato per l'uccisione di Pirro, e minaccia il linciaggio di tutti i congiurati. A Ermione, disperata, non resta che maledire Oreste, il quale viene portato via a forza dai suoi, in preda al delirio.\n\nStruttura dell'opera.\nSinfonia con coro.\n\nAtto 1.\n1 Introduzione Troja qual fosti un dì! (Coro, Fenicio, Andromaca, Cefisa, Attalo).\n2 Coro Dall'Oriente l'astro del giorno (Cleone).\n3 Duetto con coro Non proseguir! Comprendo! (Ermione, Pirro).\n4 Cavatina con pertichini Reggia abborrita! (Oreste, Pilade).\n5 Marcia, scena e cavatina con coro Balena in man del figlio (Pirro).\n6 Finale primo:.\nDuettino Amarti? (Ermione, Oreste).\nMarcia e coro Alfin l'eroe da forte.\nTransizione Dal valor de' detti tuoi (Pirro, Cleone, Pilade, Fenicio, Andromaca, Cefisa, Attalo, Oreste, Ermione).\nNonetto Sperar poss'io? (Ermione, Pilade, Pirro, Andromaca, Oreste, Cleone, Cefisa, Attalo, Fenicio).\nTempo di mezzo A me Astianatte! (Pirro, Andromaca, Ermione, Oreste, Pilade, Fenicio).\nStretta Pirro, deh serbami la fè giurata (Ermione, Pirro, Cleone, Cefisa, Oreste, Pilade, Attalo, Andromaca, Fenicio, Coro).\n\nAtto 2.\n8 Duetto Ombra del caro sposo (Andromaca, Pirro).\n9 Gran scena di Ermione:.\nScena Essa corre al trionfo! (Ermione).\nCavatina Dì che vedesti piangere (Ermione).\nRecitativo Ah, voglia il ciel (Fenicio, Cleone, Ermione).\nAria Amata, l'amai (Ermione).\nTempo di mezzo Ma che ascolto?, marcia e coro Premi Amore sì bella costanza (Cleone, Ermione).\nCantabile Un'empia mel rapì! (Ermione).\nTempo di mezzo Il tuo dolor ci affretta (Coro, Ermione, Oreste).\nStretta Se a me nemiche, o stelle (Ermione, Cleone, Coro).\n10 Duettino A così trista immagine (Fenicio, Pilade).\n11 Finale secondo Che feci? Ove son? (Ermione, Oreste, Pilade, Coro)Alcuni pezzi dell'opera furono riutilizzati in altre opere: parte della scena di Ermione diventò una cavatina alternativa per la Zelmira rappresentata a Parigi, la cavatina di Oreste diventò un'aria alternativa per Giacomo de La donna del lago (mantenendo anche alcuni versi) sostituendo la più celebre O fiamma soave e venne riutilizzata (pure mantenendo parte del testo originale) come aria del protagonista maschile nella versione originale (romana) di Matilde di Shabran.\n\nIncisioni discografiche.\nRegistrazioni video.\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ermione.\n\nCollegamenti esterni.\n\nErmione, in Archivio storico Ricordi, Ricordi & C..\n(EN) Spartiti o libretti di Ermione, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.\n(EN) Ermione, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ermione.\n### Descrizione: Ermione è una figura della mitologia greca, figlia di Menelao e di Elena.\nNonostante il nonno materno Tindaro l'avesse promessa in sposa a Oreste, il padre Menelao la fece sposare con il figlio di Achille, Neottolemo. Quando la guerra di Troia finì, a Neottolemo venne assegnato insieme al bottino di guerra anche la moglie di Ettore, Andromaca. Ma Ermione, che non sopportava la presenza di Andromaca, tramò contro di lei e contro il figlio che questa aveva avuto da Neottolemo, Molosso. Molosso e la madre Andromaca vennero tuttavia messi in salvo dal padre di Achille, Peleo. Neottolemo, nel frattempo, si trovava a Delfi per consultare l'oracolo sull'infecondità di Ermione, e qui fu raggiunto e ucciso da Oreste.\nErmione quindi si unì a Oreste e dal loro matrimonio nacque Tisameno.\nLe sue vicende erano l'oggetto dell'Hermiona del tragediografo latino Marco Pacuvio, che trasse l'opera, a sua volta, da un originale greco di cui oggi non è rimasta traccia, probabilmente un'omonima tragedia di Sofocle.\nIl mito di Ermione è al centro dell'Andromaca di Euripide, dell'ottava lettera delle Eroidi di Ovidio, dell'Andromaca di Jean Racine e dell'Ermione di Gioachino Rossini.\nSempre da Ermione prende il nome la figura femminile (probabilmente la sua amante Eleonora Duse) che accompagna il poeta Gabriele D'Annunzio nella poesia La pioggia nel pineto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ero e Leandro.\n### Descrizione: Ero e Leandro sono i protagonisti di una struggente storia d'amore giunta sino a noi attraverso due autori classici: Publio Ovidio Nasone, poeta latino del I secolo d.C.; e Museo Grammatico, autore greco del V/VI secolo d.C.\nL'amore appassionato fra i due e il tragico epilogo della vicenda hanno nel tempo ispirato vari autori i quali hanno rivisitato il mito arricchendolo via via di pathos, levigandone le vicende e accrescendone il dramma. In tempi e luoghi diversi, Bernardo Tasso e Christopher Marlowe hanno entrambi esaltato in un poemetto l'amore della giovane coppia.\nSi racconta che Lord Byron abbia voluto provare sulla propria persona la veridicità della storia attraversando da solo, a nuoto e di notte, l'Ellesponto.\nFranz Liszt e Robert Schumann sono tra i compositori che hanno dato veste musicale al mito.\n\nLeggenda.\nEro e Leandro sono due giovani innamorati e bellissimi che vivono sulle sponde opposte di uno stretto braccio di mare, attraversato da correnti fortissime e da moltissime navi. L'opposizione delle famiglie al loro amore e la distanza non li scoraggia: Leandro, forte della sua gioventù intrepida e del suo amore, ogni notte si tuffa nelle acque inquiete e pericolose per raggiungere di nascosto l'amata. Ero, consapevole dei pericoli che Leandro corre per lei attraversando le terribili acque agitate, l'attende alla finestra della sua casa affacciata sullo stretto con una candela accesa in mano, affinché la luce possa far da guida all'amante indicandogli la rotta da seguire.Una notte però la fiamma improvvisamente si spegne e, prima che Ero se ne accorga, Leandro smarrito perde la vita nell'impetuoso mare e, stremato, vi trova la morte.\n\nLa versione di Ovidio.\nLa storia d'amore, con la prova di coraggio e fedeltà costante, e l'attesa reiterata e speranzosa della giovane amante ha ispirato Ovidio, che include Ero e Leandro tra le coppie celebrate nelle sue Eroidi e rintraccia nella tragica vicenda temi cari alla sua poetica (l'attesa, l'amore fedele, la speranza vacillante di chi non si crede più amata).\nLe lettere dedicate alla coppia sono la XVIII (Leandro a Ero) e la XIX (Ero a Leandro).\n\nLettera XVIII.\nLeandro descrive con vivide immagini il suo amore assoluto e devoto per Ero. Dice Leandro alla giovane amata che traversando il mare egli è nello stesso tempo atleta e naufrago:.\n\nL'arrivo del maltempo, le tempeste sul mare, rendono impossibile la traversata; l'angosciata costatazione che occorrerà aspettare del tempo per rivedersi offre l'occasione ad Ovidio per inserire, nel contesto di questa storia d'amore travagliata, un'altra vicenda: l'allusione ad Elle e Frisso, elegante citazione mitologica, evoca già un destino di morte e annientamento:.\n\nLeandro, con commozione, sfoga la sua frustrazione per la distanza che lo separa da Ero e per il mare in tempesta; promette, infine, di raggiungere presto l'amata, anche a costo di morire:.\n\nLettera XIX.\nLa risposta di Ero a Leandro apre una porta sulla vita in tempi passati, sulle differenti occupazioni in cui sono impegnati uomini e donne, guardando ogni cosa da una delicata prospettiva giovane ed innamorata, molto femminile:.\n\nLa ragazza, turbata e in ansia per l'assenza dell'amato, anche se da lui ha ricevuto conferme e promesse d'amore, vacilla e si abbandona ad un accenno di gelosia: che l’indugio di Leandro sia dovuto a un’altra causa?.\n\n\nLa lettera si chiude con un presagio di morte, che Ero ipotizza sia determinata dal tradimento di lui, spingendo, di fatto, con la sua insistita impazienza, Leandro tra i flutti in tempesta, mandandolo incontro a un triste destino.\n\nIl testo di Museo.\nRisale al tardo V secolo d.C. un poemetto, Τὰ καθ’ Ἡρὼ καὶ Λέανδρον, di cui è sopravvissuto il solo epillio, 343 esametri, dedicato ai due giovani amanti, opera di Museo Grammatico, influenzato da trame e peripezie proprie del romanzo greco d'età ellenistica.\nDopo l'invocazione alla Musa, Museo entra nel vivo della vicenda presentando i due giovani protagonisti; sappiamo così che Ero è di Sesto e Leandro è di Abido:.\n\nLeandro, vista Ero durante una festa, se ne innamora follemente; la ragazza è sacerdotessa di Afrodite e inizialmente è ritrosa e resiste all'amore, tuttavia Leandro insiste e non demorde, nonostante le resistenze, ed Ero, alla fine, cede all'amore per il ragazzo:.\n\n\nDecisiva per la divulgazione della favola antica in età umanistica fu la stampa dell'idillio di Museo nel 1495 ad opera di Aldo Manuzio, a cui segui, per cura dello stesso, la traduzione latina con testo a fronte tra il 1495 e il 1497; le edizioni aldine ebbero lunga fortuna e furono ristampate più volte con pochi ritocchi e costituirono un testo di riferimento per edizioni successive. Vi accennano anche altri autori, ma deve la sua fortuna soprattutto a un poemetto in esametri di Museo Grammatico, del V o VI secolo dopo Cristo.\nIl giovane Leandro, che viveva ad Abido, amava Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla costa opposta, e attraversava lo stretto ellespontino a nuoto ogni sera per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo a orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte una tempesta spense la lucerna e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. All'alba Ero vide il corpo senza vita dell'amato sulla spiaggia e, affranta dal dolore, si uccise gettandosi da una torre.\n\nAltre narrazioni del mito.\nIl geografo greco Strabone conosce la storia dei due amanti poiché chiama «torre di Ero» un'antica torre ai suoi tempi visibile nella città di Sesto (XIII 22: ἐπὶ τὸν τῆς Ἡροῦς πύργον), probabilmente un faro che dava la rotta ai naviganti negli attraversamenti notturni dell’Ellesponto.\nLa leggenda era così celebre da essere raffigurata sulle monete locali di Sesto e Abido; il mito è anche presente su alcune pitture parietali pompeiane (Casa dei Vettii).\nVirgilio allude alla leggenda in un passo del III libro delle Georgiche (III, 219-282).\nUna fonte ignota di età ellenistica aveva narrato la leggenda, come testimoniano i trimetri giambici sopravvissuti e custoditi nel Papiro di Ossirinco 864 e gli esametri del Papiro Rylands 486.\nPetrarca paragona i due amanti infelici ad altri in Trionfi II, v. 21: «Leandro in mare et Ero a la finestra».\nLa fortuna della favola di Ero e Leandro crebbe a partire dalla prima meta del '300 e fino alla meta del secolo successivo grazie alla diffusione di Ovidio: il fiorentino Filippo Ceffi volgarizzò le Heroides; il veneziano Giovan Girolamo Nadal nell'ultimo quarto del '300 compose la Leandreide, lungo poema in terzine in cui la vicenda dei due amanti diviene pretesto per parlare di poesia e di Ovidio; il senese Domenico da Monticchiello riprese il volgarizzamento di Ceffi dandogli nuova veste metrica.\nL'avventura amorosa di Ero e Leandro, il topos degli ostacoli, umani e naturali, che impediscono agli amanti di riunirsi, hanno ispirato anche la novellistica volgare, dove l'insegnamento è che la passione d'amore, se non trova giusti confini, può rovinare e portare alla morte; in Le Piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola, del 1550, è raccontata una novella i cui protagonisti, pur nell'inversione dei ruoli, ricordano la favola di Museo: Malgherita di notte a nuoto si recava presso l'amante Teodoro guidata da una fiaccola posta sugli scogli; una notte i fratelli della donna, per ostacolare la relazione tra i due, con uno stratagemma le fecero perdere l'orientamento mentre nuotava e la ragazza annegò; il suo corpo, spinto dalle onde sulla scogliera, fu sepolto da Teodoro.\nL'Ovide moralisé, testo del XIV secolo di un autore anonimo.\nDante Alighieri cita il mito nel XXVIII Canto del Purgatorio: Dante, andando incontro a Matelda, la trova al di là di un corso d'acqua ed è indispettito per non potersi avvicinare, allo stesso modo, egli dice, di Leandro impossibilitato a raggiungere Ero a causa delle condizioni proibitive del mare.\nBernardo Tasso dedica alla Favola di Leandro e d'Ero un poemetto in endecasillabi, all'interno del Terzo libro de gli amori (1537); per ammissione del suo stesso autore, la scrittura era stata mediata da una traduzione latina ed era frutto di una particolare simbiosi con il testo di partenza.\nChristopher Marlowe scrisse un poemetto Hero and Leander pubblicato nel 1598.\nGarcilaso de la Vega nel sonetto 29 cita la storia di Ero e Leandro.\nLope de Vega all'inizio del secondo atto de El caballero de Olmedo (1620) paragona alle vicissitudini amorose di Leandro i continui viaggi da Olmedo a Medina che il protagonista, Don Alonso, intraprende per far visita alla sua amata Doña Inés.\nFabio Planciade Fulgenzio (V-VI sec.), nella Fabula Ero et Leandri, presenta il mito in una luce negativa, vedendovi un’allegoria dei pericoli dell’amore sensuale: «Amor cum periculo sepe concordat et dum ad illud solum notat quod diligit, numquam uidet quod expedit». Fulg., Mit. III, 4, Fabii Planciadis Fulgentii V. C. Opera, a cura di R. Helm [1898]. Questa condanna morale della passione che sconvolge l’animo dei giovani amanti si ritrova nella narrazione dei tre Mitografi Vaticani (IX-XII sec.) Vedi Le premier mythographe du Vatican, a cura di N. Zorzetti, trad. fr. di J. Berlioz, Parigi 1995, VII-XLIV.\nUn significativo adattamento in versi della storia di Ero e Leandro è dell’abate Baudri di Bourgueil (1046-1130) la cui opera poetica comprende 256 componimenti e che, in uno dei suoi poemi più lunghi, il c. 154, traspone liberamente in distici elegiaci l'antico mito. L’autore vi introduce, fra l’altro, una significativa variante del mito, attribuendo alla gelosa Ero lo spegnimento della lampada: «Extinctis facibus ad limina uirgo recedit / Nec superexpectat, qui properans aderat» (vv. 1179-1180).\nIl mastro calzolaio e poeta Hans Sachs (1494-1576), protagonista dell’opera di Richard Wagner Die Meistersinger von Nürnberg (1862-1867), ha letto il mito di Ero e Leandro in chiave morale nella sua Historia. Die unglückhafft lieb Leandri mit fraw Ehron (1541), segnando l’inizio della fortuna di Museo nel Rinascimento.\nJuan Pérez de Moya (1513-1596), il letterato e matematico autore di un importante trattato spagnolo di mitologia classica, la Philosophia secreta, del 1585, racconta di Ero e Leandro nel V libro (cap. 9) che «Contiene fábulas para exortar a los hombres huyr de los vicios y seguir la virtud».\nGabriel Bocángel y Unzueta (1603-1658), uno dei maggiori esponenti del Barocco spagnolo, pubblica il suo poema Hero y Leandro a Madrid nel 1627. Il poeta dà vita ad un sottile gioco intertestuale fra tre precedenti versioni del mito (le Heroides di Ovidio, l’epillio di Museo e la Historia di Boscán), a cui sovrappone la storia di Didone nell’Eneide. Vedi Isabel Torres, « A Small Boat », 154.\nNel 1735 Hugh Stanhope, pseudonimo dietro cui si cela William Bond, un oscuro autore di tragedie e saggista, dà alle stampe a Londra, sotto il titolo antologico The Fortunate and Unfortunate Lovers, due storie: Dorastus and Fawnia ed Hero and Leander, una versione in prosa ispirata all’incompleto poema di Marlowe (1598). Si trattava di un chapbook, ossia uno di quei libriccini tascabili che, a partire dal XVI sec., cominciarono ad essere venduti porta a porta dagli ambulanti in Inghilterra, ed ebbero, soprattutto nell’Ulster, una enorme importanza per la diffusione della cultura anche nelle zone rurali. Il libro conobbe numerose riedizioni; la Preface to the Reader rivela quali fossero gli intendimenti dell’autore nel proporre alla gente comune una storia come quella di Ero e Leandro: «and let Children learn from the Example of the infortunate Hero, not to dispose of themselves without obtaining their Father’s Consent, or at least not without asking it».\nTra gli epigoni del Mitografo, il benedettino Pierre Bersuire (ca. 1290-1362), nel XV libro del Reductorium morale, quell’Ovidius moralizatus che influenzò il capolavoro di Chaucer, i Canterbury Tales, ed ebbe una larga circolazione nei monasteri, propone una lettura allegorica e una cristianizzazione del mito. La sua interpretazione vede in Leandro il genere umano, nella città il mondo, nel mare la vita mortale, nella lanterna il paradiso, in Ero la sapienza divina. L’amore tra i due giovani viene spiegato come un anelito di Ero (= sapienza divina) verso Leandro (= genere umano) che porta la prima a condividere il destino mortale del secondo. Successivamente, Bersuire si spinge fino a una interpretazione tipologica del mito ed afferma che Leandro prefigura il Cristo che si è incarnato ed ha accettato di morire per amore dell’umanità.Troviamo riflessa nel romanzo Miri Jiyori (1894) dello scrittore di lingua assamese Rajanikanta Bordoloi (1869-1939), e dall’altro riaffiora, sullo sfondo drammatico dell’immigrazione clandestina, nel film Welcome (2009) di Philippe Lioret.\nPierre-Jacques-René Denne-Baron scrisse il poema in 4 canti Héro et Léandre, ispirandosi alla versione originale di Museo Grammatico.\nFranz Liszt scrisse la sua ballata n. 2 per pianoforte ispirandosi al mito.\nLuigi Mancinelli scrisse un'opera nel 1896, che fu un gran successo a New York (1902-1903).\nByron fu talmente coinvolto dalla vicenda che volle verificarne la credibilità attraversando lui stesso l'Ellesponto a nuoto.\nRobert Schumann compose nel 1837 il ciclo degli otto Fantasiestücke op. 12 per pianoforte; il quinto pezzo, In der Nacht, è noto perché Schumann ne scrisse: «Dopo averlo finito, ho trovato, con sommo piacere, che conteneva la storia di Ero e Leandro […] Mentre suono In der Nacht non riesco a liberarmi di quest'idea.».\nAnche August Von Platen scrisse una poesia sul mito, tradotta dal Carducci nelle Odi barbare.\nNel 1871 Arrigo Boito scrisse Ero e Leandro, tragedia lirica in due atti.\nAlfredo Catalani compose nel 1885 il poema sinfonico omonimo.\nJohn Keats scrisse un sonetto intitolato Su un quadro che raffigura Leandro.\nLo scrittore serbo Milorad Pavić riprende il mito in chiave moderna ne Il lato interno del vento (Garzanti, 1992).\n\nCuriosità.\nPlinio il Vecchio si prende la briga di calcolare l'effettiva distanza tra le due città a guardia dell'Ellesponto, calcolando la distanza in sette stadi, ovvero 1350 metri (Nat. Hist., 2: «invitis hoc accidisse terris indicio sunt tot angustiae atque tam parva naturae repugnantis intervalla, ad Hellespontum DCCCLXXV. ad Bosporos duos vel bubus meabili transitu unde nomen ambobus , etiam quaedam in dissociatione germanitas concors: alitum quippe cantus canumque latratus invicem audiuntur, vocis etiam humanae commercia, inter duos orbes manente conloquio, nisi cum id ipsum auferunt venti» trad.: “La prova che questo sia accaduto contro la volontà delle terre sono i tanti stretti e i tanto piccoli spazi della natura che si oppone, all'Ellesponto con 875 miglia, ai due Bosfori con un passaggio transitabile anche con buoi- da cui il nome per entrambi-, oltre una certa concorde affinità nel distacco: giacché scambievolmente sono uditi i canti dei volatili e i latrati dei cani, persino scambi di voce umana, rimanendo il dialogo fra le due zone, a meno che i venti non impediscano questo stesso”).\nA. Köchly (filologo classico tedesco che si interessò alla questione) definisce l’epillio di Museo «ultimam emorientis Grecorum litterarum horti rosam» (“ultima rosa del giardino in declino della letteratura greca”)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Erope (figlia di Catreo).\n### Descrizione: Erope (in greco antico: Ἀερόπη?, Aeròpē) o Aèrope è un personaggio della mitologia greca, figlia di Catreo e quindi discendente di Minosse, re di Creta.\n\nMitologia.\nErope viveva a Micene quando vi giunsero i due fratelli Atreo e Tieste (figli di Pelope ed Ippodamia), scacciati dallo stesso padre poiché avevano ucciso il fratellastro Crisippo.\nErope sposò Atreo re di Argo (dopo che la prima consorte, Cleola, morì dando alla luce un figlio malato, Plistene) e dalla loro unione nacquero i figli Agamennone, Menelao e Anassibia Erope tuttavia amava Tieste e, avendolo sedotto, istigò l'amante ad uccidere il marito.\nSecondo alcune fonti Plistene era in realtà figlio di Erope e di Tieste. Secondo altre, Erope era invece la sposa di Plistene, e madre con lui di Agamennone, Menelao e Anassibia.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ersa (divinità).\n### Descrizione: Ersa ( Ἔρσα, Érsa oppure Ἕρση, Hérsē), nella mitologia greca, è la dea e personificazione della rugiada.\nViene indicata come una figlia di Zeus e Selene, e pertanto sorella di Pandia, con la quale è talvolta identificata." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Esaco.\n### Descrizione: Esaco (in greco antico: Αἴσακος?, Áisakos; in latino Aesacus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Priamo re di Troia e Arisbe, sua prima moglie.\nSecondo Apollodoro, Esaco (come i fratellastri Eleno e Cassandra) aveva il dono della veggenza, in particolare era noto per l'interpretazione dei sogni che aveva ereditato dal nonno materno Merope.\n\nMitologia.\nPer la maggior parte delle fonti, tra cui le Metamorfosi di Ovidio, Esaco era il primogenito del re Priamo e l'unico figlio che il re ebbe dalla sua prima moglie Arisbe, secondo altri la madre di Esaco sarebbe stata la ninfa Alessiroe figlia del fiume Granico.\n\nPrima della guerra di Troia.\nPrima della nascita di Paride, Ecuba sognò di generare una fascina di legna piena di serpenti, di svegliarsi e gridare che Troia era in fiamme. Priamo subito consultò Esaco per comprendere quel sogno, egli esclamò: 'Il bimbo che sta per nascere sarà la rovina della nostra patria! Ti supplico di liberartene!'.\nPochi giorni dopo Esaco fece una nuova profezia: 'Le principesse troiane che partoriranno oggi dovranno essere uccise e così i loro figli!' e Priamo uccise così sua sorella Cilla e il figlio di lei Munippo, nato quella mattina.\nAnche Ecuba partorì quel giorno suo figlio ma Priamo non li uccise.\n\nLa fine di Esaco.\nEsaco era perdutamente innamorato di Sterope, figlia del fiume Cebreno che morì morsa da un serpente. Esaco non riuscì a darsi pace e cercò più volte la morte, mai trovandola, gettandosi in mare da un'erta rupe.\nAlla fine, mossi a compassione gli dei lo tramutarono in uno smergo, uccello che può abbandonarsi alla sua ossessione, senza offendere il creato.\nSecondo altre tradizioni, Esaco partecipò alla guerra di Troia: ebbe modo di distinguersi in battaglia, ma venne ucciso per mano di Agamennone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Esione.\n### Descrizione: Esione (in greco antico: Ἡσιόνη?, Hēsiónē) è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglia di Laomedonte e di Strimo o Placia (figlia di Otreo) o Leucippe, ebbe da Telamone il figlio Teucro e in seguito partorì Trambelo.\n\nMitologia.\nFu una principessa troiana, figlia di un uomo crudele e irrispettoso degli dei. Laomedonte offese infatti gli dei Apollo e Poseidone che avevano innalzato le mura di Troia, rifiutando di versare il compenso pattuito e fu punito in modo tale che un mostro marino devastasse i raccolti del suo regno rovesciando acqua marina nei campi e divorasse gli abitanti.\nLaomedonte consultò l'oracolo di Zeus Ammone e seppe che il suo regno avrebbe ritrovato la pace se avesse offerto la propria figlia Esione in pasto alla bestia ma si rifiutò di ascoltare il consiglio e pretese che fossero i nobili troiani a sacrificare per primi le loro figlie ed essi consultando a loro volta l'oracolo di Apollo videro che era irato non meno di Poseidone e che s'astenne dall'emettere responsi.\nLaomedonte cercò allora di appropriarsi delle tre figlie di un certo Fenodamante e lo istigò a esporle sulla spiaggia ma questi sbottò sollevando i presenti all'assemblea contro Laomedonte e urlò che il re era l'unico responsabile delle loro disgrazie e che quindi dovesse sacrificare Esione esponendola al mostro.\nLa discussione si risolse con un sorteggio e la sfortunata fu la stessa Esione che fu così incatenata in lacrime a una roccia completamente nuda e adornata solo da gioielli e qui fu scorta da Eracle in cammino dopo essersi battuto con le Amazzoni.\nL'eroe la liberò dai ceppi e si recò in città per offrirsi di stroncare il mostro marino in cambio di una coppia di bellissimi cavalli, dono di Zeus a Laomedonte per risarcirlo del ratto di Ganimede.\nIl re premiò poi l'eroe dandogli in sposa la stessa Esione, ma lo invitò ad andarsene lasciando sia la fanciulla sia i cavalli in città.\nEracle tornò a Troia anni dopo radunando un imponente esercito ed espugnandola, uccidendo Laomedonte e i suoi figli maschi, eccetto Podarce e poi concesse a Telamone (un suo compagno nella spedizione), di prendere in sposa Esione e a essa permise di riscattare uno dei prigionieri, così lei scelse il fratellino Podarce e lo riscattò con il velo dorato con cui era coperta. Da allora egli prese il nome di Priamo, che significa «riscattato».\nEsione seguì il suo nuovo compagno, Telamone, sull'isola di Salamina dove gli diede il figlio Teucro.\nNuovamente incinta lasciò il marito recandosi in Asia Minore e raggiungendo a nuoto Mileto, dove fu trovata in un bosco dal re Arione e partorì Trambelo, bambino che il re allevò come se fosse proprio.\nSpesso la madre di Trambelo è Teanira, una prigioniera troiana.\n'Aesiona' è anche il titolo di una cothurnata di Nevio, la cui trama era appunto la storia di Esione salvata da Telamone. La trama assomiglia molto a quella dell'Andromeda, tragedia scritta da Livio Andronico." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Et in Arcadia ego (Guercino).\n### Descrizione: Et in Arcadia ego è un dipinto a olio su tela (82x91 cm) realizzato dal Guercino e attualmente conservato presso la Galleria nazionale d'arte antica di palazzo Corsini a Roma. Citato per la prima volta come opera di Guercino nell'ínventario di Antonio Barberini del 1644 (Lavin 1975, p. 168), il dipinto passò nel 1812 al ramo Colonna di Sciarra, con un'attribuzione a Bartolomeo Schedoni che conservò fino al 1911 quando Hermann Voss la restituì a Guercino.In diretta connessione con l'Apollo e Marsia della Galleria Palatina, eseguito da Guercino per il Granduca di Toscana nel 1618, nel quale compare lo stesso gruppo dei due pastori. Secondo Mahon (1968) la tela Barberini non può essere esistita come composizione indipendente prima del dipinto fiorentino, ma è stata eseguita successivamente e trasformata nel tema morale autonomo del memento mori con l'aggiunta del teschio con il verme e il moscone, e della scritta 'Et in Arcadia ego'. Opera giovanile di Guercino eseguita dopo il suo viaggio a Venezia, dove erano particolarmente diffuse le allegorie moraleggianti, ma prima del suo soggiorno romano (1621-23), la tela è stata datata tra il 1618 (Mahon) e il 1622 (Wild).\nL'iconografia del memento mori in ambito pastorale, derivata dalle Egloghe di Virgilio, ebbe ampia diffusione in ambito veneziano e romano a partire dal periodo rinascimentale, viene qui esplicitato con l'aggiunta dell'inscrizione per la prima volta nella storia dell'arte e della letteratura (Cola, 1996).La frase riportata alla base del dipinto può tradursi letteralmente, 'Anche in Arcadia io': dove Et sta per etiam (anche) e viene sottinteso: sum (sono presente) o eram (ero).\nSembra quindi volersi intendere con l'iscrizione.\nsia l'onnipresenza nel tempo e nello spazio della morte (sum - Io sono presente anche in Arcadia),.\nsia la transitorietà di fronte alla morte della gloria letteraria del defunto (eram - Anche io ero in, facevo parte dell', Arcadia)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Et in Arcadia ego.\n### Descrizione: Et in Arcadia ego è un'iscrizione che si può leggere in alcuni importanti dipinti del Seicento, fra cui uno del Guercino, realizzato fra il 1618 ed il 1622.\nEssa appare anche come iscrizione tombale nel dipinto 'I pastori di Arcadia' (circa 1640), del pittore francese Nicolas Poussin. La frase può tradursi letteralmente: 'Anche in Arcadia io', dove Et sta per etiam (anche), viene sottinteso: sum (sono presente) o eram (ero).\nSembra quindi volersi intendere con l'iscrizione:.\n\nsia l'onnipresenza della morte nel tempo e nello spazio (sum - Io sono presente anche in Arcadia);.\nsia la transitorietà, di fronte alla morte, della gloria letteraria del defunto (eram - Anche io ero in, facevo parte dell'Arcadia).\n\nOrigine.\nLa prima apparizione dell'espressione non si trova nell'antichità classica, bensì in epoca moderna. Compare nel quadro del Guercino, dipinto tra il 1618 e il 1622 (ora nella Galleria nazionale d'arte antica, a Roma), nel quale due pastori fissano un teschio posto su una maceria recante l'iscrizione del motto.\nLa frase è un memento mori, solitamente interpretata come «Anche io in Arcadia» o «Io anche in Arcadia», come pronunciata dalla Morte personificata. Il biografo di Poussin, André Félibien, la interpretò come «La persona sepolta in questa tomba è vissuta in Arcadia»; con altre parole, «la stessa persona che una volta ha goduto dei piaceri della vita, adesso giace in questa tomba». Questa lettura era comune nel XVIII e XIX secolo. Per esempio, William Hazlitt scrisse che Poussin «descrive alcuni pastori in una mattina di primavera, e giungendo alla tomba con questa iscrizione, 'Anche io ero un Arcade'.» Attualmente, è la prima interpretazione a godere di maggiore riconoscimento; l'ambiguità della frase è il soggetto di un saggio dello storico dell'arte Erwin Panofsky. In entrambi i casi, il sentimento era teso a rappresentare un ironico contrasto tra l'ombra della morte e il solito fermo ricordo che le ninfe e i cigni dell'antica Arcadia si pensava incarnassero.\n\nLa prima apparizione di una tomba con iscrizione memoriale (a Dafni) nell'ambientazione idilliaca dell'Arcadia si ha nelle Ecloghe di Virgilio V 42 e ss. Virgilio prende degli idealizzati 'rustici' siciliani, che erano prima apparsi negli Idilli di Teocrito, e li pone nel primitivo distretto greco di Arcadia (si veda Ecloghe VII e X). L'idea fu nuovamente ripresa da Lorenzo de' Medici negli anni sessanta e Settanta del XV secolo, durante il Rinascimento fiorentino. Nella sua opera pastorale Arcadia (1504), Jacopo Sannazaro fissa la prima percezione moderna dell'Arcadia come un mondo perduto di felicità idilliaca, ricordata versi colmi di rimpianto. Negli anni novanta del XVI secolo, Philip Sidney fece circolare copie del proprio romanzo Countess of Pembroke's Arcadia, che presto andarono in stampa.\n\n'Et in Arcadia ego' appare nei titoli di famosi dipinti di Nicolas Poussin (1594–1665). Si tratta di dipinti pastorali raffiguranti pastori ideali dell'antichità classica, raggruppati attorno ad una tomba austera. La seconda versione del dipinto, più famosa, che misura 122 per 85 centimetri, è nel Museo del Louvre, a Parigi, con il nome di 'Les bergers d'Arcadie' (I Pastori di Arcadia). Il dipinto, in passato proprietà del ricchissimo ministro Nicolas Fouquet (che l'aveva avuto da Poussin stesso), poi del re di Francia Luigi XIV e dei suoi successori, è stato di grande influenza nella storia dell'arte, e recentemente è stato associato con la pseudostoria del Priorato di Sion, resa popolare dai libri Holy Blood, Holy Grail e The tomb of God.\nLa prima versione del dipinto di Poussin (ora a Chatsworth House) fu probabilmente commissionata come una rivisitazione della versione del Guercino. È dipinta in uno stile barocco più avanzato rispetto all'ultima versione, caratteristico dei lavori del primo Poussin. Nel dipinto di Chatsworth i pastori scoprono attivamente una tomba seminascosta dai rampicanti, e leggono l'iscrizione con espressione curiosa. Il modo di posare della pastorella, sulla sinistra, mostra un fascino sessuale, molto differente dalla più austera controparte delle versioni successive, che è contraddistinta anche da una composizione più geometrica e da figure più contemplative. La faccia somigliante ad una 'maschera' della pastorella è conforme al canone classico del 'profilo greco'.\n\nVersioni scolpite.\nIl rilievo in marmo dello 'Shepherd's Monument', risalente ad una data imprecisa nella metà dell'XVIII secolo, è una struttura nel giardino della Shugborough House, nello Staffordshire, in Inghilterra, codificata come 'Iscrizione di Shugborough', benché non ancora decifrata. Questa composizione invertita dimostra il fatto che fu copiata da una tomba, le composizioni delle quali sono spesso invertite poiché copie dirette in piano producono immagini speculari sulle stampe.\nNel 1832 un altro rilievo fu scolpito a segnare la tomba di Poussin a Roma, sulla quale il rilievo è posizionato sotto la scultura del busto dell'artista. Le parole dello storico dell'arte Richard Verdi, lasciano intendere che i pastori stanno contemplando 'la morte del loro stesso autore.'In congiunzione con John Andrew, l'artista Ian Hamilton Finlay creò una scultura in marmo intitolata 'Et in Arcadia ego' nel 1976. Scolpite sotto il titolo ci sono le parole 'After Nicholas Poussin' (Nello stile di Nicholas Poussin). Gran parte della scultura mostra un carro armato su uno sfondo pastorale.\n\nElaborazioni pseudostoriche.\nBenché la frase 'et in Arcadia ego' sia ellittica di verbo, essa è frequentissima in latino anche con le forme di sum. Alcuni pseudostorici, considerando alcuni aspetti della grammatica latina, hanno concluso che la frase è incompleta del verbo, e hanno speculato sul fatto che questa frase possa celare un qualche messaggio esoterico, occultando un codice (probabilmente anagrammatico). In The Holy Blood and the Holy Grail, Baigent, Leigh, e Lincoln, sotto la falsa impressione che 'et in Arcadia ego' non sia una vera e propria frase latina, hanno proposto che si trattasse dell'anagramma di I! Tego arcana Dei, che si tradurrebbe in 'Vattene! Io celo i misteri di Dio', suggerendo che la tomba contenga i resti di Gesù o di un'altra importante figura biblica. Gli autori hanno sostenuto, inoltre, che Poussin fosse a conoscenza di questo segreto e che il dipinto rappresenti una località realmente esistente. Gli autori non hanno spiegato perché la tomba dipinta nella seconda versione dovrebbe contenere questo segreto, mentre quella distintamente differente nella prima versione, presumibilmente no. In ultimo, la visione suggerita dai suddetti autori è stata scartata dagli storici dell'arte.\nNel loro libro The Tomb of God, Richard Andrews e Paul Schellenberger, sviluppando queste idee, hanno teorizzato che alla frase latina manchi un 'sum'. Hanno così arguito che la frase latina completa dovrebbe essere Et in Arcadia ego sum, che può essere un anagramma di Arcam Dei Tango Iesu, che dovrebbe significare 'Io tocco la tomba di Dio — Gesù'. Le loro argomentazioni danno per assunto che:.\n\nla frase latina sia incompleta;.\nla parola mancante estrapolata sia corretta;.\nla frase, una volta completata, sia un anagramma.Andrews e Schellenberger dichiarano anche che la tomba ritratta sia quella di Les Pontils, vicino a Rennes-le-Château. Comunque, Franck Marie nel 1974 e Michel Vallet (altrimenti noto come 'Pierre Jarnac') nel 1985 durante le loro ricerche avevano già concluso che la costruzione della tomba fu iniziata nel 1903 dal proprietario della terra, Jean Galibert, che aveva lì sepolto sua moglie e sua nonna in una semplice tomba. I corpi furono riesumati e reinteterrati da qualche altra parte dopo che la terra fu venduta a Louis Lawrence, un americano del Connecticut che era emigrato in quel luogo. Egli seppellì sua madre e sua nonna nella tomba e costruì il sepolcro in pietra. Marie e Vallet intervistarono entrambi Adrien Bourrel, figlio di Lawrence, che testimoniò che la costruzione della tomba cominciò nel 1933 quando era ancora un bambino. Pierre Plantard, il fautore delle teorie sul Priorato di Sion, cercò di arguire che la sepoltura di Les Pontils fosse un 'prototipo' per il dipinto di Poussin, ma situata nelle immediate vicinanze di una fattoria (dietro il fogliame) e non 'in mezzo al niente' nella campagna francese, come solitamente si pensa. Il sepolcro è comunque stato demolito.\n\nAltre citazioni.\nErcole Silva fece scolpire Et in Arcadia ego su un sarcofago collocato all'interno del parco della sua villa a Cinisello, primo esempio di giardino all'inglese in Italia.\nAubrey Beardsley usa la frase nel N°8 della rivista The Savoy. Si tratta sicuramente di una allusione al dipinto di Poussin.\nEvelyn Waugh ha usato la frase come titolo del primo libro del suo romanzo Ritorno a Brideshead.\nUn'opera teatrale di Tom Stoppard del 1993, Arcadia prende il nome da questa frase, ed usa la frase stessa come tema principale. Un personaggio nell'opera traduce la frase latina in inglese secondo il senso di Félibien, mentre un altro adotta la versione più comunemente accettata. Nella seconda scena dell'opera, un personaggio si rivolge ad un altro che frequenta Oxford definendolo come 'Brideshead Regurgitated', espressione che costituisce un doppio riferimento all'indietro, verso l'utilizzo che Waugh faceva della frase.\nÈ il titolo di un poema di Wystan Hugh Auden datato 1965.\nÈ il titolo del secondo maggiore arco di storie della serie di libri esoterici a fumetti di Grant Morrison, The Invisibles, che incorpora i dipinti di Poussin.\nL'urlo e il furore di William Faulkner contiene la citazione 'et ego in Arcadia'.\nLa frase (tradotta in inglese) è riportata nel commento al verso 286 di Fuoco pallido di Vladimir Nabokov.\nLa frase appare in un'iscrizione sulla carabina del Giudice Holden, antagonista nel romanzo di Cormac McCarthy, Meridiano di sangue. L'iscrizione Et In Arcadia Ego, che è il nome dell'oggetto, è riportata in filo d'argento sulla parte posteriore della carabina. «C'è qualcosa di letale in questo oggetto», osserva il narratore del libro, notando che non è comune per un uomo dare un nome alla propria carabina in lingua antica.\nIl dipinto è stato usato come riferimento dal lavoro di Ian Hamilton Finlay.\nIl poeta Johann Wolfgang von Goethe usò una traduzione letterale tedesca (anche senza il verbo 'essere') — 'Auch ich in Arkadien' — durante una reminiscenza di un viaggio formativo in Italia fatto da giovane.\nI due dipinti di Poussin sono citati come fonte d'ispirazione da Simon Le Bon e Nick Rhodes, per la scelta del nome 'Arcadia' di un gruppo musicale dalla vita breve ma molto significativa nella metà degli anni ottanta.\nLa serie TV Millennium (1996-1999) era famosa per i suoi titoli arcani e misteriosi, ed un episodio della seconda stagione era intitolato 'In Arcadia Ego'.\nNel romanzo del 1990 The War of Don Emmanuel's Nether Parts di Louis de Bernières (a p. 367 dell'edizione inglese), è detto che Padre Garcia scolpirà un giorno questa 'famous phrase' alla base dell'obelisco a Cochadebajo de los Gatos.\nLa frase è apparsa su una maglietta usata dalla band ...And You Will Know Us by the Trail of Dead, relativa al loro EP The Secret of Elena's Tomb.\nIl dipinto è un oggetto importante nel gioco della Sierra Online del 1999, Gabriel Knight 3: Il mistero di Rennes-le-Château, i cui personaggi trovano nell'opera importanti idee per l'indagine che stanno seguendo.\nLa frase era stampata su alcuni biglietti dei concerti dei Tool della prima parte del 1997.\nLa frase ed il bassorilievo di Shugborough giocano un ruolo importante nel romanzo fantasy The Hounds of Avalon, parte della serie The Dark Age, di Mark Chadbourn.\nIl libro a fumetti Rex Mundi, edito dalla Dark Horse Comics, utilizza il dipinto di Poussin e la frase come parte integrante della trama.\nÈ il titolo di un libro scritto dal critico letterario italiano Emilio Cecchi, pubblicato nel 1936 da Hoepli e nel 1942 da Arnoldo Mondadori Editore, che riporta le impressioni di un viaggio in Grecia effettuato nel 1934.\nIl tredicesimo capitolo del romanzo Il pendolo di Foucault di Umberto Eco inizia con la frase.\nL'associazione della frase con Rennes-le-Château, e la nozione dell'anagramma, appaiono anche nel quarantottesimo capitolo del romanzo L'ultima cospirazione di Steve Berry.\nLa frase è usata da Laurence Bergreen come titolo del tredicesimo capitolo del suo libro Over the Edge of the World: Magellan's Terrifying Circumnavigation of the Globe.\nIl romanzo di Anthony Powell, The Fisher King (1986) ha un personaggio che traduce il senso della frase in «La morte governa anche in Arcadia.» Powell ha avuto un grande interesse per Poussin, prendendo il titolo per il suo romanzo in venti volumi, A Dance to the Music of Time, da quello di un dipinto di Poussin che mostra figure idilliache a rappresentare le stagioni che danzano in cerchio suonando la lira, intorno ad un vecchio con la barba, il Tempo.\n'Et Ego in Arcadia Fui' è l'epigramma al saggio di Walter Pater su Winkelmann, incluso nel suo libro Il Rinascimento (1873).\nNell'edificio Glass House di Philip Johnson, l'intera casa e pavimenti fanno riferimento all'Arcadia. Una rappresentazione di Poussin appare nella Glass House, il cui pavimento include la miniatura di un tempio greco su di un lago. È inverosimile che si possa trattare di riferimenti casuali, che non sono propri dei grandi architetti.\nIl programma TV The Secret Adventures of Jules Verne usava la frase in riferimento ad un dipinto, anch'esso supposto essere di Poussin, che costituiva la chiave per raggiungere un tesoro, nell'episodio Lord of Air and Darkness.\nLa frase viene citata dal protagonista del romanzo The Rotters' Club (2001) di Jonathan Coe.\nLa frase viene usata nella serie di libri fantasy Ulysses Moore di Pierdomenico Baccalario.\nEt in Arcadia Ego è titolo e filo conduttore della mostra collettiva di arti visive allestita nella Cittadella dei Musei di Cagliari.\n'Et in Arcadia Ego' (parte1 e parte 2) sono il titolo degli ultimi due episodi della prima stagione di Star Trek: Picard.\n'Et in Arcadia Ego' è il titolo di un capitolo della seconda parte (p. 119 ss.) del romanzo 'Autobiografia di Pedra Delicado' di Alicia Gimenez-Bartlett." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ethon.\n### Descrizione: Ethon o Etone o ancora Aithon è, nella mitologia greca, il nome della mostruosa aquila che rosicchiava ogni giorno il fegato di Prometeo dopo che egli fu incatenato da Zeus sul Caucaso. Figura presente in molti mitografi, è tuttavia nominata dal solo Igino nelle sue Fabulae.\nSecondo una tradizione, l'aquila era una delle tante creature generate da Tifone ed Echidna. Una variante invece afferma che il mostro fu creato da Efesto insieme a Zeus, che gli avrebbe quindi infuso vita.\nL'aquila venne uccisa con una freccia da Eracle, che liberò quindi Prometeo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Etia.\n### Descrizione: Etia (in greco antico Ετίας, in latino Etias) è un personaggio eponimo della mitografia greca e romana, figlia di Enea e di sua moglie Creusa. Come riportato da Pausania in 'Periegesi della Grecia', Enea - nel corso della sua fuga da Troia - fondò a suo nome la città di Eti che sorgeva sulla costa della Laconia di fronte a Citera." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Etilla.\n### Descrizione: Etilla (in greco antico: Αἴθιλλα?, Áithilla) è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglia di Laomedonte.\nNon ci sono notizie di sposi o progenie.\n\nMitologia.\nEtilla, sorella di Priamo sopravvisse alla guerra di Troia e fu fatta prigioniera dagli uomini di Protesilao insieme a due delle sue sorelle (Medesicasta ed Astioche).\nIl lungo viaggio fu percorso via mare e la ragazza cercò di coinvolgere tutte le schiave della nave per bruciarla e riuscendo nel loro intento, costrinsero i greci attraccare alla terra più vicina ed una volta stabilitisi fondarono una città chiamata Scione.\nApollodoro posiziona l'evento in Italia e vicino al fiume Nauaethus e scrive che le schiave (chiamate Nauprestides) ed i greci si stabilirono lì.\nSecondo Strabone, il fiume siciliano Neaethus (una variante per 'Nauaethus') fu chiamato così perché quando i greci che si erano allontanati dalla flotta sbarcarono li vicino e si diressero nell'entroterra per esplorare il paese, le donne troiane che erano con loro, osservarono la fertilità della terra e decisero di incendiare le navi per ottenere che gli uomini restassero lì." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Etiopia (mitologia greca).\n### Descrizione: L'Etiopia (in greco antico: Αἰθιοπία?, Aithiopia) appare come termine geografico nei documenti classici in riferimento alle attuali regioni attorno al fiume Nilo superiore ed a certe zone a sud del deserto del Sahara.\n\nEtimologia.\nIl nome greco Αἰθιοπία (da Αἰθίοψ, Aithiops, 'etiope') è un composto derivato da due parole greche, αἴθω + ὤψ (aitho 'io brucio' + ops 'viso'), che diventano 'viso bruciato'. Tale composta fu usato già nei poemi omerici per definire le popolazioni dalla pelle scura.\n\nGeografia.\nNell'antichità classica, con il nome Etiopia ci si riferiva alle parti del deserto libico-nubiano (eccetto l'odierno Egitto), che comprendevano la terra del deserto nei pressi del fiume Nilo meridionale fino al Mar Rosso ed il protrarsi di questa parte di Africa fino alle sorgenti del Nilo Azzurro.\n\nStoria.\nOmero.\nLe prime menzioni risalgono ad Omero che sia nell'Iliade che nell'Odissea scrive dell'esistenza di questa terra.\nI poemi omerici sono infatti i primi a menzionare il termine 'Etiopi' (in greco antico: Αἰθίοπες? e in greco antico: Αἰθιοπῆες?) ed ad affermare che essi si trovano all'estremità est ed ovest del mondo, divisi tra il mare 'orientale' (all'alba) e quello 'occidentale' (al tramonto). Nell'Iliade, Teti si reca all'Olimpo per incontrare Zeus e mentre attende l'incontro visita la terra degli Etiopi.\n\nErodoto.\nErodoto usa specificamente questo appellativo per riferirsi a parti dell'Africa già a quei tempi conosciute ed abitabili e dal suo punto di vista, l'Etiopia è tutta la terra abitata che esiste a sud dell'Egitto e di Elefantina (la moderna Assuan).\nNelle Storie (440 a.C. circa) infatti, Erodoto raccoglie alcune delle informazioni più antiche e dettagliate sull'Etiopia e riferisce di aver viaggiato personalmente lungo il Nilo fino a Elefantina.\nEgli descrive una capitale a Meroe, aggiungendo che le uniche divinità ivi venerate erano Zeus (Amon) e Dioniso (Osiride). Riferisce inoltre che durante il regno del faraone Psammetico I (circa 650 a.C.), molti soldati egiziani abbandonarono il loro paese per insediarsi tra gli Etiopi.Nel libro III, Erodoto definisce l'Etiopia come la regione più lontana della 'Libia' (ossia l'Africa), dicendo: 'Dove il sud declina verso il sole che tramonta si trova il paese chiamato Etiopia, l'ultima terra abitata in quella direzione. Abbondano elefanti enormi, con alberi selvatici di ogni genere ed ebano, e gli uomini sono più alti, più belli e più longevi che altrove.'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Etna (divinità).\n### Descrizione: Etna è una dea della mitologia greca.\nEra considerata figlia di Urano e Gea e diede il nome all'omonimo vulcano, le cui distruttive eruzioni erano causate dal drago Tifone, che viveva nelle sue viscere.La Sicilia, terra di vulcani e frumento, era causa di dispute tra Efesto e Demetra, dei rispettivamente del fuoco e delle messi. Etna fece da arbitro. Viene a volte ritenuta madre dei Palici." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Etna.\n### Descrizione: L'Etna (detto anche Mongibello, Muncibbeḍḍu in siciliano) è uno stratovulcano complesso della Sicilia originatosi nel Quaternario, ed è il più alto vulcano attivo della placca euroasiatica. Le sue frequenti eruzioni nel corso del tempo hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante e in tante occasioni hanno costituito una minaccia per gli insediamenti abitativi nati nel tempo alle sue pendici. Il 21 giugno 2013, la XXXVII sessione del Comitato UNESCO ha inserito l'Etna nell'elenco dei beni costituenti il Patrimonio dell'umanità.\n\nGeografia fisica.\nL'Etna sorge sulla costa orientale della Sicilia, a sud-ovest dei Monti Peloritani e a sud-est dei Monti Nebrodi (Appennino siculo), entro il territorio della città metropolitana di Catania ed è attraversato dal 15º meridiano est, che da esso prende il nome. Con un diametro di oltre 40 chilometri e un perimetro di base di circa 135 km, occupa una superficie di 1 265 km². La regione etnea, delimitata dal corso dell’Alcantara e da quello del Simeto, ha un perimetro di 212 km e una superficie di 1 570 km².[1].\n\nIl vulcano è classificato tra quelli definiti a scudo a cui è sovrapposto uno stratovulcano, l'edificio attuale (eruzioni degli ultimi 15 000 anni).\nLa sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne determinano l'innalzamento o l'abbassamento. Nel 1900 la sua altezza raggiungeva i 3 274 m e nel 1950 i 3 326 m; nel 1978 era stata raggiunta la quota di 3 345 m e nel 1981 quella di 3 350 m. Dalla metà degli anni 1980 l'altezza è progressivamente diminuita: 3 340 m nel 1986, 3 329 m nel 1999. Le più recenti misure, effettuate da due squadre indipendenti con GPS ad altissima risoluzione, hanno rivelato che l'altezza dell'Etna era di 3 326 m a luglio 2018. In data 25 luglio 2021 è stata misurata l'altezza di 3 357 m. La vetta più alta è sull'orlo settentrionale del cratere di sud-est.L'Etna ha una struttura piuttosto complessa a causa della formazione, nel tempo, di numerosi edifici vulcanici che tuttavia in molti casi sono in seguito collassati e sono stati sostituiti, affiancati o coperti interamente da nuovi centri eruttivi. Sono riconoscibili nella 'fase moderna' del vulcano almeno 300 tra coni e fratture eruttive. La zona risulta anche a moderato rischio sismico per effetto anche del tremore del vulcano.\nI quattro crateri sommitali sono: la Voragine e la Bocca Nuova, che si sono formate all'interno del Cratere Centrale rispettivamente nel 1945 e 1968, il Cratere di Nord-Est, che esiste dal 1911 e il Cratere di Sud-Est, che è attualmente il punto più alto dell'Etna.\nLa sua superficie è caratterizzata da una ricca varietà di ambienti che alterna paesaggi urbani, folti boschi che conservano diverse specie botaniche endemiche ad aree desolate ricoperte da roccia magmatica e periodicamente soggette a innevamento alle maggiori quote.\n\nAmbiente.\nIl territorio del vulcano presenta aspetti molto differenti per morfologia e tipologia in funzione dell'altitudine. Coltivato fino ai 1 000 metri dal livello del mare (in alcuni casi i frutteti arrivano a oltre 1 500 m s.l.m.) e fortemente urbanizzato sui versanti est e sud si presenta selvaggio e brullo sul lato occidentale dove predominano le 'sciare', specie nel versante nord. Poco urbanizzato, ma di aspetto più dolce, il versante nord con il predominio dei boschi al di sopra di Linguaglossa. Il versante est è dominato dall'aspetto inquietante della Valle del Bove sui margini della quale si inerpicano fitti boschi.\nIl circondario ha caratteristiche che ne rendono le terre ottime per produzioni agricole, grazie alla particolare fertilità dei detriti vulcanici. La zona abitata e coltivata giunge quasi ai 1 000 m s.l.m. mentre le zone boschive arrivano fino ai 1 500 metri. Ampie parti delle sue pendici sono comprese nell'omonimo parco naturale. Il versante sud del vulcano è percorso dalla strada provinciale SP92 che si arrampica sulla montagna fino a quasi 2 000 m di quota, generando circa 20 km di tornanti. L'infrastruttura non permette di raggiungere la cima in auto ma, raggiunta la stazione turistica attorno alla Funivia dell'Etna, continua poi il suo percorso per altri 20 km circa in direzione di Zafferana Etnea.\nIn inverno è presente la neve che, alle quote più elevate, resiste fin quasi all'estate. Le aree turistiche da dove si può partire per le escursioni in cima al vulcano sono raggiungibili agevolmente dai versanti sud e nord-est in cui si trovano anche le due stazioni sciistiche del vulcano (Etna sud ed Etna nord). Da quella sud, dallo storico Rifugio Sapienza nel territorio di Nicolosi è possibile ammirare il golfo di Catania e la valle del Simeto. Dalle piste di Piano Provenzana a nord, in territorio di Linguaglossa, sono visibili Taormina e le coste della Calabria.\n\nClima.\nNelle parti più alte del vulcano il clima è di tipo alpino. Le temperature medie annue variano dai 13-14 °C della base ai 2-3 °C della vetta.\n\nStoria.\nI primi riferimenti storici all'attività eruttiva dell'Etna si trovano negli scritti di Tucidide e Diodoro Siculo e del poeta Pindaro; altri riferimenti sono per lo più mitologici. Secondo Diodoro Siculo, circa 3 000 anni fa, in seguito a una fase di attività violentemente esplosive (probabilmente sub-pliniane) dell'Etna, gli abitanti del tempo, i Sicani, si spostarono verso le parti occidentali dell'isola.\nI primi studiosi a intuire che il vulcano fosse in realtà costituito da un grande numero di strutture più piccole e variamente sovrapposte o affiancate furono il Lyell, Sartorius von Waltershausen e il Gemmellaro; questi riconobbero nell'Etna almeno due principali coni eruttivi, il più recente Mongibello e il più antico Trifoglietto (nell'area della Valle del Bove).. Tale impostazione non venne rivista fino agli anni sessanta quando il belga J. Klerkx (sotto la guida di Alfred Rittmann) individuò nella predetta valle una successione di altri prodotti eruttivi precedenti al Mongibello. Studi successivi hanno rivelato una maggiore complessità della struttura che risulta costituita da numerosissimi centri eruttivi con caratteristiche tipologiche del tutto differenti.\nL'attività maggioritaria in tempi storici è stata connessa a quella del sistema centrale, che in tempi più recenti ha interessato altre nuove bocche sommitali: il Cratere di Nord-Est, formatosi nel 1911, la Voragine nata all'interno del Cratere centrale nel 1945 e la Bocca Nuova originatasi sempre al suo interno, nel 1968.\nNel 1971 si è formato il nuovo Cratere di Sud-Est. Infine, nel 2007, è nato il Nuovo Cratere di Sud-Est che in seguito all'intensa e frequente attività stromboliana e alle fontane di lava, tra il 2011 e il 2013 ha assunto dimensioni imponenti raggiungendo l'altezza dei crateri precedenti.\n\nEtimologia del nome.\nL'etimologia del nome Etna è da sempre dibattuta. Sembrerebbe derivare dal toponimo Aἴτνα (Aitna), nome che fu attribuito alle città di Katane e Inessa e che deriverebbe dal verbo greco αἴθω (àithō), cioè 'bruciare'. L'Etna era infatti conosciuto dai Greci come Αἴτνη (Àitnē) e dai Romani come Aetna. Non è comunque esclusa la possibile origine indigena del termine, attribuendolo al sicano *aith-na ('ardente'), comunque derivante dalla radice protoindoeuropea ai-dh ('bruciare; fuoco').\nGli scritti in lingua araba si riferivano a esso come Jabal al-burkān (montagna del vulcano) o Jabal Aṭma Ṣiqilliya ('montagna somma della Sicilia') o Jabal an-Nār ('montagna di fuoco'). Questo nome fu più tardi mutato in Mons Gibel, letteralmente 'monte Gibel' (dal latino mons 'monte' e dall'arabo jabal (جبل) 'monte'), da cui il siciliano Muncibbeḍḍu, reso poi in italiano come Mongibello (o anche Montebello). Secondo altri questo termine deriverebbe dal latino Mulciber (lett. 'colui che addolcisce [i metalli nella forgia]' o “il fonditore”, epiteto riferito al dio Efesto).Il nome Muncibbeḍḍu è tuttora di uso comune, anche se le popolazioni locali si riferiscono all'Etna anche semplicemente attraverso il siciliano 'A Muntagna'.\n\nStoria geologica.\nGenesi del vulcano.\nL'Etna si è formato nel corso delle ere con un processo di costruzione e distruzione incominciato intorno a 570 000 anni fa, nel periodo Quaternario, durante il Pleistocene medio. Al suo posto si ritiene vi fosse un ampio golfo nel punto di contatto tra la zolla euro-asiatica a nord e la zolla africana a sud, corrispondente alla catena dei monti Peloritani a settentrione e all'altopiano Ibleo a meridione. Fu proprio il colossale attrito tra le due zolle a dare origine alle prime eruzioni sottomarine di lava basaltica fluidissima con la nascita dei primi coni vulcanici, al centro del golfo primordiale detto pre-etneo, nel periodo del Pleistocene medio-superiore 700 000 anni fa.\nDi tali attività restano gli splendidi affioramenti della Riviera dei Ciclopi con i loro prismi basaltici (l'isola Lachea e i faraglioni di Aci Trezza), le brecce vulcaniche vetrose (ialoclastiti) e le lave a pillow della rupe di Aci Castello, ma anche i basalti colonnari affioranti nel terrazzo fluviale del Simeto, esteso nei versanti sud occidentale e sud orientale da Adrano e Paternò fino alla costa Ionica. Il sollevamento tettonico dell'area, unitamente all'accumulo dei prodotti eruttivi, determinò l'emersione della regione e la formazione di un edificio vulcanico a scudo che è quello che costituisce il basamento dell'attuale.\nTra i 350 000 e i 200 000 anni fa, da un'attività di tipo fessurale, spesso anche subacquea, scaturirono lave estremamente fluide che diedero luogo alla formazione di bancate laviche tabulari di elevato spessore (fino a 50 m), i cui resti sono gli imponenti terrazzamenti visibili nell'area sud occidentale dell'edificio vulcanico a quote comprese fra i 300 e i 600 m s.l.m.Gli studi sulla composizione di queste lave hanno messo in evidenza che questi prodotti vulcanici (sia subacquei sia subaerei) rappresentano le cosiddette vulcaniti tholeiitiche basali, cioè magmi simili, anche se con delle differenze, a quelli che vengono prodotti in aree del mantello terrestre caratterizzate da alti gradi di fusione parziale di grande attività distensive, tipiche delle dorsali e delle isole oceaniche. Le tholeiiti costituiscono una percentuale assai limitata dei prodotti dell'area etnea e sono state eruttate in più riprese a partire da circa 500 000 anni fa, questa è infatti l'età dei più antichi prodotti etnei. Allo stesso periodo geologico si attribuisce anche la formazione del notevole Neck di Motta Sant'Anastasia, una rupe isolata di lave colonnari su cui è edificato il centro storico della cittadina etnea.\nSi ritiene che tra 200 000 e 110 000 anni fa ci fu uno spostamento degli assi eruttivi verso nord e verso ovest con un contemporaneo mutamento nell'attività di risalita e nei meccanismi di effusione, accompagnati da una variazione nella composizione chimica dei magmi e nel tipo di attività. La nuova fase eruttiva vide come protagonisti coni subaerei che emettevano lave di tipo 'alcalino'. L'attività si concentrò lungo la costa ionica in corrispondenza del sistema di faglie dirette denominato delle Timpe. I prodotti alcalini costituiscono la gran mole del vulcano etneo e vengono eruttati ancora oggi. La distinzione tra i termini viene effettuata mediante i rapporti tra le percentuali di alcuni ossidi e in particolare SiO2 e K2O+Na2O ritenuti indicativi delle condizioni di genesi dei magmi stessi.\nDurante il Tarantiano, 110 000-60 000 anni fa, l'attività eruttiva si sposta dalla zona Val Calanna-Moscarello verso l'area adesso occupata dalla depressione della Valle del Bove. Da un'attività di tipo fissurale, come quella che ha caratterizzato le prime due fasi, si passerà gradualmente a un'attività di tipo centrale caratterizzata da eruzioni sia effusive sia esplosive. Questo tipo di attività porterà alla formazione di diversi centri eruttivi. Il principale dei coni, che viene denominato dagli studiosi Monte Calanna, è inglobato al di sotto del vulcano.\nCessata l'attività di questo, circa ottantamila anni fa entrò in eruzione un nuovo complesso di coni vulcanici, detto Trifoglietto, più a ovest del precedente, che a dispetto del grazioso nome fu un vulcano estremamente pericoloso, di tipo esplosivo caratterizzato da eruzioni pliniane polifasiche, come ad esempio il Vesuvio e Vulcano delle isole Eolie, che emetteva lave di tipo molto viscoso. L'attività vulcanica si spostò poi ancor più a ovest con la nascita di un'ulteriore bocca vulcanica a cui vien dato il nome di Trifoglietto II (dai 70 000 ai 55 000 anni fa). Il collasso di questo edificio ha dato origine all'immensa caldera della già citata Valle del Bove, profonda circa mille metri e larga cinque chilometri, lasciando esposti sulle pareti di questa gli affioramenti di rocce piroclastiche che evidenziano lo stile particolarmente esplosivo della sua attività. L'esplosività è probabilmente collegata alle grandi quantità di acqua nell'edificio che vaporizzandosi frammentava il magma.\nIntorno a 55 000 anni fa circa si verifica un ulteriore spostamento dell'attività eruttiva verso nord-ovest dopo la fine dell'attività dei centri della Valle del Bove. È la fase detta dello stratovulcano. Tale spostamento porterà alla formazione del vulcano Ellittico, il più grosso centro eruttivo che costituisce la struttura principale del monte Etna. Il nome Ellittico deriva dalla forma, appunto di ellisse (2 km asse maggiore e 1 km asse minore), della caldera che ha segnato la fine della sua attività. I suoi prodotti, sia colate laviche sia piroclastiti, costruirono un edificio di dimensioni notevoli che, prima del collasso calderico avvenuto 15 000 anni fa, doveva probabilmente raggiungere i 4 000 metri di altezza. Le eruzioni laterali dell'Ellittico hanno prodotto la graduale espansione laterale dell'edificio vulcanico attraverso la messa in posto di colate laviche che hanno causato un radicale cambiamento dell'assetto del reticolo idrografico principalmente nel settore nord e nord-orientale. In quest'area le colate laviche colmarono antiche paleovallate come quella del fiume Alcantara generando numerosi fenomeni di sbarramento lavico del paleoalveo del fiume Simeto.\nL'intensa e continua attività effusiva degli ultimi 15 000 anni riempirà del tutto la caldera del vulcano Ellittico coprendo in gran parte i suoi versanti e formando il nuovo cono craterico sommitale. Tale attività effusiva, originata sia dalle bocche sommitali sia da apparati eruttivi parassiti, porterà alla formazione dell'edificio vulcanico che forma il complesso in attività: il Mongibello.\nNel corso del tempo si sono avute fasi di stanca e fasi di attività eruttiva, con un collasso del Mongibello intorno a otto-novemila anni fa; nei prodotti del Mongibello è stata osservata una generale transizione da termini più antichi e acidi (relativamente arricchiti in SiO2) a più recenti e basici (cioè relativamente povere di SiO2) e porfirici (ricchi di minerali cristallizzati in profondità prima dell'emissione), le lave sono quindi ritornate a essere di tipo fluido basaltico e si sono formati altri coni di cui alcuni molto recenti.\nA periodi abbastanza ravvicinati entra in eruzione incominciando in genere con un periodo di degassamento ed emissione di sabbia vulcanica a cui fa seguito un'emissione di lava abbastanza fluida all'origine. Talvolta vi sono dei periodi di attività stromboliana che attirano folle di visitatori d'ogni parte del mondo per via della loro spettacolarità.\nNonostante i vulcani eruttino prevalentemente dalla loro cima, da uno o più crateri sommitali, l'Etna si caratterizza per essere uno dei pochi vulcani al mondo in cui è stato possibile osservare a memoria d'uomo la nascita di nuove bocche eruttive sommitali, formatesi prevalentemente nel secolo scorso. Il vulcano attuale era costituito fino agli anni 2000 essenzialmente da quattro crateri sommitali attivi: il cratere centrale o Voragine, il cratere subterminale di Nord-est formatosi nel 1911 (NEC), la Bocca Nuova del 1968 (BN) e il cratere subterminale di Sud-est (del 1971) (SEC).\nTuttavia, solo nell'ultimo decennio, per la prima volta, i vulcanologi sono riusciti ad applicare un moderno approccio multidisciplinare per monitorare la nascita di un nuovo cratere sommitale e cercare di comprendere cosa renda tanto instabile un vulcano come l'Etna in corrispondenza delle bocche sommitali: alla fine del 2011 dove prima c'era un cratere a pozzo (o pit crater) alla base orientale del SEC, si è infatti sviluppato quello che ormai gli studiosi hanno ribattezzato Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC). L'edificio vulcanico del Nuovo Cratere di Sud-Est, formatosi lungo una frattura orientata lungo una direzione Nord-Ovest Sud-Est, è successivamente cresciuto con grande rapidità sull'orlo di una parete a strapiombo della Valle del Bove, alta circa mille metri, presentando quindi una relativa instabilità che caratterizza tutto il fianco nord-orientale del vulcano e mantiene alta l'attenzione degli scienziati.\nQuesti hanno recentemente stabilito che il vulcano subisce ciclicamente nel tempo dei fenomeni di inflazione (rigonfiamento), seguiti da deflazione (sgonfiamento) che possono durare per un periodo di alcuni mesi fino a qualche anno. Come riferito da Marco Neri, coordinatore del lavoro di studi e primo ricercatore presso l'Osservatorio etneo dell'INGV (INGV-OE), durante un recente periodo di inflazione, «il fianco nord-orientale dell'Etna si è deformato, seguendo traiettorie di 'traslazione' semi-circolari: la porzione sommitale si è spostata verso Nord-est, la parte intermedia verso Est e infine la parte distale, in prossimità del Mare Ionio, è traslata verso Sud-est. Lo spostamento verso Nord-est della parte sommitale del vulcano ha favorito l'apertura di numerose fessure eruttive orientate in senso Nord-ovest Sud-est e la conseguente nascita del Nuovo Cratere di Sud-est». La traslazione verso lo Ionio è confermata anche dagli studi condotti dalla Open University.\nDurante una campagna di misurazioni con GPS effettuata dall'INGV nel gennaio del 2014 si è constatato che il punto più alto del nuovo cono si era assestato a una quota di 3 290 m s.l.m. facendone di fatto una delle bocche sommitali più alte del grande vulcano. Nel corso della seconda metà degli anni 2010, la sella intracraterica del Sud-Est viene notevolmente sconvolta con le attività del 2016, 2017, 2018. Nel 2020, a dicembre, inizia un ciclo eruttivo che stravolge totalmente l'assetto della zona terminale: a seguito di attività esplosive, infatti, il nuovo cono intracraterico del Sud-Est superava i 3 357 m s.l.m. tra il 13 e il 25 giugno 2021 assestandosi quale nuova vetta, in sostituzione del NEC.\nL'Etna presenta inoltre diverse piccole bocche laterali sparse a varie altitudini, dette crateri avventizi, prodotte dalle varie eruzioni laterali nel tempo. Esistono poi dei centri eruttivi eccentrici caratterizzati dalla non condivisione del condotto vulcanico con il vulcano principale, ma del solo bacino magmatico, quali i monti Rossi e il monte Mojo.\n\nEruzioni notevoli in periodo storico.\nIn genere le eruzioni dell'Etna pur fortemente distruttive delle cose, non lo sono per le persone se si eccettuano i casi fortuiti come quello di Bronte del 25 novembre del 1843 in cui a causa di una falda freatica la lava esplose colpendo una settantina di persone delle quali persero la vita almeno 36 o di palese imprudenza come nel 1979 quando un'improvvisa pioggia di massi uccise nove turisti, avventuratisi fino al cratere apparentemente spento, e ne ferì un'altra decina. Le fonti della memoria storica ricordano centinaia di eruzioni di cui alcune fortemente distruttive.\nL'eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614. Il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano. Le colate ebbero origine a quota 2 550 e presentarono la caratteristica particolare di ingrottarsi ed emergere poi molto più a valle fino alla quota di 975 m s.l.m., al di sopra comunque dei centri abitati. Lo svuotamento dei condotti di ingrottamento originò tutta una serie di grotte laviche, visitabili, come la grotta del Gelo, la grotta dei Lamponi, la grotta delle Palombe, il Complesso Immacolatelle e Micio Conti.\nNel 1669 avvenne l'eruzione più conosciuta e distruttiva, che raggiunse e superò, dal lato occidentale, la città di Catania; ne distrusse la parte esterna fino alle mura, circondando il Castello Ursino e superandolo creò oltre un chilometro di nuova terraferma. L'eruzione fu annunciata da un fortissimo boato e da un terremoto che distrusse il paese di Nicolosi e danneggiò Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Poi si aprì un'enorme fenditura a partire dalla zona sommitale e, sopra Nicolosi, si iniziò l'emissione di un'enorme quantità di lava. Il gigantesco fronte lavico avanzò inesorabilmente seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo e Misterbianco oltre a villaggi minori dirigendosi verso il mare. Si formarono i due coni piroclastici che sono denominati Monti Rossi, a nord di Nicolosi. L'eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi.\nNel 1892 un'altra eruzione portò alla formazione, a circa 1 800 m di quota, del complesso dei Monti Silvestri.\nNel 1928, ai primi di novembre, ebbe inizio l'eruzione più distruttiva del XX secolo. Essa portò, in pochi giorni, alla distruzione della cittadina di Mascali. La colata fuoriuscì da diverse bocche laterali sul versante orientale del vulcano e minacciò anche Sant'Alfio e Nunziata.\nL'eruzione del 5 aprile del 1971 ebbe inizio a quota 3 050 da una voragine dalla quale l'emissione di prodotti piroclastici formò il cono sub-terminale di Sud-est. Vennero distrutti l'Osservatorio Vulcanologico e la funivia dell'Etna. Ai primi di maggio si aprì una lunga fenditura a quota 1 800 m s.l.m. che raggiunse Fornazzo e minacciò Milo. La lava emessa fu di 75 milioni di metri cubi.\nL'eruzione del 1981 ebbe inizio il 17 marzo e si rivelò abbastanza minacciosa: in appena poche ore si aprirono fenditure da quota 2 550 via via fino a 1 140. Le lave emesse, molto fluide, raggiunsero e tagliarono la Ferrovia Circumetnea; un braccio si arrestò appena 200 metri prima di Randazzo. Il fronte lavico tagliò la strada provinciale e la Ferrovia Taormina-Alcantara-Randazzo delle Ferrovie dello Stato, proseguendo fino alle sponde del fiume Alcantara. Si temette la distruzione della pittoresca e fertile vallata, ma la furia del vulcano si arrestò alla quota di 600 m.\nIl 1983 è da ricordare oltre che per la durata dell'eruzione, 131 giorni, con 100 milioni di metri cubi di lava emessi (che distrussero impianti sciistici, ristoranti, altre attività turistiche, nuovamente la funivia dell'Etna e lunghi tratti della S.P. 92), anche per il primo tentativo al mondo di deviazione per mezzo di esplosivo della colata lavica. L'eruzione si presentava abbastanza imprevedibile, con numerosi ingrottamenti ed emersioni di lava fluida a valle, che fecero temere per i centri abitati di Ragalna, Belpasso e Nicolosi. Pur tra molte polemiche, e divergenze tra gli studiosi, vennero praticati, con notevole difficoltà, date le altissime temperature che arrivavano a rovinare le punte da foratura, decine e decine di fornelli per consentire agli artificieri di immettere le cariche esplosive. La colata venne parzialmente deviata; l'eruzione ebbe comunque termine di lì a poco.\nIl 14 dicembre del 1991 ebbe inizio la più lunga eruzione del XX secolo (durata 473 giorni), con l'apertura di una frattura eruttiva alla base del cratere di Sud-est, alle quote da 3 100 m a 2 400 m s.l.m. in direzione della Valle del Bove. L'esteso campo lavico ricoprì la zona detta del Trifoglietto e si diresse verso il Salto della Giumenta, che superò il 25 dicembre 1991 dirigendosi verso la Val Calanna. La situazione fu giudicata pericolosa per il comune di Zafferana Etnea e venne messa in opera una strategia di contenimento concertata tra la Protezione civile e il Genio dell'Esercito. In venti giorni venne eretto un argine di venti metri d'altezza che, per due mesi, resse alla spinta del fronte lavico. La tecnica fu quella dell'erezione di barriere in terra per mezzo di lavoro ininterrotto di grandi ruspe ed escavatori a cucchiaio.\nQuesta tecnica in seguito si rivelerà efficace nel tentativo di salvataggio del rifugio Sapienza e della stazione turistica di Etna Sud nel corso dell'eruzione 2001, e sarà oggetto di studio da parte di équipe internazionali, tra cui esperti giapponesi. Tutto si rivelò efficace nel rallentare il flusso lavico guadagnando tempo ma ancora una volta non risolutivo in caso di persistenza dell'evento eruttivo. Furono chiamati gli incursori della Marina che operarono nel canale principale, a quota 2 200 m, con cariche esplosive al plastico (C4) e speciali cariche esplosive cave per deviare il flusso di lava nel canale d'invito e inviarla così nella valle del Bove, riportando la posizione del fronte lavico a quella di circa sei mesi prima. L'operazione riuscì perfettamente, utilizzando una carica di C4 pari a 7 tonnellate e trenta cariche cave; il tutto, fatto esplodere in rapidissima successione, fece crollare il diaframma che separava il magma dal canale d'invito. Successivamente venne ostruito con grandi macigni di pietra lavica il canale principale che scendeva pericolosamente verso Zafferana Etnea.\n\nAttività vulcanica.\nL'Etna è un vulcano attivo. A differenza dello Stromboli, che è in perenne attività, e del Vesuvio, che alterna periodi di quiescenza a periodi di attività parossistica, esso appare sempre sovrastato da un pennacchio di fumo. A periodi abbastanza ravvicinati entra in eruzione (eruzione esplosiva) incominciando in genere con un periodo di degassamento ed emissione di sabbia vulcanica a cui fa seguito un'emissione di lava abbastanza fluida all'origine. Talvolta vi sono dei periodi di attività stromboliana che attirano visitatori d'ogni parte del mondo per via della loro spettacolarità. Negli ultimi anni l'area sommitale dell'Etna è cambiata, si trasforma continuamente. Oggi presente cinque crateri in continua attività (Cratere di Sud-est, Nuovo Cratere di Sud-est, Bocca Nuova, Voragine, Cratere di Nord-est). Il cratere considerato il ''più giovane'' è il Nuovo Cratere di Sud-Est (2007) che negli ultimi tredici anni di attività ha avuto parecchie eruzioni e parossismi (attività vulcanica attuale 2021 - in corso caratterizzata da esplosioni e attività stromboliana (VEI 1) che si verifica in modo ordinario con la presenza di cenere vulcanica che si propaga nel territorio).\n\nAttività vulcanica attuale.\nTurismo.\nL'Etna è meta ininterrotta delle visite di turisti interessati al vulcano e alle sue manifestazioni in quanto si tratta di uno dei pochi vulcani attivi al mondo a essere facilmente accessibile. Sono presenti infatti anche guide specializzate e mezzi fuoristrada che in sicurezza portano i visitatori fino ai crateri sommitali.\n\nSport.\nSci.\nL'Etna si presta particolarmente agli sport invernali quali sci alpino, sci di fondo, scialpinismo, snowboard, sleedog. L'abbondante innevamento consente l'apertura stagionale degli impianti delle due stazioni sciistiche presenti (una nel versante sud e l'altra in quello nord) in genere dalla metà di dicembre a primavera inoltrata. Nel versante sud (Etna Sud), dal Rifugio Giovannino Sapienza (Nicolosi) si può usufruire di una cabinovia da 6 posti, di una seggiovia biposto e di tre skilift per raggiungere le piste. Il comprensorio meridionale offre circa 10 km di piste. Il versante nord (Etna Nord, Piano Provenzana, Linguaglossa, situato a 1 825 m), è dotato invece di tre skilift e di una seggiovia. Nel versante est è presente il rifugio Citelli, in comune di Sant'Alfio.\nEntrambe le stazioni sciistiche hanno subito, in due eruzioni differenti, la quasi totale distruzione delle strutture da parte di colate laviche. In particolare le piste di Nicolosi sono state danneggiate dall'eruzione dell'estate del 2001 quando una colata lavica ha distrutto la stazione d'arrivo della funivia e il centro servizi passando a pochi metri dallo stesso 'Rifugio Sapienza'. Le piste di Piano Provenzana sono state colpite dalla colata dell'autunno del 2002. Tuttavia dopo qualche anno di interruzione è avvenuta l'apertura degli impianti.\nNegli anni settanta del XX secolo le piste del versante sud hanno accolto la Tre giorni Internazionale dell'Etna, gara di sci alpino che vedeva alla partenza grandi nomi dello sci alla fine delle gare della Coppa del Mondo di sci alpino.\n\nEscursionismo.\nIl vulcano è meta frequente per l'escursionismo sia montano sia legato all'attività vulcanica.\n\nAlpinismo.\nIl Monte Etna, nell'antichità, fu meta di una visita dell'imperatore Adriano e la leggenda narra che fu anche il luogo di morte del filosofo Empedocle. Negli anni trenta la Valle del Bove, lungo il versante orientale dell'Etna, fu meta di alcuni alpinisti che esplorarono alcuni speroni rocciosi tracciandovi brevi itinerari poi caduti nell'oblio. Negli anni successivi l'evoluzione dei materiali e dell'arrampicata (soprattutto quella su ghiaccio) ha portato all'esplorazione sistematica delle pieghe della valle con l'apertura di grandiosi itinerari che sono tra i più lunghi e completi del Mezzogiorno d'Italia quali Serra Cuvigghiuni (1 000 m, AD ma con passi fino al VI-); Serra Giannicola Grande (1 000 m, PD+); Cenerentola (300 m, AD) e molti altri.\n\nCiclismo.\nLa salita Sud-Est dell'Etna fino al Rifugio Sapienza (circa 1 900 m s.l.m.) dalla costa catanese, classificabile come salita lunga e dalle medie pendenze, presenta un dislivello di circa 1 850 m con pendenze medie del 6-7% ed è una delle salite più dure del Centro-Sud Italia. Oltre il Rifugio Sapienza la salita prosegue tortuosa su terreno sterrato per altri mille metri di dislivello circa fino alla Torre del Filosofo (2 900 m circa) che ne fanno complessivamente la salita con il più elevato dislivello in Europa assieme al Pico del Veleta in Spagna, al Teide nelle Isole Canarie e al Colle della Bonette in Francia. L'Etna conta molteplici versanti di ascesa, quelli più noti sono sette di cui cinque posti sul versante Sud e due sul versante Nord-Est.\nDal 2019 è attivo il Parco Ciclistico Etna che mette in palio dei brevetti speciali per coloro che riescono a completare da uno a sette versanti in un unico giorno solare.\n\nGiro d'Italia.\nIl Giro d'Italia è arrivato sull'Etna in diversi arrivi di tappa:.\n\nNel 2011 Contador è stato successivamente squalificato. La vittoria di tappa è passata a José Rujano (Venezuela).Dal 1980 al 2004 è esistito, in ambito professionistico, il Giro dell'Etna.\n\nCorsa a piedi.\nIl 22 agosto 1982, per la prima volta, venne corsa una maratona di beneficenza; i partecipanti indossavano una maglia bianca con la scritta Corri Catania.Dal 2004, il vulcano è sede della SuperMaratona dell'Etna, maratona difficile con i suoi tremila metri di dislivello. La manifestazione sportiva parte dalla spiaggia di Marina di Cottone sul livello del mare e si conclude, appunto, sul vulcano a quota tremila.\nDal 2010, intorno a metà luglio, sull'Etna si corre l'Etna Trail, insieme di gare di trail running su diverse distanze, dai 12 ai 94 km.\n\nAutomobilismo.\nSulle strade del versante sud si è disputata, sin dal 1924, una gara automobilistica, la Cronoscalata Catania-Etna con partenza da Catania. Motivi di sicurezza e di circolazione suggerirono in seguito di spostare il punto di partenza a nord di Nicolosi.\n\nNell'arte e nella cultura.\nMitologia.\nLe eruzioni regolari della montagna, a volte drammatiche, l'hanno resa un soggetto di grande interesse per la mitologia greca e romana e le credenze popolari che hanno cercato di spiegare il comportamento del vulcano tramite i vari dei e giganti delle leggende romane e greche.\nA proposito del dio Eolo, il re dei venti, si diceva che avesse imprigionato i venti sotto le caverne dell'Etna. Secondo Esiodo e il poeta Eschilo, il gigante Tifone fu confinato nell'Etna e fu motivo di eruzioni. Un altro gigante, Encelado, si ribellò contro gli dei, venne sconfitto da Atena e sepolto sotto un enorme cumulo di terra che la dea raccolse dalle coste del continente. Encelado soccombette, si appiattì e divenne l'isola di Sicilia. Si racconta che il suo corpo sia disteso sotto l'isola con la testa e la sua bocca sotto l'Etna che sputa fuoco a ogni grido del gigante. Di Encelado sepolto sotto l'Etna parla pure Virgilio. Su Efesto o Vulcano, dio del fuoco e della metallurgia e fabbro degli dei, venne detto di aver avuto la sua fucina sotto l'Etna e di aver domato il demone del fuoco Adranos e di averlo guidato fuori dalla montagna, mentre i Ciclopi vi tenevano un'officina di forgiatura nella quale producevano le saette usate come armi da Zeus. Si supponeva che il 'mondo dei morti' greco, il Tartaro, fosse situato sotto l'Etna.\n\nSi racconta che Empedocle, un importante filosofo presocratico e uomo politico greco del V secolo a.C., si gettò nel cratere del vulcano per scoprire il segreto della sua attività eruttiva. Il suo corpo sarebbe stato in seguito restituito dal mare al largo della costa siciliana, anche se in realtà sembra che sia morto in Grecia.\nRe Artù risiederebbe, secondo la leggenda, in un castello sull'Etna, il cui celato ingresso sarebbe una delle tante e misteriose grotte che la costellano. Il mitico re dei Britanni appare anche in una leggenda, quella del cavallo del vescovo, narrata da Gervasio di Tilbury. Secondo una leggenda inglese l'anima della regina Elisabetta I d'Inghilterra risiederebbe nell'Etna, a causa di un patto che lei avrebbe fatto col diavolo in cambio del suo aiuto per governare il regno.\n\nLetteratura.\nL'Etna ha ispirato nell'antichità diverse opere letterarie, tra cui la Teogonia di Esiodo e una perduta tragedia di Eschilo, intitolata Le Etnee, il dramma satiresco Il ciclope di Euripide, ispirato alla figura omerica di Polifemo e ambientato alle balze dell'Etna, e il poemetto pseudovirgiliano Aetna compreso all'interno dell'Appendix Vergiliana. Da menzionare poi nel Rinascimento il De Aetna, un saggio in latino di Pietro Bembo, in cui la descrizione del vulcano e della sua ascensione è un pretesto per discutere dei classici. L'Etna ha poi ispirato anche diverse poesie nell'età moderna; esempi significativi possono essere la Fábula de Polifemo y Galatea, opera scritta nel 1616 da Luis de Góngora ispirata alla leggenda di Aci e Galatea e ambientata in una caverna etnea, A' piè dell'Etna di Alfio Belluso e All'Etna di Mario Rapisardi.\nÈ stata anche citata nel primo monologo di Segismundo ne La vida es sueño di Pedro Calderón de la Barca, come metafora della forza umana.\nLa salita sul vulcano viene descritta negli ultimi capitoli del libro Il Bel Paese di Antonio Stoppani.\nNel 2021 La nave di Teseo ha pubblicato 'Il sangue della Montagna' di Massimo Maugeri, romanzo ambientato sull'Etna e che indaga sul rapporto tra uomo e vulcano (candidato all'edizione 2022 del Premio Strega da Maria Rosa Cutrufelli).\n\nOsservatorio astronomico.\nSull'Etna è presente l'Osservatorio astronomico di Serra la Nave nel territorio di Ragalna, una struttura dedicata all'osservazione del cielo sul visibile.\n\nLuoghi di culto.\nInfluenza culturale.\nAll'Etna sono stati intitolati il Mongibello Mons su Io, un satellite naturale di Giove, e un asteroide, 11249 Etna. La sagoma del vulcano figura inoltre negli stemmi comunali di diversi comuni della città metropolitana di Catania: Adrano, Belpasso, Mascalucia, Milo, Misterbianco, Nicolosi, Piedimonte Etneo, Ragalna, Santa Venerina, Tremestieri Etneo e Zafferana Etnea.\n\nGalleria d'immagini.\nEruzioni storiche.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nXXI secolo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Etra (figlia di Pitteo).\n### Descrizione: Etra (in greco antico: Αἴθρα?, Áithrā, 'serenità', 'cielo splendente') è un personaggio della mitologia greca moglie di Egeo e madre di Teseo.\n\nMitologia.\nFiglia di Pitteo il re di Trezene fu data in moglie ad Egeo il re di Atene da cui ebbe come figlio Teseo.\nSecondo altre versioni i padri di Teseo sarebbero Poseidone e Climeno.\nEtra ricevette il compito di custodire lo scudo, la spada ed i calzari di Egeo sotto una roccia con l'impegno di consegnare tali oggetti a Teseo una volta divenuto adulto ed in grado di combattere.\nDopo la salita al trono di Atene di Teseo, Etra fu catturata dai Dioscuri nella guerra che essi mossero contro suo figlio per recuperare Elena. Ridotta al ruolo di servitrice della principessa, che seguì con Tisadia a Troia, fu liberata solo alla presa della città su richiesta dei nipoti Demofonte e Acamante. Secondo un'ulteriore fonte, Etra fu condotta direttamente a Troia, dove accudì il figlio della principessa Laodice e di suo nipote Acamante, per poi divenire, una volta che la regina di Sparta giunse presso la città, schiava di quest'ultima." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Etra (moglie di Falanto).\n### Descrizione: Etra è una figura della mitologia greca, moglie dell'eroe spartano Falanto.\n\nMito.\nEtra viaggiò con suo marito Falanto e l'esercito di Partheni per fondare la loro unica colonia spartana, l'attuale Taranto.\nPrima di partire, Falanto consultò l'Oracolo di Delfi alla ricerca di un responso circa il proprio futuro. L'oracolo di Apollo, tramite la Pizia, così sentenziò:.\n'Vi concedo di abitare Saturo e siate la rovina degli Iapigi.'Falanto chiese anche un segno con cui capire quando sarebbe giunto il momento opportuno, e l'oracolo sentenziò:.\n'Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città.'Raggiunte le terre degli Iapigi, venne un giorno in cui le ambizioni e le delusioni di Falanto, lo videro sedere per terra con il capo poggiato sulle ginocchia della moglie, la quale stanca e scoraggiata, cominciò a piangere e a bagnarlo con le sue lacrime. Ma il nome della moglie Etra (in greco antico Αἴθρα) ha proprio il significato di 'cielo sereno', per cui Falanto comprese che le parole dell'oracolo erano riferite alle lacrime della moglie. Si accinse quindi a fondare la sua città partendo proprio dalla zona di sbarco, Saturo, località ancora esistente a pochi chilometri da Taranto, in cui si trova un'un'importante zona archeologica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Età dell'argento.\n### Descrizione: Età dell'argento è un nome spesso dato a un periodo particolare all'interno di una storia successiva all'età dell'oro mitologica della quale è una replica, essendo altrettanto prestigiosa e ricca di eventi, ma meno della precedente. In molte culture l'argento è generalmente prezioso ma meno dell'oro.\n\nMito greco.\nL'età dell'argento originale (Αργυρόν Γένος) è stata la seconda delle cinque 'età dell'uomo' descritte dall'antico poeta Esiodo nel suo poema Le opere e i giorni, dopo l'età dell'oro e prima dell'età del bronzo. Queste persone vivevano per cento anni da bambini senza crescere, poi improvvisamente invecchiavano e poco dopo morivano. Zeus distrusse queste persone, a causa della loro empietà, nel diluvio ogigiano.\nDopo che Crono fu esiliato, il mondo fu governato da Zeus. Come risultato del fatto che Pandora versava i mali sul mondo, nacque una seconda generazione di uomini e l'età fu chiamata d'argento perché la razza umana era meno nobile di quella dell'età dell'oro.\nNell'età dell'argento Zeus ridusse la primavera e ricostruì l'anno in quattro stagioni, così che gli uomini, per la prima volta, cercarono rifugio nelle case e dovettero faticare per rifornirsi di cibo.\nFurono seminati i primi semi di grano poiché ora l'uomo doveva provvedere al proprio cibo. Un bambino cresceva a fianco di sua madre per cento anni, ma l'età adulta durava poco. Essendo meno nobile dell'età dell'oro, l'umanità non poteva trattenersi dal combattersi, gli uni contro gli altri, né onorare e servire adeguatamente gli immortali. Le azioni della seconda generazione fecero infuriare Zeus, che per punizione la distrusse.\n\nAltre età dell'argento.\nIl termine è stato applicato a una serie di altri periodi successivi all''età dell'oro', tra cui:.\n\nIl Treta Yuga nella suddivisione vedica delle età del mondo.\nL'età dell'argento della letteratura latina.\nL'età dell'argento della poesia russa.\nThe Silver Age of Comic Books, la serie del 2000 DC Comics Silver Age prende il nome dal periodo.\nL'età dell'argento dell'alpinismo.\n\nVoci correlate.\nEtà dell'oro.\n\nCollegamenti esterni.\nMitologia greca: Silver Age.\nAbout.com: Hesiod's Ages of Man Archiviato il 24 ottobre 2005 in Internet Archive." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Età dell'oro.\n### Descrizione: L'età dell'oro (o età aurea) è un tempo mitico di prosperità e abbondanza, ricorrente in varie tradizioni antiche, come quella greca, corrispondente nell'induismo al satya yuga. L'espressione italiana ricalca il latino aurea aetas.Secondo le leggende, durante l'età dell'oro gli esseri umani vivevano senza bisogno di leggi, né avevano la necessità di coltivare la terra poiché da essa cresceva spontaneamente ogni genere di pianta. Non esisteva la proprietà privata, non c'era odio tra gli individui e le guerre non flagellavano il mondo. Era sempre primavera e il caldo ed il freddo non tormentavano la gente, perciò non c'era bisogno di costruire case o di ripararsi in grotte. Con l'avvento di Giove finisce l'età dell'oro e ha inizio l'età dell'argento.\n\nLa visione di Esiodo.\nL'idea di un''epoca dorata' compare per la prima volta nel poema Le opere e i giorni di Esiodo (metà dell'VIII secolo a.C.).\nSecondo il poeta si tratta della prima età mitica, il tempo di «un'aurea stirpe di uomini mortali», che «crearono nei primissimi tempi gli immortali che hanno la dimora sull'Olimpo. Essi vissero ai tempi di Crono, quando regnava nel cielo; come dèi passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro […] tutte le cose belle essi avevano» (Le opere e i giorni, versi 109 e seguenti).Esiodo descrive altre quattro ere che sarebbero succedute all'età dell'oro in ordine cronologico:.\nl'età dell'argento,.\nl'età del bronzo,.\nl'età degli eroi.\nl'età del ferro.Tale involuzione della condizione umana imposta da Zeus è dovuta alla creazione, ad opera degli dèi, di Pandora, la prima donna, donata all'uomo perché fosse punito dopo aver ricevuto dal Titano Prometeo il fuoco, rubato da quest'ultimo agli dèi. Pandora ha un ruolo simile a quello di Eva nei testi biblici: come Eva, a causa del peccato originale, nega all'uomo la vita felice nell'Eden, così Pandora apre un otre nel quale erano segregati tutti i mali che durante l'età dell'oro erano sconosciuti dagli uomini.\n\nLa visione di Virgilio.\nVirgilio teorizza nella quarta egloga delle Bucoliche l'arrivo di un misterioso fanciullo. L'avvento di questo puer è caratterizzato dall'arrivo di una nuova età dell'oro, facendo così propria una visione ciclica della storia, scandita dalle età teorizzate da Esiodo precedentemente.In tale egloga egli espone l'argomento in modo volutamente oscuro e incomprensibile: tale puer potrebbe essere identificato o in Ottaviano, o nel figlio che si sperava nascesse dal matrimonio tra Ottavia, sorella di Ottaviano, e Marco Antonio, o ancora nel console Pollione, o suo figlio.\nIn epoca augustea il mito dell'età dell'oro assume anche importanza specifica come fattore di propaganda politica. In epoca augustea l'età dell'oro rappresenta l'idealizzazione della nuova realtà politica:.\n\n\nIl regno di Saturno succede a un tipo di società quasi ferina. Saturno è presentato come sinecista, come ordinatore politico e legislatore, soprattutto come garante della pace, compromessa dalla belli rabies e dall'amor habendi dell'età successiva. La figura così caratterizzata di Saturno anticipa quella di Augusto, che avrebbe appunto riportato gli aurea saecula secondo la profezia di Anchise prima citata (Eneide, 6, 791-95).\nNel suo poema didascalico, le Georgiche (I, vv. 121-54), Virgilio riprende il tema dell'evolversi del mondo dall'età dell'oro all'età del ferro, anzi dal regno di Saturno (ante Iovem) al regno di Giove.\nSecondo i Cristiani del I secolo d.C., tale figura è da identificare in Cristo, tant'è che lo stesso Dante Alighieri sceglierà Virgilio come guida spirituale nell'Inferno e nel Purgatorio, proprio per la predizione del poeta.\nSecondo Karl Büchner, il puer predetto da Virgilio sarebbe solo il simbolo della generazione aurea di cui si attende l'arrivo, e non un bambino storicamente esistito. Inoltre, questa ipotesi sarebbe convalidata dal fatto che Virgilio, nella IV ecloga, diviene interprete del comune desiderio di rigenerazione e di miglioramento che i romani dell'età tardo repubblicana provavano.\nCertamente in questa quarta ecloga, pare chiara la necessità di un rinnovamento e di una rigenerazione dalle lotte civili del 50 a.C., possibile grazie alla probabile riconciliazione tra Ottaviano e Antonio, che sembrava preannunciare l'avvento di una nuova era di pace.\n\nLa fortuna letteraria e storica.\nLa concezione di Esiodo ebbe fortuna per tutta l'antichità e ritorna ad esempio nell'opera di Platone e del poeta romano Publio Ovidio Nasone. Quest'ultimo scrive nelle sue Metamorfosi:.\n\nIl poeta Tibullo nella terza elegia del primo libro narra di aver lasciato Roma a malincuore per seguire Messalla in Oriente. Gravemente ammalatosi, il senso della solitudine e della lontananza fa scattare l'appassionata rievocazione del tempo di Saturno, quando la terra non aveva ancora aperto le vie ai lunghi viaggi (vv. 35-50). Nel carme 64 di Catullo vi è, specie nell'epilogo, una opposizione fra l'età vissuta dal poeta e l'età mitica degli eroi. Al mitico passato, rispettoso della pietas, il poeta oppone il presente, che ha rifiutato la giustizia e ha meritato l'abbandono da parte degli dei.\nIn Seneca tragico (Phaedra, 525-27) l'età dell'oro rappresenta il paradigma ideale su cui Ippolito proietta lo stato felice della vita agreste. Il mito dell'età dell'oro è sfruttato in chiave moralistica da Giovenale all'inizio della satira sesta (qui la decadenza dell'umanità è vista come l'allontanamento dalla terra della Pudicitia personificata).\nIl concetto di età dell'oro è stato ripreso da Dante nella Divina Commedia. Dante si limita ad esprimere il suo pensiero al riguardo del paradiso terrestre che, a parer suo, era il luogo a cui si riferivano gli antichi greci. Come sua abitudine non esprime direttamente queste considerazioni, ma le fa pronunciare ad una fanciulla che incontra e che si rivelerà chiamarsi Matelda (Dante, Divina Commedia, Purgatorio - Canto ventottesimo, 139-144).\nOltre che nell'antichità, il tema dell'età dell'oro fu ripreso nel Cinquecento e nel Settecento. La sua ambientazione viene nel Rinascimento ripresa anche da Iacopo Sannazzaro nella sua Arcadia, e rimarrà come tema popolare non solo di tipo leggendario e utopico, ma anche politico, ad esempio in Rousseau come progetto di ritorno a uno stato di natura.\nAnalogamente nell'esoterismo moderno l'età dell'oro viene ricondotta ad una condizione primordiale di contatto diretto dell'umanità col mondo celeste, un'epoca di innocenza e beatitudine simile all'infanzia, talora collocata in continenti ancestrali come Lemuria e Atlantide, dopo la quale sarebbe scaturita un'inevitabile e progressiva decadenza, ma di cui resta un bagliore nelle dottrine e nelle tradizioni spirituali tramandatesi fino ad oggi: l'origine di questa sapienza perenne sarebbe appunto di natura non storica né umana, bensì divina." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eubuleo.\n### Descrizione: Nell'antica religione greca e nella mitologia greca, Eubuleo (in greco antico: Εὐβουλεύς?, Eubouléus, 'buon consigliere' o 'saggio nel consiglio') è un dio conosciuto principalmente da inscrizioni devozionali di religioni misteriche. Il nome appare molte volte nel corpus delle cosiddette lamine orfiche, scritto variamente, con forme come Εὔβουλος, Εὐβούλεος e Εὔβολος. Potrebbe essere l'epiteto di un dio fondamentale nell'Orfismo, come Dionisio o Zagreo, o di Zeus in un'inusuale associazione con i misteri eleusini. Gli studiosi della fine del XX secolo e degli inizi del XXI avevano iniziato a considerare Eubuleo indipendentemente come 'un dio maggiore' delle religioni misteriche, basandosi sulla sua preminenza nelle iscrizioni. La sua raffigurazione nell'arte come un portatore di fiaccola suggerisce che il suo ruolo fosse di guidare le anime fuori dall'Ade.\n\nGenealogia e identità.\nI testi letterari forniscono solo scarse testimonianze riguardo a Eubuleo. Egli non è menzionato nell’Inno Omerico a Demetra. Differenze tra genealogie e identificazioni incrociate con altri dei portano a domandarsi se tutte le fonti che usano una forma del nome si riferiscano al dio. Diodoro Siculo dice che era figlio di Demetra e padre di Carme, e perciò nonno di Britomarti. Una delle tavole orfiche lo identifica come figlio di Zeus, così come fa anche uno degli Inni orfici. Esichio di Alessandria lo identifica con Plutone, che è anche acclamato come Euboulos nell’Inno Orfico a Plutone, ma altri contesti distinguono tra i due.\n\nNell'arte.\nNelle raffigurazioni Eubuleo assomiglia a Iacco. Infatti entrambi sono spesso rappresentati con un'espressione 'sognante' o 'mistica' e con lunghi capelli acconciati in maniera particolare, ed entrambi sono raffigurati come portatori di fiaccole. Eubuleo è qualche volta identificato come una delle figure sulla cosiddetta Regina Vasorum ('Regina dei Vasi'), un'hydria della metà del IV secolo a.C. proveniente da Cuma, che raffigura varie figure dai miti eleusini.Una testa di una scultura perlopiù attribuita all'artista ateniese Prassitele è stata a volte identificata con Eubuleo. Scoperta dagli archeologi nel 1883 nel Ploutonion di Eleusi, potrebbe rappresentare Trittolemo. In alternativa, la testa potrebbe essere un ritratto idealizzato di Alessandro Magno, o forse di Demetrio I Poliorcete, in quanto combacia bene con la descrizione fattane da Plutarco. L'identificazione con Eubuleo si basa sul confronto con altre teste di sculture che hanno il nome iscritto, e sulla presenza del nome su una base trovata separatamente, ma anche all'interno del Ploutonion di Eleusi.\n\nMito.\nGli scolii a Luciano affermano che Eubuleo era un guardiano dei porci che dava da mangiare ai suoi maiali vicino all'entrata dell'Ade quando Persefone fu rapita da Ade. I suoi maiali era stati inghiottiti dalla terra insieme a lei. Lo scoliaste presenta questo elemento narrativo come un aition per il rituale celebrato durante le Tesmoforie in cui dei maialini venivano gettati dentro un pozzo sacrificale (megaron) dedicato a Demetra e Persefone. Le donne che partecipavano al rituale, chiamate 'attingitrici' (ἀντλήτριαι, antlêtriai), poi si calavano dentro il pozzo e recuperavano i resti putrefatti, che venivano posti sugli altari, mescolati con dei semi, e infine piantati. Pozzi ricchi di materia organica ad Eleusi sono stati usati come prova per il fatto che le Tesmoforie fossero celebrate lì, come in anche in altri demi dell'Attica.\nIn linea con il suo approccio ritualistico al mito e con altre sue opinioni nel Il ramo d'oro, James Frazer pensò che i maiali, invece di accompagnare semplicemente Persefone nella sua discesa nell'Ade, fossero un elemento originale della storia e rappresentasero lo 'spirito del grano' che sara più tardi antropomorfizzato nella figura della giovane dea.\n\nRuolo nel culto.\nIl 'Decreto dei primi frutti' (V secolo a.C.) richiede sacrifici per Demetra, Kore ('La fanciulla', solitamente identificata come Persefone) e Trittolemo, Theos (Dio), Thea (Dea) ed Eubolos. Un'iscrizione recante un bassorilievo di Lakrateides identifica la persona officiante la cerimonia come un sacerdote del dio e della dea — ovvero del Re e della Regina dell'oltretomba, in riferimento al culto misterico — e di Eubuleo. Nelle tavole orfiche, Eubuleo è invocato quattro volte insieme a Eucle ('Buona Fama'), in seguito a una dichiarazione nella prima riga alla Regina dell'oltretomba, Persefone. È invocato anche nel Papiro di Gurob di metà III secolo a.C.Poiché Eubuleo sembra essere un essere umano nella storia accennata dagli scolii a Luciano, egli è stato qualche volta considerato a eroe che veniva venerato con un culto, come sono Trittolemo e pure Iacco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euchenore.\n### Descrizione: Euchenore (in greco antico Εὐχήνωρ) è un personaggio della mitologia greca ed un combattente acheo che partecipò alla guerra di Troia all'interno dell'esercito degli Atridi.\n\nNella mitologia.\nLa profezia del padre.\nEuchenore, prode guerriero di Corinto, era figlio dell'indovino Polido, il quale aveva ricevuto dagli dei il dono della preveggenza.\nGià da fanciullo il padre l'aveva messo in guardia da una morte violenta, la quale lo avrebbe colpito solo se avesse accompagnato Agamennone e Menelao nella loro guerra contro Troia; nello stesso tempo, l'indovino gli rassicurava anche una morte piacevole nella sua casa, ma sempre a condizione che non avesse partecipato alla guerra.\nIl giovane rifiutò sin dall'infanzia queste raccomandazioni, ma anzi disse di voler preferire una morte gloriosa ad una ignominiosa e da reietto. In tal modo Polido non poté fare altro per convincere il figlio.\n\nNella guerra di Troia.\nQuando i fratelli Atridi passarono in rassegna le città achee per reclutare le truppe, Euchenore si offrì come volontario e 'ben conscio della Chera funesta', partì con le navi che provenivano da Corinto.\nL'eroe combatté nella guerra fino al decimo anno, rivelandosi molto più fortunato degli altri suoi compatrioti che erano morti in guerra precedentemente.\nLa profezia legata alla vita di Euchenore doveva comunque compiersi cosicché, durante i combattimenti presso le navi degli Achei, mentre il soldato lottava per difendere i suoi navigli dalle torce nemiche, venne trafitto da una freccia scagliata da Paride stesso, la causa della guerra, il quale volle vendicarsi della morte del suo amico Pilemene, eroe dei Paflagoni.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLa vicenda di Euchenore, vittima del destino e costretto a scegliere tra una morte serena, in patria, o violenta, nei combattimenti, è accomunata a numerose altre che riguardano gli eroi, per esempio lo stesso Achille." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eudoro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eudoro era figlio di Ermes e il secondo dei cinque generali di Achille nella guerra di Troia. Secondo l'Iliade, egli comandava dieci gruppi di cinquanta uomini ciascuno e cinquemila Mirmidoni. Nel libro XVI dell'Iliade, quando Patroclo prepara gli uomini di Achille, Omero parla di lui in quindici versi - molti di più rispetto agli altri generali nel passo. Egli è anche il secondo più importante dei cinque, battuto solo da Fenice.\nEudoro era figlio di Ermes e Polimela, la quale danzava nel coro di Artemide. Filante, padre di Polimela, si occupò del bambino dopo che la figlia sposò Echeclo. Eudoro era molto veloce, e un ottimo combattente. Il guerriero accompagnò Patroclo in guerra, ma cadde ucciso da Pirecme, il re dei Peoni. Patroclo, per vendicarlo, uccise a sua volta quest'ultimo.Una versione di Eudoro appare nel 2004 nel film Troy. Qui Eudoro è interpretato da Vincent Regan. Egli è il secondo comandante dei cinquanta Mirmidoni di Achille (non appare evidente che ce ne siano altri). È il più vecchio amico di Achille, e assume particolarmente il ruolo di Fenice come maestro e seguace di Achille. Quando i Greci arrivano la prima volta a Troia, la coppia dei due eroi infuria sulla spiaggia insieme. Egli cattura Briseide e la conduce da Achille. È presente quando Patroclo viene ucciso, e riferisce la notizia ad Achille. Achille, accecato dal dolore, lo percuote scaraventandolo a terra; egli più tardi si scusa e incita Eudoro ad abbandonarlo a Troia e di tornare a casa con i Mirmidoni." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eufemo (figlio di Poseidone).\n### Descrizione: Eufemo (in greco antico: Εὔφημος?, Eὔphēmos) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti e partecipò alla caccia del Cinghiale calidone.\n\nGenealogia.\nSecondo Igino era figlio di Poseidone e di Europa (figlia del gigante Tizio), altri autori citano diverse madri come Doris (figlia di Eurota) o Mecionice (figlia di Orione).\nSu alcuni scholia è annotato che fosse il marito di Laonome, sorella di Eracle.\nEbbe una figlia di nome Leucofane avuta da una donna di Lemno (Malicha, Malache, o Lamache) e che lo rese antenato di Batto, il fondatore di Cirene.\n\nMitologia.\nOriginario della Beozia visse a Taenarum in Laconia e si unì all'equipaggio degli Argonauti come timoniere.\nAvuta dal padre Poseidone la facoltà di camminare sulle acque si tuffò nelle acque delle Simplegadi per accertarsi che la nave potesse passarci.\n\nColonizzazione della Libia.\nEufemo è spesso citato nelle leggende della colonizzazione greca della Libia ed alla fondazione di Cirene, imprese che cercò di compiere dopo una profezia di Medea.\n\nPindaro.\nNel quarto libro delle Pitiche, Pindaro scrive che nel suo viaggio con gli Argonauti e durante una sosta presso il lago Tritonis in Libia, un altro figlio di Poseidone (Euripilo di Cirene) gli fece dono di una zolla di terra che lui accettò accordando di gettarla a terra una volta giunto di fronte all'entrata dell'Ade a Taenarum per ottenere che i suoi discendenti avrebbero governato la Libia dalla quarta generazione.\nMa la zolla fu sbarcata per errore dalla nave e portata a Thera e fu così che la Libia fu invece colonizzata da Batto di Thera, un suo presunto discendente dopo diciassette generazioni.\n\nApollonio Rodio.\nNe Le Argonautiche, Apollonio Rodio racconta invece che quando si fermarono presso il lago Tritonis fu Tritone a presentarsi come Euripilo e che solo più tardi gli avesse rivelato la sua vera identità.\nIn seguito Eufemo sognò di gocce di latte fuoriuscire dalla zolla di terra e che da ciò prendesse forma una donna con cui fece l'amore.\nSognò anche che la donna piangesse e che dopo le sue cure lei gli rivelasse di essere figlia di Tritone e di Libia e che lo avrebbe ricambiato prendendosi cura della sua progenie se lui l'avesse affidata alle cure delle Nereidi. Infine la donna gli promise che in futuro sarebbe tornata per fornire una casa ai suoi figli.\nEufemo rivelò il sogno a Giasone il quale gli disse di gettare la zolla in mare. Questa però non si sciolse ma si trasformò nell'isola di Calliste (Thera), che fu in seguito colonizzata dai discendenti di Eufemo già espulsi in precedenza da Lemno e che non furono accolti a Sparta.\nEufemo fu ritratto sul petto di Cipselo come il vincitore della corsa dei carri ai giochi funebri di Pelia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euforione (mitologia).\n### Descrizione: Euforione è un personaggio della mitologia greca, noto solo da fonti tarde (Tolomeo Efestione, Novae Historiae). Era figlio di Achille ed Elena, nato dopo la loro morte nelle Isole dei beati, o nei Campi Elisi.\nEra una creatura soprannaturale dotata di ali. Si narra che la sua bellezza suscitò l'amore di Zeus, che però il giovane rifiutò. Fuggì così nell'isola di Melo, dove fu fulminato da Zeus. Impietosite le ninfe lo seppellirono, ma per vendicarsi Zeus le trasformò in rane.\nSecondo una variante del mito, fu Elena, divenuta dea dopo la morte, a discendere negli Inferi attratta dall'ombra di Achille per giacere con lui, generando così il semi-dio Euforione.\nI personaggi di Elena ed Euforione, seppure con molte varianti, sono ripresi da Johann Wolfgang von Goethe nel suo Faust." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eufrosine.\n### Descrizione: Eufròsine (dal greco gioia e letizia o serena letizia; in greco antico: Εὐφροσύνη?, Euphrosýnē) è una figura della mitologia greca e viene definita dea della Castità.\n\nMitologia.\nÈ una delle tre Grazie (mitologia), o Cariti.\nCome Aglaia e Talia era figlia di Zeus e della ninfa Eurinome.\nIn quanto musa, è citata da Ugo Foscolo ne Le Grazie, Inno terzo, Pallade: 'E a me un avviso / Eufrosine, cantando / Porge, un avviso che da Febo un giorno / Sotto le palme di Cirene apprese ...'.Viene inoltre rappresentata nella Primavera di Sandro Botticelli insieme alle altre due Grazie e a Venere." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eumede.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eumede era il nome di uno dei figli di Eracle e di Lise.\n\nIl mito.\nEracle durante i suoi viaggi si innamorò di Procri, una delle figlie di Tespio, e volle giacere con lei. Il padre invece voleva che l'eroe ingravidasse tutte le sue cinquanta figlie, che a turno ogni notte sostituivano Procri. Da tale unione, avuta con Lise, nacque Eumede, che diventato adulto si stabilì a Troia.\nEgli ebbe sei figli, cinque femmine (tra cui Acallaride) ed un maschio, Dolone, che partecipò alla guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eumelo di Fere.\n### Descrizione: Eumelo di Fere, figlio di Admeto e di Alcesti, e re di Fere, fu sposato con Iftime (sorella di Penelope).\nEra uno dei pretendenti di Elena al giuramento di Tindaro e prese parte con undici navi alla guerra di Troia.\nContese il premio della corsa dei carri nei giuochi funebri dati da Achille in onore di Patroclo; sarebbe stato vincitore con le cavalle nutrite dallo stesso Apollo, se ad opera di Atena, fautrice di Diomede, non gli si fosse spezzato l'asse del carro.\n\nNella cultura di massa.\nEumelo di Fere appare, insieme ad altri personaggi legati alle vicende della guerra di Troia, nel romanzo Il mio nome è Nessuno-il giuramento, primo della trilogia Il mio nome è Nessuno, di Valerio Massimo Manfredi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eumolpo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eumolpo (in greco antico: Εὔμολπος?, Èumolpos) era il figlio di Poseidone e Chione (o di Hermes e Aglauro). Secondo alcuni autori, era invece figlio di Museo, discepolo di Orfeo.\n\nIl mito.\nSecondo la Bibliotheca, dello Pseudo-Apollodoro, Chione, figlia di Borea e di Oritia, incinta di Eumolpo da Poseidone, spaventata dalla reazione di suo padre, gettò il bambino nell'oceano. Poseidone si prese cura di lui e lo portò sulle rive dell'Etiopia, dove Bentesicima, una figlia di Poseidone ed Anfitrite, crebbe il bambino, che sposò poi una delle due figlie di Bentesicima, avute da suo marito Etiope. Eumolpo tuttavia amava l'altra figlia e fu esiliato per questo. Si recò allora con suo figlio Ismaro in Tracia. Lì, fu scoperto quale complice di un complotto volto a rovesciare il re Tegirio, e perciò si rifugiò ad Eleusi.\nAd Eleusi, Eumolpo divenne uno dei primi sacerdoti di Demetra ed uno dei fondatori dei Misteri Eleusini. Egli iniziò a tali misteri l'eroe Eracle.. Quando Ismaro morì, Tegirio andò a cercare Eumolpo; i due si riappacificarono ed Eumolpo ereditò il regno di Tracia.. Eumolpo era un eccellente musicante e cantore; suonava l'aulos e la lira. Egli vinse una gara musicale ai giochi funebri in onore di Pelia ed insegnò la musica ad Eracle.\nDurante una guerra tra Atene ed Eleusi, Eumolpo si schierò con Eleusi. Suo figlio, Immarado, fu ucciso dal re di Atene Eretteo. Secondo alcune fonti, Eretteo uccise anche Eumolpo, e Poseidone chiese a Zeus di vendicare la morte di suo figlio. Zeus, allora, uccise Eretteo con un fulmine; secondo altri, Poseidone spaccò la terra ed inghiottì Eretteo. Eleusi perse la battaglia contro Atene ma gli 'Eumolpidae' e i 'Kerykes', due famiglie di sacerdoti di Demetra, continuarono i Misteri Eleusini. Fu il figlio minore di Eumolpo, Cerice, a fondare entrambe le stirpi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euneo.\n### Descrizione: Euneo, nella mitologia greca, era il figlio di Giasone e della regina di Lemno, Ipsipile.\nAlla morte della madre regnò sull'isola. Durante la guerra di Troia fornì vino agli Achei.\nDa Achille comprò Licaone, figlio di Priamo, riscattato poi da Eezione d'Imbro.\n\nFonti.\nPseudo-Apollodoro, Bibliotheca, 1. 9. 17.\nIgino, Fabulae, 15; 273.\nOvidio, Heroides, 6. 119.\nPublio Papinio Stazio, Thebaide, 6. 464.\nOmero, Iliade, 7. 465 ; 23. 747." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eunomia (mitologia).\n### Descrizione: Eunomia (in greco antico: Εὐνομία?, Eunomía) è, secondo la mitologia greca, una delle Ore e figlia di Temi e Zeus. Il poeta greco Alcmane la nomina invece come figlia di Prometeo e sorella di Tiche e Peito.\nEra una divinità connessa con la legge e la legislazione. Nella mitologia romana aveva il nome di Disciplina." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eupalamo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Eupalamo (in greco antico: Εὐπαλάμος) era il nome di uno dei figli di Metione.\n\nIl mito.\nSecondo una versione del mito era il padre di Dedalo. In altre fonti gli sono attribuiti padri diversi: Palamone o il figlio stesso di Eupalamo Metione (infatti secondo una versione minore Eupalamo non era il figlio di Metione ma il padre).\nEbbe una figlia, Metiadusa." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euprassia (mitologia).\n### Descrizione: Euprassia (in greco Eὐπραξία), nell'antica religione greca, era la personificazione del benessere. È stata citata una volta da Eschilo, che cita un proverbio secondo il quale Euprassia è la figlia di altri due personificazioni, Peitharchia e Soter." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eurialo (argonauta).\n### Descrizione: Eurialo (in greco antico: Εὐρύαλος?) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti e partecipò alla guerra di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Mechisteo re di Argo.\n\nMitologia.\nEra uno dei sette Epigoni che dopo la morte di suo padre Mechisteo, caduto nella guerra dei sette contro Tebe, cercò di vendicarlo ritentando lui stesso l'impresa.\nQuando Giasone in seguito partì alla caccia del vello d'oro, chiedendo l'aiuto di tutti gli eroi disponibili all'epoca, Eurialo rispose all'appello salpando con lui sulla nave Argo.\n\nDopo le avventure degli Argonauti.\nDurante la guerra di Troia, accompagnò Diomede, figlio di Tideo e di Deipile, e Stenelo figlio di Capaneo. Tra i troiani da lui uccisi ci furono i due figli di Bucolione." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euribaro.\n### Descrizione: Euribaro (in greco antico: Εὐρύβαρος?, Eurybaros), noto anche come Euribato (Εὐρύβατος) o Euribate (Εὐρυβάτης), è un personaggio della mitologia greca, figlio dell'eroe Eufemo e discendente della divinità fluviale Axios.\n\nMitologia.\nIl giovane Euribaro si imbatté nel bellissimo Alcioneo sulla strada che dalla città Krisa porta al monte Cirphis, dove avrebbe dovuto essere sacrificato per placare le ire della dragonessa Sibari. Euribaro si innamorò di Alcioneo a prima vista e chiese al bel giovane dove si stesse recando. Resosi conto di non poter aiutare l'amato nella lotta contro il mostro, Euribaro strappò la corona dal capo di Alcioneo, la indossò e diede ordine di essere condotto al luogo del sacrificio in sua vece.\nEntrato nella caverna, Euribaro afferrò Sibari, la trascinò fuori dalla sua grotta e la scagliò giù dalla rupe. Nel punto in cui il mostro colpì il terreno con la testa prima di volatilizzarsi sgorgò una fontana, che i locali battezzarono appunto Sibari." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Euridamante.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Euridamante era uno dei fieri membri dell'equipaggio di Argo, la nave alla cui guida Giasone partì alla conquista del vello d'oro.\n\nIl mito.\nNon si sa molto di Euridamante, detto il Dolopio, visto che veniva da Ctimene la città dei Dolopi, più precisamente dalle rive del lago Siniade. Egli era figlio di Ctimeno, il fondatore della città.\nPartecipò alla spedizione degli Argonauti senza però mettersi particolarmente in luce. In seguito si stabilì a Troia.\nEuridamante era famoso ed abile ad interpretare i sogni di chiunque ma non altrettanto bravo nel prevedere le sorti dei suoi figli Abante e Polido: infatti i due giovani, venuti in soccorso di Priamo con la benedizione del padre, furono uccisi da Diomede." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euridice (Anouilh).\n### Descrizione: Euridice (Eurydice) è una tragedia di Jean Anouilh, scritta nel 1941 e portata in scena per la prima volta a Parigi nel 1942. Ambientato negli anni 30, il dramma è una rivisitazione amaramente ironica del mito di Orfeo ed Euridice, in cui lo scetticismo sull'amore si fonde al misticismo.\n\nTrama.\nEuridice è la figlia della primadonna di una compagnia teatrale di terz'ordine, che aspetta alla stazione del treno di partire per la prossima tappa della tournée. Orfeo lavora come violinista nel ristorante della stazione e i due giorni si vedono e si innamorano a prima vista. Innamorata di Orfeo, Euridice rifiuta la advances di Matthew, un attore della compagnia e suo amante. Orfeo è disgustato dal fatto che Matthew abbia toccato la sua donna, ma Euridice lo rassicura di essere stata con solo due uomini prima di lui; il violinista è scettico e le fa notare che i suoi occhi cambiano colore quando mente. Intanto Matthew, con il cuore infranto, si getta sotto un treno e i due amanti fuggono per evitare il senso di colpa e la vergogna. I due vengono seguiti dal misterioso Monsieur Henri e da Dulac, l'impresario della compagnia. In una camera da letto Orfeo ed Euridice discutono su dove sia radicata l'identità di una persona, se nel passato o nel presente, e la giovane si sente a disagio quando realizza quanto importanza il violinista attribuisca al passato. Mentre Orfeo è fuori, Euridice riceve una lettera e quando l'amante torna la giovane esce, dicendo di dover sbrigare delle commissioni. Rimasto solo, Orfeo riceve la visita di Dulac, che afferma di essere un altro degli amanti di Euridice: Orfeo non gli crede, ma la discussione tra i due viene interrotta dall'arrivo della notizia che Euridice è stata uccisa in un incidente d'auto. Il sospetto insinuato in Orfeo da Dulac sembra trovare un riscontro nella morte della giovane: Euridice è stata uccisa non mentre andava al mercato (come aveva annunciato), ma mentre cercava di lasciare la città.\nIl misterioso Monsieur Henri, commosso dal dolore di Orfeo, fa un patto con lui: se Orfeo riuscirà a passare la notte fianco a fianco con Euridice alla stazione del treno senza guardarla mai negli occhi prima dell'alba allora potrà riavere l'amante in vita. Orfeo accetta e passa la notte accanto al fantasma di Euridice nella stazione; tuttavia, il violinista non riesce a resistere alla tentazione di farle domande su Dulac e quando Euridice nega di essere stata la sua amante, Orfeo non riesce a controllarsi e si volta per vedere dal colore degli occhi se sta mentendo. La donna ammette di essere stata l'amante di Dulac, ma la verità si rivela essere più oscura e intricata: Euridice andava a letto con l'uomo solo perché era costretta, dato che l'impresario minacciava di licenziare un'orfanella della compagnia se si fosse rifiutata. Orfeo viene raggiunto dall'agente di polizia che gli aveva comunicato la morte di Euridice il giorno prima: il poliziotto ha trovato una lettere della fanciulla sul luogo dell'incidente. Nella lettera, Euridice confessava che fuggiva perché sapeva che il suo passato promiscuo sarebbe sempre stato un problema per Orfeo, anche se il suo amore per lui l'aveva resa nuovamente pura. Il fantasma di Euridice scompare, lasciando Orfeo solo e sconvolto dal rammarico. Monsieur Henri lo consola dicendo che la relazione ideale che sognava con Euridice è ancora possibile, ma solo nella morte: se i due fossero rimasti insieme, infatti, entrambi avrebbero eventualmente sofferto per le delusioni dell'amore. Felice di potere essere felice con l'amata nell'aldilà, Orfeo si suicida e si ricongiunge felicemente ad Euridice, con cui starà insieme per l'eternità.\n\nAdattamento cinematografico.\nNel 2012 Alain Resnais ha diretto il film Vous n'avez encore rien vu, liberamente ispirato a due opere di Anouilh: Eurydice e Cher Antoine ou l'Amour raté." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Euridice (ninfa).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Euridice (pronuncia: /euriˈditʃe/; oppure, alla latina, /euˈriditʃe/; in greco antico: Εὐρυδίκη?, Eurydíkē) è una ninfa delle Amadriadi.\n\nMito.\nSposò Orfeo e morì per il morso di un serpente in un prato mentre correva tentando di sottrarsi alle attenzioni del pastore Aristeo.\nOrfeo, intonò canzoni così cariche di disperazione che tutte le ninfe e gli dei ne furono commossi.\nGli fu consigliato di scendere nel regno dei morti per tentare di convincere Ade e Persefone a far tornare in vita la sua amata, così fece e le sue canzoni fecero persino piangere le Erinni.\nAde e Persefone si convinsero quindi a lasciare andare Euridice, a condizione che Orfeo camminasse davanti a lei e non si voltasse a guardarla finché non fossero usciti alla luce del sole. Durante il viaggio Orfeo non si voltò poiché sapeva che, se lo avesse fatto, non avrebbe più rivisto la sua amata. Arrivato finalmente alla luce del sole, Orfeo si voltò per guardare la sua amata; Euridice, però, non era ancora completamente uscita dal regno dei morti e dunque, quando Orfeo posò gli occhi su di lei, fu trascinata di nuovo nel mondo dei morti. Disperato, Orfeo voleva tornare negli inferi, ma Ermes lo fermò spiegandogli che si era voltato troppo presto e che perciò aveva perso Euridice per sempre. Così Orfeo, desolandosi e piangendo, rimase muto e solo, senza mangiare né bere, finché non giunse alla fine dei suoi giorni.\n\nEuridice nell'arte.\nCinema.\nLa trilogia che il poeta, scrittore e regista francese Jean Cocteau dedica al mito greco: Il sangue di un poeta (Le sang d'un poète, 1930), Orfeo (Orphée, 1949) e Il testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée, 1960).\nOrfeo negro (1959), rivisitazione moderna del mito di Orfeo ed Euridice ambientata nel Brasile degli anni cinquanta.\nPelle di serpente (1960), di Sidney Lumet, con Marlon Brando e Anna Magnani, basato sul dramma teatrale Orpheus Descending di Tennessee Williams.\n\nLetteratura.\nEuridice, egloga di Ottavio Rinuccini musicata da Jacopo Peri e Giulio Caccini (1600).\nEuridice, poesia di Curzio Malaparte (1932).\nEurydice, dramma teatrale di Jean Anouilh (1941).\nOrpheus descending, dramma teatrale di Tennessee Williams (1958), versione moderna del mito ambientata nel profondo sud degli Stati Uniti.\nIl ritorno di Euridice, racconto di Gesualdo Bufalino incluso nella raccolta L'uomo invaso (1986).\nLei dunque capirà, racconto dello scrittore triestino Claudio Magris (2006).\n\nDanza.\nOrfeo ed Euridice, ballo di Florian Johann Deller.\n\nOpera.\nEuridice, melodramma di Jacopo Peri (1600).\nEuridice, melodramma di Giulio Caccini (1600).\nL'Orfeo, opera lirica di Claudio Monteverdi (1607).\nOrfeo ed Euridice, opera-ballo di Heinrich Schütz (1638).\nOrfeo ed Euridice, opera lirica di Christoph Willibald Gluck.\nOrfeo ed Euridice, opera lirica di Johann Gottlieb Naumann.\nOrpheus und Eurydike - Opera lirica di Ernst Křenek.\nL'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice, opera lirica di Franz Joseph Haydn.\nOrphée aux Enfers - Opera (o Operetta) di Jacques Offenbach.\n\nMusical.\nOrfeo ed Euridice, opera teatrale in musica rock di Nicola e Gianfranco Salvio 2007.\nHadestown, opera teatrale in musica folk di Anaïs Mitchell, 2010-2020.\n\nCanzone.\nEuridice, canzone dell'album Blumùn di Roberto Vecchioni, 1993.\nOrfeo, canzone dell'album Stato di necessità di Carmen Consoli, 2000.\nEuridice, canzone dell'album Profumo di Violetta di Gianluigi Trovesi, 2002.\nEuridice, canzone dell'album Cronache occidentali di Midrash.\nCaliti junku, canzone dell'album Apriti sesamo di Franco Battiato, 2012.\nAwful Sound (Oh Eurydice) e It's Never Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album Reflektor degli Arcade Fire, 2013." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Euridice (opera teatrale).\n### Descrizione: Euridice (Eurydice) è un'opera teatrale di Sarah Ruhl, debuttata a Madison nel settembre 2003. Il dramma racconta il mito di Orfeo ed Euridice con una particolare attenzione al potere della parola.\n\nTrama.\nPrimo movimento.\nOrfeo ed Euridice sono una coppia molto innamorata: lui è un talentuoso musicista, lei è un'accanita lettrice. Il ragazzo chiede a Euridice di sposarlo e nell'Oltretomba il padre defunto di Euridice scrive una lettera al futuro genero, ma non sa dove imbucarla. Orfeo ed Euridice si sono sposati e durante il ricevimento la ragazza si allontana per andare a bere a una fontana; qui incontra uno strano uomo che le dice di avere una lettera per lei da parte del padre ed Euridice lo segue al suo appartamento. Qui, la ragazza si sente a disagio e cerca di andarsene, ma cade dalle scale e muore.\n\nSecondo movimento.\nEuridice arriva nell'Oltretomba su un ascensore e prima che le porte si aprano dal soffitto piove acqua dal fiume della dimenticanza. Euridice entra ufficialmente nell'Oltretomba e viene accolta dal coro delle Tre Pietre; la fanciulla non ha più memoria del mondo dei vivi. Il padre di Euridice la trova e cerca di comunicare con lei, ma la ragazza non lo riconosce. Con pazienza e dedizione, il padre insegna di nuovo alla figlia a scrivere e ricordare, finché Euridice non ricorda tutta di Orfeo, del padre e del mondo che ha lasciato alle spalle. Il Signore dell'Oltretomba, un bambino su un triciclo, si invaghisce di lei; Orfeo le scrive lettere dal mondo dei vivi e le manda anche una copia delle Opere di William Shakespeare. Orfeo decide di andare a cercare la sua amata Euridice e, grazie al potere della sua musica, arriva fino alle porte dell'Inferno e bussa.\n\nTerzo movimento.\nIl Signore dell'Oltretomba concede a Orfeo di riportare Euridice nel mondo dei vivi ma alla condizione che non si volti mai a guardarla finché si trovano nel mondo dei morti. Euridice è estasiata, ma poi si rende conto che questo significa lasciare il padre ancora una volta e non si sente di compiere questa scelta: decide allora di chiamare il marito ad alta voce, Orfeo si volta e la perde per sempre.\nIl padre, intanto, è sopraffatto dal dolore di aver perso la figlia ancora una volta e si immerge nel fiume della dimenticanza per cancellare il ricordo di Euridice. Quando esce dal fiume, il padre ha dimenticato tutto e si addormenta. Euridice torna dal padre, lo trova addormentato e le Tre Pietre le raccontano cos'è successo. Il Signore dell'Oltretomba torna da Euridice e le dice di prepararsi per il loro imminente matrimonio. La fanciulla, desolata, scrive una toccante lettera a Orfeo e alla sua futura moglie, l'affida a un verme, e si immerge a sua volta nel fiume della dimenticanza. Orfeo, nel frattempo, è morto e arriva sull'ascensore, ma quando su di lui piove l'acqua del Lete si dimentica di tutto, anche della sua amata Euridice. Orfeo trova la lettera, la scruta, ma ha dimenticato come si legge.\n\nProduzioni.\nIl dramma ha debuttato a Madison, Wisconsin, nel settembre 2003 e da allora altre produzioni sono andate in scena a Berkeley, Yale, Atlanta, Filadelfia, Seattle, New York e Londra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eurileone (mitologia).\n### Descrizione: Eurileone o Eurileonte (in greco antico Ευρυλεων, Euryleon) è un oscuro personaggio della mitologia greca, anche se in realtà è legato perlopiù a quella romana. Il nome viene dai termini greci ευρυς (eurys, 'grande', 'vasto') e λεων (leon, 'leone'), e viene interpretato da alcune fonti come 'leone dall'ampia portata' (ossia 'che raggiunge anche chi è lontano').\nÈ menzionato da alcuni mitografi, come Egesianasse (citato da Dionigi), che attribuiscono all'eroe troiano Enea altri tre figli oltre al noto Ascanio: Eurileone, Rhomylos (Romolo) e Rhomos (Remo, quest'ultimo eponimo della città di Roma). Si tratta di una delle numerosissime varianti sulla leggenda di Enea, al quale vengono attribuiti di volta in volta un numero variabile di figli e figlie.\nSecondo Dionigi, Eurilone era invece semplicemente il nome originale di Ascanio, cambiato dopo la fuga da Troia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eurimede.\n### Descrizione: Eurimede (in greco antico: Εὐρυμήδη?, Eurümḕdē) o Eurinome (in greco antico: Εὐρυνόμη?, Eurünòmē), è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Megara.\n\nGenealogia.\nFiglia di Niso e Abrota, sposò Glauco.\nFu madre di Ipponoo (più conosciuto come Bellerofonte) avuto da Poseidone o dal marito Glauco e di Deliade (conosciuto anche come Alcimene o Peirene).\n\nMitologia.\nDonna saggia e di grande bellezza, imparò da Atena le arti della sapienza e del combattimento. Glauco le si propose come sposo ma Zeus stabilì che da lui non avrebbe mai potuto avere figli ed è per questo che (secondo Esiodo) Bellerofonte è figlio di Poseidone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eurinome.\n### Descrizione: Eurinome (in greco antico: Εὐρυνόμη?, Eurynómē) è un personaggio della mitologia greca. È un'oceanina e titanide nonché dea dei prati e dei pascoli d'acqua.\nPotrebbe essere identificata con la sposa di Ofione e sua omonima.\n\nGenealogia.\nFiglia di Oceano e di Teti ebbe da Zeus le Cariti.\nApollodoro, tra i figli della coppia aggiunge Asopo ma nello stesso passo in cui scrive di Asopo scrive anche di altri probabili genitori.\n\nMitologia.\nSi prese cura di Efesto (assieme a Teti) dopo che questo fu gettato dall'Olimpo dalla madre Hera. Eurinome e Teti lo allattarono sulle rive del fiume che circondava la terra (Oceano).\nPausania scrive che gli abitanti di Figaleia (una città dell'Arcadia) credevano che Eurinome fosse un nome relativo ad Artemide e che solo una volta all'anno commemoravano il giorno in cui raccolsero Efesto aprendo il santuario a lei dedicato, ma aggiunge che se lo Xoanon a lei dedicato la raffigurava con il corpo di pesce al posto delle gambe, era di sicuro figlia di Oceano e viveva nel mare, quindi non poteva essere come Artemide.\nPausania conferma ancora che questa divinità fosse collegata alle acque poiché scrive anche che era venerata alla confluenza dei fiumi Neda e Lymas.\n\nL'omonimia.\nLa sua omonima (e moglie di Ofione) è una titanide definita 'regina dei cieli'. Oltre alla comune origine divina, un'altra similitudine tra i due personaggi è il 'cadere nel fiume Oceano' che per questo personaggio consiste nella caduta di Efesto dopo che fu gettato da Hera, mentre la sua omonima cade con il marito dopo che entrambi furono sconfitti da Crono e Rea.\nGenealogicamente però, non possono essere la stessa persona in quanto una titanide è figlia di Urano mentre un'oceanina è figlia di Oceano.\nRobert Graves fa invece di Eurinome e Ofione i protagonisti del 'mito pelasgico della creazione', emersi dal Caos, mito che egli attribuisce ad una società matriarcale pre-ellenica." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Euripilo (figlio di Telefo).\n### Descrizione: Euripilo (in greco antico: Εὐρύπυλος?, Eurǜpülos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Telefo ed Astioche.\n\nMitologia.\nLe origini.\nOriginario della città di Teutrania, in Misia, era discendente di Eracle da parte paterna e parente di Priamo da quella materna, poiché sua madre era Astioche. Quando la città di Troia venne assediata dai greci Telefo proclamò la propria neutralità per via della promessa fatta ad Achille dopo che questi lo guarì dalla ferita. Priamo allora corruppe Astioche donadole ricchi monili ed ella gli inviò (contro la volontà di Telefo), un contingente di uomini guidato da Cromio ed Ennomo tenendo però a casa Euripilo che era ancora un fanciullo.\nMa questi una volta cresciuto, cedette all'offerta di Priamo con cui gli concedeva la mano della figlia Cassandra e pregò il padre di lasciarlo partire. Si dice che anche in questo caso furono decisivi i maneggi di Astioche che avrebbe spinto il figlio alla vendetta contro i greci. Secondo l'Odissea e tra tutti coloro che presero parte alla guerra di Troia, Euripilo nella bellezza era secondo solo a Memnone.\n\nLa morte.\nIl giovane eroe cominciò a combattere nel decimo anno di guerra, dopo la morte di Ettore ed Achille, conducendo con sé uno squadrone di misiaci ed ittiti. Egli si era appena sposato con una donna di cui non si conosce il nome: dopo la partenza di Euripilo sua moglie scoprì di essere incinta, e partorì un maschio, Grino. Durante gli scontri Euripilo, che esibiva un grande scudo rotondo recante la raffigurazione delle dodici fatiche compiute da suo nonno Eracle, uccise Macaone, il medico degli Achei (ma per alcuni autori questi venne ucciso da Pentesilea, regina delle amazzoni).\nIl suo destino si compì secondo alcune fonti la notte della caduta di Troia, o, secondo altre, pochi giorni prima: in ogni caso Euripilo, dopo aver ucciso il capo greco Nireo, fu aggredito da Neottolemo, il figlio d'Achille; balzò sul suo carro per fuggire, ma venne trafitto dalla lancia dell'acheo. Secondo un'altra versione, a uccidere l'eroe misio fu invece Peneleo, che qualche autore inserisce invece tra le sue vittime. Grino, il figlio di Euripilo, fu allevato da Telefo e divenne re dopo la sua morte; strinse una grande amicizia con Pergamo, il figlio di Neottolemo.\n\nVittime di Euripilo.\nEchemmone, guerriero acheo.\nAntifo, guerriero acheo.\nBucolione, guerriero acheo.\nCromione, guerriero acheo.\nMacaone, figlio di Asclepio.\nNireo, capo acheo.\nPeneleo, capo del contingente dei beoti (secondo una versione)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Euristeo.\n### Descrizione: Euristeo (in greco antico Εὐρυσθεύς Eurysthèus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Stenelo e Nicippe e cugino di Alcmena.\n\nMitologia.\nZeus aveva stabilito che i troni di Tirinto e di Micene sarebbero stati destinati al primo nato della stirpe di Perseo cercando, in questo modo, di far salire al trono suo figlio Eracle. Sua moglie Era, però, intervenne facendo in modo che prima di Eracle nascesse Euristeo, che divenne così il re delle due città.\nEra fece in modo che Eracle fosse anche sottomesso ad Euristeo, che ne sfruttò le potenzialità per fargli compiere una serie di imprese al di là di ogni forza umana, divenute note come le dodici fatiche di Eracle.\nTemendo una vendetta degli Eraclidi (i figli di Eracle), Euristeo li braccò ovunque, fino ad Atene, dove fu respinto. Illo, figlio di Eracle, lo inseguì e lo uccise, tagliandogli la testa e consegnandola alla nonna Alcmena, che oltraggiò il cadavere di Euristeo strappando via gli occhi dalle orbite.\nEgli aveva una figlia, Admeta ed un figlio, Alessandro.\nE proprio per la figlia Admeta, desiderosa di avere il Cinto di Ippolita, che Eracle, per ordine di Euristeo, compì la nona delle dodici fatiche: combatté contro la Amazzoni, riportò la vittoria e conquistò il cinto per la giovane Admeta. Secondo altre fonti (Pindaro su tutte), non fu Illo ad uccidere Euristeo bensì Iolao, nipote di Eracle, ringiovanito miracolosamente per l'occasione.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Euristeo.\n\nCollegamenti esterni.\n\nEuristeo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\n(EN) Eurystheus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Euritemi.\n### Descrizione: Euritemi (in greco antico: Εὐρύθεμις?) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Cleobea e madre di Ipermnestra, Plessippo, Evippo, Euripilo Altea, Leda ed Ificlo avuti da Testio.\nGli ultimi tre nomi sono citati come suoi figli anche da Igino che però la cita con il nome Leucippe (in greco antico: Λευκίππη?).\n\nMitologia.\nEuritemi è il nome attribuitole da Apollodoro che la indica come madre di sette degli undici figli di Testio mentre Igino cita il nome di Leucippe come madre di tre dei sette figli di cui scrive Apollodoro.\nIgino però, visse in un'epoca successiva rispetto ad Apollodoro ed inoltre scriveva in latino (non in greco), pertanto il nome Leucippe si può ricondurre ad Euritemi sia per una errata tradizione filologica del mito che per la similitudine dei nomi dei figli citati che delle loro avventure mitologiche." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Euritione (re di Ftia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Euritione, Eurizione o Eurito fu un re di Ftia. È anche contato tra gli argonauti e tra i partecipanti alla caccia del cinghiale calidonio, dove trovò la morte.\n\nGenealogia.\nEuritione era figlio di Iro, figlio di Attore, figlio di Mirmidone, oppure figlio di Attore. Se era figlio di Iro, la madre era Demonassa ed era fratello di Euridamante, anch'egli argonauta. La figlia Antigone andò in sposa a Peleo e fu madre di Polidora, sorella di Achille.\n\nMitologia.\nQuando Peleo fuggì da Egina a causa dell'omicidio del suo fratellastro Foco, fu ricevuto e purificato da Eurizione. Inoltre, il re offrì anche a Peleo una terza parte del regno da governare e sua figlia Antigone in moglie.\nEuritione partecipò al viaggio degli argonauti, e si lasciò crescere i capelli fino a quando non fu di nuovo al sicuro a casa. Insieme a suo genero, si recò anche a Calidone per rispondere alla chiamata del re Oineo per uccidere il cinghiale calidonio che stava devastando la sua terra. Durante la caccia, Peleo scagliò con forza una lancia che mancò il gigantesco animale ma colpì inavvertitamente il suocero. Eurizione morì nel bosco, a causa di quella ferita mortale al petto, mentre Peleo fuggì da Ftia e si recò a Iolco, dove fu purificato per questo omicidio dal re Acasto. In seguito, Peleo radunò molte pecore e bovini e li condusse presso il padre di Eurizione, Iro, come prezzo di sangue per l'uccisione del figlio, ma Iro non accettò e lo mandò via." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Eurota (re della Laconia).\n### Descrizione: Secondo la Mitologia greca, Eurota in greco Εὐρώτας? fu un re della Laconia, figlio di re Milete e nipote di Lelego, antenato eponimo dei Lelegi. Non aveva eredi maschi, ma aveva una figlia di nome Sparta e sua moglie Clete. Eurota lasciò in eredità il regno a Lacedemone, il figlio di Taigete, da cui prende il nome il fiume Taigeto, e Zeus, secondo Pausania. Lacedemone sposò Sparta e ribattezzò lo stato dopo sua moglie.\nPausania dice: 'Fu Eurota che incanalò l'acqua delle paludi dalle pianure tagliando verso il mare, e quando la terra fu prosciugata chiamò il fiume che era rimasto lì a scorrere Eurota.' Il 'taglio attraverso' è visto dal traduttore e commentatore di Pausania, Peter Levy, S.J., come spiegazione del canyon di Eurota (o Vrodamas), un burrone a nord di Skala dove il fiume taglia le colline del Taigeto dopo aver cambiato direzione ad ovest della valle.\n\nVarianti.\nLa Biblioteca offre una leggera variante della generazione mitologica di Eurota: quest'ultimo è figlio di Lelego, nato nella terra e Cleocaria.\n\nEurota nell'arte.\nGli dei fluviali sono tipicamente rappresentati nell'arte greca, come soggetti delle monete, come figure con i corpi di toro e i volti umani. Se appare solo la faccia, potrebbero indossare le corna e avere capelli mossi o essere accompagnati dai pesci. Claudio Eliano afferma che l'Eurota e altri fiumi sono rappresentati come tori." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Eusebeia.\n### Descrizione: Eusebeia (in greco: εὐσέβεια, da 'ευ' che significa 'bene', e 'σεβομαι' che significa 'riverenza', 'venerazione', 'profondo rispetto', a sua volta formato da SΕΒ che significa 'sacro', 'timore reverenziale', 'riverenza' soprattutto nelle azioni) è una parola greca abbondantemente usata nella filosofia greca, dal significato di interiore pietà, maturità spirituale, o di devozione. La radice SEB- (σέβ) è collegata a pericolo e fuga, e quindi il senso di riverenza originariamente descriveva una sana paura degli Dèi.Il termine fu usato nella Grecia Classica dove significava 'personale pietà nello svolgimento dei rapporti umani'.\nFu anche espresso concretamente ed esternamente l'adempimento agli atti di venerazione agli Dèi (doni, sacrifici, devozione pubblica) e con l'estensione di onorare gli Dèi mostrando il proprio rispetto agli anziani, ai maestri, ai governanti e a tutto ciò che era sotto la protezione degli Dèi.\nL'Eusebeia e la Saggezza rappresentavano gli ideali dell'antica Sparta. Per i Platonisti l'Eusebeia rappresentava la giusta condotta nei confronti degli Dèi e per gli Stoici la conoscenza di come le Divinità debbano essere venerate.\nProgressivamente, nel più ampio mondo ellenistico della koinè, Eusebeia venne a designare 'pietà interiore', o spiritualità, un dovere interiormente dovuto agli Dèi.\nNella Mitologia Greca, il concetto di Eusebeia è antropomorfizzato, con il Demone (Ευσέβεια) della pietà, della lealtà, del dovere e del rispetto filiale. Secondo una fonte, suo marito è Nomos (Legge), e la loro figlia è Dike, la dea della giustizia e dell'equo giudizio. In altre narrazioni, Dike è la figlia del dio Zeus e/o la dea Temi (Legge Divina).Nella mitologia greca Ευσέβεια (Eusebeia) è una Dèa, la personificazione della Pietà stessa.\nGli Inni Orfici chiamano Ευσέβεια (Eusebeia) «μέγα όνειαρ» (= grande beneficio). Il filosofo Empedocle domanda alla Musa di inviargli un carro di Pietà. Il Tempio della Divinità era a Plovdiv in Bulgaria. Su delle monete di rame di Alessandria, è rappresentata la Pietà romana sotto forma di una donna che porta un velo.\nL'imperatore indiano Ashoka nel 250 a.C. nei suoi Editti usò la parola 'eusebeia' come una traduzione greca per il concetto centrale Buddhista di 'dharma'.\nIl termine Ευσέβεια ricorre anche nove volte nel Nuovo Testamento: 1 Timoteo 4,7; 1 Timoteo 4,8; 1 Timoteo 6,3; 1 Timoteo 6,5; 1 Timoteo 6,6; 1 Timoteo 6,11; Tito 1,1; 2 Pietro 1,3; 2 Pietro 1,6." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Evemerismo.\n### Descrizione: L'evemerismo è una posizione della filosofia della religione che sostiene che gli dei rappresentino soggetti umani divinizzati, attraverso processi di trasformazione e di ricezione di eventi reali attraverso le strade della tradizione orale che ne ha tramandato la memoria e modificato i contenuti.\nL'atteggiamento filosofico prende il nome dal suo assertore, Evemero da Messina, storico e filosofo di età ellenistica.\n\nOrigini e sviluppo.\nIn realtà un'attitudine simile non era una novità nella cultura greca, trovandosene espressione già nel pensiero di Senofane, Erodoto, Ecateo di Mileto, Eforo.. Erodoto, tra gli altri, presenta resoconti 'razionalizzati' del mito di Io e di eventi della Guerra di Troia, mentre il suo predecessore Ecateo, nelle Genealogie, si era soffermato su episodi del mito quali quello di Eracle e Cerbero, cercando di razionalizzarli alla luce del buonsenso.\nLa trattazione più completa di questo tipo di filosofia si riscontra, tuttavia, nell'eponimo della teoria, ossia Evemero da Messina, vissuto nel periodo di transizione seguito alla morte di Alessandro Magno, al seguito di Cassandro, nuovo sovrano del Regno di Macedonia, per il quale svolse mansioni militari e diplomatiche: secondo la tradizione, Cassandro lo incaricò di effettuare dei viaggi di esplorazione nella zona del Golfo Persico, partendo dalla Penisola arabica. Il viaggio dovette collocarsi senz'altro prima del 297 a.C. (data della morte di Cassandro) e da esso Evemero trasse spunto per comporre un'opera dedicata al sovrano macedone.\nL'opera di Evemero, la Ἱερὰ ἀναγραφή (Hierà anagraphé, 'sacro resoconto' o 'sacra scrittura'), si inserisce in un filone letterario a lui contemporaneo, in cui storiografia, etnografia e opportunismo politico erano commisti a scapito del rigore intellettuale che aveva generalmente caratterizzato la storiografia del secolo precedente.\nL'opera non ci è giunta intera, ma grazie al compendio in Diodoro Siculo e ai numerosi frammenti della traduzione di Quinto Ennio intitolata Euhemerus, abbiamo un'idea complessivamente adeguata del contenuto di questo scritto, probabilmente diviso in tre libri, corrispondenti alla descrizione geografica (I), politica (II), teologica (III) di un arcipelago dell'Oceano Indiano visitato dall'autore a seguito di una tempesta che lo aveva portato fuori rotta.\nNel primo libro, l'isola principale di tale arcipelago, chiamata Panchea (Παγχαία), è descritta come una terra sacra ricca di alberi di incenso e altre essenze vegetali adatte ai sacrifici ed ai riti religiosi. Su di essa non vivevano solo indigeni, ma anche immigrati di provenienza orientale, come Oceaniti e Indiani, nonché Sciti e Cretesi, popoli di grande saggezza: essi abitavano nella capitale, Panara, dotata di leggi proprie e retta da tre magistrati annuali, che si occupavano della giustizia ordinaria coadiuvati dai sacerdoti. A dieci chilometri da Panara, in una pianura, era stato eretto il tempio di Zeus Trifilio, ossia delle tre tribù primitive dell'isola, i Panchei, gli Oceaniti e i Doi. La zona del tempio era ricchissima di flora e fauna, così come notevole era il tempio, lungo 60 metri, al quale si accedeva tramite un viale lungo 720 metri e largo 30. Dominava la piana il monte Olimpo Trifilio, sede dei primi abitatori dell'isola e di osservatori astronomici naturali.\nEvemero doveva poi dedicare il secondo libro alla descrizione della costituzione e della società di Panchea. La società era tripartita: alla prima 'casta', quella dei sacerdoti, spettava la direzione degli affari pubblici e delle controversie giuridiche. La seconda 'casta', degli agricoltori, si occupava della lavorazione della terra e dell'immagazzinamento dei prodotti per l'uso comune: come incentivo al lavoro, i sacerdoti stilavano una classifica dei più meritevoli, il primo dei quali riceveva un premio. Ultima casta era quella dei soldati, che, stipendiati dallo Stato, proteggevano il paese, vivendo in accampamenti fissi e tenendo lontani i briganti che attaccassero gli agricoltori. Principale arma da guerra, come nella Grecia omerica, era il carro.\nIl terzo libro, infine, svolgeva l'argomento da cui l'intera opera traeva il nome e lo scopo 'politico': la religione ideale dei Panchei. Ritornando alla descrizione del tempio di Zeus Trifilio, Evemero descriveva brevemente il culto tributato agli dèi dai Panchei e la struttura interna del tempio, nel quale era posta una stele d'oro che recava iscritte, in geroglifici, le imprese degli dèi che i sacerdoti cantano negli inni e nei riti divini.\nSecondo la casta sacerdotale di Panchea, gli dèi erano nati a Creta ed erano stati condotti a Panchea dal grande re Zeus, di cui Evemero narrava la genealogia e le imprese. Dopo essersi dilungato ad esporre le complesse trame di potere che portarono Urano a divenire il primo re del mondo abitato e ad essere onorato per la sua conoscenza dell'astronomia come dio del cielo, Evemero riporta che dopo una guerra Crono, figlio minore di Urano, spodestò il legittimo erede, il fratello Titano, e, sposata Rea (Ops in Ennio), sua sorella, generò Zeus, Era e Poseidone.\nUltimo gran re fu appunto Zeus, figlio di Crono, che liberò fratelli e zii dalla prigionia in cui Crono li aveva costretti e, con diversi matrimoni, si assicurò una numerosa discendenza. Assicuratasi l'alleanza con Belo, re di Babilonia, Zeus conquistò poi la Siria e la Cilicia, nonché l'Egitto, dove ricevette il titolo onorifico di Ammone e con questo nome vi venne onorato sotto le spoglie di un ariete, poiché in battaglia indossava un elmo aureo ornato appunto da corna d'ariete.\nPercorsa cinque volte la terra e beneficatala con i semi della civiltà e della religione, Zeus, in tarda età, prima di morire, condusse appunto a Panchea i suoi discendenti, ai quali lasciò compiti specifici di governo: suo fratello Poseidone governò i mari ed i percorsi marittimi, così come Ade si occupò dei riti funebri ed Ermes presiedette all'alfabetizzazione ed alla diffusione della cultura. Morto Zeus, che aveva fatto incidere su una stele d'oro le imprese sue e dei suoi avi, gli fu eretto un tempio, appunto di Zeus Trifilio, ed Ermes incise sulla stele le imprese dei suoi discendenti, che come lui sono onorati come dèi dagli uomini per le grandi imprese compiute.\n\nIl significato dell'evemerismo e la sua fortuna.\nLa narrazione di Evemero, di forma romanzesco-storiografico-etnografica, risentiva, fondamentalmente, dal punto di vista letterario, delle opere mature e tarde di Platone (padre del mito di Atlantide), ed era presente nella storiografia alessandrina, ad esempio negli Indikà di Megastene. Reminiscenze siciliane collegano il toponimo Panara alla quasi omonima isola dell'arcipelago delle isole Eolie.\nInoltre, dal punto di vista politico, la narrazione pone a capo di tali società ideali i discendenti di uomini divinizzati; con la pretesa di veridicità storica, mira a dare legittimazione teorica alla concezione orientale del culto divino tributato ai sovrani, che già all'epoca di Alessandro aveva suscitato scalpore.\nDal punto di vista filosofico, la razionalizzazione critica del patrimonio religioso si può ricollegare all'influenza della speculazione sofistica che da Atene si irradiò in tutto il mondo greco. Luigi Enrico Rossi ricollega la riflessione di Evemero a quella del sofista Prodico di Ceo; secondo l'antropologia, la tripartizione della società in Sacerdoti, Guerrieri e Lavoratori rispetta pienamente la ripartizione societaria indoeuropea, riscontrabile sia in India sia in Persia, presente alla coscienza greca grazie ad autori quali Megastene.\nLa spiegazione del divino presente nella 'Hierà anagraphé' ebbe, comunque, inizialmente poco seguito; la sua prima ricezione la ricaviamo dal rifiuto di Callimaco, che ribadì l'origine degli dei nell'Inno a Zeus. Va registrata l'ammirazione di Ennio, che tradusse e rielaborò l'opera, i romanzi di Dionisio Scitobrachione e l'epitome di Diodoro Siculo, mentre ìCicerone mostra di conoscere tale teoria nel De natura deorum. All'indirizzo dell'evemerismo la critica più recente ha ricondotto pure le Res Gestae di Augusto.Tuttavia, in assenza di sintesi elaborate dai suoi predecessori, la spiegazione storico-razionalistica di Evemero restò l'unica sistematizzazione sull'origine degli dei: paradossalmente, venne ampiamente utilizzata negli apologisti cristiani come Cipriano, Arnobio, Lattanzio ed Eusebio di Cesarea, sia per confutare la natura soprannaturale degli dei pagani, sia per avvalorare la duplice natura umana e divina di Gesù.\nTale interpretazione restò di fatto l'unica, fino al sorgere del metodo comparativo nella storia delle religioni (XVIII secolo), che, tuttavia, non ha invalidato la teoria evemeristica, ponendosi invece come alternativa interpretativa. Lo stesso Isaac Newton, ad esempio, nei suoi studi di cronologia antica, aderì al principio evemerista nel tentativo di di confutare la precedenza temporale delle civiltà pagane rispetto a quella ebraico-cristiana. E a loro volta Hume e la filosofia dei Lumi chiamarono in causa l'evemerismo proprio per screditare il Cristianesimo. Anche Giambattista Vico condivide l'ipotesi di Evemero secondo cui gli antichi dei erano uomini divinizzati; in seguito anche Ugo Foscolo fa sua questa convinzione, ponendola come base ideale di alcune sue composizioni poetiche, come l'ode All'amica risanata, ma anche il carme Dei sepolcri e il poemetto Le Grazie.\nLa teoria degli antichi astronauti sorta nel XX secolo è considerata una forma di neo-evemerismo a sfondo ufologico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Evere (figlio di Pterelao).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Evere (in greco antico Εὐήρης Euḕrēs) era il nome di uno dei figli di Pterelao.\n\nIl mito.\nDurante la guerra fra Micenei e Tafi, si osservò una strage dei figli dei due rispettivi re: Elettrione di Micene perse tutti i suoi figli maschi, tranne Licimnio, solo per la sua età visto che era ancora un bambino.\nStessa sorte toccò a Pterelao a cui rimase solo un figlio: Evere che era rimasto in disparte non prendendo parte alla guerra, infatti a lui era stato dato il compito di fare la guardia alle navi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fabula di Orfeo.\n### Descrizione: La Fabula di Orfeo, nota anche come La favola di Orfeo, oppure Orfeo, od ancora L’Orfeo, è un'opera teatrale scritta dall'umanista Angelo Poliziano tra il 1479 e il 1480.\n\nTrama.\nIl poeta tracio Orfeo è disperato per la morte della sua amata Euridice e decide di recarsi nell'Ade per riportarla indietro. Lì il suo canto impietosisce Plutone e Proserpina, cosicché gli viene concesso di poter riavere la sua donna, però nel tragitto dal mondo infernale al mondo terreno non deve voltarsi indietro. Il poeta, credendo di essere giunto sulla terra, si volta e perde così Euridice.\nIl mito poi racconta anche la morte del poeta, il quale viene 'risucchiato' nuovamente nell'Ade da Proserpina che, dopo aver visto non essere mantenuto il suo accordo col giovane poeta, lo condanna per sempre a restare negli Inferi, con la sua anima sotto dominio della donna e il suo corpo tra le mani irresistibili di Plutone, divenendo il suo schiavo sessuale. Tuttavia viene persino narrato che, anche oltraggiato nell'Ade, Orfeo non ha perso il suo dono divino, il canto, che continua a risuonare ed a invocare Euridice.\nQuesto mito fu letto da Dante nel Convivio in chiave allegorica e anche nel XV secolo umanisti come Ficino ritenevano che questa storia rappresentasse la capacità della poesia di resistere alla violenza umana.\nPoliziano, diversamente, conclude la sua rappresentazione con il coro delle Menadi che trionfano per il loro crimine. Dunque è probabile, come sostenuto da Vittore Branca, che il poeta di Montepulciano non credesse che la poesia e la bellezza vincano sulla violenza. Infatti Firenze, culla della poesia nel XIV secolo, fu sconvolta dagli avvenimenti legati alla congiura dei Pazzi del 1478, e di conseguenza Poliziano riteneva la teoria degli umanisti solo un'illusione.\n\nStoria.\nQuesto testo si configura come la prima opera drammatica in lingua italiana di argomento non religioso ed è un testo importante per il Rinascimento poiché si tratta di un'esaltazione della poesia. Tema caro al Rinascimento è, infatti, l'esaltazione della poesia poiché funzionale alle sue capacità civilizzatrici di poter vincere sul tempo e sulla morte. La datazione è incerta, forse l'opera fu scritta quando il poeta abbandonò Firenze per un contrasto con Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico, riguardo all'educazione del figlio Piero. Probabilmente Poliziano si recò nell'Italia settentrionale perché alcuni termini usati nell'opera sono di origine lombardo-veneta come nel caso delle rime mi, ti del verso: «i’ vo bevere ancor mi! Gli è del vino ancor per ti», che rappresentano probabilmente uno scherzo o omaggio alla parlata del committente e del suo pubblico.\nLa Fabula di Orfeo è la prima opera teatrale di tema profano e racconta il mito di Orfeo, seguendo Virgilio (Georgiche) e Ovidio (Le metamorfosi).Non è chiaro a quale genere l’opera appartenga e non esiste una sua edizione critica. Inoltre Poliziano non allude mai alla fabula in altre opere, sebbene bisogna ricordare che la sua produzione giovanile ha avuto gravi perdite, spesso a causa dell’incuria dello stesso autore.\nUn documento importante rimasto è la lettera a Carlo Canale scritta da Poliziano, la quale contiene notizie e giudizi sull’opera. Grazie a questo documento conosciamo il committente della fabula, il cardinale Francesco Gonzaga, e conosciamo la durata della stesura, di soli due giorni. La committenza delle opere teatrali era sempre pressante poiché agli autori veniva concesso poco tempo. In seguito i committenti diventavano i proprietari dell’opera commissionata, la quale acquisiva una vita autonoma senza più rapporti con l’autore e poteva essere soggetta ad adattamenti in funzione di nuove rappresentazioni. Sappiamo inoltre che l’opera fu composta in stile volgare per essere meglio compresa dagli spettatori.\nLa fabula è distinta in tre forme testuali. La prima è l’ode saffica al cardinale Gonzaga, la seconda è un��ottava pronunciata da Minosse e la terza i due distici in latino cantati da Orfeo dopo la liberazione di Euridice, che sono un centone da Ovidio.\n\nTempi della composizione.\nLa datazione della fabula è vexata quaestio, mentre invece è chiaro che l’opera è stata scritta e rappresentata a Mantova. Nella princeps della lettera di Poliziano a Canale si trova un’altra lettera, con la quale Alessandro Sarti dedica al protonotario Galeazzo Bentivoglio le Cose vulgare. Le notizie date da Sarti riguardo alla composizione mantovana dell’Orfeo non possono essere ricordi diretti poiché Sarti non ha avuto contatti con il cardinale Gonzaga e con Poliziano negli anni che interessano l’Orfeo. Vi è un’interpretazione della lettera di Poliziano a Canale, riprodotta nella princeps, trattandosi di un’opera commissionata dal cardinale Gonzaga, il cardinale mantovano, l’opera diventa automaticamente mantovana. Tuttavia il cardinale non risiedeva spesso né a lungo a Mantova poiché la sua sede come legato pontificio dal 1471 era Bologna. La corte mantovana in quegli anni era in lutto per la morte di Margherita Gonzaga avvenuta il 12 ottobre 1479, il lutto per la corte comportava l’assoluto divieto di dare feste e spettacoli teatrali per un anno. Perciò si esclude che il cardinale facesse rappresentare a Mantova l’Orfeo in quel periodo e, siccome per ammissione esplicita di Poliziano, la fabula fu scritta con urgenza in soli due giorni, si conclude che non può essere stata scritta in quel periodo. L’unico fatto certo è la morte del cardinale, avvenuta a Bologna nel 1483: l'opera è stata certamente scritta prima.\n\nIl mito di Orfeo.\nIl mito di Orfeo è stato oggetto di molte interpretazioni allegoriche o simboliche. Per Poliziano le favole antiche rappresentano un patrimonio culturale vivo; esse possono offrire, per l’inesauribile capacità di significato del mito, la rappresentazione più immediata e nobile di intuizioni e pensieri. La vicenda narrata nella fabula può essere letta come esempio degli effetti nefasti dell’amore: la duplice morte di Euridice è conseguenza della passione di Aristeo e del troppo amore di Orfeo. Nella fabula tuttavia non è il troppo amore a portare effetti negativi, quanto l’amore per la donna in sé stesso che è giudicato negativamente. L’antefatto pastorale creato da Poliziano, che non si trova né in Virgilio né in Ovidio, rappresenta l’età aurea la cui serenità è dapprima minacciata dall’amore di Aristeo a livello personale e nell’intero contesto sociale ed è definitivamente annullata dalla serie dei tragici eventi ai quali la passione di Aristeo ha dato inizio.\n\nIncertezza del genere.\nLa fabula di Orfeo appare irregolare rispetto ai generi teatrali noti e perciò vi è incertezza riguardo alla sua classificazione. L’opera è stata definita talvolta sacra rappresentazione di contenuto pagano, talvolta egloga rappresentativa, favola mitologica, favola o dramma pastorale, dramma mescidato. Dobbiamo ipotizzare che fosse una rappresentazione conviviale che si teneva durante i banchetti organizzati dal Cardinale Gonzaga, dei quali ci sono rimaste testimonianze. I banchetti-spettacolo erano frequenti anche nelle case signorili in occasioni speciali, soprattutto per delle nozze. A volte dopo un banchetto erano tenute rappresentazioni nella stessa sala dove venivano introdotte costruzioni teatrali complesse apparentemente semoventi, perché trasportate dagli stessi attori nascosti al loro interno. Le rappresentazioni erano brevi ma avevano uno sviluppo drammatico ed erano concluse da una danza. L’intenzione della committenza era dunque di avere un testo adatto ad uno spettacolo da rappresentarsi in una sala durante o dopo un convito, l’unica occasione teatrale possibile in un’epoca in cui ancora non era previsto nelle corti e nelle case cardinalizie un luogo teatrale apposito.\nL’indagine sull’intenzione del Poliziano nel settore specifico dei generi teatrali, in assenza di dichiarazioni esplicite dell’autore in merito, può basarsi soltanto sull’analisi della fabula stessa e insieme sull’esame delle conoscenze che Poliziano aveva dei generi teatrali classici. Uno dei filoni di ricerca più vivaci dell’attività filologica di Poliziano è l’attenzione ai peculiari aspetti tematici e retorici dei generi letterari antichi spesso in funzione della sua propria opera imitativa. Poliziano disserta più volte sul teatro antico nelle premesse dei commenti ai comici o ai tragici ma anche nei commenti ai satirici per distinguere i tre tipi di satira: la fabula satirica greca, specificatamente teatrale, e i due generi latini, la satira menippea e la satira di Orazio, Persio e Giovenale. L’individuazione dei tre generi teatrali è precisa ed inequivoca e l’attenzione per la fabula satirica è molto vivace nel Poliziano e maggiore rispetto ai suoi contemporanei. Poliziano afferma come la fabula satirica sia stilisticamente intermedia tra la tragedia e la commedia in quanto ammette tra i suoi personaggi, oltre ai satiri e a Sileno, dèi minori e altre figure mitologiche di tipo rustico; è ambientata nelle selve e nelle campagne e deve contenere scene lacrimevoli, ma terminare in letizia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Falanto.\n### Descrizione: Falanto (in greco antico: Φάλανθος?; in latino Phalantus) è una figura della mitologia greca, ecista dei coloni Parteni provenienti da Sparta, marito di Etra.\nFiglio di Arato, secondo la leggenda la sua figura è fortemente legata alla città di Taranto, in quanto Falanto sarebbe il fondatore effettivo dell'antica colonia greca.\nIl mito di fondazione di Taranto ad opera di Falanto, è rappresentato nel Borgo Antico della città su un pannello ceramico realizzato nel 2005 dall'artista Silvana Galeone, su idea e progettazione del Centro Culturale Filonide.\n\nIl mito.\nRacconta Strabone nella sua Geografia, come Sparta rischiasse di non avere più una giovane generazione di guerrieri a causa della lontananza degli uomini dalla città, per via delle lunghe guerre messeniche in cui Sparta era contrapposta alla vicina Messenia, vincolati da un solenne giuramento di non fare ritorno a casa prima di aver conquistato la città e i terreni che le appartenevano. Per risolvere il problema della natalità, gli Spartiati acconsentirono affinché i Perieci, cioè i cittadini che non godevano di tutti i diritti politici propri degli Spartiati, potessero unirsi alle donne per procreare. Ma i nuovi nati, detti poi Partheni, nonostante addestrati come guerrieri, non potevano godere di tutti i diritti garantiti nella poleis.\nGiunse quindi il momento in cui i Partheni, guidati da Falanto, organizzarono una sommossa insieme agli schiavi, per ottenere dall'aristocrazia i diritti loro negati: la sommossa fallì e i rivoltosi, non potendo essere condannati a morte al pari degli schiavi, furono obbligati a lasciare la città alla ricerca di nuove terre.\nPrima di partire, Falanto consultò l'Oracolo di Delfi alla ricerca di un responso circa il proprio futuro. L'oracolo di Apollo, tramite la Pizia, così sentenziò:.\n«Vi concedo di abitare Saturo e siate la rovina degli Iapigi».Falanto chiese anche un segno con cui capire quando sarebbe giunto il momento opportuno, e l'oracolo sentenziò:.\n«Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città».Dopo aver affrontato un naufragio e raggiunte le terre degli Iapigi, presero possesso del promontorio di Saturo.\nVenne un giorno in cui le ambizioni e le delusioni di Falanto lo videro sedere per terra con il capo poggiato sulle ginocchia della moglie, la quale stanca e scoraggiata, cominciò a piangere e a bagnarlo con le sue lacrime. Ma il nome della moglie Etra (in greco antico Αἴθρα) ha proprio il significato di 'cielo sereno', per cui Falanto, ricordandosi dell'oracolo, ritenne giunto il momento di fondare una città: guidando i suoi uomini verso l'entroterra fondò così Taranto, richiamandosi all'eroe greco-iapigio del luogo chiamato Taras. Mentre gli indigeni riparavano a Brindisi, Falanto poté finalmente costituire in Italia una colonia lacedemone, retta dalle leggi di Licurgo.In seguito a contrasti con i concittadini (per seditionem), Falanto venne scacciato con ingratitudine da Taranto e si rifugiò a Brindisi, proprio presso gli Iapigi che aveva sconfitto. In quel luogo morì e ricevette un'onorata sepoltura dai suoi ex nemici.Sul letto di morte, tuttavia, Falanto volle far del bene ai suoi ingrati concittadini: convinse i brindisini a spargere le sue ceneri nell'agorà di Taranto, perché così facendo si sarebbero assicurati la conquista della città. In realtà, l'oracolo aveva predetto a Falanto che Taranto sarebbe rimasta inviolata se le sue ceneri fossero rimaste entro le mura. Così Falanto, ingannando i brindisini, fece un favore ai tarantini che da allora gli resero l'omaggio dovuto ad un ecista." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Falche (re di Sicione).\n### Descrizione: Falche (in greco antico: Φάλκης?, Fálkēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide che divenne re di Sicione.\n\nGenealogia.\nFiglio di Temeno, fu padre di Regnida.\n\nMitologia.\nCosì come fecero anche i suoi fratelli, Falche non condivise la decisione del padre di concedere i suoi affetti a sua sorella Irneto e nemmeno la decisione dell'esercito che, dopo la morte del padre assegnò il trono al cognato Deifonte (il comandante dell'esercito e marito di Irneto), così si recò ad Epidauro dove risiedevano i due sposi per convincere lei a lasciare il marito.\nAl rifiuto della donna la rapì e caricatola sul proprio carro fuggì mentre, inseguito da Deifonte, vide il fratello Cerine morire colpito da una freccia e strinse più forte a sé Irneto (che era incinta) fino ad ucciderla.\nIn seguito divenne re di Sicione, città che conquistò con l'aiuto dei Dori in un attacco notturno e rispettò la vita di Lacestade (il re sconfitto ed anch'esso un Eraclide) scegliendo di condividere con lui il trono. Infine eresse un Heroon ad Hera poiché sosteneva che la dea lo avesse guidato sulla strada per Sicione.\nDopo la sua morte il trono passo al figlio Regnida." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Falero.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Falero, figlio di Alcone, era l'eroe eponimo del porto di Atene (il Falero), che prese parte alla spedizione degli argonauti.\n\nIl mito.\nFiglio del grande arciere Alcone, Falero ebbe un giorno un brutto incontro con un gigantesco serpente, che lo avvolse completamente nelle spire fin quasi a soffocarlo. Intervenne allora il padre, che scoccò una freccia dal suo arco: la sua abilità era tale che colpì a morte il serpente senza neanche scalfire il figlio.\nEbbe una figlia di nome Calciope (o Calcippe).\n\nGli Argonauti.\nFalero prese dal padre l'abilità nel maneggiare l'arco, partecipando, in qualità di rappresentante del popolo ateniese, al viaggio verso il vello d'oro.\n\nElementi storici.\nSi presuppone che tali avventure non fossero prive di un retroterra storico: i vari viaggi dovrebbero rappresentare gli antichei tragitti dei mercanti e Falero, al pari di altri eroi, dovrebbe appunto rappresentare i mercanti ateniesi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fantaso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Fantaso (in greco Φάντασος, Phántasos, il cui nome significa 'l'apparizione') è uno dei figli di Ipno (Hypnos), il dio del sonno che è figlio della Notte e fratello gemello di Tanato. Con i fratelli Morfeo e Fobetore fa parte dei tre Oniri, coloro i quali governano i sogni: ognuno di essi ne impersonifica una particolare forma. Ogni oggetto inanimato che appaia in un sogno è generato da Fantaso.\nSi differenzia dal fratello Morfeo per via delle continue menzogne: egli, infatti, non annuncia mai la verità.\n\nNella cultura di massa.\n• Fantaso è presente in I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade dove, per ordine di suo padre Hypnos, cattura Tenma di Pegasus, Yato dell'Unicorno e Yuzuriha della Gru, portandoli nel Mondo dei Sogni.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Fantaso.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Phantasus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Faone.\n### Descrizione: Faone (greco antico: Φάων, traslitterato: Phaon, 'Splendente') è un personaggio leggendario della mitologia greca.\n\nLa leggenda.\nEgli era un anziano barcaiolo che offriva servizio di traghettatore dalla costa dell'Asia Minore fino a Lesbo. Un giorno traghettò una vecchietta senza farsi pagare; si trattava della dea Afrodite, che per ricompensare la sua generosità gli regalò un unguento capace di ringiovanirlo e farlo diventare molto bello.\nIl commediografo Menandro (fine del IV secolo a.C.) lo menziona nel suo Leucadia. Secondo Ovidio, che riprende probabilmente un motivo anteriore, Faone fu amato dalla poetessa Saffo la quale, non corrisposta, si gettò in mare da una rupe dell'isola di Leucade, nel Mar Ionio; infatti un tuffo da quel luogo era in grado di spegnere la passione. Già Deucalione, si racconta, vi si era buttato per dimenticarsi di Pirra. Faone, invece, diventato troppo superbo e orgoglioso della sua rinnovata bellezza, fu ucciso dagli uomini di Lesbo. Faone era considerato anticamente il fondatore di un santuario dedicato ad Afrodite a Leucade; nella stessa località vi era anche un santuario dedicato ad Apollo da dove venivano gettati in mare i condannati a morte. Probabilmente la leggenda del legame fra Faone e Saffo, ossia fra un personaggio leggendario e un personaggio storico, e la leggenda del suicidio di Saffo devono essere interpretate nel contesto di questi riti.\nIn uno specchio etrusco conservato nel Museo gregoriano etrusco, Faone è rappresentato mentre suona la lira accompagnando la danza di una donna indicata come 'Rutapis', mentre di fronte a lui c'è una donna velata; in uno specchio analogo conservato nel British Museum, la donna velata davanti a Faone viene indicata col nome di 'Sleparis', nome probabilmente etrusco. Non è noto il significato di queste raffigurazioni." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fasi (città).\n### Descrizione: Fasi (greco antico: Φάσις, Phasis) era una città antica e dell'alto Medioevo situata sulla costa orientale del Mar Nero, fondata nel VII-VI secolo a.C. come colonia dei greci milesi alle foci dell'eponimo fiume della Colchide, nei pressi dell'odierna città portuale di Poti, Georgia.\n\nEtimologia.\nI nomi dell'antica Fasi e dell'odierna Poti sono apparentemente collegati fra loro, ma l'etimologia viene disputata tra gli studiosi. Il termine Fasi ('Phasis') viene per la prima volta menzionato nella Teogonia di Esiodo (700 a.C. circa) come un nome di fiume e non di città. Il primo insediamento greco deve essere stato fondato qui non molto prima della fine del VII secolo a.C., e probabilmente all'inizio del VI secolo a.C., ricevendo il nome dal fiume. Fin da quando Erich Diehl, 1938, per prima ipotizzò un'origine non-ellenica del nome, asserendo che il nome Fasi possa essere stato un derivato di un idronimo locale, molte spiegazioni sono state proposte, collegando il nome al *Poti georgiano-zan, allo svan *Pasid e anche a una parola semitica, che significa 'fiume d'oro'. L'uso collettivo dell'etnico Φασιανοί (Phasianoi), fasiani, viene attestato in Senofonte ed Eraclide Lembo.\n\nStoria.\nFasi appare in numerose fonti classiche e medievali come pure nella mitologia greca, particolarmente nel ciclo delle Argonautiche. Il nome della città viene altresì riportato da Eraclide, Pomponio Mela e Stefano di Bisanzio come fondata dai milesi. Fasi viene riferita come una polis Hellenis nel Periplo di Pseudo-Scilace e Ippocrate la chiama emporion, ovvero 'luogo di commercio'. Secondo le fonti classiche, Fasi ebbe la sua costituzione, incluso il Corpus Aristotelicum di 158 politeiai.Fu probabilmente una città mista ellenica-'barbarica' e sembra sia stata una componente vitale della presunta rotta commerciale che andava dall'India al Mar Nero, attestata dagli autori classici Strabone e Plinio. Durante la Terza guerra mitridatica, Fasi finì sotto il controllo romano. Qui, il comandante in capo romano, Pompeo, avendo attraversato la Colchide dall'Iberia, incontrava il legato Servilio, ammiraglio della sua flotta sull'Eusino nel 65 a.C. Dopo l'introduzione del Cristianesimo, Fasi fu la sede della diocesi greca, e uno dei suoi vescovi, Ciro, divenne patriarca di Alessandria tra il 630 e il 641 d.C. Durante la guerra lazica tra gli imperi romano d'oriente e sasanide iranico (542–562) Fasi venne attaccata dall'armata iranica, ma senza successo.\n\nUbicazione dell'antica Fasi.\nLa ricerca della città di Fasi ha una lunga storia. Il viaggiatore francese Jean Chardin, che visitò la Georgia nel 1670-1680, cercò, sebbene invano, di trovare le prove riguardo all'esistenza dell'antica polis greca alle foci del fiume Fasi (Rioni). Il primo tentativo di identificazione scientifico, basato sull'analisi degli autori classici e bizantini e la sua propria ricerca sul campo, appartiene allo studioso svizzero Frédéric Dubois de Montpéreux, che viaggiò in quella regione tra il 1831 e il 1834.La conclusione principale di Dubois – condivisa dai principali studiosi di oggi – fu che, a causa dei mutamenti geomorfologici avvenuti nella zona, Fasi dovrebbe essere cercata a est dell'odierna Poti, e che l'antica città fosse stata nel corso del tempo in diversi luoghi. Sulle orme di Dubois, la maggioranza degli studiosi ha identificato la fortezza descritta dall'antico storico greco Arriano con le rovine chiamate dai locali Najikhuri, che letteralmente significa 'sito di una precedente fortezza'. Esso è stato utilizzato come uno dei punti di riferimento principali. Tuttavia, quando agli inizi degli anni '60, gli studiosi georgiani Otar Lordkipanidze e Teimuraz Mikeladze iniziarono studi archeologici su vasta scala dell'area, queste rovine risultavano essere già state demolite dalle autorità sovietiche durante la costruzione di un campo di aviazione tra il 1959 e il 1960.Dopo molti anni di incertezza e dibattiti accademici, il sito di questo insediamento adesso sembra sia stato identificato, grazie all'archeologia subacquea, praticata in condizioni difficili. Apparentemente il lago che Strabone riportava come confinante con un lato di Fasi adesso si trova del tutto, o in parte, inabissato. Inoltre, una serie di problemi riguardanti l'esatta ubicazione della città e l'identificazione delle sue rovine restano ancora aperti a causa dei grandi processi geomorfologici accaduti, nel corso dei secoli, nell'area più bassa del Rioni e del mutamento del corso del fiume attraverso la zona umida. La zona lungo il fiume Fasi era una componente vitale di una presunta rotta commerciale che dall'India arrivava fino al Mar Nero, attestata da Strabone e Plinio. Anche Agazia (536-582/594 d.C. circa) allude ad un lago nelle vicinanze, ora identificato con il lago Paliastomi, teatro di molte spedizioni archeologiche subacquee. Lo studente georgiano del XVIII secolo, il principe Vakhushti, concorda con queste attestazioni, riferendo che.\n\n'a sud di Poti, chiuso dal mare, vi è il grande lago Paliastomi, il cui canale sbocca nel mare. Le navi entrano da qui e vengono ad ancorarsi nel lago. […] Si è detto che una volta ci fosse qui stata una città, attualmente sott'acqua'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Favole e riflessi.\n### Descrizione: Favole e riflessi (The Sandman: Fables and Reflections) è un volume antologico che raccoglie un ciclo di storie pubblicate originariamente nella serie a fumetti Sandman pubblicata nel 1993 negli Stati Uniti d'America dalla DC Comics, scritta da Neil Gaiman e illustrata da vari disegnatori negli anni novanta. Fa parte di una serie di volumi del quale rappresenta il sesto numero.\n\nStoria editoriale.\nIl volume contiene i numeri dal 29 al 31, dal 38 al 40, il 50 della serie regolare oltre all'albo fuoriserie Sandman Special n. 1 e alla storia presente in Vertigo Preview n. 1, usciti fra il 1991 e il 1993: si tratta di una serie di storie brevi ambientate nel mondo di Sandman. Le storie sono state tutte scritte da Neil Gaiman e disegnate da uno staff di disegnatori che comprendeva Bryan Talbot, Stan Woch, P. Craig Russell, Shawn McManus, John Watkiss, Jill Thompson, Duncan Eagleson, Kent Williams, Mark Buckingham, Vince Locke e Dick Giordano; la colorazioni vennero invece realizzate da Danny Vozzo e Lovern Kindzierski della Digital Chameleon, e il lettering da Todd Klein. Il volume presenta un'introduzione di Gene Wolfe e venne pubblicato nel 1993 in due diverse edizioni, con copertina flessibile e con copertina rigida.\nCome la terza raccolta (Dream Country), e l'ottava (World's End), il volume è una raccolta di storie auto-conclusive. La maggior parte di esse non contribuiscono direttamente alla storia principale della serie a livello testuale, piuttosto ne commentano i temi e forniscono i sottotesti. L'unica eccezione è la storia 'Orfeo', originariamente stampata come l'auto-conclusivo Sandman Special, che è fondamentale per la storia principale della serie.Il fumetto contiene quattro storie sotto il titolo di 'Distant Mirrors' (dall'inglese, Specchi Distanti), che narrano di imperatori e la natura del potere. Questi numeri sono tutti intitolati come mesi dell'anno ('Thermidor', 'August', 'Three Septembers and a January' e 'Ramadan'). Tre di questi numeri fanno parte di 'Distant Mirrors' che fu pubblicato tra le storie di Season of Mists e A Game of You. L'ultimo, 'Ramadan', fu scritto contemporaneamente, ma a causa del ritardo delle illustrazioni la DC lo pubblicò nel n. 50, dopo la storia 'Brief Lives'.\nAltre tre storie comparvero nel volume, pubblicate come la storia 'Convergence', e anche queste erano storie auto-conclusive in cui Morpheus comparve poco. Ognuna di queste storie raccontò nei dettagli gli incontri dei vari personaggi con gli altri, e ognuna fu strutturata come una storia dentro una storia. 'Convergence' comparve tra le storie 'A Game of You' e 'Brief Lives'.Dato che il volume è partecipe di così tanti elementi, alcuni credettero nella mancanza di tematiche o consistenza artistica che è presente anche nelle altre raccolte di storie brevi. Forse nello sforzo di rendere queste differenze meno apparenti, la DC mischiò i numeri nel volume invece di presentarli cronologicamente con 'Distant Mirrors' sul davanti e 'Convergence' sul retro. Alcuni lettori poterono scegliere di leggere questo volume da copertina a copertina dopo 'A Game of You', mentre altri lessero le storie individuali nel loro posto come pubblicate originariamente.\nData la natura di raccolta di storie brevi, il volume è probabilmente il volume meno essenziale della serie in termini di trama di superficie di The Sandman (con l'eccezione di 'Orfeo'), ma forse il più accessibile in quanto i lettori potevano addentrarsi e uscire dalle storie senza nel frattempo necessitare di una conoscenza accurata dei personaggi e delle storie precedenti. Questo fece sì che alcune delle storie di il volume fornissero la chiave al sottotesto che era inestimabile per il lettore più attento nel tentativo di comprendere le motivazioni di Morpheus nel resto della serie.\n\nElenco delle storie e trame.\nTutte le storie sono state scritte da Neil Gaiman.\nPaura di volare (Fear of Falling): tratta da Vertigo Preview n. 1, è un breve racconto su un autore in crisi che grazie al Sandman riesce a superare il blocco.\nTre settembre e un gennaio (Three Septembers and a January): incentrato sul personaggio realmente esistito di Joshua Abraham Norton, un autoproclamato 'imperatore degli Stati Uniti d’America'. La storia si intreccia con una sfida tra Morfeo e sua sorella Disperazione.\nTermidoro (Thermidor): è ambientato durante la Rivoluzione francese e incentrata sul personaggio di Lady Johanna Constantine che cerca di recuperare la testa di Orfeo in mano ai rivoluzionari.\nCaccia (The Hunt): un vecchio racconta alla nipote di un giovane scopre di appartenere a una razza di uomini dotati di poteri e dalla vita lunghissima. Alla fine ci si rende conto che il protagonista del racconto non è altro che il vecchio.\nAugusto (August): l'imperatore Augusto si finge per un giorno mendicante per poter riflettere senza essere osservato dagli dei.\nTerre soffici (Soft Places): Marco Polo durante l'attraversata del deserto del Gobi rimane isolato dalla sua carovana e incontra Rustichello da Pisa. Poi si scopre che i due sono in realtà prigionieri in una terra indefinita e grazie a Sogno riesce a liberarsi e a ritrovare la carovana.\nOrfeo (The Song of Orpheus): Morfeo partecipa alle nozze di Orfeo ed Euridice; Euridice muore per il morso di un serpente e Orfeo implora Death di lasciarlo entrare nell'Ade per ritrovare l'anima dell'amata.\nParlamento dei corvi (The Parliament of Rooks) Daniel Hall fa un viaggio nel sogno fino alla casa di Caino e Abele e con Matthew, il corvo, e a Eva, si raccontano delle storie.\nRamadan: Hārūn al-Rashīd, un califfo illuminato regna su Bagdad e la sua corte è frequentata da grandi saggi e pensatori. Per evitare la decadenza del suo regno invoca Sandman proponendogli di portare la sua città nel regno dei sogni per renderla eterna; Sogno accetta e al suo posto della città resta una versione che ricorda quella reale contemporanea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fegeo (Iliade).\n### Descrizione: Fegeo (in greco antico: Φηγεύς?, Phēghéus) è un personaggio della mitologia greca menzionato nel V libro dell'Iliade.\n\nMitologia.\nFegeo era un giovane guerriero troiano figlio di Darete e fratello di Ideo, insieme al quale combatté valorosamente in difesa di Troia. Fu ucciso da Diomede, dopo aver tentato di colpirlo.\n\nArte.\nL'episodio è stato immortalato da Giulio Romano nel dipinto Diomede combatte contro Fegeo e Ideo, conservato al Louvre." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Femonoe.\n### Descrizione: Femonoe (in greco antico: Φημονόη?, Phemonoe) è una leggendaria profetessa e poetessa greca dell'era precedente a Omero. Diversi autori le hanno attribuito l'invenzione del verso esametro e, di conseguenza, dell'epica; in particolare secondo gli Anecdota Graeca raccolti da Cramer, ella avrebbe inventato questo tipo di metro, così come Tespi avrebbe inventato la tragedia ed Epicarmo la commedia.Secondo Pausania, fu la prima profetessa di Apollo, di cui declamava gli oracoli in esametri. In Guida della Grecia, l'autore tramanda un suo oracolo secondo il quale Apollo avrebbe ucciso con una freccia un uomo che aveva saccheggiato due volte il tempio di Delfi:.\n\nNel suo trattato sulle vibrazioni Peri palmon mantikes, Melampo citò Femonoe per le sue doti di divinazione.A lei è attribuito anche il motto «Conosci te stesso» iscritto all'ingresso del succitato tempio delfico di Apollo. In base a ciò, Femonoe potrebbe fare riferimento a un'origine femminile della tradizione filosofica, oltre che oracolare, dell'antica Grecia, per la valenza che Platone stesso attribuiva alla massima per gli albori del pensiero filosofico. Inoltre, Artemidoro nella sua opera Onirocritica descrive una Femonoe impegnata in una disquizione filosofica sulla distinzione tra ciò che esiste in natura e ciò che esiste per convenzione, tema tipico degli esordi della filosofia greca.Secondo due passi della Storia naturale di Plinio il Vecchio, Femonoe si dedicava all'ornitologia e/o all'oniromanzia: nel primo caso, le si attribuisce la descrizione di una varietà di aquila; nel secondo caso, Femoneo avrebbe classificato come uccello di buon auspicio il triorche, una specie di falco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ferea.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ferea (Φεραία) era uno degli appellativi o dei soprannomi della dea greca Ecate, considerata secondo alcune leggende figlia di Ferea.\nIl dato è riportato da Giovanni Tzetzes, Scoli a Licofrone, 1180.\n\nNella mitologia.\nSecondo una leggenda, Ferea era una figlia di Eolo, il figlio di Elleno, la quale era stata amata da Zeus ed era rimasta incinta di una bambina, la dea Ecate. Tuttavia alla sua nascita, la giovane rifiutò di allevare la neonata e la abbandonò in fasce presso un crocicchio; qui fu intravista da un pastore di Fere, il quale raccolse la piccola e l'allevò come se fosse sua figlia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Festino degli dei.\n### Descrizione: Il Festino degli dei è un dipinto a olio su tela (170x188 cm) di Giovanni Bellini, databile al 1514 e conservato nella National Gallery of Art di Washington. È firmato e datato: «IOANNES BELLINVS VENETVS P[inxit] MDXIV», sul cartiglio appeso al tino di legno, in basso a destra. L'opera venne poi ritoccata da Dosso Dossi e da Tiziano nel paesaggio.\n\nStoria.\nI contatti con Isabella d'Este.\nÈ nozione comune che Bellini non amasse dipingere quadri di soggetto mitologico. D'altra parte qualcuno sostenne che gli mancarono solo le occasioni, dato che la gran parte della sua clientela non prediligeva questi soggetti; la sua amicizia con umanisti come Bembo o Leonico Tomeo proverebbe invece un grande interesse per il mondo classico.\nTuttavia nemmeno Bembo riuscì a convincere l'artista a venir incontro al desiderio di Isabella d'Este di ottenere dal pittore una 'favola' per lo studiolo, nonostante la raccomandazione «di tenere ben disposto il Bellino et di componere la poesia ad sua satisfactione»: la marchesa di Mantova si sarebbe dovuta arrendere. Lo stesso Bembo, pur mostrandosi fiducioso con la marchesa, ci dà però un'idea della fiera opposizione dell'artista: «Insomma gli avemo dato tanta battaglia che il castello al tutto credo si renderà».\n\nAlfonso I.\nNon si capisce, con queste premesse, come mai Bellini accettò invece la commissione del duca di Ferrara, Alfonso I d'Este, fratello della marchesa, di un quadro a soggetto mitologico da sistemare nel 'camerino d'alabastro' che il duca progettava di costruire.\nIl risultato complessivo dell'opera non dovette soddisfare il committente, e l'artista intervenne più volte ad opera finita sul dipinto, recandosi di persona a Ferrara per seguire da vicino la sistemazione del quadro. Qui apportò alcune modifiche, scoprendo il seno ad alcune figure femminili a destra e poi, sempre nell'intento di rendere più 'tizianamente orgiastico' il quadro, aggiunse alcuni particolari. In occasione di questo viaggio, infatti, Bellini probabilmente vide l'affresco del Mese di Aprile di Francesco del Cossa (1470 circa) nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia: il gesto di Nettuno che insinua una mano fra le cosce di Cibele è un'esplicita citazione dell'affresco ferrarese.\nIl Festino degli dei fu dunque il primo dei quadri ordinati da Alfonso per il suo camerino: dopo aver invano atteso dipinti da Fra' Bartolomeo e da Raffaello, e aver ottenuto invece un dipinto da Dosso Dossi, pittore di corte a Ferrara, si rivolse a Tiziano che dipinse poi per lui la Festa di Venere, il Bacco e Arianna e infine il Baccanale degli Andrii.\n\nDiscordanze sull'inizio dell'opera.\nDell'opera belliniana, oltre alla firma e la data, si conosce anche il documento di pagamento a saldo di 85 ducati che il cancelliere ducale degli Este versò al pittore il 14 novembre 1514. Nonostante ciò gli studiosi hanno preso diverse posizioni circa la data di inizio dell'opera: Wind (1948), ad esempio, sostenne che forse il dipinto poteva essere stato cominciato qualche anno prima per Isabella d'Este, prendendo le notizie date dal Bembo alla marchesa nel 1505 come indicative dell'inizio di una collaborazione, poi sospesa per ignote ragioni. A favore di questa tesi si pronunciarono anche Pallucchini (che propose il 1509), Arslan, Pignatti e Bottari, che accolsero alcune notazioni stilistiche già rilevate da Vasari (una certa incisività 'tagliente' nei panneggi, derivata dall'esempio di Dürer), riferibili agli anni immediatamente precedenti, dopo il 1505-1506: quest'ultimo biennio rappresenta l'ipotesi più precoce riguardo alla genesi dell'opera, sostenuta da Bonicatti, che pure non prese opinione circa l'ipotesi legata alla committenza di Isabella.\nIpotesi più recenti, sebbene riscontrino le differenze stilistiche tra alcuni panneggi e il primo piano sassoso rispetto alle altre forme d'impasto corposo e caratterizzate da una stesura tonalista del colore, tendono a scartare la possibilità di una sospensione di qualche anno tra l'avvio e la conclusione dell'opera, anche perché lo stesso soggetto pare legato alle nuove tematiche pastorali e profane del giorgionismo, non compatibili con una datazione troppo precoce.\n\nI ritocchi.\nVasari testimoniò come Tiziano intervenne successivamente sul dipinto di Bellini, poiché non finita. In realtà, le indagini a raggi infrarossi eseguite nel 1956 hanno chiarito che effettivamente sono presenti tre stesure diverse sul dipinto: una prima, originale e belliniana, e due ritocchi a distanza di poco tempo, uno ascrivibile al Dosso e l'altra a Tiziano e riguardanti essenzialmente il paesaggio boscoso. Bellini aveva infatti dipinto un paesaggio luminoso, con pochi e radi alberi dal fogliame leggero, che vennero coperti prima da un'alberatura più fitta e frondosa e, nell'apertura a sinistra, da un paesaggio con case e rovine nella prima ridipintura, e dallo sperone roccioso su un cielo carico di nubi nella seconda e definitiva. Appare evidente che questi interventi erano mirati ad adeguare l'opera a quelle successive che si vennero collocate nel camerino.\nAd alcune figure vennero inoltre mutati il gesto o la veste, o resi più evidenti gli attributi per facilitarne l'identificazione: a Nettuno venne messo in mano il tridente, ad Apollo la lira, ecc.\nSecondo Shapley due ultime correzioni più grossolane sono invece da riferire a un quarto pittore, meno dotato: il braccio sinistro di Cibele e quello destro di Nettuno.\n\nVicende successive.\nPassata Ferrara sotto il dominio dello Stato Pontificio, il legato di Papa Clemente VIII, il cardinale Aldobrandini, si impadronì delle opere del 'camerino', fra cui il Festino. Il dipinto rimase proprietà degli Aldobrandini fino al 1796-1797, quando fu venduto a Vincenzo Camuccini, il cui nipote, Giovanni Battista, lo vendette all'estero nel 1855.\nFinito nelle collezioni del quarto duca di Northumberland (Alnwick Castle, Northumberland, Inghilterra), passò ai suoi eredi finché non venne di nuovo ceduto nel 1906 a una società londinese, che nel 1922 lo vendette a sua volta a Peter A. B. Widener, magnate americano le cui collezioni vennero poi donate al da poco istituito museo americano, nel 1942.\n\nDescrizione e stile.\nSecondo le interpretazioni più correnti, l'episodio sarebbe tratto dai Fasti di Ovidio e narrerebbe 'un'impresa' del deforme Priapo: dopo un festino degli dei, il semidio, approfittando del torpore generato dal vino, cerca di possedere nel sonno la ninfa Lotide o, secondo un'altra interpretazione, la dea della castità Vesta; essa però viene svegliata dal raglio dell'asino di Sileno, tra lo scorno del farabutto e le risate degli altri dei. Un'allusione al segreto scoperto sarebbe il fagiano sull'albero, simbolo di promiscuità e ciarlaneria, perciò di tradimento che fa scoprire il segreto. Sarebbe quindi effigiato l'istante sospeso immediatamente anteriore alla scoperta, una raffinata istantanea scattata prima della tempesta.\nGli dei sono riuniti in olimpico convito: un lungo, estenuante banchetto durato tutta la notte: adesso, verso l'alba, mentre alcuni son colti dal sonno, sfiancati dal vino e dalle libagioni, Nettuno, al centro, può prendersi qualche libertà, con la mano destra nell'intimità di Cibele, con la sinistra sul fondo schiena di Cerere; qua e là si vedono satiri intenti al servizio, mentre a sinistra è presente Sileno, con l'asino, e il giovane Bacco, che riempie una brocca alla botte: la sua figura si trova anche in un altro dipinto di Bellini di quegli anni, il Bacco fanciullo nello stesso museo americano. Tra le figure ben riconoscibili, in primo piano al centro, si vede Mercurio mollemente sdraiato: nella sua postura si è talvolta letta un'anticipazione della Danae di Tiziano (1545).\nLa scena dovrebbe avere un carattere lascivo ed erotico, ma invece il tutto appare un po' rigido e freddo: non tanto per un deficit qualitativo (essendo la tecnica perfetta e la raffinatezza dei particolari altissima), ma piuttosto per un approccio tutto sommato casto e moderato al tema, tipico di altre opere come la Giovane donna nuda allo specchio.\nIl tentativo di aggiungere dettagli più espliciti da parte dell'artista non riuscì tuttavia a movimentare questa scampagnata divina, tantomeno a renderla fascinosamente erotica: lo scarto di cultura e di mentalità col secolo che entrava - con i suoi nuovi astri nascenti - era evidentemente troppo abbondante. In definitiva a Bellini interessava creare un tono di pacata ed arcaica fiaba mitologica, caratteristica che neanche le modifiche successive alterarono.\n«Eppure, anche per le mani di altri, resta non sfiorata la purezza della poesia di Giovanni, che era quella di uomo che meditava [...] sulla bellezza dell'esserci dell'uomo al mondo».\nCosì, a ben vedere, il dipinto è attraversato da una sorridente e blanda ironia, che evita di fermarsi sui particolari più crudi del racconto del poeta latino, per meditare invece nel considerare amabilmente le divine debolezze degli dei.\nPhilipp Fehl ha avanzato anche un'altra ipotesi, cioè che l'opera rappresenti un passo dell'Ovidio volgarizzato (traduzione delle Metamorfosi), pubblicato da Giovanni de' Buonsignori, piuttosto che dei Fasti. In quel testo il festino è in realtà un baccanale, i cui convenuti non sono dei ma uomini: solo in un secondo momento la composizione sarebbe stata mutata per adeguarla all'altra fonte letteraria. Nella redazione originale belliniana infatti solo i satiri e il Bacco fanciullo sono manifestamente divini, a indicare lo svolgimento dei misteri bacchici, gli altri personaggi non è detto che lo siano.\n\nAltri dipinti del «camerino d'alabastro»." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fidippo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Fidippo (in greco antico: Φείδιππος) fu re di Coo, figlio di Tessalo e Calciope, e, attraverso il padre, nipote di Eracle.\nIgino lo ricorda nelle schiere di pretendenti di Elena. Si legò al giuramento di Tindaro, padre della giovane, con cui tutti i pretendenti promisero di accorrere in aiuto dell'uomo che il sorteggio avrebbe scelto come sposo della fanciulla. Elena fu presto rapita da Paride e il suo consorte Menelao s'appellò alla promessa che avrebbe chiamato in causa i moltissimi prodi anni prima. Fidippo raccolse trenta navi e veleggiò verso Troia assieme al fratello Antifo.\nI Greci imboccarono però la strada sbagliata e approdarono in Misia, regione asiatica alleata di Priamo e dominata da Telefo, figlio d'Eracle. Prima di ricorrere alla violenza, si tentò dapprima una soluzione pacifica, e Fidippo fu mandato insieme al fratello e allo zio Tlepolemo presso la corte di Telefo per rammentargli il legame parentale che li univa.Fidippo s'introdusse assieme al fratello nel Cavallo di Troia, ma forse Antifo non visse abbastanza a lungo per salirvi. All'indomani della caduta di Troia, l'eroe sbarcò sull'isola di Andro e infine a Cipro, dove s'insediò coi suoi compagni.\n\nCuriosità.\nA Fidippo è intitolato l'asteroide troiano 17351 Pheidippos." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Filammone.\n### Descrizione: Filammone (in greco antico: Φιλάμμων?, Filàmmōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Apollo e di Chione. In un'altra versione è figlio di Apollo e di Leuconoe, o ancora figlio di Efesto. Secondo Pausania il padre fu Apollo e la madre fu Crisotemi figlia di Carmanore.\n\nMitologia.\nChione, figlia di Dedalione, giunta in età da marito destò l'interesse di due dei, Apollo e Ermes, che tramite l'inganno si unirono a lei nella stessa notte. Da Ermes ebbe Autolico, e da Apollo Filammone, 'bravissimo nel canto e nella cetra'. Indovino, Filammone fu amato dalla ninfa Argiope, dalla quale ebbe un figlio, Tamiri, che divenne un cantore. Pausania riferisce che 'Argiope abitò per un certo tempo sul Parnaso, ma quando rimase incinta, si recò presso gli Odrisi, perché Filammone non voleva condurla nella sua casa.'.\nA Filammone si attribuiscono sia l'istituzione dei misteri di Demetra a Lerna sia le frasi in prosa e poesia che accompagnavano il rito. Si diceva poi avesse inventato i cori femminili. Morì combattendo contro i Flegei, a fianco dei Delfii." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Filante (figlio di Antioco).\n### Descrizione: Filante (in greco antico Φύλας Phýlās) è un personaggio della mitologia greca figlio di Antioco che a sua volta era figlio di Eracle.\n\nMitologia.\nNipote del primo Filante re dei Driopi, ebbe dalla moglie Leipefilene i figli Ippote e Tero, che venne sedotta da Apollo e da cui nacque Cherone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Filemone e Bauci.\n### Descrizione: Filèmone e Bàuci sono i protagonisti di un episodio della mitologia classica tramandato nell'ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Il mito di cui i due personaggi sono protagonisti è uno di quegli avvenimenti che venivano raccontati per provare che la virtù dell'ospitalità era ricompensata.\n\nMito.\nUn giorno Zeus ed Ermes, vagando attraverso la Frigia con sembianze umane, cercarono ospitalità nelle case vicine. I soli che li accolsero furono Filemone e Bauci, una coppia di anziani. «Bussando a mille porte, domandavano ovunque ospitalità e ovunque si negava loro l'accoglienza. Una sola casa offrì asilo: era una capanna, costruita con canne e fango. Qui, Filemone e Bauci, uniti in casto matrimonio, vedevano passare i loro giorni belli, invecchiare insieme sopportando la povertà, resa più dolce e più leggera dal loro tenero legame».\n\nLa coppia si offrì di lavare i piedi ai viaggiatori, e diede poi loro da mangiare un pranzo campestre: olive, corniole, radicchio e latte cagliato. Quando però versavano il vino, questo non finiva mai, per cui iniziarono a sospettare della finta identità della divinità. Volevano sacrificare la loro unica oca, ma l'animale aveva intuito che erano dei e andò a nascondersi tra le loro gambe.\nDopo il pranzo gli Dei si palesarono e Bauci e Filemone furono condotti sopra un'alta montagna vicina alla capanna e venne loro comandato di guardare all'indietro: mentre Zeus scatenava la propria ira contro i Frigi, videro tutto il borgo sommerso e distrutto tranne la loro povera capanna che venne trasformata in un tempio maestoso. Zeus si offrì di esaudire qualunque loro desiderio. Filemone e Bauci chiesero solo di diventare sacerdoti del tempio di Zeus e di poter morire insieme. Dopo aver vissuto ancora molti anni, i due coniugi furono trasformati in alberi: Filemone in una quercia e la moglie in un tiglio, uniti per il tronco. Questa meraviglia vegetale, che si ergeva di fronte al tempio, fu venerata per secoli.\nI nomi di Filemone e di Bauci sono passati in proverbio per indicare due vecchi sposi che in passato hanno trascorso i loro giorni in un amore reciproco, e ne conservano vivo il sentimento.\n\nFilemone e Bauci nell'arte.\nFilemone e Bauci, dipinto ad olio di Adam Elsheimer.\nMercurio e Giove nella casa di Filemone e Bauci , dipinto ad olio su legno di Philip Gyselaer (~1625).\nFilemone e sua moglie Bauci ospitano Giove e Mercurio travestiti da viaggiatori, dipinto ad olio su rame di Hendrick Goudt degli anni 1620.\nFilemone e Bauci visitati da Giove e Mercurio, dipinto ad olio su pannello di Rembrandt (1658).\nPaesaggio con Filemone e Bauci, dipinto ad olio su tela di Rubens (~1620).\nGiove e Mercurio visitano Filemone e Bauci come stranieri , dipinto su tela di Orest Kiprensky (1802).\nFilemone e Bauci al tempio e La trasformazione di Filemone e Bauci, dipinti ad olio su tela di Janus Genelli (1801).\nFilemone e Bauci, scultura in alluminio fuso di Claudio Prestinari (2017).\n\nFilemone e Bauci nella musica.\nFilemone e Bauci, canzone del gruppo Amor Fou e dell'omonimo EP autoprodotto del 2009." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Filezio.\n### Descrizione: Filezio (in greco antico: Φιλοίτιος) è un personaggio dell'Odissea. È il bovaro di Odisseo.\n\nIl personaggio.\nÈ un giovane e vigoroso guardiano del bestiame, preso ancora ragazzo da Odisseo stesso per accudire gli animali.\nFilezio viene introdotto come personaggio nel canto XX, quello successivo al riconoscimento di Euriclea: egli si manifesta molto fedele nei confronti del padrone, del quale tesse una lode dopo aver visto il mendicante che era stato ospite di Eumeo, ossia Odisseo stesso. Nel canto successivo, il XXI, Odisseo prende in disparte Eumeo e Filezio e si svela loro facendo vedere la propria inequivocabile cicatrice. A questo punto, chiede a Filezio di chiudere tutte le porte che potrebbero permettere ai pretendenti la fuga e di rassicurare le ancelle, affinché esse non si spaventino per le grida e sentendole rimangano a lavorare. Filezio chiuderà le porte assieme ad Euriclea. Appare poi in varie azioni collettive nella mnesterofonia, sempre affiancato da Telemaco, Odisseo ed Eumeo, insieme ai quali si reca il successivo giorno da Laerte e intraprende un'azione militare contro i concittadini fomentati da Eupite, poi sedata nella pacificazione proposta ai contendenti da Atena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Filocoro.\n### Descrizione: Filocoro (Atene, 340 a.C. circa – Atene, 262/261 a.C.) è stato uno storico ateniese, attidografo, con funzioni di indovino, aruspice ed esegeta.\n\nBiografia.\nFiloconservatore, permeato da antichi ideali ateniesi, si schierò dalla parte della coalizione antimacedone quando Tolomeo II, alleatosi con Atene e Sparta, tentò di arrestare l'influsso macedone nell'Egeo. A seguito della sconfitta ateniese nella cosiddetta Guerra Cremonidea (267 a.C. - 263/262 a.C.), secondo una testimonianza della Suda, venne giustiziato per ordine di Antigono Gonata, re di Macedonia.\n\nOpere.\nDelle opere di Filocoro sono pervenuti 230 frammenti e diversi titoli.\n\nOpere minori.\nDi tipo monografico erano opere come Sulla tetrapoli, Fondazione di Salamina, una Storia di Delo in 2 libri, Sui misteri ateniesi, Sugli agoni ad Atene e le Olimpiadi in 2 libri.\nRiguardavano la letteratura opere quali Sui tragici, i 5 libri Sui soggetti di Sofocle, Su Euripide, Lettera ad Asclepiade (sulla tragedia), Su Alcmane.\nOpere di tipo antiquario erano i 4 libri Sulla profezia (Περὶ μαντικῆς, direttamente legati all'attività augurale ed esegetica di Filocoro), Sui sacrifici (Περὶ θυσιῶν), Sulle feste (Περὶ ἑορτῶν), Sui giorni (Περὶ ἡμερῶν), Sulle purificazioni, Epitome dell'opuscolo di Dionigi sui riti (Ἐπιτομὴ τῆς Διονυσίου πραγματείας περὶ ἱερᾶν), Iscrizioni attiche (Ἐπιγράμματα Ἀττικά), Sui governanti ad Atene (Περὶ τῶν Ἀθήνησι ἀρξάντων), Lettera ad Alipio e, infine, nel solco della retorica isocratea, il trattato Sulle invenzioni. A questo tipo di opere erudite si legavano forti interessi sul pitagorismo, testimoniati dai titoli Sui simboli, Rassegna di eroine e donne pitagoriche (Συναγωγὴ ἡρωΐδων, ἤτοι Πυθαγορείων γυναικῶν).\n\nAtthis.\nCapolavoro di Filocoro era l'Atthís (Ἀτθίς), in 17 libri, rimasta incompiuta per la morte dell'autore: in essa si narrava la storia dell'Attica dagli inizi mitici fino alla morte dell'autore (262/261 a.C.). Di quest'opera restano 72 frammenti, che consentono di ricostruirne contenuto e ossatura: nei primi due libri, Filocoro si occupava dei sovrani mitici, da Cecrope in poi, con una descrizione particolareggiata delle istituzioni della città per poi dedicarsi, nel III libro, alle riforme di Solone e Clistene. Il quarto libro riguardava l'età di Pericle.\nI Libri dal VII al XVII coprivano, con ampiezza di particolari, il periodo dal 338 al 262 circa, anche se degli ultimi sei libri non resta alcun frammento." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Filofrosine.\n### Descrizione: Filofrosine (in greco:Φιλοφροσύνη) era, nella mitologia greca, lo spirito di gentilezza, benvenuto, amicizia e benevolenza. Le sue sorelle erano Euthenia, Eufema, e Eucleia. Insieme con le sue sorelle, è stata considerata come un membro delle Cariti più giovani. Secondo i frammenti orfici, Filofrosine era la figlia di Efesto e Aglaia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Filottete.\n### Descrizione: Filottète (in greco antico: Φιλοκτήτης?, Philoktétēs) è una figura della mitologia greca, figlio di Peante e Demonassa o della ninfa Metone (secondo una diversa tradizione).\n\nIl mito.\nPossessore dell'arco di Eracle.\nFamoso arciere originario della penisola di Magnesia, possedeva le frecce e l'arco di Eracle, donati a lui (o al padre Peante) da Eracle stesso, che voleva in tal modo ringraziarlo per aver appiccato il fuoco alla sua pira sul monte Eta.\n\nSoggiorno forzato a Lemno.\nIl Catalogo delle navi presente nell'Iliade afferma che, nella spedizione achea contro Troia, Filottete guidasse un contingente di sette navi provenienti da Metone, Taumacia, Melibea e Olizone, ognuna con cinquanta rematori abili nel tirare coll'arco.Filottete, tuttavia, non giunse a Troia con gli altri capi: durante lo scalo, fu morso da un serpente velenoso al piede. La ferita diventò ben presto così infetta da emanare un puzzo insopportabile e Ulisse non fece alcuna fatica a convincere gli altri capi ad abbandonarlo a Lemno, quando la flotta passò vicina a questa isola.\nFilottete rimase per dieci anni su quell'isola allora deserta e vi sopravvisse uccidendo uccelli con le frecce d'Eracle.\n\nAmbasceria greca a Lemno.\nDurante il decimo anno della guerra di Troia gli Achei ricevettero una profezia secondo la quale non avrebbero mai conquistato Troia se Neottolemo ed il possessore dell'arco e delle frecce di Eracle (cioè Filottete) non avessero combattuto con loro.Quasi tutte le fonti attribuiscono la profezia all'indovino troiano Eleno; fa eccezione Quinto Smirneo, il quale, adottando una versione marginale del mito (riportata solo dall'epitome dello Pseudo-Apollodoro) attribuisce la profezia a Calcante, che nel suo poema ha il ruolo fisso di 'consigliere e indovino 'ufficiale' degli Achei'.Ulisse partì dunque in ambasciata verso Lemno, accompagnato da Neottolemo e Diomede, e convinse Filottete ad unirsi a loro promettendogli la cura dei figli d'Asclepio, i medici delle schiere greche.\n\nImprese nella guerra di Troia.\nSi attribuiscono all'arciere molti meriti in guerra; le sue stragi furono considerevoli e le sue vittime davvero eccellenti. Igino riferisce che l'eroe uccise tre avversari. Secondo altre fonti egli uccise il troiano Admeto, come ci tramanda Pausania, e poi altri guerrieri troiani, Deioneo, Peiraso e Medonte, figlio di Antenore. Secondo alcuni autori, sarebbe stato lui ad uccidere con le sue frecce Acamante, figlio di Antenore, fino a segnare le sorti della guerra, uccidendo Paride.\n\nDopo la guerra di Troia.\nNell'Odissea Nestore narra che Filottete fu tra coloro che, finita la guerra, tornarono felicemente in patria.Secondo tradizioni posteriori, invece, fu scacciato dalla patria (Melibea in Tessaglia) in seguito ad un’insurrezione e, venuto in Calabria lungo la costa a nord di Crotone, fondò i centri di Krimisa, Petelia, Macalla e Chone, facendo costruire un tempio a Cirò Marina dedicato ad Apollo, l'antica Krimisa, ove depose l'arco e le frecce di Herakles.\nControversa è la sua morte. I Sibariti, poiché Filottete veniva sentito come eroe proprio al quale si facevano risalire le origini della città, lo presentano come morto in combattimento contro i barbari presso Sibari. La principale tradizione vuole, invece, che l'eroe, dopo aver operato nella Crotoniatide, tra Krimisa e il Neto, sia morto combattendo per mano degli Ausoni Pelleni, popolazione achea già presente nella zona del Neto, in difesa dei Rodii che volevano stanziarsi nell’Italia meridionale.\n\nFonti.\nLe principali fonti antiche in cui fu narrato il mito di Filottete sono:.\nnell'ambito della poesia epica la Piccola Iliade (perduta) e, in età tardo-antica, le Posthomerica di Quinto Smirneo;.\nnell'ambito della lirica la Pitica I di Pindaro e un ditirambo di Bacchilide (perduto);.\nnell'ambito della tragedia attica il Filottete di Eschilo (perduto), il Filottete e il Filottete a Troia (perduto) di Sofocle e il Filottete di Euripide (perduto, tranne che per il prologo, conservato da Dione Crisostomo nell'orazione 59); i tre Filottete vengono confrontati nell'orazione 52 di Dione Crisostomo;.\nnell'ambito delle opere mitografiche in prosa l'Eroico di Lucio Flavio Filostrato e la Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fineo (figlio di Agenore).\n### Descrizione: Fineo (in greco antico: Φινεύς?, Phinéus) è un personaggio della mitologia greca, connesso con la spedizione degli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro. Fu un indovino nonché re della città di Salmidesso in Tracia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Agenore o di.\nPoseidone o di Fenice e di Cassiopea, sposò Cleopatra (figlia di Borea), da cui ebbe Plexippo e Pandione (o Partenio e Crambis). Fineo in seguito ripudiò Cleopatra.\nDalla seconda sposa Idea (citata anche come Dia), o da Eidotea (sorella di Cadmo), od Eurizia, oppure da una concubina, fu anche padre di Mariandi, Tino, Eraseia, Arpiria ed Olizone.\n\nMitologia.\nFineo fu un indovino Tracio incontrato dagli Argonauti durante il viaggio verso la Colchide e la sua vicenda viene approfondita principalmente da tre autori greci ed uno romano i quali, nelle loro rispettive opere, descrivono situazioni e dettagli a volte diversi ed altre contrastanti.\n\nApollodoro.\nApollodoro racconta che a Salmidesso (in Tracia e come figlio di Agenore o di Poseidone), l'indovino Fineo viene incontrato da Borea e dagli Argonauti che lo puniscono poiché reo di avere accecato i suoi primi figli (Plexippo e Pandione avuti da Cleopatra), ingiustamente accusati di aver cercato di possedere la sua seconda moglie (Idea).\nNella medesima opera, Apollodoro aggiunge che la causa del suo accecamento fu una punizione degli dei per aver predetto il futuro all'umanità, od inflittagli dagli Argonauti perché aveva accecato i propri figli, oppure effettuata Poseidone perché Fineo aveva indicato ai figli di Frisso la rotta da seguire per raggiungere la Grecia partendo dalla Colchide.\nFineo è inoltre perseguitato dalle Arpie (inviate dagli dèi), che lo aggrediscono dal cielo rubandogli il cibo e sporcandogli quello che ne rimane, così gli Argonauti si offrono di liberarlo dalla piaga in cambio delle sue predizioni. Zete e Calaide (i figli di Borea), scacciano ed inseguono le due Arpie fino a quando una (Aello) cade in un fiume del Peloponneso e l'altra (Ocipete) presso le isole Strofadi.\ned in cambio Fineo rivela agli Argonauti il modo per superare le isole Simplegadi senza restarne schiacciati.\n\nApollonio Rodio.\nApollonio Rodio posiziona la casa di Fineo sul mare e di fronte alla Bitinia ed aggiunge che è già cieco al momento dell'incontro con gli Argonauti, ma non parla affatto dei due figli in punizione e delle dispute tra le due mogli, dilungandosi invece sulla situazione della salute di Fineo, che definisce povero e caduto in disgrazia a seguito di una punizione stabilita da Zeus.\nFineo dice agli Argonauti di essere stato il re dei Traci ed anche in questa versione le incursioni delle Arpie vengono affrontate dai due Boreadi che, mentre cercano di colpirle con le spade, vedono apparire la dea Iris (sorella delle Arpie) intervenuta dapprima per difenderle ed in seguito per stabilire che gli Argonauti lascino la terra di Fineo e che le Arpie facciano ritorno nella loro tana (l'isola di Creta), smettendo definitivamente di perseguitare Fineo.\nApollonio Rodio è l'unico che spiega l'origine delle facoltà profetiche Fineo, poiché nella maggior parte dei dialoghi lo fa parlare con il 'figlio di Leto' (Idmone, un discendente di Leto) ed Argonauta a cui il protagonista riconosce di averle ottenute durante un loro precedente incontro.\n\nDiodoro Siculo.\nDiodoro Siculo non parla delle Arpie e definisce Cleopatra sorella di Zete e Calaide (in quanto figlia di Borea ed Orizia) e non cita mai i nomi due figli puniti da Fineo, ma dice che gli Argonauti li trovano imprigionati in una tomba, dove vengono colpiti con continui colpi di frusta perché creduti rei di aver offeso la madre di Idea, divenuta seconda moglie di Fineo e quindi la loro matrigna.\nLei però, mentendo a Fineo li aveva accusati di aver compiuto l'infame gesto per compiacere Cleopatra (prima moglie di Fineo e madre dei due) e quando Eracle e gli Argonauti sopraggiungono, Fineo non vuole sentire ragione di scagionarli ed in malo modo invita gli Argonauti a non interferire.\nMa Zete e Calaide spezzano le catene e liberano i due giovani, facendo sì che Fineo e i suoi uomini ingaggino battaglia contro gli Argonauti, i quali riescono a sconfiggerli uccidendo Fineo. Dopodiché liberano i due giovani e gli consegnano il regno del padre.\nI due giovani infine, per mediazione di Eracle non compiono alcuna vendetta contro Idea, preferendo unirsi agli Argonauti dopo aver consegnato il regno a Cleopatra.\n\nGli autori romani.\nIgino, Ovidio e Virgilio solo accennano alla vicenda di Fineo mentre Gaio Valerio Flacco racconta che Fineo, cieco, perseguitato dalle Arpie ed in disgrazia, attende gli Argonauti sulle rive di un fiume e dimostra la sua veggenza gridando di conoscere i fatti già avvenuti degli Argonauti durante il loro viaggio verso di lui e di essere il re del ricco fiume Ebro.\n\nFineo dice anche di subire la punizione di perché in precedenza aveva predetto il destino dell'umanità e di attendere che i figli di Aquilo (Borea) facciano in modo che le Arpie cessino di tormentarlo. Così i Boreadi di fronte al nuovo attacco (gli autori romani, parlano di tre Arpie aggiungendo Celeno alle due 'greche' Aello ed Ocipete), si sollevano in cielo nel tentativo di contrastarle ma suscitano l'intervento di Tifone che, prendendo la difesa delle Arpie e pur dicendo che sono state mandate come punizione degli dei, fa sì che se ne vadano per sempre cessando di tormentare Fineo. Giasone infine, si rivolge a lui chiedendo del destino degli Argonauti e Fineo, rinvigorendosi con le pratiche magiche che compie prima di parlare del futuro, gli risponde dando consigli sul resto del viaggio verso la Colchide ma non gli rivela se riuscirà ad ottenere il Vello d'oro.\n\nAltre tracce.\nLe storie dell'accecamento dei figli di Fineo e della persecuzione della Arpie furono rappresentate in due drammi perduti di Sofocle intitolati Fineo e probabilmente anche in un terzo denominato Tympanistae, purtroppo anch'esso perduto. Quest'ultimo potrebbe anche non essere stato un dramma distinto dagli altri due.\nAnche Eschilo scrisse un'opera intitolata Fineo, mentre Lucio Accio scrisse i Phinidae." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fineo (figlio di Belo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Fineo era figlio di Belo e della ninfa Anchinoe, e dunque discendente da Poseidone per parte di padre e dal Nilo per parte di madre, nonché fratello di Danao, Egitto e Cefeo.\n\nIl mito.\nPerseo aveva ottenuto in sposa Andromeda, figlia di Cefeo re d'Etiopia, dopo aver ucciso il mostro marino al quale essa era stata offerta in pasto. Fineo, zio della ragazza, ordì un piano per riprendersi Andromeda con la forza dato che la giovane donna in precedenza era stata promessa in sposa a lui. Secondo il racconto di Ovidio, Fineo radunò un gran numero di guerrieri - sia etiopi sia orientali - coi quali irruppe nella reggia di Cefeo mentre era in corso il banchetto nuziale di Perseo e Andromeda, ingaggiando quindi lotta armata contro l'eroe greco e i suoi compagni. Perseo uccise con varie armi alcuni seguaci del rivale, tra cui il giovanissimo indiano Ati e il caucasico Abaride, per poi impietrire Fineo e i duecento suoi uomini ancora vivi mostrando loro il volto della Gorgone. Secondo la versione più antica del mito, invece, Fineo tentò di rapire Andromeda col solo aiuto di Abaride, e furono entrambi trasformati in pietre.\n\nLa figura di Fineo nella cultura moderna.\nOpere d'arte.\nPerseo affronta Fineo con la testa di Medusa, dipinto di Sebastiano Ricci.\nPerseo, protetto da Minerva, pietrifica Fineo, dipinto di Jean-Marc Nattier.\nPiatto con lotta tra Perseo e Fineo, opera decorativa di artista ignoto.\n\nMusica.\nCarl Ditters von Dittersdorf, Sinfonia n. 5, Kr. 77, una delle Sinfonie sulle Metamorfosi di Ovidio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Flauto di Pan.\n### Descrizione: Il flauto di Pan è un tipo di strumento aerofono a fiato, costituito da più canne, il cui numero può variare, di lunghezza diversa e legate o unite tra loro. Per ottenere il suono si soffia trasversalmente sulle aperture superiori delle canne. Prende il nome da Pan, divinità della religione greca antica, corrispondente al romano Silvano.\nNella classificazione Hornbostel-Sachs, i flauti di Pan costituiscono una famiglia di strumenti denominati 'serie di flauti con imboccatura a un'estremità', e sono indicati con il codice 421.112.\nTra i flauti di Pan più noti ci sono la siringa dell'antica Grecia e la zampoña della musica andina.\n\nDescrizione e storia.\nIl flauto di Pan è l'antenato dell'organo a canne e, non avendo fori per le dita, dell'armonica a bocca. Ma mentre quest'ultima è uno strumento ad ance libere, il flauto di Pan è un aerofono labiale.\nNella religione greca antica Siringa è una ninfa naiade. Seguace di Artemide, fu inseguita dal dio Pan desideroso di possederla e sfuggendogli giunse fino alle rive del fiume Ladone, dove invocò l'aiuto delle Naiadi. Da loro fu trasformata in canne palustri che al soffio del vento emettevano un suono delicato. Udendo quel suono Pan decise di costruire un nuovo strumento musicale (il Flauto di Pan) a cui diede il nome della ninfa. Pan (un satiro, cioè metà capra e metà umanoide, con corna, orecchie a punta e pizzetto) suonava questo flauto per incantare e irretire i viandanti: è per questo che si chiama flauto di Pan. La Sýrinx viene suonata anche dalle sirene per accompagnare i defunti nell'oltretomba.\nNelle fonti latine i flauti di Pan venivano anche chiamatolo con altri nomi, collegati alla loro forma o al materiale usato per costruirli, per esempio arundo (“canna”), fistula (“tubo”) o buxus (“legno di bosso”).\nNei paesi dell'America Latina, il flauto di Pan detto zampoña è utilizzato soprattutto negli altopiani andini, e in paesi come Bolivia, Ecuador, Argentina, Perù, Colombia e Cile. Il suo sviluppo è iniziato intorno al V secolo dell'era cristiana, la cultura Huari o Wari, che si trova in Perù ed oggi possono essere raggruppati in tre gruppi principali: il siku o sikuri (in lingua aymara significa 'tubo che dà suono'), la antara e il rondador.\nUna variante chiamata firlinfeu, è tradizionalmente in uso nella Brianza; il paese europeo dove lo strumento conosce il maggior successo è probabilmente la Romania; è presente anche in altre regioni del mondo, quali ad esempio la Cina o le Isole Salomone.\n\nStruttura.\nIl flauto di Pan classico, chiamato anche siringa, è composto da un numero variabile di canne. Il materiale più comunemente usato è il bambù, talvolta è utilizzato il legno d'acero. Le canne sono disposte verticalmente e unite orizzontalmente con corde o cera, guardando il suonatore in modo decrescente da sinistra a destra.\nLe forme fondamentali del Flauto di Pan sono quattro:.\n\nForma semplice: è la forma più utilizzata, le canne vengono disposte a zattera, le canne più corte devono essere alla sinistra del musicista.\nForma scavata in un sol pezzo: prendendo un pezzo rettangolare del materiale (di solito vengono usati materiali di legno), si scava la forma del Flauto di Pan.\nForma doppia: sono due forme semplici affiancate fra loro.\nForma a fascio: le canne sono raggruppate e unite a forma di grappolo d’uva.\n\nModo di suonare.\nIl flauto di Pan va suonato tenendo la fila di canne inferiori, se disposto su due file come da modello andino, rivolte verso di sé, e comunque con le canne più corte, che emettono suoni acuti, verso la sinistra di chi suona.\nIl soffio deve essere emesso a labbra strette, in modo da lasciare una fessura né troppo stretta né troppo larga, abbastanza per far passare un flusso d'aria leggera e veloce, da spingere sgonfiando i polmoni senza movimenti dei muscoli addominali. Inoltre, bisogna accertarsi che il Flauto di Pan non abbia le canne secche, poiché se le canne si seccano man mano che lo strumento viene suonato l'intonazione cambia e cala. Alcuni costruttori (Italia Plaschke) consigliano di umidificare con olio di vaselina l'interno.\ndelle canne con cadenza mensile, a tale scopo sono in commercio appositi kit. Da notare che durante la umidificatura delle canne di agire con delicatezza onde evitare di spostare i fondelli di regolazione del tono di ciascuna canna, e di conseguenza l'intonazione di base (440 Hz.) Normalmente, riguardo alle tonalità, le siringhe si rifanno ai luoghi d'origine, le siringhe africane sono senza tonalità fissa, anche se la nota più grave è sempre un do e quella più acuta è spesso un sol, le siringhe dei mahori sono in diverse tonalità che si possono paragonare, come estensione, ai flauti soprano, contralto, tenore e basso.\n\nUtilizzo.\nIl flauto di Pan è uno strumento che viene molto usato nella musica andina, più precisamente in Perù, Argentina, Colombia, Bolivia, Ecuador e Cile. È proprio in quest'ultima che viene utilizzato di più da gruppi come gli Inti-Illimani e i Quilapayún, tanto da renderlo uno degli strumenti tipici della cultura andina.\nTra i gruppi svizzeri che lo hanno utilizzato ci sono Peter, Sue & Marc. Il rumeno Gheorghe Zamfir è attualmente considerato l'artista più virtuoso nell'utilizzo di questo strumento tra i flautisti dell'epoca contemporanea.\nEssendo uno strumento di origine greca, anche i compaesani Aphrodite's Child ne hanno fatto largo uso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Flegias.\n### Descrizione: Flegias (in greco Φλεγύας Phlegýās) è una figura della mitologia greca, citata anche da Dante nell'Inferno.\n\nGenealogia.\nFlegias è indicato come figlio di Ares e di Crise (figlia di Almo), da Pausania, o di Ares e Dotis (altrove sconosciuta) dallo Pseudo Apollodoro. Secondo quest'ultimo autore non ebbe figli, mentre altrove è indicato come padre di Coronide, amata da Apollo, e di Issione. Secondo una versione, la sposa di Flegias e madre di Coronide fu Cleofema, a sua volta figlia della musa Erato e del mortale Malo.\n\nNella mitologia antica.\nFlegias fu re dei Lapiti, una popolazione della Tessaglia, ma secondo Pausania successe a Eteocle come re di Orcomeno, in Beozia, e fondò nei paraggi una città a cui diede il suo nome.\nPer vendicare la morte della figlia Coronide, uccisa da Artemide su ordine di Apollo, Flegias tentò di incendiare il tempio del dio a Delfi, uno dei santuari più importanti della Grecia: per questo affronto Apollo, dopo averlo crivellato di frecce, lo scaraventò nel Tartaro e lo condannò a stare per l'eternità con un enorme masso sempre sul punto di cadergli addosso. La sua storia è narrata nell'Eneide e nella Tebaide di Stazio.\nUn altro mito racconta che venne ucciso dai re di Tebe Lico e Nitteo.\n\nNella Divina Commedia.\nNell'ottavo canto dell'Inferno Dante e Virgilio si trovano davanti alla palude dello Stige, dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi: qui ricevono aiuto da Flegias, le cui sembianze e il cui vero ruolo sono taciuti.\nSe sembra improbabile che sia un traghettatore per i peccatori di passaggio ai cerchi inferiori, essendovi le anime spedite direttamente da Minosse dopo il suo giudizio, potrebbe essere colui che getta i peccatori nella palude; in ogni caso Dante si preoccupa solo di citare la sua sovreccitazione, testimoniata dalle sue grida sia all'arrivo che alla discesa dei due poeti sulla sua barca.\n\nEtimologia del nome.\nIl nome Flegias indica un avvoltoio dal piumaggio rosso e richiama il termine greco 'phlego' e il termine latino 'flagro', tradotti entrambi come 'incendio': questa derivazione e la storia stessa del personaggio lo rendono appunto emblema di un'ira fulminea e deflagrante." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Flias.\n### Descrizione: Flias, Fliante o Fliaso è un personaggio della mitologia greca, un figlio di Dioniso e contato tra gli argonauti.\n\nGenealogia.\nFlias è in genere indicato come figlio del dio Dioniso, ma non c'è accordo su quale fosse la madre. Secondo Apollonio Rodio era figlio di Dioniso e Ctonofila. Pausania cita una versione secondo cui il padre sarebbe stato Ciso, ma afferma che secondo lui era figlio di Dioniso e Aretirea, figlia di Arante ed eponima della città di Aretirea, mentre Ctonofila, figlia di Sicione, sarebbe stata sua moglie e madre di suo figlio Androdamante. Igino lo chiama 'Fliaso' (Phliasus) e lo considera figlio di Dioniso e Arianna. Infine, nelle Argonautiche orfiche si dice soltanto che sua madre fu una ninfa, senza che sia menzionato il nome.\nSecondo una versione, diede il nome alla città di Fliunte, a volte identificata con l'antica Aretirea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Flotta greca in Aulide.\n### Descrizione: Flotta greca in Aulide è uno degli affreschi realizzati nel 1757 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza.\n\nDescrizione.\nSituato nel corpo principale della villa, il dipinto occupa una delle porzioni nella Sala di Ifigenia ed è pertanto in relazione col Sacrificio d'Ifigenia, che si trova sulla parete al centro. Vi sono rappresentati alcuni soldati achei che assistono al sacrificio della figlia di Agamennone, voluto da Diana, che però all'ultimo momento salverà la fanciulla. Le loro navi sono visibili sullo sfondo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fobetore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Fobetore (in greco Φοβητώρ, Phobētṑr, 'spaventoso') o Icelo (Ἴκελος, Íkelos, 'somigliante') è uno degli Oniri, figlio di Ipno e fratello di Morfeo e Fantaso.\nNelle Metamorfosi di Ovidio viene descritto come la personificazione degli incubi, nei quali appare con sembianze di animale. Gli dei lo chiamano Icelo, mentre gli uomini Fobetore.\n\nInfluenza culturale.\nA Fobetore è stato intitolato l'esopianeta Fobetore.Ispirato al dio degli incubi è il Pokémon Darkrai.Il personaggio appare in DanMachi, dove ricopre il ruolo di antagonista.Fobetore, col nome di Icelo, compare in I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade, dove rapisce l'anima di Sisifo del Sagittario e combatte contro El Cid del Capricorno, arrivando a mozzargli il braccio destro.\n\nFonti.\nOvidio, Metamorfosi, XI, 640-642." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Foco.\n### Descrizione: Foco (in greco antico: Φώκος?, Phṑkos) è un personaggio della mitologia greca, era figlio della nereide Psamate e di Eaco, re di Egina.\n\nMitologia.\nEstese i territori della Focide, che però prende il nome da un altro Foco, figlio di Ornizione e padre di Panopeo e Criso.\nFu ucciso dai fratellastri Peleo e Telamone durante una gara di lancio del disco.\nPrima di Foco, Eaco aveva infatti avuto da Endeide altri i figli Telamone e Peleo che vivevano anch'essi ad Egina.\nA causa della sua bellezza quasi divina, il re aveva una predilezione per lui ed inoltre Foco eccelleva nelle gare atletiche, provocando così l'invidia di Telamone.\nAvvedutosi della cosa, Foco lasciò Egina con un gruppo di cittadini e si diresse in Focide, che allora constava solo delle regioni circostanti il Parnasso e Titorea, proseguendone la colonizzazione. I suoi figli ne avrebbero poi esteso ulteriormente i confini.\nIn seguito, Eaco fece ritornare Foco ad Egina. Endeide, temendo che il re volesse sceglierlo come proprio erede al trono, convinse i propri figli ad ucciderlo e questi lo sfidarono ad una gara di pentathlon ed il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone.\nI due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi (Peleo e Telamone) che dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.\nI mitografi offrono versioni leggermente divergenti del racconto, in particolare riguardo alle ragioni della morte di Foco.\nPer alcuni fu ucciso per iniziativa di Telamone e Peleo si limitò ad aiutare il fratello a nascondere il corpo.\nStando a Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccise Foco fu lanciato da Peleo ma per il primo il colpo è puramente accidentale mentre per il secondo è intenzionale.\nPer altri ancora Peleo finì il giovane con un'ascia ed Igino attribuisce semplicemente la responsabilità della morte a entrambi i fratelli." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fontana di Pirene.\n### Descrizione: La Fontana di Pirene o Fontana inferiore di Pirene (in greco Πειρήνη?) è il nome di una fontana o una sorgente della mitologia greca, situata a Corinto precisamente all'interno del sito dell'Antica Corinto.\n\nMitologia.\nSi diceva che fosse l'abbeveratoio preferito del cavallo Pegaso, nonché luogo sacro alle Muse. I poeti viaggiavano lì per bere e ricevere ispirazione.\nNel II secolo, il viaggiatore Pausania descrive il mito di Pirene, amante di Poseidone, la quale si dissolse in fonte a causa delle morte del fratello ucciso da Artemide. Egli racconta così:.\n\nEsiste anche un'altra versione, secondo cui la fontana fu creata dallo zoccolo di Pegaso che colpiva il suolo. Ad ogni modo, la leggenda di Pausania è molto più diffusa.\nLa sorgente superiore di Pirene, legata al racconto eziologico di Pausania, si trova sull'Acrocorinto, acropoli di Corinto.Si ritiene che il primo re di Corinto Sisifo, cercando di risolvere il problema della scarsità d'acqua in città, si ritrovò nei pressi della rocca, dove vide Zeus con una bella ninfa di nome Egina che era figlia del dio fluviale Asopo, rapita dallo stesso Zeus.Il dio Asopo si presentò allora a Sisifo nelle sembianze di un vecchio e gli chiese notizie di sua figlia. Sisifo disse di averla vista, senza però rivelare subito chi l'aveva rapita preferendo chiedere una fonte d'acqua per la sua città in cambio dell'informazione. Asopo promise che gli avrebbe dato la fonte e Sisifo mantenedo il patto rivelò che la ninfa era stata rapita da Zeus.Soddisfatto, Asopo fece dono al re della sorgente perenne detta Pirene.\nIn questo abbeveratoio, Bellerofonte riuscì a domare il cavallo Pegaso grazie a una briglia d'oro donata da Atena, permettendogli poi di compiere l'impresa della chimera.\n\nArcheologia.\nLe prime pietre della costruzione risalgono al periodo arcaico (VII secolo a.C. o, più probabilmente, al VI secolo), costituendo in virtù dell'epoca storica una delle prime costruzioni di Corinto, assieme al tempio di Afrodite sull'Acrocorinto e alle mura settentrionali. La fontana ha subito non meno di nove trasformazioni nella sua storia.L'attuale forma della fontana risale al restauro operato da Erode Attico (vissuto nel 101-177 d.C.) in epoca imperiale romana, ma vi sono anche ulteriori modificazioni realizzate nel periodo bizantino." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fonte Castalia.\n### Descrizione: La fonte Castalia si trova nelle vicinanze del santuario di Delfi, a metà cammino tra Marmaria e il santuario stesso. In età antica i pellegrini, prima di entrare nel recinto sacro di Delfi, si purificavano presso questa fonte.\nUn'altra fonte minore, «Kassotis», era situata all'interno del temenos, nel luogo in cui la Pizia o pitonessa realizzava delle abluzioni prima di pronunciare i suoi auguri. Si dovevano purificare presso la fonte anche i sacerdoti e le persone che volevano avere un consulto dell'oracolo.\n\nUbicazione.\nSi trovava sul monte Parnaso, nella gola delle rocce Fedriadi, ai piedi della roccia di Hiampea, (ora chiamata Flembuco), luoghi dai quali sorgevano diverse fonti che formavano distinte sorgenti, sebbene Pausania indichi che l'acqua di Castalia si pensava provenisse da alcune sorgenti del fiume Cefiso. La fontana era circondata da una foresta di allori consacrata ad Apollo.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia greca, il suo nome deriva della ninfa Castalia, figlia del fiume Acheloo e moglie del re di Delfi. Essa avrebbe avuto un figlio chiamato Castalio, il quale sarebbe divenuto re alla morte del padre. Secondo un'altra tradizione la fonte deve il nome a una ragazza di Delfi chiamata Castalia che, inseguita da Apollo, si sarebbe immersa nella fonte.Un altro mito descrive che la fonte fosse custodita da una dragonessa —il serpente Pitone —, che sarebbe stata uccisa da Apollo; in un'altra versione del mito, il serpente a custodia della fonte sarebbe stata figlia di Ares e sarebbe stata uccisa da Cadmo, il quale in seguito, con la semina dei suoi denti, avrebbe fatto nascere gli Sparti.La leggenda racconta che sul monte Parnaso e vicino a questa fonte corressero le ninfe coricie. Si diceva che l'acqua scendesse ribollente grazie all'influenza di Apollo, quando questi emetteva un oracolo.\n\nFunzioni della fonte.\nLa fonte di Castalia è citata come un luogo riguardante direttamente Apollo e il suo oracolo; essa serviva per la purificazione rituale tanto della pizia, quanto degli altri sacerdoti dell'oracolo, che lavavano i loro capelli con le sue acque, come avveniva nel tempio di Apollo. Inoltre si purificavano nella fonte coloro che chiedevano un consulto dell'oracolo.Si riteneva che l'acqua della fonte Castalia favorisse l'ispirazione dei poeti.\n\nDati storici.\nSi sono conservate due fonti alimentate dalla sorgente sacra.\nLa prima, quella più antica (inizio VI secolo a.C.), citata da autori come Pindaro o Erodoto, ha un pilone rivestito di marmo circondato da panchine. La seconda, situata circa 50 metri sopra la precedente, è di età ellenistica o romana (probabilmente appartenente al I secolo a.C.) ed è quella che vide Pausania, con nicchie scavate nella roccia per ricevere i doni votivi.\nLa fonte del periodo arcaico fu trovata da Anastasios Orlandos negli scavi di 1960. ; quella più moderna è stata scoperta dopo gli scavi realizzati a partire dal 1878." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fonte di Acidalia.\n### Descrizione: Con fonte di Acidalia ci si riferisce a un'antica fonte dell'antica Grecia, situata nei pressi di Orcomeno in Beozia, dove, secondo la mitologia greca, si lavavano le Grazie devote alla dea Venere, figlie sue e di Bacco. Venere veniva perciò anche definita Acidalia mater." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fonti letterarie della mitologia greca.\n### Descrizione: Il corpus letterario della mitologia greca è costituito da un numero elevato di fonti, giunte a oggi in maniera estremamente frammentaria. Pochissime opere sono conservate in maniera integrale, mentre di un numero elevato di opere si ha conoscenza solo indiretta, attraverso le sintesi dei grammatici di tutte le epoche, o grazie a corpose citazioni di altri autori del mondo classico e medievale. Nell'elenco che segue sono raccolti gli autori più importanti di cui sono pervenuti dei frammenti significativi. Gli autori sono citati in ordine alfabetico, e suddivisi in tre categorie: fonti letterarie greche (senza distinzione tra età classica, alessandrina e tarda), latine e bizantine.\nTra le fonti importanti si deve ritenere anche la Suda, che non è annoverata nell'elenco in quanto non attribuibile ad alcun autore.\n\nFonti letterarie greche.\nAgia di Trezene.\npoeta epico greco (forse VII sec. a.C.). Gli si attribuisce il poema Nostoi (Νόστοι), cioè i 'Ritorni', che narrava il rientro in patria dei maggiori eroi greci dopo la presa di Troia. Ci restano solo frammenti.Antonino Liberale.\ngrammatico greco (II sec. d.C.). Conosciamo poco o nulla della sua vita, forse era un liberto. È stato autore de Le Metamorfosi, una raccolta di 41 racconti di argomento mitologico, pervenuta in un codice con un prezioso indice delle fonti.Apollonio Rodio.\npoeta epico greco (III sec. a.C.). Nato probabilmente ad Alessandria d'Egitto e morto a Rodi, dopo averci a lungo vissuto. Allievo di Callimaco, diresse per anni la Biblioteca di Alessandria, finché entrato in polemica con il maestro, che sosteneva la lirica pura, dovette lasciare l'Egitto. La sua opera maggiore infatti, Le Argonautiche (Τά Ἀργοναυτικά) in quattro libri che conserviamo quasi integralmente, ridiede vita alla poesia epica, da lungo tempo oramai abbandonata.Archiloco.\npoeta greco (VII sec. a.C.). Nato nell'isola di Paro, divenne soldato mercenario, visitando moltissimi paesi, tra cui forse anche la Magna Grecia. La tradizione vuole che sia morto in battaglia a Nasso. Aveva uno stile vivo e ricco di spunti polemici, spesso al limite dell'invettiva. Ci sono rimasti circa trecento frammenti, nei quali parla dei suoi due temi preferiti: la guerra e l'amore.Arctino di Mileto.\npoeta epico greco (VIII-VII sec. a.C.). Lo si ritiene il più antico cantore dello stile epico. Gli vengono attribuite diverse opere: l'Ethiopide (Αἰθιοπίς), in 5 libri, l'Iliupersis (Ἰλίου πέρσις) in 2 libri, entrambe sulla materie del Ciclo Troiano, e una Titanomachia. Ci restano solo pochi frammenti.Bacchilide.\npoeta lirico greco (Iuli, isola di Ceo, 516 ca. a.C. - 451 ca. a.C.). Era nipote di Simonide e contemporaneo di Pindaro, col quale si trovò spesso a competere. Nel 476 a.C. accompagnò lo zio Simonide in Sicilia, presso il tiranno Ierone; poi fu esiliato, per ragioni politiche, nella terra di Peloponneso. In vecchiaia tornò in patria, dove morì. Ci restano, oltre a qualche frammento, 14 epinici (Odi) e 5 ditirambi, in cui canta con stile chiaro i temi tradizionali della lirica greca, con occhio rivolto più verso l'elemento umano piuttosto che quello mitologico.Callimaco.\npoeta e filologo greco (305 ca. a.C. - 240 a.C.). Studiò ad Atene, ma visse ad Alessandria. Oltre che poeta ed erudito, fu chiamato alla carica di rettore della Biblioteca. Della sua produzione letteraria ci sono pervenuti integri solo 6 Inni alle divinità. Possediamo poi ampi stralci di un poema mitologico in 4 libri, gli Aitia (Αἴτια), cioè 'le Cause', che narravano le origini di molte feste e tradizioni. Quest'ultima opera fu notissima e a lungo imitata anche da Catullo, che traspose in latino la Chioma di Berenice. Ci sono giunti anche frammenti dell'Ecale, un componimento poetico sul tema mitologico dell'incontro tra Teseo e la vecchia Ecale. Conosciamo però i sunti di tutti i suoi componimenti.Diodoro Siculo.\nstorico greco (Agirio, Sicilia, 90 a.C. - 27 a.C.). Vissuto al tempo di Giulio Cesare, soggiornò forse a Roma e certamente ad Alessandria, come si ricava dalla sua opera in 40 libri, la Bibliotheca historica (Βιβλιοθήκη ἱστορική), una storia universale dei Greci, Romani e barbari, dalle origini mitiche al tempo di Cesare. A noi rimangono solo i primi 5 libri, sulla preistoria di Europa, Asia ed Africa e i libri XI-XX, che contengono notizie sul V-IV sec. a.C., oltre a numerosi frammenti. Gran parte dell'opera è costituita da parafrasi o citazione di altri autori, altrimenti perduti.Dionigi di Alicarnasso.\nstorico e retore greco (I sec. a.C.). Si trasferì a Roma durante il regno di Augusto, dedicandosi però solo allo studio e all'insegnamento. Scrisse moltissime opere di retorica e di erudizione. Lo ricordiamo per la voluminosa opera storica Antichità Romane (Ῥωμαική ἀρχαιολογία), in cui si raccontava la storia del mondo antico dalle origini alla Prima Guerra Punica. Dell'opera ci sono rimasti solo 11 dei 20 libri.Esichio di Alessandria.\ngrammatico greco (forse Alessandria d'Egitto, V sec. d.C.). Autore del Lexicon, un enorme glossario di parole ed espressioni greche, molte delle quali rare od oscure. L'opera, costituita da circa 51.000 voci in ordine alfabetico, è importante nella ricostruzione del testo degli autori classici in generale, e particolarmente di scrittori che usavano parole ricercate, e riporta anche molti fatti meno noti riguardo alla religione della Grecia antica. L'opera è derivata da altri glossarii più antichi, ed è giunta a noi in forma probabilmente interpolata.Eschilo.\npoeta tragico greco (Eleusi 525 a.C.- Gela 456 a.C.). Le notizie biografiche sono in massima parte leggendarie. Partecipò alle battaglie di Maratona, di Salamina e forse di Platea. Fu accusato di aver svelato i misteri eleusini, ma poi, non essendovi stato iniziato, riuscì a scagionarsi. Nel 484 a.C. andò a Siracura presso il tiranno Ierone, che ospitava in quel periodo anche Simonide, Bacchilide e Pindaro, dopo 16 anni tornò ad Atene. Sconfitto nel 468 a.C. In un concorso da Sofocle, l'anno successivo vinse con la Trilogia tebana, e nel 458 con l'Orestea (Ὀρέστεια). Nel 457 a.C. tornò in Sicilia, dove morì. Scrisse circa 90 drammi, di cui ne conserviamo per intero solo sette: I Persiani, I Sette contro Tebe, le Supplici, Prometeo incatenato, e la trilogia nota come l'Orestea, comprendente Agamennone, le Coefore e le Eumenidi. Della rimanente opera ci rimangono circa 700 frammenti.Esiodo.\npoeta greco (VIII-VII sec. a.C.). Visse ad Ascra, in Beozia, dove fece il rapsodo. Vinse una gara poetica a Calcide, ma non si sa dove morì. Le sue opere ci sono giunte certamente con interpolazioni successive. La Teogonia (Θεογονία) è un poema di 1022 versi (ma gli ultimi 50 non sono sicuramente autentici), che elenca le generazioni degli dei, dal regno di Urano a quello di Crono, per giungere, dopo il racconto del mito di Prometeo e della Titanomachia, a quello di Zeus, che è visto come il regno dell'ordine e della giustizia. Le Opere e i Giorni (Ἔργα καὶ Ἡμέραι) sostengono, attraverso il racconto della decadenza umana seguita all'Età dell'Oro, che solo l'operosità riscatta la vita. Dubbia invece la paternità dello Scudo di Eracle e dell'Eoie (o Catalogo delle donne).Eugammone di Cirene.\npoeta greco (VI sec. a.C.). Gli viene generalmente attribuita la Telegonia (Τηλεγόνεια), un poema del Ciclo Troiano, che raccontava le vicende di Ulisse e del figlio Telegono, a partire dalla strage dei Proci. Telegono arrivava ad Itaca, dove non riconoscendo il padre lo uccideva. L'opera si concludeva con il matrimonio di Telegono e Penelope.Euripide.\npoeta tragico greco (Atene 484 ca. a.C. - Pella 406 a.C.). Abbiamo notizie in gran parte leggendarie, che lo volevano erroneamente nato nell'anno della battaglia di Maratona (490 a.C.) e figlio di un'erbivendola. In realtà ebbe un'accurata istruzione, impegnandosi in gare sportive e frequentando eminenti intellettuali tra cui Anassagora, i sofisti e lo stesso Socrate. Visse appartato a Salamina, dove la leggenda mostrava una caverna nella quale il poeta si ritirava per comporre e dove si diceva tenesse una grande collezione di libri. Nel 408 a.C. si recò in Macedonia presso il re Archelao, dove morì, secondo un'altra leggenda, sbranato da un cane da caccia. Scrisse circa novanta drammi, dei quali ne conserviamo interamente diciotto: Alcesti, Medea, Eraclidi, Ippolito coronato, Andromaca, Ecuba, Supplici, Eracle furente, Troadi, Elettra, Elena, Ifigenia in Tauride (o Taurica), Ione, Fenicie, Oreste, le postume Baccanti e Ifigenia in Aulide, e infine il dramma satiresco il Ciclope. A questi alcuni aggiungono Reso, di incerta attribuzione. Dei drammi perduti rimangono inoltre circa 1200 frammenti, alcuni dei quali molto lunghi, che ci permettono di ricostruire anche tragedie come Antiope, Cresfonte, Eretteo, I Cretesi, Melanippe la saggia, Melanippe incatenata, Telefo, Stenebea, Issipile, Fetonte.Eutichio Proclo.\ngrammatico greco (Costantinopoli 412 d.C. - Atene 485 d.C.). Fece opera di sistemazione sia nel campo filosofico che nel campo letterario greco. A questo proposito ricordiamo la Crestomazia (Χρηστομάθεια θεια γραμματιχῄ), una raccolta antologica della produzione letteraria ellenica, divisa per stili (poesia, tragedia, commedia, epica, etc.). È utilissima perché ci fornisce dei riassunti, a volte anche estesi, di opere altrimenti perdute. È la fonte più autorevole per la conoscenza delle principali opere perdute del Ciclo Troiano (Ciprya, Iliupersis, Ethiopide, Piccola Iliade, Nostoi, Telegonia).Filostrato il vecchio.\nscrittore e retore greco (Lemno, III sec. d.C.). Autore delle Immagini (Εἰκόνες), opera in forma di dialogo tra un sofista e alcuni allievi durante una visita guidata in una villa vicino a Napoli, in cui si descrivono le 64 pitture esposte nelle stanze.Ione di Chio.\npoeta e storico greco (V sec. a.C.). Scrisse drammi satireschi, inni, elegie e ditirambi; inoltre opere in prosa quali le Memorie e i Racconti di viaggio (Ἐπιδημίαι), in cui descriveva i suoi incontri con personaggi celebri, quali Eschilo e Sofocle. Lo ricordiamo per nove tragedie (tra cui Agamennone, Argivi, Fenice, Laerte, Teucro). Ci sono giunti solo frammenti.Lesche.\npoeta epico greco (VII-VI sec. a.C.). Forse nato a Mitilene. Gli si attribuisce il poema Piccola Iliade (Ἰλιὰς μικρά), ma qualcuno gli attribuisce anche l'Iliupersis, che i più assegnano invece al suo rivale Arctino. Restano solo dei frammenti.Licofrone.\npoeta tragico greco (IV-III sec. a.C.). Nacque a Calcide, ma soggiornò a lungo nella Magna Grecia, a Reggio. Fu poi chiamato ad Alessandria dove diresse la Biblioteca. I titoli della sua produzione rivelano una predilezione per Euripide. Conserviamo per intero la cosiddetta Alessandra di Licofrone, una tragedia in forma di monologo in cui si narra di un nunzio che riferisce a Priamo i presagi di Cassandra. Il testo è, secondo la moda alessandrina dell'epoca, pieno di arcaismi e artifici da risultare a tratti oscuro.Luciano di Samosata.\nscrittore greco (Samosata, Siria, II sec. d.C.). Scrittore fecondissimo e versatile. Ci restano un'ottantina di opere, tra le quali ricordiamo i Dialoghi degli Dei, un'opera parodica sullo stile menippeo, e due opere su argomento mitologico: Prometeo o il Caucaso, e il Concilio degli Dei.Mnasea di Patrasso.\nscrittore e storiografo greco (Patrasso o Patara, Cappadocia, III-II sec. a.C.). Di lui si conservano pochi frammenti sparsi (circa 60). Si ritiene esser stato allievo di Eratostene. Nonostante la scarsità del materiale tramandato, Mnasea, che è citato anche da Plinio il Vecchio, è degno di nota per aver svelato alcune notizie e alcuni dettagli sui culti esoterici.Nonno di Panopoli.\npoeta greco (Panopoli, Egitto, V sec. d.C.). Poco o nulla sappiamo della sua vita. La sua opera principale è costituita dalle Dionisiache, in 48 libri e 25.000 esametri, che raccontano la spedizione del dio Dioniso in India per stabilirvi il suo culto.Omero.\nil massimo poeta greco (VII-VI sec. a.C.). Si è per molto tempo dubitato persino della sua reale esistenza (dalla esegesi dell'Abate di Aubignac a Wolf, passando per Vico). Un'interpretazione errata del suo nome lo fece ritenere a lungo un poeta cieco. Nato in Asia Minore, forse a Chio o a Smirne, dovette vivere presso un re esercitando la professione di rapsodo. A Chio fiorì una scuola di rapsodi che a lui si ispiravano, e che furono chiamati omeridi. Gli si attribuiscono parecchie opere. I due capolavori sono certamente l'Iliade (Ἱλιας) e l'Odissea (Ὀδνσσεἳα), che oggi si ritiene composti integralmente da lui sulla base di antichi canti popolari, giunti a noi con alcune interpolazioni (come ad esempio la cosiddetta Telemachia - Odissea I-IV). A lui vengono anche attribuiti 33 componimenti in esametri, gli Inni, scritti in onore di divinità (tra cui Demetra, Apollo ed Ermes).Partenio di Nicea.\ngrammatico e poeta greco (Bitinia, I sec. a.C.- I sec. d.C.). Fu fatto prigioniero durante le guerre contro Mitridate, quindi deportato a Roma. In seguito fu maestro di greco per Virgilio. L'unica opera giunta a noi sono le Pene d'amore (Eroticà Pathèmata), una collezione di 36 storie di innamorati infelici, tratte dalla letteratura greca e alessandrina.Pausania, detto il 'Periegeta'.\nscrittore greco (Magnesia, Asia Minore, II sec. d.C.). La sua opera più rilevante è la Periegesi della Grecia (Περιήγησις τῆς Ἑλλάδος), in 10 libri. È una descrizione di città e santuari greci ordinata secondo due itinerari, uno da Atene verso il Peloponneso, l'altro da Atene alla Grecia centrale. L'opera è ricca di excursus mitografici ed etnografici e di descrizioni di prodigi e fatti rari. Oggi la si ritiene derivata da autori minori.Pindaro.\npoeta greco (Cinocefale, Tebe 518 a.C. - Argo, 438 a.C.). Di nobile famiglia, viaggiò a lungo per la Grecia e le colonie (fu anche alla corte dei tiranni di Siracusa e Agrigento). Visse lontano dalla vita politica, in una sorta di aristocratico isolamento. Compose poesie liriche di ogni genere, ma della sua vastissima produzione ci sono pervenuti solo gli epinici: 44 odi, divise in 4 libri (14 Olimpiche, 12 Pitiche, 11 Nemee e 7 Istmiche), più alcuni frammenti. La composizione delle odi prendeva spunto dalle feste a cui erano dedicate; cominciavano con l'elogio dei vincitori, per poi continuare con l'esposizione di un mito in qualche modo connesso con l'atleta o la città, o la sua stirpe. Il mito però era raramente evocato per intero, anzi spesso era ricordato attraverso scorci, fatti di passaggi arditi e metafore illuminanti (i cosiddetti 'voli pindarici'), in una lingua piena di neologismi e perifrasi, a volte persino oscuri.Platone.\nuno dei massimi filosofi greci (Atene, 427 a.C. - 347 a.C.). In alcuni suoi dialoghi (ad es. Protagora) fece ricorso a celebri episodi mitografici (ad es. quello di Prometeo), arricchendoli di particolari e sfumature assolutamente inedite e originali.Plutarco.\nscrittore greco (Cheronea, Beozia 46 d.C. - 127 ca. d.C.). Dopo lunghi viaggi si dedicò allo studio, distratto solo da qualche carica onorifica, come quella di arconte o di sacerdote del tempio di Delfi. Lo ricordiamo per l'opera Le vite parallele (Βίοι Παράλληλοι), una raccolta di 50 biografie di personaggi greci e romani, di cui 46 disposte a coppia, sulla base di analogie di vita o di carattere (ad esempio, Teseo e Romolo, Temistocle e Camillo, Pericle e Fabio Massimo, Pirro e Mario, Alessandro e Cesare, Demostene e Cicerone, etc.). Le biografie, narrate singolarmente, sono infatti seguite da un'appendice che contiene il confronto tra i due personaggi. L'opera voleva dimostrare che la Grecia aveva da contrapporre ai nuovi eroi romani, altrettanti personaggi illustri, senza però cadere nel nazionalismo.Pseudo-Apollodoro.\nautore non ancora identificato, a cui si attribuisce convenzionalmente la Biblioteca, opera colossale della quale rimangono frammenti. Il nome deriva dal fatto che un tempo si credeva fosse stata scritta da Apollodoro di Atene, detto il Mitografo, scrittore greco (II sec. a.C.), autore tra le altre cose di una cronaca che tratta gli avvenimenti dalla Guerra di Troia al 144 a.C.Pseudo-Eratostene.\nautore a cui si attribuisce il saggio i Catasterismi, in cui sono descritte 42 costellazioni con i miti che le danno il nome. Nel XX secolo si è dimostrato che l'estensore fu Eratostene (Cirene, 276 a.C. – Alessandria d'Egitto, 194 a.C.), filosofo, matematico, astronomo, geografo e scrittore.Quinto Smirneo.\npoeta epico greco (IV sec. d.C.). Della sua vita non si sa nulla, e si crede che sia nato a Smirne solo dall'interpretazione di alcuni suoi versi. Scrisse un'opera epica in 14 libri, le Postomeriche (Τὰ καθ' Ὅμηρον), che narravano le vicende intercorse tra la fine dell'Iliade e l'inizio dell'Odissea. Il manoscritto del poema fu rinvenuto solo nel XV sec. in un monastero di Otranto.Simonide.\npoeta greco (Isola di Ceo 550 ca. a.C. - Siracusa 467 ca. a.C.). Fu poeta di professione e viaggiò molto, componendo su commissione. Di talento e memoria prodigiosa, pare fosse venale. Compose encomi, epinici, elegie, giambi, inni e soprattutto canti funebri. Ci restano solo frammenti, tra i quali uno che narrava il mito di Danae.Sofocle.\npoeta tragico greco (Colono 496 a.C. - Atene 406 a.C.). Figlio di un ricco fabbricante d'armi, godette una gioventù agiata e di un'ottima educazione. Partecipò intensamente alla vita pubblica e politica del paese, ricoprendo anche cariche pubbliche: fu stratega, insieme a Pericle, durante la guerra contro Samo; poi fu ambasciatore presso varie città e anche uno dei dieci probuli cui fu dato provvisoriamente il governo di Atene dopo la disastrosa spedizione in Sicilia del 412 a.C. Morì novantenne, pochi mesi dopo la morte di Euripide, di cui aveva fatto l'elogio funebre. Scrisse circa centotrenta opere, di cui ci sono state tramandate per intero 7 tragedie: Aiace, Antigone, Edipo Re, Elettra, Edipo a Colono, Filottete, Trachinie. Delle rimanenti opere ci rimangono circa 1100 frammenti di varia lunghezza.Stasino di Cipro.\npoeta epico greco (VII sec. a.C.). Gli si attribuisce il poema Ciprya (Κύπρια), che però altri attribuiscono ad un certo Egesia o Egerino, suo compatriota. Del poema restano solo scarsi frammenti.Stesicoro.\npoeta lirico greco (VI sec. a.C.). Visse ad Imera, in Sicilia, prese parte alla vita politica, ma negli ultimi anni della sua vita pare si trasferì a Catania. La sua opera, divisa dai grammatici alessandrini in 26 libri, era ricca di celebrazioni di miti eroici: la Gerioneide, Cicno, Erifile, la Caccia al cinghiale, la Caduta di Troia, l'Orestea, Elena. A quest'ultima opera è legata la leggenda secondo la quale Stesicoro fu accecato dai Dioscuri per aver diffamato la loro sorella Elena; il poeta la avrebbe riacquistata quando, scrivendo la Palinodia, affermò che non Elena, ma un suo simulacro aveva seguito Paride a Troia. Di tutta l'opera ci restano solo frammenti.Strabone.\nstorico e geografo greco (58 ca. a.C. - tra il 21 e il 25 d.C.). Di ricca famiglia, fece studi importanti, intraprendendo poi anche lunghi viaggi in Grecia e Egitto. Nel 20 a.C. si trasferì a Roma, e negli ultimi anni della vita visse in Campania. Scrisse un'opera storica in 47 libri, i Commentari Storici, di cui abbiamo una conoscenza indiretta, essendo stata fonte per la composizione di innumerevoli opere successive. La Geografia (Γεωγραφικά), opera in 17 libri, invece ci è giunta per intero, ed è preziosa perché riporta anche molte notizie importanti sulle tradizioni e sulla religione delle varie regioni della Grecia.Teocrito.\npoeta greco (Siracusa 315 a.C. - 260 ca. a.C.). Dimorò per qualche tempo a Cos e poi ad Alessandria, dove entrò in amicizia con Callimaco. Compose moltissimo, ma ci sono giunti solo gli Idilli (Είδύλλια), una raccolta di 30 brevi componimenti, di cui 21 certamente autentici. Alcuni di questi sono espressamente di contenuto mitologico e sono detti Epilli, anche se certamente più celebri sono quelli di stile bucolico, che furono fonte di ispirazione per tantissimi poeti posteriori (ad es. Virgilio e L'Arcadia del '700).\n\nFonti letterarie latine.\nApuleio, Lucio.\n(lat. Lucius Apuleius), scrittore filosofo e retore latino (Madaura, Algeria 125 ca. d.C. – 170 ca. d.C.). Autore de Le Metamorfosi, noto anche con il titolo de L'Asino d'oro, romanzo in undici libri che racconta la storia allegorica di Lucio, trasformato per incidente in asino, che attraversa varie vicende grottesche prima di riguadagnare le sembianze umane. Contiene molte digressioni di stampo mitologico. È l'unico romanzo latino giunto a noi integralmente.\nIgino detto 'l'Astronomo'.\n(lat. Hyginus) poeta latino (II-III sec. d.C.). Lo ricordiamo per l'opera le Favole (Fabulae), raccolta di 277 racconti mitologici ad uso delle scuole, suddivisa in tre parti (genealogie, favole, indici), utilissima per ricostruire molte tragedie greche perdute.Ovidio, Publio Nasone.\n(lat. Publius Ovidius Naso), poeta latino (Sulmona, 43 a.C. - Tomi, Mar Nero 17 o 18 d.C.). Di famiglia ricca, intraprese la carriera politica, dedicandosi però ben presto alla poesia, campo in cui ottenne subito entusiastici consensi. Poi, per lo scoppio di un oscuro scandalo, fu esiliato da Augusto sul Mar Nero, dove morì. Ebbe una vastissima produzione, specie nel campo della poesia galante e amorosa. Alla maturità appartengono però le sue due opere maggiori, le Metamorfosi (Metamorphoseon libri) in 15 libri, e i Fasti, in 6 libri. La prima è una raccolta di miti, argutamente legati tra loro in una trama che va dai primordi del mondo alla trasformazione di Cesare in astro. Il secondo è una spiegazione mitica del calendario romano, mese per mese, da gennaio a giugno. Fu in tutte le epoche stimato come uno dei massimi poeti dell'antichità.Servio Mario Onorato.\n(lat. Servius Marius Honoratus), grammatico e commentatore latino (IV sec. d.C.). Autore di alcuni Commentarii alle opere di Virgilio, dai quali si possono ricostruire molti episodi mitologici minori.Stazio, Papinio Publio.\n(lat. Publius Papinius Statius), poeta latino (Napoli, 45 ca. d.C. - 96 d.C.). Ereditò dal padre la passione poetica, giungendo presto a Roma, dove partecipò alla vita di corte, esaltando le imprese militare di Domiziano. Lo ricordiamo per la Tebaide (Thebais), poema epico in 12 libri, che narra la lotta di Eteocle e Polinice, figli di Edipo, per il trono di Tebe. Stazio non segue la poesia ciclica greca, bensì una tradizione dotta che rielabora con fantasia e originalità. Scrisse anche un altro libro epico, basato sulle gesta di Achille, l'Achilleide (Achilleis), rimasto incompiuto al secondo libro.Valerio Flacco, Setino Balbo Gaio.\n(lat. Gaius Valerius Flaccus Setinus Balbus), poeta epico latino (I sec. d.C.). Compose un'opera, l'Argonautica (Argonautiche), rimasta interrotta all'VIII libro. È ispirata all'analoga opera di Apollonio Rodio, ma solo nelle linee generali del mito, perché per il resto il poeta indugia molto in digressioni ed episodi che incontravano il gusto dell'epoca. Influenzò certamente Stazio.Virgilio, Publio Marone.\n(lat. Publius Vergilius Maro), poeta latino (Mantova 70 a.C. - Brindisi 21 a.C.). Ebbe un'accurata istruzione, e strinse amicizia con molti letterati, tra cui Orazio. Conquistata l'amicizia del ministro di Augusto, Mecenate, visse sotto la sua tutela a Napoli, fino a quanto, dopo aver intrapreso un viaggio in Grecia, dovette rientrare precipitosamente in patria dove morì. Lo ricordiamo per l'Eneide (Aeneis), il più grande poema epico latino, nel quale è narrata la fuga del troiano Enea dai lidi della sua città, fino al suo approdo nelle coste del Lazio.\n\nFonti letterarie bizantine.\nEustazio di Tessalonica.\nletterato ed erudito bizantino (Costantinopoli, 1110 ca. d.C. – 1198 d.C.). Monaco dalla vastissima cultura, fu professore di eloquenza a Costantinopoli e poi arcivescovo di Tessalonica, città in cui morì. Scrisse alcuni Commentari alle opere epiche di Omero, conservati in forma autografa, che contengono una mole impressionante di citazioni, spesso lunghe ed integrali, tratte da opere oramai perdute di grammatici e critici di ogni epoca, dall'età classica a quella alessandrina.Tzetzes, Giovanni.\nfilologo bizantino (XII sec. d.C.). Lo ricordiamo per aver scritto molte opere e commenti sulle fonti letterarie mitologiche, tra cui le Questioni su Ilio (Ἱλιαχά), una specie di raccolta di tutte le fonti sulla Guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Forbante (figlio di Lapite).\n### Descrizione: Forbante (in greco antico: Φόρβας?, Phòrbās) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe della Tessaglia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Lapite e di Orsinome (figlia di Eurinome), sposò Irmine (Ὑρμίνη, figlia di Epeo), con cui ebbe i figli Augia, Attore e Tifide, anche se secondo altre fonti il padre naturale di Augia potrebbe essere Eleo.\n\nMitologia.\nGià principe della Tessagia, si stabilì ad Elea dove si alleò con il re della città (Alettore) il quale, preoccupato della rivalità con Pelope, ottenne i favori di Forbante dandogli in cambio una parte del suo regno. Questi territori in seguito furono ereditati Augia ed Attore.Si dice anche che sia stato un amante eromenos di Apollo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Forbante (figlio di Triopa).\n### Descrizione: Forbànte (in greco antico: Φόρβας?, Phórbās) è un personaggio della mitologia greca. Eroe dell'isola di Rodi.\n\nGenealogia.\nFiglio di Triopa e di Hiscilla (figlia di Mirmidone) (od Orisinome figlia dei mirmidoni). Fu padre di Pellene, eponimo della città di Pellene.\n\nMitologia.\nQuando il popolo dell'isola di Rodi fu vittima di una piaga composta da masse di serpenti, un oracolo profetizzò di chiamare un uomo chiamato Forbante che, una volta coinvolto purificò l'isola dei serpenti e in segno di gratitudine fu venerato come un eroe.\nDopo la sua morte, Apollo lo collocò nella costellazione del Serpentario.\nSecondo Omero, Forbante era più attraente di Apollo.\nIl fatto viene citato nell'opera Astronomica di Igino:." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Forbas e Anfimedonte.\n### Descrizione: Forbas e Anfimedonte sono due personaggi della mitologia classica, menzionati nelle Metamorfosi di Ovidio. Il secondo dei due non deve essere confuso con uno dei più noti pretendenti di Penelope.\n\nMito.\nForbas e Anfimedonte erano due dei tanti guerrieri che si aggregarono a Fineo quando questi pianificò di riprendersi la nipote Andromeda, figlia di suo fratello Cefeo: la ragazza gli era stata promessa in moglie ma poi Cefeo aveva finito per assegnarla a Perseo. Fineo fece dunque irruzione nella reggia proprio durante il banchetto nuziale, con un gran numero di uomini provenienti perlopiù dall'Africa e dall'Asia, tra cui Forbas e Anfimedonte. Entrambi facevano parte del contingente africano: Forbas infatti era originario di Siene, in Egitto, mentre Anfimedonte era di origine libica, ed è possibile che i due non solo già si conoscessero ma fossero anche amici, dato che si mossero insieme per assalire Perseo. Ma essi scivolarono sul sangue di Ati, il giovanissimo semidio indiano, e del suo amante Licabas, che erano stati uccisi dall'eroe greco poco prima. Ciò provocò la loro caduta a terra: i due guerrieri africani fecero quindi per rialzarsi, ma Perseo fu più rapido, conficcando la sua spada nella gola di Forbas e quindi nella schiena di Anfimedonte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Fortificazioni di Micene.\n### Descrizione: Le fortificazioni di Micene sono le mura difensive della città antica di Micene, in Grecia, costruite con l'uso della muratura ciclopica. Con la cittadella costruita su un rilievo, gli architetti hanno creato una protezione non solo per la classe superiore che viveva all'interno delle mura, ma anche per gli agricoltori delle classi inferiori nelle zone circostanti, che potevano trovare rifugio in tempi di guerra. A causa dell'alta competizione nell'età del bronzo tra la metà e la tarda età, la parete della cittadella si espanse significativamente con l'inclusione della Tomba circolare A e l'aggiunta della Porta dei Leoni.\n\nMura della cittadella (espansione e inclusione della Tomba circolare A).\nMicene aveva un muro di grosse pietre irregolari che venivano deposte insieme senza malta. Le mura della cittadella si estesero durante il periodo tardo elladico III (TE III), motivo per cui si riteneva fosse la competizione tra regioni. Nel periodo TE IIIB, la competizione tra le regioni ha portato all'allargamento delle città. Questa espansione non includeva solo la creazione della Porta dei Leoni della Porta posteriore, ma anche l'inclusione della Tomba circolare A all'interno delle mura della cittadella. La porta posteriore nella parte posteriore della cittadella era ritenuta un ingresso per i cittadini provenienti dall'area circostante per entrare nei momenti di attacco.\n\nMuratura ciclopica.\nLa muratura utilizzata per costruire la cinta muraria che circondava Micene era di pietra calcarea. A causa delle dimensioni e del peso di queste pietre, troppo pesanti per essere sollevate da un umano medio, i Greci che successivamente scoprirono queste fortificazioni credettero che fossero il lavoro dei Ciclopi. Pertanto, il progetto delle pareti in pietra è stato chiamato muratura 'ciclopica', in quanto si credeva che questi 'giganti' costruissero muri. Tuttavia, gli archeologi ritengono che le mura siano state ispirate dalle fortificazioni della capitale ittita di Hattusa. Il primo muro 'ciclopico' fu costruito nel periodo del tardo elladico IIIA, quindi ampliato fino a includere la Tomba circolare A nel periodo TE IIIB.\n\nPorta dei Leoni.\nLa struttura dell'ingresso principale aveva uno svantaggio nell'attacco militare. Per entrare, un esercito invasore avrebbe dovuto girare a destra attorno a un alto bastione che sporgeva dal lato destro del cancello. I guerrieri del periodo, tradizionalmente, tenevano i loro scudi sul braccio sinistro e le loro armi nella mano destra, che veniva visualizzata nei reperti del tempo, incluso un anello d'oro con una scena di battaglia. Essendo il lato destro dei guerrieri rivolto verso il bastione, consentiva ai micenei di colpire il lato esposto dei guerrieri. Un altro fatto significativo della Porta è che sopra la porta c'erano due figure di felini giganti. A causa di questo fatto, l'ingresso è stato opportunamente chiamato il 'Porta dei Leoni' Ciò che è insolito in questo fatto è che i leoni non sono originari della Grecia. Il simbolismo complessivo dei leoni sopra la porta non è del tutto chiaro, ma si ritiene che sia stato ispirato anche dall'ingresso principale di Ḫattuša." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Frisso.\n### Descrizione: Frisso (in greco antico: Φρίξος?, Phríxos) è una figura della mitologia greca, figlio di Atamante re di Beozia e di Nefele.\nFratello di Elle, ebbe dalla sposa Calciope i figli, Argeo, Mela, Frontide e Citissoro. Pausania attribuisce alla coppia anche un quinto figlio di nome Presbone.\n\nMitologia.\nFrisso, a causa della gelosia per la sorella Elle della matrigna Ino (che aveva sposato il padre dopo che questi ne ripudiò la madre) rischiò di essere sacrificato con lei per placare una carestia (sempre causata dagli inganni di Ino) e per evitarlo chiese aiuto alla madre (Nefele) che per salvarlo assieme alla sorella chiese aiuto alla dea Era che gli diede il Crisomallo (l'ariete dal vello d'oro) con il quale i figli avrebbero potuto fuggire e sottrarsi alla minaccia.\nCosì Nefele inviò l'animale ai suoi figli ed una volta raggiunti questi parlò a Frisso, infondendogli coraggio e convincendoli a salirgli in groppa per volare via, iniziando così uno straordinario viaggio che li portò a sorvolare i mari e le terre fino a quando Elle si addormentò lasciando la presa e cadendo in mare annegandovi.\n\nFrisso invece, proseguì nel suo viaggio e raggiunse la Colchide dove regnava il re Eete, figlio di Elio e di Perseide e fratello della maga Circe.\nQuesti l'accolse benevolmente e gli diede in sposa la figlia Calciope ricevendo in cambio il sacrificio dell'ariete a Zeus ed il suo manto (il vello d'oro) per sé. Eete così lo consacrò ad Ares e lo fece inchiodare ad una quercia in un bosco sacro e mettendovi di guardia un drago che non dormiva mai.\nFrisso visse così presso la corte di Eete fino a giungervi anziano ma un giorno Eete venne a sapere da un oracolo che sarebbe morto per mano di un discendente di Eolo e così uccise Frisso.\nI suoi figli invece riuscirono a ritornare ad Orcomeno dove ritrovarono il loro regno." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Frontide (figlio di Frisso).\n### Descrizione: Frontide è un personaggio della mitologia greca, figlio di Frisso e di Calciope e fratello di Citissoro, Argeo e Mela.\n\nMitologia.\nDurante un viaggio verso la Colchide la nave dei quattro fratelli subì un naufragio presso l'isola di Ares e così, quando gli Argonauti li salvarono, si unirono a loro nel viaggio verso la conquista del vello d'oro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Frontide (la troiana).\n### Descrizione: Frontide è un personaggio della mitologia greca, sposa di Pantoo, indovino e sacerdote di Apollo.\n\nMitologia.\nFrontide mise al mondo diversi figli: i più noti sono Polidamante, Iperenore ed Euforbo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Frontoni del tempio di Asclepio a Epidauro.\n### Descrizione: I frontoni del tempio di Asclepio a Epidauro costituiscono, insieme agli acroteri, la decorazione scultorea in marmo pentelico del piccolo tempio eretto tra il 380 e il 375 a.C. nel principale santuario dedicato ad Asclepio, tra quelli della Grecia propria e delle colonie.\nI frammenti superstiti, conservati nel Museo di Epidauro e nel Museo archeologico nazionale di Atene, sono stati riuniti da Nicholas Yalouris ed esposti nel museo di Atene; malgrado la loro frammentarietà rappresentano il migliore esempio, quanto a conservazione, di sculture frontonali appartenenti al IV secolo a.C. e il momento culminante del manierismo postfidiaco, o stile ricco, nelle sue tendenze espressioniste.Entrambi i frontoni si caratterizzano per una evidente drammaticità che si manifesta nelle composizioni intrecciate e nelle figure distorte, nei movimenti spiraliformi e nelle pose di tre quarti che tendono alla creazione dello spazio tridimensionale intorno alle figure.\n\nStoria.\nL'iscrizione su lastra calcarea, rinvenuta negli scavi del tempio da Panagiotes Cavvadias nel 1885, che enumera le spese di costruzione per l'edificio (I.G. IV2 102), ha tramandato in parte i nomi degli scultori attivi alla decorazione dei frontoni e degli acroteri del tempio. Timoteo risulta essere l'esecutore di non meglio specificati rilievi, se questo è il reale significato della parola typoi, la quale viene invece interpretata da Nicholas Yalouris come 'modelli', cioè bozzetti, indicando dunque una partecipazione più ampia di Timoteo alla progettazione della decorazione scultorea del tempio. È certo, in base al resoconto delle spese, che egli dovette eseguire gli acroteri che sormontavano uno dei due frontoni, che si ritiene più frequentemente essere quello occidentale. Il frontone orientale viene attribuito a Hektoridas, e i relativi acroteri a Teodoto, menzionato anche come architetto. Ancora privo di autore resta il frontone occidentale, il cui nome potrebbe essere quello non più leggibile a causa di una lacuna sulla lastra.\n\nDescrizione.\nSu ciascun frontone si distribuivano circa 20 figure, a rappresentare a ovest una animata Amazzonomachia, con un'amazzone centrale a cavallo circondata da gruppi di figure, fino ai due guerrieri sdraiati negli angoli (Atene, 4747 e 4492), e a est una Ilioupersis con figure più grandi rispetto a quelle presenti sul frontone opposto, ma di misura decrescente procedendo verso gli angoli, e la cui ricostruzione risulta maggiormente problematica.\nGli acroteri del frontone occidentale erano costituiti da due Aure, probabilmente opere della bottega di Timoteo, e da una figura centrale di Nike attribuita alla mano di Timoteo stesso. Il frontone orientale era sormontato ai lati da due Nikai giunte in stato frammentario, e da un gruppo centrale costituito probabilmente da Apollo (Atene, 4723) e Coronide, genitori di Asclepio.\n\nStile.\nFrontone occidentale.\nNel frontone occidentale, quello sormontato dagli acroteri scolpiti da Timoteo, lo stile sembra aderire a quello diffuso nelle gigantomachie dipinte sui vasi ateniesi intorno al 400 a.C., che presentano tratti simili nelle pose, negli scorci e nelle sovrapposizioni delle figure, si vedano ad esempio la pelike del Museo archeologico nazionale di Atene 1333 e l'anfora del Louvre S1677. Il trattamento morbido della superficie marmorea è affiancato al ritmo frantumato tipico dello stile ricco. Le teste invece mantengono l'inespressività classica. Nella struttura dei corpi è rintracciabile quella tendenza alla posa di tre quarti e alla torsione che si ritroverà nelle opere attribuite a Skopas; esemplari in questo senso sono le due figure sdraiate agli angoli del frontone e in particolar modo la figura di destra, dove si evince lo stesso tipo di torsione che si ritrova nella Menade di Dresda.\n\nFrontone orientale.\nNel frontone orientale il trattamento del corpo sembra seguire più da vicino la rigida schematizzazione policletea e un ritmo più compatto nel panneggio, il quale copre il corpo più che rivelarlo. Tra le figure identificate vi sono una Cassandra che si aggrappa al Palladio (Atene, 4680 e 4681) e Neottolemo che afferra Priamo per i capelli. L'espressione di terrore sul volto di quest'ultimo è un esempio dell'atteggiamento dello scultore verso l'espressione delle emozioni (Atene, 144)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fuga da Troia.\n### Descrizione: Fuga da Troia è un dipinto del pittore italiano Mattia Preti, realizzato a olio su tela (186x153 cm) intorno al 1630. È conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini a Roma.\n\nVicende storiche.\nLa tela viene citata nell'inventario dei beni di Giovanni Torlonia, nel 1824, come opera attribuita a Simon Vouet, mentre in successivi inventari la sua paternità è attribuita ad Alessandro Turchi detto l'Orbetto. Sarà infine Longhi ad assegnare la tela alla mano dell'artista (1916), collocandola nei suoi primi anni di attività.\n\nDescrizione.\nL'opera rappresenta Enea, Ascanio e Anchise fuggenti da Troia in fiamme, secondo quanto raccontato da Virgilio nell'Eneide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Fuga di Enea da Troia.\n### Descrizione: La Fuga di Enea da Troia è il soggetto di due dipinti di Federico Barocci di cui, dopo lo smarrimento di uno di essi, si conosce solo la versione custodita nella Galleria Borghese.\nQuest'ultimo dipinto è firmato e datato con l'iscrizione apposta sull'alzata del gradino più in basso della scala sulla sinistra della composizione che recita: FED•BAR•VRB/FAC•MDXCVIII (Federico Barocci Urbinate, fece nel 1598).\n\nStoria.\nLa tela della Galleria Borghese costituisce la seconda versione di un dipinto realizzato su richiesta dell'imperatore Rodolfo II d'Asburgo. Il sovrano, grande amatore d'arte e collezionista, desiderando un'opera del Barocci si rivolse, nel 1586, al duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere, al cui servizio il Fiori operava, chiedendo un quadro del pittore da collocare nelle sue straordinarie raccolte praghesi. Fu lo stesso Rodolfo a dare la precisa indicazione che l'opera non dovesse avere contenuto religioso. Questo spiega la singolarità del soggetto, praticamente l'unico dipinto di historia (quindi, ovviamente, produzione ritrattistica a parte) di tema laico licenziato dal Barocci nell'arco della sua carriera.\nQuesta prima versione della fuga di Enea giunse a Praga nel 1589 e vi rimase fino al 1648 quando la capitale boema fu messa a sacco dalle truppe svedesi sul finire della Guerra dei Trent'anni. Gli svedesi razziarono la collezione asburgica e molte delle opere che ne facevano parte presero la via di Stoccolma.\nIn seguito, il quadro del Barocci fu tra quelli che Cristina di Svezia dopo l'abdicazione portò con sé a Roma. Alla morte della regina la sua cospicua collezione romana, compreso il dipinto in questione, subì vari passaggi di proprietà: l'ultima notizia nota del quadro fatto per Rodolfo d'Asburgo ne attesta l'arrivo in Inghilterra nel diciannovesimo secolo, poi se ne perde ogni traccia e si ignora se esso sia ancora esistente o se sia andato distrutto. Di questa prima versione della fuga da Troia si è conservato il cartone in scala 1 a 1 usato per la stesura della traccia del disegno sulla tela, custodito al Louvre.\nA distanza di alcuni anni monsignor Giuliano Della Rovere, nipote del duca di Urbino, ordinò al Barocci la realizzazione di una seconda versione del dipinto. Si ignora il perché di questa seconda commissione, ma è probabile che l'intento fosse quello di farne dono alla famiglia Borghese, nei cui inventari l'opera è documentata sin dal 1613. Non si sa peraltro se il dono fosse indirizzato a Camillo Borghese (poi asceso al soglio pontificio con il nome di Paolo V) o al di lui nipote Scipione Borghese, cardinale (dal 1605) nonché uno dei maggiori collezionisti e mecenati della Roma del tempo.\nAnche alcuni elementi iconografici del quadro (sui quali più avanti) fanno pensare che esso sia stato realizzato per una destinazione romana il che probabilmente avvalora l'ipotesi che esso sin dall'inizio fosse riservato ai Borghese.\n\nDescrizione e stile.\nCon ogni probabilità la scelta del tema del dipinto destinato a Rodolfo II non fu casuale ma è stata il presumibile veicolo di un omaggio encomiastico alla Casa d'Asburgo che si pretendeva discendente di Enea. Omaggio dinastico verosimilmente connesso ai forti legami del Ducato di Urbino con gli Asburgo (sia del ramo spagnolo che germanico).\nUn nesso altrettanto diretto tra il soggetto della fuga di Enea da Troia e i Borghese, probabili destinatari della seconda versione dell'opera, non sembra invece facilmente individuabile: le proposte critiche in questo senso si limitano a più generici riferimenti alla pietas di Enea - di cui l'episodio raffigurato è certamente esemplificativo - da secoli reinterpretata in chiave di prefigurazione della religione cristiana, o di allusione ai miti fondativi di Roma, concetti che sembrano coniugabili ad un casato, i Borghese appunto, che aveva assunto una posizione preminente nelle gerarchie pontificie e quindi sull'Urbe.\nLa scena raffigurata dal Barocci è narrata nel secondo libro dell'Eneide: Enea resosi ormai conto dell'inutilità della difesa di Troia, all'interno della quale gli invasori Greci già dilagano, fugge dalla città in fiamme portando via con sé la sua famiglia, cioè l'anziano padre Anchise, che porta in braccio, il piccolo figlio Ascanio e sua moglie Creusa.\nEnea e la sua famiglia si trovano all'interno di un edificio dalla rifinite architetture classiche. A terra già si accumulano delle macerie ed una sorta di natura morta di armi e vessilli militari a simboleggiare la caduta della Rocca di Priamo. Dalla finestra a sinistra e dall'arco al centro si vedono baluginare le fiamme dell’incendio appiccato dagli Achei che si danno alla strage dei vinti: il gesto di Ascanio di proteggersi le orecchie evoca l'assordante fragore della devastazione in corso.\nLa cupa atmosfera notturna è interrotta dalle sgargianti tonalità degli incarnati e soprattutto delle vesti dei protagonisti in cerca di scampo.\nMentre Enea, Anchise ed Ascanio formano un gruppo a sé, col bambino che si aggrappa ad una gamba del padre e il vecchio che è sorretto dal giovane eroe, Creusa è relativamente isolata, già qualche passo indietro rispetto agli altri membri della sua famiglia. Con questa scelta compositiva Barocci prefigura la scomparsa di Creusa che avverrà durante la fuga, quando Cibele porterà la moglie di Enea nell'oltretomba. L'espressione e la posa di Creusa, col capo reclinato ed una mano al petto, sembrano quasi evocare la raffigurazione di una Madonna annunciata che si sottomette al volere divino: anche Creusa non può che accettare il fato. La sua scomparsa è infatti necessaria affinché Enea una volta giunto nel Lazio possa dare vita alla nuova stirpe che porterà alla fondazione di Roma.\n\nCirca la posizione di Creusa distanziata dal gruppo familiare si reputa che possa essere stato un plausibile modello compositivo seguito dal Barocci un affresco di identico soggetto di Gerolamo Genga, conterraneo e parente del pittore, dove si osserva la stessa separazione in due gruppi della famiglia in fuga, con la donna distaccata e che sta per essere inghiottita dalla terra.\nSi riscontra poi anche una certa assonanza con il celebre Incendio di Borgo, affresco di Raffaello delle stanze vaticane, ove parimenti compaiono Enea e i suoi in cerca di salvezza: da questo illustre precedente il Barocci probabilmente riprende alcune idee compositive generali ed alcuni dettagli dello sfondo.\nAttraverso l'arco su cui si apre l'ambiente occupato da Enea e i suoi, si vedono in secondo piano alcuni edifici e monumenti che chiaramente riprendono delle reali architetture di Roma. Il tempio circolare è una riproduzione del Tempietto del Bramante di San Pietro in Montorio, mentre la colonna è identificabile con la Colonna Traiana. La Roma moderna e la Roma antica. Probabilmente il senso di questa quinta architettonica è quello di sottolineare che il percorso che Enea sta intraprendendo con l'abbandono della sua patria porterà un giorno alla fondazione di Roma.\nMettendo a raffronto lo sfondo architettonico della replica Borghese con il cartone del Louvre (relativo alla prima versione inviata a Praga), si osservano sostanziali differenze: si ipotizza che il cambiamento, con l'inserimento di reali edifici capitolini, nel primo quadro presumibilmente assenti (non essendocene traccia nel cartone), possa essere dovuto alla destinazione romana della seconda versione (concepita per l'appunto come dono ai Borghese).\nPer la capacità di resa degli affetti dei protagonisti del dipinto e l'efficace restituzione della concitazione degli eventi messi in scena, nella Fuga di Enea da Troia si coglie a livello critico una delle prove del Barocci dalle più spiccate qualità proto-barocche, anticipatrice della pittura del secolo successivo.\n\nL'incisione di Agostino Carracci.\nL'ampia fortuna critica che la Fuga da Troia del Barocci riscosse ai suoi tempi, annoverata tra i maggiori capolavori del maestro urbinate, si ritiene in parte dovuta alla notevole incisione che ne trasse Agostino Carracci, stampa che contribuì a diffondere la conoscenza del dipinto.\n\nCircostanza che ha dato luogo ad un lungo dibattito critico è costituita dal fatto che l'incisione del Carracci è datata 1595, mentre la versione Borghese del Barocci reca una datazione di tre anni successiva. In un primo momento se ne è dedotto che la stampa riproducesse la prima versione dell'opera, cioè quella voluta da Rodolfo d'Asburgo. Questo quadro, tuttavia, al tempo della realizzazione dell'incisione si trovava a Praga già da alcuni anni ed è escluso che Agostino Carracci possa averlo visto. Inoltre nello sfondo della stampa compaiono la Colonna Traiana e il Tempietto del Bramante, dettagli che verosimilmente, come osservato, non erano presenti nel dipinto di Praga, ma solo in quello Borghese, che però è successivo all'incisione.\nIl dilemma è stato risolto (almeno in ipotesi) sostenendo che prima di licenziare la seconda versione Barocci abbia messo a disposizione di Agostino Carracci uno studio preparatorio in cui già compariva l'ambientazione romana dello sfondo.\nA questo proposito vi è nelle collezioni reali di Windsor Castle un disegno ripassato ad olio che per lungo tempo si è pensato fosse stato vergato da Agostino Carracci proprio quale preparativo della sua stampa. Una revisione critica di questa attribuzione ha però successivamente assegnato il foglio inglese allo stesso Barocci, individuandovi il possibile modello - antecedente alla stesura su tela della seconda versione della Fuga, ma già contenente i dettagli di sfondo poi inseriti anche nel quadro - che il Fiori avrebbe messo a disposizione di Agostino Carracci per consentirgli la realizzazione dell'incisione.\n\nIl gruppo del Bernini.\nDiversi anni dopo l'ingresso della tela del Barocci nelle collezioni dei Borghese, il cardinale Scipione Borghese commissionò ad un giovanissimo Gian Lorenzo Bernini un gruppo scultoreo di identico soggetto, licenziato nel 1619 e anch'esso tuttora in Galleria Borghese.\nUn'antica descrizione delle raccolte d'arte situate nel Casino nobile della Villa pinciana edificata dal Cardinal Nepote, risalente al 1650, attesta che l'Enea berniniano era situato proprio davanti (di spalle) alla tela del Barocci. Si ritiene però probabile che sin dall'inizio sia stata questa la collocazione destinata alla statua, in diretta e voluta relazione con il dipinto del pittore urbinate.\nSi pensa infatti che il gruppo del Bernini possa essere stato commissionato da Scipione Borghese per dar vita ad un paragone tra le due opere, cioè un esempio di quella virtuosa competizione tra pittura e scultura che sin dal Rinascimento era oggetto di interesse e dibattito tra i teorici, gli amatori d'arte e gli artisti.\nOltre alla generale ripresa del tema, il Bernini, secondo alcune prospettazioni critiche, avrebbe mutuato dal dipinto anche alcune soluzioni compositive ed in particolare la figura del piccolo Ascanio, simile per espressione e per la capigliatura copiosamente riccioluta a quello del Barocci.\n\nDisegni preparatori.\nIn merito alla Fuga di Enea da Troia si conserva un numero piuttosto cospicuo di disegni preparatori. È difficile stabilire se essi facciano riferimento alla prima o alla seconda versione del dipinto, salvo il caso in cui contengano particolari dello sfondo relativi ai monumenti romani che dovrebbero più agevolmente riferirsi alla versione Borghese, assumendo che lo sfondo della prima versione fosse diverso. Tra questi si segnalano uno studio del Tempietto del Bramante e un abbozzo dell'insieme della composizione dove in sfondo si vedono lo stesso edificio rinascimentale e la Colonna Traiana." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Galantide.\n### Descrizione: Galantide (greco Γαλινθιάς, latino Galanthis) è la figlia del tebano Proteo ed è amica o ancella di Alcmena. Si ritrova Galantide nel mito della nascita di Alcide, che verrà in seguito chiamato Eracle. Alcmena, ormai giunta in prossimità del parto del figlio di Zeus, era ostacolata da Era, che aveva inviato la figlia Ilizia e le Moire per impedire ad Alcmena di partorire. Galantide inganna con astuzia Ilizia e Moire dicendo che il parto era già avvenuto nonostante il loro restare a gambe incrociate per impedire la nascita del bambino. Le quattro, stupite che il sortilegio non avesse funzionato, entrarono nella stanza di Alcmena, dove scoprirono che erano state truffate da Galantide.\nEra, irata dalla nascita del figlio di Zeus e dall'imbroglio di Galantide, tramutò quest'ultima in donnola condannandola a partorire i figli dalla bocca.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Galantide.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Galinthias, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Gamelii.\n### Descrizione: I Gamelii (in greco: Γαμήλιοι θεοί) erano le divinità protettrici dei matrimonii nell'antica Grecia.\n\nStoria.\nSecondo Plutarco, coloro che si sposavano richiedevano la protezione di cinque divinità: Zeus, Hera, Afrodite, Peito e Artemide. Ma è probabile tuttavia che quasi tutti gli dei potessero essere considerati protettori dei matrimonio, sebbene i cinque citati da Plutarco lo fossero più degli altri. Gli ateniesi chiamavano Gamelione il settimo mese del calendario attico a causa di queste divinità." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ganimede (mitologia).\n### Descrizione: Ganimede (in greco antico: Γανυμήδης?, Ganymḕdēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe dei Troiani. Omero lo descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo.\n\nIn una versione del mito viene rapito da Zeus in forma di aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo: la storia che lo riguarda è stata un modello per il costume sociale della pederastia greca, visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente accettato tra un uomo adulto e un ragazzo. La forma latina del nome era Catamitus, da cui deriva il termine catamite, indicante un ragazzo che in una relazione, o durante un semplice rapporto, assume un ruolo passivo-ricettivo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Troo e di Calliroe (o di Acallaride).\nLe varianti della sua ascendenza sono molte, Marco Tullio Cicerone scrive che sia figlio di Laomedonte, Tzetzes che sia figlio di Ilo, per Clemente Alessandrino è figlio di Dardano e secondo Igino suo padre fu Erittonio oppure Assarco.\nNon risulta aver avuto spose o progenie.\n\nMitologia.\nIl tema mitico fondante di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono sia il re di Creta Minosse sia Tantalo ed Eos, come infine il re degli dei Zeus, così come si racconta nelle varie versioni della stessa leggenda.\nNell'Iliade di Omero, Diomede racconta che il Signore degli Dei, affascinato dalla sublime beltà rappresentata dal ragazzo, lo volle rapire nei pressi di Troia in Frigia, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro: il padre si consolò pensando che suo figlio era ormai divenuto immortale e sarebbe stato d'ora in avanti il coppiere degli Dei, una posizione che era considerata di gran distinzione.\nZeus per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da enorme aquila; sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando il suo gregge sulle pendici del monte Ida, nelle vicinanze della città iliaca, se lo portò quindi sull'Olimpo dove ne fece il suo amato. Per questo motivo nelle opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila, abbracciato a essa, o in volo su di essa, e, in varie opere d'arte, è quindi raffigurato con la coppa in mano.\nWalter Burkert ha trovato un precedente riguardante il mito di Ganimede in un sigillo in lingua accadica raffigurante l'eroe-re Etana di Kish volare verso il cielo a cavalcioni proprio di un'aquila. Da alcuni viene anche associato con la genesi della sacra bevanda inebriante dell'idromele, la cui origine tradizionale è proprio la terra di Frigia.Tutti gli dei erano riempiti di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a loro, con l'eccezione di Era; la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito. Il padre degli Dei ha successivamente messo Ganimede nel cielo come costellazione dell'Acquario la quale è strettamente associata con quella dell'Aquila e da cui deriva il segno zodiacale dell'Acquario.\n\nMito iniziatico.\nLa coppia Zeus-Ganimede costituisce il modello mitico del rapporto omoerotico tra maschio adulto e giovinetto, relazione colorantesi spesso di un significato iniziatico (vedi la pederastia cretese) in quanto finalizzata - anche attraverso il legame sessuale - all'inserimento del giovane nella comunità dei maschi adulti. Questi amori 'paidici' di un adulto amante-erastès che rapiva simbolicamente un giovinetto passivo-eromenos potevano venir praticati attraverso schemi rituali imitanti i veri e propri rapporti matrimoniali e dove, in un luogo appartato, avveniva la sua iniziazione sessuale.Zeus e Ganimede, rappresentando la perfetta coppia di amanti maschili, sono stati come tali cantati dai poeti. Il cosiddetto 'tema di Ganimede' era adottato durante il simposio a modello dell'amore efebico: se anche il Signore degli dei fu incapace di resistere alle grazie di un fanciullo, come avrebbe potuto farlo un mortale e poter rimanerne immune?.\nCertamente nella mitologia greca si riscontra la grande voglia di Zeus nel sedurre le Dee, ninfe, ecc.; per questo a volte si considera il padre degli dei strettamente d'accordo all'eterosessualità.\n\nFilosofia.\nPlatone rappresenta l'aspetto pederastico del mito attribuendo la sua origine a Creta e ponendo, quindi, il rapimento sull'omonimo monte Ida dell'isola: la sua è una critica dell'usanza della pederastia cretese che aveva oramai perduto quasi completamente la sua funzione originaria, accusando quindi i Cretesi di essersi inventati il mito di Zeus e Ganimede per giustificare i loro comportamenti.\nNel dialogo platonico poi Socrate nega che il bel giovane possa mai esser stato l'amante carnale del padre degli Dei, proponendone, invece, un'interpretazione del tutto spirituale: Zeus avrebbe amato l'anima e la mente o psiche del ragazzo, non certo il suo corpo.\nIl neoplatonismo ci offre una rappresentazione mistica del rapimento di Ganimede; esso sta a significare il rapimento dell'anima a Dio, e in questo senso è stato usato, anche in opere d'arte funerarie e anche durante il Neoclassicismo, sia nell'arte figurativa sia in letteratura. Si veda, per un esempio, il Ganymed di Johann Wolfgang von Goethe del 1774.\n\nPoesia.\nIn poesia Ganimede divenne un simbolo dell'attrazione e del desiderio omosessuale rivolto verso la bellezza giovanile dell'adolescenza. La leggenda fu menzionata per la prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica; di essa parla anche il poeta latino Publio Ovidio Nasone nella sua opera Le metamorfosi, poi Publio Virgilio Marone nell'Eneide all'interno del proemio, Apuleio e infine anche Nonno di Panopoli nel suo poema epico intitolato Dionysiaca narrante la vita e le gesta del dio Dioniso.\nVirgilio ritrae con pathos la scena del rapimento: il ragazzo che lo accompagna tenta invano di trattenerlo con i piedi sulla terra, mentre i suoi cani abbaiano inutilmente contro il cielo. I cani fedeli che continuano a chiamarlo con latrati disperati anche dopo che il loro padrone è sparito nell'alto dei cieli è un motivo frequente nelle rappresentazioni visive e vi fa riferimento anche Stazio.\nMa egli non è sempre raffigurato come acquiescente: ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio ad esempio Ganimede risulta essere furibondo contro Eros per averlo truffato nel gioco d'azzardo con gli astragali, Afrodite si trova così costretta a rimproverare il figlio di barare come un principiante.\nNell'opera Come vi pare di William Shakespeare il personaggio di Rosalind si traveste da uomo quando deve andare nella foresta di Arden, scegliendo il nome di Ganimede: ciò ha portato ad approfondire lo studio del rapporto che si era creato tra Rosalind e sua cugina Celia, il quale andava ben oltre la semplice amicizia, avendo dei tratti molto simili all'amore, in questo caso omosessuale.\n\nAstronomia.\nPer il rapporto esistente fra Giove e Ganimede, il maggiore satellite naturale del pianeta Giove - il pianeta più grande del sistema solare e per questo chiamato per omologia come la versione latina di Zeus, ovvero Giove - è stato battezzato appunto Ganimede da Simon Marius. Gli è inoltre stato dedicato l'asteroide scoperto nel 1925, 1036 Ganymed.\n\nNelle arti.\nNella scultura una delle immagini più famose di Ganimede è il gruppo scultoreo di Leocare del IV secolo a.C. (lo stesso a cui viene attribuito anche l'Apollo del Belvedere) e tanto ammirato da Plinio il Vecchio: «Leocare [ha realizzato] un'aquila che trattiene con forza Ganimede; innalza il fanciullo piantandogli gli artigli nella sua veste.» Questo particolare del rapimento tramite l'aquila è stato spesso elogiato anche in seguito. Stratone di Sardi lo evoca in uno dei suoi epigrammi, così come fa anche Marco Valerio Marziale.\nLa leggenda di Ganimede ha ispirato anche un gruppo in terracotta, probabilmente originario di Corinto e oggi conservato nel Museo Archeologico di Olimpia: questo è uno dei pochi esempi di grande scultura in terracotta, e una rappresentazione scultorea molto rara della coppia in cui Zeus si mantiene in forma umana.\nNella ceramica il tema di Ganimede si ripete spesso, di solito raffigurato nei crateri, quei particolari grandi vasi entro cui venivano mescolati acqua e vino durante i banchetti (o simposi) che si svolgevano solo tra uomini, in cui gli ospiti gareggiavano in immaginazione poetica e filosofica per celebrare i meriti dei loro rispettivi eromenos. Tra i più famosi è incluso il cratere a figure rosse che ritrae da un lato Zeus in pieno esercizio, dall'altro Ganimede mentre sta giocando con un grande cerchio, il simbolo della sua giovinezza: il ragazzo è completamente nudo, così come vuole la tradizione antica sportiva di origine in parte pederastica (vedi nudità atletica).\n\nIl Rinascimento ha visto riapparire innumerevoli rappresentazioni di questo mito, con artisti quali Michelangelo Buonarroti, Benvenuto Cellini e Antonio Allegri tra tutti. In questo periodo è anche uno dei temi con più forte significato omoerotico, divenendo una sorta di icona gay ante litteram almeno fino al XIX secolo inoltrato.\nQuando il pittore-architetto Baldassarre Peruzzi include un pannello riguardante il rapimento di Ganimede in uno dei soffitti di Villa Farnesina a Roma (1509-1514 circa), i lunghi capelli biondi del ragazzo e l'aspetto effeminato contribuiscono a farlo rendere identificabile a prima vista: si lascia difatti catturare verso l'alto senza opporre la minima resistenza.\nNel Ratto di Ganimede di Antonio Allegri detto Il Correggio la sua figura e l'intera scena è più contestualizzata intimamente. La versione del Ratto di Ganimede di Pieter Paul Rubens ritrae invece un giovane uomo. Ma quando Rembrandt dipinse il suo Ratto di Ganimede per un mecenate calvinista olandese nel 1635, ecco che un'aquila scura porta in alto un bambino paffuto in stile putto, che strilla e si fa la pipì addosso per lo spavento.\n\nGli esempi di Ganimede nel XVIII secolo in Francia sono stati studiati da Michael Preston Worley. L'immagine raffigurata era invariabilmente quella di un adolescente ingenuo accompagnato da un'aquila, mentre gli aspetti più omoerotici della leggenda sono stati raramente affrontati: in realtà, la storia è stata spesso 'eterosessualizzata'. Inoltre, l'interpretazione del mito data dal Neoplatonismo, così comune nel Rinascimento italiano, in cui l'amore per Ganimede ha rappresentato la salita alla condizione di perfezione spirituale, sembrava non essere di alcun interesse per i filosofi e i mitografi dell'Illuminismo.\nJean-Baptiste Marie Pierre, Charles-Joseph Natoire, Guillaume II Coustou, Pierre Julien, Jean-Baptiste Regnault e altri hanno contribuito ad arricchire le immagini di Ganimede nell'arte francese tra fine XVIII e inizio XIX secolo.\nLa scultura che ritrae Ganimede e l'aquila di José Álvarez Cubero, eseguita a Parigi nel 1804, ha portato all'immediato riconoscimento dell'artista spagnolo come uno degli scultori più importanti del suo tempo.\nL'artista danese Bertel Thorvaldsen, di gran lunga il più notevole degli scultori danesi, ha scolpito nel 1817 una scultura dedicata alla scena di Ganimede e l'aquila.\n\nAltro.\nNel linguaggio corrente il nome di Ganimede è passato a indicare un bellimbusto, un damerino o anche un giovane amante omosessuale.\n\nAlbero genealogico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Gasterochiri.\n### Descrizione: I Gasterochiri erano sette ciclopi dalla mole gigantesca. Si chiamavano così perche per guadagnarsi da vivere, ovvero da mangiare, facevano i muratori (γαστήρ gastér=pancia/stomaco, χείρ keír=mano|Γαστηρόχειρες Gasterocheires=Gasterochiri).\nErano artigiani originari della Licia.\n\nStoria.\nPreto dopo essere stato scacciato da suo fratello Acrisio tornò con un esercito licio nell'Argolide e si portò dietro i sette ciclopi. L'esercito era stato fornito da Iobate re di Licia, nonché suocero di Preto. I ciclopi edificarono le mura di Tirinto, che divenne la fortezza di Preto e in seguito, le mura di Micene e Midea, per conto del nipote di Acrisio, Perseo figlio di Danae e Zeus.\nPerseo è ritenuto il fondatore di Micene.\nI Gasterochiri usarono pietre così grandi per edificare le imponenti mura di questa città, che si diceva che due muli non avrebbero potuto spostarle: nacque così la leggenda dei muratori dalle dimensioni ciclopiche." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Gea.\n### Descrizione: Gea o Geo o Ge (in greco antico: Γῆ?, Ghḕ), oppure Gaia (in greco ionico e quindi nel greco omerico Γαῖα Gàia), è, nella religione e nella mitologia greca, la dea primordiale, quindi la potenza divina, della Terra.\nDea primigenia dall'inesauribile forza creatrice è considerata nella religione greca l'origine stessa della vita. Fu madre di molti figli, tra cui Urano (il cielo), Ponto (il mare), e i dodici Titani, a loro volta progenitori degli dèi Olimpici. Corrisponde alla romana Tellus.\n\nGaia (Gea) nella Teogonia di Esiodo.\nLa Teogonia di Esiodo racconta come, dopo Caos (Χάος), sorse l'immortale Gaia (Γαῖα), progenitrice dei Titani e degli dèi dell’Olimpo.\nDa sola e senza congiungersi con nessuno, Gaia genera Urano (Οὐρανός, Cielo stellante) pari alla Terra, generò quindi, sempre per partenogenesi, i monti, le ninfe (Νύμφη nýmphē) dei monti e Ponto (Πόντος, il Mare).\nUnendosi a Urano, Gaia genera i Titani (Τιτῆνες): Oceano (Ὠκεανός), Ceo (Κοῖος), Crio (Κριός), Iperione (Ύπέριον), Giapeto (Ἰαπετός), Teia (Θεία), Rea (Ῥέᾱ oppure Ῥεία), Temi (Θέμις), Mnemosine (Μνημοσύνη), Febe (Φοίβη), Teti (Τηθύς) e Crono (Κρόνος).\nDopo i Titani, l'unione tra Gaia e Urano genera i tre Ciclopi (Κύκλωπες: Bronte, Sterope e Arge); e gli Ecatonchiri (Ἑκατόγχειρες): Cotto, Briareo e Gige dalle cento mani e dalla forza terribile.\nUrano, tuttavia, impedisce che i figli da lui generati con Gaia, i dodici Titani, i tre Ciclopi e i tre Centimani, vengano alla luce. La ragione di questo rifiuto risiederebbe, per Cassanmagnago, nella loro 'mostruosità'. Ecco che la madre di costoro, Gaia, costruisce dapprima una falce e poi invita i figli a disfarsi del padre che li costringe nel suo ventre. Solo l'ultimo dei Titani, Crono, risponde all'appello della madre e appena Urano si stende nuovamente su Gaia, Kronos, nascosto lo evira. Il sangue versato dal membro evirato di Urano gocciola su Gaia producendo altre divinità: le Erinni (Ἐρινύες: Aletto, Tesifone e Megera), le dee della vendetta, i terribili Giganti (Γίγαντες) e le Ninfe Melie (Μελίαι).\nPonto (Πόντος, il Mare) genera Nereo (Νηρεύς) detto il 'vecchio', divinità marina sincera ed equilibrata; poi, sempre Ponto ma unitosi a Gaia, genera Taumante (Θαῦμᾱς), quindi Forco (Φόρκυς), Ceto (Κητώ) dalle belle guance, ed Euribia (Εὐρύβια).\nGaia e Tartaro generano Tifone (Τυφῶν) 'grazie all'aurea Afrodite' . Questo essere gigantesco, mostruoso, terribile e potente viene sconfitto dal re degli dèi (Zeus) e relegato nel Tartaro insieme ai Titani e da dove spira i venti dannosi per gli uomini. Infine Gaia unendosi a Tartaro generò Pallante (Παλλάς) un gigante che tentò di violentare Atena durante la Gigantomachia nella quale perse la vita.\n\nGenealogia (Esiodo).\nNon mostrati vi sono i figli di Gea e Ponto, ovvero Nereo, Taumante, Forco, Ceto e Euribia, e Tifone, avuto da Tartaro.\n\nAltre versioni.\nSecondo Igino, Gea non era una divinità primigenia, ma nacque invece dall'unione tra Etere e Emera, a loro volta figli di Caos e Caligine.\nTra i figli di Gea, oltre a quelli citati nella Teogonia, altre fonti riportano Erittonio (nato dal seme di Efesto caduto sulla terra), Anteo e Cariddi (da Poseidone), Trittolemo (da Oceano), Bisalte (da Elio), Ofiotauro, Pitone, i Gigeni, i Cureti, e altri ancora.\n\nAltri miti riguardanti Gea.\nApollodoro (Biblioteca I,1) sostiene che Gea abbia dapprima partorito i Centimani (Ecatonchiri) e poi i Ciclopi. Urano, il loro padre, gettò questi ultimi nel Tartaro; allora Gea gli partorì i sei Titani (Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e, per ultimo, Crono) e le sette Titanidi (Teti, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Dione e Tia).Irata con Urano che aveva gettato nel Tartaro i precedenti figli, Gea incita i Titani a sopraffare il padre: tutti accolgono l'invito di Gea tranne Oceano. Aggredito il padre, Crono lo evira.\n\nApollodoro (Biblioteca I,6), ci dice che Gea partorì i Giganti, in quanto adirata per la sorte subita dai Titani e sapendo che nessuno degli dèi dell'Olimpo poteva ucciderli ma solo un mortale andò alla ricerca di una pianta magica che impedisse loro di morire anche per mano degli uomini. Saputo ciò, Zeus colse per primo la pianta.\nEratostene (Catasterismi XIII), ci dice che Museo raccontò che Gea nascose in un antro la spaventosa capra, figlia del dio Elio, affidandola poi alla ninfa Amaltea (Ἀμάλθεια) la quale con il suo latte nutrì Zeus infante.\nZeus celò Elara, una delle sue amanti, dalla vista di Hera nascondendola sotto terra. Talvolta viene quindi riportato che il gigante Tizio, il figlio che Zeus ebbe da Elara, sia stato in realtà figlio di Elara e di Gea.\nGea concesse l'immortalità ad Aristeo.\nAlcuni studiosi credono che Gea fosse la divinità che originariamente parlava per bocca dell'Oracolo di Delfi. Ella passò i suoi poteri, a seconda delle versioni, a Poseidone, Apollo o Temi. Apollo è il dio a cui più di ogni altro è collegato l'Oracolo di Delfi, esistente da lungo tempo già all'epoca di Omero, perché in quel luogo aveva ucciso il figlio di Gea Pitone, impossessandosi dei suoi poteri ctonii. Hera punì Apollo per questo gesto costringendolo a servire per nove anni come pastore presso il re Admeto.\nNell'antica Grecia i giuramenti fatti in nome di Gea erano considerati quelli maggiormente vincolanti, assieme a quelli in nome di Ade e del fiume infernale Stige.\n\nGea nell'arte.\nNell'arte classica Gea poteva essere rappresentata in due modi diversi:.\n\nNelle decorazioni vasali ateniesi veniva ritratta come una donna dall'aspetto matronale che emergeva dalla terra soltanto per metà, spesso mentre porgeva ad Atena il piccolo Erittonio (futuro re di Atene) perché lo allevasse.\nNei mosaici di epoca successiva appare come una donna che si sta stendendo a terra, circondata da un gruppo di Carpi, divinità infantili che simboleggiano i frutti della terra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Gerione (mitologia).\n### Descrizione: Gerione (in greco antico: Γηρυών?, Ghēryṑn) è un personaggio della mitologia greca figlio di Crisaore e di Calliroe e fratello di Echidna.\n\nAspetto.\nEra un gigante con tre teste, tre busti e sei braccia ma con un solo bacino e di conseguenza due sole gambe.\n\nMitologia.\nGerione era il Re dell'Isola dell'Eritea, situata nell'Oceano occidentale e che si estendeva fino ai confini di Tartesso e possedeva una mandria di vacche rosse consacrate ad Apollo che erano sorvegliate dal pastore Euritione (figlio di Ares e dell'esperide Eritea) e dal cane a due teste Ortro.\nLa cattura dei buoi e l'uccisione di Gerione, Ortro ed Euritione costituirono la decima fatica di Eracle: infatti Euristeo ordinò a Eracle di catturare quei buoi ed Eracle partì usando la barca dorata di Helios, che si fece dare in prestito. Giunto sull'isola, uccise Gerione e si prese i suoi buoi. Era, infuriatasi, mandò uno sciame di mosche a uccidere i buoi, ma Eracle sconfisse anche queste.\n\nInfluenza culturale.\nGerione è il protagonista della Gerioneide di Stesicoro.\nAll'uccisione di Gerione da parte di Ercole è legato un mito sull'origine della Torre di Ercole a La Coruña.\nGerione è uno dei personaggi della Commedia di Dante. A Gerione sono intitolati i Geryon Montes su Marte.\nIl protagonista del romanzo in versi di Anne Carson, Autobiografia del rosso, è un mostro rosso con le ali, ispirato alla figura di Gerione.\nGerione compare anche nel quarto libro della saga di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo.\nIn Devil May Cry 3, terzo capitolo della saga videoludica liberamente ispirata alla Divina Commedia, uno dei boss è chiamato Geryon, anche se qui prende la forma di un cavallo demoniaco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ghiacciaio Pan.\n### Descrizione: Il ghiacciaio Pan (in inglese Pan Glacier) è un ghiacciaio lungo circa 13 km situato sulla costa di Bowman, nella parte sud-orientale della Terra di Graham, in Antartide. Il ghiacciaio, il cui punto più alto si trova 721 m s.l.m., fluisce verso nord terminando circa 3,7 km a sud-ovest del nunatak Victory.\n\nStoria.\nLe pendici del ghiacciaio Pan furono mappate per la prima volta da W.L.G. Joerg basandosi su fotografie aeree scattate da Lincoln Ellsworth nel novembre del 1935. Il ghiacciaio fu poi nuovamente fotografato nel dicembre 1947 durante una ricognizione aerea effettuata nel corso della Spedizione antartica di ricerca Ronne, 1947—48, e infine nel dicembre 1958 una spedizione del British Antarctic Survey, che all'epoca si chiamava ancora Falkland Islands and Dependencies Survey (FIDS), lo esplorò via terra e lo mappò interamente. Il ghiacciaio fu poi battezzato dal Comitato britannico per i toponimi antartici in onore di Pan, il dio della pastorizia nella mitologia greca." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Giacintidi.\n### Descrizione: Le Giacintidi (in greco antico: Ὑακινθίδες?, Hyakinthídēs) furono due sorelle, Protogenia e Pandora, figlie di Eretteo, sesto re di Atene, e di Prassitea.\nDurante la guerra, quando un esercito giunse dalla Beozia, entrambe si offrirono come vittime sacrificali nel momento in cui l'esercito nemico avanzava verso Atene. Le due giovani furono immolate su una collina chiamata Giacinto, da cui presero il nome di Giacintidi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Giacinto (mitologia).\n### Descrizione: Giacinto (in greco antico: Ὑάκινθος?, Hyákinthos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Sparta.\nNel mito letterario rappresenta un giovinetto di eccezionale bellezza amato dal dio Apollo, ma ammirato e desiderato anche da Zefiro, Borea e Tamiri.\n\nGenealogia.\nFiglio di Amicla e di Diomeda o di Piero (Πίερος, figlio di Magnete) e di Clio o di Ebalo.\n\nMitologia.\nL'amore di Apollo nei suoi confronti era tanto grande che, pur di stare costantemente vicino al ragazzo, tralasciava tutte le sue principali attività e accompagnava l'inseparabile amante ovunque egli si recasse; secondo alcuni miti, Apollo accettò di diventare servo di Giacinto pur di stargli accanto.\nApollo dovette respingere i numerosi amanti di Giacinto, fra cui Zefiro, dio del vento dell'ovest, che lo sfidò due volte per la mano di Giacinto. Inutile dire che Apollo vinse entrambe le volte.\nUn giorno, Apollo e Giacinto incominciarono una gara di lancio del disco, in preparazione alle Olimpiadi a cui il principe doveva partecipare; Apollo lanciò per primo ma il disco, deviato nella sua traiettoria da un colpo di vento alzato dal geloso Zefiro, finì col colpire alla tempia Giacinto, ferendolo così a morte. Apollo cercò di salvare l'adolescente tanto amato, adoperando ogni arte medica a sua conoscenza, ma non poté nulla contro il destino. Decise, a quel punto, di trasformare il bel ragazzo in un fiore dall'intenso colore, quello stesso del sangue che Giacinto aveva versato dalla ferita.\nIl dio, prima di tornarsene in cielo, chinato sul fiore appena creato, scrisse di proprio pugno sui petali le sillabe 'ai', 'ai', come imperituro monumento del cordoglio provato per tanta sventura, che lo aveva privato dell'amore e dell'amicizia del giovane. Tale espressione di dolore, tuttora, si vuol ravvisare nei segni che sembrano incisi sulle foglie del giacinto e che sono simili alle lettere A e I (segno dei lamenti divini per la perdita subita).\n\nL'episodio è narrato nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio. Secondo il poeta latino furono invece le lacrime divine a colorare i petali del fiore appena creato, imprimendogli così il segno imperituro del dolore provato; tale fiore mitologico è stato identificato nel tempo con varie piante differenti, tra cui l'iride, il Delphinium e la viola del pensiero: anche altre figure semidivine morte nel fiore della loro giovinezza sono state trasformate in 'protettori della vita vegetativa', ad esempio Narciso, Ciparisso e lo stesso Adone.\nLo Pseudo Apollodoro dice che anche Tamiri fu conosciuto per esser stato uno dei precedenti amanti di Giacinto, pertanto anche il primo essere umano ad aver amato un altro maschio e dando in tal modo origine alla pederastia.\n\nCulto a Sparta.\nSecondo una versione spartana locale del mito, Giacinto e la sorella Polyboea sono stati assunti nell'alto dei Cieli fino a giungere ai Campi Elisi per opera delle tre dee Afrodite, Atena e Artemide.\nIl suo culto in qualità di eroe greco si svolgeva ad Amicle, un villaggio della Laconia a sudovest di Sparta e risale all'età micenea. Il santuario (temenos) è cresciuto attorno al tumulo rappresentante la sua tomba e si trovava, durante l'epoca della Grecia classica, ai piedi della statua di Apollo. I miti letterari servono quindi a collegarlo con i culti locali e identificarlo col dio.\nGiacinto era il nume tutelare di una delle principali feste spartane, le Giacinzie, che si tenevano annualmente ogni estate; la festa durava tre giorni, il primo dei quali era dedicato al lutto per la morte dell'eroe divinizzato, gli ultimi due invece celebravano la sua rinascita in qualità di 'Apollo Hyakinthios'. Le Giacinzie esistevano ancora ai tempi dell'impero romano.\n\nAnche a Mileto si svolgevano feste in suo onore, le 'Hyacinthotrophies'; uno dei mesi del calendario dorico prende il suo nome, 'hyakinthios'. La figura di Giacinto appare sulle prime monete di Taranto, città della Magna Grecia.\n\nInterpretazione.\nIl nome Giacinto è di origine pre-ellenica, come indicato dal suffisso -nth. Secondo l'interpretazione del mito classico, la sua storia è una metafora della morte e rinascita della Natura, il tutto assistito dalla nuova divinità apollinea giunta assieme ai Dori ed è molto simile al mito riguardante Adone.\nParimenti è stato suggerito anche che Giacinto fosse una divinità pre-ellenica soppiantata da Apollo attraverso il 'caso' della sua morte, al quale rimane associato nell'epiteto di 'Apollon Hyakinthios'.\nBernard Sergent, allievo di Georges Dumézil, crede che sia piuttosto una leggenda iniziatica, a fondazione della concezione sociale data dalla pederastia spartana. Apollo insegna come diventare un giovane uomo compiuto; infatti, secondo Filostrato, Giacinto apprende non solo il lancio del disco, ma anche tutti gli esercizi della Palestra (il Gymnasium), il tiro con l'arco, l'arte della musica, la divinazione e infine anche a suonare la cetra. Inoltre, Pausania riferisce che Giacinto, nella statuaria, è talvolta rappresentato con la barba, a volte senza barba; evoca anche la sua apoteosi, rappresentato sul piedistallo della statua rituale come giovane ad Amyclae, suo luogo di culto. Il poeta Nonno menziona la risurrezione del giovane da Apollo.\nPer Sergent la morte e risurrezione, così come l'apoteosi, rappresentano il passaggio all'età adulta.\n\nNell'arte.\nCitazioni letterarie.\nLa figura mitologica di Giacinto viene citata da Thomas Mann nel suo romanzo di maggior successo La morte a Venezia, quando la bellezza del valoroso principe di Sparta viene accostata a quella di Tadzio, co-protagonista del racconto di Mann, osservato sulla spiaggia di Venezia in tutto il suo folgorante splendore: 'Ed era Giacinto che credeva di vedere, Giacinto che deve morire, perché amato da due numi. Sentiva l'invidia tormentosa di Zefiro per il rivale che dimentica l'oracolo; vedeva il disco guidato da una gelosia crudele colpire la testa leggiadra; accoglieva il corpo reciso e il fiore sbocciato dal dolce sangue recava la dedica del suo dolore eterno...' (pag.85)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Giardino delle Esperidi.\n### Descrizione: Il giardino delle Esperidi è un luogo leggendario della mitologia greca.\nEra stato donato da Gea a Zeus che a sua volta lo aveva dato ad Era come regalo nuziale ed in esso cresceva un melo dai frutti d'oro che era custodito dal drago Ladone e dalle tre Esperidi.\n\nLeggenda.\nCome undicesima fatica, ad Eracle era stato ordinato di cogliere tre mele d'oro dalla pianta. Per evitare il drago Ladone, Eracle allora propose al titano Atlante di reggergli il cielo che teneva sulle spalle il tempo necessario al titano per prendere i tre frutti dal giardino, ma quando questi fu di ritorno rivelò ad Eracle di non essere più disposto a riprendersi il cielo sulle spalle.\nL'astuzia di Eracle fu di fargli notare che, se ora spettava a lui l'onere di reggere il cielo per mille anni (così come aveva fatto in precedenza il titano), avrebbe avuto bisogno di un aiuto per sistemarselo meglio sulle spalle; Eracle chiese ad Atlante di tornare a reggere la volta del cielo ancora per un momento, attese che questi lasciasse a terra le mele rubate e che momentaneamente gli sollevasse il cielo e, dopo aver riavuto le proprie spalle libere, legò il rivale per raccogliere le mele e consegnarle ad Euristeo.\n\nRappresentazioni artistiche.\nErcole nel giardino delle Esperidi di Pieter Paul Rubens (1638 circa)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Giasone (mitologia).\n### Descrizione: Giasone (pronuncia: Giasóne o Giàsone, in greco antico: Ἰάσων?, Iásōn) è una figura della mitologia greca, discendente di Ermes per parte di madre ( di cui era il bisnipote) e, secondo alcune tradizioni, del dio Apollo per via paterna.\nFiglio di Esone, re di Iolco, e di Alcimede, fu sposo della maga Medea. È noto per essere stato a capo della spedizione degli Argonauti, finalizzata alla conquista del vello d'oro.\nVolendo riconquistare il trono di Iolco usurpato al padre Esone dal fratellastro Pelia, Giasone dovrà andare alla conquista del vello d'oro, la pelle dell'ariete dorato che si trova nella Colchide presso il re Eeta, a capo di un gruppo di eroi, gli Argonauti, che formano l'equipaggio della nave Argo. Grazie all'aiuto della maga Medea, figlia di Eeta, riuscirà nell'impresa e, dopo le molte peripezie che caratterizzeranno tutto il viaggio, tornerà a Iolco per reclamare il trono che fu del padre. Morirà trovandosi sulla stessa Argo, ormai fatiscente, a causa di un suo cedimento.\n\nIl mito.\nI primi anni.\nPelia, figlio del dio del mare Poseidone e di Tiro (madre anche di Esone e quindi suo fratellastro), era assetato di potere e ambiva a dominare l'intera Tessaglia. Dopo un'aspra contesa detronizzò Esone, uccidendo tutti i suoi discendenti, ma Alcimede, moglie di Esone, che aveva appena avuto un piccolo di nome Giasone, lo salvò da Pelia, facendo raggruppare le donne intorno al neonato e facendole piangere per far credere che il bambino fosse nato morto. Alcimede mandò il figlio dal centauro Chirone perché badasse alla sua educazione e per sottrarlo alla violenza di Pelia; questi, sempre timoroso che qualcuno potesse usurpargli il trono, consultò un oracolo che lo avvertì di stare attento all'uomo con un solo sandalo.\nGiasone crebbe sotto l'ala protettrice del saggio centauro che lo istruì nell'arte della caccia e nell'uso delle armi tanto che l'eroe, ancora adolescente, trovandosi di fronte ad un feroce leopardo che terrorizzava gli abitanti della regione di Dasoktima Polydendriou, dopo un duro scontro, riuscì ad avere la meglio sulla pericolosa fiera e a guadagnarsi il rispetto dei contadini e pastori della valle.\nSempre da allora Giasone avrebbe indossato la pelle del leopardo come mantello, memore del primo grande successo conseguito con le sue sole forze.\nMolti anni dopo, mentre a Iolco si tenevano dei giochi in onore di Poseidone, arrivò Giasone, che perse uno dei sandali nel fiume Anauro mentre aiutava un'anziana (che era in realtà la dea Era travestita) ad attraversarlo; la donna lo benedisse perché sapeva cosa Pelia gli avrebbe riservato. Quando entrò nella città (l'odierna Volos) fu annunciato come l'uomo con un solo sandalo: Giasone reclamò il trono del padre, ma Pelia gli disse che l'avrebbe ottenuto solo dopo aver conquistato il vello d'oro. Giasone accettò la sfida.\n\nLa conquista del vello d'oro.\nGiasone radunò un gruppo di eroi, noti con l'appellativo di Argonauti dal nome della nave Argo, tra cui figuravano il suo stesso costruttore Argo di Tespi, Calaide e Zete, figli di Borea e capaci di volare, Eracle, Teseo, Acasto (il figlio dello stesso re Pelia e, dunque, cugino di Giasone), la cacciatrice Atalanta, Ila, Meleagro, Filottete, Peleo, Telamone, Orfeo, Castore e Polluce, Linceo, Anceo, il timoniere Tifide, Laerte, Idmone, Polifemo di Larissa, Nauplio, Anceo il piccolo e Mopso, Issione ed Eufemo. Giasone, per decidere il capitano che avrebbe guidato la spedizione, propose un'elezione od una lotteria, ma Eracle, parlando a nome di tutti gli eroi, disse che nessuno sarebbe stato più degno e meritevole del compito di Giasone. Terminati i preparativi per la partenza e fatti i dovuti sacrifici per ingraziarsi gli dei, la gloriosa nave Argo fu pronta a prendere il largo.\n\nL'isola di Lemno.\nL'isola di Lemno, situata al largo della costa occidentale dell'Asia Minore, era abitata da donne che avevano ucciso i loro mariti: esse avevano trascurato di venerare Afrodite, la quale le aveva punite rendendole maleodoranti al punto da essere ripudiate dai maschi dell'isola. Gli uomini si erano allora legati a delle concubine provenienti dalla prospiciente terraferma, la Tracia, e le donne, furibonde, uccisero tutti i maschi mentre dormivano. Il re Toante venne salvato dalla figlia Ipsipile, che lo fece fuggire su una piccola nave, e le donne di Lemno vissero per qualche tempo senza uomini con Ipsipile come loro regina.\nDurante la visita degli Argonauti, le donne si unirono con loro creando una nuova razza denominata Mini: lo stesso Giasone divenne padre di due gemelli avuti dalla regina. Eracle li spinse a ripartire, disgustato dalla loro ridicolaggine, e restò fuori dai bagordi, fatto strano se si considerano le tante relazioni che ebbe con altre donne.\n\nCizico.\nDopo Lemno gli Argonauti approdarono nella terra abitata dai Dolioni, venendo amichevolmente accolti dal loro giovanissimo re Cizico, che era figlio di un amico defunto di Eracle. Il sovrano rivelò ai navigatori che la loro terra era vessata dai continui attacchi dei pirati e Ancor più dai temibili giganti Dolioni ( esseri grandi la metà di un ciclope ma dotati di molte braccia)., dopo che Eracle con le sue frecce ne uccise molti che tentavano di distruggere la nave Argo scagliandovi pietre e Giasone aiutato da Atalanta ebbe la meglio sul loro capo decollandolo, il re Cizico decise di invitare gli eroici navigatori al suo stesso matrimonio donando loro il peso del divino Eracle in doni e monili preziosi. Poi ripartirono ma persero l'orientamento, riapprodando nuovamente nello stesso luogo in una notte senza luna; ciò fece sì che Dolioni e Argonauti non si riconoscessero. Cizico e i suoi uomini scambiarono gli Argonauti per pirati e li assalirono ma ebbero la peggio e tra le vittime ci furono lo stesso re (trafitto proprio dalla lama di Giasone) e il grande guerriero Artace ucciso per mano del forte Telamone. Solo all'alba gli Argonauti si resero conto del terribile errore che avevano commesso e non rimase altro da fare che seppellire i Dolioni morti. Clite, la moglie di Cizico, si suicidò per il dolore.\n\nMisia.\nQuando gli Argonauti giunsero nella Misia, alcuni di essi, tra cui Eracle e il suo servo Ila, andarono in perlustrazione alla ricerca di cibo e acqua. Le ninfe, che abitavano il corso d'acqua da dove si stava rifornendo Ila, furono attratte dal suo bell'aspetto e lo attirarono nel fiume. Il forte Polifemo udì le sue grida di aiuto e si mise a cercarlo disperatamente. Non riuscendo a trovarlo Giasone organizzò una ricerca per tutta l'isola, ma vana, Teseo trovò le anfore vuote di Ila nei pressi del corso d'acqua e Giasone concluse che il ragazzo fosse morto annegato, ma Eracle e Polifemo non vollero desistere: erano così intenti nella ricerca che lasciarono che gli Argonauti ripartissero senza di loro (sotto consiglio dello stesso Ermes ). Di Ila, tuttavia, non si seppe più nulla.\n\nBitinia.\nAncora alla ricerca di acqua Giasone decise di perlustrare l'entroterra di una lussureggiante costa della Bitinia assieme ai fratelli Dioscuri, Teseo e Idmone., arrivati nei pressi di una fonte gli Argonauti dovettero superare l'avversità del grosso Amico, un uomo gigantesco che sfidava a pugilato (sino all'ultimo sangue) chiunque volesse abbeverarsi alla fonte dono di suo padre Poseidone.\nDopo la vittoria di Polluce che con abilità e destrezza riuscì a superare la forza bruta del gigante, gli eroi risparmiarono lo sconfitto e ripresero il largo orgogliosi di avere tra le loro fila il pugile più capace della Grecia.\n\nFinea e le Arpie.\nGiasone giunse quindi alla corte di Finea nella Tracia dove Zeus mandava le Arpie, donne alate, a rubare ogni giorno il cibo del re ed insozzare la sua tavola: tempo prima, infatti, il sovrano si era reso colpevole di rivelare ai mortali il futuro e destino progettato dagli dei inquanto ospite al banchetto divino sul monte olimpo. Giasone ebbe pietà dello scheletrico sovrano e uccise le Arpie al loro arrivo dopo un breve ma intenso scontro adoperando reti e funi della nave Argo; in altre versioni, Calaide e Zete le scacciarono in volo e solo una venne uccisa dal giavellotto di Giasone. In cambio del favore Finea rivelò a Giasone la posizione della Colchide e come superare le Simplegadi, isole in perenne collisione. Gli Argonauti ripresero dunque il loro cammino.\n\nLe Simplegadi.\nL'unico modo per raggiungere la Colchide era quello di passare attraverso le Simplegadi, enormi scogli in perenne collisione che stritolavano tutto ciò che passasse attraverso loro. Fineo aveva raccomandato a Giasone di liberare una colomba mentre si avvicinavano a queste isole: se la colomba fosse riuscita a passare avrebbero dovuto remare con tutte le loro forze, mentre se fosse stata stritolata la sorte della spedizione sarebbe stata destinata al fallimento. Giasone liberò la colomba, che riuscì a passare perdendo solo qualche piuma dalla coda: gli Argonauti allora remarono con tutte le loro forze, riuscendo a passare e riportando solo un lieve danno alla poppa della nave. Da quel momento le isole in collisione rimasero unite per sempre, lasciando libero il passaggio.\n\nAttraverso il Mar Nero.\nGli Argonauti ripresero il largo dopo essersi fermati lungo le coste del Ponto Eusino per riparare la poppa della nave precedentemente danneggiata e rifornirsi di viveri. Prima di tirare innanzi vennero raggiunti da Polifemo che dalla Misia non aveva smesso di seguire le loro tracce sicuro che avrebbe ritrovato i suoi compagni: Tifide e lo stesso Giasone si dissero rammaricati per averlo dovuto abbandonare, pur avendo compiuto il volere degli dei. Giunti sulle sponde dell'isola di Tinia Giasone decise di perlustrare l'entroterra col giovane Laerte e l'indovino Idmone, che tuttavia consigliò ai compagni di tornare sulla nave, dopo aver scorto con loro, nei pressi di un'altura, l'imponente sagoma del dio Apollo, temendo di trovarsi su un suolo sacro alla divinità. Dopo qualche giorno di navigazione, gli Argonauti attraccarono al paese dei Mariandini, dove vennero ospitati dal re Lico con tutti gli onori., nonostante l'ospitalità questa si rivelò una tappa amara del viaggio: durante una battuta di caccia al cinghiale tenuta tra il sovrano, Telamone, Atalanta e Idmone, quest'ultimo venne disarcionato e ucciso dalla bestia (poi finita da Atalanta), mentre il timoniere Tifide morì d'una malattia improvvisa spirando tra le braccia di Linceo e Anceo che lo avrebbe sostituito nel governare la nave Argo. Alla luce dei tristi avvenimenti, il re Lico chiese a Giasone che suo figlio Dascilo potesse prendere parte alla ricerca del vello come segno di amicizia ed in virtù dei buoni rapporti del suo regno con i popoli vicini.\n\nMolti Incontri.\nIl figlio di Lico essendo poliglotta si rivelò sin da subito un valido membro argonauta, anche in virtù delle conoscenze sulle strane usanze, tradizioni e costumi tra i popoli barbari che abitavano le coste e isole del Mar Nero. Sfruttando l'odio che Tibareni e Mossineci provavano per i potenti e bellicosi Calibi signori della forgiatura del ferro, gli Argonauti guidarono una piccola rivolta e saccheggiarono una delle loro roccaforti (la odierna Trebisonda), anche se al prezzo della vita di Polifemo, in assoluto il più forte Argonauta dopo Telamone, che per difendere i gemelli Castore e Polluce dalle orde nemiche fece scudo del proprio corpo. Dopo aver sepolto il loro compagno con i dovuti onori, Giasone decise di ripartire non appena il tempo lo avesse consentito., non avevano ancora preso il largo che due navi delle famigerate Amazzoni li intercettarono: provenivano da una colonia che confinava con i bellicosi Calibi. Nonostante l'odio e rancore che esse ancora provavano per Teseo che aveva assaltato con Eracle la loro madrepatria e ucciso la regina, esse decisero di ospitarli riconoscenti per avere meno pressioni sui loro confini e che Dascilo figlio del loro alleato facesse parte del gruppo, a patto che Teseo restasse sulla nave e Giasone e i suoi deponessero le armi durante il periodo di permanenza sulle loro coste.\n\nL'isola di Ares.\nSuccessivamente gli Argonauti si avvicinarono pericolosamente all'isola di Ares, luogo di rifugio degli uccelli del lago Stinfalo dopo che Eracle, durante la sua sesta fatica, li scacciò dalla loro terra natia. La particolarità di queste pericolose bestie stava nel fatto di possedere becchi e artigli di bronzo, che adoperavano colpendo in stormo: in un batter d'occhio distrussero la vela della nave Argo e ferirono il giovane Laerte, Igino ed il timoniere Anceo. In cerca di vendetta e volendo mettere alla prova le proprie abilità Giasone decise di sbarcare sull'isola assieme ad alcuni tra i più forti e capaci cacciatori e guerrieri Argonauti. Un nugolo di frecce investì le terribili bestie alate che da quel giorno non si fecero mai più vedere da quelle zone. Terminata la gara, a Giasone spettò la vittoria avendo ucciso il numero maggiore di uccelli (7), seguito da Atalanta e Polluce (6), poi Telamone, Zete, Filottete e Linceo (5), ancora Teseo e Castore (4), ed infine Igino (3) e Nauplio (2).\nGli eroi ritornarono a bordo dell'Argo dopo quella battuta di caccia, solo Teseo contestò il risultato della gara, forse proprio per essere stato battuto in uno dei suoi passatempi preferiti da una donna... .\n\nI naufraghi.\nGli eroi ripresero la navigazione, questa volta sicuri che sarebbero arrivati alla foce del fiume Fasi e, quindi, dritti alla metà del viaggio, tuttavia il viaggio era più faticoso a causa di venti contrari e cattivo tempo, ma purtroppo non c'era traccia di terra su cui sbarcare. Trascorsi che furono due giorni gli argonauti soccorsero alcuni uomini dal relitto di una nave incagliata in alcuni scogli. Dascilo li riconobbe subito: erano infatti i figli di Frisso, il ragazzo che aveva dato in dono il vello d'oro in cambio dell'ospitalità ricevuta, e quindi nipoti del re Eeta, fuggiti dopo che questi (che sempre li aveva odiati per il loro aspetto greco) aveva ucciso il loro padre e sottratto i loro averi. Giasone li accolse tra le sue fila dopo aver rivelato lo scopo della missione e aver promesso che li avrebbe riportati nella città greca d'origine di Frisso come premio per il loro contributo all'impresa.\n\nL'arrivo nella Colchide.\nGiasone arrivò nella Colchide (sull'attuale costa georgiana del Mar Nero) per conquistare il vello d'oro, che il re Eeta aveva avuto da Frisso. Eeta promise di darlo a Giasone a patto di superare tre prove, ma una volta saputo di cosa si trattava Giasone si disperò. Era ne parlò con Afrodite, la quale chiese al figlio Eros di far innamorare di Giasone la figlia di Eeta, Medea, così da aiutarlo.\nNella prima Giasone doveva arare un campo facendo uso di due tori dalle unghie di bronzo che spiravano fiamme dalle narici e che doveva aggiogare all'aratro. Medea gli diede una pomata che lo protesse dalle fiamme dei tori, consentendogli di superare la prova.\nNella seconda Giasone doveva seminare nel campo appena arato i denti di un drago, i quali, germogliando, generavano un'armata di guerrieri. Ancora una volta Medea istruì Giasone su come poteva fare per avere la meglio: egli lanciò un sasso in mezzo ai guerrieri che, incapaci di capirne la provenienza, si attaccarono tra di loro annientandosi.\nNella terza Giasone doveva sconfiggere il gigantesco drago insonne che era a guardia del vello d'oro. La bestia mise in seria difficoltà l'eroe che schivava i suoi colpi ed il soffio di fuoco mortale ricambiando con micidiali fendenti di spada: infatti Giasone non voleva fare altro che stancare e ferire la bestia quel tanto per potersi avvicinare. Gli spruzzò una pozione ricavata da alcune erbe, datagli sempre da Medea: il drago si addormentò ed egli poté conquistare il vello d'oro.\nGiasone scappò con l'Argo insieme a Medea, che aveva rapito il fratellino Apsirto. Inseguiti da Eeta, Medea uccise il fratello, lo fece a pezzi e lo gettò in acqua: Eeta si fermò a raccoglierli, perdendo di vista la Argo.\n\nViaggio di ritorno.\nSulla via del ritorno Medea profetizzò ad Eufemo, timoniere dell'Argo, che egli un giorno avrebbe regnato sulla Libia, cosa che si verificò attraverso un suo discendente, Battus.\n\nFuori dalle mappe.\nZeus, per punirli dell'uccisione di Apsirto, inviò una serie di tempeste che mandarono fuori rotta l'Argo: quest'ultima parlò e disse che dovevano purificarsi recandosi da Circe, una ninfa che viveva sull'isola di Eea. Per evitare d'essere circondati da una flotta nemica e riattraversare il pericoloso stretto dei Dardanelli, Giasone decise di raggiungere l'isola di Circe seguendo un periglioso percorso risalendo il Danubio ed i suoi affluenti sino al Mare Adriatico e da li al fiume Po sino al Mar Tirreno e, quindi, all' isola di Eea. Una volta purificati dalla ninfa, gli Argonauti ripresero il viaggio verso casa che tuttavia si rivelò ricco di ostacoli e insidie.\n\nMostri marini e Sirene.\nChirone aveva raccontato a Giasone che senza l'aiuto di Orfeo gli Argonauti non sarebbero riusciti a superare il luogo abitato dalle sirene, le stesse incontrate da Ulisse. Le Sirene vivevano su tre piccoli isolotti rocciosi e cantavano bellissime melodie che attiravano i naviganti, facendoli schiantare contro gli scogli. Appena Orfeo sentì le loro voci prese la lira e suonò delle melodie ancora più belle e più forti di quelle delle sirene, surclassandole. Ma ancora più terribile sarebbe stato il superamento dello stretto presidiato da Scilla e Cariddi: Scilla era un agitatissimo serpente di mare gigante a sei teste, mentre il roccioso Cariddi risucchiava e rigettava acqua senza posa, in modo che le navi perdessero il controllo e finissero dritte tra le bocche di Scilla. Anche all'imponente Argo accadde lo stesso, due teste del mostro seminarono il panico tra i naviganti, ma per fortuna Giasone con un colpo fulmineo di spada fece ritrarre la prima testa ferita ad un occhio, mentre la seconda stritolata dalle braccia di Telamone venne allontanata dai colpi d'ali dei figli di Borea, i quali, poi, aggrappandosi al timone allo stesso modo allontanarono la mitica nave dallo stretto.\n\nUn breve riposo.\nL' Argo aveva un ingente bisogno di riparazioni a seguito del superamento del pericoloso stretto che, inoltre, era costato la vita a tre dei valorosi argonauti, uno dei quali era proprio il secondogenito dei figli di Frisso che si erano imbarcati come naufraghi poco prima dell'arrivo in Colchide. Fortunatamente per Giasone e i suoi il fato aveva decretato che avrebbero attraccato sulle coste dell'isola dei Feaci (l'odierna Corfù).\nGli Argonauti vennero accolti con tutti gli onori alla corte di Alcinoo, il quale ospitò per un mese gli eroi offrendo loro banchetti, giochi, doni e provviste per il resto del viaggio. Tuttavia vennero raggiunti da una delegazione proveniente dalla Colchide che intendeva riportare Medea a casa. Il saggio e giusto sovrano acconsentì a patto che la giovane donna fosse ancora vergine e nubile., dopo aver seguito il discorso la moglie del sovrano Arete avvisò subito i due ospiti innamorati che organizzarono un rapido matrimonio nelle caverne dell'isola suggellando così il loro amore e mantenendo la loro promessa.\n\nBloccati nella Sirte.\nDopo essere riusciti a vincere in astuzia i delegati di Eeta, gli Argonauti ripresero il mare sapendo di essere ad un passo dal traguardo, tuttavia poco dopo aver scorto le coste dell'isola greca di Leucade, una tremenda tempesta sul mare li portò, ancora una volta, fuori rotta. Le onde e venti erano così forti e impetuosi che la nave Argo si ritrovò incagliata e bloccata tra le sabbie della Sirte (nell'attuale Tunisia). Fortunatamente Giasone e i suoi uomini non si dettero per vinti e, sotto consiglio delle tre eroine di Libia, trasportarono sulle spalle per 12 giorni la mitica imbarcazione, sino al lago Tritonide. Lungo il tragitto il profeta Mopso venne ucciso da un serpente velenoso dopo averlo urtato involontariamente; bestia solitaria e pigra, eppure in grado di avvelenare tre buoi con un sol morso.\n\nLa valle delle Esperidi.\nDurante quella lunga traversata del deserto gli eroi avevano quasi consumato tutte le scorte di cibo ed acqua, ma arrivati al lago scorsero la valle delle Esperidi e la pianura delle mele d’oro vegliate dal temibile drago Ladone (che fece ricordare ai due novelli sposi la pericolosa bestia a guardia del vello). Le custodi Esperidi che di solito cantavano, piangevano: Eracle era appena partito dopo aver ingannato il loro povero padre Atlante che, sperando invano nella libertà, aveva preso i pomi d'oro per poi essere tradito. Gli Argonauti confortarono le tre giovani che come segno di riconoscenza permisero agli Argonauti di approfittare dei frutti della valle. Giasone e i suoi cercarono invano di raggiungere il vecchio amico Eracle: solo Linceo con la sua incredibile vista riuscì a scorgerlo ormai troppo lontano! Prima di riuscire, con l'aiuto del dio Tritone, a riprendere il mare tramite un passaggio che collegò temporaneamente il lago Tritonide al Mediterraneo, Canto venne ucciso mentre cercava di rubare delle pecore dal pastore Cafauro, venendo poi subito vendicato dai suoi cugini (attirando su di loro l'ora del dio Apollo).\n\nTalo.\nLa Argo arrivò quindi nell'isola di Creta, protetta dal gigante di bronzo Talo. Quando la nave cercava di avvicinarsi, Talo scagliava enormi sassi, tenendola alla larga. Il gigante aveva una vena che partiva dal collo e arrivava alla caviglia, tenuta chiusa da un chiodo di bronzo. Medea gli fece un incantesimo: Talo impazzì e Giasone, giunto a riva assieme al cugino Acasto e a Filottete, rimosse il chiodo, facendogli fuoriuscire l'unica vena, e il gigante morì dissanguato. L'Argo poté riprendere il suo cammino.\n\nIl ritorno.\nMedea, usando i suoi poteri magici, convinse le figlie di Pelia che lei era in grado di ringiovanirne il padre tagliandolo a pezzi e bollendolo in un calderone pieno di acqua e erbe magiche. Per dimostrare le sue capacità, Medea operò questa magia su un agnello, che saltò fuori dal calderone. Le ragazze, molto ingenuamente, fecero a pezzi il padre, mettendolo nel calderone e condannandolo così alla morte, dal momento che Medea non aggiunse le erbe magiche. Il figlio di Pelia, Acasto, mandò in esilio Giasone e Medea per l'uccisione del padre e i due si stabilirono a Corinto.\n\nIl tradimento di Giasone e la sua morte.\nA Corinto, Giasone si innamorò di Glauce (citata anche come Creusa) figlia del re Creonte e la sposò. Quando Medea gli rinfacciò la sua ingratitudine, Giasone replicò che non era lei che doveva ringraziare bensì Afrodite che l'aveva fatta innamorare di lui.\nInferocita con Giasone per essere venuto meno alla promessa di amore eterno, Medea si vendicò dando a Glauce un vestito incantato come dono di nozze e che prese fuoco facendola morire insieme al padre accorso in suo aiuto e uccidendo, inoltre, Mermero e Fere, i due figli che la stessa Medea aveva avuto da Giasone.\nQuando quest'ultimo venne a saperlo, Medea era già andata via, in volo verso Atene su un carro mandatole dal nonno, il dio del sole Elio.\nIn seguito Giasone con l'aiuto di Peleo (il padre di Achille), attaccò e sconfisse Acasto, riconquistando il trono di Iolco.\nAvendo disatteso la promessa di fedeltà fatta a Medea, Giasone perse i favori della dea Era e morì solo ed infelice. Mentre dormiva a poppa della ormai fatiscente Argo, rimase ucciso all'istante da un suo cedimento: fu questa la maledizione degli dei per essere venuto meno alla parola data. Secondo una variante l'eroe morì di crepacuore dopo aver appreso la notizia dell'uccisione dei figlioletti.\n\nLetteratura classica.\nPoemi epici.\nSebbene alcuni degli episodi della storia di Giasone risalgano a vecchie leggende, l'opera principale legata a tale personaggio è il poema epico Le Argonautiche di Apollonio Rodio, scritto ad Alessandria nel III secolo a.C.\nUn'altra Argonautica è stata scritta in latino da Gaio Valerio Flacco nel I d.C. ed è composta da otto volumi. Il poema si interrompe bruscamente con la richiesta di Medea di accompagnare Giasone nel suo viaggio di ritorno. Non è noto se una parte del poema epico sia andato perduto o se non sia mai stato finito.\nUna terza versione è l'Argonautica Orphica, che evidenzia il ruolo di Orfeo nella storia.\n\nGiasone nella letteratura postclassica.\nDante Alighieri menziona brevemente Giasone nel XVIII canto della Divina Commedia, dove viene collocato nell'ottavo cerchio dell'inferno (quello dei fraudolenti) e più precisamente nella prima bolgia (quella dei ruffiani e seduttori) per aver sedotto e abbandonato prima Ipsipile e poi Medea, costretto, come tutti gli altri che espiano la sua stessa colpa, a correre nudo sotto le sferzate dei demoni.\nLo stesso Dante menziona nuovamente Giasone nel canto II del Paradiso paragonando l'eccezionale impresa per conquistare il vello d'oro alla propria impresa poetica. Lo ricorderà, ancora una volta, alla fine della terza cantica (Par: XXXIII), per sottolineare lo stupore e la dimenticanza che l'esperienza mistica ingenera in Dante attraverso la visione di Dio, le quali superano addirittura quelle provocate dalla mitica impresa dagli Argonauti.\nVincenzo Monti inaugura il suo 'inno al sig. di Montgolfier' con un peana a Giasone e agli Argonauti paragonando l'audacia delle due imprese, una di navigazione e l'altra di volo.\n\nTragedia.\nLa storia della vendetta di Medea su Giasone è narrata da Euripide nella sua tragedia Medea e nell'omonima opera di Seneca. Non ci è pervenuta una tragedia con lo stesso titolo composta da Ovidio.\n\nTeatro.\nUbaldo Mari, Giasoneide, o sia la Conquista del Vello d'Oro (Livorno, 1780).\n\nMusica.\nIl musicista italiano Francesco Cavalli compose il dramma Il Giasone su libretto di Giacinto Andrea Cicognini rappresentato per la prima volta a Venezia nel 1649.\n\nCinema.\nIl mito di Giasone e degli Argonauti è stato raccontato più volte sul grande schermo, da I giganti della Tessaglia - Gli argonauti del 1960 diretto da Riccardo Freda a Gli Argonauti (titolo originale Jason and the Argonauts) del 1963 per la regia di Don Chaffey, a Medea del 1969 diretto da Pier Paolo Pasolini, a La cosa d'oro del 1972 diretto da Edgar Reitz, fino al film TV del 2000 Giasone e gli Argonauti per la regia di Nick Willing." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Giganti (mitologia greca).\n### Descrizione: I giganti (chiamati anche Ctoni) sono figure mitiche e leggendarie (dèi, demoni, mostri, uomini primitivi) della mitologia greca, accomunate dalla caratteristica altezza.\nSecondo i greci, alcuni giganti (per esempio Encelado) erano sepolti da allora nelle profondità della terra; i terremoti erano interpretati come sussulti di queste creature sepolte. Altre creature gigantesche della mitologia greca, i ciclopi (Κύκλωπες), gli ecatonchiri (Ἑκατόγχειρες) i titani, sono però distinte dai gigantes.\nNella mitologia greca, giganti sono diversi personaggi, di solito divisi in due categorie:.\n\nVentiquattro giganti combatterono la gigantomachia. Potevano essere sconfitti solamente da un semidio con l’aiuto di un Dio. La caratteristica di questi 24 Giganti è di avere un corpo per metà di uomo e per metà di bestia (solitamente serpente). Ognuno di essi era nato per distruggere una divinità specifica. Il più famoso tra i Giganti era Porfirione nato per distruggere Zeus.\nSi racconta anche di come Pallade, figlio del re di Atene Pandione, avesse generato una stirpe di uomini dal corpo enorme, giganti.\nAlpo: gigante siciliano, figlio di Gea sconfitto da Dioniso.\nDamiso il più veloce dei giganti.\nGigeni: tribù di giganti a sei braccia figli di Gea (o di Rea identificata con la dea madre Cibele) affrontati dagli Argonauti.Giganti figli di Poseidone.\n\nAnteo: re di Libia, ucciso da Eracle.\nOrione: il gigante cacciatore, amante di Eos.\nI liguri Alebione e Dercino.\nCrisaore figlio di Medusa.\nGli Aloadi.\nIdas: non fu un vero e proprio gigante, ma la sua altezza era superiore a quella dei suoi contemporanei e quella del suo gemello Linceo figlio di Afareo.Giganti figli di Ares.\n\nDiomede: re dei Bistoni.\nCicno il brigante.\nLicaone re di Macedonia. Come Cicno e Diomede è stato ucciso da Eracle, ma non ci è pervenuto il mito.Giganti figli di Efesto.\n\nCaco il mostruoso razziatore di bestiame, era in grado di sputare fuoco.\nTalos: gigante di bronzo, non era figlio di Efesto, ma fu creato da lui, così che Zeus potesse metterlo a guardia di Europa.Giganti figli di Zeus.\n\nTizio figlio di Zeus ed Elara, prigioniero nel Tartaro.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giganti.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Giganti, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Gigantomachia.\n### Descrizione: La Gigantomachia (dal greco antico γιγαντομαχία, 'la guerra dei giganti' o 'tra giganti': parola a sua volta composta da γίγας -αντος, gigas -gigantos, 'gigante'; e μάχη, machē, ovvero 'battaglia', 'guerra', 'scontro') è la lotta che i Giganti ingaggiarono contro gli Dei dell'Olimpo, aizzati dalla loro madre Gea e dai Titani.\n\nIl mito.\nPer raggiungere la vetta dell'Olimpo i Giganti dovettero mettere tre monti uno sopra l'altro, ma furono sconfitti e cacciati sotto l'Etna. I dodici dèi dell'Olimpo non vinsero grazie alle proprie forze, ma dovettero ricorrere all'aiuto di un semidio: Eracle, figlio di Zeus e di una mortale.\nI Giganti che parteciparono furono ventiquattro, altissimi e terribili, con lunghi capelli inanellati e lunghe barbe e code di serpenti a coprire i piedi. Alcioneo ne fu il capo. Fu anche il primo che Eracle abbatté. Poi fu la volta di Porfirione: riuscì quasi a strangolare Era ma, ferito al fegato da una freccia di Eros, la sua brama omicida si trasformò in lussuria e tentò di violentare la dea. Zeus divenne pazzo di gelosia e abbatté il gigante con una folgore. Eracle lo finì a colpi di clava.\nEfialte ebbe uno scontro con Apollo che, sempre con l'aiuto di Eracle, riuscì a trarsi in salvo. E la storia si ripete con Eurito contro Dioniso, Clizio contro Ecate, Mimante contro Efesto, Pallante contro Atena: sarà sempre Eracle a essere risolutivo. Demetra ed Estia, donne pacifiche, stanno in disparte, mentre le tre dispettose Moire scagliano pestelli di rame da lontano.\nScoraggiati, i Giganti superstiti scappano. Atena, assunte dimensioni gigantesche superiori a quelle dei giganti, riesce a scagliare un grosso masso contro Encelado che crolla in mare e diventa l'isola di Sicilia. Poseidone strappa un masso a Coo e lo scaglia nel mare, dove diventa l'isola di Nisiro, nel Dodecaneso. Ermes abbatte Ippolito e Artemide Grazione, mentre i proiettili infuocati lanciati dalle Moire bruciano le teste di Agrio e Toante.\nSileno, il satiro nato dalla Terra, si vantò di avere fatto fuggire i Giganti col raglio del suo asino, ma Sileno era sempre ubriaco, e veniva accolto all'Olimpo solo per ridere di lui.\nAlcuni Giganti erano detti centimani poiché avevano cento mani. Nell'esegesi del mito si potrebbe considerare che tale storia racconti una battaglia di popolazioni non elleniche (o greche) che combattevano in 'centurie' (gruppi di cento) e che veneravano la Madre Terra come Dea Creatrice. I Greci Achei e Dori avevano infatti ridotto la 'madre terra' a una sorella di Zeus, Demetra. Tale conflitto vide vittoriosi gli Elleni e il loro Pantheon.\n\nSchieramenti.\nGli alleati di Zeus.\nZeusOlimpi.\nPoseidone.\nEra.\nAres.\nAtena.\nApollo.\nDioniso.\nAfrodite.\nEfesto.\nErmes.\nArtemide.\nDemetra.\nAltre divinità.\nEstia (cedette il suo trono sull’Olimpo in favore di Dioniso).\nEros.\nAde.\nPersefone.\nMoire.\nEcate.\nPan.\nEracle.\nBronte.\n\nI Giganti.\nGea, la Madre Terra, progenitrice dei Giganti.\n24 Giganti, tra cui:.\nAlcioneo, capo dei rivoltosi.\nDamaseno.\nEncelado.\nEfialte.\nPallante.\nIppolito.\nPorfirione.\nMimas.\nGrazione.\nPolibote.\nOto.\nClizio.\nAgrio.\nToante.\nEurito.\n\nCoo.\nEcatonchiri.\nCotto.\nGige.\nBriareo.\n\nNell'arte.\nScultura.\nLa lotta tra i giganti e gli dei fu rappresentata da Fidia nell'interno dello scudo della sua statua di Atena. La Gigantomachia fu rappresentata anche nell'Altare di Pergamo.\n\nLetteratura.\nClaudio Claudiano (370-408) scrisse il poema La gigantomachia, di cui sono pervenuti sino a noi solo 128 esametri.\n\nPittura.\nNel Palazzo del Te a Mantova esiste una sala chiamata la 'Sala dei Giganti', i cui affreschi rappresentano il tema della gigantomachia o della conseguente 'caduta dei giganti', opera del pittore Giulio Romano (1499?-1546)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Gige (ecatonchiro).\n### Descrizione: Gige, o Gie (in greco antico: Γύγης?, Gýghēs) è uno dei giganti dalle cento braccia della mitologia greca, gli Ecatonchiri, generati dall'unione tra Gea e Urano. Briareo e Cotto sono suoi fratelli. Gige partecipò insieme a Cotto alla lotta contro gli Olimpici e fu rinchiuso da Zeus nel Tartaro, dove venne sorvegliato insieme agli altri suoi compagni dal fratello Briareo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Gigea (ninfa).\n### Descrizione: Gigea è il nome di una ninfa nella mitologia greca.\n\nMito.\nViene nominata nell'Iliade, come ninfa della palude omonima nell'Asia Minore. Dall'unione con un re della Meonia generò due figli maschi: Talemene e Ifitione. Quest'ultimo prese parte alla Guerra di Troia in difesa degli assediati, insieme ai due figli del fratello, Mestle e Antifo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,### Titolo: Gigeni.\n### Descrizione: I Gigeni (dal greco Γηγενεῖς Ghēgenèis; sing. Γηγενής Ghēgenḕs - ovvero 'nati dalla terra') erano una tribù mitica di giganti con sei braccia che combatterono contro gli Argonauti nella Misia. I primi racconti della loro esistenza si trovano nell'Argonautica di Apollonio Rodio. +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Giocasta.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Giocasta (in greco antico: Ἰοκάστη?, Iokástē) era la figlia di Meneceo e la madre di Edipo. Omero si riferisce a lei con il nome di Epicasta. La sua storia, così come quella di Edipo, viene raccontata nella tragedia Edipo re di Sofocle e ha dato vita a un complesso psicanalitico, noto appunto come complesso di Giocasta.\n\nGiocasta, figlia di Meneceo, sorella di Creonte, sposò Laio, re di Tebe. L'Oracolo di Delfi predisse che il figlio di Laio avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Per impedire che la profezia si avverasse, Laio fece abbandonare il proprio figlio su una montagna, con i piedi legati, e annunciò la sua morte. Il bambino fu salvato da un pastore e fu condotto alla corte del re di Corinto, dove gli fu dato il nome di Edipo: giunto alla maggiore età, Edipo si recò presso l'oracolo di Delfi, che fece anche a lui una profezia, predicendo che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Per non sottostare al destino preannunciato Edipo lasciò quelli che credeva i propri genitori e si incamminò verso Tebe.\nEdipo proprio sotto il tempio di Delfi uccise in una lite a un crocevia Laio, che non sapeva essere suo padre, e l'auriga Polifonte ed entrò a Tebe in trionfo dopo aver risolto l'enigma della Sfinge. Giocasta, riconoscente nei confronti dello sconosciuto eroe, lo sposò; in tal modo i due portarono inconsapevolmente a compimento la profezia ed ebbero quattro figli. Edipo dopo dieci anni, scoprì il proprio passato. Giocasta, compresa la verità prima di lui, si impiccò. Nelle Fenicie euripidee, ispirate alla versione del mito raccontata da Stesicoro, Giocasta sopravvive alla rivelazione dell'incesto e cerca di portare la pace tra Eteocle e Polinice in lotta per la supremazia su Tebe: quando i suoi figli si uccidono a vicenda, la regina non regge al dolore e si pugnala sui loro cadaveri.\n\nGenealogia.\n{Genealogia tebana}.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giocasta.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Giocasta, su Goodreads." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Giochi Erei.\n### Descrizione: I giochi Erei erano delle gare di atletica femminile che si tenevano presso lo stadio di Olimpia a partire dal VI secolo a.C.. La competizione era dedicata alla dea Era ed è stata la prima gara sportiva femminile ufficiale di cui si conservi testimonianza storica. I giochi Erei si svolgevano probabilmente lo stesso anno dei Giochi olimpici, prima delle gare maschili.\n\nStoria.\nSecondo alcune fonti, la prima edizione dei giochi risale al VI secolo a.C.. Lo scrittore Pausania il Periegeta, nella sua opera Periegesi della Grecia, scritta intorno al 175 a.C., scrisse che Ippodamia costituì un gruppo conosciuto come 'sedici donne' fra le partecipanti ai giochi Erei, in segno di gratitudine per il suo matrimonio con Pelope. Altri testi indicano che le 'sedici donne' erano portatrici di pace fra Pisa e Elis e, grazie alla loro competenza politica, divennero le amministratrici dei giochi Erei.Le donne greche vennero autorizzate a partecipare alle stesse feste a cui partecipavano gli uomini dopo il periodo classico. La scarsità di riferimenti è la prova che questi cambiamenti possono essere stati non graditi dall'influenza romana. A Roma, le ragazze provenienti dalle famiglie benestanti erano autorizzate a partecipare alle feste degli uomini. Un'iscrizione del I secolo trovata a Delfi dice che due giovani donne avevano gareggiato in gare (non le Olimpiadi) alla festa di Sebasta, a Napoli, durante il periodo imperiale e nelle gare di Domiziano per le donne ai Ludi capitolini di Roma nell'86.\n\nCaratteristiche.\nCome le gare maschili, i giochi Erei erano originariamente costituiti solo dalle corse pedestri. Le campionesse vincevano corone di ulivo, carne di mucca o di bue dell'animale sacrificato ad Era e il diritto di dedicare statue con incisi i loro nomi o dipingere i loro ritratti sulle colonne del tempio di Era. Sono ancora evidenti i punti in cui venivano attaccati i ritratti sul tempio, anche se le opere d'arte sono scomparse Le donne gareggiavano, divise in tre gruppi di età, su una pista dello Stadio Olimpico che era 5/6 della lunghezza della pista degli uomini. Pausania descrive come si presentavano per le gare: 'con i capelli pendenti, una tunica (chitone) poco sopra il ginocchio e con la spalla destra nuda fino al seno'.Anche se gli uomini gareggiavano nudi e le donne vestite, il chitone era anche l'abbigliamento indossato dagli uomini che facevano un lavoro fisico pesante. Così, le concorrenti erano vestite come gli uomini. Se questo e l'esistenza dei giochi Erei possono dirci qualcosa riguardo al clima sociale delle donne di quel periodo è incerto. Sappiamo che alle donne era proibito competere o addirittura assistere ai giochi olimpici antichi, pena l'essere gettate dalle scogliere del Monte Typaion. Le ragazze non erano incoraggiate a essere atlete. Quelle cresciute a Sparta erano l'eccezione, poiché venivano formate agli stessi eventi sportivi dei ragazzi, dato che il comune pensiero a Sparta era che donne forti avrebbero generato bambini che sarebbero diventati forti guerrieri. Queste atlete non erano sposate e gareggiavano nude o indossando abiti corti. I ragazzi erano autorizzati a guardare le atlete, nella speranza di combinare matrimoni e avere dei figli. Una gara dedicata a Dioniso (dio del vino e del piacere) potrebbe essere stata anche, per la comunità più giovane, un rito di passaggio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Giove e Teti.\n### Descrizione: Giove e Teti è un dipinto a olio su tela (324x260 cm) di Jean-Auguste-Dominique Ingres, realizzato nel 1811 e conservato nel Musée Granet di Aix-en-Provence.\n\nStoria e descrizione.\nIngres prese in prestito la materia di questo quadro dal primo canto dell'Iliade di Omero, dove la nereide Teti, madre dell'eroe Achille, chiede a Giove di favorire i Troiani nelle battaglie della guerra di Troia affinché il figlio, allontanatosi dall'esercito per una disputa con Agamennone sulla schiava Briseide, torni a combattere.Ingres, che era affascinato dall'episodio omerico sin dal 1806 (come testimonia una missiva inviata a Forestier il Natale di quell'anno), iniziò la monumentale tela di Giove e Teti nel 1810, per poi portarla a compimento l'anno successivo. L'opera, che costituì l'ultimo invio del pensionato all'Accademia di Francia (envoi de Rome), era assai apprezzata da Ingres, il quale riteneva la tela di una tale bellezza che «anche i cani arrabbiati, che vogliono azzannarmi, dovrebbero esserne commossi» e, ancora, affermò che si trattava di «un quadro divino che dovrebbe far sentire l'ambrosia a una lega di distanza». Ciò malgrado, Giove e Teti venne accolta assai freddamente dagli accademici francesi, che criticarono soprattutto l'eccessiva altezza del collo di Teti, attribuita addirittura a una disfunzione della tiroide della modella. L'opera, pertanto, rimase invenduta sino al 1834, quando venne acquistata dal governo francese, che la inviò poi a Aix-en-Provence su richiesta del pittore François Marius Granet. Nel Novecento Giove e Teti è stato anche sottoposto ad un intervento di restauro, che ha mirato soprattutto a ripristinare la resa cromatica originaria del dipinto.Il dipinto raffigura Teti, che è genuflessa e abbigliata con un drappo grigio-verde e un velo bianco, mentre intercede presso Giove in favore del figlio: la sua mano sinistra sfiora il mento del dio, lisciandogli la barba, mentre quella destra gli cinge le ginocchia, quasi ad abbracciarle. Giove, invece, siede imperturbabile su un maestoso trono, alla cui base sono riportate immagini che rievocano la Gigantomachia: è ammantato in un drappo rosato, e al suo fianco siede l'aquila, icona del dio e simbolo del potere di Roma. Assorto in un'aura di ieraticità divina, Giove presenta una barba fluente e una criniera di capelli scuri, con il capo cinto da un'aureola a sette raggi appena abbozzata. Nel cielo burrascoso alle spalle del dio, solcato da luminescenze rossastre, si scorge inoltre il volto di Giunone, la gelosa moglie di Giove.La composizione poggia su una struttura piramidale, descritta dal manto di Giove e dalla schiena di Teti, e su una griglia modulare che mette in enfasi gli elementi notevoli del dipinto (come ad esempio le braccia del re degli dei). La figura di Teti è collocata lungo la direttrice orizzontale del dipinto, mentre Zeus segue l'andamento dell'asse orizzontale, che contribuisce a ribadirne la maestosità divina." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Giudizio di Paride (Filippo Tagliolini).\n### Descrizione: Il Giudizio di Paride è una scultura in porcellana biscuit di Filippo Tagliolini (Fogliano di Cascia 1745- Napoli 1809), che dal 1780 fino alla morte lavorò come modellatore presso la Reale Fabbrica della porcellana di Napoli (attiva tra il 1771 e il 1807).\nIl Giudizio di Paride, insieme al Carro dell'Aurora e alla Caduta dei Giganti è tra i più grandi gruppi prodotti dalla Reale Fabbrica di Napoli, e uno tra i pochi che possa essere legato direttamente all'attività di Tagliolini. Si conosce infatti un documento del 1801 in cui l'artista è pagato per l'intervento diretto su un gruppo di tale soggetto. Dell'opera si conoscono più esemplari, conservati presso il Museo di Capodimonte, il Museo di San Martino a Napoli, l'Accademia Tadini a Lovere." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Giudizio di Paride (Raffaello).\n### Descrizione: Il Giudizio di Paride era un disegno del pittore italiano Raffaello Sanzio, andato perduto, ma noto attraverso delle incisioni a bulino di Marcantonio Raimondi.\n\nDescrizione.\nIl tema è uno dei più rappresentati della storia dell'arte, venendo rappresentato dai pittori di epoche diverse come il Rinascimento e il Barocco o dai pittori del ventesimo secolo. In effetti, il capolavoro perduto dell'Urbinate si rifaceva in parte a un sarcofago romano su questo tema. La scena ritraeva più gruppi figurativi immersi in un paesaggio agreste, pieno di alberi. Al centro si trovava il gruppo più importante, quello con Paride e le tre dee.\nParide porgeva a Venere la mela della discordia mentre la dea dell'amore veniva incoronata da una Vittoria alata. Ai suoi piedi c'era il figlio Cupido, mentre vicino a Paride si trovava il messaggero degli dèi, Mercurio. La dea Giunone, riconoscibile dal pavone che si trovava ai suoi piedi, sembrava colta nell'atto di minacciare il principe troiano. Minerva afferrava l'abito del quale si era privata per rivestirsi, mentre l'elmo e lo scudo con la testa di Medusa giacevano al suolo. A destra c'era un gruppo di divinità fluviali, delle quali una guardava lo spettatore, mentre un altro personaggio alzava lo sguardo e vedeva il dio Giove tra le nuvole, seduto su un trono. Al centro i Dioscuri trainavano il carro del Sole.La stampa del Raimondi deriva da un disegno che Raffaello stesso realizzò per la traduzione incisoria. Secondo lo storico dell'arte Giorgio Vasari, quest'opera 'stupì tutta Roma', consentendo la produzione di copie e derivazioni.\n\nEredità.\nNonostante l'opera sia andata perduta, questa ha comunque influenzato profondamente la storia dell'arte. Infatti, la parte di destra con le divinità fluviali ispirò il pittore francese Édouard Manet per La colazione sull'erba nel 1863: la posa delle divinità fluviali venne recuperata per due uomini borghesi, mentre la figura che poggia la mano sul mento e guarda lo spettatore sarebbe divenuta una donna (la modella Victorine Meurent), la cui nudità non giustificata da temi mitologici o storici avrebbe causato uno scandalo. Dal Giudizio di Paride sono stati tratti un arazzo e una maiolica. Esiste inoltre un altro affresco che riprende proprio questa porzione del disegno raffaellesco, la Caduta di Fetonte di Cesare Castagnola, che si trova all'esterno del palazzo Piacentini di Castelfranco Veneto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Giudizio di Paride (Rubens).\n### Descrizione: Il Giudizio di Paride è un dipinto di Pieter Paul Rubens, a olio su tavola (199x379 cm), quest'opera fu realizzata tra il 1638 ed il 1639. Oggi l'opera è conservata al Museo del Prado.\n\nStoria.\nNel corso della sua carriera, Rubens dipinse varie versioni sul tema del giudizio di Paride; una giovanile di piccole dimensioni si conserva sempre nel Prado, e un'altra è alla National Gallery di Londra. Questa, l'ultima, fu dipinta tra il 1638 e il 1639, quando l'artista era malato di gotta.L'opera gli fu commissionata da Filippo IV di Spagna con la mediazione del cardinale-infante Ferdinando d'Austria, fratello del suddetto e governatore dei Paesi Bassi, per decorare lo scomparso palazzo del Buon Ritiro. Si dice che quando visitò lo studio di Rubens e vide l'opera, affermò: 'È una delle opere migliori della sua arte, ma le dee sono troppo nude e si dice che la figura di Venere sia una ritratto di sua moglie'.Nel diciottesimo secolo, Carlo III ordinò che venisse bruciata perché era ritenuta un'opera impudica, assieme ad altri dipinti di nudo come Adamo ed Eva del Durero. Alla fine il re decise di salvare tutti i quadri, a patto che venissero rinchiusi in delle sale dall'accesso limitato nell'Accademia di San Fernando. Il secolo successivo, questa e altre opere furono trasferite al Prado.\n\nDescrizione.\nQui Rubens tratta l'episodio mitologico in maniera orizzontale, in modo tale che le figure sembrino formare un fregio. Seduto sul tronco di un albero, il pastore Paride deve scegliere la dea più bella dell'Olimpo, e ha l'aspetto dubbioso proprio di un compito tanto difficile. Il dio Ermete, con il caduceo e il petaso, regge la mela d'oro che costituisce il premio. Dinnanzi a loro si trovano le tre dee contendenti, da sinistra a destra: Atena, dea guerriera e della saggezza, con le armi che la caratterizzano al suolo e avvolta in un velo di seta argentata; Afrodite, la dea dell'amore, è al centro, avvolta da un panno color cremisi e con suo figlio Eros ai piedi; infine c'è Era, la regina dell'Olimpo in quanto sposa di Zeus, rappresentata di spalle, mentre si toglie il ricco mantello di velluto ricamato in oro che la ricopre, in una bella posa serpentinata e con un pavone reale, un suo attributo, appollaiato sul ramo di un albero vicino. Un putto volante si prepara a incoronare Afrodite, mostrando quale sarà il verdetto, mentre rivolge uno sguardo complice allo spettatore. Secondo la tradizione, per la dea Afrodite posò Hélène Fourment, la seconda moglie dell'artista.Sullo sfondo si vede un gregge di pecore e un paesaggio crepuscolare tranquillo con degli alberi e dei prati. Quel che risalta nel quadro è tanto la composizione, percorsa da linee diagonali e ritmi contrapposti così che si evita qualunque sensazione di rigidità, quanto la bellezza del colore, l'insistenza nel nudo (contrastando la bianchezza della pelle delle dee con la carnagione scura dei personaggi maschili) e l'attenzione per i dettagli, come il luccichio delle armi, dei gioielli o dei tipi diversi di tessuti che coprono parzialmente le dee, rappresentati fedelmente." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Giudizio di Paride.\n### Descrizione: Il Giudizio di Paride, nella mitologia greca, è una delle cause della guerra di Troia e (nella più tarda versione della storia) della fondazione di Roma.\n\nEpisodio mitologico.\nZeus allestì un banchetto per la celebrazione del matrimonio di Peleo e Teti, futuri genitori di Achille. Eris, la dea della discordia, non fu invitata e, irritata per questo oltraggio, raggiunse il luogo del banchetto e gettò una mela d'oro con l'iscrizione 'alla più bella'.\nLe tre dee che la pretesero, scatenando litigi furibondi, furono Era, Atena e Afrodite. Esse parlarono con Zeus per convincerlo a scegliere la più bella tra loro, ma il padre degli dèi, non sapendo a chi consegnarla, stabilì che a decidere chi fosse la più bella non potesse essere che il più bello dei mortali, cioè Paride, inconsapevole principe di Troia, il quale era prediletto dal dio Ares.\nErmes fu incaricato di portare le tre dee dal giovane troiano, che ancora viveva tra i pastori e conduceva al pascolo le pecore, e ognuna di loro gli promise una ricompensa in cambio della mela: Atena lo avrebbe reso sapiente e imbattibile in guerra, consentendogli di superare ogni guerriero; Era promise ricchezza e poteri immensi, tanto che a un suo gesto interi popoli si sarebbero sottomessi, e tanta gloria che il suo nome sarebbe riecheggiato fino alle stelle; Afrodite gli avrebbe concesso l'amore della donna più bella del mondo.\nParide favorì quest'ultima, scatenando l'ira delle altre due. La dea dell'amore aiutò quindi Paride a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, e il fatto fu la causa scatenante della guerra di Troia.\n\nRilettura allegorica nel Medioevo.\nIl giudizio di Paride fu un motivo molto amato nel Medioevo perché permetteva una interpretazione morale o tropologica delle diverse opzioni che si presentano all'uomo nella sua entrata nell'età adulta: la saggezza di Atena-Minerva rappresentava la vita contemplativa, le ricchezze di Era-Giunone la vita attiva, e l'amore di Afrodite-Venere la vita di piaceri. È con questa funzione che l'episodio è raccolto, per esempio, nello Speculum doctrinale di Vincenzo di Beauvais.\nAnche Raimondo Lullo riprende questo esempio, nell'Arbre exemplifical, ma lo rilegge in chiave completamente diversa e metafisica, parlando di come «il Cerchio, il Quadrato e il Triangolo si incontrarono in Quantità, che era la loro madre, la quale aveva un pomo d'oro e domandò ai suoi figli se sapevano a quale dovesse dare quel pomo d'oro».\n\nIconografia.\nIl soggetto mitologico ha ispirato, fin dall'antichità, innumerevoli opere d'arte, tra le quali (in ordine cronologico):.\n\nOlpe Chigi, ceramica greca policroma di Corinto di artista anonimo (intorno al 640 a.C.). Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, Roma.\nIl giudizio di Paride, anfora etrusca del Pittore di Paride (anni 530 a.C.), Staatliche Antikensammlungen, Monaco di Baviera.\nBassorilievi del pulpitum, nello teatro di Sabratha, al fine del II secolo.\nIl giudizio di Paride, dipinto di Sandro Botticelli (1485-1488). Fondazione Giorgio Cini, Venezia.\nGiudizio di Paride, opera perduta di Raffaello (1514 circa), nota tramite un'incisione di Marcantonio Raimondi.\nIl giudizio di Paride, dipinto di Lucas Cranach il Vecchio (circa 1528).\nIl giudizio di Paride, dipinto di Michiel van Mierevelt (1588), Stoccolma.\nGiudizio di Paride, dipinto di Pieter Paul Rubens (1638-1639?).\nPaesaggio classico montuoso con il giudizio di Paride, dipinto di Johannes Glauber (fine XVII secolo).\nIl giudizio di Paride, dipinto di Anton Raphael Mengs (1757), San Pietroburgo.\nGiudizio di Paride, scultura in porcellana di Filippo Tagliolini (circa 1801), di cui si conoscono più esemplari.\nIl giudizio di Paride, dipinto di Enrique Simonet (1904)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Glauco (figlio di Minosse).\n### Descrizione: Glauco (in greco antico: Γλαῦκος?, Glàukos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Minosse re di Creta e di Pasifae.\n\nGlauco e Polido.\nAncora bambino rincorrendo una palla o un topo, cadde in un pithos di miele e morì. Minosse consultò un oracolo (dei Cureti o di Apollo). Questo propose un enigma e disse che la persona che fosse stata in grado di risolverlo, avrebbe ritrovato Glauco. Polido lo trovò morto e Minosse lo obbligò a resuscitarlo, chiudendolo dentro un antro con il cadavere del piccolo.\nIn quel mentre Poliido scorse un serpente che si stava approssimando al cadavere di Glauco e lo uccise. Un secondo serpente, visto il suo simile morto, si dileguò tornando poco dopo con dell'erba che cosparse sul corpo del rettile che dopo alcuni sussulti, si rianimò. Alla vista di questa scena Poliido prese quell'erba e la applicò sul corpo del bambino, che di lì a poco riprese a vivere. Minosse - non contento - volle che Poliido insegnasse a Glauco l'arte mantica, compito al quale il saggio adempì, onde poi fargliela dimenticare prima di tornare in patria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Glauco (figlio di Sisifo).\n### Descrizione: Glauco (in greco antico: Γλαῦκος?, Glàukos), è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Corinto.\n\nGenealogia.\nFiglio di Sisifo e di Merope, sposò Eurimede e divenne padre di Ipponoo (più conosciuto come Bellerofonte) e di Deliade (conosciuto anche come Alcimene o Peirene).\n\nMitologia.\nSuo padre (Sisifo), cercò di combinargli un matrimonio con Mestra ma nonostante il pagamento di preziosi regali, lei eluse il matrimonio e si lasciò rapire da Poseidone che la portò su un'isola.\nGlauco possedeva dei cavalli che nutriva con carne umana e che preservava da qualsiasi accoppiamento perché risultassero sempre i più veloci nelle corsa dei carri e con questi cavalli partecipò ai giochi funebri organizzati da Acasto in onore del padre (gli Athla epi Pelia). Afrodite però, irritata per il trattamento che Glauco riservava ai suoi animali, il giorno precedente alla corsa (dove Glauco avrebbe gareggiato contro Iolao), li fece fuggire dalla stalla per fermarli nei pressi di un pozzo sacro e lasciargli mangiare un'erba che dava follia, per poi farli tornare alla loro stalla.\nIl giorno della gara, i cavalli si imbizzarrirono e Glauco cadde dalla biga restando però imbrigliato nelle redini ed essere trascinato dai cavalli per tutta corsa fino a restarne ucciso ed esserne divorato dai suoi stessi cavalli.\nSecondo Pausania, Glauco divenne un Tarasippo (una specie di fantasma o spauracchio) per tutti gli auriga ed i partecipanti alle corse con i cavalli di tutti i successivi Giochi Istmici." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Glaucopide.\n### Descrizione: Glaucopide è un epiteto che caratterizza la dea greca Atena, corrispondente alla divinità etrusca e latina Menrwa-Minerva. Si tratta di un celebre epiteto omerico, che ricorre in molti luoghi della letteratura greca arcaica. L'epiteto, dal greco «sguardo glauco» (γλαυκῶπις -ιδος, comp. di γλαυκός «lucente, glauco» e ὤψ ὀπός «sguardo»), viene interpretato secondo due possibili accezioni: dea «dagli occhi glauchi» (azzurri, lucenti) o dea «dagli occhi di civetta».Le due accezioni in greco antico si sovrappongono: pertanto la dea glaucopide è la dea dai lucenti occhi di civetta. La civetta (e in generale gli strigiformi, cioè i rapaci notturni, fra cui la specie più caratteristica è appunto Athene noctua), essendo un uccello sacro, un animale totem, veniva indicata con un appellativo indiretto, che significava la glauca, l'uccello dagli occhi lucenti, il cui connotato tipico era la sapienza (l'uccello che vede al buio diviene allegoria della ragione, i cui occhi penetrano anche il buio dell'incertezza).La civetta, e in genere i rapaci notturni, erano associati, sin dal tardo mesolitico, a una dea madre della morte e della rigenerazione. Tale divinità femminile preindoeuropea viene a vario titolo assimilata dai popoli semiti e indoeuropei venuti a contatto col mondo del Mediterraneo e dell'Europa del neolitico. In Grecia, le Arpie e le Chere (e in origine le stesse sirene, che nel mito più arcaico erano immaginate come metà uccello e metà donne), sono filiazioni, insieme ad Atena, dell'antica dea madre uccello, il cui culto sopravvive, fra recuperi e demonizzazioni, fino alla diffusione del cristianesimo.\nNell'immaginario cristiano antico e medievale, la dea civetta della sapienza, della morte e della rigenerazione, definitivamente demonizzata e associata all'aspetto conturbante e negativo della femminilità, è collegata alla figura di Lilith (demonizzazione già ebraica della dea madre uccello), e diviene immagine della strega (dal latino volgare striga, latino classico strix, strige, civetta)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Gli inviati di Agamennone.\n### Descrizione: Gli inviati di Agamennone (o Achille riceve gli ambasciatori di Agamennone) è un dipinto a olio su tela di Jean-Auguste-Dominique Ingres del 1801 (quando l'artista aveva appena vent'anni) prodotto espressamente per il concorso Prix de Rome. Questa era già la sua seconda partecipazione al Premio, ed il tema mitologico-letterario gli permise di vincere il 'Gran Premio' assegnato da Jules Antoine Vauthier.\nLa pittura fa parte delle collezioni dell'École nationale supérieure des beaux-arts.\n\nDescrizione e stile.\nIl soggetto è ispirato al poema epico Iliade di Omero, e precisamente al passo in cui è descritta l'ambasceria inviata da Agamennone ad Achille che qui appare in compagnia dell'amante Patroclo: si tratta di una dimostrazione del prestito da parte dell'artista di figure tratte dall'antica arte greca, in particolare uno dei convenuti, Ulisse, viene qui ritratto con un mantello rosso drappeggiato derivante da una scultura dello pseudo-Fidia.\nRappresentante dello stile neoclassico e paragonato alla scuola del suo maestro Jacques-Louis David, Ingres contiene e porta tuttavia con sé in questo periodo il marchio di alcune tra le caratteristiche più notevoli di John Flaxman, a partire dal momento in cui ne vede l'opera esposta a Parigi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Glicone.\n### Descrizione: Glicone (in greco antico: Γλύκων?, Glýkon) era una divinità dalle fattezze di serpente con testa semi-umanoide, manifestazione del dio Asclepio; il suo culto fu fondato nel II secolo in Paflagonia da Alessandro di Abonutico, intorno al 140, e si protrasse fino almeno al III secolo.\nLa maggior parte delle informazioni su questo culto provengono da Luciano di Samosata, che ne parla nel suo libello critico Alessandro o il falso profeta. Secondo quanto riportato da Luciano, Alessandro riuscì a creare e tenere vivo il culto sfruttando la credulità della gente grazie a trucchi ben congegnati, come presunti ritrovamenti di oggetti di origine divina, finti oracoli e un vero serpente ammaestrato di grandi dimensioni, aiutato da una buona dose di carisma e di teatralità, assicurandosi un vasto seguito in tutto l'Impero romano.\n\nOrigine del culto.\nProbabilmente Alessandro trasse l'idea dalla Macedonia, una regione dove esistevano già residui di antichi culti simili.\nLe informazioni sull'origine del culto provengono dal racconto di Luciano di Samosata, che vi era decisamente ostile, mentre alcune indicazioni sulla sua espansione sono date dai ritrovamenti archeologici. Secondo Luciano, Alessandro diede inizio al culto per ovviare alle proprie difficoltà economiche; assieme a un complice di nome Cocconas si procurò un enorme serpente ammaestrato a Pella, città che vantava una lunga tradizione di domesticazione di tali animali. Finsero poi di ritrovare nel santuario di Apollo di Calcedonia delle tavolette (da loro stessi create e nascoste, ma attribuite ad Asclepio) su cui era scritto che lo stesso Asclepio e suo padre Apollo intendevano venire nel Ponto e stabilire la loro dimora ad Abonutico.\n\nGli abitanti di Abonutico, il villaggio natale di Alessandro, in fermento per la notizia, edificarono un tempio per accogliere il dio, nel quale Alessandro andò ad abitare professandosi suo profeta; Luciano aggiunge che Alessandro recitava la parte, fra le altre cose, profetizzando molto teatralmente con tanto di schiuma alla bocca (con l'aiuto dell'erba saponaria). Inoltre, si era lasciato crescere i capelli in lunghi boccoli biondi, indossava un farsetto bianco e porpora e un mantello bianco, e portava una scimitarra imitando la figura di Perseo, del quale diceva di essere discendente tramite sua madre.\nDopo alcuni giorni svuotò un uovo d'oca, inserì al suo interno un serpente neonato, lo sigillò con cera e biacca e lo nascose nel fango vicino al tempio. Radunata la folla, dopo aver vagato intorno al tempio pronunciando frasi senza senso e alcune parole in ebraico e fenicio, ma chiamando di quando in quando 'Apollo' e 'Asclepio', estrasse l'uovo dalla pozza in cui lo aveva messo e lo aprì, mostrando il serpente all'interno e scatenando il giubilo fra i presenti, che interpretarono l'evento come una manifestazione di Asclepio. Pochi giorni dopo, mentre la notizia dell'accaduto si diffondeva, sostituì il serpente piccolo con quello grande, causando stupore fra la gente per l'improvvisa crescita; se lo avvolse attorno al corpo in modo che la testa non si vedesse, ne fece spuntare una fittizia (un burattino dalle fattezze umane fatto di lino, con tanto di capelli biondi) e rimase seduto in una piccola stanza con poca luce, dove la gente era costretta a restare per poco tempo a causa del continuo afflusso di folla in entrata. Alessandro ripeté la cosa più volte, soprattutto in presenza di uomini ricchi. In seguito diede al serpente il nome di Glicone, dichiarando che era la 'terza stirpe di Giove' e la 'luce degli uomini' e, usando gli stomaci di due gru come casse e canali di risonanza, lo trasformò in un oracolo parlante (ma questo genere di vaticini, nota Luciano, era riservato a uomini molto facoltosi). Facendosi pagare pochi oboli per ciascun oracolo, Luciano di Samosata racconta che Alessandro riusciva a guadagnare fra le 70.000 e le 80.000 dracme ogni anno, potendo così ampliare le dimensioni del culto e circondarsi di numerosi collaboratori retribuiti.\nGlicone, fra le altre cose, era invocato per scovare ladri, schiavi fuggiaschi e tesori sepolti, per ottenere la salute e per la fertilità: le donne che non riuscivano a restare incinte si rivolgevano al dio per avere un figlio e, secondo Luciano, Alessandro prevedeva anche metodi 'più terreni' per esaudire il loro desiderio; questo parrebbe in parte confermato da un'iscrizione ritrovata a Cesarea Trocetta (oggi Manisa), dove viene citato un sacerdote di Apollo di nome 'Mileto, figlio di Glicone di Paflagonia' (per i bambini nati per 'intervento divino' non era insolito avere un nome riferito al dio in questione). Alessandro ebbe figli da diverse donne sposate, fatto di cui i rispettivi mariti andavano molto fieri.\n\nEspansione.\nLa fama del serpente cominciò a diffondersi fuori dalla Paflagonia, nelle circostanti regioni della Bitinia, della Tracia e della Galazia, e cominciarono ad essere realizzate monete commemorative, placche dipinte e statue di bronzo e d'argento. Il culto in breve raggiunse Roma, oltre a tante altre province; iscrizioni latine ritrovate in Mesia superiore e in Dacia ne attestano la presenza lungo il Danubio e una statuina di marmo ritrovata a Costanza (finora l'unica rappresentazione scolpita di Glicone) dimostra, probabilmente, l'esistenza di un culto pubblico nell'antica Tomis.\nNel 160 l'oracolo poteva già vantare un protettore, il console Publio Mummio Sisenna Rutiliano, governatore dell'Asia, suo fervente seguace, che poi sposò anche la figlia di Alessandro (che il profeta diceva di aver avuto da Selene). Nel 166 godette di ulteriore fortuna quando, durante una epidemia, la formula magica «Febo dalle lunghe trecce dissiperà la nube della piaga» (citata da Luciano, ma testimoniata da un'iscrizione realmente rinvenuta ad Antiochia) era incisa sugli stipiti delle porte, per proteggere dalla malattia.\nDagli strati bassi della popolazione il culto raggiunse l'aristocrazia, grazie anche all'imperatore Marco Aurelio, che ne era un seguace; Luciano riporta un aneddoto secondo il quale l'oracolo, in occasione delle guerre marcomanniche, aveva promesso 'vittoria, gloria e pace' se due leoni fossero stati gettati vivi nel Danubio (l'oracolo prevedeva anche l'uso di spezie aromatiche e altri sacrifici); l'ordine fu eseguito, ma i romani furono pesantemente sconfitti, e Alessandro, per salvare la reputazione, affermò che Glicone aveva predetto la vittoria, ma non aveva detto per quale schieramento. Una vittima degli oracoli di Glicone fu Marco Sedazio Severiano, governatore della Cappadocia che, fidandosi di una predizione favorevole ricevuta dal dio, invase l'Armenia: dopo soli tre giorni le armate partiche sterminarono la sua legione, e Severiano si suicidò per evitare di cadere in mano al nemico.\nCrescendo di dimensioni, il culto si attirò le inimicizie di alcuni gruppi di persone, in particolare i cristiani e gli epicurei; in risposta, Alessandro proclamò che i nemici di Glicone dovevano essere lapidati (cosa che tentò di mettere in atto più di una volta). Istituì, inoltre, la celebrazione dei misteri di Glicone, copiando quelli eleusini: essi si aprivano con una condanna contro atei, cristiani ed epicurei e si concludevano con il 'matrimonio sacro' (ierogamia), in cui Alessandro e Rutilia, la moglie di un ufficiale romano, impersonando Endimione e Selene, amoreggiavano su un divano sotto gli occhi del marito di lei e del resto della folla. Stando sempre al resoconto di Luciano di Samosata, Alessandro avrebbe cercato di eliminare anche lo stesso Luciano, di ritorno da un incontro con il falso profeta cui dedicherà la sua opera omonima, pagando il capitano della nave su cui si era imbarcato affinché lo gettasse in mare; fato a cui lo scrittore scampò grazie all'onestà del capitano che, alla fine, rifiutò di eseguire il compito.\nAlessandro morì intorno al 170 (secondo Luciano divorato da una gangrena al piede) ma la messinscena da lui orchestrata gli sopravvisse per almeno un secolo, come dimostrato anche dal ritrovamento di oggetti legati al culto in tutta l'ampia zona compresa fra il Danubio e l'Eufrate. Alessandro, dopo la morte, fu riconosciuto come figlio di Podalirio e nipote di Asclepio e la sua figura associata a quella di Glicone. Il culto, inoltre, potrebbe essersi in parte ricollegato a quello di Sarapis, anch'esso talvolta rappresentato come un serpente con testa umana e identificato con Asclepio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Gorgades.\n### Descrizione: Le gorgadi o gorille sono esseri mitologici, parte dei popoli mostruosi, caratterizzati dal corpo interamente ricoperto di pelo.\nAbitavano alcune isole al largo della costa atlantica dell'Africa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Gorgoneion.\n### Descrizione: Nell'antica Grecia, il gorgoneion (in greco antico: Γοργόνειον?) era, in origine, un pendente orrorifico apotropaico che rappresentava la testa di una Gorgone. Il gorgoneion è associato sia a Zeus sia ad Atena, che secondo il mito lo hanno entrambi indossato come pendente. Era anche frequentemente presente sulle egide reali, come esemplifica il Cammeo Gonzaga.\n\nEvoluzione.\nOmero si riferisce alla Gorgone in quattro occasioni, ogni volta alludendo alla sola testa, come se la creatura fosse priva di corpo. La studiosa Jane Ellen Harrison scrive che 'Medusa è una testa e nulla più... una maschera con un corpo aggiunto successivamente'. Fino al V secolo a.C., la testa era raffigurata come particolarmente orribile, con una lingua sporgente, zanne di cinghiale, guance rigonfie, bulbi oculari fissi verso l'osservatore e serpenti attorcigliati intorno al volto.\nLo sguardo fisso frontale e diretto, 'apparentemente rivolto fuori dal suo contesto iconografico e direttamente sfidante l'osservatore', era fortemente innaturale nell'antica arte greca. In alcuni casi una barba (simboleggiante probabilmente strisce di sangue) era aggiunta al suo mento, facendola apparire come una divinità orgiastica affine a Dioniso.\nI gorgoneia che decorano gli scudi di guerrieri su vasi greci della metà del V secolo sono considerevolmente meno grotteschi e minacciosi. Entro quell'epoca, la Gorgone aveva perso le sue zanne e i serpenti erano piuttosto stilizzati. Il marmo ellenistico noto come la Medusa Rondanini illustra la trasformazione finale della Gorgone in una bella donna..\n\nUso.\nI gorgoneia appaiono per la prima volta nell'arte greca al volgere dell'VIII secolo a.C. Una delle più antiche rappresentazioni è su uno statere di elettro scoperto durante degli scavi presso Pario. Altri esempi degli inizi dell'VIII secolo furono trovati a Tirinto. Se andiamo ancora più indietro nella storia, c'è un'immagine simile proveniente dal palazzo di Cnosso, databile al XV secolo a.C. Marija Gimbutas sostiene addirittura che 'la Gorgone risale almeno al 6000 a.C., come illustra una maschera in ceramica proveniente dalla cultura di Sesklo'.Nel VI secolo, i gorgoneia di tipo canonico 'a maschera di leone' erano ubiquitari sui templi greci, specialmente a e intorno a Corinto. I gorgoneia sui frontoni erano comuni in Sicilia; la più antica occorrenza essendo probabilmente nel Tempio di Apollo a Siracusa. Intorno al 500 a.C., cessarono di essere usati per la decorazione di edifici monumentali, ma erano ancora presenti sulle antefisse di strutture più piccole per tutto il secolo successivo.A parte i templi, le immagini della Gorgone sono presenti su vestiti, piatti, armi e monete ritrovate in tutta la regione mediterranea dall'Etruria alla costa del Mar Nero. Le monete con la Gorgone erano coniate in 37 città, rendendo la sua immagine sulle monete seconda come ubiquità numismatica soltanto ai vari principali dei dell'Olimpo. Sui pavimenti a mosaico, il gorgoneion era di solito raffigurato accanto alla soglia, come se la proteggesse da intrusi ostili; sulle fornaci attiche, il gorgoneion sopra la porta della fornace proteggeva dagli incidenti.Le immagini della Gorgone rimasero popolari anche nei tempi cristiani, specialmente nell'Impero bizantino, compreso la Rus' di Kiev, e furono riportate in auge in Occidente dagli artisti del Rinascimento italiano. Sono documentati studi di Leonardo e il Caravaggio realizzò dei celebri gorgoneia realisticamente dipinti su scudi di legno.\nIn tempi più recenti, il gorgoneion fu adottato da Gianni Versace come logo per la sua società di moda.\n\nOrigine.\nSecondo la Gimbutas, i gorgoneia rappresentano certi aspetti del culto della Dea Madre associato all''energia dinamica della vita'. Ella definisce il gorgoneion come un'immagine quintessenzialmente europea. Jane Ellen Harrison, d'altro canto, afferma che molte culture primitive usano maschere rituali simili per dissuadere il proprietario con la paura dal fare qualche cosa di sbagliato, o, come lo chiama lei, per fargli la faccia brutta: 'Prima viene l'oggetto rituale; poi si genera il mostro per giustificarlo; poi si fornisce l'eroe per giustificare l'uccisione del mostro'.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Gortina (città antica).\n### Descrizione: Gortìna (in greco antico: Γόρτυν o Γόρτυνα?, Górtyn o Górtyna) era una polis greca situata sull'isola di Creta.\n\nStoria.\nGortina fu fondata secondo Pausania dagli abitanti di Tegea, antica città dell'Arcadia.\nStrabone, rifacendosi a Eforo, riferisce di una tradizione Laconica, legata quindi alla città di Sparta. Anche Conone attribuì la sua fondazione ad abitanti della Laconia, in particolare ad Achei espulsi da Amicle e Minii di Lemno e Imbro.\nGli scavi (condotti già dagli anni 1884-1887 dalla missione archeologica italiana sotto la guida di Federico Halbherr, e più tardi dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene) hanno dimostrato che il sito era già abitato nel Neolitico e in epoca minoica. Fra le scoperte italiane, fondamentale per la conoscenza della società dell'antica Grecia, è una grande iscrizione in lingua greca (dorica) della fine del VI e l'inizio del V secolo a.C., contenente le cosiddette 'Leggi di Gortina' riguardanti principalmente il diritto di famiglia.\nIl nome della città è riferito nell'Iliade e nell'Odissea. La fondazione di Gortina è ascrivibile al periodo geometrico del VII secolo a.C., epoca cui risalgono le prime iscrizioni e i primi templi. Nel III secolo a.C. Gortina era diventata una città potente, specialmente dopo la distruzione della rivale Festo, avvenuta intorno al 150 a.C., conquista che le aveva valso anche il controllo del porto di Matala e della parte occidentale della Messarà.\nNel 221 a.C. scoppiò una guerra civile a causa del contrasto che opponeva una fazione che voleva un'alleanza con Cnosso ad un'altra che preferiva un'alleanza con la città di Lyttos. Seguì una serie di conflitti con Cnosso cui pose fine la conquista romana dell'isola di Creta, avvenuta nel 68 a.C. Gortina divenne la capitale della nuova provincia di Creta e della Cirenaica. La città andò incontro ad una forte crisi e fu probabilmente abbandonata nell'VIII secolo, infatti quando i Saraceni conquistarono l'isola nell'864 d.C. mossero la capitale a Chandax." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Grandi Dei.\n### Descrizione: Grandi Dei è la traduzione italiana del greco Μεγαλοι θεοι, divenuto in lingua latina Di Magni.\n\nL'appellativo indica gruppi di divinità arcaiche, di varia composizione e provenienza, che compaiono in molte culture mediterranee.\nIl più noto dei luoghi di culto dei Grandi Dei è il Santuario dei grandi dei di Samotracia, in Grecia, caratterizzato dalle imponenti mura del VI secolo a.C. e che presenta, nella parte nord, le rovine del palazzo dove si celebravano i riti d’iniziazione di un misterioso culto orientale, quello dei Cabri, divinità legate alla fertilità e al mare. Il Museo Archeologico di Paleopolis raccoglie, fra i vari reperti archeologici, anche una copia della famosa statua di Nike il cui originale è conservato al Louvre di Parigi.\n\nFonti letterarie ed epigrafiche.\nSotto questa denominazione erano adorati soprattutto Dioscuri, Cabiri (Καβειροι, beot. e più tardi Καβιροι, di qui in avanti = Cabiri) e i Grandi Dei di Samotracia, ma sovrapposizioni e fusioni possono osservarsi in rapporto a Anaci, Dattili, Coribanti, Cureti, Penati e Telchini. Sull'identità e perfino sui nomi di questi gruppi di dei esisteva incertezza già tra gli autori antichi, così come è dubbio il significato della parola greca.\nLe attestazioni bibliografiche più antiche conosciute al riguardo, sono del V secolo a.C.:.\n\nuna tragedia di Eschilo dal titolo Cabiri, nella quale le avventure degli Argonauti venivano ambientate nell'isola di Lemnos, fu rappresentata nel 466 a.C. circa. In essa i Cabiri compaiono come demoni offerenti vino.\nErodoto nelle Storie (II,51) afferma, circa l'isola di Samotracia, che i suoi abitanti avevano recepito il culto misterico dei Cabiri dai Pelasgi. Ai Pelasgi apparteneva un culto di Ermes itifallico, che si presume connesso ai culti di Samotracia.\nAnche Stesimbroto il Tasio definisce Cabiri gli dèi dei misteri samotraci, che tuttavia nelle iscrizioni sull'isola vengono identificati solo come Megaloi Theoi o Samotrakes Theoi (Grandi Dei o Dei di Samotracia): nomi generici, come si vede, che insieme all'essere i Cabiri una divinità 'multipla' fanno pensare a divinità arcaiche proprio in quanto poco individualizzate. L'uso del termine Grandi Dei è dominante dall'epoca ellenistica.Le funzioni dei Grandi Dei di Samotracia, come attestano numerose fonti, sono anzitutto relative alla protezione dei propri iniziati dalle tempeste. Anche a Pergamo, dove si diceva avessero assistito alla nascita di Zeus, si attribuiva loro il potere di mitigare i venti forti, e i marinai sembrano per questo motivo aver costituito una parte rilevante dei loro fedeli.\nSono presentati anche come fabbri, connessi per discendenza a Efesto, ed erano presenti in culti connessi alla fecondità. A Tessalonica, in particolare, un Cabiro (che un mito descriveva come ucciso dai due fratelli e la cui testa, incoronata, si diceva seppellita sull'Olimpo) compare in un'iscrizione quale protettore della città.\n\nCulti attestati.\nIl culto dei Grandi Dei di Samotracia era tra i culti misterici più importanti dei suoi tempi e si diffuse molto lontano dall'isola. Mantenne però, anche, la caratteristica di culto nazionale macedone.\nTuttavia il numero e i nomi dei Cabiri variano nelle tradizioni:.\n\nMnasea di Patera, nel II secolo a.C., ne nomina 4;.\nDionisodoro cita un Cabiro Casmilo che identifica con Ermes;.\nA Tebe veniva onorato un vecchio Cabiro insieme con un bambino dagli attributi di coppiere, “Pais”, come dimostrato da un frammento di vaso, confermato da iscrizioni, proveniente dal Kabeiron di Tebe.\nA Delo i Cabiri sono presenti almeno dalla fine del IV secolo a.C. (IGXI 2, 144).\nA partire dal II secolo a.C. i Cabiri veri e propri, i Megaloi Theoi, e i Samotrakes Theoi si legano nel culto ai Dioscuri, come è confermato in iscrizioni del Samothrakeion.\nStrabone indica quali maggiori luoghi di culto dei Cabiri, accanto a Lemnos e Imbro, anche alcune città della Troade, senza però nominarle.Dionigi di Alicarnasso sosteneva che Enea aveva portato con sé in Italia i simulacri dei Grandi Dei di Samotracia, e riferiva che gli Etruschi praticavano il culto dei Cabiri.\nPer questa via i Grandi Dei si installarono a Roma come componenti primarie e primitive del Pantheon romano, assumendo varie personificazioni: Penati (identificati in questo caso con Giove, Giunone, Minerva e Mercurio), Dioscuri, Cadmili." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Grazione.\n### Descrizione: Grazione era un gigante, figlio di Gea e Tartaro, che partecipò alla guerra tra Dei e Giganti suoi alleati, chiamata Gigantomachia. Combatté contro Artemide, ma venne sconfitto da lei e Eracle.\nEgli infatti, come tutti i giganti, doveva essere sconfitto da un dio e un semidio uniti.\nRispetto ai suoi fratelli era basso, ma aveva grandi capacità con l'arco e un potere sulla luce lunare.\nVenne esiliato sotto l'Etna o, secondo alcune versioni, nel Tartaro, insieme ai suoi fratelli." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Greco (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Greco era uno dei figli del dio Zeus e della mortale Pandora, ed eponimo dei Greci. Era il fratello di Latino, eponimo dei latini.\nDiscendente di Deucalione, fu, secondo la mitologia, uno degli antenati degli Elleni, assieme ai cugini Eolo, Doro, Ione, Acheo, Magnete e Macedone.\nNell'antica Grecia il termine 'greco' si riferiva in realtà soltanto a una delle tribù dei più ampio popolo degli Elleni, e il personaggio va quindi visto come antenato ed eponimo di questa specifica tribù. I Greci, probabilmente originari della Beozia, furono tra i principali colonizzatori della Magna Grecia, che da loro prese il nome, e furono perciò, tra le tribù elleniche, quella che ebbe maggiori contatti con i latini. Da questa vicinanza originò il termine 'greci' con cui in seguito furono conosciuti tutti i popoli ellenici, nella lingua latina e di conseguenza nella maggior parte delle lingue europee moderne." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Grotta di Melissani.\n### Descrizione: La grotta di Melissani (in greco moderno: Μελισσάνη), conosciuta anche come lago di Melissani, è una grotta carsica sull'isola di Cefalonia, in Grecia. Si trova vicino al villaggio di Karavomilos, circa 2 km a nord ovest di Sami e circa 5 a sud est di Agia Effimia.\nDimenticata per secoli, la grotta è stata riscoperta nel 1951 dallo speleologo Giannis Petrohilos; è lunga 160 metri, larga 40 e alta 36 metri. All'interno contiene un lago, lungo 60 metri, largo 40 e profondo fino a a 39 metri, con una temperatura dell'acqua di circa 10°.\nLe stalattiti risalgono dai 16.000 ai 20.000 anni fa. Al centro del lago, dove inizia la parte coperta della grotta, c'è un'isoletta di 30 metri di lunghezza, alta circa 9 metri.\nLa grotta può essere visitata sia con barche a remi, sia a piedi attraverso un corto tunnel pedonale che scende fino alle sponde del lago interno alla grotta, il cui soffitto è in parte crollato a seguito del terremoto di Cefalonia del 1953, il che la rende scenograficamente ancor più attraente, con la luce proveniente dall'apertura che divide la grotta in due zone, una illuminata dalla luce diurna e l'altra buia (quest'ultima particolarmente ricca di alghe e stalagmiti).\nParticolarmente scenografico è anche l'ingresso della grotta, sul quale crescono piante, e caratterizzato dal colore della roccia simile a quello del mieleSecondo la mitologia greca la ninfa Melissani, delusa dall'amore non corrisposto verso il dio Pan, si suicidò, cadendo nelle acque del lago. L'acqua, dolce e salata insieme (in quanto il lago è collegato anche con il mare), la ricchezza di decorazioni stalattitiche e stalagmitiche, i ritrovamenti effettuati nella grotta che attestano che essa fu un tempio dedicato a Pan, un satiro divinizzato al nome del quale si tenevano qua riti orgiastici, rendono questo luogo, situato in un minuscolo villaggio di pescatori, davvero surreale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Gruppo del Laocoonte.\n### Descrizione: Il gruppo scultoreo di Laocoonte e i suoi figli, noto anche semplicemente come Gruppo del Laocoonte, è una copia romana in marmo di una scultura ellenistica della scuola rodia, (h 242 cm) conservata, nel Museo Pio-Clementino dei Musei Vaticani, nella Città del Vaticano. Raffigura il famoso episodio narrato nell'Eneide che mostra il sacerdote troiano Laocoonte e i suoi figli assaliti da serpenti marini.\n\nStoria.\nStoria antica e datazione.\nPlinio raccontava di aver visto una statua del Laocoonte nella casa dell'imperatore Tito, attribuendola a tre scultori provenienti da Rodi: Agesandro, Atenodoro e Polidoro. Scrive Plinio:.\n\nLa tradizionale identificazione della statua dei Musei Vaticani con quella descritta da Plinio è ancora generalmente accettata, visto anche che la residenza privata di Tito si doveva trovare proprio sul colle Oppio, dove la statua venne poi ritrovata. Accettata è anche l'attribuzione ai tre artisti della scuola rodia, autori anche del gruppo statuario con l'episodio di Ulisse e Polifemo, della grotta presso la villa di Tiberio a Sperlonga.\nVarie date sono state proposte per questa statua, oscillanti tra metà del II secolo a.C. alla metà del I secolo d.C.; Bernard Andreae, in alcuni studi, ha ipotizzato che il Laocoonte sia una copia di un originale bronzeo ellenistico, come dimostrerebbero alcuni dati tecnici e stilistici. Sulla parte posteriore della statua si trova infatti del marmo lunense, non utilizzato prima della metà del I secolo a.C., inoltre alcuni dettagli rimandano inequivocabilmente alla fusione a cera persa: ad esempio il mantello che ricade sulla spalla del giovane a destra fino a toccargli il ginocchio deriva quasi certamente da un espediente tecnico necessario a costituire un passaggio per il metallo fuso. Si è ipotizzato che l'originale fosse stato creato a Pergamo, come suggeriscono alcuni confronti stilistici con opere della scuola locale: i pacifici rapporti tra la città dell'Asia minore e Roma erano infatti rafforzati dai miti legati a Troia, dai quali discendevano le leggende di fondazione di entrambe le città.\nPlinio comunque attesta la presenza a Roma della statua marmorea a metà del I secolo d.C. attribuendola a scultori attivi un secolo prima. Infatti alcune iscrizioni trovate a Lindo, sull'isola di Rodi fanno risalire la presenza a Roma di Agesandro e Atenodoro a un periodo successivo al 42 a.C., e in questo modo la data più probabile per la creazione del Laocoonte deve essere compresa tra il 40 e il 20 a.C., per una ricca casa patrizia, o più probabilmente per una committenza imperiale (Augusto, Mecenate), anche se il Laocoonte sembra lontano dallo stile neoattico in auge nel periodo. Visto il luogo di ritrovamento è anche possibile che la statua sia appartenuta, per un periodo, a Nerone.\n\nIl ritrovamento.\nLa statua fu trovata il 14 gennaio del 1506 scavando in una vigna sul colle Oppio di proprietà di Felice de Fredis (antenato di Pierre De Coubertin), nelle vicinanze della Domus Aurea di Nerone: l'epitaffio sulla tomba di Felice de Fredis in Santa Maria in Aracoeli ricorda l'avvenimento. Allo scavo, di grandezza stupefacente secondo le cronache dell'epoca, assistettero di persona, tra gli altri, lo scultore e pittore Michelangelo e l'architetto Giuliano da Sangallo. Questi era stato inviato dal papa a valutare il ritrovamento, secondo la testimonianza di Francesco, giovane figlio di Giuliano (che, ormai anziano, ricorda l'episodio in una lettera del 1567). Secondo questa testimonianza fu proprio Giuliano da Sangallo a identificare i frammenti ancora parzialmente sepolti con la scultura citata da Plinio esclamando 'Questo è Hilaoconte, che fa mentione Plinio'. Esistono comunque testimonianze coeve che danno la stessa identificazione della scultura appena rinvenuta.\n\nLa collocazione al Belvedere.\nLa statua fu acquistata subito dopo la scoperta dal papa Giulio II, che era un appassionato classicista, e fu sistemata, in posizione di rilievo, nel cortile ottagonale ('Cortile delle Statue') progettato da Bramante all'interno del complesso del Giardino del Belvedere proprio per accogliere la collezione papale di scultura antica.\nTale allestimento è considerato l'atto fondativo dei Musei Vaticani. Da allora il Laocoonte, assieme all'Apollo del Belvedere, costituì il pezzo più importante della collezione, e fu oggetto dell'incessante successione di visite, anche notturne, da parte di curiosi, artisti e viaggiatori.\n\nRestauri e integrazioni.\nQuando il gruppo scultoreo fu scoperto, benché in buono stato di conservazione, presentava il padre e il figlio minore entrambi privi del braccio destro. Dopo un primo ripristino, forse eseguito da Baccio Bandinelli (che ne eseguì una delle prime copie, intorno al 1520, oggi agli Uffizi, per Giulio de' Medici), del braccio del figlio minore e di alcune dita del figlio maggiore, artisti ed esperti discussero su come dovesse essere stata la parte mancante nella raffigurazione del sacerdote troiano. Nonostante alcuni indizi mostrassero che il braccio destro fosse, all'origine, piegato dietro la spalla di Laocoonte, prevalse l'opinione che ipotizzava il braccio esteso in fuori, in un gesto eroico e di forte dinamicità. L'integrazione fu eseguita in terracotta da Giovanni Angelo Montorsoli e il restauro ebbe un successo duraturo tanto che il Winckelmann, pur consapevole della diversa posizione originaria, si dichiarò favorevole al mantenimento del braccio teso.\nIntanto, tra il 1725 e il 1727, Agostino Cornacchini eseguì un restauro del gruppo scultoreo che versava in condizioni di degrado. Vennero sostituiti il braccio di terracotta del Laocoonte e quello in marmo del figlio, evidentemente rovinati, con altri dall'identica posa.\nLa statua fu confiscata e portata a Parigi da Napoleone il 27 e 28 luglio 1798 con il Trattato di Tolentino come oggetto delle spoliazioni napoleoniche. Fu sistemata nel posto d'onore nel Museo del Louvre dove divenne una delle fonti d'ispirazione del neoclassicismo in Francia. Con la Restaurazione, fu riportata in Vaticano nel 1815, sotto la cura di Antonio Canova e nuovamente restaurata.\nNel 1906 l’archeologo praghese Ludwig Pollak rinvenne fortuitamente il braccio destro originario di Laocoonte nella bottega di uno scalpellino romano, che si presentava piegato, come Michelangelo aveva immaginato: l’arto, acquistato dall'archeologo stesso, fu donato poco dopo al Vaticano e ricollocato alla spalla solo nel 1959, da Filippo Magi, che rimosse tutte le integrazioni non originali, secondo i princìpi del restauro moderno.\n\nInfluenza culturale.\nLa scoperta del Laocoonte ebbe enorme risonanza tra gli artisti e gli scultori e influenzò significativamente l'arte rinascimentale italiana e nel secolo successivo la scultura barocca. Straordinaria fu infatti l'attenzione suscitata dalla statua, e se ne trova traccia nelle numerose lettere degli ambasciatori che la descrivono, nei disegni e nelle incisioni che subito dopo incominciarono a circolare per l'Europa. Il forte dinamismo e la plasticità eroica e tormentata del Laocoonte ispirò numerosi artisti, da Michelangelo a Tiziano, da El Greco ad Andrea del Sarto.\nMichelangelo ad esempio fu particolarmente impressionato dalla rilevante massa della statua e dal suo aspetto sensuale, in particolare nella rappresentazione delle figure maschili. Molti dei lavori di Michelangelo successivi alla scoperta, come lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente, furono influenzati dal Laocoonte. Molti scultori si esercitarono sul gruppo scultoreo facendone calchi e copie anche a grandezza naturale. Inoltre, Raffaello Sanzio ne prenderà spunto per disegnare la torsione visibile nella Pala Baglioni.\nIl re di Francia insistette molto per avere la statua dal papa o almeno una sua copia. A tal fine, lo scultore fiorentino Baccio Bandinelli ricevette l'incarico dal cardinale Giulio de' Medici, futuro papa Clemente VII, di farne una copia, oggi conservata agli Uffizi. Il re di Francia, però, dovette accontentarsi di inviare, intorno al 1540, lo scultore Francesco Primaticcio a Roma per realizzare un calco al fine di ricavarne una copia in bronzo destinata a Fontainebleau. Un'altra copia si trova nel Gran Palazzo dei Cavalieri di Rodi a Rodi. Una copia in gesso, appartenuta al Mengs, si trova nell'Accademia di belle arti di Roma.\nIl fascino della scultura coinvolse per secoli artisti e intellettuali come Gian Lorenzo Bernini, Orfeo Boselli, Winckelmann e Goethe, diventando il fulcro della riflessione settecentesca sulla scultura. La tragica mobilità di questa statua è uno dei temi del saggio Laokoön, di Lessing, uno dei primi classici di critica dell'arte.\n\nDescrizione e stile.\nIl gruppo statuario raffigura la morte di Laocoonte e dei suoi due figli Antifate e Timbreo mentre sono stritolati da due serpenti marini, come narrato nel ciclo epico della guerra di Troia, ripreso successivamente nell'Eneide da Virgilio, in cui è descritto l'episodio della vendetta di Atena, che desiderava la vittoria degli Achèi, sul sacerdote troiano di Apollo, che cercò di opporsi all'ingresso del cavallo di Troia nella città.\nLa sua posa è instabile perché nel tentativo di liberarsi dalla morsa dei serpenti, Laocoonte richiama tutta la sua forza, manifestando con la più alta intensità drammatica la sua sofferenza fisica e spirituale. I suoi arti e il suo corpo assumono una posa pluridirezionale e in torsione, che si slancia nello spazio. L'espressione dolorosa del suo viso unita al contesto e la scena danno una resa psicologica caricata, quasi teatrale, come tipico delle opere del 'barocco ellenistico'. La resa del nudo mostra una consumata abilità, con l'enfatica torsione del busto che sottolinea lo sforzo e la tensione del protagonista. Il volto è tormentato da un'espressione pateticamente corrucciata. Il ritmo concitato si trasmette poi alle figure dei figli. I lineamenti stravolti del viso di Laocoonte, la sua corporatura massiccia si contrappongono alla fragilità e alla debolezza dei fanciulli che implorano, impotenti, l'aiuto paterno: la scena suscita commozione ed empatia nell'animo di chi guarda.\nLa statua è composta da più parti distinte, mentre Plinio, in effetti, descrisse una scultura ricavata da un unico blocco marmoreo (ex uno lapide). Tale circostanza ha creato sempre molti dubbi di identificazione e attribuzione.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Guerra di Troia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, la guerra di Troia fu una sanguinosa guerra combattuta tra gli Achei e la potente città di Troia, presumibilmente attorno al 1250 a.C. o tra il 1194 a.C. e il 1184 a.C. circa, nell'Asia minore.\nGli eventi del conflitto sono noti principalmente attraverso i poemi epici Iliade ed Odissea attribuiti ad Omero, composti intorno al IX secolo a.C. Entrambi narrano una piccola parte del conflitto: l'Iliade i fatti avvenuti durante l'ultimo anno di guerra, l'Odissea, oltre al viaggio di Odisseo per tornare in patria, narra la conquista di Troia. Le altre opere del 'Ciclo Troiano' sono andate perdute e sono conosciute solo tramite testimonianze posteriori. Singoli episodi sono infatti descritti in innumerevoli testi della letteratura greca e latina, e dipinti o scolpiti in numerose opere d'arte.\nSecondo l'Iliade, la guerra ebbe inizio a causa del rapimento di Elena, regina di Sparta, ritenuta la donna più bella del mondo, per mano di Paride, figlio di Priamo re di Troia. Menelao, marito di Elena, e il fratello Agamennone radunarono un esercito, formato dai maggiori comandanti dei regni greci e dai loro sudditi, muovendo guerra contro Troia.\nIl conflitto durò dieci anni, con gravissime perdite da entrambi gli schieramenti. Fra le vittime vi fu Achille, il più grande guerriero greco, figlio del re Peleo e della ninfa Teti. Achille era re dei Mirmidoni di Ftia, che condusse in molte battaglie contro Troia, venendo infine ucciso da Paride che, per vendicare la morte del fratello Ettore, lo colpì con una freccia al tallone, suo unico punto debole. Troia infine cadde grazie all'astuto Odisseo, re dei Cefalleni, e al suo piano del cavallo di legno, cambiando l'esito del conflitto.\nÈ ancora oggetto di studi e di controversie la questione della veridicità storica degli avvenimenti della guerra di Troia. Alcuni studiosi pensano che vi sia un fondo di verità dietro i poemi di Omero, altri pensano che l'antico poeta abbia voluto raggruppare in un unico conflitto, quello fra Greci e Troiani, le vicende di guerre e assedi diversi succedutisi nel periodo della civiltà micenea.\nI due poemi hanno comunque reso possibile la scoperta delle presumibili mura di Troia, collocando cronologicamente la guerra verso la fine dell'età del bronzo, intorno al 1300 - 1200 a.C., in parte confermando la datazione di Eratostene di Cirene.\n\nLe origini della guerra.\nIl piano di Zeus.\nZeus si era accorto che la Terra era troppo popolata. Inizialmente voleva distruggere l'umanità con fulmini e inondazioni, poi su consiglio di Momo, il dio degli scherzi, o di Temi, decise invece di favorire il matrimonio di Teti e Peleo, gettando così il seme della guerra di Troia, che avrebbe portato alla fine del regno degli eroi. C'è anche chi sostiene che Zeus vedesse in molti guerrieri dei potenziali usurpatori del trono di capo degli olimpi. Come racconta la mitologia greca, Zeus era diventato re degli dei detronizzando Crono, il quale a sua volta aveva preso il posto di suo padre Urano. Memore di quanto possa essere crudele la propria progenie, Zeus, che aveva avuto molti figli dalle sue tante relazioni con donne mortali, ne aveva timore: e più in generale temeva l'intera categoria dei semidei.\n\nIl matrimonio fra Peleo e Teti.\nZeus venne a sapere da Temi o da Prometeo che un figlio avrebbe potuto detronizzarlo, proprio come lui aveva fatto col padre. Un'altra profezia aveva inoltre predetto che la ninfa Teti, con cui Zeus tentava di avere una relazione, avrebbe generato un figlio che sarebbe diventato più grande del padre. Per queste ragioni Teti sposò un re mortale molto più vecchio di lei, Peleo. Fece questo o per ordine di Zeus o perché non voleva fare uno sgarbo ad Era che l'aveva allevata da bambina.\nTutti gli dei vennero invitati al matrimonio di Peleo e Teti eccetto Eris, la dea della discordia, che fu fermata alla porta da Ermes per ordine di Zeus stesso (secondo alcune versioni, Zeus si era messo d'accordo con Eris). Sentendosi insultata, la dea andò su tutte le furie e gettò nel bel mezzo della tavolata una mela d'oro con la scritta «Τῇ καλλίστῃ (traslitterato Tê Kallístē)» (alla più bella). Era, Atena e Afrodite pensavano spettasse loro di diritto possedere la mela e cominciarono a litigare fra di loro. Nessuno degli dei tentò di favorire con la propria opinione una delle tre dee per non inimicarsi le altre due. Zeus ordinò quindi a Ermes di condurre le tre dee dal pastore Paride, in realtà un principe troiano, ignaro della sua discendenza reale, che era stato abbandonato appena nato sul Monte Ida poiché un sogno premonitore aveva profetizzato che egli sarebbe stato la causa della rovina di Troia..\nLe dee apparvero al giovane nude e siccome Paride non era in grado di dare un giudizio, le tre divinità promisero al giudice dei doni. Atena gli offrì la saggezza, l'abilità bellica, il valore dei guerrieri più potenti, Era il potere politico e il controllo su tutta l'Asia, Afrodite l'amore della donna più bella del mondo, Elena di Sparta. Paride diede la mela ad Afrodite. Le due dee che avevano perso andarono via desiderose di vendetta.\nIl giovane si recò in seguito in città, a Troia, perché gli araldi di Priamo avevano portato via il suo toro migliore per darlo in premio al vincitore di alcune gare sportive organizzate dal re. Paride partecipò ai giochi atletici e sconfisse i nobili rampolli di Troia, vincendo di conseguenza il proprio toro. I giovani troiani, umiliati, volevano ucciderlo ma Cassandra, figlia veggente del re Priamo, riconobbe in lui il fratello perduto. Priamo decise allora di accettarlo nella famiglia reale, sebbene Cassandra avesse consigliato di non farlo.\nDall'unione fra Peleo e Teti nacque un bambino, Achille. L'oracolo predisse che sarebbe morto o vecchio a causa della maturità in una vita tranquilla e priva di imprese, o giovane sul campo di battaglia guadagnando l'immortalità attraverso la poesia degli aedi. Teti tentò di rendere immortale il figlio, provando dapprima a bruciarlo nel fuoco durante la notte, per eliminare le sue parti mortali, e poi a strofinarlo con ambrosia durante il giorno. Peleo, che aveva già perso sei figli in questa maniera, riuscì a fermarla. Teti lo bagnò allora nelle acque del fiume Stige, facendolo diventare immortale, salvo che nel tallone per il quale lo aveva tenuto, sua unica parte vulnerabile (se un Dio tocca le acque dello Stige, perde la sua immortalità).\n\nIl rapimento di Elena.\nLa più bella donna del mondo era Elena, una delle figlie di Tindaro, re di Lacedemone (la futura Sparta). Sua madre era Leda che venne sedotta o stuprata da Zeus sotto forma di cigno. Leda partorì così quattro gemelli, due maschi e due femmine. Castore e Clitemnestra erano figli di Tindaro, Elena e Polluce di Zeus. Secondo un'altra versione del mito,, Elena era figlia di Nemesi, la vendetta. Quando giunse in età da marito Elena attirò alla corte del padre una moltitudine di pretendenti desiderosi di prenderla in sposa. Tindaro non sapeva chi scegliere per non offendere così gli altri.\nInfine uno dei pretendenti, Odisseo, propose un piano per risolvere il dilemma, in cambio dell'appoggio di Tindaro per farlo sposare con la nipote Penelope, figlia del fratello di lui Icario. Elena avrebbe dovuto scegliere il marito. Secondo un'altra tradizione Odisseo propose di fare un sorteggio o secondo un'altra, più accreditata, era il padre a scegliere il marito per la sposa (come farà poi Agamennone per ingannare Ifigenia e portarla in Aulide). Vennero inoltre costretti tutti i pretendenti a giurare di difendere il matrimonio di Elena, qualunque marito venisse scelto. I giovani giurarono sacrificando i resti di un cavallo. Di certo non mancarono i borbottii di alcuni.Venne scelto come marito Menelao. Quest'ultimo non si era presentato come pretendente alla reggia ma aveva mandato il fratello Agamennone in suo nome. Aveva promesso un'ecatombe di 100 buoi ad Afrodite se avesse avuto in moglie Elena ma, non appena seppe di essere lui il prescelto, dimenticò la promessa fatta, causando l'ira della dea. Agamennone e Menelao vivevano in quel periodo alla corte di Tindaro perché esiliati da Micene, loro terra natia, dallo zio Tieste e dal cugino Egisto, dopo la morte del padre Atreo, ucciso dallo stesso Tieste. Menelao ereditò dunque il trono di Sparta da Tindaro poiché gli unici suoi figli maschi, Castore e Polluce, erano stati assunti fra le divinità. Agamennone sposò in seguito Clitemnestra, sorella di Elena, e scacciò Egisto e Tieste da Micene, riprendendosi così il trono del padre.Durante una missione diplomatica (il recupero della zia Esione rapita da Eracle) Paride si recò a Sparta e si innamorò della bella Elena. Enea, nobile figlio di Afrodite e Anchise, re dei Dardani, accompagnava Paride. Durante il loro soggiorno a Sparta, Menelao dovette recarsi a Creta per i funerali di Catreo, il nonno materno (in quanto padre di sua madre Erope). Paride, sotto influsso di Afrodite, riuscì a sedurre Elena e a partire con lei verso Troia, nonostante i rimproveri di Enea, portando con sé il ricco tesoro di Menelao. Era, ancora adirata con Paride, mandò contro di lui una tempesta, costringendolo a sbarcare in Egitto, ma alla fine Elena giunse a Troia. La nave arrivò poi a Sidone, dove Paride, timoroso di essere catturato da Menelao, passò diverso tempo prima di tornare in patria.\n\nL'adunata in Aulide.\nMenelao, tornato a Sparta e scoperto il ratto della moglie, inviò un'ambasceria a Troia per chiederne la restituzione, ma ricevette un rifiuto: nell'assemblea dei Troiani era prevalsa infatti la linea dura, portata avanti da Paride e Antimaco, consigliere di re Priamo. Gli Atridi decisero pertanto di ricorrere al giuramento fatto dai pretendenti in onore di Elena per radunare un esercito e attaccare i Troiani, affidando tale messaggio al savio Nestore, re di Pilo.\n\nOdisseo e Achille.\nOdisseo, qualche tempo prima, si era sposato con Penelope da cui aveva avuto un figlio, Telemaco. Per evitare la guerra si finse pazzo e cominciò a seminare sale per i campi e la spiaggia. Palamede, il re di Nauplia, mandato ad Itaca per convincerlo, prese Telemaco e lo posizionò nel solco su cui sarebbe dovuto passare Odisseo che, non volendo uccidere il figlio, girò da un'altra parte, rivelando però così di essere ancora sano di mente.Achille invece era stato nascosto dalla madre a Sciro, mascherato con abiti femminili per non farlo riconoscere agli araldi mandati da Agamennone. Egli si era già unito in matrimonio con Deidamia, figlia del re, e da questa unione era nato Neottolemo, detto anche Pirro. Aiace Telamonio, cugino di Achille, il suo vecchio precettore Fenice e soprattutto Odisseo, travestiti da mercanti (secondo altri vi era solo Odisseo, o Odisseo e Diomede), si recarono nella reggia di Sciro per scovare il giovane figlio di Peleo. Vi sono due tradizioni sul riconoscimento dell'eroe. Secondo la prima, Odisseo suonò un corno, segno di un attacco nemico, ed Achille, anziché fuggire come fecero le figlie del re, afferrò una lancia per affrontare i nemici e venne riconosciuto. Nella seconda tradizione, la più famosa, Odisseo portava con sé un cesto con degli ornamenti femminili e una spada bellissima. Achille non osservò i gioielli ma guardò la stupenda arma e per questo venne scoperto e condotto al campo acheo. Secondo Pausania, Achille non si nascose a Sciro perché l'isola venne poi conquistata durante la guerra di Troia dall'eroe stesso.Le forze achee si radunarono dunque nel porto di Aulide, in Beozia. Tutti i pretendenti spedirono i propri eserciti eccetto re Cinira di Cipro, che invece di spedire le cinquanta navi promesse, spedì ad Agamennone delle corazze, di cui soltanto una vera, mentre le altre erano di fango. Idomeneo, re di Creta, invece era disposto a schierare l'esercito cretese solo a patto che avesse potuto condurre con sé un vice comandante, il nipote Merione. L'ultimo comandante ad arrivare fu Achille, che allora aveva soltanto quindici anni. Mentre i re sacrificavano ad Apollo, per garantire il proprio giuramento, un serpente divorò gli otto piccoli di un nido di passeri e in seguito mangiò anche la madre. Secondo Calcante questo evento era un responso divino, la guerra sarebbe durata per dieci anni.\n\nTelefo.\nLe navi salparono ma vi fu un errore di rotta e gli Achei sbarcarono in Misia, dove regnava Telefo, figlio di Eracle, il quale disponeva, oltre che degli uomini di Misia, anche di un contingente dall'Arcadia, essendo infatti proveniente da questa regione.Durante la battaglia i Greci riuscirono a conquistare Teatrante, capitale del regno, e Achille, con la sua lancia, ferì Telefo, dopo che questo aveva ucciso Tersandro, re di Tebe. Salvatosi dallo scontro, Telefo si recò a Delfi per sapere come poter guarire dalla ferita che non intendeva rimarginarsi e gli provocava terribili dolori. L'oracolo rispose che lo stesso feritore l'avrebbe guarito.\nLa flotta achea tornò dunque in Grecia e Achille fece ritorno a Sciro, dove sposò Deidamia. Le forze greche furono dunque radunate una seconda volta. Telefo si recò in Aulide, travestito da mercante, e chiese ad Agamennone di poter essere guarito o, secondo un'altra tradizione, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio del re di Micene. Odisseo comprese che sarebbe stata la lancia stessa di Achille a guarirlo. Pezzi di lancia furono raschiati e passati sulla ferita, rimarginandola. Telefo in seguito avrebbe mostrato agli Achei come giungere a Troia.\n\nIl secondo raduno.\nOtto anni dopo lo sbarco in Misia gli eserciti greci furono ancora radunati. Ma non appena le navi giunsero in Aulide il vento cessò di soffiare. Calcante profetizzò che Artemide era offesa con Agamennone perché questi aveva ucciso un cervo sacro o perché lo aveva ucciso in un bosco sacro, dicendo di essere un cacciatore migliore di lei. L'unico modo di placare Artemide era sacrificare Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra o di Elena e Teseo, affidata alla sorella dopo il matrimonio con Menelao.Agamennone rifiutò la proposta ma gli altri principi minacciarono di fare comandante Palamede, se Agamennone non avesse avuto il coraggio di uccidere la figlia. Costretto così ad accettare, richiamò la figlia e la moglie in Aulide col pretesto di voler far sposare Ifigenia con Achille. In un impeto di amore paterno, Agamennone mandò una lettera alla moglie, ordinandole di rimanere a Micene, poiché quella era una trappola, ma il messaggio venne intercettato da Odisseo (o da Palamede), che non la spedì a destinazione. Odisseo e Diomede vennero mandati a Micene per condurre lì la giovane e la famiglia di Agamennone. Clitennestra venne però a sapere dell'inganno grazie ad Achille. Questi promise inoltre il suo aiuto, ma Odisseo riuscì a sobillare l'esercito chiedendo il sacrificio.\nIfigenia, in uno slancio patriottico, decise allora di sacrificarsi per il bene della Grecia. La giovane secondo una prima tradizione morì effettivamente immolata, secondo un'altra, quella utilizzata da Euripide, fu scambiata con una cerva da Artemide stessa che la portò in Tauride, designandola come sua sacerdotessa. Molti anni dopo, il fratello Oreste l'avrebbe ritrovata e portata a casa.\nLe forze greche sono descritte in dettaglio nel secondo libro dell'Iliade, il cosiddetto Catalogo delle navi, che comprendeva 1178 navi con 50 rematori circa a testa. Questa accurata descrizione ci permette di avere una visione della situazione geo-politica greca, poco prima della guerra, con la famiglia dei Pelopidi alla guida del grosso dell'armata achea:.\n\nAgamennone re di Micene e basileus in Argolide settentrionale, Arcadia e nel golfo di Corinto;.\nDiomede suo vassallo, amministratore di Tirinto, re di Argo e del resto dell'Argolide;.\nMenelao basileus in Laconia;.\nNestore probabilmente un parente a Pilo e a comando della Messenia.Altri comandanti e regioni presenti furono:.\n\ni comandanti dell'Arcadia e dell'Elide, regioni indipendenti;.\nOdisseo basileus nelle isole occidentali (Itaca, Zacinto e Cefalonia) (12 navi, stando all'Odissea);.\nre Toante dell'Etolia;.\nla Beozia, con 30 centri minori, e Tebe;.\nla Focide, la Locride e l'Eubea;.\nAchille comandante della Ftiotide;.\nla Tessaglia, con 8 entità politiche e 25 città;.\nAtene (50 navi) e Salamina (12 navi) per l'Attica;.\nIdomeneo re di Creta e nipote di Minosse (80 navi);.\nRodi col principe Tlepolemo e 9 navi;.\nSamo e le Sporadi settentrionali.Tucidide spiega che secondo la tradizione erano approssimativamente 1200 navi, con un numero di uomini variabile, vi era chi infatti come i Beoti aveva navi con 120 uomini, chi, come Filottete, soltanto cinquanta.\nLe forze greche andavano quindi da un minimo di 70.000 a un massimo di 130.000 uomini. Un altro catalogo viene dato da Apollodoro che differisce su qualcosa ma è simile ad Omero nella suddivisione numerale. Alcuni pensano che Omero si sia basato su una tradizione orale proveniente dall'età del bronzo, altri pensano che abbia inventato tutto. Nel ventunesimo secolo gli storici hanno drasticamente ridimensionato la consistenza del corpo di spedizione greco, le cui forze vengono stimate in circa 300 navi e 15.000 uomini.\nVengono anche descritti gli schieramenti troiani, che secondo Omero contavano circa 50.000 uomini fra Troiani e alleati. Non sappiamo quale lingua parlassero i Troiani. Omero spiega che i contingenti alleati di Troia parlavano lingue straniere, i comandanti in seguito traducevano gli ordini. Nell'Iliade inoltre Troiani e Achei hanno stessi usi, stessi costumi e stessa religione. Gli avversari parlano inoltre la stessa lingua.\n\nI primi nove anni della guerra.\nFilottete.\nFilottete era amico di Eracle e poiché accese per lui la pira funebre, incarico che tutti avevano rifiutato, ricevette dall'eroe l'arco e le invincibili frecce intinte nel sangue dell'Idra di Lerna. Lui navigò verso Troia con sette navi ma durante una sosta, in cui i suoi uomini si fermarono nell'isola Crise per fare rifornimenti (o da soli o insieme al resto dell'esercito) venne morso da un serpente. La ferita divenne infetta, emanando un cattivo odore, e Odisseo dunque avvisò Agamennone dello spiacevole accaduto costringendo l'Atride, a causa del puzzo emanato dalla ferita, ad abbandonare l'eroe sull'isola di Lemno, rimanendo così esiliato per dieci lunghi anni. Medonte, fratellastro di Aiace Oileo, prese il controllo degli uomini di Filottete.\nSbarcati a Tenedo, isola di fronte al lido di Troia, l'attaccarono ma la città si difese, guidata dal suo regnante Tenete, figlio di Apollo (secondo altri solo un suo protetto, il vero padre era Cicno). Achille depredò Tenedo e tentò di catturare Emitea, sorella di Tenete che, disperata, chiese agli dei di poter essere inghiottita dalla terra: dopo la tragica fine della giovane, le cui preghiere vennero esaudite, Achille mosse contro il sovrano, nonostante Teti avesse ordinato al figlio di non uccidere Tenete per non incorrere nell'ira del dio ma Tenete era già caduto sotto la spada del Pelide. Da quel giorno, Apollo tentò in tutti i modi di uccidere Achille e infatti, sarà proprio Apollo a dirigere la freccia di Paride nel suo tallone.\nDa Tenedo venne poi spedita una delegazione a Priamo, formata da Menelao, Odisseo e Palamede per chiedere nuovamente la restituzione di Elena ma anche questa volta le loro proposte furono rifiutate.\n\nL'arrivo.\nCalcante profetizzò che il primo acheo a toccare la terra troiana, dopo essere sbarcato con la sua nave, sarebbe morto per primo. Achille decise dunque di non essere il primo a scendere e fu così Protesilao, re di Filache, a sbarcare per primo, il Pelide scese solo in seguito, uccidendo, durante lo scontro che ne seguì, Cicno, alleato dei Troiani e figlio di Poseidone.\nI Troiani, spaventati dall'assalto greco fuggirono all'interno della città mentre Protesilao che aveva dimostrato valore e coraggio, uccidendo diversi Troiani trovò, primo fra tutti, la morte per mano di Ettore, Enea, Acate o Euforbo (le tradizioni divergono su questo punto). Gli dei lo seppellirono come un dio sulla penisola Tracia e dopo la sua morte fu il fratello Podarce a guidare le truppe di Filache.\n\nLe campagne di Achille.\nGli Achei assediarono Troia per nove anni. Questa parte della guerra è quella di cui sono conservate il minor numero di fonti, dato che i testi letterari preferiscono parlare principalmente degli avvenimenti dell'ultimo anno. Per giustificare questa penuria di fonti c'è stato chi ha elaborato teorie (non ancora verificate) sull'effettiva durata della guerra. Tra queste, vi è un aspetto, della più ampia teoria di Felice Vinci, su Omero nel Baltico, secondo cui la guerra sarebbe durata un solo anno e di conseguenza l'Iliade narrerebbe la guerra nella sua interezza.\nDopo lo sbarco iniziale l'esercito venne raggruppato di nuovo per intero soltanto nel decimo anno, secondo Tucidide a causa di una mancanza economica che costrinse i Greci a compiere scorrerie nelle città alleate di Troia ed esaurire i profitti agricoli delle regioni della Tracia. Troia non venne mai assediata completamente in questi nove anni poiché riusciva ancora ad avere rapporti con i popoli interni dell'Asia minore, essendo giunti rinforzi fino alla fine dello scontro. Gli Achei controllavano semplicemente lo stretto dei Dardanelli, i Troiani invece comunicavano attraverso il punto più corto ad Abido e Sesto, potendo così contattare i propri alleati in Europa.\nAchille era senza dubbio il più attivo fra gli Achei, secondo Omero conquistò undici città e dodici isole, secondo Apollodoro invece fece scorrerie nelle terre di Enea, in Troade, derubandolo dei suoi armenti conquistando inoltre Lirnesso, Pedaso e diverse città del circondario. Uccise anche Troilo, giovane figlio di Priamo, quando questi aveva diciannove anni confermando un oracolo che aveva predetto che se il ragazzo avesse raggiunto il ventesimo anno di vita, la città non sarebbe crollata. Secondo Apollodoro:.\n\n'Prese anche Lesbo e Focea, poi Colofonie e Smirne, e Clazomane, e Cime; e dopo Egialeo e Teno, le così chiamate cento città; poi in ordine, Adramitio e Sido; poi Endio, e Lineo, e Colono. Prese anche Tebe, in Asia minore, e Lirnesso, e infine Antandro e molte altre città”Secondo Cacride questo elenco è sbagliato perché i Greci si sarebbero spinti in questa maniera troppo a sud. Altre fonti, come Demetrio, parlano di Pedaso, Monenia, Mithemna, e Pisidice.Dalla divisione del bottino di queste città, Achille ottenne Briseide di Lirnesso mentre Agamennone ottenne Criseide, di Tebe. Achille catturò Licaone, figlio di Priamo mentre stava potando gli alberi nel frutteto del padre, ordinando poi a Patroclo di venderlo a Lemno, dove venne comprato da Eezione, re di Cilicia e suocero di Ettore, che lo rimandò a Troia. Fu ucciso da Achille più tardi, dopo la morte di Patroclo. In seguito Achille marciò contro il regno di Cilicia, uccidendo Eezione e tutti i suoi figli maschi, ad eccezione di Pode, il più giovane, che si era trasferito a Troia presso Ettore e Andromaca. Pode morì poco prima di Ettore, ucciso in battaglia da Menelao.\n\nLe campagne di Aiace.\nAiace invase le città della penisola Tracia dove regnava Polimestore, un genero di Priamo e, a causa di ciò, il sovrano assediato si sbarazzò di Polidoro, uno dei figli di Priamo, che lui stesso aveva in custodia. Il guerriero greco attaccò poi le città della Frigia, dominate dal re Teleuto che morì in combattimento e prese come bottino di guerra la figlia di quest'ultimo, Tecmessa. Disperse in seguito le greggi troiane sul monte Ida e nelle campagne.\nDiversi dipinti su anfore e coppe, descrivono invece un avvenimento non riportato su testi letterari. In un determinato momento della guerra, Achille e Aiace stavano giocando a un gioco denominato petteia ma i due erano talmente presi dal gioco da dimenticare di essere nel bel mezzo di una battaglia. I Troiani riuscirono a raggiungerli e solo un intervento di Atena riuscì a salvarli.\n\nLa morte di Palamede.\nOdisseo, spedito in Tracia per recuperare del grano e tornato a mani vuote, sfidò Palamede, che l'aveva preso in giro, a fare di meglio. Questi partì e tornò con un'intera nave piena di grano.\nOdisseo, che non aveva mai perdonato a Palamede il fatto di aver quasi ucciso Telemaco mettendolo nel solco dell'aratro quando si fingeva pazzo, decise di tendere contro di lui un inganno e spiegò dunque agli altri capi che, come Agamennone, odiavano le imprese di Palamede e la sua astuzia troppo spesso lodata, il suo intento. Fu contraffatta dunque una lettera di Priamo come se fosse destinata a Palamede, Odisseo stesso costrinse uno schiavo frigio a scriverla ordinandogli poi di nasconderla nella tenda dell'avversario insieme a una gran quantità d'oro. La lettera e l'oro furono scoperti e Agamennone ordinò che Palamede venisse ucciso a sassate come punizione per il suo tradimento.\nPausania, citando i Cypra, dice che Odisseo e Diomede affogarono Palamede mentre stava pescando: secondo Ditti, invece, Odisseo e Diomede adescarono Palamede in un pozzo, dove dicevano che questi aveva conservato l'oro ricevuto da Priamo, e lo lapidarono fino a ucciderlo. Il padre di Palamede, Nauplio navigò verso la Troade per chiedere giustizia ma venne rifiutato: per vendetta allora viaggiò verso le città greche, dichiarando alle mogli dei re che presto i loro mariti avrebbero condotto in patria delle concubine per sostituirle. Alcune di esse decisero allora di tradire i propri mariti, come fece Clitennestra, unendosi ad Egisto, il figlio di Tieste.Verso la fine del nono anno i soldati dell'esercito, stanchi di combattere e privi di approvvigionamento, decisero di ribellarsi ai propri comandanti e soltanto l'intervento di Achille riuscì a placarli. Secondo Apollodoro, Agamennone rapì in quel periodo le quattro figlie di Anio, sacerdote di Delo, le cosiddette Vignaiole, in grado di far scaturire dal suolo l'olio, il grano e il vino necessari per l'approvvigionamento.\n\nI cinquanta giorni di guerra narrati nell'Iliade.\nNel campo dei Greci si diffuse però un'epidemia: era il castigo decretato da Apollo come punizione ai Greci per aver sottratto Criseide al padre Crise, sacerdote del dio. Su consiglio di Calcante, Agamennone accettò di restituire Criseide al padre ma pretese in cambio Briseide, schiava preferita di Achille, sottraendola all'eroe. Scoppiò dunque un litigio tra Achille ed Agamennone: Achille decise di non combattere più e rimanere fermo nella propria tenda.\nTeti, madre di Achille, salì all'Olimpo per supplicare Zeus di rendere giustizia al figlio: il dio acconsentì, subendo i rimproveri di Era, subito placati da Efesto. Zeus inviò il Sogno ingannatore ad Agamennone. Nelle sembianze di Nestore fece credere al re che fosse arrivato il giorno fatale di Troia. Al risveglio Agamennone convocò i duci achei e li istruì sul suo piano. Voleva far credere all'esercito di voler tornare in patria: i soldati però accettarono esultanti la proposta di tornare e si apprestarono a lasciare la costa quando Odisseo, ispirato da Atena, li convinse a rinnovare la battaglia contro Troia.\nLe due schiere si affrontarono ancora: alla vista di Menelao, Paride fuggì tra i suoi, ma Ettore lo rimproverò per la sua codardia. Paride decise di affrontare a duello Menelao: le sorti del duello sarebbero state decisive per la guerra. Dopo aver sacrificato agli dei, i contendenti si scontrarono: Menelao era sul punto di uccidere il nemico quando Afrodite lo salvò e lo riportò a Troia. Agamennone decretò la vittoria per il fratello.\nGli dei erano radunati attorno a Zeus che avrebbe voluto salvare Troia, fu Era però a convincere gli altri dei a chiedere la continuazione della guerra. Zeus allora inviò Atena tra i Troiani; ella invitò Pandaro a scagliare una freccia contro Menelao. La freccia ferì l'Atride e la battaglia si rianimò. Pandaro ferì Diomede con una freccia, ma questi, aiutato da Atena, riuscì a uccidere il troiano; stava per uccidere anche Enea quando intervenne Afrodite che salvò il figlio e venne a sua volta ferita da Diomede. Intanto i Troiani, guidati da Ares, erano passati al contrattacco. Diomede, sempre con l'aiuto di Atena, si scontrò con Ares e lo ferì. Le sorti della battaglia volgevano di nuovo a favore dei Greci.\nEttore chiese di poter affrontare un campione greco. Dopo alcune discussioni ecco apparire il gigantesco Aiace Telamonio. Il duello si concluse con una tregua, voluta da due ambasciatori, per ordine di Zeus. Il giorno dopo i combattimenti ripresero. I Greci, incalzati da Ettore, vennero spinti sempre più verso il proprio accampamento. Col tramonto del sole Ettore e i suoi uomini posero un accampamento proprio in mezzo al campo di battaglia, spingendo così sempre più i Greci verso il mare. Quella stessa notte, tuttavia, Diomede riuscì a entrare nella tenda in cui dormiva Reso, il giovane re dei Traci alleato dei Troiani, e lo sgozzò con la spada.\nAl mattino ricominciò la battaglia. Ettore e gli altri comandanti si scagliarono contro il muro di cinta che proteggeva le navi. I Greci spaventati cominciavano a fuggire, soltanto i comandanti più eroici, come i due Aiaci o Idomeneo, incitavano ancora le truppe a difendersi. I Troiani, guidati da Ettore, e i lici, guidati da Sarpedonte, riuscirono perfino a far breccia nel muro di cinta greco e ad entrare all'interno dell'accampamento. Con una torcia in mano, Ettore riuscì perfino a incendiare una delle navi greche. Patroclo, fedele compagno di Achille, vedendo la battaglia infuriare all'interno del campo greco, supplicò l'amico di concedergli di prendere le sue armi e condurre i Mirmidoni al fianco degli altri Achei. Achille accettò, ma raccomandò a Patroclo di limitarsi a cacciare i nemici dal campo greco, senza andare oltre.\nNel frattempo i Troiani erano riusciti a dar fuoco alla nave di Protesilao, ma l'arrivo dei Mirmidoni guidati da Patroclo, che essi credevano Achille, li mise in fuga. Patroclo li incalzò fin sotto le mura: gli si oppose Sarpedonte, il comandante dei lici, che era figlio di Zeus. Il re degli dei, nonostante avesse a suo tempo desiderato la morte di tutti i semidei, compreso il suo, di colpo cambiò idea e forse l'avrebbe salvato se non fosse intervenuta Era ricordandogli come tutto fosse ormai già fissato: Sarpedonte inevitabilmente cadde sotto i colpi di Patroclo, Zeus poté solo limitarsi a trasportare il corpo in Licia, terra nativa dell'eroe. Era però giunta anche l'ora di Patroclo: Apollo con un gran colpo lo stordì, il giovane troiano Euforbo lo ferì con la lancia, ma non era abbastanza forte per ucciderlo: fu Ettore che diede il colpo finale. Morendo, Patroclo predisse l'uccisione di Ettore ormai prossima, il quale si impadronì delle armi del morto. Euforbo cercò invece di impossessarsi del cadavere, ma venne ucciso da Menelao.\nVedendo arrivare la salma del fedele amico, Achille si rinchiuse nel proprio furore, decise di raccordarsi con Agamennone e di tornare a combattere, con le nuove armi forgiate da Efesto. Ripieno di ira si scagliò contro i Troiani: alcuni morirono eroicamente, altri invece tentarono di fuggire, chi correndo verso le mura, chi gettandosi nel fiume Scamandro. Achille non ebbe pietà per nessuno e uccise un gran numero di nemici, anche chi spaventato lo supplicava. I Troiani superstiti si precipitarono all'interno delle mura, eccetto Ettore che rimase davanti alle Porte Scee, bloccato dal suo destino; a nulla valevano i disperati richiami dei genitori. Ettore propose ad Achille il giuramento di rendere alla famiglia il corpo di quello dei due che sarebbe stato ucciso, ma il Pelide rifiutò rabbiosamente. Il duello iniziò, le lance volarono senza successo, e nel corpo a corpo Achille trafisse Ettore nel solo punto scoperto, tra il collo e la spalla.\nMorendo, Ettore presagì la prossima morte del nemico; Achille, accecato dall'odio, forò i piedi del cadavere e lo legò sul proprio cocchio, trascinandolo attorno alle mura di Troia e facendone orribile scempio. Priamo chiese infine ad Achille di rendergli il corpo del figlio, pagando un grande riscatto. I funerali di Ettore sono l'ultimo evento narrato nell'Iliade.\n\nDopo l'Iliade.\nLa morte di Achille.\nPoco dopo la morte di Ettore, Pentesilea, regina delle Amazzoni, venne a Troia col suo esercito di donne guerriere. Pentesilea, figlia di Ortrera e di Ares aveva ucciso accidentalmente la sorella Ippolita. Venne purificata per questa azione da Priamo e in cambio lottò per lui e uccise molti Greci, incluso Macaone (secondo alcuni Macaone fu ucciso da Euripilo, figlio di Telefo) e, secondo un'altra versione, anche Achille, che venne poi riesumato per ordine di Teti. Pentesilea venne poi uccisa da Achille che, dopo averla uccisa, si innamorò della sua bellezza. Tersite, un soldato semplice, derise Achille per questo suo amore e scanalò fuori gli occhi di Pentesilea. Achille uccise Tersite e, in seguito a una disputa, navigò verso Lesbo per farsi purificare. Nel viaggio fu accompagnato da Odisseo, e i due sacrificarono ad Apollo, Artemide e Latona.\nMentre Achille faceva ritorno a Troia, Memnone, re d'Etiopia e di Persia, figlio di Titone ed Eos, arrivò col suo esercito ad aiutare Priamo, suo zio. Egli non veniva direttamente dall'Etiopia ma da Susa, dopo aver conquistato tutte le popolazioni fra Troia e la Persia. Condusse così in Troade un esercito formato da etiopi, persiani, assiri e indiani. Indossava una corazza forgiata da Efesto, proprio come Achille. Nella battaglia che ne seguì, Memnone uccise Antiloco che si fece colpire per salvare il padre Nestore. Achille affrontò Memnone a duello mentre Zeus pesava il fato dei due eroi, valutazione che portò alla vittoria di Achille, il quale uccise così il grande nemico.Il Pelide inseguì poi i Troiani fino in città. Gli dei, vedendo come Achille aveva già sterminato gran parte dei loro figli, decisero che questa volta era il suo turno. Venne ucciso infatti da una freccia lanciata da Paride e guidata da Apollo. Subito dopo, mentre esultava dalla vittoria, Paride fu ucciso da una freccia di Filottete, la stessa freccia di Eracle intrisa di sangue di Idra. Secondo un'altra versione, posteriore e meno accreditata, venne ucciso da una coltellata mentre sposava Polissena, figlia di Priamo, nel tempio di Apollo, il luogo dove qualche anno prima aveva ucciso Troilo. Entrambe le versioni mostrano come la morte del grande guerriero fosse opera di un dio o di un inganno, poiché Achille era invincibile sul campo di battaglia. Le sue ossa furono mescolate a quelle di Patroclo e furono tenuti giochi in suo onore. Dopo la morte, come Aiace, visse nell'isola di Leuco dove sposò l'anima di Elena.\n\nIl giudizio delle armi e la morte di Aiace.\nDopo la morte di Achille si tenne una grande battaglia per recuperare il corpo dell'eroe. Aiace Telamonio riuscì a distrarre i Troiani mentre Odisseo trasportò via la salma. I generali decisero che l'armatura di Achille sarebbe spettata al guerriero più valoroso. Si fecero dunque avanti Aiace e Odisseo, che avevano recuperato il corpo di Achille. Agamennone, non essendo disposto a fare una scelta così difficile, chiese ai prigionieri troiani chi fra i due aveva causato più danni per la loro città.\n\nSu consiglio di Nestore vennero mandate delle spie all'interno di Troia per sapere cosa commentavano i Troiani sulla battaglia avvenuta poco prima e sul valore di coloro che erano riusciti a recuperare il corpo del Pelide. Una giovane disse che fu Aiace il migliore, ma un altro, sotto consiglio di Atena, protettrice di Odisseo, diede il voto migliore al suo favorito.Secondo Pindaro la decisione fu presa attraverso una decisione segreta dei principi achei. Comunque sia, in tutte le versioni, le armi vennero date ad Odisseo e Aiace, impazzito per il dolore, decise di uccidere i giudici di gara, ma Atena fece sì che Aiace scannasse nella sua furia due arieti, credendo fossero Agamennone e Menelao. All'alba tornò alla normalità e, accortosi dell'accaduto, si uccise per il disonore, trafiggendosi con la spada che gli aveva donato Ettore, colpendosi al fianco o all'ascella, ritenuta da alcuni come il suo unico punto debole.Secondo un'altra tradizione, molto più antica, Aiace fu catturato dai Troiani, che lo ricoprirono di creta, costringendolo così all'immobilità e condannandolo a morire di fame.\n\nLe profezie di Eleno.\nNel decimo anno di guerra fu profetizzato da Calcante, o da Eleno, che Troia non sarebbe crollata senza l'arco e le frecce di Eracle, conservate da Filottete nell'isola di Lemno. Odisseo e Diomede si recarono quindi a recuperare Filottete, la cui ferita era guarita. Secondo altri, la piaga venne guarita dai medici Macaone e Podalirio. Secondo Sofocle, furono Neottolemo e Odisseo a cercare Filottete, secondo Proclo, soltanto Diomede. Tornato sul campo di battaglia Filottete uccise, grazie alle sue frecce invincibili Paride stesso.\nSecondo Apollodoro, i fratelli di Paride, Eleno e Deifobo, ebbero una contesa su chi dei due avrebbe dovuto sposare Elena, rimasta vedova. Priamo assegnò la donna a Deifobo; Eleno, furioso, abbandonò la città e si stabilì sul monte Ida, ospite di Arisbe, la moglie ripudiata di Priamo. Calcante rivelò che Eleno era in grado di profetizzare le ultime condizioni, attraverso le quali conquistare Troia. Odisseo tese dunque un'imboscata a Eleno e lo catturò. Spinto a forza, Eleno disse agli Achei che avrebbero conquistato la città se avessero trovato le ossa di Pelope, mandato in guerra il figlio di Achille, Neottolemo e trafugato il Palladio dal tempio troiano di Atena.\nI Greci recuperarono le ossa di Pelope, precisamente l'osso della spalla, che venne portato a Troia da Pisa e venne perduto a mare sulla via del ritorno: ritrovato poi da un pescatore venne riconosciuto come osso di Pelope dall'oracolo.\nPiù tardi venne spedito Odisseo a Sciro, presso il re Licomede, per recuperare Neottolemo, che viveva lì presso il nonno materno. Odisseo gli diede le armi di suo padre. Nello stesso tempo, come informa Apollodoro, Euripilo, il figlio di Telefo, venne in sostegno dei Troiani con un esercito formato da Ittiti o Misiaci. Travestito come un mendicante, Odisseo entrò all'interno della città: venne riconosciuto da Elena, che gli offrì il suo aiuto. Così il re d'Itaca e Diomede rubarono il Palladio.\n\nIl cavallo di Troia.\nLa città di Troia venne infine conquistata senza battaglia, con un inganno concepito da Odisseo: un gigantesco cavallo di legno, animale sacro ai Troiani (in quanto l'animale favorito del fondatore, Poseidone). Venne costruito da Epeo, guidato a sua volta da Atena. Il legno venne recuperato dal boschetto sacro di Apollo e vi fu scritto sopra: «I greci dedicano questa offerta di ringraziamento ad Atena per un buon ritorno».\nIl cavallo cavo venne riempito di soldati. Apollodoro dice che entrarono nel cavallo 50 uomini, attribuendo allo scrittore della Piccola Iliade la concezione secondo la quale entrarono nel cavallo ben 3000 uomini, mentre secondo il filologo bizantino Tzetzes ve ne erano 23. Quinto Smirneo ne nomina trenta ma dice che all'interno ve ne fossero ancora. Nella tradizione tarda il numero fu standardizzato a quaranta uomini. A capo di questi vi era Odisseo stesso. Il resto dell'esercito abbandonò il campo e si recò con tutta la flotta nell'isola di Tenedo. Quando i Troiani scoprirono che i Greci se ne erano andati, credendo che la guerra fosse finita, si interrogarono sul cavallo e trovarono Sinone, un itacese che era stato istruito da Odisseo a interpretare la parte del traditore (motivo per cui portava lividi ottenuti dai suoi compagni), dicendo che aveva proposto di abbandonare tutto, ma i Greci lo picchiarono e decisero di abbandonare momentaneamente il fronte in cerca di altri alleati, erigendo il cavallo come auspicio agli dei per un buon viaggio.\nSinone aggiunse anche che il cavallo è così grande poiché i Troiani fatichino o non riescano proprio a trascinarlo dentro le mura e cambiare le sorti della guerra a favore dei Troiani. Convinto, Priamo diede ordine di portare dentro le mura il cavallo. Prima di farlo entrare però i Troiani discussero sul da farsi. Alcuni pensavano di gettarlo giù da una rupe, altri di bruciarlo, altri di dedicarlo ad Atena. Cassandra e il sacerdote Laocoonte furono gli unici a diffidare del dono, ma nessuno prestò ascolto a Cassandra per via della maledizione inflittale da Apollo e Laocoonte, intuendone l'inganno, tentò di stanare i Greci prima infilzando la statua con una lancia poi minacciando di bruciarlo. Priamo lo fermò e chiese che fosse fatto un sacrificio a Poseidone per sapere la verità. Per fortuna dei Greci, Poseidone era dalla loro parte e, mentre il sacerdote e i suoi due figli immolavano un toro sulla riva, furono tutti e tre ghermiti da due giganteschi serpenti. Convito del tutto, Priamo interpretò la morte di Laocoonte come una punizione per aver minacciato di distruggere il dono per gli dei e fece portare il cavallo a Troia.\nProclo, seguendo la Piccola Iliade, dice che i Troiani abbatterono una parte del muro per fare passare il cavallo. I Troiani decisero allora di portare in città il cavallo e passarono la notte fra i festeggiamenti. Sinone, che era stato accettato dai Troiani come loro fratello, diede segnale alla flotta, ferma a Tenedo, di partire. I soldati, usciti dal cavallo, uccisero le sentinelle e aprirono le porte della città ai loro compagni.\n\nIl sacco di Troia.\nGli Achei entrarono così in città e ne uccisero gli abitanti. Ne seguì un grande massacro che continuò anche nella giornata seguente: «Il sangue scorreva in torrenti, faceva marcire il terreno, era quello dei Troiani e dei loro alleati stranieri morti. Tutta la città da su e giù era bagnata del loro sangue» (Quinto Smirneo).\nTutto non andò però come volevano gli Achei: i Troiani, alimentati dall'alcool e dalla disperazione, lottarono ancora più ferocemente. Con la lotta al culmine e la città in fiamme, i nemici si rivestirono delle armi e, con grande sorpresa dei Greci, contrattaccarono in combattimenti caotici in strada. Tutti cercavano di difendere la propria città, lanciando tegole o altri oggetti sulle teste dei nemici che passavano. Euripilo, il figlio di Telefo, fu tra coloro che si batterono fino all'ultimo, uccidendo Macaone, Nireo e Peneleo, ma venendo ucciso a sua volta da Neottolemo. Questi poi uccise Polite e Priamo, che aveva cercato di rifugiarsi presso l'altare di Zeus del proprio palazzo. Menelao uccise Deifobo, marito di Elena dopo la morte di Paride, mentre questi dormiva e avrebbe anche ucciso Elena se non fosse rimasto abbagliato dalla sua bellezza. Gettò così la spada e la riportò sulla sua nave.\nAiace Oileo stuprò Cassandra sull'altare di Atena mentre lei si aggrappava alla statua. A causa dell'empietà di Aiace, gli Achei, esortati da Odisseo, volevano ucciderlo a sassate ma lui riuscì a fuggire nell'altare stesso di Atena e a salvarsi.\nAntenore, che aveva dato ospitalità a Menelao e Odisseo quando loro chiesero il ritorno di Elena, e che li aveva difesi, fu salvato insieme alla sua famiglia. Enea prese il padre Anchise sulle spalle, tenne per mano il figlio Ascanio e fuggì dalla città seguito da alcuni concittadini, protetti da un'aura creata da Afrodite (tuttavia perse la moglie Creusa). Secondo Apollodoro venne salvato a causa della pietà dimostrata nei confronti dei nemici.\nI Greci incendiarono poi la città e si divisero il bottino. Cassandra fu data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo, Ecuba a Odisseo. Proclo dice che Odisseo gettò dalle mura della città il piccolo Astianatte, Apollodoro dice che autore dell'infanticidio fu Neottolemo o per sete di sangue, come dice Quinto Smirneo, o per continuare un ciclo di vendetta che i figli ereditano dai padri (Achille uccise Ettore, Neottolemo uccise Astianatte), tesi che viene accettata da Euripide. Neottolemo sacrificò poi la giovane Polissena sulla tomba di Achille come richiesto dal suo fantasma, o perché voleva il bottino di guerra che gli spettava anche da morto o perché lei lo aveva tradito.\nEtra, la madre di Teseo, era una delle schiave di Elena e venne liberata da Demofonte e Acamante.\n\nI ritorni.\nGli dei erano adirati per la distruzione dei loro templi e i sacrilegi commessi dagli Achei verso i vinti. Decisero quindi che molti di loro non sarebbero dovuti tornare a casa salvi. Un temporale li travolse nelle vicinanze di Tenedo. Nauplio, il padre di Palamede, desideroso di vendetta, mise delle luci false in cima al capo Capareo, causando il naufragio di molte navi.Nestore, che aveva dimostrato la migliore condotta sotto le mura di Troia e non aveva preso parte al saccheggio, fu l'unico eroe ad avere un ritorno veloce e indolore, insieme al figlio Trasimede. Tutti gli uomini del suo esercito giunsero a casa sani e salvi. In seguito Nestore conquistò con i suoi uomini il Metaponto.\nAiace Oileo, che aveva più di ogni altro causato l'ira degli dei, non tornò mai più in patria. La sua nave fu ridotta a pezzi da Atena con un fulmine di Zeus. L'equipaggio riuscì a sbarcare su uno scoglio ma Aiace, colmo di prepotenza, gridò di essersi salvato perché gli dei non avrebbero potuto mai ucciderlo. Dopo aver detto queste parole, Poseidone lo fece cadere dallo scoglio con un colpo di tridente facendolo morire annegato. Venne seppellito da Teti.Teucro, figlio di Telamone e fratello di Aiace il Grande, fu mandato in esilio dal padre per non aver aiutato il fratello a salvarsi dal suicidio. Non gli fu infatti permesso di sbarcare a Salamina e fu costretto a rimanere nella terra vicina di Peirea. Fu comunque assolto dalla responsabilità della morte del fratello ma condannato per non aver riportato in patria il corpo o le armi dell'eroe. Si recò coi propri uomini a Cipro dove fondò una città, chiamandola Salamina, in onore della terra natia. Gli ateniesi crearono in seguito un mito politico secondo il quale il figlio di Teucro affidò il dominio della città ai discendenti di Teseo, dando dunque il primato agli ateniesi.\nNeottolemo invece, su consiglio di Eleno, divenuto suo schiavo, viaggiò sulla terraferma portando con sé i propri uomini e il proprio bottino. Incontrò Odisseo e insieme a lui seppellì Fenice, maestro di Achille, nella terra dei Ciconi. In seguito conquistarono insieme le terre dell'Epiro. Da Andromaca ebbe tre figli: Molosso, che avrebbe poi ereditato il suo regno, Pielo e Pergamo, futuro re d'Arcadia. I re dell'Epiro si dicevano discendenti di Achille come fece poi in seguito Alessandro il Grande, la cui madre era di quei luoghi. Il grande condottiero macedone diceva persino di discendere da Eracle. Eleno fondò in Epiro una città, Neottolemo gli diede in moglie la madre Deidamia. Dopo la morte di Peleo, Neottolemo divenne poi re di Ftia. Ebbe però una contesa con Oreste, figlio di Agamennone, sulla figlia di Menelao, Ermione, e venne ucciso a Delfi dove fu seppellito. Infine, dopo la morte di Neottolemo, il regno dell'Epiro passò ad Eleno che sposò Andromaca e accolse i rifugiati troiani, fra cui il più importante da ricordare è Enea.\nDiomede fu gettato da una tempesta in terra di Licia dove sarebbe stato sacrificato ad Ares dal re Lico (desideroso di vendicare la morte di Sarpedone) se la figlia di quest'ultimo, Calliroe, non l'avesse aiutato a fuggire. Sbarcò poi accidentalmente in Attica. Gli ateniesi, pensando fosse un nemico, lo attaccarono. Molti compagni di Diomede rimasero uccisi ed egli riuscì a ritornare sulla sua nave perdendo però il Palladio, finito nelle mani di Demofonte. Tornò finalmente ad Argo dove trovò la moglie Egialea nel pieno di un adulterio. Disgustato, riparò in Etolia e in seguito nell'Italia Meridionale dove fondò diverse città.Filottete, a causa di una sedizione, fu cacciato dalla propria terra e costretto a recarsi in Italia. Qui fondò diverse città fra cui Crotone. Combatté in Lucania, dove dedicò un santuario ad Apollo Vagabondo, cui donò il proprio arco.Idomeneo, secondo Omero, tornò a Creta sano e salvo. Vi è però un'altra tradizione molto più famosa. Durante il viaggio di ritorno la nave del re cretese incappò in un violento temporale che sembrava non dovesse aver mai fine. Promise a Poseidone di sacrificare il primo essere vivente che avesse visto dopo essere sbarcato se il dio del mare l'avesse salvato insieme al suo equipaggio. Approdò così a Creta ma il primo essere vivente che vide fu suo figlio che, a malincuore, dovette sacrificare. Gli dei, adirati per un atto così spregevole, colpirono l'intera isola con un'epidemia. Idomeneo fu mandato dunque in esilio in Calabria, e poi in Asia minore, dove morì.\n\nIl casato di Atreo.\nDopo il sacco di Troia, Menelao si mise in mare per il ritorno insieme alla sua flotta, ma al momento di doppiare Capo Malea, una tempesta li sbatté sull'isola di Creta, dove la maggior parte delle navi affondò. Menelao ed Elena scamparono alla morte e sbarcarono infine in Egitto, dove rimasero ben cinque anni e dove Menelao accumulò ingenti ricchezze. Infine lasciarono l'Egitto, ma fu un viaggio assai breve, perché una bonaccia di vento li costrinse a fermarsi sull'isola di Faro, presso le foci del Nilo. Rimasero per venti giorni sull'isola e quando già la fame cominciava a farsi sentire, il dio Proteo, che su quell'isola risiedeva, consigliò a Menelao di tornare in Egitto e lì offrire sacrifici agli dei (e lo informò del fato dei suoi compagni). Menelao così fece e in questo modo poté tornare a Sparta. Erano passati otto anni dalla sua partenza da Troia e diciotto da quando la guerra era cominciata. Una volta tornato a Sparta, Menelao regnò per molti anni insieme a Elena, da cui ebbe i figli Ermione e Nicostrato. Alla fine della sua lunga vita egli fu portato nei Campi Elisi senza morire, onore accordatogli da Zeus per essere stato suo genero.\n\nAgamennone ritornò in patria poco dopo la fine della guerra (nonostante l'ombra di Achille avesse tentato di trattenerlo predicendogli le sue future disgrazie), portando con sé la schiava Cassandra e il bottino di guerra. Nel frattempo però la moglie Clitennestra aveva intessuto una relazione con Egisto, figlio di Tieste, sicché i due ordirono un complotto che permise loro di uccidere Agamennone e Cassandra, ottenendo quindi il comando di Argo (o Micene). Dieci anni dopo, Oreste, figlio di Agamennone (che era stato esiliato dagli assassini del padre), tornò in patria e vendicò Agamennone uccidendo Egisto e la propria madre Clitennestra.\n\nIl ritorno di Odisseo.\nI dieci anni che Odisseo passò vagabondando prima di poter tornare nell'isola di Itaca sono l'argomento dell'Odissea, il secondo grande poema attribuito a Omero. Odisseo e i suoi uomini furono spediti in terre lontane e sconosciute per i Greci. Lì Odisseo fu protagonista di diverse imprese, come il celebre incontro col ciclope Polifemo, incontro che gli costerà con l'eterna ira di Poseidone. Ebbe perfino un'udienza nell'aldilà col celebre indovino Tiresia. Sull'isola del Sole, la Trinacria, gli uomini di Odisseo mangiarono i buoi sacri ad Elio. Questo sacrilegio costò la vita ai compagni di Odisseo e la distruzione completa della flotta itachese. Odisseo, l'unico a non essersi cibato dei buoi del sole, fu anche l'unico ad avere salva la vita. A causa di una tempesta naufragò nell'isola di Ogigia dove visse insieme alla ninfa Calipso. Dopo sette anni gli dei decisero di rimandarlo a casa; su una piccola zattera riuscì a raggiungere la terra di Scheria, popolata dai Feaci, che lo aiutarono a tornare a Itaca.\nUna volta giunto a Itaca, Odisseo cercò di riprendere possesso della propria casa, vestito da mendicante. Venne riconosciuto dal fedele cane Argo che morì subito dopo. Lì scoprì che la moglie Penelope gli era rimasta fedele durante i suoi vent'anni di assenza, nonostante il palazzo fosse pieno di pretendenti che, in quel periodo, stavano scialacquando tutti i beni del re. Con l'aiuto di Telemaco, Atena, e il porcaro Eumeo, uccise tutti i pretendenti e le ancelle divenute loro amanti, lasciando soltanto in vita Medonte, l'araldo dei Proci, benvisto da Penelope, sempre gentile, e il cantore Femio che venne risparmiato per intercessione di Telemaco. Penelope però non accolse lo sposo all'istante, prima volle metterlo alla prova e, non appena lo riconobbe, lo perdonò per la sua assenza.\n\nLa Telegonia.\nLa Telegonia riprende la storia dell'Odissea dal momento in cui i pretendenti vengono sepolti fino alla morte di Odisseo. È anche stavolta Proclo a fornirci la trama del poema. Dopo l'eccidio dei Proci, Odisseo sarebbe giunto in Tesprozia, dove incontrò e sposò la bella regina Callidice; da questa unione nacque Polipete. Insieme alla sua nuova sposa Odisseo rivisse i fasti bellici, conducendo i Tesproti in guerra contro i Brigi. In questo contesto le truppe dell'eroe vennero messe in rotta da Ares, che tenne così testa ad Atena, protettrice come sempre di Odisseo, fintanto che Apollo non separò le due divinità contendenti. Soltanto dopo la morte di Callidice Odisseo lasciò la Tesprozia, il cui regno passò nelle mani del figlio Polipete, e rincasa definitivamente ad Itaca, accanto alla sua Penelope (divenuta nel frattempo madre di Poliporte). Dopo il ritorno di Odisseo, Telegono figlio dell'eroe e della dea Circe, si recò a Itaca e la depredò. Odisseo morì nel vano tentativo di difendere la propria isola, ucciso proprio dal figlio senza che essi si riconoscessero. Non appena Telegono scoprì di aver ucciso il padre, prese il suo corpo e lo portò alla madre, in compagnia di Telemaco e Penelope. Circe decise di rendere immortali i due figli di Odisseo e Penelope. Dopodiché Telemaco sposò Circe e Penelope Telegono.\n\nI viaggi di Enea e di Antenore.\nEnea riuscì a fuggire da Troia in fiamme, col padre Anchise, il figlio Ascanio (o Iulo in latino), il fratellastro Elimo, la nutrice Caieta, alcuni servi, lo scudiero Acate, il trombettiere Miseno, il medico Iapige e molti guerrieri troiani e loro alleati, portandosi dietro le statue degli antenati. Sua moglie Creusa morì invece durante il sacco della città.\nEnea e i suoi abbandonarono dunque Troia con una piccola flotta, cercando una nuova terra dove poter vivere.\nTentarono di stabilirsi prima a Creta, da dove Dardano, primo re di Troia, era partito ma trovarono la terribile pestilenza mandata lì contro Idomeneo. Sostarono per breve tempo nella colonia di Eleno e Andromaca. Dopo sette anni giunsero sulle coste della Libia (come si chiamava allora l'Africa), dove la regina Didone, fuggita dalla natia Fenicia per non essere uccisa dal fratello, che le aveva già assassinato il marito Sicheo, stava fondando la città di Cartagine. Qui Enea, ebbe una relazione con la regina Didone. Gli dei decisero però che il viaggio doveva continuare, perché questo era il volere del Fato. Didone per la disperazione si uccise ma prima di morire maledisse la discendenza di Enea, dando così origine all'odio che avrebbe diviso, secoli dopo, i Romani e i Cartaginesi. Enea e i suoi uomini giunsero infine in Italia. Lì la Sibilla Cumana lo fece scendere nell'Ade, mostrando i grandi uomini che sarebbero discesi da lui.\nGiunto infine in Lazio, Enea chiese l'appoggio del re di Laurento, Latino, e la mano della figlia di quest'ultimo, Lavinia. Tutto questo provocò una guerra con le varie tribù locali che si concluse col duello fra Enea e Turno, legittimo pretendente alla mano della fanciulla. Enea uccise il suo nemico e insieme al figlio Ascanio fondò la città di Albalonga. Da Silvio, figlio avuto con Lavinia, discesero Romolo e Remo, mitici fondatori di Roma.\nI dettagli del viaggio di Enea, il suo amore per Didone, lo scontro con Turno sono l'argomento dell'opera di Virgilio, l'Eneide.\nAnche Antenore, il vegliardo troiano, emigrò in Italia, giungendovi però prima di Enea. Egli approdò in Veneto: con lui c'erano i pochi figli superstiti e alcuni combattenti alleati, tra cui il principe meone Mestle e gli Eneti della Paflagonia (che a Troia avevano perso il loro comandante Pilemene), da cui poi i Veneti. Antenore e Mestle fondarono rispettivamente Padova e Mestre; in seguito un amico di Antenore, tale Opsicella, avrebbe contribuito alla formazione di un nuovo insediamento, Monselice.\n\nI più noti partecipanti.\nGreci.\nTroiani e loro alleati.\nBase storica.\nLa storicità della guerra di Troia è ancora oggetto di discussione. Alcuni pensano che le storie di Omero siano in realtà l'unione di diversi conflitti accesisi tra Greci e il mondo anatolico nel periodo miceneo. In questa unione lui inserisce inoltre le figure divine e diverse metafore. Già nell'antichità si dibatteva sulla storicità dell'evento: la maggior parte dei greci pensava che la guerra di Troia fosse un fatto realmente accaduto, altri pensavano che Omero avesse ingigantito a scopi poetici un avvenimento non famoso come quello descritto. Tucidide, famoso per il suo spirito critico, crede che sia un fatto realmente accaduto ma dubita, ad esempio, che 1186 navi possano davvero essere giunte a Troia. Euripide cambiò i connotati di diversi miti, inclusi quelli della guerra di Troia.\nFino agli anni '70 dell'Ottocento gli studiosi concordavano sul fatto che la guerra di Troia non fosse mai accaduta e fosse soltanto frutto di una mente ingegnosa. Heinrich Schliemann cambiò però le carte in tavola, scoprendo, con stupore di tutti, la città di Troia in Asia Minore e quella di Micene in Grecia.\nMolti studiosi oggi sono d'accordo sul fatto che la guerra di Troia possa avere un substrato reale, dubitando però del fatto che gli scritti di Omero narrino fedelmente la vicenda e delle sue proporzioni.\n\nWilusa, gli Ittiti e la confederazione di Assuwa.\nNel XX secolo alcuni studiosi hanno tentato di proporre delle conclusioni basandosi su testi ittiti e dell'Antico Egitto, contemporanei ai fatti della supposta guerra di Troia; il ricavato è una descrizione generale della situazione politica nella regione al tempo, ma senza alcuna informazione su questo specifico conflitto.\nI testi provenienti dagli archivi ittiti, potenza egemone in Anatolia nel II millennio a.C., come la lettera di Tawagalawa, parlano di un regno di Ahhiyawa, verosimilmente uno o più regni micenei, che giace oltre il mare (identificabile con l'Egeo) e controlla Millawata, nome con cui è riconoscibile Mileto, nota per essere stata una colonia achea.\nIn altri testi viene menzionata la cosiddetta confederazione di Assuwa, formata da 22 città dell'area Arzawa (Ovest anatolica), di cui fa parte anche la città di Wilusa, identificata da Schliemann con la Ilio (o Troia) omerica, città da sempre vassallo ittita. Un altro testo, la lettera di Millawata, spiega che questa città si trova nella zona nord della confederazione di Assuwa, oltre il fiume Seha.\nL'identificazione di Wilusa con Troia fu controversa negli anni novanta, ma guadagnò l'approvazione della maggioranza del popolo accademico ed è oggi accettata.\nIl quadro storico quindi propone Troia/Wilusa come una città-Stato realmente esistita, in posizione strategica per i commerci sullo stretto dei Dardanelli e quindi obiettivo molto appetibile, collocata in un'area dove i Micenei ebbero in effetti ripetuti e prolungati interessi politici e commerciali, più che sufficienti a far nascere un conflitto; unica discordanza significativa con i testi classici è il fatto che la città non fosse un potente regno indipendente, ma uno storico vassallo dell'impero più vasto del periodo, quello ittita.\nEsaminando i testi ittiti, si trova almeno uno scontro armato, con protagonisti Ittiti e Ahhiyawa, che coinvolga Wilusa: è quello narrato nella lettera di Manhapa-Tarhunta e poi ripreso a posteriori nella già citata lettera di Tawagalawa, databile al 1285-80 a. C. e quindi anche compatibile con la cronologia classica; lo scontro fu di proporzioni certo non paragonabili ai testi omerici, ma colpisce che un contingente acheo (o, comunque, supportato dagli Achei) attaccasse ed espugnasse Wilusa, riuscendo a governarla per un breve periodo. L'intervento del re Muwatalli II riporterà, però, in breve la città sotto il controllo ittita.\nNel trattato di Alaksandu (1280 a.C.), testo che segue il suddetto conflitto, il nuovo re della città che rinnova il vassallaggio verso gli Ittiti, è chiamato appunto Alaksandu: deve essere notato che il nome che Omero ci dà di Paride, il figlio di Priamo (ma così chiamato anche altri testi), è Alessandro.\nLa successiva lettera di Tawagalawa, indirizzata al re Ahhiyawa da un sovrano ittita, conferma che fosse avvenuto uno scontro armato tra le due potenze: «Ora noi siamo venuti ad un accordo su Wilusa, sulla quale andammo a scontrarci'.\nNel 1230 a.C. circa il re ittita Tudhaliya IV (1237-1209 a.C.) intraprese una campagna militare contro alcuni Stati vassalli di quest'area che gli si erano ribellati in moti indipendentistici sobillati da Ahhiyawa.\nÈ possibile, dunque, che alla base della leggenda della guerra contro Troia vi siano stati ripetuti conflitti di modesta entità che avrebbero visto coinvolti l'impero ittita, i sovrani Ahhiyawa e gli Stati dell'area Arzawa (Assuwa), poi cementatisi nella tradizione orale degli aedi in un unico, vasto conflitto.\nQuesta visione è stata sostenuta perché l'intera guerra include inoltre lo sbarco in Misia (e il ferimento di Telefo), le campagne di Achille nel nord dell'Egeo, le campagne in Tracia e Frigia di Aiace Telamonio. La maggior parte di queste regioni facevano parte della confederazione di Assuwa. Si nota inoltre che c'è una grande somiglianza fra i nomi dei cosiddetti Popoli del Mare che in quel tempo facevano scorrerie in Egitto, come sono elencati da Ramses III e Merenptah, e i nomi degli alleati di Troia.\nAncora vi è dibattito sull'esistenza reale di quei fuochi che passando per tutta la Grecia avvertivano gli Achei rimasti in patria dell'esito della guerra o se questa sia soltanto un'invenzione di Eschilo. Mentre c'è chi attesta che ci fosse davvero questa rete di comunicazione al tempo della Grecia antica e del periodo bizantino, non sappiamo se vi fosse ai tempi della guerra di Troia. Eschilo è l'unica fonte che lo menziona, nel prologo della tragedia Agamennone.\nIl fatto poi che la maggior parte degli eroi achei, tornati dalla guerra, abbiano deciso di non tornare in patria, ma di fondare colonie in altri luoghi viene spiegato da Tucidide col fatto che quelle città, senza un comandante, erano in declino a causa della loro assenza. L'interpretazione più seguita dagli studiosi è che i comandanti achei furono cacciati dalle loro terre per dei tumulti alla fine dell'epoca micenea e preferirono richiamare i discendenti dall'esilio della guerra di Troia.\n\nLe scoperte di Schliemann.\nLa scoperta nel 1870 dell'archeologo e uomo di affari Heinrich Schliemann delle rovine di Troia sulla collinetta di Hissarlik in Turchia hanno rilanciato un vecchio dibattito sulla storicità degli avvenimenti riferiti da Omero. Carl Blegen concludeva, nel 1963, in seguito ai suoi lavori realizzati a partire dalle scoperte di Schliemann e il ritrovamento del cosiddetto 'tesoro di Priamo', che probabilmente vi fu uno scontro tra Greci e Troiani. Tuttavia, fu attestato che il tesoro in questione risaliva al II millennio a.C. e non poteva dunque essere associato all'episodio della guerra di Troia.\nSchliemann trovò nove strati basandosi sui poemi Omerici e scoprì che il settimo corrispondeva a quello risalente alla guerra di Troia, databile intorno al 1220 a.C.\nPer Claude Mossé, professore all'Università di Parigi, non si potrà mai provare con certezza l'esistenza o no del conflitto. Quanto agli storici antichi, Tucidide dice già che l'importanza che Omero aveva dato al conflitto era esagerata: la guerra avrebbe sì avuto luogo, ma l'importanza che i Greci le diedero fu influenzata dal loro forte sentimento di nazionalismo.\nGli scavi che sono stati realizzati sul sito della città di Troia hanno permesso di mettere in evidenza la presenza di diversi strati, tutti di epoche diverse.\n\nPossibili teorie.\nLa città di Troia VI (1800-1300 a.C.) è quella che corrisponde al periodo di massimo splendore della città, era munita di bastioni e la sua zona abitata occupava circa venti chilometri quadrati, avrebbe dunque potuto resistere anche a una guerra di dieci anni. La Troia VI è inoltre datata alla stessa epoca dell'apogeo miceneo (da non dimenticare che Agamennone, comandante supremo della spedizione, era appunto re di Micene). La città è stata distrutta da un terremoto, attestato dall'archeologia. Questa catastrofe naturale potrebbe essere all'origine della leggenda del cavallo di Troia, un'offerta a Poseidone, che era inoltre dio dei terremoti.\nComunque, il corpus di miti e leggende su Troia dei Greci prevedeva una distruzione di Ilio a causa di un terremoto, a cui era seguita la conquista di Ercole, che aveva risparmiato solo un piccolo principe, Priamo.\nInoltre, non dobbiamo prendere alla lettera il periodo di 10 anni (o meglio 9 anni d'assedio e vittoria al decimo), proposto da Omero: nell'età del bronzo in Mesopotamia si usava l'espressione '9 e poi un altro' per indicare una quantità di tempo molto lunga, così come l'espressione italiana 9 volte su 10 non vuole indicare quantità precise.\nQuando il corpus dell'Iliade fu composto, probabilmente, l'espressione era utilizzata in questo senso, ma rimase poi, intesa in senso letterale, nel poema.\nSchliemann scoprì in seguito (1876) la rocca di Micene.\n\nLe armi della guerra di Troia.\nAnche se Micene, grande potenza marina, scagliò contro Troia un esercito di 1200 navi e sebbene Paride avesse costruito una flotta prima di partire verso Sparta, nell'Iliade non vi è alcuna battaglia marina. Perecleo stesso, il costruttore navale di Troia, combatte a piedi.\nGli eroi dell'Iliade erano abbigliati accuratamente e rivestiti di armature splendide e ben disegnate. Loro percorrevano il campo di battaglia sopra carri da guerra, da lassù scagliavano una lancia sulla formazione nemica, scendevano, tiravano l'altra lancia, dopodiché prendevano parte al combattimento corpo a corpo. Aiace Telamonio portava con sé un gigantesco scudo rettangolare che non solo proteggeva lui, ma anche il fratello Teucro:.\n\nLe armi e le armature descritte nell'Iliade vennero ritenute a lungo conformi a quelle del medioevo ellenico, ma differenti da quelle della tarda età del bronzo, in particolare perché non si conoscevano armature di bronzo nell'età del bronzo micenea.\nNel ventunesimo secolo, pur riconoscendo che molte tattiche, armi e pratiche militari descritte nel poema omerico (ed in altre opere relative) si riferiscono all'età del ferro (e anche ad epoche immediatamente successive al medioevo ellenico), si scoprono interessanti corrispondenze tra le tecnologie micenee (e anatoliche) di quel periodo e quelle descritte nei poemi omerici.\nIn particolare la panoplia di Dendra dimostra l'esistenza di armature di bronzo in età micenea (anche se di tipo differente da quelle descritte nel poema) per altro con un elmo, in cuoio e zanne di cinghiale, identico a quello descritto da Omero per Odisseo. A Tebe è poi stata scoperta un'armatura d'età micenea più compatibile con quelle descritte nel poema (snodata e ricca di lacci di cuoio che sostengono varie piastre), a Cnosso è stato rinvenuto un vaso a forma di corazza (compatibile con quelle dell'Iliade e appena più antico), mentre le armature a campana (tipiche dell'età del ferro greca) sono rare nei poemi omerici.\nInoltre nelle tavolette di lineare B si scoprono sempre più numerosi riferimenti ad armature ed elmi a piastre, di tipo modulari, molto simili a quelle descritte nei poemi omerici, dove sono definiti Tretrafaleros, mentre reperti militari simili a quelli descritti nel poema sono rinvenuti (o rappresentati) in livelli della tarda età del bronzo ciprioti ed anatolici.\nInfine lo scudo a torre (simile a quello di Aiace), inizialmente considerato poco corrispondente alla tarda età del bronzo (ma presente tra il 1500 e il 1300 a.C. soprattutto a Tirinto ed in contesti minoici, associato a scudi a 8), è stato trovato raffigurato su diversi frammenti di ceramica d'tà compresa tra il 1300 e il 1100 a.C.\nOmero descrive in alcuni momenti una formazione da battaglia molto simile alla falange, sebbene questa appaia solo nel VII secolo a.C. Ma era davvero in questa maniera che fu combattuta la guerra di Troia? La maggior parte degli studiosi crede di no. Il carro da guerra era il mezzo principale in questa guerra, come nella battaglia di Kadesh, ad essa probabilmente contemporanea. Comunque si evidenzia nei dipinti del palazzo di Pilo che i Greci combattessero sul carro da guerra in coppia, l'auriga e il combattente con una lancia lunga in mano, a differenza dei carri a tre ittiti, con due guerrieri con lance corte, o quelli egiziani, con arco e frecce. Omero è consapevole di questo e nell'Iliade è evidenziato l'uso principale del carro in guerra.\nNestore dice nel quarto libro dell'Iliade:.\n\nPer Omero questo è però un modo di combattere antiquato, usato principalmente da vecchi combattenti o da uomini di un piccolo regno, come Pilo. Nestore descrive una battaglia fra Pilo e l'Elide, il cui mezzo principale era il carro da guerra. In quel periodo era giovane, ma al tempo della guerra di Troia Nestore è molto anziano.\nAchille usa invece il suo carro principalmente per avanzare dietro le file nemiche e colpire da dietro, provocando così un terribile massacro. Karykas crede che la lotta sui carri da guerra sia stata abbandonata dai Greci un po' prima della guerra di Troia e che quindi Omero descriva i fatti come sono realmente accaduti. Fra i seguaci di questa teoria c'è chi crede che Omero spieghi i fatti realisticamente perché egli stesso era presente ai fatti, diversi scrittori, antichi e moderni, hanno svolto anche incarichi bellici, ricordiamo ad esempio Archiloco, poeta della lirica antica. Omero descrive la guerra come lui stesso l'ha vissuta.\nVi è però un certo consenso nel ritenere che Omero, ammesso che sia esistito e non sia la somma di più poeti, visse durante il medioevo ellenico o subito prima della fine di questo. In particolare dovrebbe essere stato molto anziano quando Esiodo era molto giovane. Quindi è verosimile che descriva la guerra a lui contemporanea, ma questa sia quella del medioevo ellenico, con l'aggiunta di alcuni elementi, veritieri, tramandati oralmente, come gli elmi di corni di cinghiale e i carri da guerra.\nVi è poi un'ulteriore possibilità: verso il 1200-1300 a.C. è presumibile, anche se discusso, che i metodi di guerra iniziarono a cambiare; già a Kadesh la fanteria può essersi schierata dietro selve di scudi, formando un'istrice di lance (una sorta di protofalange, ancora piuttosto lasca ed irregolare, proprio come quella descritta da Omero) mentre l'armatura e l'armamento dei fanti si potenziavano. Verso il 1100 a.C. potrebbe quindi essere nata una fanteria pesante, capace di tener testa ai carri da guerra, e quindi questi si siano trovati degradati a taxi da battaglia, conformemente a quanto descritto nell'Iliade.\nQuesto stile di combattimento fu poi conservato fino al IX o VIII secolo a.C. quando iniziò, verso la fine del medioevo ellenico, a svilupparsi la moderna panoplia greca e caria, e quindi fu possibile combattere con 'vere' falangi.\nSi tenga inoltre presente che il carro da guerra era l'unico tipo di cavalleria militare possibile durante l'età del bronzo, poiché la monta dei cavalli (per altro, all'epoca, alti 90–120 cm, anche se conformati già come cavalli e non come pony) era poco praticata, difficoltosa e, senza morso e sella, impediva al cavaliere di essere contemporaneamente armato. Solo verso il 1000 a.C. fu possibile incontrare delle cavallerie militari 'vere' (arcieri a cavallo Sciiti, Medi, Persiani e Cimbri).\n\nLa guerra di Troia nella letteratura e nell'arte.\nIliade e Odissea sono il modello della letteratura epica occidentale, sebbene abbiano una struttura narrativa profondamente diversa. L'Iliade è un esempio di narrazione cronologica degli eventi: tuttavia, rispetto alle favole, il racconto si concentra su un fulcro della vicenda. L'Odissea è uno dei primi esempi letterari di narrazione non cronologica e di uso del flashback: si trattò di innovazioni notevoli rispetto all'epica tradizionale.\nOltre ai testi di Omero, dei tragediografi e del ciclo epico, la guerra di Troia è, in particolare, trattata in: Aiace di Ugo Foscolo, Troilo e Criseide di Geoffrey Chaucer, Troilo e Cressida di William Shakespeare, Ifigenia e Polissena di Samuel Coster, Palamede di Joost van den Vondel e le Troiane di Hector Berlioz.\nIn campo pittorico è notevole la Sala dell'Iliade nella Villa Valmarana 'Ai Nani', con affreschi di Giovanbattista Tiepolo. La guerra di Troia è stata rappresentata nel cinema e in produzioni televisive: basti ricordare le pellicole Elena di Troia di Robert Wise (1956), La guerra di Troia di Giorgio Ferroni (1961), L'ira di Achille di Marino Girolami (1962) e Troy di Wolfgang Petersen (2004). Quest'ultima sebbene non sia fedele al mito omerico ne dimostra il duraturo fascino. Da citare, infine, il fumetto L'età del bronzo di Eric Shanower." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Hadestown (musical).\n### Descrizione: Hadestown è un musical con colonna sonora e libretto di Anaïs Mitchell. Basato sul quarto album della Mitchell, il musical racconta in chiave indie punk il mito di Orfeo ed Euridice, in un'ambientazione post-apocalittica vagamente ispirata alla Grande depressione. Il musical debuttò nell'Off Broadway nel 2016 con la regia di Rachel Chavkin e, dopo numerose revisioni e cambiamenti, nuove produzioni sono andate in scena ad Edmonton (2017), Londra (2018) e Broadway (2019). Al suo debutto a Broadway ha vinto il Tony Award al miglior musical.\n\nTrama.\nAtto I.\nIn un periodo post-apocalittico di grande povertà, il dio Ermes, il narratore, introduce i protagonisti: il musicista squattrinato Orfeo, la bella Euridice, Persefone, Ade e le Moire ('Road to Hell'). Euridice e le Moire descrivono come vivono in un mondo in cui non esistono più la primavera e l'autunno, ma solo estati brucianti e inverni tempestosi e gelidi, e per questo si è costretti a spostarsi in continuazione e non si possono creare relazioni, ma nonostante ciò Euridice sogna di fermarsi e vivere una vita stabile. Orfeo invece vive sotto la protezione di Ermes dopo che sua madre, una musa, l'ha abbandonato ('Any Way the Wind Blows').\nEuridice arriva al villaggio di Orfeo e lui si innamora all'istante di lei e le chiede di sposarlo, Euridice però è diffidente, allora lui le rivela il suo piano di scrivere una canzone per riportare la primavera e la stabilità nel mondo ('Come Home With Me I'). Euridice è ancora un po' dubbiosa e gli chiede come faranno ad organizzare il matrimonio quando vivono tutti e due in povertà, Orfeo le risponde che con la sua musica riuscirà a convincere la natura ad aiutarli, allora lei lo spinge a cantare la sua canzone, nonostante non sia ancora finita, e rimane incantata quando Orfeo, cantandola, riesce a far sbocciare un fiore rosso ('Wedding Song'). In seguito Ermes chiede a Orfeo dove avesse sentito quella canzone e lo invita a cantare la storia di Persefone e Ade, facendogli scoprire che era la stessa canzone che gli dei cantavano quando il mondo era in armonia, molti anni prima ('Epic I').\nDopo un po' di tempo, in ritardo per la primavera, arriva Persefone a godersi la bella stagione e invitando gli abitanti a vivere con quello che si riceve dalla vita, mentre Orfeo brinda al mondo che sogna e alle speranze di un futuro migliore ('Livin' It Up On Top'). Dopo i festeggiamenti, Euridice riflette sul suo amore per Orfeo e come non voglia più tornare ad essere sola, e i due si promettono di stare sempre insieme attraverso tutte le difficoltà ('All I've Ever Known').\nNonostante non siano ancora passati sei mesi presto arriva un treno Ade, per riportare Persefone a Hadestown, e tutti cantano come Ade sia un uomo molto ricco che ha tutto, ma Hadestown sia un posto terribile in cui le persone vanno piene di sogni ma non tornano più, nonostante ciò Euridice è incuriosita ('Way Down Hadestown').\nCon il ritorno di Persefone nella fabbrica sotterranea di Ade, l'inverno ritorna sulla terra e per gli sposini la vita diventa sempre più dura ('A Gathering Storm'). Mentre l'inverno va avanti, Orfeo continua a scrivere musica mentre Euridice lo spinge a trovare un lavoro per mantenersi ('Epic II'). Intanto, nell'oltretomba, i lavoratori lavorano come schiavi e Persefone si lamenta con Ade, che la accusa di non apprezzare tutte le cose che lui fa per lei ('Chant I'). Ade lascia il suo regno sotterraneo, Hadestown, per cercare qualcuno che apprezzi il suo lavoro. Si imbatte in Euridice e la tenta con le promesse di lavoro e sicurezza ('Hey Little Songbird'). Sfinita dalla povertà, dalla fame e incoraggiata dalle Moire, la ragazza accetta ('When The Chips Are Dow'). Mentre se ne va parla ad Orfeo, dicendogli che nonostante lo ami non riesca più a sopportare la fame, mentre poi le Moire si rivolgono al pubblico dicendo di non giudicarla per le sue azioni senza aver provato le stesse cose e di come sia difficile avere principii quando si è in povertà ('Gone, I'm Gone').\nIntanto, Orfeo cerca Euridice ed Ermes gli annuncia che la donna ha lasciato la terra per Hadestown. Sconfortato, Orfeo decide di seguirla ed Ermes gli indica una strada alternativa e grazie alla sua musica riesce ad arrivare a destinazione ('Wait For Me'). Intanto a Hadestown, i lavoratori cantano come lavorare sul muro li renda liberi e li protegga dalla povertà ed Euridice viene portata nell'ufficio di Ade per firmare il contratto e iniziare a costruire anche lei il muro ('Why Do We Build The Wall').\n\nAtto II.\nDopo aver firmato un contratto, Euridice realizza di non poter uscire da Hadestown a meno che Ade non scelga di lasciarla andare; resasi conto dell'inganno, lei rimpiange la decisione ma sa di non poter fare nulla per cambiare. Orfeo arriva e supplica Euridice di tornare da lui, ma la donna gli confessa di non poter lasciare Hadestown. Ade irrompe in scena e fa inseguire Orfeo, a cui le Moire consigliano di lasciar perdere, ma Persefone ascolta il dolore di Orfeo e chiede al marito di lasciare andare Euridice. Ade decide di dare ad Orfeo una possibilità e gli ordina di esprimere i suoi sentimenti in musica.\nOrfeo canta la canzone che stava scrivendo per Euridice: la musica ricorda ad Ade del suo amore per Persefone e si commuove, ponendolo quindi in una posizione delicata, perché se lasciasse andare Euridice minerebbe la sua autorità, ma se non lo facesse verrebbe meno alla parola data. Così, decide di lasciare il tutto nelle mani di Orfeo: Ade lascia andare Euridice alla condizione che il cantante non si volti mai per controllare che la ragazza lo stia seguendo. Orfeo fa come gli è stato ordinato ma, a pochi passi dalla fine, si volta e perde Euridice per sempre. Anche se la loro storia finisce tragicamente, Ermes ricorda che il ruolo dell'artista è quello di cantare dei limiti umani, raccontando in eterno la stessa storia nella speranza che questa volta possa finire diversamente.\n\nNumeri musicali.\nNew York Theatre Workshop (2016).\n†Non incluso nell'incisione discografica.\n‡ Non incluso nell'album della Mitchell.\n\nCitadel Theatre, Edmonton (2017).\nLondra e Broadway (2018-2019).\nProduzioni.\nLa prima incarnazione del musical avvenne tra il 2005 e 2006 nel Vermont, lo stato natio della Mitchell, sotto forma di concerto. Dopo la pubblicazione dell'album nel 2010, l'artista continuò a lavorare sul suo progetto; nel 2012, dopo aver visto una produzione di Natasha, Pierre & The Great Comet of 1812, Anaïs Mitchell contattò la regista del musical, Rachel Chavkin, con cui continuò a lavorare sul musical. La Mitchell aggiunse 15 nuove canzoni all'album originale e scrisse anche i dialoghi, per colmare i vuoti della narrazione e rendere i personaggi più tridimensionali e complessi.\nLa prima del musical avvenne al New York Theatre Workshop nell'Off Broadway il 3 maggio 2016 ed Hadestown rimase in scena fino al 31 luglio. Il cast comprendeva Damon Daunno (Orfeo), Nabiyah Be (Euridice), Amber Gray (Persefone), Patrick Page (Ade), Chris Sullivan (Ermes) e Lulu Fall, Jesse Shelton e Shaina Taub (More). Il musical fu candidato all'Outer Critics Circle Award e al Drama Desk Award al miglior musical.\nDall'11 novembre al 3 dicembre 2016 Rachel Chavkin diresse un nuovo allestimento del musical, al Citadel Theatre di Edmonton. Amber Gray e Patrick Page tornarono a interpretare le divinità infernali, mentre T.V. Carpio ricopriva la parte di Euridice, Reeve Carney quello di Orfeo e Kingsley Leggs vestiva i panni di Ermes.La prima europea del musical, sempre con la regia di Chavkin, avvenne al Royal National Theatre il 2 novembre 2018 ed Hadestown rimase in cartellone fino al 26 gennaio 2019. Carney, Page e Gray tornarono ad interpretare i rispettivi ruoli, mentre Eva Noblezada si unì al cast nel ruolo di Euridice ed André De Shields in quello di Ermes. Nella primavera del 2019 il musical debutta a Broadway con il cast del National Theatre. Hadestown fu accolto molto positivamente dalla critica newyorchese ed è stato candidato a quattordici Tony Award, vincendone otto: Miglior musical, Miglior colonna sonora originale (Mitchell), Miglior regia di un musical (Chavkin), Miglior attore non protagonista (De Shields), Miglior scenografia (Rachel Hauck), Miglior disegno luci (Bradley King), Miglior sound design (Nevin Steinberg & Jessica Paz) e Migliori orchestrazioni (Michael Chorney & Todd Sickafoose)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Hadestown.\n### Descrizione: Hadestown è il quarto album della cantautrice Anaïs Mitchell pubblicato nel 2010 dalla Righteous Babe Records di Ani DiFranco. Si può considerare una vera e propria folk opera, rivisitazione nella America moderna dell'antico mito di Orfeo ed Euridice.Alla realizzazione del disco, arrangiato da Michael Chorney e con Ben T. Matchstick come art director, hanno partecipato molti ospiti tra cui la stessa Ani DiFranco, Justin Vernon, Greg Brown.\n\nTracce.\nWedding Song featuring Justin Vernon – 3:18.\nEpic (Part I) featuring Justin Vernon – 2:22.\nWay Down Hadestown featuring Justin Vernon, Ani DiFranco e Ben Knox Miller – 3:33.\nSongbird Intro – 0:24.\nHey, Little Songbird featuring Greg Brown – 3:09.\nGone, I'm Gone featuring The Haden Triplets - 1:09.\nWhen the Chips are Down featuring The Haden Triplets - 2:14.\nWait for Me featuring Ben Knox Miller e Justin Vernon - 3:06.\nWhy We Build the Wall featuring Greg Brown - 4:18.\nOur Lady of the Underground featuring Ani DiFranco - 4:40.\nFlowers (Eurydice's Song) - 3:33.\nNothing Changes featuring The Haden Triplets - 0:52.\nIf it's True featuring Justin Vernon - 3:03.\nPapers (Hades Finds Out) - 1:24.\nHow Long? featuring Ani DiFranco e Greg Brown - 3:36.\nEpic (Part II) featuring Justin Vernon - 2:55.\nLover's Desire - 2:05.\nHis Kiss, The Riot featuring Greg Brown - 4:03.\nDoubt Comes In featuring Justin Vernon - 5:32.\nI Raise My Cup to Him featuring Ani DiFranco - 4:32.\n\nIl musical.\nL'album è stato ampliato dalla Mitchell nell'omonimo musical teatrale debuttato ad Edmonton, in Canada, nel 2016 e che negli anni successivi ha debuttato anche a Londra (2018) e Broadway (2019)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Heinrich Schliemann.\n### Descrizione: Heinrich Schliemann (Neubukow, 6 gennaio 1822 – Napoli, 26 dicembre 1890) è stato un imprenditore e archeologo tedesco.\nDivenne una delle figure più importanti per il mondo dell'archeologia per la rilevanza delle scoperte da lui compiute nel XIX secolo. Raggiunse il massimo culto con la scoperta, dopo anni di ricerche e studi, della mitica città di Troia e del cosiddetto tesoro di Priamo.\n\nBiografia.\nHeinrich Schliemann nacque a Neubukow il 6 gennaio 1822, nel Granducato di Meclemburgo-Schwerin, quinto dei nove figli del pastore protestante Ernst Schliemann (1780-1870) e di Luise, nata Bürger (1793-1831), figlia del sindaco di Sternberg. Fu originariamente battezzato col nome Julius, ma, in seguito alla morte di un fratello, i genitori gli attribuirono il nome del deceduto.\nFu il padre a trasmettere a Heinrich l'amore per le civiltà passate, leggendo i versi dei poemi omerici e descrivendo le gesta degli eroi antichi della leggendaria città di Troia, fino ad allora ritenuta dagli studiosi solo frutto della fantasia. Nel 1829 gli venne regalato un libro di storia per bambini e, secondo quanto affermato nella sua autobiografia, rimase impressionato da un'illustrazione raffigurante Troia in fiamme e, chiedendo lumi al padre sull'imponenza delle mura, il piccolo Heinrich espresse il desiderio di ritrovarle.\nHeinrich frequentò la scuola elementare nel villaggio di Ankershagen, dove il padre era stato trasferito. A nove anni perse la madre e fu affidato alle cure dello zio paterno, il pastore Friedrich Schliemann, che abitava nei pressi di Grevesmühlen. Lo zio affidò la preparazione per il ginnasio al giovane filologo Carl Andress, che apprezzò i rapidi progressi del giovane Heinrich. Schliemann frequentò solo per pochi mesi il ginnasio di Neustrelitz, poiché fu infatti costretto all'abbandono e al trasferimento alla locale Realschule per la scarsità dei mezzi finanziari paterni.\nNel 1836 abbandonò gli studi e iniziò l'apprendistato presso un piccolo commerciante di Fürstenberg. Dimenticò così tutto quello che aveva imparato fino a quando, sempre secondo quanto narrato nella sua autobiografia, venne colpito dalla bellezza di alcuni versi in greco recitati da un ubriaco, il figlio di un pastore locale espulso dal ginnasio per cattiva condotta e divenuto apprendista di un mugnaio. Schliemann racconta quindi di avere speso gli ultimi centesimi che gli rimanevano per comprare da bere all'uomo, purché ripetesse i versi recitati che lo avevano profondamente colpito, tanto da fargli desiderare di imparare il greco antico. Solo in seguito scoprì che erano versi tratti dall'Iliade e dall'Odissea.\nDopo cinque anni e mezzo dovette interrompere l'apprendistato a causa di un incidente sul lavoro che ne compromise la salute. Nel 1841 si trasferì ad Amburgo ma, indebolito nel fisico e poco avvezzo nella pratica della contabilità e della corrispondenza commerciale, non riuscì a trovare un'occupazione stabile. Decise quindi di emigrare in Venezuela e s'imbarcò su una nave che naufragò sulle coste dell'isola olandese di Texel. Ad Amsterdam lavorò come fattorino e, da autodidatta, imparò l'inglese, il francese, l'italiano e il russo.\nNel 1850 salpò per gli Stati Uniti, dove incominciò ad arricchirsi, prestando denaro ai cercatori d'oro. Subì un processo per frode e quindi tornò a San Pietroburgo, dove qualche anno prima aveva intrapreso la carriera di commerciante.\nNel 1852 sposò Caterina Petrovna Lyschinla, figlia di un avvocato benestante della città russa. La guerra di Crimea, che scoppiò l'anno dopo, gli portò una grande ricchezza: Schliemann rifornì di vettovaglie e materiale bellico le truppe dello zar. Contemporaneamente iniziò a studiare nuove lingue, circa una ventina: all'inizio francese, inglese, spagnolo, ma poi anche altre come arabo ed ebraico, e il greco antico per poter leggere direttamente le imprese degli eroi narrate dal mitico cantore. Schliemann ideò un metodo di studio assai efficace; infatti le prime lingue le studiò in un anno, ma le ultime, come l'arabo, in sole sei settimane.\n\nLa spedizione in Anatolia.\nNel 1868, ritiratosi dagli affari, Schliemann si dedicò alla realizzazione dei suoi sogni, i viaggi e le scoperte archeologiche. Frequentò lezioni alla Sorbona di Parigi, fece un primo viaggio in Grecia seguendo la guida dei poemi omerici, e presentò questo resoconto di viaggio come tesi di laurea a Rostock nel 1869. Il 24 settembre 1869, divorziato dalla moglie russa, si sposò ad Atene con la giovane greca Sophia Engastromenou ed ebbe due figli, Andromaca (1871−1962) e Agamennone (1878−1954). Nel 1870 intraprese un viaggio verso la Cina e il Giappone. Successivamente si trasferì in Italia, in Grecia e infine in Turchia.\nPresso la collina di Hissarlik iniziò la ricerca delle mura di Troia con la collaborazione di Frank Calvert, viceconsole britannico proprietario dei terreni, che già aveva ipotizzato di poter trovare le rovine della città presso quel sito. In quell'anno effettuò un primo scavo clandestino, suscitando le ire del governo turco. Nel 1871 ottenne l'autorizzazione a compiere le ricerche in terra turca e organizzò a proprie spese una spedizione archeologica in Anatolia, sulla sponda asiatica dello stretto dei Dardanelli, luogo che la tradizione indicava come possibile sito della città di Troia.\nL'archeologo tedesco fermò la propria attenzione sulla collina di Hissarlik, un'altura in posizione favorevole per una roccaforte, dalla quale si poteva dominare tutta la piana circostante. Seguendo le indicazioni e le descrizioni dei testi omerici, il 4 agosto 1872 Schliemann rinvenne vasellame, oggetti domestici, armi e anche le mura e le fondamenta non di una sola città, quella di Priamo, ma di ben altre otto città diverse, costruite l'una sulle rovine dell'altra. I risultati delle ricerche furono resi noti nel 1874 nell'opera Antichità troiane. All'inizio le scoperte furono accolte con scetticismo.\nGrazie all'analisi degli oggetti rinvenuti e delle tecniche costruttive utilizzate, gli archeologi che hanno portato a termine il lavoro iniziato da Schliemann hanno potuto datare vari strati e tracciare le piante delle ricostruzioni, in cui si notano i cerchi concentrici delle cinte murarie:.\n\nI strato (3000 a.C.): villaggio dell'età del bronzo antico, con ritrovamenti di utensili in pietra e di abitazioni dalla struttura elementare.\nII strato (2500- 2000 a.C.): piccola città con mura caratterizzate da porte enormi, presenza del megaron (palazzo reale) e case in mattoni crudi che recano segni di distruzione da incendio, che Schliemann suppose potessero riferirsi ai resti della reggia di Priamo, rasa al suolo dagli Achei.\nIII - IV - V strato (2000 - 1500 a.C.): tre villaggi distrutti ognuno dopo poco tempo dalla fondazione.\nVI strato (1500 - 1250 a.C.): grande città a pianta ellittica disposta su terrazze ascendenti, fortificata da alte e spesse mura, costituite da enormi blocchi di pietra squadrati e levigati, con torri e porte. La distruzione della città dovrebbe essere avvenuta intorno alla metà del XIII secolo a.C., forse a causa di un terremoto.\nVII strato (1250 - 1200 a.C. ): la città precedente fu immediatamente ricostruita, ma ebbe vita breve. I segni di distruzione da incendio hanno indotto Blegen a identificare questo strato come quello corrispondente alla Troia omerica.\nVIII strato (VII secolo a.C.): colonia greca priva di fortificazioni.\nIX strato (dall'età romana al IV secolo): costruzioni romane edificate sulla sommità spianata della collina e rifacimento.L'insediamento decadde con la caduta dell'Impero romano d'Occidente.\n\nNei primi scavi l'archeologo commise gravi errori, demolendo costruzioni e mura che avrebbero permesso di ottenere ulteriori e importanti informazioni, ma la sua opera è ugualmente molto importante, come afferma lo storico tedesco Edward Meyer:.\n\nIl tesoro di Priamo.\nIl 15 giugno 1873, ultimo giorno di scavo prima della sospensione dei lavori, Schliemann effettuò una nuova e importantissima scoperta. Alla base delle 'mura ciclopiche' del II strato vide qualcosa che attirò la sua attenzione. Allontanati gli operai e aiutato solo dalla moglie Sophia Engastromenou, riportò alla luce un tesoro costituito da migliaia di gioielli d'oro, per la precisione più di 8 700, definito come il tesoro di Priamo, che il Re aveva nascosto prima della distruzione della città.\nQuesto tesoro era stato trovato alla profondità di 10 metri, in un recipiente di rame largo 1 metro e alto 45 cm.\nSchliemann riuscì a esportare segretamente il tesoro in Grecia, per questo venne accusato dalla Turchia di esportazione illegale e costretto a pagare un'ingente multa. L'archeologo tuttavia pagò una somma maggiore pur di divenirne il proprietario, quindi decise di donare il tesoro alla Germania, dove questo rimase fino alla seconda guerra mondiale.\nIl 6 marzo 1945, Adolf Hitler ordinò che fosse nascosto nelle miniere di sale di Helmstedt, in previsione della sconfitta e per evitare che cadesse in mano ai sovietici. L'ordine di Hitler non venne eseguito e il tesoro finì a Mosca.\nNegli anni successivi i russi smentirono che questo si trovasse nelle loro mani e così scoppiarono infinite polemiche. La prima conferma ufficiale della presenza del tesoro in Russia si ebbe nel 1993, da parte del ministro della cultura russo, che dichiarò che il tesoro si trovava a Mosca, al Museo Puskin, dal 1945.Attualmente quattro nazioni si contendono quel tesoro: la Turchia, dove è stato rinvenuto (che tuttavia lo vendette a Schliemann dopo averlo multato), la Grecia, erede della tradizione omerica, la Germania, a cui fu donato dall'archeologo, e la Russia, come bottino di guerra, dove si trova attualmente.\n\nLa spedizione a Micene.\nTra il 1874 e il 1876 Schliemann si recò 'nella vallata d'Argo che nutre cavalli', a Micene, 'ricca d'oro', come viene definita generalmente nei poemi omerici, le cui rovine erano ancora visibili e testimoniavano ai visitatori il ricordo dell'antico splendore. Seguendo le indicazioni del geografo greco Pausania, che intorno all'anno 170 aveva visitato e descritto quei luoghi, Schliemann elaborò l'ipotesi che le tombe dei sovrani della città si trovassero all'interno della cinta muraria.\n\nIl 7 agosto 1879 iniziò gli scavi e trovò uno spazio circolare individuato come l'agorà di Micene, in cui avvenivano le assemblee dei grandi della città e dove forse si era alzato l'araldo per convocare il popolo, come racconta Euripide nell'Elettra.\nSuccessivamente riportò alla luce una serie di tombe a pozzo e a cupola, che la tradizione attribuisce ai membri della dinastia degli Atridi: Agamennone, Cassandra ed Eurimedonte, e i suoi compagni uccisi dalla regina Clitemnestra e dal suo amante Egisto. Gli scheletri mostravano segni di combustione frettolosa e, secondo l'archeologo, chi aveva sepolto i corpi non aveva permesso al fuoco di bruciarli completamente, con la tipica fretta degli assassini.\nNelle tombe Schliemann trovò inoltre gioielli, armi, utensili, pettorali con cui erano solitamente adornati i morti di stirpe regale, maschere d'oro che conservavano ancora i lineamenti reali e non idealizzati dei defunti. Tra questi credette di individuare il volto del leggendario re Agamennone. Malgrado la maggior parte degli studiosi propenda per la sua autenticità, lo studioso statunitense William M. Calder III negli anni settanta ha messo in dubbio l'originalità della cosiddetta maschera di Agamennone, sostenendo che sarebbe un falso commissionato dallo stesso Schliemann, tesi ribadita in seguito da David A. Traill.\n\nUltimi anni.\nUn altro tipo di ricerca, meno noto, a cui Schliemann rivolse i propri interessi, riguardò il continente perduto di Atlantide. Egli infatti, ancora prima di arrivare a scoprire i resti della città di Troia, spinto dalla convinzione della sua esistenza, allora considerata una semplice leggenda, aveva tradotto un geroglifico egizio conservato a San Pietroburgo, nel quale si parlava di un faraone che aveva mandato una spedizione in Occidente a cercare tracce dell'antica terra atlantidea, da cui erano provenuti gli antenati degli Egizi portandone con sé l'ancestrale sapienza.Schliemann fu colto da un malore a Napoli, il 25 dicembre 1890. Privo di documenti fu riconosciuto da un otorino che lo aveva in cura grazie a un biglietto da visita che Schliemann aveva addosso. Morì il giorno successivo, probabilmente per i postumi di un'operazione recente alle orecchie.\nFu sepolto ad Atene nello stesso mausoleo che in seguito accoglierà le spoglie della moglie e della figlia Andromaca.\n\nOpere.\n(parziale).\n\nBericht über die Ausgrabungen in Troja in den Jahren 1871 bis 1873, Artemis & Winkler, 2000, ISBN 3-7608-1225-2.\nI tesori di Troia - Gli scavi di Schliemann a Troia, Micene e Tirinto, Biblioteca Universale Rizzoli, 1995, ISBN 88-17-11653-X.\nIlios: The City and Country of the Trojans, Ayer Co Publishers Inc, ISBN 0-405-08930-9.\nIthaka, der Peloponnes und Troja: archaologische Forschungen, Giesecke & Devrient, 1869.\nMycenæ: A narrative of researches and discoveries at Mycenæ and Tiryns, Arno Press, New York, ISBN 0-405-09851-0.\nTiryns, Arno Press, New York, ISBN 0-405-09853-7.\nTroja, Ayer Co Publishers Inc, ISBN 0-405-09852-9.\nTroy and Its Remains: A Narrative Researches and Discoveries Made on the Site of Ilium and in the Trojan Plain, Dover Publications, 1994, ISBN 0-486-28079-9.\nLa scoperta di Troia, Einaudi, 2006, ISBN 88-06-18339-7." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Heraion (Samo).\n### Descrizione: L'Heraion di Samo era un grande tempio ionico dedicato ad Era e situato nella parte meridionale dell'isola di Samo (Grecia). Molte delle diverse fasi costruttive dell'Heraion sono state identificate anche grazie alla datazione dei materiali di copertura ritrovati nei pressi dell'edificio. La costruzione che risale al periodo tardo arcaico (VII-VI secolo a.C.) è stata determinante per la definizione dello stile ionico, ma esistono tracce di un edificio più antico, risalente all'VIII secolo (periodo geometrico) o precedente. Le rovine dell'Heraion di Samo sono entrate nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco nel 1992.\n\nContesto storico-artistico.\nI cinquant'anni tra VII e VI secolo a.C. furono, per la civiltà greca che abitava le coste ioniche dell'Asia Minore, anni di floridi commerci e di crescita culturale, di cui è rimasta traccia nell'ammirazione espressa da Erodoto per la popolazione di Samo alla quale si devono grandi realizzazioni urbanistiche e architettoniche, tra le quali lo storico greco annovera l'Heraion.\nRicchezza materiale e scambi culturali sarebbero all'origine del formarsi di uno stile proprio di questa zona geografica: la tendenza al gigantismo dei templi ionici viene considerata come una conseguenza della vicinanza delle grandi costruzioni dei sovrani persiani, mentre la ricerca dei valori ornamentali è probabilmente un retaggio minoico che lascia più spazio a libertà compositive rispetto alla contemporanea rigorosità dei templi dorici.\n\nDescrizione.\nIl primo edificio, o quello che è stato identificato come risalente all'VIII secolo era chiamato hekatompedon, «tempio di 100 piedi», corrispondenti ai 32 m di lunghezza dell'edificio, mentre la larghezza era di 20 piedi, circa 6,50 m. La cella era divisa in due navate da un'unica fila centrale di colonne che reggevano la copertura; sul fondo, leggermente decentrata, si trovava una base di pietra che reggeva la statua di culto in legno. Nella seconda metà dell'VIII secolo a.C. i costruttori di Samo aggiunsero una serie di colonne in legno su basi di pietra intorno alla lunga stanza.Questo primo edificio venne ricostruito una prima volta nel 670 a.C., probabilmente a seguito di una alluvione, e in questa occasione la cella, circondata da un portico di 6x18 colonne, venne liberata dal colonnato mediano per accrescere l'impatto visivo con la statua della dea sul fondo; una serie di pilastri, probabilmente lignei, sosteneva il tetto, e altri erano disposti intorno alla cella a distanza uniforme. Verso il 640 a.C. fu aggiunto un portico di oltre 60 m di lunghezza, diviso in tre navate da due serie parallele di pilastri di legno.\nFra il 570 e il 560 a.C., il tempio venne spostato a occidente e ricostruito su di un'area dodici volte più estesa di quella del precedente edificio. Gli artisti chiamati ad occuparsi di questa nuova costruzione furono Reco (Rhoikos) e Teodoro di Samo (Theodòros o Teodoro II) i quali progettarono un edificio di proporzioni enormi: 104 colonne nel peristilio su due file (fu il primo tempio diptero oggi noto), 8 colonne in fronte, 10 colonne su due file all'interno del pronao, 22 colonne, sempre su due file, all'interno della cella. La grande profondità del pronao rimarrà una regola degli edifici della Ionia, ma altri sono gli elementi in questo edificio che segneranno lo stile ionico nel suo formarsi: le colonne si ergevano non più direttamente dallo stilobate bensì da una base modanata a sezioni orizzontali, inoltre le ante erano decorate con sfingi a rilievo e cornici vegetali stilizzate. Di fronte al tempio si trovava l'altare ricostruito intorno al 550 a.C.\nTrascorsero circa dieci anni e il tempio di Rhoikos e Teodoro dovette essere ricostruito, a causa di un dissesto statico; un nuovo edificio sorse nello stesso luogo, ancora più vasto del precedente, iniziato da Policrate, tiranno di Samo tra il 538 e il 522 a.C. Il “tempio di Policrate”, al quale appartiene l'unica colonna visibile nel sito, misurava 108 x 55 m, prevedeva un alto stilobate, cui si accedeva mediante una gradinata, e tre file di colonne sui lati corti a seguire l'esempio del Tempio di Artemide a Efeso; ma i lavori per questo Heraion non vennero mai portati a termine e dal 391, anno dei Decreti teodosiani, il sito dovette subire, come tanti altri, la spoliazione e il reimpiego dei materiali.\n\nRicerche archeologiche.\nTra i reperti provenienti dal santuario di Hera ricordiamo: il kouros colossale e il 'Gruppo di Gheneleos' entrambi della metà del VI secolo a.C. e conservati al Museo Archeologico di Samo; le due korai di Cheramyes conservate al Louvre (Hera di Cheramyes) e a Berlino (Afrodite di Cheramyes), datate 570-560 a.C." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Heraion di Argo.\n### Descrizione: Lo Heraion di Argo era un tempio dedicato ad Era che si trovava nell'Argolide.\n\nStoria.\nLa dea, come si può leggere anche nel IV libro dell'Iliade, era la protettrice della città di Argo e il sito, che si trova fra le antiche città di Micene ed Argo, potrebbe rappresentare il primo segno dell'introduzione del culto della dea nella Grecia continentale. Pausania, che visitò questa regione nel II secolo d.C., si riferì al tempio col nome di Prosymna.\n\nIl sito.\nL'edificio, costituito da uno spazio interno a pianta rettangolare e coperto da un tetto a due falde, presenta sul fronte una finestra per l'illuminazione dell'interno ed un porticato sostenuto da due colonne.\nIl temenos occupa tre livelli terrazzati artificialmente. Il Vecchio tempio, distrutto da un incendio nel 423 a.C., ed un altare costruito all'aperto occupano la terrazza superiore. Nel secondo livello si trova il Nuovo tempio, costruito dopo l'incendio da Eupolemo di Argo, in cui si trovava la famosa statua crisoelefantina di Era che la letteratura antica attribuisce a Policleto; su questo livello si trovavano anche altre strutture, fra cui il primo esempio di edificio dotato di un peristilio aperto, a sua volta circondato da una stoà dotata di colonne. La terrazza inferiore presenta le rovine di un'antica stoà.\nUn cimitero di epoca micenea venne portato alla luce dall'archeologo Carl Blegen nei pressi dell'heraion, mentre in epoca romana qui vennero costruiti dei bagni ed una palestra.\nSecondo una leggenda riportata da Ditti Cretese, nell'Heraion di Argo venne deciso che sarebbe stato Agamennone a guidare la guerra contro Troia. Di fatto sul luogo sono stati ritrovati resti archeologici che datano al periodo in cui l'Iliade venne composta (quindi è possibile che l'autore dell'Iliade conoscesse il tempio), mentre non è detto che il tempio esistesse all'epoca storica della guerra di Troia che risale a qualche secolo prima, anche se intorno al sito sono stati ritrovati reperti risalenti ad un'epoca ancora precedente.\nIl sito venne riscoperto per la prima volta nel 1831 da un archeologo inglese, T. Gordon, che iniziò i primi scavi cinque anni più tardi. Nel 1874 vennero condotte brevi ispezioni da parte di Heinrich Schliemann, dopodiché iniziarono gli studi dell'archeologia moderna. Charles Waldstein scoprì un gruppo di pezzi di ferro oboloi, tutti dello stesso peso e lunghezza: si trattava probabilmente degli standard delle unità di peso e misura, da cui derivò il significato dell'obolo, che valeva un sesto della dracma." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Heraion di Olimpia.\n### Descrizione: L'Heràion di Olimpia è un tempio greco eretto intorno al 600 a.C. Si tratta di uno dei più antichi templi dorici, uno dei primi peripteri e sicuramente il più antico con dei resti ancora leggibili e capaci di far comprendere la conformazione generale dell'edificio, anche in alzato.È stato uno dei primi edifici costruiti presso il santuario di Zeus ad Olimpia. L'edificio è localizzato nella parte nord del recinto dell'area sacra della città e fu dedicato ad Era, una delle divinità più importanti della religione greca, anche se è probabile che in origine fosse dedicato a Zeus o ad entrambi. Fu probabilmente distrutto da un terremoto nel IV secolo a.C. e ricostruito. L'Heraion aveva anche la funzione di conservare le corone d'alloro che avrebbero coronato i vincitori dell'Olimpiade.Nel 1877 vi venne trovato l'Hermes con Dioniso, capolavoro di Prassitele, oggi nel locale Museo archeologico.\n\nDescrizione.\nPur appartenendo ad un periodo arcaico, il grande edificio presentava tutti gli elementi canonici del tempio greco: il naos (cella), il peristilio intorno alla cella, il pronao e l'opistodomo entrambi in antis (con due colonne tra i muri laterali).\nLa cella era tripartita dal doppio colonnato interno, secondo una soluzione innovativa e precoce che diventerà comune, ma aveva colonne molto vicine alle pareti e alternativamente riunite ad esse con muri divisori a formare una serie di 'cappelle' laterali; inoltre c'era corrispondenza tra le colonne interne e quelle esterne del peristilio. In questo modo, lo spazio centrale in cui era collocata la statua di culto era in asse con l'ingresso e quindi ben visibile, la visione del visitatore non era ostacolata dal colonnato centrale come accadeva in templi di età precedente.\nIl tempio con 6 colonne doriche sul fronte (periptero esastilo) e 16 colonne sul fianco si presentava molto lungo, venendo a formare le considerevoli dimensioni di 18,76 m per la facciata e 50,01 m per i lati. Si venne così a creare un insolito rapporto tra lunghezza e larghezza, che venne ridotto al rapporto di 'analoghìa' di 1 a 2, nell'architettura del periodo classico dei secoli successivi.\nLe colonne sono alte 5,20 metri ed il tempio, posto su un unico gradone, doveva apparire piuttosto basso mettendo in risalto l'enorme mole del vicino tempio di Zeus, realizzato successivamente.\nGli intercolumni insolitamente larghi hanno fatto pensare alla presenza di architravi lignei sui quali fossero fissate metope in bronzo. Probabilmente, infatti, l'edificio era originariamente costruito in mattoni crudi per le murature e legno per colonne e parte della trabeazione confermando la tradizionale ipotesi dell'origine lignea di tutto il linguaggio architettonico degli ordini greci, e del dorico in particolare, avanzata fin da Vitruvio e rappresentando comunque un'importante testimonianza della transizione dal tempio in legno a quello in pietra. Pausania, che visitò il tempio nel 176 d.C., nella sua Periegesi della Grecia attesta la presenza nell'opistodomos, di una colonna di legno di quercia, superstite di quelle originarie che erano progressivamente sostituite da altre lapidee, grazie alle donazioni al santuario, determinando una grande varietà di stili, diametri e materiali, tutt'oggi rilevabile dai reperti: le colonne più antiche (VI secolo a.C.) appaiono tozze e dotate di abaco ed echino molto aggettanti, mentre le più recenti sono più esili, avendo un diametro di base minore rispetto a quelle precedentemente descritte, e possiedono capitelli meno aggettanti. Inoltre alcune sono monolitiche ed altre divise in molti rocchi. Il pavimento era realizzato in una sorta di rudimentale cocciopesto.\nLe tegole del rivestimento del tetto, di cui rimangono alcuni frammenti, erano in terracotta e sistemate nella maniera detta 'laconica'. In terracotta erano anche le antefisse e l'acroterio policromo.\nLe colonne superstiti sono state rialzate durante la riscoperta e gli scavi archeologici tedeschi.Nei pressi del tempio è stata ritrovata una testa di Era, forse appartenente al colossale simulacro della dea conservato nella cella e posto accanto ad una similare statua di Zeus, e un frammento di acroterio a disco probabilmente facente parte della decorazione frontonale mentre non è stata ritrovata alcuna delle altre sculture ricordate da autori, come il frontone con l'altorilievo di una sfinge." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Heroon.\n### Descrizione: L'heroon (dal greco ἡρῷον) è il santuario monumentale eretto per un eroe.\nOrnata da ricche e raffinate suppellettili, questo genere di santuario era riservata per lo più ad ecisti, principi, re che, eroizzati dopo la morte, diventavano motivo di unione per la comunità che erigeva il monumento. Tale santuario è generalmente all'interno del perimetro urbano, in posizione di grande rilievo (per es. nell'agorà) e diveniva luogo di culto e venerazione popolare da parte dei cittadini. Infatti, secondo la mitologia le reliquie del valoroso uomo possedevano poteri straordinari, tramandati dal mondo in cui ora si trovava l'eroe.\nNell'antica Grecia tale santuario ha la forma architettonica di una thòlos dell'età micenea, soprattutto di quelle costruite tra il XVIII ed il XII secolo a.C.\n\nLa tholos ha una pianta circolare, coperta da una pseudo-cupola. Per lo più questo tipo di santuario era ipogeo, cioè costruito sottoterra o scavando attraverso un promontorio del terreno. Priva di pilastri di sostegno, era costituito da grosse pietre squadrate disposte in file circolari concentriche (e chiuse in alto da una lastra). Il corridoio di accesso è chiamato dròmos e dava sulla porta d'ingresso, la quale presenta due aperture centrali: una porta monolitica sormontata da una finestra triangolare.\nNelle colonie può avere forma molto semplice: quello di Poseidonia (fine VI secolo a.C.) è costituito da una semplice camera ipogea in arenaria coperta da lastroni fittili, probabilmente in origine coperta da un tumulo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Heroon." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Heros.\n### Descrizione: Heros (ἥρως hḗrōs; in italiano Eroe) è il termine greco antico con cui si indica, nella religione, nella mitologia e nella filosofia greca, un essere che si pone su un piano intermedio tra l'uomo e la divinità.\n\nOrigine del termine.\nL'origine del termine ἥρως è incerta anche se è attestato già in Lineare B come 𐀴𐀪𐀮𐀬𐀁 (ti-ri-se-ro-e) ('tre volte eroe', indica un grande eroe divinizzato; identificato anche con il dio Tritopator).\nPer gli studiosi moderni il termine ἥρως è comunque collegabile al sanscrito vedico vīrá (in devanāgarī devanāgarī वीर, sostantivo maschile nel significato di 'condottiero' o 'eroe') come al latino vir (uomo di valore) ma anche al gotico vair e all'anglosassone wer, dal protoindoeuropeo *wih-rós.\nPer Pierre Chantraine il collegamento è invece con la radice, sempre indoeuropea, di *ser-, da cui il latino servare ('custodire') come ad indicare che allo hḗrōs viene celebrato il culto affinché egli offra protezione. Che il significato sia religioso è evidenziato, ad esempio, dallo stesso Pierre Chantraine.\nUna etimologia certamente di fantasia fu proposta da Platone nel Cratilo:.\n\nCaratteristiche degli eroi.\nCon il termine ἥρως (Héros, 'Eroe') si indica nella religione greca un essere che si pone su un piano intermedio tra l'uomo e la divinità. Ciò è evidente già nel periodo omerico dove tali 'esseri' vengono appellati come ἡμίθεοι (semidèi). Platone conferma questa suddivisione aggiungendo anche la categoria dei Dèmoni – già presenti in Esiodo, ma come stato di post mortem della generazione aurea e in qualità di tutori del genere umano.\nEsiodo ci dice che gli eroi sono la quarta generazione (dopo le stirpi dell'oro, dell'argento e del bronzo) subito prima dell'avvento degli uomini:.\n\nGli eroi per quanto di natura eccezionale, sono simili e vicini agli uomini, nelle loro vene scorre sangue e non icore (ichór) e non possiedono poteri soprannaturali. E seppur nella cultura omerica, gli eroi sono coloro che nei poemi vengono cantati per le loro gesta, successivamente tale termine occorre ad indicare tutti coloro che, morti, dalla loro tomba (ἡρῷον hērōion) sono in grado di condizionare, positivamente o negativamente, la vita dei vivi e che per questo richiedono degli appropriati culti. Tale sviluppo è generato dalla convinzione che nei poemi omerici vengano cantati uomini con caratteristiche eccezionali rispetto ai mortali. Eroi non sono solo i 'semidei' cantati da Omero ed Esiodo, ma anche personaggi, mitici o meno, alla cui tomba si presta un culto, come Giacinto, il giovine amato da Apollo al centro di un complesso rituale iniziatico o, per uscire dall'ambito strettamente 'eroico', la vergine Ifinoe a cui sacrificano le fanciulle prima di maritarsi.\nCome già ricordava Erwin Rohde nel testo classico Psiche, l'associazione degli eroi alla nozione di 'semidio' non inerisce a un loro presunto aspetto spirituale o alla natura di uomini glorificati, quanto piuttosto all'essere uomini figli di uomini e di dèi, dove la presenza di questa parentela occorreva per il loro innalzamento a un rango 'divino'. Esiodo collegava questa parentela al periodo in cui dèi e uomini convivevano, generando insieme la stirpe degli eroi che combatté a Tebe e a Troia. In occasione di quest'ultima guerra, il re degli dèi Zeus decise tuttavia di allontanare gli dèi dagli uomini.\nI primi documenti in nostro possesso che indicano un culto dedicato agli eroi corrispondono ad un frammento inerente a Mimnermo e a un testo di Porfirio che richiama una legge di Draconte:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Homados.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Homados era la personificazione dello spirito e del rumore. Viene citato insieme ad altri personificazioni che hanno a che fare con la guerra. Una figura simile a lui è Cidoimo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Hysminai.\n### Descrizione: Le Hysminai (greco antico: ὑσμῖναι; singolare: hysmine ὑσμίνη) sono figure della mitologia greca. Discendenti di Eris, sono personificazioni della battaglia. Quinto Smirneo ha scritto di loro nel libro V della caduta di Troia in un passaggio tradotto da Arthur Way:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: I figli di Medea.\n### Descrizione: I figli di Medea è un 'teledramma' italiano del 1959, diretto da Anton Giulio Majano e interpretato da Enrico Maria Salerno e Alida Valli. È stato trasmesso in diretta televisiva il 9 giugno 1959 sul Programma Nazionale.\nL'originale televisivo divenne un sensazionale evento mediatico dal momento che molti telespettatori, non rendendosi conto che si trattava di una finzione, percepirono l'evento come reale, in modo analogo a quanto accaduto con la trasmissione radiofonica di Orson Welles The War of the Worlds del 1938 negli Stati Uniti (a cui gli autori del programma si erano ispirati), e inondarono di telefonate il centralino di un ospedale di Torino.\n\nTrama.\nLa messa in onda della prima puntata dello sceneggiato I figli di Medea, interpretato dall'attrice Alida Valli, viene interrotto in modo brusco dalla Rai per annunciare il rapimento da parte dell'attore Enrico Maria Salerno del figlio avuto dall'attrice con quest'ultimo.\nIl bambino necessita della somministrazione periodica di un medicinale salvavita, ma l'attore rifiuta di rivelare dove lo tiene nascosto, ottenendo in cambio di poter parlare alla televisione. Viene così chiesto ai telespettatori di telefonare al numero 696 in caso di avvistamento dell'attore in procinto di entrare in qualche abitazione per nascondere il figlio.\nL'attore inizia così un monologo avente come tema principale i mezzi di comunicazione e di informazione e il loro uso distorto, monologo che viene bruscamente interrotto dall'annuncio del ritrovamento del fanciullo e dall'intervento in scena delle forze dell'ordine che arrestano l'attore. Tutto sembra tornato alla normalità, ma un nuovo collegamento in diretta si rende subito necessario poiché Enrico Maria Salerno ha estratto una pistola che teneva nascosta e minaccia ora di togliersi la vita.\nRiprende il monologo dell'attore verso le telecamere, che l'attore termina, addormentandosi sotto l'effetto di un sedativo somministratogli a sua insaputa nell'acqua che aveva chiesto per dissetarsi.\n\nProduzione.\nIl soggetto e la sceneggiatura furono scritti da Vladimiro Cajoli (ispirandosi alla trasmissione radiofonica The War of the Worlds di Orson Welles) e vennero da lui presentati al Concorso Nazionale Originali Televisivi della Rai del 1959. Il soggetto vinse il premio e per questo fu proposto ad Anton Giulio Majano che accettò di dirigerlo.\n\nAccoglienza.\nIl programma televisivo, presentato come un vero sceneggiato ad ambientazione mitologica, interrotto bruscamente dal rapimento del figlio dell'improbabile coppia formata da Alida Valli ed Enrico Maria Salerno da parte dello stesso padre, ebbe l'effetto di venire percepito come reale, in modo simile a quanto avvenne nel caso della trasmissione del programma radiofonico The War of the Worlds.\nMolti telespettatori inondarono il centralino dell'Ospedale delle Molinette di Torino, che rispondeva al numero 696, di telefonate apprensive o di vere e proprie segnalazioni sul presunto avvistamento dell'attore con il fanciullo, nonostante i fatti rappresentati in diretta sul piccolo schermo avvenissero invece a Roma. Comunque, anche la sede della Rai fu tempestata di telefonate. L'intento degli autori, far cadere nell'inganno i telespettatori facendogli credere che si trattasse di un reale rapimento, fu così raggiunto.\nFa parte della finzione anche il ruolo della 'signorina buonasera' Nicoletta Orsomando, che, interpretando sé stessa, annuncia la finzione come fosse un reale sceneggiato televisivo, per poi apparire in schermo, scusandosi per l'interruzione, interrompendo la trama mitologica per spiegare l'accaduto, introducendo il dottor Vinciguerra (Tino Bianchi) e il dottor Vailati (Ferruccio De Ceresa). Il ruolo della Orsomando, allora già popolare, contribuisce a dare credibilità alla messa in scena, rendendo plausibile l'interruzione dello sceneggiato e il collegamento con Enrico Maria Salerno. Infine è sempre la Orsomando a svelare la beffa, che viene definita 'mito interrotto', presentando sia gli attori del 'mito' sia quelli della 'interruzione'.\nIl teledramma si rivela anticipatore della televisione dell'omologazione culturale dei tempi successivi e di tematiche controverse quali la strumentalizzazione dei mezzi di informazione, del 'dolore in diretta', così come dei reality e di programmi con intervento del pubblico da casa, quale soprattutto Chi l'ha visto?." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: I miti greci.\n### Descrizione: I miti greci (Greek Myths) è una mitografia, un compendio di mitologia greca, con commenti e analisi, dello scrittore e poeta inglese Robert Graves. Pubblicato nel 1955 in due volumi, fu ristampato con emendamenti nel 1957, e apparve riveduto nel 1960.\nL'autore, nell'introduzione del libro, identifica i miti e li distingue dall'allegoria, dalla satira, dal melodramma, dalla saga eroica, ecc. Il libro è strutturato in 171 miti, ed ognuno di essi è, a sua volta, diviso in tre sezioni distinte. La prima sezione è la sua narrazione con i vari paragrafi. Nella seconda sezione è presente la lista delle fonti utilizzate dall'autore. Nella terza ed ultima sezione ci sono i commenti esplicativi sul mito appena narrato.\n\nEdizioni.\nI miti greci, traduzione di Elisa Morpurgo, I Marmi, n. 35, Milano, Longanesi, 1963, SBN IT\ICCU\NAP\0536102.\nI miti greci, presentazione di Umberto Albini, Milano, Longanesi, 1977, SBN IT\ICCU\RAV\0139270.\nI miti greci, Il Cammeo, n. 197, 26ª ed., Milano, Longanesi, 2013, ISBN 978-88-304-0923-1." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Iacco.\n### Descrizione: Iacco è un personaggio della mitologia greca, sovente associato ai misteri eleusini.\n\nSecondo certi miti Iacco era uno degli epiteti del dio Dioniso ed era descritto come figlio di Demetra o Persefone e di Zeus. Nei riti eleusini, Iacco veniva descritto come colui che conduceva le processioni verso Eleusi, danzando e portando una torcia. In questa funzione a volte egli veniva considerato l'araldo che annunciava l'avvento del 'fanciullo divino' della Dea, nato nell'aldilà; altre volte identificato egli stesso con il fanciullo.\nLa più celebre menzione di Iacco si ha nella commedia Le rane di Aristofane dove gli iniziati ai culti misterici lo invocano come danzatore riottoso, accompagnato dalle Cariti, che lancia torce e porta luce all'iniziazione notturna.\nÈ citato anche da Euripide nelle Baccanti.\nSecondo Pausania ad Atene esisteva una statua del dio con in mano una torcia, opera di Prassitele.L'identificazione di Iacco con Dioniso è possibile grazie ad una serie di fonti: in un peana a Dioniso, scoperto a Delfi, il dio viene descritto come nominato Iacco ad Eleusi, dove porta la salvezza. Sofocle nella sua Antigone, nomina invariabilmente il dio dei Misteri Eleusini sia come Bacco che come Iacco. Infine il poeta Nonno di Panopoli nelle Dionisiache descrive le celebrazioni tenute dagli ateniesi per il dio, che viene detto Zagreo, figlio di Persefone, come il primo Dioniso; Bromio, figlio di Semele come secondo Dioniso ed il terzo Dioniso come Iacco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ialmeno.\n### Descrizione: Ialmeno (in greco antico Ἰάλμενος) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ares e di Astioche, menzionato nell'Iliade e fratello gemello di Ascalafo.\n\nMitologia.\nEgli fu generato da Ares dopo che egli ebbe giaciuto per una notte con la mortale Astioche nel palazzo del padre di lei, Attore.\nche Omero descrive come regnanti di Aspledone e Orcomeno in Minia.\nEra uno dei sovrani della Minia di Orcomeno, in Beozia, al tempo della guerra di Troia ed, insieme al fratello, viene ricordato come uno dei molti pretendenti sui quali Tindaro avrebbe dovuto far ricadere la sua scelta per poter trovare un marito alla figlia Elena, la regina di Sparta, andata poi in sposa a Menelao.\nIn seguito al rapimento di quest'ultima da parte di Paride partecipò alla guerra in quanto legato ad un giuramento comune tra tutti i re." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ianira.\n### Descrizione: Ianira era nella mitologia greca una Oceanina, figlia del titano Oceano e della titanide Teti.\nMenzionata da Esiodo in Teogonia, 350.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Oceanine, su homepage.mac.com. URL consultato il 14 febbraio 2007 (archiviato dall'url originale il 19 gennaio 2007)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iapige.\n### Descrizione: Iapige, figlio di Iaso e fratello di Palinuro, è, come quest'ultimo, uno dei personaggi presenti nell'Eneide, dove compare nel XII libro.\n\nLa leggenda.\nSecondo la leggenda, Iapige chiese al dio Apollo di essere iniziato ai segreti della medicina per salvare il padre morente. Il dio, colto da indomabile amore per il giovane, gli chiese di concedersi a lui, ma il troiano rispose che preferiva ricevere le sue arti.È possibile che il trasporto passionale del dio verso Iapige sia una metafora per alludere all'amore per il sapere e il potere magico-salvifico delle erbe, che la dimensione apollinea rappresenta.L'episodio è riferito da Virgilio quando Iapige, medico dei troiani nella guerra contro Turno e gli italici, si accinge a curare Enea che era stato ferito a una gamba:.\n\nVenere poi infiltra un succo magico e medicamentoso nell'acqua che egli sta versando sulla ferita. Enea guarisce miracolosamente e saluta il figlio Ascanio invitandolo a prendere esempio dal suo travaglio: «Disce, puer, virtutem ex me verumque laborem, fortunam ex aliis» (XII, 435-436).\nIl nome dell'eroe evoca quello di antichi abitatori della Puglia, gli Iapigi, di cui una leggenda (parallela a quella di Enea) vuole sia il capostipite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iaso (figlia di Asclepio).\n### Descrizione: Iaso (in greco antico: Ἰασώ?, Iasō) o Ieso (Ἰησώ, Iēsō) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Asclepio e di Epione.\nÈ la dea e personificazione della guarigione ed aveva sette fratelli, Igea, Panacea, Egle, Acheso, Telesforo, Macaone e Podalirio.\n\nMitologia.\nIl suo nome deriva dal potere di guarigione o guaritore che possedeva il padre, e di conseguenza tutti i figli erano associati ad alcuni aspetti della salute o della guarigione.\nPossedeva anche un tempio ad Oropo e dello stesso tempio Pausania il Periegeta nel secondo secolo A.C. scrisse:.\n\nL'altare mostra le parti: Una parte è dedicata ad Eracle, Zeus ed Apollo guaritore, mentre l'altra è dedicata agli eroi ed alle loro mogli. Il terzo è dedicato ad Estia, Ermes, Anfiarao ed ai figli di Anfiloco. Ma Alcmeone, a causa del contenzioso con Erifile, non è onorato né nel tempio di Anfiarao, né in quello di Anfiloco. La quarta porzione dell'altare è quella di Afrodite e Panacea, oltre a Iaso, Igea ed Atena guaritrice mentre il quinto è dedicato alle ninfe, a Pan ed ai fiumi Acheloo e Cefiso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Icore.\n### Descrizione: Secondo la mitologia greca, l'icore (AFI: /iˈkore/; in greco antico: ἰχώρ?, ichór) è il 'materiale' che costituisce il 'sangue' delle creature immortali.\nQuando una divinità viene ferita, la presenza dell'icore rende il suo sangue velenoso per i mortali.\nQuesta sostanza è di colore bianco o trasparente, simile al siero del latte.\n\nL'icore nella cultura di massa.\nH. P. Lovecraft spesso usò 'ichor' (Icore) nelle sue descrizioni di creature dell'altro mondo, molto importante nei dettagli dei resti di Wilbur Whateley in L'orrore di Dunwich.\nThomas Pynchon in V., nel capitolo quattordicesimo, parla della famiglia l'Heuremaudit, ' il cui sangue si era da tempo trasformato in pallido icore'.\nL'autrice Ursula K. Le Guin, in From Elfland to Poughkeepsie, definisce il termine the infallible touchstone of the seventh-rate.\nNella serie di Rick Riordan Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, tutti gli esseri divini immortali hanno al posto del sangue icore.\nNei romanzi Dave Hooper di John Birmingham, Emergence, Resistance e Ascendance, i fluidi corporei dei dragoni comprendono icore.\nIn Dungeons & Dragons, il sangue dei demoni viene chiamato icore.\nNella serie di Cassandra Clare, The Mortal Instruments, il sangue di angeli e demoni è chiamato icore.\nNel romanzo di Doris Lessing The Diaries of Jane Somers/ If the Old Could, Jane Somers esprime i suoi forti sentimenti per un uomo che ha appena incontrato:.\nNella serie di Anne McCaffrey Il ciclo di Pern, la fauna locale di Pern viene chiamata 'sangueverde' e i draghi stessi hanno icore verde.\nNella serie di Jacqueline Carey, Kushiel's Legacy si dice che i D'Angelines abbiano icore nelle vene.\nNel gioco MOBA League of Legends, due tipi di icore sono disponibili sulla mappa Twisted Treeline come articoli disponibili che forniscono bonus provvisori alla situazione di un giocatore.\nNel videogioco Warframe, l'arma dual ichor è una coppia di corte spade che avvelenano i nemici (esseri mortali).\nNel videogioco Terraria, l'Ichor è un oggetto reperibile dai mostri della Crimson, utilizzato per fabbricare oggetti magici e pozioni. È descritta come 'The blood of gods' ('Il sangue degli dei').\nNel ciclo di libri The Painted Man di Peter V. Brett, il sangue nero delle varie specie di demoni viene chiamato icore.\nJim Butcher nella sua serie The Dresden Files usa il termine 'icore' per descrivere il sangue spesso e nero di 'Ghul'.\nWilliam Gibson lo elenca tra le possibili emanazioni letali del 'verme della morte mongolo' in Guerreros.\nNel ciclo di libri Ilium di Dan Simmons, il sangue degli dèi greci di Olympus Mons viene descritto come icore dorato." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ida (argonauta).\n### Descrizione: Ida (in greco antico: Ἴδας?, Ídas) o Idas è un personaggio della mitologia greca. Fu principe di Messene, Argonauta e partecipò alla caccia al cinghiale calidonio.\n\nGenealogia.\nFiglio di Afareo (o di Poseidone) ed Arene, sposò Marpessa da cui ebbe la figlia Cleopatra Alcione.\n\nMitologia.\nAppassionato e vivace, contese Marpessa ad Apollo ed assieme al fratello Linceo fu un Argonauta, partecipò alla caccia al cinghiale calidonio e fu rivale dei Dioscuri nella contesa di una mandria e delle promesse spose Febe ed Ileria (dette Leucippidi poiché figlie di Leucippo).\n\nApollo e Marpessa.\nCon un carro alato avuto da Poseidone, Idas rapì Marpessa 'dalle belle caviglie' sottraendola sia al padre Eveno che ad Apollo, a sua volta interessato alla donna.\nEntrambi lo inseguirono con i propri carri ma solo Apollo lo raggiunse. Così ingaggiò una lotta con Idas per la contesa della donna e che proseguì fino a quando Zeus intervenne comandando alla donna di scegliere chi volesse tra i due.\nLei scelse Idas.\n\nLa rivalità con i Dioscuri.\nLa rivalità con i Dioscuri è raccontata in due versioni diverse:.\nApollodoro scrive che Castore e Polluce (i Dioscuri), dopo aver razziato del bestiame con la complicità di Idas e Linceo, ebbero una lite sulla spartizione del bottino poiché proprio Idas usò nei confronti dei Dioscuri uno stratagemma scorretto.\nIdas tagliò una mucca in quattro parti e mangiò la sua parte per primo e poi disse che gli altri tre avrebbero scelto la loro parte di bestiame solo dopo che avessero terminato di mangiare il loro quarto. Però aiutò il fratello a mangiare la sua parte e così, finendo i loro due quarti per primi, scelsero gli animali migliori e li portarono con loro.\nPer ritorsione i Dioscuri marciarono contro la città di Messene e dapprima si ripresero i bestiame e molto altro ancora ed in seguito tesero un'imboscata ad Idas e Linceo, che però fallì poiché Castore fu scorto da Linceo ed Idas lo uccise. Polluce li inseguì e vendicò il fratello uccidendo Linceo con la sua lancia ma fu da questo colpito alla testa con un sasso e cadde a terra.\nPer vendicarsi, il padre divino di Polluce (Zeus), colpì Idas con un fulmine.\nIgino e Teocrito invece, scrivono che Leucippo (loro zio e padre delle Leucippidi), promise le due figlie ad Idas e Linceo ma si lasciò tentare dai doni offerti dai Dioscuri ed acconsentì al matrimonio con gli ultimi due.\nIdas così, cercando di recuperare le due donne con il fratello, prese le armi ed attaccò i due rivali e nella battaglia vide suo fratello Linceo colpito a morte da Castore e si accinse a seppellirlo.\nCastore però, si oppose sostenendo che il cadavere gli appartenesse ed Idas reagì usando la spada e trafiggendo mortalmente la coscia del rivale, così intervenne Polluce che, dopo averlo sconfitto a sua volta recuperò il corpo del proprio fratello (Castore) e lo seppellì.\n\nArgonauta e altre avventure.\nIdas, con gli Argonauti e durante il viaggio per recuperare il vello d'oro, vendicò la morte di Idmone uccidendo il cinghiale che aggredì ed uccise il veggente.\nCercò di usurpare il trono di Misia a Teutrante ma fu sconfitto da Telefo in un combattimento.\nDopo la sua morte (e quella precedente del fratello), la loro dinastia si estinse ed il regno del padre passò a Nestore, eccetto ciò che già apparteneva ai figli di Asclepio (Macaone e Podalirio)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Idamante.\n### Descrizione: Idamante nella mitologia greca è re di Creta, successore del padre Idomeneo.\nIdamante, rimasto a Creta durante l'assenza del padre, governa come principe e si innamora di Ilia, principessa troiana, discussa figlia di Priamo o Enea - che potrebbe corrispondere a Etia, visti i collegamenti con la Periegesi della Grecia di Pausania -. Al rientro del padre Idomeneo con la flotta navale, Idamante lo accoglie sulla spiaggia senza sapere che, durante il lungo e pericoloso viaggio, il padre aveva promesso di sacrificare al dio Poseidone la prima persona che avesse visto una volta giunto sul suolo patrio per poter raggiungere salvo la patria. In questo modo Idomeneo avrebbe dovuto sacrificare il figlio. Tuttavia, Idomeneo si libera dal voto a Poseidone rinunciando al trono in favore del figlio.\nIdamante regna così assieme ad Ilia su Creta." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Idmone.\n### Descrizione: Idmone (in greco antico: Ἴδμων?, Ìdmōn) o Agamestore (in greco antico: Ἀγαμήστωρ?, Agamḕstōr) è un personaggio della mitologia greca. Fu veggente ed Argonauta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Apollo e della ninfa Cirene o di genitori mortali come Ampice ed Antianira oppure Asteria (figlia di Corono) ed Abante.\nSposò Laotoe ed ebbe il figlio Testore.\n\nMitologia.\nPrese parte alla spedizione degli Argonauti e giunto nella terra dei Mariandini, fu (con gli Argonauti) accolto da re Lico, ma in un incidente di caccia fu ferito dalle zanne di un cinghiale e morì dissanguato.\nSulla sua tomba fu fatto crescere un ulivo selvatico ed in seguito Apollo, attraverso l'oracolo di Delfi, ordinò ai Beoti e ai Megaresi di costruire la città di Eraclea Pontica attorno all'ulivo coltivato sulla sua tomba.\nLe genti seguirono queste istruzioni, ma adorarono il veggente sotto il nome di Agamestor.\nSecondo Igino, Idmone è un veggente che sa in anticipo che morirà con gli Argonauti ma decide di partire lo stesso.\nNel 559 a.C. gli abitanti di Eraclea Pontica (oggi Karadeniz Ereğli) costruirono un tempio sulla tomba di Idmone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Idomeneo (opera).\n### Descrizione: Idomeneo, K 366 (anche noto come Idomeneo,, re di Creta ossia Ilia e Idamante), è un'opera seria (il primo capolavoro serio di Mozart) in lingua italiana di Wolfgang Amadeus Mozart.\nIl libretto, denominato 'Dramma per musica in tre atti' fu scritto dall'abate Giambattista Varesco ed è tratto dall'omonimo libretto di Antoine Danchet per la Tragédie-lyrique Idoménée (Parigi 1712) di André Campra.\n\nGenesi.\nL'opera fu commissionata a Mozart dal principe elettore Carlo Teodoro di Baviera nel 1780, per farla rappresentare in forma privata nella Residenza di Monaco di Baviera (Teatro Cuvilliés), il teatro di corte di Monaco di Baviera, nella stagione di carnevale dell'anno successivo. Autore del libretto fu Giambattista Varesco, cappellano di corte dell'arcivescovo di Salisburgo. La composizione fu laboriosa e comportò numerose modifiche a causa della prolissità del libretto, secondo quanto riferì lo stesso Mozart.\nLe prove si svolsero tra l'8 novembre 1780 e il 22 gennaio 1781. La prima rappresentazione ebbe luogo il 29 gennaio 1781. Mozart era preoccupato per la resa degli interpreti: temeva in particolare che il castrato Dal Prato non arrivasse a finire l'aria e definì Anton Raaff, il tenore che interpretava Idomeneo, 'una statua'.\nFu invece soddisfatto dell'orchestra di Mannheim, che trovò favolosa, soprattutto i fiati, e per la quale aveva composto una partitura di straordinaria ricchezza timbrica, che per un'altra orchestra sarebbe risultata difficilmente eseguibile.\n\nLa fortuna.\nIl debutto, il 29 gennaio 1781 diretto da Christian Cannabich con Anton Raaff e Vincenzo dal Prato fu senza ombre.\nL'opera fu osannata e fu eseguita per tre sere, sebbene la sera della prima fu lanciata una coscia di fagiano da uno dei palchetti addosso a Mozart che dirigeva l'orchestra.\nNonostante l'apprezzamento del pubblico della corte di Monaco, negli anni seguenti Idomeneo non conobbe tuttavia che una sola ripresa, quando il 13 marzo 1786 fu rappresentato privatamente in forma di concerto diretto dal compositore a Vienna, nel palazzo del principe Auersperg.\nPer l'occasione, oltre all'apporto di diversi tagli e alla sostituzione di alcuni numeri della partitura originale con altri composti ex novo, Mozart dovette riscrivere per tenore la parte di Idamante.\nQuesto comportò una ridistribuzione vocale negli ensemble dell'opera.\nAl Wiener Staatsoper la première è stata nel 1879 e fino al 2007 ha avuto 79 recite.\nNel Regno Unito la première è stata nel 1934 al Theatre Royal di Glasgow per la Glasgow Grand Opera Society nella traduzione di Maisie Radford ed Evelyn Radford.\nAl Teatro La Fenice di Venezia la prima è stata nel 1947 diretta da Vittorio Gui in occasione del X Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Si tratta della prima esecuzione in Italia.\nAl Festival di Salisburgo va in scena nel 1951 diretta da Georg Solti con i Wiener Philharmoniker, Rudolf Schock e Hilde Güden.\nAl Glyndebourne Festival Opera va in scena nel 1951 in italiano diretta da Fritz Busch con la Royal Philharmonic Orchestra, Sena Jurinac e Birgit Nilsson.\nAl Teatro alla Scala di Milano va in scena nel 1968 diretta da Wolfgang Sawallisch con Leyla Gencer, Margherita Rinaldi e Nicola Zaccaria.\nAl Royal Opera House, Covent Garden la première di Idomeneo, rè di Creta in italiano è stata nel 1978 diretta da Colin Davis con Janet Baker.\nAl Metropolitan Opera House di New York la première è stata nel 1982 diretta da James Levine con Luciano Pavarotti, Ileana Cotrubaș, Frederica von Stade e Hildegard Behrens e fino al 2006 ha avuto 67 recite.\nLa vera riscoperta di quest'opera avvenne al Festival di Glyndebourne nel 1983 diretta da Bernard Haitink con la London Philharmonic Orchestra, Jerry Hadley e Carol Vaness trasmessa anche dalla televisione e nel 1985 viene diretta da Simon Rattle con John Aler portata anche al Barbican Centre di Londra, all'Apollo Theatre di Oxford, al Palace Theatre di Manchester, al Hippodrome di Birmingham ed al Gaumont Theatre di Southampton.\nAl Teatro Regio di Torino va in scena nel 1986 e nel 2010 con Eva Mei.\nAll'Opéra National de Paris la prima è nel 1987 diretta da Christopher Hogwood con la Vaness.\nAl San Francisco Opera va in scena nel 1989 diretta da John Pritchard con Karita Mattila.\nAll'Opera di Santa Fe (Nuovo Messico) va in scena nel 1999 con Hadley.\nAl Teatro Colón di Buenos Aires va in scena nel 1963 diretta da Hans Schmidt-Isserstedt, con Lewis Richard (Idomeneo) e Kmentt Waldemar (Idamante).\nOggi è frequentemente rappresentata, anche in Italia.\nAl Teatro alla Scala di Milano fu scelta come opera d'inaugurazione della stagione 2005-2006, diretta da Daniel Harding con Francesco Meli (7 dicembre 2005).\n\nCaratteri dell'opera.\nScritto quando Mozart aveva venticinque anni, Idomeneo non è la sua prima opera seria in assoluto, ma la prima nella quale si riscontrano elementi di maggiore libertà formale. Con quest'opera egli mitigò in parte le convenzioni formali dell'opera metastasiana.\nBenché l'impianto sia quello tipico dell'opera seria italiana, con la sua tradizionale alternanza di arie e recitativi, molti elementi risultano estranei a quella tradizione e sono relativamente più moderni: vengono inseriti cori, danze e brani orchestrali. I cori assumono talvolta un ruolo attivo, come avviene durante la scena dei naufraghi nel primo atto.\n\nCast della prima assoluta.\nTrama.\nAtto I.\nDopo la caduta di Troia, Idomeneo, re di Creta, torna in patria dal figlio Idamante, ma la sua flotta in prossimità dell'isola è colta dalla tempesta. Vinto dal timore, fa voto a Nettuno di sacrificargli il primo uomo che incontrerà non appena giunto a terra.\nLa figlia di Agamennone, Elettra, dopo l'uccisione della madre Clitennestra, si è rifugiata a Creta dove si è innamorata di Idamante, il quale ama invece Ilia, figlia di Priamo re di Troia, inviata da Idomeneo a Creta come prigioniera di guerra. Lacerata tra l'amore per un nemico e l'onore di principessa troiana (Padre germani, addio), Ilia respinge Idamante che, informato dell'imminente arrivo del padre, libera i prigionieri troiani e dichiara a Ilia il suo amore.\nElettra, a sua volta, accusa Idamante di proteggere il nemico e di oltraggiare tutta la Grecia. Frattanto giunge Arbace, confidente del re, a portare la falsa notizia che Idomeneo è annegato dopo un naufragio. Idamante allora si ritira in preda al suo dolore, mentre Elettra sfoga la sua disperata gelosia, pensando che ormai Idamante, divenuto il nuovo sovrano, sposerà Ilia. Dalla spiaggia si scorge la flotta di Idomeneo sul mare in burrasca e si odono le grida dell'equipaggio.\nIdamante, figlio di Idomeneo, si reca sulla spiaggia, avvisato erroneamente del naufragio del padre. Idamante è il primo uomo che il padre incontra sulla spiaggia. I due non si riconoscono, a causa della lunga assenza di Idomeneo, se non in seguito e Idomeneo inorridisce quando scopre che il giovane incontrato è suo figlio Idamante: preso dal terrore, fugge e gli vieta di seguirlo. Idamante esprime profondo stupore per il comportamento del padre.\n\nIntermezzo.\nL'intermezzo - che costituisce di fatto il finale dell'atto I - è articolato in due episodi: una marcia dei soldati rientranti in patria e un coro inneggiante a Nettuno (Nettuno s'onori). Nell'intermezzo non canta nessuno dei personaggi principali, solamente il coro, che rende omaggio a Idomeneo e a Nettuno.\n\nAtto II.\nIdomeneo confessa ad Arbace l'orribile voto che ha fatto per salvarsi la vita. Arbace gli suggerisce, per sottrarsi al suo terribile voto, di inviare Idamante con Elettra ad Argo; ma Idomeneo sospetta che Idamante e Ilia si amino. Elettra manifesta la sua gioia sentendosi ormai prossima a realizzare il suo desiderio più ardente.\nAl momento della partenza (Placido è il mar) Idomeneo esorta il figlio ad affrettarsi verso Argo, però, Nettuno scatena una nuova tempesta, e dal mare si leva un orribile mostro. Il re grida il suo sdegno a Nettuno (Ingiusto sei!), gridandogli di prendersela solo con lui, non con tutta Creta. Il popolo, spaventato alla vista del mostro, si rifugia dentro Sidone.\n\nAtto III.\nIlia affida ai venti il suo messaggio d'amore per Idamante (Zeffiretti lusinghieri), che le dichiara di essere deciso a cercare la morte combattendo il mostro: Ilia, commossa, gli confida il suo amore. Giungono Idomeneo ed Elettra e, ancora una volta, il re ordina al figlio di lasciare Creta per sottrarsi alla morte (Andrò ramingo e solo).\nArbace annuncia che il popolo vuole che Idomeneo confessi il suo segreto, e lamenta il destino della città (Sventurata Sidone). Il Gran Sacerdote sollecita il re a compiere il voto e chiede il nome della vittima: il re pronuncia il nome del figlio (O voto tremendo). Inizia il rituale del sacrificio, ma giunge Arbace ad annunciare che Idamante ha ucciso il mostro (Stupenda vittoria!). Il principe ora sa tutto e si dichiara pronto a morire, ma, nel momento in cui Idomeneo sta per colpirlo, Ilia si precipita tra le sue braccia e si offre come vittima al posto dell'uomo che ama.\nAll'improvviso si sente la voce dell'Oracolo di Nettuno: Idomeneo deve rinunciare al trono in favore di Idamante che sposerà Ilia e poi regnerà in luogo del padre. Elettra, furente, impreca (D'Oreste, d'Aiace) e poi fugge. Idamante viene incoronato tra cori e danze (Scenda amor, scenda Imeneo).\n\nOrganico orchestrale.\nLa partitura di Mozart prevede l'utilizzo di:.\n\n2 flauti, ottavino, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti,.\n4 corni, 2 trombe, 3 tromboni.\ntimpani.\narchi.Il basso continuo nei recitativi secchi è garantito dal clavicembalo e dal violoncello.\n\nBrani celebri.\nAtto I.\n\nPadre, germani, addio!, aria di Ilia.\nNon ho colpa, aria di Idamante.\nTutte nel cor vi sento, aria di ElettraAtto II.\n\nSe il padre perdei, aria di Ilia.\nFuor del mar, aria di Idomeneo.\nIdol mio, aria di ElettraAtto III.\n\nZeffiretti lusinghieri, aria di Ilia.\nAndrò ramingo e solo, quartetto di Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo.\nD'Oreste, D'Aiace, aria di Elettra.\n\nStruttura musicale.\nVersione di Monaco.\nOuverture.\n\nAtto primo.\nRecitativo [accompagnato] Quando avran fine omai.\nN. 1 Aria Padre, germani, addio! (Ilia).\nN. 2 Aria Non ho colpa (Idamante).\nN. 3 Coro Godiam la pace.\nRecitativo Or sì dal cielo (Idamante, Ilia).\nRecitativo Estinto è Idomeneo.\nN. 4 Aria Tutte nel cor vi sento (Elettra) attacca:.\nN. 5 Coro Pietà! Numi, pietà attacca:.\nPantomima e Recitativo Eccoci salvi alfin (Idomeneo).\nRecitativo Oh, voto insano.\nN. 6 Aria Vedrommi intorno l'ombra dolente (Idomeneo).\nRecitativo Spietatissimi Dei! (Idomeneo, e Idamante).\nN. 7 Aria Il padre adorato (Idamante).\n\nIntermezzo.\nN. 8 Marcia.\nN. 8a Ballo delle donne Cretesi.\nN. 9 Coro Nettuno s'onori.\n\nAtto secondo.\nN. 10a Aria Se il tuo duol (Arbace).\nN. 11 Aria Se il padre perdei (Ilia).\nRecitativo Qual mi conturba i sensi.\nN. 12a Aria Fuor dal mar (Idomeneo).\nRecitativo Chi mai del mio provò piacer più dolce?.\nN. 13 Aria Idol mio, se ritroso (Elettra) attacca:.\nN. 14 Marcia Odo da lunge armonioso suono (Elettra).\nN. 15 Coro Placido è il mar, andiamo (Elettra, Coro).\nN. 16 Terzetto Pria di partir, oh Dio! (Elettra, Idamante, Idomeneo) attacca:.\nN. 17 Coro Qual nuovo terrore attacca:.\nRecitativo Eccoti in me, barbaro Nume! (Idomeneo).\nN. 18 Coro Corriamo, fuggiamo.\n\nAtto terzo.\nRecitativo Solitudini amiche e.\nN. 19 Aria Zeffiretti lusinghieri (Ilia) attacca:.\nRecitativo Ei stesso vien (Ilia).\nRecitativo Odo?.\nN. 20a Duetto S'io non moro a questi accenti (Idamante, Ilia).\nRecitativo Cieli! che vedo?.\nN. 21 Quartetto Andrò ramingo e solo (Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo).\nRecitativo Sventurata Sidon!.\nN. 22 Aria Se colà ne' fati è scritto (Arbace).\nN. 23 Recitativo Volgi intorno lo sguardo (Gran Sacerdote, Idomeneo).\nN. 24 Coro Oh voto tremendo! attacca.\nN. 25 Marcia.\nN. 26 Cavatina con coro Accogli, oh re del mar (Idomeneo, Sacerdoti).\nN. 27 Recitativo Padre, mio caro padre (Idamante, Idomeneo, Ilia, Gran Sacerdote, Elettra).\nN. 28 La voce Idomeneo cessi esser re.\nN. 29 Recitativo Oh ciel pietoso! (Idomeneo, Idamante, Ilia, Arbace, Elettra).\nN. 30 Coro Scenda Amor, scenda Imeneo.\nN. 31 Balletto (KV 367) in re maggiore.\n\nVersione di Vienna.\nOuverture.\n\nAtto primo.\nRecitativo [accompagnato] Quando avran fine omai.\nN. 1 Aria Padre, germani, addio! (Ilia).\nN. 2 Aria Non ho colpa (Idamante).\nN. 3 Coro Godiam la pace.\nRecitativo Or sì dal cielo (Idamante, Ilia).\nRecitativo Estinto è Idomeneo.\nN. 4 Aria Tutte nel cor vi sento (Elettra) attacca:.\nN. 5 Coro Pietà! Numi, pietà attacca:.\nPantomima e Recitativo Eccoci salvi alfin (Idomeneo).\nRecitativo Oh, voto insano.\nN. 6 Aria Vedrommi intorno l'ombra dolente (Idomeneo).\nRecitativo Spietatissimi Dei! (Idomeneo, e Idamante).\nN. 7 Aria Il padre adorato (Idamante).\n\nIntermezzo.\nN. 8 Marcia.\nN. 8a Ballo delle donne Cretesi.\nN. 9 Coro Nettuno s'onori.\n\nAtto secondo.\nN. 10 Aria Non temer, amato bene (Idamante).\nN. 11 Aria Se il padre perdei (Ilia).\nRecitativo Qual mi conturba i sensi.\nN. 12a Aria Fuor dal mar (Idomeneo).\nRecitativo Chi mai del mio provò piacer più dolce?.\nN. 13 Aria Idol mio, se ritroso (Elettra) attacca:.\nN. 14 Marcia Odo da lunge armonioso suono (Elettra).\nN. 15 Coro Placido è il mar, andiamo (Elettra, Coro).\nN. 16 Terzetto Pria di partir, oh Dio! (Elettra, Idamante, Idomeneo) attacca:.\nN. 17 Coro Qual nuovo terrore attacca:.\nRecitativo Eccoti in me, barbaro Nume! (Idomeneo).\nN. 18 Coro Corriamo, fuggiamo.\n\nAtto terzo.\nRecitativo Solitudini amiche e.\nN. 19 Aria Zeffiretti lusinghieri (Ilia) attacca:.\nRecitativo Ei stesso vien (Ilia).\nRecitativo Odo?.\nN. 20b Duetto Spiegarti non poss'io (Idamante, Ilia).\nRecitativo Cieli! che vedo?.\nN. 21 Quartetto Andrò ramingo e solo (Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo).\nRecitativo Sventurata Sidon!.\nN. 22 Aria Se colà ne' fati è scritto (Arbace).\nN. 23 Recitativo Volgi intorno lo sguardo (Gran Sacerdote, Idomeneo).\nN. 24 Coro Oh voto tremendo! attacca.\nN. 25 Marcia.\nN. 26 Cavatina con coro Accogli, oh re del mar (Idomeneo, Sacerdoti).\nN. 27 Recitativo Padre, mio caro padre (Idamante, Idomeneo, Ilia, Gran Sacerdote, Elettra).\nN. 27a Aria No, la morte (Idamante).\nN. 28a La voce Idomeneo cessi esser re.\nN. 29 Recitativo Oh ciel pietoso! (Idomeneo, Idamante, Ilia, Arbace, Elettra).\nN. 29a Aria D'Oreste, d'Aiace (Elettra).\nN. 30 Recitativo Popoli, a voi l'ultima legge.\nN. 30a Aria Torna la pace (Idomeneo).\nN. 31 Coro Scenda Amor, scenda Imeneo.\n\nScandalo 2006.\nMolto scalpore suscitò la decisione della sovrintendente dalla Deutsche Oper di Berlino Kirsten Harms d'annullare la ripresa di un allestimento di Idomeneo per la regia di Hans Neuenfels prevista per il novembre 2006. In questo allestimento venivano mostrate le teste mozzate di Maometto, Gesù, Budda e Nettuno. Ciò aveva suscitato preoccupazioni da parte del senatore per l'ordine pubblico e della polizia di Berlino per possibili 'azioni violente'. Dopo l'intervento del ministro degli interni tedesco Wolfgang Schäuble alla conferenza islamica a Berlino il 27 settembre e altri intermediazioni, il discusso allestimento andò di nuovo in scena il 18 dicembre senza suscitare i temuti disordini.\n\nDiscografia.\nVideoregistrazioni (DVD).\nJames Levine (1982). Deutsche Grammophon. Regia, scene e costumi di Jean-Pierre Ponnelle. Interpreti: Luciano Pavarotti; Frederica von Stade; Ileana Cotrubaș, Hildegard Behrens; John Alexander; Timothy Jenkins; Richard Clark; Loretta Di Franco, Batyah Godfrey-Bendavid; Charles Anthony, James Courtney. Ripresa video di Brian Large. Questa è stata la prima produzione dell'opera da parte del Metropolitan di New York.\nBernard Haitink (1983). NVC Arts. Regia teatrale di Trevor Nunn. Interpreti: Philip Langridge, Jerry Hadley (che esegue la versione per tenore della parte di Idamante), Yvonne Kenny, Carol Vaness, Thomas Hemsley, Anthony Roden, Roderick Kennedy, altri non indicati. The Glyndebourne Chorus, London Philharmonic Orchestra. Registrata al Glyndebourne Festival Opera.\nMarco Guidarini (2004). Dynamic. Regia, scene e costumi di Pier Luigi Pizzi. Interpreti: Kurt Streit; Sonia Ganassi; Angeles Blancas Gulin; Iano Tamar; Jörg Schneider; Dario Magnabosco; Deyan Vatchkov. Orchestra e coro del Teatro San Carlo di Napoli. Ripresa video: Tiziano Mancini.\nSir Roger Norrington (2006). Decca. Parte del Progetto M22 del Festival di Salisburgo. Messo in scena con la regia di Ursel Herrmann e le scene di Karl-Ernt Herrmann. Interpreti: Ramón Vargas, Magdalena Kožená, Ekaterina Siurina, Anja Harteros, Jeffrey Francis; Robin Leggate; Günther Groissböck, altri non indicati. Salzburger Bachchor, Camerata Salzburg.\nKent Nagano (2008). Medici Arts. Regia di Dieter Dorn. Interpreti: John Mark Ainsley, Pavol Breslik (che esegue la versione per tenore della parte di Idamante), Julianne Banse, Annette Dasch, Rainer Trost, Guy de Mey, Steven Humes; altri non indicati. Chor & Orchester der Bayerischen Staatsoper. Registrata dal vivo all'Opera di Stato Bavarese di Monaco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Idomeneo.\n### Descrizione: Idomeneo (in greco antico: Ἰδομενεύς?, Idomenèus) è un personaggio della mitologia greca, re di Creta, figlio di Deucalione e nipote di Minosse.\n\nMitologia.\nUn giorno, Idomeneo risolse una disputa sorta tra Teti e Medea su chi fosse la più bella, decidendo in favore di Teti. Medea, irritata, maledisse lui e la sua stirpe e condannò i Cretesi a non dire mai più la verità. Si spiega così il proverbiale stereotipo secondo cui «I Cretesi sono tutti bugiardi».\nBenché già avanti negli anni, Idomeneo aspirò alla mano della bella Elena, che amò con passione e per cui soffrì molto quando fu destinata a Menelao. Lo stesso Idomeneo si diceva fosse bellissimo. Le file greche si raccolsero sulla spiaggia d'Aulide, quando alcuni ambasciatori cretesi accorsero per annunciare che il loro re Idomeneo avrebbe guidato cento navi a Troia se Agamennone avesse acconsentito a condividere con lui il supremo comando della spedizione. Il re accettò di buon grado. Idomeneo arruolò Merione, suo nipote, come luogotenente.\nPartecipò con ottanta navi alla guerra di Troia, come tutti gli altri pretendenti. Nella guerra tra achei e troiani raccontata nell'Iliade si distinse in numerose imprese, uccidendo Asio (il giovane re di Arisbe e fratello di Niso), Otrioneo, Alcatoo, Enomao, Erimante e Festo. Seppe difendere le navi greche contro gli assalti portati da Deifobo ed Enea. Inoltre fu tra gli eroi che, nascosti nel cavallo di legno, penetrarono nella città; era tra i giudici che attribuirono le armi di Achille ad Odisseo.\nSecondo alcune tradizioni, Idomeneo venne ucciso da Ettore nella guerra di Troia, ma quasi tutte le versioni raccontano come egli, dopo aver abbandonato il suolo insanguinato della imponente città, partì per la sua terra con la sua nave, ma trovò il suo trono usurpato da Leuco, al quale Idomeneo aveva lasciato la guardia della casa in sua assenza, con cui sua moglie Meda aveva avuto una relazione.\nPartì nuovamente per l'Italia e si stabilì definitivamente in Calabria (nome antico del Salento), dove sconfisse Dauno, figlio di Malennio, leggendario fondatore di Lecce e re dei Messapi, e ne prese il trono governando le genti salentine. Analogamente a quanto accaduto con la figura di Diomede in Puglia, la tradizione letteraria identificò Idomeneo come la personificazione allegorica di un'ancestrale colonizzazione ellenica (forse micenea) del Salento, molto precedente a quella più famosa operata dalla spartana Taranto in epoca magnogreca. L'umanista Antonio de Ferrariis, riferendosi all'antico idioma messapico, lo definisce 'la lingua di cui si servivano i Salentini prima della venuta di Idomeneo', utilizzando quindi la figura di quest'ultimo come simbolo del Salento greco di cui egli stesso vantava un'appartenenza. Marco Terenzio Varrone, il Reatino (116 a.C.-27 a.C.), così scrive: “Si dice che la nazione Salentina si sia formata a partire da tre luoghi, Creta, l’illirico, l’Italia. Idomeneo, cacciato in esilio dalla città di Blanda per una sedizione durante la guerra contro i Magnensi, giunse con un grosso esercito nell’Illirico presso il re Divitio. Ricevuto da lui un altro esercito, e unitosi in mare, per la somiglianza delle loro condizioni e progetti, con un folto gruppo di profughi locresi, strinse con essi patti di amicizia e si portò a Locri. Dove nelle sue vicinanze fondò una città l’attuale Grotteria costruendo un tempio dedicato alla Dea Minerva. Fondò diversi centri tra quali Uria e la famosissima Castrum Minervae. Divise l’esercito in tre parti e in dodici popoli. Furono chiamati Salentini, poiché avevano fatto amicizia in mare'.\nUna variante afferma che fu costretto a lasciare la patria per una sommossa dei suoi sudditi, avendo egli ordinato il sacrificio di suo figlio Idamante per mantenere fede a un voto fatto mentre ritornava dalla guerra di Troia: i Cretesi interruppero la cerimonia provocando così la fuga del re." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Idra di Lerna.\n### Descrizione: L'Idra di Lerna (in greco antico: Ύδρα?, Hýdra) è un mostro leggendario della mitologia greca e romana che appare principalmente nei miti riguardanti Eracle.\n\nAspetto.\nÈ un mostro velenosissimo in grado di uccidere un uomo con il solo respiro, con il suo sangue o al solo contatto con le sue orme. È inoltre dotato di grande intelligenza e di arguzia diabolica.\nViene descritto come un grande serpente marino anfibio dotato di sei o nove teste che ricrescono se vengono tagliate e delle quali la centrale è immortale.Alcuni autori come Simonide e Diodoro Siculo narrano di un numero di teste pari a cinquanta e oltre, mentre Pausania riferisce di una sola testa e ne ridimensiona la stazza paragonandola a una biscia di mare.\n\nGenealogia.\nFu allevata da Era ma era figlia di Tifone ed Echidna ed aveva come fratelli Cerbero, Ortro e la Chimera.\n\nMitologia.\nL'idra terrorizzava la città di Lerna nell'Argolide e viveva in una palude nei pressi delle sorgenti di Amimone.\n\nLa seconda fatica di Eracle.\nIl compito di ucciderla fu assegnato ad Eracle per la sua seconda fatica: l'eroe stanò l'Idra con delle frecce infuocate per poi affrontarla, ma ogni volta che le veniva tagliata una delle teste ne ricrescevano due dal corpo. Eracle fu così aiutato da Iolao che, dopo ogni taglio di una testa ne cauterizzava il moncherino con il fuoco impedendone la ricrescita. Il mostro fu definitivamente vinto e ucciso da un masso utilizzato da Eracle per schiacciarne la testa immortale.\n\nL'aiuto del Carcino.\nPer volontà di Era durante la battaglia emerse dalla palude il Carcino (un granchio) che, mandato ad affiancare l'Idra, pizzicò con le sue chele i piedi di Eracle che però lo schiacciò sotto il tallone.\n\nDopo la sua morte.\nEracle immerse le frecce nel sangue velenoso del mostro appena ucciso, e ottenne così che ogni futura ferita provocata diventasse incurabile.L'Idra ed il Carcino furono trasformati in costellazioni da Era. Rispettivamente l'Idra e il Cancro.\n\nNel medioevo.\nNella zoologia mitologica medioevale, il termine 'idra' sta ad indicare un generico drago con molte teste. In alcuni bestiari medioevali è citato anche l'hydrus, un serpente nemico per antonomasia del coccodrillo, dal quale si fa inghiottire per poi lacerarne l'intestino (analogamente a come era detto fare l'icneumone).Erasmo da Rotterdam nei suoi Adagia paragona la guerra all'idra di Lerna:.\n\nNell'età moderna.\nI contro-rivoluzionari paragonavano l'idra di Lerna alla rivoluzione francese, che bisognava annientare se si voleva evitare che contaminasse tutta l'Europa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Idriadi.\n### Descrizione: Le Idriadi sono le ninfe delle acque, creature della mitologia greca. Esse si dividono in:.\n\nAvernali, del lago Averno e dei fiumi infernali.\nNefeli.\nAliadi.\nPsamidi.\nOceanine o Malìe, delle acque correnti, sorelle dei fiumi.\nNereidi, del mare, figlie dell'oceanina Doride.\nNaiadi o Efidriadi o Idriadi, delle sorgenti.\nEleadi.\nPotamidi, dei fiumi.\nLimnìadi o Lìmnadi, dei laghi e degli stagni.\nCreneidi e Pegee, delle fonti.Per quanto riguarda le illusorie e ammalianti profondità acquoree, le ninfe più antiche sono le tremila Oceanine «dalle caviglie sottili, che assai numerose la terra e gli abissi del mare per ogni dove ugualmente curano, fulgida prole di dee».\nFiglie di Oceano e Teti, due titani che simboleggiano le acque universali e la fonte prima della vita, diedero origine a tutti i fiumi che bagnano e rinverdiscono la terra, fra cui l'Acheloo, il maggiore dio fluviale della Grecia, capace di cambiare la propria forma (come in una sfida contro Herakles per la mano di Deianira quando si trasformò in toro, drago e bue). Stige «fra loro è la maggiore di tutte», abitatrice del principale rio infernale le cui acque possono rendere immortali (Achille venne immerso nella sua corrente, tenuto per un tallone che per questo rimase vulnerabile); su di lei giurano gli dèi, e colui che si macchia di spergiuro per un anno «giace senza respiro; né mai può farsi vicino all'ambrosia e al nettare cibo, […] e un funesto torpore lo avvolge» poi «per nove anni viene privato degli dèi sempre viventi, né mai frequenta il consiglio né i banchetti».\nAltre figlie di Oceano sono Kalypso amante di Odysseus, Metis dea della saggezza che attuò diverse metamorfosi prima di concedersi a Zeus, Tyche signora della fortuna e Perseide dalla quale discenderanno regine e maghe quali Circe, Pasifae e Medea. Un'altra di queste ninfe, Doris, unendosi a Nereo “il vecchio del mare” (divinità simboleggiante il mare calmo, figlio di Ponto e Gaia e per ciò anteriore alla nascita degli Olimpii) darà vita al bel Nerito ed alle cinquanta Nereidi. Di queste, le più celebri sono: Tetide, madre di Achille, Galatea, amata dal ciclope Polifemo, ed Anfitrite, che diventerà la sposa del successivo dio del mare, Posidone, il dio dalla chioma turchina che porta il tridente. Da questa unione nasceranno Rhodos e Tritone, padre dei Tritoni che percorrono il mare suonando la buccina per suscitare o calmare le tempeste.\nEuripide nell'Andromaca suggerisce che alle ninfe marine «Zeus ha dato un'esistenza e una dimora lontana dagli uomini, stabilendosi ai confini della terra. È là che abitano, il cuore libero da affanni, nelle isole dei Beati, in riva ai gorghi profondi dell'Oceano, eroi fortunati per i quali questo suolo fecondo porta tre volte all'anno un fiorente e dolce raccolto.».\nCome non avvicinare questa descrizione alla miriade di isole incantate presenti in svariate tradizioni, dove gli eroi possono dimorare dopo la morte?.\nLe abitatrici delle acque terrestri, prendono il nome di Naiadi (dal greco “scorrere” o “fonte”) e vengono dette alternativamente figlie di Oceano, di Zeus o del dio fluviale più prossimo alla loro dimora. Queste creature si dividono in varie specie a seconda del luogo che abitano: le Potamidi animano le acque cristalline dei fiumi, le Pegee o Crenee le limpide sorgenti scaturite dalle insondabili profondità terrestri e le Limniadi le polle stagnanti che sembrano custodire arcani segreti.\nAltre fanciulle che abitano una piccola isola fra i flutti sono le Sirene (“le desiderate” o “che legano”), coloro che furono Ninfe di terra e che, per poter cercare anche sulle acque la loro compagna di giochi, Persephone, rapita dal dio del sotterraneo mondo dei morti, si trasformarono in esseri alati abitatori dei mari. Esse avevano una splendida voce che aveva il potere di attirare i marinai che la udivano; solo Orpheus ed Odysseus riuscirono a passare indenni presso il loro scoglio.\nUn episodio riguardante le ninfe delle acque è quello di Hylas, lo splendido giovane, amante e scudiero di Herakles che si era imbarcato con gli argonauti. Durante una sosta su un'isola fu mandato a fare provvista d'acqua e «presto scorse una fonte, in un basso terreno; intorno cresceva molto fogliame, scuro chelidonio e verde capelvenere, apio fiorente e graminia serpeggiante. In mezzo all'acqua le Ninfe intrecciavano un coro, le ninfe insonni, le dee temibili per i campagnoli, Eunica, e Malide, e Nicea sguardo di primavera.». Subito si innamorarono del bel fanciullo, e quando questi si fu chinato sullo specchio d'acqua lo afferrarono e lo portarono nelle profondità, dove con dolci parole lo rincuoravano. Herakles, preoccupato, si mise alla ricerca del compagno e tre volte urlò il suo nome, ma la voce del giovane sembrava provenire da grande distanza, e mai più lo rivide." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Idro (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, e in particolare nell'orfismo, Idro (Ὕδρος Hýdros) era il dio primordiale dell'acqua, nello stesso modo in cui Tesi era la dea primordiale della creazione. Secondo la teogonia orfica non aveva genitori, ma era emerso all'inizio dell'universo.\nIn alcune teogonie Idro è essenzialmente identico a Oceano, il fiume che circonda la Terra, proprio come Tesi rispetto a Teti.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Idro, su theoi.com." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ifi (figlia di Ligdo).\n### Descrizione: Ifi (in greco antico: Ιφις?) o Ifide è un personaggio della mitologia greca, figlia di Teletusa e di Ligdo.\nLa storia di Ifi è uno dei pochi miti greci incentrati sui temi del lesbismo e della transessualità.\n\nMitologia.\nSecondo Ovidio, che ne racconta il mito nelle Metamorfosi, Ligdo dichiarò alla moglie Teletusa, incinta, che se avesse partorito una bambina, i due sarebbero stati costretti ad ucciderla poiché non disponevano dei mezzi per allevarla.\nUna notte Iside apparve a Teletusa ormai disperata, dicendole di non preoccuparsi del sesso nascituro e di allevarlo.\nQuando Teletusa partorì, nascose al marito il sesso della bambina e la allevò fingendo che fosse un maschio.\nIfi fu cresciuta con un'altra bambina, Iante, che le fu promessa in moglie dal padre; tra le due ragazze sbocciò un amore reciproco.\nMan mano che si avvicinava il giorno delle nozze, Ifi era sempre più preoccupata di non poter possedere la sua amata, così pregò Iside-Giunone affinché le fosse permesso di coronare il suo amore. Il giorno prima del matrimonio Teletusa portò la figlia al tempio di Iside ed implorò l'aiuto della dea.\nLa dea trasformò Ifi in un uomo cosicché rimanesse se stessa dentro al nuovo corpo di un uomo e potesse sposare Iante." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ificlo (figlio di Filaco).\n### Descrizione: Ificlo (in greco antico Ἰφικλής Iphiklḕs) è un personaggio della mitologia greca, nativo della Tessalonica e figlio di Filaco e Climene.\n\nMitologia.\nPadre di Protesilao e Podarce avuti da Diomedea o da Astioche.\nFu curato dall'infertilità da Melampo a cui diede come ricompensa un branco di buoi.\nIficlo aveva un fratello di nome Climeno che con lui risulta tra i partecipanti alla spedizione degli Argonauti nel periodo in cui navigarono verso la Colchide e nella ricerca del Vello d'oro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ificlo (figlio di Testio).\n### Descrizione: Ificlo (in greco antico Ίφικλής) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Testio e di Euritemi e fratello di Ipermnestra, Plessippo, Evippo, Euripilo Altea e Leda.\n\nMitologia.\nFu uno degli Argonauti e partecipò alla caccia al cinghiale Calidonio dove fu anche il primo a colpirlo con la lancia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia (mitologia).\n### Descrizione: Ifigenia (in greco antico: Ἰφιγένεια?, Iphighéneia), o Ifianassa è un personaggio della mitologia greca, figlia primogenita di Agamennone e di Clitemnestra.\nLa figura di Ifigenia è protagonista delle tragedie Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride di Euripide. Inoltre, un episodio della sua storia, riguardante precisamente il suo sacrificio in Aulide, fu descritto anche da Lucrezio, autore latino del I secolo a.C.\n\nIl mito.\nIfigenia era la prima figlia di Agamennone, come sottolinea anche Euripide: «Per prima ti ho chiamato mio padre e tu figlia».\nI suoi fratelli erano Oreste, Elettra e Crisotemi. Antonino Liberale racconta che in realtà fosse figlia di Teseo ed Elena. Ancora giovinetta, Elena fu rapita dall'eroe che la violò. Elena fu poi salvata dai Dioscuri e giurò loro di aver mantenuto la sua verginità, ma in realtà, ad Argo, sulla strada del ritorno, diede alla luce una bambina, Ifigenia, e consacrò ad Artemide un santuario in segno di gratitudine per il parto alleviato dalla sofferenza. Poi affidò la neonata a Clitemnestra che la adottò come sua figlia.\nUn giorno, Agamennone uccise una cerva con una freccia saettata da una lunga distanza, e, imbaldanzito, emise un sacrilego vanto: «Neanche Artemide ci sarebbe riuscita!», oppure, promise di sacrificare alla dea la creatura più bella sbocciata nel suo regno in quell'anno, lo stesso in cui poi venne alla luce Ifigenia, ma si rifiutò poi di immolarla, o ancora, uccise una capra sacra alla dea. Artemide fu offesa dal sacrilegio e scatenò presto forti venti che respinsero per alcuni giorni le navi greche sulle coste di Aulide, impedendo loro di salpare per Troia.\nL'indovino Calcante fu consultato e vaticinò che la flotta non sarebbe salpata se Agamennone non avesse sacrificato alla dea irata la più bella tra le sue figlie. Secondo altri il responso fu emesso dall'oracolo di Delfi. In un primo momento, Agamennone si oppose al sacrificio della propria figlia e sostenne che Clitemnestra non avrebbe mai dato il suo consenso all'uccisione di Ifigenia. Le truppe greche insorsero, minacciando di giurare fedeltà a Palamede e di abbandonare il re, se si fosse ostinato nel suo cieco rifiuto. Ulisse si finse colto da un'ira rabbiosa e fu sul punto di salpare per Itaca, quando Menelao si intromise e cercò di placare gli animi. Sino a quando non avesse concesso il sacrificio, Agamennone fu sospeso dalle sue prerogative e l'esercito elesse al suo posto Palamede.\nMenelao esortò allora il fratello a lasciare che Ulisse e Taltibio andassero a Micene e conducessero Ifigenia in Aulide, con il pretesto che, se Achille non l'avesse presa in moglie, si sarebbe rifiutato di salpare per Troia. Clitennestra, madre di Ifigenia, condusse con gran pompa la figlia dal padre, felice di divenire suocera di Achille. Rimase quindi sconcertata quando scoprì il vero motivo del viaggio: non le nozze ma un sacrificio umano per far partire la flotta verso Troia. Per questo inganno sorse in lei un astio feroce verso Agamennone, che porterà al tradimento e all'assassinio del marito una volta ritornato dalla guerra.\nIfigenia, dopo un iniziale sgomento, accettò nobilmente il suo destino e si presentò per essere decapitata sull'altare. Ma all'ultimo momento Artemide sostituì Ifigenia con una cerva. La fanciulla sparì dalla vista degli Achei e fu portata dalla dea in Tauride, nel Chersoneso, dove divenne sua sacerdotessa. Molti anni dopo, il fratello Oreste giunse lì casualmente insieme all'amico Pilade, ma venne catturato dagli abitanti del posto e, come tutti gli stranieri, preparato per il sacrificio ad Artemide. Ifigenia, riconosciuto il fratello, ingannò Toante, re dei Tauri, dicendogli che i nuovi arrivati dovevano essere lavati nel mare poiché accusati di matricidio e chiese anche alla popolazione di non assistere al rito. Ciò servì ai tre per fuggire da lì con la statua di Artemide e far ritorno in Grecia.\nSecondo alcuni autori, la divinità che aveva preteso il sacrificio della giovane donna era Poseidone.\n\nIl sacrificio della Vergine.\nCol termine proteleia si indicava la data in cui le figlie femmine (ossia vergini) venivano accompagnate dai genitori sull'acropoli per celebrare un sacrificio alla dea Artemide (o ad altre divinità femminili), generalmente in vista del loro matrimonio. Con lo stesso termine Euripide traduce solo il rito sacrificale. Il sacrificio consisteva spesso in un oggetto personale, un giocattolo oppure una ciocca di capelli, a rappresentare il vecchio modo di vita (la fanciullezza) lasciato in quel momento alle spalle.\nIl parallelismo con il mito di Ifigenia è evidente: Ifigenia è allo stesso tempo figlia obbediente, disposta a sacrificarsi secondo il volere del padre, e sacerdotessa di un culto che segue durante le tappe della crescita tutte le donne (bambine, spose, madri). In Ifigenia si riflette quindi il mito della fanciulla che rimane vergine, malgrado il tentativo di ucciderla (il sacrificio va inteso come morte della fanciulla a favore della donna adulta, matura e quindi pronta ad essere data in sposa ad un uomo). Anche la figura paterna che si confonde con quella del sacrificatore è importante: la ragazza che va in sposa smette di essere sotto la tutela del padre per passare sotto quella del marito. Il padre, partecipando al sacrificio, accetta questa condizione.\n\n«In molti paesi dell'Attica, a Braurone come a Munichia, per rappresentare il superamento della condizione dell'infanzia ci si serve del motivo del “sacrificio della figlia” che riprende il modello universale della morte iniziatica. Ifigenia, con una tomba a Braurone e una a Megara, e un mito che ne fa la figlia da sacrificare in Aulide, funge da prototipo per le ragazze che compiono il rito di passaggio».Nella Bibbia c'è un evento simile narrato nel Libro dei Giudici, in cui i protagonisti sono il giudice Iefte e sua figlia.\n\nGenealogia.\nIfigenia nell'arte.\nIl mito di Ifigenia è presente in numerose opere artistiche.\n\nLetteratura.\nIfigenia - Tragedia di Jean Racine.\nIfigenia - Tragedia di Ramón de la Cruz.\nIfigenia in Aulide - Tragedia di Euripide.\nIfigenia in Aulide - Tragedia di Gerhart Hauptmann.\nIfigenia in Aulide - Tragedia di Jean de Rotrou.\nIfigenia in Delfi - Tragedia di Gerhart Hauptmann.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Giuseppe Biamonti.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Gian Rinaldo Carli.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Cesare della Valle.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Euripide.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Johann Wolfgang Goethe.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Pier Jacopo Martello.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Jean Moréas.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Ippolito Pindemonte.\nIfigenia in Tauride - Tragedia di Guimond de la Touche.\nIl sacrificio di Ifigenia - Tragedia di José de Cañizares.\nIfigenia - romanzo del 1924 della scrittrice venezuelana Teresa de la Parra.\nIl ritorno di Ifigenia - Poema di Ghiannis Ritsos.\n\nMusica.\nIfigenia - Melodrammi di Domenico Scarlatti: Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauri.\nIfigenia in Aulide - Melodramma di Apostolo Zeno (libretto).\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Antonio Caldara.\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Luigi Cherubini, rappresentata a Torino nel 1788.\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Christoph Willibald Gluck.\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Heinrich Graun (dello stesso autore e con medesimo soggetto anche Iphigenia in Aulis).\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Niccolò Jommelli.\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Vicente Martín y Soler.\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Nicola Porpora.\nIfigenia in Aulide - Opera lirica di Tommaso Traetta.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Michele Carafa.\nIfigenia in Tauride - Opera musicale di Hugh Clarke e Charles Wood.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Henri Desmarets e André Campra.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Christoph Willibald Gluck.\nIfigenia in Tauride - Opera musicale di Ludwig Theodor Gouvy.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Niccolò Jommelli.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Benedetto Pasqualigo (libretto).\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Niccolò Piccinni.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Giuseppe Orlandini.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Domenico Scarlatti.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Angelo Tarchi.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Tommaso Traetta.\nIfigenia in Tauride - Opera lirica di Leonardo Vinci.\nIphigenia in Hades - Canzone del gruppo heavy metal Virgin Steele ( contenuta nel disco The House of Atreus Act I).\n\nPittura.\nSacrificio di Ifigenia di Timante.\nSacrificio d'Ifigenia di Giambattista Tiepolo (nella Sala di Ifigenia a Villa Valmarana).\nSacrificio di Ifigenia di Giambattista Crosato.\nSacrificio di Ifigenia di Federico Bencovich.\nSacrificio di Ifigenia di Giambattista Pazzetta.\nSacrificio di Ifigenia di Corrado Giaquinto.\nIl sacrificio d'Ifigenia di Francesco Fontebasso.\nIl sacrificio d'Ifigenia di Pietro Testa.\nSacrificio di Ifigenia di Pompeo Batoni.\n\nCinema.\nIfigenia, film del regista greco Michael Cacoyannis.\nIfigenia, film del cineasta venezuelano Iván Feo.\nIl sacrificio del cervo sacro, film del regista greco Yorgos Lanthimos." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia in Aulide (Gluck).\n### Descrizione: Ifigenia in Aulide (Iphigénie en Aulide) è un'opera francese in tre atti di Christoph Willibald Gluck, su libretto di Le Bailly du Roullet, tratto dalla tragedia Iphigénie (1674) di Jean Racine, a sua volta basata sull'Ifigenia in Aulide di Euripide. Riferibile al genere della tragédie lyrique, essa vide la luce del palcoscenico all'Opéra di Parigi il 19 aprile 1774 e costituisce la prima delle sei opere che il musicista tedesco compose, o profondamente rielaborò, per le scene della capitale francese.\n\nLa preparazione.\nQuando agli inizi degli anni '70, la fortuna di Gluck a Vienna appariva declinante, la sua nuova amicizia con l'aspirante librettista e attaché all'ambasciata di Francia, noto come Le Bailly du Roullet, e soprattutto il fatto che la sua affezionata ex-allieva di canto, Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena, fosse diventata, nel 1770, delfina di Francia, fecero accarezzare al compositore, ormai sulla soglia dei sessant'anni, l'idea di cercare nuovi successi a Parigi: ciò che del resto poteva anche essere considerato come il logico sbocco del suo percorso artistico che tanto, del mondo musicale francese, direttamente o indirettamente, si era alimentato.\nNel raggio di pochi mesi, Gluck stava non solo lavorando, senza alcun preventivo contratto, ad una nuova opera su libretto di du Roullet, l'Iphigénie en Aulide, con soggetto radicato nella tradizione teatrale francese ed ispirato a una tragedia di Racine, ma stava anche aprendo una corrispondenza con il «Mercure de France» allo scopo di prepararsi il campo sulla rovente piazza parigina. Pressappoco in questo stesso periodo, Gluck dové inoltre riprendere i contatti con un suo vecchio collaboratore, il librettista Pierre-Louis Moline, ai fini della traduzione e dell'ampliamento del libretto dell'Orfeo ed Euridice di Ranieri de' Calzabigi, nell'ipotesi della produzione di una versione francese dell'opera.\nSu questi presupposti, Le Bailly du Roullet, sponsorizzato ad alto livello (e in modo determinante) dalla delfina, esercitò pressioni molto forti sulla direzione dell'Académie Royale de Musique, finché non ottenne una ricca commessa in favore di Gluck.\nQuesti partì quindi nel 1773 alla volta di Parigi, con la partitura dell'Iphigénie sottobraccio e, così come aveva esplicitamente previsto, si scontrò immediatamente con tutto l'ingessato ambiente dell'Opéra, restio ad accettare i suoi metodi bruschi di lavoro e refrattario nei confronti del suo nuovo stile artistico e musicale. Le prove dell'Iphigénie en Aulide durarono la bellezza di sei mesi e soltanto le sue ripetute minacce di abbandonare la partita e soprattutto l'appoggio della corte, gli consentirono alla fine di averla vinta. «A Sophie Arnould, che per il ruolo di Ifigenia pretendeva delle grandi arie anziché i perpetui recitativi, replicò: 'Per cantare delle grandi arie, bisogna prima saper cantare'. (...) Litigò con il ballerino Gaëtan Vestris che voleva che l'opera si concludesse con un balletto, com'era d'uso. 'Una ciaccona! Una ciaccona!' gridò Gluck. 'Vogliamo ricreare i greci; e i greci avevano forse le ciaccone?' Vestris, stupito di apprendere che non le avevano, ribatté con umorismo: 'Peggio per loro'»..\nQuanto al coro, i suoi componenti, ricorderà novant'anni dopo Berlioz, «non recitavano. Piantati a destra e a sinistra del palcoscenico come delle canne d'organo, ripetevano la lezione con flemma disperante. [Gluck] fu quello che cercò di rianimarli, indicando loro ogni gesto e movimento da fare e consumandosi a tal punto nei suoi sforzi che sarebbe certamente crollato sotto la fatica se solo non fosse stato dotato dalla natura di una tempra tanto resistente».\nSui rapporti, inizialmente molto difficili, con la prima haute-contre dell'Opéra, Joseph Legros sono stati tramandati aneddoti, anche molto coloriti, relativi soprattutto alle prove dell'Orphée, che ebbero luogo immediatamente dopo l'esecuzione dell'Iphigénie. Con questo cantante, cui spettavano istituzionalmente le parti da “attor giovine”, Gluck si trovò di fronte ad una sorta di pingue usignolo meccanico, dalle straripanti possibilità vocali, ma assolutamente privo di capacità interpretative e sceniche. Il lavoro di addestramento fu duro e lunghissimo e coinvolse tutto il periodo tra l'inizio delle prove dell'Iphigénie e la rappresentazione dell'Orphée. Legros, che era una persona seria e di notevole statura umana, riuscì a trarre lezione dagli insegnamenti gluckiani e uscì dall'incontro con il musicista tedesco come un interprete rinato capace di mettere d'accordo gli opposti partiti, sempre presenti sulla piazza di Parigi, finché, una decina di anni dopo, nel 1783, la sua ormai opprimente obesità non lo costrinse a lasciare il palcoscenico.\n\nVicende storiche.\nL'Iphigénie andò finalmente in scena il 19 aprile 1774 con successo inizialmente assai moderato e fece in tempo ad avere solo tre riprese, il 22, 24 and 29 aprile, perché poi i teatri francesi furono chiusi per un mese e mezzo, a partire dal primo maggio, in concomitanza con la malattia e la morte del re Luigi XV. Successivamente il cartellone prevedeva le rappresentazioni, prima dell'Orphée (dal 4 agosto), e poi dell'Azolan di Étienne-Joseph Floquet (dal 22 novembre), e quindi l'Iphigénie poté tornare in palcoscenico solo il 10 gennaio 1775: «fu però ripresa annualmente nei periodi 1776/1780, 1782/1793, 1796/1824, annoverando a Parigi, in quest'arco di cinquant'anni, più di quattrocento messe in scena», e risultando quindi alla fine l'opera gluckiana più eseguita sui palcoscenici della capitale francese. Per la ripresa del 1775, «Gluck rimaneggiò l'Iphigénie en Aulide ... introducendo in chiusura dell'opera il personaggio di Diana (soprano) come deus ex machina, e modificando ed ampliando i divertissements... Così, in senso lato, si può dire che esistano due versioni dell'opera, ma le differenze non sono in alcun modo altrettanto grandi ed importanti come quelle tra l'Orfeo ed Euridice e l'Orphée et Euridice, oppure tra la versione italiana e quella francese dell'Alceste».\n\nLa versione di Wagner.\nNonostante il grande successo riscosso nei suoi primi cinquant'anni di vita, a partire dagli anni '30 dell'Ottocento l'Iphigénie en Aulide passò in second'ordine rispetto all'Orfeo ed Euridice, e anche all'Iphigénie en Tauride, dal punto di vista della frequenza di rappresentazione sui palcoscenici. Precedette comunque, ancora, cronologicamente, le due consorelle gluckiane nell'interesse che esse destarono nei compositori ottocenteschi, e che si concretò nella nascita di versioni aggiornate delle tre opere.\nAd occuparsi dell'Iphigénie en Aulide nel 1847, fu Richard Wagner, il quale realizzò una revisione dell'opera di Gluck (Iphigenia in Aulis) al Semperoper di Dresda, per l'interpretazione di Wilhelmine Schröder-Devrient nei panni di Clitennestra e di Johanna Wagner in quelli della protagonista. Oltre a tradurla in tedesco, Wagner «riorchestrò l'opera, introdusse numerosi tagli ed aggiunse recitativi ed altra musica di sua produzione; cambiò pure il terzo atto e gli diede un nuovo finale (con Diana ... che comanda a Ifigenia di trasferirsi in Tauride come propria locale grande sacerdotessa), così realizzando un collegamento tra Iphigénie en Aulide e Iphigénie en Tauride che andava di sicuro al di là delle intenzioni di Gluck». La versione wagneriana ebbe una notevole fortuna nei teatri tedeschi, rappresentata normalmente in luogo della versione originale francese fino ad anni recenti. Il finale di Wagner, ritradotto in francese, è stato eseguito anche in occasione della ripresa dell'opera sotto la direzione di Riccardo Muti ad inaugurazione della stagione 2002-2003 del Teatro alla Scala, il 7 dicembre 2002.\n\nLa fortuna moderna.\nA partire dalla ripresa al Maggio Musicale Fiorentino del 1950 con Boris Christoff come Agamennone, l'Iphigénie en Aulide è rientrata, sia pure un po' faticosamente, nel repertorio, interessando comunque protagoniste di vaglia, come Giulietta Simionato, Christa Ludwig e Elisabeth Söderström, noti direttori, come Karl Böhm, Sir Charles Mackerras, Sir John Eliot Gardiner o il già ricordato Muti, e grandi piazze teatrali, soprattutto europee: oltre alle già citate, il Festival di Salisburgo, la Staatsoper di Vienna, il Festival di Drottningholm, Berlino, Londra, Roma. La prima americana dell'opera si era avuta all'Academy of Music di Filadelfia il 22 febbraio 1935.\n\nCaratteristiche artistiche.\n«Nella produzione di Gluck l'Iphigénie en Aulide segna una svolta decisiva. I ritratti marmorei realizzati nei capolavori degli anni viennesi (Orfeo ed Euridice, Alceste) sono ora incrinati da debolezze e lacerazioni, che danno ai personaggi una tormentata umanità». Il libretto di Du Roullet semplifica la trama della tragedia di Racine eliminando il complesso dibattito intorno all'opportunità del sacrificio di Ifigenia e concentrando invece l'attenzione sulle passioni che tale situazione genera, così da rendere la tragedia più umana.\nAl centro del dramma non è più un conflitto di natura etica generale, bensì quello dei sentimenti delle persone, tra le ambizioni politiche e l'amore di padre, tra la devozione filiale e l'attaccamento alla vita e al promesso sposo, tra il vincolo matrimoniale ed il prepotente amore materno. «Fra i personaggi dell'opera, Agamennone e Clitennestra hanno una rilevanza non inferiore a quella di Ifigenia, e tutti e tre sono tra le più memorabili creazioni di Gluck: Agamennone con i suoi due grandi monologhi nei primi due atti, che sono senza precedenti nella storia dell'opera; Clitennestra con le sue arie appassionate e la visionaria scena del terzo atto; e Ifigenia stessa, la cui evoluzione dall'amore giovanile del primo atto all'esaltazione eroica … del terzo, è così efficacemente resa nella musica a lei dedicata».”.».\nAccanto ai personaggi principali (tra cui vanno annoverati anche la figura, assai più convenzionale, dell'eroe amante Achille, dalla “ stentorea marzialità tenorile”, e il sacerdote oppositore Calcante) «spicca come vero e proprio attore collettivo il coro dei soldati greci, ansiosi di conoscere la vittima e poi di celebrare il sacrificio; la monolitica aggressività degli unisoni, usata da Gluck nel coro infernale dell'Orfeo, cede qui il passo a un contrappunto tumultuante, in cui più d'un commentatore ha colto un'eco delle Passioni bachiane».«La musica [dell'Iphigénie] aprì un nuovo orizzonte anche per la combinazione che essa realizzò tra lirismo e melodia italiani, e declamazione francese: una formula che Gluck avrebbe usato in vari modi in tutte le sue opere parigine e di cui andava a buon diritto fiero. “Ho inventato un linguaggio musicale adatto a tutte le nazioni”, scrisse sul Mercure de France nel febbraio del 1773, “e spero di abolire le ridicole distinzioni tra gli stili musicali nazionali”.».\n\nPersonaggi ed interpreti.\nSoggetto.\nLa scena si finge in Aulide, un porto della Beozia di fronte all'isola di Eubea, dove si trovano riuniti i re e gli eserciti di tutta la Grecia, in attesa di potersi imbarcare alla volta di Troia.\n\nAntefatto.\nL'azione si colloca nella fase iniziale della guerra che condurrà, secondo il mito narrato da Omero, alla distruzione della città dell'Asia Minore. Una continua bonaccia impedisce la partenza delle navi e il sacerdote Calcante ha rivelato al condottiero dei Greci, Agamennone, che essa è provocata dall'ira della dea Diana nei suoi confronti per un affronto da lui arrecatole, e che solo il sacrificio di sua figlia, Ifigenia, potrà valere a pacificare la divinità. Agamennone ha in qualche modo segretamente accondisceso ed ha convocato la figlia in Aulide con il pretesto di darla in sposa ad Achille.\n\nAtto I.\nL'opera ha inizio con l'angoscia e i dubbi del re: nonostante il suo giuramento, egli pensa ancora di sottrarsi al sacrificio della figlia, inventando che Achille non la ama più e quindi evitando che Ifigenia giunga in Aulide. Mentre però è intento a perorare la sua causa con Calcante, canti di gioia annunciano l'arrivo al campo della ragazza accompagnata dalla madre Clitennestra: lo stratagemma del re è fallito perché il suo braccio destro Arcade non è riuscito a raggiungere in tempo le due donne. L'accoglienza tripudiante nei loro confronti è l'occasione del primo divertissement alla francese, con danze e cori, che Gluck però ridimensionò in durata nella seconda edizione del 1775, trasportando in particolare, al finale dell'opera, la splendida passacaglia che ne faceva originariamente parte. I festeggiamenti vengono interrotti dall'indignata Clitennestra che, venuta a sapere della (falsa) infedeltà di Achille, sollecita la figlia ad apprestarsi a ripartire. Rimasta sola, questa dà sfogo al suo dolore finché Achille stesso non compare in scena, rivelando di non aver nemmeno saputo del prossimo arrivo di Ifigenia, e negando risolutamente qualsiasi infedeltà da parte sua. L'atto si chiude quindi in una tenera scena di riconciliazione, nella quale i due promessi sposi si appellano al dio del matrimonio perché li unisca quello stesso giorno.\n\nAtto II.\nIfigenia ed il suo seguito meditano sulla situazione difficile in cui la ragazza si è venuta a trovare, presa tra l'orgoglio del padre e l'ira dell'amato, quando Clitennestra annuncia che Agamennone si è finalmente convinto, e che i preparativi per la cerimonia di nozze sono in corso. Li raggiungono Achille con l'amico Patroclo e con il suo seguito, e la gioia di tutti dà occasione al secondo divertissement dell'opera, molto più ampio nell'edizione del 1775, durante il quale viene celebrato il valore dello sposo, mentre la sposa dona la libertà alle schiave di Lesbo che Achille ha portato con sé. L'atmosfera cambia però radicalmente con l'arrivo di Arcade, il quale, non riuscendo a trattenere i propri sentimenti, rivela che Agamennone sta attendendo la figlia all'altare non per celebrarne le nozze, ma per sacrificarla. Le parole del soldato, pronunciate senza accompagnamento di musica, in modo che le si possa udire distintamente, provocano espressioni di orrore da parte degli astanti e del coro.\n\nClitennestra, furibonda e disperata, implora Achille di salvare sua figlia, e questi infine si impegna con la giovane a proteggerla senza però nel contempo far alcun male a suo padre. Dopo un furibondo duetto tra i due eroi, in cui Achille comunica al futuro suocero che dovrà passare sul suo cadavere prima di poter attentare alla vita della figlia, Agammennone ha una nuova resipiscenza e dà disposizioni ad Arcade perché riconduca le due donne a Micene. L'atto si chiude con la toccante espressione dell'amore del re per la figlia, prima, e poi con la sua baldanzosa sfida alla dea perché si prenda la vita di lui piuttosto che quella dell'innocente Ifigenia.\n\nAtto III.\nL'atto si apre con il coro dei Greci che sollecitano Agamennone al sacrificio della figlia, per timore di non riuscire più a raggiungere Troia. Ifigenia, che ha rifiutato di seguire Arcade, si è ormai rassegnata al suo fato e saluta teneramente prima lo sposo, il quale però esprime il suo rifiuto alla rassegnazione in un'eroica aria di bravura con corni e trombe, poi la madre trepidante. Rimasta sola, Clitennestra è protagonista di una sorta di scena della pazzia in cui ha la visione allucinata dell'imminente sacrificio, e che sfocia nell'implorazione appassionata al padre Giove perché annienti con il fulmine il campo dei Greci. La scena si chiude con le sue parole di angoscia che si levano al di sopra dei canti del coro che accompagna Ifigenia al sacrificio.Sulla spiaggia, nei pressi dell'altare, Ifigenia è inginocchiata mentre i Greci cantano inni agli dei e Calcante ha già alzato il coltello sacrificale, quando Achille irrompe in scena con i suoi guerrieri tessali deciso ad impedire la cerimonia.\nL'opera si chiude con il più rilevante allontanamento di Gluck e du Roullet dal mito: la voce di Calcante si leva infatti al di sopra del tumulto generale e, del tutto inopinatamente, annuncia che Diana ha rinunciato alla morte di Ifigenia e ha consentito al matrimonio. Nella versione del 1775 Gluck ovviò all'incongruenza del comportamento di Calcante facendo entrare direttamente in scena il personaggio di Diana e facendo annunciare a lei stessa il proprio consenso sia per le nozze che per la partenza dei Greci verso Troia. Dopo un quartetto di gioia tra i due sposi e i genitori di lei, la versione del 1774 si concludeva con un lungo divertissement, comprendente l'aria di una donna greca, una ciaccona interrotta dalle esortazioni belliche di Calcante, e un sinistro coro di guerra dei Greci. La versione del 1775 si conclude invece semplicemente con un divertissement ancora più ampio nel quale fu trasportata la splendida passacaglia che nella versione del 1774 faceva parte del divertissement dell'atto primo.\n\nDiscografia.\nOrdine dei personaggi: Agamemnon, Clytemnestre, Iphigénie, Achille, Calchas, Diane, Arcas, Patrocle, due donne greche, una schiava lesbia.\nDietrich Fischer-Dieskau, Johanna Blatter, Martha Musial, Helmut Krebs, Josef Greindl; Maria Reith; Leopold Clam; mancano i personaggi femminili minori; Coro camera e Orchestra Sinfonica “Rundfunk Im Amerikanischen Sektor” (RIAS), dir. Artur Rother (CD Gala 100.712). Registrazione radiofonica in tedesco, 1º dicembre 1951, Berlino.\nGabriel Bacquier, Christiane Gayraud, Jane Rhodes, Michel Sénéchal, Raymond Steffner, Paola Berti, Teodoro Rovetta, Raymond Steffner; Paola Berti, Jolanda Torriani, Maria Manni Jottini (terza donna greca); Maria Manni Jottini, Antonio Pietrini (un greco); Coro e Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, dir. Pierre Dervaux (CD Omega Opera Archive, 4094). Registrazione radiofonica (mono), 21 aprile 1961, Torino.\nWalter Berry, Inge Borkh, Christa Ludwig, James King, Otto Edelmann, Elisabeth Steiner, Alois Pernerstorfer, mancano gli altri interpreti; Coro da camera del Festival di Salisburgo, Coro della Wiener Staatsoper e Wiener Philharmoniker, dir. Karl Böhm (CD Orfeo, C428 962I). Registrazione dal vivo in tedesco, 3 agosto 1962, Festspiele di Salisburgo.\nDietrich Fischer-Dieskau, Trudeliese Schmidt, Anna Moffo, Ludovic Spiess, Thomas Stewart, Arleen Augér, Bernd Weikl, Nikolaus Hillebrand; mancano le interpreti femminili minori; Coro e Orchestra della Radio Bavarese, dir. Kurt Eichhorn (CD: Eurodisc, 352 988; Bmg Rca, 74 321-32 236-2). Registrazione in studio della versione di Richard Wagner, in tedesco (1972), Monaco di Baviera.\nJosé van Dam, Anne Sofie von Otter, Lynne Dawson, John Aler, Gilles Cachemaille, Guillemette Laurens, René Schirrer, Bernard Deletré, Ann Monoyios, Isabelle Eschenbrenner, Ann Monoyios; Monteverdi Choir, Orchestra dell'Opéra di Lione, dir. John Eliot Gardiner (CD Erato 2292-45 003-2/4509-99 609-2). Registrazione in studio dell'originale francese (versione 1775), 1987.\nNicolas Testé, Anne Sofie von Otter, Véronique Gens, Frédéric Antoun, Christian Helmer, Salomé Haller, Laurent Alvaro, Martijn Cornet; le parti femminili minori sono tagliate; Coro della Nederlandse Opera, Les Musiciens du Louvre, dir. Marc Minkowski, regia di Pierre Audi (DVD Opus Arte BD7115 D). Registrazione dal vivo (settembre 2011), al Muziektheater di Amsterdam, dell'edizione francese del 1775, senza danze e con tagli." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia in Aulide (Jommelli).\n### Descrizione: Ifigenia in Aulide è un'opera seria in 3 atti composta da Niccolò Jommelli su libretto di Matteo Verazi.\nFu rappresentata per la prima volta al Teatro Apollo di Roma il 9 febbraio 1751.\nUna versione rimaneggiata dell'opera, che includeva alcune arie composte da Tommaso Traetta, fu messa in scena a Napoli nel 1753. In quella rappresentazione debuttò in un ruolo minore Giuseppe Aprile, un cantante castrato che si specializzò poi nel repertorio di Jommelli e fu molto apprezzato da Wolfgang Amadeus Mozart." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia in Aulide.\n### Descrizione: Ifigenìa in Àulide (in greco antico: Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι?, Iphighéneia he en Aulídi) è una tragedia di Euripide, scritta tra il 407 ed il 406 a.C., nel periodo che l'autore passò alla corte di Archelao, re di Macedonia, dove morì. L'opera reca alcuni segni di incompiutezza e non fu mai messa in scena dall'autore.\nLa prima rappresentazione avvenne nel 405 a.C., ad opera del figlio (o nipote) dell'autore, chiamato anch'egli Euripide. La tragedia venne messa in scena nell'ambito di una trilogia che comprendeva anche Le Baccanti e Alcmeone a Corinto (oggi perduta), con le quali l'autore ottenne una vittoria postuma alle Grandi Dionisie di quell'anno.\n\nTrama.\nLa scena è ambientata nell'accampamento greco, in Aulide, sulla costa della Beozia, dove le navi dirette verso Troia sono bloccate a causa di una bonaccia. Nel prologo si racconta che l'indovino Calcante ha affermato che solo sacrificando alla dea Artemide una figlia di Agamennone, Ifigenia, i venti torneranno a spirare: egli, infatti, aveva offeso la dea e doveva rimediare per poter riprendere il viaggio. Ifigenia però non è con loro, è rimasta a casa, così Agamennone, persuaso da Odisseo, le scrive una lettera in cui le prospetta un matrimonio con Achille, chiedendole quindi di raggiungerli in Aulide. In seguito però, pentito di questo inganno, cerca di avvertire la figlia di non mettersi in viaggio, scrivendole un altro messaggio.\nLa seconda lettera viene intercettata da Menelao, che la toglie di mano al vecchio che la portava con sé, e rimprovera severamente Agamennone per il suo tentativo di tradimento. Arrivano quindi in Aulide Ifigenia e la madre Clitennestra, con il piccolo Oreste, per le nozze. A quel punto viene a galla la verità, sicché le due donne si ribellano furiosamente: Clitennestra biasimando aspramente il marito, Ifigenia chiedendo pietà con parole toccanti. Anche Achille, nello scoprire che il suo nome era stato usato per un atto tanto infame, minaccia vendetta.\nIfigenia però, nel vedere l'importanza che la spedizione ricopre per tutti i greci, cambia atteggiamento e offre la propria vita, calmando la madre e respingendo l'aiuto di Achille. Al momento del sacrificio, però, la ragazza scompare ed al suo posto la dea Artemide invia una cerva, tra lo stupore e la felicità dei presenti, che in tal modo capiscono che la ragazza è stata salvata dagli dei ed ora dimora presso di loro. Il vento torna a spirare e la flotta può finalmente salpare verso Troia.\n\nCommento.\nLa prima parte: una commedia degli equivoci.\nL'opera si può fondamentalmente suddividere in due parti. La prima è basata su una sorta di commedia degli equivoci (già sperimentata da Euripide nell'Elena), in cui ognuno dei personaggi ha una diversa visione delle cose: Agamennone e Menelao sanno che deve essere fatto un sacrificio, Clitennestra ed Ifigenia credono invece che si tratti di un matrimonio, mentre Achille è all'oscuro di entrambe le cose. Questo crea una serie di malintesi (Ifigenia non sa spiegarsi come mai il padre nel vederla non appaia felice ma pianga, così come Clitennestra fatica a capire come mai Achille sia così disorientato quando lei gli parla di matrimonio), che però troveranno una loro drammatica chiarificazione poco oltre la metà dell'opera.\n\nLa seconda parte: le lusinghe del potere.\nLa seconda parte dell'opera è dedicata all'analisi della psicologia dei personaggi, i quali hanno tutti una caratteristica fondamentale: pur essendo alcuni tra i più grandi eroi della mitologia greca, essi appaiono impotenti ed incapaci di intervenire in maniera fattiva nella vicenda. Agamennone si dispera per l'imminente sacrificio della figlia, ma non sembra in grado di fare nulla per impedirlo, e lo stesso vale per Achille, più preoccupato di salvaguardare il proprio buon nome che la vita della ragazza. Il punto fondamentale è che tutti questi eroi cercano innanzitutto di mantenere il proprio potere: Agamennone non vuole rinunciare a comandare la spedizione verso Troia, né Menelao ed Achille vogliono rinunciare a parteciparvi. Di fronte alle lusinghe del potere ogni scrupolo etico scompare ed i personaggi si comportano da veri pusillanimi, accettando che una ragazza innocente dia la propria vita per i loro interessi. In questo senso, Ifigenia, che accetta di morire quando vede quanto importante è per tutti la spedizione, compie un atto di grande generosità, qualificandosi come l'unico personaggio dall'animo nobile di tutta la tragedia. L'Ifigenia in Aulide è dunque un'opera che smaschera i meccanismi del potere, mostrando fino a quali bassezze è possibile arrivare pur di ottenerlo ed esercitarlo.\n\nIl personaggio di Ifigenia.\nIl personaggio di Ifigenia nell'opera è caratterizzato da un repentino cambiamento nel comportamento, passando nel breve volgere di pochi versi da ragazzina terrorizzata per il sacrificio, a persona che sceglie consapevolmente di morire. Tale mutamento, a partire da Aristotele, è stato spesso giudicato troppo improvviso e di conseguenza non realistico, ma vale a mettere in luce con ancora maggiore evidenza la nobiltà ed il coraggio della ragazza, a fronte della vile impotenza degli eroi che comandano la spedizione verso Troia.\n\nL'incompiutezza dell'opera.\nNonostante la Ifigenia in Aulide non contenga lacune particolarmente ampie, e sia quindi da considerarsi un'opera drammaturgicamente completa, essa reca alcuni segni di incompiutezza. Si ritiene che la morte dell'autore abbia impedito la revisione (o addirittura il completamento) dell'opera, favorendo quindi nel tempo modifiche ed interpolazioni varie al testo euripideo. Due, in particolare, sono i punti più problematici:.\n\nIl prologo (vv. 1-163), composto di tre sezioni, di cui quella centrale (vv. 49-114) sicuramente non scritta da Euripide.\nIl finale (vv. 1578-1629), anch'esso non euripideo, trasmessoci in “condizioni disperate” (Albin Lesky). Le anomalie metriche e lessicali fanno supporre che esso sia di origine bizantina, mentre sappiamo ben poco del finale originale. In un'opera dello scrittore Claudio Eliano vengono citati tre versi in cui Artemide ex machina promette a Clitennestra di sostituire Ifigenia con una cerva. Si ritiene dunque che Euripide avesse previsto l'apparizione della dea anziché il finale che conosciamo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,### Titolo: Ifigenia in Tauride (Desmarets e Campra).\n### Descrizione: Ifigenia in Tauride (Iphigénie en Tauride) è un melodramma in un prologo e 5 atti di Henri Desmarets e André Campra. Il libretto di Joseph-François Duché de Vancy e Antoine Danchet fu tratto dall'Ifigenia in Tauride di Euripide.\n\nPersonaggi e interpreti.\nLa prima ebbe luogo a Parigi il 6 maggio 1704. +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia in Tauride (Gluck).\n### Descrizione: Iphigénie en Tauride ('Ifigenia in Tauride') è una tragédie lyrique in quattro atti di Christoph Willibald Gluck su libretto di Nicolas-François Guillard. Rappresentata con successo per la prima volta all'Opéra di Parigi il 18 maggio 1779, costituisce la sesta e penultima delle opere che il compositore tedesco scrisse ex novo o rielaborò profondamente per i palcoscenici francesi.\n\nGenesi.\nNel pieno della polemica tra lui e Niccolò Piccinni, montata a Parigi nel corso della seconda metà degli anni Settanta, e dopo aver assistito al successo dell'opera d'esordio del suo avversario italiano, il Roland, nel febbraio del 1778 Gluck decise di rientrare a Vienna, in 'terreno amico', ma recando con sé due nuovi libretti da musicare: Echo et Narcisse e Iphigénie en Tauride.\nQuattro anni prima aveva portato sulle scene operistiche parigine l'Iphigénie en Aulide, su libretto dell'amico Le Bailly du Roullet, il quale probabilmente ebbe una parte anche nell'ideazione della seconda Iphigénie; il nuovo libretto fu però opera di Nicolas-François Guillard, un giovane poeta che nell'occasione indossò per la prima volta quelle vesti di librettista tragico dalle quali avrebbe tratto fama e successo nei due decenni successivi. Il soggiorno di Gluck a Vienna non fu comunque di lunga durata: i contatti epistolari con Guillard e le cure di Du Roullet non dovettero sembrargli sufficienti e nel mese di novembre egli si rimise in viaggio. «Appena giunto nella capitale della Francia, della cultura e della chiacchiera europea, [...] seppe che l'infido nuovo direttore dell'Opéra, De Vismes, aveva commissionato un'altra Iphigénie en Tauride a Piccinni: si infuriò, com'era sua abitudine, ma, se qualche anno prima aveva rinunciato a un Roland perché i suoi nemici avevano ottenuto un altro Roland per Piccinni, stavolta s'impuntò e riuscì a che la prima del rivale venisse differita.».\n\nIl libretto.\nLa fonte ultima del libretto era la tragedia di Euripide Ifigenia in Tauride: grazie alla sua semplicità e alle tematiche eroiche trattate, questo lavoro ebbe un fascino particolare per gli esponenti del neoclassicismo settecentesco e costituì, nella seconda metà del secolo, l'ispirazione per diverse nuove versioni drammatiche del mito, la più famosa delle quali resta l'Iphigenie auf Tauris di Goethe (1787). Tuttavia, per quanto concerne le origini del lavoro di Gluck, la più importante di queste versioni settecentesche del mito fu il dramma in prosa, Iphigénie en Tauride, di Claude Guimond de La Touche, andato in scena a Parigi il 4 giugno 1757, che fu esplicitamente assunto da Guillard come base per il suo libretto. Il lavoro di de La Touche ebbe un successo tale che esso fu riproposto a Vienna nel 1761, contribuendo così probabilmente ad ispirare un'opera del compositore Tommaso Traetta, su libretto di Marco Coltellini, Ifigenia in Tauride, che fu presentata a Vienna per la prima volta nel 1763 (e che si rifaceva peraltro, più direttamente, al modello euripideo originale). Le idee che Coltellini e Traetta nutrivano sulla riforma del melodramma erano analoghe a quelle di Gluck e Gluck stesso diresse la loro opera nel 1767. Non è improbabile che il compositore tedesco possa aver desiderato di comporre anch'egli, negli anni sessanta, un'opera riformata sullo stesso tema, ma il recente precedente di Traetta glielo rendeva, per il momento, impossibile. In luogo di tale eventuale progetto, Gluck compose invece, nel 1765, un balletto Sémiramis, di tematiche abbastanza simili, la cui musica fu poi in parte riutilizzata nell'Iphigénie en Tauride francese.Fu solo dopo essersi trasferito a Parigi ed avervi esordito con un'altra opera sul mito di Ifigenia, l'Iphigénie en Aulide (1774), che Gluck ebbe finalmente l'occasione di mettere in musica l'episodio della Tauride. Il lavoro di de La Touche che egli e Du Roullet scelsero come base per il nuovo libretto, era stato lodato per la semplicità delle sue linee drammatiche, ma Gluck e i suoi librettisti le resero ancor più scarne ed efficaci. Le principali innovazioni furono quelle di iniziare l'opera con una tempesta (cosa piuttosto difficile a realizzarsi in un dramma in prosa) e di rinviare al finale l'agnizione tra fratello e sorella.\n\nLa vicenda storica dell'opera.\nIphigénie en Tauride andò dunque in scena a Parigi, nella seconda sala del Palais-Royal, il 18 maggio 1779, avendo come protagonisti il soprano Rosalie Levasseur, il primo Amour dell'Orphée et Euridice, che Gluck aveva voluto innalzare al rango di prima donna, la haute-contre Joseph Legros, che, in possesso fin dall'esordio di riconosciute doti vocali, aveva acquisito, grazie ai 'miracolosi' insegnamenti del maestro tedesco, anche eccellenti capacità interpretative, e la basse-taille (basso-cantante) Henri Larrivée, che addirittura 'venerava Gluck', e che si specializzò poi, in certo senso, nel ruolo di Oreste, interpretato anche nell'Iphigénie di Piccinni, nell'Andromaque di Grétry e nell'Électre di Lemoyne. L'opera riscosse un grande successo, sino a rivelarsi, alla fine, «la composizione di Gluck più popolare nella capitale francese. Essa fu [infatti] messa in cartellone per trentacinque volte nel 1779, e godé quindi di più di quattrocento rappresentazioni nel 1781-1793, 1797-1808, 1812-1818, 1821-1823, 1826-1828 e nel 1829. Fu [poi] montata allo Châtelet (1868), alla Renaissance (1899) e all'Opéra-Comique (1900). È stata [quindi] riportata sul palcoscenico della moderna Opéra di Parigi il 27 giugno 1931 con l'aiuto della Wagner Society di Amsterdam e sotto la bacchetta di Pierre Monteux».\nTornato a Vienna per quello che sarebbe divenuto il suo rientro definitivo in patria, nel 1781 Gluck produsse una versione tedesca della sua opera (Iphigenia in Tauris, 'singspiel tragico') in occasione della visita nella capitale asburgica del granduca Paolo di Russia. La traduzione del libretto fu affidata al giovane letterato austriaco Johann Baptist von Alxinger, che lavorò in stretta collaborazione con il compositore. Allo scopo di adeguarla, quando necessario, al nuovo testo, Gluck modificò convenientemente la musica, ma soprattutto traspose dal registro di baritono a quello di tenore la parte di Oreste in modo da adattarla alle caratteristiche vocali del primo uomo della compagnia viennese, Valentin Adamberger. L'altra modifica più rilevante fu 'la sostituzione dell'ultimo recitativo di Ifigenia e del coro delle sacerdotesse alla fine del secondo atto con una sinfonia strumentale'. L'Iphigenia tedesca, l'ultimo lavoro di Gluck per il palcoscenico e l'unico nella sua madrelingua, fu rappresentata il 23 ottobre 1781 al Nationalhoftheater, come l'imperatore Giuseppe II aveva voluto ridenominare il Burgtheater di Vienna dopo il licenziamento dei complessi e dei cantanti italiani nel 1776, e la loro sostituzione con artisti di lingua tedesca. Quando i magri risultati raggiunti indussero l'imperatore a far marcia indietro, ingaggiando di nuovo una compagnia italiana ed assumendo Lorenzo Da Ponte come proprio poeta drammatico, a questi fu affidato l'incarico di preparare una traduzione in italiano dell'opera di Gluck, la quale vide la luce, nel ristabilito Burgtheater, il 14 dicembre 1783. Secondo i ricordi del tenore Michael Kelly anche la messa in scena di questa versione, da lui riferita come Iphigenia in Tauride, fu curata personalmente da Gluck. L'edizione tedesca fu ripresa nella prima rappresentazione berlinese del 24 febbraio 1795, nel Königliches Nationaltheater im Gendarmenmarkt (predecessore dell'attuale Konzerthaus), quella italiana nella prima londinese, al King's Theatre, il 7 aprile dell'anno successivo. Entrambe le versioni hanno continuato ad essere rappresentate, rispettivamente nei paesi germanici ed in Italia, per larga parte del XX secolo (quella tedesca, che gode di maggior credito per l'imprimatur diretto del compositore, anche più a lungo).Né le due versioni citate furono le uniche. Nel 1889/1890 Richard Strauss, ispirandosi esplicitamente all'esempio del rifacimento wagneriano dell'Iphigénie en Aulide, volle prodursi in una completa revisione dell'opera. Scrivendo al suo editore Adolph Fürstner, egli comunicò di aver provveduto ad una traduzione completamente nuova (che ai suoi occhi doveva essere più rispettosa del metro originale rispetto a quella di Von Alxinger), di aver in particolare modificato sostanzialmente lo svolgimento drammatico del primo atto e del finale, e di aver introdotto delle sostanziali modifiche nella strumentazione con finalità modernizzatrici. La rielaborazione straussiana, che prevedeva anche la riduzione degli atti da quattro a tre, riuscì a toccare il palcoscenico, nello Hoftheater di Weimar, solamente il 9 giugno 1900, con il titolo goethiano di Iphigenie auf Tauris, e godè successivamente di una certa fortuna: è in questa versione, ad esempio, che l'opera di Gluck vide la sua prima esecuzione al Metropolitan di New York nel 1916; di un'edizione a Lisbona del 1961, con Montserrat Caballé come protagonista, fu anche realizzata un'incisione discografica; nel 2009 è andata nuovamente in scena al Festival della Valle d'Itria a Martina Franca.Dell'edizione italiana di Da Ponte, è rimasto 'memorabile l'allestimento del Teatro alla Scala del 1957, con la direzione di Nino Sanzogno, la regia di Luchino Visconti e Maria Callas nella parte della protagonista', allestimento in occasione del quale fu anche realizzata la registrazione fonografica dal vivo dello spettacolo del 1º giugno.\n\nCaratteristiche artistiche e musicali.\nGli auto-imprestiti gluckiani.\nIphigénie en Tauride costituisce il coronamento della carriera musicale di Gluck, 'il frutto della combinazione dell'esperienza di una vita come operista, e di un libretto che può essere considerato come il migliore da lui mai messo in musica'. Gli imprestiti di cui Gluck si rese responsabile nella composizione di una tale opera sono numerosi, e molti studiosi tendono a pensare che essi siano stati volti, più o meno deliberatamente, a costituire una vera e propria summa degli ideali artistici perseguiti dall'autore attraverso tutta la sua carriera di musicista. Riutilizzare musica composta in precedenza era pratica comune tra i compositori del XVIII secolo: Gluck sapeva che le sue precedenti opere italiane, i suoi balletti, le opéras-comiques che egli aveva scritte per Vienna, avevano scarsissime probabilità di essere eseguiti ancora, o comunque a lungo, mentre in Francia era tradizione mantenere in repertorio le opere di maggior successo o valore. Riutilizzare era dunque per lui una maniera di preservare alcune delle sue idee musicali più rilevanti. La maggior parte delle musiche riutilizzate appartiene a Gluck stesso, trascelta all'interno dei suoi melodrammi precedenti o dal suo balletto Sémiramis. In almeno un caso, tuttavia, si tratta bensì di un auto-imprestito, ma da un Gluck che stava a sua volta pescando, consciamente o inconsciamente, nel grande orto della musica di Johann Sebastian Bach. Questa è comunque la lista completa degli imprestiti che si rinvengono nell'Iphigénie en Tauride:.\nIntroduzione, tratta dall'ouverture de L'isle de Merlin, rappresentante una tempesta seguita dalla calma; nell'Iphigénie, l'ordine è però invertito, cosicché l'opera si apre con un momento di calma che si tramuta subitaneamente in tempesta.\nAria Dieux qui me poursuivez, tratta dal Telemaco (Aria: Non dirmi ch'io).\nMusica per le Furie nel secondo atto, tratta dal balletto Sémiramis.\nAria O malheureuse Iphigénie del secondo atto, tratta da La clemenza di Tito (Aria: Se mai senti spirarti sul volto).\nCoro sempre del secondo atto, Contemplez ces tristes apprêts, tratto dalla sezione centrale della medesima aria.\nAria Je t'implore et je tremble, già apparsa con l'incipit Perché, se tanti siete, nell'Antigono del 1756, ma ispirata alla giga della Partita n. 1 in si bemolle maggiore (BWV 825) di Bach.\nUna parte della musica della culminante scena finale del quarto atto è tratta, di nuovo, dalla Sémiramis.\nCoro finale Les dieux, longtemps en courroux, tratto da Paride ed Elena (coro: Vieni al mar).\n\nAspetti innovativi.\nA parte il subitaneo ballet pantomime de terreur che una parte delle Furie, nella quarta scena dell'atto secondo, danza d'intorno al corpo semiaddormentato di Oreste, mentre le altre lanciano invettive furenti contro il matricida, l'Iphigénie contiene una sola breve scena autonoma di danza, o divertissement, come in Francia si era usi chiamare i momenti di balletto che facevano parte integrante di tutte le tipologie di spettacolo lirico che venivano date all'Académie Royale de Musique. Si tratta del coro e danza degli Sciti collocati poco prima della fine del primo atto. Il poco spazio lasciato alla danza era così inusuale che dopo le prime cinque rappresentazioni, le autorità dell'Opéra vollero che fosse aggiunto un ulteriore divertissement finale, scritto appositamente da Gossec, e che fu del resto presto lasciato cadere.\nIn entrambi gli interventi di danza, è il coro a primeggiare, ed il coro viene utilizzato nell'opera con una frequenza che non ha confronti nel Settecento, 'e pochi anche nell'Ottocento', secondo Piero Mioli, il quale così ne descrive il ruolo:.\n\n«[Il coro] è misto nel caso delle Eumenidi e del finale, ma in genere è scelto: maschile quando dà volto agli Sciti efferati, femminile quando si presta alle trepidanti Sacerdotesse; e se con costoro riesce a diventare un'affettuosa e continua proiezione collettiva dell'anima di Ifigenia, trattandosi di fanciulle greche lontane dalla patria come lei, con coloro diventa la caotica rappresentazione della violenza, della barbarie, dell'irrazionalità, mediante un Allegro scattante, 'alla breve', tanto semplice di verticalità armonica quanto caratteristico di colori grazie a una scrittura per triangolo, piatti e tamburo. 'Il nous fallait du sang', gridano i forsennati, e al critico del 'Journal de Paris' sembrò che il suono del volgare coraccio trasportasse gli spettatori 'tra i cannibali danzanti intorno al palo'. Così nel primo atto, ma il secondo chiude con una trenodia lenta e desolata che sulle parole 'Contemplez ces tristes apprèts' si compone di un Lento strumentale, del coro, di un arioso del soprano sullo stesso tema e della ripresa del coro: è una delle scene più commosse, più liriche, più nobili del teatro di Gluck, che si accoppia forse al finale secondo di Alceste (là dove la donna s'avvia alla morte e nello sgomento delle ancelle saluta l'amato talamo) [...]».\n\nL'opera include «il più famoso pezzo di orchestrazione psicologica prodotto da Gluck», nell'ostinato e affannoso accompagnamento che sostiene il canto di Oreste nell'aria Le calme rentre dans mon cœur, smentendone il messaggio di ritrovata serenità. Un passaggio che colpì profondamente Hector Berlioz, il quale, nei suoi articoli sulla «Gazette Musicale» del 1834, così si espresse in proposito:.\n\n«Pilade è stato strappato alle braccia dell'amico. Oreste, oppresso dal dolore e dall'ira, dopo alcune convulse imprecazioni, cade in profonda prostrazione.\nImpossibile esprimere l'ammirazione che desta questo magnifico controsenso. Oreste s'addormenta; l'orchestra si agita sordamente; il personaggio parla di calma, e i violini singhiozzano piccoli lamenti sincopati, ai quali i bassi rispondono con colpi sordi, ritmati di due in due battute all'inizio del pezzo, e di tre in tre verso la conclusione, mentre attraverso queste pulsazioni febbrili il timbro mordente, ma triste, delle viole brontola una sorta d'accompagnamento che difficilmente si potrebbe definire con parole, l'autore avendolo steso in un ritmo misto di note sincopate e di note staccate quale mai s'era udito prima, né mai è stato ripetuto poi. 'Oreste mente, diceva Gluck: ha ucciso la madre'.».\nEra forse la prima volta nella storia dell'opera, ha rilevato Donald Grout, che veniva impiegato «lo stratagemma di usare l'orchestra per rivelare l'intima verità di una situazione, in discordanza, o perfino in contraddizione, rispetto alle parole del testo, una pratica che Wagner avrebbe in seguito elevato a sistema.».\n\nConclusione.\nA parte il poco fortunato dramma pastorale Echo et Narcisse, composto praticamente in contemporanea e presentato quattro mesi dopo, l'Iphigénie en Tauride costituisce l'ultimo lavoro di Gluck per il palcoscenico, e rappresenta anche una sorta di punto d'arrivo della parabola artistica e culturale del maestro tedesco. In proposito Geremy Hayes ha avuto modo di osservare:.\n\n«Ciascuna delle opere tarde di Gluck è unica; ancora nei suoi sessant'anni d'età egli era un instancabile sperimentatore. Iphigénie en Tauride ha un insolito numero di pezzi di insieme, e, sebbene vi siano più arie che non, per esempio, nell'Armide, egli realizza il bilanciamento tra questi brani convenzionali di carattere più italianeggiante, da una parte, e la declamazione e le arie brevi alla francese, dall'altra, addivenendo così ad una comparabile fluidità della struttura musicale che è sempre mantenuta al servizio dello sviluppo dell'azione drammatica. Di tutte le sue opere, Iphigénie en Tauride è quella nella quale egli meglio riuscì a tradurre in realtà le sue teorie di riforma operistica, in una memorabile combinazione di musica e dramma in cui ogni dettaglio è subordinato all'insieme.».\n\nParole di grande stima per l'opera e il compositore ebbe anche Hector Berlioz, che, dopo aver descritto la scena dell'assopimento di Oreste con le parole già sopra riportate, così completava il suo ragionamento:.\n\n«Il coro delle Furie durante il sonno del parricida è concezione stupefacente di infernale grandiosità; la parte delle voci è quasi costantemente disegnata su scale ascendenti e discendenti dei tromboni, d'effetto prodigioso. Questo atto si conclude in un modo che oggidì verrebbe giudicato ben maldestro, con un andante moderato in continuo decrescendo. Ifìgenia ritorna su se stessa; ripete nella memoria tutte le sventure passate; piange con le altre donne ed esce di scena a lenti passi, mentre l'orchestra si spegne mormorando le ultime frasi del suo nobile lamento [...] Tutto il resto si mantiene alla stessa altezza. Il duetto fra i due amici, il recitativo obbligato d'Oreste furibondo, l'aria di Pilade supplicante «Ah mon ami, j'implore ta pitié», il suo slancio eroico «Divinité des grandes âmes», la grande aria d'Ifigenia, così drammaticamente accompagnata dai bassi sotto un tremolo continuo di secondi violini e viole, tutto ciò è meraviglioso per passione della melodia, per forza di pensiero, tutto ciò afferra e trascina; non si sa se l'effetto resulti dalla poesia o dall'azione, dalla pantomima o dalla musica, tanto quest'ultima è intimamente unita alla pantomima, alla poesia, all'azione. E quando, accanto ai grandi momenti che abbiamo citato, troviamo l'espressione della calma religiosa condotta al punto in cui si offre alla nostra ammirazione nel coro delle sacerdotesse «Chaste fille de Latone», quando si odono quegli inni sublimi, segnati d'una melancolia antica che riconduce l'ascoltatore fra i templi dell'antica Grecia, non ci si sta a domandare se Gluck sia poeta, drammaturgo o musicista, ma si esclama: Gluck è un grand'uomo.».\n\nCerto Berlioz si considerava in un certo senso figlio di Gluck, e quindi lo si potrebbe ritenere un estimatore preconcetto. Lo stesso non si dovrebbe poter dire invece per il buffooniste Friedrich Melchior von Grimm, contemporaneo di Gluck, il quale parteggiava, sotto sotto, per Piccinni. Parlando, nella sua Correspondance littéraire, dell'Iphigénie, egli scrisse che «a dar retta ai Gluckisti, tutti i tesori dell'armonia e della melodia, tutti i segreti della musica drammatica sono stati consumati in quest'opera», mentre, secondo i Piccinnisti, non si trattava altro che di musica francese rinforzata all'ennesima potenza: 'quel poco di canto che vi si trova, è monotono e dozzinale, e il ritmo risulta generalmente difettoso'. Pur dichiarando di non voler prender partito nella «illustre querelle», alla fine Grimm sbottava in questa maniera: «io non so se vi sia canto, ma forse c'è qualcosa di molto meglio».\n\nOrganico orchestrale.\nL'organico orchestrale che si rileva dal facsimile della prima edizione della partitura, è il seguente:.\n\nottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti in do, 2 fagotti.\n2 corni naturali in re/sol/do/fa, 2 trombe naturali in re/do, 3 tromboni (alto, tenore e basso).\ntimpani intonati su la/re e sol/do, triangolo, tamburo, tamburello, piatti.\nviolini primi e secondi, viole, infine violoncelli e contrabbassi su un unico rigo.\n\nPersonaggi e interpreti.\nSoggetto.\nI numeri romani tra parentesi indicano le scene in cui si suddividono i vari atti.\n\nAntefatto.\nGli eventi narrati nell'opera si inquadrano nelle vicende mitiche relative alla guerra di Troia. Per propiziare la spedizione degli Achei a Troia, il condottiero Agamennone, re di Micene e di Argo, aveva accettato di sacrificare la propria figlia Ifigenia, così destando l'odio e il rancore della moglie Clitennestra, alla dea Artemide (nel libretto però sempre chiamata con il suo nome latino di Diana), che era offesa contro di lui. Al momento del sacrificio, però, Diana aveva voluto salvare miracolosamente la giovine, sostituendola con una cerva e trasportandola in incognito in un proprio tempio nella Tauride, dove ella era diventata grande sacerdotessa.Al suo ritorno da Troia, Agamennone era stato assassinato dalla moglie e dall'amante di lei Egisto, mentre, a sua volta, il figlio Oreste, allevato lontano dalla patria, nella Focide, insieme al cugino Pilade, ed istigato dall'inflessibile sorella Elettra, aveva vendicato il delitto uccidendo i due parricidi: egli aveva levato in tal modo la spada contro la propria madre, provocando così l'ira delle Furie contro di lui.All'epoca in cui è ambientata l'opera, Oreste, allo scopo di cercar di espiare la sua colpa, e sempre accompagnato dal cugino/amante Pilade, è stato inviato da Apollo nella Tauride con l'incarico di recuperare una sacra immagine di Diana. Nella Tauride è in uso il costume barbaro di sacrificare alla dea tutti i malcapitati stranieri che si trovino a mettere piede nel paese.\n\nAtto primo.\nScena: Ingresso del tempio di Diana in Tauride.\n(I) L'opera è priva di una ouverture formale e si apre con un pezzo orchestrale che evoca dapprima la calma, per poi rapidamente sfociare nella rappresentazione di una grande tempesta. Ifigenia e le altre sacerdotesse (che si assumono anch'esse provenienti dalla Grecia) pregano gli dèi di proteggerle dalla tempesta (Grands dieux! soyez nous secourables), ma, anche dopo che essa si è calmata, Ifigenia rimane sotto l'orribile impressione di un sogno che le è occorso nella notte e nel quale ha visto Clitemnestra uccidere il marito, e poi il fratello Oreste uccidere la madre, ed infine lei stessa trafiggere il fratello. (II) Mentre le compagne commentano sgomente il sogno (O songe affreux), Ifigenia, in preda all'angoscia, invoca Diana perché la faccia riunire con Oreste o si riprenda altrimenti il dono della vita che le aveva fatto al momento del sacrificio (Ô toi qui prolongeas mes jours). Le sacerdotesse si uniscono commosse al suo pianto (Quand verrons-nous tarir nos pleurs?).\n(III) Entra quindi in scena Toante, re della Tauride, oppresso anch'egli da pensieri oscuri (De noirs pressentiments): gli oracoli gli hanno predetto morte e rovina ove anche un solo straniero dovesse scampare nel suo regno al sacrificio rituale. (IV) Un coro di Sciti si presenta allora sul palcoscenico recando la notizia di due giovani greci scampati ad un naufragio durante la tempesta (Les Dieux apaisent leur corroux). Raggiante, Toante invia Ifigenia e le sue compagne a preparare il sacrificio e (IV) invita i suoi ad elevare un canto di guerra. Gli Sciti si dànno allora ad una barbara invocazione di morte (Il nous fallait du sang), e subito dopo celebrano la loro feroce esultanza nel quadro del divertissement danzante. (V) L'atto si chiude con i due naufraghi, Oreste e Pilade, trascinati in scena dai nativi, che riprendono i loro canti selvaggi.\n\nAtto secondo.\nScena: Stanza interna del tempio destinata alle vittime sacrificali.\n(I) Oreste e Pilade languono in catene, ed il primo, fortemente angosciato, maledice se stesso perché sta per causare la morte del suo migliore amico (Dieux qui me poursuivez), ma Pilade gli rivolge un accorato canto di amicizia e di amore in cui benedice il giorno che li farà morire insieme se un unico sepolcro riunirà le loro ceneri (Unis dès la plus tendre enfance).(II) Dopo che un ministro del tempio ha recato via Pilade tra le manifestazioni di disperazione dell'amico, (III) Oreste è colpito da un'improvvisa apparente tranquillità e si assopisce (Le calme rentre dans mon cœur). (IV) Il suo sonno, però, è orrendamente tormentato dalle Furie (ballet-pantomime de terreur e coro: Vengeons et la nature et les Dieux en corroux).\n(V) Ifigenia entra in scena e, sebbene i due non si riconoscano, Oreste è colpito dall'impressionante somiglianza della donna probabilmente con l'uccisa Clitemnestra. La giovane interroga allora lo straniero sulle vicende di Agamennone e della Grecia ed egli le racconta dell'avvenuta uccisione del re da parte della moglie, e di questa da parte del figlio, ma, quando è interrogato con apprensione anche circa la sorte di quest'ultimo, risponde che Oreste ha finalmente incontrato la morte tanto lungamente cercata, e che ormai Elettra è rimasta sola a Micene. Appreso così della rovina dell'intera sua famiglia, Ifigenia congeda lo straniero e (VI), insieme al coro delle compagne, piange la sorte propria e della patria (Ô malheureuse Iphigénie) e celebra una cerimonia funebre in onore del fratello creduto morto (Contemplez ces tristes apprêts).\n\nAtto terzo.\nScena: Appartamento di Ifigenia nel tempio.\n(I) Ifigenia, sola con le compagne, si propone di informare Elettra della propria sorte e dà mostra di turbamento nei confronti dello straniero che tanto gli ricorda il fratello (D'une image, hélas, trop chérie). (II) Fatti condurre i due prigionieri, (III) li informa quindi di aver la possibilità di salvare uno di loro, ma solo uno, dal sacrificio richiesto da Toante (trio: Je pourrais du tyran tromper la barbarie); però chiede, come contropartita, che colui che sarà salvato recapiti per suo conto un messaggio ad Argo, dove lei ha avuto la vita e dove si trovano ancora degli amici. Entrambi i giovani giurano sugli dèi, e Ifigenia, sia pur con l'anima spezzata, sceglie Oreste per la salvezza, ed esce.\n(IV) Pilade si mostra entusiasta della scelta della sacerdotessa, almeno quanto Oreste ne è orripilato: questi domanda all'amico che amore sia il suo se, una volta che egli avrebbe finalmente trovato la morte tanto agognata, intende allearsi con gli dèi implacabili per raddoppiare il suo tormento (duetto: Et tu prétends encore que tu m'aimes). Lo implora quindi perché prenda il suo posto, ma Pilade si oppone con tutto se stesso (Ah! mon ami, j'implore ta pitié!). (V) Quando Ifigenia ritorna con il messaggio da consegnare in Grecia, Oreste insiste perché ella modifichi la sua decisione e, di fronte al suo rifiuto, minaccia di darsi la morte davanti a lei. Sia pure con estrema riluttanza, la donna deve quindi cedere e, partito Oreste, (VI) consegna a Pilade il messaggio, rivelandogli che è indirizzato ad Elettra, ma rifiutando di spiegargli quali rapporti la leghino con la principessa micenea. (VII) Rimasto solo, Pilade invoca l'Amicizia perché venga ad armare il suo braccio: egli è risoluto a salvare la vita dell'amico od a correre incontro alla morte insieme a lui (Divinité des grandes âmes!).\n\nAtto quarto.\nScena: Interno del tempio di Diana.\n(I) Ifigenia sente di non esser capace di levare il coltello sacrificale sullo straniero ed invoca Diana perché le infonda nel cuore la necessaria crudeltà (Je t'implore et je tremble, ô déesse implacable). (II) Le sacerdotesse introducono Oreste, che è stato preparato per il sacrifizio (coro: Ô Diane, sois nous propice), ed egli rincuora la sorella, ancora sconosciuta, dicendole che la morte costituisce il suo unico desiderio, ma è nel frattempo intenerito dal dolore profondo che lei gli dimostra. Le sacerdotesse innalzano quindi un grande inno a Diana (Chaste fille de Latone) e pressano poi Ifigenia perché proceda al rito sacrificale. Quando ella sta levando il pugnale, Oreste si sovviene del sacrificio della sorella, tanti anni prima, ed invoca il suo nome: 'Così peristi in Aulide, Ifigenia, sorella mia!' (Ainsi tu péris en Aulide, Iphigénie, ô ma sœur). L'agnizione tra i due si compie in tal modo, drammaticamente, (III) proprio mentre Toante e gli Sciti, annunziati da una donna greca, si apprestano ad irrompere sul palcoscenico, avendo appreso del salvataggio di uno degli stranieri. (IV) Toante è infuriato contro il tradimento della sacerdotessa (De tes forfaits la trame est découverte): ordina quindi ai suoi di prendere in consegna Oreste e, siccome Ifigenia chiede alle compagne di difenderlo, si appresta ad ucciderlo lui medesimo, insieme alla stessa Ifigenia. Un gran rumore dietro la scena annuncia però l'arrivo di Pilade con i rinforzi greci, e (V) il giovane eroe si avventa sul re prevenendolo e trafiggendolo nel momento stesso in cui sta per colpire a sua volta le due vittime. Il conseguente scontro tra Greci e Sciti (De ce peuple odieux/Fuyons ce lieu funeste) (VI) viene risolto dall'intervento ex machina di Diana, la quale ordina ai secondi di restituire alla Grecia la sua statua, tanto da loro disonorata con gli orribili sacrifici umani, annuncia a Oreste che i suoi rimorsi hanno cancellato le sue colpe, e l'invita a tornare a Micene per esserne il re, conducendo seco anche la sorella (recitativo: Arrêtez! Écoutez mes décrets éternels). (VII) Mentre la dea risale al cielo, l'opera si conclude con il raggiante invito di Oreste a Pilade perché riconosca nella sacerdotessa la propria sorella perduta, al cui coraggio egli deve la vita (Dans cet objet touchant), e con il grande coro finale di prammatica (Les dieux, longtemps en courroux), privo però di divertissement danzante.\n\nDiscografia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia in Tauride (Jommelli).\n### Descrizione: Ifigenia in Tauride è un'opera di Niccolò Jommelli su libretto di Mattia Verazi.\nFu rappresentata per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 30 maggio 1771.\n\nTrama.\nNella terra dei Tauri, la ragazza Ifigenia è stata nominata sacerdotessa del tempio di Artemide dopo una travagliata gioventù. Infatti dieci anni prima la giovane viveva tranquillamente in Aulide con il padre Agamennone e la madre Clitennestra fino a quando, per colpa del genitore, fu costretta ad essere sacrificata per volere della dea Artemide affinché l'esercito greco potesse partire con tutti i favori per combattere la guerra di Troia.Seppur contro voglia, Ifigenia fu costretta ad essere messa in ginocchio davanti all'altare davanti al gran sacerdote che doveva sgozzarla. Tuttavia Artemide, avendo completamente ripugnanza per il cattivo re Agamennone, decise di salvare la figlia mandando una cerva alata sulla piazza e facendo trasportare la ragazza in Tauride. Agamennone e l'esercito sarebbero partiti comunque per la guerra di Troia, vincendola, ma alla fine al momento del ritorno in Grecia gravi sventure avrebbero perseguitato i sopravvissuti. Infatti Agamennone morirà per mano della moglie Clitennestra (stufa dei tradimenti e delle angherie crudeli del marito) e il figlio Oreste, che ha sempre voluto un gran bene al padre piuttosto che alla madre, ucciderà questa in una congiura, venendo poi perseguitato dai mostri Erinni. Qui inizia la storia. Oreste, sempre perseguitato da questi mostri che gli ottenebrano la mente, ha saputo dall'oracolo di Delfi che rubando una reliquia dal tempio di Artemide in Tauride, potrà riacquistare la libertà e la ragione senza più il tormento delle Erinni. Scoperto che al tempio c'è la sorella Ifigenia, i due si abbracciano commossi e progettando il furto. Con loro c'è anche il giovane Pilade, migliore amico di Oreste che lo ha aiutato nella congiura contro Clitennestra, ma che non è stato punito in quanto non membro della stirpe di Atreo. Il furto si sta quasi per compiere, quando i tre ladri vengono scoperti dai Tauri, che avevano stretto un patto ben chiaro con la straniera Ifigenia non appena arrivò nella loro terra: presiedere il santuario di Artemide come sacerdotessa e non permettere che nessuno lo saccheggi. I tre ragazzi vengono imprigionati e costretti ad essere sacrificati sull'altare della piazza, ma Oreste, con un abile sotterfugio, dice al sacerdote che una nave nemica è in arrivo. Il popolo di Tauride si reca a vedere così i tre hanno la libertà di rubare la reliquia al tempio e di fuggire con un mezzo di fortuna a casa.\n\nRuoli." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ifigenia in Tauride (Traetta).\n### Descrizione: Ifigenia in Tauride è un'opera lirica musicata da Tommaso Traetta su libretto di Marco Coltellini e su proposta del conte Giacomo Durazzo, Direttore generale dei teatri imperiali a Vienna e promotore degli esperimenti di riforma dell'opera seria che caratterizzarono gli anni sessanta del Settecento e che culminarono nella cosiddetta riforma gluckiana.\nLa prima rappresentazione dell'opera avvenne a Vienna, nel teatro di corte di Schönbrunn, il 4 ottobre 1763 e a dirigerla fu lo stesso autore.\nSecondo la critica quest'opera è uno dei maggiori esempi di quella riforma del teatro lirico che Traetta, su istanza del conte Durazzo, caldeggiava, una riforma che fondava la propria essenza sulla fusione degli elementi tipici dell'opera francese con quelli dell'opera italiana. Tale 'riforma' si avvarrà anche del contributo essenziale di Gluck e De Calzabigi.\nTuttavia, nella Ifigenia in Tauride è ancora prevalentemente l'uso dei cori e dei balletti - con la loro partecipazione diretta al dramma - a far risaltare il gusto francese riguardo al teatro d'opera in voga nel Settecento.\n\nPersonaggi e interpreti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifito (figlio di Eurito).\n### Descrizione: Ifito (in greco antico: Ἴφιτος?, Ìphitos) è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Eurito ed Antiope.\n\nMitologia.\nEracle e Iole.\nEracle, in cerca di una sposa dopo aver ripudiato Megara, venne a sapere che il «signore di Ecalia» Eurito aveva promesso la mano della figlia Iole a chi avesse battuto lui ed i figli in una gara di tiro con l'arco, un'arte insegnatagli da Apollo in persona.\nEracle vinse facilmente la gara, ma Eurito rifiutò di concedere la figlia.\nInfatti, lui ed i suoi figli temevano che l'eventuale prole di Iole potesse subire la stessa sorte dei figli che l'eroe aveva avuto da Megara, uccisi da Eracle, mentre Ifito, il maggiore, riteneva invece giusto rispettare i patti.\nAnche secondo Diodoro Siculo, il quale non parla di alcuna gara, Eurito rifiutava di dare Iole in moglie perché memore del caso di Megara e chiese del tempo per riflettere.\nAlcuni aggiungono che Eurito, ricordando l'infelice fine di Megara, accusò pretestuosamente Eracle di aver vinto con l'inganno ma questi non raccolse la provocazione e se ne andò giurando vendetta.\n\nIl furto misterioso.\nQuando Eurito scoprì che dalle sue stalle mancava del bestiame, sospettò subito di Eracle, quando invece l'autore del furto fu Autolico.\nIfito, convinto della sua innocenza, andò così a cercare Eracle e trovandolo mentre tornava da Fere gli propose di cercare insieme a lui gli animali rubati. Eracle accettò ed ospitò Ifito ma poi, colto da un raptus di follia, lo fece precipitare dalle mura di Tirinto.\nSecondo altre versioni, dopo il furto di dodici giumente e dodici mule, Eurito ed i figli Dideone, Clizio e Tosseo concordarono nell'incolpare Eracle ed il solo Ifito, che non credeva alla colpevolezza di Eracle, fu inviato alla ricerca degli animali.\nIn realtà le giumente non erano state rubate da Ercole, bensì da Autolico, il principe dei ladri, che poi le aveva rivendute ad Eracle, ignaro del furto.\n\nLa morte.\nQuando Ifito giunse a Tirinto, trovò Eracle e gli chiese consiglio. Così l'eroe gli offrì il suo aiuto dandogli anche l'ospitalità e dopo un banchetto condusse Ifito sulle mura di Tirinto dicendogli 'Guardati pure intorno e dimmi se vedi le tue giumente pascolare qui sotto, da qualche parte' ed Ifito scrutò inutilmente ed ammise di non scorgerle.\nPer tutta risposta Eracle si infuriò, accusandolo di aver pensato che fosse un ladro e lo scaraventò giù dalle mura.\nIppocoonte, usurpatore del trono di Sparta rifiutò di purificare Eracle dopo la morte di Ifito ed a causa di ciò, Eracle gli divenne ostile e lo uccise reintegrando Tindaro come re di Sparta.\nIn seguito Hermes decise di punire Eracle vendendolo come schiavo ed offrendo il compenso ai figli di Ifito, ma il loro nonno rifiutò tale dono.\n\nVarianti del mito.\nSecondo altri invece, Ifito vide le giumente rubate presso la casa di Eracle e lo accusò del furto così Eracle, infuriato, lo gettò dal tetto della sua casa.\nNelle Trachinie, la versione di Sofocle dice che in preda alla rabbia e dopo vari affronti subiti da Eurito (il quale prevedeva anche una vittoria dei suoi figli se avessero gareggiato con il figlio di Zeus e Alcmena nella prova dell'arco), Eracle seguì Ifito mentre saliva sulla collina di Tirinto e lo buttò giù all'improvviso, a tradimento.\nApollonio Rodio cita Ifito e il fratello Clizio, «sovrani d'Ecalia» figli di Eurito, tra i componenti dell'equipaggio della nave Argo, di cui fa parte anche l'Ifito focese (il figlio di Naubolo), il quale aveva ospitato Giasone nella sua casa di Pito quando l'eroe vi era giunto «per interrogare l'oracolo sulla spedizione».\nDel primo Ifito Apollonio dice più avanti che viene ferito, durante il combattimento contro i Bebrici, da Areto, poi ucciso da Clizio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ifito (figlio di Naubolo).\n### Descrizione: Ifito (in greco antico: Ἴφιτος?) è un personaggio della mitologia greca. Suo padre fu Naubolo il re di Focide.\n\nMitologia.\nOriginario della Focide, Ifito fu uno dei partecipanti alla spedizione degli Argonauti e giunto in Colchide, quando i sacerdoti di Ares diedero l'allarme e i Colchi li attaccarono rimase ferito assieme ad Argo, Atalanta, Meleagro e Giasone e per fuggire si appese alla nave che stava salpando.\nMedea curò tutti con i suoi filtri magici ma non fece in tempo a completare l'opera che Ifito morì per le ferite ricevute.\nSposò Ippolita e divenne padre di Schedio e di Epistrofo, due condottieri che combatterono durante la guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Igea.\n### Descrizione: Igea (o Igiea, in greco antico: Ὑγίεια?, hygìeia, con il significato di 'salute', 'rimedio', 'medicina') è una figura della mitologia greca e successivamente romana.\n\nIl culto di Igea.\nFiglia di Asclepio e di Epione (o Lampezia), è la dea della salute e dell'igiene, termine che prende il nome dalla dea.\nNella religione greca e romana, il culto di Igea è associato strettamente a quello del padre Asclepio, tutelando in questo modo l'intero stato di salute dell'individuo. Igea viene invocata per prevenire malattie e danni fisici, Asclepio per la cura delle malattie e il ristabilimento della salute persa.\nNella mitologia romana, Igea viene indicata come Salus o Valetudo, sinonimi, in latino, di '(buona) salute'.\n\nIgea nell'arte classica.\nIgea era raffigurata sotto l'aspetto di una giovane donna prosperosa, nell'atto di dissetare in una coppa un serpente, in un'altra raffigurazione era seduta su un seggio, con la mano sinistra appoggiata ad un'asta, mentre con la mano destra porge una patera ad un serpente che, lambendola, si innalza da un'ara posta davanti alla dea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Il flauto di Pan.\n### Descrizione: Il flauto di Pan è un dipinto a olio su tela (205x174 cm) realizzato nel 1923 dal pittore spagnolo Pablo Picasso. È conservato nel Musée National Picasso di Parigi.\nIl soggetto di questo quadro sono due ragazzi rappresentati vicino ad alcune costruzioni squadrate di colore beige, col mare sullo sfondo. Uno dei due sta suonando il flauto di Pan da cui il quadro deriva il suo titolo.\n\nCollegamenti esterni.\nL'opera (JPG), su 4.bp.blogspot.com." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Il grande dio Pan.\n### Descrizione: Il grande dio Pan o Il gran dio Pan (The Great God Pan) è un racconto lungo dell'orrore scritto dall'autore gallese Arthur Machen, pubblicato tra il 1890 e il 1894.\n\nStoria editoriale.\nIl racconto fu dapprima pubblicato nel 1890 sulla rivista The Whirlwind e successivamente Machen realizzò una versione estesa del racconto nel 1894.\nAll'epoca il racconto fu criticato per lo stile decadente e i contenuti di natura sessuale, ma successivamente venne riconosciuto un classico del genere horror.\n\nTrama.\nNel Galles, uno scienziato, il dottor Raymond, sperimenta sulla mente di una giovane donna, Mary, per permetterle di vedere il dio Pan: purtroppo l'esperimento porta Mary al terrore più assoluto e, subito dopo, alla pazzia.\nMolti anni più tardi, a Londra, un uomo chiamato Villiers incontra un suo vecchio amico che dice di essere stato rovinato da sua moglie Helen Vaughan. Herbert è diventato un vagabondo da quando lui e Villiers si sono incontrati l'ultima volta. Alla domanda su come sia caduto così in basso, Herbert risponde che è stato 'corrotto corpo e anima' da sua moglie: dopo alcune indagini con Clarke e un altro personaggio, Austin, viene rivelato che Helen e Herbert erano stati coinvolti nella morte di un uomo benestante. Herbert è in seguito trovato morto.\nClarke incomincia a investigare sul passato di Helen e scopre che fin da bambina passava molto del suo tempo nei boschi vicino a casa sua, portando altri bambini in lunghe passeggiate nel crepuscolo e disturbando i genitori della città. Un giorno, un ragazzino che si era imbattuto in lei che 'giocava sull'erba con uno strano uomo nudo' era diventato isterico e più tardi, dopo aver visto una statua romana di un satiro, permanentemente folle. Inoltre, Helen stringe un'amicizia insolitamente forte con una ragazza vicina, Rachel, che conduce più volte nei boschi. In un'occasione Rachel torna a casa sconvolta, seminuda e sconclusionata: poco dopo aver spiegato a sua madre cosa le è successo (mai rivelato nella storia), Rachel ritorna nel bosco e scompare per sempre.\nHelen scompare, intanto, per qualche tempo, presumibilmente partecipando a orge inquietanti da qualche parte nelle Americhe. Alla fine ritorna a Londra sotto lo pseudonimo della signora Beaumont, seguita da una serie di suicidi. Villiers e Clarke, ognuno dei quali apprende la vera identità della signora Beaumont, si uniscono e affrontano Helen in casa sua, la persuadono ad impiccarsi, e Helen ha una morte molto anormale, trasformandosi tra l'umano e la bestia prima di morire definitivamente:.\n\nAlla fine si scopre che Helen è la figlia di Mary e del grande dio Pan, che era stato lasciato entrare quando il dottor Raymond aveva aperto la mente di Mary a lui.\n\nAnalisi critica.\nIl romanzo era solo uno dei molti che all'epoca si avvalevano del dio Pan come un simbolo per il potere della natura e del paganesimo.\nL'opera viene elogiata da Howard Phillips Lovecraft nel suo testo critico Supernatural Horror in Literature (1926). L'Encylopedia of Science Fiction (1993) considera invece il romanzo di Machen una prova modesta. In ogni caso, l'opera ha influenzato i racconti L'orrore di Dunwich di Lovecraft e Ghost Story di Peter Straub." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Il misantropo (Menandro).\n### Descrizione: Il misantropo, anche nota col titolo originale di Dyskolos (in greco antico: Δύσκολος?, Dýskolos) o come Il burbero o Il bisbetico o Il Selvatico, è una commedia di Menandro, l'unica che ci sia pervenuta pressoché completa (a parte piccole lacune) di tutta la cosiddetta Commedia Nuova dell'antica Grecia. Fu presentata per la prima volta nelle festività delle Lenee nel 317 a.C. e valse a Menandro il primo premio. Il titolo dell'opera allude al brutto carattere del protagonista Cnemone.\nNel 1957 fu ritrovato un manoscritto su papiro (papiro Bodmer P4) dell'intero testo del Dyskolos, pubblicato due anni dopo. Il papiro è stato acquistato dal bibliofilo svizzero, Martin Bodmer, e studiato dal professor Victor Martin dell'Accademia di Ginevra. In Italia, alla scoperta del papiro, il filologo classico e papirologo Carlo Diano si accinse immediatamente a darne una ricostruzione filologica che, insieme alla traduzione, avrebbe dovuto essere pubblicata a metà del 1959, ma, per alcuni problemi logistici, fu data alle stampe solo a gennaio del 1960 (Menandro, il Dyskolos, ovvero il Selvatico, testo e traduzione a cura di Carlo Diano, Padova 1960), preceduta nell'ottobre del 1959 dal saggio Note in margine al Dyskolos di Menandro, un saggio sulla ricostruzione filologica del testo, dedicato al grecista tedesco e amico Wolfgang Schmid.\nL'argumentum della commedia fu stilato dal filologo Aristofane di Bisanzio, mentre la didascalia ci permette di sapere, oltre della vittoria alle Lenee, che l'attore protagonista era Aristodemo di Scafe (o Scarfe).\n\nTrama.\nLa commedia è messa in moto dal dio Pan, che fa innamorare Sostrato (un ricco ed elegante giovane di città) di una ragazza di campagna, figlia di un vecchio misantropo, Cnemone. Il ragazzo si innamora di lei mentre è a caccia.\nCnemone è un vecchio bisbetico contadino che vive in casa con la sua unica figlia e una serva. La moglie, stanca di lui, si è trasferita a casa del figlio di primo letto, il serio e laborioso Gorgia, che abita nella casa accanto. Cnemone vive coltivando il suo podere ed evitando il più possibile ogni forma di contatto con gli estranei. Sostrato vuole chiedere in sposa la fanciulla, Gorgia sospetta di ciò, ma l'altro si conquista la sua amicizia, dichiarando la sua intenzione di sposare la ragazza offrendosi di lavorare con il futuro suocero nei campi per conoscerlo meglio.\nNel frattempo giunge la madre di Sostrato che ha preparato un sacrificio in onore di Pan nella grotta accanto alla casa di Cnemone. Il vecchio, vedendo la folla, decide di restare in casa a sorvegliare la situazione. Sostrato torna deluso dalla campagna e si unisce ai commensali.\nAd un certo punto si viene a conoscenza del fatto che Cnemone, nel tentativo di recuperare un'anfora sfuggita alla sua serva, è caduto in un pozzo. Sostrato e Gorgia corrono a salvarlo e Cnemone, dopo il pericolo che ha corso, decide di donare a Gorgia tutti i suoi averi, affidandogli anche la figlia. Gorgia decide, quindi, di concedere la sorellastra all’amico Sostrato, mentre Sostrato convince il padre Callippide a far sposare la sorella con Gorgia.\nLa commedia si conclude con il doppio banchetto nuziale, a cui Geta (un servo) e Sicone (il cuoco) trascinano a forza il riluttante Cnemone, prendendolo in giro.\n\nCommento.\nEsempio della Commedia Nuova, il Dyskolos, a differenza di ciò che avveniva nella commedia antica, imposta l'intreccio non più su fatti sociali o politici, ma ambienta l'azione in una dimensione per così dire 'borghese' (seppure il protagonista sia un contadino), concentrandosi in particolare su un fatto d'amore (che, perlomeno apparentemente, sembra diventare il soggetto dell'opera, mentre in effetti non è tanto su questo aspetto che l'autore insiste). A riprova del nuovo clima del teatro greco di età ellenistica, sparisce la parabasi che, soprattutto con Aristofane, era diventata un momento, all'interno dello spettacolo teatrale, nel quale il commediografo esprimeva le proprie idee sia in campo politico sia anche in campo letterario: persa la dimensione politica del teatro aristofaneo, essa, in effetti, non aveva più ragione di esistere." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Il ratto di Ganimede.\n### Descrizione: Il ratto di Ganimede. La presenza omosessuale nell'arte e nella società (Le Rapt de Ganymède) è un'opera letteraria d'impostazione saggistica dell'autore francese Dominique Fernández. Apparso per la prima volta nel 1989, è suddiviso in tre parti; tema principale del testo è l'omosessualità intesa dal punto di vista artistico all'interno della società nelle sue varie fasi storiche. In Italia è pubblicato da Bompiani editore.\n\nTrama.\nNatura o cultura?.\nL'ampia introduzione intitolata 'Natura o cultura?' presenta la questione, considerata un falso dilemma, su come definire l'omoerotismo artistico - espresso in narrativa, poesia, belle arti, musica e cinematografia - nel corso della storia, cioè come un fenomeno eminentemente culturale o intrinseco alla natura personale dell'artista che lo viene ad esprimere.\n\nApproccio storico.\nViene riassunta la storia recente del movimento di liberazione omosessuale, fino alle contemporanee richieste riguardanti i Diritti LGBT nel mondo:.\n\nStudio sul trattato dello storico francese Charles Ancillon del 1707 sulla categoria dell'eunuco.\nSotto l'occhio della polizia e dei medici, basato sugli scritti di 'François Carlier' che parlano della condizione degli omosessuali durante la criminalizzazione prima penale e poi medica subita durante tutto il XIX secolo e buona parte del XX secolo.\nL'altro Richard, sul rapporto intercorso tra Ludwig II di Baviera e Richard Wagner.\nI pionieri del moderno movimento omosessuale, Karl Heinrich Ulrichs, Magnus Hirschfeld e Edward Carpenter.\nCento anni di miseria, sulla pervasività delle pubblicazioni ed opinioni generali a forte contenuto di omofobia tra il 1886 e il 1989.\nSul modello Greco e quello Medioevale, ispirato dalle opere storiche di Kenneth Dover e John Boswell.\n\nArte, musica, letteratura e cinema.\nCertificazioni del fenomeno omosessuale nelle opere letterarie e artistiche in genere:.\n\nSan Sebastiano, santo patrono ed eroe degli omosessuali.\nIconografia, dalla rivoluzione francese alla Germania nazista. L'Arco di Trionfo a Parigi e il dipinto La morte di Joseph Bara di Jacques Louis David. L'autore sostiene che tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo si è verificato in Europa un trionfo del lato più femminile dell'uomo sia nella composizione artistica che nella creatività generale. Fatto questo ripresentatosi nell'idealizzazione del maschio nudo e puro di marca fascista e nazista, a partire dal movimento studentesco berlinese Wandervogel del 1895 fino alla folta schiera di omosessuali presenti tra le file delle SA di Ernst Röhm.\nLa componente omosessuale fortemente presente nella musica di Franz Schubert.\nLa musica omoerotica da Wolfgang Amadeus Mozart a Benjamin Britten.\nAscesa e caduta della letteratura gay.\nIl ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.\nDa Maurice (romanzo) a Maurice (film).\nLa poesia omosessuale di Konstantinos Kavafis.\nLa figura del libertino Don Giovanni nell'opera di Henry de Montherlant.\nChi ha ucciso Yukio Mishima?.\nZeno e Alexandre, due eroi al di sopra della legge, saggio sul romanzo storico intitolato L'opera al nero di Marguerite Yourcenar.\nLa gloria del paria, uno dei romanzi dell'autore (con suggestioni sulla figura di Pier Paolo Pasolini). Si narra la storia di Bernard, uno scrittore omosessuale di mezza, e del suo giovane amante Marc, sullo sfondo dell'epidemia di Aids.\nDa Auschwitz all'Aids.\nIl cinema omosessuale da Sergej Michajlovič Ėjzenštejn a James Ivory a Pedro Almodóvar.\n\nEdizioni.\n(FR) Dominique Fernandez, Le Rapt de Ganymède, Parigi, Éditions Grasset, 1989, ISBN 2-246-41841-0.\nDominique Fernández, Il ratto di Ganimede, traduzione di Fabrizio Ascari, 3ª ed., Milano, Bompiani, 2002 [1992], ISBN 88-452-5208-6.\n\nVoci correlate.\nLetteratura gay." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Il silenzio delle ragazze.\n### Descrizione: Il silenzio delle ragazze (The Silence of the Girls) è un romanzo della scrittrice britannica Pat Barker, pubblicato per la prima volta nel 2018 e in Italia nel 2019. Il romanzo racconta le vicende narrate nell'Iliade dal punto di vista di Briseide, evidenziando come i miti delle grandi gesta degli eroi della mitologia raccontano solo una storia parziale che esclude le donne, catturate, schiavizzate e stuprate nell'accampamento greco. Molto apprezzato dalla critica anglosassone, il romanzo è stato finalista per il Women's Prize for Fiction nel 2019.\n\nTrama.\nL'esercito dei Danai, guidato da Achille, assedia e distrugge Lirnesso, uccide il suo re Minete e tutti gli altri uomini e riduce in schiavitù tutte le donne. Tra di loro c'è Briseide, moglie del re, che per il suo rango viene considerata un premio pregevole destinato ad Achille per le sue gesta. Portata nell'accampamento acheo fuori dalla mura di Troia, Briseide viene formalmente consegnata ad Achille, che la stupra ogni notte. Briseide trova un conforto inaspettato in Patroclo, amico intimo e forse amante di Achille, ma soprattutto nella rete di donne troiane imprigionate e che ora vivono come schiave di letto dei nemici.\nL'equilibrio che si crea nel campo viene disturbato dall'arrivo del sacerdote Crise, che ha portato un ricco riscatto per riportare a casa la figlia Criseide, che è diventata la favorita di Agamennone. Il re rifiuta sdegnosamente le offerte di Crise e lo scaccia aspramente; mentre il sacerdote si allontana, Briseide sente che l'uomo prega affinché Apollo mandi la peste nel campo dei Danai ed unisce le proprie preghiere a quelle del sacerdote. Apollo ascolta le preghiere dei supplici e manda la peste nel campo acheo per vendicare l'oltraggio a Crise e la pestilenza semina rapidamente morte tra le schiere degli assedianti. Le continue pressioni degli altri re achei costringono Agamennone a liberare Criseide, ma per ripicca il re di Micene pretende Briseide, per vendicarsi del fatto che Achille lo abbia pubblicamente incolpato per la pestilenza. Achille, pur lasciando che Briseide venga portata via, è oltraggiato dalla mancanza di rispetto di Agamennone e si ritira dalla battaglia insieme a Patroclo e i suoi Mirmidoni.\nDopo alcune prime vittorie contro i troiani, i Danai si trovano ora ad indietreggiare sempre più verso il mare, incalzati dalla furia degli assediati che approfittano della mancanza di Achille per umiliare e massacrare gli assalitori sul campo di battaglia. Intanto Briseide viene mandata in una tenda con le altre schiave, dopo essere state violentata da Agamennone, ma quando le perdite si fanno troppo ingenti viene inviata nell'ospedale del campo per assistere i feriti. Dopo molte pressioni da Odisseo e Nestore, Agamennone acconsente a fare un primo passo verso la pace con Achille, la cui presenza è essenziale per il successo della battaglia. Ma Achille respinge le generose offerte di Agamennone, riportate da Odisseo, poiché pretende che l'Atride si venga a scusare di persona per aver oltraggiato il suo onore. Le azioni del Pelide causano irrequietezza anche nell'accampamento mirmidone e, soprattutto, in Patroclo, che odia vedere i loro commilitoni massacrati a causa dell'orgoglio ferito dell'amico. Achille stesso soffre per la situazione e si rende conto di essersi messo all'angolo da solo: la morte dei Danai lo addolora, ma se scendesse in campo ora rimangiandosi il suo giuramento il suo onore ne risentirebbe ulteriormente. Nestore ed Odisseo capiscono la difficile situazione di Achille e suggeriscono a Patroclo di andare in battaglia indossando l'armatura dell'amico, così che gli Achei possano sentirsi rincuorati (e i Troiani terrorizzati) senza che Achille infranga il suo giuramento. Titubante, Achille accetta la proposta di Patroclo e lo lascia andare a combattere solo dopo avergli fato promettere di non tentate di combattere contro Ettore. Il piano ha successo, ma nella foga della battaglia Patroclo dimentica la sua promessa e viene ucciso da Ettore.\nIl dolore di Achille è incontenibile e l'eroe rifiuta di far cremare Patroclo finché Ettore è in vita. Dopo che la madre Teti gli ha portato una nuova armatura - la sua era stata sottratta dai Troiani che l'avevano strappata dal corpo di Patroclo - Achille scende in campo, stermina i Troiani, uccide Ettore e ne brutalizza il cadavere. La morte di Ettore non sembra saziare il suo dolore e, anche se permette i riti funebri di Patroclo e gli viene restituita Briseide, la sofferenza di Achille resta senza sollievo, anche perché gli dei gli negano la gioia di infierire sul corpo del principe troiano: per quanto egli oltraggi il cadavere e lo riduca a una poltiglia sanguinolenta, gli dèi rendono sempre di nuovo integro il corpo di Ettore. Una notte, Priamo si intrufola nel campo greco, si prostra davanti ad Achille e supplica che il corpo del figlio Ettore gli venga riconsegnato: la scena commuove l'eroe, che mostra ospitalità al vecchio re troiano e acconsente alla sua richiesta. Priamo trascorre la notte nel campo nemico e Briseide decide di fuggire con lui a Troia quando il re riporterà il corpo del figlio in città per i riti funebri.\nLa schiava si nasconde nel cocchio del re ma, arrivata ai cancelli dell'accampamento greco, scende dal carro e torna nella tenda di Achille: Troia è destinata a soccombere, non c'è speranza per lei all'interno delle mura. Briseide rimane incinta di Achille, che la fa sposare con Alcimo per assicurarle un futuro prima di essere ucciso da Paride in guerra. Troia cade e le donne troiane vengono ridotte in schiavitù e portate nel campo greco. Tra di loro ci sono anche Ecuba, Andromaca, Cassandra e Polissena che, in un ultimo orrendo atto di violenza, viene sacrificata sulla tomba di Achille. Mentre i Danai si preparano per tornare in patria, Briseide rimuove la benda dal cadavere di Polissena e dopo aver detto addio alla tomba di Achille e alla sua ingombrante eredità si sente pronta a raccontare in prima persone la sua storia.\n\nPersonaggi.\nI protagonisti del romanzo sono gli stessi dell'Iliade e, nella parte finale, de Le troiane di Euripide.\n\nCritica.\nIl romanzo è stato accolto molto positivamente dalla critica britannica e statunitense, che lodarono la scelta della Barker di smascherare l'ipocrisia dietro alla grandi gesta degli eroi, mostrando un lato intimo di schiavitù e violenza fisica e sessuale al di là delle imprese in battaglia. Alcuni critici hanno notato dei parallelismi con il romanzo Circe di Madeline Miller che, come Il silenzio delle ragazze, porta al centro dell'azione un personaggio minore del canone omerico. Alcuni critici, in particolari quelli di The Atlantic e The Guardian, hanno criticato alla Barker un eccessivo uso di colloquialismi e slang moderno nel romanzo, che a detta loro striderebbero con l'ambientazione e lo stile dello stesso.\n\nEdizioni italiane.\nPat Barker, Il silenzio delle ragazze, Einaudi, 2019, ISBN 8806241028." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Il testamento di Orfeo.\n### Descrizione: Il testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée) è un film del 1960 diretto da Jean Cocteau.\nÈ un film biografico francese a sfondo drammatico e autocelebrativo con lo stesso Jean Cocteau che interpreta se stesso e con Claudine Auger, Charles Aznavour, Yul Brynner, Lucia Bosè e Pablo Picasso in un cameo. Il testamento di Orfeo è il seguito di Orfeo (Orphée) del 1949 ed è considerata la parte finale della trilogia orfica, dopo Il sangue di un poeta (Le sang d'un poète, 1930) e Orfeo (1950).\n\nTrama.\nProduzione.\nIl film, diretto e sceneggiato da Jean Cocteau, fu prodotto da Jean Thuillier per la Cinédis e la Les Editions Cinégraphiques e girato in Francia dal settembre del 1959. Il titolo completo fu Le testament d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!.\n\nDistribuzione.\nIl film fu distribuito in Francia dal 18 febbraio 1960 al cinema dalla Cinédis con il titolo Le testament d'Orphée. Il titolo lungo per le versioni doppiate in lingua inglese fu The Testament of Orpheus or Don't Ask Me Why.\nAlcune delle uscite internazionali sono state:.\n\nin Svezia il 3 ottobre 1960.\nin Germania Ovest il 26 ottobre 1961 (Das Testament des Orpheus).\nnegli Stati Uniti il 9 aprile 1962 (Testament of Orpheus).\nin Australia il 26 maggio 1962 (Adelaide Film Festival).\nin Finlandia il 28 febbraio 1969 (Orfeuksen testamentti).\nin Grecia il 14 settembre 2003 (Athens Film Festival, col titolo I diathiki tou Orfea).\nad Hong Kong l'11 dicembre 2005 (al French Cinepanorama Film Festival).\nin Spagna (El testamento de Orfeo).\nin Venezuela (El testamento de Orfeo).\nin Ungheria (Orfeusz végrendelete).\n\nCritica.\nSecondo MYmovies (il Farinotti) è 'un film criptico come una poesia ermetica, probabilmente Cocteau nasconde nelle situazioni se stesso e le sue ossessioni. Interessante ma forse un po' presuntuoso'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ila (mitologia greca).\n### Descrizione: Ila (in greco antico: ῞Υλας?, Hylas) è un personaggio della mitologia greca, la cui storia si intreccia con quella di Eracle e degli Argonauti.\n\nIl mito.\nEracle, il semidio nato da Zeus e Alcmena, si invaghì della bellezza di Ila e lo rapì dopo aver ucciso suo padre Teiodamante, re dei Driopi, mentre lottava anche contro questi ultimi. Ila lo accompagnò quindi nelle sue gesta, in qualità di scudiero. Secondo il mito, Ila era anch'egli un semidio, essendo nato dall'unione di Teiodamante con una ninfa, chiamata Menodice, figlia di Orione. In altre fonti, molto vaghe in merito, il principe sarebbe figlio di Ceice, o di un altro argonauta di nome Eufemo, cognato di Eracle.Insieme si imbarcarono con Giasone per accompagnarlo alla ricerca del vello d'oro. Durante una sosta in Misia, Ila scese dalla nave con Eracle e si allontanò in cerca di una fonte d'acqua dolce.Quando le Naiadi della fonte, che stavano danzando attorno alla sorgente, videro arrivare Ila, se ne innamorarono immediatamente. Nel momento in cui Ila si chinò per prendere l'acqua, una delle ninfe lo prese e lo tirò verso l'acqua per baciarlo, trascinandolo poi nel fiume con loro.Eracle udì le grida di Ila e si mise a cercarlo disperatamente, temendo che fosse stato assalito da qualche ladro. Non solo egli non riuscì a trovarlo: gli Argonauti ripartirono senza di loro. Di Ila nessuno vide più traccia.Durante le infruttuose ricerche Eracle si fece aiutare dagli abitanti della zona, e questo momento fu ricordato a lungo dai Misi, con una cerimonia annuale in cui i sacerdoti gridavano il nome di Ila per tre volte.\n\nIla nella letteratura moderna e nell'arte.\nIl mito del rapimento di Ila fu molto amato dagli artisti in varie epoche, particolarmente dai Romantici, che più volte ritrassero il giovane irretito dalle Naiadi. L'opera più nota è probabilmente Ila e le ninfe, olio su tela di John William Waterhouse, che raffigurò il giovane anche in un altro dipinto, ma insieme a una ninfa sola. La figura di Ila ha ispirato inoltre numerosi poeti e scrittori, alcuni tra i quali: Edmund Spenser, Christopher Marlowe, Oscar Wilde e Florence Earle Coates (che scrisse l'omonimo componimento, presente nei suoi Poemi).Nel cinema storico è comparso in Gli Argonauti, dov'è stato interpretato da John Cairney.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iliona.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ilìona era il nome di una delle figlie di Ecuba e Priamo, il cui mito fu trattato nella omonima tragedia di Pacuvio.\n\nIl mito.\nPolimestore, re della Tracia ebbe in moglie Iliona, alla quale venne affidato uno dei suoi fratelli, Polidoro. Nel frattempo era scoppiata la guerra di Troia. Iliona aveva avuto dal marito un figlio, Deipilo che negli anni era diventato un ragazzino. La donna, temendo l'agire di suo marito decise di scambiare suo figlio con suo fratello. Polimestore dopo aver stretto patti con Agamennone decise di uccidere Polidoro ma alla fine uccise il loro figlio Deipilo. Iliona alla fine uccise il proprio marito, anche se un'altra versione vede Polidoro come assassino. Secondo altri autori il re riuscì a uccidere Polidoro, ma questi venne vendicato da Iliona e da Ecuba.\nIn seguito Iliona vedendo le continue disgrazie che ricadevano sui suoi parenti che tanto amava decise di uccidersi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ilizia.\n### Descrizione: Ilizia (in greco antico: Εἰλείθυια?, Eilèithyia) è una figura della mitologia greca, probabilmente una divinità pre-olimpica. In taluni casi, in particolare nell'Iliade, è indicata dai narratori in forma plurale, 'le Ilizie'.\nDivinità della fertilità, del parto e dell'ostetricia, è citata da numerose iscrizioni di nascite. Il suo culto è associato a Creta e alla città di Amniso, e il suo nome appare in alcune tavolette di Cnosso, redatte in Lineare B, che sono state analizzate attentamente e che mostrano una continuità di culto dal neolitico all'epoca classica. Una particolarità è che essa risulta essere l'unica dea minoica a non avere per nome un aggettivo sostantivato.\nFiglia di Zeus e di Era, e dunque sorella di Ebe, Eris, Ares ed Efesto, come è descritta da Esiodo, Apollodoro e Diodoro Siculo, viene altre volte identificata con Artemide, con Era o Demetra, tramite un procedimento di ipostasi. A Roma si confuse spesso anche con Giunone Lucina, mentre Pausania la descrive come brava filatrice e più anziana di Crono, identificandola nelle Moire. Secondo un inno del poeta Oleno di Delo, è un'iperborea, ed è la madre di Eros.\nÈ descritta come presente alla nascita di numerosi dei, tra i quali Eracle, Apollo e Artemide. Secondo il III Inno Omerico ad Apollo, Hera catturò Ilizia, mentre stava tornando dal nord dagli Iperborei, per ostacolare le doglie di Leto per Artemide ed Apollo, essendone Zeus il padre. Le altre dee presenti a Delo per assistere alla nascita, mandarono allora Iris a prenderla. Non appena Ilizia mise piede sull'isola, iniziarono le doglie.\n\nFunzione divina.\nInizialmente le Ilizie (nel plurale utilizzato da Omero) erano coloro che provocavano i dolori del parto. Solo successivamente, a Creta, l'Ilizia fu venerata come dea della fertilità, prima di affermarsi a Delo. Col passare del tempo il culto si diffuse in molte città Greche, in Etruria e in Egitto, e la sua funzione diventò quella di aiutare le partorienti.\n\nSantuari, iconografia e simbologia.\nLa rappresentazione della dea non è costante, sebbene possano notarsi dei tratti peculiari comuni. Ad esempio, essa appare frequentemente nella ceramica durante la nascita di Atena e Dioniso.\nNella nascita di Atena appaiono più precisamente due Ilizie, con le mani protese al cielo, nel gesto dell'epifania.\nAd Ilizia furono consacrate delle caverne (probabilmente simboleggianti l'utero), che si ritiene fossero il suo luogo di nascita così come quello del suo culto, come menziona chiaramente l'Odissea; una delle più importanti è quella di Amniso, il rifugio di Cnosso, dove sono state trovate stalagmiti che probabilmente la rappresentano. La caverna di Creta ha suggestive stalattiti dalla forma di una doppia dea che causa le doglie e le ritarda; inoltre sono state anche trovate delle offerte votive. Qui fu probabilmente adorata durante il periodo Minoico-Miceneo.\nNel periodo classico, si trovano santuari di Ilizia nelle città cretesi di Lato e Eleutherna ed una grotta sacra ad Inatos.\nPausania, nel II secolo, fece un resoconto di un tempio arcaico ad Olimpia, con una cella dedicata al serpente salvatore della città (Sisipolis) e ad Ilizia. In esso è raffigurata Ilizia come una sacerdotessa-vergine che sfama un serpente con dolci torte di orzo ed acqua. Il tempio, infatti, commemora l'apparizione improvvisa di una vecchia con un bambino fra le braccia, proprio quando gli Eli stavano per essere minacciati da Arcadia; il bimbo, posto a terra fra i contendenti, si mutò in serpente, spazzando via gli Arcadi in volo, per poi sparire dietro la collina.\nAd Atene, stando a quanto scrisse Pausania, erano presenti molte raffigurazioni di Ilizia, una delle quali era stata portata da Creta; egli menzionò inoltre santuari di Ilizia a Tenea, ad Argo ed uno estremamente importante ad Aigion.\nMolto interessante la terracotta dell'Heraion alla foce del Sele (conservata al Museo Archeologico Nazionale di Paestum) in cui la dea viene rappresentata nuda e in ginocchio dietro un mantello sostenuto da due genietti alati.\nIlizia, insieme ad Artemide e Persefone è spesso raffigurata con in mano delle torce per portare i bimbi verso la luce, fuori dall'oscurità; nella mitologia Romana infatti la sua controparte è rappresentata da Lucina (della luce).\nNei santuari greci sono presenti piccole figure votive di terracotta (kourotrophos) che raffigurano una bambinaia immortale che si prende cura di bimbi divini. Si pensa che questa figura possa essere collegata a Ilizia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Illo (figlio di Eracle).\n### Descrizione: Illo (in greco antico: Ὕλλος?, Hýllos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un eraclide che tentò la conquista del Peloponneso.\n\nGenealogia.\nFiglio di Eracle e di Deianira o della naiade Melite o di Onfale, sposò Iole che lo rese padre di Cleodeo e delle figlie Evaechme, Aristaechme ed Hyllis.\nLa figlia Hyllis fu la madre di Zeusippo avuto da Apollo.\n\nMitologia.\nNel suo mito, che presenta comunque molte varianti, sono raffigurate le migrazioni delle tribù dei Dori, un popolo di cui divenne re dopo aver sottomesso i fratelli Dimante e Panfilo.\n\nLa guerra del Peloponneso.\nDopo la morte del padre Eracle, sposò Iole e fuggì con i suoi fratelli dal regno di Euristeo per spostarsi a Trachinia nel regno di Ceice e quando Euristeo pretese la loro resa e minacciò la guerra contro Ceice, abbandonarono quel regno per rifugiarsi ad Atene.\nEuristeo mosse guerra ad Atene ed in una battaglia presso Tricorinto Illo lo uccise e gli tagliò la testa che diede ad Alcmena (sua nonna e madre di Eracle).\nIllo si rivolse poi all'oracolo di Delfi ed ottenne la risposta di dover attendere il terzo raccolto prima di poter tornare a Micene, ma lo fraintese poiché non significava 'tre anni' bensì 'tre generazioni', ma credendo nell'interpretazione errata mosse contro Micene.\nQuando i due eserciti furono radunati presso l'Istmo di Corinto, Illo sfidò in un duello singolo qualsiasi nemico lo volesse affrontare e con l'accordo che se fosse stato lui il vincitore, gli Eraclidi avrebbero avuto i regni di Euristeo (Micene e Tirinto) e se invece fosse stato sconfitto, i discendenti di Eracle non sarebbero più ritornati nel Peloponneso per un periodo di cinquanta o cento anni, così fu sfidato da Echemo che lo vinse ed uccise.\nFu sepolto a Megara.\n\nAltre tradizioni.\nNella tradizione che lo indica come figlio di Eracle e della naiade Melite, Illo nacque sull'isola dei Feaci e, divenuto adulto, si trasferì sul continente e viaggiò nell'estremo nord della Grecia, dove divenne re ed eponimo della tribù degli Illiri ed in seguito fu ucciso dai Mentori durante una lite sul bestiame.\nSecondo altre tradizioni sua madre fu la regina della Lidia Onfale ed Eracle, che per un certo periodo visse nel suo palazzo come schiavo, lo concepì con lei." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Imene (mitologia).\n### Descrizione: Imene (o Imeneo, in greco Ὑμέναιος Hymènaios) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nEra figlio di Apollo e di una musa o forse, secondo altre tradizioni, di Dioniso e della dea Afrodite, oppure di Piero e Clio: sarà uno dei giovinetti amati dallo stesso Apollo.\nNella tradizione greca, Imene camminava alla testa di ogni corteo nuziale, e proteggeva il rito del matrimonio.\nSi narra che fosse un giovane di una fulgida bellezza.\nDurante un'aggressione di pirati, le ragazze di Atene furono rapite, e assieme a loro vi era un solo maschio, Imene, che era stato scambiato per una femmina. Riuscì nell'impresa di liberare le donne e di sgominare i malviventi.\nSecondo il mito, Imene perse la voce durante le nozze di Dioniso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Imero.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Imero (in greco antico: Ἵμερος?), era la personificazione dell'amore impetuoso e del desiderio amoroso incontrollato. Era figlio di Afrodite e Ares, e quindi fratello di Eros, Anteros, Deimos, Fobos e Armonia.\nEra annoverato tra gli Eroti, divinità dell'amore che costituivano il seguito della dea Afrodite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Imetto.\n### Descrizione: L'Imetto (in greco: Υμηττός) è un massiccio montuoso della Grecia, nell'Attica, a sudest di Atene.\n\nToponimo.\nÈ conosciuta anche col nome di 'Τρελλός' o di 'Τρελοβούνι' (la montagna pazza), toponimo che probabilmente deriva della traduzione dalla deformazione veneziana 'Il Matto'.\n\nDescrizione.\nIl massiccio è esteso in lunghezza per 16 km: il punto più alto, il monte Evzonas, è a quota 1026 m. È pertanto la terza cima dell'Attica, in ordine decrescente di altezza, dopo il Parnete (Πάρνηθα, anticamente Πάρνης), e il Monte Pentelico (Πεντέλη; anticamente Πεντελικός).\nL'Imetto era famoso nell'antichità per le cave di marmo e, soprattutto, per la bontà del suo miele di timo, tanto che espressioni quali 'le api dell'Imetto' o il 'miele dell'Imetto' son diventate proverbiali.\nSul massiccio, in località Kaisarianī ('Καισαριανή'), si trova anche una delle foreste più estese di Atene.\n\nMitologia.\nLuciano di Samosata scrive nel dialogo di Timone d'Atene che questi, alle pendici di Imetto, lanciava le sue invettive contro gli dèi . Nel dialogo Icaromenippo, l'«uomo sopra le nubi» si getta in volo dalla cima del massiccio, grazie a delle ali asportate da un'aquila e un avvoltoio. Gaio Valerio Flacco parla del 'dolce Imetto' nelle Argonautiche, riferendosi al luogo di origine di alcuni eroi che prendono parte alla spedizione di Giasone nella regione della Colchide per ricercare il vello d'oro.\nAnticamente l'Imetto era sacro ad Apollo e a Zeus (Zeus Imezio). Le api dell'Imetto avevano nutrito il piccolo Zeus e il dio, per ricompensa, avrebbe concesso loro il dono di fare il miele migliore. Si diceva anche che dall'Imetto venissero le api che, quando Platone era bambino, si posarono sulle sue labbra, e distillarono sopra il loro miele, come segno prodigioso dell'oratoria squisita che sarebbe uscita dalla sua bocca.\nLa leggenda inoltre voleva che all'Imetto ci fossero delle formiche guerriere che custodivano una polvere d'oro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Immortali nella mitologia greca.\n### Descrizione: Numerosi personaggi mortali, nella mitologia greca, vennero resi immortali per volontà degli dèi, in seguito alla loro buona condotta e per la loro fedeltà alle divinità.\n\n== Elenco degli immortali ==." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Incendio di Borgo.\n### Descrizione: L'Incendio di Borgo è un affresco (circa 670x500 cm) di Raffaello e aiuti, databile al 1514 e situato nella Stanza dell'Incendio di Borgo, una delle Stanze Vaticane.\n\nStoria.\nRaffaello iniziò a lavorare alla terza delle Stanze non molto dopo l'elezione di papa Leone X. Il pontefice, forse ispirandosi alla scena dell'Incontro tra Leone Magno e Attila nella Stanza di Eliodoro, in cui aveva fatto inserire il proprio ritratto al posto di quello di Giulio II, scelse come tema della decorazione la celebrazione dei pontefici col suo stesso nome, Leone III e IV, nelle cui storie, tratte dal Liber Pontificalis (Libro dei Papi), si potevano cogliere allusioni al pontefice attuale, alle sue iniziative e al suo ruolo.\nLa prima scena ad essere completata fu l'Incendio di Borgo, che diede poi il nome all'intera stanza. In essa gli interventi autografi del maestro sono ancora consistenti, mentre negli episodi successivi i nuovi impegni presi col pontefice (alla Basilica vaticana e agli arazzi per la cappella Sistina in primis) resero necessario un intervento sempre più cospicuo degli aiuti, tra cui spiccavano Giulio Romano, Giovan Francesco Penni e Giovanni da Udine.\nIn particolare le valutazioni sull'autografia dell'Incendio di Borgo si basano ancora sulle valutazioni di Cavalcaselle e riguardano la zona sinistra e parte di quella destra riferibili al Romano, il gruppo delle donne al centro al Penni o a Giovanni da Udine, e a Raffaello la testa della fanciulla che si gira in avanti tenendo due vasi, alcune figure dello sfondo compreso il papa e alcuni dettagli sparsi. Durante la Repubblica Romana instaurata dai giacobini e successivamente nel periodo napoleonico, i francesi elaborarono alcuni piani per staccare gli affreschi e renderli portabili. Infatti, venne espresso il desiderio di rimuovere gli affreschi di Raffaello dalle pareti delle Stanze Vaticane e inviarli in Francia, tra gli oggetti spediti al Musee Napoleon delle spoliazioni napoleoniche, ma il progetto non fu mai realizzato a causa delle difficoltà tecniche e dei tentativi falliti e disastrosi dei francesi presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.\n\nDescrizione e stile.\nNell'847 divampò nel quartiere antistante l'antica basilica di San Pietro (il 'Borgo') un terribile incendio. Leone IV, impartendo la benedizione solenne dalla Loggia delle Benedizioni, fece spegnere miracolosamente il fuoco, il che permise la salvezza della popolazione e della basilica.\nLa storia è calata in un ambiente classico, popolato da figure eroiche che risentono dell'influenza di Michelangelo, con venature letterarie, che alludono all'incendio di Troia di virgiliana memoria, e politiche, che alludono al ruolo pacificatore del papa tra il divampare dei focolai di guerra tra le potenze cristiane. La rievocazione dell'Eneide inoltre era un pretesto per celebrare la storia di Roma nella sua dimensione più eroica.\nDue gruppi di architetture fanno da quinte laterali, estremamente dinamiche, mentre al centro uno squarcio in lontananza rivela la figura del pontefice, di immota serenità dovuta alla consapevolezza della sua infallibilità.\nLa parte sinistra, con un tempio in rovina che ricorda il colonnato corinzio del tempio dei Dioscuri, mostra attraverso un arco un edificio in fiamme col tetto ormai scoperchiato. Un giovane ignudo si cala dalla parete con la tensione muscolare dello sforzo ben evidente, mentre una donna porge a un uomo un bambino in fasce; più avanti, una scena che evoca l'episodio di Enea che avanza trascinando sulle spalle il padre Anchise e il figlio Ascanio a lato . Dietro di essi, l'anziana nutrice del condottiero troiano, Caieta, ricorda vagamente la Sibilla Libica di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina.\nA destra, un gruppo di donne, si affanna per portare contenitori colmi d'acqua per domare le fiamme in un tempio ionico, che ricorda quello di Saturno.\nAl centro una serie di donne con bambini si rivolge verso il pontefice, che si affaccia da un'architettura bramantesca a bugnato. Più a sinistra si intravede la facciata dell'antica basilica vaticana, ornata da mosaici. Il vuoto centrale e l'insieme dei gesti riesce a far convergere l'occhio dello spettatore sulla figura del pontefice, per quanto piccola rispetto al primo piano. Tale schema venne ampiamente ripreso dai classicisti seicenteschi.\nCitazioni dotte e ricercate, prese dalla classicità e dalla modernità, ben rappresentano l'ambiente evocato dai letterati della corte di Leone X.\nDall'armoniosa bellezza della Stanza della Segnatura si è passati ormai a uno stile più ardito e disomogeneo, con una composizione più intensamente scenografica, senza un'articolata organizzazione strutturale degli edifici, che paiono appunto quinte teatrali o apparati effimeri predisposti durante le feste (lo stesso Raffaello si occupò direttamente di scenografia). Forte è la componente sperimentale ed è stata paragonata da alcuni, nel suo attingere ai repertori urbinate, umbro, fiorentino e veneziano, al procedimento che in quegli stessi anni coinvolgeva i letterati sulla scelta della lingua. Raffaello andava infatti rielaborando i linguaggi dei suoi predecessori per dare origine a quel classicismo che tanto influenzò le generazioni successive." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Inno a Dioniso.\n### Descrizione: L'Inno a Dioniso è una composizione minore di Omero inclusa nella raccolta degli inni omerici. L'inno narra della nascita e alcune opere che il dio Dioniso compì. L'inno è composto di 59 versi.\n\nContenuto.\nDioniso era il dio del vino, dell'ebbrezza e della felicità, ma anche della violenza e dell'eccesso. Infatti da giovane, scoprendo l'uso della vite e quindi del vino, il dio si dette a far feste ogni notte e giorno, seguito sempre da un gruppo di donne dette baccanti.Un giorno un gruppo di pirati tirreni, passando per la sua isola, rapirono Dioniso, credendolo di buona famiglia, con scopo di richiedere un riscatto. Ma sulla nave accadde che proprio quando gli uomini non se l'aspettavano, un grande fiume di vino sgorgò sul ponte, dei grappoli d'uva ed edera spuntarono arrampicandosi per tutto l'albero maestro ed infine Dioniso prese le sembianze di un leone feroce. I pirati terrorizzati, si buttarono in mare, venendo così trasformati in delfini.Questo servì a far guadagnare grande fama e stima al dio che d'ora in poi verrà seguito non solo da donne, ma anche da uomini.\n\nLocalità geografiche menzionate nell'Inno.\nAlfeo.\nDracano.\nIcaro.\nNasso (isola).\nNisa.\nOlimpo.\nTebe.\n\nVoci correlate.\nOmero.\nInni omerici.\nDioniso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Inno ad Apollo.\n### Descrizione: L'Inno ad Apollo è il terzo inno cletico (da “kaleo”=”chiamo”,”invoco”) in esametri appartenente alla raccolta denominata Inni omerici.\n\nGenesi.\nL'Inno presenta due sezioni nettamente distinte, sia per scelte stilistiche che per aspetti contenutistici e già nel 1782 David Ruhnken aveva sostenuto che l'inno è composto da due parti separate, riunite successivamente nella tradizione manoscrittaː la prima (Apollo Delio) narra la nascita del dio a Delo e la celebrazione delle feste delie e termina al v. 176 o al v. 178; la seconda è incentrata sulla fondazione dell'oracolo a Delfi, impresa resa possibile dall'uccisione della dragonessa. In tale ipotesi la composizione della prima parte risalirebbe al VII secolo, la seconda al VIː.\nTale vistosa discordanza costituisce il fulcro della discussione filologica e letteraria sull'Inno, la quale tenta di ritrovare spunti unitari all'interno del componimento. Esami oggettivi di ordine metrico e formulare confermano in buona parte l'esistenza di una chiara alterità tra due parti tematicamente inconciliabili, tanto che la tesi analitica ha in genere il sopravvento.L'Inno sarebbe dunque il risultato di un accorpamento tra due composizioni aediche appartenenti ad epoche e culture differenti, i cui versi sarebbero stati rielaborati e fusi per circostanze occasionali ed esterne.\nLa sostanziale ambivalenza che percorre L'Inno e si palesa nella suddivisione del campo di influenza del dio tra i santuari di Delfi e Delo corrisponde ad una divisione di ordine storico e religioso del mondo greco. Delfi, dichiaratamente aristocratica, svolse un ruolo predominante nei secoli VII e VI promuovendo l'espansione coloniale ellenica verso il Medio Oriente e il bacino del Mediterraneo.\nIl prestigio dell'oracolo, sede ricorrente di pellegrinaggi nonché centro cultuale molto influente, declinò all'epoca delle prime spedizioni persiane. Delo, sede antichissima di culto, ebbe al contrario un'importanza soprattutto locale fino alla metà del VI secolo, quando conobbe una rapida crescita connessa allo sviluppo urbanistico e si impose con la funzione di rappresentante della comunità Ionica. Nel tentativo di arginare l'aggressiva politica estera promossa da Atene al termine delle guerre persiane in opposizione al blocco di alleanze spartano, Delo divenne sede della symmachia ionica, promuovendo un'ideologia anti-aristocratica. Le opposte impostazioni politiche, le diverse prerogative rituali nonché il processo stesso di istituzione fanno dunque di Delfi e Delo i due poli inconciliabili del culto apollineo. La tesi analitica sembra tenere conto di tutto ciò, in quanto ritiene che la sezione delia sia sta composta in epoca arcaica con lo scopo di essere recitata in occasione di una festività rituale a Delo, mentre quella delfica, di epoca assai più recente, costituirebbe un proemio destinato ad introdurre gli agoni rapsodici durante le cerimonie pitiche. L'autore dell'Inno unì, dunque, in una stessa composizione poetica i due inni apollinei di entità maggiore a lui noti, arricchendo l'aretalogia(la rassegna delle gesta eroiche) del dio mediante la fusione di tradizioni distanti sia temporalmente che culturalmente. La struttura complessiva del canto rivela una sapiente cura espositiva e una riorganizzazione del materiale preesistente, ben lontane da un semplice accostamento tra due gruppi di versi scollegati, senza alcun richiamo interno.\n\nAutore e data di composizione.\nVarie ipotesi sono state formulare nel tentativo di identificare il compositore dell'Inno. La consapevolezza con la quale al codificato inno delio vengono intessute tradizioni continentali, l'insistenza su particolari paesaggistici propri dell'Egeo piuttosto che della Grecia e delle coste Peloponnesiache, fanno pensare a Cineto di Chio, aedo di larga fama attivo negli ultimi decenni del VI secolo. La possibile attribuzione del componimento ad una figura storicamente attendibile sottrae in parte l'Inno dalla sua oscurità, senza però penetrarne appieno la complessità. È innegabile, infatti, la presenza di ulteriori influenze “omeriche”, in particolare nella sezione pitica, dove ricorre il meccanismo del “riuso”, ossia l'adattamento di formule ed epiteti ad una nuova situazione poetica. Altre corrispondenze si ritrovano in alcuni aspetti dello sviluppo narrativo. Le peregrinazioni marine di Leto evocano un'atmosfera odissiaca, come anche l'uccisione della dragonessa, crudelmente trafitta dalle frecce, un ricordo della sanguinosa sfida tra i proci ed Ulisse ad Itaca. “Omerica” è, inoltre, la figura stessa del dio. L'esordio dell'inno che descrive l'apparizione repentina di Apollo arciere, suscitatore di phobos, immerso nella sua accecante lucentezza è simile ad una delle prime scene dell'Iliade, dove il dio scende infuriato dalle cime dell'Olimpo e prende a scagliare dardi contro il campo degli Achei, manifestando una rabbia improvvisa ed implacabile. Apollo ci appare, dunque, definito maggiormente dall'arco piuttosto che dalla lira e dalle doti profetiche. Egli è la divinità che sorprende e sconvolge, irrompendo nel campo di azione dell'uomo.\nEnigmatici sono, infine, i versi con i quali il poeta, presentandosi come “il cieco di Chio”, pare porsi in relazione con Omero. Una tradizione riconosceva nella figura dell'immortale aedo epico l'autore dell'Inno ad Apollo. Egli l'avrebbe recitato sfidando in un certame poetico Esiodo ed impressionando a tal punto gli abitanti di Delo da convincerli a trascrivere il componimento su di una tavoletta, recante la sua sfraghis (sigillo di riconoscimento). È più probabile tuttavia che il cantore, alludendo ad Omero, voglia identificarsi nel poeta chiota e non riferirsi indirettamente a sé stesso. L'Inno ad Apollo è “omerico” in quanto è conforme ai canoni e al gusto della tradizione epica, dunque è possibile istituire una sovrapposizione tra l'aedo che ne è l'ideatore e l'autorità di riferimento, Omero.\n\nContenuto.\nLa prima parte dell'inno è costituita da una scena celeste, raffigurante Apollo che arriva armato d'arco sull'Olimpo. Ad essa segue un saluto a Leto generatrice e quindi, introdotta da una Priamel, la narrazione mitica vera e propria, ossia la nascita di Apollo a Delo. In essa il catalogo delle terre attraversate da Leto è seguito da un dialogo fra la dea e l'isola, poi dal racconto del parto divino. La conclusione di questa sequenza del canto, proiettata nel presente, comprende la descrizione della festa di Delo e la presentazione della figura del cantore, il “cieco di Chio”.\nLa sezione pitica, dopo un breve raccordo, si apre pure con una scena celeste che esalta questa volta le doti artistiche di Apollo in quanto suonatore di cetra ed ispirato poeta. Essa riprende la presentazione iniziale del dio e insieme l'atmosfera festiva del congedo che conclude la sezione delia. Una seconda Priamel introduce, in accordo con lo schema contenutistico comune al componimento, il brano mitico. Esso è incentrato sui prodigi compiuti dal dio a Crisa nella Troade, sulla metamorfosi di quest'ultimo in delfino, sul salvataggio della nave cretese e sulla costituzione dell'oracolo a Delfi in seguito all'uccisione del mostro ctonio Pito, l'atto che segna la ricostituzione di una sorta di nuovo ordine cosmico. L'affinità strutturale con la sezione precedente si riscontra nella cura con la quale vengono riportate le località geografiche, scenario delle imprese del dio e nel dialogo tra quest'ultimo e la ninfa traditrice Telfusa, poi trasformata in fonte. L'ultima scena, seguita poi dal distico formulare di commiato, si sofferma sul reclutamento dei primi sacerdoti delfici e sulla modalità del rito pitico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Inno ad Ermete.\n### Descrizione: L'Inno ad Ermete è una composizione minore di Omero risalente al VI secolo a.C. inclusa nella raccolta degli inni omerici. L'inno narra le avventure di Ermete durante i primi tre giorni della sua vita. L'inno è composto di 580 versi e condivide con l'Iliade e l'Odissea sia il dialetto che la metrica poetica, ovvero l'esametro dattilico.\n\nContenuto.\nErmete è il dio dei commerci, dei viaggi, dei confini, dei ladri, dell'eloquenza e delle discipline atletiche. Figlio di Zeus e Maia, nacque prematuramente sul monte Cillene. A differenza dei normali neonati, non rimase nella sua culla, ma si dimostrò precoce e la soglia varcò dell’ombrosa spelonca.\n\nL'invenzione della lira.\nUna volta fuoriuscito dalla grotta, si imbatté in una tartaruga da cui ricavò gran sollazzo e che considerò come un segno d'augurio. In seguito, sgusciò dell’alpestre tartuca il midollo vitale e con le canne d’un giunco, la pelle d’un bove e la minugia di pecora costruì una lira, che utilizzò immediatamente per improvvisare un inno a se stesso, in cui cantò la storia d'amore dei suoi genitori.\n\nIl furto di bestiame.\nSuccessivamente, lasciò la lira nella grotta e corse verso Pieria, luogo dove pascolava il bestiame del fratello maggiore, Apollo. Ermete rubò cinquanta vacche, che spinse all'indietro attraverso la Beozia, fino ad una grotta a Pylos dove le nascose, per poi far ritorno a Cillene. Lì, la madre Maia lo redarguì per essere tornato a tarda notte, ma Ermete reagì affermando di non essere un bambino e che si prenderà cura di se stesso e di sua madre.\nIl giorno seguente, Apollo si rese conto che le sue mucche erano scomparse e iniziò a cercare il suo bestiame. Incontrò un Vecchio, che aveva avvistato Ermete il giorno prima, e gli chiese informazioni. Si precipitò immediatamente a Pilo, ma non riuscì a scoprire la posizione esatta del suo bestiame a causa delle tracce confuse. Allora Apollo raggiunse la grotta di Maia e minacciò con violenza Ermete di rivelargli la posizione del suo bestiame, ma negò qualsiasi coinvolgimento, affermando che un neonato non è in grado di rubare il bestiame. L'alterco tra gli dèi continuò finché i due fratelli portarono la questione al padre, Zeus.\n\nL'incontro al cospetto di Zeus.\nCiascuno fornì il proprio resoconto degli eventi, ma anche in questa occasione Ermete negò abilmente il suo coinvolgimento, sfruttando la sua acuta intelligenza per evitare lo spergiuro. Riconoscendo i trucchi, Zeus scoppiò a ridere e gli ordinò di rivelare il nascondiglio del bestiame. I fratelli sfrecciarono verso Pilo, ed Ermete condusse il bestiame fuori dalla caverna restituendolo a Febo, che infuriato tentò di legare Ermete, il quale, una volta svincolatosi, gli cantò una teogonia utilizzando la lira. Apollo rimase incantato dalle capacità musicali e canore del fratello minore e volle saperne di più sulla sua arte.\nErmete gli spiegò come utilizzare lo strumento e in seguito lo cedette in cambio degli animali rubati, e così la lira divenne il simbolo del saettante Apollo, così rappresentato ai musei vaticani.I due fratelli divini partirono quindi per l'Olimpo, dove ad Ermete vennero tributati gli onori spettanti e divenne il messaggero degli dei.\n\nAnalisi.\nIl racconto è incentrato sui primi giorni di vita di Ermete e lo si può suddividere in tre sezioni: la fabbricazione della lira, il furto di bestiame e il confronto verbale con Apollo al cospetto di Zeus.\n\nLa precocità del neonato.\nIl poeta nell'Inno intende far emergere l'unicità del neonato, che proprio per la sua precocità si contraddistingue come un essere sovrannaturale, dotato di abilità uniche. Queste capacità emergono nell'inventiva che dimostra costruendo la lira partendo da una semplice tartaruga, che divenne poi il suo simbolo, e nella meticolosità e risolutezza con cui effettua il furto della vacche, cosa che lo qualificò per la sua prerogativa di protettore dei ladri. Nell'opera le sue doti hanno una rilevanza di primo piano perché consentono ad Ermete di raggiungere lo status di divinità, permettendogli di ascendere all'Olimpo e di vedersi assegnate le sue timai e tutti i privilegi tipici di un dio.Con risolutezza e lungimiranza Ermete espone alla madre le ambizioni e gli obbiettivi che intende perseguire attraverso le sue azioni, quindi si deduce che il motivo che lo spinge a rubare le vacche del fratello è un astuto piano perpetrato per procurare a se stesso e alla madre gli onori di cui godono le altre divinità olimpiche, ovvero i sacrifici, le preghiere, e le timai che Apollo già possiede.\n\nRapporto con la fanciullezza.\nIl giovane dio prende le distanze dalla madre, dalla culla e dalla caverna materna per rimarcare il suo distacco dall'infanzia e dalla fanciullezza, condizione in cui Ermete mai si è riconosciuto, eppure con eloquenza invoca a sua difesa la sua tenera età quando si trova in circostanze spiacevoli e sfavorevoli.Nell'inno si rimarca più volte questo aspetto attraverso continue menzioni sull'infanzia del dio. Tuttavia, la cosa è diversa in altre opere che narrano la medesima vicenda, in cui non si fa menzione alla sua età.\n\nLocalità geografiche menzionate nell'Inno.\nMonte Cillene, luogo di nascita di Ermes;.\nCillene.\nPylos.\nPieria.\nBeozia.\nOlimpo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ino.\n### Descrizione: Ino (in greco antico: Ἰνώ?, Inṑ) è una figura della mitologia greca. Fu una donna mortale trasformata in dea.\n\nGenealogia.\nFiglia di Cadmo ed Armonia, fu la seconda moglie di Atamante e divenne madre di Learco e Melicerte.\n\nMitologia.\nIl marito Atamante aveva avuto dalla prima moglie (Nefele) altri due figli, Frisso ed Elle che Ino detestava e così cercò di liberarsene con l'inganno persuadendo le donne del paese a mettere nel forno i semi di grano conservati per la semina successiva e così quando vennero seminati non fiorirono ed il paese finì in preda alla carestia. Atamante inviò i suoi messaggeri all'oracolo di Delfi, per chiedere al dio cosa avrebbe dovuto fare. Ino pagò i messaggeri affinché al loro ritorno dicessero al re che l'oracolo aveva predetto il sacrificio di Frisso sull'altare di Zeus se voleva che la terra ridesse i suoi frutti. Il popolo si rivoltò e chiese di obbedire all'oracolo. Atamante dovette acconsentire e i due ragazzi furono condotti sull'altare sacrificale per adempiere l'ordine del finto oracolo, ma Frisso ed Elle chiesero aiuto alla madre Nefele, che inviò loro un ariete dal vello d'oro, in groppa al quale essi fuggirono.\nDopo la morte della sorella Semele, madre di Dioniso, Ino persuase Atamante ad allevare il piccolo dio, nato dall'unione di Semele con Zeus. Era, sposa di Zeus, per vendicarsi del tradimento, fece impazzire Atamante che, incontrati la moglie e i figli, li scambiò per cervi e li assalì, uccidendo Learco scagliandolo contro uno scoglio ed uccise Melicerte gettandolo in un calderone bollente. Ino accorse ed estrasse il figlio dal calderone fuggendo, inseguita da Atamante ed in seguito si gettò in mare portando con sé il suo cadavere (secondo la leggenda, dalla roccia molare di Megara).\nAfrodite però, provò pietà per Melicerte (suo pronipote), così pregò Poseidone di salvarli e lui tolse a loro le spoglie mortali e, cambiando nome ed aspetto, li fece rivivere come divinità marine. Così la madre Ino divenne Leucotea e Melicerte divenne Palemone.\n\nIno nella cultura di massa.\nIn epoca moderna, Ino, insieme con Circe, è tra i personaggi del dialogo Le streghe, dall'opera Dialoghi con Leucò." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Interpretatio graeca.\n### Descrizione: L'interpretatio graeca è il termine latino indicante la comune tendenza degli scrittori dell'antica Grecia ad equiparare le divinità straniere a quelle del loro pantheon. Erodoto, ad esempio, riferendosi agli antichi dei egiziani Amon, Osiride e Ptah, li chiama 'Zeus', 'Dionisio' ed 'Efesto'.\n\nVersione romana.\nL'equivalente pratica romana era chiamata interpretatio romana. Il primo uso di questa frase venne fatto da Tacito nel libro Germania, nel quale racconta del bosco sacro di Naarvali, dicendo 'Praesidet sacerdos muliebri ornatu, sed deos interpretatione Romana Castorem Pollucemque memorant' ('un sacerdote presiede in vestiti di donna, ma nell'interpretazione dei romani, loro venerano gli dei Castore e Polluce'). Altrove dice che i capi degli dèi degli antichi Germani erano Ercole e Mercurio, riferendosi rispettivamente a Thor e Odino.\n\nCorrispondenze.\nCorrispondenze tra alcune divinità di alcune mitologie del mondo antico secondo le interpretazioni greca e romana:.\n\nDifficoltà e cautele.\nGeorges Dumézil osserva che anche se alcuni studiosi antichi espressero dubbi sulla correttezza di queste equivalenze, in generale, nell'antichità, questi scrupoli vennero rapidamente rimossi. Tra le divinità romane, l'adozione della mitologia della divinità greca potrebbe aver portato in parte a nascondere o alterare la natura originaria degli dèi latini. A volte, «a partire da una corrispondenza parziale, l'identificazione ha dispiegato le sue conseguenze a costo di correzioni e innovazioni a catena».\nCosì, ad esempio, Giunone che, in origine, non sempre era vista come la moglie di Giove. La coppia formata da Giove e Giunone fu creata solo successivamente secondo l'immagine della coppia sovrana del pantheon greco; che fece di Giunone, sotto l'influsso di Era, una dea del matrimonio. Così anche per Vulcano, antico Fuoco divino di Roma che, originariamente legato alla guerra, deve la sua funzione di fabbro solo alla sua identificazione con Efesto. L'interpretatio romana ne fece il dio dei fabbri, dei metalli e di tutti i materiali che bruciano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ioke (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ioke (in greco:Ἰωκή) è la personificazione femminile dell'assalto, della mischia, e dell'inseguimento durante una battaglia. Nell'Iliade è uno dei demoni, o spiriti, di Egida e di Zeus. Gli altri sono Fobos, Eris e Alke." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iolao.\n### Descrizione: Iolao (in greco antico: Ἰόλαος?, Iólāos) è un personaggio della mitologia greca. Fu nipote e amico di Eracle.\n\nGenealogia.\nFiglio di Ificle e Automedusa.A sedici anni ebbe in sposa Megara (trentatreenne ex moglie di Eracle) che gli diede la figlia Leipefilene.\n\nMitologia.\nIolao è spesso definito come l'auriga e accompagnatore di Eracle, e qualche volta gli autori (Plutarco, Euripide) si riferiscono a lui come all'amato pederastico (eromenos) di Eracle e di altri personaggi mitologici, come Ione o Asclepio. La propensione di Iolao a concedersi ad amori maschili nel mito, lo rese inadatto a uno sviluppo letterario. In un frammento dello Pseudo-Senofonte egli viene definito 'ladro dei talami intonsi'.\n\nQuando Eracle si trovò in difficoltà nell'uccisione dell'Idra di Lerna, che rigenerava delle sue nove teste man mano che venivano tagliate, Iolao gli permise di portare a termine l'impresa cauterizzando col fuoco ogni collo non appena Eracle ne mozzava la testa.\nEracle diede in sposa a Iolao la sua ex moglie Megara quando la semplice vista di lei iniziò a causargli il ricordo doloroso del suo omicidio dei loro tre bambini.\nDopo che Deianira uccise inconsapevolmente Eracle, credendo che Eracle stesse avendo una relazione con Iole, fu Iolao ad accendere la pira funeraria del semidio (secondo una versione meno diffusa, a farlo fu invece Filottete).\nSecondo Diodoro Siculo, Iolao venne inviato da Eracle in Sardegna assieme a nove dei figli che quest'ultimo ebbe dalle cinquanta figlie di Tespio (le Tespiadi), per colonizzare l'isola dando origine al popolo degli Iolaensi.Iolao e i Tespiesi furono sepolti in Sardegna.\nAristotele affermò che in Sardegna fosse praticato il rito dell'incubazione, ossia la liberazione rituale delle persone che fossero affette da incubi e ossessioni. Questi riti prevedevano che le persone afflitte da incubi dovessero dormire accanto alle tombe degli eroi.Simplicio aggiunge, nei Commentari agli otto libri di Aristotele, che: «I luoghi che dove erano deposti e conservati i cadaveri dei nove eroi che Ercole ebbe dalle Tespiesi e che vennero in Sardegna con la colonia di Iolao, diventarono degli oracoli famosi».Gaio Giulio Solino afferma che: «Gli Iolesi, da lui così chiamati (da Iolao), aggiunsero un tempio al suo sepolcro, poiché aveva liberato la Sardegna da tanti mali».\n\nTelevisione.\nIolao è uno dei personaggi principali della serie televisiva Hercules: The Legendary Journeys, ed è stato interpretato da Michael Hurst. Il personaggio è approssimativamente basato sulla figura dell'eroe, durante la serie non fa mai nessun riferimento alla sua parentela con Hercules tranne nell'episodio pilota dove afferma che Hercules sarebbe suo zio, probabilmente la parentela è stata poi cancellata dalla serie. Nella serie si ironizza spesso sulla tendenza, nelle raffigurazioni classiche, di rappresentare i due eroi insieme anche quando di Iolao non è stato fatto nome nel mito, tramite una gag ricorrente in cui la voce delle gesta di Hercules si è tanto diffusa che le persone riconoscono subito il leggendario semidio, ma di Iolao viene ignorato anche il nome nonostante egli fosse stato presente ad aiutare il compagno nelle sue rinomate imprese.\nNella serie Young Hercules, Iolao è stato interpretato da Dean O'Gorman." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iolco.\n### Descrizione: Iolco (nota anche come Jolco, Iolkos o Iolcus, in greco: Ἰωλκός Iōlkòs) era un'antica città della Tessaglia, nella Grecia centro-orientale (vicino alla moderna città di Volos).\n\nGeografia.\nLa città attuale è stata comune autonomo fino al gennaio 2011, quando è stato soppresso a seguito della riforma amministrativa detta piano Callicrate ed è ora compreso nel comune di Volos.\nCon un'area di soli 1,981 km² era il tredicesimo più piccolo comune della Grecia e il più piccolo se non vengono considerati i sobborghi di Atene e Tessalonica. Il comune era diviso in tre distretti comunali, con una popolazione totale di 2.071 abitanti. Il distretto di Ágios Onoúfrios (506 abitanti) ha un'area di 0.200 km², ed è il più piccolo distretto comunale di tutta la Grecia. La sede comunale è il villaggio di Áno Vólos (529 abitanti). La piccola città di Anakasia (933 abitanti) è il centro del comune di Iolco. Anakasia possiede una scuola, un liceo, banche, un ufficio postale e una piazza.\n\nStoria.\nSecondo la mitologia greca, Iolco fu fondata da Creteo figlio di Eolo e di Enareta. Da sua moglie Tiro ebbe tre figli: Esone, Fere e Amitaone. Tiro ebbe anche una relazione con il dio Poseidone dal quale nacquero due figli, Pelia e Neleo. Esone era il legittimo erede al trono, ma fu usurpato dal fratellastro Pelia. Fu proprio Pelia che spedì il figlio di Esone, Giasone, e i suoi Argonauti, alla ricerca del vello d'oro.\nIl luogo delle antiche rovine di Iolco si crede sia situato vicino al villaggio di Dimini, dove recentemente è stato portato alla luce un palazzo dell'epoca micenea. Nei pressi di Iolco si trova la città di Magnesia, teatro nel 352 a.C. di una famosa battaglia combattuta tra Filippo II di Macedonia e i Focesi di Onomarco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ione (mitologia).\n### Descrizione: Ione (in greco antico: Ἴων?, Ìōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Xuto e di Creusa, è fratello di Acheo ed è padre di Bura (avuta dalla moglie Elice, figlia di Selino).Euripide, nella tragedia Ione, scrive che Ione è figlio di Creusa e di Apollo, che poi, sotto forma di oracolo, disse a Xuto che la prima persona che avesse incontrato uscendo dal santuario di Delfi sarebbe stato suo figlio.\n\nMitologia.\nIone è considerato l'eponimo della stirpe degli Ioni, come lo storico Teopompo (IV sec. a. C.) asseriva che il Mare Ionio aveva preso il nome da un re illirico.\nSelino, il re di Egialo (in Acaia), per evitare una guerra offrì a Ione la mano di sua figlia Elice. Quando Selino morì, Ione ne divenne il successore fondando la città di Elice, nome che prese da sua moglie.\nDurante la guerra tra Eleusini e Ateniesi, Ione intervenne a favore di Atene (che vinse), ma rimase ucciso e fu sepolto in Attica.Sua figlia Boura è considerata l'eponima della città di Boura che sorgeva nei pressi dell'attuale Patrasso.\nI suoi discendenti furono in seguito cacciati dagli Achei (i discendenti del fratello Acheo)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ipacreo.\n### Descrizione: Ipacreo è un epiteto di origine greca/ateniese che significa 'sotto l'Acropoli'. Riguarda la leggenda della bella donna dalle braccia bianche Creusa, figlia del mitologico re di Atene Eretteo, la quale venne violentata dal dio Apollo proprio sotto l'Acropoli di Atene. In seguito alla vicenda di Creusa nacque il capostipite della dinastia degli Ioni, cioè Ione." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Iperbio.\n### Descrizione: Nella versione del mito raccontato da Eschilo ne I sette contro Tebe, Iperbio (in greco: Ὑπέρβιος) è un guerriero tebano difensore della porta Atena Onca, una delle sette porte di Tebe. Uccise Ippomedonte, uno dei compagni del padre di Diomede. È raffigurato come un uomo alto e robusto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Iperborea.\n### Descrizione: Iperborea (AFI: /iperˈbɔrea/) era una terra leggendaria, patria del mitico popolo degli Iperborei.\nNei miti della religione greca e nelle dottrine dei loro storici (tra cui Erodoto), gli Iperborei (Ὑπερβόρεoι, 'coloro [che vivono] oltre βορέας') erano un popolo che viveva in una terra lontanissima situata a nord della Grecia. Questa regione era un paese perfetto, illuminato dal sole splendente per sei mesi all'anno. L'appellativo di iperboreo viene riferito da Giamblico nel suo catalogo di pitagorici ad Abaris il quale viene appellato in tal modo anche da Nicomaco mentre Eliano riferisce che, a quanto detto da Aristotele, Pitagora era chiamato dai Crotoniati Apollo Iperboreo.\n\nFonti letterarie sugli Iperborei.\nEcateo di Mileto (VI secolo a.C.) colloca gli Iperborei all'estremo Nord, tra l'Oceano (inteso come l'anello d'acqua che la cultura greca immaginava scorrere attorno alle terre emerse come se fosse un fiume) e i monti Rifei.\nEcateo di Abdera (IV-II secolo a.C.), autore di un'opera Sugli Iperborei di cui ci sono pervenuti solo alcuni frammenti, li colloca in un'isola dell'Oceano 'non minore della Sicilia per estensione'. Su quest'isola, dalla quale è possibile vedere la luna da vicino, i tre figli di Borea rendono culto ad Apollo, accompagnati dal canto di una schiera di cigni originari dei monti Rifei.\nEsiodo colloca gli Iperborei 'presso le alte cascate dell'Eridano (Ἐριδανός) dal profondo alveo'.\nLa cultura greca formulò numerose proposte in merito alla sede geografica di questo fiume e due fonti in particolare ci trasmettono la nozione secondo cui l'Eridano sfociasse nell'Oceano settentrionale: Ferecide di Atene ed Erodoto, anche se in seguito esso venne identificato col fiume Po.\nPindaro colloca gli Iperborei nella regione delle 'ombrose sorgenti' del fiume Istro (in greco Ἴστρος, l'attuale Danubio). In un passo del Prometeo Liberato Eschilo ricorda la fonte dell'Istro come situata nel paese degli Iperborei e nei monti Rifei; Ellanico di Lesbo e Damaste di Sigeo pongono la sede iperborea oltre i monti Rifei; quest'ultimo, inoltre, ricorda i monti Rifei come situati a nord dei grifoni guardiani dell'oro (si veda a tale proposito il poema di Aristea di Proconneso sugli Issedoni).\nErodoto riassunse un poema di Aristea di Proconneso, ora perduto, nel quale l'autore riferiva di un proprio viaggio compiuto per ispirazione di Apollo in regioni lontane, sino al paese degli Issedoni, 'al di là' dei quali vi sarebbero stati gli Arimaspi monocoli, i grifoni custodi dell'oro e infine gli Iperborei, che vivevano in una terra dove il clima era sempre primaverile e piume volteggiavano nell'aria.\nPer tutte queste caratteristiche idilliache, iperboreo assunse in greco il significato di 'felice', 'beato'.\n\nIperborea nell'età moderna.\nL'astronomo e letterato francese Jean Sylvain Bailly, verso la fine del Settecento, fu il primo autore moderno a tornare a parlare di Iperborea, in alcune tra le sue opere più importanti, tra cui le Lettres sur l'Atlantide de Platon (1779) e l′Essai sur les fables et sur leur histoire (postumo, 1798). Egli unì la tradizione di Iperborea al mito di Atlantide, ipotizzando l'esistenza di un'antichissima civiltà nordica. Bailly, nella sua concezione della storia, sosteneva infatti la tesi secondo cui un'Atlantide Iperborea nordica fosse la civiltà originaria del genere umano, che essa avesse inventato le arti e le scienza e che avesse 'civilizzato' i Cinesi, gli Indiani, gli Egizi e tutti i popoli dell'antichità. Egli posizionò questo popolo primordiale nel lontano nord dell'Eurasia, nell'isola di Spitzbergen, nei pressi della Siberia, argomentando che quelle dovevano essere state le prime terre abitabili quando la Terra, originariamente incandescente ed inospitale alla vita secondo le ipotesi paleoclimatiche teorizzate da Buffon e Mairan, aveva incominciato a raffreddarsi. Il costante raffreddamento della Terra le aveva però, successivamente, rese inabitabili e aveva seppellito l'ancestrale territorio di questa civiltà sotto il ghiaccio, in modo da perdere completamente le tracce degli Atlantidei, e obbligando i loro discendenti a spostarsi più a sud per colonizzare le altre zone del globo.Sebbene l'antirazzista Bailly non avesse fatto riferimento ad alcun tipo di razza umana, da qui a teorizzare un'origine iperborea della 'razza ariana' il passo fu breve. Helena Blavatsky descrisse ne La dottrina segreta una storia fantastica dell'umanità, nella quale Iperborea era rappresentata come un continente polare che si estendeva dall'attuale Groenlandia fino alla Kamčatka e sarebbe stata la sede della seconda razza dell'umanità, giganti androgini dalle fattezze mostruose.\nFriedrich Nietzsche ne L'Anticristo dice:.\n'Iperborei siamo - sappiamo bene di vivere al margine.\n'né per mare o per terra troverai.\nil cammino che porta agli Iperborei',.\ngià recitava Pindaro di noi. Oltre il Nord, oltre il ghiaccio, oltre la morte- la vita nostra, la felicità nostra...'.\nSi riferisce a se stesso e ai suoi lettori elitari, in quanto già nella prefazione del libro precisa:.\n'Appartiene ai pochissimi questo libro. Non ne è venuto al mondo neppure uno di costoro, forse. [...] V'è chi nasce postumo.'.\nMiguel Serrano, scrittore cileno appartenente al filone occultista neonazista, affermò (influenzato dal teorico della paleoastronautica Robert Charroux) esplicitamente che Iperborea sarebbe stata la prima casa degli ariani dopo lo sbarco sulla Terra dalla 'dimensione del raggio verde', che sarebbe stato possibile grazie a una 'fessura cosmica' di Venere. La progenie degli ariani con gli 'uomini-bestia' allora presenti avrebbe dato origine all'umanità. Questo tuttavia fece sì che gli iperborei perdessero la grazia originale e che la loro terra sprofondasse dentro la Terra cava, dove, nelle città sotterranee di Shambhala e Agartha, ancora si troverebbero uomini-dei di pura discendenza ariana.\nTra gli scrittori che in una magica terra chiamata 'Hyperborea' hanno ambientato le loro storie di fantasia vi sono H.P. Lovecraft, Robert E. Howard, Clark Ashton Smith e Miloš Crnjanski.\n\nIdentificazioni.\nAlcune persone hanno voluto identificare la terra degli Iperborei con la stessa Atlantide, che in tempi antichissimi sarebbe stata sommersa (più di 11 000 anni fa), ed era estesa dalle coste occidentali dell'Irlanda alla Groenlandia, comprendendo interamente l'Islanda. Altri l'hanno identificata con Thule; altri ancora semplicemente con la Scandinavia e il Nord Europa (ad es. alcuni autori greci come Aristotele e Strabone).\n\nIperborea nella cultura di massa.\nMusica.\nIl cantautore Francesco Guccini nel 2012 intitola il suo album L'ultima Thule, nella copertina infatti viene raffigurata una nave in avanscoperta nei mari del circolo polare artico, luoghi dove si pensa che ci fosse stata l'isola di Thule.\nIl musicista black metal, ambient e neofolk norvegese Varg Vikernes è noto per un blog, per un canale YouTube, per un canale sulla piattaforma di hosting video BitChute e per un profilo Twitter chiamati 'Thulêan Perspective'. Inoltre un suo album si chiama Thulêan Mysteries e recentemente ha espresso varie teorie sull'origine pagana indoeuropea o pre-indoeuropea del mito dell'ultima Thule e quindi, secondo lui, anche del mito dell'Iperborea. Sostiene inoltre una teoria archeologica sull'origine degli Iperborei, che sarebbero gli antichi Neandertal, secondo lui progenitori della 'razza nordica' nativa europea.\nUna lunga suite estratta dall'album Land Of Legends degli Anno Mundi, pubblicato nel 2020, è stata intitolata Hyperborea, con testi che evocano il contesto fantasy e surreale descritto dallo scrittore Robert E. Howard.\nBrano dell'omonimo album Hyperborea del 1983 dei Tangerine Dream.\n\nFumetti.\nLa popolazione degli elfi iperborei compare nella saga disneyana di 'Topolino e la Spada di Ghiaccio', in particolare nel secondo capitolo ('Topolino e il torneo dell'Argaar') il campione degli elfi è un taciturno arciere chiamato Fyr l'Iperboreo.\nHyperborea è una terra visitata da Conan, personaggio creato da Robert E. Howard, anche nella sua trasposizione a fumetti che, dal 1970 al 1996 e successivamente dal 2003 al 2017, è stata rispettivamente pubblicata dalle case editrici Marvel e Dark Horse." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iperfante.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Iperfante (Ὑπέρφαντος) era un re dei flegei, un popolo della Beozia.\nSua figlia Eurigania (Εὐρυγάνεια) è citata da Pausania come la seconda moglie di Edipo, e madre dei suoi quattro figli. L'autore greco, nel sostenere questa versione, si basa sul poema epico perduto Edipodia, secondo cui, appunto, il matrimonio incestuoso tra Edipo e Giocasta era stato senza figli, e questi ultimi erano nati dalla relazione tra Edipo e Eurigania.Secondo Esiodo, Iperfante ebbe anche la figlia Eurianassa, che fu la madre di Minia avuto dal dio Poseidone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iphigénie en Tauride (Piccinni).\n### Descrizione: Iphigénie en Tauride è una tragédie lyrique di Niccolò Piccinni, su libretto di Alphonse du Congé Dubreuil tratto dalla tragedia omonima di Claude Guimond de La Touche (1757).\nFu rappresentata il 23 gennaio 1781 all'Opéra di Parigi, un anno e otto mesi dopo l'omonima opera del rivale Gluck.\nNel 1778 era stato il sovrintendente del massimo teatro parigino, De Vismes du Valgay, a chiedere a Gluck e Piccinni - i due compositori che incarnavano a Parigi le due scuole melodrammatiche dominanti - di sfidarsi sul terreno del soggetto classico dell'Ifigenia in Tauride.\nIl lavoro del musicista italiano subì un rallentamento decisivo a causa del libretto, la cui debolezza drammaturgica si rendeva evidente man mano che la composizione procedeva. A rimaneggiarlo ci pensò l'amico Pierre-Louis Ginguené.\nNel frattempo il trionfo dell'opera di Gluck, il 18 maggio 1779, costituì un ulteriore intralcio alla messa in scena del lavoro gemello di Piccinni, il quale prudentemente attese un anno e mezzo prima di affrontare il confronto.\nAlla prima assoluta la musica fu apprezzata, ma l'opera non ebbe un particolare successo.\nIn tempi moderni, l'Iphigénie en Tauride di Piccinni è stata ripresa per la volta al Teatro Petruzzelli di Bari il 6 dicembre 1986, diretta da Donato Renzetti. Il Teatro dell'Opera di Roma l'ha invece messa in scena nel 1991, per la regia di Luca Ronconi e con Katia Ricciarelli nei panni della protagonista.\n\nPersonaggi e interpreti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ipno.\n### Descrizione: Ipno (in greco antico: Ὕπνος? Hýpnos), nella mitologia greca è il dio del sonno, figlio della Notte, e fratello gemello di Tanato, dio della morte.\n\nIl ruolo di Ipno nel mito.\nIl potere di Ipno era tale che poteva addormentare uomini e numi. Nel XIV libro dell'Iliade Era lo prega di addormentare Zeus, affinché Poseidone possa portare aiuto ai Greci senza che il re degli dèi lo venga a sapere.\nOmero, nell'Iliade, definisce Ipno e Tanato come gemelli (da qui la celebre locuzione latina consanguineus lethi sopor) e descrive come furono mandati da Zeus su richiesta di Apollo, per recuperare il corpo di Sarpedonte, ucciso da Patroclo, per portarlo in Licia per ricevere gli onori funebri.\n\nIpno, sempre secondo Omero, dimorava a Lemno. Un'altra versione ne fa lo sposo di Pasitea, una delle Cariti, originaria di quella città. Invece il suo equivalente romano, Somnus, per Virgilio viveva nel vestibolo dell'Ade, per Ovidio nel lontano Paese dei Cimmeri.\nFu Ipno a dare ad Endimione la facoltà di dormire ad occhi aperti.\nPoteva inviare gli Oneiroi (i Sogni) dei quali i principali sono Morfeo, Momo, Fobetore (o Icelo), e Fantaso, suoi fratelli secondo Esiodo, suoi figli nel suo equivalente romano, Somnus, secondo Ovidio. Nel V libro dell'Eneide bagna con un ramo imbevuto di acque letee il volto del timoniere Palinuro, per assopirlo e farlo cadere in mare. Sempre al dio appartengono le Porte del Sonno, nel VI libro, all'uscita dell'Ade.\n\nSimboli e attributi.\nVeniva rappresentato come un giovane nudo alato o con le ali sul capo, avente nella mano dei papaveri, fiore che condivideva col fratello Tanato e la madre Notte.\n\nInfluenze culturali.\nNella fiaba I messaggeri della morte, ad un certo punto, la Morte dice :'E, oltre a tutto ciò, mio fratello gemello, il sonno, non ti ha fatto pensare a me, ogni notte?'. Pertanto, i fratelli Grimm si riferiscono proprio a Hypnos e a suo fratello gemello, Thanatos.\nHypnos è il titolo di un breve 'racconto del sonno' scritto da H. P. Lovecraft nel maggio del 1922, pubblicato su National amateur nel maggio del 1923 e successivamente su Weird tales. Esso appare implicitamente alla fine del testo come «signore del sonno, che si agita nel cielo della notte». Inoltre, la sua firma è presente alla base di una statua di un giovane, appena materializzata nella casa del protagonista del racconto.\n\nNella cultura di massa.\nIpno è l'antagonista secondario del film Monkeybone, in cui regna su Morfeolandia (un limbo in cui vivono gli umani in coma e i personaggi di libri e fumetti) e vuole spargere, con l'aiuto di Monkeybone, un gas che fa venire gli incubi alle persone, in quanto guardare gli incubi delle persone è l'intrattenimento preferito di Morfeolandia.\nNel manga Saint Seiya, Ipno è, insieme al gemello Tanato, uno degli attendenti del Re del mondo dei morti, Ade, e si occupa di disporre i preparativi per la sua rinascita terrena. Risiede nell'Elisio, dove vigila sul tempio e sul sepolcro del suo signore.\nNell'anime Card Captor Sakura, Ipno è la fonte di ispirazione principale per la carta di clow The Sleep, la carta del sonno, la quale gli assomiglia sia fisicamente, sia per poteri.\nNel videogioco Hades, Hypnos si occupa di tenere il registro delle anime che fanno ingresso all’oltretomba, molte volte il protagonista lo troverà addormentato sul posto di lavoro, e tenterà di svegliarlo.\nHypnos è presente in High School DxD , dove aiuta Ingvild Leviathan a guarire la sua malattia del sonno.\nHypnos è presente, stavolta come donna, in C'era una volta... Pollon, dove aiuta Pollon e Era ad avvisare Alcione della morte di suo marito Ceice, dormendole vicino per farle fare un sogno rivelatore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ippalco.\n### Descrizione: Ippalco è un personaggio della mitologia greca. È uno dei figli di Pelope e Ippodamia, ebbe come fratelli Atreo e Tieste. Fu uno degli Argonauti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ippe.\n### Descrizione: Ippe (in greco antico: Ἵππη?, Hìppē), conosciuta anche come Melanippe (in greco antico: Μελανίππη?, Melanìppē), od anche come Euippe/Evippe (in greco antico: Εὐίππη?, Euìppē), è un personaggio della mitologia greca, figlia del centauro Chirone.\nFu madre di Melanippe, avuta da Eolo.\n\nMitologia.\nEbbe una figlia da Eolo ma si vergonò di dirlo al padre e la nascose, Artemide ebbe pietà di lei e la trasformò nella costellazione del cavallo (di solito identificata con Pegaso)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ippocampo (mitologia).\n### Descrizione: Un Ippocampo è una creatura leggendaria della mitologia greca. Gli Ippocampi figurano nel corteo di Poseidone, insieme a tritoni, draghi acquatici, e giganteschi mostri marini.\n\nDescrizione.\nSono cavalli sino alla pancia, e il loro corpo si conclude con una coda di pesce. Possono avere zoccoli o zampe palmate, e al posto della criniera possono esserci una cresta di membrana o delle alghe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ippocrene.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, l'Ippocrène (AFI: /ippoˈkrɛne/; in greco antico: Ἱπποκρήνη?, Hippocrḕnē, 'fonte del cavallo') era una sorgente sul monte Elicona, scaturita nel punto dove Pegaso, il cavallo alato, aveva colpito la roccia.\nNell'antica Grecia il luogo veniva localizzato in Beozia nei pressi di Tespie, una polis alle pendici del monte Elicona facente parte dell'antica Aonia.\n\nMitologia.\nIntorno a questa fonte si riunivano le Muse per cantare e danzare. Queste ultime erano chiamate anche Aganippidi, dal nome della fonte ed Ovidio vi associa l'epiteto della ninfa Crenea Aganippe ma il significato non è chiaro, poiché essendo da Ovidio un termine utilizzato anche per definire le Muse (Aganippis Hippocrene) potrebbe solo significare 'Ippocrene il luogo sacro alle Muse' escludendo quindi il nome di Aganippe da quelli riguardanti questa fonte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ippogallo.\n### Descrizione: L'ippogallo è una creatura ibrida fantastica della mitologia greca, metà cavallo e metà gallo.\nSebbene la più antica rappresentazione oggi conosciuta risalga al IX secolo a.C., il motivo diventa comune nel VI secolo a.C., in particolare nella pittura vascolare e, talvolta, nella scultura, generalmente in associazione con un giovane cavaliere. Viene citato in alcune opere letterarie del V secolo a.C., senza che i miti ad esso collegati siano ancora noti.\n\nEtimologia.\nIl termine ippogallo è la traduzione italiana della parola greca ἱππαλεκτρυών (hippalectryon, anche trascritto hippalektryon), termine composto da ἵππος (ippos, cavallo) e ἀλεκτρυών (alektryon, 'gallo').\n\nDescrizione.\nL'aspetto descritto da Aristofane ne Gli uccelli è coerente con le rappresentazioni artistiche note: una parte anteriore di cavallo, compresa la testa, il garrese e gli arti anteriori, mentre la parte posteriore è quella di un gallo.\nUn testo attribuito a Esichio di Alessandria cita tre diversi tipi di ippogalli: un gigantesco gallo, un avvoltoio gigante, e una creatura simile al grifone, dipinto su tessuti provenienti dalla Persia.\n\nCeramica e scultura.\nLa più antica rappresentazione conosciuta di un ippogallo è su un askos proveniente da Cnosso e risalente al IX secolo a.C., ma è solamente nella seconda parte del VI secolo a.C. che gli ippogalli diventano un tema comune e sono generalmente raffigurati con un giovane cavaliere a fianco.\nIl motivo potrebbe non essere un'invenzione greca: l'analisi delle opere di Aristofane suggerisce che potrebbe aver avuto origine in Medio Oriente, ipotesi avvalorata dai costumi indossati dai soggetti presenti sui vasi ceramici che sembrano essere asiatici; tuttavia non sono note raffigurazioni antiche di ippogalli nell'Egitto antico o nel Medio Oriente, benché anche gli ibridi (tema popolare e comune nella scultura greca arcaica e nella pittura vascolare) sembrino avere un'origine orientale.\nGli ippogalli sono raffigurati quasi esclusivamente su vasi a figure nere provenienti dall'Attica, e potrebbero costituire una rappresentazione alternativa di Pegaso. Raffigurazioni di ippogalli sono state trovate anche su pietre incise del tardo periodo egiziano e, benché differiscano dalle rappresentazioni attiche e ioniche, presentano testa di cavallo e zampe e coda di gallo.\n\nNumismatica.\nCinque monete con raffigurazioni di ippogallo sono state trovate nel 1868 nel tesoro di Volterra, tra i 65 pezzi antichi.\n\nSimbolismo.\nSecondo Le rane di Aristofane gli ippogalli erano spesso dipinti sugli scudi e in effetti su un vaso a figure rosse è raffigurata Atena con uno scudo recante tale creatura. In questo ambito l'ibrido sarebbe un simbolo apotropaico. Nella stessa commedia Aristofane afferma che il motivo era dipinto sulle galee, indicando che avrebbe potuto possedere poteri magici per proteggere le navi.\nIl gallo è un simbolo di energia solare, che sbaraglia i demoni delle tenebre con il suo canto al sorgere del sole, mentre il cavallo, alato in particolare, è un simbolo funebre psicopompo, guida delle anime dei defunti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ippolita.\n### Descrizione: Ippolita (in greco antico: Ἱππολύτη?, Hippolýtē) è un personaggio della mitologia greca. Fu una regina delle Amazzoni.Impadronirsi della sua cintura fu l'oggetto della nona fatica di Eracle.\n\nGenealogia.\nFiglia di Ares e di Otrera.Secondo alcune versioni fu la madre di Ippolito avuto da Teseo.\n\nMitologia.\nSi recò al porto di Temiscira per incontrare Eracle che, giuntovi con la sua nave, aveva il compito di prenderle la cintura. Lei promise di consegnargliela ma Era prese le sembianze di un'amazzone ed avvisò le altre dicendo che stavano rapendo la loro regina. Queste si armarono ed attaccarono la nave di Eracle che convinto di un tradimento la uccise e prese la cintura.Secondo Apollodoro, durante il matrimonio di Teseo e Fedra, Ippolita apparve con il suo esercito di Amazzoni e disse che avrebbe ucciso gli ospiti di Teseo. Così ebbe luogo una battaglia dove lei fu uccisa da Teseo, o dai suoi uomini, oppure fu uccisa accidentalmente dall'amazzone Pentesilea.Diodoro Siculo e Apollonio Rodio non scrivono della morte di Ippolita ed aggiungono che la cintura fu consegnata ad Eracle come riscatto di Melanippe, in precedenza catturata.Plutarco scrive che secondo Clidemo Teseo non sposò Ippolita bensì Antiope.\n\nIppolita nella letteratura moderna.\nIl matrimonio tra Ippolita e Teseo è anche menzionato nella commedia Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare.\nIl personaggio di Ippolita è stato inoltre utilizzato da William Moulton Marston per la scrittura del suo fumetto più famoso, Wonder Woman. Infatti, Ippolita è la madre di Wonder Woman, la quale nacque grazie al dono della dea Afrodite, cui la regina delle Amazzoni si era rivolta per soddisfare il proprio desiderio di maternità.\nIppolita è la vera identità di Rider, un personaggio del romanzo Fate/strange Fake, parte a sua volta del famoso franchise Fate." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ippolito (gigante).\n### Descrizione: Ippolito era, nella mitologia greca, uno dei Giganti che presero parte alla Gigantomachia. Il dio Ermes lo uccise, sfruttando l'elmo dell'oscurità di Ade che rendeva invisibili. Nato dalla Madre Terra Gea, la quale si autofecondò tramite il sangue di Urano quando Crono lo evirò.\n\nInfluenza culturale.\nIppolito appare nel libro Eroi dell'Olimpo: il sangue dell'Olimpo, appartenente alla serie Eroi dell'Olimpo, nel sogno di Piper McLean sulla riunione dei Giganti ad Atene.\n\nFonti.\nBiblioteca di Apollodoro, I.6.2." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ippopodi.\n### Descrizione: Gli Ippopodi sono una mitica razza di uomini dai piedi di cavallo, menzionati nella mitologia greca e nei bestiari medievali.\n\nFonti antiche.\nSecondo diversi geografi antichi, gli Ippopodi abitavano un'isola assieme a due altre razze leggendarie: i Panozi e gli Eonae. La Naturalis historia di Plinio il Vecchio colloca tale isola nei pressi delle coste della Scizia.\nIl De situ orbis di Pomponio Mela la posiziona invece nel Mare del Nord, menzionandolo insieme alla Danimarca e alle Isole Orcadi. Nell'XI secolo Adamo da Brema scrisse che gli Scritofinni erano in grado di correre più veloci degli animali selvatici. Olao Magno tratta di questo nella sua opera Historia de Gentibus Septentrionalibus, all'interno della quale illustra come gli Scritofinni prendano il nome dal movimento di salto che eseguono mentre cacciano sugli sci. Lo stesso collegamento può essere visto anche in una mappa di Abramo Ortelio risalente al 1595 (Europam, Sive Celticam Veterem), nella quale Ippopodi e Scritofinni vengono collocati nella stessa regione della Scandinavia settentrionale.\n\nResoconti successivi.\nIl resoconto di viaggio del XIV secolo I viaggi di Mandeville colloca il popolo degli Ippopodi presso le coste del sudest asiatico. Li descrive come particolarmente veloci e soliti cacciare inseguendo la loro preda.\nUn progetto di imaging multispettrale del 2014 guidato dallo scrittore Chet van Duzer ha rivelato come una mappa datata attorno al 1491 opera di Enrico Martello e probabilmente utilizzata da Cristoforo Colombo posizionasse gli Ippopodi in Asia centrale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ipsipile.\n### Descrizione: Ipsipile (in greco antico: Ὑψιπύλη?), nota anche come Issipile, Isifile o Hisiphile, è un personaggio della mitologia greca menzionato da vari poeti, come Ovidio nelle Metamorfosi e nelle Heroides (Epistola VI), o Stazio nella Tebaide.\nÈ la protagonista dell'omonima tragedia di Euripide, la meglio conosciuta tra le sue opere frammentarie, conservata per circa la metà.\n\nIl mito.\nEra la regina dell'isola di Lemno. Durante il suo regno le donne dell'isola smisero di sacrificare alla dea Afrodite per la sua infedeltà nei confronti di Efesto. Allora Afrodite punì le donne con una forte alitosi che le rendeva ripugnanti agli uomini, i quali iniziarono a trascurarle prediligendo le schiave di Tracia. Le donne allora decisero di vendicarsi sterminando l'intera popolazione maschile (androcidio), compresi i padri, i fratelli e i figli. Solo Ipsipile ingannò le altre nascondendo e salvando il padre Toante, figlio di Dioniso e Arianna.\nAnni dopo si fermò su Lemno Giasone con gli Argonauti come tappa della loro missione per il recupero del Vello d'oro nella Colchide. L'eroe greco la sedusse e poi l'abbandonò incinta, nonostante le avesse giurato eterna fedeltà (farà lo stesso anche con Medea). A questo mito allude Dante Alighieri che pose Giasone nell'Inferno tra i seduttori (Inf. XVIII, 88-93). Dalla relazione con Giasone ebbe due gemelli Euneo e Deipilo.\nQuando le donne di Lemnos scoprirono il tradimento di Ipsipile, che aveva salvato il padre, la vollero uccidere, ma lei riuscì a scappare. Essa e i due figli vennero catturati dai pirati e venduti come schiavi al Re Licurgo di Nemea. In un momento in cui le venne affidato Archemoro, il figlio del re, avvenne una disgrazia: per un breve momento essa lo lasciò incustodito per mostrare una fontana (la fonte Langia) ai sette re che stavano per assediare Tebe e proprio allora un serpente soffocò il fanciullo, che morì. Per questa negligenza Ipsipile venne condannata a morte, ma si salvò grazie all'intervento dei suoi due figli. A questa parte del suo mito si riferisce di nuovo Dante nel Purgatorio (Pg. XXVI, 94-95)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ircocervo.\n### Descrizione: La parola ircocervo deriva dal latino hircocervus, parola composta da hircus ('capro') e cervus ('cervo'), e designa un animale mitologico per metà caprone e per metà cervo. Viene anche denominato tragelaphos o tragelafo e descritto come:.\n\nCol tempo l'uso letterale del termine è stato abbandonato in favore di quello metaforico per riferirsi a cose assurde ed irreali.\n\nIl mito, le parole e le cose.\nL'ircocervo viene citato da Aristotele nel De Interpretatione per rafforzare la tesi, già espressa da Platone nel Sofista, che un nome di per sé non ha valore di verità o falsità. Lo stesso Aristotele, negli Analitici secondi utilizza l'immagine per sostenere che è possibile sapere cosa si intende con l'espressione ircocervo ma non risalire all'essenza dell'ircocervo, ovvero sapere cosa realmente sia.\nFu in seguito ripreso nel II secolo d.C. dall'autore greco Luciano di Samosata, nel tentativo di dare una definizione del mimiambo di Eronda, spiegando che era il termine adatto per spiegare un ibrido dalla così alta tessitura linguistica.\nL'esempio aristotelico dell'ircocervo viene magnificato da Boezio nel suo commento al De Interpretatione, dove sottolinea come la scelta di una parola provvista di significato, benché riferita a una cosa inesistente, permette di ragionare sull'inesistenza delle categorie di vero e falso quando applicate alla parola nella sua assolutezza e non al suo essere priva di senso.\nPer contro Guglielmo di Ockham nell'Expositio in librum Perihermenias Aristotelis utilizza l'immagine dell'ircocervo per simboleggiare la necessità di rivolgere le proprie attenzioni al concreto e non all'astratto, cercando di spiegare la realtà con semplicità e immediatezza.\n\nL'ircocervo liberalsocialista.\nNel XX secolo l'immagine venne ripresa da Benedetto Croce in riferimento al liberalsocialismo quando, nel 1942 attaccò, accusandolo di irrealismo, il socialista Guido Calogero che nel suo Manifesto del Liberalsocialismo aveva tentato di unire due concetti che Croce considerava inconciliabili, quali quello di libertà (liberalismo) e quello di eguaglianza (socialismo)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ireo.\n### Descrizione: Ireo è un personaggio della mitologia greca, associato alla mitologia di Tebe. È l'eponimo della città di Iria, in Beozia, di cui secondo alcuni autori fu re, anche se altri lo dipingono come un semplice contadino. Altre versioni localizzano il mito in Tracia o sull'isola di Chio.\n\nMitologia.\nIreo è descritto come figlio del dio Poseidone e della pleiade Alcione, e quindi fratello di Iperenore e Etusa. Con la ninfa Clonia, fu il padre di Nitteo e Lico, che divennero re di Tebe. Altri autori gli assegnano altri figli, tra cui Orione e Criaco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Iride (divinità).\n### Descrizione: Iride (in greco antico: Ἶρις?, Íris), conosciuta anche come Iris, Iri, Taumantia e Taumantiade, è un personaggio della mitologia greca.\nDea minore dell'Olimpo, messaggera degli dèi e personificazione dell'arcobaleno.\n\nMitologia.\nFiglia di Taumante ed Elettra, è una sorella delle tre terribili arpie, Celeno, Ocipete ed Aello.\nÈ citata nell'Iliade, in cui si legge, ad esempio, che «Zeus padre dall’Ida… incitò… Iris dall’ali d’oro a portare in fretta un messaggio.» e l'intera famiglia è citata da Esiodo: «E Taumante sposò di Oceano dai gorghi profondi la figlia Elettra. Ed Iris veloce diè questa alla luce, con Occhipete e Procella, le Arpie dalle fulgide chiome, che a pari erano a volo coi soffi del vento e gli uccelli, sopra le veloci penne».Nel quinto libro dell'Eneide è inviata da Giunone per incitare le troiane, stanche dei travagli del lungo vagare, a dare alle fiamme la flotta di Enea.\nA differenza di Ermes, la 'veloce' Iride non appartiene al culto ellenico, ma solo al mito, quindi era un personaggio mitologico, non venerato dal popolo.\nÈ vestita di 'iridescenti' gocce di rugiada ed è proprio per la sua luminosità di colore variabile che la membrana dell'occhio si chiama 'iride'.\n\nCompito.\nIl compito specifico della dea Iride era quello di annunciare agli uomini messaggi funesti, dal momento che era Hermes il dio che portava messaggi propizi da parte degli dèi. Iride svolge il suo compito di messaggera grazie a grandi ali d'oro con le quali vola rapida a portare gli ordini di Zeus.\nNelle opere di Esiodo, Iris aveva anche il compito di portare l'acqua dal fiume Stige, ogni volta che gli dèi dovevano prestare un giuramento solenne: chiunque avesse bevuto l'acqua e mentito avrebbe perso la voce o la coscienza per un massimo di sette anni.\nNella Divina Commedia, Dante afferma in Purgatorio (canto XXI, 46) che nell'alto di quella montagna non poteva arrivare gli umidi vapori della terra, nè perciò si verificavano piogge, e neppure l'arcobaleno, che si forma nell’aria dopo la pioggia. Iris è citata in queste terzine come colei che suscita l'arcobaleno ed è indicata con l'epiteto 'figlia di Taumante'.\nPerciò non pioggia, non grando, non neve,.\nNon rugiada, non brina più su cade.\nChe la scaletta de’ tre gradi breve;.\nNuvole spesse non paíon, nè rade,.\nNè corruscar, nè figlia di Taumante,.\nChe di là cangia sovente contrade.\nDante cita la dea, con il nome di 'Iri', anche in Paradiso XXXIII, 115." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Irneto.\n### Descrizione: Irneto (in greco antico: Ὑρνηθώ?, Hyrnēthó), è un personaggio della mitologia greca. Fu una regina di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Temeno, sposò Deifonte e divenne madre di Antimene, Santippo, Argeo ed Orsobia.\n\nMitologia.\nCon il marito Deifonte fu preferita dal padre nella successione sul trono di Argo ma questa scelta causò l'invidia dei suoi fratelli. Così ricevette in visita (ad Epidauro dove lei risiedeva con il marito ed era incinta) Falche e Ciso i quali sulle prime cercarono di convincerla a lasciare il marito per seguirli ma poi (e visto che lei non credette alle accuse rivolte al marito e non volle andare con loro) la rapirono caricandola sul loro carro e fuggendo.\nFu inseguita dal marito che uccise Ciso con una freccia ma poiché era trattenuta da Falche, Deifonte preferì raggiungerli piuttosto che rischiare di colpirla. Falche però, che stentava a trattenerla, la strinse così forte che la uccise.\nDal marito e dai suoi figli le fu costruito un Heroon ad Epidauro ed il luogo dove morì prese il nome di Hyrmethium." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Irtaco.\n### Descrizione: Irtaco (in greco antico Ὕρτακος) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nLe fonti presentano Irtaco come il nobile troiano che sposò Arisbe, dopo che venne ripudiata da Priamo. Da lei ebbe i due eroi Asio e Niso, che allevò entrambi sul monte Ida, facendone degli esperti cacciatori. Asio una volta cresciuto fondò la città di Arisbe, così chiamata in onore della madre, e ne divenne il primo re. Nell'Eneide Irtaco è detto padre anche di Ippocoonte.\nI tre figli di Irtaco si resero tutti protagonisti di gesta valorose. Parteciparono alla guerra di Troia, nella quale Asio venne ucciso per mano di Idomeneo. Alla caduta della città, Niso e Ippocoonte seguirono Enea in Italia. Qui combatterono contro i Rutuli di Turno. Nel corso di questo nuovo conflitto fu Niso a trovare la morte, trafitto dagli uomini di Volcente.\n\n(Omero, Iliade, libro II, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti).\n\n(Virgilio, Eneide, libro V, traduzione di Luca Canali).\n\n(Eneide, libro IX, traduzione di Luca Canali)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ismara.\n### Descrizione: Ismara (in greco antico: Ἴσμαρος?) era un'antica città ciconia, situata sulla costa del mar Egeo, in Tracia. È citata nell'Odissea di Omero come prima tappa del viaggio di ritorno di Ulisse, che con i suoi compagni distrusse la cittadella situata sul mare e fu poi costretto a fuggire per il contrattacco degli abitanti, tornati con i rinforzi forniti dai compatrioti dell'interno. A Ismara Ulisse ebbe anche un dono da Marone, discendente di Dioniso e sacerdote di Apollo, che egli aveva risparmiato con tutta la sua famiglia: il vino con il quale in seguito avrebbe fatto ubriacare il ciclope Polifemo.\nLa città venne rifondata nel VII secolo a.C. da coloni di Chios con il nome di Maronia (oggi cittadina del distretto greco di Rodopi). Nella località di Aghios Georgios di Maroneia è stata rinvenuta una cittadella fortificata micenea, da alcuni identificata con Ismara, che però non si trova sul mare.\nIl villaggio di Ismaros è oggi un piccolo porto sul mare, situato sulla strada litoranea tra Maroneia e Xylagani." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ismene.\n### Descrizione: Ismene (in greco antico: Ἰσμήνη?, Ismḕnē) è una figura della mitologia greca, figlia di Edipo e di Giocasta.\nSofocle la introdusse nell'Antigone, nell'Edipo a Colono e, come personaggio muto, nell'Edipo re.\n\nStoria.\nNella Antigone Ismene è dipinta come l'opposto, mite e rassegnata, della forte e combattiva sorella, Antigone: in tal modo, Ismene si configura come vox media, che in Sofocle ha sempre lo scopo di mettere in risalto le gesta e gli incrollabili propositi dell'eroe. Quando Antigone sarà condannata a morte, allora Ismene si dirà pronta a morire con lei; ma sarà troppo tardi e, anzi, Antigone rifiuterà con violenza il suo sacrificio.\nIl poeta lirico Mimnermo raccontava che Ismene fosse stata uccisa, però, durante la guerra dei Sette, da Tideo: in realtà, nessun altro autore menziona questa versione del mito, ma la scena è rappresentata su un vaso corinzio del VI secolo a.C., ora conservato al Museo del Louvre.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Isole Esperidi.\n### Descrizione: Le Isole Esperidi (in latino: Hesperidum Insulae) sono isole dell'Oceano Atlantico presenti nelle opere geografiche ed enciclopediche della tradizione classica. Sono conosciute anche con il nome di Isole delle Signore dell'ovest.\n\nIl mito.\nIl mito delle Isole Esperidi è probabilmente collegato a quello del Giardino delle Esperidi e alle Esperidi stesse. Infatti il termine Esperide deriva dal greco hespera che significa sera, proprio come venivano chiamate le ninfe Esperidi, chiamate anche Figlie della Notte, e quindi stava ad indicare un luogo occidentale (in quanto il Sole tramonta ad occidente). Già nell'antichità si tendeva a confondere le Isole Esperidi con le Isole Fortunate e con i Campi Elisi, ponendole nell'oceano a poca distanza dall'Atlante, con lo stesso Giardino delle Esperidi, ponendole sul continente africano.\n\nLe Isole Esperidi nelle opere antiche.\nSono pochi gli autori classici che hanno tramandato l'esistenza delle Isole Esperidi. Infatti, sono giunte solo citazioni da parte di Plinio il Vecchio, Solino, Stazio Seboso (da cui i primi due hanno attinto), Marziano Capella e Onorio. Questi autori tendevano, a differenza di altri, a separare le Isole Esperidi dall'identificazione con le Isole Fortunate o i Campi Elisi. Per quanto riguarda le opere geografiche di Strabone, Tolomeo e Pausania non citano le Isole Esperidi mentre sono citatate nel De Chorographia di Pomponio Mela.\n\nLe Isole Esperidi nella realtà.\nL'identificazione delle Isole Esperidi con isole reali è difficile. Molti ricercatori moderni, sulla base dei riferimenti di Plinio il Vecchio, di Capella, Solino e Seboso identificano tali isole con le Antille, in particolare le Piccole Antille, in quanto, secondo questi autori, il viaggio da Atlantis (Madera) fino alle Isole Esperidi, passando attraverso le Isole Gorgadi (Capo Verde) è di 40 giorni.Secondo Lucio Russo, prima della distruzione di Cartagine, le Piccole Antille venivano identificate con le Isole Fortunate, ma dopo il collasso culturale provocato dalla distruzione di Cartagine si sarebbe mantenuto il ricordo delle Isole Caraibiche ma sotto il nome di Isole Esperidi, mentre le Isole Fortunate finirono per essere identificate con le Isole Canarie.Altri autori moderni (ad es. Valerio Manfredi) ritengono che non solo le Isole Esperidi ma anche le Isole Fortunate rappresentino isole del continente americano.\nAllo stesso modo anche Onorio espresse, all'interno dell'Imago Mundi, la convinzione che le Isole Esperidi confinano con il 'mare cagliato' e con il luogo che anticamente era ricoperto da Atlantide.\nLo scrittore inglese Andrew Collins identifica il 'mare cagliato' con il Mar dei Sargassi e le Isole Esperidi, probabilmente, con le Antille. Secondo Gonzalo Fernández de Oviedo le Isole Esperidi erano da identificare con le isole 'delle Indie occidentali' che era state sottomesse dal re degli Iberi Espero nel 1558 a.C.\nIl domenicano Gregorio Garcìa sostiene che il continente americano era da identificare con le isole che Aristotele 'dice che si trovavano oltre Atlantide...quelle che oggi si chiamano di Barlovento'. È probabile che le isole di cui parlava Aristotele fossero le stesse Esperidi.Altri collocano le Esperidi non nell'oceano ma nel Mediterraneo e le identificano con la Sardegna, con le isole del Tirreno o con le Isole Baleari.Altri ancora, invece, li identificano in chiave più mitica con Iperborea o Atlantide.In sintesi le diverse identificazioni delle Isole Esperidi variano dalle Isole Canarie, alle Isole di Capo Verde, alle Isole Azzorre, alle Isole di Sao Tomè e Principe fino ad arrivare all'isole delle Piccole Antille." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Isole Fortunate.\n### Descrizione: Le Isole Fortunate o Isole dei Beati (in greco antico: μακάρων νῆσοι?, makárōn nêsoi, in latino insulae fortunatae), sono isole dell'Oceano Atlantico presenti nella letteratura classica sia in contesti mitici sia in opere storiche e geografiche. Da Claudio Tolomeo in poi si è spesso sostenuto che coincidessero con le Canarie.\nGià nell'antichità si tendeva a confondere le Isole Fortunate con le Isole Esperidi o con i Campi Elisi, ponendole nell'oceano a poca distanza dall'Atlante.\n\nIl mito.\nNel mito, presente nella letteratura greca almeno da Esiodo, ma probabilmente derivato da racconti dei Fenici, le Isole dei Beati, a volte identificate con i Campi Elisi, sono isole dal clima dolce nelle quali la vegetazione lussureggiante fornisce cibo senza che gli uomini abbiano bisogno di lavorare la terra. Gli dei destinano alcuni eroi a vivervi un'eterna vita felice.\n\nLe isole nelle opere geografiche e storiche.\nIn Diodoro Siculo l'isola è una sola e vengono meno alcuni elementi essenziali del mito. Lo storico non nomina divinità, né beati, ma localizza l'isola nell'Oceano, a molti giorni di navigazione al di là delle Colonne d'Ercole, e ne parla come di un antico possedimento cartaginese. Secondo Plutarco la distanza dall'Africa sarebbe di 10.000 stadi (circa 1.600 km). Plinio il Vecchio identifica chiaramente le Isole Fortunate con le Isole Canarie. Plinio nella sua enciclopedica opera Naturalis Historia ricorda la spedizione del re Giuba sulle isole Canarie.\nI nomi delle isole erano registrati come Capraria (Fuerteventura), Canaria (Gran Canaria), Ninguaria (Tenerife), Junonia Major (La Palma), Pluvialia (El Hierro), e Junonia (La Gomera). Lanzarote e Fuerteventura, le due isole Canarie più orientali, erano solo menzionate come l'arcipelago delle Purpurae Insulae, ossia le 'isole viola'.\nLa stessa identificazione è certa per le Isole Fortunate di Tolomeo, che nella sua Geografia vi fa passare il meridiano di riferimento.\nDopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, l'interazione con le isole Canarie non è registrata prima del 999, quando gli Arabi arrivarono sull'isola che soprannominarono al-Djezir al-Khalida.\nIl nome Isole Fortunate fu usato fino all'età moderna per indicare le Isole Canarie ed oggi sopravvive ancora nel termine Macaronesia che fa riferimento anche a Madeira e Capo Verde.\n\nLa localizzazione delle isole.\nL'identificazione delle Isole Fortunate con le Isole Canarie, operata da Plinio il Vecchio, Tolomeo e altri autori, non è stata necessariamente sempre valida, né spiega l'origine del mito. Manfredi, nel saggio citato, ipotizza che il mito possa essere stato generato da racconti relativi a isole caraibiche raggiunte da Fenici o Cartaginesi. L'assenza del ciclo stagionale, congiunta alla ricchezza della vegetazione, avrebbe potuto suggerire l'idea di un luogo in cui fossero assenti lavoro e invecchiamento. L'ipotesi è basata sull'analisi delle testimonianze di Diodoro Siculo, Plutarco e altri autori, che sembrano riferirsi a terre più occidentali delle Canarie e trasmettono il ricordo della relazione tra le isole e Cartagine.\nLa tesi dell'identificazione delle Isole Fortunate con isole caraibiche (precisamente le Isole Sopravento Meridionali e le Isole Sottovento delle Piccole Antille) è stata ripresa, con nuovi argomenti di tipo anche quantitativo, nel XXI secolo da Lucio Russo.\nUn'altra possibilità è che le Isole Fortunate si riferiscano alle Azzorre. Una tesi corroborata dalla distanza delle Azzorre dall'Africa, circa 1700/1800 km, che coincide con la distanza che indica Plutarco, 10.000 stadi. Inoltre nel 1749 una spedizione inglese trovò delle monete cartaginesi sull'isola di Corvo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Isonoe (mitologia).\n### Descrizione: Secondo la mitologia greca, Isonoe (in greco Ισονοη) era una delle Danaidi.\n\nNella mitologia.\nFu amante di Zeus e ne ebbe un figlio di nome Orcomeno. Quando morì, venne trasformata dal dio in una fonte.\n\nIn astronomia.\nLe è stato dedicato uno dei satelliti del pianeta Giove." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Issione.\n### Descrizione: Issione (in greco antico: Ἰξίων?, Ixìōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re dei Lapiti, la più antica tribù della Tessaglia.\n\nGenealogia.\nA causa del particolare mito di cui è protagonista questo personaggio, le gesta di Issione sono state più volte riprese dai mitografi e per questo motivo la sua ascendenza varia.\nSecondo Igino è figlio di Ares o di Leonteo, di Antione e Perimele (scrive invece Diodoro Siculo), o di Flegias, secondo Strabone.\nSi sa che fu sposo di Dia (figlia di Deioneo) e tutti gli autori concordano che sia il padre di Piritoo, eccetto Omero che nell'Iliade lo fa concepire da Zeus.\nSecondo Apollodoro dalla sua unione con Nefele nacque il centauro Euritione.\n\nMitologia.\nIssione, dopo il matrimonio con Dia, non consegnò al suocero i doni che aveva offerto per la mano della sposa e così quello si vendicò rubandogli alcuni cavalli. Issione sulle prime non si mostrò risentito ma dopo averlo invitato a una festa a Larissa violò la Xenia e lo uccise facendolo cadere in un letto pieno di legna e carboni ardenti. Questo atto, però, fece sì che i re dei regni a lui confinanti rifiutassero di eseguire i rituali per la sua purificazione e così lui impazzì e andò a vivere come un esiliato.\nFu poi perdonato da Zeus e ritornò nel suo regno, ma quando fu invitato a un banchetto non si accorse che la donna che stava desiderando non era la dea Era, bensì una donna creata da Zeus stesso (con una nuvola chiamata Nefele) e fu colto in flagrante nel tentativo di amplesso. Così il dio, irato, lo consegnò a Ermes perché lo torturasse e flagellasse senza pietà e fino a quando non avesse ripetuto: 'I benefattori devono essere onorati'.\n\nFu poi gettato nel Tartaro e legato a una ruota con l'intervento di Ermes ed Efesto e fu condannato a girare in eterno nella volta.\nceleste.\nSi dice che solo quando Orfeo suonò la sua lira per salvare Euridice la ruota di Issione si fermò per qualche secondo.\nSecondo Apollodoro, Issione riuscì a possedere Nefele e da questa unione nacque un centauro.\n\nInfluenza culturale.\nVerrà poi ripreso da Schopenhauer, nella sua concezione dell'arte come liberazione. Issione è anche protagonista, insieme a Nefele, del primo dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, intitolato La nube.\nUn'interessante interpretazione del mito di Issione in chiave naturalistica chiama in causa l'anello solare a 22° che si manifesta in occasione di un imminente peggioramento del tempo meteorologico.\n\nFonti.\nPseudo-Apollodoro, Epitome (I, 20).\nDiodoro Siculo, Biblioteca Storica (IV, IV, 12, 69-70).\nIgino, Favole (XIV, XXXIII-XXXIV; LXII; LXXIX; cclvii).\nOvidio, Metamorfosi (XII, 210 e sgg.).\nPindaro, Odi (Pitiche, II).\nStazio, Tebaide (IV, 539, VIII, 50).\nVirgilio, Georgiche (III, 38)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Itaca.\n### Descrizione: Itaca (in greco Ιθάκη?, Ithaki) è un'isola greca del mar Ionio appartenente all'arcipelago delle isole Ionie (anche detto Eptaneso). Dal punto di vista amministrativo è un comune della periferia delle Isole Ionie di 3231 abitanti al censimento 2011 e un'unità periferica composta dal solo comune omonimo. È universalmente nota per essere stata patria dell'eroe leggendario Ulisse, antico re dell'isola, le cui gesta sono descritte nel poema epico di Omero Odissea.\n\nGeografia fisica.\nIn seguito alla riforma amministrativa entrata in vigore il 1º gennaio 2011, Itaca è uno degli 8 comuni in cui è suddivisa la Periferia di Isole Ionie. Il suo capoluogo è la cittadina di Vatì/Vathy, pittoresco porto con case in stile veneziano. Ha una superficie di 96 km² e conta circa 3.500 abitanti. Gli altri centri abitati sono semplici villaggi. Il capoluogo Vathy è disteso ad anfiteatro in una baia naturale ampia e riparata (c'è chi la considera la più ampia al mondo). L'isola è composta da una parte nord e una parte sud, collegate dall'istmo di Aetos largo appena 600 m nel punto più stretto.\nNella parte occidentale il braccio di mare che divide Itaca da Cefalonia è denominato stretto di Itaca. La forma dell'isola è molto frastagliata. I promontori sono: Exogi nella parte più occidentale, Melissa al nord, Mavronos ed Agios Ilias ad est insieme a Skinos, Sarakiniko ed Agios Ioannis, al sud invece si incontra il capo Agios Andreas. La costa è punteggiata da molte baie tra le quali quella di Polis a nord-ovest, quella di Afales a nord e quelle di Frikes e Kioni a nord-est; il golfo di Ormos e la baia di Sarakiniko sono invece esposte a est e a sud-est. Il monte più alto è il Nirito (806 m), seguito dal Merovigli (669 m).\n\nStoria.\nL'isola fu abitata già dal XXII secolo a.C. ed ebbe particolare rilevanza durante il periodo miceneo. Gli scavi condotti dalla Scuola britannica di Atene dal 1930 al 1939 sotto la direzione di W.A. Heurtley, rivelarono resti di una formazione palaziale cinta da mura ciclopiche sulla collina di Pilikata (fuori dal villaggio di Stavros), e presso la baia di Polis un santuario consacrato alle Ninfe attivo dall'epoca micenea, in cui, dal periodo ellenistico, è attestato un vero e proprio culto della figura di Ulisse. L'importanza della parte nord nel periodo più remoto della storia itacese è confermato anche dagli scavi condotti di recente dall'Università di Ioannina nella località denominata 'Scuola di Omero' (sempre nel comprensorio di Stavros), dove in epoca micenea si ergeva un palazzo fortificato. Dopo il medioevo ellenico il centro principale si spostò sull'istmo; qui fiorì la città di Alalkomene, dalla posizione imprendibile celebrata da Cicerone nel De oratore (I, 44): '... ut Ithacam illam in asperrimis saxulis tamquam nidulum adfixam'. La città, probabilmente sotto l'influenza corinzia, era però indipendente; lo testimoniano un trattato di Aristotele sulla Costituzione degli Itacesi che non ci è pervenuto, e le monete del III sec. a.C con l'effige di Ulisse sul retto e quella di Atena sul verso che portano la scritta ΙΘΑΚΩΝ ('di Itaca'). Gli scavi protoarcheologici svolti ai piedi della collina nel 1812-13 da europei di diverse nazionalità portarono alla luce, in sepolture di epoca ellenistica in romana, un vero e proprio 'tesoro di Itaca' (oggi disperso in vari musei del mondo) che conferma la prosperità dell'isola in questo periodo.\nI Romani la occuparono nel II secolo a.C., ed in seguito essa divenne parte dell'Impero bizantino. Dalla metà dell'VIII secolo fa parte del thema (distretto militare) di Cefalonia, istituito per sostenere gli interessi bizantini in Italia meridionale. Con la conquista di Bari da parte dei Normanni di Sicilia nel 1071, Bisanzio perde, oltre ai possedimenti territoriali, anche il controllo sul braccio di mare tra l'Italia e la Grecia, aprendo così la strada a una rinascita della pirateria. I resoconti di due pellegrini per la Terra Santa, Philip August e Benedetto di Petersburgh, rispettivamente del 1190 e del 1191, descrivono Itaca e Cefalonia come famigerati covi di pirati. Le vicende delle isole ionie si inseriscono per tutto questo periodo nei tentativi di espansione dei Normanni di Sicilia verso est; a partire dalla campagna di Roberto il Guiscardo (che muore a Cefalonia nel 1085), sino alla definitiva conquista (1185) dell'arcipelago da parte di Margaritone da Brindisi, che viene nominato da Guglielmo II signore di Itaca, Cefalonia e Zacinto. Nel 1194 subentra il dominio personale di Maio (o Matteo) Orsini il quale, inizialmente vassallo dei Normanni, cerca in seguito la protezione del papa e di Venezia. Gli Orsini governeranno sino al 1357, quando Leonardo Tocco, membro di una nobile famiglia di Benevento, fu nominato 'Conte di Cefalonia, Signore di Itaca e Zacinto'. Il principato dei Tocco si mosse con scaltrezza nel complesso quadro politico del periodo, e nel 1411-16 Carlo I Tocco riuscì a conquistare l'Epiro, aggiungendo ai suoi titoli quello di 'Despota di Ioannina e Arta'. La prima fase del dominio delle potenze italiane sulle isole ionie termina nel 1479, quando i Turchi prendono Cefalonia e Itaca.\nSeguono due decenni di alterne vicende belliche nelle quali Venezia emerge come principale antagonista dell'inarrestabile espansione ottomana, giungendo infine, nel 1504, a ottenere il controllo di Cefalonia e Itaca (quest'ultima praticamente spopolata). Lo stato di abbandono in cui versava fu fronteggiato con un decreto del Senato veneziano del 18 marzo 1504 che accordava l'esenzione delle tasse per cinque anni a chi si stabiliva sull'isola. Una vera e propria ripresa si ha però solo nel corso del Seicento, quando alla coltivazione dell'olio e del grano si aggiunge quella (importata da Zacinto) dell'uva sultanina, che sino all'Ottocento rimarrà un'importante fonte di esportazione, soprattutto sul mercato inglese. I Veneziani potenziano anche l'approdo di Vathi, che a partire dal Settecento si svilupperà diventando la capitale dell'isola (in precedenza, per la paura della pirateria, gli abitati si trovavano in alto lontano dalle coste; la capitale nel periodo medioevale era Paleochora, le cui rovine sono a tutt'oggi visitabili sulle pendici del monte Peteliatiko). La ripresa del periodo veneziano è testimoniata anche dalle testimonianze artistiche, tra cui spicca il ciclo di affreschi della chiesa di Anoghi, di scuola epirota e databile alla fine del XVII secolo. Al periodo tra Cinque e Seicento risalgono inoltre le prime, fugaci descrizioni di Itaca in resoconti di studiosi e viaggiatori europei, come il Grande Insulaire et Pilotage (1586) del cosmografo reale di Francia André Thevet, e il Voyage d'Italie, de Grèce et du Levant (1679) di Jacob Spon e George Wheler.\nNel 1797 col trattato di Campoformio terminò la plurisecolare dominazione veneziana e le isole ionie passarono alla Francia; grazie al prestigio crescente presso gli occidentali della reputazione omerica di Itaca, il nuovo dipartimento (che comprendeva anche Cefalonia e aveva la capitale ad Argostoli), prese il nome ufficiale di Dipartimento di Itaca. Un'alleanza russo-turca strapperà le isole ai francesi e porterà, nel 1800, alla fondazione della Repubblica delle Sette Isole Unite sotto sovranità ottomana e protettorato russo. Fu questa la prima esperienza di autogoverno greco, in cui ebbero un ruolo principale i greco-veneti, tra i quali Giovanni Capodistria. Nel 1809 il Regno Unito prese possesso militare delle isole, il cui destino fu deciso dagli accordi del Congresso di Vienna, che prevedevano la fondazione degli Stati Uniti delle Isole ionie, un'entità statale indipendente posta sotto protettorato britannico. Nel 1816 Sir Thomas Maitland, primo Lord High Commissioner del nuovo stato, sbarcò a Corfù, e l'anno successivo venne approvata la Costituzione.\n\nNonostante le turbolenze politiche questo periodo di transizione è però molto florido dal punto di vista economico e culturale. La creazione di una flotta mercantile basata a Vathi nel corso del Seicento, aveva portato nel secolo successivo i mercanti itacesi a essere protagonisti nella colonizzazione commerciale greca delle sponde del mar Nero, dalle quali veniva importato grano verso i mercati dell'Europa occidentale. L'afflusso in patria di ricchezze accumulate grazie al commercio e all'attività di armatori rese Vathi un centro florido e cosmopolita; William Gell, che la visitò nel 1807, affermò di avervi trovato 'confort di alto livello, con i negozi che vendono caviale e pesce salato di ogni tipo' e che 'gli strati superiori della società sono in genere ben istruiti e in grado di parlare in greco, italiano e spesso in francese con uguale competenza' La crescita della popolazione aveva nel frattempo raggiunto gli ottomila abitanti. Contemporaneamente, l'isola viene 'riscoperta' per l'Occidente proprio da William Gell, che la esplora tutta Odissea alla mano e nel 1807 pubblica il celebre The Geography and Antiquities of Ithaka, uno testo di enorme successo in cui si accrediterà come scopritore del palazzo di Ulisse. Sull'eco delle sue esplorazioni si svolgeranno, a cavallo del 1812-13, i primi scavi archeologici nella città di Alalkomene. Nell'agosto del 1823 Lord Byron vi trascorse una breve vacanza prima di partire per Missolonghi; visitò Vathi e il monastero di Kathara, ma non mostrò nessun interesse per i resti archeologici.\nIl periodo del protettorato inglese vide diverse innovazioni; furono costruite le prime strade, in particolare quella che da Vathi conduce alla parte nord costeggiando il massiccio del Nerito, e venne creato un sistema di istruzione pubblica che era stato del tutto assente nel periodo veneziano. Nei primi anni Lord Guilford, che era stato nominato Lord of Education, contemplò persino l'idea di fondare la prima università sul suolo greco a Itaca; i lavori erano in procinto di iniziare su un terreno concesso dagli abitanti quando lo scoppio della Guerra d'indipendenza greca nel 1821 non suggerì di spostare il progetto a Corfù in quanto isola molto meglio difendibile. Proprio con la fondazione dello stato greco gli Stati Uniti delle Isole Ionie furono sempre più minati dal movimento che chiedeva l'enosis (unione) con la Grecia, che fu concessa nel 1864. Anche dopo il cambiamento di regime politico Itaca continuò a prosperare grazie ai traffici col mar Nero. Ai primi del Novecento toccò un picco di dodicimila abitanti. Nel 1902 l'armatore Georgios Drakoulis costruì sul lungomare di Vathi la dimora in stile neoclassico ancora visibile, e a un altro armatore, Stanathos, si deve la fondazione nel 1907 di un Istituto nautico, la prima scuola nel suo genere in Grecia. Nel 1922 grazie al mecenatismo di Drakoulis venne inaugurata la prima centrale elettrica, che serviva Vathi e Perachori. Il declino si manifesterà solo dopo la prima guerra mondiale, quando la marineria greca spostò in massa le sue operazioni al Pireo. Iniziò una massiccia emigrazione, rivolta soprattutto all'Australia e al Sud Africa, che portò a un drastico calo della popolazione. Un terremoto nel 1953 ha procurato gravi danni in tutta l'isola, ma la ricostruzione è stata abbastanza fedele alla tipologia dell'edilizia tradizionale.\n\nEconomia.\nTurismo.\nIl capoluogo, Vathy, situato al fondo di una profonda baia, porto naturale fra i migliori, è un approdo eccellente per i velisti. Itaca si è molto sviluppata turisticamente negli ultimi anni, con creazione di nuove strutture ricettive che comunque finora hanno relativamente salvaguardato l'ambiente naturale.\nÈ meta abituale di escursioni giornaliere dalle circostanti isole dell'arcipelago delle isole Ionie. Scavi archeologici hanno dimostrato l'esistenza sull'isola di abitati di epoca micenea, ma non hanno permesso ancora di localizzare con precisione l'eventuale reggia di Ulisse, oppure luoghi corrispondenti alla tradizione omerica. Negli anni Ottanta l'isola ha incrementato la propria notorietà quando Carlo d'Inghilterra e la moglie Diana hanno trascorso parte della loro luna di miele fra Cefalonia ed Itaca.\n\nAmministrazione.\nIl comune faceva parte della prefettura di Cefalonia, soppressa nel 2011 a seguito del Programma Callicrate e costituisce l'unico comune dell'unità periferica omonima che comprende, oltre all'isola di Itaca, anche le isole di Arkoudi e Atokos situate nei pressi di Capo Melissa e le isole dell'arcipelago delle Echinadi.\n\nGemellaggi.\nMonte di Procida.\nSquillace dal 18 maggio 2007.\nSanta Marinella.\n\nLocalità.\nOltre al capoluogo Vathy, compongono il comune le seguenti località: Aetos, Afales, Agios Ioannis, Agia Saranta, Anogi, Exogi, Frikes, Kalivia, Kathara, Kioni, Kolieri, Lachos, Lefki, Marmaka, Perachori, Piso Aetos, Platrithia, Rachi, Stavros.\n\nSpiagge.\nLe spiagge più famose di Itaca sono Dexa, Loutsa, Aetos.\n\nNella cultura di massa.\nItaca e l'Odissea.\nItaca è universalmente nota per essere stata, secondo la leggenda, la patria dell'eroe leggendario Ulisse (Odisseo) e per esservi ambientata parte dell'Odissea, il celeberrimo poema di Omero. Tuttavia, fin dall'antichità si è notata incoerenza tra la descrizione dell'isola nel poema e l'Itaca visibile. In particolare, tre aspetti della descrizione rappresentano le più grandi incongruenze. In primo luogo, l'antica Itaca è descritta come un'isola piana («χθαμαλὴ»), invece l'odierna è un'isola montuosa. Poi è descritta come «la più inoltrata nel mare, diretta verso il tramonto» («πανυπερτάτη εἰν ἁλὶ… πρὸς ζόφον»), e da ciò si dovrebbe supporre che si trovi all'estremità occidentale del proprio arcipelago, invece nell'arcipelago dell'odierna Itaca è Cefalonia l'isola più occidentale. Infine, non è chiaro a quali isole moderne (presumibilmente nel medesimo arcipelago) dovrebbero corrispondere quelle che Omero chiama Dulichio e Same.\nLo storiografo greco Strabone, del primo secolo d.C., nella sua Geografia, fu il primo a identificare l'isola di Odisseo con la moderna Itaca. Basandosi sui primi commentatori dell'Odissea, tradusse la parola χθαμαλὴ non come 'priva di rilievi' bensì come 'vicina alla terraferma'. Identificò l'omerica Same con la moderna Cefalonia, e ritenne che Dulichio fosse un'isola delle odierne Echinadi. Inoltre, la moderna Itaca si trova più a nord di Cefalonia, di Zacinto e di quella che lui presupponeva essere Dulichio, e pertanto ritenne che l'omerico «la più inoltrata nel mare, diretta verso il tramonto» andasse in realtà tradotto come «diretta verso il nord».\nLa teoria di Strabone non raccolse però il consenso di tutta la comunità letteraria. In età moderna alcuni studiosi hanno obiettato che l'Itaca di Omero potrebbe invece essere un'isola oggi nota con altro nome. La teoria più conosciuta in proposito è quella di Wilhelm Dörpfeld, secondo cui l'Itaca omerica sarebbe da individuare nella vicina isola di Leucade.\n\nMusica.\nItaca è anche un brano musicale del cantautore Lucio Dalla del 1971." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Iunce.\n### Descrizione: Iunce o Iunge (in greco antico: Ἴϋγξ, Iynx) è una figura della mitologia greca, figlia di Pan e della ninfa Eco, sorella di Iambe.\n\nIl mito.\nSomministrò incautamente a Zeus un filtro amoroso che accese nel dio la passione per la mortale Io, figlia di Inaco (o, secondo altre versioni, per la stessa Iunce). Furiosa per il tradimento, Era si vendicò di Iunce trasformandola in torcicollo, volatile che da lei prese il nome e che, anticamente, era venerato per gli esorcismi amorosi. Secondo altre fonti, la dea tramutò Iunce in una statua di pietra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Jenny Haniver.\n### Descrizione: Un Jenny Haniver è un falso mostro realizzato usando la carcassa di un pesce chitarra (nome comune della famiglia di razze Rhinobatidae), o di una razza chiodata, a cui si applicano tagli, ripiegature e mutilazioni fino a conferirle le sembianze di una creatura vagamente umanoide, in genere simile a un demone o un angelo. Lo scopo è solitamente quello di ingannare il prossimo, per esempio rivendendo il corpo spacciandolo per cucciolo di drago, un basilisco, il cadavere di un extraterrestre o una qualche rarità criptozoologica. Ai Jenny Haniver si fa spesso riferimento come possibile spiegazione di alcune misteriose creature marine descritte in letteratura, come il pesce monaco spiaggiato in Danimarca nel 1546.\n\nStoria.\nL'origine e il significato del nome 'Jenny Haniver' non sono noti con certezza. L'ipotesi più accreditata è che si tratti di una anglicizzazione del francese jeune d'Anvers ('ragazza di Anversa'); i primi a creare questi falsi, con l'intento di rivenderli come 'cadaveri di sirena', potrebbero essere stati i pescatori britannici di Anversa. Altrimenti potrebbe prendere il nome dall'unione dei nomi inglesi sia di Genova sia di Anversa.La pratica di deformare il corpo delle razze al fine di produrre questo genere di falsi è piuttosto antica; già nel 1558, nel saggio Historia Animalium (vol. IV), il naturalista Konrad Gesner descriveva i 'Jenny Haniver' come un falso molto diffuso, spiegando come nei mercati di Zurigo fossero talvolta spacciati per basilischi. Numerosi Jenny Haniver furono realizzati in Belgio, in Francia e a quanto pare anche in Italia: ne sono stati infatti trovati molti a Milano, Venezia e Verona, realizzati soprattutto nel XVI secolo con pesci del Mediterraneo.Curiosamente, i Jenny Haniver furono prodotti (e spacciati per creature misteriose) ancora in tempi recenti. Uno dei casi di pubblicità mediatica data a questo fenomeno è avvenuto nel 1971 a San Juan in Porto Rico, quando Alfredo Garcia Garamendi, professore di educazione fisica e appassionato di fenomeni paranormali, sostenne di aver catturato uno strano pesce che poteva uscire dal mare, respirare e porsi in stato eretto. A tale animale, di sembianze umane, Garamendi diede il nome di 'Garadiabolo'. Nel 1974 Garamendi pubblicò informazioni sulla sua presunta scoperta nel libro Los Garadiabolos.L'ultimo Jenny Haniver salito alla ribalta dei media in Italia è quello segnalato nel luglio del 2006 dalla pubblicazione locale Meridianodieci (letto specialmente nell'Ovest Bresciano), quindi dal Giornale di Brescia, e inizialmente presentato dalla stampa come il cadavere di un extraterrestre: 'Mummia rossa in un pollaio. Rossa come un marziano', questo il titolo in copertina. Il Jenny Haniver faceva parte in realtà di un deposito di materiali provenienti dalla ristrutturazione di un palazzo milanese." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Kallikantzaroi.\n### Descrizione: I kallikantzaroi o kalikantzaroi (gr. καλλικάντζαροι o καλικάντζαροι; sing. kallikantzaros o kalikantzaros, gr. καλλικάντζαρος o καλικάντζαρος), chiamati anche kalkatzonia (καλκατζόνια), kalkania (καλκάνια), kalitsanteri (καλιτσάντεροι), karkantzaroi (καρκάντζαροι), skalikantzeria (σκαλικαντζέρια), skantzaria (σκαντζάρια), tzogies (τζόγιες), lykokantzaroi (Λυκοκάντζαροι), kalikantzarou (καλικαντζαρού), kalikantzarines (καλικαντζαρίνες), kalokyrades (καλοκυράδες), verveloudes (βερβελούδες), kolovelonides (κωλοβελόνηδες), sono delle creature mostruose e terrificanti del folklore natalizio greco e cipriota, che - secondo la tradizione - fanno la loro comparsa sulla Terra tra il 25 dicembre (Natale) e il 6 gennaio (Epifania), ovvero nel periodo delle cosiddette 'Dodici Notti', per arrecare οgni sorta di angherie alla popolazione; in tutto il resto dell'anno vivono invece nel sottosuolo.\n\nCaratteristiche.\nLe descrizioni dei kallikantzaroi non sono univoche: sono solitamente ricoperti di una folta pelliccia e talvolta vengono descritti come dei lupi, altre volte come delle scimmie, molto spesso come degli esseri per metà uomini e per metà animali (che possono avere zampe di cavallo, zanne di cinghiale, braccia di scimmia, lunghe lingue, occhi rossi, unghie lunghe e ricurve, ecc.); possono essere sia minuscoli che enormi e sono prevalentemente di sesso maschile.Vivono gran parte dell'anno negli inferi, dove s'intrattengono divorando l'albero che regge il centro della Terra. A Natale, però, tutta la loro fatica è resa vana dal fatto che quest'albero - con la ricorrenza della Nascita di Gesù - si rigenera completamente. Per questo motivo, il 25 dicembre, escono dal loro consueto 'habitat' per vendicarsi degli uomini, rimanendo sulla Terra fino al 6 gennaio, quando, grazie alla Benedizione delle Acque, vengono rispediti negli inferi.Nel periodo in cui sono sulla Terra, la vendetta dei kallikantzaroi nei confronti del genere umano si traduce in ogni genere di dispetti: distruggere i mobili, far ballare la gente fino allo sfinimento, mangiare le pietanze natalizie, urinare sul fuoco, far andare a male il latte, ecc.È consuetudine che entrino nelle case dal camino e, per questo, è bene tenere acceso il ceppo natalizio.Si tratta di creature che, vivendo gran parte dell'anno nell'oscurità, temono la luce. Inoltre temono il fuoco e la croce cristiana (questo è il motivo per cui, il giorno dell'Epifania, con la benedizione di tutte le acque, spariscono).\n\nEtimologia.\nL'origine del termine kallikantzaros è incerta. Tra le ipotesi formulate, vi sono le seguenti:.\n\nBernhard Schmidt l'ha fatto derivare dalla combinazione di due parole turche che significano 'nero' e 'lupo mannaro'.\nUn'altra ipotesi lo fa derivare dal greco kalos kentauros, che significa 'bel centauro'.\n\nUsanze.\nCome detto, tra le usanze che permettono di difendersi dai kallikantzaroi, vi è quella di tenere sempre acceso il ceppo natalizio.Un altro sistema per allontanare i kallikantzaroi è quello di appendere delle erbe o una mascella di maiale nel camino o sulla porta, oppure quello di marchiare la porta con una croce nera.\n\nSuperstizioni.\nSi crede che un bambino nato la notte di Natale possa trasformarsi con molta probabilità in un kallikantzaros, come punizione per quello che può essere considerato come un 'affronto', ovvero essere nato nello stesso giorno di Gesù. Per rimediare a questo problema, c'erano varie soluzioni. In una, attestata nel Seicento, i genitori accostavano le piante dei piedi dei bambini a una fiamma, finché non si mettevano a piangere: si credeva che così sarebbero stati bruciati gli artigli nascosti dentro la carne, e i piccoli non si sarebbero trasformati in kallikantzaroi. Nella regione dell'Argolide, invece, i bambini nati nel periodo natalizio erano collocati in un forno spento, all'imboccatura del quale si dava fuoco a una fascina di legna. A quel punto si domandava: 'Pane o carne?'. Se il bambino rispondeva 'pane', si riteneva guarito e era subito liberato; altrimenti si lasciava qualche altro istante nel forno e si ripeteva la domanda finché non rispondeva 'pane'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Kalos.\n### Descrizione: L'iscrizione kalós è una forma di epigrafe diffusa sui vasi attici tra il 550 e il 450 a.C., di solito rinvenuta su vasi simposiaci.\nLa parola καλός significa 'bello', ma all'interno di questa formula assumeva connotazione erotica; l'iscrizione era formata dal nome di un giovane, al nominativo singolare, seguita dall'aggettivo 'kalós' ('... Kalos', cioè '... [è] bello'). Contemporaneamente alla comparsa di queste iscrizioni vascolari, si assiste alla proliferazione di scene a carattere pederastico, ma sotto forma di carezze piuttosto che di atti sessuali espliciti.\nLe persone citate erano quasi sempre adolescenti maschi, riconosciuti dal ceramografo per la loro bellezza, ma, occasionalmente, anche ragazze e donne erano dette kalé ('bella'). Altre volte l'iscrizione era generica e rivolta a ho pais kalos, dove il termine 'pais' significa ragazzo di età inferiore a quattordici o quindici anni. In alcuni casi i nomi delle iscrizioni sono stati ricondotti a personaggi storici, divenendo elementi cronologici per la datazione dei vasi.\nLe iscrizioni kalos si trovano anche come graffiti sui muri. L'esempio più abbondante è costituito dalle iscrizioni incise su roccia risalenti al IV secolo a.C.. Le prove non epigrafiche letterarie consistono in due riferimenti in Aristofane: il verso 144 degli Acarnesi e i versi 97-99 delle Vespe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Khalkotauroi.\n### Descrizione: I Khalkotauroi, conosciuti anche come i tori della Colchide, sono creature mitologiche che appaiono nel mito greco di Giasone e del vello d'oro.\n\nMitologia.\nI Khalkotauroi sono due immensi tori con zoccoli di bronzo e bocche di bronzo attraverso le quali sputano fuoco. Nell'Argonautica, a Giasone viene promesso il pregiato vello dal re Eete se riesce prima ad aggiogare i Khalkotauroi e usarli per arare un campo. Allora il campo sarà seminato con denti di drago.\nGiasone sopravvive alle fiamme ardenti dei tori di bronzo strofinando sul suo corpo una pozione magica che lo protegge dal caldo. La pozione è stata fornita da Medea, la figlia del re Eete, innamorata di Giasone.\nI Khalkotauroi erano un dono fatto al re Eete dal fabbro degli dei greci, Efesto.\n\nNella cultura di massa.\nLa versione di Giasone e gli Argonauti di Nick Willing presenta una creatura conosciuta come il toro menaiano, una macchina in parte toro, che Giasone deve domare. Questa versione, tuttavia, sputa fuoco e viene utilizzata per arare i campi da Giasone. I denti di drago seminati si trasformano in scheletri corazzati.\nI Khalkotauroi appaiono nel secondo romanzo di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, Il mare dei mostri. I tori sono descritti come tori di bronzo sputafuoco delle dimensioni di un elefante creati da Efesto, con corna d'argento e rubini al posto degli occhi. Attaccano il Campo Mezzosangue prima di essere sottomessi dal fratellastro ciclope di Percy Jackson, Tyson. I Khalkotauroi furono successivamente utilizzati per realizzare le piste per la corsa delle bighe. Nell'adattamento cinematografico del libro appare solo un toro della Colchide ed è di natura completamente meccanica, e viene sconfitto quando Percy usa la sua spada per bloccare gli ingranaggi interni del toro.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Khalkotauroi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Komos.\n### Descrizione: Il termine kòmos (in greco antico: κῶμος?), nell'antica Grecia, indicava in origine il giro festoso che i giovani compivano per la città dopo un simposio, cantando e suonando il flauto. Dal VI° sec. a.C. in poi, indicò soprattutto una parte delle feste dionisiache, che rappresentava il tiaso di Bacco. Si trattava di un corteo rituale, a piedi o talvolta su carri, durante il quale i partecipanti si abbandonavano a un'atmosfera di ebbrezza, a espressioni di sfrenatezza e baldoria, sottolineate da canti, accompagnate dalla musica dell'aulos, della lira e della cetra e condite da disinibite e giocose manifestazioni di oscenità e allusività a sfondo sessuale.\n\nIl komos come espressione di socialità.\nSi trattava di un'espressione di socialità non confinata unicamente alla sfera delle pratiche religiose pubbliche, come ad esempio le Dionisie, le Falloforie e altre celebrazioni collegate all'importante culto di Dioniso, ma viva e presente anche quale forma di ritualità privata. Si accompagnava infatti a festeggiamenti quali le celebrazioni nuziali ed era strettamente collegato a importanti pratiche sociali quali il banchetto e il simposio. In questo ambito il kòmos dava libero sfogo alla voglia di sfrenatezza e bisboccia che faceva seguito alle pratiche conviviali, costituendo un'importante componente della vita sociale nell'antica Grecia.\nI partecipanti al komos vengono chiamati comasti e le relative manifestazioni di ebbrezza sono dette comastiche oppure orgiastiche.\n\nLe fonti.\nLa varietà delle fonti, siano esse letterarie o iconografiche, è appena in grado di restituirci l'effettiva natura del komos.\n\nFonti letterarie.\nLa menzione più antica la troviamo in Esiodo che sembra suggerire una relazione di questa pratica con i festeggiamenti nuziali.\nCeleberrima è poi, nel Simposio platonico, la scena della rumorosa irruzione di Alcibiade che, nell'inedita versione di sfasciaporte fracassone, con il capo adorno di una ghirlanda, completamente ebbro, accompagnato dalla sua combriccola e sorretto da una flautista, viene accolto in casa di Agatone riuscendo a portare, lui ubriaco, un elemento di freschezza e di verità, nel bel mezzo di un composto simposio.\nTuttavia non esiste un unico evento specificatamente associabile al komos. Pindaro, ad esempio, ce lo descrive all'interno delle celebrazioni cittadine. Demostene ce lo menziona nel primo giorno delle Dionisie, al seguito della processione rituale e dei coreghi, in un contesto che sembra riferirsi a un agone, rivelando quindi una possibile natura competitiva dell'evento.\nDemostene, inoltre, rimprovera al cognato di Eschine il non aver indossato una maschera, quasi suggerendo che fosse usuale indossarla durante il komos, suggerendo quindi che la pratica del komos richiedesse l'uso di costumi o di qualche travestimento.\nL'esecuzione di musica durante il komos è suggerita da Aristofane e Pindaro.\n\nFonti iconografiche.\nNelle raffigurazioni vascolari del periodo arcaico il comasta viene solitamente mostrato fasciato in un attillato chitone e, in apparenza, un intrattenitore di professione. Appartengono all'arcaismo più tardo alcune raffigurazioni che mostrano comasti sfilare en travesti, drappeggiati in lunghi abiti, il capo adorno di orecchini, festonato da nastrini e, talvolta, protetto da ombrellini parasole, tutti simboli di effeminatezza..\nNelle descrizioni comastiche della pittura vascolare si registrano inoltre raffigurazioni di torce, anche se non sempre è chiaro se in tali scene siano da vedersi cori piuttosto che simposi, o komoi.\n\nLe raffigurazioni comastiche sono molto frequenti su un determinato tipo stilistico di kylix, appartenente a un preciso periodo di inizio VI secolo a.C., tanto che, nella classificazione vascolare contemporanea, si fa riferimento a questa tipologia di oggetti con il nome convenzionale di Coppe dei comasti.\nÈ da sottolineare infine che gli Etruschi, pronti assimilatori di pratiche culturali greche, come quelle conviviali, elette quasi a status symbol, non si lasciarono sfuggire la possibilità di reinterpretarne le ambientazioni comastiche come è testimoniato dagli affreschi provenienti dalle tombe della necropoli diTarquinia.\n\nIl komos nella ceramica greca.\nNella ceramica figurata greca viene designata komos ogni scena di carattere orgiastico, dove compare un gruppo o un corteo di bevitori (i komastài) che danzano, cantano, suonano, bevono, si ubriacano.\nIl komos non esiste né in àmbito etrusco né in quello romano.\n\nNella ceramica corinzia abbiamo poche figure disposte in fila senza legami, qualche volta raggruppate o contrapposte a due a due, che danzano con movimenti uniformi tenendo in mano kantharoi o corni potori. Qualche volta vi è un cratere che è posto a terra o viene trasportato. Tipico dei comasti corinzi è una sorta di travestimento caratterizzato da un corto chitone imbottito che crea una pancia rigonfia. Donne comaste compaiono soltanto nel tardo corinzio e sono rese con sovradipinture in bianco.\nNella ceramica attica abbiamo i pittori del Gruppo dei Komastai: si passa dalle figure steatopige a figure di corporatura più normale, sempre nude. Così saranno tutte le figure di komastai attici a figure nere. I movimenti di danza diventano più ricchi, complessi, sfrenati. Si tende a legare o contrapporre le figure fra di loro. Scarsi sono i flautisti. Sulle anfore tirreniche le donne sono frequenti, sia vestite sia nude.\nIntorno al 530 a.C. abbiamo la tarda produzione a figure nere e l'inizio di quella a figure rosse. Il quadro acquista una complessità e ricchezza di particolari mai vista in precedenza. Ma quello che viene rappresentato è la fase finale di un simposio o la sua degenerazione orgiastica. Il luogo in cui tutto avviene è suggerita dai particolari aggiunti: in un ambiente chiuso abbiamo crateri a terra o oggetti appesi alla parete; fuori casa, procedendo in corteo per la strada, figurano degli alberelli. Al komos partecipano per lo più giovani, ma anche uomini maturi (con barba), nudi o con corto mantello ricadente dalla spalla. Sorreggono coppe piene di vino. Suonano flauti e cetre mentre altri avanzano a passo di danza o camminano a grandi passi. Vi sono anche etère, con mantello o seminude, anche loro ubriache. Spesso i comasti vengono rappresentati intenti a fare acrobazie con le coppe, o mentre vomitano (sorretti da un'etèra o da un efebo), o che si appoggiano a un bastone. Le scene di sesso esplicite sono sempre all'insegna della sfrenatezza.Alcuni vogliono considerare scene di komos anche quelle dionisiache dove figurano satiri e menadi danzanti, ma non quelle dove è presente Dioniso insieme ai Sileni. In realtà queste scene, come pure quelle di menadi che agitano il tirso in preda all'estasi dionisiaca, fanno tutte parte dei tiasi bacchici, non del komos.\n\nRapporti con le espressioni teatrali.\nIl komos e il coro.\nIl komos deve essere tenuto ben distinto dalla processione e dal coro greco, essendo quest'ultimo basato su eventi dettati da un copione e sotto la direzione di un corifeo, laddove invece il komos era un'espressione al di fuori degli schemi, svincolata quindi da ogni rigidezza direttoriale, da copioni o prove.\n\nIl komos e la commedia.\nÈ largamente accettato, seppur ancora discusso, il rapporto di discendenza tra il komos e la κωμῳδία (commedia). Tale relazione è suggerita ed avvalorata da Aristotele, il quale riferisce la derivazione etimologica di κωμῳδία kōmōdìā da κῶμος kṑmos e ᾠδή ōdḕ, 'canto'. Tuttavia lo stesso Aristotele, nella terza parte dell'opera, registra, polemicamente, anche la tradizione che vorrebbe il termine κωμῳδία derivato da κώμη, kṑmē, termine che indicava il villaggio. In tal caso l'origine della commedia sarebbe da ricercarsi negli spettacoli e nelle farse mimiche megaresi che si svolgevano, appunto, nei villaggi.\nTuttavia rimane oscuro attraverso quali vie le forme espressive del canto di bisboccia, o della teatralità mimica, si siano evolute nell'antica commedia greca delle Dionisie del VI secolo a.C. La metamorfosi da farse popolare ed estemporanea a un vero e proprio genere teatrale si sarebbe realizzata in Sicilia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Kourion.\n### Descrizione: Kourion (dal greco Κούριον), nota con il nome latino di Curium (Plinio v. 13), era una città cipriota, che durò dall'antichità fino ai primi anni del Medioevo. Kourion è situata sulle rive a sud dell'isola ed a ovest del fiume Lycus (ora chiamato Kouris) ed è stato segnalata da numerosi autori antichi tra cui Tolomeo e Plinio il Vecchio. Oggi il sito si trova all'interno della base militare britannica di Akrotiri e Dhekelia.\n\nStoria.\nKourion si dice sia stata fondata dagli Argivi, il cui sovrano, tradì la causa del suo paese durante la guerra contro i Persiani. La città è passata attraverso diverse fasi, una ellenistica, poi l'epoca romana e cristiana. Per questo motivo la città ha una grande agorà (mercato) e una basilica paleocristiana, poste all'interno delle mura cittadine. Inoltre sono presenti grandi bagni pubblici che erano dotati di acqua fredda e calda, dalle terme, e un nympheum con una grande piscina ottagonale. Nel grande anfiteatro che può ospitare circa 2000 spettatori per lo più si sono svolti i giochi, quindi in città c'è anche una Palestra cioè il luogo di formazione per i lottatori. L'intera città ha mosaici pavimentali che si trovano principalmente nella casa di Achileas fondatore della città.\nA tre chilometri dalla città si trova il santuario di Apollo, che offre straordinari particolari di architettura corinzia. Sulla stessa posizione esiste luogo di culto per un dio bosco risalente al 6000 a.C.. Tra Kourion e il santuario di Apollo si trova lo stadio lungo circa 400 m, questo stadio può ospitare fino a 7.000 spettatori. Questa magnifica città si crede sia stata distrutta nel IV secolo quando una serie di cinque forti terremoti la colpì nell'arco di circa 80 anni, e questo avrebbe inevitabilmente portato alla sua fine.\nFu sede vescovile: si ricordano due vescovi, vissuti nel V e nell'XI secolo.\n\nVoci correlate.\nKition.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Kourion.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Kourion, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Kunée.\n### Descrizione: La kunée (ἡ Ἄϊδος κυνέη o κυνῆ), conosciuta anche come Elmo di Ade o Elmo dell'oscurità, è un copricapo magico presente nella mitologia Greca in grado di rendere invisibile chiunque lo indossi. Secondo il mito, l'elmo venne fabbricato dai ciclopi con pelle di cane (kúon) e dato in dono ad Ade, assieme al tridente per Poseidone e alla folgore per Zeus, in occasione della guerra contro i Titani. Con l'aiuto dell'elmo Ade si introdusse nottetempo nell'accampamento nemico e distrusse le armi dei Titani, gesto che assicurò a Zeus e ai suoi fratelli la vittoria. Nella mitologia il kunée, oltre che dallo stesso Ade, venne utilizzato anche dalla dea Atena nell'Iliade, da Ermes nella Biblioteca e da Perseo che sfruttò il potere del copricapo per sconfiggere Medusa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: L'Orfeo.\n### Descrizione: L'Orfeo (SV 318) è un'opera di Claudio Monteverdi su libretto di Alessandro Striggio.\nSi compone di un prologo («Prosopopea della musica») e cinque atti.\nÈ ascrivibile al tardo Rinascimento o all'inizio del Barocco musicale, ed è considerata il primo vero capolavoro della storia del melodramma, poiché impiega tutte le risorse fino ad allora concepite nell'arte musicale, con un uso particolarmente audace della polifonia.\nBasata sul mito greco di Orfeo, parla della sua discesa all'Ade, e del suo tentativo infruttuoso di riportare la sua defunta sposa Euridice alla vita terrena. Composta nel 1607 per essere eseguita alla corte di Mantova nel periodo carnevalesco, L'Orfeo è uno dei più antichi Drammi per musica a essere tuttora rappresentati regolarmente.\nDopo l'anteprima, avvenuta all'Accademia degli Invaghiti di Mantova il 22 febbraio 1607 (con il tenore Francesco Rasi nel ruolo del titolo), la prima è stata il 24 febbraio al Palazzo Ducale di Mantova. In seguito il lavoro fu eseguito nuovamente, anche in altre città italiane, negli anni immediatamente successivi. Lo spartito venne pubblicato da Monteverdi nel 1609 e, nuovamente, nel 1615.\nIn seguito alla morte del compositore (1643), dopo la prima del 1647 al Palazzo del Louvre di Parigi il lavoro non venne più interpretato, e cadde nell'oblio.\nSi ebbe un revival nel tardo XIX secolo, dovuto ad alcune edizioni e rappresentazioni moderne. All'inizio si trattava di esecuzioni in forma di concerto, senza parte scenica, organizzate da istituti e società musicali.\nNel 1904 viene eseguito in concerto nel Conservatoire de Paris diretto da Vincent d'Indy nella versione francese e nel 1909 in concerto nel Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano nella revisione di Giacomo Orefice.\nMa a partire dalle prime messa in scena (la prima al Teatro La Fenice di Venezia nel 1910 diretta da Guido Carlo Visconti di Modrone con Giuseppe Kaschmann, portata anche al Teatro Comunale di Bologna, la prima al Grand Théâtre de Monte Carlo con Elvira de Hidalgo, a Parigi nel 1911, la première negli Stati Uniti al Metropolitan Opera House di New York del 1912 e la prima al Teatro San Carlo di Napoli del 1920), il lavoro iniziò a trovare posto nei teatri d'opera.\nNel Regno Unito la première è stata in concerto all'Institut français di Londra nel 1924.\nAl Teatro dell'Opera di Roma la prima è nel 1934 diretta da Tullio Serafin con Gabriella Gatti, Cloe Elmo, Alessio De Paolis e Benvenuto Franci, al Teatro alla Scala di Milano nel 1935 diretta da Gino Marinuzzi (1882-1945) nella revisione di Ottorino Respighi, al Teatro Verdi (Trieste) nel 1943 diretta da Franco Capuana, nel Teatro Comunale di Firenze nel 1949 diretta da Antonio Guarnieri con Miriam Pirazzini, Fedora Barbieri, Petre Munteanu, Rolando Panerai, Giulio Neri e Mario Petri (alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana Luigi Einaudi), nel Giardino di Boboli nel 1959 con Giuseppe Valdengo, nel 1968 nel George Square Theatre di Edimburgo per l'Edinburgh University Opera Club e nel Palazzo Ducale di Venezia con Oralia Domínguez, Franca Mattiucci e Ruggero Raimondi, nel 1971 al Festival di Salisburgo con Giorgio Zancanaro e i Wiener Philharmoniker e nel 1984 nel Palazzo Vecchio diretta da Roger Norrington e nel Palazzo Pitti con Gloria Banditelli e Angelo Nosotti.\nDopo la seconda guerra mondiale, le nuove versioni dell'opera iniziarono a presentare l'uso di strumenti d'epoca, per perseguire l'obiettivo di una maggiore autenticità. Vennero quindi pubblicate molte nuove registrazioni e L'Orfeo divenne via via sempre più popolare.\nNel 2007 il quarto centenario della prima venne celebrato con numerose rappresentazioni in tutto il mondo.\nNel 2009 va in scena alla Scala diretta da Rinaldo Alessandrini con Roberta Invernizzi, Sara Mingardo e Robert Wilson, di cui esiste un video trasmesso da Rai 5.\nNella partitura pubblicata Monteverdi elenca circa 41 strumenti da impiegare nell'esecuzione. Lo spartito include (oltre a monodie a una, due o tre voci con basso non cifrato, cori a cinque voci con basso non cifrato, ecc.) pezzi per cinque, sette o otto parti, nelle quali gli strumenti da utilizzare sono a volte citati (ad esempio: «Questo ritornello fu suonato di dentro da un clavicembalo, duoi chitarroni e duoi violini piccoli alla francese»).\nTuttavia, nonostante le indicazioni sulla partitura, ai musicisti dell'epoca era concessa una notevole libertà di improvvisare (questa permissività non si riscontra nei lavori più maturi di Monteverdi). Pertanto ogni rappresentazione dell'Orfeo è differente dalle altre, oltre che unica e irripetibile.\n\nSfondo storico.\nClaudio Monteverdi, nato a Cremona nel 1567, era un bambino prodigio che studiò con Marc'Antonio Ingegneri, il maestro di cappella della Cattedrale cittadina. Dopo aver studiato canto, composizione musicale e strumenti ad arco, Monteverdi lavorò come musicista a Verona e a Milano finché, nel 1590 o nel 1591, ottenne il posto di suonatore di vivuola (viola) alla corte di Vincenzo I Gonzaga a Mantova. Grazie alle sue doti e al duro lavoro, Monteverdi ottenne il posto di maestro della musica dei Gonzaga (nel 1601)La passione di Vincenzo Gonzaga per il teatro musicale crebbe grazie ai suoi legami familiari con la corte di Firenze. Verso la fine del XVI secolo, infatti, i musicisti fiorentini più innovativi stavano sviluppando l'intermedio—una forma musicale stabilita da tempo come un interludio inserito tra gli atti dei drammi parlati— reideandolo in forme più innovative. Guidati da Jacopo Corsi, questi successori della celebre Camerata Fiorentina diedero vita al primo lavoro appartenente al genere melodrammatico: Dafne, composta da Corsi e Jacopo Peri, eseguita per la prima volta a Firenze nel 1598. Questo lavoro unisce in sé elementi canori madrigalistici e monodici, oltre a passi strumentali e coreografici, col fine di stabilire un unicum drammatico. Di quest'opera ci restano solo dei frammenti.\nTuttavia, altri lavori fiorentini dello stesso periodo (tra cui la Rappresentatione di Anima, et di Corpo di Emilio de' Cavalieri, L'Euridice di Peri e quella di Giulio Caccini) sono giunti interamente fino a noi. In particolare, queste ultime due opere furono le prime dedicate al mito di Orfeo (tratto dalle Metamorfosi di Ovidio), tema che ispirerà i compositori di epoche successive fino al giorno d'oggi. In questo, furono diretti precursori de L'Orfeo di Monteverdi.La corte dei Gonzaga era da tempo celebre per il mecenatismo nei confronti dell'arte teatrale. Un secolo prima dell'epoca di Vincenzo Gonzaga, si rappresentò a corte il dramma lirico di Angelo Poliziano La favola di Orfeo. Circa la metà di questo lavoro era cantata invece che parlata.\nIn seguito, nel 1598, Monteverdi aiutò la compagnia musicale di corte a mettere in scena il dramma Il pastor fido di Giovanni Battista Guarini. Mark Ringer, storico del teatro, descrive questo come un 'lavoro teatrale spartiacque' che ispirò la moda italiana del dramma pastorale. Il 6 ottobre 1600, durante una visita a Firenze per il matrimonio tra Maria de' Medici ed Enrico IV di Francia, il duca Vincenzo assistette a una rappresentazione dell'Euridice di Peri. È probabile che allo spettacolo fossero presenti anche i musicisti più importanti del duca, tra cui Monteverdi. Il duca si rese subito conto dell'originalità di questa nuova forma di intrattenimento drammatico, e del prestigio che avrebbe conferito a chi l'avesse patrocinata.\n\nCreazione.\nLibretto.\nTra gli spettatori della messa in scena dell'Euridice, nell'ottobre del 1600, c'era anche un giovane avvocato e diplomatico della corte dei Gonzaga, Alessandro Striggio, figlio del famoso compositore Alessandro Striggio il vecchio.\nAnche il giovane Striggio era un abile musicista. Nel 1589 (a 16 anni), aveva suonato la viola alla cerimonia nuziale di Ferdinando di Toscana. Assieme ai due figli più giovani del duca Vincenzo (Francesco e Fernandino), era membro dell'esclusivo circolo intellettuale mantovano: l'Accademia degli Invaghiti, che rappresentava un importante trampolino di lancio per le opere teatrali della città.Non si sa esattamente quando Striggio abbia iniziato la stesura del libretto, ma il lavoro era evidentemente già avviato nel gennaio del 1607.\nIn una lettera scritta il 5 gennaio, Francesco Gonzaga chiede a suo fratello (all'epoca vicino agli ambienti della corte fiorentina) di fargli ottenere i servigi di un abile cantante castrato (quest'ultimo impiegato nella compagnia musicale del granduca), per la rappresentazione di un dramma per musica da eseguirsi durante il carnevale mantovano.Le fonti principali impiegate da Striggio per la scrittura del libretto furono il decimo e l'undicesimo libro dalle Metamorfosi di Ovidio, e il quarto libro dalle Georgiche di Virgilio. Questi documenti gli fornirono il materiale di partenza, ma non suggerivano già la forma di un dramma completo (per esempio: i fatti narrati negli atti 1 e 2 de l'Orfeo occupano appena tredici righe nelle Metamorfosi).Cercando di creare una struttura drammatica efficace, Striggio attinse da altre fonti: il lavoro di Poliziano Fabula di Orfeo del 1480, il pastor fido di Guarini e il libretto di Ottavio Rinuccini per l'Euridice di Peri.Il musicologo Gary Tomlinson sottolinea le numerose similarità tra i testi di Striggio e Rinuccini, evidenziando che alcuni dei discorsi contenuti ne L'Orfeo rassomigliano, come contenuto e come stile letterario, ad alcuni corrispettivi ne l'Euridice.La critica Barbara Russano Hanning fa notare come i versi di Striggio siano meno raffinati di quelli di Rinuccini, nonostante la struttura del libretto scritto da Striggio sia più interessante.Nel suo lavoro Rinuccini fu obbligato a inserire un lieto fine (il melodramma era stato pensato per le festività legate alle nozze di Maria de' Medici). Striggio, invece, che non scriveva per una cerimonia di corte ufficiale, poté attenersi di più alla conclusione originale del mito, in cui Orfeo è ucciso e smembrato dalle Menadi (dette anche Baccanti) iraconde. Scelse infatti di scrivere una versione mitigata di questo finale cruento: le Menadi minacciano di distruggere Orfeo, ma il suo vero destino, alla fine, non viene mostrato.Il musicologo Nino Pirrotta, invece, sostiene che il finale con Apollo facesse già parte della pianificazione originale della messa in scena, ma che alla prima non fosse stato messo in atto.\nCiò sarebbe avvenuto, secondo la spiegazione di Pirrotta, poiché la piccola stanza che ospitò l'evento non era in grado di contenere gli ingombranti macchinari teatrali richiesti da questa conclusione.\nQuella delle Menadi, secondo questa teoria, non sarebbe altro che una scena sostitutiva. Le intenzioni del compositore vennero ristabilite al momento della pubblicazione dello spartito.\nRecentemente la spiegazione di Pirrotta è stata messa in discussione: l’espressione «sopra angusta scena» che si legge nella lettera di dedica di Claudio Monteverdi non indicherebbe uno spazio piccolo per la rappresentazione, ma sarebbe da opporre al «gran teatro dell’universo», cioè al più vasto pubblico raggiungibile dal compositore dopo la pubblicazione a stampa della partitura.Il libretto edito a Mantova nel 1607 (in concomitanza con la prima) presenta la conclusione ambigua ideata da Striggio. Tuttavia lo spartito monteverdiano, pubblicato a Venezia nel 1609 da Ricciardo Amadino, termina in maniera del tutto diversa, con Orfeo che ascende al cielo grazie all'intercessione di Apollo.Secondo Ringer, il finale originale di Striggio fu quasi di sicuro impiegato alla prima de l'Orfeo, ma indubbiamente (a dire del critico) Monteverdi ritenne che la nuova conclusione (quella dell'edizione dello spartito) fosse esteticamente corretta.\n\nComposizione.\nQuando Monteverdi scrisse la musica per L'Orfeo, possedeva già un'approfondita preparazione nell'ambito della musica per teatro. Aveva infatti lavorato alla corte dei Gonzaga per sedici anni, nel corso dei quali si era occupato di varie musiche di scena (in qualità sia di interprete che di arrangiatore).\nNel 1604, per giunta, aveva scritto il ballo Gli amori di Diana ed Endimone (per il carnevale mantovano del 1604–05). Gli elementi da cui egli attinse per comporre la sua prima opera di stampo melodrammatico — l'Aria, l'Aria strofica, il recitativo, i cori, le danze, gli interludi musicali— non furono, come sottolineato dal direttore d'orchestra Nikolaus Harnoncourt, creati ex-novo da Monteverdi, ma fu lui che 'amalgamò l'insieme delle vecchie e nuove possibilità, creando un unicum veramente moderno'. Il musicologo Robert Donington scrive al riguardo: 'Lo spartito non contiene elementi che non siano basati su altri già ideati in precedenza, ma raggiunge la completa maturità in questa forma artistica appena sviluppata... Vi si trovano parole espresse in musica come [i pionieri dell'opera] volevano fossero espresse; vi è musica che le esprime... con l'ispirazione totale del Genio'Monteverdi pone i requisiti orchestrali all'inizio della partitura pubblicata ma, in conformità con la pratica del tempo, non ne specifica l'utilizzo esatto. A quell'epoca, infatti, era normale consentire a ogni interprete di fare scelte proprie, basate sulla manodopera orchestrale di cui disponeva.\nQuest'ultimo parametro poteva variare considerevolmente da un luogo a un altro. Inoltre, come fa notare Harnoncourt, gli strumentisti sarebbero stati tutti compositori e si sarebbero aspettati di collaborare creativamente a ogni esecuzione, piuttosto che eseguire alla lettera ciò che era scritto sullo spartito. Un'altra pratica in voga era quella di permettere ai cantanti di abbellire le proprie arie.\nMonteverdi, di alcune arie (come 'Possente spirito' da l'Orfeo), scrisse sia la versione semplice sia quella abbellita, ma secondo Harnoncourt 'è ovvio che dove non scrisse abbellimenti non voleva che essi venissero eseguiti'.Ogni atto dell'opera è collegato a un singolo elemento della storia, e si conclude con un coro. Nonostante la struttura in cinque atti, con due cambi di scenografia richiesti, è probabile che la rappresentazione de l'Orfeo abbia seguito la prassi in uso per gli spettacoli d'intrattenimento a corte, ovvero fu eseguito come un continuum, senza intervalli o calate di sipario tra i vari atti.\nErano difatti in uso, all'epoca, i cambi di scenografia visibili agli occhi degli spettatori, e quest'abitudine si riflette nelle modifiche dell'organico strumentale, della tonalità e dello stile che si riscontrano nella partitura dell'Orfeo.\n\nOrganico strumentale.\nPer opere famose l'analisi, la studiosa Jane Glover divide gli strumenti richiesti da Monteverdi in tre gruppi principali: archi, ottoni e basso continuo, con alcuni elementi non facilmente classificabili. La sezione degli archi è formata da dieci membri della famiglia dei violini (viole da brazzo), due contrabbassi (contrabassi de viola), e due violini piccoli (violini piccoli alla francese). Le viole da brazzo sono suddivise in due insiemi da cinque elementi, ognuno dei quali comprende due violini, due viole e un violoncello. Il gruppo degli ottoni contiene quattro o cinque tromboni, tre trombe e due cornetti. Gli strumenti che fungono da basso continuo sono: due clavicembali (duoi gravicembani), un'arpa doppia, due o tre chitarroni, due organi (che suonano con il registro di Flauto e Regale), tre viole da gamba. Al di fuori di questi gruppi vi sono due flauti dolci (flautini alla vigesima secunda), e probabilmente anche alcune cetere (strumenti non citati direttamente da Monteverdi, ma inclusi nelle istruzioni riguardanti la fine dell'atto quarto).I due mondi ritratti nell'opera sono simboleggiati distintamente con un particolare uso della strumentazione: l'ambiente pastorale dei campi della Tracia è rappresentato da archi, clavicembali, arpa, organi, flauti dolci e chitarroni, mentre gli altri strumenti (principalmente gli ottoni) sono associati agli Inferi (non si tratta comunque di una distinzione assoluta, poiché gli archi appaiono più volte anche nelle scene ambientate nell'Ade). Data questa come impostazione generale, alcuni personaggi principali sono accompagnati da specifici strumenti (o combinazioni di essi). Ad esempio: Orfeo canta spesso sostenuto da arpa e organo, i pastori da clavicembalo e chitarrone, gli dei dell'Aldilà da tromboni e organo. Tutte queste specifiche caratterizzazioni musicali erano in linea con le tradizioni (di vecchia data) dell'orchestra Ellenistica (a cui l'organico de l'Orfeo è assimilabile).Monteverdi richiede ai suoi strumentisti di suonare il lavoro il più semplicemente e correttamente possibile, evitando passaggi fioriti o frettolosi. Gli interpreti di strumenti a carattere ornamentativo (come flauto e archi), erano tenuti a suonare nobilmente e con grande inventiva e varietà, senza però eccedere in questo atteggiamento (per evitare di far sentire solo caos e confusione, condizioni che infastidiscono l'ascoltatore). Visto che gli strumenti non sono mai suonati tutti contemporaneamente, il loro numero è maggiore del numero dei musicisti strettamente necessari.\nHarnoncourt afferma che, ai tempi di Monteverdi, il numero di strumentisti e cantanti assieme e le piccole sale adibite ad accogliere la rappresentazione, fecero spesso sì che la quantità degli spettatori stentasse a superare quella degli interpreti.\n\nRuoli.\nTra i personaggi elencati nello spartito del 1609, Monteverdi omette inspiegabilmente La messaggera. Indica, inoltre, che il coro finale di pastori (i quali, al termine dell'opera, cantano la moresca, ovvero la danza che simula il combattimento tra cristiani e mori) debba essere costituito da un gruppo separato (che fecero la moresca nel fine).Non si hanno molte informazioni riguardo ai primi cantanti de l'Orfeo. Una lettera pubblicata a Mantova nel 1612 riporta che l'illustre tenore e compositore Francesco Rasi prese parte allo spettacolo, e viene generalmente dato per assunto che ricoprì il ruolo di Orfeo. Rasi era in grado di cantare sia nel registro tenorile sia in quello basso, con stile raffinato e straordinaria espressività.Una corrispondenza epistolare tra i principi Gonzaga conferma che, per la prima, venne contattato anche il castrato fiorentino Giovanni Gualberto Magli. Magli cantò nel prologo e nella parte di Proserpina. Probabilmente vestì anche i panni di un altro personaggio (forse la Messaggera o la Speranza). Lo storico e musicologo Hans Redlich, riporta erroneamente Magli come primo interprete di Orfeo.In una lettera al duca Vincenzo, inoltre, è possibile rintracciare un indizio che potrebbe ricondurre alla persona cui venne affidato il ruolo di Euridice: viene infatti indicata come quel piccolo prete che recitò il ruolo di Euridice nell'Orfeo del Principe Serenissimo. Si trattava presumibilmente di Padre Girolamo Bacchini, castrato che ebbe contatti con la corte mantovana nei primi anni del XVII secolo. Tim Cater, studioso di Monteverdi, ipotizza che i due tenori mantovani più celebri dell'epoca (Pandolfo Grande e Francesco Campagnola) potrebbero aver partecipato alla prima in ruoli secondari.Vi sono parti solistiche per quattro pastori e tre spiriti. Carter calcola che, attraverso il cosiddetto raddoppio dei ruoli permesso dal testo, si fosse presentata la necessità di avere dieci cantanti - tre soprani, due contralti, tre tenori e due bassi. Anche i solisti (con l'eccezione di Orfeo), contribuivano a rinforzare il gruppo corale. I ruoli raddoppiati suggeriti da Carter includono La musica assieme a Euridice, la Ninfa insieme a Proserpina e La messaggera con la Speranza.\n\nSintesi.\nLa recitazione ha luogo in due posti contrastanti: i campi della Tracia (negli Atti 1, 2 e 5) e nell'Oltretomba (negli Atti 3 e 4). Una Toccata strumentale (una fioritura di trombe) l'entrata della Musica, rappresentante lo 'spirito della musica', che canta un prologo di cinque stanze di versi. Dopo un caloroso invito all'ascolto, La Musica dà prova delle sue abilità e talenti, dichiarando:Detto ciò, canta un inno di lode al potere della musica, prima di introdurre il protagonista dell'opera, Orfeo, capace di incantare le belve selvatiche con la sua musica.\n\nAtto Primo.\nDopo la richiesta di silenzio dell'allegoria della Musica, il sipario si apre sul Primo Atto per rivelare una scena bucolica. Orfeo ed Euridice entrano insieme con un coro di ninfe e pastori, che recitano alla maniera del Coro greco antico, entrambi cantando a gruppi e individualmente. Un pastore annuncia che è il giorno di matrimonio della coppia; il coro risponde inizialmente con una maestosa invocazione ('Vieni, Imeneo, deh vieni') e successivamente con una gioiosa danza ('Lasciate i monti, lasciate i fonti'). Orfeo ed Euridice cantano del loro reciproco amore prima di lasciarsi con tutto il gruppo della cerimonia matrimoniale nel tempio. Quelli rimasti sulla scena cantano un breve coro, commentando su Orfeo:.\n\nAtto Secondo.\nOrfeo ritorna in scena con il coro principale, elogiando le bellezze della natura. Orfeo medita poi sul suo precedente stato di infelicità, proclamando:.\n\nQuesta atmosfera di gioia ha termine con l'ingresso della Messaggera, che comunica che Euridice è stata colpita dal fatale morso di un serpente nell'atto di raccogliere dei fiori. Mentre la Messaggera si punisce, definendosi come colei che genera cattive situazioni, il coro esprime la sua angoscia. Orfeo, dopo avere espresso il proprio dolore e l'incredulità per quanto accaduto, comunica l'intenzione di scendere nell'Aldilà e persuadere Plutone a fare resuscitare Euridice.\n\nAtto Terzo.\nOrfeo viene guidato da Speranza alle porte dell'Inferno. Dopo avere letto le iscrizioni sul cancello ('Lasciate ogni speranza, ò voi ch'entrate.'), Speranza esce di scena. Orfeo deve ora confrontarsi con il traghettatore Caronte, che si rifiuta ingiustamente di portarlo attraverso il fiume Stige. Orfeo prova dunque a convincere Caronte cantandogli invano un motivo lusinghiero. In seguito, Orfeo prende la sua lira, incantando il traghettatore Caronte, che piomba in uno stato di sonno profondo. Orfeo prende poi il controllo della barca, entrando nell'Aldilà, mentre un coro di spiriti riflette sul fatto che la natura non può difendersi dall'uomo.\n\nAtto Quarto.\nNell'Aldilà, Proserpina, regina degli Inferi, viene incantata dalla voce di Orfeo, supplicando Plutone di riportare Euridice in vita. Il re dell'Ade viene convinto dalle suppliche della moglie, a condizione che Orfeo non guardi mai Euridice nel ritorno sulla terraferma, cosa che la farebbe scomparire nuovamente per l'eternità. Euridice entra in scena al seguito di Orfeo, che promette che in quello stesso giorno egli giacerà sul bianco petto della moglie. Tuttavia, un dubbio comincia a sorgergli nella mente, convincendosi che Plutone, mosso dall'invidia, lo abbia ingannato. Orfeo, spinto dalla commozione, si gira distrattamente, mentre l'immagine di Euridice comincia lentamente a scomparire. Orfeo prova dunque a seguirla, ma viene attratto da una forza sconosciuta. Orfeo è spinto dalle proprie passioni a infrangere il patto con Plutone.\n\nAtto Quinto.\nTornato nei campi della Tracia, Orfeo tiene un lungo monologo in cui lamenta la sua perdita, celebra la bellezza di Euridice e decide che il suo cuore non sarà mai più trafitto dalla freccia di Cupido. Un'eco fuori scena ripete le sue frasi finali. Improvvisamente, in una nuvola, Apollo scende dal cielo e lo castiga: 'Perch'a lo sdegno ed al dolor in preda così ti doni, o figlio?'. Invita Orfeo a lasciare il mondo e a unirsi a lui nei cieli, dove riconoscerà la somiglianza di Euridice nelle stelle. Orfeo risponde che sarebbe indegno non seguire il consiglio di un padre così saggio, e insieme salgono. Un coro di pastori conclude che 'chi semina fra doglie, d'ogni grazia il frutto coglie', prima che l'opera si concluda con una vigorosa moresca.\n\nCD.\nL'Orfeo - John Eliot Gardiner/Anne Sofie von Otter/Nancy Argenta/Anthony Rolfe-Johnson, 1987 Archiv Produktion.\nL'Orfeo - Michel Corboz/Orchestre de l'Opéra de Lyon/Gino Quilico, 1986 Erato.\nL'Orfeo - Charles Medlam/London Baroque/Nigel Rogers, 1984 EMI/Warner.\nL'Orfeo - Alessandro Carmignani/Carlo Lepore/Marinella Pennicchi/Patrizia Vaccari/Gastone Sarti/Rosita Frisani/Giovanni Pentasuglia/San Petronio Cappella Musicale Orchestra/Sergio Vartolo, 1997 Naxos.\nL'Orfeo - René Jacobs/Bernarda Fink/Jennifer Larmore, 1995 Harmonia Mundi.\nL'Orfeo - Gabriel Garrido/Ensemble Elyma/Victor Torres/Gloria Banditelli/Maria Cristina Kiehr/Roberta Invernizzi/Furio Zanasi/Adriana Fernandez/ k617 - le Chemins du baroque 1996.\nL'Orfeo - Emmanuelle Haïm/Le Concert d'Astrée/Ian Bostridge/Natalie Dessay/Patrizia Ciofi, 2004 Virgin.\nL'Orfeo - Ensemble San Felice, Federico Bardazzi, Bongiovanni 2021.\n\nDVD.\nOrfeo - Harnoncourt/Huttenlocher/Linos, regia di Jean-Pierre Ponnelle, 1978 Deutsche Grammophon.\nL'orfeo - Alessandrini/Nigl/Invernizzi/Mingardo/Donato/Milanesi, Robert Wilson (regista), 2009 Opus Arte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: L'anima del filosofo.\n### Descrizione: L'anima del filosofo, ossia Orfeo ed Euridice è un'opera lirica in quattro atti di Franz Joseph Haydn scritta nel 1791 su libretto di Carlo Francesco Badini. Fu rappresentata postuma al Teatro della Pergola di Firenze il 9 giugno 1951.\n\nStoria.\nL'opera fu pagata in anticipo ad Haydn, per sua fortuna, da parte dell'impresario John Gallini per convincerlo a trasferirsi a Londra per comporre opere per un nuovo teatro, il ricostruito King's Theatre, sostenuto come mecenate, dal Principe di Galles del momento, futuro Giorgio IV.\nPer comporre l'opera gli fu dato un libretto di Carlo Francesco Badini dal titolo L'anima del filosofo. L'opera era una riscrittura del mito di Orfeo, con enormi differenze testuali e musicali rispetto all'opera di Gluck (Orfeo ed Euridice, Vienna 1762), che Haydn ben conosceva avendola diretta più volte.\nLa prima fu programmata il 31 maggio 1791, ma a causa di contrasti tra re Giorgio III e il Principe di Galles venne sospesa.\nLa prima rappresentazione venne data solo nel 1951, sotto la direzione di Erich Kleiber, con Maria Callas nel ruolo di Euridice, il tenore Thyge Thygesen in quello di Orfeo ed il basso Boris Christoff in quello di Creonte.\nNon va dimenticata la versione messa in scena al famoso Theater an der Wien (Vienna) cantato da Joan Sutherland e Nicolai Gedda, diretta Richard Bonynge durante gli anni '60.\nDella coppia Sutherland-Gedda con Bonynge esiste anche una incisione dalla prima nel Regno Unito al Festival di Edimburgo del 1967.\nIl fragile libretto è curiosa rivisitazione del soggetto di Orfeo ed Euridice che poco ha a che vedere col mito originario e nulla con la versione neoclassica di Calzabigi per Gluck. Badini introdusse i personaggi di Creonte e Arideo e i critici si pongono forti interrogativi sul significato del titolo che fa riferimento al filosofo, in special modo legato alla storia personale di Badini che fra l'altro tradusse in italiano Blaise Pascal. Alcuni ipotizzano la presenza di un quinto atto andato perduto, dove si ipotizza il rovesciamento dei termini nella conclusione dell'opera.\nMusicalmente l'opera è ricca di magnifiche arie di bravura e cori di eccellente fattura e appartiene in tutto alla tradizione dell'opera seria arricchita, rispetto alle opere precedenti di Haydn, dal denso stile orchestrale dell'ultima fase compositiva del musicista.\nHaydn in quest'opera ha messo in evidenza e concertato ottimi ensemble fra i protagonisti, con duetti e cori a quattro voci, che preludono la sua maestria nello scrivere pezzi a più voci di musica sacra.\nL'aria più toccante dell'opera è considerata Del mio core cantata da Euridice in punto di morte.\n\nDiscografia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: La bella Elena.\n### Descrizione: La bella Elena (titolo originale La belle Hélène) è un'operetta francese in tre atti di Jacques Offenbach ed il libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy.\n\nL'opera.\nLa prima assoluta è stata data con successo al Théâtre des Variétés di Parigi il 17 dicembre 1864 con il soprano Hortense Schneider, José Dupuis, Jean-Laurent Kopp, Pierre-Eugène Grenier ed Alexandre Guyon diretti dal compositore.\nAttraverso la scena una vicenda mitologica, rappresenta una satira sociale dell'epoca di composizione, in particolar modo dei rapporti di coppia. Il protagonista maschile è Paride (in francese 'Pâris') che riesce ad ottenere con l'aiuto degli dei una notte d'amore con la bella Elena di Troia, moglie di Menelao, che proprio per questo affronto scatenerà la guerra di Troia.\n\nDiscografia parziale.\nLa Belle Hélène - Marc Minkowski/Choeur des Musiciens du Louvre/Les Musiciens Du Louvre-Grenoble/Felicity Lott, 2001 Erato/Warner (andata in scena al Théâtre du Châtelet nel 2000).\nLa Belle Hélène - Michel Plasson/Choeur et Orchestre du Capitole de Tolosa/Jessye Norman/John Aler/Charles Burles/Gabriel Bacquier/Colette Alliot-Lugaz/Jacques Loreau/Roger Trentin/Gérard Desroches/Nicole Carreras/Adam Levallier, 1984 EMI.\n\nDVD parziale.\nLa belle Hélène - Marc Minkowski/Choeur des Musiciens du Louvre/Les Musiciens Du Louvre-Grenoble/Felicity Lott, 2001 Arthaus/Naxos (andata in scena al Théâtre du Châtelet nel 2000).\nLa belle Hélène - Jennifer Larmore/Jun-Sang Han/Peter Galliard, Opera di Amburgo 2014 C Major/Naxos.\nLa belle Hélène - Nikolaus Harnoncourt/Carlos Chausson/Deon van der Walt/Vesselina Kasarova, Opernhaus Zürich, 1997 Arthaus.\n\nVoci correlate.\nPere alla bella Elena.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su La bella Elena.\n\nCollegamenti esterni.\nLibretto in italiano, dal Fondo Ghisi Archiviato il 29 giugno 2013 in Internet Archive. della Facoltà di Musicologia dell'Università di Pavia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: La canzone di Achille.\n### Descrizione: La canzone di Achille (The Song of Achilles) è il romanzo di esordio di Madeline Miller, premiato con l'Orange Prize nel 2012. Il romanzo ripercorre la storia di Achille e Patroclo, dall'esilio di Patroclo adolescente all'incontro con Achille, per poi narrare l'addestramento dei due con il centauro Chirone, l'amore che nasce tra i due principi, la guerra di Troia e infine la morte e il successivo incontro nell'Ade dei due eroi.\n\nTrama.\nPatroclo è un bambino gracile e non adatto al combattimento, un fatto che lo rende poco amato dal padre, il re Menezio di Opunte. Ancora bambino, Patroclo viene portato dal padre a Sparta come pretendente alla mano di Elena, ma la fanciulla sceglie invece di sposare Menelao; insieme agli altri numerosi pretendenti, il giovane Patroclo giura di rispettare la scelta di Elena e di difendere i diritti dello sposo voluto dalla giovane, seguendo il suggerimento di Odisseo, re di Itaca. Al suo ritorno in patria, Patroclo si macchia però di un delitto, uccidendo per sbaglio un giovanissimo aristocratico che aveva tentato di rubargli dei dadi. Menezio allora decide di punire il figlio spogliandolo del titolo di principe e del suo patronimico e spedendolo a Ftia, dove crescerà con gli orfani e gli esuli sotto la protezione di Peleo.\nQui Patroclo fatica a integrarsi con gli altri esuli e continua ad essere ossessionato da visioni del ragazzino che ha ucciso, finché non entra nelle grazie di Achille, il figlio di Peleo e anche suo coetaneo che, nonostante abbia appena dieci anni, dimostra delle doti e una bellezza straordinarie, che tradiscono la sua natura semidivina, in quanto sua madre è la ninfa Teti. Sorprendendo tutti, compresi Peleo e lo stesso Patroclo, Achille sceglie il principe esiliato come compagno prediletto e i due stringono velocemente una profonda amicizia, oscurata solo da Teti, che disapprova la scelta del figlio. Passano gli anni e il rapporto tra Achille e Patroclo si fa sempre più profondo, si rafforza e, alle soglie dell'adolescenza, i due arrivano a baciarsi; subito Achille fugge, lasciando Patroclo in preda allo sconforto, una condizione esacerbata dalla partenza del principe di Ftia, mandato dal centauro Chirone, maestro di tanti eroi, per affinare la sua preparazione. Patroclo si mette sulle tracce dell'amico e a breve lo trova, anche perché Achille non è mai giunto dal centauro e ha preferito invece restare indietro per aspettare il compagno. Chirone li accetta entrambi come suoi studenti e per loro cominciano anni molto felici lontani dalla corte e dalla minacciosa figura di Teti: Achille continua ad addestrarsi all'arte della guerra, mentre Patroclo comincia ad avvicinarsi alla medicina. Superati i sedici anni, i due giovani riescono finalmente a confessare i propri sentimenti l'uno per l'altro e a consumare per la prima volta il loro amore.\nPatroclo salpa verso l'isola, dove viene accolto dalla principessa Deidamia, la figlia del re Licomede, e ritrova l'amato Achille, che Teti ha fatto vestire da donna affinché i messi di Agamennone non lo trovassero. La gioia di Patroclo nel rivedere Achille è guastata dalla scoperta che il principe ha giaciuto con Deidamia, che ora aspetta un figlio da lui, ma questi gli spiega che è stata Teti a costringerlo ad avere rapporti con la principessa, dopo avergli promesso che se lui l'avesse messa incinta lei avrebbe rivelato a Patroclo il suo nascondiglio. Superato l'imbarazzo iniziale, Patroclo ed Achille tornano ad amarsi, ma la loro felicità a Sciro dura poco: Odisseo e Diomede si recano in visita da Licomede e con un astuto stratagemma smascherano Achille, ancora travestito da fanciulla.\nOdisseo, protetto da Atena, rivela ad Achille tutta la profezia, incluso ciò che Teti aveva voluto nascondere: o Achille morirà giovane e verrà ricordato nella gloria per sempre, o invecchierà nell'indifferenza generale e il suo nome verrà dimenticato alla sua morte; Teti sapeva della profezia e per questo motivo aveva nascosto il figlio sull'isola per evitare che venisse reclutato da Agamennone. Non potendo tollerare un simile destino, Achille decide di partire per Troia, accompagnato da Patroclo, legato all'impresa dal vecchio giuramento ma soprattutto dall'amore per Achille. Dopo un ultimo viaggio a Ftia, dove Achille sceglie di non rivelare al padre della sua morte imminente, i due si uniscono all'intera flotta greca e fanno conoscenza dell'orgoglioso Agamennone. La mancanza di vento costringe però la flotta a rimanere a terra, finché Calcante non rivela che l'assenza di vento è una punizione di Artemide, disgustata da tutto il sangue che intendono versare nell'assedio di Troia. Agamennone offre la mano della figlia Ifigenia ad Achille e questi accetta, ma quando la giovane sacerdotessa avanza per incontrare lo sposo, Agamennone la sacrifica a tradimento. Questo sacrificio era il tributo richiesto da Artemide, che ora lascia che i venti soffino liberamente, permettendo quindi alla flotta di salpare per l'Asia Minore. Achille è sconvolto dalla morte della fanciulla, ma promette a Patroclo di tentare di imbrogliare il Fato: è stato profetizzato che lui morirà soltanto dopo che lui avrà ucciso Ettore, ma pensa di poter evitare il proprio destino dato che non ha alcuna intenzione di farlo.\nI greci approdano e conquistano le spiagge di fronte a Troia e già delle prime schermaglie Achille si rivela una macchina da guerra implacabile e un guerriero rapidissimo e mortale. Allestito il campo, Agamennone guida gli altri re, tra cui Achille, Odisseo, Diomede, Idomeneo ed Aiace, in diverse razzie, durante le quali catturano o rubano i primi bottini da spartirsi. Patroclo spinge Achille a reclamare per sé la giovane Briseide, volendo salvarla dagli stupri da parte dei commilitoni, e lentamente comincia a salvare altre donne, una dozzina in tutto, dalla violenza dei greci chiedendo ad Achille di reclamare le schiave catturate per sé; è invero con Briseide che stringe un'amicizia profonda e un legame affettivo unico, che quasi lo distrae dall'amore per Achille. Dopo un fallimentare negoziato, la guerra tra Greci e Troiani comincia e Patroclo si trova sul campo di battaglia ad assistere alle prodezze belliche dell'amato. Con il prolungarsi della guerra, che non accenna ad avere fine dato che i due eserciti sono perfettamente bilanciati, Patroclo combatte sempre meno, rendendosi invece molto utile nell'ospedale dell'accampamento, dove le arti imparate da Chirone gli permettono di salvare la vita a moltissimi compagni d'arme.\nPassano così otto anni dall'inizio della guerra di Troia ed Achille è riuscito ad allungarsi la vita evitando di trovarsi faccia a faccia con Ettore, il grande difensore di Troia. Lo stato di equilibrio che Patroclo e Achille sono riusciti a trovare viene però guastato da un'oscura profezia di Teti, che annuncia che 'il migliore dei Mirmidoni' morirà entro due anni e che alla sua morte seguirà quella di Ettore e dello stesso Achille. I due sono sorpresi dalla profezia, dato che essa implica che non sia Achille il migliore dei Mirmidoni. La situazione nel campo greco degenera quando Agamennone reclama per sé la giovane sacerdotessa troiana Criseide, nonostante il padre Crise, sommo sacerdote di Apollo, abbia offerto un enorme riscatto per la sua liberazione; oltraggiato, Crise chiede al suo dio di punire la tracotanza greca e la peste si abbatte sul campo acheo. Il malcontento e la paura serpeggia tra i greci e, nell'assemblea convocata, Achille interroga l'indovino Calcante, che rivela che la pestilenza è una punizione per l'oltraggio a Crise. Sentendosi sotto attacco, Agamennone, che già da anni cova risentimenti per Achille, accetta di consegnare Criseide, ma pretende che Briseide venga data a lui per punire l'orgoglio di Achille; pur furioso, il Pelide accetta che i soldati di Agamennone portino via Briseide e questo sconvolge Patroclo, che non vede più in lui i tratti che ama da oltre dieci anni. Approfittando di un colloquio privato tra Achille e Teti, Patroclo si reca da Agamennone e, con un giuramento di sangue, tradisce l'amato rivelando le sue intenzioni: Achille ha lasciato che Agamennone prendesse Briseide solo perché sa che se il re miceneo violentasse la schiava l'affronto all'onore di Achille giustificherebbe davanti agli altri la di lui violenta e sanguinosa vendetta. Agamennone si rende conto della situazione e accetta di non toccare Briseide, che però non consegnerà finché Achille non lo supplicherà in ginocchio.\nAchille è ferito dal tradimento di Patroclo, ma finisce per capire le sue ragioni e fa pace con lui; tuttavia, pur rinunciando alla vendetta contro Agamennone, decide di non combattere più per lui e di rimanere nella tenda con Patroclo lasciando l'esercito greco al suo destino. Il piano è appoggiato da Teti, che ha chiesto e ottenuto da Zeus la vittoria dei troiani finché Agamennone non chiederà perdono al figlio. L'esercito greco comincia a quindi a perdere una battaglia dopo l'altra ed è costretto a ritirarsi sulla spiaggia, mentre i troiani, guidati da Ettore e ora anche da Sarpedonte, li incalzano e minacciano il loro accampamento e la loro flotta. Nonostante Agamennone offra ricchi doni e la restituzione di Briseide, Achille rifiuta di tornare in campo finché il re miceneo non gli chiederà perdono personalmente e in ginocchio. Fenice, il vecchio tutore di Achille, prova a farlo ragionare raccontandogli la storia di Meleagro, che rifiutò di combattere per la sua città perché i suoi abitanti ne avevano messo in dubbio l'onore: Meleagro accettò di tornare sul campo di battaglia solo dopo le suppliche dell'amata Cleopatra, ma anche se l'eroe portò i suoi uomini alla vittoria, la sua tardiva entrata in battaglia aveva ormai causato la morte di troppi cittadini e la gloria dell'impresa fu offuscata dall'ignominia della sua inazione precedente. Ma Achille, seppur combattuto, ha troppa paura di perdere il suo onore, quello che sa essere la sua unica eredità data la morte imminente e non vuole sentire ragioni. Patroclo, commosso dalla morte dei loro commilitoni, supplica Achille di lasciarlo andare in guerra indossando la sua armatura, perché sa che l'apparizione di Achille (vero o presunto) darebbe energia ai Greci e getterebbe nel panico i Troiani. Dopo molte suppliche, Achille accetta alla condizione che Patroclo non si avvicini a Troia né ad Ettore. Dopo un ultimo bacio, Patroclo guida i Mirmidoni in battaglia e in un primo momento il suo piano riesce: alla vista di 'Achille' i Troiani si disperdono, anche perché Patroclo mostra un inaspettato talento militare uccidendo il possente Sarpedonte. Ma Patroclo osa troppo e, inebriato dalla battaglia, infrange la promessa fatta ad Achille e viene ucciso da Ettore.\nContinuando la narrazione anche da morto, Patroclo racconta l'inevitabile fine della guerra: spinto dall'immane dolore per la morte dell'amato, di cui si sente responsabile, Achille torna in battaglia, compie una strage senza precedenti di troiani e uccide barbaramente Ettore, continuando poi ad infierire sul suo corpo per giorni. L'ira e il dolore di Achille si placano solamente quando il vecchio re Priamo si reca alla sua tenda di notte e, ricordandogli l'ormai anziano Peleo, lo convince a concedergli di riportare il figlio Ettore a Troia per gli onori funebri. Trovata una qualche pace con se stesso e gli altri, Achille permette anche la cremazione di Patroclo; torna quindi in battaglia e, desiderando la morte, si lascia uccidere da Paride con una freccia guidata dagli dei davanti alle porte Scee. Alla morte di Achille segue lo sbarco di Neottolemo, il figlio che il principe di Ftia ha avuto a Sciro e che è stato allevato da Teti: questi si dimostra crudele e violento, reclama Briseide per il suo letto e impedisce che il nome di Patroclo, le cui ceneri sono state mischiate a quelle di Achille, venga inciso sotto a quello del padre. L'ordine scandalizza i re greci, affezionati a Patroclo; inoltre, senza una degna sepoltura la sua anima non può raggiungere l'amato Achille nell'Ade. Con lo stratagemma dell'enorme cavallo di legno, i Greci conquistano Troia e Neottolemo dà prova di grande crudeltà uccidendo barbaramente non solo Priamo ma anche Astianatte, il giovanissimo figlio di Ettore, e Briseide, che aveva tentato la fuga consapevole del pericolo per raggiungere l'amato Patroclo nella morte.\nOttenuta la vittoria, i greci salpano per la patria che non vedono da dieci anni, lasciando lo spirito di Patroclo aleggiare sopra i luoghi in cui aveva vissuto i suoi ultimi dieci anni. Addolorata per la morte del figlio, Teti mostra finalmente qualcosa di diverso dall'ostilità nei confronti di Patroclo e gli chiede di raccontarle tutto su Achille; questi le racconta per giorni la storia della sua vita e del suo grande amore per Achille; ella allora arriva a comprendere cose che, pur avendo visto, non ha mai capito di lui. Quando Patroclo finisce la sua storia, Teti incide il nome del giovane sulla tomba del figlio e lo esorta ad andare da lui: Achille lo sta aspettando.\n\nRiconoscimenti.\nLa canzone di Achille ha vinto l'Orange Prize for Fiction nel 2012.\n\nEdizioni.\nMadeline Miller, La canzone di Achille, traduzione di Matteo Curtoni, Maura Parolini, Sonzogno, 2013, ISBN 8845425584. Madeline Miller, La canzone di Achille, collana Universale Economica Feltrinelli, traduzione di Matteo Curtoni, Maura Parolini, Marsilio, 10 gennaio 2019, ISBN 978-88-07-89346-9. Madeline Miller, La canzone di Achille, collana Sonzogno, traduzione di Matteo Curtoni, Maura Parolini, Marsilio, 18 novembre 2021, ISBN 978-88-454-0594-5." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: La discesa di Orfeo.\n### Descrizione: La discesa di Orfeo (Orpheus Descending), a volte tradotto come La calata di Orfeo, è un'opera teatrale del drammaturgo statunitense Tennessee Williams, debuttata a Broadway nel 1957. La pièce è un riadattamento di un lavoro precedente di Williams, Battle of Angels, scritto nel 1940 ma mai messo in scena prima del 1974. Il dramma si rivelò un flop al suo debutto a Broadway, rimanendo in cartellone per 68 repliche, e Tallulah Bankhead, per cui Williams aveva scritto il ruolo di Lady Torrance, aveva rifiutato il ruolo poiché riteneva l'opera 'impossibile'.\nL'opera è una rilettura in chiave moderna del mito di Orfeo ed Euridice che tratta i temi del potere delle passioni, dell'arte e dell'immaginazione nel dare nuova linfa e un nuovo scopo alla vita. Ambientata in una piccola comunità nel Sud degli Stati Uniti, la pièce racconta dei cambiamenti che il giovane e misterioso Val porta nella vita di Lady Torrance, la proprietaria del negozio che lo assume. Mentre veglia il marito morente, Lady si ritrova affascinata da questo sconosciuto con una chitarra, un uomo che risveglia in lei i sogni e le speranze della sua giovinezza. Il risveglio dell'amore, della speranza e della passione avrà però conseguenze tragiche per i due protagonisti. Williams descrisse la sua opera dicendo: 'in superficie [il dramma] era ed è la storia di uno spirito libero che arriva in una comunità molto convenzionale del Sud e crea la stessa confusione di una volpe in un pollaio. Ma sotto questa superficie familiare è un dramma sulle domande senza risposte che tormentano i cuori delle persone, e sulla differenza tra continuare a porci queste domanda ed accettare risposte prestabilite che non sono affatto delle risposte'.\n\nTrama.\nLe casalinghe pettegole Dolly e Beulah raccontano che Jabe Torrance è appena stato operato per un cancro a Memphis, ma l'operazione non è andata come previsto e l'uomo sta morendo. Jabe e la moglie Myra 'Lady' Torrance gestiscono l'emporio del paese e nel negozio entrano Carol Cutrere e l'affascinante musicista Valentine 'Val' Xavier; Carol flirta col giovane e insinua di averlo già visto a New Orleans, un'ipotesi rigettata da Val, che chiede ed ottiene da Lady un lavoro all'emporio. Dopo alcune settimane, Val racconta a Lady del suo passato tumultuoso a New Orleans, dove aveva effettivamente conosciuto Carol. La presenza dell'uomo risveglia ricordi in Lady, che dice al vecchio amore David di aver abortito il bambino che aspettava da lui quando l'aveva lasciata. Intanto Val flirta con la giovane Vee e viene visto dal marito della donna, Talbot, mentre bacia la mano della moglie. Dopo aver rubato soldi dalla cassa, Val li restituisce e vuole lasciare la cittadina, ma Lady lo perdona e lo supplica di rimanere.\nIl giorno di pasqua Jabe, morente, confessa di essere stato il responsabile della morte del suocero e ha un'emorragia. Al tramonto, Vee ha un incidente e cade, Val l'aiuta a rialzarsi e lo sceriffo Talbot gli intima di lasciare la città entro il tramonto. Disperata alla prospettiva di perdere Val, Lady cerca di convincere l'infermiera ad uccidere il marito con una dose letale di morfina, ma la donna rifiuta. Lady allora dice a Val di aspettare un figlio da lui e che la prospettiva di portare in grembo una nuova vita la riempie di gioia e speranza. La nuova promessa di felicità è bruscamente interrotta: Val si accorge che Jabe ha fatto un buco nel pavimento della sua camera da cui sta facendo colare olio dell'emporio. Il moribondo appicca quindi un incendio e si mette ad urlare che Val lo ha rapinato e dato fuoco al negozio. Lady corre per le scale per dire al marito di fermarsi, ma Jabe le spara: mentre la donna muore, lo sceriffo e i vigili del fuoco vedono Val uscire dell'emporio. Talbot ordina di puntare il getto degli idranti contro il fuggitivo, respingendolo nel negozio infuocato verso la sua morte.\n\nProduzioni.\nLa discesa di Orfeo debuttò al Martin Beck Theatre di Broadway il 21 marzo 1957 e rimase in scena fino al 18 maggio, per un totale di 58 repliche. Harold Clurman curava la regia, mentre il cast annoverava Miriam Hopkins nel ruolo di Lady e Cliff Robertson in quello di Val, mentre ruoli minori erano ricoperti da R.G. Armstrong (Talbot), Crahan Denton (Jabe) e Joanna Roos (Vee). La prima londinese avvenne due anni dopo, con la prima al Royal Court Theatre il 14 maggio 1959. Tony Richardson dirigeva la moglie Isa Miranda nel ruolo di Lady, mentre il resto cast annoverava anche Diane Cilento.Peter Hall diresse un revival del dramma debuttata il 13 dicembre 1988, in scena all'Haymarket Theatre di Londra con Vanessa Redgrave nel ruolo di Lady. Il resto del cast includeva Jean-Marc Barr (Val), Miriam Margolyes (Vee), Paul Freeman (Jabe) e Julie Covington (Carol). L'acclamata produzione fu trasferita al Neil Simon Theatre di Broadway, dove rimase in scena per un totale di cento repliche dal 13 settembre al 17 dicembre 1989. Vanessa Redgrave tornò ad interpretare Lady Torrace, mentre nuovi membri del cast includevano Kevin Anderson (Val), Tammy Grimes (Vee) e Marcia Lewis (infermiera). Hall tornò a dirigere la Redgrave nella parte in un adattamento televisivo dell'allestimento nel 1990.\nUna produzione diretta da Nicholas Hyter è andata in scena alla Donmar Warehouse di Londra dal 15 giugno al 12 agosto 2000, con Helen Mirren nel ruolo di Lady, Stuart Townsend nella parte di Val, Saskia Reeves in quella di Vee, William Hootkins nei panni di Talbot e Richard Durden in quelli di Jabe. Per la sua interpretazione, Helen Mirren fu candidata al Laurence Olivier Award alla miglior attrice, mentre Hynter ottenne una nomination per il premio alla regia. La prima italiana è andata in scena al Festival di Spoleto nel luglio 2012, in una produzione del Teatro dell'Elfo diretta da Elio De Capitani con Cristina Crippa nel ruolo di Lady Torrace. L'allestimento fu riproposto nella sede di Milano del teatro nell'ottobre dello stesso anno e poi replicata nuovamente nella stagione 2013-2014.\n\nAdattamento cinematografico.\nSidney Lumet ha diretto un adattamento cinematografico del dramma nel 1960, Pelle di serpente. Il titolo fa riferimento alla giacca di Val, mentre il titolo originale, The Fugitive Kind, rimanda al monologo finale di Carol, in cui ricorda Val morto nell'incendio. Marlon Brando ed Anna Magnani hanno interpretato i protagonisti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: La morte di Priamo (Perrault).\n### Descrizione: La morte di Priamo (La Mort de Priam) è un dipinto a olio su tela del pittore francese Léon Perrault, realizzato nel 1861. L'opera è attualmente conservata alla scuola nazionale superiore di belle arti di Parigi.Quest'opera venne presentata per il premio di Roma del 1861, che tuttavia venne vinto da Jules Lefebvre con la sua versione dello stesso tema artistico.\n\nDescrizione.\nQuest'opera ritrae un episodio della guerra di Troia riportato da Virgilio nel secondo libro dell'Eneide (versi 509-516). Neottolemo, il figlio di Achille, dipinto frontalmente e in stato di nudità, eccetto per il mantello bianco gettato sulla spalla e l'elmo, alza il braccio destro con l'intenzione di uccidere il re Priamo. Con la mano sinistra egli tiene i capelli del re per sollevarne il capo e prepararlo a ricevere il colpo fatale, che sta per essere sferrato dalla spada nella mano destra. Priamo si trova mezzo sdraiato davanti all'altare di Zeus, in una posa che richiama il Laocoonte del museo Pio-Clementino, mentre sullo sfondo la città di Troia è in preda alle fiamme. Nella parte sinistra della tela giace il cadavere di uno dei figli di Priamo, Polite, che Neottolemo ha ucciso sotto gli occhi del sovrano. A destra, in secondo piano, la famiglia di Priamo prorompe in lamenti e la regina Ecuba getta un ultimo sguardo di terrore verso il proprio sposo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: La morte di Priamo.\n### Descrizione: La morte di Priamo (La Mort de Priam) è un dipinto a olio su tela del pittore francese Jules Joseph Lefebvre, realizzato nel 1861. L'opera è attualmente conservata alla scuola nazionale superiore di belle arti di Parigi. Un bozzetto dell'opera è conservato nel medesimo luogo.\n\nDescrizione.\nFu grazie a quest'opera che l'autore vinse il premio di Roma nel 1861, battendo il dipinto sullo stesso tema artistico dipinto da Léon Perrault. Quest'opera accademica rappresenta un episodio della guerra di Troia, narrato da Virgilio nell'Eneide: in piedi davanti a un altare, Neottolemo (anche noto come Pirro) solleva la mano destra per uccidere con un colpo di spada il vecchio Priamo, il re di Troia, allungato ai suoi piedi e dal petto emanciato e scoperto. Neottolemo indossa un elmo ed una tunica corta, sopra la quale porta una corazza e un mantello porpora che scivola sulla spalla sinistra. Il suolo è pieno di cadaveri sparsi qua e là e sullo sfondo la città di Troia viene divorata dalle fiamme durante l'assalto dei Greci, mentre a destra Ecuba, attorniata dalle figlie, guarda con orrore la fine di suo marito." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: La nascita della tragedia.\n### Descrizione: La nascita della tragedia dallo spirito della musica, nella prima edizione del 1872 (Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik), o La nascita della tragedia. Ovvero: grecità e pessimismo (Die Geburt der Tragödie. Oder: Griechenthum und Pessimismus) nella seconda edizione del 1886, è la prima opera del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche.\nIl testo, per la novità delle interpretazioni proposte, fu criticato dal giovanissimo filologo Wilamowitz. Nonostante sia tra i suoi testi più letti e studiati, La nascita della tragedia sarà più tardi parzialmente ripudiato da Nietzsche, che esprimerà per esso un'autocritica in Ecce homo.\n\nStruttura e Contenuti.\nTentativo di autocritica (in 7 paragrafi).\nPrefazione a Richard Wagner.\nLa nascita della tragedia, ovvero grecità e pessimismo (in 25 capitoli)In parte già caratterizzata dall'esposizione asistematica tipica delle opere più mature, La nascita della tragedia esprime un percorso parallelo tra la storia della tragedia e quella della società greca – un percorso di ascesa e decadenza che Nietzsche ascrive all'espressione di dinamiche comuni. Da questo primo parallelismo Nietzsche prende spunto per una riflessione sulla decadenza dello spirito europeo e sulla necessità di una palingenesi che si aspettava provenire da un rinato spirito dionisiaco della musica tedesca.\nIl testo inizia in medias res ponendo la questione dell'origine del pessimismo greco, qualora questo sia da interpretare necessariamente come un sintomo di decadenza o se non possa invece esistere una forma di pessimismo 'nobile' e non decadente. Per giustificare questa tesi Nietzsche introduce il lettore alle forze opposte e simmetriche di Apollo – simbolo del sogno, delle arti plastiche, della calma e della magnificenza delle divinità olimpiche – e Dionisio – simbolo invece dell'ebbrezza, della musica, della frenesia. In quest'ultimo Nietzsche identifica la ragione e l'origine del pessimismo greco e la sua natura non decadente: per Nietzsche lo spirito dionisiaco è lo spirito che 'getta lo sguardo nell'abisso', che si confronta con l'orrore dell'esistenza senza esserne piegato, addirittura ne è euforico, dunque superando la dottrina stoica, tanto odiata da Nietzsche, e 'dicendo «sì» alla vita'.\nNella guerra dei titani, Apollo, vedendo Dionisio lacerato dalla battaglia, lo cura, come la cultura greca reprime gli impulsi umani con la ragione e la calma.\nI due spiriti si trovano tuttavia in equilibrio nella tragedia attica, il 'miracolo metafisico', formando una suprema forma d'arte. Lo spettatore apollineo guarda, come distaccato e disinteressato, la volontà naturale dell'uomo, ossia lo spirito dionisiaco represso dalla cultura socratica.\nSe l'equilibrio tra i due spiriti diede origine alla tragedia attica e la portò al suo culmine nella tragedia sofoclea, il progressivo perdere terreno del dionisiaco e l'emergere di una nuova forza – il “socratico” – la condusse alla decadenza. Una forza che, con il suo impeto razionalistico, si sostituiva al dionisiaco nel ruolo di 'giustificare il mondo' all'uomo greco, rei di ciò gli scolastici filosofici. L'ottimismo socratico della possibilità della conoscenza e della possibilità di arrivare a comprendere l'interezza dell'universo con la ragione si sostituì alla passione dell'incomprensibilità e dell'irrazionalità dell'esistenza umana che erano rappresentate dal dionisiaco.\nNell'introdurre la figura di Socrate nel discorso e collegandola a quella di Euripide – simbolo della tragedia decadente – il parallelo tra società greca e tragedia attica viene esplicitato, andando a dimostrare come lo spirito razionalistico socratico – e con esso la nascita dell'uomo teoretico – abbia minato l'equilibrio tra forze apollinee e dionisiache nella società greca – una degenerazione che si è espressa anche nella trasformazione della tragedia dionisiaca nella tragedia euripidea.\nQuesto eccesso razionalistico avrebbe portato ad una degenerazione della nostra società, della sua capacità creativa, del suo rapporto con la conoscenza (che Nietzsche definisce Alessandrino) e con la vita. Il testo si conclude con un'aspirazione ad una palingenesi dello spirito europeo tramite la rinascita dello spirito dionisiaco nella musica tedesca – e, in particolare, quella wagneriana. Nietzsche, di fatto, vede in Wagner e nella sua opera totale una ripresa della tragedia eschilea e sofoclea, in cui la musica dionisiaca è accompagnata dalla narrazione apollinea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: La scelta di Ercole (Händel).\n### Descrizione: La scelta di Ercole (HWV 69) è un oratorio in un atto (tre scene) di Georg Friedrich Händel. Händel scrisse la partitura tra il 28 giugno ed il 5 luglio 1750. La prima esecuzione fu data 1º marzo 1751 al Covent Garden Theatre, Londra con Cecilia Young come Virtù, Isabella Young come Ercole e Thomas Lowe come Servente del piacere. Il libretto è tratto dal poema del 1743 di Robert Lowth rivisto, probabilmente, da Thomas Morell.La storia è incentrata sulla Scelta di Ercole, nella quale il giovane Ercole deve decidere tra il percorso del piacere e quello della virtù. Queste sono rappresentate da due donne che presentano ad Ercole i loro vari argomenti e la sua confusione viene espressa nel trio Where shall I go? Il mito classico de 'la scelta di Ercole,' così come raccontato dal sofista ateniese del V secolo Prodicus (Senofonte Memorabilia 2.1.21-34), anticipa che quello che Ercole seguirà sarà il percorso della Virtù. E infatti, il Coro canta (Coro, 24) che 'Virtue will place thee in that blest abode, Crown'd with immortal youth, Among the gods a god!'Il personaggio del Servente del piacere viene introdotto in questa versione della scelta di Ercole e complica la scelta (aria, 16).\nUna esecuzione tipica richiede quasi 50 minuti.\nIl lavoro comprende l'Aria Yet can I hear that dulcet lay.\n\nRuoli.\nMovimenti.\nIl lavoro ha i seguenti 24 movimenti:.\n\nRegistrazioni.\nL'etichetta Hyperion Records nel 2003 ricevette L'International Handel Recording Prize per la registrazione de La scelta di Ercole. Il cast comprendeva:.\n\n2003 – Susan Gritton (Piacere), Alice Coote (Virtù), Robin Blaze (Ercole), Charles Daniels (Servente del Piacere), Direttore Robert King, Il coro della The King's Consort, (x1), Hyperion Records CDA 67298, USA.\n\nProduzioni.\nIl lavoro fu prodotto dalla Boston Cecilia alla Jordan Hall, New England Conservatory, Boston il 5 novembre 2005. La Bampton Classical Opera ha dato due esecuzioni del lavoro nel 2011-2012." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: La terra sotto i suoi piedi.\n### Descrizione: La terra sotto i suoi piedi (titolo originale The ground beneath her feet) è un romanzo dello scrittore indiano naturalizzato britannico Salman Rushdie, pubblicato in originale nel 1999, in Italia edito nello stesso anno da Mondadori. Narra la storia d'amore tra due stelle internazionali della musica leggera, riproponendo in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice, il tutto visto attraverso gli occhi di un loro amico.\n\nAmbientazione.\nLa storia si svolge in una dimensione parallela alla nostra, in cui i fatti storici presentano alcune varianti. John Kennedy riesce a scampare all'assassinio a Dallas, Richard Nixon non viene mai eletto presidente, e l'affare Watergate è solo il titolo di un fantasy-thriller di successo. Gli autori dei libri più famosi portano i nomi dei protagonisti dei libri stessi, per cui è Sal Paradise e non Jack Kerouac ad aver scritto un libro che celebra il viaggio, Kilgore Trout è un celebre scrittore di fantascienza, e Charlie Citrine è diventato famoso per il soggetto del film Caldofreddo (come ne Il dono di Humboldt di Saul Bellow). Anche nel mondo dell'arte e della musica vi sono cambiamenti: l'equivalente di Andy Warhol si chiama Amos Voight, al posto di Elvis Presley c'è Jesse Garon Parker, Lou Reed è una donna, Satisfaction è opera di John Lennon e Pretty Woman dei Kinks.\nNella prima metà del libro Ormus è il solo ad avere percezione dell'esistenza di un mondo alternativo a quello in cui vive, grazie al suo rapporto con il fratello morto. Successivamente il contatto tra i due mondi assume consistenza con l'apparizione di Maria, capace di attraversare la barriera tra le dimensioni, che comunque dopo l'incidente Ormus può osservare direttamente tramite l'occhio sinistro. Alla fine anche Umir prende contatto con questa dimensione alternativa, tramite l'obbiettivo fotografico e della cinepresa, potendo così assistere alla distruzione dell'altra realtà.\n\nTrama.\nLa narrazione si apre sull'ultimo giorno della vita di Vina Apsara, icona e stella del pop adorata da mezzo mondo, raccontata dall'amico e fotografo personale Umid, meglio conosciuto come Rai. Un giorno terribile e memorabile, come straordinaria è stata la storia di Vina e del suo amato Ormus, nati in ambienti molto diversi, ma destinati ad incontrarsi ed a rivoluzionare il mondo della musica. Tra difficoltà ed ostacoli, per entrambi iniziati già alla nascita, nel caso di Ormus con il fardello di un gemello morto che ne condiziona sogni ed aspirazioni, in una famiglia indiana profondamente tradizionalista, mentre per Vina la giovinezza ha l'aspetto di una continua lotta in famiglie estranee, tra cambi di nome e di luoghi. Questo fino al giorno del loro incontro, opera di un fato che li vuole uniti nel segno della musica, coinvolgendo anche il giovane Umid e la sua famiglia, dove Vina trova finalmente la stabilità necessaria per coltivare la sua incredibile voce. Eccezionale quanto il talento di Ormus, capace di esibirsi in canzoni splendide, grazie al legame col fratello morto, canzoni che ogni tanto si ritrova inspiegabilmente ad ascoltare alla radio, eseguiti dagli artisti stranieri più famosi.\nMa quando il giorno del sedicesimo compleanno di Vina l'unione tra i due amanti viene suggellata con ciò che fino a quel momento mancava, l'amore fisico, complice anche un'esibizione canora che ha tutto l'aspetto dell'inizio di un percorso professionale, accade l'imprevisto che sembra rimettere tutto in gioco. La burrascosa rottura del legame dei genitori di Umid travolge Vina, che non resiste alla perdita dell'unica famiglia in cui aveva potuto raggiungere una dimensione stabile, spingendola a fuggire in Inghilterra, dove riesce a far perdere le sue tracce. All'inconsolabile Ormus non rimane che cercare qualche misero sostituto in altre braccia e tentare di coltivare da solo il proprio talento, peraltro con successo sempre più scarso. Fino al giorno dell'omicidio del padre, che spinge tutta la famiglia Cama al trasferimento in Inghilterra. E così a Bombay (ora Mumbai) rimane solo Umid, che vede in poco tempo morire prima la madre per un male incurabile, e poi il padre, piegato dalle troppe delusioni. La macchina fotografica resta così l'unica compagna fedele, ed il trasferimento nella casa dei Cama diventa un modo per cercare di salvare qualcosa di un passato che nella città e nel paese sembra voler sparire, sostituito da nuove inquietudini. Che su Bombay sembrano concretizzarsi in un terremoto non molto violento, ma sufficiente per riportare a casa una già famosa Vina, alla ricerca del suo Ormus. Vi trova invece Umid, scoprendo per uno scherzo del fato che il suo amato le era da tempo più vicino di quanto pensasse. Alla fine anche Umid trova il motivo per partire e lasciare l'India, anche se nel suo caso più che una scelta è una fuga da un paese troppo corrotto, per andare incontro alla carriera di fotoreporter.\nNel frattempo Ormus in terra britannica ha cercato un modo per costruirsi un nome, partendo dalle radio pirata inglesi che navigano trasmettendo la nuova musica, esperienza comunque difficile, che lo ha fatto incappare in una pericolosa faida familiare. Il risultato è che proprio quando arriva il successo, un brutto incidente lo fa entrare in un coma che dura più di tre anni, da cui solo l'intervento di Vina riesce a farlo uscire. Il risveglio porta una singolare conseguenza: il fratello morto lo ha abbandonato, ed ora Ormus attraverso l'occhio sinistro vede un mondo diverso, un mondo che secondo un'ossessiva messaggera che ogni tanto sembra comparire dal nulla sta per scontrarsi con il suo. Ed il tanto atteso ricongiungimento della coppia si tramuta in un nuovo patto di castità, per la ritrosia di Vina a legare il proprio destino ad una sola persona. Ma questo non basta a frenare il formidabile talento della coppia, finalmente riunita negli USA, e nascono i VTO, il gruppo che irrompe nel mondo della musica con la forza di un tornado. Ogni album è un successo, anche se i due si accorgono presto che il successo porta conseguenze, soprattutto quando si firmano contratti in modo troppo precipitoso. Il tentativo di sganciarsi da quei vincoli si rivela estremamente arduo, e solo un nuovo intervento del caso permette di ottenere un dovuto compenso al loro impegno.\nE dopo dieci anni di tensione creativa, la coppia può finalmente convolare a nozze e liberare finalmente il proprio desiderio reciproco, gettando nella disperazione il povero Umid, che si era prestato volentieri ad interpretare per Vina la parte di rimpiazzo sessuale di Ormus, vedendo ora tramontare anche quel ruolo di consolazione. Scoprendo presto però che Vina non è una donna che si accontenta di un unico grande amore, nemmeno se è quello della vita, ed ha ancora bisogno di lui. Anche perché Ormus, che dopo il matrimonio ha perso contatto con il mondo alternativo, sembra sempre più ossessionato dalla minaccia di un cataclisma epocale, spingendolo a comportamenti che lasciano Vina perplessa e preoccupata. Nasce quindi un suo progetto solista, che la porta in un tour in America Latina, e proprio in Messico la terra tradisce la diva amata da tutti, inghiottendola assieme a molti altri, durante un terremoto devastante.\nLa scomparsa scatena uno psicodramma collettivo a livello mondiale, facendo nascere una specie di culto, con l'inevitabile contorno di imitatori, celebrazioni e sfruttamento commerciale. All'affranto Umid non rimane che coltivare il proprio lutto, da cui riesce a liberarsi solo dopo aver appreso delle condizioni di Ormus, travolto ancora più profondamente dalla perdita dell'amata. A spingerlo a contattare l'ex rivale è un ultimo inaspettato messaggio dal mondo parallelo, inviato attraverso l'obbiettivo di una cinepresa, da cui Umid viene a conoscenza dell'esito dello scontro. L'incontro con Ormus si rivela sconvolgente: l'ossessione di quest'ultimo l'ha portato a cercare e trovare una nuova Vina, identica all'originale anche se più giovane di quasi vent'anni, tanto perfetta che persino Umid ne rimane folgorato. E più per propria volontà che per quella dell'amico-rivale, che non aveva trovato il coraggio di esporsi in prima persona, Umid avvicina Mira, scoprendo però una persona vera e non un'imitazione, e se ne innamora, avviando con lei una relazione, rinnovando in questo modo la propria ossessione precedente. Compresa la gelosia per Ormus, che dopo aver incontrato la nuova Vina decide di far ripartire i VTO, progetto che lo fa uscire dalla china autodistruttiva su cui sembrava avviato. Ma il primo concerto rischia di finire subito male, causa l'intransigenza dei fan di Vina, ostili a quello che sembra loro un sacrilegio, e solo la presenza di spirito di Mira riesca a salvare il gruppo da un clamoroso flop. A questo punto la giovane si impone ad Ormus facendogli capire che il suo ruolo non è quello di una copia, ottenendo un'apparente accettazione della scomparsa definitiva dell'amata. Nel successivo tour mondiale Ormus mostra però di essersi ritirato definitivamente da questa realtà, eliminando qualsiasi contatto esterno, preludio al suo assassinio per opera di una misteriosa Vina. Ad Umid e Mira non rimane che mettere la parola fine alla storia d'amore sovrumana di cui sono stati spettatori, e cercare di dare un senso alla propria, più terrena.\n\nPersonaggi.\nUmid Merchant (Rai). Spettatore privilegiato della storia d'amore più grande mai vista nel mondo della musica, non disdegna di fare la parte dell'amante nell'ombra, consapevole del ruolo di subalterno. Con Mira però nasce qualcosa di più forte, destinato a durare.\nVina Apsara. Star del pop internazionale, con alle spalle un cupo passato da dimenticare, trova in Ormus la sicurezza di un amore capace di resistere a tutto. Ma non può bastarle, perché la sua natura è esigente, anche se questo vuol dire calpestare i sentimenti di chi la ama.\nOrmus Cama. Nato con la musica nelle mani ed un fratello morto al fianco, trova in Vina la compagna perfetta sia dal punto di vista artistico che da quello sentimentale, anche se con qualche problema di fedeltà. Il legame sarà però troppo forte per resistere alla sua perdita.\nMira Celano. Ragazza che da Vina sembra aver preso quasi tutto, ma che in seguito si dimostra abbastanza forte da rifiutarsi di prendere in prestito l'altrui personalità, cercando una propria strada.\n\nTemi.\nLa storia principale è dichiaratamente ispirata al mito di Orfeo ed Euridice, assieme a quello delle divinità indiane Kama e Rati, riadattate in chiave moderna. Ma nella narrazione il tema del mito classico declinato nelle varie culture riappare continuamente, sia come argomento di discussione (costituendo il campo di studio preferito del padre di Ormus, Darius Xerses), sia nei personaggi secondari, vedi il tentativo di assassinio (parzialmente riuscito) dei fratelli Crossley da parte della madre, Antoinette Corinth, per vendicarsi del tradimento del marito, esplicitamente ispirato dalla storia di Medea. Tra gli altri vengono richiamati i miti di Prometeo, Elena (nel dono della mela di Rai alla giovane Vina), Persefone, ed altri personaggi della mitologia greca e non solo.\n\nAdattamenti.\nNel 2000, gli U2 hanno presentato una canzone avente lo stesso titolo del libro, The Ground Beneath Her Feet, basandosi integralmente sul testo scritto da Ormus per Vina, eccetto che per un passaggio, non inserito. L'idea era nata da Bono, dopo aver ricevuto una bozza del libro da Rushdie prima della sua pubblicazione, esistendo tra i due un rapporto di amicizia e di stima. Nel racconto la band irlandese è citata come possibile gruppo di apertura per i concerti dei protagonisti, con il nome di Vox Pop.\nNel 2007 è stato presentato al festival Internazionale di Manchester un adattamento artistico multimediale del libro avente lo stesso titolo, unendo musica, recitazione, narrazione e film, ad opera della compositrice Victoria Borisova-Ollas. La regia della parte filmata è stata affidata a Mike Figgis, mentre per dare voce alle parti narrate è stato scelto l'attore Alan Rickman.\n\nEdizioni.\nSalman Rushdie, La terra sotto i suoi piedi, traduzione di Vincenzo Mantovani, 1ª ed., Arnoldo Mondadori Editore, aprile 1999 [1999], ISBN 88-04-46040-7." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Labirinto di Cnosso.\n### Descrizione: Il Labirinto di Cnosso è un leggendario labirinto, che secondo la mitologia greca fu fatto costruire dal Re Minosse sull'isola di Creta per rinchiudervi il mostruoso Minotauro, nato dall'unione della moglie del re con un toro.\n\nStoria.\nEra un intrico di strade, stanze e gallerie, costruito dal geniale Dedalo con il figlio Icaro, i quali, quando ne terminarono la costruzione, vi si trovarono prigionieri. Dedalo costruì delle ali, che appiccicò con la cera alle loro spalle, ed entrambi ne uscirono volando.Il Minotauro divorava ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle di Atene, finché Teseo, aiutato da Arianna, non l'uccise. Teseo riuscì a uscire dal labirinto solo grazie al filo che Arianna gli aveva dato e che aveva lasciato scorrere lungo il percorso. Una volta ucciso il Minotauro, Teseo seguì la strada indicata dal filo. Dedalo era anche un inventore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Labrando.\n### Descrizione: Labrando (greco Δακεδαίμων) è uno dei Cureti. Accompagnato dai suoi amici Panamoro e Palasso, giunse in Caria e qui trascorse la prima notte in riva al fiume che si chiamò, per questo, Eudono (dal verbo εὕδειν, che significa letteralmente 'dormire')." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lacedemone (mitologia).\n### Descrizione: Lacedemone (in greco antico: Λακεδαίμων?, Lakedàimōn) è un personaggio della mitologia greca, re della Laconia e fondatore di Sparta.\n\nMitologia.\nLacedemone fu re della Laconia e fondò la città di Sparta, che in origine prese il suo nome e che in seguito prese il nome della moglie e fu il primo ad introdurre il culto delle Grazie in Grecia.\nAnche suo figlio Amicla, che desiderava a sua volta lasciare un ricordo del suo nome, fondò la città di Amycles.\n\nGenealogia.\nEra figlio di Zeus e della Pleiade Taigete e sposo di Sparta figlia di Eurota che gli diede due figli, il maschio Amicla e la figlia Euridice.\n\nuomo donna divinità." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lachesi.\n### Descrizione: Làchesi (in greco antico: Λάχεσις?, Làchesis), nella religione greca antica, è una delle tre Moire (Parche), divinità che decidevano il destino di tutti, sia uomini sia dei. Lachesi era la Moira che svolgeva sul fuso il filo della vita, distribuiva la quantità di vita a ogni umano e vi decideva il destino. Infatti l'etimologia del suo nome risale al verbo λαγχάνω, che significa 'ricevo in sorte'.\nNella mitologia non è univoco di chi fossero figlie le tre Moire: secondo una versione erano figlie della Notte, secondo un'altra, di Temi e Zeus, mentre Platone nel Mito di Er le considera come figlie di Ananke, la Necessità.\n\nInfluenza culturale.\nA Lachesi sono intitolate la Lachesis Tessera su Venere,, il genere di serpenti Lachesis e l'asteroide della fascia principale 120 Lachesis." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ladone (drago).\n### Descrizione: Ladone (in greco antico: Λάδων?) è una creatura della mitologia greca ed era un drago dalle cento teste che sorvegliava i pomi d'oro delle Esperidi.\n\nGenealogia.\nLa maggior parte degli autori scrive che sia figlio di Forco e di Ceto, mentre secondo altre tradizioni era invece figlio di Tifone e di Echidna.\n\nMitologia.\nDopo che fu ucciso da Eracle, la dea Era lo trasformò nella costellazione del Dragone.\nEsiste un'altra versione della storia nella quale Eracle mandò Atlante a prendere le mele d'oro nel giardino delle Esperidi e Ladone non venne ucciso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ladone (fiume).\n### Descrizione: Il Ladone (in greco Λάδωνας?, Ládonas) è un fiume della penisola del Peloponneso in Grecia. Viene citato nella mitologia greca ed è un affluente del fiume Alfeo, che sfocia nel Mar Ionio. Nella mitologia greca, è personificato dal dio fluviale Ladone.\n\nCorso.\nIl Ladone nasce sul versante occidentale del monte Aroania, nei pressi del villaggio di Kastria, unità comunale di Lefkasi in Acaia. Scorre verso sud riceve il suo affluente di sinistra Aroanio, scorre lungo Kleitoria e gira a sud-ovest vicino al confine con l'Arcadia. Scorre attraverso il lago artificiale omonimo e gira nuovamente a sud nei pressi di Dimitra. Si immette poi nell'Alfeo 3 km a sud est del villaggio di Tripotamia.\n\nMitologia.\nIl fiume era tra quelli citati da Esiodo nella Teogonia; erano 'tutti figli di Oceano e della regina Teti' poiché, secondo l'immagine dell'idrografia mondiale comune agli antichi, l'acqua dolce che sgorgava nelle sorgenti proveniva dalle caverne e dagli stagni degli inferi ed era collegata al sale mare. La pioggia fertilizzava i raccolti, ma la sensazione che il suo deflusso riempisse i fiumi non figurava nel quadro mitico greco.\nI fiumi erano personificati e accreditati di corteggiare ninfe e fanciulle umane e di generare figli. La figlia di Ladone, la ninfa Metope, fu sposata con il fiume Asopo.\nI fiumi hanno effetti purificatori nella mitologia greca. Quando Poseidone assalì Demetra, lavò via l'insulto nelle acque del fiume Ladon. Apparentemente questa era la fonte dell'espressione arcadica secondo cui 'dare modo alla rabbia è essere furiosi'.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Ladone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Laerte.\n### Descrizione: Laerte (in greco antico: Λαέρτης?, Laèrtēs) è un personaggio della mitologia greca, noto per essere uno degli Argonauti e il padre di Ulisse (che per questo viene a volte denominato Laerzìade, in greco antico: Λαερτιάδης?, Laertiàdēs, 'figlio di Laerte'). Secondo alcune fonti secondarie successive a Omero, il padre di Ulisse era Sisifo, che violentò la madre di Ulisse, Anticlea, prima che sposasse Laerte.\n\nMitologia.\nLaerte era figlio di sisifo, o Arcisio e di Calcomedusa.\nDal bisnonno Deioneo (figlio di Eolo e padre di Cefalo) derivava l'appartenenza alla stirpe di Deucalione.La sua famiglia era originaria di Cefalonia, difatti suo nonno Cefalo era eponimo dell'isola.\nFu re di Itaca e prese in moglie Anticlea. Nell'Odissea è presentato come il padre di Ulisse, ma secondo una tradizione posteriore avrebbe sposato Anticlea quando lei era già stata messa incita da Sisifo.\nIl re Laerte fu membro della spedizione degli Argonauti, come molti eroi della sua generazione. Rientrato vittorioso dal viaggio con Giasone, partecipò alla caccia del cinghiale di Calidone.\nQuando suo figlio Ulisse tornò a Itaca dieci anni dopo la fine della guerra di Troia, durante i quali aveva dovuto soffrire molto per sfuggire alle insidie tramate dal dio del mare Poseidone, Laerte, già molto anziano, non lo riconobbe al primo impatto, ma Ulisse dovette descrivergli il frutteto che un tempo egli stesso gli aveva donato. Nel frattempo Penelope, moglie di Ulisse, aveva tessuto durante il giorno e disfatto durante la notte il velo funerario per Laerte.\nQuando Eupite venne a reclamare vendetta per la morte del figlio Antinoo, ucciso durante lo scontro con i Proci, la dea Atena infuse allora «una gran forza» in Laerte, il quale trapassò il nemico da parte a parte con un colpo di lancia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Laio.\n### Descrizione: Laio (in greco antico: Λάϊος?, Láios) è un personaggio della mitologia greca, re di Tebe e figlio di Labdaco, è un eroe divino e un personaggio chiave nel mito della fondazione di Tebe in Beozia.\n\nMitologia.\nIl rapimento di Crisippo.\nIl tragico destino che toccò a Laio e alla sua discendenza fu provocato - stando a Euripide - dal rapimento e conseguente stupro del giovane Crisippo, figlio del re Pelope. Quando Laio era ancora giovane, Anfione e Zeto usurparono il trono di Tebe. Alcuni tebani, sperando di veder continuare la discendenza di Cadmo, lo portarono segretamente fuori dalla città prima dell'attacco. Laio fu accolto da Pelope, re di Pisa nel Peloponneso. Laio si innamorò così di Crisippo, figlio del re, e lo rapì durante i Giochi di Nemea portandolo con sé a Tebe mentre gli insegnava a portare il carro, come scrive Igino, abusando successivamente del malcapitato ragazzo. Il giovane, dopo esser stato scoperto, si uccise dalla vergogna. Il rapimento divenne il soggetto di una delle tragedie perdute di Euripide. Con la morte di Anfione e Zeto, Laio sposò Giocasta, figlia di Meneceo (chiamata Epicasta da Omero) e divenne il re di Tebe ma la maledizione di Pelope si sarebbe presto abbattuta su di lui e sulla sua stirpe.\n\nL'oracolo e la tragedia.\nL'Oracolo di Delfi raccomandò a Laio di non avere figli da sua moglie o il figlio l'avrebbe ucciso e avrebbe sposato Giocasta. Ma una notte, mentre Laio era in preda all'ebbrezza, i due concepirono Edipo che, per paura della profezia, legate l'una all'altra le caviglie con una cinghia, fu esposto e abbandonato alla nascita sul monte Citerone dove fu trovato da un pastore che gli diede il nome di Edipo (piede gonfio) e lo diede a Polibo e Peribea, sovrani di Corinto che lo crebbero.\nQuando Edipo, dopo che un giovane di Corinto gli disse che era un trovatello, volle conoscere la verità sui suoi genitori si rivolse all'Oracolo di Delfi che si limitò a dirgli che non sarebbe dovuto tornare a casa o avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Pensando che Polibo e Peribea fossero i suoi veri genitori, si diresse dunque verso Tebe in direzione opposta a Corinto ma un destino tragico volle che a un incrocio incontrasse Laio diretto a Delfi per interrogare l'oracolo dopo aver avuto il presagio che il figlio stesse tornando per ucciderlo. La superbia di colui che egli non sapeva essere suo padre portò Edipo a uccidere Laio, a rompere il timone del suo carro, a compiere la prima parte della profezia per poi dirigersi verso Tebe e a segnare per sempre le sorti della sua discendenza, consegnando spunti favolosi per tragediografi del calibro di Sofocle.\nLaio fu sepolto nello stesso luogo dove morì da Damasistrato, re di Platea, mentre Creonte, figlio di Meneceo, prese il potere a Tebe. Diversi suoi discendenti dovettero ancora fare i conti con un destino avverso ma non si sa con certezza se perché violò le leggi dell'ospitalità e del matrimonio rapendo il figlio della persona che lo ospitava, se perché non ascoltò le parole dell'oracolo o per una combinazione dei due eventi.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lamia.\n### Descrizione: Le lamie, secondo la mitologia greca, erano figure femminili in parte umane e in parte animali, rapitrici di bambini o fantasmi seduttori che adescavano giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. Vennero chiamate anche Empuse, sebbene il mito di queste ultime, figlie o serve di Ecate, avesse origini differenti. Nel medioevo il termine venne usato come sinonimo di strega.\nLamia è anche il nome di alcune figure femminili della storia antica greca. Una di queste fu la regina eponima della città di Lamia. Altre furono famose etere di Atene, come ad esempio l'amante di Demetrio, re di Macedonia.\n\nOrigine del mito.\nL'origine di questa figura va probabilmente ricercata nell'archetipo della dea della notte o dea-uccello (cfr. il notissimo Rilievo Burney e reperti simili provenienti dal Vicino Oriente), dal quale originarono Ištar, Atargatis e Atena. La connessione con la notte (per associazione: magia, soprannaturale, mistero, ma anche morte, fenomeni inspiegabili e così via) spiega, almeno in parte, l'ambivalenza di sentimenti nei confronti della lamia. Altro elemento da tener presente è il processo di autentica demonizzazione o mistificazione subito da numerose figure di divinità o semi-divinità antiche, in specie dalla fine del mondo classico in poi. In altri termini, non è da escludere che qualcosa di analogo abbia preso forma anche a proposito della lamia, determinando nella cultura popolare una serie di credenze e precauzioni superstiziose da prendere per difendersi da essa (in molti casi la superstizione si qualifica come insieme confuso e volgarizzato di superstiti lacerti di paganesimo). L'idea della bellezza legata a un collocarsi, da parte di questa figura, al di fuori delle leggi morali, quella del sale come mezzo capace di uccidere la lamia, richiamano molte credenze relative alle cosiddette streghe. Ad esempio, ve n'era una secondo cui bisognava cospargere le panche della chiesa di sale grosso: quelle streghe che, nascondendo la propria vera natura si fossero sedute fingendo di presenziare alla cerimonia religiosa, sarebbero inevitabilmente rimaste attaccate alle panche. Insomma: strega, lamia/vampiro, empusa e altre creature soprannaturali (o a metà tra il naturale e il divino) sono ampiamente presenti nella cultura occidentale, avendo resistito ai mutamenti religiosi, non solo, discendono, probabilmente, da uno stesso immaginario, e si collocano nello stesso ambito spirituale (quello di dea collegata alla notte, appunto).\n\nMondo greco classico e romano.\nSecondo il mito originale, Lamia era la bellissima regina della Libia, figlia di Belo: essa ebbe da Zeus il dono di levarsi gli occhi dalle orbite e rimetterli a proprio piacere. Presto Zeus si innamorò di lei provocando la rabbia di Era, che si vendicò uccidendo i figli che suo marito ebbe da Lamia. L'unica figlia ad essere risparmiata fu Scilla; probabilmente, anche Sibilla si salvò.\nLamia, lacerata dal dolore, iniziò a sfogarsi divorando i bambini delle altre madri, dei quali succhiava il sangue. Il suo comportamento innaturale fece in modo che la sua bellezza originaria si corrompesse, trasformandola in un essere di orribile aspetto, capace di mutare forma e apparire attraente per sedurre gli uomini, allo scopo di berne il sangue.\nPer questo motivo la lamia viene considerata una sorta di vampiro ante litteram.\nIl poeta Orazio nella sua Ars Poetica descrive le lamie come esseri mostruosi, capaci di ingoiare bambini e di restituirli ancora intatti se si squarcia loro il ventre.\nDel resto, la letteratura latina abbonda d'esempi di donne 'al di fuori degli schemi', dedite alla magia e al vampirismo. Tra l'altro, l'atteggiamento nei confronti di questi fenomeni (e della donna di potere, maga o strega) risulta essere ambivalente, di paura da una parte, di ammirazione dall'altra.\n\nNel Medioevo.\nNel Medioevo, lamia divenne sinonimo di strega.\n\nInterpretazioni moderne.\nLa figura mitologica di Lamia fu reinterpretata dal poeta romantico inglese John Keats nel 1820 tramite il poema omonimo.\nLe lamie vengono citate nel concept album dei Genesis The Lamb Lies Down on Broadway; esse vengono rappresentate come creature femminili dal corpo 'simile al serpente' e seducono il protagonista Rael nel tentativo di divorarlo, ma non appena 'assaggiano' il corpo di Rael, il sangue che entra nel corpo delle lamie ne provoca la morte.\nLa canzone Prodigal Son dall'album Killers degli Iron Maiden contiene una preghiera a Lamia.\nNel film horror Drag Me to Hell di Sam Raimi la Lamia è uno spirito malvagio con la parte inferiore del corpo e la testa da caprone, non è visibile la conformazione del busto anche se si può supporre che sia anch'esso da caprone, e denti aguzzi il cui compito è quello di portare all'inferno l'anima della persona maledetta dopo 3 giorni.\nNella puntata 6x04 del telefilm Supernatural la lamia è di origine greca. Strappa il cuore delle vittime con degli artigli e poi ne succhia tutto il sangue. La si uccide o con un coltello d'argento benedetto da un prete o dandole fuoco dopo averle gettato addosso un misto di sale e rosmarino.\nNella saga di romanzi La setta dei vampiri, scritta da Lisa Jane Smith, le lamie sono persone nate vampiri, senza essere stati morsi. Sono immortali, possono avere figli e possono trasformare le persone in vampiri. Sono immuni a tutte le sostanze, tranne che al legno. Al contrario dei loro simili che invece sono stati morsi, le lamie invecchiano, ma possono decidere di interrompere la loro crescita quando vogliono e mantenere la stessa età per sempre.\nNella puntata 4x08 del telefilm Merlin, Merlino si scontra con la Lamia, una creatura dell'Antica Religione mezza donna e mezza serpente, in grado di avvelenare chiunque passasse sotto il suo fatale tocco e in grado di controllare la mente degli uomini, rendendoli suoi succubi.\nNella puntata 1x20 del telefilm Relic Hunter, Sydney e Nigel affrontano una setta di donne vampiro che fanno parte di un culto dedito a Lamia.\nNel celebre fumetto Dylan Dog, nel numero 8 del fumetto Maxi, pubblicato nel luglio 2005, nell'episodio Autocombustione, gli antagonisti sono le Lamie, demoni per metà donna e per metà serpente, che vagano per la terra fino a quando non trovano una donna che si uccide per amore. A quel punto la Lamia può impossessarsi della ragazza e uccidere giovani uomini sulla Terra, attirandoli con la loro bellezza, e facendoli bruciare dall'interno.\nNel videogioco Tales of Symphonia, la Lamie sono dei nemici, con caratteristiche simili alle Meduse (altri nemici del gioco) ma meno potenti. Infatti, entrambe le tipologie possono pietrificare i protagonisti.\nNel videogioco Hippodrome una lamia è il primo avversario selezionabile.\nNel film Stardust, la strega antagonista si chiama Lamia.\nNel videogioco Final Fantasy 9, la Lamia è un nemico comune che si incontra lungo la strada.\nNel manga Monster Musume le lamie sono figure femminili il cui corpo di donna termina all'altezza dei fianchi, da cui prosegue una possente coda serpentina; sono creature a sangue freddo e tuttavia focose, che per riprodursi devono accoppiarsi con un essere umano, essendo la loro razza priva di una controparte maschile. Una delle protagoniste femminili è una Lamia di nome Miia.\nIl nome italiano di una educatrice presente ne I Cavalieri dello zodiaco è Lamia.\nÈ rappresentata nella serie televisiva del 2020 Raised by Wolves - Una nuova umanità, prodotta da Ridley Scott come un androide da guerra (di tipo negromante) riconvertito ad altre funzioni. Fra le sue caratteristiche, anche quella di cavarsi i bulbi oculari da sola per sostituirli con altri a seconda delle necessità.\nNel singolo del 2021 Exuvia, del rapper italiano Caparezza, Lamia viene citata proprio per la caratteristica di poter rimuovere i propri occhi dalle orbite. L'exuvia è infatti un processo biologico di alcuni insetti, che ad un certo punto della loro vita cambiano il loro esoscheletro. Il rapper intende infatti il suo nuovo disco come una rinascita ed evoluzione personale e artistica." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lamine orfiche.\n### Descrizione: Le lamine orfiche sono lamine di metallo prezioso che si trovano nelle sepolture antiche dell'area mediterranea (Magna Grecia, Tessaglia e Creta), principalmente di coloro che si presume fossero iniziati ad orfismo, dionisismo e alcune credenze egiziane e semitiche. Sono probabilmente l'esempio più noto degli oggetti che sono noti come Totenpass (termine tedesco traducibile come 'passaporto per i morti').I totenpässe sono posizionati sopra o vicino al corpo come un filatterio o arrotolati e inseriti in una capsula spesso indossata intorno al collo come amuleto. L'iscrizione istruisce l'iniziato su come navigare nell'aldilà, comprese le indicazioni per evitare pericoli nel paesaggio dei morti e le risposte formali ai giudici del mondo sotterraneo.\n\nStoria.\nIn alcuni sepolcri collocati nell'area della Magna Grecia, della Tessaglia e di Creta sono state rinvenute alcune piccole lamine d'oro poste nella bocca, nella mano o sul petto del defunto, contenenti delle istruzioni scritte in greco antico e a lui destinate, inerenti alla condotta da tenere nel viaggio oltremondano. Tali lamine, risalenti a un periodo compreso tra il V secolo a.C. e il III secolo d.C., testimoniano che il defunto è un 'iniziato' a una dottrina misterica e contengono anche delle invocazioni nei confronti di alcune divinità ctonie, il tutto allo scopo di consentire al trapassato un destino beato rispetto alla sua rinascita nel nostro mondo (metensomatosi), rinascita che conserverà, sempre e comunque, un destino di sofferenza.\nNonostante la segretezza inerente alle dottrine 'misteriche' a cui queste lamine fanno riferimento, gli studiosi si sono prodigati per approfondire i contenuti e i riferimenti propri delle lamine rinvenute nei sepolcri giungendo tuttavia a differenti conclusioni:.\n\nGiovanni Pugliese Carratelli , Walter Burkert , Vincenzo Di Benedetto, e Radcliffe G. Edmonds, ritengono che, seppur in astratto le lamine rinvenute nei sepolcri indichino una conoscenza iniziatica oltremondana, esse non facciano riferimento al medesimo ambito, conservando tra loro notevoli differenze di contenuto.\nRichard Janko , Reinhold Merkelbach , M.L. West e Alberto Bernabé e Ana Isabel Jiménez San Cristóbal ritengono, invece, che si possa parlare di più differenti e parziali testimoni di un'unica versione, archetipo, originale.La natura 'orfica' delle dottrine a cui si richiamano le lamine è stata sostenuta, anche recentemente, da Alberto Bernabé , altri studiosi ritengono, ad esempio, di scorgere in alcune di esse una presenza rilevante delle dottrine escatologiche pitagoriche o anche bacchiche.\nAlberto Bernabé, sostenitore dell'esistenza di un modello unico e orfico a cui le lamine rinvenute farebbero riferimento, riassume così la sequenza dello stesso:.\n\nQualora l'iniziato sia stato purificato nel corpo e nella psyché (anima), la dea Mnemosyne farà in modo che nel trapasso egli si ricordi della sua iniziazione misterica;.\nma l'iniziato deve ricordare in cosa consista questa sua iniziazione e sapere come comportarsi, ad esempio evitare la fonte d'acqua collocata al lato del cipresso bianco;.\ndeve anche ricordarsi di rispondere alle domande dei custodi della seconda fonte, quella da cui sgorga l'acqua del lago di Mnemosyne, di essere 'figlio della Terra e del Cielo stellato'; identificazione che gli consentirà di dissetarsi e rinfrescarsi a questa seconda fonte e quindi di potersi avvicinare alla dea Persefone;.\nl'iniziato deve anche ricordarsi di presentarsi alla dea Persefone come 'puro tra i puri';.\nallora potrà percorrere, insieme agli altri bakkhoi, la sacra via che lo condurrà alla vita beata.Comunque sia si possono, con Giovanni Pugliese Carratelli, suddividere le lamine in più gruppi con caratteristiche simili:.\nI. Un primo gruppo, dove è presente la formula di riconoscimento 'Sono figlio/a della Terra e del Cielo stellato' e dove sono presenti due sorgenti, la prima, quella da evitare collocata vicina a un 'cipresso bianco', la seconda, alimentata dal lago di Mnemosyne, a cui invece occorre dissetarsi dopo aver risposto con la formula di riconoscimento alle domande dei suoi custodi. A Questo gruppo fanno riferimento le lamine:.\nA 1. Lamina di Hipponion.\nA 2. Lamina di Petelia.\nA 3. Lamina di Pharsalos.\nA 4. Lamina di Entella (?)Nel sottogruppo B è presente solo la prima fonte e il dialogo con i custodi.\nB 1-6. Lamine di Creta.\nB 7. Lamina della Tessaglia (?).\nC 1. Lamina di Roma.\nII. Un secondo gruppo è costituito dalle lamine dove sono invece invocate alcune divinità infere come Persephone, Euklès, Pluton e Diónysos:.\nA 1-2. Lamine di Thurii.\nB 1-2. Lamine di Thurii (con la presenza della formula 'caddi nel latte').\nB 3. Lamina di Pellinna (con la presenza della formula 'caddi nel latte').\nC 1. Lamina di Eleutherna.\nC 2. Lamina di PheraiIII. Un terzo tipo di lamina sembra avere caratteristiche 'magiche' ed è comunque di difficile interpretazione:.\n1. Lamina di Thurii.\n\nEsempi di lamine orfiche con immagini, testo in greco e traduzione.\nLamina d'oro 'orfica' (Pugliese Carratelli: I A 2; OF: 476 ; mm 45 x 27) rinvenuta a Petelia (Calabria), oggi conservata presso il British Museum di Londra, con annessa collana, mezzo per il quale la lamina poteva essere indossata. A sinistra la lamina di Petelia il cui testo riporta:.\n1.ΕΥΡΗΣΣΕΙΣΔΑΙΔΑΟΔΟΜΩΝΕΠΑΡΙΣΤΕΡΑΚΡΗΝ.\n2.ΗΝΠΑΡΔΑΥΤΗΙΛΕΥΚΗΝΕΣΤΗΚΥΙΑΝΚΥΠΑΡΙΣΣΟΝ.\n3.ΤΑΥΤΗΣΤΗΣΚΡΗΝΗΣΜΗΔΕΣΧΕΔΟΝΕΜΠΕΛΑΣΕΙΑΣ.\n4.ΕΥΡΕΗΣΕΙΣΔΕΤΕΡΑΝΤΗΣΜΝΗΜΟΣΥΝΗΣΑΠΟΛΙΜΝΗΣ.\n5.ΨΥΧΡΟΝΥΔΩΡΠΡΟΡΕΟΝΦΥΛΑΚΕΣΔΕΠΙΠΡΟΣΘΕΝΕΑΣΙΝ.\n6.ΕΙΠΕΙΝΓΗΣΠΑΙΣΕΙΜΙΚΑΙΟΥΡΑΝΟΥΑΣΤΕΡΟΕΝΤΟΣΑΥΤΑΡΕΜ.\n7.ΟΙΓΕΝΟΣΟΥΡΑΝΙΟΝΤΟΔΕΔΙΣΤΕΚΑΙΑΥΤΟΙΔΙΨΗΙΔΕΙΜΙΑΥ.\n8.ΗΚΑΙΑΠΟΛΛΥΜΑΙΑΛΛΑΔΟΤΑΙΨΑΨΥΧΡΟΝΥΔΩΡΠΡΟΡΕ.\n9.ΟΝΤΗΣΜΝΗΜΟΣΥΝΗΣΑΠΟΛΙΜΝΗΣΚΑΥΤ[..]Σ[.]ΙΔΩΣΟΥΣΙ.\n10.ΠΙΕΙΝΘΕΙΗΣΑΠ[....]ΝΗΣΚΑΙΤΟΤΕΠΕΙΤΑ[………]ΗΡΩΕ.\n11.ΣΣΙΝΑΝΑΞΕΙ[……. .]ΝΗΣΤΟΔΕΙ̣[.\n12.ΘΑΝΕΙΣΘ[…………….]ΟΔΕΓΡΑˑmargine destro: Τ̣Ο̣Γ̣Λ̣Ω̣Σ̣Ε̣Ι̣Π̣Α̣ΣΚΟΤΟΣΑΜΦΙΚΑΛΥΨΑΣ.\n\n1.Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte,.\n2.e accanto ad essa eretto un bianco cipresso:.\n3.A questa fonte non avvicinarti neppure.\n4.Ma ne troverai un'altra, la fredda acqua che scorre.\n5.dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi.\n6.Dì': 'Son figlia della Terra e del Cielo stellato:.\n7.urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi.\n8.Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto.\n9.la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne'.\n10.ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina;.\n11.e dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana.\n12.A Mnemosyne è sacro questo (testo): (per il mystes), quando è sul punto di morire ... ˑmargine destro: ... la tenebra che tutt'intorno si stende.\nTraduzione di Giovanni Pugliese Carratelli (in Le Lamine d'oro orfiche, Milano, Adelphi, 2001, p.68)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lampadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le lampadi (in greco antico: Λαμπάδες?, Lampades; chiamate in latino Nymphae avernales, 'ninfe avernali') sono ninfe ctonie dell'oltretomba, compagne di Ecate.\n\nNella cultura di massa.\nLe lampadi compaiono nel videogioco The Titans, espansione di Age of Mythology, dove sono le unità mitiche della dea Ecate." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lampeto.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Lampeto è un eroe dell'isola di Lesbo, ucciso da Achille.\n\nIl mito.\nLampeto, figlio di Iro, crebbe a Metimna, sull'isola di Lesbo, dove sembra che regnò insieme a due invincibili guerrieri, Icetaone e Ipsipilo, figli di Lepetinno. Al tempo della guerra di Troia, Achille attaccò l'isola, mettendo a ferro e fuoco le città della regione, senza riuscire però a saccheggiare Metimna, i cui abitanti, sostenuti da Lampeto, resistevano validamente ai suoi attacchi.\nSolo grazie al tradimento della figlia del re, Pisidice, innamorata di Achille, l'eroe riuscì a penetrare nella città, dove sgozzò senza pietà Lampeto, Icetaone ed Ipsipilo. Pisidice, che aveva fatto entrare il nemico in cambio di una promessa di matrimonio, venne brutalmente respinta e lapidata dai Mirmidoni." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lampo (figlio di Laomedonte).\n### Descrizione: Lampo (in greco antico: Λάμπος?, Lámpos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Laomedonte e di Strimo o Placia (figlia di Otreo) o Leucippe e fu padre di Dolopo.\n\nMitologia.\nFu il secondo figlio avuto da Strimo e svolgeva il ruolo di consigliere durante il periodo della guerra di Troia e fu, come suo fratello Priamo (l'ultimogenito), uno degli anziani che osservarono la guerra in lontananza e seduti sulle mura delle Porte Scee della città." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Laocoonte (El Greco).\n### Descrizione: Il Laocoonte è un dipinto a olio su tela (142 × 193 cm) di El Greco, databile al 1610-1614 e conservato nella National Gallery of Art di Washington.\n\nDescrizione e stile.\nIl dipinto descrive la morte di Laocoonte, sacerdote di Apollo e abitante di Troia. Secondo la mitologia greca tentò di salvare i troiani dall'insidia del cavallo di Troia, donato loro dai greci. Venne per questo punito da Atena, la quale parteggiava per gli Achei, che lo fece uccidere assieme ai figli da due giganteschi serpenti provenienti dal mare. Il tragico evento della morte di Laocoonte era già stato trattato nella celebre composizione del Gruppo del Laocoonte, situata ai Musei Vaticani; l'opera di El Greco si discosta certamente dallo stile classico di questo gruppo scultoreo, avvicinandosi prepotentemente allo stile manierista.\nI protagonisti dell'opera sono disposti su una roccia, la quale domina la città e apre la visione ad un cielo carico di nubi e dai colori tetri. Laocoonte lotta strenuamente con un serpente che sta tentando di morderlo sulla fronte, tenendogli la bocca con la mano destra e serrandone una parte del corpo con la sinistra. Alla sua sinistra uno dei figli ancora combatte con il serpente che tenta di ucciderlo. Alla destra delle scene di lotta di ergono due figure, probabilmente entità divine, le quali non intervengono nello scontro fatale tra il sacerdote e le bestie marine.\nTutte le figure sono allungate e mostrano membra contorte e tese, mantengono posizioni quasi innaturali. Il colore dei loro corpi è volutamente distorto da quello consueto, scelta che fa risaltare, insieme alle tinte del cielo e dello sfondo, un'atmosfera tetra e oscura.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Laocoonte.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Laocoön, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Laocoonte (Hayez).\n### Descrizione: Laocoonte è un dipinto di Francesco Hayez.\nRaffigura la morte di Laocoonte, sacerdote di Apollo e abitante di Troia. Secondo la mitologia greca egli tentò di salvare i troiani dall'insidia del cavallo di Troia, donato loro dai greci. Venne per questo punito da Atena, la quale parteggiava per gli Achei; la dea lo fece uccidere assieme ai figli da due giganteschi serpenti provenienti dal mare.\nIl quadro di Francesco Hayez mantiene per lo più lo schema classico del celebre gruppo scultoreo. Innovativi sono l'impianto corale che l’artista conferisce nell’opera riprendendo le linee stilistiche del pittore francese David e l'eroica posa del protagonista che ricorda l' Ercole e Lica di Canova.\nNonostante i diffusi colori scuri, lo sguardo dello spettatore viene catturato dal panneggio bianco indossato dal sacerdote troiano, anche questa una caratteristica stilistica di David.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Laocoonte." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Laocoonte.\n### Descrizione: Laocoonte (in greco antico: Λαοκόων?, Laokóōn; in latino Laocoon), personaggio della mitologia greca, era un abitante di Troia, figlio di Antenore (o di Capi, secondo altre versioni). Era un veggente e gran sacerdote di Poseidone o, secondo alcune fonti, di Apollo.\n\nMitologia.\nNell'Eneide si narra che, quando i greci portarono davanti alle mura della città il celebre cavallo di Troia, egli corse verso di esso scagliandogli contro una lancia che ne fece risonare il ventre pieno; proferì quindi la celebre frase Timeo Danaos et dona ferentes («Temo i greci, anche quando portano doni»). Pallade Atena, che parteggiava per i Greci, punì Laocoonte mandando Porcete e Caribea, due enormi serpenti marini, che uscendo dal mare avvinghiarono i suoi due figli, Antifate e Tymbreus stritolandoli. Laocoonte cercò di accorrere in loro aiuto ma subì la stessa sorte. Secondo un'altra versione i due serpenti furono inviati da Poseidone, che punì Laocoonte per essersi sposato contro la volontà divina. I Troiani presero questo come un segno, tenendo così il cavallo tra le loro mura." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Laodamante (figlio di Antenore).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Laodamante era uno dei figli di Antenore di Troia.\nPartecipò alla guerra di Troia comandando un corpo di fanti; cadde in combattimento nel decimo anno di conflitto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Laodamia.\n### Descrizione: Laodamia (in greco antico: Λαοδάμεια?, Laodámeia) è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Iolco.\n\nGenealogia.\nFiglia di Acasto e (probabilmente) di Astidamia, sposò Protesilao.\nNon risulta che fossero nati figli dal matrimonio.\n\nMitologia.\nSubito dopo il matrimonio, il marito partì per la guerra di Troia e quando la flotta greca rimase bloccata ad Aulide nell'attesa dei venti favorevoli, Laodamia gli scrisse una lettera in cui lo metteva in guardia dai nemici troiani ed in particolar modo da Ettore.\n\nLaodamia, venuta a conoscenza della morte del marito in battaglia, supplicò gli dei di poterlo rivedere un'ultima volta, così gli dei incaricarono Ermes di farlo risalire dall'Ade affinché potesse stare tre ore con la moglie e, passato quel tempo, di farlo ritornare nell'Ade.\nAllo scadere delle tre ore, Laodamia non resse al dolore di perderlo per sempre e così fece fare una statua di bronzo (o di cera) ad immagine del marito e la mise nella camera nuziale per dedicargli i riti sacri.\nUn giorno, un servo che le portava della frutta da offrire alla statua, sbirciò attraverso una fessura e la vide intenta ad abbracciare e baciare la statua del marito e pensando che stesse con un amante, andò a riferirlo ad Acasto (il padre di lei) che si precipitò nella camera e vide l'effigie di Protesilao. Così, e con l'intento di far cessare le sofferenze della figlia, lui ordinò d’innalzare una pira e di bruciarvi sopra la statua ma Laodamia, non reggendo al dolore, vi si gettò sopra e fu arsa viva.\nSecondo Pausania, i Canti Ciprii chiamavano Polidora la moglie di Protesilao.\n\nLa figura di Laodamia nell'arte e nella letteratura moderna.\nProtesilao e Laodamia - tragedia di Stanisław Wyspiański." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Laodice (figlia di Priamo).\n### Descrizione: Laodice (in greco antico Λαοδίκη) è un personaggio della mitologia greca e una delle cinque figlie di Priamo e di Ecuba.\nA volte è citata anche con i nomi di Astioche o Iera.\n\nMitologia.\nMoglie di Telefo.\nOmero nomina Laodice come 'la più bella delle figlie di Priamo' . Il padre l'aveva assegnata in sposa a Telefo, figlio di Eracle e re di Misia.\nScoppiata la guerra di Troia, Telefo, che era stato sconfitto dagli Achei durante l'assalto nei suoi territori, rifiutò di aiutare Priamo nella guerra, giustificando il fatto di aver sposato sua figlia Laodice e dichiarando la sua neutralità cosicché evitò uno spergiuro.\n\nL'amore per Acamante.\nUn'altra tradizione racconta che, all'inizio della guerra, quando Laodice era ancora nubile, gli Achei inviarono a Troia un'ambasciata per reclamare Elena, fuggita con Paride da Sparta. Come araldi in città furono inviati Diomede e Acamante, figlio di Teseo e, intravisto quest'ultimo, Laodice se ne innamorò perdutamente e desiderò violentemente intrecciare un rapporto sessuale con lui e non potendo serbare il suo amore, si confidò con Filobia, la quale acconsentì ad aiutarla.\nFilobia chiese al proprio marito, re di Dardano nella Troade, di imbandire nella sua città un banchetto e di invitarvi i due giovani. Il marito accettò e, esaudendo le richiesta della moglie, fece sedere Laodice e Acamante una di fronte all'altro.\nLui la scambiò così per una cortigiana del seguito di Priamo e acconsentì a unirsi a lei rendendola incinta di un figlio (Munito). Laodice però non volle allevarlo e lo affidò a una serva di Elena nella casa di Priamo, Etra, madre di Teseo, e quindi bisnonna del piccolo.\n\nGuerra di Troia.\nNell'Iliade.\nNel poema omerico Laodice è moglie di Elicaone, un figlio di Antenore, durante i dieci anni di guerra che coinvolsero Troia e i suoi abitanti.\nNel III libro dell'Iliade Iride, la messaggera degli dei assunse l'aspetto della figlia di Priamo per parlare a Elena e incitarla a raggiungere le mura della città per assistere al duello tra Paride e Menelao.\nQuando poi suo fratello Ettore ritornò a Troia per parlare con sua madre Ecuba, egli incontrò Laodice nello stesso momento in cui la regina stava per raggiungerla.\n\nLa morte.\nLa notte della conquista di Troia, Laodice fuggì davanti agli inseguitori, rifugiandosi nel santuario dell'antenato Troo, dove si trovavano le tombe di Cilla e Munippo: ma all'improvviso la terra si aprì in una voragine che la inghiottì sotto gli occhi degli astanti.\nSecondo altri venne fatta prigioniera dai greci e data come schiava a uno degli achei." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Laotoe.\n### Descrizione: Laotoe è una figura mitologica greca.\nLaotoe era figlia di Alte, re dei Lelegi. Fu moglie, come Ecuba ed Arisbe, di Priamo, e divenne madre di Licaone e Polidoro (da non confondere con l'omonimo figlio di Priamo ed Ecuba).\nEntrambi i suoi figli furono uccisi da Achille nella guerra di Troia, lo stesso giorno; ma mentre il cadavere di Polidoro poté essere onorato con esequie solenni, per Licaone non fu possibile alcuna cerimonia funebre, in quanto il suo assassino ne aveva gettato il corpo nello Scamandro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lara (divinità).\n### Descrizione: Larunda (o anche Larunde, Laranda, Lara ) era la Dea latina del silenzio, associata alle Dee italiche Tacita o Muta.\nNei Fasti di Ovidio, Lara è una naiade, figlia del fiume Almone.\n\nMitologia.\nLa mitografia legata a Lara è piuttosto scarsa.\nLa principale fonte a noi nota in cui è presente la figura della dea Lara sono i Fasti di Ovidio. Nel poema ovidiano, Lara è una ninfa figlia del fiume Almo, famosa sia per la sua bellezza che per la sua loquacità (tratto che i genitori della ninfa, per il suo stesso bene, cercavano di frenare). Fu proprio l'irrefrenabile parlantina di Lara a determinarne la sventura: incapace di mantenere i segreti, Lara rivelò alla dea Giunone la relazione che il marito, Giove, aveva da tempo con Giuturna (anch'ella ninfa come Larunda e moglie di Giano).\nGiove, per punirla del suo tradimento le tagliò la lingua e ordinò a Mercurio, lo psicopompo, di condurla nell'Averno, la porta degli Inferi e regno di Plutone. Mercurio, tuttavia, si invaghì di Lara e la violentò, approfittando della costrizione di lei al silenzio: Lara divenne così madre di due bambini, che sarebbero diventati le divinità domestiche conosciute come i Lari; per il resto della sua vita, Lara dovette rimanere in una casa nascosta nei boschi di modo che Giove non la trovasse e portasse a termine la punizione, riconducendola negli Inferi.\nPer le diverse somiglianze e punti in comune, Larunda è associata alle dee minori Muta 'la muta ' e Tacita 'la silenziosa', appartenenti alla mitologia italica .\n\nEtimologia.\nIl nome di Lara è probabilmente legato al greco λαλέω (laleo, 'parlare'), in riferimento alla loquacità della ninfa, sua caratteristica distintiva e che si rivelerà anche la sua condanna .\nUna seconda ipotesi vede l'etimologia del nome Lara da ricondursi al latino lār ('casa', 'dimora'), essendo i Lari le divinità protettrici della famiglia e della casa.\n\nCulto.\nOvidio menziona il mito di Lara e Mercurio in connessione con la festa di Feralia il 21 febbraio .\nLara/Larunda viene anche talvolta associata ad Acca Larentia, la cui festa erano i Larentalia, celebrati il 23 dicembre." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lastra marmorea dei Niobidi.\n### Descrizione: La Lastra marmorea dei Niobidi è un bassorilievo di piena età imperiale realizzato in marmo pentelico e conservato presso il Museo civico di Modena.\n\nRinvenimento.\nLa lastra è stata scoperta a Modena nel 1971 a circa 2,50 metri di profondità, nel corso di lavori edilizi in via Crespellani, a circa cento metri a nord della via Emilia. Fu rinvenuta a soli due metri di distanza da una tomba a cassa laterizia coperta da una stele funeraria iscritta datata tra 171 e 230 d.C. Le condizioni di ritrovamento della lastra fanno supporre un suo utilizzo come elemento di reimpiego nella necropoli tardoantica sviluppata lungo la via Emilia a est di Mutina (nome latino di Modena), ma non consentono di definire la tipologia di edificio in cui essa era originariamente inserita. Considerando sia il contesto sepolcrale di rinvenimento sia il tema raffigurato, attestato anche su sarcofagi di II secolo d.C., il rilievo viene generalmente attribuito a un edificio funerario. Tuttavia, potrebbe trattarsi anche di un elemento proveniente da un edificio urbano o suburbano.\n\nDescrizione.\nIl rilievo viene considerato opera di una bottega di tradizione neoattica e datato tra I e II secolo d.C. o in età adrianea-antonina.\nA partire da sinistra vi sono rappresentati: una giovane vestita di un peplo che fugge verso destra, un fanciullo inginocchiato nell’atto di estrarre una freccia dal dorso, un giovane in fuga verso destra raffigurato di spalle mentre porta la mano destra nel punto in cui il dardo lo ha colpito, una fanciulla protesa in un atto di supplica verso la figura maschile seduta sulle rocce (nella quale si è riconosciuto il padre Anfione). Le figure poggiano sul terreno ondulato e roccioso inserito quasi in continuità sulla cornice di base. Il gruppo d'insieme raffigurato risultava inedito nelle attestazioni iconografiche del mito fino alla scoperta del rilievo modenese.\nQuesto esemplare fa parte della serie di rilievi a sviluppo orizzontale, privi di sfondo, in cui sono riprodotte le figure dei Niobidi (delle dimensioni di circa 40 cm), rielaborazioni di quelle presenti sul fregio realizzato da Fidia per la decorazione del trono di Zeus di Olimpia. La lastra presenta una cornice a sezione rettangolare e restano visibili sia gli incavi per l’incastro di grappe che la tacca per l’inserimento di elementi di fissaggio alla struttura monumentale originale." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le 7 facce del Dr. Lao.\n### Descrizione: Le 7 facce del Dr. Lao (7 Faces of Dr. Lao) è un film statunitense del 1964 diretto da George Pal (fu la sua ultima regia) e interpretato da Tony Randall. Il film, adattamento del romanzo del 1935 Il Circo del Dr. Lao di Charles G. Finney, liberamente adattato per il cinema da Charles Beaumont, racconta la visita di un circo magico in una piccola città del sud-ovest degli Stati Uniti, e soprattutto i suoi effetti sugli abitanti.\n\nTrama.\nNegli anni intorno alla Grande Depressione o immediatamente successivi, il dottor Lao giunge nella cittadina immaginaria di Abalone, in Arizona, cavalcando un asino dorato (che si presume sia l'asino d'oro di Apuleio), e visita il giornale di Edward Cunningham, il Crusading, per pubblicare una grande pagina pubblicitaria per il suo circo itinerante, che si esibirà in città solo per due serate.\nAnche se tranquilla, Abalone non è una cittadina pacifica. Il ricco allevatore Clinton Stark ha ricevuto informazioni riservate sull'arrivo di una linea ferroviaria e intende acquistare l'intero territorio cittadino finché il terreno è a buon mercato. Stark arriva negli uffici del giornale per discutere con Cunningham di un suo recente editoriale decisamente contrario al piano di Stark. Il dr. Lao, in attesa di pubblicare il suo annuncio, ascolta in silenzio l'incontro.\nUn'altra degli oppositori di Stark è Angela Benedict, un'insegnante vedova che è la bibliotecaria della cittadina. Cunningham mostra affetto per lei, mettendola in imbarazzo durante una visita alla biblioteca per fare ricerche sul passato del dr. Lao, ma lei reprime i propri sentimenti simili verso di lui.\nNel corso di una riunione cittadina, Stark annuncia che la condotta idrica della cittadina, lunga 16 miglia, si sta deteriorando e che la sua sostituzione avrebbe un costo proibitivo, e quindi si offre di comprare tutte le proprietà cittadine a buon prezzo. Per opporsi all'offerta, Cunningham presenta George G. George, un indiano Navajo che vive nelle vicinanze in un insediamento i cui abitanti dipendono dall'esistenza di Abalone. Stark, a malincuore, concede che i cittadini riflettano sulla loro scelta fino al venerdì sera successivo.\nIl giorno dopo, Cunningham affronta il dr. Lao nell'area dove si è insediato il circo, sostenendo che la sua città natale è scomparsa secoli prima, ma il misterioso dr. Lao svia le domande di Cunningham. Più tardi, Mike, il giovane figlio di Angela, giunge a sapere che Lao ha 7.321 anni.\nAll'apertura del circo, il dr. Lao usa i propri tanti volti, tra cui quelli di Pan (il dio dell'allegria), del Grande Serpente Marino, di Medusa e del mago Merlino, per offrire perle di saggezza. A un certo punto Mike si incontra con il dr. Lao in cerca di un lavoro, mettendo in mostra le sue abilità di giocoliere e prestigiatore alle prime armi. In risposta, il dr. Lao offre osservazioni sotto forma di un discorso poetico sul mondo e sulla vita come circo.\nSi apprende che durante la prima nottata dell'esibizione del circo (in cui Angela era rimasta sveglia, tormentata dalla musica che Pan suonava, inaudibile per chiunque altro) gli scagnozzi di Stark hanno distrutto la sede del giornale. All'alba, però, i giornalisti scoprono con stupore che il loro ufficio è stato completamente ripristinato e la tipografia è in funzione. Attribuendo l'accaduto al dr. Lao, si affrettano a produrre un'edizione breve del giornale, che Cunningham stesso consegna a Stark in mattinata. Quando visita il sito del circo, il dr. Lao offre il proprio incoraggiamento e invita Cunningham a mantenere la fede.\nQuella sera, il dr. Lao mette in scena il suo gran finale, uno spettacolo di lanterne magiche che racconta la storia del regno di Woldercan, un tempo felice, distrutto dalla meschinità e dall'avidità dei suoi abitanti. Gli abitanti di Abalone sono dapprima felici di vedersi rappresentati nella visione, ma poi si sentono castigati quando questa procede verso la fine della mitica civiltà tra esplosioni e oscurità.\nI cittadini si ritrovano di nuovo nella biblioteca per l'assemblea cittadina. La proposta di Stark viene messa ai voti e, con grande sorpresa di Cunningham, Benedict e Stark, viene respinta all'unanimità. Stark racconta a tutti dell'imminente ferrovia, mentre Angela confessa il suo amore a Cunningham.\nGli scagnozzi di Stark sono confusi dal suo apparente cambiamento di carattere, e pensando di avere inteso male mettono a soqquadro il circo di Lao in una baraonda di ubriachi, durante la quale rompono anche la boccia del pesce del dottor Lao. Però il pesce che si trovava al suo interno si rivela essere il Mostro di Loch Ness, che quando viene esposto all'aria aperta raggiunge dimensioni enormi. Dopo aver scacciato i due teppisti, il dottor Lao evoca la pioggia per bagnare il mostro e ridurlo alle sue dimensioni originali.\nArriva il mattino e il circo non c'è più, resta solo un cerchio rosso sul pavimento del deserto dove c'era il tendone. In un primo momento i resoconti di Mike sulla notte precedente non vengono creduti, ma Stark trova il cappello di uno degli scagnozzi. Mike nel frattempo insegue un pennacchio di polvere che gli sembra essere lo spirito del dottor Lao, ma trova solo tre palline di legno, che fa giocolare mentre evoca lo spirito di Lao per osservarlo.\nIl dottor Lao si allontana mentre si ripete il suo consiglio di due sere prima, ricordando a Mike che il circo del dottor Lao è la vita stessa e che ogni cosa al suo interno è una sorpresa.\n\nProduzione.\nIl romanzo originale fu pubblicato nel 1935. Molto tempo dopo, i diritti cinematografici furono acquistati da George Pal, il quale nell'aprile 1961 disse che Charles Beaumont stava scrivendo una sceneggiatura. Pal affermò in seguito: 'Ha una mente stravagante come la mia'.Nel settembre 1961, Pal disse che il protagonista sarebbe stato Laurence Harvey. Nel dicembre 1961, anche Terry-Thomas fu collegato al progetto. Nel giugno 1962, la Metro-Goldwyn-Mayer annunciò invece che il protagonista del film sarebbe stato Rod Taylor.Secondo le note del CD della colonna sonora di Leigh Harline pubblicato da Film Score Monthly, la prima scelta di Pal per il ruolo del Dr. Lao era Peter Sellers, che era molto interessato al ruolo. Tuttavia, la MGM aveva sotto contratto Tony Randall e voleva utilizzarlo nel film, poiché costava 50.000 dollari in meno. Nel giugno 1963, venne finalmente annunciato che Randall avrebbe interpretato il protagonista. Le riprese iniziarono il 15 luglio 1963.Lo 'spettacolo di Woldercan' che il Dr. Lao presenta come gran finale del suo circo contiene molte riprese di una precedente produzione di George Pal, Atlantide, il continente perduto (1961), oltre ad alcune riprese di lava fluente tratte da L'uomo che visse nel futuro (The Time Machine, 1960) e a filmati di distruzione tratti dal repertorio della produzione MGM di Quo Vadis (1951). Nel film possono essere notati la sfera di cristallo e la grande clessidra usate dalla malvagia Strega dell'Ovest ne Il mago di Oz (1939). Nella scena in cui Mike fa visita a Lao di notte, si vede una tartaruga a due teste che in seguito apparirà in diversi episodi de La famiglia Addams.\nNel gennaio del 1965 la MGM annunciò che Randall sarebbe tornato a vestire i panni del Dr. Lao in un sequel, che però non si concretizzò.\n\nAccoglienza.\nLe 7 facce del Dr. Lao è stato accolto positivamente da numerosi critici cinematografici. Rotten Tomatoes, un sito di recensioni cinematografiche, riporta che 6 recensioni su 7 sono positive, con valutazione media pari a 86%. Howard Thompson del New York Times ha definito il film 'pesante, denso, un fantasy in miniatura, martellato su un'incudine'.\nLe 7 facce del Dr. Lao in USA e Canada incassò nella normale programmazione 1,25 milioni di dollari (Si noti che questa cifra si riferisce ai noleggi dei distributori e non all'incasso totale), eppure, nel 1974, Pal dichiarò che esso era stato l'unico dei suoi film a perdere soldi al botteghino, anche se nel frattempo ha recuperato i costi grazie ai diritti di trasmissione televisiva.\n\nRiconoscimenti.\nWilliam Tuttle ricevette un Oscar onorario per il suo lavoro sul trucco (fu il primo dei due soli Oscar onorari assegnati per questa specialità; l'altro andò a John Chambers nel 1968 per Il pianeta delle scimmie). Fu candidato al premio Oscar anche Jim Danforth per l'animazione dei modelli del Mostro di Loch Ness, del Serpente Marino e dei capelli di Medusa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le Argonautiche.\n### Descrizione: Le Argonautiche (in greco antico: Τὰ Ἀργοναυτικά?) sono un poema epico in greco antico scritto da Apollonio Rodio nel III secolo a.C.. Unico poema di età ellenistica sopravvissuto, esso racconta il mitico viaggio di Giasone e degli Argonauti per recuperare il Vello d'oro nella remota Colchide. Le loro eroiche avventure e la relazione di Giasone con la pericolosa Medea, principessa e maga colchiana, erano già ampiamente note al pubblico Ellenistico, permettendo così ad Apollonio di superare la semplice narrazione, per presentare un'esposizione che aderisca ed enfatizzi i valori dei suoi tempi - l'età della grande Biblioteca di Alessandria - mentre la sua epica incorpora la sua ricerca nei campi della geografia, dell'etnografia, delle religioni comparate, della letteratura omerica. Comunque, il suo principale contributo alla tradizione epica risiede nell'evoluzione dell'amore tra l'eroe e l'eroina: egli sembra esser stato il primo poeta epico a studiare la «patologia d'amore». Le Argonautiche ebbero un profondo impatto sulla poesia latina: tradotte da Varrone Atacino e imitate da Valerio Flacco, influenzarono Catullo e Ovidio, e indicarono a Virgilio un modello per il suo poema romano, l'Eneide.\n\nAntefatto.\nL'antefatto remoto, che Apollonio non espone, è il mito dei fratelli Elle e Frisso, figli del re di Orcomeno Atamante, che, per sfuggire ai maltrattamenti della matrigna, fuggono sul dorso di un montone dal vello d'oro che li conduce in volo attraverso il mare; durante la traversata Elle cade e muore in quello stretto che porta il suo nome (Ellesponto). Giunto in Colchide, Frisso sposa Calciope (figlia del sovrano locale) e immola il montone affidando il vello d'oro a un drago, che veglia giorno e notte sulla spoglia.\n\nTrama.\nL'opera è suddivisa in quattro libri, per un totale di 5836 versi in esametri.\n\nLibro primo.\nInvocazione a Febo e alle Muse - Motivo della spedizione (1-22)Nella città di Iolco, in Tessaglia, il re Pelia ha assunto il comando su tutta la regione, dopo aver spodestato il fratello Esone. Un oracolo gli ha predetto di guardarsi da un ragazzo che è senza un sandalo, perché quel giovane lo spodesterà. Giasone, il figlio di Esone, costretto ad allontanarsi per non essere ucciso, superati i vent'anni, ritorna a Iolco. Giunto al guado del fiume Anauro, trova una vecchia che non riesce ad attraversarlo. La porta in braccio in mezzo ai flutti e nel fango perde un sandalo. Quando Pelia si vede davanti Giasone, il ragazzo senza un sandalo, decide di sbarazzarsene e gli affida un'impresa ritenuta impossibile: raggiungere la Colchide e conquistare il Vello d'oro.\n\nRassegna degli eroi (23-231)Giasone raduna un nutrito gruppo di giovani valorosi (circa cinquanta eroi):.\nil poeta e cantore Orfeo, Asterione, Polifemo figlio di Elato, Admeto, signore di Fere, i ricchissimi figli di Ermes, esperti di inganni, Erito e Echione e Etalide, Corono, figlio di Ceneo, Mopso Titaresio, l'indovino, Eurimadante, Menezio, Eurizione e il possente Eribote, Oileo, Canto dall'Eubea, destinato a perire prima del ritorno, Clizio e Ifito, Peleo, il genitore di Achille, e suo fratello Telamone, padre di Aiace, il fortissimo Bute e il valoroso Falero, i Dioscuri, Polluce e Castore, Eracle con il suo scudiero Ila, Tifi, il timoniere, Argo di Tespi, figlio di Arestore, il costruttore della nave, Fliante, Taleo, Areo, Leodoco, Nauplio, Idmone, altro indovino, Augia, orgoglioso della sua ricchezza, Meleagro, molto forte e con lui Lacoonte, Ificlo, zio materno di Giasone e Ificlo, figlio di Testio, esperto nel giavellotto, Palemonio, storpio, Asterio, Anfione, Eufemo, il più veloce di tutti, Anfidamante e Cefeo, Anceo, vestito di una pelle d'orsa e armato di una scure a doppio taglio, il tracotante Ida e suo fratello Linceo, dalla vista acutissima, Periclemo, dal potere di mutarsi in ciò che voleva in battaglia, Zete e Calais, i due figli di Borea, Acasto figlio di Pelia e altri ancora.\n\nCongedo (232-316).\nPreparativi al porto e sacrificio a Febo (317-518).\nInizio della navigazione (519-608).\nL'isola di Lemno (609-909)Partiti dalla Grecia, dal porto di Pagase, gli Argonauti giungono sull'isola di Lemno per fare rifornimento. Le donne dell'isola hanno ucciso tutti gli uomini con l'eccezione di Toante, il padre di Ipsipile, che ora è regina.\nNonostante le nuove leggi dell'isola impongano alle donne di uccidere gli Argonauti appena sbarcati, Ipsipile decide di risparmiarli, a condizione che gli uomini della spedizione si uniscano a loro per concepire dei figli: le abitanti di Lemno temono infatti per la sopravvivenza della loro gente, visto che non vi sono uomini con cui accoppiarsi. Gli Argonauti accettano la proposta e si trattengono sull'isola fino a quando Eracle richiama all'ordine i compagni e li convince a proseguire il viaggio.\n\nDa Samotracia al paese dei Dolioni (910-1077)Il re Cizico accoglie ospitalmente gli eroi, che riescono anche a sconfiggere i Giganti prima di ripartire. L'episodio si conclude però in maniera infelice perché una tempesta riporta indietro la nave e di notte, senza riconoscersi, gli Argonauti e i Dolioni combattono fra di loro e il re Cizico muore.\n\nLa Misia (1078-1363)Argo riparte, ma dopo pochi giorni di navigazione, Eracle, che ha rotto il remo, per procurarsi il legno adatto a costruirne un altro, sbarca a terra e nel bosco il suo giovane amico Ila, mandato a prendere acqua, sparisce rapito dalla ninfa della fonte. Nel frattempo gli Argonauti salpano senza accorgersi dei compagni rimasti a terra.\n\nLibro secondo.\nIl paese dei Bebrici (1-163)Amico, re dei Bebrici, sfida nel pugilato tutti coloro che giungono nel suo paese. Polluce accetta la sfida, vince e uccide il re. I Bebrici, per vendicarlo, affrontano gli eroi in battaglia, ma vengono sconfitti.\n\nLa terra di Bitinia (164-530)Giasone e gli Argonauti approdano nella terra dell'indovino Fineo. Una maledizione è stata scagliata dagli dèi sul luogo: gelosi infatti della straordinaria capacità che Fineo ha nel predire gli avvenimenti lo hanno punito rendendolo balbuziente e cieco; per di più gli hanno abbattuto il palazzo e hanno inviato alla sua mensa le mostruose Arpie, che gli insozzano il cibo con i loro escrementi. Giasone e i compagni in breve tempo uccidono i mostri alati e si fanno predire dal vecchio le loro prossime tappe.\n\nLe Simplegadi (531-647)La nave degli Argonauti giunge nello stretto delle Simplegadi, enormi scogli che cozzano continuamente fra di loro, distruggendo inevitabilmente qualunque nave tenti di passarci in mezzo. Purtroppo, non vi è altra strada possibile. Giasone segue i consigli di Fineo e fa volare in avanti una colomba in modo che esse si chiudano; quando si riapriranno la nave tenterà il passaggio. Grazie all'aiuto di Atena, la nave Argo riesce ad attraversare lo stretto, anche se subisce qualche danno alla parte posteriore.\n\nPonto Eusino (648-751)La navigazione prosegue lungo le coste del Ponto Eusino. Apparizione di Apollo sull'isola di Tinia.\n\nIl paese dei Mariandini (752-929)Gli Argonauti sono ospitati dal re Lico. L'indovino Idmone è ucciso da un cinghiale, il timoniere Tifi muore per malattia. Tifi viene sostituito da Anceo e al momento della partenza si unisce agli Argonauti anche Dascilo, figlio di Lico, che può assicurare una buona accoglienza presso i popoli vicini.\n\nLa terra delle Amazzoni e l'isola di Ares (930-1285)Gli Argonauti hanno contatti con i Calibi, i Tibareni e i Mossineci. L'isola di Ares è infestata da uccelli che sono cacciati dagli Argonauti. Incontro con i figli di Frisso, che sono naufragati in viaggio verso la Colchide e che, d'ora in poi si uniscono agli eroi. Oltrepassata l'isola Filireide, arrivano al fiume Fasi.\n\nLibro terzo.\nInvocazione alla Musa Erato (1-5)Gli Argonauti, giunti finalmente nella Colchide, si appostano in un canneto.\n\nLe dee in aiuto di Giasone (6-166)Le dee Era ed Atena si recano da Afrodite affinché persuada il figlio Eros a far innamorare la figlia di Eeta, Medea, di Giasone: le arti magiche della fanciulla possono dare un aiuto decisivo per la conquista del vello.\n\nAlla reggia di Eeta (167-441)Gli Argonauti decidono di tentare di convincere Eeta a cedere il vello e si recano con i figli di Frisso, Telamone e Augia alla sua reggia. Eeta, furioso per la sfida di Giasone, gli impone una prova difficilissima: aggiogare tori enormi dagli zoccoli di bronzo, che soffiano fuoco dalle narici e dalla bocca e seminare dei denti di serpente nella terra arata e poi uccidere i giganti che ne nascono. Per non parlare poi del drago insonne! Giasone accetta la prova.\n\nMedea innamorata (442-1162)Medea, ferita da Eros e ormai perdutamente innamorata, si tormenta per tutta la notte che precede il giorno della sfida. Usa le sue arti magiche e prepara delle pozioni per proteggere Giasone.\n\nSuperamento della prova (1163-1407)Giasone, protetto da un liquido che lo rende invulnerabile, aggioga i buoi che gli sputano fuoco e fiamme, e poi, quando è il momento di uccidere i giganti, getta una pietra lontano affinché costoro, per averla, si uccidano a vicenda.\n\nLibro quarto.\nInvocazione alla musa (1-5).\nConquista del vello (6-182)Medea con un filtro potente addormenta il drago e Giasone si impadronisce del vello d'oro.\n\nFuga dalla Colchide (183-618)La nave Argo salpa con Medea a bordo. Gli Argonauti si dirigono verso l'Istro e ne seguono il corso, ma i Colchi guidati da Apsirto, fratello di Medea, riescono ad arrivare al mare di Crono prima di loro e tagliare le vie di fuga. Giasone e Medea ordiscono contro Apsirto un inganno: lo attirano con dei doni e lo uccidono.\n\nAll'isola di Circe (619-752)L'assassinio necessita della purificazione: Medea e Giasone giungono supplici da Circe e vengono purificati, ma non possono restare.\n\nLe Sirene, Scilla e Cariddi, e le Plancte (753-963)Quando gli Argonauti riprendono la navigazione, devono affrontare numerose insidie: le Sirene, Scilla e Cariddi, e le Plancte.\n\nLa Sicilia e i pascoli delle vacche del Sole (964-981).\nL'isola dei Feaci (982-1227)Gli Argonauti sbarcano sull'isola dei Feaci, da Alcinoo, a cui raccontano la loro storia. Giunge sull'isola anche un altro gruppo di Colchi, che reclama la restituzione di Medea. Alcinoo non vuole la guerra, ma decide che la ragazza vada consegnata al padre solo se è ancora vergine. Arete, sposa di Alcinoo, informa Giasone della decisione del consorte. Per evitare che Medea debba tornare dal padre, vengono quindi celebrate le nozze di Giasone e Medea. Ciò avviene nella grotta un tempo abitata da Macride, figlia di Aristeo, con la partecipazione delle ninfe e degli eroi.\n\nLibia (1228-1637)Una tempesta spinge la nave Argo verso le coste della Libia, dove si insabbia nella Sirte. Le eroine protettrici della Libia soccorrono però gli eroi greci, che sono tuttavia costretti a trasportare la nave attraverso il deserto fino al lago Tritonide, dove può riprendere la navigazione. Lo sforzo immenso del trasporto spinge gli eroi a cercare una fonte: viene d'aiuto quella fatta scaturire il giorno prima da Eracle, indicata agli eroi dalle Ninfe Esperidi, appena private dei pomi d'oro. La ricerca di Eracle non dà però frutto, mentre muoiono gli Argonauti Canto e Mopso. La navigazione riprende e con difficoltà gli eroi escono dal lago Tritonide.\n\nCreta e ritorno in patria (1638-1781)Nella terra di Creta Medea affronta un mostro di ferro chiamato Talo: una guardia meccanica che uccide con palle di bronzo infuocato i visitatori stranieri. Medea fa impazzire Talo con i suoi filtri, quest'ultimo urta la caviglia (unico suo punto debole) su uno spunzone di pietra e muore. Con una degna supplica al dio Apollo, alla fine, Giasone viene ricondotto sano e salvo con la nave degli Argonauti a Iolco.\n\nOrganizzazione spazio-temporale.\nLo spazio.\nLa struttura del poema ha un carattere chiuso e circolare: il punto di partenza e la meta del viaggio coincidono. Gli Argonauti infatti compiono un’impresa per la quale non si sentono motivati, così che il loro vero obiettivo è tornare in Grecia. È proprio l’ἀμηχανία (amechania), ovvero l’incertezza e la mancanza di motivazioni, a dominare buona parte del poema e a costituire il primo motivo di distacco dal modello omerico.\nL’incertezza si riflette pure nei luoghi che gli Argonauti attraversano, dall’atmosfera onirica e surreale, nella quale sembrano sovvertite tutte le leggi naturali; la stessa Colchide è un ‘universo capovolto’ in cui abitano popoli dalle assurde usanze (Calibi, Tibareni, Mossineci), in cui le giovinette sono maghe potenti e in cui la semina dei denti di drago produce un raccolto inconsueto e spaventoso.\n\nIl tempo.\nCosì come lo spazio chiuso in se stesso, anche il tempo trova l’intersezione di più piani cronologici, di modo che passato, presente e futuro sono contenuti l’uno nell’altro. Si tratta di una acronìa diversa dalla atemporalità omerica: in Omero infatti la vicenda comincia in medias res e si colloca in una dimensione remota che riflette il presente, mentre in Rodio la vicenda è autonoma dal presente e il ritmo narrativo va facendosi sempre più accelerato, così che in pochi versi sono concentrati i più svariati eventi.\n\nAdesione alla Poetica di Aristotele e influssi tragici.\nLe Argonautiche di Apollonio rispecchiano i canoni aristotelici di unità di azione (trattano un solo argomento), luogo (la vicenda è narrata dall'inizio alla fine ed anche con chiusura ciclica) e tempo; quest'ultimo punto veniva precisato da Aristotele il quale affermava che una narrazione epica avrebbe dovuto trattare una materia dominabile dalla mente del lettore e più precisamente doveva essere lunga come il «numero di tragedie ammesse a un'unica audizione».\nTuttavia la critica contemporanea ha voluto sottolineare le affinità col dramma non tanto per la forma delle Argonautiche, quanto per il contenuto, per l'atmosfera particolare dal carattere cupo e quasi allucinato. In tal modo Apollonio dimostra di guardare non tanto al poema eroico, quanto alla rilettura di esso effettuata dalla tragedia, fortemente connotata in senso psicologico ed esistenziale, e lontana dalla dimensione dell'epos.\nLa tradizione, a causa della precisione con cui Apollonio riprende le indicazioni dell'epos tradizionale, ha portato a definirlo uno dei più accesi avversari di Callimaco, nonostante oggi si tende a trattare questa definizione come un preconcetto: il nome di Apollonio non è registrato fra quelli dei cosiddetti Telchini e le Argonautiche non rappresentano affatto una negazione dei princìpi estetici callimachei, ma ne costituiscono al massimo il tentativo di andare oltre la frammentarietà dell'esilio. Tornare a Omero passando attraverso la lezione di Callimaco è insomma l'obiettivo di Apollonio.\n\nRinnovamento dell'epos omerico.\nIn realtà i critici moderni tendono a rivalutare molto la qualità artistica e la posizione dello scrittore nella polemica alessandrina. La sua opera infatti non è esente dalla novità: con un abile labor limae egli fu in grado di riprendere in 6000 versi tutta la saga delle Argonautiche, facendo del suo poema un esempio di brevitas ed έκφρασις callimachee (ékfrasis: descrizione particolareggiata). Anche per questo Callimaco, il suo maestro, capì l'innovazione dell'impianto narrativo dell'opera e lo esentò dalle acute e pungenti critiche rivolte ai Telchini, tra i nomi dei quali, riportati dallo scolio fiorentino, Apollonio peraltro non compare.\nSi trovano anche sostanziali differenze da Omero per quanto riguarda le motivazioni dei personaggi: se gli eroi dei grandi poemi erano spinti da forti interessi personali o dall'onore, nelle Argonautiche predomina l'ἀμηχανία (amechanìa) ovvero una mancanza di spinte che muovano i personaggi. Giasone non ha alcun interesse del vello, spesso pensa di rinunciare all'impresa: gli altri eroi si mostrano spesso volubili e restii a proseguire.\nPer quanto riguarda lo stile, l’allontanamento dalla tradizione omerica è individuabile in tre principali fattori:.\nil rifiuto dello stile formulare: se Omero descrive sempre con parole identiche lo stesso fenomeno (ad esempio l’Aurora “dalle dita di rosa”), Rodio varia sempre il proprio registro. In particolare è frequente l’utilizzo dello scorcio, un metodo narrativo moderno che permette di sintetizzare e rimandare ad altri luoghi dell’opera, evitando scene già descritte;.\nnelle similitudini: Apollonio le adopera forse con più frequenza rispetto a Omero, ma ne prende le distanze scandendole su toni intimistici, tipici dell’arte ‘borghese’ di età alessandrina;.\nnella presenza dell’io narrante: se l’aedo omerico non esiste al di fuori del canto ed è anzi il suo stesso canto, Apollonio sottolinea invece il proprio ruolo intervenendo in prima persona e specificando l’originalità della propria opera. Il poeta si è infatti trovato davanti una materia (i “gloriosi fatti degli uomini antichi”) ereditati da una tradizione che egli si è assunto il compito di rinnovare.\n\nI personaggi.\nMedea.\nQuando Giasone colpisce Apsirto, Medea si copre il volto in un gesto ipocrita (aveva infatti già calcolato l’omicidio insieme all’amante); ma nel suo ultimo gesto il fratello raccoglie il suo stesso sangue e macchia di rosso il candido velo e il peplo di Medea: l’atto è quasi un rito di iniziazione che farà diventare la maga una portatrice di morte per il resto della sua vita.\nÈ questo gesto, la macchia sul velo dell’innocenza, a risolvere il conflitto fra pudore e desiderio amoroso della donna. Lo stesso nome della principessa e il modo in cui viene descritta da Apollonio è attraversato da ambiguità: Μήδεια (Medea) è da ricollegarsi al verbo μήδεσθαι (médesthai), che significa “prendersi cura” ma anche “macchinare”, così come il filtro per ammansire i tori è chiamato φάρμακον (phàrmakon) con il doppio significato di “rimedio” e di “veleno”.\nMedea infine incarna il tema del contrasto fra barbarie e civiltà: quando incontra Giasone al tempio di Ecate ella è consapevole della propria estraneità ai valori civili dell’eroe greco, e l’unica legge che conosce è quella di Eros, una forza che la possiede - nonostante le resistenze iniziali che l’avevano indotta addirittura a pensare al suicidio - e che la fa arrivare al tradimento del padre e all’uccisione del fratello.\nIl primo incontro con Giasone è descritto da Apollonio in modo simile al turbamento amoroso di Saffo del frammento 31 («E questo il cuore / mi fa scoppiare in petto // […] la lingua è spezzata, scorre esile / sotto la pelle subito una fiamma, / non vedo più con gli occhi, mi rimbombano / forte le orecchie»):.\n\nGiasone.\nGiasone è visto dai più come un eroe ‘moderno’ che adopera le armi dell’eloquenza e della seduzione, ignorando i conflitti interiori di Medea. Mentre Eeta rappresenta il potere assoluto e la barbarie, l’eroe greco è portavoce di un volere collettivo. Sente tuttavia la propria missione solo come un peso da cui liberarsi al più presto, e non nutre neppure particolare risentimento verso Pelia; anzi in seguito si rivela amaramente pentito di avere accettato quella missione («dovevo oppormi al comando di Pelia e rifiutare subito questo viaggio, se pure mi fosse toccato d’essere fatto a pezzi e morire nel modo più atroce», libro II, 624 ss.).\nInfine Giasone è portavoce della civiltà ellenistica, del greco posto a continuo contatto con una realtà ‘altra’ che lo spinge a diventare esperto del mondo come l’Ulisse dantesco, ma anche consapevole del vuoto in fondo alle cose e all’esistenza umana.\n\nLa lingua.\nLa lingua del poema presenta dei tratti specifici che riflettono la complessità del poema e la pluralità dei modelli letterari scelti dal poeta. La base della lingua del poema consiste, fondamentalmente, nel dialetto epico omerico (con influssi di Esiodo e degli Inni omerici), scelta imprescindibile per chiunque volesse comporre un poema epico. Tuttavia, il poeta non si limita a seguire il modello omerico, in quanto inserisce nella struttura linguistica del testo lemmi che, sulla base della nostra documentazione linguistica greca, non possiamo classificare come termini epici. Vi sono, dunque, vocaboli attestati nella poesia lirica, nel teatro attico (tragedia e commedia), nella prosa (sia erodotea che attica) e lemmi documentati unicamente in età ellenistica che Apollonio condivide con Callimaco, Teocrito, Arato e Licofrone. Notevole è, poi, il numero degli hapax sia lessicali che morfologici, aspetto che potrebbe essere il riflesso sia delle raffinate scelte linguistiche del poeta, sia della presenza di fonti e modelli altrimenti perduti. Dato il carattere artificiale delle lingue letterarie greche va precisato che dietro alle scelte linguistiche di Apollonio deve esserci sicuramente la consultazione di lessici (soprattutto della lingua omerica). Questi lessici venivano definiti glosse, ossia raccolte di termini rari e antiquati. Significativi sono anche i punti di contatto fra Apollonio e i D scholia, materiale esegetico al testo omerico risalente già all'epoca classica, che fanno pensare che Apollonio dovette consultare delle compilazioni simili a quelle confluite nei D scholia (si veda, a tal proposito, l'articolo di Antonios Rengakos, Apollonius Rhodius as a Homeric Scholar in T.D. Papanghelis, A.Rengakos, A Companion to Apollonius Rhodius, Leiden 2001, pp. 199–200). Notevole è anche il fatto che Apollonio, nel rielaborare la lingua omerica, riproduce nel poema gli hapax e i dis legomena (tendenza che è stata evidenziata dagli studi di Fantuzzi: Ricerche su Apollonio Rodio, Roma 1988 p. 26 e 42 segg.). Questi aspetti linguistici sono estremamente significativi anche per il fatto che ci mostrano l'interesse e l'approccio filologico del poeta, che, vale la pena ricordarlo, fu direttore (προστάτης) della Biblioteca di Alessandria dopo Zenodoto e prima di Eratostene. Questa notevole stratificazione linguistica nonché le raffinate riprese e allusioni al testo omerico pongono inevitabilmente il problema del pubblico delle Argonautiche. Benché nel contesto della corte dei Tolomei i poeti potessero diffondere parti delle proprie composizioni attraverso pubbliche letture, è molto probabile che il poeta, esattamente come gli altri poeti ellenistici contemporanei, pensasse a un dotto pubblico di lettori piuttosto che di ascoltatori (cfr. M. Fantuzzi, 'Homeric' Formularity in the Argonautica, in T.D. Papanghelis, A.Rengakos, A Companion to Apollonius Rhodius, Leiden 2001, p. 191).\n\nTradizione manoscritta e fortuna.\nLe Argonautiche furono molto ammirate nell'antichità e rappresentano per noi l'unico poema epico greco integro composto tra l'epoca dei poemi omerici e dell'Eneide di Virgilio. L'ammirazione e la fortuna del poema sono rappresentate sia dal notevole numero di papiri (una trentina che vanno dal III a.C. al I d.C.) e di manoscritti medievali (55 manoscritti che oscillano tra il X sec. e il XVI) sia dalle riprese e rielaborazioni tanto in ambito greco quanto in ambito latino. Di non semplice soluzione è il problema delle varianti testimoniate dai papiri (in particolare in P. Oxy. 2700 datato III a.C. e contenente I, 169-174; 202-243) rispetto al testo della tradizione medievale (sull'argomento cfr. G. Schade, P. Eleuteri, The Textual Tradition of the Argonautica, in T.D. Papanghelis, A.Rengakos, A Companion to Apollonius Rhodius, Leiden 2001, pp. 33–39).\nIn estrema sintesi va detto che i manoscritti medievali sono stati suddivisi in tre famiglie m, w, k (questa, in realtà, una sottofamiglia di w). Il più antico manoscritto di Apollonio, che appartiene alla famiglia m, è il Laurentianus gr. 32.9 (960-980 d.C.) che contiene anche le sette tragedie di Eschilo e di Sofocle. Notevole è anche la massa di commenti e scoli al testo di Apollonio. Teone di Alessandria (I sec. a.C.), Lucillo di Tarra (I sec. d.C.) Ireneo e Sofocle (forse II d.C.) realizzarono dei commenti al poema confluiti nei nostri scoli (K. Wendel, Scholia in Apollonium Rhodium vetera, recensuit Carolus Wendel, Berolini apud Weidmannos 1935), mentre si deve al poeta Mariano (V sec. d.C.) una parafrasi (perduta) in giambi.\nPer quanto concerne la fortuna del poema va detto che sono riscontrabili echi delle Argonautiche nell'Alessandra di Licofrone e nella tarda poesia epica greca (Trifiodoro, Quinto Smirneo, Nonno di Panopoli). Apollonio è anche il modello del poema anonimo Argonautiche orfiche (V d.C.), opera che rappresenta una rielaborazione in chiave orfica del poema ellenistico. Per quanto riguarda gli scrittori latini bisogna ricordare: Publio Terenzio Varrone 'Atacino' che fece una traduzione (di cui possediamo solo alcuni frammenti) in lingua latina del poema; Virgilio, che tenne presente le Argonautiche in particolare nella composizione del IV libro dell''Eneide', dove la figura di Didone trae esplicitamente spunto dalla Medea di Apollonio; Gaio Valerio Flacco, che lo prese a modello per il suo poema (Argonautica).\n\nTrasposizioni cinematografiche.\nGli argonauti (o I giganti della Tessaglia), regia di Riccardo Freda (1960);.\nGli argonauti 2, regia di Don Chaffey (1963).\n\nTraduttori italiani.\nLudovico Flangini, Roma, 1791-1794.\nCoriolano di Bagnolo, Torino, 1836.\nBaccio Dal Borgo, Nistri, Pisa, 1837.\nGiuseppe Rota, Milano, 1852.\nFelice Bellotti, Firenze, 1873.\nAnthos Ardizzoni, Adriatica Editrice, Bari, 1958; Edizioni dell'Ateneo, Roma, 1967 [trad. integrale].\nGiuseppe Pompella, note e commento, vol I: Libri I-II, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, Napoli, 1968; vol. II: Libri III-IV, ivi, Napoli, 1970.\nEnrico Livrea, La Nuova Italia, Firenze, 1973 [trad. parziale].\nTeodoro Ciresola, Rivista di studi classici, Torino, 1975.\nGuido Paduano, introduzione e commento di G. Paduano e Massimo Fusillo, BUR-Rizzoli, Milano, 1986.\nAlberto Borgogno, Collana Oscar Classici greci e latini, Mondadori, Milano, 2003; ora Collana Oscar Classici, Mondadori, 2019.\nSonja Caterina Calzascia, Collezione Classici Greci e Latini, Rusconi, Santarcangelo di Romagna, 2019, ISBN 978-88-180-3340-3.\nDaniele Ventre, Mesogea, Messina, 2020, ISBN 978-88-469-2194-9." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Le Baccanti.\n### Descrizione: Le Baccanti (in greco antico: Βάκχαι?, Bákchai) è una tragedia di Euripide, scritta mentre l'autore era alla corte di Archelao, re di Macedonia, tra il 407 ed il 406 a.C. Euripide morì pochi mesi dopo averla completata.L'opera fu rappresentata ad Atene pochi anni dopo, probabilmente nel 405 a.C., sotto la direzione del figlio (o nipote) dell'autore, chiamato anch'egli Euripide. Venne messa in scena nell'ambito di una trilogia che comprendeva anche Alcmeone a Corinto (oggi perduta) e Ifigenia in Aulide. Tale trilogia di opere fruttò all'autore una vittoria postuma alle Grandi Dionisie di quell'anno.\n\nTrama.\nDioniso, dio del vino, del teatro e del piacere fisico e mentale in genere, era nato dall'unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia le sorelle della donna e il nipote Penteo (re di Tebe) per invidia sparsero la voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da una relazione tra Semele e un uomo mortale, e che la storia del rapporto con Zeus era solo uno stratagemma per mascherare la 'scappatella'. In sostanza, quindi, essi negavano la natura divina di Dioniso, considerandolo un comune mortale.\nNel prologo della tragedia, Dioniso afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere tutta Tebe di essere un dio e non un uomo. A tale scopo per prima cosa ha indotto un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso stesso (diventando quindi Baccanti, ossia donne che celebrano i riti di Bacco, altro nome di Dioniso).\nQuesto fatto però non convince Penteo: egli rifiuta pervicacemente di riconoscere un dio in Dioniso, e lo considera solo una sorta di demone che ha ideato una trappola per adescare le donne. Invano Cadmo (nonno di Penteo) e Tiresia (indovino cieco) tentano di dissuaderlo e di fargli riconoscere Dioniso come un dio. Il re di Tebe fa allora arrestare lo stesso Dioniso (che si lascia catturare volutamente) per imprigionarlo, ma il dio scatena un terremoto che gli permette di liberarsi immediatamente.\nNel frattempo dal monte Citerone giungono notizie inquietanti: le donne che compiono i riti sono in grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e in un momento di furore dionisiaco si sono avventate su una mandria di mucche, squartandole vive con forza sovrumana. Hanno poi invaso alcuni villaggi, devastando tutto, rapendo bambini e mettendo in fuga la popolazione. Dioniso, parlando con Penteo, riesce allora a convincerlo a mascherarsi da donna per poter spiare di nascosto le Baccanti. Una volta che i due sono giunti sul Citerone, però, il dio aizza le Baccanti contro Penteo. Esse sradicano l'albero sul quale il re si era nascosto, si avventano su di lui e lo fanno a pezzi. Non solo: la prima ad infierire su Penteo, spezzandogli un braccio, è sua madre Agave.\nQuesti fatti vengono narrati a Cadmo da un messaggero che è tornato a Tebe dopo aver assistito alla scena. Poco dopo arriva anche Agave, munita di un bastone sulla cui sommità è attaccata la testa di Penteo che lei, nel suo delirio di Baccante, crede essere una testa di leone. Cadmo, sconvolto di fronte a quello spettacolo, riesce pian piano a far rinsavire Agave, che infine si accorge con orrore di ciò che ha fatto. A quel punto riappare Dioniso ex machina, che spiega di aver architettato questo piano per punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo e Agave a essere esiliati in terre lontane. Con l'immagine di Cadmo e Agave che, commossi, si dicono addio, si conclude la vicenda.\n\nCommento.\nUn'opera religiosa?.\nLe Baccanti è considerata una delle più grandi opere teatrali di tutti i tempi. In apparenza il suo messaggio è un monito a tutti gli uomini ad adorare sempre gli dei e a non mettersi contro di essi, e in effetti tradizionalmente quest'opera era sempre stata considerata un'opera religiosa, ossia la riscoperta della religione da parte di un autore che per tutta la vita era stato sempre considerato un laico. La tragedia tuttavia rivela forti ambiguità, rilevate soprattutto dalla critica degli ultimi decenni.\nInnanzitutto è da notare che le virtù che all'inizio dell'opera vengono attribuite al dio (capacità di alleviare le tensioni e le sofferenze degli uomini grazie al vino e ai piaceri fisici e mentali) vengono mostrate poco: Dioniso si dimostra una divinità assolutamente spietata nel punire chi non aveva creduto in lui, al punto di sterminare i suoi stessi parenti (Penteo era infatti cugino del dio, in quanto figlio di Echione e di Agave, sorella della madre di Dioniso, Semele), ed esiliare i sopravvissuti. Tutto questo per pura e semplice vendetta. Inoltre le stesse Baccanti appaiono molto più intente a compiere azioni violente (invadere villaggi, squartare mandrie di mucche e lo stesso Penteo) che non a celebrare la gioia dei riti di Dioniso. La stessa Agave, dopo essere stata Baccante, si allontana gettando a terra i paramenti del dio e augurandosi di non vedere mai più il Citerone.\nSe Euripide avesse voluto mettere in scena un'opera religiosa, forse non avrebbe messo così in evidenza gli aspetti più sconcertanti del dionisismo, ma avrebbe probabilmente posto maggiormente l'attenzione sui lati positivi (che comunque ci sono, ma solo in alcuni canti corali). Per questo motivo alcuni studiosi arrivano a interpretare l'opera in senso del tutto opposto, considerandola non una riscoperta della religione, ma anzi una forte invettiva antireligiosa. E lo dimostrerebbe la critica che Cadmo rivolge a Dioniso verso la fine dell'opera: «Non è bene che gli dei rivaleggino nell'ira con gli uomini», critica cui il dio non dà alcuna risposta, limitandosi a ribattere che questa è da sempre la volontà di Zeus. La tragedia insomma si chiude con molti interrogativi e nessuna risposta, mentre una sola cosa svetta con evidenza su tutte: la spietata vendetta del dio Dioniso.\n\nLo scontro tra Penteo e Dioniso.\nL'opera è quasi completamente imperniata attorno allo scontro tra Penteo e Dioniso, ma nessuno di loro può essere definito un personaggio positivo. Il dio, infatti, come appena visto, è privo di qualsiasi scrupolo e pietà verso gli uomini, mentre il re Penteo non appare come una persona dall'atteggiamento fortemente razionale (cosa che ci si aspetterebbe da chi rifiuta di avere fede in un dio), bensì come un uomo tirannico, irascibile, chiuso nelle proprie convinzioni e non disposto a rimetterle in discussione. In questo senso Penteo rappresenta in effetti l'opposto di quella razionalità che dovrebbe almeno in teoria essere il suo punto di forza. I due personaggi di Dioniso e di Penteo non sono dunque realmente in contrasto l'uno con l'altro, ma speculari, al punto da arrivare ad assomigliare l'uno all'altro verso la fine dell'opera: Penteo travestendosi da Baccante, Dioniso assumendo l'atteggiamento del despota spietato.\n\nLa follia.\nIl filosofo Platone, nel Fedro, afferma che la follia è superiore alla sapienza, poiché quest'ultima è di origine umana, mentre la prima è di origine divina. Uno dei tipi di follia individuati da Platone è appunto quella iniziatica, riconducibile al dio Dioniso. Nelle Baccanti Euripide si dilunga non poco nel descriverne gli effetti, costruendo nell'opera due tipi diversi di tale follia: da una parte il delirio pazzo e sanguinario delle Baccanti quando compiono le azioni violente, dall'altra il comportamento più misurato e tranquillo durante i momenti di riposo ed i riti di adorazione di Dioniso (in particolare nei canti corali). Il primo tipo di follia è rivolto a chi non riconosce il culto di Dioniso e viene perciò punito con la violenza; il secondo è invece quello tipico di chi, accettati i culti dionisiaci, ne riceve i benefici.Nel primo caso, le Baccanti sono animate da forza sovrumana e bestiale, come quando assalgono paesi o squartano vivi uomini e animali. Nel secondo caso, invece, esse appaiono come portatrici di un tipo di società alternativo a quello civilizzato della moderna Tebe, una società a diretto contatto con la natura, in cui la donna dimentica la sua vita cittadina, arrivando ad allattare cuccioli di animali. Qui la follia diventa un mezzo per uscire dagli schemi, raggiungere la conoscenza diretta del dio nel proprio corpo, e, quindi, una maggiore consapevolezza di sé.\n\nNell'opera è in effetti presente una netta differenziazione tra i termini sophòn e sophía: il primo è il sapere, ossia la conoscenza di nozioni e di fatti. La seconda è invece la sapienza, nel senso di saggezza, ossia la capacità di discernere cosa sia davvero importante e di conseguenza quale sia il miglior modo di vivere. Secondo il coro delle Baccanti, possedere il primo non significa necessariamente possedere anche la seconda.\n\nLa fine dell'eroe tragico.\nUna caratteristica tipica della tragedia greca in generale è che il protagonista viene colpito sì da grandi disgrazie, ma non perde mai la propria dignità. Anche personaggi disprezzati da tutti, come Edipo, non vengono mai ridicolizzati o sbeffeggiati. Dioniso invece fa vestire Penteo da donna, e non si fa scrupoli a prenderlo in giro, mettendogli persino a posto i riccioli. In questo modo, per la prima volta un eroe tragico perde la propria dignità e si trasforma in una figura grottesca e quasi comica: una figura assolutamente sconosciuta alla tragedia classica, che sembra così rinnovarsi verso forme nuove di teatro.\n\nI personaggi.\nDioniso: Il dio è proprio il primo personaggio ad apparire sulla scena ed è anche colui che recita il prologo spiegandoci il motivo della sua visita a Tebe: lui deve infatti punire la città che non lo riconosce come figlio di Zeus e gli toglie dunque la sua natura divina.(«Anche se non lo vuole, questa città imparerà a conoscere i riti segreti di Bacco» vv.39-40) Solo per questo il Dio vuole punire Tebe, infatti solitamente Dioniso non è un dio che punisce chiunque, ma solo chi nega la sua divinità. In ogni caso Euripide non voleva che la sua rappresentazione di Dioniso fosse quella tipica, e cercherà quindi di mostrarci il personaggio non come il mero dio orgiastico, benché questo fosse difficile poiché nella tradizione era ormai ben fissa l'idea di Dioniso come divinità legata al vino e al piacere. Dioniso è il padrone che bisogna servire (v.82), le sue ragioni sono l'unica ragione dell'agire del gruppo (vv.83-87), è colui che conduce il corteo e gli indica la meta muovendolo con la follia (v.115-119) ed è il dio che si rallegra per i balli e le feste in suo onore.\nIl coro delle Baccanti: Il coro assume diversa importanza dall'inizio della tragedia alla fine. Se inizialmente domina la scena, alla fine si ritrova ad avere un ruolo marginale, fatto anche di poche battute, per lasciare spazio ai personaggi. L'opera venne del resto rappresentata in un periodo storico in cui l'importanza del coro andava sempre più riducendosi. Si tratta di seguaci fanatiche del dio, verso cui hanno una fede assoluta.\nTiresia: Rispetto al modo in cui veniva descritto nelle tragedie greche, nelle Baccanti si ha una ristrutturazione del personaggio. Più che spiegare il futuro, questo si concentra sul raccontare fatti già noti.Tiresia è il personaggio principale del I episodio e abbandona il suo ruolo principale di indovino per apparire caratterizzato da una cultura aggiornata e agguerrita. Lui teorizza la persistenza e la indefettibilità della tradizione (cioè la cultura disintellettualizzata del popolo) ma allo stesso tempo usa un linguaggio che presuppone una cultura. Proprio per questo il suo personaggio, caratterizzato da forti contraddizioni, serve a mostrare l'impraticabilità di un collegamento tra il culto di Dioniso e la cultura cosiddetta 'intellettuale'.\nCadmo: Cadmo è il padre di Agave e dunque nonno di Penteo. Il suo personaggio è un personaggio ricorrente e nel mito il suo nome era ricollegato alla fondazione di Tebe, tanto che 'cadmeo' era un equivalente di 'tebano'. Inizialmente Cadmo appare in scena come ben predisposto nei confronti del nuovo culto per Dioniso, e per questo motivo appare strano che la vendetta del Dio ricada anche su di lui. Però il suo approcciarsi al Dio è ben diverso da quello di Tiresia: lui infatti più che essere mosso da motivi di fede è mosso dalla volontà di far 'crescere' Dioniso, essendo questo figlio di sua figlia. 'È il figlio di mia figlia, Dioniso; che sia un dio è apparso chiaro agli uomini, ora occorre - per quanto è in nostro potere - che cresca e diventi un grande dio'. Inoltre nel dialogo tra Tiresia e Cadmo emerge il fatto che Cadmo quasi si vergogna del compiere certi riti bacchici come appare, ad esempio, dai vv. 204-205 'ερει τις ως το γηρας ουκ αισχυνομαι, μελλων χορευειν κρατα κισσωσας εμον' (qualcuno dirà che non ho vergogna della mia vecchiaia, se mi accingo a danzare con il capo coronato d'edera). Infatti questo personaggio si preoccupa più del pensiero degli altri piuttosto che della vendetta che potrebbe giungergli dal Dio poiché non aderisce ai suoi riti. Cadmo entra in scena ancora prima che Tiresia mandi qualcuno a chiamarlo; era infatti impaziente e in attesa, e questo si deduce anche dagli enfatici complimenti che rivolge a Tiresia 'voce dotta di uomo dottissimo', lodi che non pareva meritare. Dunque questo personaggio seguita i riti bacchici ma malgrado questo verrà punito per i motivi che lo spingono ad adorare il Dio, motivi propagandistici e nulla più.\nPenteo: Penteo è il re di Tebe che, con l'arrivo del Dio, diventa straniero nella sua stessa città e che, benché fosse il portatore dell'ordine e della legge, è continuamente accusato di essere ανομος (privo di legge). Il suo personaggio appare però anche come un doppio di Dioniso, sua madre Agave infatti è sorella di Semele (madre di Dioniso) e suo padre Echione è l'uomo-serpente, animale sacro al dio. Man mano che la storia si evolve, Penteo si avvicina sempre di più ad assumere le sembianze di una Menade e del dio stesso. Anche nella sua uccisione c'è un richiamo a Dioniso poiché infatti viene ammazzato poiché scambiato per un leone, un'altra delle metamorfosi animali di Dioniso. Attraverso Penteo, sin dal I episodio, si imposta la crisi del potere politico. Inizialmente questo personaggio viene descritto da Euripide con tutte le principali caratteristiche del tiranno, ma alla fine il suo ruolo cambia poiché infatti questo da 'disprezzato' diviene l'oggetto della commiserazione del pubblico. Da oggetto di condanna diventa dunque l'infelice che è andato incontro ad una brutta fine. Euripide qui fa un nuovo uso di questo personaggio: inizialmente è il detentore del potere e ne fa un uso incongruo, nel momento in cui su di lui incombe una rovinosa morte, si trasforma nell'oggetto di commiserazione.\nPrimo messaggero: Il primo messaggero racconta ciò che lui ha visto sul monte e in particolare ciò che ha fatto Agave con le sue sorelle e tutte le donne di Tebe. Il suo racconto dovrebbe avere un carattere di assoluta tipicità, infatti fornisce preziosi indicazione sul dionisismo, cioè su come Euripide vedeva questo culto e i suoi fenomeni.\nSecondo messaggero: Il secondo messaggero appare nel V episodio e presenta un ruolo molto importante, questo infatti evoca gli ultimi attimi di Penteo e funge da narratore di una sorta di conversione nella tragedia: vi è infatti il momento in cui Penteo diviene l'oggetto della commiserazione. Il suo personaggio era fino a quel momento sconosciuto e parla attraverso un discorso che è privo di un effettivo destinatario sulla scena. Il messaggero si rivolge ad una casa che è priva dei suoi titolari, svuotata dall'impatto violento della vicenda e racconta, ma non ha effettivi destinatati di fronte a lui;appena finisce sul racconto va via, senza nessun commento. In questo modo gli spettatori colgono un grande scollamento tra chi parla e chi dovrebbe ascoltare.\nAgave: Agave, madre di Penteo e sorella di Semele, è una di quelle figure femminili immortali e che mai riescono ad essere vinte o sottomesse. Questo personaggio contesta il potere, sia quello regale come baccante che quello del Dio quando, alla fine, andrà dove del Dio non c'è più nessun culto. Benché Dioniso riesca ad annientare Tebe, non riuscirà mai ad annientare Agave. È un personaggio fondamentale che però arriva solo alla fine della tragedia, nell'esodo. Per questo Euripide deve fare in modo che questo attore si affermi immediatamente con forte impatto nel pubblico, poiché infatti Agave, apparendo solo nella parte finale, si trova davanti degli spettatori con delle potenzialità emotive già coinvolte nella vicenda e perciò poco disponibili ad aprirsi a nuovi personaggi.\n\nI riti dionisiaci.\nLe azioni e i rituali descritti nell'opera non sono un'invenzione dell'autore, ma si rifanno fin nei particolari a usanze effettivamente diffuse ai tempi di Euripide. Era infatti reale che un certo numero di donne (dette Baccanti, Menadi o Bassaridi), riunite in gruppi (detti tiasi), ad anni alterni si appartassero sulle montagne per celebrare i riti di Dioniso, e lì compissero azioni quali ridurre a brani un animale con le mani e mangiarne le carni crude. Tali forme di culto non si praticavano certamente più ad Atene nel V secolo a.C., ma erano ancora in uso in zone meno civilizzate del mondo greco. La follia era considerata come indotta dal dio, ma in realtà era stimolata dalla situazione insolita, dal contatto con la natura, dalle danze e dalla musica di sistri e tamburelli. Non è un caso che tali rituali fossero soprattutto femminili: emarginate dalla vita politica e sociale delle poleis, spesso confinate in casa, le donne potevano in questo modo recuperare la loro autonomia, per quanto temporanea e fittizia.\n\nTradizione letteraria.\nI misteri bacchici e le figure delle Baccanti si rifanno a una lunga tradizione letteraria greca, che poi è riverberata durante il Rinascimento italiano e oltre in varie opere, tra cui si possono ricordare:.\n\nFabula di Orfeo, rappresentazione scenica di Poliziano.\nI Baccanali, tragedia di Giovanni Pindemonte.\nLe Baccanti (Bacchanterna), dramma di Erik Johan Stagnelius.\nLe Bassaridi, opera lirica di Hans Werner Henze, su libretto di W. H. Auden e Chester Kallman.\n\nRappresentazioni significative.\nNel 1973 a Londra va in scena Le Baccanti con testo riveduto da Wole Soyinka (futuro premio Nobel per la letteratura), adattata per rappresentare lo scontro di civiltà tra le popolazioni africane e l'invasore europeo. Regista dello spettacolo è Roland Joffé. Il coro delle Baccanti è affiancato da quello degli schiavi dalla pelle nera, e lo stesso Dioniso richiama da vicino altre figure divine come il dio africano Ogun e Gesù Cristo. Lo spettacolo si pone come un atto di accusa verso il colonialismo e, più in generale, a favore delle classi sociali più povere.\nNel 1978 Luca Ronconi a Prato propone una versione dell'opera ridotta a monologo, protagonista Marisa Fabbri, eliminando tutte le peripezie dei personaggi e concentrandosi quindi sul nucleo tragico (e anche patologico) della vicenda. Lo spettacolo è di tipo itinerante, proponendo una sorta di simbolica discesa agli inferi.\nNel 1988 a Delfi il regista peruviano Jorge Guerra Castro mette in scena un Penteo fanatico dell'ordine e della pulizia, continuamente intento a lavarsi le mani e a chiamare disinfestatori per sterilizzare i luoghi contaminati dalle Baccanti. Un Penteo però anche morbosamente attratto da quella sporcizia che tanto aborrisce.\nNel luglio 2021, il regista Carlus Padrissa, uno dei fondatori della compagnia catalana La Fura dels Baus, mette in scena Le Baccanti al teatro greco di Siracusa. Dioniso è un personaggio con tratti demoniaci e animaleschi, mentre le Baccanti, particolarmente numerose (ben 55) e violente, eseguono spesso numeri acrobatici. La musica spazia tra la lirica, il rock e l'elettronica." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le baccanti (film).\n### Descrizione: Le baccanti è un film del 1961 diretto da Giorgio Ferroni, ispirato all'omonima tragedia di Euripide.\n\nTrama.\nTebe, la città natale di Dioniso (nato dall'unione tra il dio Zeus e la mortale Semele), soffre di una terribile siccità, che scatena il malcontento popolare. A questo si aggiungono le accuse dell'indovino Tiresia, che adduce la siccità all'ira di Dioniso, incolpando il re Penteo di non credere alla sua natura divina e di non riverirlo.\nManto, figlia di Tiresia, dona dell'acqua a uno sconosciuto, che contraccambia con del vino sacro a Dioniso. Si confida poi con la sua amica Dirce, discutendo dei loro rispettivi destini infelici: Manto diventerà vergine sacra a Demetra, nonostante sia innamorata del servo Lacdamo, mentre Dirce è promessa sposa di Penteo, pur sognando una vita libera dalla corte.\nIn seguito a un presagio riferito da un sacerdote, Agave, sorella di Semele e madre di Penteo, rivela a suo figlio l'esistenza di un'antica profezia, secondo la quale Lacdamo sposerà una vergine sacra a Demetra e loro figlio diverrà re di Tebe. Lacdamo è infatti il figlio di Ino, sorella maggiore di Agave, che l'ha fatto rapire e allevare come un servo per conservare il trono per Penteo. Secondo il sacerdote, Manto è la vergine della profezia e sono giunte voci che conosca già Lacdamo. Per evitare allo stesso tempo il compiersi della profezia e i tumulti popolari, Penteo ordina il sacrificio di Manto in onore di Demetra per ottenere migliori raccolti. Dirce intercede invano presso Penteo per impedire il sacrificio di Manto, confermando involontariamente che questa è già innamorata di Ladcamo.\nSu suggerimento di Tiresia, la notte prima del sacrificio Dirce beve il vino sacro a Dioniso e si reca con altre donne al Monte Citerone, dove incontra lo straniero che ha donato il vino a Manto. L'indomani, lo straniero sobilla il popolo contro Penteo, mentre un fulmine blocca la mano del sacerdote che avrebbe ucciso Manto. La gioventù tebana si reca quindi in massa al Citerone, per celebrare baccanali in onore di Dioniso e il matrimonio tra Manto e Lacdamo. Lo straniero rivela infatti che Lacdamo è in realtà cugino di Penteo e legittimo re di Tebe: secondo le leggi, può quindi prendere in sposa Manto, anche se questa è già stata consacrata a Demetra.\nPenteo invia soldati al Citerone e incarcera i ribelli. Lo straniero riesce a salvarsi, ma l'indomani si reca spontaneamente a palazzo prima delle nozze di Penteo, che lo fa incatenare alle rupi del Citerone. Tuttavia, per placare gli animi del popolo, decide di liberare tutti i giovani catturati, eccetto Manto e Lacdamo.\nDirce visita lo straniero incatenato, del quale si è innamorata: ma lui rivela di essere Dioniso e che presto lascerà il suo corpo mortale. Nel frattempo, Tiresia rivela a Policrate, attuale capo della tribù che fu di Atamante (padre di Lacdamo), che Lacdamo è il vero re di Tebe. I soldati di Policrate liberano lui e Manto e si uniscono alle Baccanti, che sono in battaglia contro l'esercito di Penteo. Lacdamo sconfigge in duello Penteo e diventa il nuovo re di Tebe; Dioniso ascende finalmente a dio, mentre Dirce guiderà le Baccanti.\n\nDifferenze con la mitologia e l'opera di Euripide.\nIl personaggio di Lacdamo non esiste; i figli di Ino e Atamante (Learco e Melicerte) morirono da bambini e nessuno di loro sposò Manto.\nPenteo muore ucciso dalla sua stessa madre, divenuta una baccante sotto il controllo di Dioniso.\nDopo la morte di Penteo, la corona di Tebe passò allo zio Polidoro (unico figlio maschio di Cadmo e futuro bisnonno di Edipo).\nDirce fu la moglie di Lico, che sarà futuro reggente di Tebe per Labdaco (figlio di Polidoro e cugino di Penteo).\nIn virtù di questi fatti, è però possibile che Lacdamo sia ispirato proprio al personaggio di Labdaco.\n\nProduzione.\nDistribuzione." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le due bisacce.\n### Descrizione: Le due bisacce è una favola di Esopo.\n\nIl protagonista.\nNon è insolito che favole di origine greca abbiano come protagonisti gli dei. Prometeo, secondo la mitologia greca, era un titano cioè un essere divino fortissimo che aveva creato gli uomini plasmandoli con il fango. Prometeo, protagonista di opere letterarie importanti, è posto qui da Esopo al centro di un racconto molto semplice e breve.\n\nTrama.\nSecondo il racconto, Prometeo, che aveva fabbricato gli uomini, appese al collo di ognuno due bisacce, l'una piena di vizi altrui e l'altra dei vizi propri; quella dei vizi altrui la pose davanti, mentre l'altra la appese dietro. Questo è il motivo per cui gli uomini scorgono a prima vista i difetti altrui, mentre quelli propri non li mettono mai sott'occhio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le metamorfosi (Apuleio).\n### Descrizione: Le metamorfosi (in latino Metamorphoseon libri XI, probabilmente il titolo originario) è un'opera scritta da Lucio Apuleio nel II secolo d.C. È anche noto con il titolo L'asino d'oro (Asinus aureus), con il quale viene citato da sant'Agostino nel De civitate Dei (XVlll, 18). È uno dei tre soli romanzi della letteratura latina a essere pervenuto fino a oggi insieme al Satyricon di Petronio e alla Storia di Apollonio re di Tiro d'autore ignoto, e l'unico sopravvissuto integralmente, poiché degli altri due sono rimasti solo dei frammenti.\nIl protagonista del romanzo è il curiosus Lucio: alla fine dell'opera viene rivelato che è nativo di Madaura, la città della Numidia dove nacque l'autore stesso. Viaggiando in Tessaglia, terra di streghe e incantesimi, egli prova un insaziabile desiderio di vedere e praticare la magia: dopo essersi spalmato un unguento magico, si ritrova trasformato accidentalmente in asino. La trama prosegue seguendo Lucio nelle sue peripezie attraverso lunghe avventure, vicende e repertori di racconti, portandolo finalmente a ritrovare la forma umana e una nuova consapevolezza di sé. Il percorso di caduta, sofferenza e redenzione si concluderà grazie all'intervento della dea Iside, della quale Lucio diverrà un ardente devoto.\n\nOrigine.\nEssendo centrale ne Le metamorfosi il tema della magia, ma non essendo citata l'opera nell'Apologia, che riporta il discorso difensivo dell'autore coinvolto nel 158 in un processo per magia, si desume che la stesura del romanzo sia posteriore a quella data. Il testo potrebbe essere una rielaborazione di un'opera spuria di Luciano di Samosata (pseudo-lucianea), Lucio o l'asino. Inoltre, secondo il patriarca Fozio, la storia di Lucio deriverebbe da un romanzo, per noi perduto, da lui attribuito a Lucio di Patre. Il patriarca, infatti, fa intendere l'esistenza di tre romanzi, l'uno di Lucio di Patre, di cui dice aver letto diversi λόγοι, un altro di Luciano di Samosata e l'ultimo di Apuleio. Il dibattito tra gli studiosi verte attorno alla possibilità che l'opera di Apuleio sia derivata da questa fonte comune, costituita dal romanzo dello sconosciuto Lucio di Patre (il cui nome potrebbe essere anche il frutto di un malinteso dello stesso Fozio, che avrebbe confuso il nome del protagonista con quello dell'autore), oppure dal rimaneggiamento pseudo-lucianeo di Lucio ovvero l'asino.\n\nStruttura.\nIl libro è costituito da un soggetto principale, la metamorfosi di Lucio in un asino a seguito di un esperimento non andato a buon fine. È questo l'episodio-chiave del romanzo, che muove il resto dell'intreccio. Il secondo livello narrativo è costituito dalle peripezie dell'asino che, nell'attesa di riassumere le sembianze umane, si vede passare di mano in mano, mantenendo però raziocinio umano e riportando le sue molteplici disavventure.\nLa narrazione è inoltre spesso interrotta da digressioni di varia lunghezza, che riferiscono vicende degne di nota o di curiosità, relative alle vicende del protagonista o raccontate da altri personaggi.\nUna di queste, la favola di Amore e Psiche, occupa più libri, tanto da costituire un piano narrativo a sé ed essere considerata la chiave di lettura del romanzo o anche una versione in miniatura del romanzo stesso. Le altre digressioni inserite nell'intreccio principale sono costituite da vicende di vario tipo, ove il magico (primi tre libri) si alterna con l'epico (storie dei briganti), con il licenzioso, col tragico, col comico, in una sperimentazione di generi diversi che trova corrispondenza nello sperimentalismo linguistico, con la sola eccezione del libro XI: qui la componente mistica ha il sopravvento e la forma animale di Lucio ha perduto quasi totalmente importanza, mentre nel corso del romanzo proprio la presenza costante delle riflessioni dell'asino crea un effetto di continuità che forma i due livelli di lettura, e scandisce il senso complessivo della vicenda come iter progressivo verso la sapienza.\n\nIl soggetto.\nDegli undici libri, i primi tre sono occupati dalle avventure del protagonista, il giovane Lucio (omonimo dell'autore, a cui forse proprio dal protagonista venne attribuito tale nome) prima e dopo il suo arrivo a Hypata in Tessaglia (tradizionalmente terra di maghi). Coinvolto già durante il viaggio nell'atmosfera carica di mistero che circonda il luogo, il giovane manifesta subito il tratto distintivo fondamentale del suo carattere, la curiosità, che lo conduce ad incappare nelle trame sempre più fitte di sortilegi che animano la vita della città.\n\nOspite del ricco Milone e di sua moglie Pànfile, esperta di magia, riesce a conquistarsi i favori della servetta Fòtide e la convince a farlo assistere di nascosto a una delle trasformazioni cui si sottopone la padrona. Alla vista di Pànfile che, grazie a un unguento, si muta in gufo, Lucio prega Fotide che lo aiuti a sperimentare su di sé tale metamorfosi. Fotide accetta, ma sbaglia unguento, e Lucio diventa asino, pur mantenendo facoltà raziocinanti umane.\nLucio apprende da Fotide che, per riacquistare sembianze umane, dovrà cibarsi di rose: via di scampo che, subito cercata, è rimandata sino alla fine del romanzo da una lunga serie di peripezie che l'asino incontra. Infine, giunto a Corinto Lucio apprende in sogno che l'indomani ci sarà una solenne festa in onore di Iside; nel corso della cerimonia mangia le rose che adornano il sistro di un sacerdote, riprendendo così forma umana. In segno di riconoscenza si consacra devotamente alla dea, entrando nel ristretto numero di adepti al culto dei misteri isiaci.\n\nAltri piani narrativi.\nUna seconda sezione del romanzo comprende le vicende dell'asino in rapporto a un gruppo di briganti che lo hanno rapito, il suo trasferimento nella caverna montana che essi abitano, un tentativo di fuga insieme a una fanciulla loro prigioniera, Càrite, e la liberazione finale dei due ad opera del fidanzato di lei che, fingendosi brigante, riesce a ingannare la banda.\nIl racconto principale diviene cornice di un secondo racconto, ossia della celebre favola di Amore e Psiche narrata a Càrite dall'anziana sorvegliante. Nei libri successivi, ad esclusione dell'ultimo, riprendono le tragicomiche peripezie dell'asino, che passa dalle mani di sedicenti sacerdoti della dea Siria, dediti a pratiche lascive, a quelle di un mugnaio che è ucciso dalla moglie, a quelle di un ortolano poverissimo, di un soldato romano, di due fratelli, l'uno cuoco e l'altro pasticciere. Altre volte l'asino non è diretto protagonista ma uditore di vicende collaterali dolorose o a lieto fine che hanno a che fare con la magia (un ragazzo accusato a torto di molestia dalla matrigna invaghita di lui, apparentemente ucciso con il veleno e poi risvegliato; un drago che sbrana un ragazzo) oppure no (uccisione del marito della giovane compagna di prigionia di Lucio preso i briganti; la tresca fra una donna sposata e un giovanotto che lei spaccia per un uomo venuto a riparare una giara; una donna persuasa a torto che il marito la tradisca uccide cognata, marito e poi figlia).\nOvunque l'asino osserva e registra azioni e intenzioni con la sua mente di uomo, spinto sia dalla curiosità, sia dal desiderio di trovare le rose che lo liberino dal sortilegio. Della sua natura ambivalente si avvedono per primi il cuoco e il pasticciere, scoperta che mette in moto la peripezia finale. Informato della stranezza, il padrone dei due artigiani, divertito, compra l'asino per farne mostra agli amici. In un crescendo di esibizioni, Lucio riesce a sfuggire, a Corinto, dall'arena in cui è stato destinato a congiungersi con una condannata a morte (la medesima che come detto sopra ha sterminato la propria famiglia per gelosia prima e avidità poi), e nella fuga raggiunge una spiaggia deserta dove si addormenta.\nIl brusco risveglio di Lucio nel cuore della notte apre l'ultimo libro. La purificazione rituale che segue e la preghiera alla luna preparano il clima mistico che domina la parte conclusiva: Lucio riprende forma umana il giorno seguente, mangiando le rose di una corona recata da un sacerdote alla sacra processione in onore di Iside, secondo quanto la stessa dea gli aveva prescritto, apparendogli sulla spiaggia. Grato alla dea, Lucio si fa iniziare al culto di Iside a Corinto; stabilitosi a Roma, per volere di Osiride, si dedica a patrocinare le cause nel foro.\n\nContaminazione di generi.\nLe Metamorfosi sono caratterizzate da uno stile narrativo che nell'antichità mancava di una fisionomia definita; appaiono quindi come una contaminazione di generi diversi (epica, biografia, satira menippea, racconto mitologico, ecc.). Nel caso specifico è problematico il rapporto con le fabulae Milesiae (racconti licenziosi che ispirarono anche Petronio), a cui lo stesso autore riconduce l'opera, ma la perdita pressoché totale della traduzione che Cornelio Sisenna (120–67 a.C.) fece delle originali fabulae Milesiae di Aristide di Mileto (II secolo a.C.) ne rende oscure le origini.\nUn romanzo pervenuto nel corpus delle opere di Luciano di Samosata, un testo oggi totalmente perduto, sviluppa lo stesso intreccio del romanzo latino, col titolo di Lucio o l'asino, in lingua greca e in forma nettamente più concisa rispetto a quella di Apuleio. Tuttavia, non è chiaro quali siano i rapporti relativi e la priorità dell'uno o dell'altro dei due scritti, e se abbiano avuto una fonte comune; inoltre quest'opera è una ripresa in chiave burlesca di un romanzo di Lucio di Patre a noi giunto frammentario.\nÈ certo che il finale, con l'apparizione di Iside e le successive iniziazioni ai misteri di Iside e di Osiride, appartiene ad Apuleio; anche perché il protagonista, un giovane che si definisce greco in tutto il romanzo, in questo libro, inopinatamente, diventa Madauriensis, sovrapponendo l'io–scrivente all'io-narrante.\nSono comunque differenti il significato complessivo e il tono del racconto: infatti, il testo pseudolucianeo rivela l'intenzione di una narrativa di puro intrattenimento, priva di qualsiasi proposito moralistico, mentre le Metamorfosi di Apuleio - sotto l'apparenza di una lettura di puro svago, intessuta di episodi umoristici e licenziosi - assume in realtà i caratteri del romanzo di formazione.\nLucio, il protagonista, è caratterizzato dalla 'curiositas', la quale risulta un elemento positivo entro determinati limiti, che egli non rispetta facendo scattare così la punizione: metamorfosi in asino, animale considerato stupido ed utile solo nel trasporto di grandi carichi. Lucio però mantiene l'intelletto umano, e per questa ragione nel titolo è definito l'asino d'oro, e possiede comunque un punto di vista privilegiato perché osserva gli uomini nei lori gesti quotidiani.\nIl romanzo rappresenta anche una denuncia della corruzione della società: infatti vi sono rappresentati imbroglioni, prostitute ed adulteri. Il percorso che dunque Lucio si trova ad affrontare è di espiazione, in quanto passa dalle mani di briganti e mugnai alle esibizioni circensi. Il protagonista rappresenta l'uomo che pecca, e che solo dopo l'espiazione dei suoi peccati si può salvare, sino ad arrivare alla conversione al culto di Iside diventandone sacerdote.\nNon manca inoltre nell'opera un livello di beffardo cinismo, volto a evidenziare la natura credulona e irrimediabilmente stolta dell'essere umano, animale dotato di intelletto che però coglie l'essenza della vita solo quando tramutato in asino e a costo di atroci sofferenze fisiche e mentali. Lo stesso Lucio, tuttavia, dopo aver ripreso le sembianze umane non fa tesoro delle sue passate sventure, che interpreta come un mero castigo della sua curiositas. Emblematica in tal senso è la sua decisione, nell'ultimo capitolo del romanzo, di dedicare la propria vita al culto di Iside, iniziando a praticare l'avvocatura per permettersi di pagare le ingenti cifre utili per accedere ai vari riti misterici dedicati alla dea, dimenticando completamente come da asino, nel breve periodo nel quale fu a servizio di un gruppo di elemosinanti cialtroni adepti della dea Siria, avesse potuto cogliere l'intento truffaldino che in molti casi si cela dietro le speculazioni di carattere religioso e votivo. Rispetto a questa chiave di lettura, il tratto autobiografico dell'intera opera appare ancora più manifesto: lo stesso Apuleio fu infatti iniziato a diversi culti misterici, che probabilmente non appagarono la sua fame di conoscenza ed anzi lo costrinsero a spendere grosse somme di denaro, tant'è che giunto a Roma, e dopo essere stato iniziato al culto di Osiride ed Iside, iniziò anch'egli la pratica dell'avvocatura (come il suo alter ego Lucio, che non a caso è definito Madauriensis, nonostante fosse nativo di Corinto). Proprio da avvocato prima e conferenziere dopo, Apuleio poté ancor di più testare il carattere ingenuo dell'essere umano, influenzabile da un'oratoria ammiccante e forbita, che lui stesso aveva sviluppato e utilizzato per trarne profitto e svincolarsi dall'accusa di dissolutezza e magia, mossagli dalla famiglia di Pudentilla. Apuleio, nelle Metamorfosi, mantiene da narratore lo sguardo lucido dell'asino che svela al lettore l'inadeguatezza di Lucio, una volta tornato uomo, nel non essere nuovamente soggiogato dalla sua curiositas, metafora di un'umanità ottusa e incapace di trarre lezioni morali dal proprio vissuto.\nNella sua analisi del romanzo, John Winkler propose di identificare il senso del romanzo nel carattere aporetico dello stesso: la prospettiva dell'interprete e del lettore è ciò che conferisce al romanzo il sio senso, e tale senso sarebbe dunque diverso per ciascuno. In questo senso, è possibile definire le Metamorfosi un'opera aperta, come fece già René Martin.\n\nAmore e Psiche.\nAlcuni episodi minori dell'intreccio trovano corrispondenze precise con la vicenda di Lucio, anticipandola o rispecchiandola. Emblematico è il caso della favola di Amore e Psiche che, grazie al rilievo derivante dalla posizione centrale e dalla lunga estensione, assume valore prefigurante nei confronti del destino di Lucio.\nLa trama rispecchia tradizioni favolistiche note in tutti i tempi: la figlia minore di un re, a causa della sua straordinaria bellezza, suscita l'invidia di Venere, la quale manda suo figlio Cupido affinché la faccia innamorare dell'uomo più brutto della terra, ma il giovane, vedendola, se ne innamora e la porta con sé in un castello. Alla fanciulla, che ignora l'identità del dio, è negata la vista dell'amato, pena l'immediata separazione da lui. Tuttavia, istigata dalle due sorelle invidiose, Psiche non resiste al divieto e spia Amore mentre dorme: il giovane dio, svegliato da una goccia di cera della candela che Psiche teneva in mano mentre l'osservava, fugge per non far più ritorno, ma quando Psiche lacerata dal dolore per la perdita dell'amato si getta da una rupe, un attimo prima che tocchi terra, Amore la prende fra le sue braccia così salvandola. La novella si conclude con le nozze e gli onori tributati a Psiche, assunta a dea.\nLa favola di Amore e Psiche svolge nella struttura del romanzo una precisa funzione letteraria: riproduce in scala ridotta l'intero racconto e impone ad esso la giusta chiave di lettura. Tocca al racconto secondario, contenuto nel corpo del romanzo, rendere più complessa la prima lettura attivando una seconda linea tematica (quella religiosa), che si sovrappone alla prima linea tematica (quella dell'avventura) per conferirle un contenuto iniziatico.\n\nInfluenza, traduzioni e rifacimenti.\nIl poema satirico incompiuto L'asino scritto da Niccolò Machiavelli nel 1517 è un rifacimento modernizzato di Le Metamorfosi. Machiavelli trasse ispirazione da Le Metamorfosi anche per alcune novelle.\nLa prima traduzione italiana, nel 1519, col titolo di Apulegio volgare, è di Matteo Maria Boiardo. Un altro rifacimento, noto come L'asino d'oro è dovuto ad Agnolo Firenzuola, pubblicato nel 1550.\n\nTraduzioni italiane.\nL'asino d'oro [o Le metamorfosi], traduzione di Felice Martini, con antiche xilografie, Roma, Formiggini, 1927.\nLe trasformazioni, traduzione di Massimo Bontempelli, Società Anonima Notari, 1928; Garzanti, 1946. - col titolo L'asino d'oro, Einaudi, 1973; Milano, SE, 2011.\nOpere. Metamorfosi o asino d'oro, a cura di G. Augello, Collezione Classici latini, Torino, UTET, 1980.\nMetamorfosi, a cura di Marina Cavalli, Milano, Mondadori, 1995.\nApuleio, Le metamorfosi o L'asino d'oro (testo latino a fronte), trad. Alessandro Fo, Collezione I Classici Classici, Milano, Frassinelli, 2002; Torino, Einaudi, 2010.\nLe Metamorfosi, traduzione di Lara Nicolini, Collezione Classici Greci e Latini, Milano, BUR, 2005, ISBN 978-88-170-0504-3.\nLe Metamorfosi, (testo latino a fronte) Saggio introduttivo, trad. e note di Monica Longobardi, Presentazione di Gian Biagio Conte, Collezione Classici Greci Latini, Santarcangelo di Romagna, Rusconi, 2019, ISBN 978-88-180-3362-5. - Foschi, 2019.\nLuca Graverini, Lara Nicolini (a cura di), Metamorfosi. Volume I, Libri I-III, traduzione di Luca Graverini, Collezione Scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla, Milano, Mondadori, 2019, ISBN 978-88-047-1132-2. [primo di 4 voll.].\nLara Nicolini, Caterina Lazzarini, Nicolò Campodonico (a cura di), Metamorfosi. Volume II, Libri IV-VI., traduzione di Luca Graverini, Collezione Scrittori greci e latini della Fondazione Lorenzo Valla, Milano, Mondadori, 2023, ISBN 9788804754619." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le metamorfosi (Ovidio).\n### Descrizione: Le metamorfosi (in latino Metamorphosĕon libri XV) è un poema epico-mitologico di Publio Ovidio Nasone (43 a.C. - 17 d.C.) incentrato sul fenomeno della metamorfosi. Attraverso quest'opera, ultimata poco prima dell'esilio dell'8 d.C., Ovidio ha perfezionato in versi e trasmesso ai posteri le più celebri storie della mitologia antica.\n\nDatazione.\nNell'ultima sua opera (Tristia) composta quando già era esule a Tomi, Ovidio scrisse che le Metamorfosi non erano ancora state ultimate e che dunque le copie esistenti altro non erano che abbozzi da bruciare. Non ci sono dubbi in realtà che il suo lavoro ci sia pervenuto completo. Come ha scritto Elaine Fantham, la sua affermazione altro non era che il tentativo ironico di porsi sullo stesso piano di Virgilio, il quale – come narrava una storia che non sappiamo se essere veritiera o leggendaria – prima della morte chiese che venisse bruciata l'Eneide poiché non era ancora stata completata. Solo grazie all'intervento del principe stesso, Augusto, il poema si conservò. L'affermazione di Ovidio dunque è da intendersi come un'amara constatazione: lo stesso imperatore che aveva salvato l'opera virgiliana, garantendo di conseguenza la fama eterna dello scrittore, ora aveva distrutto la vita di un altro poeta allontanandolo da Roma e da tutti i suoi affetti.\nGli studiosi sono concordi nel datare la composizione dell'opera in un periodo compreso tra il 2 e l'8 d.C. Ovidio aveva già scritto gli Amores, la Medea, le Eroidi, l'Ars amatoria, i Medicamina faciei femineae e i Remedia amoris, distinguendosi nella corte augustea come scrittore di tematiche prevalentemente amorose e licenziose. Contemporaneamente alle Metamorfosi, Ovidio lavorava anche ai Fasti.\n\nFonti e modelli.\nLa scelta ovidiana di usare il 'mito' come materia principale dell'opera deriva dalla poesia alessandrina. Infatti già in essa si trovano rappresentati dèi che si fanno promotori di azioni 'galanti e perverse nei confronti degli uomini'. Se però nella poesia alessandrina il mito rappresenta uno spunto di riflessione che doveva avere effetti moralistici, in Ovidio diventa 'il soggetto dell'opera e un ingegnoso artificio'. Come infatti ha sottolineato il critico e storico statunitense Karl Galinsky “Il rapporto tra Ovidio e i poeti ellenistici è simile a quello che gli stessi poeti ellenistici avevano con i loro predecessori: dimostrava di aver letto e assimilato le loro versioni, ma di saper rimodellare i miti in maniera molto personale”.\n\nProbabilmente, esisteva una vera e propria tradizione di testi il cui argomento principale doveva riguardare le metamorfosi, tanto da presupporre l'esistenza di un genere a sé. Sappiamo ad esempio che Boeus, un grammatico greco di epoca ellenistica, scrisse l'Ornithogonia, un poema andato perduto che raccoglieva una serie di miti sulle trasformazioni di esseri umani in uccelli; che Eratostene di Cirene stilò i Catasterismi, una prosa alessandrina che è giunta sino a noi in forma ridotta e che racconta l'origine mitica delle stelle e delle costellazioni; che Nicandro di Colofone elaborò delle Metamorfosi in cinque libri su miti di eroi ed eroine trasformati dagli dei in piante o in animali; che Partenio di Nicea scrisse gli Erotikà Pathémata (Le pene d'amore), raccolta di 36 storie d'amore dalla conclusione infelice; e che un contemporaneo e amico di Ovidio, Emilio Macro, scrisse anch'egli una Ornithogonia, della quale però è rimasto solo il titolo.D'altronde, sebbene non come tema principale, anche nei poemi omerici ci sono esempi di metamorfosi: nell'Iliade assistiamo a numerose mutazioni di divinità, mentre nell'Odissea celebre è l'episodio presentato nel libro XI della trasformazione dei compagni di Ulisse in porci per opera della maga Circe. Non meno importanti dovettero essere la lettura delle due principali opere di Esiodo: la Teogonia insieme a Le opere e i giorni in cui sono narrati rispettivamente la creazione del mondo e le tappe della storia dell'umanità; e degli Aitia di Callimaco che oltre a essere affini per argomento alle Metamorfosi, presentano una costruzione narrativa a incastro e a concatenazione simile.\nSe queste sono le fonti di cui riusciamo ad avere notizia e a cui si rifece Ovidio, è vero però che questi modificò e personalizzò moltissimo questi modelli. Infatti oltre a essere il poema più lungo conosciuto tra quelli sopra elencati che affronta come tema principale le 'metamorfosi', l'opera segue un ordinamento cronologico nuovo ed è inserito in un contesto storico preciso: l'età augustea.\n\nContenuto e interpretazioni.\nLe Metamorfosi, che in 11 995 versi raccolgono e rielaborano più di 250 miti greco-romani, sono state definite più volte una 'enciclopedia della mitologia classica'. La narrazione copre un arco temporale che inizia con il Chaos (è lo stato primordiale di esistenza da cui emersero gli dei) e che culmina con la morte di Gaio Giulio Cesare e il suo catasterismo.\n\nLa creazione dell'universo: modelli filosofici e letterari.\nElaine Fantham ha provato a rintracciare i modelli filosofici e letterari a cui Ovidio si è rifatto per la sua descrizione dell'origine dell'universo. Tenendo conto che gran parte del pensiero filosofico latino derivava direttamente da quello greco, la Fantham ha introdotto prima di tutto i tre modelli fondamentali descritti da filosofi greci da cui Ovidio poteva pescare: alcuni lo rappresentavano come un organismo vivente, altri come un artificio creato da un essere divino, e altri ancora in termini di una entità politica e sociale. Particolare importanza in questo senso dovette avere ad esempio il Timeo di Platone. Secondo Fantham, infatti, in Tim. 30a e 30b Platone unisce i primi due modelli. Le teorie platoniche vennero poi riprese da Aristotele e dai Sofisti e si sviluppò una vera e propria corrente filosofica che concepiva l'universo come il prodotto di un disegno, antropocentrico e geocentrico (ovvero creato solo ed esclusivamente per il bene dell'uomo e con i corpi celesti – Sole compreso – che giravano attorno alla Terra). A questa corrente si opponeva quella atomistica di Leucippo e Democrito. Quest'ultimo non credeva all'ipotesi dell'unicità e dell'immortalità del cosmo, anzi, credeva che esistessero più mondi, ognuno dei quali corruttibile e quindi “mortale”. Democrito, infatti, considerava la creazione dell'universo non come il prodotto di un disegno, ma come una interazione meccanica tra atomi che dovevano riempire un vuoto.\nPer quanto riguarda i modelli letterari, invece, né Omero né Esiodo concepirono argomenti così complessi: per entrambi il cosmo consisteva soltanto di acqua, terra, aria e di sfere celesti. Solo Esiodo ha ipotizzato l'esistenza di un caos originario antecedente a un'era di equilibrio e stabilità in cui è venuto formandosi l'universo.\nA Roma molta importanza ebbe il pensiero democriteo che - con la mediazione di Epicuro - fu diffuso da Lucrezio tramite il suo De Rerum Natura quasi cinquanta anni prima la nascita di Ovidio. Anche Virgilio ne fu influenzato e nella celebre canzone del Sileno scrive:.\n\nOvidio conosceva molto bene questo scritto di Virgilio e allo stesso modo quelli di Lucrezio, di Esiodo e di Omero. Ma secondo la Fantham Ovidio si è avvicinato al tema in maniera differente: ha elaborato una versione che ha riunito i diversi modelli filosofici e letterari che abbiamo descritto. Infatti se da una parte inizia a descrivere la creazione del mondo con la triade omerica del mare, della terra e del cielo, dall'altra si getta all'indietro nel caos originario, combinando l'idea del vuoto esiodeo con lo spazio atomistico della tradizione democritea e lucreziana. Descrivendo quindi l'origine dell'universo come qualcosa in continuo movimento, in cui la terra non offriva punti dove poter sostare, né l'acqua dove poter nuotare, Ovidio, spiega la Fantham, introduceva così anche il tema della metamorfosi e delle continue trasformazioni che la natura subisce.\n\nL'uomo: creazione, distruzione, rinascita.\nDopo gli uccelli, le bestie e i pesci, con tre parole Ovidio descrive la nascita dell'uomo: natus homo est. Ma il poeta sembra non sapersi decidere su quale sia il vero creatore dell'essere umano. Scrive infatti:.\n\nLa Fantham scrive che Ovidio sembrerebbe preferire la seconda interpretazione e il racconto - insieme all'uso di alcune specifiche parole come rudis (nel senso di “materia grezza”), finxit in effigiem deorum (a immagine degli dei, col verbo fingo che può assumere proprio il significato di “modellare” “scolpire” “forgiare”) e figuras (che in latino poteva avere anche il significato di “statua”) - suggerisce l'idea che Prometeo abbia agito come un artigiano. Il mito sembrerebbe la mescolanza di due versioni precedenti: quella narrata da Protagora nell'omonimo dialogo platoniano (nella quale l'uomo è forgiato dai due fratelli Prometeo ed Epimeteo) e quella più parodica di Callimaco (nella quale l'uomo viene modellato dal fango).\nSe dalla Teogonia Ovidio si era lasciato influenzare per spiegare una parte della sua cosmogonia, un'altra opera esiodea s'intromette nel I libro delle Metamorfosi, Le Opere e i Giorni in cui vengono descritte le diverse età dell'uomo: da quella dell'oro a quella del ferro, passando da quella argentea e del bronzo. L'età del ferro è caratterizzata da “ogni empietà; fuggirono il pudore e la sincerità e la lealtà, e al loro posto subentrarono le frodi e gli inganni e le insidie e la violenza e il gusto sciagurato di possedere” (I.128-31), si scoprirono i metalli preziosi nascosti sottoterra e gli uomini iniziarono a farsi guerra tra loro. Fu in quest'epoca che dal sangue dei Giganti (i quali avevano osato aspirare al regno del cielo ed erano stati annientati da Giove) sparso ovunque, la Terra dette vita a un'altra schiera di esseri umani, ma “anche questa schiatta fu spregiatrice degli dèi, e assetatissima di strage crudele, e violenta. Si capiva che era nata dal sangue” (I.160-2). Da questi esseri aveva origine anche Licaone, il famoso re dell'Arcadia che fu trasformato in lupo per aver servito a Giove come pasto suo figlio Arcade. Fu questo il principale motivo che causò la convocazione dell'assemblea divina nella quale venne deliberata la distruzione del genere umano. Molti critici credono che dietro al piano letterale descritto da Ovidio per l'assemblea, se ne nasconda uno metaforico: in realtà Giove altri non sarebbe che lo stesso Augusto e gli dei minori rappresenterebbero il senato. D'altronde è lo stesso Ovidio a suggerire questa lettura, paragonando la decisione di Giove con quella che a sua volta fece Augusto nel cancellare tutti i traditori e assassini di Cesare (I, 200-5): “Così, quando un'empia schiera infierì per estinguere il nome di Roma nel sangue di Cesare, il genere umano restò sbigottito di fronte a tanto spaventosa e improvvisa sciagura, e un brivido d'orrore percorse il mondo intero; e la devozione dei tuoi non è meno gradita a te, Augusto, di quanto quella degli dèi fu gradita a Giove” (I.200-5).\nUn diluvio quindi ha annientato non solo il genere umano, ma ogni essere vivente. Tuttavia Giove - che durante l'assemblea divina promise che “una stirpe diversa dalla prima, una stirpe di origine prodigiosa” (I.251-2) sarebbe ricomparsa sulla Terra – salvò dal diluvio gli unici due esseri umani che erano stati giudicati “innocuos ambo, cultores numinis ambo” - 'entrambi innocenti, entrambi devoti agli dèi'- (I.327): Deucalione con la cugina e moglie Pirra, rispettivamente figli dei fratelli Prometeo e Epimeteo. Furono loro che ripopolarono la Terra del genere umano: lanciandosi alle spalle dei sassi (le ossa della terra), i sassi stessi si trasformavano in esseri umani. Ecco dunque che si compiva una delle “più sorprendenti metamorfosi” del libro, in cui l'intera natura viene “paragonata a uno scultore”. Per quanto riguarda gli altri animali, essi furono generati dalla terra spontaneamente. In questo caso Ovidio si rifà a una teoria di Lucrezio secondo cui “l'umidità e il calore, se si temperano a vicenda, concepiscono, e dalla loro fusione nascono tutte le cose. Il fuoco, è vero, fa a pugni con l'acqua, ma la vampa umida crea tutto: discorde concordia feconda. Quando dunque la terra, tutta fangosa per il recente diluvio, si riasciugò al benefico calore dell'astro celeste, partorì un'infinità di specie e in parte riprodusse le forme di una volta, in parte creò mostri sconosciuti”(I.430-37).\n\nIl ciclo tebano.\nQuello che viene definito come “ciclo tebano” riguarda alcune storie presenti nel III e nel IV libro delle Metamorfosi che coinvolgono una intera dinastia che ha avuto origine da Cadmo. Questi, figlio di Agenore e fratello di Europa, viene costretto dal padre a partire da casa in cerca della sorella rapita da Giove. Dopo aver errato per il mondo come un esule senza alcun risultato, si rivolge all'Oracolo di Delfi supplicando Apollo di dirgli dove fermarsi, allora il dio rispose “in una campagna deserta incontrerai una vacca che non ha mai conosciuto il giogo, non ha mai tirato l'aratro ricurvo. Seguila per dove ti guiderà, e nella pianura in cui si adagerà costruisci delle mura e chiama Beozia quella regione” (III.10-3). Cadmo riesce nell'impresa, ma in una sorgente vicina al luogo prescelto dimora un enorme e mostruoso serpente che uccide alcuni dei suoi compagni di viaggio. Il futuro re di Tebe riuscirà, dopo un eroico duello, a sconfiggere il mostro, ma non farà in tempo a godere della vittoria che immediatamente una voce misteriosa che “non era chiaro da dove venisse, ma udita fu” disse “che stai a guardare il serpente ucciso, o figlio di Agènore? Anche tu sarai guardato serpente” (III.97-8). Solo la dea Pàllade, protettrice dell'eroe, riesce a distogliere Cadmo dal terrore che lo aveva colpito dopo aver ascoltato quella voce. La dea gli ordina di seminare i denti del serpente “germi di un futuro popolo” (III.103). Allora dal terreno nascono dei guerrieri che si combattono tra loro in una “guerra civile”, solo cinque rimangono in vita - tra questi vi è anche Echione – e accordandosi con loro, Cadmo fonderà la sua nuova città, Tebe. Ma l'origine violenta della città e l'inimicizia di alcune divinità come Giunone (che odiava tutta la stirpe di Cadmo, essendo questi il fratello di Europa e padre di Sèmele, entrambi amanti di Giove) e Diana, provocheranno la rovina se non della città stessa, di tutta la dinastia di Cadmo: Atteone, Ino, Agave, Autonoe, Semele e infine Penteo. Tutte le storie di questi personaggi infatti si concludono tragicamente e Cadmo:.\n\nE così la profezia dettata da quella misteriosa voce si avvera e Cadmo mentre sta subendo la trasformazione guardando la moglie Armonia, le dice: (IV.583-89).\n\nDisperata, anche la moglie supplica gli dèi di trasformare anche lei in serpente: 'Tutti i presenti – presente è il loro seguito – guardano atterriti. Ma lei accarezza il viscido collo del serpente crestato [di Cadmo], e improvvisamente sono in due a serpeggiare con spire congiunte, finché non si ritirano nel folto di un bosco vicino. Ancora oggi non fuggono l'uomo né lo aggrediscono per ferirlo. Serpenti pacifici, non hanno dimenticato che cosa furono un tempo.' (IV.598-603).\nInterpretazione di Hardie, l'Anti-Eneide e il contrasto natura-civiltà: in un articolo del 1990 intitolato “Ovid's Theban History: The First Anti-Aeneid?”, il critico inglese, ipotizza che dietro alle storie riguardanti il ciclo tebano, si nasconda la volontà di Ovidio di costruire una vera e propria “anti-Eneide”, un capovolgimento del tema fondante il poema virgiliano: la fondazione di Roma. A supporto di tale ipotesi, Hardie porta numerosi esempi e paralleli che possono essere fatti tra i due poemi. Ad esempio entrambi gli autori iniziano il libro terzo con la storia di un esule che vaga per il mondo in cerca di un posto dove insediarsi (Met III.6; En I.756 e 2.294-5), marcato in tutti e due i casi da una profezia divina che comanda di fondare la città là dove un animale deve riposarsi e stendersi: una “vacca” in Ovidio (III.10) e una “scrofa” in Virgilio (III.389 ma anche VIII.42). Hardie poi paragona l'episodio in cui Cadmo cerca i suoi compagni nella foresta con l'Ercole virgiliano del libro 8 che va in cerca dei buoi che gli sono stati rubati, e prosegue mettendo in parallelo il combattimento tra Cadmo e il serpente con quello tra Ercole e Caco. Due dettagli, secondo il critico, ci permettono di mettere a confronto i due libri: il primo è che Cadmo mentre combatte il serpente indossa una pelle di leone (3.52-3.81), il costante attributo di Ercole; secondo, che Cadmo attacca il serpente con una grande pietra (molaris, III.59) una parola rintracciabile soltanto nel III libro delle Metamorfosi e nell'VIII dell'Eneide (VIII.250) come una delle armi usate da Ercole contro Caco. Infine in Virgilio la storia di Ercole si conclude con un inno celebrativo in onore dell'eroe che è riuscito a sconfiggere il mostro (VIII.301), mentre quella di Cadmo con una voce misteriosa che gli predice la sua sventura e la sua futura metamorfosi in un serpente. In questo dunque consisterebbe il rovesciamento del poema virgiliano, e Hardie continua a elencare una serie di esempi a sostegno della sua teoria. Particolarmente interessanti sono poi le osservazioni che il critico fa sulla differenza tra città e natura selvaggia. Se la prima sembra essere un rifugio sicuro per i Tebani, la seconda invece si mostra fatale in quasi tutte le storie del ciclo a partire dallo stesso serpente (che dimora in una foresta vicina alla città) e arrivando ad Atteone e a Penteo.\nInterpretazione di Anderson, l'umanizzazione dell'epica: in un articolo del 1993 “Ovid's Metamorphoses”, il critico statunitense prende le distanze non solo dalla teoria di Hardie, ma da tutta una tradizione critica che vede nelle Metamorfosi o una semplice parodia o una brutta copia (nel caso di Brooks Otis) dell'Eneide o, infine, la volontà ovidiana di comporre una anti-Eneide. Il Ciclo Tebano è per lui nient'altro che uno dei tanti esempi che si possono fare sul come Ovidio abbia cercato di umanizzare gli eroi tipici dell'epica. Non nega che ci siano dei collegamenti tra le Metamorfosi e l'Eneide, ma crede che l'intenzione di Ovidio sia quella di “razionalizzare”, di creare un poema non-eroico. Gli esempi che Anderson porta, sono molti, sul ciclo tebano è interessante in particolare l'analisi sul discorso fatto da Penteo ai suoi uomini per spronarli al combattimento contro il dio (e cugino) Bacco e i suoi seguaci, il tipico discorso che un re o un generale fa al proprio esercito prima della battaglia:.\nSecondo Anderson il discorso retorico di Penteo è malfatto (non nel senso stilistico del termine, ma nel senso di identificazione emotiva tra lettore e personaggio), e non ha niente a che fare ad esempio con gli appelli fatti da Enea agli anziani quando ricorda il viaggio pieno di pericoli per mare o ai Penati. Cadmo non aveva dei Penati quando partì in cerca della sorella; il suo obiettivo non era mai stato quello di fondare una città su basi patriottiche e religiose, come invece doveva fare l'eroe troiano. Inoltre, Virgilio non avrebbe mai attribuito il patetico aggettivo “profugos” a delle divinità romane così importanti come i Penati: Enea era un “profugos” (E.I.2), ma i suoi dèi non sono mai stati descritti come “deboli”. Ovidio fa di Penteo un personaggio caratterizzato da un eccessivo patriottismo che oltretutto si rivela sciocco nel momento in cui, ad esempio, sprona i suoi uomini a rifarsi al coraggio e all'eroismo del mostruoso serpente originariamente ucciso da Cadmo. Tutto questo però secondo Anderson non significa che Ovidio abbia voluto creare un anti-Enea, bensì l'esempio più razionale di un essere umano.\n\nL'arte.\nNelle Metamorfosi la gelosia, l'invidia, la vendicatività degli dèi non si riversano solo in amore, ma anche nell'arte: se un mortale osa gareggiare con un dio nel canto, nella poesia, nell'arte, non importa quanto sia bravo o quanto possa essere migliore del dio stesso: subirà una punizione.\n\nPieridi: le Pieridi erano le nove figlie di Piero e di Evippe originarie della Macedonia (Emazia). Decidono di sfidare le Muse in una gara di composizione poetica in cui a fare da giudici siano delle ninfe. Vinte, vengono trasformate in gazze. La loro storia è raccontata dalla musa Urania alla dea Atena dopo che il fatto era già accaduto. Essendo quindi una musa a raccontare la storia, è possibile notare la sproporzione in termini di lunghezza di ciò che viene cantato dalla prima delle Pieridi (dal verso 318 al 331) e delle storie cantate dalle Muse che occupano tutto il resto del libro (dal verso 337 al 661). La Pieride, secondo quanto afferma ancora Urania, non si limitò soltanto a gareggiare con loro, ma nella propria storia insultò gli dèi, cantando “la guerra degli abitanti del cielo, glorificando indegnamente i Giganti e minimizzando le imprese dei grandi dèi, dicendo che Tifeo scatenatosi dagli abissi della Terra mise loro tanta paura, che tutti voltarono le spalle e fuggirono” (V.319-23).\nMarsia: Marsia era un satiro della Frigia che, raccolto il flauto inventato da Atena (e da questa gettato via per la vergogna di doverlo suonare gonfiando le guance), sfidò Apollo in una gara di musica. Non viene descritta la gara nei suoi particolari, la storia infatti parte già da quando Marsia ha perso e viene scorticato vivo dal dio. Ovidio si sofferma molto sulla descrizione del corpo straziato e sanguinolente del satiro.\nAracne: figlia di Idmone di Colofone (nella Lidia), sfida Atena nell'arte della tessitura. Per quanto si dimostri (come fa intendere Ovidio) più brava della dea, Atena non può sopportare che una mortale possa batterla: quando, infuriata, la colpisce alla testa, Aracne scappa disperata e cerca di impiccarsi. Vedendola morente, Atena ne prova compassione e la trasforma in un ragno. Come nel caso della figlia di Pierio (ma questa volta la storia è raccontata dal narratore, non da chi ha già vinto la gara e quindi può mostrarsi di parte), la colpa di Aracne non è solo quella di aver osato sfidare un dio, ma di aver rappresentato nella propria tela, una serie di ingiustizie compiute dagli dèi nei confronti dei mortali:.\nNon poteva rimanere impunito un mortale che osasse tanto contro gli dèi. Contrariamente la tela di Atena raffigura esempi di mortali puniti dagli dei:.\n\nCommentando questa gara Calvino scrisse:.\n\nOrfeo: secondo alcune interpretazioni la causa della morte di Euridice sarebbe dovuta al fatto che Orfeo si credeva superiore ad Apollo nell'arte della poesia. Nelle Metamorfosi però la storia inizia già quando Euridice è morta, e non si fa nessun cenno alle possibili motivazioni che stanno dietro a tale morte. La Fantham invece crede che ci sia una ragione della morte non tanto di Euridice, ma di Orfeo: il poeta, ritirandosi in totale solitudine, avendo come unici ascoltatori animali piante e minerali, incitando gli uomini a dedicarsi soltanto agli amori omosessuali, si sarebbe spinto troppo contronatura, provocando la rabbia delle donne della Tracia che, prese dalla Furia, lo faranno a pezzi.\nPigmalione: sappiamo da altre fonti che Pigmalione non era un artista, ma un re e che da re si infatuò di una statua della dea Venere che prese da un santuario. Ovidio trasforma Pigmalione in un timido scultore, alienato dalla società e sprezzante le donne per la loro volgarità. Solo la statua che egli stesso ha creato merita tutte le attenzioni e i doni possibili, e solo di lei Pigmalione si innamora, pregando gli dei che la rendano reale. A differenza di ciò che accade a Orfeo, il disprezzo di Pigmalione verso le donne e la società, non lo porta alla morte, ma all'esaudimento delle sue preghiere: la statua diventa una donna reale che Pigmalione sposa e dalla quale avrà la figlia Pafo.La Fantham si domanda a questo punto se Ovidio credesse davvero al fatto che un artista potesse trasformarsi in un creatore e dar vita alle cose. Quanto la storia di Pigmalione è da intendersi come il mito di una creazione artistica o piuttosto come la ricompensa per il comportamento devoto e corretto dell'artista? Questo miracolo, continua la Fantham, è in realtà una espressione meno sincera della fede di Ovidio nei poteri dell'arte rispetto ai miti della poesia e della musica che li precedono e li seguono.\nDedalo: nella mitologia greca Dedalo era famoso non solo come architetto, ma anche come grandissimo scultore capace di dar vita alle proprie statue. La Fantham si chiede per quale motivo Ovidio abbia voluto invece presentare Dedalo solo come architetto e inventore, rendendolo il costruttore del labirinto di Creta e l'ideatore delle ali che permetteranno a lui e al figlio Icaro di fuggire dalle prigioni del re Minosse. Forse Ovidio, scrive la Fantham, ha preferito presentarlo solo in questo modo perché le storie riguardanti Dedalo non si concludevano con delle metamorfosi oppure perché non voleva che qualcuno contendesse il titolo di scultore a Pigmalione. D'altronde l'orgoglio dell'artista viene fuori quando per gelosia e invidia uccide il nipote Pernice, inventore della sega e del compasso.\n\nLa rappresentazione del genere femminile.\nIl cambiamento di sesso: nelle Metamorfosi sono quattro i personaggi che subiscono un cambiamento di sesso: Tiresia, Ermafrodito, Ifi e Ceneo.Tiresia fu trasformato da uomo in donna e nuovamente da donna in uomo per aver toccato (entrambe le volte) due serpenti che stavano accoppiandosi. Proprio per questo motivo fu chiamato a rispondere di una discussione che stava avvenendo tra Giove e Giunone: su chi tra la donna e l'uomo goda maggiormente durante un rapporto sessuale. Giove sostiene che sia la donna e Tiresia conferma questa affermazione scatenando l'ira di Giunone che lo punisce rendendolo cieco (ma Giove gli dona il potere della preveggenza). Ermafrodito mentre nuotava in uno stagno presso Alicarnasso, nella Caria, fu aggredito dalla ninfa Salmacide che incantata della sua bellezza si avvinghiò a lui e con lui si fuse in un corpo che è insieme di maschio e di femmina (lo stagno stesso conservò il potere di effemminare i maschi) [IV 285-388].Gli altri due personaggi sono stavolta originariamente femminili e sono indicativi di quanto all'epoca il genere maschile venisse considerato superiore a quello femminile. Un esempio ne è proprio la storia di Ifi [IX 666-797], allevata come maschio perché il padre Ligdo non la uccida. Quest'ultimo era infatti poverissimo e disse alla moglie ancora in gravidanza che avrebbero potuto permettersi soltanto un maschio utile ai lavori di fatica, ma una femmina avrebbero dovuto eliminarla, non avendo risorse per mantenerla. Fu la dea Iside a rassicurare la madre e a dirle di allevare ugualmente Ifi come un maschio. Crescendo la figlia si innamorò di Iante, ma Ifi sentiva che non avrebbe mai potuto possederla. In un disperato monologo Ifi dice di sentirsi mostruosa, più mostruosa di Pasifae che ebbe un rapporto sessuale con un toro, in quanto lei almeno era stata attratta da un toro maschio e aveva avuto modo di consumare le sue voglie perverse. Lei invece era attratta da una persona del suo stesso sesso. Il monologo è esemplificativo di quanto la società greco-romana, per quanto accettasse rapporti omosessuali tra uomini, non accettasse con la stessa tolleranza rapporti omosessuali tra donne. Fu ancora Iside a trasformare Ifi in un maschio proprio durante le nozze con Iante e a esaudire così le sue preghiere.L'ultimo esempio di trasformazione sessuale riguarda Ceni della Perrebia che una volta stuprata da Nettuno, chiese al dio di essere trasformata in uomo così da non dover subire più violenze. Il dio esaudisce le sue preghiere trasformandola non solo in un uomo, ma in un guerriero invulnerabile che, col nome di Cèneo e dalla parte dei Lapiti, dopo aver fatto strage di molti centauri, viene sconfitto dagli stessi solo tramite il rovesciamento di alberi interi sopra di lui.Lo stupro: il tema dello stupro di dèi o uomini ai danni della donna è molto ricorrente all'interno dell'opera. Il poema inizia con il tentativo di stupro di Apollo su Dafne e continua con una serie interminabile di altre storie: lo stupro di Giove su Ino e su Callisto, quello tentato da Pan su Siringa o da Alfeo su Aretusa e molti altri. Come Aracne rende esplicito nel proprio arazzo, gli dei ottengono sempre quello che vogliono e spesso lasciano gravide le vittime delle loro violenze. Come suggerisce la Fantham, il fatto che questo tema sia così ricorrente all'interno dell'opera ci fa capire quanto il pubblico ovidiano ne fosse coinvolto a livello di intrattenimento. Particolarmente cruento è l'unico stupro che ha per protagonisti soltanto esseri umani, quello di Tereo ai danni della cognata Filomela, sorella di Procne. In questa storia Ovidio combina i peggiori crimini a cui l'uomo possa spingersi: oltre allo stupro, l'incesto, l'infanticidio e il cannibalismo. Tereo, come d'altronde Apollo, Pan, Alfeo e tutti gli stupratori, sono descritti come veri e propri predatori, animali che ambiscono sessualmente alla propria preda.La maternità: nelle Metamorfosi la vita delle donne descritte da Ovidio prosegue anche dopo uno stupro, un concepimento, un matrimonio, un parto e nei casi più tragici, anche dopo la perdita prematura del proprio figlio. Ovidio dedica molto più spazio di quanto non abbiano fatto i poeti a lui antecendenti e contemporanei al rapporto madre figlio durante la gestazione e nei primi mesi del neonato. Anche in questo caso gli esempi non mancano: la gravidanza di Semele, odiata da Giunone che con un tranello riuscì a farla uccidere da Giove, porterà alla nascita miracolosa e prematura del dio Dioniso; quella di Latona che partorirà i divini Apollo e Diana, dopo una gestazione passata a fuggire continuamente l'ira di Giunone; quella di Alcmena che partorirà Ercole - contro la volontà ancora una volta di Giunone – grazie alla furbizia di Galantide; e quella tragica di Driope il cui figlio ancora bambino la guarderà trasformarsi nella pianta del loto acquatico (il giuggiolo). La Fantham crede che Ovidio scrivesse per un'audience femminile e sapesse benissimo non soltanto descrivere la donna come l'oggetto del desiderio dell'uomo, ma nella sua psicologia e nella sua posizione all'interno del contesto familiare. Il monologo di Driope, la maternità disperata di Latona, le intimità che si raccontano Alcema e Iole dipingono un mondo femminile conosciuto e profondamente sentito.Le madri in lutto: un tema che merita un paragrafo a parte riguarda proprio la prematura morte dei figli. Nella Roma di Ovidio, così come nella Grecia antica, era usanza che fosse la madre a chiudere gli occhi e a preparare le salme dei familiari morti. Morta lei, sarebbero stati i figli a occuparsi della sua cremazione o della sua sepoltura. Ovviamente era anche allora ritenuto conforme alle leggi naturali che fossero i figli a seppellire i genitori e non il contrario, eppure molto spesso la guerra, le carestie e le malattie invertivano questa legge e non erano rari i casi in cui i corpi dei defunti andavano dispersi e non potevano ricevere degni rituali funebri. È questo uno dei punti chiave su cui Ovidio ricostruisce la narrazione di alcune storie tragiche all'interno del poema. È il caso ad esempio di Climene, madre di Fetonte, folgorato da un fulmine lanciato da Giove. Climene gira il mondo con l'aiuto delle sorelle in cerca della sua salma e quando finalmente riesce a trovarla scopre che è già stata seppellita da alcune ninfe che hanno inciso sulla tomba un epitaffio. Così la madre può solo abbracciare quel nome sulla fredda tomba e le sorelle prolungarono così tanto il loro lutto che si trasformarono in pioppi piangenti (II.340-66). Ci sono poi la storie di Procne che uccide il proprio figlio o quella di Ecuba, ma il prototipo della madre in lutto è - più di tutte queste - Niobe, la moglie di Anfione, che a causa della sua superbia perse i suoi 14 figli (7 femmine e 7 maschi) e il marito. Impedì infatti che i tebani offrissero doni alla dea Latona perché madre soltanto di due figli e a sua volta figlia di “un Titano qualunque”: “che follia è mai questa – dice – anteporre dèi che si conoscono solo per sentito dire a dèi che si vedono? Insomma, perché davanti agli altari si adora Latona, mentre ancora non si degna d'incenso la mia divinità?” [VI.170-72]. Fu Latona a comandare ai suoi due figli Apollo e Diana l'esecuzione dei 14 di Niobe. Ed è questo uno dei tanti casi all'interno del poema epico in cui a morire non sono i colpevoli, ma gli innocenti. La morte dei figli è descritta in maniera molto cruda e caratterizzata da immagini sanguinolente, come nel caso di Alfènore che nel tentativo di estrarre la freccia dal proprio corpo, strappa via un pezzo di polmone. Immobilizzata dal dolore, Niobe, può solo pietrificarsi.\n\nL'amore.\nSono stati molti i critici che hanno individuato come tema principale delle Metamorfosi l'amore, e non c'è dubbio che quello che Brooks Otis nel 1970 ha definito “the patos of love” (la passione d'amore) sia il cuore dell'opera che si sviluppa a partire dall'episodio di Tireo del libro VI e si conclude al libro XI con i racconti d'amore cantati da Orfeo.\n\nGli amori proibiti.\nMedea: dopo lo stupro di Filomela per opera di Tereo nel libro VI di cui abbiamo già parlato, è Medea il primo personaggio che introduce il colpo di fulmine e il complesso meccanismo psicologico dell'innamoramento, creando l'archetipo delle donne innamorate dei libri successivi. Il VII libro è infatti dedicato agli Argonauti o più precisamente a Giasone che con altri eroi greci partì alla ricerca del vello d'oro. Il pubblico di Ovidio già conosceva il racconto mitologico grazie all'opera di Apollonio Rodio, Le Argonautiche, e all'adattamento di Varrone: Giasone riesce nella missione grazie all'aiuto della maga Medea che pur di seguirlo uccide anche il fratello Apsirto. L'eroe greco però abbandona Medea per sposare la principessa greca Glauce. Scacciata in esilio, Medea uccide la sposa e i figli di Giasone. Nella tradizione classica, la fonte primaria del racconto è la tragedia di Euripide, che fu riadattata da Ennio all'inizio del II secolo a.C.. Ovidio si interessò molto al personaggio tanto da scriverne una tragedia (Medea) - andata perduta ma considerata al tempo il suo capolavoro - e un monologo inserito in una delle lettere delle Eroidi. La Medea delle Metamorfosi però è diversa da ogni altra Medea apparsa nelle opere precedenti: per lei Ovidio scrive un monologo che riflette sulla lotta tra ragione e sentimento:Il suo amore per lo straniero è avvertito come azione proibita e la maga è consapevole del suo possibile sviluppo nefasto. Così, nonostante la storia di Ovidio si concentri principalmente sull'esercizio della magia da parte di Medea per salvare il padre di Giasone e distruggere il suo nemico Pelia, i lettori del primo monologo sentono la drammatica ironia generata dalle prospettive di Medea, dai tragici eventi che verranno a svilupparsi in seguito e da come un futuro immaginato riesca a innescare una serie di pensieri e desideri pieni di speranza. La voce della ragione fa costantemente parlare Medea in seconda persona singolare (17-8, 21-4, 69-71). Nel monologo comprendiamo che il dovere e la castità hanno trionfato fino a quando non hanno incontrato Giasone, poi l'amore ha preso il controllo e il dovere è stato dimenticato. Da questo punto di vista, Medea anticipa gli amori incestuosi e proibiti di Scilla, di Biblide e Mirra che seguiranno nei libri successivi.\nScilla: Scilla è figlia di Niso re di Megara (VIII libro), si innamora di Minosse re di Creta durante l'assedio di questi alla città del padre. Decide di porre fine alla guerra tradendo Niso, ovvero tagliandogli durante il sonno il capello rosso che, secondo la versione ovidiana, garantiva l'inespugnabilità della città. Quando Scilla lo consegna a Minosse insieme alle chiavi di Megara, il re cretese conquista la città, ma non porta con sé la principessa, inorridito lui stesso dal suo gesto. Disperata, Scilla si tuffa in mare per raggiungere le navi di Minosse che tornava in patria. Il padre, guardandola, si tuffa disperato probabilmente per ucciderla, ma si trasforma in aquila marina, mentre Scilla in gabbiano.\nBiblide: l'altra storia d'amore proibita si svolge al libro IX e ha per protagonisti i figli Biblide e Cauno, gemelli figli di Mileto (a sua volta figlio di Apollo) e di Ciànea. Man mano che crescono insieme Bibilide si accorge che l'affetto che nutre nei confronti di Cauno è più di un semplice amore fraterno. Dopo un tormentato monologo il cui meccanismo è simile a quelli di Medea, Scilla e come vedremo di Mirra, Biblide decide di scrivere una lettera a Cauno in cui confessa il proprio amore. Respinta, scappa in preda al rimorso e alla follia fin quando sfinita dal troppo errare non si scioglie in lacrime, trasformandosi in una fonte che prenderà il suo nome.\nMirra: nel libro X Orfeo si propone di narrare gli amori omosessuali degli dei per i mortali, ma si sofferma a un certo punto a cantare l'amore incestuoso di Mirra per il padre, un amore che secondo lui può essere stato indotto soltanto da una Menade, non da Cupido. La principessa avrebbe molti corteggiatori, ma lei li respinge tutti perché nessuno somigliante a Cinira, suo padre. Ovidio introduce il racconto con venti versi in cui non dice niente del fatto, ma si limita a descriverlo aumentandone la suspense con aggettivi e allusioni all'oscenità di ciò che sta per raccontare (“Canterò cose terribili. Allontanatevi, o figlie, allontanatevi, o padri! [...]” X.300). D'altronde il pubblico ovidiano conosceva già la storia di Mirra e la rielaborazione più prossima del mito era la Zmyrna (l'altro nome con cui è conosciuta la principessa), un poema di Cinna, amico di Catullo. Come nel caso di Medea, anche l'innamoramento di Mirra è descritto attraverso un lungo monologo in cui contrastano la ragione e il sentimento. Stesso Mirra infatti ammette che l'amore provato nei confronti del padre è vergognoso e ispirato da una Furia, ma è la nutrice a interrompere i suoi pensieri e a convincerla a passare all'azione. Numerosi critici hanno notato che la scena è stata ispirata dall'Ippolito di Euripide in cui la nutrice di Fedra la matrigna innamorata del figliastro Ippolito, va da lui a confidargli il segreto. A differenza però della tragedia euripidea in questo caso l'amore incestuoso viene consumato e l'atto sessuale combinato dalla nutrice avviene di notte con luna e stelle coperte e con Mirra che travestita va dal padre Cinira che la aspetta in una stanza buia. Ma come con Tereo una volta non basta e lei consuma la sua passione fino a quando il padre non decide di accendere una luce per vedere con chi ha a che fare. Appena vede la figlia, sguaina la spada per ucciderla, ma Mirra riesce a scappare. Rimasta gravida del padre fugge per nove mesi, poi sfinita supplica gli dèi che le diano una pena consona alla sua empietà: ovvero che non meriti né la morte e quindi la discesa nell'Ade, né tantomeno la vita. Gli dèi esaudiscono la preghiera trasformandola in un albero, la Mirra appunto. In questo modo la principessa perde la sua umanità ma continua a stillare lacrime profumate dall'albero. Ovidio dedica poi ampio spazio alla descrizione di come Lucina riesca a estrarre dall'albero il bambino che Mirra aspettava: Adone. In questo modo Orfeo si ricollega in parte al proprio proposito iniziale di raccontare gli amori omosessuali degli dei per i mortali, anche se in questo caso l'amore descritto è eterosessuale, tra Venere e, appunto, Adone.\n\nI tragici amori degli dèi per i mortali.\nCiparisso e Giacinto: prima di parlare di Venere e Adone, Ovidio nel libro X si sofferma appunto a cantare due racconti d'amore omosessuale, del genere degli aitia callimachei, che legano gli dèi ai mortali. La prima storia riguarda Ciparisso, un giovane di Ceo amato da Apollo che involontariamente uccide un cervo sacro e addomesticato di cui era amico. Disperato e in preda ai rimorsi supplica di dèi di poter essere in lutto per l'eternità. Apollo, dispiaciuto esaudisce la sua preghiera e lo trasforma così in un cipresso.L'altro racconto riguarda invece Giacinto, anche lui amatissimo da Apollo, ma ucciso accidentalmente da un disco lanciato dal dio stesso mentre stavano giocando. Dopo il disperato tentativo di riportarlo in vita, Apollo pronuncia il lamento che Orfeo riproduce, concludendo con la promessa che un nuovo fiore avrebbe imitato nella scrittura il suo pianto di dolore, che avrebbe avuto un secondo impiego nell'onorare un eroe. Si allude a questo punto alle lettere AIAI, Ajax ovvero Aiace di cui si parlerà nel libro XIII.Per quanto i racconti sembrino molto simili nella loro tragicità, esistono delle differenze. Il racconto di Ciparisso è introdotto per spiegare l'origine dell'albero del cipresso e la storia d'amore tra il ragazzo e il dio viene menzionata solo in funzione del fatto che Apollo esaudisce la preghiera di Ciparisso, come fosse una forza esterna alla storia e non un personaggio reale e visibile agli occhi del ragazzo. Nel caso di Giacinto invece non si parte dalla pianta per descrivere la trasformazione, ma viceversa si parte dalla storia d'amore tra il ragazzo e il dio entrambi fisicamente presenti nel racconto, con Apollo che disperato prova a rianimare Giacinto quando accidentalmente lo colpisce col disco col quale stavano giocando.\nVenere e Adone: per quanto riguarda invece la storia d'amore tra Adone e Venere, essa sembra che si basi maggiormente sul rapporto materno e protettivo che ha Venere nei confronti di Adone. La dea si diverte ad andare a caccia con lui, e lo avverte, ammonendolo, che dovrebbe cacciare solo animali non pericolosi ed evitare leoni e i cinghiali, animali che lei disprezza totalmente. Adone ne chiede il motivo e Venere inizia a raccontare la storia di Atalanta, la principessa d'Arcadia che, non volendosi sposare, sfida ogni pretendente a batterla nella corsa con il patto che se lo sfidante dovesse perdere la gara sarà condannato a morte, ma che in caso contrario potrà sposarla. In molti cercheranno di affrontare la gara, ma tutti non riusciranno nell'impresa.Solo Ippòmene pronipote di Nettuno riesce a vincere distraendo la principessa col lancio di tre frutti d'oro, dono di Venere, e dunque ottiene la sua mano; ma poiché Ippòmene una volta riuscito nell'impresa non ringrazia la dèa, ella si vendica accendendo in loro un ardimento all'interno di un tempio sacro. I due vengono così trasformati in leone che mostrano la loro aggressività uccidendo e mangiando gli altri esseri umani. Raccontata questa storia e avvisato dunque Adone di non avvicinarsi a questi animali aggressivi, la dea se ne va, ma il ragazzo durante una battuta di caccia viene ucciso proprio da un cinghiale. Venere che lo raggiunge quando ormai era morto, disperata, trasforma il suo sangue in un fiore, l'anemone e annuncia che ogni anno Adone verrà ricordato tramite una festività che da lui prenderanno il nome, le feste Adonie.\n\nL'amore coniugale.\nDeucalione e Pirra: quella di Deucalione e Pirra è, tra tutte le coppie, forse quella meno caratterizzata. Sono i soli due esseri umani considerati giusti dagli dèi a essere sopravvissuti al diluvio universale che ha annegato ogni essere vivente. È grazie a loro e alle loro preghiere che il genere umano viene a ricrearsi e ha la possibilità di riscattarsi. La loro funzione però è solo questa, non si descrive la coppia come tale e non siamo a conoscenza di quel che succederà loro una volta compiuta la loro missione di riformare il genere umano dalle pietre che devono lanciarsi alle spalle.\nCadmo e Armonia: è il primo esempio di amore coniugale ben definito e in un certo senso archetipo dei successivi. D'altronde secondo la tradizione mitologica le nozze di Cadmo e Armonia furono le prime della storia a cui partecipò tutto l'Olimpo. Sebbene la loro dinastia fu maledetta e tutti i loro figli e nipoti perirono a causa dell'uccisione del serpente sacro da parte di Cadmo (vedi Ciclo Tebano), i due coniugi perdurarono nell'amarsi anche da anziani. Quando Cadmo venne trasformato in serpente, la moglie scongiurò gli dèi che anche lei subisse la stessa trasformazione. “Ancora oggi, non fuggono l'uomo né lo aggrediscono per ferirlo. Serpenti pacifici, non hanno dimenticato che cosa furono un tempo” (IV.602-3).\nFilemone e Bauci: poveri e pii vecchietti della Frigia, Bauci e il marito Filemone sono i soli a ospitare Giove e Mercurio, cui offrono un pasto frugale, e soli si salvano quando gli dèi sommergono la zona; la loro capanna si trasforma in un tempio. Quando Giove per ricompensarli dice loro di esprimere un desiderio, Filemone (consultatosi brevemente con Bauci) chiede:.\nOrfeo ed Euridice: in Ovidio il loro rapporto prima delle nozze non è descritto. È solo Orfeo a sentire così tanto la mancanza della coniuge da discendere nell'Ade per riportarla con sé nel mondo dei vivi. Fallendo in questo tentativo, vive nel ricordo della moglie e giura che non guarderà più nessuna donna e anzi invita gli uomini a dedicarsi solo ad amori omosessuali. Le donne della Tracia però colte dalla Furia, lo faranno a pezzi. Quando Orfeo muore e scende nell'Ade può finalmente raggiungere la sua amata Euridice e stare con lei. Come hanno notato Segal e la Fantham, sembrerebbe che un amore sincero non possa avverarsi nel mondo reale, ma abbia bisogno di una trasformazione che se nel caso di Cadmo e Armonia e di Filemone e Bauci si rispecchia in una metamorfosi, nel caso di Orfeo ed Euridice in un passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti. Solo in questo modo è possibile un lieto fine.\nCefalo e Procris: come scrive la Fantham, quella tra Cefalo e Procri è una storia d'amore diversa dalle altre perché basata sulla gelosia. La vicenda è raccontata dallo stesso Cefalo a Foco che incuriosito dal suo giavelloto ne chiede la provenienza. Cefalo risponde che gli è stato regalato, ma avrebbe preferito non averlo mai ricevuto visto quel che capitò successivamente. Così inizia a raccontare la sua storia. Cefalo fu rapito dall'Aurora, ma era così innamorato di Procri che la dea lo ricacciò indietro dalla moglie avvertendolo però che si sarebbe pentito di tale scelta. Cefalo rimuginando su questo avvertimento crede che la moglie possa essergli stata infedele. Decide così di rendersi irriconoscibile a Procri e di corteggiarla facendole una serie di proposte. Quella respinge ogni corteggiamento, mostrandosi fedele fintanto che l'uomo non le fa una offerta così conveniente da lasciarla per un attimo perplessa. Cefalo sfrutta questa sua perplessità e si svela maledicendola. I due però si riappacificano e passano giorni felici insieme. Ma durante una battuta di caccia Procri, preoccupata per alcune dicerie che volevano Cefalo amante dell'Aurora, segue in segreto il marito, il quale sentendo un rumore tra i cespugli e credendo si trattasse di una preda lancia il giavellotto trafiggendo così la moglie. Le dicerie che erano arrivate all'orecchio di Procri nascevano in realtà da un fraintendimento: Cefalo era infatti solito riposarsi un poco dalla calura durante le battute di caccia e pronunciare queste parole:.\nAura, viene così scambiata per una donna. Ovidio ha cambiato e semplificato i tratti tradizionali del racconto che si basava su molti più fraintendimenti. La Procri di Ovidio è innocente. Nicandro e altri scrittori greci avevano invece scritto che alcune infedeltà sia da parte di Cefalo sia da parte di Procri erano avvenute sul serio. In una versione, Cefalo era stato lontano da sua moglie per otto anni solo per verificare la sua fedeltà, prima di tornarsene travestito sul malevolo consiglio dell'Aurora. In un'altra, Procris era fuggita dal Re Minosse di Creta, diventandone la sua padrona e curandolo da una ripugnante malattia. In cambio di tale servizio Minosse, non Diana (come vuole invece la versione di Ovidio), le regalò la lancia magica. Lei stessa poi si travestì da giovane uomo, cercando l'amicizia di Cefalo e offrendogli la lancia in cambio di una relazione omosessuale (e dato che Cefalo prese la lancia, dobbiamo dedurne che accettò). Ovidio ha poi potuto giocare sulla somiglianza delle due parole latine Aurora e Aura (impossibile invece in greco), basando su quello tutto il fraintendimento del racconto. La Fantham, paragonando questa storia d'amore coniugale alle altre (in particolar modo a quella di Cadmo e Armonia, di Filemone e Bauci e a quella, come vedremo, di Alcione e Ceice), crede che in realtà i due coniugi non si amassero veramente o almeno che Cefalo non amasse così tanto Procri, per quale ragione altrimenti non si sono trasformati insieme? La risposta rimane incerta, nel racconto che Cefalo fa a Foco comunque non sembrerebbero esserci dubbi sull'amore che prova lui nei confronti della moglie scomparsa.Ceice e Alcione: anche in questo caso Ovidio è intervenuto cambiando il racconto tradizionale, secondo cui i coniugi sarebbero stati puniti per essersi posti al pari della coppia divina Giove e Giunone, tanto da farsi chiamare con i loro nomi. Ovidio elimina ogni forma di colpevolezza dalla loro storia, rendendo sia Alcione sia Ceice vittime innocenti del destino. Ha poi arricchito la storia inserendovi la grandiosa descrizione della tempesta che sommerge la nave e affoga Ceice con tutto l'equipaggio, caratterizzando Alcione con un particolare sesto senso femminile, incrementando il pathos del racconto con una serie di tecniche narrative (lo sguardo di Alcione che guarda la nave allontanarsi e poi sparire all'orizzonte, e quello tentato da Ceice verso casa quando ormai è troppo lontano e consapevole di essere spacciato). Il poeta mette ripetutamente espressioni di devozione e di dolore in bocca ai protagonisti in modo che il suo pubblico si immedesimi in questi sentimenti: né la terribile tempesta nella parte centrale della narrazione, né la descrizione della misteriosa casa del Sonno permettono ai lettori di dimenticarsi dell'amore dei due protagonisti. Così come succede con Filemone e Bauci, con Cadmo e Armonia e con Orfeo ed Euridice, la salvezza sta nella trasformazione. Sia Alcione sia Ceice infatti si trasformano in gabbiani (o albatri o comunque uccelli marini) e possono così vivere insieme felici.\n\nGli eroi.\nLe Metamorfosi traggono molta della loro vitalità dai racconti delle imprese degli eroi, in particolar modo quelli pre-Omerici, che erano scelti per affrontare avventurose missioni o vagavano per il mondo greco quando ancora era disabitato, affrontando mostri, briganti, popolazioni selvagge e piaghe di ogni tipo. Cadmo affrontò il serpente per fondare Tebe nella Beozia, Cefalo la volpe di Teumesso, Peleo il lupo in Tessaglia, e i migliori e più brillanti eroi greci dovettero cacciare il cianghiale inviato da Diana nella Calidone.\nMentre col il termine di eroe si intende generalmente figlio di un dio e un mortale, non tutti gli eroi ebbero genitori divini. Ovidio dedica molto spazio in particolare a questi quattro eroi: Perseo, figlio di Giove e Danae; Teseo, figlio di Nettuno e di Etra; Giasone, figlio di genitori mortali; e Ercole, figlio di Giove e Alcmena. Mentre il pubblico greco e romano poteva appassionarsi ad esempio al racconto pieno di suspense del combattimento tra Cadmo e il serpente, Ovidio ha voluto prendere da queste storie solo ciò che offriva una occasione nuova e una soddisfacente messa in scena della virtus, “virilità”, mostrata sia attraverso il coraggio, ma anche con l'ingenuità.\nD'altronde Ovidio presenterà tutti gli eroi più famosi della tradizione greco-romana (non solo quelli pre-omerici quindi, ma anche quelli omerici e romani) trascurando le loro imprese più note, non volendosi probabilmente mettere sullo stesso piano di Omero e di Virgilio. Si concentrerà invece su avventure poco conosciute e soprattutto sulle metamorfosi che con gli eroi assumono la connotazione di una vera e propria apoteosi.\n\nGli eroi pre-omerici.\nGiasone: Giasone è una eccezione perché Ovidio in questo caso preferisce concentrarsi maggiormente sul personaggio di Medea che in realtà oltre a essere la vera protagonista dell'episodio è anche colei cui vanno meriti della missione riuscita.\nPerseo: Perseo è il primo eroe che porta con sé qualcosa di nuovo. Prima di tutto Ovidio lo introduce quando ha già combattuto e vinto Medusa nella sua impresa più celebre. Due sono le imprese a cui deve sottoporsi nelle Metamorfosi, entrambe svoltesi in terra africana e al tempo meno note: quella con Atlante e il salvataggio di Andromeda.\nTeseo: anche per quanto riguarda Teseo, Ovidio preferisce introdurlo quando ha già compiuto gran parte delle sue fatiche più note combattendo i briganti insediati tra Trezene e Atene e ripulendo l'Istmo di Corinto. Viene presentato quando giunge alla corte del padre Egeo che non lo riconosce. A riconoscerlo è invece Medea la nuova moglie del re (e dunque madrina dell'eroe) che prova ad avvelenarlo con l'aconite per paura che, ora che è tornato in patria, venga scelto come il vero successore al padre al posto del proprio figlio. Anche in questo caso Ovidio preferisce soffermarsi sull'origine di tale veleno e accennare soltanto all'impresa di Ercole che, secondo la tradizione, liberò Teseo dall'Ade trascinando via dagli Inferi Cerbero (dalla bava del quale nacque appunto l'aconite).\nErcole: la vita di Ercole includeva troppe fatiche perché Ovidio potesse inserirle tutte all'interno della propria opera. Per quanto l'eroe all'interno delle Metamorfosi sia quello, tra gli eroi pre-Omerici, più amato dal pubblico ovidiano, il poeta non poteva dedicargli così tanto spazio. Infatti i romani adottarono il culto di Ercole prima di ogni altro culto greco, tanto da non farne più solo un eroe greco, ma un eroe romano. Nelle Metamorfosi l'eroe non si incontra mai direttamente, ma sempre attraverso il racconto di qualcuno: nel libro IX a raccontare le sue imprese è Acheloo, il dio fluviale interrogato da Perseo sul perché avesse un corno spezzato. La causa fu proprio Ercole che combatté con lui per ottenere la mano di Deianira. Vengono poi brevemente raccontate le fatiche principali dell'eroe, ma Ovidio ha particolare interesse a descrivere la terribile morte di Ercole e soprattutto la sua deificazione. Infatti dietro alla drammaticità dell'evento Ercole simboleggia il primo uomo reso divino dopo la morte, facendo dell'eroe l'archetipo di Enea e più avanti di Cesare.\nLa Fantham ha notato che ci sono due affermazioni particolarmente rilevanti in questa descrizione della deificazione, evidenziate in corsivo nel testo. Parte meliore è il sintagma con cui Ovidio si riferisce a sé stesso negli ultimi versi del poema (XV.875) quando eterna il proprio poema; augusta gravitate verendus era un omaggio ad Augusto stesso. D'altronde i romani non distinguevano propriamente i nomi propri dagli aggettivi con la lettera maiuscola e Ovidio scelse la parola augusta verendus proprio come riferimento al proprio imperatore. Il poeta sta invitando i suoi lettori a vedere nella deificazione di Ercole una premonizione di quel che succederà successivamente a Ottaviano - conosciuto appunto come Augusto dal 27 a.C., in greco come Sebastos, in latino come verendus.\n\nGli eroi omerici.\nAchille: Ovidio non vuole mettersi sullo stesso piano di Omero e dedica ad Achille due episodi che nell'Iliade non vengono descritti: il duello con Cicno e la morte dell'eroe stesso. Cicno, figlio di Nettuno, era invulnerabile al ferro. Quando Achille si abbatte su di lui, si infuria non riuscendo a comprendere il motivo per cui non riesca a infliggere nessun danno all'avversario. Riesce a sconfiggerlo solo strozzandolo con il laccino dell'elmo. Il padre Nettuno, impietosito, lo trasforma in un cigno. Come nel caso del primo combattimento di Ercole presentato nelle Metamorfosi (quello contro Nesso), il primo duello di Achille è legato alla sua morte. È infatti proprio Nettuno a prendere l'iniziativa contro l'eroe greco, ricordando tra le tante atrocità commesse anche l'uccisione del figlio Cicno. Chiede che sia Apollo a occuparsi della sua morte, e infatti sarà proprio Apollo a indirizzare l'arco di Paride contro Achille uccidendolo. L'eroe greco ricompare un'altra volta all'interno del poema: la prima volta risorge dagli Inferi e ordina agli amici achei imbarcati di tornare in patria dopo la vittoria a Troia e di sacrificare per lui Polissena, l'ultima e la più giovane discendente di Priamo. Infine di Achille si parla indirettamente in occasione della contesa della propria armatura e per l'uccisione di Memnone, figlio dell'Aurora.\nUlisse: di Ulisse si parla solo nell'episodio della contesa dell'armatura di Achille con Aiace. Aiace voleva riscattare l'armatura per sé, dicendo che sarebbe servita molto di più a un uomo come lui che sapeva combattere piuttosto che a un uomo come Ulisse che sapeva usar bene solo la lingua e l'intelligenza per sopravvivere. Ulisse a sua volta, in un discorso retoricamente perfetto ricostruito per intero da Ovidio, riesce a far passare Aiace come uomo di soli muscoli e di poco cervello e, inoltre, a darsi i meriti di gran parte dei successi avuti durante la guerra di Troia. La contesa sarà quindi vinta da Ulisse e Aiace non sopportando l'offesa ricevuta si toglierà la vita. Per quanto riguarda invece le famose peripezie omeriche narrate nell'Odissea, è Macarèo, un naufrago dell'equipaggio di Ulisse dimenticato nel Lazio, a raccontare velocemente a Enea tutte le peripezie dell'eroe greco, soffermandosi in particolare sulle metamorfosi subite dai suoi compagni nell'isola di Circe.\n\nEnea e gli eroi romani.\nEnea: come nel caso degli eroi omerici, Ovidio non vuole metterersi sullo stesso piano di Omero né tanto meno di Virgilio. Così anche nel caso di Enea accenna soltanto alle sue avventure più importanti. È la deificazione dell'eroe troiano che interessa al poeta.\nRomolo: ancora una volta come nel caso ormai di molti altri eroi delle Metamorfosi, Ovidio elenca abbastanza velocemente le imprese del primo re di Roma. È la sua divinizzazione a essere descritta con maggiore attenzione, questa volta per opera di Marte che ne chiede il permesso a Giove:.\nCipo: Cipó era un pretore romano che mentre si specchiava su di un fiume si accorse di avere due corna in testa. Chiestane la spiegazione a un indovino, gli venne riferito che quelle corna erano un simbolo di potere e se soltanto ne avesse avuto la volontà sarebbe potuto entrare a Roma e incoronarsi re fintanto che fosse restato in vita. Cipo però rifiutò pubblicamente di entrare a Roma, negando di volersi fare re. Come segno di riconoscimento per tale scelta, il popolo romano regalò a Cipo un enorme territorio fuori dalle mura e per ricordarlo in eterno furono scolpite sulle porte di bronzo della città corna uguali alle sue.\nEsculapio: Esculapio o Asclepio è il figlio di Apollo e di Coronide che, esperto nella medicina, dopo essere stato fulminato per aver ridato vita a Ippolito, resuscita e diviene immortale, il dio della medicina. Il popolo romano, devastato da una peste che sta infestando la città, decide di consultare l'oracolo di Delfi per supplicare Apollo di aiutarli. Apollo però dice loro che solo suo figlio Esculapio potrà salvarli e che dovranno cercarlo in una città più vicina a Roma di quanto non sia Delfi: Epidauro. Esculapio, in forma di serpente, parte da Epidauro e arriva a Roma insediandosi nell'isola Tiberina e guarendo così il popolo romano dalla peste.\nGiulio Cesare e Ottaviano: con Cesare si concludono le divinizzazioni dei mortali e degli eroi. Anche in questo caso Ovidio si sofferma poco a raccontare le imprese gloriose del generale romano. Più importanza viene data alla congiura e alla sua morte. È ancora una volta Venere, la madre di Enea da cui Cesare discende, a fare del generale romano un dio. La metamorfosi in questo caso consiste nella trasformazione dell'anima di Cesare in stella cometa.\nMa come comprendiamo seguitando nella lettura, anche Augusto seguirà il destino del padre,.\n\nIl discorso di Pitagora: vegetarianismo e metempsicosi.\nNell'ultimo libro delle Metamorfosi Pitagora è il protagonista di un discorso di più di quattrocento versi (vv.60-478). Il tema centrale è il mutare del Tutto. Introdotto nel poema come maestro di Numa a Crotone, Pitagora apre la sua “lezione” con un appassionato invito, in nome della pietà, a non cibarsi di carne ma dei soli prodotti della terra, parla quindi dell'immortalità dell'anima e della metempsicosi, e dicendo di ricordarsi di essere personalmente stato, in una vita anteriore, il troiano Euforbo, spiega come tutto si trasformi e nulla si distrugga; come tutto scorre, e come le anime trasmigrano da un corpo in un altro, così il tempo al pari del fiume e il cielo e gli astri continuamente mutano, e l'anno e la vita hanno più fasi; e gli elementi trapassano l'uno nell'altro, e le figure cambiano perpetuamente, ogni cosa rinnova il proprio aspetto; si nasce e si muore, cambiano le età del mondo, la terraferma può cedere il posto al mare e viceversa, fiumi fonti laghi hanno acque con proprietà diverse, isole città monti sorgono e scompaiono, l'Etna non sempre butterà fuoco, esseri nuovi possono nascere da corpi di animali defunti, gli animali si riproducono e la crescita è cambiamento, la fenice rigenera sé stessa, la natura offre insomma infiniti esempi di trasformazioni; e anche la storia (popoli e paesi) è mutamento continuo, e mutamento sarà anche, un giorno, lo sviluppo della potenza di Roma. La chiusa è un nuovo invito al vegetarianismo.\n\nInterpretazione di Bernardini: molti studiosi a questo punto si sono chiesti che cosa sia esattamente questo discorso: è un'esposizione valida delle dottrine pitagoriche, oppure no? Dà una motivazione filosofica all'intero poema, o è più che altro un pezzo di bravura? E come si concilia comunque il suo fondo razionalistico col resto dell'opera, dove dappertutto trionfano mito e fantasia? E perché Ovidio ha scelto Pitagora? Crede nel pitagorismo?Bernardini scrive che “la difficoltà di giudicare proviene da due ordini di ragioni: primo, la solita ambiguità ovidiana, cioè la straordinaria capacità di Ovidio di combinare gioco e serietà; secondo, noi abbiamo delle vere teorie di Pitagora, come è noto, soltanto una conoscenza indiretta, lacunosissima e spesso deformata, e nel discorso molti elementi comunque certi e basilari del pitagorismo sono ignorati, mentre molte contaminazioni sembrano sicure”. Per quanto riguarda le fonti, il materiale costituito dalle testimonianze trasmesseci sul pitagorismo da autori anteriori a Ovidio o coevi, è insufficiente per svolgere un'indagine sul discorso considerato come “tessuto di idee. Possiamo soltanto presumere che il poeta abbia attinto a qualche opera (perduta) di Varrone, o forse, ma è una ipotesi ancora più vaga, agli oscuri Nigidio Figulo o Sozione'.I tre temi principali su cui si basa il discorso sono il vegetarianismo, la metempsicosi e il ciclo degli elementi, tutti temi che secondo Bernardini sono assimilabili al pitagorismo e al neopitagorismo di epoca augustea e che quindi rendono l'idea dell'intenzione ovidiana di restituire l'immagine del Pitagora storico, piuttosto che di un personaggio letterario. Molti studiosi hanno individuato un'influenza lucreziana all'interno del discorso, ma secondo Bernardini Ovidio si è servito soltanto del linguaggio e dello stile lucreziani per ribaltare le teorie dell'epicureismo e quindi di Lucrezio stesso. Il discorso è calato nel linguaggio poetico-filosofico creato da Lucrezio per due ragioni che si sommano tra di loro: perché Ovidio qui vuole scrivere una parte “lucreziana” (dopo averne composta una enniana, una omerica e poi una virgiliana) e perché nel suo gusto della mimesi, un filosofo deve poter parlare col gergo e nello stile di un filosofo-tipo. E così l'aemulatio diviene smisurata; Ovidio si maschera da Lucrezio: usa il lessico e il periodare lucreziano, usa vezzi lucreziani (et quoniam, nonne vides, ecc.), usa motivi lucreziani. Eppure fa tutto questo per presentare una dottrina agli antipodi dell'epicureismo, per dire cose che Lucrezio non solo non ha detto, ma non avrebbe mai detto e in certi casi ha anzi confutato. D'altronde il personaggio scelto da Ovidio è Pitagora, e Pitagora non può ovviamente dire che cose coerenti con la dottrina di Pitagora, cosicché se Lucrezio, come qui, aveva per caso confutato una tesi pitagorica, Pitagora non può che riaffermarla negando la tesi lucreziana.A questo punto Bernardini si chiede perché Ovidio abbia scelto proprio Pitagora. Pitagora si inserisce nel momento in cui il carmen perpetuum, fluendo verso i mea tempora, sta per passare dai tempi del mito alla storia, quando l'epoca delle belle fiabe finisce e la ragione spinge alla ricerca del quae sit rerum natura. A questo punto la figura di questo pensatore poteva subentrare quanto mai a proposito: Pitagora, e nessun altro filosofo, era perfettamente al suo posto, in un'opera sul tema delle metamorfosi, perché predicatore di quella forma suprema di metamorfosi che è la metempsicosi. Questa trascende le metamorfosi individuali non solo per la sua universalità, ma anche perché al di là dei capricci della fortuna o del fato si presenta come una legge della natura. È per questo che la lezione prende a un tratto una piega decisamente razionalistica e si tramuta in un interminabile compendio di metamorfosi naturali che ha lo scopo di continuare e completare l'esposizione delle metamorfosi mitologiche: ormai, con Numa e Pitagora, siamo nella storia, e l'interesse poggia sulla spiegazione di fatti e di eventi con base storica più o meno accertabile: fondazione di Crotone, culto del dio Virbio, leggenda di Cipó, importazione del culto di Esculapio in Roma. In tutti questi miti l'elemento metamorfico c'è, ma è accessorio. Così, col passaggio dalla fantasia alla ragione, il discorso di Pitagora irrompe non come una motivazione del poema, ma come un culmine della lettura e della rappresentazione dei prodigi del mondo.\nInterpretazione di Segal: l'analisi di Segal parte da un punto di vista diverso rispetto a quello del Bernardini. Il critico statunitense nel saggio Mito e filosofia nelle Metamorfosi: l'augusteismo di Ovidio e la conclusione augustea del libro XV, inserisce il discorso pitagoreo in una problematica critica più ampia: l'augusteismo o l'antiaugusteismo ovidiano (v. sotto), se cioè Ovidio abbia rispettato i canoni augustei della serietà morale. Lasciando da parte per ora il dibattito critico su tale problematica, guardiamo solo all'interpretazione di Segal sulla sezione pitagorica del poema. In maniera del tutto opposta a quanto affermato da Bernardini, Segal crede che Ovidio non abbia voluto presentare le teorie pitagoree “come un culmine della lettura e della rappresentazione dei prodigi del mondo”, tutt'altro egli crede che Pitagora sia stato introdotto come personaggio da parodiare. Per quanto il tono della sezione sia molto più elevato e solenne di quello usato in quasi tutto il resto del libro; per quanto Ovidio sembri prendere una posizione contro gli spargimenti di sangue, esaltando la pace, lasciando trapelare qua e là una concezione più elevata degli dei; per quanto la lunghezza straordinaria del discorso sottolinei la sua importanza tematica, Segal crede che dietro a questa superficie di solennità si nasconda una sottile ironia. In primo luogo, scrive Segal, è discutibile quanto la figura di Pitagora fosse dignitosa e seria agli occhi del romano colto dell'epoca di Ovidio. Le metempsicosi di Pitagora (Euforbo, Omero, Pitagora, un pavone) potevano essere oggetto di ridicolo e il Pitagora ovidiano non fa nulla per evitare il rischio del ridicolo. Ovidio infatti, in un lieve accenno parentetico, ma molto probabilmente ironico, sottolinea i ricordi delle trasmigrazioni del suo narratore (XV.160-2): Io stesso, ricordo, al tempo della guerra di Troia / ero Euforbo figlio di Panto, colui ch'ebbe un tempo / infitta in pieno petto la lancia del minore degli Atridi (XV.160-2).In generale per i romani, nonostante la rinascita di interesse legata alla figura del dotto Nigidio Figulo, Pitagora e i pitagorici erano “tipi equivoci”: avevano per esempio fornito a Cicerone l'opportunità di un'invettiva contro Publio Vatinio (Contro Vatinio VI.14). Anche nel II secolo a.C. sembra che a essi si sia guardato con diffidenza, come si può probabilmente inferire dalla storia molto discussa del rogo dei presunti libri pitagorici ordinato dal Senato. Sembra che le caratteristiche dei pitagorici li abbiano spesso resi lo zimbello dei mimi. Leonardo Ferrero ha scritto sul pitagorismo romano della tarda Repubblica:Allo stesso modo sembra poi che anche il vegetarianismo dei pitagorici sia stato oggetto di particolare scherno nella letteratura romana. I divieti alimentari, naturalmente, potevano essere ammirati perché contribuivano a una vita sana e semplice, ma più spesso venivano satireggiati per la loro vacuità, come si nota in Orazio (Satire. II, VI, LXIII) e in Giovenale (III, 229). Queste restrizioni dietetiche hanno inoltre una lunga storia di dileggio letterario: erano una barzelletta corrente, ad esempio, tra i poeti comici dell'Atene del IV secolo. Pertanto, quando Ovidio fa del vegetarianismo il punto focale del discorso di Pitagora, la serietà dell'intero episodio è almeno dubbia.In ultimo Segal afferma che la metempsicosi descritta da Ovidio, non rassomiglia molto a quella teorizzata dal Pitagora storico: l'anima è immortale, certamente, ma invece di essere infine purificata dalle impurità terrene e raggiungere il divino come dovrebbe essere nelle teorie pitagoree, sembra attraversare una serie infinita di cambiamenti di domicilio senza che questo comporti necessariamente una trasformazione in una forma migliore. Il processo cui Pitagora si riferisce è ciclico piuttosto che progressivo. L'anima non migliora, e Pitagora è infatti molto esplicito a proposito della sua immutabilità: così io dico che l'anima rimane sì sempre la stessa / ma va trasmigrando in nuove, diverse figure (XV.171-2).\nLa dottrina del filosofo, dunque, sostiene e dichiara il tono immorale e amorale delle trasformazioni puramente mitiche precedenti, e non le eleva.\n\nLa questione dell'augusteismo.\nLa critica letteraria del Novecento ha dibattuto non poco su quanto l'opera ovidiana rientrasse nei canoni dell'augusteismo. Per quanto non siano stati definiti con chiarezza che cosa siano questi canoni e quali siano i criteri che sottintendono alla parola “augusteismo”, generalmente come esempio di “opera augustea” si fa riferimento all'Eneide virgiliana. Essa, secondo certi critici, coincide perfettamente con alcune strategie politiche augustee: la finalità morale, l'eternazione di Roma, il rispetto sacrale delle divinità. Prendendo tutti questi criteri come modello, la critica letteraria, ha messo in dubbio l'“augusteismo” di Ovidio arrivando anche a delle conclusioni estreme, come quella di Brooks Otis secondo cui Ovidio fallì miseramente nelle sue intenzioni di scrivere un poema epico e come quella di Charles Segal, secondo cui la stesura delle Metamorfosi poté essere una delle possibili cause del successivo esilio del poeta sulmonese.\n\nL'antiaugusteismo di Ovidio per Segal e Otis.\nIl problema dell'augusteismo o antiaugusteismo delle Metamorfosi si risolve in due questione tra loro collegate. Innanzitutto: quanto sul serio dobbiamo prendere la struttura filosofica che circonda gli episodi puramente mitici del poema? E, in secondo luogo, come dobbiamo considerare il materiale quasi storico del libro 11 (dal verso 194 alla fine), cioè lo spostamento da Troia a Roma, e che rapporto ha questo materiale con il poema nel suo complesso? Nella seconda edizione di Ovid as an Epic Poet Otis, Brooks Otis, abbandonando la sua precedente convinzione che le Metamorfosi “possono essere un deliberato tentativo da parte del poeta di migliorare la propria posizione nei confronti di Augusto”, è giunto a sottolineare le tensioni presenti in Ovidio stesso: Ovidio desidera da un lato usare gli artifici tecnici, il vocabolario e perfino le nozioni morali dei suoi contemporanei augustei, ma, d'altra parte, l'inclinazione del suo talento poetico è antiaugustea. Da questo punto di vista Ovidio voleva creare un'epica augustea, ma era incapace di farlo. Ne deriva un'incongruenza di stile e di materia che si rivela con maggior forza nei libri conclusivi del poema.\nPer Segal la coloritura filosofica dell'introduzione del poema presenta una visione essenzialmente stoica dell'uomo come sanctius animal formato a immagine degli dei onnipotenti, che ha una posizione eretta e osserva i cieli e le stelle (1.76-88). Tuttavia la successiva narrazione delle Quattro Età si sofferma non sull'affinità dell'uomo con la divinità, quanto piuttosto sulla sua inclinazione alla violenza e al male. D'altronde la prima metamorfosi del poema è proprio un racconto dell'impenitente malvagità umana: Licaone, per la sua perfidia è trasformato in un lupo. Nella storia seguente, quella di Deucalione e Pirra, l'idea dell'origine divina dell'uomo (divino semine, I.78) è abbandonata a favore di una seconda creazione dalla terra e dalla pietra (I.400-15) e si scopre che questa seconda creazione è singolarmente consona alla natura umana (I.414-5). Nonostante l'idea dell'origine divina dunque, l'uomo incomincia ad apparire in una luce meno favorevole non appena Ovidio si addentra nella narrazione. Presto l'uomo diventa la parte malata e cattiva del creato, un maleficio che Giove deve distruggere allo scopo di preservare ciò che resta (I.190-3).\nNon si deve dunque pensare che questa introduzione implichi una qualche visione filosofica più alta, che sarà ripresa nella conclusione. È anzi interpretabile come una preparazione per le narrazioni successive di amore passione e violenza. Benché sembri iniziare con un linguaggio e un atteggiamento verso la natura umana che sono lontani dalla giocosa sensualità e amoralità delle storie immediatamente seguenti, essa giunge ben presto a una posizione coerente con l'impostazione della maggior parte del poema: la natura umana è incline a passione malvagie, ed esiste, accanto all'uomo una classe privilegiata di potenze semidivine che appartengono a una concezione del mondo più mitica che filosofica.\nLe storie di Licaone, del diluvio e di Pitone sono abbastanza augustee nella loro enfasi sul potere ordinatore e sul carattere morale degli dei. Ma i racconti che presto definiscono il vero tono del poema disperdono nettamente questa impressione positiva. Nelle storie immediatamente seguenti di Dafne e Io, i protagonisti sono le divinità preferite di Augusto, Apollo e Giove. Quest'ultimo ha appena sconvolto l'equilibrio degli elementi allo scopo di purificare la terra dall'influenza corrutrice dell'uomo. Ma gli dei ora appaiono in atteggiamento tutt'altro che edificante. Il contrasto cancella l'immagine degli dei onnipotenti costruito nella prima parte del libro.\nUn passo molto noto sarà sufficiente a mostrare in che modo la divinità responsabile e giusta degli episodi di Licaone e Deucalione ceda di fronte a una visione meno nobile. Giove (I.595-7) invita Io a condividere con lui l'intimità di un pergolato ombroso, assicurandole: “-nec de plebe deo, sed qui caelestia magna/ sceptra manu teneo, sed qui vaga fulmina mitto. / Ne fuge me-. Fugiebat enim' (“ -non un dio comune: io sono il dio che tiene nella mano lo scettro del cielo e lancia i fulmini vaganti. Non fuggirmi!-. Sì, perché lei fuggiva”).\nQuesto è l'effetto di cui Ovidio è consumato maestro, la riduzione del sublime al ridicolo. L'ironica semplicità dell'eco, fugiebat enim, sottolinea l'imbarazzo amoroso e l'impotenza del re degli dei, nel momento in cui l'oggetto del desiderio preferisce fuggire. Questo è lo spirito che domina l'intero poema: una sicura, arguta, ironica padronanza della realtà delle passioni e delle follie umane, perfino quando esse appaiono in veste divina.\nNel poema manca un'immagine unitaria dell'umano e del divino. Il ritratto che ne consegue è incoerente e, nella migliore delle ipotesi, amorale. Manca anche una chiara definizione dell'ordine della natura; e vi è corrispondentemente una mancanza di definizione dell'uomo e degli dei. Il libro I per esempio presenta da un lato il malvagio Licaone e il pio Deucalione dall'altro; questa giustapposizione è ripetuta nel libro 8, con Filemone e Bauci che sono premiati per la loro sincera pietà, e il superbo e violento Erisittone che è orrendamente punito per la sua empietà. Ma tali esempi non fanno parte di nessuno schema coerente, né toccano realmente l'essenza del poema.\nIn un mondo in costante cambiamento fra un ordine di creature più alto e uno più basso, la differenza fra il divino e il bestiale può talvolta sembrare davvero molto sottile: la storia di Europa è una drammatica riprova di quanto sia trascurabile questa differenza. Se gli uomini diventano animali o piante e se gli dei diventano animali o uomini, ogni prospettiva morale unitaria si dissolve. La metamorfosi può anche eliminare una vera soluzione ai problemi morali sollevati dai miti, poiché spesso distrugge l'integrità interna e l'unità della persona di fronte al dilemma morale. Nel mondo di Ovidio passione e lussuria sono raramente vinte o contrastate, raramente affrontate in un autentico conflitto morale tale da essere risolto solo in termini morali. Invece le passioni lavorano sulla personalità dell'individuo coinvolto finché questi è trasformato nell'equivalente bestiale o elementare di quella passione: il crudele Licaone in lupo, il lussurioso Giove in toro, Aracne dall'efficienza meccanica e sciocca, in un ragno, Tereo in un'upupa dal becco lungo, gli impetuosi Ippomene e Atalanta in leoni, e così via.\n\nL'augusteismo dell'ultimo libro.\nInterpretazione augustea: il XV libro rappresenta, secondo molti critici letterari, l'intenzione ovidiana di riavvicinarsi ai canoni augustei. In particolare il lungo discorso di Pitagora è il passaggio cruciale per coloro che riconoscono nelle Metamorfosi la presenza di una seria problematica filosofica. Hermann Fraenkel ha sostenuto che Ovidio non ha realizzato una completa integrazione della filosofia nella sostanza del suo poema, ma per molti studiosi l'esca di uno schema filosofico si è dimostrata un'attrazione irresistibile. Come abbiamo visto Otis pone grande enfasi sulle contraddizioni tra la personalità antiaugustea di Ovidio e lo stile augusteo e tratta la sezione su Pitagora come un completamento del finale “augusteo”. “Il discorso di Pitagora è in effetti il vero culmine del poema; l'apoteosi di Cesare è solo il corollario formale e la sua ratifica”. Anche Buchheit considera il discorso di Pitagora “un ulteriore, importante anello di congiunzione” nel movimento verso l'alto del poema dal caos al cosmo. W. Anderson, che altrimenti riconosce le caratteristiche negative e non augustee del poema, concede tuttavia uno scopo oggettivamente augusteo alla sezione su Pitagora. Pitagora, sostiene Anderson, costituisce un contrappeso positivo ai precedenti racconti di lussuria e cambiamento senza fine, e simbolizza le possibilità dell'autocontrollo, della ragione e della filosofia al di sopra e contro la passione e l'egoismo; infine “insegna a Numa a cercare ciò che vi è di permanente nelle cose”. Alfonsi scorge nel discorso un tentativo di rendere il tema della metamorfosi qualcosa di più di “una curiosità erudita e folcloristica”, e di trovare una “norma per spiegare la storia universale degli uomini e delle cose dal caos iniziale all'ordine organizzato di Roma”.\nInterpretazione antiaugustea di Segal: come abbiamo visto (v. sopra), Segal crede che dietro a una superficie augustea, nel discorso di Pitagora si celi in realtà una sottile ironia parodica in linea con tutto il poema. Il critico statunitense apporta altri importanti esempi a sostegno della sua teoria. Ancora all'interno del discorso pitagoreo scorge un altro elemento di sovversione all'ideologia augustea: la negazione di una possibile Roma aeterna. La traslazione geografica dalla Grecia all'Italia sembra testimoniare l'idea augstea di un movimento evolutivo della storia che tocca il suo culmine in Roma. In realtà però, anche Roma rientra nel contesto del cambiamento, del flusso, e perfino del declino. L'età dell'oro cede infine il passo a quella del ferro (XV.260-1). Le caratteristiche fisiche della terra mutano (XV.260-306), e cambiamenti di varia natura avvengono sia negli uomini sia negli animali (307-417). Infine (420 ss.), i popoli e le nazioni crescono e decadono in potere e grandezza (420-2): così vediamo mutare le età / vediamo popoli acquistare potenza, / altri crollare. Ed è significativo che sia proprio questo lungo discorso sull'infinità del mutamento a condurre a Roma. Il contesto immediato in cui si parla di Roma sottolinea tanto il collasso delle antiche civiltà quanto la nascita delle nuove (XV.424-31): ora Troia abbattuta mostra solo antiche rovine / e le tombe degli avi in luogo delle sue ricchezze. / Fu illustre Sparta, ed ebbero potenza la grande Micene / e le rocche di Cecrope e di Anfione. / Sparta ora è terreno di poco prezzo e caduta è l'alta Micene / Tebe, la Tebe di Edipo, è ormai solo un nome, / solo un nome è Atene, la città di Pandione. / Ed ora è fama che stia sorgendo la dardania Roma. Ovidio non ci sorprende perché non concede ciò che ci aspetteremmo, ovvero un riferimento all'idea augustea della Roma aeterna. W.S. Anderson ha letto accuratamente questo passo “Ovidio sapeva (e mostrava di sapere) che non esisteva qualcosa come la Roma aeterna': l'accostamento di Roma nascente alle città decadute del passato, ormai nient'altro che nomi (XV.429 ss), indica chiaramente il destino che egli intravedeva per la sua città”. Ciò che resta, e si staglia come unico elemento eterno, non è Roma, ma la poesia'. È nella propria fama di poeta che Ovidio crede ed è con sé stesso, non con Roma o con Augusto, che conclude il poema (XV.871-9): Così è solo l'opera del poeta a essere eterna, non Roma, e la “potenza di Roma” è solo la cornice e il veicolo della fama del poeta. È importante considerare anche il contesto immediato di questo passo. I 125 versi precedenti (XV.745-870) sono stati dedicati all'apoteosi dei Cesari, Giulio e Augusto. Secondo Segal, passare alla deificazione dell'imperatore a un autoencomio in prima persone è, da un punto di vista augusteo, un anticlimax molto brusco. Dal momento che Ovidio sta scrivendo una lunga narrazione, un carme perpetuum modellato almeno in parte su di un'epica impersonale, l'effetto è di gran lunga più violento di quanto lo sarebbe nel caso della conclusione di un poema più personale. Qui dunque, nel punto cruciale della conclusione del poema, Ovidio fa seguire all'adulazione convenzionale dell'imperatore una sottile affermazione del trionfo finale del poeta sui fasti dei governanti e dei governi e sui loro programmi, culturali e ideologici. Questa ironia sembra proprio dello stile di Ovidio, benché nella sua finezza sia forse più coraggiosa e sferzante di quanto ci si potrebbe aspettare. Secondo Segal quindi, è probabile che Ovidio sentisse necessaria o utile la presenza di un augusteismo di facciata alla fine della sua opera. Ma queste sezioni del poema rimangono, appunto, solo una facciata, un educato assenso alle direttive ufficiali al di sopra dell'amoralità che resiste nei racconti, che dopo tutto costituiscono il nerbo del poema. Un esame più attento degli ultimi libri rivela che la serietà augustea è rovesciata almeno in parte dalla vivacità non augustea della passione di Circe e da tocchi esagerati che sfiorano la parodia nel discorso di Pitagora. Quest'ultima – poi – non contiene una dottrina filosofica positiva capace di fornie una giustificazione morale e spirituale al poema nel suo complesso, ma si limita a riaffermare il principio del cambiamento senza fine e senza uno scopo definito. Questi caratteri della narrazione per il critico statunitense, suggeriscono che l'assenso di Ovidio agli ideali augustei è, più che solamente formale, deliberatamente ironico.\n\nGalinsky e la conciliazione delle teorie.\nGalinsky nel saggio Ovid's Metamorphoses and Augustan cultural thematics (1999) crede che sia importante mettere in chiaro tre concetti prima di poter parlare di “augusteismo” o “antiaugusteismo” di Ovidio:.\n\nPrima di tutto non dobbiamo credere che Augusto fosse l'unico critico letterario del tempo. E pertanto è sbagliato farsi un'idea del princeps come l'uomo che decideva cosa fosse di suo gradimento e cosa no. Non ci sono dubbi che perfino le opere dei poeti della generazione d'oro (Virgilio e Orazio) sarebbero state realizzate diversamente se fossero state scritte da Augusto.\nNon abbiamo la prova che Augusto occupasse il suo tempo a controllare la correttezza politica di tutte le opere letterarie del suo tempo. Dalla Vita di Donato sappiamo che seguì e si interessò alla stesura virgiliana dell'Eneide; Svetonio (89.2) scrive che Augustus ingenia saeculi sui omnibus modis fouit (“incoraggiò i geni del suo tempo in tutti i modi possibili”) e fu presente alle loro orazioni e recitazione pubbliche. Eppure potremmo controbilanciare questo assunto proprio con le parole usate da Ovidio nei Tristia (II.239), quando il poeta (in esilio a Tomi) scrive che il principe non aveva tempo da sprecare per leggere l'Ars Amatoria occupato come era negli affari di stato e negli impegni politici (impegni che Ovidio non dimentica di enumerare in ben 25 versi [213-38]). E lo stesso Ovidio, sempre nei Tristia, supplica Augusto di prendersi un poco di tempo per leggere le Metamorfosi e accorgersi così quanto gli era sempre stato fedele. Sebbene questo passaggio sia stato spesso interpretato come una richiesta adulatrice da parte del poeta, non è detto che non vada interpretato come quello che è realmente: dedicare un po' di tempo alla lettura di un'opera. D'altronde non dobbiamo presumere che siccome le opere degli scrittori augustei sono al centro dei nostri dibattiti accademici, lo fossero anche per Augusto stesso che aveva sicuramente altro di cui occuparsi.\nInfine, se vogliamo parlare di augusteismo e quindi di “ideologia augustea”, dovremmo almeno definirne i termini. I critici letterari, più degli storici hanno sempre insistito sul concetto di “augusteismo” o di “antiaugusteismo” parlando delle opere di Virgilio, Orazio, Ovidio e di tutti i poeti che hanno scritto tra la crisi della Repubblica e la nascita del Principato. Così Galinsky mette a punto alcune caratteristiche in comune tra l'epoca augustea e le Metamorfosi, dimostrando quanto sia fondamentalmente inutile parlare di “augusteismo” o di “antiaugusteismo” ovidiano:1) Già il titolo dell'opera Metamorfosi, rappresenta di per sé un elemento costitutivo dell'epoca augustea: il cambiamento. Dopo la battaglia di Azio, ogni cosa stava cambiando. Nell'incipit del poema In nova fert animus mutatas dicere formas / corpora, la parola forma, come Lothar Spahlinger ha recentemente notato, connota l'“essenza psichica”, mentre corpora riguarda la presenza fisica, l'apparenza concreta (Spahlinger 1996 28-29). Questo è un concetto molto presente all'interno dell'opera ed è sottolineato in gran parte di tutte le metamorfosi: la forma cambia, ma l'essenza è preservata. Questo avrebbe potuto offendere un Augusto che stava cambiando ogni cosa? Secondo Galinsky no. Anzi lo storico statunitense prosegue la sua analisi apportando una serie di esempi che dimostrano quanto lo stesso Augusto si facesse promotore di un cambiamento che comunque si fondava sull'antico e questa convergenza di cambiamento e conservazione dell'originaria essenza era un concetto fondamentale per la politica augustea. In questo senso anche il concetto di Roma aeterna, tante volte usato dai critici per dimostrare l'anti-augusteismo di Ovidio, perde di significato perché lo stesso Augusto predicava il cambiamento.\n2) Anche nelle riforme augustee della religiose era molto palpabile questo concetto tra cambiamento e conservazione. Galinsky fa molti esempi, basti quello del tempio di Castore e Saturno ricostruito splendidamente sulle vecchie fondamenta.\n3) Un altro carattere distintivo della cultura augustea rintracciabile nelle Metamorfosi era l'inclusione e l'unione di tutte le precedenti tradizioni e modelli. Augusto stesso, come subito è reso chiaro dalle prime parole delle Res geastae (ma anche tramite altre fonti), si considerava non l'erede o di Cesare o di Pompeo o di Alessandro o di Scipione o di Romolo o di Numa, ma di tutti loro insieme. E abbiamo visto quanto sia appunto importante questa commistione di stili, generi, tradizioni diverse anche nelle Metamorfosi.\nGalinsky conclude affermando quindi che è inutile parlare di “augusteismo” o di “antiaugusteismo” ovidiano. Quando guardiamo alle Metamorfosi dovremmo allargare i nostri orizzonti invece di rimanere legati a una prospettiva che, a suo modo di vedere, limita la comprensione del genio artistico ovidiano. Le Metamorfosi, come ha dimostrato il critico statunitense con gli esempio precedenti, non sono né augustee né antiaugustee, ma sono semplicemente un prodotto della cultura augustea. Nel periodo successivo alle guerre civili, Virgilio scrisse, nella prima decade della politica augustea, un “monumento poetico” al desiderio di stabilità e conservazione. Le Metamorfosi, invece si sono concentrate sull'altro aspetto della cultura augustea, più caratteristico della decade successiva: il cambiamento.\n\nLa questione del genere.\nA lungo si è discusso a quale genere appartenesse un'opera tanto innovativa come quella ovidiana. Per gli studiosi è stato subito chiaro che l'intenzione di Ovidio fosse quella di scrivere un poema epico. D'altronde l'utilizzo dell'esametro, il tipico metro della tradizione epica usato da Omero e da Virgilio, presupponeva proprio questo, che ci trovassimo di fronte a un altro poema epico. Quello che però non ha convinto - e su cui i critici hanno dibattuto per tutto l'inizio del XX secolo - è stata la scelta tematica fatta da Ovidio: non l'epopea di un unico eroe, ma un'infinità di storie legate insieme da un unico elemento, le metamorfosi. D'altronde non dobbiamo scordare che Ovidio, prima di scrivere il poema, era considerato il più famoso poeta elegiaco della corte augustea insieme a Properzio. Anderson ha notato che proprio i primi due versi delle Metamorfosi sono in un certo senso esemplificative del passaggio da poeta elegiaco a epico:.\n\nTenendo presente che un distico elegiaco è formato da un esametro e da un pentametro, il critico statunitense scrive che l'uso delle parentesi nel secondo verso trasformava quello che il pubblico augusteo si aspettava essere un pentametro, in esametro. La cesura del verso infatti cade proprio lì, sulla parola coeptis, ovvero al punto in cui un poeta elegiaco sarebbe andato a capo per comporre di seguito un altro esametro e poi un altro pentametro e così via. Detto questo Anderson crede che confinare l'opera ovidiana in un'etichetta come quella di 'poema epico' solo per il fatto che sia stata scritta in esametri non abbia nessun senso. Brooks Otis prima di lui in un saggio che ebbe molta fortuna, Ovid as an Epic Poet, affermò che Ovidio avesse sì, l'intenzione di scrivere un poema epico in linea con la tradizione virgiliana, ma che alla fine riuscì soltanto a scriverne una parodia, una copia inferiore, naufragando disastrosamente nel suo iniziale obiettivo: questo perché in realtà Ovidio non riuscì mai a liberarsi della sua vera natura di poeta elegiaco, una natura che mal si addice ad essere combinata con l'epica. Gli esempi che Brooks portava a convalidamento della sua teoria erano moltissimi: si concentravano soprattutto sul ciclo di Cadmo e su quello della guerra di Troia, nei quali il tipico eroismo omerico-virgiliano viene ridotto, secondo il critico statunitense, a pura parodia. Brooks ripudiò poi, con l'edizione successiva dello stesso saggio, la sua interpretazione, scrivendo infatti:.\n'Io avevo parlato di due Ovidio, di uno augusteo e di uno, se così si può dire, comico-amoroso, che continuamente si influenzavano a vicenda. Ho anche affermato che l'Ovidio augusteo impediva all'Ovidio comico-amoroso di realizzare in pieno i suoi propositi e alla fine l'ho condannato, constatando che aveva composto un buon lavoro di poesia inferiore. Quello che ho scritto, ora lo ripudio totalmente.'Eppure Brooks, anche nella seconda edizione, persisteva nel voler inserire l'opera ovidiana in un genere preciso, commettendo, secondo Anderson, un errore perché spesso questa problematica appartiene più al critico moderno che non alle reali intenzioni dell'autore. D'altronde nella letteratura latina si trovano esempi di satire e di poemi didascalici composti in esametri e che nulla hanno a che fare con il poema epico.\nSecondo Anderson, dunque, e secondo la critica più recente che comprende anche gli scritti di Segal e di Bernardini, l'opera ovidiana non si può etichettare in un genere preciso, potremmo dire semplicemente che le Metamorfosi sono un poema in esametri che abbraccia tutta una serie di generi letterari esistenti fino a quel momento a Roma: dal parodico al satirico comprendendo anche, ovviamente, l'epico.\n\nDifferenze con i poemi epico-tradizionali: la teoria di Segal sulla deeroizzazione.\nCome scrive Charles Segal “quale che sia la legittimità con cui possono aspirare allo status di poema epico, le Metamorfosi si inseriscono senz'altro in questa tradizione e la reinterpretano per la letteratura occidentale. In questa reinterpretazione Ovidio utilizza soprattutto due tecniche: la soppressione o la svalutazione dell'elemento eroico grazie allo spostamento del centro del racconto e alla leggerezza dei toni; e la combinazione con altri generi e stili, in special modo con i temi erotici dell'elegia e i caratteri intellettualistici, eruditi ed eleganti della narrativa e della poesia didascalica ellenistiche (in primis callimachee)'.\nGli esempi che Segal porta a compimento della sua tesi si concentrano soprattutto sui tipici eroi della tradizione epica omerica e virgiliana e più in generale della mitografia greca (Achille, Ulisse ed Enea, ma anche Peleo o Perseo). Peleo e Achille nel poema ovidiano sfuggono continuamente al combattimento o al duello e non vengono connotati dai tratti eroici tipici della tradizione che li ha tramandati a Ovidio.\nPeleo, innamorato di Teti, cerca di accoppiarvisi: lei, spaventata si trasforma per ben due volte, prima in un uccello, poi in un albero, eppure “Peleo continua a insistere” solo “quando la dea si trasforma in una tigre striata, egli, ben poco eroicamente, rimane atterrito e “lascia la stretta” (11 246)”. Quando invece, ormai sposato con Teti, Peleo dovrà affrontare un lupo mostruoso che distrugge gli armenti di Ceice, non ci sarà nessun combattimento eroico, perché la stessa Teti trasformerà quel lupo in roccia (11 397-406).\n\nAllo stesso modo Achille, quando compare per la prima volta nel poema ovidiano, ci viene presentato come “un giovane deluso la cui iniziale spavalderia si trasforma in un'angosciante mancanza di fiducia in sé stesso, non appena il corpo di Cigno [la cui pelle era invulnerabile al ferro] piega la sua spada (12, 86 -113). Anche in questo caso, come nell'episodio precedente, la metamorfosi si sostituisce alla dura necessità di una battaglia omerica”. Achille infatti riuscirà a battere (strozzandolo) Cigno solo perché questi inciamperà sbadatamente su un sasso, ma non farà neppure in tempo a godere della vittoria che guarderà lo sconfitto volare via dall'armatura in forma di cigno, trasformato così dal padre Nettuno: “un improvviso finale a sorpresa ritrae l'eroe in un atteggiamento piuttosto realistico: perplesso, deluso, disorientato, e inerme”.\nCome si capisce dunque, “la negazione dell'attivismo eroico - di cui l'Iliade e l'Eneide sono insieme simbolo e modello - costituisce uno dei motivi conduttori del poema.” D'altronde la metamorfosi è in sé stessa una modalità di ridimensionamento dell'eroismo epico-tradizionale. Proprio scegliendo questo tema Ovidio si poneva in un rapporto ambiguo con quella tradizione.\nSegal individua quattro modi in cui il tema delle metamorfosi ridimensiona l'eroismo epico tradizionale:.\n\nLa dissoluzione dell'identità: nella tradizione epica l'eroe può ridefinire, sviluppare o ampliare la concezione di sé, ma una forte unità di identità personale è data come parte essenziale del suo destino e carattere epico. Nei momenti di prova, l'eroe è pronto a riaffermare la sua identità in prima persona. Ulisse, ad esempio, può ancora vantare nell'Odissea la sua abilità e la sua perizia di fronte alla mitezza dei Feaci. Invece gli eroi ovidiani sono frammentati nelle loro identità e nelle loro imprese dalla rapida sequenza di eventi mutevoli e di episodi da cui essi emergono solo occasionalmente. Il tipo di eroe che appare con maggior frequenza è l'amante piuttosto che il guerriero, l'adolescente immaturo e instabile piuttosto che l'uomo maturo e affidabile.\nLa Gloria eroica e il nome eterno: nel sistema dell'eroismo epico un ruolo centrale è occupato dalla fama immortale dell'eroe, ricordata e conservata per sempre nella memoria del suo popolo e nel canto che lo celebra. Ettore prima di battersi con Aiace, per esempio, affronta la morte con piena fiducia nell'immortalità (Iliade, 7. 81-91). La metamorfosi invece di assicurare fama eterna, grazie al canto epico, causa la dissoluzione nell'immanenza dei processi naturali, e riporta l'attenzione ai nostri legami con il mondo corruttibile e cangiante degli animali e delle piante. Dafne o Siringa, Narciso o Ciparisso, Giacinto o Alcione: tutti incominciano come individui e finiscono nel generico, sopravvivono come specie di uccelli, alberi, fiori, ma non come individui.\nMancanza di un modello unico di valori eroici: la brusca soluzione di continuità della narrazione non agisce solo contro lo sviluppo di personalità eroiche ben determinate, ma impedisce anche che un singolo personaggio diventi il paradigma mitico dell'esperienza eroica o la personificazione di un unico sistema di valori assoluti. Nessun mito preso singolarmente è in grado di interpretare una parte significativa dell'esistenza umana e ogni personaggio rappresenta “tipi” o modelli di personalità (lussuria, desiderio, avarizia, ira) piuttosto che un'esistenza rivolta ad affrontare gesta grandiose.\nMancanza di un centro narrativo: l'assenza di una continuità narrativa è parallela alla natura cangiante del mondo fisico: la trama della narrazione subisce cambiamenti continui proprio come i corpi sottoposti a un cambiamento continuo. Il mondo di Ovidio non conosce un centro stabile, al contrario di quello virgiliano.\n\nStile.\nLe metamorfosi possiedono una struttura ipotattica: l'autore, consapevole della sua bravura, articola i periodi attraverso l'utilizzo di molte proposizioni subordinate. Ne deriva una struttura articolata e sfarzosa. L'autore predilige aggiungere piuttosto che eliminare: abbondano, ad esempio, gli aggettivi che ricorrono nelle descrizioni dei personaggi.\n\nStruttura.\nTutti gli episodi cantati nel poema hanno come origine una delle cinque grandi forze motrici del mondo antico: Amore, Ira, Invidia, Paura e Sete di conoscenza; non esistono azioni, né di dei né di uomini, non riconducibili a questi motori invisibili. I racconti delle metamorfosi presentano una struttura fissa; sono quattro le tipologie di miti presenti:.\n\nla prima narra l'attrazione di un dio o di un uomo nei confronti di una donna, mortale o divina. Normalmente il racconto si conclude o con l'appagamento del desiderio sessuale del protagonista o con la fuga, a volte possibile solo con la trasformazione della donna.\nla seconda presenta un capovolgimento delle parti: è la donna che si innamora di un uomo. Questo amore non si affievolisce con la consumazione di un atto sessuale, ma continua a perdurare nel tempo, procurando dei grandi cambiamenti nei luoghi dove vivono le innamorate (così, ad esempio, per Arianna e Teseo, Medea e Giasone, Scilla e Minosse).\nla terza concerne storie di uomini che hanno osato sfidare gli dei (Apollo e Marsia, Atena e Aracne). Questi racconti finiscono sempre con la vittoria del dio e con la morte o con la punizione degli uomini o delle donne che hanno sfidato la divinità.\nla quarta è concentrata sul duello: due personaggi, spesso due mortali, si sfidano in un duello mortale che si conclude con la morte di uno dei due combattenti (Achille e Cigno, Perseo e Fineo).Nei primi dieci libri i miti vengono raccontati senza rispettare un preciso ordine cronologico, molte volte Ovidio utilizza i suoi personaggi per raccontare miti che sono antecedenti al periodo in cui vivono i protagonisti, Orfeo, Nestore dopo la morte di Cigno, sono solo alcuni degli svariati episodi in cui l'autore utilizza questo espediente.\nDopo il decimo libro, con la trattazione della guerra di Troia, le storie iniziano a essere raccontate con una successione cronologica ben scandita. La scelta non è casuale: con Omero i miti, che prima erano confusamente tramandati per via orale, vengono riordinati e scritti per la prima volta, allo stesso modo Ovidio inizia a raccontare i miti con una scansione temporale ordinata solo dopo aver trattato i racconti che furono cantati dal sommo poeta greco.\nIn tutto il poema ricorrono anche numerosi elogi ad Augusto molte sono le lodi che Ovidio compie, le più articolate sono presenti nell'episodio di Apollo e Dafne e negli ultimi versi del XV libro.\n\nTradizione manoscritta.\nCome annota Bernardini: “In Storia della tradizione e critica del testo (1934), Giorgio Pasquali scriveva che nel caso delle Metamorfosi la recensione rimane, almeno sin qui, tipicamente aperta: cioè essendo escluso che i codici a noi pervenuti discendano da un unico archetipo, e dovendosi invece pensare che essi continuino una pluralità di edizioni antiche, non è possibile fissare una lezione meccanicamente, in base al criterio genealogico; si deve ricorrere al iudicium, fondandosi di volta in volta su criteri interni.” Infatti, nonostante la grande popolarità che le Metamorfosi ebbero sin da quando vennero composte - intorno quindi all'anno dell'esilio (8 d.C.) - nessun manoscritto ci è pervenuto di quell'epoca. D'altronde il poema venne bollato come 'opera pericolosamente pagana' e probabilmente molti manoscritti vennero distrutti o andarono persi soprattutto durante il periodo della cristianizzazione dell'Impero. Esistono dei frammenti risalenti al IX e al X secolo; ma i primi veri manoscritti che siamo in grado di utilizzare per la ricostruzione testuale, sono databili intorno all'XI secolo. Vi sono due editiones principes: quella bolognese del 1471 e quella romana del 1471-72. Tra le edizioni successive, notevole è quella di Daniel Heinsius (Leida, 1629), ma un primo fondamentale lavoro di collatio venne svolto dall'olandese Nikolaes Heinsius che tra il 1640-52 riuscì a collazionare più di cento manoscritti e a pubblicare poi l'edizione critica dell'opera (Amsterdam, 1652). Con i criteri della filologia moderna, sono da segnalare l'importante edizione del Merkel (Lipsia, 1851) sulla quale si fonda la recentio dell'attuale testo teubneriano e quella di Von Hugo Magnus (Berlino, 1914). A oggi si conoscono più di 400 manoscritti registrati da Franco Munari nel suo “Catalogue” (London, 1957). Ma per quanto il numero dei manoscritti disponibili sia notevolmente aumentato durante il XX secolo (il filologo Lafaye nel 1928 segnalava che se conoscevano poco più di 150), la situazione non è cambiata da come la descrisse Pasquali nel 1934. “Anzi” come annota ancora Bernardini “si è in un certo senso aggravata, essendo ormai chiaro che codici prima considerati deteriori rispetto alla classe battezzata O da Magnus presentano in molti luoghi lezioni buone.\n\nEdizioni.\nTesto latino.\n(LA) Publio Ovidio Nasone, Metamorphoses, Antuerpiae, apud heredes Martini Nutii, 1618.Il testo antico fu perduto, ma esistono oltre quattrocento manoscritti di epoca medioevale, completi o frammentari. Una lista non esaustiva di questi testi è stata compilato dal filologo classico e traduttore italiano Franco Munari.\n\nEdizioni italiane.\nPublius Ovidius Naso, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, a cura di Giovanni Bonsignori, Stampato in Venetia, Lucantonio Giunta, 1501-1598, Giovanni Rosso -1519, I ed. 1497. URL consultato il 1º aprile 2015.\nLe metamorfosi, traduzione di Leopoldo Dorrucci, Firenze, Tipografia di G. Barbèra, 1885, p. 573.\nLe metamorfosi, trad. e cura di Piero Bernardini Marzolla, Collana I Millenni, Torino, Einaudi, 1979, p. 708, ISBN 978-88-06-17695-2.\nMetamorfosi, a cura di Mario Ramous, con un saggio di Emilio Pianezzola, Note di Luisa Biondetti e M. Ramous, Dizionario mitologico di Luisa Biondetti, Collezione I Libri della Spiga, Milano, Garzanti, 1992, ISBN 978-88-115-8675-3.\nLe metamorfosi, traduzione di Giovanna Faranda Villa, 2 voll., Introduzione di Gianpiero Rosati, note di Rossella Corti, Collana I Classici, Milano, BUR, settembre 1994.\nOvidio, Opere. Volume II: Le metamorfosi, edizione con testo a fronte, trad. di Guido Paduano, Introduzione di Alessandro Perutelli, Commento di Luigi Galasso, Biblioteca della Pléiade, Torino, Einaudi, 2000, ISBN 978-88-446-0039-6. - Nuova ed. riveduta, Collezione I Millenni, Torino, Einaudi, 2022, ISBN 978-88-062-4221-3.\nMetamorfosi, testo critico basato sull'edizione oxoniense del 2004 di Richard John Tarrant, a cura di Alessandro Barchiesi, Introduzione di Charles Segal, trad. di Ludovica Koch e Gioachino Chiarini, commento di A. Barchiesi, Philip Hardie, Edward J. Kennedy, Joseph D. Reed e Gianpiero Rosati, 6 voll., 2005-2015. [I: libri I-II, 2005; II: libri III-IV, 2007; III: libri V-VI, 2009; IV: libri VII-IX, 2011; V: libri X-XII, 2013; VI: libri XIII-XV, 2015].\nLe metamorfosi, trad. e cura di Serafino Balduzzi, Milano, Cerebro, 2011, p. 256, ISBN 978-88-96782-47-7.\nLe Metamorfosi di Ovidio, trad. e cura di Vittorio Sermonti, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2014, ISBN 978-88-17-07263-2. - Collezione I Libri della Spiga, Milano, Garzanti, 2023, ISBN 978-88-110-0004-4.\nOvidio, Metamorfosi, edizione con testo a fronte, traduzione di Nino Scivoletto, UTET, 2013 ISBN 9788841886946.\n\nTraduttori in inglese.\nHorace Gregory.\nRolfe Humphries.\nFrank Justus Miller.\n\nTraduttori in francese.\nJean de Vauzelles (1557),.\nPierre Du Ryer (1693).\nAntoine Banier (1732).\nJoseph-Gaspard Dubois-Fontanelle (1767).\nAnge-François Fariau de Saint-Ange (1800).\nMathieu-Guillaume-Thérèse Villenave (1806-1807).\nJoseph Cabaret-Dupaty (1862).\nGeorges Lafaye (1925-30).\nJoseph Chamonard (1936).\nDanièle Robert (2001).\nOlivier Sers (2009).\nMarie Cosnay (2017).\n\nL'edizione del 1557.\nUna delle più celebri traduzioni delle Metamorfosi edita in Francia risale al 1557. Pubblicata con il titolo La Métamorphose d'Ovide figurée (La Metamorfosi di Ovidio illustrata) dalla Maison Tournes (1542-1567) a Lione, è il risultato della collaborazione dell'editore Jean de Tournes e Bernard Salomon, importante incisore del XVI secolo. La pubblicazione è edita in formato in-ottavo e presenta i testi di Ovidio accompagnati da 178 illustrazioni incise.\nTra gli anni 1540-1550 si instaura a Lione tra i vari editori una vera e propria corsa alla pubblicazione dei testi dell'poeta antico. Jean de Tournes si trova così a far fronte ad un’aspra concorrenza che pubblica anch’essa nuove edizioni delle Metamorfosi, la cui diffusione nel campo dell’editoria contemporanea fa seguito al moltiplicarsi delle traduzioni. Jean de Tournes pubblica per la prima volta i primi due libri di Ovidio nel 1456, versione a cui fa seguito una ristampa illustrata nel 1549. Il suo principale concorrente è Guillaume Roville, il quale pubblica i testi illustrati da Pierre Eskrich nel 1550 e successivamente nel 1551. Nel 1553, egli pubblica i primi tre libri con la traduzione di Barthélémy Aneau, che segue alla traduzione dei primi due libri da parte di Clément Marot. Tuttavia, la versione del 1557 pubblicata dalla Maison Tournes rimane la versione che gode di maggiore fortuna, come attestato dalle menzioni storiografiche.\nLe edizioni cinquecentesche delle Metamorfosi costituiscono un cambiamento radicale nel modo di percepire i miti. Nei secoli precedenti, i versi del poeta antico erano stati letti soprattutto in funzione del loro impatto moralizzante, mentre a partire dal sedicesimo ne viene esaltata la qualità estetica ed edonistica. Il contesto letterario dell'epoca, marcato dalla nascita della Pléiade, è indicativo di questo gusto per la bellezza della poesia.\n“La scomparsa dell'Ars Amatoria e dei Remedia amoris segna la fine di un'epoca gotica nell'editoria ovidiana, così come la pubblicazione nel 1557 della Métamorphose figurée segna l'appropriazione da parte del Rinascimento di un'opera che è tanto in linea con i suoi gusti quanto la moralizzazione delle Metamorfosi lo era stata con le aspirazioni del XIV e XV secolo'.\nL'opera fu ripubblicata in francese nel 1564 e nel 1583, sebbene fosse già stata pubblicata in italiano da Gabriel Simeoni nel 1559 con alcune incisioni aggiuntive.\nAlcune copie del 1557 sono oggi conservate in collezioni pubbliche, presso la Biblioteca nazionale di Francia, la biblioteca municipale di Lione, la Brandeis University Library di Waltham (MA) e la Biblioteca del Congresso a Washington D.C., negli Stati Uniti. Una copia digitale è disponibile su Gallica. Sembrerebbe inoltre che una copia sia stata messa in vendita da Sotheby's.\n\nLe illustrazioni.\nNell'edizione del 1557 pubblicata da Jean de Tournes figurano 178 incisioni di Bernard Salomon che accompagnano il testo di Ovidio. Il formato è emblematico della collaborazione tra Tournes e Salomon, che esiste fin dal loro sodalizio a metà degli anni 1540: le pagine si sviluppano attorno ad un titolo, un'incisione con una strofa ottonaria e un bordo ordinato.\nLe 178 incisioni non sono state realizzate tutte in una volta per il testo integrale, ma hanno origine da una ripubblicazione dei primi due libri nel 1549. Nel 1546 Jean de Tournes pubblicò una prima versione non illustrata dei primi due libri delle Metamorfosi, per la quale Bernard Salomon preparò ventidue incisioni inziali. Salomon esaminò diverse edizioni illustrate delle Metamorfosi antecedenti prima di lavorare alle sue incisioni, che nonostante ciò non mancano di una spiccata originalità.\nNel libro Bernard Salomon. Illustrateur lyonnais, Peter Sharratt afferma che le tavole di questa edizione, assieme a quella della Bibbia illustrata dal pittore nel 1557, sono i lavori di Salomon che evidenziano maggiormente il processo illustrativo basato su 'un miscuglio di ricordi '. Tra le edizioni precedenti da lui consultate, ne spicca una in particolare: Metamorphoseos Vulgare, pubblicata a Venezia nel 1497, la quale presenta analogie nella composizione di alcuni episodi, come la 'Creazione del mondo' e 'Apollo e Dafne'. Nel disegnare le sue figure, Salomon utilizza inoltre il canone di Bellifontaine, a testimonianza dei suoi primi anni da pittore. Tra le altre opere, realizzò alcuni affreschi a Lione - affreschi per i quali si ispirò ai recenti lavori a Fontainebleau.\nPiù noto in vita per la sua attività di pittore, il lavoro di Salomon su La Métamorphose d'Ovide figurée lasciò comunque un segno sui suoi contemporanei. Tali illustrazioni contribuirono alla celebrazione dei testi ovidiani nella loro dimensione edonistica. A questo proposito, Panofsky parla di 'xilografie di straordinaria influenza' e lo storico dell'arte americano Rensselaer W. Lee definisce l’opera come 'un evento di grande portata nella storia dell'arte'.\nAd oggi, nel Musée des Beaux-arts et des fabrics di Lione, è possibile osservare pannelli di legno che riproducono il modello delle incisioni di Salomon per le Metamorfosi di Ovidio del 1557." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le rane.\n### Descrizione: Le rane (in greco antico: Βάτραχοι?, Bátrachoi) è una commedia teatrale di Aristofane, messa in scena per la prima volta ad Atene, alle Lenee del 405 a.C., dove risultò vincitrice. Fu in seguito replicata, forse l'anno successivo (fatto alquanto atipico per quei tempi), per il suo valore artistico e sociale.\n\nTrama.\nDioniso, dio del teatro, decide di raggiungere l'Ade per riportare in vita Euripide. Tanto Sofocle quanto Euripide, infatti, sono ormai morti (entrambi erano deceduti nel 406 a.C., pochi mesi prima che la commedia di Aristofane fosse rappresentata), e i tragediografi più giovani non hanno la stessa creatività e lo stesso genio. Di conseguenza, riportare Euripide in vita è l'unico modo per salvare la tragedia dal declino.All'inizio della commedia, Dioniso e il suo servo Xantia chiedono ad Eracle quale sia la strada più rapida per giungere all'Ade; quest'ultimo, dopo qualche presa in giro, risponde che è necessario attraversare una palude, l'Acheronte. Quando i due giungono laggiù, il traghettatore Caronte fa salire Dioniso sulla sua barca per portarlo sull'altra riva, mentre Xantia è costretto a girare intorno alla palude a piedi. Durante la traversata, Dioniso e Caronte incontrano le rane (Caronte le chiama rane-cigni), col loro gracidare: brekekekex koax koax. Esse intonano un canto in onore di Dioniso, ma senza accorgersi che il dio è proprio lì con loro. Dioniso è presto infastidito dal loro canto e protesta, ma le rane continuano, non riconoscendolo nemmeno. Tuttavia, quando il dio imita il loro verso, esse si zittiscono.Alla fine Dioniso e Xantia si rivedono alle soglie dell'Ade, dove incontrano un gruppo di anime, gli iniziati ai culti misterici, che cantano in onore di Iacco. Poco dopo i due incontrano Eaco, che scambia Dioniso per Eracle (il primo infatti si era vestito a imitazione del secondo) e comincia a insultarlo e minacciarlo. Eaco era infatti furioso nei confronti di Eracle, che aveva rubato il suo cane Cerbero. Spaventato, il dio scambia i suoi abiti con Xantia, che è meno impaurito del suo padrone. I due vengono entrambi frustati, ma alla fine l'equivoco è chiarito.Euripide viene finalmente rintracciato, mentre è nel mezzo di un litigio con Eschilo a proposito di chi meriti di sedere sul trono di miglior tragediografo di tutti i tempi: ognuno dei due ritiene sé stesso il migliore. Comincia allora una gara, con Dioniso come giudice: i due autori citano a turno versi delle loro tragedie, e tentano di sminuire quelli del contendente. Alla fine viene portata in scena una bilancia e ognuno dei due autori viene invitato a recitare alcuni suoi versi; la citazione che 'pesa' di più (ed è dunque migliore) farà pendere la bilancia in favore del proprio autore. Eschilo esce vincitore da questa gara, ma a quel punto Dioniso, che inizialmente intendeva riportare in vita Euripide, non sa più a chi sia meglio concedere questo onore. Decide che sceglierà l'autore che darà il miglior consiglio su come salvare Atene dal declino. Euripide dà una risposta generica e poco comprensibile ('Se adesso va tutto male, forse facendo tutto il contrario ce la caveremo'), mentre Eschilo dà un consiglio più pratico ('Le navi sono le vere risorse'). Infine Dioniso decide di riportare in vita Eschilo, che, prima di andare, affida al dio Plutone il compito di riservare il trono di miglior tragediografo a Sofocle, raccomandandogli di non lasciarlo mai ad Euripide.\n\nCommento.\nAtene in quegli anni.\nNel 405 a.C. Atene stava attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia: la guerra del Peloponneso stava per finire, e la polis era sul punto di perdere la sua supremazia sul mondo greco (soltanto un anno dopo, infatti, Atene si sarebbe arresa a Sparta). Per questo motivo, la città viveva una situazione di forti tensioni interne, poiché varie fazioni si combattevano per ottenere il potere: nel 411 a.C. la forma di governo democratica venne abbandonata e sostituita da un'oligarchia, ma appena un paio d'anni dopo gli oligarchi persero l'autorità e venne restaurata la democrazia. Era un periodo molto incerto e difficile, anche perché nessuno poteva prevedere quale sarebbe stato il destino di Atene se la città fosse uscita sconfitta dalla guerra.Inoltre, i due più grandi tragediografi ancora in vita, Sofocle ed Euripide, erano entrambi morti nel 406 a.C., sicché sembrava che per Atene il futuro non sarebbe più stato luminoso come il passato, in campo sia militare sia teatrale. In quest'atmosfera Aristofane scrive una commedia profondamente nostalgica, in cui riportare in vita i morti è l'unico modo per ridare ad Atene gli splendori del passato.\n\nLa salvezza di Atene.\nLe rane è piena di riferimenti a questa difficile situazione, tanto che il viaggio di Dioniso, che inizialmente è descritto come un tentativo di salvare la tragedia, con il progredire della vicenda diventa anche un tentativo di salvare Atene. Al suo apparire, il coro degli iniziati ai culti misterici canta:.\n\nLa decadenza di Atene è così evidente che gli iniziati chiamano gli ateniesi 'i morti di lassù', sperano che nessuno sarà privato dei diritti civili e affermano che la città è caduta nelle mani di persone malvagie e poco affidabili:.\n\nIl viaggio di Dioniso assume dunque questa doppia valenza di possibilità di salvezza per il teatro e per Atene, ed è lo stesso Dioniso a dirlo:.\n\nMa perché un poeta dovrebbe essere preferito ad altre persone, nell'ottica della salvezza della città? Risponde Euripide:.\n\nIn altre parole, Aristofane vuole affermare che la città per salvarsi deve essere gestita da persone oneste e corrette, e la tragedia concorre proprio a creare questo tipo di persone.\n\nLa sfida tra Eschilo ed Euripide.\nUna volta che Euripide è stato rintracciato, la parte restante della commedia è una sfida tra questi ed Eschilo per decidere chi sia il miglior tragediografo di tutti i tempi, con Dioniso nei panni di giudice. I due autori cominciano allora a canzonarsi l'un l'altro, mettendo in luce i propri meriti e i difetti dell'avversario. Il risultato è una sorta di critica letteraria in chiave comica, dove molte delle caratteristiche principali dei due autori sono analizzate con attenzione. È tuttavia evidente la preferenza di Aristofane per Eschilo: l'innovatore Euripide è senz'altro più bersagliato.La prima parte della sfida ha ancora una volta come oggetto la pericolosa situazione di Atene. Quando Euripide critica lo stile complesso e talvolta oscuro di Eschilo, quest'ultimo risponde che attraverso le sue tragedie, per esempio I sette contro Tebe o I Persiani, ha dato il suo contributo a formare dei buoni cittadini, mentre Euripide, mettendo in scena personaggi che erano non modelli di virtù, ma figure dotate sì di pregi, ma anche di grandi difetti, ha contribuito alla decadenza della città.\n\nQuesto, d'altro canto, è un problema ancora molto sentito al giorno d'oggi: descrivere il male è un modo per insegnarlo, o è un modo per indurre gli spettatori a riflettere?Finita la parte dedicata ad Atene, comincia un'analisi dei prologhi dei due autori, ed Euripide prende in giro Eschilo per il suo stile retorico e pieno di ripetizioni:.\n\nQuando è il turno di Eschilo di criticare i prologhi di Euripide, il primo mostra che i versi del secondo sono prevedibili e la loro metrica è spesso identica. Infatti tali versi possono sempre concludersi con la strana espressione 'perse la boccetta'.\n\nI due autori citano numerose altre tragedie, finché alla fine Dioniso fa la sua scelta, decidendo di riportare in vita Eschilo. La scelta del dio è in effetti anche quella di Aristofane, che preferiva le opere tradizionali di Eschilo e Frinico a quelle dell'innovatore Euripide. Tale preferenza è peraltro evidente nelle Rane già prima della gara tra i due tragediografi. Infatti, all'inizio della commedia, quando Dioniso dice ad Eracle di voler riportare in vita Euripide, ecco cosa ribatte il secondo:.\n\nQuando poi Dioniso e Caronte incontrano le rane, succede qualcosa di strano: gli anfibi cantano in onore di Dioniso, ma quando lo vedono non lo riconoscono neanche e lo considerano solo un seccatore. È probabile che ciò avvenga perché, amando Euripide, Dioniso sta tradendo il suo ruolo di dio del teatro, sicché anche le creature che lo amano non lo riconoscono.\n\nIl potere della poesia.\nIl titolo della commedia, Le rane, è sempre stato considerato alquanto atipico. L'incontro di Dioniso con le rane, coro secondario della commedia, che cantano il loro amore per la poesia, è un singolo episodio che non lascia tracce nel prosieguo della storia, perché dunque dare l'onore del titolo ai simpatici anfibi? Sono state date molte spiegazioni, spesso in contraddizione le une con le altre. Un punto di vista interessante e prudente è che capita spesso, nelle opere teatrali ma anche nei romanzi e in ogni scritto in cui si racconti una storia, che un episodio, per quanto poco importante, diventi un simbolo dell'intera vicenda. Il significato degli eventi si cristallizza su questo simbolo, che acquista così importanza a prescindere da quanto spazio abbia effettivamente. Se questo è successo, almeno parzialmente, nelle Rane, allora gli anfibi (che sono in effetti rane-cigni dalla voce meravigliosa) appaiono simboleggiare il valore ed il potere della poesia, poiché proprio su questo è incentrato il loro canto e il loro breve dialogo con Dioniso. E come abbiamo visto poc'anzi questo potere può, secondo la visione ideale di Aristofane, persino portare la salvezza alla città di Atene.\n\nIl coro e i Misteri eleusini.\nIl coro principale della commedia è composto di iniziati ai culti misterici, e anche se non viene detto esplicitamente quali siano tali culti, è evidente che il riferimento è ai Misteri eleusini, la religione misterica più diffusa e rinomata della Grecia classica. Tali Misteri erano legati alle dee Demetra e Kore; la loro origine risale al 1600 a.C. circa, e il loro obiettivo era di elevare l'uomo sopra la sfera umana verso quella divina, e di assicurare la sua redenzione, promettendo poteri divini e ricompense nell'aldilà, oltre che felicità e benessere durante la vita.\n\nQuesto scritto di Marco Tullio Cicerone riassume bene la reputazione e la fama che i Misteri eleusini acquisirono all'interno e all'esterno del mondo greco. Nelle Rane, è il coro degli iniziati a cantare i testi più strettamente connessi all'attualità, nonché a stigmatizzare la situazione sociale ed i problemi di Atene, auspicando una rapida soluzione; questo poiché, proprio in quanto iniziati, essi hanno un buon trattamento nell'Ade, una relazione più stretta con gli dei e una maggiore saggezza nel vedere i problemi dei vivi.\n\nRappresentazioni significative.\nNel 2017 e nel 2018 la commedia è stata rappresentata al teatro greco di Siracusa con la regia di Giorgio Barberio Corsetti; nel cast spicca una coppia comica molto popolare, Ficarra e Picone, rispettivamente nei panni di Dioniso e Xantia. Il 1º settembre 2018 una rappresentazione è stata trasmessa in prima serata su Rai1, ottenendo quasi due milioni di telespettatori." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Le supplici (Euripide).\n### Descrizione: Le supplici (Ἱκέτιδες, Hikétides) è una tragedia di Euripide, rappresentata per la prima volta tra il 423 e il 421 a.C. Esiste una omonima tragedia di Eschilo, che però racconta un diverso episodio della mitologia greca.\n\nTrama.\nUn gruppo di donne di Argo si riunisce presso l'altare di Demetra ad Eleusi: sono le madri dei guerrieri argivi morti nel fallito assalto a Tebe (quello raccontato da Eschilo ne I sette contro Tebe), per supplicare gli ateniesi di aiutarle a dare degna sepoltura ai figli. I tebani, infatti, negano la restituzione dei cadaveri. Il re Teseo decide di aiutarle, sicché si rivolge all'araldo tebano, ingaggiando con lui un intenso dialogo nel quale il re difende i valori di democrazia, libertà, uguaglianza di Atene, contrapposti alla tirannide di Tebe.La guerra tra le due poleis diventa così inevitabile, e si conclude con la vittoria di Atene e la conseguente restituzione dei cadaveri. Il re di Argo, Adrasto, che accompagna le madri, si incarica di celebrare i caduti con un discorso. Durante il rito funebre, Evadne, moglie del caduto Capaneo, si getta da una roccia sul rogo dove veniva cremato il marito, in un atto di estrema dedizione coniugale. Alla fine appare ex machina la dea Atena, che fa giurare ad Adrasto eterna riconoscenza di Argo verso Atene, predicendo inoltre la prossima caduta di Tebe.\n\nCommento.\nIl patriottismo.\nLa maggior parte degli studiosi è sicura che questa tragedia sia stata scritta poco dopo la sconfitta di Atene contro Sparta alla battaglia di Delio del 424 a.C., in piena guerra del Peloponneso. Ciò significa che la tragedia stessa (come anche Gli Eraclidi dello stesso autore) aveva una funzione patriottica: ricordare agli ateniesi la propria grandezza nei confronti della rivale Sparta. Infatti, nel momento in cui il re Teseo confronta la democrazia ateniese con la tirannide tebana, concludendo che solo la democrazia può garantire la libertà, appare evidente l'intenzione di Euripide di dimostrare la superiorità di Atene sull'oligarchia spartana. In ogni caso, il risalto che l'autore dà alle esequie per i morti in guerra è un chiaro indizio del sostanziale antimilitarismo di Euripide (evidente anche in altre tragedie quali Le Troiane e l'Elena).\n\nI difetti della democrazia.\nPer molti studiosi è evidente l'analogia euripidea tra il mitico re Teseo e il contemporaneo Pericle, perlomeno nelle posizioni politiche a difesa della democrazia. D'altro canto, nel dialogo tra Teseo e l'araldo tebano, traspaiono anche le incertezze e i dubbi di Euripide a proposito del sistema di governo ateniese. Teseo infatti descrive il sistema democratico per come dovrebbe essere (lo Stato appartiene a tutti i cittadini, i quali hanno uguali diritti a prescindere dalla loro ricchezza), ma è un sistema assai lontano da quello effettivamente vigente nella Atene di quegli anni, una città in grosse difficoltà militari e sociali. Quando l'araldo ribatte a Teseo, descrivendogli i difetti della democrazia (troppe persone che comandano significa essere sempre ondivaghi, difendendo gli interessi ora dell'uno, ora dell'altro), egli dà un ritratto abbastanza fedele della situazione ateniese, al punto che parecchi autori ritengono che, stanco delle inefficienze della democrazia, Euripide in quegli anni stesse in realtà assestandosi verso posizioni non democratiche." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lebes gamikos.\n### Descrizione: Il lèbes gamikòs, o 'lebes nuziale', (plurale - lèbetes gamikòi) è una forma della ceramica greca antica usata nelle cerimonie nuziali (letteralmente, significa vaso da matrimonio). Veniva probabilmente usato per l'aspersione rituale della sposa prima del matrimonio.\nIl corpo del vaso era costituito da una coppa profonda, simile ad un piccolo dinos, fortemente segnata all'altezza della spalla, collo distinto (ma non sempre presente) e orlo sporgente; poteva essere dotata di piede o reggersi su un alto piedistallo con il quale formava un oggetto unico. Due alte e diritte anse si impostavano sulla spalla e la coppa era chiusa da un coperchio sormontato da un'alta ed elaborata maniglia. È possibile che si sia sviluppato dal cratere a forma di kotyle (kotyle-krater o skyphos-krater), una tipologia di origine attica diffusa nella seconda metà del VII secolo a.C. La decorazione pittorica, tipicamente riferita a scene nuziali, derivate dalla mitologia o dalla vita quotidiana, rivestiva sia la coppa che il supporto.\nIl lebes gamikos compare ad Atene nell'ultimo quarto del VI secolo a.C. dove rimane in produzione fino alla metà del IV secolo a.C.; in Italia continua ad essere prodotto fino alla fine del secolo. Uno dei più antichi esemplari conosciuti proviene da Smirne, è datato al 580-570 a.C. ed è dipinto da Sophilos (o dalla sua bottega), con la rappresentazione della processione per il matrimonio di Elena e Menelao." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Leda.\n### Descrizione: Leda (in greco antico: Λήδα?, Lḕda) è un personaggio della mitologia greca. Fu regina di Sparta.\n\nGenealogia.\nFiglia di Testio e di Euritemi (citata anche come Leucippe) o Deidamia (figlia di Periere), sposò Tindaro e fu madre di due figli, i gemelli Dioscuri (Castore e Polluce), e di cinque figlie, Elena, Clitennestra, Timandra, Filonoe e Febe.\nSecondo la tradizione, Elena e Polluce erano figli di Zeus piuttosto che di Tindaro. La versione più diffusa del mito narra che Leda si unì prima a Tindaro e poi a Zeus in forma di cigno, e in seguito depose due uova: dalla prima nacquero Castore e Clittemnestra, figli di Tindaro, e dalla seconda Polluce ed Elena, figli di Zeus.\n\nMitologia.\nLa leggenda narra che Zeus, innamoratosi di Leda, si trasformò in un cigno per sedurla sulle rive del fiume Eurota e, una volta ottenuta la sua attenzione, si accoppiò con lei. (Altre versioni sostengono che Zeus si fosse prima palesato nella sua virilità per poi accoppiarsi con la fanciulla.) Successivamente la donna depose un uovo che schiudendosi lasciò uscire i figli Elena e Polluce, e la stessa notte giacque anche con il marito Tindaro. Da questo amplesso divenne dunque madre di Castore e Clitennestra.\nIl mito però è confuso poiché alcuni autori sostengono che solo Elena sia di origine divina, mentre Polluce, Castore e Clitennestra erano figli di Tindaro.\nAltri tramandano che le uova deposte fossero due e che dalla prima nacquero Castore e Clitennestra come figli di Tindaro e di stirpe mortale mentre dalla seconda Polluce ed Elena, figli di Zeus.\nAlcune varianti del mito e la pittura si legarono a una lettura più semplice dell'episodio e immaginarono che i quattro figli uscirono tutti dall'uovo e che fossero tutti figli di Zeus.\n\nSecondo un'altra versione del mito, Zeus, in veste di cigno inseguito da un'aquila, si rifugiò nel grembo di Nemesi e in seguito all'amplesso Nemesi depose un uovo che Ermes mise tra le cosce di Leda, mentre era seduta su uno sgabello a gambe divaricate. A tempo debito la donna diede alla luce Elena e Zeus immortalò l'immagine del Cigno e dell'Aquila nel cielo a memoria della sua avventura, mentre Leda fu divinizzata in seguito col nome di dea Nemesi.\nSi pensa anche che per probabile assonanza dei nomi, Leda fosse la dea Leto (Latona), che generò Apollo ed Artemide a Delo. Il mito dell'uovo color giacinto ricorda quello dell'uovo rosso pasquale chiamato glain che i Druidi cercavano ogni anno sulla riva del mare. Secondo il mito celtico l'uovo veniva emesso dalla dea nella sua metamorfosi in serpente marino e la leggenda di Leda con l'uovo posto tra le cosce è forse scaturita da una raffigurazione della dea accovacciata su uno sgabello da partoriente ed in procinto di partorire Apollo con la testa del dio che le usciva dal grembo.\n\nInfluenza culturale.\nA Leda è intitolata la Leda Planitia su Venere.\n\nArte.\nPittura.\nLeda e il cigno di Géricault.\nLeda di Leonardo da Vinci.\nLeda e il cigno di Michelangelo.\nLeda col cigno attribuita a Cesare da Sesto, copiata dalla Leda del Da Vinci.\nLeda di Correggio.\nLeda e il cigno di Tintoretto.\nLeda Atomica di Salvador Dalì.\nLeda di Alberto Remo Carlo Lanteri.\nLeda del Ghirlandaio.\nLeda e il cigno di Rubens.\n\nLetteratura.\nLa Leda senza cigno, racconto di Gabriele D'Annunzio.\nLeda and the Swan, poesia di William Butler Yeats.\n\nMusica.\nSwan Upon Leda, canzone di Hozier.\nLeda, canzone di The Angels of Liberty.\n\nTelevisione.\nOrphan Black, serie televisiva in cui si cita il mito di Leda e dei Dioscuri." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Leimone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Leimone era il nome di uno dei figli di Tegeate e di Mera, la figlia di Atlante.\n\nIl mito.\nAveva diversi fratelli: Scefro e Archedio e secondo altre versioni a questo elenco si aggiungevano Cidone, Catreo e Gorti che forse era il figlio di Radamanto).\nDi lui si parla anche in un'altra occasione: quando vide il suo fratello Scefro parlare con il dio Apollo fraintese le sue parole, e pensò che lo stesse calunniando pesantemente. Trovò allora giusto intervenire uccidendolo, in realtà stava parlando serenamente con la divinità. Artemide che si trovava con il fratello vendicò immediatamente la morte del ragazzo uccidendo lo stesso Leimone. La furia della divinità colpì l'intero regno.\nIn ricordo di ciò il popolo dei Tegeati istituì una festa durante la quale una sacerdotessa della dea dava simbolicamente la caccia a un ragazzo proprio per ricordare tale avvenimento.)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lelapo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Lelapo (in greco antico: Λαῖλαψ?, Laîlaps) era un cane tanto veloce che nessuna preda riusciva a sfuggirgli. Questo cane ebbe un lungo elenco di proprietari, tra cui Procri, figlia del Re Eretteo di Atene e moglie di Cefalo. Le fonti divergono su come Procri sia venuta in possesso dell'animale: secondo una versione, il cane le fu dato da Artemide, dea della caccia; secondo un'altra, Lelapo fu il cane dato da Zeus a Europa, dal cui figlio Minosse, re di Creta, passò a Procri. Insieme al cane le fu offerto un giavellotto che non mancava mai il bersaglio; questo si dimostrò un regalo sfortunato, poiché fu con esso che il marito Cefalo l'uccise accidentalmente durante una partita di caccia.\nCefalo ereditò il cane e se lo portò dietro a Tebe (nella Beozia, a nord di Atene) dove una volpe malvagia stava devastando la campagna. La volpe di Teumesso era tanto veloce da apparire destinata a non essere mai catturata. Secondo il mito, tuttavia, il cane da caccia Lelapo era destinato a catturare qualsiasi preda gli capitasse a tiro. Zeus tramutò dunque entrambi in pietre, e sistemò il cane in cielo come il Cane Maggiore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lelego (re di Laconia).\n### Descrizione: Lelego (in greco antico: Λέλεξ?, Lélex) è un personaggio della mitologia greca. Fu un autoctono della Laconia ed il primo re dei Lelegi.\n\nGenealogia.\nPer gli autori più antichi fu un autoctono, ovvero nato dalla terra. Sposò la ninfa naiade Cleocaria o Peridia e fu padre di Milete e Policaone, Bomoloco e Terapne.\nSecondo Stefano di Bisanzio è figlio di Sparto e padre di Amicla.\n\nMitologia.\nFu un eroe della popolazione chiamata lelegi e fu il primo re della Laconia e dopo la sua morte gli abitanti diedero al suo regno il nome di Lelegia. Mileto, il maggiore dei suoi figli, ricevette il regno in successione.\nPer lui era stato eretto un heroon a Sparta." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lemniadi.\n### Descrizione: Le Lemniadi (o donne di Lemno) sono le abitanti dell'isola greca di Lemno. Nel mito greco sono ricordate per aver trascurato gli obblighi cultuali nei confronti di Afrodite e perciò condannate dalla dea ad essere respinte dai mariti.\n\nLa punizione di Afrodite.\nNon è chiaro il motivo per cui Afrodite decide di punire le donne di Lemno. Si ipotizza una dimenticanza, una negligenza o addirittura un disamore nei confronti della dea. La separazione che viene a crearsi tra le Lemniadi e Afrodite, dea dell'amore e custode dei legami matrimoniali, ha come conseguenza l'allontanamento delle Lemniadi da parte dei loro mariti.\nLa dea infatti avrebbe inflitto loro un odore ripugnante non rendendole più desiderabili agli uomini, che presero con sé delle concubine tracie, catturate come schiave nel corso di spedizioni di guerra.\nPer vendetta allora le Lemniadi nel corso di una notte fecero strage dei loro mariti infedeli e dei figli di sesso maschile che avevano avuto da quelli.\n\nLe Lemniadi e gli Argonauti.\nQuando gli Argonauti giungono nell'isola di Lemno, le Lemniadi indossano armi e sono piene di frenesia guerriera, spaventose quanto le Tiadi 'divoratrici di carne cruda.'.\nLentamente tuttavia sembrano voler riacquistare la loro condizione femminile di mogli e madri. Iniziano a cedere alle richieste di un araldo inviato dagli Argonauti e fanno avere agli stranieri vino e cibo, a condizione che non entrino in città.\nIn seguito decidono di dare loro il benvenuto portando sulla spiaggia gli xenia (ξένια), doni che si fanno per salutare gli stranieri. Questi doni dell'ospitalità stabiliscono un vincolo con gli Argonauti.\nInfine, gli Argonauti riescono ad unirsi alle donne di Lemno al termine di giochi e gare, dove i premi sono costituiti da abiti tessuti dalle donne stesse, e in occasione di una festa nella quale i sacrifici più belli vengono offerti in onore di Efesto di Lemno e della sua sposa Afrodite.\n\nApollonio Rodio.\nNella sua versione, Apollonio Rodio sottolinea due particolari che indicano il ritorno delle Lemniadi alla condizione femminile. Innanzitutto, il matrimonio collettivo con gli Argonauti è provocato da Afrodite stessa, per riportare la specie umana a Lemno: si dice infatti che questi matrimoni siano unioni feconde.\nInoltre, mentre la città in festa di riempie di banchetti e danze, Lemno esala un odore gradevole, dove il fumo delle carni sacrificali si mescola al profumo degli aromi bruciati in onore di Afrodite.\nIn questo modo è ristabilita la comunicazione tra la terra di Lemno e gli dei e dall'altro lato il puzzo delle donne è allontanato definitivamente dall'odore profumato che fa rinascere il favore della dea del desiderio amoroso.\n\nEschilo.\nNella versione eschilea gli Argonauti si presentano a Lemno per svernare sull'isola ma le Lemniadi impediscono loro di sbarcare finché non giurano di unirsi a loro.\n\nNozze e guerra.\nLe nozze e la guerra costituiscono i due poli entro cui si sviluppa questo racconto mitico. Nella società antica il matrimonio per la giovane donna e la guerra per il giovane uomo sono le due istituzioni che, come spiega Jean-Pierre Vernant, segnano per l'uno e per l'altra la realizzazione della loro rispettiva natura, uscendo da uno stato nel quale ciascuno partecipa ancora dell'altro.\n\nLa dysosmìa.\nNel mito delle Lemniadi la negazione del matrimonio è espressa in due termini. Da un lato la condizione guerriera delle donne e dall'altro il cattivo odore da loro emanato (dysosmìa).\nQuesto odore infetto verrebbe secondo alcuni dalla bocca delle Lemniadi, secondo altri dal loro sesso.\nUna terza versione lo localizza nelle ascelle, in quella parte del corpo della quale l'autore dei Problemi aristotelici giustifica il cattivo odore con l'assenza di aerazione, che genera una sorta di putrefazione (sepsis).\nNella versione di Mirsilo di Metimna, la responsabile del cattivo odore sarebbe la maga Medea che, passando al largo di Lemno con Giasone, avrebbe gettato in mare dei phàrmaka, forse a base di ruta, considerata una pianta anafrodisiaca.\n\nLa festa di Lemno.\nOgni anno a Lemno le donne sono separate dagli uomini e dai ragazzi, a causa del cattivo odore che diffondono intorno.\nSecondo Mirsilo di Metimna la separazione dura un giorno, ma secondo Antigono di Caristo si prolungherebbe per parecchi giorni.\nChe la dysosmìa delle donne sia provocata dall'ingestione di spicchi d'aglio, come nelle Sciroforie, o che sia una finzione, voluta dalla festa, la distanza rituale tra le donne e gli uomini si inserisce in una cerimonia più vasta, durante la quale tutti i fuochi di Lemno sono spenti per diversi giorni.Alle due sequenze del mito (separazione delle donne dai mariti; rinnovamento della vita con il matrimonio collettivo degli Argonauti) corrispondono i due tempi del rito.\n\nPrima fase: la scomparsa del fuoco, del calore, della cucina e dei sacrifici comporta l'abolizione di ogni vita normale.\nSeconda fase: il ritorno del fuoco puro, portato dalla nave che va a prelevarlo da Delo, comporta la nascita di una nuova vita a Lemno.\n\nL'interpretazione di Marcel Detienne.\nNel celebre studio sulla cultura degli aromi nel mondo antico, Marcel Detienne collega il loro uso alla capacità di unire due termini opposti (l'uomo e la donna) e l'alto e il basso (la terra e il cielo, ovvero le divinità).\nIl puzzo, al contrario, rinvia alla separazione e alla disgiunzione.\n'Lemno potrebbe allora apparire come un mondo marcio dove, secondo uno schema dimostrato da Claude Lévi-Strauss, la mediazione tra la Terra e il Sole non è più assicurata dal fuoco alimentare, che in Grecia si presenta in un primo tempo come fuoco del sacrificio. La separazione tra gli uomini e le donne, contrassegnata dall'odore di putredine, corrisponderebbe così a un'altra separazione, questa volta cosmica, tra il Sole e la Terra.'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Leode.\n### Descrizione: Leode è un personaggio dell'Odissea di Omero.\n\nIl mito.\nLeode, figlio del nobile Enope, era uno dei Proci, giovani e subdoli pretendenti al trono di Itaca, allorché Ulisse, il re, era impegnato nella guerra di Troia: era anche aruspice, dotato di preveggenza. Ulisse, una volta tornato in patria, dovette vedersela coi pretendenti che si erano insediati nella reggia volendo sposare, in sua assenza, la moglie Penelope. Aiutato dal figlio Telemaco e dai servi fedeli dette il via a una grande strage nella sala del palazzo. Quello dei Proci cui Odisseo riservò la sorte peggiore fu proprio Leode che, vista la carneficina, si gettò alle sue ginocchia implorando di essere risparmiato, ma il re di Itaca, sordo alle sue preghiere, raccolse la spada di Agelao (un pretendente ucciso poco prima dall'eroe acheo), e con questa gli tagliò la testa che cadde al suolo mentre ancora parlava." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Leodoco.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Leodoco (o Leodico) era il nome di uno dei figli di Biante e di Però.\n\nNella mitologia.\nSecondo Apollonio Rodio, quando Giasone, un eroe greco, chiamò a raccolta tutti gli uomini valorosi per unirsi a lui nella spedizione per la raccolta del vello d'oro Leodoco fu uno dei tanti che rispose all'appello, anche se durante il viaggio non si distinse per le sue imprese.\nLeodoco aveva due fratelli chiamati Talao e Areo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Leone di Nemea.\n### Descrizione: Leone di Nemea (in greco antico: Νεμέος λέων?, Neméos léōn) o Leone Nemeo, è una creatura della mitologia greca.\n\nAspetto.\nIl mito parla di un enorme leone che tormentava la popolazione di Nemea la cui pelliccia era impenetrabile dalle armi, poiché non poteva essere ferita da ferro, bronzo o dalla pietra ed era necessaria la sola forza della mano umana per la sua sottomissione.\n\nGenealogia.\nSecondo Esiodo era figlio di Ortro e Chimera oppure, secondo Apollodoro era figlio di Tifone, mentre Igino invece, scrive che sia figlio di Selene.\nPer Esiodo anche la Sfinge sarebbe nata dai suoi stessi genitori (Ortro e Chimera) e i due sarebbero così fratelli.\n\nMitologia.\nIl leone apparteneva ad Era che lo aveva cresciuto sulle colline attorno alla città di Nemea e luogo dove terrorizzava ed assaliva la gente.\nFu cacciato ed ucciso da Eracle che, giunto nei pressi della sua dimora, cercò invano di trafiggerlo usando arco e frecce ma, avendo la pelliccia invulnerabile ne fu protetto e non subì ferite. Da Eracle fu poi aggredito a colpi di clava e per difendersi fuggì in una caverna con due uscite, che fu però bloccata dall'avversario che poi continuò ad assalirlo entrando dall'altra parte. Intrappolato, fu poi raggiunto e cinto al collo con un braccio per essere soffocato fino alla morte. Eracle poi se lo caricò sulle spalle e lo portò a Cleone.\nIn seguito Eracle scuoiò il leone ed utilizzò per se stesso la pelliccia, ottenendo una difesa invincibile contro i nuovi pericoli che avrebbe affrontato.\nIl leone Nemeo fu posto da Zeus tra i segni dello zodiaco, dove formò la costellazione del leone.\nIgino aggiunge che già a quei tempi si pensava che il leone fosse il re degli animali e che per questo motivo sia stato messo tra le stelle.\n\nAltre versioni.\nAlcuni dicono anche che l'accaduto del leone sia successo a Caudium nel Sannio caudino, odierna Montesarchio, in una delle grotte del Taburno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Leonteo.\n### Descrizione: Leonteo (in greco antico: Λεοντεύς?, Leontéus) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re dei Lapiti e partecipò alla guerra di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Corono, fu il padre di Issione.\n\nMitologia.\nFu uno dei pretendenti di Elena e partecipò alla guerra di Troia (assieme a Polipete) con quaranta navi.\nDurante la guerra uccise Antifate, Menone, Iameno, Oreste e ferì Ippomaco. Partecipò ai giochi funebri organizzati in onore di Patroclo, dove sfidò il suo amico e altri valorosi combattenti in una gara di lancio del peso.\n\n(Omero, Iliade, XII, vv.188-89, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti).\nDopo la guerra non fece ritorno in patria ma si spostò a Colofone e secondo Aristotele mori nella terra dei Medi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Leontofono.\n### Descrizione: Leontofono (in greco antico: Λεοντοφόνος, 'uccisore di leoni') è una figura della mitologia greca, figlio di Ulisse e della bella figlia di Toante, re d'Etolia nonché compagno di Odisseo durante la guerra di Troia.\n\nIl mito.\nDopo l'uccisione dei pretendenti, Odisseo fu condannato da Neottolemo, figlio di Achille, nominato giudice per dirimere la questione. Odisseo acconsentì ad accettare il verdetto e Neottolemo stabilì che egli lasciasse l'isola e che gli eredi dei pretendenti versassero a Telemaco, sostituto del padre in qualità di re, un adeguato compenso per i danni subiti. Odisseo si recò in Etolia presso il re Toante, ne sposò la figlia (o la sedusse non rispettando le regole della Xenia) e con lei generò Leontofono.\n\nPareri secondari.\nNella Telegonia si afferma che Odisseo avesse passato gli anni d'esilio non solo in Etolia, bensì anche in Tesprozia, dove sposò la regina Callidice e da lei ebbe un figlio chiamato Polipete." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Les Troyens.\n### Descrizione: Les Troyens (I Troiani) è un'opera in cinque atti di Hector Berlioz su libretto dello stesso compositore, ispirato all'Eneide di Virgilio.\n\nOpera.\nIl fiasco del Benvenuto Cellini nel 1838 indusse Berlioz a ricercare altre forme di espressione musicale diverse dall'opera lirica. Occorrerà pertanto attendere circa vent'anni per la composizione di una nuova opera, incoraggiato dalla compagna di Franz Liszt, principessa Carolyne von Sayn-Wittgenstein, a cui poi Berlioz dedicò il suo nuovo lavoro.\nComposta fra il 1856 ed il 1858, Les Troyens incontrò grandi difficoltà ad essere messa in scena. L'opera dovette essere scissa in due opere più brevi, La Prise de Troie, della durata di un'ora e mezza e Les Troyens à Carthage, di due ore e mezza. Berlioz riuscì a vedere soltanto la rappresentazione della seconda parte, rappresentata al Théâtre Lyrique di Parigi il 4 novembre 1863. La prima parte venne eseguita in forma di concerto nel 1879.\nL'opera integrale, pressoché completa, venne data per la prima volta al Großherzoglichen Hoftheater di Karlsruhe il 6 e 7 dicembre 1890 alla presenza di André Messager. Le ragioni della mancata rappresentazione dell'opera completa furono la lunghezza (quattro ore, durata raggiunta peraltro da alcune opere di Wagner) e la profusione di mezzi scenici richiesti per l'allestimento - fra cui il famoso cavallo - , oltre alle grandi masse orchestrali e corali. Al momento delle prove precedenti la prima, l'originalità delle partitura sconcertò gli interpreti a tal punto che il direttore del teatro, Carvalho, fu costretto a concedere più tempo per familiarizzare con essa. L'opera Les Troyens à Carthage non fu un insuccesso; anzi, fu giudicata in modo molto positivo da Clément e Larousse nel Dictionnaire des opéras del 1905, alla voce « Les Troyens » (la dicitura non è precisa, perché è considerata solo la seconda parte dell'opera, quella cartaginese).\nLa prima parigina venne data soltanto nel 1921, ma in una versione abbreviata. La prima vera esecuzione integrale, in una sola serata, venne data nel 1957 al Covent Garden a Londra. Essa fu seguita da una incisione discografica nel 1969 diretta da Colin Davis, edizione di riferimento ancora oggi (anche se la versione più completa di Charles Dutoit è del 1994, integrando il preludio di Troyens à Carthage all'inizio del terzo atto).\n\nPersonaggi.\nIl ruolo della protagonista, negli atti I e II, è quello di Cassandra e negli atti III, IV e V, quello di Didone. Spesso i due ruoli vengono interpretati dalla stessa cantante. È stato il caso di Régine Crespin della quale rimane una registrazione di arie del 1965 sotto la direzione di Georges Prêtre. Il quinto atto è detto l'atto di Didone, realizzato in tre quadri, comprende il monologo Ah, ah, je vais mourir e l'aria Adieu, fière cité alla fine del secondo quadro. La morte di Didone e le sue invettive contro Roma sono fra le pagine più celebri dell'opera.\nIl ruolo del protagonista è quello di Enea, il cui pezzo d'ingresso, (Du peuple et des soldats), è uno dei più spettacolari dell'opera: il tenore arriva correndo e narra la morte di Laocoonte cantando una frase dalla tessitura molto complessa e difficile. Il suo duetto con Didone del IV atto, (Nuit d'ivresse et d'extase infinie), è stato il pezzo più acclamato, sin dalla prima rappresentazione.\nI personaggi di Ettore e Andromaca appaiono entrambi in maniera non tradizionale. Andromaca appare con il figlio Astianatte nel primo atto, in una pantomima durante il canto del coro. Ettore, invece, appare sotto forma di uno spettro nel primo quadro del II atto; egli invita Enea a partire da Troia ed a fondare Roma (Ah !… fuis, fils de Vénus).\n\nCast della prima assoluta.\nTrama.\nLa prise de Troie.\nAtto 1.\nIl popolo troiano finalmente esce dalle mura della città, per la prima volta dopo dieci anni di guerra, esultando per la scomparsa della flotta greca (Coro: Ha! Ha! Après dix ans) e si dirige ad osservare l'enorme cavallo di legno che i Greci hanno lasciato sulla piana ormai deserta. La sola Cassandra, la profetessa mai creduta, è inquietata da un sinistro presagio, ed è l'unica a sospettare che il cavallo di legno sia in realtà un tranello (Aria: Malheureux Roi!). Invano la donna cerca di convincere l'amato Corebo a lasciare la città: l'uomo decide di rimanere accanto alla donna che ama (Duetto: Reviens à toi).\nMentre sfila in processione la famiglia regale, Enea porta la notizia di un terribile prodigio: il sacerdote Laocoonte, nutrendo gli stessi dubbi di Cassandra, ha cercato di distruggere il cavallo di legno lanciandogli contro un giavellotto ed esortando il popolo a distruggere l'idolo, ma due serpenti giganteschi, sorti dal mare, l'avevano stritolato e divorato (Ottetto: Châtiment effroyable!). Priamo, per implorare il perdono di Pallade Atena, divinità a cui è dedicato il cavallo, ordina di portare il colosso nella città, le cui mura sono state già aperte per favorirne l'ingresso. L'atto si chiude con la sconvolta Cassandra che, in preda all'orrore, assiste alla gioiosa processione e all'ingresso del cavallo nella città (Marcia: Du roi des dieux).\n\nAtto 2.\nIl sonno di Enea è turbato da presagi funesti: in sogno gli appare l'ombra di Ettore, che gli ordina di partire per l'Italia per rifondare una nuova Troia (Recitativo: Fuis, fils de Venus!). L'amico Panteo e Corebo esortano Enea e il figlio Ascanio ad unirsi alla resistenza, dato che il saccheggio è già iniziato. La scena si sposta dentro il palazzo di Priamo, dove le donne stanno implorando la salvezza della città presso l'altare di Cibele. Cassandra, ascoltata troppo tardi, annuncia di voler morire, ora che Corebo è stato ucciso nella battaglia: la maggior parte delle donne prende la sua decisione, e le titubanti vengono cacciate in malo modo. All'ingresso dei soldati greci, Cassandra si uccide, seguita dalle sue compagne, e spira gridando 'Salva i nostri figli, Enea! Italia, Italia!'.\n\nLes Troyens à Carthage.\nAtto 3 (1).\nIl popolo cartaginese inneggia alla loro regina Didone, che, in poco tempo, ha fondato un regno già prospero e solido. La regina è però ancora velata dalla malinconia, e la sorella Anna, scherzando, la esorta ad innamorarsi di nuovo e a prendere marito: ma Didone, il cui primo sposo Sicheo era stato ucciso dal fratello, ha giurato di non volere più amare (Duetto: Sa voix fait naître). Il poeta di corte Iopa annuncia l'arrivo della flotta troiana e la suppliche degli esuli, che vengono accolti di buon grado da Didone: improvvisamente, Narbal, consigliere di corte, annuncia che Iarba, Re dei Numidi e pretendente disprezzato dalla regina, sta attaccando i campi cartaginesi. Enea si rivela allora alla regina, offrendosi di aiutarla a sconfiggere il nemico per ringraziarla dell'ospitalità. Didone accetta l'alleanza, ed Enea parte ad aiutare i cartaginesi con i suoi (Finale: C'est le Dieu Mars).\n\nAtto 4 (2).\nNarbal si lamenta con Anna delle distrazioni di Didone, da troppo tempo intenta, anziché alle cure del regno, a spettacoli, danze e banchetti: Anna rimprovera il serioso consigliere, rallegrandosi per la felicità che la sorella sta ritrovando accanto ad Enea (Duetto: De quels revers menaces-tu Carthage). La regina, innamorata di Enea, trova consolazione solo nei racconti di guerra dell'esule troiano (Quintetto: Voyez, Narbal, la main légère). I due amanti si concedono una nuova notte d'amore (Duetto: Nuit d'ivresse), funestata dall'improvvisa voce del dio Mercurio, che per tre volte grida 'Italia!' indicando a Enea il mare.\n\nAtto 5 (3).\nPanteo raduna i troiani, esortandoli a prepararsi: Enea è continuamente turbato dalle ombre di Ettore, Priamo, Cassandra e Corebo che gli ingiungono di partire senza più indugi. La partenza viene funestata dall'arrivo di Didone, furente, che pretende spiegazioni: Enea, abbattuto, le ricorda l'ordine divino, ma la regina non sente ragioni e maledice lo spergiuro, che sale sulla nave (Duetto: Errante sur tes pas).Didone, calmatasi, implora la sorella di correre alle navi per chiedere un ultimo colloquio con Enea, ma Iopa e il coro annunciano l'improvvisa partenza della flotta troiana. La regina, in preda al furore, dapprima esorta i cartaginesi a inseguire il traditore, ma poi, resasi conto del suo delirio, comunica a tutti la sua decisione di offrire alle divinita dell'Ade i pegni d'amore lasciati da Enea, per purgare l'anima da un amore così fatale. Rimasta sola, Didone progetta il suicidio e dà l'addio alla città (Aria: Adieu, fière cité).I sacerdoti di Plutone sono pronti al rito; Anna e Narbal precedono l'arrivo della regina invocando una maledizione su Enea e i Troiani. Didone arriva, esaminando per l'ultima volta i regali di Enea, così cari, ma ora così funesti, e, impugnata la sua spada, si trafigge a morte. Il popolo è sconvolto e maledice la razza di Enea, ma la regina, in preda al delirio, vede il trionfo della nuova città fondata da Enea, e spira (Imprecazione: Haine éternelle à la race d'Énée!).\n\nStruttura musicale.\nLa seguente ripartizione musicale è basata sulla traduzione in italiano del libretto.\n\nAtto I.\nN. 1 - Introduzione Ha! Ha! Dopo dieci anni (Coro, Soldato).\nN. 2 - Recitativo ed Aria di Cassandra I Greci sono scomparsi!... - Sventurato sovrano!.\nN. 3 - Duetto fra Corebo e Cassandra Torna in te, vergine adorata!.\nN. 4 - Marcia ed Inno Dei protettori della città eterna (Coro).\nN. 5 - Combattimento col cesto.\nN. 6 - Pantomima Andromaca e suo figlio! (Coro).\nN. 7 - Narrazione di Enea O re! La folla del popolo.\nN. 8 - Ottetto con doppio coro Castigo tremendo! (Enea, Sinone, Corebo, Priamo, Panteo, Ascanio, Ecuba, Coro, Cassandra).\nN. 9 - Recitativo e Coro La dea ci protegga - Fate corteggio a questo oggetto sacro (Enea, Priamo, Sinone, Corebo, Priamo, Panteo, Ascanio, Ecuba, Coro).\nN. 10 - Aria di Cassandra Oh ricordo crudele!.\nN. 11 - Finale I: Marcia Troiana O amata figlia del re degli dei (Coro, Cassandra).\n\nAtto II.\nN. 12 - Scena e Recitativo O luce di Troia!... - Ah!... Fuggi, figlio di Venere! (Enea, Spettro di Ettore).\nN. 13 - Recitativo e Coro Che speranza ci è ancora permessa, Panteo? - La salvezza dei vinti (Coro, Enea, Panteo, Ascanio).\nN. 14 - Coro delle Troiane Ah! Possente Cibele.\nN. 15 - Recitativo e Coro Non tutti moriranno - Eroina d'amore (Cassandra, Coro).\nN. 16 - Finale II Complici della sua gloria (Coro, Cassandra, Capo).\n\nAtto III.\nN. 17 - Coro I cieli di Cartagine.\nN. 18 - Canto nazionale Gloria a Didone.\nN. 19 - Recitativo ed Aria di Dione Abbiamo visto passare sette anni appena - Già da lontane sponde (Didone, Coro).\nN. 20 - Entrata dei costruttori.\nN. 21 - Entrata dei marinai.\nN. 22 - Entrata dei contadini.\nN. 23 - Recitativo e Coro Popolo! tutti gli onori - Gloria a Didone (Coro, Anna, Narbal).\nN. 24 - Recitativo e Duetto fra Didone ed Anna I gioiosi canti - La sua voce fa nascere nel mio seno.\nN. 25 - Recitativo ed Aria di Didone Sfuggiti a gran fatica - Errando sui mari.\nN. 26 - Marcia Troiana.\nN. 27 - Finale III Quasi non oso annunciare (Narbal, Didone, Coro, Enea, Panteo, Iopa, Ascanio, Anna).\n\nAtto IV.\nN. 28 - Caccia reale e tempesta (Pantomima).\nN. 29 - Duetto fra Narbal ed Anna Di quali disgrazie minacci Cartagine.\nN. 30 - Marcia per l'entrata della regina.\nN. 31 - Balletti Amaluéè (Coro).\nN. 32 - Scena e Canto di Iopa Basta, sorella mia - O bionda Cerere.\nN. 33 - Recitativo e Quintetto Perdona, Iopa, perfino la tua voce - Andromaca sposare (Didone, Enea, Anna, Iopa, Narbal).\nN. 34 - Recitativo e Settimino Ma cacciamo questi tristi ricordi - Tutto è pace e incanto intorno a noi! (Enea, Didone, Anna, Iopa, Narbal, Ascanio, Panteo, Coro).\nN. 35 - Duetto fra Enea e Didone Notte d'ebrezza.\n\nAtto V.\nN. 36 - Canzone di Ila Vallata sonora (Ila, Soldati).\nN. 37 - Recitativo e Coro Preparate tutto - Ogni giorno vede accrescersi (Panteo, Coro, Ombre).\nN. 38 - Duetto fra i due soldati Per Bacco!.\nN. 39 - Recitativo a tempo ed Aria di Enea Inutili rimpianti!... - Ah! Quando verrà.\nN. 40 - Scena delle Ombre Enea!... (Ombre, Enea, Spettro di Priamo, Spettro di Corebo, Spettro di Ettore, Spettro di Cassandra).\nN. 41 - Scena e Coro In piedi, Troiani, destatevi, all'erta! - Cogliamo l'occasione propizia (Enea, Coro).\nN. 42 - Duetto fra Didone ed Enea Errando sui tuoi passi.\nN. 43a - Monologo di Didone Morirò... sommersa nel mio dolore immenso.\nN. 43b - Aria di Didone Addio, fiera città.\nN. 44 - Cerimonia Funebre Dei dell'oblio (Coro, Anna, Narbal).\nN. 45 - Coro Ah! Soccorso! (Anna, Narbal, Coro, Didone).\nN. 46 - Imprecazione Odio eterno alla razza di Enea! (Coro).\n\nDiscografia parziale.\nRegistrazioni video." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lete (fiume dell'oblio).\n### Descrizione: Il Lete è il fiume dell'oblio della mitologia greca e romana. Era originariamente il nome della figlia della dea Eris.\n\nIl Lete (o Amelete) da Platone a Virgilio.\nIl fiume è presente nel X libro della Repubblica di Platone, dove viene narrato il mito di Er, disceso nell'oltretomba per conoscere i misteri della reincarnazione delle anime.\nNei frammenti degli orfici troviamo la raccomandazione, agli iniziati che sono giunti nell'aldilà e si apprestano a entrare in una nuova vita, di bere poco l'acqua per ricordare, chi beve troppo ha l'oblio, cercando di far tesoro del proprio passato per conseguire un superiore livello di saggezza.\nL'opera latina più famosa che ne parla è l'Eneide di Virgilio, nel VI libro, e le anime dei Campi Elisi vi si tuffano quando devono reincarnarsi dimenticando le vite passate, secondo la concezione pitagorica della metempsicosi. Le anime che per fato devono cercare un altro corpo, bevono sicure acque e lunghe dimenticanze sull'onda del fiume Lete (En., VI 714-715).\n\nIl Lete nella letteratura medievale e moderna.\nIl Lete è citato da Dante Alighieri nel Purgatorio: Dante immagina che in questo fiume, situato nel paradiso terrestre, sul monte del Purgatorio, si lavino le anime purificate prima di salire in Paradiso, per dimenticare le loro colpe terrene. Dante lo chiama però Letè, per la sua difficoltà nel riconoscere gli accenti nei nomi di derivazione greca. Accanto al Letè scorre il fiume del ricordo delle cose buone del proprio passato, l'Eunoè; i due fiumi potrebbero essere ricollegati ad antiche fonti di un sito oracolare della Beozia, dove scorrevano appunto Lete e Mnemosine, e dove bevevano i pellegrini.\nSul mito di due fonti di segno opposto sarebbero nati molti episodi di opere letterarie nelle letterature europee moderne, soprattutto nel Quattrocento.\nIl Lete ha un ruolo importante all'interno della tragedia goethiana del Faust, e ricorre spesso anche in poesie di Baudelaire.\nLudovico Ariosto, nel suo Orlando Furioso, ne parla.\n\nEtimologia.\nIl toponimo del mitologico fiume Lete, ἡ Λήθη, il fiume dell'oblio, viene da λανθάνω che significa 'sono nascosto': preceduto da un α privativo, indica disvelamento, rivelazione: 'quindi ἀλήθεια è lo stato del non essere nascosto', ed in questo senso è stato oggetto della speculazione filosofica di Martin Heidegger." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Leuce.\n### Descrizione: Leuce (in greco antico: Λεύκη, Lèukē, 'bianca') è un personaggio della mitologia greca.\n\nMito.\nLeuce era una ninfa Oceanina, figlia del Titano Oceano. Fu l'amante di Ade, dio dei morti, prima che questi sposasse Persefone, e visse con lui agli Inferi fino alla morte. Dopo la sua scomparsa, Ade trasformò il suo cadavere in un pioppo bianco, che posizionò nei Campi Elisi, vicino alla Fontana della Memoria.\nQuando l'eroe Eracle visitò gli Inferi durante una delle sue dodici fatiche, s'incoronò con un diadema fatto proprio con le foglie di quest'albero.\n\nSignificato.\nIl pioppo bianco è caratterizzato da foglie bicolori, verdi da un lato e bianche dall'altro.\nSecondo Servio, ciò rappresentava la dualità terrena-ctonia, motivo per cui Eracle, che trionfò sia nel mondo dei vivi che in quello dei morti, lo scelse come simbolo. In seguito, Eracle fu reso il patrono dei giochi olimpici, e in suo onore il pioppo venne usato nelle corone dei vincitori.\nIl pioppo era anche usato nei riti dionisiaci, in onore della doppia natura di Dioniso-Zagreo, e nei riti in onore di Zeus a Elide, in onore del suo aspetto di Zeus Ctonio. Era anche un elemento tipico dei riti funebri.\nRobert Graves, nelle sue ricostruzioni della natura allegorica dei riti, suggerisce una sincretizzazione fra Leuce e Persefone, essendo il pioppo bianco sacro anche a quest'ultima, e definisce il pioppo come uno dei tre alberi della rigenerazione, insieme all'ontano e al cipresso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Leucippo (figlio di Lampro).\n### Descrizione: Leucippo (in greco antico: Λεύκιππος?, Léukippos) è un personaggio della mitologia greca. Figlia di Galatea e Lampro, a sua volta figlio del nobile Pandione, Leucippo fu cresciuta come un ragazzo dalla madre per salvarla dalle ire del padre e successivamente fu trasformata in un uomo dalla dea Latona.\n\nMitologia.\nQuando Galatea rimase incinta, il marito Lampro pregò gli dei di concedergli un figlio maschio ed ordinò alla moglie di disfarsi nel neonato nel caso fosse femmina. Mentre il marito era al pascolo, Galatea partorì una bambina e, mossa a compassione e spinta da presagi divini, decise di far credere al marito di aver dato alla luce un maschio e per questo diede alla bambina il nome di Leucippo. Giunta la pubertà, Leucippo acquisì grande bellezza e le sue nuove forme tradivano il suo vero sesso, mettendola dunque in pericolo di vita.\nLa madre Galatea si recò al tempio di Latona e pregò la dea di trasformare la figlia in un maschio. Citando illustri precedenti come quelli di Tiresia, trasformato da uomo a donna e poi di nuovamente in uomo, oppure quello della fanciulla Cenide, mutatasi nel virile Ceneo il Lapite, Galatea riuscì a persuadere la dea, che mutò quindi il sesso di Leucippo da femminile a maschile.\n\nCulto a Creta.\nPer celebrare la trasformazione miracolosa, gli abitanti di Festo diedero a Latona l'epiteto di Fitia (dal greco φύω, 'far crescere'), perché aveva fatto crescere il pene a Leucippo. Stando ad Antonino Liberale, i cretesi stabilirono la festa della Ecdysia (da ἑκδύω, 'spogliare'), perché la fanciulla Leucippo si spogliò del peplo per diventare un uomo a tutti gli effetti. Per le donne cretesi divenne quindi una consuetudine sdraiarsi accanto alla statua di Leucippo prima delle nozze." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Leucosia (mitologia).\n### Descrizione: Leucosia (in greco antico: Λευκωσία?) è una sirena e una figura della mitologia greca e romana.\n\nIl mito.\nSecondo il mito greco, Leucosia era il nome di una delle tre ancelle della dea Persefone, con la quale vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia).\nLeucosia e le sue sorelle rappresentavano una vera e propria minaccia per i marinai. Annidate sugli scogli, con la dolcezza del loro canto ammaliavano i naviganti che costeggiavano le sponde del Tirreno, dal Circeo a Scilla; i naviganti perdevano il controllo delle navi e facevano naufragio, finendo per essere divorati.\nNella tradizione figurativa e in quella letteraria, le sirene sono generalmente tre: Partenope (‘quella che sembra una vergine’), Leucosia (‘quella che ha candide membra’) e Ligea (‘la melodiosa dalla voce incantevole’). Esse sarebbero state mutate in uccelli da Demetra per punirle di non aver aiutato la loro compagna di giochi Persefone (figlia di Zeus e Demetra), quando Ade (il dio degli inferi) la rapì mentre insieme a loro stava cogliendo fiori, trascinandola nell’Averno.\nIl poeta ellenistico Licofrone, nel suo enigmatico poema Alessandra, è il primo a raccontare la storia della sirena Leucosia e delle sue sorelle. Secondo Licofrone esse operano insieme ma quando Odisseo rifiuta di fermarsi al loro canto le costringe al suicidio. Si gettano in mare dall'alto di una rupe e il mare conduce i loro corpi in luoghi diversi.\n\nLeucosia e Punta Licosa.\nIl corpo di Leucosia emerse nelle acque del golfo di Poseidonia (Paestum) da cui il nome di Leucosia dato a un'isoletta presso quella città, Punta Licosa.\nA Castellabate, dove Leucosia si arenò, ogni anno si tengono i 'Concerti sull'acqua' dedicati alla sirena.\nLe manifestazioni musicali si svolgono dinanzi all'isolotto di Licosa (punta estrema del golfo di Salerno nel comune di Castellabate) con la partecipazione di un complesso di musica sinfonica.\nIn quell'area la memoria della Sirena Leucosia è avvertita sin dall'epoca greco-romana, ed è testimoniato anche da una delle quattro porte di Paestum chiamata Porta Serena ed aperta ad Oriente.'Sul promontorio Enipeo, scagliata con violenza, Leucosia occuperà per molto tempo lo scoglio col suo nome,.\ndove il rapido Is ed il vicino Lari versano le loro acque'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Leucotea.\n### Descrizione: Leucotea (in greco antico: Λευκοθέα?, Leukothéā) e letteralmente 'dea bianca', da intendersi forse come ''la dea che scorre sulla schiuma del mare' è un personaggio della mitologia greca ed è una divinità del mare.\nNella mitologia romana viene identificata con la dea Mater Matuta.\n\nGenealogia.\nLa dea Leucotea non è stata generata e non ha avuto sposo facendola originare direttamente da Ponto, il mare primordiale, in altre versioni è una mortale divinizzata o una ninfa.\n\nMitologia.\nDi Leucotea, la 'dea marina bianca' ed a volte invocata dai marinai in difficoltà, si ha l'esempio più esplicito nell'Odissea quando Omero scrive che emerge dal mare e dona un velo ad Odisseo, quasi naufrago ed in balia dei venti mentre, a riguardo della sua adorazione terrena, ne esiste traccia tra gli scritti di Alcmane che, nel settimo secolo a.C., scriveva dell'esistenza di un santuario a lei dedicato.\nSe si considera che la tradizione mitologica dei greci è sempre stata quella di attribuire ad ogni personaggio divino un'ascendenza immortale, la figura di Leucotea rappresenta un'eccezione poiché nei suoi riguardi non esiste alcuna testimonianza che confermi questa consuetudine ed invece sono molte le opere (o leggende) che le attribuiscono un'origine umana.\n\nLe origini mortali.\nTra le due versioni che fanno risalire Leucotea ad una precedente donna mortale, la più diffusa porta ad Ino che, nel riassunto dei suoi svariati miti, commise (o assistette a) un crimine verso i suoi figli ed in seguito si gettò nel mare.\nIno fu poi tramutata in Leucotea per volere degli dei.\nDiversamente dal numero di autori che scrivono di Ino, uno solo (Diodoro Siculo, che tra l'altro non scrive di Ino), racconta di una ninfa di nome Alia che si gettò nel mare per la vergogna della violenza subita dai suoi stessi figli.\nAnche Alia prese in seguito il nome di Leucotea.\nNella consuetudine delle diverse leggende il contatto del corpo mortale con il mare trasforma la protagonista in una Dea.\n\nApoteosi del personaggio.\nDopo che si gettò in mare, Leucotea fu trasportata da un delfino fino alle spiagge di Corinto dove il re locale (Sisifo) istituì i Giochi Istmici e delle celebrazioni annuali in suo onore.\nNella vicina Megaride la tradizione invece dice che furono le onde a portarne il corpo a riva e che fu trovato e seppellito da due donne vergini.\nA Rodi, l'isola di cui scrive Diodoro Siculo, divenne dea dopo essersi gettata in mare.\nIl latino Cicerone asserisce che è da ritenersi divina come Leucotea in Grecia ed a Roma con il nome di Matuta.\n\nIl Vortice di Alba Domna.\nIl mito di Leucotea è stato da alcuni legato all'Alto Ionio Cosentino, in Calabria, e più precisamente all'area costiera prospiciente la Torre di Albidona. Secondo la leggenda, è qui che dimora la dea, la quale di tanto in tanto si affaccia in superficie, generando un grande vortice, che alcune antiche carte geografiche indicano come Vortice di Alba Domna o di Albidona.\nLeucotea, infatti, in greco significa proprio 'dea bianca'. Da qui si può presupporre anche l'etimologia del toponimo Albidona, derivante proprio dal latino alba domna (cioè 'signora bianca'), derivante a sua volta da Λευκοθέαā (cioè 'dea bianca').\nLo stesso vortice, secondo quanto narra lo storico Eliano, sarebbe stato responsabile dell'affondamento di 300 navi della flotta inviata nel 377 a.C. da Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, per sconfiggere la città di Thurii.A qualche miglio dalla battigia albidonese (nei pressi della Secca o Banco di Amendolara), invece, la leggende vuole invece collocata l'omerica isola di Ogigia, dove Ulisse, di ritorno verso Itaca, incontra la dea Calipso.\n\nCulto di Leucotea.\nIl culto, i templi ed i monumenti dedicati a Leucotea, si estendeva dalla Grecia continentale, alle isole egee, alle coste del Mar Nero e fino all'Etruria.\nLa più antica attestazione giunta a noi del culto di Leucotea e risalente al III secolo a.C. è una stele in marmo rinvenuta a Larissa oggi conservata all'Archaeological and Byzantine Myseum of Larissa di Volos.\nNella mitologia romana viene identificata con la dea Mater Matuta, ed Leucotea si ricollega Ovidio, per spiegare l'usanza romana di portare in braccio al tempio di Mater Matuta in occasione della festività dei Matralia, non i propri figli ma quelli dei fratelli.\n\nAutori contemporanei.\nLeucotea viene citata più volte nell'opera Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese e in uno dei Cantos di Ezra Pound." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Libetra.\n### Descrizione: Libetra (in greco antico: Λείβηθρα o Λίβηθρα?), a volte chiamata Libetria, era un'antica città della Macedonia nella regione storica della Pieria.\nSecondo la mitologia a Libetra le Muse seppellirono Orfeo.\n\nGeografia.\nIl sito in cui sorgeva la città è stato trovato ai piedi dell'Olimpo, nei pressi della attuale città di Leptokarya. Nel sito sono state ritrovate anche delle tombe risalenti all'età del bronzo (tardo elladico III B-C). Poco distante è stata scoperta una strada lastricata che sale verso il Monte Olimpo. La città fu probabilmente distrutta verso la fine del II secolo a.C. da un terremoto e/o da un'inondazione dei fiumi che scendono dall'Olimpo, e da allora abbandonata." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Libri sibillini.\n### Descrizione: I Libri sibillini erano una raccolta di responsi oracolari scritti in lingua greca e conservati nel tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio, poi trasferiti da Augusto nel Tempio di Apollo Palatino.\n\nReligione romana.\nLa storia della religione romana tramanda di come la Sibilla Cumana (secondo altre fonti la Sibilla Eritrea) avesse offerto libri, che erano in numero di nove, al re romano Tarquinio il Superbo, il quale però considerò il prezzo di questi ultimi troppo esoso. La Sibilla allora bruciò tre di questi libri e offrì di nuovo i sei rimasti al re. Il re Tarquinio rifiutò ancora, quindi la sibilla ne bruciò altri tre. Riformulò quindi la proposta a Tarquinio, che questa volta accettò, però al prezzo iniziale dei nove volumi :.\n\nI libri sibillini furono quindi affidati alla custodia di due membri patrizi (duumviri sacris faciundis), che in seguito furono aumentati fino ad un numero di quindici, comprendendo fra essi anche cinque rappresentanti del popolo. Il loro ruolo consisteva nel consultare gli oracoli su richiesta del Senato (i lectisternia), per evitare di contrariare gli dèi con nuove imprese. I libri venivano conservati in una camera scavata sotto il tempio di Giove Capitolino.\nI libri bruciarono in un incendio nell'83 a.C. e si tentò di ricostruirli cercandone i testi presso altri templi e santuari. Queste nuove raccolte furono ricollocate nel tempio di Apollo Palatino grazie all'interessamento dell'imperatore Augusto.\n\nRimasero presso il tempio di Apollo Palatino fino al V secolo, dopo di che se ne persero le tracce. Rutilio Namaziano nel suo poema De Reditu suo accusa aspramente il generale Stilicone di averli bruciati nel 408." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lica.\n### Descrizione: Lica (in greco Λίχας?) era il nome di uno degli araldi di Eracle nella mitologia greca.\n\nIl mito.\nEracle inviò il suo giovane araldo Lica a Eraclea Trachinia affinché recuperasse una veste prodigiosa. Ebbe da Deianira la veste intrisa dal sangue di Nesso, la donna in realtà pensava ad essa come un potente filtro d'amore, come le aveva raccontato lo stesso Nesso morente, ma si trattava invece di un veleno molto potente. Se ne accorse in ritardo, osservando la fine di una sola goccia caduta a terra, non riuscendo poi ad avvertire in tempo il suo amato del pericolo imminente.L'unguento di cui era intrisa la veste era avvelenato con il sangue del mostro Idra di Lerna. Dopo che Eracle ebbe indossato la veste fu travolto da un dolore insopportabile, che l'avrebbe accompagnato poi fino alla morte, e pensò che il giovane Lica lo avesse avvelenato. Così lo prese e lo scagliò giù dal promontorio.Altri invece narravano una diversa fine di Lica, Ovidio ad esempio racconta di come egli venne scagliato nel mare d'Eubea, e da lì venne tramutato in roccia.\nUna leggenda dice che Lica si sia diviso in mille pezzi che hanno creato tutte le isole che si trovano sul mar Egeo.\n\nOmonimia.\nQuesto Lica non va confuso con il giovane latino omonimo citato nel libro X dell'Eneide che prende parte alla guerra contro Enea sbarcato nel Lazio dopo la caduta di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Liceo di Aristotele.\n### Descrizione: Il Liceo (in greco antico: Λύκειον?, Lýkeion) era un luogo dove Aristotele fondò la scuola che fu chiamata Liceo e anche peripatetica.\n\nGeografia ed etimologia.\nSito alle pendici meridionali del Licabetto, ad Atene, era un luogo esteso tanto da essere adatto alle esercitazioni militari. Pericle vi aveva fondato un ginnasio successivamente ampliato da Licurgo. Il nome della località derivava da un santuario dedicato ad Apollo Licio.\nNella mitologia greca 'Licio' era un epiteto attribuito ad Apollo o perché riferito al termine «lupo» (λύκος) o al fatto che il dio appena nato era stato portato in Licia, (Λυκία) o infine perché si voleva indicare la sua caratteristica di divinità solare (dalla radice λευκ-, λυκ- «candore, luce»).\n\nLa scuola.\nIl nome peripatetica della scuola aristotelica deriva dal greco Περίπατος, «la passeggiata» (da περιπατέω «passeggiare», composto di περι «intorno» e πατέω «camminare») cioè quella parte del giardino dove era un colonnato coperto dove il maestro e i suoi discepoli camminavano discutendo.\nSecondo la pedagogista Bianca Spadolini il Liceo, come l'Accademia di Platone, non avrebbe avuto nessuna finalità religiosa e i suoi discepoli erano divisi come in un tiaso tra quelli che erano iniziati e frequentavano la scuola come interni (gli 'esoterici') a cui erano riservate le lezioni più specialistiche e complesse e coloro che partecipavano come discepoli esterni ('essoterici'), uditori a cui era dedicata la parte divulgativa della dottrina.\n\nIl piano di studi probabilmente si basava sull'insegnamento:.\n\ndelle scienze teoretiche dedicate all'osservazione degli enti e del loro divenire (fisica, zoologia, psicologia) e degli enti immobili (metafisica e teologia);.\ndelle scienze pratiche, che dovevano guidare all'azione (etica e politica);.\ndelle scienze poietiche (retorica e poetica).La logica non compariva come scienza, ma come strumento propedeutico allo studio di qualsivoglia scienza.Alla morte di Aristotele, avvenuta nel 322 a.C., Teofrasto gli succedette nella direzione del Liceo. Nel 287 a.C., alla morte di Teofrasto, la direzione fu assunta da Stratone di Lampsaco.\nIl Liceo fu depredato da Filippo V di Macedonia e successivamente da Lucio Silla. Il nome continuò ad essere usato per indicare la scuola peripatetica e in seguito fu riferito a quei luoghi pubblici dove si tenevano dissertazioni letterarie e filosofiche." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Licimnio.\n### Descrizione: Licimnio o Licinnio (in greco antico Λικύμνιος Likýmnios) è un personaggio della mitologia greca, imparentato con Eracle e fratellastro di Alcmena in quanto figlio illegittimo di Elettrione e di Midea.\nUna fonte cita una sua sorella di nome Alco (Ἀλκώ).\nLa sua sposa fu Perimede.\n\nMitologia.\nLicimnio era uno degli zii di Eracle e fu protagonista di una disputa che includeva lui e i suoi fratelli contro i figli di Pterelao. L'oggetto del contendere era il furto di una mandria ad opera dei discendenti di Pterelao. I figli di Elettrione possessori della mandria ingaggiarono feroce battaglia contro i colpevoli e alla fine soltanto Licimnio rimase in vita fra i suoi fratelli.\n\nMorte.\nFu ucciso, quando era anziano, dal nipote Tlepolemo; ma i motivi di quel gesto nei racconti del mito non furono chiariti, anche se secondo fonti minori si trattò di un incidente, perché Licinnio ormai quasi cieco cadde dinanzi a lui quando stava castigando uno schiavo finendo per colpirlo.\n\nDiscendenza.\nLicinnio ebbe i figli Eono, Argeio e Mela che furono i compagni di Eracle." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Licomede.\n### Descrizione: Licomede re di Sciro, noto anche come Licurgo, è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nNella mitologia greca, Licomede era il re di Sciro, isola dell'Egeo. Prima della guerra di Troia, Teti inviò suo figlio Achille, all'epoca adolescente, alla corte di Licomede, perché una profezia aveva decretato che sarebbe morto a Troia. Achille si travestì così in abiti femminili, mescolandosi alle dodici figlie del re, tra cui Deidamia che poi sposò e da cui ebbe un figlio, Neottolemo.\nUlisse e Menelao vennero inviati a Sciro da Agamennone per cercare Achille e farlo imbarcare per la guerra di Troia, riuscendo a identificarlo grazie ad uno stratagemma di Ulisse, che donò alle figlie del re, note per la loro bellezza, dei gioielli ed una spada, dicendo loro di scegliere il dono che preferivano. Mentre le figlie del re scelsero i vari gioielli, Achille prese in mano la spada e in questo modo si smascherò, consentendo ai due inviati di Agamennone di farlo imbarcare per Troia. Neottolemo fu allevato da Licomede fino a che anch'egli andò alla guerra, quando essa era ormai nelle sue fasi finali.In alcune leggende Licomede viene anche indicato come l'uccisore di Teseo: il re di Sciro accolse infatti Teseo, costretto a lasciare Atene dopo che gli era stato usurpato il trono da Menesteo, in realtà Licomede e Menesteo erano amici, e insieme architettarono un piano per eliminare l'eroe, il quale fu spinto giù da Licomede in un dirupo durante una passeggiata sulle montagne." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ligea (mitologia).\n### Descrizione: Ligea (in greco antico: Λιγεία?, Lighèia) è una figura della mitologia greca dal canto ammaliatore, raffigurata con busto di donna e con corpo di uccello con coda e ampie ali; è una sirena che con le sue doti canore e di seduzione attrae e uccide ignari gli uomini, trascinandoli nel mare.\n\nIl mito.\nNella tradizione figurativa e in quella letteraria le sirene sono generalmente tre, si tratta delle sorelle: Partenope, Leucosia e Ligea.\nLa mitologia classica ha fatto costantemente riferimento alle sirene come una sorta di 'muse del mare' dal dolcissimo e ammaliante canto che attirava i naviganti prima nell'oblio della loro patria e dei loro più cari affetti e poi conducendoli alla rovina.\nIl mito venne introdotto sulle coste tirreniche dai coloni greci che vi si stabilirono a partire dall'VIII secolo a.C.\nEsse vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia) ed erano compagne di giochi di Persefone, alla quale stavano insieme anche quando Ade, dio degli Inferi, l'aveva rapita.\nFu Demetra a trasformarle in sirene, come punizione per non aver cercato di impedire il ratto della figlia.\nLa storia della sirena Ligea e delle sue consorelle Partenope e Leucosia è narrata dal poeta ellenistico Licofrone nel poema Alessandra. Nei suoi versi racconta la tragica fine della sirena che si gettò in mare dall'alto di una rupe in seguito al passaggio di una nave uscita indenne dal suo canto ammaliante.\n\nLigea e Terina.\nLe onde del mar Tirreno avrebbero rigettato il corpo di Ligea sulla riva tirrenica della Calabria, presso Lamezia Terme o Terina. Secondo gli studi condotti da Michele Manfredi-Gigliotti (Cfr. bibliografia in calce), Ligea si arenò sulla spiaggia della città di Terina, nei pressi della foce del fiume Ocinaro (oggi denominato Savuto), dove i Terinei eressero, a ricordo dell'avvenimento, un sepolcro. Il luogo degli eventi, secondo Manfredi-Gigliotti, non si identifica con l'odierna Lamezia Terme, bensì con il Piano di Terina ove sorgeva la città magno-greca, in territorio di Nocera Terinese.\nSono moltissimi gli autori antichi che hanno scritto di avere visto, e letto, l'epitaffio sul cenotafio della sirena Ligea, vicino al fiume Savuto (un tempo Ocinaro).Questo epitaffio rinvenuto sulla tomba ( rectius, cenotafio) della sirena Ligea è stato un rompicapo per archeologi, linguisti, storici e studiosi in genere, per circa ottocento anni, sin quando, nel giugno del 2022, il nodo gordiano della decifrazione letterale non è stato sciolto dallo studioso Michele Manfredi-Gigliotti. L’epitaffio, nel suo contenuto letterale, esplicito e non acronimo, è:.\nLigea Qanei Zwsa Dwdekamenos Rw..\nLigea- LIGEA; Qanei-MUORE (con valore di presente storico); Zwsa-VISSUTA (participio passato da zaw-VIVERE); Dwdekamenos-DODICI MESI); Rw=R’-Valore numerico della Rw= CENTO.\nTraduzione definitiva: Ligea muore che visse cento anni (infatti, cento moltiplicato per dodici mesi, dà il risultato di milleduecento mesi, ossia cento anni).\nTerina città della Magna Grecia, eretta dai Crotoniati nel VI secolo a.C., storicamente vide i suoi abitanti dispersi da Annibale nel 203 a.C., e la sua vera e propria fine nel 950 d.C. ad opera dei Saraceni, che la distrussero durante una delle loro incursioni sulle coste calabre.\nSulle splendide monete coniate a Terina, alcune delle quali sono ritenute dei capolavori della numismatica antica, c'è la più antica testimonianza delle acque termali di Caronte. Infatti, sul dritto c'è impresso il dolce profilo di una fanciulla alata mentre riempie un vaso d'acqua ad una sorgente che sgorga dalla testa di un leone, chiara simbologia iconografica di una fonte sacra.\nSi tratta della rappresentazione del simulacro della sirena Ligea (la melodiosa), la cui salma, sospinta dalle onde del Tirreno, fu gettata sulla spiaggia del golfo lametino dove ricevette onorata sepoltura dalle pietose mani dei naviganti e a cui più tardi i terinei elevarono culto religioso.\nLa sirena avrebbe rappresentato la personificazione della città di Terina (che significa ‘la tenera’). La sirena Ligea, raffigurata con un busto di donna con le braccia nude ed il corpo di uccello con coda e ampie ali, compare in varie monete di Terina, seduta su un cippo mentre gioca con una palla, oppure mentre riempie un'anfora con l'acqua che sgorga dalla bocca di un leone.\nInoltre Ligea compare in statue isolate ed in rilievi ad ornamento di tombe, in genere mentre suona la cetra, oppure in vasi dipinti, mosaici, pitture e sarcofagi romani.\nSulle monete di Terina, la figura alata di Ligea è accompagnata da alcuni attributi caratteristici di Afrodite, evidentemente attributi della divinità trasferiti alla sacerdotessa della stessa.\nInfatti su una faccia c'è una fanciulla alata che reca in mano una colomba o una lepre e un ramoscello di mirto, sull'altra faccia una figura muliebre alata, assisa su un poggio e volta a sinistra, che stringe nella mano sinistra un caduceo e con la destra tiene un'anfora appoggiata sulle ginocchia, nella quale cade l'acqua che scorre da una testa di leone (simbolo di una fonte) situata su una muraglia di pietre e ai piedi si vede un cigno nuotante nella fontana.\nLa colomba, la lepre e il ramoscello di mirto sono i simboli di Afrodite attribuiti alle sue alate sacerdotesse (dette ierodule). Alla schiera delle ierodule si possono ascrivere le sirene, ossia le fanciulle che incantavano col fascino della loro voce e dei loro amorosi richiami i naviganti.\n\nIn questi versi il nome di Ligea e quello di Terina appaiono associati e la fonte e l'anfora simboleggiano il fiume Ocinaro (l'attuale Bagni) che attraversa Caronte e che con le sue acque tergeva il sepolcro della sirena.\nDunque, il mito di Ligea, cantato da Licofrone, è legato all'esistenza di Terina, portata alla luce nell'area denominata Jardini di Renda posta a sud di Caronte a poca distanza, interrata dalle piene del Bagni dopo la sua distruzione ad opera di Annibale.Nel 1998 nella Piazzetta S. Domenico, a Nicastro è stata inaugurata una statua, opera dell'artista Dalisi, dedicata alla sirena Ligea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Limós.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Limós (λιμός; Fame) è la raffigurazione della carestia; si tratta della figlia di Eris. Di lei parla Virgilio, indicandola come cattiva consigliera, al fianco di tanti compagne sue pari, un essere mostruoso.\n\nIl mito.\nLa sua dimora viene rivelata da Ovidio: nella Scizia, nella parte più remota e gelata del mondo conosciuto dai Greci e dai Romani. A lei fanno compagnia secondo l'autore Gelo, Brivido e Pallore. La sua pelle è quella di una vecchia, rinsecchita, gli occhi appaiono infossati, i suoi capelli sono ispidi. Una volta operò per volere della dea Cerere, in quell'occasione ai danni di Erisittone: il suo tocco lo portò ad avere una fame che non veniva mai saziata.." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Linceo (figlio di Afareo).\n### Descrizione: Linceo (in greco antico: Λυγκεύς?, Lynkéfs) è un personaggio della mitologia greca. Fu principe di Messene, Argonauta e partecipò alla caccia al cinghiale calidonio.\n\nGenealogia.\nFiglio di Afareo e di Arene.\nNon sono noti nomi di spose o progenie.\n\nMitologia.\nDotato di una vista eccezionale ed in grado di vedere attraverso le cose o sottoterra fu, come il fratello Idas, un Argonauta a bordo della nave Argo e trascorse il viaggio per mare e verso la Colchide facendo la vedetta.\nSempre con il fratello Idas partecipò alla caccia al cinghiale calidonio e fu rivale dei Dioscuri (Castore e Polluce) nella contesa di una mandria e delle promesse spose Febe ed Ileria (dette Leucippidi poiché figlie di Leucippo).\n\nLa rivalità con i Dioscuri.\nLa rivalità con i Dioscuri è raccontata in due versioni diverse:.\nPiù giovane del fratello, di lui Apollodoro scrive che si ritrovò a mangiare un quarto di mucca aiutato da Idas e poi, dopo aver preso (con l'inganno) i capi migliori della mandria precedentemente razziata con i Dioscuri ed essere fuggiti, dovette combattere contro gli stessi Dioscuri furibondi per l'inganno subito da Idas.\nVide Castore nascosto ed in procinto di uccidere il fratello e lo avvisò, e dopo che Idas lo uccise, riuscì a colpire Polluce con un sasso ma questi con la lancia lo trafisse.\nIgino e Teocrito invece, scrivono che Leucippo (loro zio e padre delle Leucippidi), promise le due figlie a lui e ad Idas ma si lasciò tentare dai doni offerti dai Dioscuri ed acconsentì al matrimonio con gli ultimi due.\nCosì, cercando di recuperare le due donne assieme al fratello, prese le armi ed attaccò i due rivali ma fu colpito a morte da Castore e fu seppellito dal fratello.\nDopo la sua morte (e quella successiva del fratello), la loro dinastia si estinse ed il regno del padre passò a Nestore, eccetto ciò che già apparteneva ai figli di Asclepio (Macaone e Podalirio)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lira (strumento musicale).\n### Descrizione: La lira è uno strumento musicale a corde che fa parte della famiglia dei liuti a giogo; è composto da una cassa armonica alla quale sono attaccati due bracci verticali, uniti da una trasversa. Le corde, in numero variabile secondo i modelli, sono tese tra la cassa armonica e la traversa.\n\nMitologia.\nLa lira è uno strumento musicale a corde; secondo la mitologia greca l'inventore della lira fu Hermes. Un giorno il dio trovò all'interno della grotta una tartaruga. Dopo averla uccisa, prese il carapace e tese al suo interno sette corde di budello di pecora, costruendo così la prima lira. Hermes la diede poi ad Apollo — in modo da scontare i suoi debiti (furto della mandria del dio) — che a sua volta la diede al figlio Orfeo. In epoca classica, la lira era in effetti associata alle virtù apollinee di moderazione ed equilibrio, in contrapposizione all'aulos, legato a Dioniso e che rappresentava estasi e celebrazione.\nNon è noto dove sia nato lo strumento: sicuramente è stato importato in Grecia in epoca preclassica. Come luoghi di nascita, sono state proposte località nell'Europa meridionale, Asia occidentale e Nordafrica. Ancora oggi la lira viene suonata in alcune zone dell'Africa nordorientale.\nOriginariamente la lira aveva una cassa di risonanza formata da un guscio di testuggine sul quale venivano poste delle corna di animale.\n\nVoci correlate.\nLira da braccio.\nLira da gamba o lirone.\nLira organizzata.\nLira bizantina.\nLira calabrese.\nLira cretese.\nGadulka.\nKissar.\nArpe e lire di Ur.\n\nAltri progetti.\nWikiquote contiene citazioni sulla lira.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla lira.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) lira / lyra, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lirnesso.\n### Descrizione: Lirnesso fu un'antica città della Misia, in Asia Minore.\nLa città era nella sfera d'influenza di Troia (secondo Apollodoro era stata fondata da Lirno, figlio di Anchise) e fu saccheggiata da Achille, durante la guerra di Troia. L'eroe greco uccise il re di Lirnesso, Minete ed i suoi tre figli maschi, risparmiando la principessa Briseide, che portò con sé, rendendola schiava." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lirno.\n### Descrizione: Lirno è una figura della mitologia greca, nato, secondo Apollodoro, da Afrodite e da Anchise, il giovane troiano amato dalla dea. È dunque, almeno in questa versione, fratello di Enea.\nFu allevato contemporaneamente al fratello dalla sorellastra Ippodamia, figlia di Anchise. Nulla si sa sul suo conto durante o dopo la guerra di Troia. Una tradizione racconta che morì senza figli; un'altra versione, tuttavia, vuole Lirno l'eponimo e il fondatore della città di Lirnesso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lisippa.\n### Descrizione: Lisippa in (greco antico Λυσίππη Lüsìppē), nella mitologia greca era figlia di Stenebea e del marito Preto re di Argo ed in seguito sovrano di Tirinto.\n\nMitologia.\nConosciuta anche come Lisippe, aveva due sorelle (Ifinoe ed Ifianassa) che con lei avevano il nome di Pretidi e che, per causa di una maledizione divina (data nei loro confronti dalla dea Era offesasi dalle loro affermazioni), divennero folli e condannate a vagare allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve gli sfortunati viandanti.\nFu guarita dalla pazzia da Melampo il quale (alle tre sorelle) fece bere da una fonte in cui aveva buttato una pianta di elleboro.\nMelampo poi sposò Ifinassa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Lisippe (madre di Teutrante).\n### Descrizione: Lisippe (in greco antico: Λυσίππη?) o Leucippe è un personaggio della mitologia greca e madre di Teutrante il re di Teutrania, una città della Misia.\n\nMitologia.\nSuo figlio (Teutrante), durante una battuta di caccia sul monte che portava il suo nome, inseguì ed uccise un enorme cinghiale senza accorgersi che questo cinghiale era sacro ad Artemide e la dea, infuriata, lo fece ammalare di lebbra e lo costrinse a vagare in solitudine.\nLisippe allora si recò dal veggente Polido ed una volta compreso che cosa fosse successo al figlio lo soccorse e lo fece medicare utilizzando le pietre 'antipate' che si trovavano sulla montagna; una volta placate le ire di Artemide, le fece erigere una statua ed ordinò la creazione di un gigantesco toro d'oro. Così facendo, la salute del figlio fu ripristinata." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lisitea (Oceanina).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Lisitea (in greco antico: Λυσιθέα, Lysithea) era una delle Oceanine, le figlie del dio Oceano, e anche una delle amanti di Zeus. In alcune fonti tarde è indicata come madre dell'eroe Eracle, in luogo di Alcmena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Lista degli oracoli di Delfi.\n### Descrizione: Questo articolo riporta la lista degli oracoli di Delfi.\n\nIntroduzione.\nLa Pizia era la sacerdotessa che presiedeva l'Oracolo di Apollo a Delfi. Ci sono più di 500 presunti oracoli sopravvissuti da varie fonti riferite all'oracolo di Delfi. Molti sono aneddotici e sono sopravvissuti come proverbi. Molti sono espressi ambiguamente, apparentemente per mostrare l'oracolo in una buona luce indipendentemente dal risultato. Tali profezie erano ammirate per la loro destrezza nel fraseggio. Una di queste famose predizioni era la risposta a una persona sconosciuta che voleva sapere se fosse stato sicuro per lui partecipare a una campagna militare; la risposta è stata: 'Vai, ritorna non muori in guerra', che può avere due significati completamente opposti, a seconda di dove si suppone che sia una virgola mancante, prima o dopo la parola 'non'. Ciononostante, sembra che l'Oracolo abbia costantemente sostenuto profezie pacifiche, non violente in generale. Il seguente elenco presenta alcune delle profezie più importanti e storicamente significative di Delfi.\n\nOracoli della mitologia.\nVi sono diversi episodi narrati nella mitologia in cui gli eroi ricorrono all'oracolo per ottenere delle previsioni.\n\nSisifo.\nUn esempio è l'oracolo ottenuto da Sisifo che usurpato del suo trono dal fratello Salmoneo sperava di riottenere il trono. Ebbe come responso di ingravidare la figlia di Salmoneo (Tiro) che scoperta la ragione di quella gravidanza uccise la prole. Sisifo tuttavia riuscirà ad esiliare il fratello con una scusa.\n\nCadmo.\nCadmo figlio di Agenore re di Tiro nonché fratello di Europa, fu mandato dal padre assieme ai fratelli alla ricerca della sorella. Cercandola in Grecia pensò di chiedere consiglio all’oracolo il quale disse che egli non avrebbe dovuto cercare la sorella ma fondare una nuova città, Tebe. Per fare ciò avrebbe dovuto seguire un toro sacro e determinare la località in base a dove si sarebbe fermato. Il toro così si fermò in corrispondenza della Beozia laddove sorge oggi Tebe. Egli poi, aiutato dagli sparti, costruì Cadmea, ossia la rocca di Tebe.\n\nLaio ed Edipo.\nIn queste vicende il ruolo dell'oracolo e la consulta sono molto importanti per lo svolgimento del mito.Laio innamoratosi di Crisippo figlio del re Pelope lo stuprò e questi per la vergogna si suicidò. Pelope dunque lanciò una maledizione a Laio. Questi chiese all’oracolo come avrebbe dovuto comportarsi e gli fu detto che avrebbe dovuto evitare di avere figli poiché questi lo avrebbe ucciso e avrebbe poi sposato sua moglie. Ma Laio commise una leggerezza e nacque un bambino (Edipo) che abbandonò presso il monte Citerone.\nEdipo fu adottato da piccolo dal re di Corinto Polibo. Uno dei suoi nemici per offenderlo gli rivelò che egli era un trovatello. Turbato, Edipo interrogò Polibo il quale, dopo molte reticenze, mentì dicendogli che quella non era affatto la verità. Ma Edipo, ancora incerto, stabilì di partire per interrogare l'oracolo di Delfi e sapere chi erano davvero i suoi genitori. Quando si recò presso il santuario, la Pizia, inorridita, lo cacciò dal santuario, predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre. Atterrito dal vaticinio, Edipo, per evitare di uccidere Polibo e di sposare Peribea, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe dove la profezia si sarebbe avverata di lì a poco.\nLaio infatti saputo che il figlio stava per tornare a Tebe decise di andare nuovamente a Delfi per interrogare l’oracolo, ma lungo la strada, padre e figlio si incrociarono senza conoscersi. Ne nacque uno screzio da cui Laio perse la vita. Edipo poi una volta giunto a Tebe avrebbe sposato la madre Giocasta.\nUn giorno una tremenda epidemia si abbatté sul regno di Tebe; re Edipo, non sapendo cosa fare, inviò Creonte a consultare nuovamente l'oracolo di Delfi. La risposta dell'oracolo fu che l'epidemia era una conseguenza dell'assassinio ancora impunito di Laio. Edipo allora cominciò le ricerche per scoprire la verità su quel delitto che gli sarebbe stato rivelato da Tiresia.\n\nAcrisio.\nAcrisio, nonno di Perseo e re di Argo, temeva per le sorti del proprio regno perché, avendo avuto dalla moglie Aganippe una sola figlia femmina, Danae, in assenza di eredi maschi non sapeva a chi avrebbe trasmesso il titolo di sovrano. Spinto dal desiderio di conoscere il destino della sua città, chiese all'oracolo di Delfi come avrebbe potuto avere figli. Il dio gli rispose che sua figlia Danae avrebbe avuto un figlio che lo avrebbe ucciso. Dopo varie vicissitudini infatti Perseo uccise Acrisio senza volerlo. In una versione con una lancia scagliata nella direzione sbagliata, nell'altra per aver visto inavvertitamente la testa di Gorgone.\n\nTieste.\nTieste fratello di Atreo voleva vendicarsi del grave affronto subito dal fratello meditando una grave vendetta, ossia uccidere il figlio del fratello, Agamennone. Per compiere questa vendetta chiese alla pizia come avrebbe dovuto fare e l'oracolo disse che avrebbe dovuto generare un figlio con sua figlia. Dopo varie vicissitudini Tieste compì l'incesto con la figlia Pelopia da cui nacque Egisto. Questi una volta cresciuto divenne l'amante della moglie di Agamennone Clitemnestra, la quale a sua volta voleva uccidere il marito per vendicare la morte della figlia Ifigenia. Agamennone infatti morirà per mano di Egisto in un agguato orditogli.\n\nOreste.\nDopo la morte di Agamennone il figlio Oreste ormai adulto, decise di visitare l'oracolo di Delfi per sapere se doveva riservare una punizione agli assassini di suo padre. Il responso emesso da Apollo annunciava che se non avesse onorato la memoria di Agamennone vendicandone la morte sarebbe stato relegato ai margini dalla società. Oreste quindi vendicò il padre uccidendo Egisto e la madre Clitennestra.Alla sua morte Oreste sarebbe stato sepolto a Tegea: quando Lica, uno dei cinque Spartiati detti Valenti, ne ritrovò il corpo riuscì a procurare la vittoria di Sparta sulla città di Tegea, in conformità con quanto detto la Pizia in merito alla sorte di Sparta contro questa città.\n\nPrimo periodo.\nLa fondazione di Siracusa e Crotone.\nLa fondazione delle colonie di Siracusa e Crotone è seguita da un responso oracolare sulla fondazione delle città. Archia di Corinto e Miscello di Ripe ecisti (οἰκιστής) si incontrarono a Delfi proprio per chiedere un responso dalla pizia su ciò che avrebbero voluto compiere. La pizia quindi pose ad entrambi una domanda su ciò che per entrambi era più importante, se le ricchezze o la salute.\n\nLicurgo.\nAlcune delle prime dichiarazioni oracolari di Delfi potrebbero essere state consegnate a Licurgo, il leggendario legislatore spartano (nell'VIII secolo a.C.). Secondo il rapporto di Erodoto , Licurgo visitò e consultò l'oracolo prima di applicare le sue nuove leggi a Sparta:.\n\nLicurgo istituì dunque una costituzione per gli Spartani che combinava le caratteristiche di una diarchia e d'una democrazia classica, per la quale v'era inoltre prevista una spartizione equa della terra tra la sua popolazione.\nTanto Senofonte quanto Plutarco gli attribuiscono anche l'introduzione di una monetazione molto ingombrante fatta di ferro (al fine di prevenire l'attaccamento alla ricchezza). Nel racconto di Plutarco e Diodoro, ciò era anche basato su una frase oracolare:.\n\nLa presunta affermazione oracolare, in retrospettiva, è stata interpretata come soddisfatta dal fatto che i soldati di Sparta inviarono a casa oro e argento dopo la guerra del Peloponneso, sarebbe stata la rovina di Sparta, secondo Plutarco. È alquanto improbabile però che questo oracolo sia stato effettivamente consegnato, in quanto se lo fosse stato sarebbe apparso davvero anacronistico allo stesso Licurgo, poiché ai suoi tempi non esisteva ancora un sistema monetario.\n\nCipselo.\nCipselo.\n\n630 a.C. - Thera.\nNel 630 a.C., il re dell'isola di Thera andò a Delfi per offrire un regalo a nome della sua città natale, e fu detto dall'oracolo che avrebbe dovuto fondare una città in Libia. Siccome il re non sapeva dove fosse la Libia, non fece nulla. Più tardi non piovve su Thera per lungo tempo, e per scoprire cosa si poteva fare, gli abitanti si avvicinarono di nuovo all'oracolo. Lei disse che se avessero creato un insediamento a Cirene (in Libia), le cose sarebbero andate meglio.\nPer alleviare la pressione dalla siccità e seguendo il consiglio dell'oracolo, i Terani cercarono consiglio dai cretesi riguardo a dove si trovava la Libia e una colonia di Thera fu stabilita a Platea. Ma la sfortuna li seguì ancora per altri due anni, così visitarono l'oracolo una terza volta. E la pizia disse:.\n\nI Terani cercarono consiglio dai libici locali che diedero loro un nuovo sito e la colonia prosperò.\n\n595 a.C. - La prima guerra sacra.\nNel 595 a.C., le questioni dell'Oracolo furono ritenute troppo importanti per essere lasciate solo ai Delfi, e la santità del sito venne protetta dalla Lega Anfizionica, una lega di 12 città esistenti dal 1100 a.C. (La lega aveva preso il nome da Anfiziona delle Termopili, fratello di Elleno, il primo re greco di Atene (o non pelasgico). In quell'anno, la vicina Cirra riscosse un tributo ai pellegrini, inaugurando la Prima Guerra Sacra. Dopo 5 anni di lotta, l'Oracolo decretò che il sito di Cirra fosse lasciato incolto, sacro ad Apollo. Ciò inaugurò un periodo di grande prosperità.\n\n594 a.C. - Solone.\nNel 594 a.C., Solone, il legislatore ateniese, che cercava di catturare l'isola di Salamina da Megara e Cirra ebbe un responso dall'oracolo:.\n\nRiuscì a farlo prendendo come volontari 500 giovani ateniesi i cui antenati provenivano da Salamina, catturò l'isola che si sarebbe dimostrata così importante nella successiva storia ateniese. Solone non cessò mai di sostenere e dare credito all'oracolo per il suo sostegno nel dichiarare che l'isola era originariamente ionica.\nNel formulare le sue famose riforme costituzionali per Atene, Solone chiese nuovamente il consiglio dell'oracolo che gli disse:.\n\nDi conseguenza, Solone rifiutò l'opportunità di diventare un tiranno rivoluzionario e creò una costituzione per la quale lui e Atene furono giustamente onorati. Attraverso un processo con giuria, un sistema fiscale graduale e il taglio dei debiti ha impedito un crescente divario tra gli 'abbienti' e i 'non abbienti'. Ma ha rifiutato di accettare le confische della proprietà dei ricchi, creando così una classe media ateniese. Ottenne un giuramento dal Concilio dei magistrati ateniese per cui se avessero violato queste leggi avrebbero dedicato una statua d'oro all'Oracolo di Delfi di pari importanza a loro stessi.\n\n580-570 a.C. - Pitagora.\nSecondo alcune fonti Pitagora ebbe come padre un cittadino facoltoso di nome Mnesarco questi trovandosi a Delfi in ragione di suoi commerci volle chiedere alla pizia delucidazioni sul suo futuro prossimo e la sacerdotessa predisse la nascita di un figlio utile al genere umano e saggio.\n\n560 a.C. - Creso.\nNel 560 a.C., Creso di Lidia, in una prova di oracoli, consultò tutti i famosi oracoli su ciò che stava facendo in un giorno stabilito. Secondo Erodoto, l'oracolo proclamò:.\n\nL’oracolo di Delfi venne dichiarato il vincitore. Creso quindi chiese se avesse dovuto fare la guerra ai Persiani e se avesse dovuto prendere crearsi qualsiasi forza alleata. Gli oracoli ai quali ha inviato questa domanda includevano quelli di Delfi e Tebe. Entrambi gli oracoli diedero la stessa risposta, se Creso avesse fatto guerra ai Persiani, avrebbe distrutto un possente impero. Essi gli hanno ulteriormente consigliato di cercare i popoli greci più potenti e stringere alleanze con loro.\nCreso pagò una quota elevata a Delfi e poi andò dall'oracolo chiedendo 'La sua monarchia durerà a lungo?' La Pizia rispose:.\n\nCreso riteneva impossibile che un mulo dovesse essere il re dei medi e quindi credeva che lui e il suo problema non avrebbero mai costituito un problema per il suo potere. Decise quindi di fare causa comune con alcune città-stato greche e attaccare la Persia.Tuttavia, fu il suo impero, non quello dei persiani, che fu sconfitto, adempiendo la profezia ma non alla sua interpretazione. Apparentemente dimenticò che Ciro, il vincitore, era per metà Mede (di sua madre), per metà persiano (da suo padre) e quindi poteva essere considerato un 'mulo'.Nell'ode di Bacchilide, composta per Gerone di Siracusa, che vinse la corsa dei carri a Olimpia nel 468, Creso con la moglie e la famiglia montò la pira funebre, ma prima che le fiamme potessero avvolgere il re, fu rapito da Apollo e portato via verso gli Iperborei. La versione di Erodoto include Apollo in modalità più 'realistica': Ciro, pentendosi dell'immolazione di Creso, non riuscì a spegnere le fiamme fino all'intervento di Apollo.\n\n500 a.C. circa - Lucio Giunio Bruto.\nLucio Giunio Bruto accompagnò i figli di Tarquinio il Superbo, Tito ed Arrunte, in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma e l'oracolo rispose che la prossima persona che avesse baciato sua madre sarebbe diventato re. Bruto interpretò la parola 'madre' nel significato di 'Terra' così, al ritorno a Roma, finse di inciampare e baciò il suolo.\n\nPeriodo classico.\n480 a.C. - La minaccia persiana in Grecia.\nNel 480 a.C., quando Serse, figlio di Dario il Grande di Persia, tornò per completare il lavoro di conquista dei Greci in cui suo padre aveva fallito, gli Ateniesi consultarono l'oracolo. Fu detto loro:.\n\nNon fu ambiguo. Quando persuase a chiedere consiglio una seconda volta, l'oracolo diede modo agli Ateniesi di sfuggire al loro destino. Quando Atena si avvicinò a suo padre per aiutare la sua città, Zeus rispose che avrebbe concesso che 'un muro di legno da solo non sarebbe stato catturato, un vantaggio per te e per i tuoi figli'. L'oracolo di nuovo consigliò agli Ateniesi di fuggire:.\n\nNel frattempo, anche gli Spartani consultarono l'oracolo e gli fu detto:.\n\no in una versione secondo Erodoto:.\n\nGli spartani si ritirarono costernati, chiedendosi quale fosse il destino peggiore. Gli stessi abitanti di Delfi hanno poi chiesto in che modo la Persia potesse essere sconfitta. L'oracolo rispose:.\n\nGli eventi hanno superato la profezia quando l'esercito persiano aggredì le Termopili, dove una coalizione a guida spartana (popolarmente chiamata '300' per il numero di spartani inviati e che furono, tranne un uomo con un'infezione agli occhi, uccisi per mano umana) mentre gli alleati tennero. Gli Spartani sotto il Re Leonida resistettero all'avanzata persiana alle Termopili fino a quando furono sopraffatti. Rifiutandosi di ritirarsi, l'intero contingente spartano, incluso il loro Re, perse la vita, ma così ottennero una fama immortale. L'armata persiana salpò quindi verso il vicino Capo Artemisium, dove furono raggiunti dalla flotta ateniese. Le navi ateniesi combatterono contro grandi difficoltà, ma in tre battaglie riuscirono a reggere le proprie posizioni.\nPresso Artemesium sorse una tremenda tempesta, con i venti violenti che attaccarono le navi per tre giorni. I persiani persero così circa il 20% delle loro navi da guerra e forse lo stesso numero di navi da trasporto per la tempesta. I venti tempestosi e le onde enormi non hanno danneggiato invece le navi ateniesi.\nTornato ad Atene Temistocle sostenne che il muro di legno si riferiva alla marina ateniese e persuase gli Ateniesi a perseguire la loro politica di usare la ricchezza dalle loro miniere d'argento attigue a Laurium per continuare a costruire la loro flotta. Sulla base del fatto che l'oracolo si riferisse alla vicina isola di Salamina come 'santa', sosteneva che quelli uccisi sarebbero stati i nemici della Grecia, non gli Ateniesi. Per questo l'oracolo avrebbe detto 'O Salamina crudele'. La sua voce andò oltre, Atene fu evacuata a Salamina e in una successiva battaglia navale la flotta ateniese e i suoi alleati distrussero la flotta persiana proprio a Salamina, mentre erano sorvegliati da Serse. Nonostante Atene fosse stata bruciata dai Persiani, i suoi occupanti furono salvati, la minaccia persiana cessò e l'autorità dell'Oracolo non fu mai più così alta.\n\n440 a.C. - Socrate.\nIntorno al 440 a.C. si dice anche che l'Oracolo abbia detto che non c'era nessuno più saggio di Socrate, al quale Socrate disse che tutti erano ugualmente ignoranti, o che era più saggio nel fatto che lui solo era consapevole della propria ignoranza ('cosa ho non lo so e non credo di saperlo'). Questa affermazione è legata a uno dei motti più famosi di Delfi, che Socrate ha detto di aver imparato lì, Gnothi Seauton (γνῶθι σεαυτόν): 'conosci te stesso!'. Un altro famoso motto di Delfi è Meden agan (μηδὲν ἄγαν): 'niente in eccesso'. Socrate aveva circa trent'anni all'epoca, la sua fama di filosofo doveva ancora venire.\nUna versione della dichiarazione affermava che un amico di Socrate, Chaerephon, andò davanti alla Pizia chiedendo: 'C'è qualche uomo vivo più saggio di Socrate?' La risposta che ricevette fu semplicemente 'Nessuno'. Un'altra versione è:.\n\n431 a.C. - La guerra del Peloponneso.\nAllo scoppio della guerra del Peloponneso gli Spartani mandarono una delegazione a Delfi per sapere se fosse stato saggio andare in guerra contro Atene. Secondo Tucidide:.\n\n403 a.C. - Lisandro.\nNel 403 a.C. Lisandro, il vincitore spartano della guerra del Peloponneso, venne avvertito di stare attento:.\n\nEgli infatti venne ucciso dalle spalle nel 395 a.C. da Neachorus, che aveva dipinto un serpente sul suo scudo.\n\n401 a.C. - Sparta.\nNel 401 a.C., Sparta fu avvertita:.\n\nAgesilao, lo zoppo re di Sparta, che salì al trono spartano ai tempi di Lisandro, attaccando i nemici in ogni quartiere, perse il controllo dei mari a causa dei persiani che attaccarono le coste spartane. Nella sua ossessione contro Tebe, incitò i Tebani sotto Epaminonda a contrattaccare. Gli Spartani furono sconfitti per la prima volta dai Tebani nella battaglia di Leuctra nel 371 a.C.; questo portò all'invasione di Sparta stessa e alla sua sconfitta nella battaglia di Mantinea nel 362 a.C.\n\n359 a.C. - Filippo II di Macedonia.\nNel 359 a.C., Filippo II di Macedonia consultò l'Oracolo e gli fu detto:.\n\nIl re cercò allora di controllare le miniere d'argento nel vicino regno di Tracia e Illiria, sia usandole per corrompere fin dalle prime vittorie, giocandosi uno Stato greco contro gli altri, sia isolando i suoi nemici con tangenti ai potenziali alleati.\nFilippo aveva anche un puledro nero molto vivace che nessuno riusciva a domare. L'oracolo di Delfi affermava che chiunque riuscisse a cavalcare questo cavallo avrebbe conquistato il mondo, ma nonostante molti tentativi né Filippo né alcuno dei suoi generali riuscirono montare il cavallo. Suo figlio, Alessandro, che in seguito sarebbe stato chiamato il Grande, riuscì quando si rese conto che il cavallo aveva paura della propria ombra. Filippo diede il cavallo Bucefalo ad Alessandro, con cui avanzò nelle conquiste fino all'Asia.\nNel 353 a.C. scoppiò una terza guerra sacra quando Tebe mise una multa sulla Focide, e Focide, per pagare la guerra, tassò pesantemente il popolo della vicina Delfi prendendo anche il tesoro di Delfi. La lega anfizionica guidata da Filippo dichiarò guerra a Focide. Filippo cercò di unire tutta la Grecia con la Macedonia nella Lega anche per attaccare la Persia.\nNel 339 a.C., Filippo interferì ancora una volta contro l'alleanza anfizionica quando la polis di Crissa si intromise nei terreni sacri di Apollo. Filippo punì Crissa, e di conseguenza nel 338 a.C. sconfisse gli eserciti combinati degli Ateniesi e degli Spartani, diventando così la forza dominante negli affari greci. Alla fine, nella battaglia di Cheronea, ebbe successo contro gli Ateniesi e i Tebani ma fu assassinato prima che potesse guidare l'invasione della Persia.\n\n336 a.C. - Alessandro Magno.\nAlessandro Magno visitò l'oracolo delfico desiderando di ascoltare una profezia sul fatto che avrebbe presto conquistato l'intero mondo antico. Con sua sorpresa l'oracolo rifiutò un commento diretto e gli chiese di venire più tardi. Furioso, Alessandro trascinò la Pizia per i capelli fuori dalla stanza finché lei urlò: 'Sei invincibile, figlio mio!'. Nel momento in cui udì queste parole la lasciò cadere, dicendo: 'Ora ho la mia risposta'.\n\n300 a.C. circa.\nDiogene Laerzio ha riportato che quando Zenone di Cizio 'consultò l'oracolo, riguardo a ciò che avrebbe dovuto fare per vivere nel modo più eccellente, il Dio gli rispose che doveva diventare della stessa carnagione dei morti, da cui dedusse che avrebbe dovuto applicarsi alla lettura dei libri degli antichi. Quindi, si è unito a Cratete di Tebe... '.\n\nPeriodo romano.\n279 a.C. - I celti e i romani.\nNel 279 a.C., saccheggiato da un'invasione celtica, l'oracolo dichiarò:.\n\nI Celti furono colpiti da terremoti, valanghe e un'enorme tempesta di neve, costringendoli a ritirarsi. Ma i romani erano una questione diversa. Nel 191 a.C., il santuario di Delfi cadde nella sfera d'influenza romana, e l'oracolo generalmente sostenne l'ascesa di Roma da quel momento in poi.\n\n83 a.C. - Pompeo.\nNell'83 a.C., Delfi fu rasa al suolo da un attacco della tribù tracia dei Maedi che estinse il sacro fuoco che stava bruciando ininterrottamente da secoli. Ai tempi di Pompeo, Cicerone, alleato di Pompeo, consultò l'Oracolo su come avrebbe dovuto trovare la più grande fama e gli fu detto:.\n\nPompeo fu successivamente sconfitto da Giulio Cesare. Cicerone coltivava la sua oratoria e le sue capacità nei tribunali per preservare Roma dalla cospirazione di Catilina, guadagnandosi fama immortale.\n\n67 d.C. - Nerone.\nNel 67 d.C., l'imperatore Nerone, che aveva appena 30 anni e aveva ucciso sua madre nel 59 d.C., visitando l'Oracolo fu detto:.\n\nNerone era arrabbiato e per questo la pizia venne bruciata viva. Nerone pensava che avrebbe avuto un lungo regno e sarebbe morto a 73 anni. Invece il suo regno arrivò a una breve fine dopo una rivolta di Galba che all'epoca aveva 73 anni.\n\nPrima del 117 - Adriano.\nPrima del 117 l'imperatore Adriano visitò Delfi prima di salire al trono. Dopo aver bevuto dalla sorgente Kassotis, fu proclamato il suo destino di Imperatore. Quando sedette sul trono, ordinò di bloccarlo in modo che nessun altro potesse ottenere la stessa idea allo stesso modo.\n\n302 - Diocleziano.\nL'imperatore Diocleziano, consultando l'oracolo su consiglio di Gallerio, disse che la setta dei cristiani avrebbe portato alla distruzione dell'Impero. Ciò portò alle persecuzioni di Diocleziano dove i cristiani furono perseguitati per non aver accettato i sacrifici agli dei romani. Dopo l'editto di tolleranza di Costantino, e specialmente dopo il regno di Teodosio, i cristiani si vendicarono perseguitando la Pizia.\n\n362 - Giuliano l’apostata.\nL'agiografia racconta che nel 362, a nome del suo imperatore Giuliano l'Apostata, Oribasio visitò l'oracolo delfico, a quel tempo in uno stato di desolazione, offrendo i servizi del suo imperatore al tempio e, in cambio, ricevendo una delle ultime profezie della pizia.\n\nFontenrose dubita dell'autenticità di questo oracolo, caratterizzandolo come un 'oracolo cristiano, concepito per dimostrare che l'Apollo delfico aveva previsto la missione di Cristo e la fine degli Oracoli.’’.\n\n393 - L’ultimo oracolo.\nL'ultimo oracolo registrato fu nel 393 d.C., per ordine dell'imperatore Teodosio I, il tempio fu chiuso e mai riaperto. L'Oracolo ha dichiarato che tutto è finito. Entro 5 anni l'imperatore sarebbe morto e 15 anni dopo Alarico e i Visigoti conquistarono Roma." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Litierse.\n### Descrizione: Litierse, figlio di Mida e principe di Frigia, è un personaggio della mitologia greca, noto per la sua esperienza e superiorità nella mietitura.\nSecondo la leggenda egli sfidava chiunque transitasse per la Frigia a batterlo nella sua abilità; se avessero perso sarebbero stati uccisi dal principe; venne sconfitto da una sola persona, che lo uccise: Eracle.\nInsieme ad Eracle è il protagonista del dialogo 'L'ospite' nell'opera di Cesare Pavese Dialoghi con Leucò." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Litochoro.\n### Descrizione: Litochoro (in greco Λιτόχωρο?) è un ex comune della Grecia nella periferia della Macedonia Centrale di 7.011 abitanti secondo i dati del censimento 2001.È stato soppresso a seguito della riforma amministrativa, detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011 ed è ora compreso nel comune di Dion-Olympos.\nLa città è ad una distanza di circa novanta chilometri da Salonicco, ad ovest del Golfo Termaico. Litochoro, menzionata per la prima volta da San Dioniso, è una città conosciuta da coloro che desiderano arrampicarsi sul monte Olympo; quasi tutti gli itinerari escursionistici partono a sud-ovest di Litochoro.\n\nGeografia e informazioni.\nLitochoro è situata ventidue chilometri a sud di Katerini, novanta chilometri a sud-ovest di Salonicco, cinquantotto chilometri a nord di Larissa e quattrocentoventi chilometri da Atene, sulle pendici orientali del monte Olimpo, conosciuto come la sede degli dei e di Zeus. Gli alberi del pino, del cedro e dell'abete che crescono nelle foreste del monte Olimpo stanno al sud-ovest ed a nord-ovest. Il terreno coltivabile è prevalentemente al nord. Litochoro ha parecchi ristoranti e caffè.E'gemellata con Atri (TE).\n\nPláka.\nAd est della città di Litochoro c'è una zona costiera estesa, conosciuta con il nome di Pláka o di Pláka Litochorou, che si estende dai piedi del monte Olympο fino al Golfo Termaico e da Leptokaria, nel sud, fino Gritsa nel nord. Una parte della strada nazionale della strada principale E75 attraversa la zona di Plaka, nel sud di Litochoro. Il litorale principalmente è formato da spiagge sabbiose, vicino alle quali si trovano gli hotel, i campeggi, i ristoranti ed i bar della spiaggia, (che principalmente funzionano durante la stagione estiva, a partire da giugno fino a settembre). Nella zona di Plaka ci sono residenze private, ville di lusso ed i cottage." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Livadeia.\n### Descrizione: Livadeia (in greco Λιβαδειά?, pron. Livadià) è un comune della Grecia situato lungo la strada per Delfi, nella periferia della Grecia Centrale (unità periferica della Beozia) con 32 151 abitanti secondo i dati del censimento 2001.\nA seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 694 km² e la popolazione è passata da 21 492 a 32 151 abitanti.\nDista 130 km da Atene in direzione nord-ovest.\n\nStoria.\nPeriodo classico.\nLa tradizione vuole che l'antico nome della città fosse quello di Mideia e che fosse posizionata in collina. Nome che fu cambiato quando l'ateniese Levado si trasferì nella zona; in questo periodo la città era conosciuta per la presenza dell'oracolo di Trofonio.\n\nSport.\nCalcio.\nLa squadra principale della città è il Athlītikos Podosfairikos Omilos Levadeiakos." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ma (divinità).\n### Descrizione: Con il nome di Ma si indica di un'importante divinità femminile, che anticamente era venerata nella regione anatolica della Cappadocia, precisamente nella città di Comana, che era governata dal suo sommo sacerdote. Questa divinità era di fatto una delle molte manifestazioni della Grande Madre anatolica. Il suo culto affondava probabilmente le proprie radici nella preistoria dell'odierna Anatolia e fu praticato in maniera ininterrotta, anche se con diverse varianti, fino all'avvento del Cristianesimo. In epoca ellenistica fu identificata con Enio e in quella romana con Bellona." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Macaone (mitologia).\n### Descrizione: Macaone (in greco antico: Μαχάων?, Macháōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Asclepio ed Epione, fratello di Podalirio. Celebre medico, imparò le sue arti guaritrici dal padre e dal maestro Chirone.\nEra tra i pretendenti di Elena.\n\nEtimologia.\nIl nome di Macaone è basato probabilmente sulla radice greca μάχομαι (máchomai) o μάχη (máchē), 'combattere', comunissima nell'onomastica greca.\n\nIl mito.\nNella guerra di Troia.\nGiunse al porto di Aulide insieme al fratello Podalirio, portando con sé 30 navi. Curava le ferite degli Achei con Vino ed erbe ma combatteva comunque nelle battaglie. Guarì la ferita di Menelao causatagli dalla freccia di Pandaro. Venne a sua volta ferito quando i troiani attaccarono il muro acheo e fu costretto a ritirarsi insieme a Nestore nella sua tenda. Curò l'ulcera di Filottete quando questi venne portato via dall'isola di Lemno dove era stato confinato.\n\nLa morte.\nSecondo la tradizione più accreditata, ripresa anche nell'Eneide, fu tra i guerrieri che si nascosero nel cavallo di legno e morì per mano di Euripilo, figlio di Telefo, secondo un'altra tradizione morì prima della conquista di Troia e fu l'amazzone Pentesilea a ucciderlo. La sua salma venne riportata in Grecia da Nestore.\n\nLetteratura postclassica.\nMacaone è invocato da Antonio Abati nella sua opera Le Frascherie. Nella sua satira sulla pazzia scrive:.\n\nMacaone è visto cioè quale dispensatore di 'libertà' se accettiamo le sue medicine anti-inibitorie. Da questa esortazione si evince forse una concessione nell'assunzione di Elleboro. Il riferimento ad Anticira città greca famosa per l'abbondante rigoglio di tale pianta è desunto da un luogo delle Satire di Persio (Sat. IV, 16).\nI nomi di Macaone e di suo fratello Podalirio sono stati attribuiti da Linneo a due specie di farfalle: Papilio machaon e Iphiclides podalirius." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Macaria (figlia di Eracle).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Macaria o Makaria (in greco antico: Μακαρία) è una figlia di Eracle e Deianira, menzionata ne Gli Eraclidi, tragedia di Euripide.\n\nMitologia.\nDopo la morte dell'eroe, il re Euristeo continua a covare e perseguire il suo desiderio di vendetta e vuole così uccidere i figli di Eracle. Macaria fugge ad Atene, insieme ai suoi fratelli e a Iolao, un vecchio amico del padre; vengono tutti accolti dal re Demofone. Arrivato alle porte di Atene con il suo esercito, Euristeo dà un ultimatum a Demofone, minacciandolo di muovere guerra contro la città di Atene se egli non consegnerà i figli di Eracle. Demofone si rifiuta e si prepara quindi alla guerra, ma un oracolo predice che gli Ateniesi vinceranno soltanto se una nobile fanciulla verrà sacrificata alla dea Persefone. Sentendo ciò, Macaria capisce immediatamente qual è il suo destino: morire per mano di Euristeo o sacrificarsi e determinare la vittoria di Atene e la salvezza dei suoi fratelli. Dato che in nessun caso, comunque, potrebbe vivere una vita serena e felice, sceglie la seconda via e si offre come vittima per salvare la città, che ha accolto lei e i suoi fratelli, e i suoi abitanti, rifiutando così l'estrazione casuale del sacrificio, che avrebbe messo in pericolo altre ragazze. Gli ateniesi le furono grati e la onorarono con sontuosi riti funebri.\nIl mito ha un significato eziologico: la primavera in cui è morta la fanciulla è stata nominata Macarian in suo onore." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Macelo.\n### Descrizione: Macelo (in greco antico: Μακελώ?, Makeló) è un personaggio della mitologia greca. Fu una dei Telchini.\n\nGenealogia.\nCallimaco scrive che sia figlia di Damon che secondo alcuni è lo stesso nome di Demonax.\nSposò Demonax che la rese madre di Dessitea.\n\nMitologia.\nMacelo, secondo Ovidio perì assieme a tutti i Telchini quando gli dèi, offesi dalla loro arroganza, decisero di distruggerli mentre invece secondo altri si salvò assieme alla figlia Dessitea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Machereo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Machereo era il nome di uno dei figli di Daita, un sacerdote del tempio di Delfi.\n\nIl mito.\nMachereo secondo una delle versioni del mito è stato l'assassino di Neottolemo, l'eroe infatti aveva obiettato su alcune regole a cui erano imposti i sacerdoti di Apollo, oppure perché aveva rubato i soldi dell'elemosina e incendiato il tempio stesso..\n\nEtimologia.\nIn greco il nome Machereo significa 'l'uomo dal coltello'." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Makhai.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Makhai erano gli Spiriti della battaglia, figlie di Eris. Tra di loro si possono probabilmente annoverare Homados (Il rumore della battaglia), Alalà (Il grido di guerra), Proioxis (L'avanzata impetuosa), Palioxis (La ritirata confusa) e Cidoimo (La confusione).\nGeneralmente accompagnavano entità violente e malvagie come il dio della guerra Ares, le Chere, Polemos, Enio, oltre alla loro madre Eris.\n\nVoci correlate.\nDivinità della guerra.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Le Makhai in theoi.com, su theoi.com." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Manfred Korfmann.\n### Descrizione: Manfred Osman Korfmann (Colonia, 26 aprile 1942 – Ofterdingen, 11 agosto 2005) è stato un archeologo tedesco.\nNegli ultimi anni di vita, aveva raggiunto grande popolarità in Germania come promotore di nuovi scavi nell'antica città di Troia, nell'odierna Turchia.\n\nBiografia.\nKorfmann cominciò il tirocinio come insegnante di inglese e di storia al termine degli studi, nel 1961. Da assistente a Beit Jala/Betlemme (Giordania, oggi Cisgiordania) sviluppò un grande interesse per l'archeologia. A partire da quel momento decise quindi di proseguire gli studi, dal 1962 al 1970, sulla storia primitiva e su quella antica, come pure di archeologia presso l'università di Francoforte sul Meno e all'università americana di Beirut. Si laureò nel 1970 a Francoforte sul Meno. Dal 1971/72 è stato ricercatore scientifico presso l'università di Francoforte sul Meno con il progetto di mappare l'Africa finanziato dalla DFG. Successivamente ha lavorato (1971-1978) come consulente scientifico all'Istituto Archeologico Tedesco (dipartimento di Istanbul), partecipando ad alcuni scavi a Demircihueyuek. Nel periodo 1978-1982 è stato ricercatore al DAI di Berlino. Nel 1980 ha conseguito l'abilitazione ed è diventato lettore all'università di Francoforte sul Meno. Nel 1982 ha conseguito una cattedra di storia primitiva e antica all'Università di Tubinga.\nNel 1988 il governo turco gli rilasciò un permesso di scavo esclusivo con cui portò alla luce la parte inferiore della città di Troia e parte delle mura difensive. Durante la campagna di scavo e sotto la direzione di Korfmann furono scavati 13.240 m² di terra da 370 scienziati. A partire dall'opera di Schliemann, è in atto una grande disputa culturale e storica: mentre molti storici di vecchia scuola mettono in discussione il significato di Troia, Korfmann avanzò la tesi che la città risalente all'età del bronzo aveva rivestito un ruolo centrale nell'area del mar Mediterraneo. Nel 2001 e 2002 il dibattito raggiunse l'apice. In un convegno tra scienziati nel febbraio 2002 a Tubinga, Korfmann avanzò argomentazioni convincenti a sostegno della sua tesi, cui era giunto con l'avanzamento scavi. Ulteriori scavi nell'agosto 2003 hanno supportato la sua teoria.\nNel 1996 ha collaborato all'istituzione di un parco nazionale nel sito archeologico di Troia e due anni più tardi l'UNESCO ha dichiarato tale sito Patrimonio culturale dell'umanità. Molti turisti si recano ogni anno in visita nel sito archeologico della città di Troia. Lo scienziato nel 2004 ha accettato la cittadinanza turca conferitagli dal governo per il lavoro profuso nel paese, adottando Osman come secondo nome. Erano passati 15 anni dai primi scavi e grazie a Korfmann l'interesse su Troia crebbe enormemente: i suoi scavi riaccendevano l'entusiasmo per l'alone di mito e di leggenda attorno a Troia. È stato un esplicito desiderio del professore che gli scavi proseguissero; alla fine di agosto 2005, circa 45 scienziati, prevalentemente dall'Università di Tubinga, erano presenti a Troia. Anche grazie al suo appoggio, nel 2001 si è tenuta a Stoccarda una grande mostra su Troia: Troia, mito e realtà, che ha registrati più di 800.000 visitatori. Oltre agli scavi a Troia, Korfmann si è dedicato anche ad altri scavi come nel Caucaso ed in Asia centrale. È morto di cancro al polmone l'11 agosto 2005 a 63 anni nella sua casa di Ofterdingen vicino a Tubinga.\n\nOpere.\nStudia Troica. Troia und die Troas, Archäologie einer Landschaft, Jahrbuch 1991 ff.\nArchäologisches Landesmuseum Baden-Württemberg: Troia. Traum und Wirklichkeit. Stuttgart, Theiss 2001.\nMauerschau. Festschrift für Manfred Korfmann. Remshalden-Grunbach, Greiner 2002.\n\nOnorificenze.\nCollegamenti esterni.\nSito dell'università di Korfmann, su uni-tuebingen.de. URL consultato il 26 novembre 2006 (archiviato dall'url originale il 21 aprile 2009).\n(EN) Project Troia - Sito del Progetto Troia sotto la direzione del Prof. Manfred Korfmann.\nUNESCO-World Heritage, su whc.unesco.org. URL consultato il 26 novembre 2006 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2016).\nLa verità su Troia - trascrizione della BBC.\nwww.troia.de - sito della mostra su Troia nel 2001/2002.\n\nArticoli.\nC'è mai stata una guerra di Troia? Archiviato il 28 dicembre 2012 in Internet Archive., 'The Archaeology Journal', Vol. 57, No. 3, Maggio/Giugno 2004 di Korfmann.\n'The Boss' non è più tra noi, Stuttgarter Zeitung, 12.08.2005.\nManfred Korfmann è morto, Giornale tedesco 'Der Spiegel'.\nLa fiducia in Omero: È morto l'archeologo Manfred Korfmann , Giornale tedesco 'Die Welt'.\nÈ morto lo studioso di Troia, Giornale tedesco 'Süddeutsche Zeitung'.\nhttp://www.swr.de/kultur/wissen/-/id=253126/nid=253126/did=631172/1e446z7/index.html, Südwestrundfunk, 11.08.2005 con fotografie.\nSito web su Troia, 15.02.2002; articoli apparsi nel giornale locale di Tubinga con commenti di Kolb and Korfmann.\nNew York Times News Service, su indystar.com." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Manto.\n### Descrizione: Manto (in greco antico: Μαντώ?, Mantṑ) è una maga, personaggio letterario della mitologia greca.\nA lei vengono attribuiti dei figli Anfiloco e Tisifone avuti da Alcmeone ed un altro (Mopso) avuto da Apollo o da Racio, un re della Caria.\n\nIl mito.\nFiglia dell'indovino tebano Tiresia dal quale aveva ereditato le capacità magiche e divinatorie, è ricordata da Virgilio (Eneide X, 198-200), da Servio nel suo commento a Virgilio, da Ovidio (Metamorfosi VI, 157 e seguenti) e da Stazio (Thebais, IV 463-466 e VII 758 e seguenti).\nA seconda degli autori essa ha diversi connotati. Fu consacrata sacerdotessa di Apollo a Delfi. Per Virgilio fu moglie di Tosco (il mago personificazione del fiume Tevere) e madre di Ocno, leggendario fondatore di Mantova che prese il nome proprio da Manto. Secondo altri autori greci generò Mopso.\nIn Stazio, dopo la morte del padre durante l'assedio di Tebe, essa iniziò a vagare per molti paesi, prima di fermarsi lungo le rive del Mincio dove creò un lago con le sue lacrime, il lago che circonda Mantova appunto. Queste acque avevano il magico dono di conferire capacità profetiche a chi le beveva.\nDante Alighieri la riprese per includerla tra i dannati dell'Inferno (fraudolenti, ottavo cerchio, quarta bolgia), tra altri indovini mitologici compreso il padre Tiresia (Inf. XX, 52-57).\nLa sua presenza dà l'occasione al poeta di scrivere una lunga parentesi sulle origini di Mantova, che viene fatta pronunciare da Virgilio stesso. Smentendo se stesso, Dante immagina che egli rettifichi la sua versione dei fatti, circoscrivendo la fondazione a fatti scevri da riti magici: Manto sarebbe morta nel sito dove poi altri uomini, «sanz'altra sorte» cioè senza sortilegi, fondarono la città, scegliendo il nome in onore della donna lì sepolta." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Marcel Homet.\n### Descrizione: Marcel Francois Raphael Homet (Rochefort-sur-Mer, 23 marzo 1897 – 1982) è stato un archeologo e antropologo francese.\nCompì viaggi e spedizioni in varie parti del mondo, studiando e documentando popoli africani e sudamericani e cercando inoltre tracce di un'antica civiltà che riteneva collegata ad Atlantide.\n\nBiografia.\nNato a Rochefort (Nuova Aquitania) nel 1897, Homet fu impiegato durante la seconda guerra mondiale come agente del SOE britannico.Allievo e amico di Henri Breuil, dopo la guerra divenne docente di lingue arabe classiche all'Università di Algeri, poi archeologo, paleontologo, antropologo ed etnologo. In seguito si trasferì in Germania nei pressi di Stoccarda fino al 1980. Trascorse 15 anni viaggiando in Marocco, Tunisia, Egitto, Siria, Libano, Palestina e Turchia, effettuando importanti ricerche sulla cultura e gli idiomi di quelle popolazioni mediterranee.\nNel Congo ex francese studiò per primo l'origine, gli usi e i costumi dei pigmei Babinga, mentre nel Sahara rinvenne graffiti preistorici che avrebbero dato il via ad ulteriori indagini scientifiche.\nViaggiò attraverso gli Stati Uniti, Haiti e Venezuela, finché, nel 1940, con sua moglie Geneviève, fu incaricato dalla facoltà di antropologia dell'Università di Parigi di eseguire alcune spedizioni in Brasile, penetrando nei territori del vastissimo bacino del Rio delle Amazzoni, fino a quel momento quasi totalmente inesplorati.\nDurante le sue spedizioni, studiò intorno al 1950 un colossale monolite (denominato Pedra Pintada, ovvero 'pietra dipinta') ricoperto di graffiti, incisioni e simboli che, secondo le leggende degli indios locali, indicherebbe la presenza di un'antica città perduta. In Brasile Homet continuò a indagare sulla presenza nella regione dei resti di un antico popolo che riteneva discendente dalla mitica civiltà di Atlantide, obbiettivo principale della spedizione.\nHomet combatté anche contro la campagna di stermino degli indios condotta in Brasile e in Venezuela.\nTra il 1934 e il 1978 pubblicò oltre venti libri, numerosi articoli e documenti, tenendo anche dopo il suo pensionamento conferenze di antropologia, etnologia e storia delle civiltà. Si spense nel 1982.\n\nOpere.\n(elenco parziale).\nCongo: terre de souffrances, Éditions Montaigne, Parigi 1934.\nAfrique de nord: terre d'attente, Éditions Montaigne, Parigi 1935.\nMéditerranée mer impériale. Le conflit méditerranéen La France et le problème marocain, Éditions de la Nouvelle revue critique, Parigi 1937.\nSyrie terre irrédente. L'histoire secrète du traité franco-syrien. Où va le Proche-Orient?, J. Peyronnet & cie, Parigi 1938.\nGarderons-nous nos colonies d'Afrique?, J. Peyronnet, Parigi 1938.\nAfrique Noire, terre inquiète, Parigi 1939.\nSaüdades: Portugal, terre du regret, Império, 1942.\nI figli del sole (Les fils du soleil), ed.it. 1972, libro in cui Homet descrive il suo viaggio in Brasile alla ricerca di resti di un'antica civiltà collegata ad Atlantide.\nAlla ricerca degli dei solari (À la poursuite des dieux solaires), J'ai lu A309, 1974. Alla ricerca delle misteriose civiltà antiche tra gli indios più selvaggi.\nChan-Chan, la misteriosa (Chan Chan, La Mystérieuse Ville Impériale pré-incaïque), ed.it. 1974." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Marnas.\n### Descrizione: Marnas era una divinità maschile principale dell'antica città di Gaza Il nome Marnas è una perifrasi derivante dall'espressione aramaica Maran, in italiano Nostro Signore. Marnas era assimilato a Zeus. Sulle monete locali, coniate durante il regno di Adriano, è rappresentato come un giovane uomo nudo, avente le fattezze di Apollo, in compagnia della dea Artemide. Il suo culto a Gaza è attestato a partire dal II secolo a.C. Il suo tempio, uno tra i più importanti della città antica di Gaza, fu distrutto dagli imperatori cristiani nel IV secolo d.C." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Marsia.\n### Descrizione: Marsia (in greco antico: Μαρσύας?, Marsýas) è una figura della mitologia greca, figlio di Eagro. Secondo altre versioni sarebbe invece figlio di Olimpo.\n\nDescrizione.\nEra un sileno, dio del fiume Marsia, affluente del Meandro in Anatolia.\nPindaro narra di come la dea Atena una volta inventato l'aulos gettò via lo strumento, infastidita del fatto che le deformasse le gote quando lo suonava.\nMarsia lo raccolse, causando il disappunto di Atena, che lo percosse. Non appena Atena si fu allontanata, Marsia riprese lo strumento e iniziò a suonarlo con una tale grazia che tutto il popolo ne fu ammaliato, convincendosi che il suo talento fosse maggiore anche rispetto ad Apollo.\nMarsia, orgoglioso, non li contraddisse, finché un giorno la sua fama arrivò proprio ad Apollo, che subito lo sfidò (secondo altre versioni fu lo stesso Marsia a sfidarlo). Al vincitore, decretato dalle Muse, giudici della tenzone, sarebbe stato concesso il diritto di far ciò che volesse del contendente.\nDopo la prima prova, però, le Muse assegnarono un pareggio che ad Apollo, ovviamente, non andò bene. Così il dio invitò Marsia a rovesciare il suo strumento e a suonare: Apollo, logicamente, riuscì a rovesciare la cetra e a suonarla, ma Marsia non poté fare altrettanto con il suo flauto e riconobbe Apollo vincitore (secondo un'altra versione Apollo propose per poter eleggere un vincitore di cantare e suonare contemporaneamente, così che solo lui, che aveva uno strumento a corde, ci sarebbe riuscito). Il dio, allora, decise di punire Marsia per la sua superbia (hýbris, in greco) e, legatolo a un albero, lo scorticò vivo.\nL'episodio ispirò molti artisti tra cui Mirone, Prassitele, Ovidio, Tiziano e Dante; quest'ultimo in particolare lo ricorda nell'invocazione ad Apollo nel canto I del Paradiso (vv. 19-21).\nOvidio menziona la sorte dell'auleta nelle proprie Metamorfosi:.\n\nMarsia come Socrate.\nNella parte finale del Simposio, Platone narra dell'elogio che Alcibiade fece a favore di Socrate paragonandolo a Marsia:.\n\nNello Pseudo-Apollodoro e in Erodoto.\nLo Pseudo-Apollodoro narra che Apollo uccise anche Marsia, figlio di Olimpo e inventore della piva, rifiutata da Minerva perché rendeva deforme il volto di chi la usava. Marsia sfidò Apollo a una competizione musicale, il cui vincitore avrebbe potuto disporre liberamente della vita dell'altro. Apollo vinse la sfida mostrandosi capace di suonare la cetra alla rovescia, cosa che fu impossibile a Marsia con la piva. E in questo modo finì scorticato vivo da Apollo (Libro I, cap. 4, II).\nLa stessa vicenda è ripresa nelle Storie di Erodoto narrano che il Sileno Marsia era un satiro scorticato vivo da Apollo in una competizione musicale. La sua pelle fu messa pubblicamente in mostra ad Apamea di Frigia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Massime delfiche.\n### Descrizione: Le massime delfiche sono un insieme di 147 aforismi ritrovati inscritti fra le rovine dell'antica città di Delfi. Originariamente la tradizione riteneva che tali precetti fossero stati donati agli uomini dal dio greco Apollo per il tramite dell'Oracolo di Delfi, cioè la sacerdotessa Pizia. Lo studioso del V secolo, Stobeo, li attribuì in seguito ai Sette saggi della Grecia. Gli studiosi contemporanei, tuttavia, sostengono che la loro paternità originale è incerta e che 'molto probabilmente erano proverbi popolari, che in seguito sarebbero stati attribuiti a saggi particolari.' Forse la più famosa di queste massime è 'Conosci te stesso', che, secondo il viaggiatore e geografo Pausania, si trovava inciso nel pronao del Tempio di Apollo a Delfi.\nL'ordine specifico e la formulazione di ogni massima varia tra diverse versioni (e traduzioni) del testo.\n\nL'iscrizione di Ai-Khanoum.\nNelle rovine della città ellenistica di Ai-Khanum (ex Regno greco-battriano e moderno Afghanistan), su un Heroon (monumento funerario) identificato come tomba di Kineas (Κινέας, descritto anche come l'ecista - οἰκιστής, fondatore - dell'insediamento greco) e datato al 300-250 a.C., è stata trovata un'iscrizione che riporta parte delle massime delfiche (precetti dal n° 143 al 147):.\nGreco antico.\n\nπαῖς ὢν κόσμιος γίνου,.\nἡβῶν ἐγκρατής,.\nμέσος δίκαιος,.\nπρεσβύτης εὔβουλος,.\nτελευτῶν ἄλυπος.Italiano.\n\nDa fanciullo comportati bene,.\nda giovane (sii) controllato,.\nnell'età di mezzo giusto,.\nda anziano prudente,.\nalla fine della vita sereno.I precetti furono dati da un greco di nome Klearchos (Κλέαρχος), il quale potrebbe essere identificato con Clearco di Soli, il discepolo di Aristotele e che, secondo la stessa iscrizione, li aveva copiati da Delfi:.\nGreco antico.\n\nἀνδρῶν τοι σοφὰ ταῦτα παλαιοτέρων ἀνάκει[τα]ι.\nῥήματα ἀριγνώτων Πυθοὶ ἐν ἠγαθέαι·.\nἔνθεν ταῦτ[α] Κλέαρχος ἐπιφραδέως ἀναγράψας.\nεἵσατο τηλαυγῆ Κινέου ἐν τεμένει.Italiano.\n\nQuesti detti sapienti di uomini illustri d’un tempo.\nsono consacrati nella santissima Pito,.\ndonde Clearco, avendole trascritte fedelmente,.\n(le trasferì e) le collocò, brillanti lontano, nel santuario di Cinea.La relazione tra Kineas e Klearchos incarna la doppia natura di questa fondazione civica. Kineas fondò la città nel tardo quarto secolo, ma tre generazioni dopo Klearchos le diede il suo atto costitutivo intraprendendo la sua missione a Delfi. I due completavano le diverse parti di una tradizionale storia di fondazione greca, con Kineas che fondava la città e riceveva il culto e Klearchos che forniva la connessione pseudo-oracolare con Delfi. Klearchos potrebbe essere stato membro di una famiglia importante, forse persino un discendente di Kineas.\n\nLe 147 Massime Delfiche." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Medea (Rameau).\n### Descrizione: Medea (Medée) è una cantata scritta da Jean-Philippe Rameau.\nLe cantate profane di Rameau sono legate al periodo e all'attività in cui divenne organista nella Cattedrale di Clermont-Ferrand.\nAlcune delle cantate andarono perse nel tempo: oltre a Medea, Les Amants trahis, L'absence e L'Impatience.\nDi Medea i critici e gli studiosi di musica non riescono a dare una datazione certa: la sua composizione viene collocata fra il 1715 e il 1721. Altri la collocano nel periodo dal 1702 al 1706. Da alcune fonti viene anche ipotizzata una sua possibile riscrittura avvenuta in un tempo successivo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Medea. Voci.\n### Descrizione: Medea. Voci (Medea. Stimmen) è il titolo di un romanzo della scrittrice tedesca Christa Wolf pubblicato nel 1996.\nIn questo romanzo l'autrice ribalta la versione che ci è pervenuta da Euripide che vede Medea soprattutto come la madre che ha ucciso i propri figli e, riscrivendo il mito, propone una figura di donna, Medea appunto, che, come scrive Anna Chiarloni, è «una donna travagliata sì dall'amore, ma ancor più dall'incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide, per sua natura non incline alla violenza. Non un'infanticida dunque, al contrario una donna forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti fino a lapidarle i figli».\n\nTrama.\nTornati in Grecia dalla Colchide orientale, terra natia della principessa Medea, lei e il suo sposo Giasone, l'eroe capo degli Argonauti, decidono di mettere su famiglia. Infatti ora Giasone ha il pieno potere su tutta la Grecia (e specialmente sulla provincia di Corinto), dato che ha ucciso da solo il cattivo zio Pelia che gli usurpava il trono. Infatti proprio per un suo inganno Giasone ha dovuto intraprendere il viaggio con gli Argonauti dalla Grecia nel lontano Oriente per recuperare la reliquia sacra del Vello d'oro. Ora che ha compiuto entrambe le imprese (il recupero del Vello e lo spodestamento dello zio), Giasone fa procreare alla sposa Medea due bambini maschi.\nTuttavia la situazione si comincia ad incrinare quando Medea incomincia a rendersi conto di essere una presenza ostile ai cittadini civilizzati della Grecia. Infatti lei prima nella Colchide era una vera nobile (sebbene avesse delle usanze ancora rozze e barbare), ma ora in questa nuova terra non riesce a stare a suo agio: le mancano l'affetto del padre e dei familiari che è stata costretta ad abbandonare volutamente per amore di Giasone. Oltre ai suoi problemi di integrazione, ci si mettono anche i crudeli e cinici cittadini di Corinto che scelgono di farla scacciare via dalla città una volta per tutte, semplicemente per puro razzismo. Dopo il suicidio di Glauce (figlia del re di Corinto e promessa sposa di Giasone), gli abitanti di Corinto fanno ricadere su Medea la morte della giovane e mettono in atto il macabro e raccapricciante piano di uccidere i figli della protagonista, ancora una volta incolpata di questo crimine orrendo. L'opera crudele si compie e Medea vive disperata per la morte truce dei suoi pargoli lapidati. Sconsolata e segnata profondamente a vita, a Medea non resta che vagare per la Grecia sconosciuta e violenta, finché non termina i suoi giorni di agonia.\n\nIl mito originale.\nNelle storie originale specialmente nella tragedia di Euripide, Medea è sì una donna condannata dalla cattiveria occidentale del marito Giasone, che la tradisce con Glauce, ma ella comunque decide di agire e di vendicarsi in maniera terribile, addirittura recando dolori peggiori di quelli che le dette il marito unendosi con un'altra donna. Già prima che Giasone la sposasse Medea aveva dato grande capacità di cattiveria uccidendo il fratellino Absirto sulla nave Argo mentre era inseguita dal padre Eete, desideroso di vendicarsi contro Giasone per il furto del Vello d'oro. Giunti in Grecia, Giasone chiede allo zio Pelia di restituirgli il trono, ma costui rifiuta. Allora Medea escogita un inganno per ucciderlo e propone alle figlie del vecchio re di immergerlo in un pentolone enorme ripieno di un'acqua magica, che avrebbe ridato a Pelia la giovinezza. In realtà Medea ha versato nel grosso catino dell'acido e così Pelia quando vi viene gettato muore disciolto.Dopo lo sposalizio di Giasone con Glauce, Medea viene ripudiata, sebbene abbia già partorito i due figlioletti da una delle tante unioni con il consorte. Ora Medea desidera vendicarsi totalmente contro Giasone e così fa recapitare un dono alla sprovveduta e giovane Glauce: un lussuoso mantello che è avvelenato da un acido che si infiamma non appena viene a contatto con la pelle. Celebrate le nozze, Glauce indossa il mantello e improvvisamente viene avvolta da una nuvole enorme di fuoco che la divora in un batter d'occhio, riducendola ad un pezzo di carbone. Giasone infuriato si precipita in casa di Medea (perché era già a conoscenza dei disturbi di Medea) e quando giunge trova la moglie che ha sgozzato i due figlioletti e che ha appiccato il fuoco alla casa, portando con sé i due piccoli cadaveri in modo che il padre non possa piangerli. Giasone prova ad ucciderla ma Medea, in quanto potente maga e soprattutto nipote del dio Elio che le fornisce un carro, si libra in cielo sparendo e lasciando il marito con il suo dolore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Medea.\n### Descrizione: Medea (in greco antico: Μήδεια?, Mḕdeia) è una figura della mitologia greca, figlia di Eete, re della Colchide, e di Idia.\nNe Le Argonautiche di Apollonio Rodio era indicata come nipote di Elio e della maga Circe; al pari di quest'ultima era dotata di poteri magici.\nSecondo la variazione del mito proposta da Diodoro Siculo, il Sole, Elio, ebbe due figli, Perse e Eete; Perse ebbe una figlia, Ecate, potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eete. Da questa unione sarebbero nati Medea ed Egialeo (o Apsirto).\n\nMito.\nMedea è uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa 'astuzie, scaltrezze'. Citata fin dalla Teogonia di Esiodo, è descritta come una figura dotata di poteri divini equiparabile alla concezione moderna di 'maga'.\nQuando Giasone giunge nella Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro, capace di guarire le ferite, custodito da un feroce e terribile drago per conto di Eeta, lei se ne innamora perdutamente. E, pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo, giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Iolco con il Vello d'Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello.\nMedea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l'inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l'amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un 'pharmakón', dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente: dimostra la validità della sua arte riportando un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.\n\nLa Medea di Euripide.\nSono passati dieci anni, Creonte, re della città di Corinto, vuole dare la sua giovane figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e cerca inutilmente di far accettare la cosa a Medea, che triste si dispera per l'abbandono e il nuovo esilio, imposto da Creonte, timoroso di sue vendette.\nMedea manda a chiamare Giasone, gli ricorda il loro passato e le volte che gli era venuta in aiuto, ma di fronte all'ingratitudine e all'indifferenza di Giasone, si adira e medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, fa credere di volersi rappacificare con la nuova famiglia del marito per il bene dei figli e manda come dono nuziale una veste finissima e una corona d'oro alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che i doni sono intrisi di un potente veleno, li indossa, per poi morire fra fiamme e dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore atrocemente.Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo Euripide, per assicurarsi che Giasone soffra e non abbia discendenza, dopo un'angosciosa incertezza vince la sua natura di madre e uccide i loro piccoli figli (Mermero e Fere) avuti da lui. Secondo Diodoro Siculo i figli che Medea aveva avuto da Giasone erano però tre: i due gemelli Tessalo e Alcimene e Tisandro.\nFuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa il re Egeo, dal quale ha un figlio, Medo; Egeo aveva precedentemente concepito con Etra un figlio, Teseo. Medea vuole lasciare il trono di Atene a Medo, ma Teseo giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo.\nTorna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eete.\n\nLa Medea di Ovidio.\nOvidio tratta del mito di Medea in tre distinte opere: le Heroides, le Metamorfosi e la tragedia Medea, andata perduta.\nNel primo testo è la donna a parlare cercando di commuovere il marito, ma il racconto si interrompe prima del compimento della tragedia e il suo completamento è possibile al lettore solo attraverso la memoria letteraria. La Medea delle Metamorfosi è ben diversa: essa oscilla tra ratio e furor, mens e cupido, riprendendo, almeno in parte, la giovane tormentata dai rimorsi di Apollonio Rodio, divisa tra il padre e Giasone. Medea si dilania tra incertezza, paura, commozione e compassione.\nLa metamorfosi avviene in modo repentino ed è possibile rintracciarla attraverso il confronto tra la scena dell'incontro con Giasone nel bosco sacro e il ringiovanimento del padre dell'amato: se nel primo caso appare come un medico antico, nel secondo utilizza esplicitamente la parola 'arte' (vv.171-179) mostrandosi come una vera strega.\nAnche Ovidio riprende la scena del carro, presente già in Euripide e successivamente in Seneca, ma se in questi due casi l'episodio è inserito alla fine del racconto, Ovidio lo colloca a metà della narrazione: in tal modo Medea perde le sue qualità umane e il mondo reale cede il posto a quello fantastico.\nAll'inizio della Metamorfosi, Medea è la protagonista assoluta, ma pian piano cessa di essere un'eroina in cui il lettore può identificarsi e diviene un personaggio che appare e scompare come per magia.\nIl pathos del finale non è sfruttato al massimo: Medea è divenuta una vera strega e quindi non soffre dell'infanticidio commesso né potrebbe soffrire di un'ipotetica punizione.\n\nLa Medea di Draconzio.\nNella parte introduttiva Draconzio afferma di voler fondere tutti i motivi tipici del mito di Medea; lo fa invocando la Musa Melpomene e la Musa Calliope.\nMedea e Giasone appaiono tutti mossi dal destino e dalla volontà degli dei, legati come sono agli scontri tra Venere e Diana. Infatti la dea della caccia, sentendosi tradita per il matrimonio della sua sacerdotessa, scaglia una maledizione contro di lei. Maledizione che, alla fine, darà luogo alla morte del marito e dei figli.\nAll'inizio Medea è descritta come una 'virgo cruenta', ma viene definita maga solo al verso 343.\nCaratteristica di questo racconto è che è la donna a rubare il vello d'oro donandolo poi a Giasone, che appare per tutta la narrazione una figura passiva.\nAnche quando entra in scena Glauce l'eroe è semplice oggetto del desiderio, che la giovane otterrà anche a costo di rompere il legame matrimoniale che lo vincola. Entrambe le donne trasgrediscono così le norme morali: da un lato Medea tradisce la dea Diana, dall'altro Glauce porta al tradimento Giasone.\nDurante le nozze l'attenzione si concentra sulla coppia mentre Medea prepara la vendetta: sarà lei a donare a Glauce la corona da cui prenderà fuoco l'intero palazzo.\nMa il punto culminante della tragedia è il sacrificio che Medea offre a Diana: i suoi figli, sicché l'infanticidio non è più condotto per vendetta, ma come richiesta di perdono.\nNella scena finale l'autore riprende l'episodio del carro, ma questa volta il volo della donna ha valore semantico e non narrativo: Medea si riunisce a Diana e ritorna la 'virgo cruenta' dell'inizio della narrazione, lasciando a terra tutto ciò che era ancora legato a Giasone.\n\nOpere derivate (parziale).\nDanza.\nLetteratura.\nMusica.\nPittura.\nScultura.\nMedea (originale del 1865), scultura di William Wetmore Story.\nStatua di Medea (Batumi), scultura di Davit Khmaladze.\n\nCinema.\nTeatro.\nTelevisione.\nI figli di Medea (1959), regia di Anton Giulio Majano.\nMedea (1969), regia di Pier Paolo Pasolini.\n\nAltre apparizioni.\nIn Fate/stay night, un visual novel giapponese, Medea è evocata come il servant di classe caster. In base alla route avrà un ruolo più o meno importante, sempre come antagonista nei confronti del protagonista." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Medesicasta.\n### Descrizione: Medesicasta (in greco antico: Μηδεσικάστη?, Mēdesikástē) o Medesicasti o Medesicaste è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Troia.\n\nGenealogia.\nEra figlia di Laomedonte.\nNon ci sono notizie di sposi o progenie.\n\nMitologia.\nMedesicasta, sorella di Priamo, sopravvisse alla guerra di Troia e fu fatta prigioniera dagli uomini di Protesilao insieme a due delle sue sorelle (Etilla ed Astioche).\nIl lungo viaggio fu percorso via mare e la ragazza cercò di coinvolgere tutte le schiave della nave per bruciarla e riuscendo nel loro intento, costrinsero i greci attraccare alla terra più vicina ed una volta stabilitisi fondarono una città chiamata Scione.\nApollodoro posiziona l'evento in Italia vicino al fiume Nauaethus e scrive che le schiave (chiamate Nauprestides) ed i greci si stabilirono lì.\nSecondo Strabone, il fiume siciliano Neaethus (una variante per 'Nauaethus') fu chiamato così perché quando i greci che si erano allontanati dalla flotta sbarcarono li vicino e si diressero nell'entroterra per esplorare il paese, le donne troiane che erano con loro osservarono la fertilità della terra e decisero di incendiare le navi per ottenere che gli uomini restassero lì." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Medo (mitologia).\n### Descrizione: Medo (in greco antico: Μῆδος?, Mêdos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Medea e di Egeo, quest'ultimo era un re di Atene.\n\nMitologia.\nSua madre Medea (una maga in grado di compiere sortilegi), fece di tutto per evitare che il figliastro Teseo (il figlio primogenito di Egeo avuto da Etra), potesse succedere al trono al posto di Medo, così affidò a Teseo l'impresa di catturare il Toro di Creta e Teseo ci riuscì.\nPoi Medea porse a Teseo un calice di vino avvelenato ma Egeo riconobbe il figlio primogenito in quel momento e lo salvò.\nMedea infine, cercò di tornare nella Colchide portando Medo con sé ma un naufragio li lasciò sulle coste della Colchide e furono ritrovati dai locali. Un oracolo aveva predetto a quelle genti di diffidare di loro due, così Medo disse loro di essere il figlio di Creonte (il re di Corinto) e che stava portando Medea dal padre per essere punita dall'omicidio di Creusa ma non fu creduto e fu arrestato.\nIn quel periodo in quelle terre c'era la carestia così Medea, tramite un sortilegio giunse di fronte al re a bordo di un carro trainato da draghi e dicendo di essere una sacerdotessa di Artemide venuta a liberare il paese dalla fame. Il re non diffidò e gli disse di avere come prigioniero il figlio del re di Tebe (Medo) che consegnò a lei.\nMedea chiede al re una spada e la porse a Medo che così uccise il re della Colchide e governò al suo posto.\nSuccessivamente soggiogò altri popoli ed incorporò le loro terre nel suo impero ed alla fine morì durante una campagna in India." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Megara (mitologia).\n### Descrizione: Megara (in greco antico: Μεγάρα?, Megára) è una figura della mitologia greca, figlia di Creonte, re di Tebe.\n\nMitologia.\nVenne data in sposa ad Eracle da Creonte, come ricompensa per l'aiuto che il semidio aveva dato alla città di Tebe.\nMegara venne violentata da Lico durante un periodo di assenza di Eracle, il quale fu colto da una rabbia incontrollabile quando venne informato dell'accaduto e al suo ritorno uccise Lico; ma subito dopo Era lo rese folle, cosicché egli uccise la stessa Megara e i figli che aveva avuto con lei, o, secondo fonti più tarde, solamente i propri figli. Secondo questa versione del mito, Megara impazzì di dolore e costrinse il marito al suicidio, per poi sparire completamente dalla scena fino alla morte dell'eroe, quando verrà data in sposa al suo aiutante Iolao ed avrà da quest'ultimo Leipefilene.\nCosì Igino la cita nelle sue Fabulae:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mela (figlio di Frisso).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Mela (in greco antico: Μέλας?, Mélas), o anche Melanione, è uno dei figli di Frisso e Calciope. Insieme ai suoi fratelli Argeo, Frontide e Citissoro, fece naufragio al largo della Colchide, e fu salvato dagli Argonauti. I quattro si unirono quindi alla spedizione alla conquista del vello d'oro.\nCon Euriclea, figlia di Atamante e Temisto, divenne padre di Iperete.\nIl Golfo di Saros, conosciuto nell'antichità come 'Golfo di Mela', deriverebbe il nome da questo personaggio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mela (figlio di Licimnio).\n### Descrizione: Mela, (in greco antico: Μέλας?) un personaggio della mitologia greca, uno dei figli di Licimnio e di Perimede.\n\nMitologia.\nAveva due fratelli Eono e Argeio.\nAmico e compagno di guerra insieme ad Argeio di Eracle andò a combattere Eurito il re di Ecalia trovandovi la morte insieme al fratello. Il semidio, loro lontano parente li seppellì entrambi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Melampo (figlio di Amitaone).\n### Descrizione: Melampo (in greco antico: Μελάμπους?, Melàmpūs) è un personaggio della mitologia greca, discendente di Eolo e figlio di Amitaone e di Idomenea.\nFu padre di Abante, Mantio, Antifate e Pronoe.\n\nMitologia.\nIl suo epiteto nacque dal fatto che quand'era bambino sua madre fasciandolo gli lasciò un piede scoperto che prese l'abbronzatura dal sole.\nGuarì dalla pazzia le figlie di Preto, re di Tirinto, facendole bere da una fonte in cui aveva buttato una pianta che si credeva fosse in grado di guarire la pazzia, l'elleboro, e sposò Ifianassa.\nGuarì anche Ificlo, figlio del re Filaco, dalla sua sterilità poiché scoprì da un uccello chiamato αἰγυπιός (aigypiós, 'avvoltoio') che Ificlo aveva perso il potere di fare figli nel momento stesso i cui aveva visto suo padre intento a castrare dei montoni con un coltello. A quella vista, Ificlo era fuggito spaventato, e il padre gli aveva scagliato dietro il coltellaccio insanguinato, che era andato a conficcarsi in un albero. Con il passare del tempo, crescendo, l'albero aveva assorbito il coltello, ormai arrugginito.\nL'aigypiós disse a Melampo che per guarire Ificlo avrebbe dovuto estrarre il coltello dall'albero, grattare la ruggine, versarla in un bicchiere e farla bere al figlio di Filaco.\nDopo aver bevuto la pozione Ificlo guarì." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Melanione.\n### Descrizione: Melanione ('Cacciatore nero') o Ippomene è una figura della mitologia greca, era figlio di Onchestrio.\n\nMitologia.\nMelanione si innamorò di Atalanta e supplicò Afrodite di aiutarlo. Atalanta sottoponeva tutti i suoi pretendenti ad una prova di corsa, uccidendo tutti quelli che non riuscivano a batterla.\nAfrodite diede a Melanione tre mele d'oro e gli indicò come utilizzarle. Per tre volte Melanione ne fece cadere una durante la corsa: tutte le volte Atalanta si fermò per raccoglierle, permettendo a Melanione di vincere e sposare la principessa.\nMelanione si mostrò ingrato verso la dea che l'aveva aiutato. Artemide li indusse a profanare un tempio di Cibele e Afrodite li punì trasformandoli in leoni.\nAlcuni autori indicano che dalla loro unione nacque Partenopeo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Melanippe (amazzone).\n### Descrizione: Melanippe (in greco antico: Μελανίππη?, Melaníppē) è un personaggio della mitologia greca. A seconda delle versioni, fu un comandante o una regina delle Amazzoni.\nCompare nei miti di Eracle e di Teseo e le sue gesta spesso s'incrociano con quelle di altre due regine Amazzoni (Ippolita e Antiope), tanto da far supporre che i tre nomi corrispondano a stretti legami di parentela o addirittura allo stesso personaggio.\n\nGenealogia.\nFiglia di Ares.\nSecondo alcune versioni fu lei la madre di Ippolito.\n\nMitologia.\nFu catturata nella battaglia (o in un'imboscata) avvenuta nei pressi di Temiscira (la nona delle dodici fatiche di Eracle) e per liberarla, la regina della Amazzoni Ippolita offrì ad Eracle la sua cintura.\nOppure, e nella stessa battaglia, fu lei l'amazzone catturata da Teseo e portata ad Atene.\nOppure fu uccisa da Telamone (un compagno di Eracle) durante la battaglia.\n\nMosaico delle amazzoni.\nL'amazzone Melanippe è raffigurata a cavallo, con un seno scoperto, mentre caccia un leone ed altre fiere assieme a tre sue compagne o sorelle amazzoni, Pentesilea, Antiope e Ippolita, in un mosaico romano del III secolo d.C., scoperto nel 2006 nell'antica Edessa, presso Şanlıurfa (Turchia) nella cd. 'Villa delle Amazzoni'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Melanippo (figlio di Astaco).\n### Descrizione: Melanippo (in greco antico Μελάνιππος) o Menalippo era un personaggio della mitologia greca, un tebano, figlio di Astaco.\n\nMitologia.\nPersonaggio senza dubbio essenziale all'interno della Tebaide di Publio Papinio Stazio, fu uno dei difensori di Tebe che vennero attaccati dai cosiddetti 'Sette contro Tebe'.\nRiuscì a ferire a morte il re Tideo, ma a sua volta perì nella battaglia. Tideo, ricoverato nella sua tenda e in fin di vita, diede ordine che venisse mozzata la testa al cadavere di Melanippo: una volta impugnato il cranio egli si mise a morderlo furibondo.Nel Canto XXXII dell'Inferno Dante usa la storia di Tideo e Melanippo (chiamato qui 'Menalippo') come termine di paragone con la visione di Ugolino della Gherardesca che morde il cranio dell'arcivescovo Ruggieri." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Melanippo (figlio di Teseo).\n### Descrizione: Melanippo (in greco antico Μελάνιππος) era un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nFiglio di Teseo e Perigune, figlia di Sini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Melanto (Odissea).\n### Descrizione: Melanto è un personaggio della mitologia greca che compare nell'Odissea di Omero.\nEra la sorella del capraio Melanzio e una delle ancelle di Penelope, che l'aveva cresciuta fin da piccola. Tuttavia si schierò dalla parte dei pretendenti e fu l'amante di Eurimaco. Fu fra le ancelle la più prepotente: non è chiaro se fu impiccata sotto ordine di Telemaco insieme alle altre serve infedeli dopo il massacro dei pretendenti (Od. XXII, 461-473)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Melanto (figlia di Deucalione).\n### Descrizione: Melanto o Melanteia è un personaggio della mitologia greca, figlia di Deucalione.\nSecondo alcune tradizioni, con il nome di Melanteia, avrebbe avuto una figlia dal dio fiume Cefiso o da Iamo, chiamata ora Melene, ora Melenide, ora Celeno, la quale a sua volta sarebbe stata madre dell'eroe eponimo di Delfi, Delfo.\nSecondo una diversa tradizione, con il nome di Melanto sarebbe stata lei stessa madre di Delfo, generato da Poseidone, unito a lei sotto forma di delfino." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Meleagridi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca le Meleagridi erano le figlie di Altea e Oineo, sorelle di Meleagro. Quando loro fratello morì, Artemide impietosita dal loro dolore le trasformò in faraone. La più nota delle Meleagridi era Melanippe ed altre note sono Eurimede, Motone, Perimede e Polisso.\nDa questa leggenda deriva il nome scientifico di alcune specie di questi uccelli, ad esempio Numida meleagris e Agelastes meleagrides.\nAnche il nome con cui si identifica la famiglia animale a cui appartiene il tacchino, meleagrididae, si rifà al mito delle sfortunate sorelle. In lingua veneta anche oggi i tacchini si chiamano 'Piti', s.f. 'Pita' ; s.m 'Pito' e quindi si rimanda anche a questo arcaico nome per ricordare il mito.\nLa leggenda delle Meleagridi è raccontata da Ovidio (Met. VIII, 526-546).\n\nWikizionario contiene il lemma di dizionario «Meleagridi»." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Meleagro.\n### Descrizione: Meleagro (in greco antico: Μελέαγρος?, Meléagros) è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe di Calidone e un Argonauta, e partecipò alla caccia al cinghiale calidonio.\n\nGenealogia.\nFiglio di Oineo o di Ares e di Altea, sposò Cleopatra Alcione e fu padre di Polidora.\nCon Atalanta fu padre di Partenopeo.\n\nMitologia.\nApollonio Rodio lo elenca tra gli Argonauti ma non riferisce nulla a riguardo di sue imprese particolari.\nLa leggenda principale che riguarda questo personaggio lo vede protagonista della caccia al cinghiale calidonio ed è probabilmente legata alla trascrizione di un racconto popolare e legato ad un'opera perduta (le Pleuronie di Frinico), ma sul seguito della sua esistenza esistono due versioni distinte e di cui una vede la sua vita finire poco dopo l'uccisione dell'animale e l'altra che lo descrive impegnato a combattere in una guerra contro i Cureti ed avvenuta tempo dopo.\nPausania conferma la doppia versione del mito parlando di due altre opere perdute (Catalogo delle donne e Miniadi) e scrivendo che quei testi dicevano che Meleagro fu ucciso da Apollo che combatteva al fianco dei Cureti.\n\nL'anatema delle Moire.\nQuando furono passati sette giorni dalla sua nascita, le Moire si presentarono alla madre e predissero che il bambino sarebbe vissuto fino a quando il ciocco di legno che stava bruciando nel focolare non si fosse consumato e così, per salvaguardare la vita del figlio, Altea tolse quel tizzone dal fuoco e lo depositò in una cassa.\n\nLa caccia al cinghiale.\nDopo un abbondante raccolto suo padre Oineo aveva offerto un sacrificio a tutte le divinità dimenticandosi però di onorare Artemide che per ritorsione inviò nelle terre di Calidone un cinghiale di proporzioni enormi che devastava i campi ed uccideva chiunque uscisse dalle mura della città.\nPer abbattere l'animale il padre fece appello a molti eroi ed una volta riunito il gruppo li affidò al figlio che diede inizio alla battuta di caccia. Tra di loro si presentò anche Atalanta, una bellissima cacciatrice che infatuò Meleagro e donna con cui desiderò avere un figlio nonostante fosse già sposato con Cleopatra.\nAtalanta, tra tutti i tentativi fatti dagli altri cacciatori per colpire l'animale, fu la prima a ferire il cinghiale, che di lì a poco cessò di correre e di caricarli e che fu infine ucciso da Meleagro con un colpo di giavellotto.\n\nL'amore e la morte.\nPer amore, cavalleria o riconoscenza, Meleagro consegnò la testa e la pelle dell'animale come trofeo ad Atalanta, ma Plessippo e Tosseo (fratelli di Altea e quindi zii di Meleagro) protestarono dicendo che il trofeo, qualora non fosse trattenuto dal suo uccisore, doveva essere consegnato a loro; ne nacque una lite e Meleagro reagì uccidendoli entrambi.\nAltea, che sulle prime fu contenta per la morte del cinghiale, quando seppe che il figlio aveva ucciso i suoi fratelli prese il ciocco di legno legato alla vita del figlio e lo mise su un braciere, uccidendo così il figlio.\n\nMeleagro nell'Iliade.\nNel IX libro dell'Iliade Fenice, il tutore di Achille, quando si reca da lui per chiedergli di riprendere le armi, gli racconta la vicenda di Meleagro.\nLa versione della storia raccontata da Fenice coincide con quella precedentemente esposta fino all'abbattimento del cinghiale. Fenice però, anziché raccontare ad Achille della vita dell'eroe che termina quando il tizzone rimesso sul fuoco da Altea finisce di bruciare, dice che Artemide (non soddisfatta dell'esito della sua punizione verso Oineo) fece in modo che dal litigio sul trofeo si generasse una guerra tra gli Etoli Calidoni ed i Cureti abitanti di Pleurone (da cui il titolo della tragedia di Frinico) e che, a causa della presenza di Meleagro nelle file dei Calidoni, gli avversari non riuscivano a sopraffarli.\nNella versione di Omero Atalanta non figura tra i cacciatori del cinghiale ed ha più spazio la moglie di Meleagro, Cleopatra, poiché durante l'assedio di Calidone gli parla del triste destino delle città conquistate; inoltre l'evento dell'uccisione degli zii materni non avviene più subito dopo l'abbattimento del cinghiale, bensì durante una battaglia della guerra di cui Fenice continua a raccontare ad Achille.\nDi Altea, infine, Omero scrive che dapprima giurò la morte per suo figlio nel nome di Ade e Persefone ma che poi, dopo che il figlio si è ritirato dal combattimento, lo implora invano quando gli avversari assalgono le mura della città.\nLa versione di Omero si conclude dicendo che le Erinni escono dall'Erebo per rispondere alle invocazioni di morte pronunciate da Altea ma, nonostante la città dei Calidoni fosse già in fiamme, non dice che l'eroe muore dopo essere ritornato in battaglia per scongiurare la caduta della stessa.\n\nAltri pareri.\nNel Catalogo delle donne, di cui ci è pervenuta solo la fine della storia, sembra che Meleagro venga ucciso da Apollo mentre combatte sotto le mura di Pleurone e Pausania aggiunge che il dio è l'alleato dei Cureti e come sue fonti cita sia il Catalogo di Esiodo sia il perduto poema epico Miniadi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Melia (amante di Apollo).\n### Descrizione: Melia (in greco antico: Μελία?, Melia) è un personaggio della mitologia greca, una ninfa Oceanina figlia di Oceano e di Teti. È conosciuta anche come Ismene, ed è talvolta identificata con un'altra Melia, regina di Argo, a causa del fatto che i due personaggi condividono gli stessi genitori.\n\nMitologia.\nAmata da Apollo divenne madre di Tenereo ed Ismeno.\nOceano, preoccupato della scomparsa della figlia inviò Caanto al suo recupero e lui la ritrovò a Tebe in compagnia del dio Apollo che lo uccise con una freccia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Melicerte.\n### Descrizione: Melicerte (in greco antico: Μελικέρτης?, Melikèrtēs) o Palemone (in greco antico: Παλαίμων?, Palàimōn) è una figura della mitologia greca, figlio di Atamante, re di Beozia e di Ino.\nFu fratello di Learco.\n\nMitologia.\nLa dea Era come punizione di aver accolto e allevato Dioniso, figlio illegittimo di Zeus avuto da Semele e sorella di Ino, fece impazzire i due coniugi (Atamante ed Ino) per ottenere che il padre uccidesse Learco sfracellandolo sulle rocce e che la madre gettasse in un calderone bollente Melicerte. La madre però, rinsavita, raccolse il cadavere del figlio e si gettò con lui in mare (secondo il mito, dalla roccia molare di Megara).\nAfrodite provò pietà per Melicerte (suo pronipote) e così pregò Poseidone di salvarli. Il dio del mare tolse a loro le scorie mortali e li cambiò nel nome ed aspetto tramutandoli in divinità marine. Così la madre Ino divenne Leucotea e Melicerte divenne Palemone.\nMelicerte per i latini divenne Portuno; divinità che protegge i porti.\nSecondo altre fonti il corpo esanime di Melicerte fu portato da un delfino fino all'istmo di Corinto e depositato sotto un pino. Qui fu trovato da suo zio Sisifo ed in seguito per ordine delle Nereidi istituì i Giochi istmici e dei sacrifici in suo onore.\n\nLa stirpe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Melissa (mitologia).\n### Descrizione: Melissa (in greco antico: Μέλισσα, Melissa) è una ninfa della mitologia greca.\nIl suo nome è collegato al termine μέλι (méli, miele) e mélissa ha il significato di 'produttrice di miele', ossia di ape.\nMelissa fu incaricata di allevare il dio Zeus fanciullo, nascosto sul monte Ida dalla madre Rea per sfuggire al padre Crono, il quale divorava tutti i suoi figli neonati per evitare di essere spodestato da uno di loro, come aveva predetto un oracolo. Melissa ebbe il compito di nutrirlo con il miele, mentre la capra Amaltea lo allattava. Curò anche Amaltea quando il dio le spezzò per errore un corno, che poi divenne la cornucopia.\nSecondo un altro mito eziologico greco Melissa fu amata dal dio Apollo, che trascurò per lei il suo compito di guidare il carro del sole, e fu quindi trasformata in ape.\n\nVoci correlate.\nMelisseo.\n\nCollegamenti esterni.\nMelissa, in Enciclopedia dell'arte antica, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Melisseo.\n### Descrizione: Melisseo (greco antico: Μελισσεύς, Melisseus, con il significato di uomo-ape o uomo-miele) era la divinità greca del miele.\nLa sua mitologia è in genere associata con l'isola di Creta e con la nascita di Zeus.\n\nMitologia.\nL'ascendenza di Melisseo varia nelle fonti: è detto essere figlio di Urano e Gea, di Caristo, o di Saoco e Combe. Nella maggior parte delle versioni è considerato il padre di Adrastea, Ida e Altea, le tre nutrici che allevarono il piccolo Zeus sul Monte Ida, a Creta. Il dio bambino veniva nutrito con latte e miele, il latte della capra-ninfa Amaltea e il miele di Melisseo.\nMelisseo viene indicato alternativamente come uno dei Cureti o dei Coribanti. Secondo Nonno di Panopoli, Melisseo era il maggiore dei nove Cureti, i daimon del monte Ida, che si scontrarono con le loro lance e scudi per soffocare con il frastuono i lamenti del bambino Zeus, in modo che suo padre, Crono, non potesse localizzarlo. Secondo altre versioni, Melisseo era il re di Creta al tempo della nascita di Zeus, e il padre di Adrastea e Ida.Nelle culture egea e cretese, il miele fermentato (idromele) ha preceduto il vino nella sua funzione di enteogeno, e quindi il culto del miele a Creta è molto antico, ed è collegato al culto arcaico della Grande Madre, che verrà identificata prima con Demetra e successivamente con Rea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Memnone (mitologia).\n### Descrizione: Memnone (AFI: /ˈmɛmnone/; forma antiquata Mennone, /ˈmɛnnone/ o /menˈnone/; in greco antico: Μέμνων?, Mémnōn, 'colui che tiene duro') è un personaggio della mitologia greca, re di Persia e d'Etiopia, dalla parte dei Troiani nell'ultimo anno della guerra di Troia, dove perì per mano di Achille.\n\nMitologia.\nOrigini, infanzia e giovinezza.\nMemnone era un semidio, in quanto figlio di Titone (fratello del re troiano Priamo) e di Eos (l'Aurora).\nFratello minore di Emazione, come lui aveva la pelle color scuro (in quanto da bambini avevano accompagnato con la madre Eos ogni giorno in cielo il cocchio del Sole): i due per il resto erano diversissimi in tutto poiché Emazione era un uomo brutale ed efferato, mentre Memnone una persona leale ed estranea a crudeltà verso i popoli sottomessi. Emazione divenne re dell'Etiopia e si scontrò con Eracle quando questi, dopo aver ucciso Busiride in Egitto, stava discendendo lungo il fiume Nilo. Memnone, che a quel tempo era ancora un fanciullo, regnava invece nella città persiana di Susa, in un enorme palazzo di pietre bianche e gemme colorate fatto costruire dal padre Titone che, in precedenza era emigrato da Troia nel Vicino Oriente dove aveva poi fondato la città. Gli abitanti di Susa furono anche chiamati Cissi, dal nome della madre adottiva di Memnone, Cissia. Divenuto re, Memnone espanse i confini del suo regno conquistando moltissimi territori ma non Troia, dominio dello zio Priamo.\nMemnone era stato allevato dalle Esperidi. Il suo palazzo, che si ergeva in cima ad una acropoli, sarebbe rimasto in piedi sino alla conquista persiana. Dopo aver ucciso Emazione, Eracle affidò il regnò d'Etiopia a Memnone, che ampliò così il suo già grandissimo dominio.\n\nLa morte.\nQuando Ettore morì nel duello contro Achille, Memnone fu convocato come alleato a Troia. Il figlio di Eos portò con sé 20.000 etiopi, 2.000 susiani, un imprecisato numero di indiani e un'armatura forgiata dallo stesso Efesto, cui si aggiunsero i guerrieri mandati dal re assiro Teutamo, ossia mille uomini tra susiani, assiri e indiani, con duecento carri. Si sostiene che egli raggiunse Troia attraversando l'Armenia in testa a un poderoso numero di persiani, etiopi ed indiani, mentre un secondo esercito comandato da Falanto, su suo ordine, salpava dalla Fenicia.\nSotto le mura di Troia dimostrò coraggio e valore, uccidendo diversi guerrieri achei e arrivando a ferire Aiace Telamonio (fu forse l'unico nemico a riuscirci veramente oltre a Ettore, Sarpedonte ed Enea). Inseguì il carro di Nestore, il cui auriga era stato ucciso da Paride, e ammazzò Antiloco che era accorso in aiuto del padre. Il corpo del giovane fu anche preso dai guerrieri etiopi ma, prima che fosse spogliato delle armi, fu recuperato da Achille, particolarmente affezionato ad Antiloco.\n\nMemnone duellò dunque contro il Pelide e si dimostrò un guerriero non inferiore a lui (le armi divine che possedeva riuscirono perfino a scalfire la pelle di Achille che, come noto, era vulnerabile solo nel tallone) ma alla fine venne decapitato dal suo nemico. L'esercito etiope, rimasto senza un condottiero, si disperse, e tutti i suoi guerrieri fuggirono da Troia.\nEos pianse molto la morte del figlio e il cielo fu ricoperto da nubi, mentre il suo pianto disperato formò la rugiada. Per volere di Zeus dalle ceneri di Memnone, che era stato bruciato sullo stesso rogo di Antiloco, nacquero due schiere di uccelli immortali (detti 'Memnonidi') che ogni anno combattono fra loro sul cielo di Troia.\nOmero parla di Memnone nell'Odissea come il più bello tra tutti i guerrieri che presero parte alla guerra di Troia. Le sue gesta erano narrate anche nel poema Etiopide, di cui non ci è rimasto quasi nulla. Eschilo gli dedicò una trilogia, andata interamente perduta; in una delle tre tragedie, la Psicostasia, interveniva Zeus (cosa insolita per un pezzo teatrale), che pesava su una bilancia i destini di Memnone e Achille. Un cenno all'eroe viene inoltre fatto nell' Eneide, mentre l'origine degli uccelli Memnonidi è descritta nelle Metamorfosi di Ovidio.\nNel III secolo d.C., in aperta riscrittura di Omero, nel suo Eroico Filostrato nega che egli avesse partecipato alla guerra di Troia: il semidio sarebbe morto in Etiopia dopo un'esistenza pari a quella di cinque generazioni.\n\nVittime di Memnone.\nStando alle fonti, nei combattimenti, Memnone uccise un totale di tre tra gli eroi nemici:.\n\nTerone, seguace dell'anziano Nestore.\nEreuto, seguace dell'anziano Nestore.\nAntiloco, eroe acheo, figlio di Nestore.\n\nLe statue di Memnone.\nDue statue colossali erette sulle rive del Nilo, che in realtà raffigurano il faraone Amenofi III, furono identificate coll'eroe. Spesso una di esse, al levarsi dell'aurora, emetteva un rumore che venne interpretato come il saluto alla madre." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Menadi.\n### Descrizione: Le Menadi (in greco antico: μαινάς [-άδος, ἡ]?; dal greco antico: μαίνομαι «essere folle»), dette anche Baccanti, Bassaridi, Tiadi o Mimallonidi, erano donne in preda alla frenesia estatica e invasate da Dioniso, il dio della forza vitale. Più propriamente, le menadi erano le seguaci mitologiche del dio, mentre sono denominate 'Baccanti' le donne che storicamente hanno venerato il dio.\n\nMitologia.\nIl termine Menadi deriva da Menio, re di Orcomeno, città beota vicino a Tebe.\nSecondo il racconto contenuto ne Le metamorfosi di Antonino Liberale, le tre laboriose figlie di Menio (dette Menadi) erano disinteressate al culto di Dioniso. Quest'ultimo, però, irritatosi, invase le sorelle e le condusse alla pazzia, all'infanticidio e all'omofagia.\nIl racconto termina con l'intervento di Hermes che tramuta le donne, ormai diventate incontenibili Baccanti, in tre volatili notturni (pipistrello, civetta e gufo).\nVestite di nebris o altre pelli animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, esse celebravano il dio cantando, danzando e vagando come animali per monti e foreste.\nPraticavano lo sparagmòs dal greco σπαραγμός, cioè squartavano gli animali per poi mangiare la carne cruda (omofagia).\nSolitamente agitavano il tirso, cioè una picca avviluppata dall'edera sulla sommità (vedi, ad esempio il verso 'danzar, vibrar, squassare il tirso bacchico' de Le Baccanti di Euripide). Catullo scrive (Carmina, LXIV, 255) che le Baccanti invocavano il dio al grido di 'Euhoe Bacche'.\nLa mitologia greca racconta che le Menadi accompagnavano il dio Dioniso nei suoi viaggi, costituendo anche un reparto del suo esercito nel suo viaggio in India.\nIl culto praticato dalle Menadi fa da sfondo a una delle più importanti tragedie di Euripide intitolata Le Baccanti.\nDalle Menadi e dal mito di Dioniso trae le proprie origini un culto, verosimilmente mistico, definito 'menadismo', in cui era previsto anche un rituale caratterizzato dalla consumazione di carni crude (omofagia).\nUna menade è anche il soggetto di una delle più importanti opere artistiche dello scultore Skopas, la Menade danzante (330 a.C.), di cui sopravvive solo una copia romana alta 45 centimetri, esposta all'Albertium Museum di Dresda. L'originale faceva un tempo parte di un complesso scultoreo, andato perso, che comprendeva la raffigurazione di Dioniso e del suo corteo.Nell'iconografia classica le menadi vengono raffigurate come l'oggetto del desiderio dei satiri tra le braccia dei quali vengono spesso raffigurate.\nLe Baccanti vengono anche nominate nella leggenda di Orfeo ed Euridice: Orfeo, dopo aver perso per la seconda volta Euridice, vaga per i boschi, dove incontra proprio un gruppo di Baccanti, che invitano Orfeo a festeggiare insieme con loro. Ma Orfeo, dopo la morte di Euridice non vuole più compagnie femminili, e le Baccanti, offese, lo uccidono. Così Orfeo può scendere agli Inferi e riunirsi alla sua amata Euridice.\n\nOpere teatrali.\nLe Baccanti, tragedia di Euripide.\nLe Baccanti, dramma di Erik Johan Stagnelius.\n\nOpere cinematografiche.\nLe baccanti, film di Giorgio Ferroni (1961).\nMaryann Forrester, a partire dalla fine della prima stagione fino alla fine della seconda stagione della nota serie True Blood, è una menade antagonista." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Meneceo (figlio di Oclaso).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Meneceo (in greco antico: Μενοικεύς?, Menoikeús) è figlio di Oclaso, nonché padre di Creonte (sovrano di Tebe) e di Giocasta, che diverrà madre e moglie di Edipo.\nMeneceo aveva un auriga di nome Periere il quale al termine di una lite con gli avversari avvenuta nel corso delle celebrazioni in onore di Poseidone, lanciò il sasso che uccise Climeno e da cui successe l'assedio dei Sette contro Tebe.\nÈ nonno del Meneceo che prenderà parte alla guerra dei Sette contro Tebe.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Meneceo.\n### Descrizione: Meneceo (in greco antico: Μενοικεύς?, Menoikèus) o Megareo è un personaggio della mitologia greca, che viveva presso Tebe.\n\nGenealogia.\nFiglio di Creonte e di Euridice, non ci sono notizie su spose o progenie.\n\nMitologia.\nDurante l'assedio della città da parte dell'esercito di Argo, l'indovino Tiresia affermò che per permettere ai tebani di rompere l'assedio e sconfiggere i nemici era necessario il sacrificio dello stesso Meneceo, ma Creonte (suo padre e re della città assediata), stretto tra le parole dell'oracolo e l'amore verso il figlio gli consigliò di fuggire omettendo di spiegargli il motivo. Tuttavia Meneceo venne a sapere dell'oracolo e decise di sacrificarsi sulle mura di Tebe. I tebani furono alla fine i vincitori." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Menelao.\n### Descrizione: Menelao (in greco antico: Μενέλαος?, Menèlāos; in latino Menelāus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Atreo e di Erope e fratello minore di Agamennone. È il re di Sparta e marito di Elena, che Paride portò a Troia, causando la spedizione greca contro la città. Nei testi omerici l'epiteto che lo accompagna è biondo, il che ne fa un personaggio di grande bellezza: Menelao costituisce un tipico esempio di kalokagathia, essendo anche molto valoroso in guerra.\nFu uno dei più forti eroi greci della guerra di Troia, sebbene non quanto il fratello Agamennone, ma si distinse in numerose azioni valorose. La figura di Menelao si sviluppa principalmente nell'Iliade di Omero, ma il suo personaggio è conosciuto anche in numerosi testi secondari, soprattutto nelle tragedie.\n\nIl mito.\nOrigini.\nSecondo la versione più comune, ovvero quella che è riportata dall'Iliade, Menelao era figlio di Atreo e apparteneva alla stirpe di Pelope. Sua madre era invece Erope, figlia del re cretese Catreo. Un giorno Erope fu sorpresa dal padre mentre condivideva il suo letto con un amante, uno schiavo; sdegnato, Catreo ordinò che venisse gettata in un fiume, per essere da pasto ai pesci, ma su intercessione di Nauplio, il re decise di commutare la pena in schiavitù, stabilendo di venderla come schiava proprio a Nauplio, insieme alla sorella Climene, che sospettava tramasse contro di lui come gli era già stato vaticinato da un oracolo.\nIl viaggiatore Nauplio condusse le due fanciulle ad Argo, dove ciascuna di loro fu presa in moglie. Mentre Climene sposava Nauplio stesso, Erope sposò invece Atreo, il re di Argo, da cui ebbe i due figli Agamennone e Menelao, e anche una figlia, Anassibia. Secondo una diversa leggenda, Erope sposò il figlio di Atreo, Plistene, e da lui nacquero i due fratelli Atridi.\nMenelao fu scacciato dalla paterna signoria di Micene dallo zio Tieste e da suo figlio Egisto che ne avevano ucciso il padre, e si rifugiò, col fratello, presso il re di Sparta Tindaro, le cui due figlie, Clitemnestra e la bellissima Elena, sposarono rispettivamente Agamennone e Menelao. Alla morte di Tindaro, suo suocero, Menelao ricevette in eredità il trono di Lacedemone.\n\nLa guerra di Troia.\nDurante una sua assenza per un viaggio a Creta, Paride figlio di Priamo, grazie al volere di Afrodite, accolto alla corte di Sparta, infranse le regole dell'ospitalità greca (ξενία) e rapì Elena per condurla con sé a Troia.\nMenelao chiese la restituzione della moglie ma, non avendola ottenuta, cominciò i preparativi della guerra contro Troia, con i più importanti principi greci condotti dal fratello Agamennone.\nNella lunga guerra sotto le mura di Troia, Menelao si coprì di gloria abbattendo un gran numero di nemici. Accettò la proposta dell'eroe troiano Ettore di porre fine alla guerra mediante un duello con Paride. Egli vinse nettamente contro l'avversario e l'avrebbe colpito a morte se Afrodite non gli avesse rapito l'avversario sotto gli occhi, avvolgendolo in una nube.\nQuando Troia fu presa, Menelao, accompagnato da Ulisse, si affrettò verso la casa di Deifobo, che aveva sposato Elena dopo la morte di Paride, sopravvenuta nel frattempo. Menelao in persona uccise Deifobo; secondo una versione del racconto, egli si scaraventò con la spada sguainata anche contro Elena, con l'intenzione di punire l'adultera; ma Elena si scoprì il petto ed egli non mandò a compimento il suo proposito. Secondo un'altra versione, invece, fu Elena ad introdurre segretamente Menelao nella stanza di Deifobo, consentendogli così di ucciderlo e riconciliandosi con il marito di un tempo.\n\nDopo la guerra di Troia.\nFinita la guerra, Menelao fu tra i primi a salpare alla volta della Grecia, insieme ad Elena e Nestore ma, dopo varie peripezie, raggiunse la patria solamente otto anni dopo. A differenza di quello del fratello, il suo matrimonio sarebbe da allora rimasto felice, tanto che avrebbe in seguito ospitato Telemaco partito alla ricerca del padre Ulisse, ed Elena, mentre tutti (Telemaco, Menelao, Pisistrato) piangevano al racconto delle sofferenze degli eroi della guerra e dei nòstoi, avrebbe versato filtri (phàrmaka) nel vino per indurli a dimenticare e a godere del racconto.\nNell'Elena di Euripide è narrata invece la versione del mito che sosteneva che Elena non fosse mai stata rapita da Paride, ma che a Troia si fosse recato un èidolon (un'immagine di lei); le conseguenze di questa versione si ripercuotono anche sulla figura di Menelao, che in tal caso avrebbe a lungo viaggiato per il Mediterraneo, trovando poi Elena in Egitto.\n\nLa morte.\nNell'Odissea il dio marino Proteo profetizzò che Menelao ed Elena erano destinati a non conoscere la morte, ma a venir condotti dagli dei nei Campi Elisi; secondo questa versione Menelao appare come una figura legata al mondo infero.\nSecondo una versione diversa, invece, Menelao ed Elena si recarono nella Tauride, dove furono sacrificati da Ifigenia in onore della dea Artemide.\n\nCulto.\nIl culto di Menelao appare legato al mondo dell'oltretomba e lo vede strettamente unito ad Elena.\nIn Arcadia gli erano sacri un platano e una sorgente. A Terapne, sull'Eurota, aveva un santuario, dedicato in realtà ad Elena, ma noto come Menelàion, e qui Elena e Menelao erano celebrati come coppia regale infera.\n\nPresenze letterarie.\nMenelao è uno dei personaggi principali dell'Iliade omerica; il suo ritorno in patria e il suo lungo viaggio, durato otto anni, sono raccontati nell'Odissea (libro IV) e nella Palinodia di Stesicoro; Menelao compare inoltre fra i protagonisti delle Ciprie, dell'Aiace di Sofocle e delle Troiane di Euripide.\nTra le opere moderne, un dramma sull'incontro tra Menelao e Proteo fu scritto da Paul Claudel e musicato da Milhaud.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Menesteo.\n### Descrizione: Menesteo (in greco antico: Μενεσθεύς?, Menesthèus), è un personaggio della mitologia greca e l'undicesimo mitologico re di Atene, che condusse un contingente di navi alla guerra di Troia. Secondo la tradizione, egli ottenne una prima volta il trono di Atene dai Dioscuri, quando questi invasero l'Attica per liberare la loro sorella Elena, rapita da Teseo. Costretto a fuggire dopo il ritorno di Teseo, diventò nuovamente re alla morte di quest'ultimo, ucciso a tradimento dal re Licomede di Sciro, col quale egli si era appunto accordato per eliminarlo. Menesteo è nominato tra i pretendenti di Elena, e per questo motivo partecipò alla guerra di Troia.\n\nMitologia.\nOmero afferma che Menesteo era 'figlio di Peteòo, alunno di Zeus', ma non precisa le origini, né tantomeno la provenienza di quest'ultimo. Plutarco invece specifica che egli era figlio di Orneo, figlio a sua volta del re Eretteo, di conseguenza, Menesteo apparteneva alla famiglia degli Erettidi.\nDiodoro Siculo sostiene un'altra leggenda, secondo la quale questo Peteòo era di origine egiziana ma tale aneddoto era solo uno fra gli argomenti addotti dagli Egiziani per dimostrare che Atene era stata fondata o ampliata da coloni provenienti dal loro Paese..\nInsieme al padre, Menesteo era stato esiliato da Egeo, re di Atene, il quale regnò al suo posto.\n\nMenesteo compare nel IV canto dell'Iliade e, con Ulisse, esprime perplessità sull'opportunità di un combattimento. Non assunse particolare rilievo nella guerra, sebbene alcune tradizioni affermano che riuscì addirittura a ferire Ettore piantandoglia la sua lancia nella gamba. Nel XII canto, durante un assalto di Ettore e dei Troiani ai danni degli Achei, Menesteo chiama rinforzi contro Sarpedonte e Glauco.\nMenesteo è citato anche fra i pretendenti di Elena. Controversa fu la sua fine; secondo alcune leggende, venne ucciso nei combattimenti presso Troia da un'Amazzone, da identificare forse con Pentesilea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Menezio (argonauta).\n### Descrizione: Menezio (in greco antico: Μενοίτιος?, Menoítios) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio di Attore e di Egina sposò, (a seconda delle versioni) Filomela oppure Stenele, Periopis (figlia di Fere), Polimela o Damocrateia e da una di queste donne divenne padre di Patroclo.\nEbbe anche una figlia di nome Antianira.\n\nMitologia.\nNacque e crebbe a Opunte, una città della Locride e dovette recarsi in esilio a Ftia per causa di un omicidio involontario commesso dal figlio Patroclo in giovane età.\nCome padre di Patroclo viene menzionato alcune volte nell'Iliade, in una di queste Achille conferma al figlio che lui (il padre) è ancora in vita e in un'altra gli dà consigli prima della sua partenza per la guerra di Troia.\nPrese anche parte alla spedizione degli Argonauti ma non sembra che abbia avuto ruoli rilevanti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Menone (Iliade).\n### Descrizione: Menone, (in greco antico: Μένων?, Ménon), figura mitologica dell'Iliade (XII, v. 193), fu un guerriero troiano.\nMenone fu ucciso dall'acheo Leonteo durante l'assalto alle mura di Troia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Menta (mitologia).\n### Descrizione: Menta (anche Myntha) era una ninfa degli inferi della mitologia greca.\n\nDescrizione.\nMinta era una bellissima ninfa nata nel fiume infernale Cocito, affluente dell'Acheronte e viveva nel regno infernale comandato da Ade, di cui era la concubina. Persefone, gelosa del marito, si dispiacque dell'unione e si infuriò quando Minta proferì contro di lei minacce spaventose e sottilmente allusive alle proprie arti erotiche. Persefone, sdegnata, la fece a pezzi: Ade le consentì di trasformarsi in erba profumata, la menta, ma Demetra la condannò alla sterilità, impedendole di produrre frutti.\nUn'altra versione del mito, citata anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, suggerisce che fu Persefone stessa a trasformare Minta in pianta, scegliendo una forma insignificante che non destasse attenzione né potesse essere paragonata ad altre piante per bellezza o utilità.\nUn'altra versione ancora racconta che Zeus (o Zeus Katactonio, cioè Ade stesso), innamoratosi di Minta, ebbe da lei un rifiuto in seguito ad una proposta. Sdegnato del comportamento, la tramutò in una pianta fredda così come la bella ninfa era stata con lui.\nUno dei rari templi dedicati a Ade sorgeva ai piedi del monte Menta (o Minthe), in Elide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mera (cane).\n### Descrizione: Mera (greco Μαῖρα, latino Maera) è una figura della mitologia greca. Secondo il mito era un cane appartenuto a Icario e Erigone.\nSecondo un'antica leggenda originaria dell'Attica, raccontata dal mitografo Igino, ad Icario Dioniso insegnò per primo a fare il vino. Quando Icario lo fece assaggiare ad alcuni pastori, essi si ubriacarono quasi immediatamente. Credendo che Icario li avesse avvelenati, lo uccisero. Il cane Mera corse ululando dalla figlia di Icario, Erigone, le prese le vesti tra i denti e la tirò fino al luogo dove giaceva il padre morto. Sia Erigone che il cane si suicidarono accanto al corpo di Icario.\nZeus pose le loro immagini fra le stelle a memoria dell'evento sfortunato. In questa storia, Icario si identifica con la costellazione di Boote, Erigone con quella della vergine e Mera è il Cane Minore.\nDioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, punisce gli assassini di Icario inducendo allucinazioni a tutte le giovani in età da marito della città le quali si suicidano per impiccagione, come la buona Erigone.\nGli uomini della città riescono a placare le ire di Dioniso solo piantando la vite e osservando il culto del dio." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Merione.\n### Descrizione: Merione (in greco antico: Μηριόνης?) è un personaggio della mitologia greca.\nFiglio di Molo e di Melfi o Evippe, era un principe cretese. Secondo una delle interpretazioni il suo nome rimanderebbe alla tradizione iniziatica della pederastia cretese (Merione verrebbe pertanto qui inteso come un derivato di Meros-cosce, riferendosi al sesso intercrurale).\n\nMitologia.\nMolo era nipote di Idomeneo. Come altri eroi della mitologia, Merione si riteneva un diretto discendente degli dei. Come il nipote di Deucalione (figlio di Minosse), Merione dipinse un gallo sul suo scudo, vantandosi di discendere da Helios e indossò un elmo adornato dalle zanne di un cinghiale. Merione possedeva l'elmo di Amintore, che lo rubò ad Autolico. Merione ereditò l'elmo da suo padre Molo e dopo lo diede a Odisseo. Pare fosse un ottimo ballerino.\nNipote di Idomeneo, re di Creta, partì con lo zio durante la guerra di Troia, come suo scudiero. Valoroso e impavido, combatté con coraggio sotto le mura della città. Si distinse in varie imprese come abile guerriero. Nella battaglia scatenatasi dopo il duello fra Paride e Menelao, uccise con un colpo di lancia il giovane troiano Fereclo, il quale aveva costruito la nave che portò Paride a Sparta.\nDurante lo scontro presso le navi fu particolarmente valoroso, affrontò Deifobo in duello rimanendo però disarmato e fu costretto a chiedere aiuto allo zio. Difese quest'ultimo contro Enea, riuscendo perisino a ferire Deifobo (che venne salvato dal fratello Polite) e ad uccidere il giovane frigio Adamante con Arpalione, il figlio del re dei Paflagoni.\nNell'ambito dei giochi in onore di Patroclo, partecipò alla corsa di carri (arrivando quarto e ricevendo due talenti d'oro), al tiro con l'arco (che vinse, ricevendo dieci scuri a doppio taglio) e infine al lancio del giavellotto (che Achille stesso interruppe dando la vittoria ad Agamennone di certo superiore all'avversario). Leggende successive, parecchio aberranti, riferiscono che egli cadde per mano di Ettore, il quale lo decapitò mentre tentava di proteggere il corpo di Patroclo, e lasciò il busto in mostra ai compagni.\nÈ dubbio il racconto del suo ritorno. Si rase al suolo Troia, vi fu appiccato fuoco e Merione fece vela per Creta e qui finì lietamente i suoi giorni con Idomeneo. Fu sepolto a Cnosso e gli si tributarono culti eroici. Oppure, salpò da Troia e approdò in Sicilia. Qui fu accolto dai coloni cretesi di Eraclea Minoa ed Engione e visse sino in tarda età, per poi essere a capo di un culto in età storica.\n\nVittime.\nNel corso dei combattimenti che miravano alla conquista di Troia, Merione abbatté sette guerrieri avversari, sul totale dei 362 troiani morti nel conflitto:.\n\nFereclo, giovane architetto troiano, figlio di Tettone Armonide.\nAdamante, guerriero frigio, figlio di Asio (il fratello di Ecuba).\nArpalione, figlio del re paflagone Pilemene.\nMori, guerriero frigio.\nIppotione, guerriero troiano.\nLaogono, figlio di Onetore, guerriero troiano.\nAcamante, figlio di Antenore, valoroso guerriero troiano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mermero.\n### Descrizione: Mermero, (greco, Μέρμερος), figura mitologica dell'Iliade (XIV, v. 513), fu un guerriero troiano.\nMermero fu ucciso e spogliato delle armi dall'acheo Antiloco. Falche, un altro guerriero troiano, ebbe la stessa sorte di Mermero nella medesima azione bellica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Merope (Iliade).\n### Descrizione: Merope (in greco antico Μέροψ) è un personaggio della mitologia greca, legato al ciclo troiano. Viene menzionato in diverse opere, tra cui l'Iliade di Omero.\n\nMitologia.\nDi famiglia aristocratica, Merope era un indovino di Percote, nella Troade, se non addirittura il re della città. Ebbe almeno quattro figli:.\n\nArisbe, la primogenita, che divenne la prima moglie di Priamo e dopo essere stata da lui ripudiata sposò il troiano Irtaco.\nAdrasto, che fu re di Adrastea, città da lui fondata.\nAnfio, che fu re di Pitiea, città da lui fondata.\nClite, che sposò giovanissima il coetaneo Cizico re dei DolioniArisbe rese Merope nonno di Esaco, che fu anch'egli chiaroveggente, Asio, Niso, Ippocoonte. Esaco fu l'unico figlio che la donna ebbe da Priamo e anche l'unico che morì prima della guerra di Troia, cui presero parte i suoi fratellastri, insieme ad Adrasto e Anfio. Merope esortò i due figli maschi a non intervenire in quel conflitto, avendo previsto la loro morte: egli doveva dunque aver raggiunto un'età veneranda ed è plausibile che fosse ancora vivo dopo la caduta della città, sopravvivendo pertanto non solo a tre dei suoi figli - ovvero i due maschi e Clite - ma anche all'ex genero Priamo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Messapo.\n### Descrizione: Messapo (in latino Messapus) è un personaggio della mitologia romana, menzionato da diversi autori.\nNell'Eneide di Virgilio viene descritto come un re dell'Etruria, famoso addestratore di cavalli; è invulnerabile al ferro e al fuoco in tutto il corpo, forse perché figlio di Nettuno. Sebbene abituato alla pace, nel Libro VII Messapo unisce le forze con Turno nella guerra contro Enea e i Troiani. Nel Libro IX, che racconta la sortita notturna di Eurialo e Niso nell'accampamento dei Rutuli, l'elmo da battaglia di Messapo è preso da Eurialo; la luce si riflette sull'ornamento rubato, offrendo così Eurialo alla vista di un gruppo di cavalieri nemici e portando non solo alla sua stessa morte, ma anche a quella di Niso. Nel prosieguo della guerra Messapo si metterà in evidenza uccidendo diversi nemici." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mestra.\n### Descrizione: Nella Mitologia greca, Mestra o Mnestra (in greco Μήστρα,Μνήστρα ) era una figlia di Erisittone, re della Tessaglia.\nIl padre venne punito dalla dea Demetra con una fame insaziabile, perché aveva tagliato un Bosco sacro ad ella dedicato.\nPer comprare più cibo, venne venduta dal padre come schiava.\nMestra fece allora appello a Poseidone, che era stato suo amante, ed egli le donò il potere di cambiare la sua figura in ciò che desiderava, permettendole così di scappare dal suo padrone.\nQuando il padre scoprì la sua abilità, continuò a venderla da allora in poi molte volte.\nPalefato dà un'interpretazione razionalista di questo mito.\nSecondo lui, Mestra, vergine bellissima, si sarebbe offerta a chiunque passasse nei pressi della sua dimora per dare il denaro al padre, probabilmente un pigro, che si era forse rovinato dilapidando il patrimonio in feste e bagordi.\nDato che in quei tempi lontani non si utilizzava il denaro,Mestra si faceva pagare in natura: le venivano così dati buoi, capre, montoni, pollame etc.\nCosì si prese l'usanza di dire che Mestra «diveniva» bue, capra, montone etc.\nQuesto fatto avrebbe originato la leggenda delle metamorfosi della donna." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Metamorfosi (opera teatrale).\n### Descrizione: Metamorfosi (in inglese: Metamorphoses) è un'opera teatrale della drammaturga statunitense Mary Zimmerman, andata in scena in prima assoluta a Chicago nel 1998. La pièce, un adattamento teatrale delle Metamorfosi di Ovidio, ha vinto l'Obie Award, il Drama League Award ed il Drama Desk Award al suo debutto a New York, oltre ad essere stata candidata al Tony Award alla migliore opera teatrale nel 2003.\n\nTrama.\nLa pièce si compone di undici miti che si intrecciano l'uno con l'altro:.\n\nCosmogoniaRadunati intorno a una piscina, tre personaggi discuto sulla nascita e creazione del mondo. La signora nell'acqua, lo scienziato e Zeus narrato diverse ipotesi sulla creazione del mondo, senza però riuscire a stabilire se tutto sia nato dal caos primordiale casualmente o secondo un progetto divino.\n\nMidaTre lavandaie raccontano il mito di Mida mentre lavano i panni nella piscina. Mida era un sovrano ricchissimo che viene mostrato rimproverare la figlioletta per le continue interruzioni mentre parla al pubblico di quanto la famiglia significhi per lui; mentre parla Sileno barcolla ubriaco sul palco, Mida lo accoglie e decide di prendersi cura di lui mentre l'ospite crolla privo di sensi. Bacco arriva per recuperare Sileno e concede a Mida di esaudire un qualunque suo desiderio: l'uomo chiede di poter trasformare in oro tutto ciò che tocca e la grazia gli viene accordata. La figlia, inconsapevole del pericolo, si getta tra le braccia del padre e viene trasformata in oro massiccio; Mida, disperato, chiede al dio di sciogliere l'incantesimo, ma Bacco spiega di non poterci fare niente. Racconta però al re di una fonte miracolosa la cui acqua potrà guarire la figlia e Mida parte alla sua ricerca.\n\nAlcione e CeiceMentre finiscono di lavare i panni, le tre lavandaie raccontano un altro mito, quello di Alcione e Ceice. Ceice decidere di andare a trovare un oracolo molto lontano e, nonostante le suppliche della moglie spaventata, salpa con i suoi uomini in cerca del mistico. La sua nave però viene affondata da Poseidone e Ceice annega. Il suo corpo viene trasportato dalla onde fino al suo regno lontano, dove Alcione attende speranzosa il suo regno: quando la donna vede il cadavere del marito in mare impazzisce per il dolore e si getta in acqua per unirsi al marito nella morte. Ma Afrodite, commossa dalla tragica storia dei due, li trasforma in uccelli marini, così che possano amarsi tra il cielo e le acque per l'eternità.\n\nErisittone e CerereErisittone, un tessalo senza religione, abbatte uno degli alberi sacri a Cerere e la dea, oltraggiata, chiede Limós di punire il mortale. La dea della fame acconsente e punisce Erisittone con un appetito insaziabile: l'uomo divora tutto quello che riesce a mangiare, spende tutto il suo oro in cibo e vende la madre per poterne comprare ancora. Poseidone, impietosito dalle suppliche della donna, la trasforma in una bambina per salvarla dal suo acquirente. Stremato ed insaziabile, Erisittone muore divorandosi.\n\nOrfeo ed EuridiceLa storia dei due amanti viene raccontato in due modi. Nel primo, ambientato nell'8 D.C., Orfeo ed Euridice si sono appena sposati quando la donna viene morsa da un serpente velenoso e muore. Orfeo viaggia fino all'oltretomba e commuove Ade con una canzone d'amore così struggente da intenerire il dio. Ade gli concede di riportare Euridice tra i vivi, ma alla condizione che Orfeo non si volti mai a guardarla prima di aver lasciato il regno dei morti. Orfeo accetta, ma non sentendo i passi della donna dietro di sé si volta e perde per sempre Eurice, che Ermes riporta nell'ade. Mentre Orfeo rivive questi ultimi istanti fatali scolpiti nella sua memoria, la prospettiva cambia e diviene quella della poesia di Rainer Maria Rilke del 1908. Come nei versi del poeta tedesco, gli inferi hanno indebolito la forza e la memoria di Euridice e quando il marito si volta ed Ermes le dice che deve tornare nell'ade e non potrà più vedere Orfeo la ragazza, perplessa, risponde: 'chi?'.\n\nInterludio di NarcisoIn una scena mimata, Narciso vede il suo riflesso nell'acqua, si innamora di sé stesso e rimane a languire fino alla morte vicino allo specchio d'acqua. L'attore viene quindi sostituito con un narciso.\n\nPomona e VertumnoIl timido Vertumno si innamora della bella Pomona, una ninfa dei boschi che ha respinto numerosi spasimanti. Per conquistare la creatura silvana Vertumno prova ogni giorno a sedurla con un travestimento diverso e un giorno le racconta il mito dell'infelice Mirra, che rifiutava l'amore per colpa del suo orgoglio. Capita la lezione, Pomona chiede a Vertumno di togliersi il travestimento e i due si innamorano.\n\nMirraVertumno racconta la storia di Cinira e Mirra. Dopo aver respinto aspramente Afrodite e le sue tentazioni, Mirra viene maledetta dalla dea con una passione incestuosa per il padre. La ragazza prova a controllare il suo desiderio, ma alla fine cede alla tentazione. Con l'aiuto della nutrice, Mirra riesce ad avere rapporti con il padre bendato per due notti di fila ma alla terza Cinira si scopre gli occhi e realizza di aver commesso incesto con la figlia. Sconvolta, tenta di strangolare la ragazza, che fugge senza più tornare.\n\nFetonteDurante una seduta di terapia, Fetonte racconta parla del suo rapporto con il padre distante, Apollo. Mentre il terapista commenta clinicamente la vicenda, il ragazzo racconta di essere stato vittima di bullismo a scuola e di essersi recato a trovare il padre dopo un lungo viaggio. Apollo ogni giorno deve guidare il carro del sole attraverso il cielo e si sente in colpa per la negligenza nei confronti del figlio. Per cercare di compensare, Apollo concede a Fetonte di guidare il carro del sole, ma il figlio lo conduce troppo vicino alla terra, che prende fuoco. La scena si conclude con un monologo in cui il terapista spiega la differenza tra mito e sogno.\n\nAmore e PsicheIn un rapido dialogo fatto dalla domande di Q e dalle risposte di A, Amore e Psiche - personaggi muti - mettono in scena la loro storia come narrata dai due personaggi. I due sono condannati a girare bendati finché non scopriranno una dimensione più profonda che permetterà al loro desiderio romantico di trasformarsi in vero amore. Psiche supera la barriera del dubbio, viene trasformata in una dea e può vivere con Amore per sempre.\n\nFilemone e BauciPer comprendere meglio il genere umano, Zeus ed Ermes si travestono da mendicanti e girano per la città chiedendo l'elemosina dei passanti. Rifiutati e offesi da tutti, trovano ristoro e generosità nei poveri Filemone e Bauci, che dividono volentieri il poco che hanno. Commossi dalla bontà dell'anziana coppia, gli dei si rivelano a loro e promettono loro di un desiderio ciascuno: Filemone e Bauci chiedono però solo la grazia di morire allo stesso momento, così da non dover mai vivere senza l'altro. Gli dei li trasformano quindi in due alberi dai rami intrecciati, così che la coppia possa stare insieme per sempre.\nMida finalmente trova la pozza miracolosa, si cala nelle sue acque e viene liberato dal dono di Bacco. La figlia, riportata allo stato umano, corre di nuovo tra le braccia del padre e i due possono ora costruire un rapporto più solido e affettuoso.\n\nOrigini.\nFonti.\nLa gran parte dei miti narrati nell'opera teatrale provengonio direttamente dalle Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone, che la Zimmerman adattò dalla traduzione del classicista e poeta statunitense David R. Slavitt. La favola di Amore e Pische viene invece dalle Metamorfosi (note anche come L'asino d'oro) di Apuleio, un racconto che Mary Zimmerman include proprio a causa della sua grande passione per questo mito in particolare. Un'altra fonte è la poesia di Rainer Maria Rilke Orfeo Euridice Hermes, scritta nel 1907.\n\nComposizione e stampa.\nMary Zimmerman cominciò a lavorare alla pièce nel 1995 e la prima versione dell'opera andò in scena al Theatre and Interpretation Center della Northwestern University di Evanston nel maggio 1996, con il titolo Six Myth. La versione definitiva, rimaneggiata per includere quasi il doppio dei miti rispetto alla produzione precedente, fu prodotta dalla Lookingglass Theatre Company e debuttò all'Ivanhoe Theatre di Chicago il 15 ottobre 1998. Il cast originale comprendeva una giovane Anne Dudek nel ruolo di Afrodite.Il testo definitivo fu pubblicato dalla Northwestern University Press nel 2002.\n\nContesto storico.\nTra gli anni ottanta e novanta ci fu un rinnovato interesse in Ovidio nel mondo anglofono, rispecchiato dalle nuove traduzioni ed adattamenti delle sue opere. Nuove traduzioni inglesi delle Metamorfosi furono realizzate da A.D. Melville nel 1986, Allen Mandelbaum (1993), David R. Slavitt (1994), David Michael Hoffman (1994) e James Lasdun (1997). Nel 1997 il poeta laureato Ted Hughes fece pubblicare Tales from Ovid, contenente una selezione di traduzioni a versi liberi delle Metamorfosi. Questo rinnovato interesse per Ovidio appare anche in opere di narrativa come il romanzo di David Malouf An Imaginary Life (1978) e Il mondo estremo di Christoph Ransmayr, pubblicato per la prima volta nel 1988 e tradotto in inglese nel 1990.L'opera era in scena nell'Off-Broadway di New York quando avvennero gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 e l'accademica Andrea Nouryeh ha fatto notare che il grande successo dell'opera - tale da portarla poi anche a Broadway - è legato anche al senso di lutto e perdita provato dai cittadini dopo gli attentanti, due tematiche che lo spettatore poteva ritrovare nelle Metamorfosi della Zimmerman.\n\nCommento.\nDavid Rush, professore di inglese e scrittura creativa alla Southern Illinois University Carbondale, ha notato che l'opera della Zimmerman non segue i sette punti che le trame convenzionali solitamente includono: 1) stato di equilibrio 2) rottura dell'equilibrio 3) sorge la domanda centrale 4) azione 5) climax 6) risoluzione 7) nuovo stato di equilibrio. Tuttavia, ciascuno dei singoli episodi segue la struttura suggerita da Rush, che fa l'esempio del mito di Cerere e Erisittone:.\n\nStato di equilibrio: Erisittone non crede negli dei né nelle punizioni divine.\nRottura dell'equilibrio: Erisittone fa abbattere un albero sacro a Cerere.\nSorge la domanda centrale: Cerere punirà l'empio?.\nAzione: Cerere manda un servo alla ricerca di Limós, Erisittone viene posseduto dalla dea della fama e comincia a mangiare.\nClimax: La fame di Erisittone lo spinge a dilapidare la sua fortuna e vendere la madre per comprare dell'altro cibo.\nRisoluzione: Quando Erisittone non trova più del cibo da mangiare, Cerere gli porge un vassoio con un coltello e una forchetta; l'uomo comincia a mangiare il proprio corpo.\nNuovo stato di equilibrio: Con la punizione dell'empio il ruolo ed il potere degli dei è stato ristabilito e riaffermato.Lo stesso vale per tutti gli altri racconti della pièce, compreso quello di Mida, che fa da elemento comune a tutta l'opera e con la risoluzione del quale si concludono le Metamorfosi.Per la qualità mitica ed epica del teso, i personaggi sono più figure archetipiche che veri e propri personaggi con una loro introspezione e sviluppo dinamico o psicologico. La professoressa Miriam Chirico dell'Eastern Connecticut State University ha fatto notare che, del resto, i miti non richiedono lo sviluppo e la creazione di un personaggio plausibile, piuttosto quello di una figura embelmatica che incarna un tratto umano riconoscibile. Il mito di Orfeo ed Euridice viene raccontato due volte, per mettere in luci diversi elementi nelle storie speculari di amore e perdita: la prima versione è narrata dal punto di vista di Orfeo secondo la narrazione di Ovidio, mentre la seconda è dal punto di vista di Euridice secondo l'esempio di Rilke. I due miti, nelle parole della Zimmerman, vengono usati per mostrare come l'arte e la memoria possono fermare e ripetere un'azione, ma mai ricominciare dall'inizio.\n\nRappresentazioni e adattamenti.\nDopo la prima produzione a Chicago, Mary Zimmerman diresse la sua opera al Second Stage Theatre di New York, dove rimase in cartellone dal 9 ottobre al 21 dicembre 2001. Il testo e la regia dell'autrice attirarono grandi apprezzamenti di critica e pubblico, come anche la scenografia di Daniel Ostling - che comprendeva una grande piscina che occupava quasi tutto lo spazio scenico - e la colonna sonora di Willy Schwartz. La musica svolgeva un ruolo chiave nell'allestimento e veniva usata nei momenti di transizione tra una scena e l'altra, ma anche per sottolineare determinati momenti e suggerire gli aspetti magici: ad esempio il cast usava dei cimbalini a dita nelle scene di Mida, per suggerire che il suolo toccato dai suoi piedi si trasformasse in oro al contatto con la sua persona. L'aria da Così fan tutte 'Un'Aura Amarosa' svolge invege un ruolo significativo nella scena di Fedonte ed il suo utilizzo è richiesto dal testo per ogni produzione. Forte delle buone recensioni, Metamorfosi fu trasferito al Circle in the Square Theatre di Broadway, dove rimase in cartellone per quattrocento repliche e tredici anteprime dal 21 febbraio 2002 al 16 febbraio 2003. La produzione fu candidata a tre Tony Award: migliore nuova opera teatrale, miglior regia di un'opera teatrale per Mary Zimmerman e miglior scenografia per Daniel Ostling, ma solo la Zimmerman vinse il premio per la sua direzione della pièce.Nonostante la difficoltà nel portare in scena un'opera teatrale che richieda la presenza di una piscina, Metamorfosi si è dimostrata una scelta di successo per diversi allestimenti negli Stati Uniti e produzioni di alto rilievo sono andate in scena a Chicago (2012), Washington (2012-2013), Filadelfia (2015), Venice (2016) e Berkeley (2018). La pièce è diventata inoltre una scelta popolare per le compagnie amatoriali, soprattutto studentesche ed universitarie." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mete (divinità).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Mete (/ˈmiːtiː/; in greco antico: Μέθη, Méthe) è la divinità che personifica l'ubriachezza. Fa parte seguito di Dioniso ed è spesso menzionata in associazione al dio o ad altri suoi compagni. Alcune fonti la citano come figlia di Dionisio.\n\nMitologia.\nLe Anacreontiche così descrivono i legami mitologici di Mete:Rallegriamoci, beviamo vino e cantiamo di Bacco... grazie a lui fu generata Mete,nacque Charis, Lype si riposa e Ania si addormenta.Pausania menziona un dipinto di Mete nell'atto di bere vino nel tempio di Asclepio presso Epidauro, e un altro che la ritrae mentre offre vino a Sileno nel tempio di Sileno nell'Elide.Ne Le Dionisiache di Nonno di Panopoli, Mete appare come moglie di Stafilo d'Assiria e madre da lui di Botrys Quando Stafilo muore improvvisamente la mattina dopo un banchetto in onore di Dioniso, il dio fa commemorare per sempre il nome di Mete dando allo stato di ubriachezza il nome della dea, così come i nomi di Stafilo e Botrys si riferiscono all'uva. Successivamente, Mete viene menzionata come al seguito di Dioniso nella sua campagna indiana.La dea latina Ebrietas, personificazione femminile dell'ubriachezza menzionata da Plinio il Vecchio, può essere considerata un'equivalente di Mete." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Metiadusa.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Metiadusa era il nome di una delle figlie di Eupalamo.\n\nIl mito.\nFu la sposa di Cecrope II, che era anche un suo parente, suo zio, attraverso Eretteo. Dall'unione nacque Pandione II.Secondo una versione del mito era sorella di Dedalo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Micene.\n### Descrizione: Micene (in greco antico: Μυκῆναι?, Mykēnai o Μυκήνη, Mykēnē) è stata una polis dell'Antica Grecia e attualmente è un sito archeologico, situato nell'Argolide a circa 12 km dal mare e a 9 dalla città di Argo.\nInsieme a Tirinto costituisce il complesso denominato 'siti archeologici di Micene e Tirinto', inserito nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.\n\nStoria.\nL'origine del nome Micene non è greca; non è impensabile ipotizzare che questo insediamento sia stato fondato da popolazioni pre-indeuropee, essendo il sito già occupato dal Neolitico.Secondo la mitologia greca, fu Perseo a fondare la città, il cui nome veniva fatto derivare da μύκης ('fungo') o dalla forma del cappuccio della guaina della spada di Perseo o perché egli avrebbe colto un fungo nel luogo dove poi avrebbe fondato la città.La mitologia greca è molto ricca di leggende riguardo alla città di Micene (come, per esempio, quelle legate agli Atridi), sintomatiche dell'importanza che questa città rivestì sulla Grecia dell'età del bronzo (nel mito, la cosiddetta 'età dell'oro' o 'età degli eroi'), anche se questi miti sono in parte contraddittori e assai poco utili per chiarire la vera storia della città.\nI miti non si riferiscono però alla città preistorica, ma a quella dell'età del bronzo, da cui provengono la maggior parte delle rovine attualmente visitabili.\nInfatti, il sito preistorico e protostorico di Micene fu presto occupato da una nuova popolazione, probabilmente proveniente dalla parte nord-orientale dei Balcani o dall'Anatolia, di origine indoeuropea e di lingua affine al greco classico, che occupò progressivamente tutta la Grecia continentale e buona parte di quella insulare. Proprio per l'importanza, testimoniata anche a livello mitologico, della città di Micene all'interno di questa nuova civiltà, essa viene definita civiltà micenea, dominando su buona parte della Grecia tra il 2000 e il 1200 a.C.\nLa civiltà micenea prende dunque il nome dall'omonima città, ma oltre che con Micenei ci si rivolge ad essi anche con il sinonimo di Achei, nome con cui nell'età della Grecia classica ci si riferiva, tra l'altro, ad un dialetto (che manteneva particolarità e contatti con la lingua arcaica greca) e ad una parte della popolazione greca stanziata su buona parte del Peloponneso.\n\nDurante la civiltà micenea, la città di Micene era un importante centro politico-economico-militare a carattere regionale, o forse anche sovra-regionale, con evidenti e massicce fortificazioni (di cui è rimasta ben conservata la cittadella), un importante palazzo e una serie di complesse tombe in cui personalità di riguardo erano sepolte con ricchi corredi.\nLa città all'epoca era probabilmente molto più estesa della cittadella, ma pochi resti sono rimasti della città bassa, probabilmente poco fortificata e costruita con abitazioni deperibili. Al suo apice, nel 1350 a.C. circa, la cittadella e la città bassa di Micene contava circa 30 000 abitanti e si estendeva su un'area di 32 ettari.\n\nDeclino.\nTra il 1200 e il 1100 a.C. la Grecia fu attraversata da una fortissima crisi nota come collasso dell'età del bronzo, contemporaneamente all'invasione dei Dori e dei popoli del Mare (Mediterraneo-Egeo), che provocò la totale scomparsa della scrittura, la distruzione della maggior parte delle città (inclusa Micene, che subì almeno un importante incendio) e una drastica diminuzione della popolazione e della ricchezza.\nAppare più che probabile una distruzione violenta della maggior parte della città di Micene entro la fine del XII secolo a.C., sebbene non esistano prove inconfutabili, e siano ipotizzabili sia attacchi violenti di popolazioni straniere (come i Dori o i Popoli del Mare) sia guerre civili fratricide, come testimoniato in chiave mitologica dal mito di Oreste.\nPopolazioni di ceppo dorico si stanziarono nelle rovine della città, ricostruendola o, meglio, costruendo sopra le rovine achee. Micene, a differenza di altri importanti centri micenei (come Atene, Argo, Corinto) non tornò ad essere un centro importante e si mantenne come piccola polis, anche se fu comunque abitata permanentemente a differenza di centri come Tirinto o il palazzo di Nestore, che scomparvero.\n\nDall'epoca classica a quella romana.\nPartecipò con dei contingenti alle guerre persiane, ma nel 468 a.C. fu presa da Argo che cacciò gli abitanti e distrusse le fortificazioni. Brevemente rioccupata in età ellenistica, durante l'età romana era ormai ridotta ad un piccolo borgo spopolato, o almeno questo è quanto riporta Pausania il Periegeta nel II secolo d.C., che ne descrive le fortificazioni e la porta dei Leoni.\n\nMicene nella mitologia e nelle leggende greche.\nKerenyi riporta l'esistenza di un mito legato a Micene, figlia di Inaco che avrebbe dato il nome alla città.\n\nLa dinastia perseide.\nI miti greci classici affermano che Micene fu fondata da Perseo, nipote del re Acrisio di Argo, figlio della figlia di Acrisio, Danae e il dio Zeus. Dopo aver ucciso suo nonno per caso, Perseo non poteva, o non voleva, ereditare il trono di Argo. Invece organizzò uno scambio di regni con suo cugino, Megapente, e divenne re di Tirinto, Megapente quindi prese Argo. Dopo di ciò, Perseo fondò Micene e governò entrambi i regni contemporaneamente.\nKerenyi riporta due versioni relative alla fondazione di Micene, l'una in cui Perseo avendo perduto l'estremità della guaina della spada che in greco si chiama mykes decise che avrebbe fondato Micene. Nell'altra l'eroe tormentato dalla sete avrebbe strappato un fungo che in greco si chiama appunto mykes da cui sarebbe scaturita una sorgente decidendo così di fondare la città. La sorgente poi avrebbe alimentato la fonte Perseia.Perseo sposò Andromeda e ebbe molti figli, ma nel corso del tempo entrò in guerra con Argo e fu ucciso dai Megapente. Suo figlio, Elettrione, divenne il secondo della dinastia, ma la successione fu contestata dai Tafi sotto Pterelao, un altro Perseo, che assaltò Micene, perse e si ritirò con il bestiame. Il bestiame venne recuperato da Anfitrione, un nipote di Perseo, ma egli uccise suo zio per caso con un bastone in un incidente e dovette andare in esilio.\nIl trono andò a Stenelo, terzo nella dinastia, uno dei figli di Perseo. Egli pose le basi per la futura grandezza della città sposando Nicippe, figlia del re Pelope dell'Elide, lo stato più potente della regione ai tempi. Con lei ebbe un figlio, Euristeo, il quarto e ultimo della dinastia Perseide. Quando un figlio di Eracle, Illo, uccise Stenelo, Euristeo divenne noto per la sua ostilità a Eracle e per la sua spietata persecuzione contro gli Eraclidi, i discendenti di Eracle.\nQuesto è il primo di quei famosi figli, che divennero un simbolo dei Dori. Eracle era un Perseide. Dopo la sua morte, Euristeo decise di annientare questi rivali al trono di Micene, ma questi si rifugiarono ad Atene, e nel corso della guerra, Euristeo e tutti i suoi figli furono uccisi. La dinastia Perseide finì e il popolo di Micene pose sul trono lo zio materno di Euristeo, Atreo, un Pelopide.\n\nDinastia degli Atreidi.\nIl popolo di Micene aveva ricevuto da un oracolo il consiglio di scegliere un nuovo re tra i Pelopidi. I due contendenti erano Atreo e suo fratello, Tieste. Quest'ultimo era stato scelto in un primo momento. In quel momento la natura intervenne e il sole apparve per invertire la direzione posizionandosi ad est. Atreo sosteneva che, poiché il sole aveva invertito il suo percorso, l'elezione di Tieste doveva essere invertita. La discussione fu ascoltata e Atreo divenne re. La sua prima mossa consistette nel perseguire Tieste e tutta la sua famiglia - cioè i suoi parenti - ma Tieste riuscì a fuggire da Micene.\nNella leggenda, Atreo ebbe due figli, Agamennone e Menelao, gli Atreidi. Poi, Egisto, figlio di Tieste uccise Atreo e restaurò Tieste sul trono. Con l'aiuto del re Tindaro di Sparta, gli Atreidi mandarono di nuovo in esilio Tieste. Tindaro aveva due figlie, Elena e Clitennestra, che Menelao e Agamennone sposarono. Agamennone ereditò Micene e Menelao divenne re di Sparta.\nPresto, Elena fuggì con Paride di Troia. Agamennone condusse una guerra di 10 anni contro Troia per riportare Elena a suo fratello. A causa della mancanza di vento, le navi da guerra non potevano salpare per Troia. Per compiacere gli dei in modo che potessero far soffiare il vento, Agamennone sacrificò sua figlia Ifigenia. Secondo alcune versioni della leggenda, la dea della caccia Artemide la sostituì all'ultimo momento con un cervo sull'altare, e portò Ifigenia in Tauride (vedere Ifigenia di Euripide). Le divinità, essendo state soddisfatte da tale sacrificio, soffiarono i venti e la flotta greca partì.\n\nLa leggenda ci dice che la lunga e ardua guerra di Troia, sebbene nominalmente fu una vittoria greca, portò l'anarchia, la pirateria e la rovina; già prima che la flotta greca salpasse per Troia, il conflitto aveva diviso anche gli dei, e questo aveva contribuito a maledizioni e atti di vendetta seguendo molti degli eroi greci. Finita la guerra, Agamennone, al suo ritorno, fu salutato regalmente con un tappeto rosso tirato fuori per lui, ma subito dopo ucciso nella sua vasca da bagno dalla moglie Clitennestra, che lo odiava per aver ordinato il sacrificio della figlia Ifigenia (anche se la vita di quest'ultima era stata salvata). Clitennestra fu aiutata nel suo crimine da Egisto, che regnò in seguito, ma Oreste, figlio di Agamennone, fu portato di nascosto nella Focide. Tornò quindi da adulto per uccidere Clitennestra ed Egisto. Poi fuggì ad Atene per sfuggire alla giustizia e al matricidio, divenendo pazzo. Nel frattempo, il trono di Micene andò ad Alete, figlio di Egisto, ma non per molto. Recuperato, Oreste tornò a Micene per ucciderlo e prendere il trono.\nOreste costruì lo stato più grande nel Peloponneso, ma morì in Arcadia da un morso di serpente. Suo figlio, Tisameno, l'ultimo della dinastia degli Atreidi, fu ucciso dagli Eraclidi al loro ritorno al Peloponneso. Essi rivendicarono il diritto dei Perseidi di ereditare i vari regni del Peloponneso e gettarne le sorti per il loro dominio. Qualunque siano state le verità storiche riflesse in queste storie, gli Atreidi sono fermamente ambientati nell'epoca prossima alla fine dell'Età Eroica, che portò all'arrivo dei Dori. Non ci sono storie consolidate di una casa reale a Micene dopo gli Atreidi, e ciò potrebbe evidenziare il fatto che non più di cinquanta o sessanta anni sembrano aver separato la caduta di Troia VII (la probabile ispirazione della Troia Omerica) e la caduta di Micene.\n\nGli Atreidi in Asia Minore.\nI Perseidi sarebbero stati al potere verso il 1380 a.C., la datazione di alcune statue di Kom el-Heitan in Egitto che registravano l'itinerario di un'ambasciata egiziana nell'Egeo al tempo di Amenhotep III (1391-1353 a.C. o 1388-1351 a.C.). M-w-k-i-n-u (fonetico 'Mukanuh'?) Era una delle città visitate, un raro primo documento del nome di Micene. Era una delle città del tj-n3-jj ('Tinay'?), Gli omerici Danai sono stati nominati, nel mito, dopo Danae, che suggerisce che i Perseidi fossero in effetti in una sorta di dominio.\nAnche nel XIV secolo a.C., Ahhiya cominciarono a essere fastidiosi per numerosi re dell'Impero ittita. Ahhiyawa o Ahhiya, che compare poche decine di volte nelle tavolette ittite nel corso del secolo, è probabilmente Achaiwia, ricostruzione del greco miceneo per l'Acaia. Gli Ittiti non usarono 'Danaja' come facevano gli egiziani, anche se il primo riferimento Ahhiya nella 'Accusa di Madduwatta' precede la corrispondenza tra Amenhotep III e uno dei successori di Madduwatta ad Arzawa, Tarhunta-Radu. La TE IIIA esterna: le fonti dell'era 1, tuttavia, concordano nella loro omissione di un grande re o altra struttura unificante dietro Ahhiya e il Tinay.\nAd esempio, nella 'Accusa di Madduwatta', Attarsiya, il 'sovrano di Ahhiya', attacca Madduwatta e lo caccia dalla sua terra. Ottiene rifugio e assistenza militare dal re Tudhaliya degli Ittiti. Dopo la morte di quest'ultimo e nel regno di suo figlio, Arnuwanda, Madduwatta si allea con Attarissiya e loro, insieme ad un altro governatore, attaccano Alasiya, cioè Cipro.Questo è l'unico caso conosciuto di un uomo chiamato Attarissiya. I tentativi di collegare questo nome agli Atrei non hanno trovato ampio supporto, né esistono prove di un potente Pelopide di nome Atreo di quei tempi.\nDurante TE IIIA: 2, Ahhiya, ora noto come Ahhiyawa, estese la sua influenza su Mileto, stabilendosi sulla costa dell'Anatolia, e gareggiò con gli Ittiti per l'influenza e il controllo nell'Anatolia occidentale. Per esempio, Arzawa di Uhha-Ziti e attraverso di lui Seha River Land di Manapa-Tarhunta. Pur stabilendo la credibilità dei greci micenei come potere storico, questi documenti creano tanti problemi quanti ne risolvono.\nAllo stesso modo, un re ittita scrisse la cosiddetta lettera di Tawagalawa al Grande Re di Ahhiyawa, riguardante le depredazioni dell'avventuriero di Luwiyan, Piyama-Radu. Nessuno dei nomi dei grandi re è dichiarato; il re ittita poteva essere Muwatalli II o suo fratello Hattusili III, che perlomeno riporta la lettera del TE IIIB secondo gli standard micenei. Ma né l'Atreo né l'Agamennone della leggenda hanno fratelli chiamati Etewoclewes (Eteocle); questo nome, piuttosto, è associato a Tebe, che durante il precedente periodo TE IIIA Amenhotep III aveva visto uguale a Micene.\n\nArcheologia.\nNel Neolitico l'Epiro era popolato da marinai lungo la costa e da pastori e cacciatori dei Balcani sud-occidentali che portavano con sé la lingua proto-greca. Queste persone seppellivano i loro capi in grandi tumuli contenenti tombe a pozzo. Camere funerarie simili furono successivamente utilizzate dalla Civiltà micenea, suggerendo che i fondatori di Micene potrebbero provenire dall'Epiro e dall'Albania centrale. L'Epiro stesso rimase culturalmente arretrato durante questo periodo, ma resti micenei sono stati trovati in due santuari religiosi di grande antichità nella regione: l'Oracolo dei Morti sul fiume Acheronte, familiare agli eroi dell'Odissea di Omero, e l'Oracolo di Zeus a Dodona, a cui Achille pregò nell'Iliade.Gli scavi archeologici furono avviati da Kyriakos Pittakis nel 1841 che scoprì e restaurò la porta dei Leoni. Nel 1874 e nel 1876 Heinrich Schliemann, colui che ritrovò grazie alla descrizione dei poemi omerici la città che si pensa essere Troia, riprese gli scavi. Furono scoperte le tombe di alcuni re di Micene, insieme ai corredi funebri come la maschera di Agamennone. Ulteriori analisi hanno stabilito che questi gioielli risalgono ai secoli XVI e XII a.C.\nLa città aveva una acropoli di forma triangolare, sulla quale sono rinvenibili la celebre porta dei Leoni, la tomba di Agamennone e il palazzo reale.\nFra gli oggetti qui rinvenuti, sono da ricordare anche sigilli, ceramiche e tavolette con iscrizioni." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mida.\n### Descrizione: Mida (in greco antico: Μίδας?, Mídas, mentre il latino Mydas corrisponde ad un'errata trascrizione), figlio adottivo (o biologico secondo alcune fonti) di Gordio e di Cibele, fu un mitico re della Frigia.\nÈ celebre nella cultura occidentale il suo proverbiale tocco d'oro, la capacità di trasformare in metallo prezioso qualsiasi cosa toccasse, donatagli da Dioniso.\nCome il padre Gordio è considerato fondatore della capitale frigia Gordio, a lui sono attribuite le fondazioni della città frigia di Midea e (secondo Pausania) di Ancyra (l'attuale capitale turca Ankara).\n\nBiografia.\nEquivocità sul personaggio.\nVi sono ancora delle lacune sulla vera identità di Mida:.\n\nsecondo alcuni Mida è un re frigio vissuto nel II millennio a.C. e quindi prima della guerra di Troia;.\nsecondo altri studiosi Mida potrebbe essere identificato con il personaggio storico di Mita, re di Moschi nell'Anatolia occidentale alla fine dell'VIII secolo a.C..\n\nFonti Letterarie.\nVissuta la propria gioventù in Macedonia come re di Pessinunte sul monte Bermion (Bryges), Mida venne adottato da Gordio, re di Frigia, e dalla dea Cibele. L'oracolo della Frigia, vedendo in lui un possibile salvatore da tutti i conflitti civili che coinvolgevano la Frigia, lo elesse come nuovo re spodestando il padre.\nMida sposò la figlia di Agamennone di Cuma, Eolia, da cui ebbe diversi figli, fra cui Litierse (mietitore demoniaco degli uomini), Ancuro e una figlia di nome Zoë (vita).\nMida è anche il nonno di Adrasto.\nDurante il suo regno lottò per liberare l'Anatolia e l'Assiria dai Cimmeri. Questi ultimi però prevalsero e il re si diede la morte bevendo sangue dei tori (Strabone) mentre il padre Gordio venne arso vivo.\nNel 1957 è stata scoperta a 53 metri di profondità, sotto all'antica Gordio, la presunta tomba di Mida, il Tumulo MM (dall'inglese 'Midas Mound', tumulo di Mida).\n\nMito.\nSecondo la versione narrata da Publio Ovidio Nasone ne Le metamorfosi, un giorno Dioniso aveva perso di vista il suo vecchio maestro e patrigno, Sileno.\nIl vecchio satiro si era attardato a bere vino e si era perso ubriaco nei boschi, finché non fu ritrovato da un paio di contadini frigi, che lo portarono dal loro re, Mida (secondo un'altra versione, Sileno andò a finire direttamente nel giardino di rose del re).\nMida riconobbe Sileno e lo trattò affabilmente, ospitandolo nella sua reggia per dieci giorni e notti, mentre il satiro intratteneva il re e i suoi amici con racconti e canzoni.\nL'undicesimo giorno, Mida riportò Sileno in Lidia da Dioniso, il quale, felice di aver ritrovato il suo anziano tutore, offrì al re qualsiasi dono desiderasse. Mida, allora, gli chiese il potere di trasformare in oro tutto ciò che toccava (fra cui il fiume Pattolo, la cui reale ricchezza d'oro viene fatta risalire a tale leggenda).\nIl re si accorse presto però che in tal modo non poteva neppure sfamarsi, in quanto tutti i cibi che toccava diventavano istantaneamente d'oro. Rendendosi conto che la sua cupidigia di denaro lo avrebbe portato alla morte, implorò Dioniso di togliergli tale potere. Il dio, impietosito dal pentimento del re, esaudì la richiesta.\nMida fu successivamente punito da Apollo, in quanto non lo aveva nominato vincitore in una gara musicale con Marsia (o Pan), con un paio di orecchie d'asino. Solo il barbiere del re era a conoscenza della cosa, ma il re gli intimò di non raccontare a nessuno la sua deformità, pena la morte. Costui tuttavia, non riuscendo a mantenere il segreto, andò a confessarlo in una buca presso uno stagno. Così, il servo fu convinto di essersi tolto il grave peso senza parlarne ad anima viva. Tempo dopo un flebile sussurro riempì la reggia e la città, e il segreto non fu più tale: da quella buca, per volontà di Apollo, erano nate delle canne che sussurravano scosse dal vento: Re Mida ha le orecchie d'asino!." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Migdone (fratello di Amico).\n### Descrizione: Migdone (in greco antico Μύγδων) è un personaggio della mitologia greca.\nEra re di Bebrico e fratello di Amico.\n\nMitologia.\nMigdone si alleò con il fratello Amico nella guerra contro Lico (un re della Misia), che a sua volta si alleò con Eracle.\nMigdone morì per mano di Eracle.\nIn seguito Amico si riprese i domini persi nella guerra e divenne re dei Bebrici a sua volta." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Milete.\n### Descrizione: Milete (in greco antico: Μύλης?, Mýlis) è un personaggio della mitologia greca. Fu il secondo re dei Lelegi.\n\nGenealogia.\nFiglio di Lelego e di Cleocaria e padre di Eurota.\n\nMitologia.\nSuccesse al trono del padre e fu succeduto dal figlio Eurota.\nSecondo una vecchia tradizione fu l'inventore del mulino." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mileto (mitologia).\n### Descrizione: Mileto (in greco antico: Μίλητος?) è un personaggio della mitologia greca, fu il leggendario fondatore dell'omonima città lungo le coste egee dell'Anatolia.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia, Mileto nacque nell'isola di Creta, figlio del dio Apollo e di una tale Areia, ragazza cretese la quale temendo l'ira del padre nascose il neonato nel letto, ma che quando questi lo trovò lo accettò chiamandolo Mileto.Un'altra fonte lo vuole sempre figlio del dio Apollo, ma questa volta concepito da Acacallide, conosciuta come la 'donna criceto', figlia di Minosse, leggendario re minoico: secondo quest'altra leggenda, Acacallide temeva l'ira del padre, ma a soccorrerla fu lo stesso Apollo che mandò dal cielo alcune lupe per accudire il piccolo; una terza fonte lo vuole figlio di Eussantio (altro figlio del re Minosse e di una donna telchina); un'ultima fonte lo vuole infine come figlio di una tale Deione.Il ragazzo era molto amato sia dal re Minosse sia da suo fratello Sarpedonte. I due allora decisero di far scegliere al piccolo con chi voler andare a vivere e il piccolo scelse Sarpedonte.\nMinosse per ripicca, esiliò Sarpedonte e Mileto dall'isola di Creta (questa è una delle tre cause secondo la narrazione mitica per le quali Sarpedonte fu cacciato da Creta) e così sotto il consiglio di Sarpedonte, Mileto ormai cresciuto si trasferì dapprima a Samo e poi nella regione della Caria dove fondò poi la polis di Mileto, che proprio da lui prende il nome. Il mito descrive inoltre che l'eroe, prima della fondazione del centro, uccise il gigante Asterio, figlio di Anatto e dopo quest'evento la regione della città di Mileto, originariamente conosciuta come 'Anattoria', cambiò denominazione in Caria.Sposò Ciane ed ebbe due figli: un maschio, chiamato Cauno e una femmina chiamata Biblide, che secondo la leggenda intrattenne rapporti incestuosi con lui.Secondo Antonino Liberale il nome della moglie era Idotea.Secondo Nonno di Panopoli Mileto e i suoi figli furono invece suoi fratelli a loro volta figli di Asterio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mimante (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Mimante o Mimas (in greco antico: Μίμας, traslitterato Mímas) era un gigante figlio di Urano, personificazione del cielo, e di Gea, la Dea primordiale, personificazione della terra.\nCome gli altri giganti figli di Gea, Mimante veniva descritto come un gigante nato completamente armato, con code di serpente a coprirgli i piedi.\nSecondo Apollodoro di Atene, nella Gigantomachia, la guerra contro gli dei dell'Olimpo, Mimante fu ucciso da Efesto che utilizzò una massa di ferro fuso sotto la quale il gigante rimase intrappolato. Altre fonti tramandano che fu invece ucciso da Ares o anche fulminato da una saetta scagliata da Zeus.\nSi tramanda che l'isola di Procida giaccia sopra il corpo di Mimante.\n\nCollegamenti esterni.\nMimante, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 1º settembre 2021." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Minerva trattiene Achille dall'uccidere Agamennone.\n### Descrizione: Minerva trattiene Achille dall'uccidere Agamennone è un affresco eseguito da Giambattista Tiepolo, nella Sala dell'Iliade di Villa Valmarana ai Nani.\n\nDescrizione.\nFa parte di una serie di tre dipinti su muro, in cui vengono rappresentati altrettanti episodi relativi al primo libro del poema omerico sulla Guerra di Troia.\nNella scena Achille, irato per la perdita della schiava Briseide, si scaglia contro Agamennone, capo degli Achei, che si ritrae, proteggendosi con il mantello. Achille sta sguainando la spada per uccidere il re, ma è trattenuto per i capelli dalla dea Atena sopraggiunta, invisibile a tutti tranne che all'eroe, che lo calma. Assistono attoniti alla scena i capi dell'esercito greco." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Minete.\n### Descrizione: Minete è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eveno e re di Cilicia e marito di Briseide. Secondo il mito durante la guerra di Troia fu ucciso da Achille che ridusse in schiavitù la moglie." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mini (popolo).\n### Descrizione: Secondo la mitologia greca, i Mini - agg. minio, minia, minie, minii - (in greco Μινύες, Minyes), furono un gruppo autoctono abitante la regione egea. Tuttavia, l'estensione con cui la preistoria del mondo egeo viene riflessa nei resoconti letterari di popoli leggendari è soggetta a ripetute revisioni.\nPrima della seconda guerra mondiale, gli archeologi talvolta applicarono il termine 'Mini' in modo diverso, per indicare la prima vera ondata di popoli parlanti il protogreco nel II millennio a.C., tra le culture dell'antica età del bronzo, talvolta identificate con l'inizio della cultura del Medio Elladico. La 'ceramica minia' grigia è un termine usato dagli archeologi per un particolare stile di ceramica egea associata con il periodo Medio Elladico (2100–1550 a.C. ca.). Di conseguenza l'inizio del Medio Elladico sarebbe contrassegnato dalla immigrazione di questi 'Mini'. Secondo Emily Vermeule, questa fu la prima ondata di veri elleni in Grecia. Più recentemente, comunque, gli archeologi e paletnologi trovano il termine 'Minyes' discutibile: 'chiamare i marcatori della ceramica minia loro stessi 'Mini' è biasimevole', sottolineava F. H. Stubbings. 'Derivare i nomi etnici dagli stili della ceramica è una delle abitudini più deplorevoli in archeologia,' affermava F. J. Tritsch nel 1974. 'Noi parliamo animatamente dei 'Mini' quando vogliamo indicare una popolazione che usa ceramica che noi chiamiamo 'minia',' sebbene egli avesse sbagliato nel dire che i Greci stessi non menzionano mai i 'Mini' come tribù o popolo.I greci micenei raggiunsero Creta nel 1450 a.C. ca. e la presenza greca sul continente viene fatta risalire al 1600 a.C., se la cultura materiale può essere collegata sicuramente all'etnicità basata sulla lingua. Altri aspetti del periodo 'minio' sembrano arrivare dalla Grecia settentrionale e dai Balcani (tombe a tumulo, asce in pietra perforate). Secondo gli scavi archeologici di John L. Caskey condotti negli anni '50, la prova è emersa collegando i proto-greci ai portatori della cultura 'minia' (o del Medio Elladico).\n\nUtilizzo del termine 'Μινύες' tra i greci classici.\nI Greci non sempre chiaramente distinguevano i Mini dalle culture pelasgiche che li avevano preceduti. I mitografi greci danno ai Mini un fondatore eponimo, Minia, forse così leggendario come Pelasgo (il padre fondatore dei pelasgi), i quali furono la più vasta categoria di popoli egei pre-greci. Questi Mini vennero associati con la Orcomeno beotica, come quando Pausania riferisce che 'Teo era solita essere abitata dai Mini di Orcomeno, i quali vi arrivarono con Atamante' e potrebbe avere rappresentato una dinastia governante o una tribù più tardi localizzata in Beozia.\nErodoto asserisce molte volte che i pelasgi dimoravano in un lontano passato con gli ateniesi in Attica, e che questi pelasgi mandati via dall'Attica a loro volta condussero i Mini fuori da Lemnos.Eracle, l'eroe le cui imprese sempre celebrano il nuovo ordine olimpico sulle vecchie tradizioni, venne a Tebe, una delle antiche città micenee della Grecia, e trovò greci che pagavano un tributo di 100 capi di bestiame (un ecatombe) ogni anno a Ergino, re dei Mini. Eracle attaccò un gruppo di emissari mandati dai Mini, tagliando loro le orecchie, i nasi e le mani. Li legò intorno a collo dicendo loro di prendere quei tributi da mandare a Ergino. Questi fece guerra a Tebe, ma Eracle, con i suoi compagni tebani, dopo averli armati con le armi consacrate nel tempio, sconfisse i Mini, uccidendo il loro re Ergino. I Mini furono così costretti a pagare il doppio del precedente tributo che era stato prima riservato ai Tebani. Ad Eracle venne attribuito anche l'incendio del palazzo di Orcomeno: 'Allora apparendo di sorpresa prima che gli abitanti di Orcomeno se ne accorgessero, sgaiottolò via attraverso l'ingresso, bruciando il palazzo dei Mini e radendo al suolo la città'.Gli Argonauti furono talvolta riferiti come 'Mini' poiché la madre di Giasone discendeva da quella stirpe, e molti suoi cugini si unirono nell'avventura. I Mini sono infine citati nell'Iliade, tra i popoli alleati degli achei.\n\nArcheologia.\nQuando John L. Caskey della Scuola Americana per gli Studi Classici ad Atene delineò i risultati dei suoi scavi a Lerna dal 1952 fino al 1958, egli precisa che le peculiarità della cultura del Medio Elladico (vale a dire la ceramica minia grigia e il veloce tornio da vasaio) possano trarre origine dall'Antico Elladico III. Anche Caskey dichiarò che Lerna (insieme agli insediamenti a Tirinto, Asine nell'Argolide, Agios Kosmas vicino ad Atene, e forse Corinto) fosse stata distrutta alla fine dell'Antico Elladico II. Egli suggerì che gli invasori degli insediamenti dell'Antico Elladico II possano essere i greci che parlavano un prototipo della successiva lingua greca. Tuttavia, c'è l'attestazione della distruzione alla fine dell'Antico Elladico III a Korakou (vicino a Corinto) e a Eutresis in Beozia. Nonostante ciò, Caskey trovò che le popolazioni del Medio Elladico fossero gli antenati diretti dei micenei e, più tardi, dei greci.Naturalmente, gli studiosi contestano la proposta di Caskey riguardo al fatto che invasori indoeuropei (proto-greci) distruggesero gli insediamenti dell'Antico Elladico II in Grecia. Infatti, gli strati di distruzione che Caskey trovò a Lerna e a Tirinto furono attribuiti al fuoco. Inoltre, ci sono indicazioni riguardo alla cultura dell'Antico Elladico II alla quale succede direttamente quella dell'Antico Elladico III. Nell'insieme, ciò indica che i progenitori e fondatori della 'cultura minia' fossero un gruppo autoctono." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Minosse.\n### Descrizione: Minosse (in greco antico: Μίνως?, Mínōs) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e di Europa, come i due fratelli Sarpedonte e Radamanto fu adottato da Asterio, colui che dopo sposò la madre.Dalla moglie Pasifae ebbe otto figli: Androgeo, Arianna, Acacallide, Catreo, Deucalione, Fedra, Glauco e Senodice; ebbe inoltre Eussantio da Dessitea, mentre dalla ninfa Paria ebbe Fiolao, Crise, Eurimedonte e Nefalione. Inoltre, Pasifae si unì con un toro che si generò dalle acque del mare, dando vita al Minotauro, creatura metà uomo e metà toro.\n\nMitologia.\nSecondo i principali miti, Minosse fu un re giusto di Creta: per questo motivo, dopo la sua morte cruenta, divenne uno dei giudici degli inferi insieme a Eaco e Radamanto. Nei miti attici, invece, viene dipinto come estremamente tirannico e crudele.\n\nIl personaggio.\nIn seguito alla morte del re Asterio, suo padre adottivo, Minosse costruì un altare in onore di Poseidone in riva al mare per dimostrare il suo diritto al trono; Minosse pregò il Dio di inviargli un toro da immolare ma, pur venendo esaudito, alla fine non sacrificò l'animale poiché dotato di grande bellezza: Poseidone, adirato, fece allora innamorare del toro Pasifae, la moglie di Minosse, e da questa unione nacque il mostruoso Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro. Minosse incaricò dunque Dedalo di costruire un labirinto in cui nasconderlo.\nIl regno di Minosse fu caratterizzato da ampi scontri con i popoli vicini, che riuscì ad assoggettare; combatté anche contro Niso, re di Megara, che aveva un capello d'oro a cui era legata la sorte della sua vita e della sua potenza. La figlia di Niso, Scilla, si innamorò al primo istante di Minosse e non indugiò ad introdursi nottetempo nella camera del padre per tagliargli il capello d'oro; in seguito si recò da Minosse offrendogli le chiavi di Megara e chiedendogli di sposarla. Minosse conquistò Megara ma rifiutò di portare con sé a Creta la parricida che, presa dallo sconforto, si gettò in mare e annegò.\nMinosse attaccò anche Atene, in seguito all'assassinio del figlio Androgeo ad opera del re Egeo; sconfitti gli ateniesi, Minosse impose un tributo di sangue: la consegna, ogni anno, di sette fanciulli e sette fanciulle da dare in pasto al Minotauro. Tale sacrificio cessò solo grazie all'intervento di Teseo, che con l'aiuto di Arianna riuscì ad uccidere il mostro.\nSecondo il mito, Minosse fu ucciso in una vasca da bagno in Sicilia mentre era ospite nella rocca del re sicano Cocalo. Minosse, per cercare di riacciuffare il fuggitivo Dedalo, da lui fatto rinchiudere nel Labirinto che lo stesso Dedalo aveva progettato e dal quale l'architetto era fuggito con ali fatte di penne e cera, escogitò un piano: promise una forte ricompensa a chiunque avesse trovato il modo di far passare un filo tra le volute di una conchiglia. Dedalo riuscì nell'impresa legando un filo ad una formica che, introdotta nella conchiglia i cui bordi aveva cosparso di miele, passò tra gli orifizi per trovare il miele. In questo modo Minosse scoprì il rifugio di Dedalo e giunse in Sicilia, pretendendo dal re Cocalo la consegna di Dedalo, ma le figlie di Cocalo aiutarono Dedalo ad ucciderlo. Il racconto è stato ripreso da Diodoro Siculo nella Biblioteca storica che narra come la sua leggendaria tomba si trovasse al di sotto di un tempio di Afrodite e come Terone di Akragas avesse occupato quest'area sacra con il proposito ufficiale di vendicare l'uccisione del re cretese.\n\nUno o due Minosse.\nPer conciliare gli aspetti contraddittori del suo carattere, nonché per spiegare come Minosse abbia governato Creta per un periodo di così tante generazioni, alcuni mitografi successivi, tra cui Diodoro Siculo e Plutarco, hanno ipotizzato l'esistenza di due differenti re con lo stesso nome.\nSecondo questa visione, il primo re Minosse era figlio di Zeus ed Europa e fratello di Radamanto e Sarpedonte. Sarebbe il Minosse identificato con le qualità positive del personaggio, tenuto in tale stima dagli dei dell'Olimpo che, dopo la sua morte, fu nominato uno dei tre 'Giudici dei Morti'. Questo Minosse I avrebbe avuto un solo figlio di nome Licasto, suo successore come re di Creta.\nIl figlio di Licasto sarebbe stato il secondo Minosse ovvero il 'cattivo' Minosse, a cui sarebbero collegati i miti di Teseo, Pasifae, il Minotauro, Dedalo, Glauco e Niso. A differenza di Minosse I, Minosse II generò numerosi figli, tra cui Androgeo, Catreo, Deucalione, Arianna, Fedra e Glauco, tutti nati da sua moglie Pasifae. Attraverso Deucalione, Minosse II era il nonno del re Idomeneo, che guidò i Cretesi alla guerra di Troia.\n\nStoricità di Minosse.\nCosì lo storico Tucidide descrive Minosse nella sua Guerra del Peloponneso.\n\nMinosse nell'Ade.\nGià Omero lo aveva posto come giudice delle anime nell'Ade, ma Dante trasse la figura di Minosse da Virgilio:.\n\nFigura poi ripresa da Claudiano:.\n\nNell'Inferno, Minosse si trova all'entrata del Cerchio II perché le anime del Limbo (Cerchio I) non hanno peccati da confessare e non vengono giudicate. Nella mitologia dantesca, a Minosse è dato il compito di ascoltare i peccati delle anime, le quali nulla nascondono al demone. Uditi i peccati Minosse comunica loro la destinazione all'interno dell'inferno, arrotolando la sua coda di serpente di tante spire quanti sono i cerchi di destinazione. Scorto Dante, Minosse interrompe il giudizio per rivolgergli un avvertimento: il poeta deve guardarsi dal venire con eccessiva sicurezza, poiché la facilità del viaggio fin lì compiuto (Dante è infatti, per il momento, solo passato al di là dell'Acheronte e ha incontrato solo i non battezzati, che non sono veri peccatori) potrebbero illuderlo che il viaggio intero sia semplice: il resto del viaggio infatti sarà molto più arduo. Tuttavia Virgilio, con le stesse parole usate prima per Caronte, lo ammonisce a non ostacolare un viaggio voluto dal cielo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Minotauro.\n### Descrizione: Il Minotauro (in greco antico: Μινώταυρος?, Minṓtauros) è una figura della mitologia greca. Figlio del Toro di Creta e di Pasifae, regina di Creta, era un essere mostruoso e feroce, con il corpo di un uomo e la testa di un toro che nacque per volere di Poseidone, il dio del mare, che intendeva punire il re di Creta, Minosse.\nAtene, sconfitta da Minosse, fu costretta a pagare un orribile tributo offrendogli ogni anno sette ragazzi e sette ragazze nel labirinto di Cnosso.\n\nMito greco: il Minotauro.\nMinosse, re di Creta, non era ben visto dalla popolazione cretese in quanto il suo vero padre non era il re precedente, Asterio, bensì Zeus. Il re, disperato, pregò Poseidone, il dio del mare, di inviargli un toro come simbolo dell'apprezzamento degli dei verso di lui in qualità di sovrano, promettendo di sacrificarlo in onore del dio. Poseidone acconsentì e gli donò un bellissimo e possente toro bianco di gran valore. Vista la bellezza dell'animale, Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie e ne sacrificò un altro. Poseidone allora, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae, moglie di Minosse, del toro stesso. Ella riuscì a soddisfare il proprio desiderio carnale nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte Dedalo. Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso minos ovvero 're' con il suffisso taurus ovvero 'toro'.\nIl Minotauro aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro. Era di carattere selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall'istinto animale, avendo la testa di una bestia; in quanto ibrido innaturale, non si nutriva in modo naturale e iniziò pertanto a divorare gli esseri umani. Minosse, per impedirgli di nuocere, fece rinchiudere il violento e crudele Minotauro nel labirinto di Cnosso, costruito da Dedalo. Quando Androgeo, figlio di Minosse, morì ucciso dagli ateniesi infuriati perché aveva vinto troppo ai loro giochi, disonorandoli, Minosse decise, per vendicarsi della città di Atene, sottomessa allora a Creta, che questa dovesse inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana.Teseo, eroe figlio del re ateniese Egeo, si offrì di far parte dei giovani per sconfiggere il Minotauro. Arianna, figlia di Minosse e di Pasifae, si innamorò di lui. Alla piccola entrata del labirinto, Arianna diede a Teseo il celebre 'filo', un gomitolo che gli avrebbe permesso di non perdersi una volta entrato, e una spada per uccidere il Minotauro. Quando Teseo giunse dinnanzi al Minotauro, lo affrontò e lo uccise con la spada. Uscito dal labirinto, Teseo salpò con Arianna alla volta di Atene, montando vele bianche in segno di vittoria. Più avanti, però, abbandonò la fanciulla dormiente sull'isola deserta di Nasso. Il motivo di tale atto è controverso. Si dice che l'eroe abbia abbandonato Arianna per la sua nuova amante Egle, figlia di Panopeo; o che si sentisse in imbarazzo di ritornare in patria con la figlia del nemico; oppure che venne intimorito da Dioniso che, in sogno, gli intimò di lasciarla là, per poi raggiungerla ancora dormiente e farla sua sposa.\nArianna, rimasta sola, iniziò a piangere, finché apparve al suo cospetto il dio Dioniso, che per confortarla le donò una meravigliosa corona d'oro, opera di Efesto, che venne poi, alla sua morte, mutata dal dio in una costellazione splendente: la costellazione della Corona.\nPoseidone, adirato contro Teseo, inviò una tempesta che squarciò le vele bianche della nave, costringendo l'eroe ateniese a sostituirle con quelle nere; altre versioni raccontano che per l'eccitazione della vittoria egli si dimenticò di issare le vele bianche, oppure gli fu annebbiata la memoria dagli dei come punizione per aver abbandonato Arianna. Infatti a Teseo, prima di partire, fu raccomandato da suo padre Egeo di portare due gruppi di vele, e di montare al ritorno le vele bianche in caso di vittoria, mentre, in caso di sconfitta, si sarebbero dovute issare quelle nere. Egeo, vedendo all'orizzonte le vele nere, credette che suo figlio fosse stato divorato dal Minotauro e si gettò disperato in mare, che dal suo nome fu poi chiamato mare di Egeo, cioè Mar Egeo.\n\nSignificati dietro al mito.\nDietro il mito si celano anche particolari significati che i Greci attribuivano ad alcuni elementi del racconto. Ad esempio il termine Minosse, attribuito al re di Creta, è designato da alcuni studi non come il nome del solo re di Cnosso, ma come il termine genericamente utilizzato per indicare 'i sovrani' in tutta l'isola di Creta. Dietro al personaggio del Minotauro si stima la divinizzazione del toro da parte dei Greci, mentre lo sterminato labirinto di Cnosso è simbolo dello stupore provato dai Greci nel vedere le immense costruzioni Cretesi. Alla vittoria di Teseo si attribuisce invece l'inizio del predominio dei Greci sul mar Egeo nonché il trionfo della ragione umana, incarnata da Teseo, sull'istinto animale, rappresentato dal Minotauro.\n\nIl Minotauro nella Divina Commedia.\nIl Minotauro appare nella Divina Commedia, precisamente nel dodicesimo canto dell'Inferno. È il guardiano del Cerchio dei violenti ed è qui che Dante e Virgilio lo incontrano. Nonostante tenti inizialmente di sbarrare loro la strada, Virgilio riesce ad allontanarlo, e allora il Minotauro comincia a divincolarsi qua e là come un toro.\nAllegoricamente, il Minotauro è posto a guardia del girone dei violenti, perché nel mito greco esso simboleggia proprio la parte istintiva e bestiale della mente umana, quella che ci accomuna agli animali (la «matta bestialità») e ci rende inconsapevoli. I violenti sono proprio quei peccatori che hanno peccato cedendo all'istinto e non hanno seguito la ragione. Per la teologia cristiana rappresenta un grave peccato, perché mentre agli animali non si può dare alcuna colpa, perché fanno ciò che è necessario per sopravvivere e nulla più, l'uomo dovrebbe usare la ragione per non compiere atti di pura crudeltà. La scena di Virgilio che vince il Minotauro rappresenta allegoricamente il trionfo della ragione sull'istinto.\nNella Divina Commedia è presente inoltre un accenno a Pasifae, madre del Minotauro, nel ventiseiesimo canto del Purgatorio, dedicato al vizio dei lussuriosi. Pasifae vi è citata due volte, come emblema dell'animalità del peccato di lussuria: Dante la definisce con eloquente sintesi 'colei / che s'imbestiò ne le 'mbestiate schegge'.\n\nNella cultura di massa.\nNel videogioco Age of Mythology il Minotauro è una delle unità mitiche che possono creare i Greci. Nel videogioco gli viene assegnato il nome scientifico fittizio di Homo taurus e un'altezza di circa 2,7 m.\nNella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo il Minotauro è il primo mostro che Percy combatte.\nNel videogioco Assassin's Creed Odyssey il Minotauro è uno dei quattro boss mitologici necessari per ottenere i manufatti di Atlantide.\nNel videogioco Shin Megami Tensei IV appare come uno dei primi boss principali a guardia delle profondità di Naraku. Nella community è famigerato per essere un boss relativamente difficile per i nuovi arrivati, ma anche per essere tedioso se durante la battaglia si ha Walter in squadra (il boss è immune agli attacchi di tipo fuoco, mosse specializzate di Walter, garantendogli dei Smirk facili). Nel contenuto scaricabile 'Money Makes the Underworld Turn.' è possibile ottenere una variante di colore diverso chiamato Asterius.\nNel videogioco Hades il Minotauro (chiamato Asterio) compare come boss assieme a Teseo, con il quale ha stretto un'improbabile amicizia fraterna.\nIl gruppo heavy metal spagnolo Tierra Santa ha dedicato una canzone a questo mito, dal titolo El laberinto del Minotauro e contenuto nell'album del 2001 Sangre de Reyes.\nIl film horror Minotaur, diretto nel 2006 da Jonathan English, si rifà liberamente al mito di Teseo e del Minotauro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mirmidoni (Eschilo).\n### Descrizione: Mirmidoni (in greco antico: Μυρμιδόνες?, Mirmidónes) è una tragedia di Eschilo andata quasi completamente perduta, che trattava della storia di Achille e Patroclo.\n\nTrama.\nLa tragedia si basa sul libro nono e sedicesimo dell'Iliade. Oltraggiato da Agamennone, Achille si rifiuta di combattere contro i Troiani anche dopo che il re acheo gli ha inviato un'ambasciata per convincerlo a tornare sul campo di battaglia. Anche il coro dei Mirmidoni esorta, invano, il proprio re a tornare in campo :.\n\nSenza Achille ogni sforzo è vano, ma Diomede decide ugualmente di guidare i Greci in battaglia ed essi subiscono una dolorosa sconfitta. Commosso dallo spreco di tante vite umane, Patroclo supplica Achille di lasciarlo andare a combattere al posto suo: indosserà l'armatura di Achille e i Troiani saranno così spaventati dalla sua apparizione che scapperanno alla sua vista. Achille si lascia smuovere dalla suppliche dell'amato e acconsente al piano di Patroclo.\nPatroclo indossa l'armatura del compagno e guida i Mirmidoni in battaglia, mentre Achille resta all'accampamento e offre libagioni a Zeus per la buona riuscita del piano e perché riporti Patroclo al campo sano e salvo; Zeus accoglie la prima richiesta, ma non la seconda. Un messaggero porta ad Achille la notizia che Patroclo, dopo aver combattuto valorosamente e aver ucciso l'eroe Sarpedonte, è stato colpito a tradimento dal dio Apollo e finito da Euforbo ed Ettore. Achille piange amaramente la morte dell'amato e decide di tornare in battaglia per vendicare la morte di Patroclo.\n\nAnalisi.\nAl contrario dell'Iliade (a cui la tragedia si ispira), l'opera di Eschilo descrive la relazione tra Achille e Patroclo come un rapporto esplicitamente omosessuale in cui Achille svolgeva il ruolo di erastès e Patroclo quello di eromenos. In uno dei frammenti rimasti, infatti, Achille parla di 'unione devota delle cosce', chiaro riferimento al sesso intercrurale.\nLa tragedia doveva essere la prima parte di una trilogia, la cosiddetta 'Achilleide', composta anche dalle Nereidi e dai Frigi, conosciuta anche come il Riscatto di Ettore, anch'esse perdute." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mirmidoni.\n### Descrizione: I Mirmìdoni (in greco antico: Μυρμιδόνες?, Myrmidónes, da μύρμηξ, 'formica'; in latino Myrmidones) sono un popolo della mitologia greca, discendente da Mirmidone, figlio di Zeus.\nErano un antico popolo della Tessaglia Ftiotide del quale era re Peleo e che suo figlio Achille condusse con sé, in gran numero, alla guerra di Troia.\nSecondo una tradizione, il popolo traeva il nome dal proprio re Mirmidone, figlio di Zeus e di Eurimedusa, che il dio aveva sedotto assumendo l'aspetto di una formica. Una leggenda posteriore narrava invece che i Mirmidoni discendessero dalle formiche, trasformate in uomini da Zeus per preghiera di Eaco, per ripopolare l'isola di Egina devastata da una pestilenza, e che avevano poi seguito Peleo, figlio di Eaco, esule a Ftia.\n\nLa leggenda.\nLa leggenda narra che Eaco, figlio della ninfa Egina e del dio Zeus, re dell'isola di Egina (il cui nome derivava da quello della già citata ninfa) che si trovava nel Golfo Saronico, perse moltissimi sudditi a causa di una pestilenza inviata dalla dea Era per vendicarsi del tradimento del coniuge. La pestilenza colpì l'acqua presente sull'isola, i cui abitanti, bevendola, misero fine alla loro vita. Appellandosi alla grazia di Zeus, Eaco ottenne inizialmente una pioggia torrenziale che purificò l'acqua contaminata, poi che le formiche si trasformassero in una moltitudine di uomini. Ecco l'origine del nome di questo popolo, che significa 'formiconi'.\n\nNelle opere di Omero.\nI Mirmidoni sono citati anche da Omero nell'Iliade, durante la guerra di Troia, dove viene dipinta la loro obbedienza assoluta agli ordini di Achille, figlio di Peleo e quindi nipote del capostipite Eaco: essi obbedivano ciecamente agendo spesso anche in maniera molto fredda e crudele, proprio a dimostrare la loro natura di 'ex formiche'. Nell'Iliade sono citati l'auriga Automedonte e cinque capi Mirmidoni: Alcimedonte, Eudoro, Fenice, Menestio e Pisandro.\n\nVoci correlate.\nMirmidoni (Eschilo).\n\nCollegamenti esterni.\nMirmidoni, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 22 gennaio 2017." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mirtilo.\n### Descrizione: Mirtilo è un personaggio della mitologia greca. Era figlio di Ermes, amico di Pelope, l'eroe eponimo del Peloponneso, e scelto da Enomao come suo auriga.Secondo altre versioni, Mirtilo era un figlio di Zeus e di Climene.\n\nIl mito.\nPelope si era innamorato di Ippodamia e figlia di Enomao il quale avrebbe concesso la figlia solo a chi lo avesse superato in una gara con i carri. La gara fu favorevole a Pelope, tuttavia pare che alla base di questa vittoria ci fosse stato il sabotaggio di Mirtilo a scapito di Enomao. Come tutti i traditori Mirtilo venne ucciso da Pelope per timore che raccontasse la verità. Secondo un'altra versione fu ucciso da Pelope avendo questi appurato che Mirtilo insidiava Ippodamia. In punto di morte Mirtilo maledisse Pelope e tutta la sua discendenza. Il suo cadavere fu trasformato da Ermes nella Costellazione dell'Auriga." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Miscello di Ripe.\n### Descrizione: Miscello di Ripe (in greco antico: Μύσκελλος o Μύσκελος?; Ripe, ... – ...) è stata una figura della cultura magno greca, ecista fondatore dell'antica Kroton.\nChe la città di provenienza di Miscello fosse Ripe nell’Acaia viene detto solo in Hippys di Reggio, uno storico greco antico (V sec. a.C.) cui è stata attribuita l’opera Ktísis Italías (“Fondazioni d’Italia”), poi menzionata da Diodoro Siculo (I° sec. a.C.) in Biblioteca Storica. I nomi delle città dell’Acaia sono riportati dalla tradizione a un periodo molto antico, ma senza precisi riferimenti cronologici: il «Catalogo delle navi» (Omero, Iliade, II, 573-575) menziona Aigion, Elice, Hyperesia (Egira), Pellene e Gonoessa, ma considera parte dell’Acaia occidentale come territorio degli Epei; Rhypes appare solo al V sec. in Erodoto.\n\nBiografia.\nSecondo le fonti antiche, Miscello si era recato presso l'oracolo di Apollo a Delfi per sapere se avesse potuto avere figli. Ma l'oracolo gli ordinò a Miscello di Ripe di fondare una nuova città nel territorio compreso fra Capo Lacinio e Punta AliceMiscello fondò questa città nel terzo anno della 17ª Olimpiade”.\n(Dionisio di Alicarnasso, II, 59, 2)ed ancoraMiscello, dal dorso corto, Apollo che opera da lontano t’è amico e ti concederà una stirpe. Ma prima di tutto ti comanda questo: fondare la grande Crotone in mezzo ai bei campi da arare.” Dal momento che egli non sapeva cosa fosse Crotone, di nuovo la Pizia disse: “Chi ti parla è colui che colpisce da lontano con le frecce e tu ascoltalo. Questa è la non arata regione tafia, qui si trova Calcide, qui il sacro suolo dei Cureti. Quelle sono le isole Echinadi: da qui il mare aperto per lungo tratto s’apre ad Occidente. In tal modo, ti dico, che non puoi sbagliare e non trovare il Capo Lacinio, né la sacra Crimisa o il fiume Esaro.”.\n(Diodoro Siculo, Biblioteca, VIII, 18)Dopo aver attraversato il mare ed esplorato quelle terre, Miscello pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già florida e accogliente anziché affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città. Il dio adirato gli ordinò di rispettare il responso dell'oracolo.Nonostante l’oracolo gli avesse imposto di fondare Crotone, Miscello, rimasto colpito dalla regione intorno a Sibari, voleva colonizzarla. E così questo responso scaturì per lui: “Miscello dal dorso corto, nel ricercare altre cose, al di là dei comandi divini, tu finisci per aspirare ai dolori. Accontentati del dono che ti porge il dio”.\n(Diodoro Siculo, Biblioteca, VIII, 18)Per Strabone, l'oracolo chiese a Miscello se per il un luogo dove fondare una città era più importante la salute che la ricchezza. Miscello scelse la salute, e quindi Crotone.“Siracusa fu fondata da Archia, che vi giunse navigando da Corinto, all’incirca nello stesso tempo in cui furono fondate Naxos e Megara. Si narra che Miscello ed Archia si recarono insieme a Delfi ed il dio chiese loro se preferivano la ricchezza o la salute. Archia preferì la ricchezza, Miscello invece la salute. Il dio allora concesse al primo di fondare Siracusa ed al secondo Crotone. Per questo accadde, come già ho detto, che i Crotoniati abitarono una città assai salubre, mentre Siracusani giunsero a tale ricchezza che anch’essi passarono in proverbio, allorché si diceva, per quelli troppo ricchi, che per loro non sarebbe stata sufficiente neanche la decima dei Siracusani”.\n(Strabone, Geografia, VI, 2, 4)Secondo Ovidio sarebbe stato invece Eracle ad ordinare a Miscello di recarsi sulle rive del fiume Esaro.“Narran che il figlio di Giove, dei buoi Ricco d’Iberia, intorno al Lacinio Arrivò dopo lungo viaggiare: mentre il suo armento nei pascoli stava, Crotone visitò, chè volea riposarsi. Nell’andarsene disse: “Con i nostri Nipoti, grande sarà una città”. Quel che predisse poi vero divenne.\nDa Anemone nacque un tale Miscello, tra tutti agli dei il giovin più caro. Dormiva un giorno il giovin Miscello E nel sonno Eracle sì gli impose “Trova dell’Esaro il letto pietroso, parti e la Patria tosto abbandona'.\nPer lungo il mar Ionio Taranto vide Lacedemonia città, Sibari poi, Nereto, città del Salento,Turio Sul golfo, Nemesi e l’aer Iapigio. Avea già visto le coste del mare, la fatal foce dell’Esaro vide e da presso di Crotone la tomba. Ivi, come Eracle prescritto gli avea, di una nuova città fondò le mura, nomandola come il vecchio sepolto.\n\n(Ovidio, Metamorfosi, XV, 12, 59)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mistagogia.\n### Descrizione: La mistagogia è, nella cultura religiosa greca, l'iniziazione ai misteri, segnatamente ai misteri di Eleusi.\n\nLa mistagogia in ambito cristiano.\nPer mistagogia, in ambito cristiano si intende il cammino fatto di apprendimento e conoscenza nonché di testimonianza che il cristiano compie dopo avere ricevuto i sacramenti dell'iniziazione cristiana.\nSi tratta di avvicinarsi al Mistero Pasquale di Cristo Risorto attraverso la comprensione e la pratica dei riti liturgici e con la testimonianza della propria fede nella vita reale di tutti i giorni.\nIl termine deriva dal greco e proviene dalla letteratura ellenica antica. Significa portare, guidare qualcuno a considerare le realtà sacre, introdurre nelle cose nascoste cioè nei misteri. La mistagogia è dunque l'azione di colui che conduce un altro, lo inizia ai misteri.\nNel rito bizantino la mistagogia è, per eccellenza, la divina liturgia cioè la Messa perché è l'azione che la Chiesa-Mistagoga fa per condurre i fedeli dentro i misteri di Dio e dell'uomo, è, infine, l'azione di Dio stesso che esce dal suo mistero per farsi presente all'uomo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mistagogo.\n### Descrizione: Il mistagogo (in greco antico: μυσταγωγός?) è, nella cultura religiosa greca, quella figura sacerdotale che impartisce le prime istruzioni agli iniziandi, gli aspiranti a ricevere l' iniziazione ai culti misterici.\n\nVoci correlate.\nIerofante.\nMistagogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Miti dei diluvi dell'antica Grecia.\n### Descrizione: La mitologia greca descrive tre inondazioni, il diluvio di Ogigo, il diluvio di Deucalione e il diluvio di Dardano. Due delle età greche dell'uomo si conclusero con un diluvio: il diluvio ogigiano pose fine all'Età dell'argento e il diluvio di Deucalione terminò la prima età del bronzo. Oltre a queste inondazioni, la mitologia greca afferma che il mondo è stato periodicamente distrutto da un incendio (vedi Fetonte).\n\nOgigo.\nIl diluvio ogigiano è così chiamato perché avvenne al tempo di Ogigo, un mitico re dell'Attica. Il nome Ogigo e Ogigiano è sinonimo di 'primordiale' e 'prima alba'. Altri dicono che fosse il fondatore e re di Tebe. In molte tradizioni si dice che il diluvio ogigiano avesse coperto il mondo intero e fu così devastante che l'Attica rimase senza re fino al regno di Cecrope.\nPlatone nelle sue Leggi, Libro III, sostiene che questo diluvio si era verificato diecimila anni prima dal suo tempo, in contrasto con solo 'uno o duemila anni che erano trascorsi' dalla scoperta della musica e di altre invenzioni. Anche in Timeo (22) e in Crizia (111-112) descrive il 'grande diluvio universale' come preceduto da 9.000 anni di storia prima del tempo di Solone, durante il X millennio a.C. Inoltre, i testi riferiscono che 'molti grandi diluvi si erano verificati durante i novemila anni' da quando Atene e Atlantide erano preminenti.\n\nDeucalione.\nLa leggenda di Deucalione raccontata dalla Biblioteca di Pseudo Apollodoro ha qualche somiglianza con altri miti del diluvio come l'Epopea di Gilgameš e la storia dell'Arca di Noè. Il Titano Prometeo consigliò a suo figlio Deucalione di costruire un'arca. Tutti gli altri uomini morirono tranne alcuni che fuggirono sulle alte montagne. Le montagne della Tessaglia furono separate e tutto il mondo al di là dell'istmo e del Peloponneso fu sopraffatto. Deucalione e sua moglie Pirra, dopo aver galleggiato nell'arca per nove giorni e nove notti, sbarcarono sul Parnaso. Una versione più antica della storia raccontata da Ellanico vede un''arca' di Deucalione che sbarca sul monte Otri in Tessaglia. Un altro racconto la vede approdare su un picco, probabilmente Phouka, in Argolide, in seguito chiamato Nemea. Quando le piogge cessarono, fece sacrificio a Zeus. Quindi, su ordine di Zeus, lanciò delle pietre dietro di lui, che divennero uomini e le pietre lanciate da Pirra divennero donne. La Biblioteca dà questo come un'etimologia per il greco laos (λᾱός, 'persone') come derivato da laas ('pietra'). I Megaresi raccontarono che Megaro, figlio di Zeus e di una ninfa Sithnid, sfuggì al diluvio di Deucalione nuotando fino alla cima del monte Gerania, guidato dalle grida delle gru.\n\nDalla teogonia della Biblioteca.\nSecondo la Teogonia della Biblioteca, Prometeo plasmò gli uomini con l'acqua e la terra e diede loro il fuoco che, all'insaputa di Zeus, aveva nascosto in uno stelo di finocchio. Quando Zeus lo venne a sapere, ordinò a Efesto di inchiodare Prometeo al monte Caucaso, una montagna scita. Prometeo fu inchiodato alla montagna e tenuto legato per molti anni. Ogni giorno un'aquila piombava su di lui e divorava i lobi del suo fegato, che ricrescevano di notte. Questa fu la pena che Prometeo dovette espiare per il furto del fuoco fino a quando Eracle in seguito lo liberò.\nPrometeo aveva un figlio, Deucalione, che regnava nelle regioni intorno a Fthia e sposò Pirra, la figlia di Epimeteo (il fratello di Prometeo) e Pandora (la prima donna foggiata dagli dei). Quando Zeus decise di distruggere gli uomini dell'età del bronzo, Deucalione, su consiglio di Prometeo, costruì un'arca. Dopo averla rifornita di provviste, vi si imbarcò con Pirra. Zeus, facendo piovere dal cielo, inondò la maggior parte della Grecia, così che tutti gli uomini furono distrutti, tranne alcuni che fuggirono sulle alte montagne nelle vicinanze mentre il Peloponneso veniva sopraffatto. Ma Deucalione, fluttuando nell'arca sul mare per nove giorni e altrettante notti, andò alla deriva approdando sul Parnaso, e lì, quando la pioggia cessò, approdò e fece un sacrificio a Zeus, il dio della Fuga. E Zeus gli mandò Hermes e gli permise di scegliere quello che voleva e scelse di ottenere degli uomini.\nSu ordine di Zeus prese delle pietre e le gettò sopra la sua testa, e le pietre lanciate da Deucalione divennero uomini e quelle lanciate da Pirra divennero donne. Quindi le persone venivano chiamate metaforicamente persone (laos) da lasa, 'una pietra'. E Deucalione ebbe figli da Pirra, il primo Elleno, il cui padre alcuni dicono fosse Zeus, e il secondo Anfizione, che regnò sull'Attica dopo Cranao, e il terzo una figlia Protogonia, che divenne la madre di Etlio da Zeus. Elleno ebbe Doro, Xuto, ed Eolo da una ninfa orseide. Coloro che erano chiamati Greci vennero chiamati Elleni (Ἕλληνες) dal suo nome ed egli divise il paese tra i suoi figli. Xuto ricevette il Peloponneso e generò Acheo e Ione da Creusa, figlia di Eretteo, e da Acheo e Ione derivano i loro nomi. Doro ricevette il paese confinante col Peloponneso e i coloni vennero chiamati Dori dal suo nome.\nEolo regnava sulle regioni intorno alla Tessaglia e chiamò gli abitanti Eoli. Sposò Enarete, figlia di Deimaco, e generò sette figli, Creteo, Sisifo, Atamante, Salmoneo, Deione, Magnese, Periere e cinque figlie, Canace, Alcione, Pisidice, Calice e Perimede. Perimede ebbe Ippodama e Oreste da Acheloo, e Pisidice, Antifo e Actor da Mirmidone. Alcione sposò Ceyx (figlio di Eosforo), ed entrambi sono descritti da diverse fonti come trasformati in uccelli alcionici.\n\nDardano.\nQuesto ha la stessa trama di base. Secondo Dionigi di Alicarnasso, Dardano lasciò Feno in Arcadia per colonizzare una terra nel mar Egeo nord-orientale. Quando si verificò il diluvio di Dardano, la terra fu allagata e la montagna dove lui e la sua famiglia si rifugiarono formò l'isola di Samotracia. Lasciò Samotracia su una canoa per le rive opposte dell'Asia Minore e si stabilì sul monte Ida. Per paura di un'altra alluvione, si astennero dal costruire una città e vissero all'aperto per cinquant'anni. Suo nipote Troo alla fine si trasferì dagli altopiani verso una vasta pianura, su una collina che aveva molti fiumi che scendevano da Ida. Lì costruì una città, che fu chiamata Troia dal suo nome. Oggi chiamiamo l'area 'i Dardanelli' (precedentemente nota come Ellesponto), uno stretto nella Turchia nord occidentale che collega il mar Egeo al mar di Marmara. Il nome deriva da Dardania, un'antica terra sulla sponda asiatica dello stretto che a sua volta prende il nome da Dardano, il mitico figlio di Zeus ed Elettra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Miti e leggende di Siracusa.\n### Descrizione: Il territorio siracusano è interessato da miti e leggende di seguito riportate.\n\nAretusa.\nIl mito più famoso di Siracusa è quello della ninfa Aretusa. La ninfa al seguito di Artemide, correndo libera tra i boschi del Peloponneso, fu vista dal giovane Alfeo che si innamorò perdutamente di lei. Ma Aretusa non ricambiava il suo sentimento, anzi rifuggiva da lui, finché stanca delle sue insistenze chiese aiuto ad Artemide. La Dea la avvolse in una spessa nube sciogliendo la giovane in una fonte sul lido di Ortigia.\nAlfeo allora chiese aiuto agli Dei, che lo trasformarono in un fiume che nascendo dalla Grecia e percorrendo tutto il Mar Ionio si unì all'amata fonte.\nAncora oggi il mito rivive nell'isola di Ortigia grazie alla cosiddetta Fonte Aretusa, uno specchio di acqua che sfocia nel Porto Grande di Siracusa. La leggenda di Alfeo trae origine dal fiume omonimo del Peloponneso, in Grecia, e da una fonte di acqua dolce (detta localmente Occhio della Zillica) che sgorga nel Porto Grande di Siracusa a poca distanza dalla Fonte Aretusa. Oggi il viale che costeggia la Fonte Aretusa si chiama proprio Lungomare Alfeo.\nNello specchio d'acqua della Fonte Aretusa e lungo le rive del fiume Ciane (vedi sotto) sono presenti gli unici papireti selvatici di tutta l'Europa. Il papiro cresce spontaneo solo in Egitto.\n\nCiane e Anapo.\nI fiumi Ciane e Anapo sono legati da una leggenda, che si ricollega al mito di Persefone e del suo rapimento ad opera di Ade.\nPersefone, figlia di Zeus e di Demetra, dea della vegetazione e dell'agricoltura, era intenta a cogliere fiori insieme ad alcune ninfe presso le rive del lago Pergusa (vicino ad Enna). Improvvisamente, dal suo regno sotterraneo sbucò fuori Ade, innamorato della fanciulla, che per non perdere tempo in corteggiamenti e soprattutto per evitare di chiedere la mano di Persefone al fratello Zeus, decise di rapirla.Fu la ninfa Ciane a reagire al rapimento aggrappandosi al cocchio di Ade nel tentativo disperato di trattenerlo. Il Dio incollerito, la percosse col suo scettro trasformandola in una doppia sorgente dalle acque color turchino (cyanos in Greco vuol dire appunto turchino).Il giovane Anapo, innamorato della ninfa Ciane vistosi liquefare la fidanzata, si fece mutare anch'egli nel fiume che ancor oggi, al termine del suo percorso si unisce nelle acque al Ciane, per versasi nel Porto Grande.\nUna seconda versione del mito riporta che Cianippo aveva fatto dei sacrifici a tutti gli dei eccetto che a Bacco, e questo dio per punirlo lo fece ubriacare in maniera tale che violentò la figlia Ciane. Ma la figlia durante il rapporto riuscì a prendergli un anello e lo consegnò alla nutrice per fargli comprendere, il giorno dopo, su chi aveva abusato. Il destino volle che dopo poco scoppiò un'epidemia di peste e consultato l'oracolo questi affermò che l'unico modo per placarlo era il sacrificio dell'uomo più cattivo della città. Ciane quindi afferrò per i capelli il padre e lo uccise con un pugnale, per poi suicidarsi essa stessa. Questo sacrificio si compì nel luogo della fonte Ciane. Così Proserpina commossa raccolse le lacrime della giovane Ciane e creò la fonte.\n\nEracle.\nDiodoro Siculo parlando del viaggio in Sicilia di Eracle racconta del suo arrivo a Siracusa, in cui per onorare Persefone e Ciane sacrificò un toro proprio alla fonte del fiume Ciane, ordinando ai cittadini di compiere ogni anno lo stesso gesto.\n\nProbabilmente dietro questo mito si nasconde l'antico ricordo di sacrifici umani compiuti presso la fonte dato che in questo passo l'allusione sembra evidente:.\nAnche altre fonti sembrano confermare questo sospetto.\n\nLeggenda delle sorelle callipigie.\nAteneo di Naucrati riporta la leggenda delle sorelle callipigie, due sorelle siracusane che si misero in gara per stabilire quale delle due fosse la più bella. A giudicarle era un giovane che dichiarò vincitrice la sorella maggiore, di cui s'innamorò. La fanciulla più giovane invece si fidanzò con il fratello del giudice. Le due sorelle, poi, per ringraziare la dea dell'Amore fondarono un tempio dedicato ad Afrodite Callipige.\n\nDamone e Finzia.\nLa leggenda di Damone e Finzia narra di due cari amici che si recano a Siracusa; qui, Finzia contesta il dominio tirannico di Dionisio e per questa ragione viene condannato a morte. Finzia chiede che gli sia permesso di fare ritorno per un'ultima volta a casa, per salutare la sua famiglia ma Dionisio rifiuta, convinto che Finzia ne approfitterebbe per fuggire. Damone quindi si offre di prendere il posto di Finzia mentre questi è via: Dionisio accetta, a condizione che, se Finzia non dovesse fare ritorno, Damone verrà giustiziato al suo posto. Finzia parte, ma non fa ritorno, così giunto il giorno dell'esecuzione, Dionisio dà il via ai preparativi per uccidere Damone, deridendolo per la sua eccessiva fiducia nell'amico. Ma prima che il boia esegua il suo compito, Finzia arriva sulla scena scusandosi con Damone per il ritardo, spiegando che la nave su cui si trovava per tornare a Siracusa era stata colta da una tempesta, e poi era stato aggredito da dei banditi. Stupito e per questa prova di lealtà, Dionisio decide di perdonarli entrambi e chiede anche di poter diventare a sua volta loro amico.\n\nLa spada di Damocle.\nSecondo il racconto di Cicerone, Damocle è un membro della corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa. Egli sostiene, in presenza del tiranno, che quest'ultimo sia una persona estremamente fortunata, potendo disporre di un grande potere e di una grande autorità: Dionigi gli propone allora di prendere il suo posto per un giorno, così da poter assaporare a sua volta tale fortuna, e Damocle accetta.\nLa sera si tiene un banchetto durante il quale Damocle incomincia a tastare con mano i piaceri dell'essere un uomo potente; solamente al termine della cena egli nota, sopra la sua testa, la presenza di una spada sostenuta da un esile crine di cavallo. Dionigi l'aveva fatta sospendere sul suo capo perché capisse che la sua posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi minacce per la sua incolumità. Immediatamente Damocle perde tutto il gusto per i cibi raffinati che sta assumendo, nonché per i bellissimi ragazzi che gli stanno intorno e chiede al tiranno di poter terminare lo scambio, non volendo più essere 'così fortunato'.\nL'espressione 'spada di Damocle' è diventata un modo di dire che indica un grave pericolo incombente, o un possibile pericolo di cui non si sa il momento in cui possa concretizzarsi. La spada di Damocle è citata inoltre in diversi prodotti della cultura di massa (libri, film, fumetti, videogiochi, canzoni e via dicendo). L'asteroide 5335 Damocles prende il nome dal protagonista di questa storia.\n\nLa leggenda della Pillirina.\nLa leggenda della Pellegrina (Pillirina in siciliano) narra di una giovane donna che si innamorò di un marinaio. Ma il loro amore era contrastato dai genitori di lei che avrebbero preferito un uomo ben più facoltoso. Nascostamente, nelle notti di plenilunio si incontravano nella grotta della Pillirina e su di un tappeto di alghe, trasportati dal mare sin all'interno, i giovani si amavano. Ma nelle successive notti il mare fu parecchio agitato e il marinaio non poté venire all'appuntamento. La giovane donna attese sino alla bonaccia dei giorni successivi, ma il giovane non venne più. Così ferita nell'amore la donna decise di gettarsi in mare e togliersi la vita. Da allora, i marinai raccontano che nelle notti di luna piena, quando i raggi di luce entrano nella grotta della Pillirina a causa di un foro superficiale, appare una donna che attende il suo amato." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mito del carro e dell'auriga.\n### Descrizione: Il mito del carro e dell'auriga, o della biga alata, tratto dal Fedro di Platone, serve a spiegare la teoria platonica della reminiscenza dell'anima, un fenomeno che durante la reincarnazione produce ricordi legati alla vita precedente. Racconta di una biga su cui si trova un auriga, personificazione della parte razionale o intellettiva dell'anima (logistikòn). La biga è trainata da una coppia di cavalli, uno bianco e uno nero: quello bianco raffigura la parte dell'anima dotata di sentimenti di carattere spirituale (thymoeidès), e si dirige verso il mondo delle Idee; quello nero raffigura la parte dell'anima concupiscibile (epithymetikòn) e si dirige verso il mondo sensibile. I due cavalli sono tenuti per le briglie dall'auriga che, come detto, rappresenta la ragione: questa non si muove in modo autonomo ma ha solo il compito di guidare.\n\nLa biga deve essere diretta verso l'Iperuranio, un luogo metafisico a forma di anfiteatro dove risiedono le 'Idee'.\nLo scopo dell'anima, infatti, è contemplare il più possibile l'Iperuranio e assorbirne la sapienza delle idee. L'auriga quindi deve riuscire a guidare i cavalli nella stessa direzione, verso l'alto, tenendo a bada quello nero e spronando quello bianco, in modo da evitare o ritardare il più possibile di 'precipitare' nella reincarnazione.\nChi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi.\nQuesto mito, che serve a spiegare la reminiscenza, è riconducibile all'immortalità dell'anima.\nIl mito del carro alato descrive la virtù platonica della temperanza (sophrosyne) che consiste nel dominio dell'anima razionale su quella concupiscente e irascibile." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mito della caverna.\n### Descrizione: Il mito della caverna di Platone è una delle allegorie più conosciute tra quelle del filosofo ateniese. Il mito è raccontato all'inizio del libro settimo de La Repubblica (514 b – 520 a). Si tratta di uno dei testi universalmente riconosciuti come fondamentali per la storia del pensiero e della cultura occidentale.\n\nTrama.\nSi immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.\nSi pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada è stato eretto un muretto lungo il quale alcuni uomini portano modellini e manichini con le forme di vari oggetti, piante, animali, e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attirerebbe l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.\nMentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre 'parlanti' come oggetti, piante, animali, e persone reali.\nSi supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.\nAllo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.\nVolendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che:.\n\nResosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con 'gli occhi rovinati'. Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.\n\nInterpretazione.\nParlando semplicemente, Platone si riferisce alla scoperta della realtà delle cose che ci circondano: per fare questo, discute sulla natura stessa della realtà. Dopo aver raccontato il mito, però, Platone aggiunge che tutto il ragionamento dietro l'allegoria deve applicarsi a tutto quello di cui si è già discusso nel dialogo: serve, cioè, ad interpretare le pagine che descrivono la metafora del sole e la teoria della linea.\nIn particolare, Platone paragona il mondo conoscibile, cioè gli oggetti che osserviamo attorno a noi, ...\n\nIl sole che brilla all'esterno della caverna rappresenta l'idea del bene e questo passaggio darebbe facilmente l'impressione che Platone la concepisse come una divinità creativa ed indipendente. Normalmente gli uomini sono tenuti prigionieri, costretti ad osservare delle semplici ombre di forme che non sono neanche dei veri oggetti; essi possono essere trovati soltanto 'fuori della caverna', cioè nel mondo intelligibile delle forme conosciute dalla ragione e non dalla percezione.\n\nInoltre, dopo aver fatto ritorno dalla contemplazione del divino alle 'cose umane', l'uomo-filosofo rischia di fare una 'cattiva figura' se,.\nChiaramente Platone si riferisce, tra le righe, al processo che Socrate dovette subire: tutto il mito, infatti, diviene una metafora della vita del filosofo ateniese, che riuscì a risalire la strada verso la verità, ma venne ucciso per aver tentato di portarla agli uomini, incatenati al mondo dell'opinione.\nUn'altra interpretazione mette in parallelo questa allegoria con quella dell'illuminazione. Come prima cosa, l'uomo deve svegliarsi da quel sonno che viene chiamato 'vita' (equivalente alla liberazione del prigioniero); in seguito egli si rende conto delle finzioni che l'uomo credeva entità reali (le ombre sulla parete della caverna); infine, egli giunge a vedere la verità per quella che è realmente (il sole ed il mondo all'esterno della caverna). L'istinto dell'uomo è quello di liberare gli altri prigionieri per condividere le sue scoperte, ma questo tentativo è inutile, in quanto i prigionieri non possono e non vogliono vedere oltre le rassicuranti ombre ed attaccano il portatore della verità.\nUn'ulteriore interpretazione è stata fatta dagli idealisti. Nella filosofia di George Berkeley, infatti, viene espresso il concetto che gli uomini non conoscano direttamente ed immediatamente i veri oggetti del mondo: piuttosto, noi conosciamo soltanto l'effetto che la realtà esterna ha sulle nostre menti. In altre parole, quando osserviamo un oggetto, noi ne percepiamo solo una copia, una semplice rappresentazione mentale del 'vero' oggetto della realtà esterna.\n\nSimbolismo.\nOgni aspetto dell'allegoria ha il proprio significato: Platone era fortemente interessato alla politica ed alla sociologia, delle quali si discute, indirettamente, nel mito.\nIn primo luogo, Platone simboleggia con il sole la fonte della vera conoscenza. In seguito aggiunge che i prigionieri incatenati nella caverna rappresentano la maggior parte dell'umanità: il filosofo è l'uomo liberato, che tenta di portare i suoi compagni verso la conoscenza.\nIl significato del mito è duplice: esso può essere letto, infatti, sia in chiave ontologica, sia gnoseologica.\nLa parte iniziale del mito riprende, infatti, la teoria della linea, già esposta da Platone nei libri precedenti al settimo: il mito della caverna diventa quindi la descrizione della faticosa salita dell'uomo verso la vera conoscenza. La seguente tabella riassume il parallelismo, evidenziando anche il rapporto dimensionale tra le varie parti del segmento.\n\nIl mito della caverna nella società moderna e nei media.\nL'idea della liberazione dell'uomo dalle catene della sua esperienza limitata ed il raggiungimento della pura conoscenza della realtà è comune a molte culture; anche le scoperte e le invenzioni che rendono tale il mondo moderno possono essere viste come risultato del tentativo dell'uomo di superare i propri limiti per raggiungere ciò che è oltre la conoscenza del momento. La letteratura, la scultura, il cinema ed in generale tutte le arti sono ricche di storie di uomini che, sfidando l'ostilità dei contemporanei, si sono 'liberati dalle catene' dell'opinione arrivando a conoscere la verità e sono poi tornati a riferirla, non sempre guadagnando rispetto ed ammirazione, agli ex compagni di prigionia. Inoltre, nel Novecento il mito della caverna è divenuto una metafora che simboleggia quanto i mass media influenzino e dominino l'opinione pubblica, interponendosi tra l'individuo e la notizia, manipolando quest'ultima secondo necessità.\n\nNel film Il conformista di Bernardo Bertolucci, ambientato durante il Ventennio, un vecchio professore si serve del mito della caverna per illustrare la condizione di accecamento morale e politico prodotta dal fascismo.\nNel film The Island, un popolo di cloni è tenuto prigioniero sotto terra con proiettata una realtà olografica. Uno di loro compirà un viaggio che lo porterà alla consapevolezza della sua condizione e lo spingerà a liberare gli altri.\nNella trilogia Matrix, la razza umana è controllata e sfruttata dalle macchine, che fanno credere loro di vivere liberamente nel mondo del XX secolo, mentre in realtà la tengono imprigionata, coltivando uomini e donne per trarne l'energia necessaria alla loro sopravvivenza meccanica. La gente vive senza accorgersi minimamente della realtà perché vive collegata ad un sistema informatico, chiamato appunto Matrix dai dissidenti, che invia impulsi elettrici al cervello umano, convincendo gli uomini di vivere in un mondo che, in realtà, non esiste più da centinaia di anni. Spetterà all'Eletto, Neo, liberarsi dall'illusione biochimica e, con l'aiuto dei ribelli, ritornare nel sistema per tentare di liberare la razza umana dal controllo delle macchine. Sia il finale del primo film, con il dialogo di Neo al telefono, sia il comportamento del personaggio di Cypher lasciano tuttavia intendere che, anche messi di fronte alla realtà delle cose, non tutti gli uomini saranno disposti ad abbandonare la loro 'prigionia', preferendo la tranquillità e la sicurezza della loro vita illusoria. Inoltre, alla fine del primo film della trilogia, Neo dopo essere tornato in vita vede la realtà di Matrix come è davvero, cioè un insieme di numeri e codici che controllano le vite degli uomini, in perfetto parallelismo con il prigioniero liberato. Questo parallelismo è rafforzato dall'ultima scena del film, in cui Neo guarda direttamente la luce del sole, così come accade al prigioniero liberato dalla caverna nel racconto di Platone.\nÈ simile il riferimento al mito in WALL•E, film di animazione in cui l'umanità è rinchiusa in un'astronave, incapace di deambulare, finché il capitano dell'astronave non si ribella al 'pilota automatico' e riporta la nave verso Terra.\nNel film The Truman Show, il protagonista crede di vivere in una tranquilla cittadina americana; è abituato a considerare 'reali' i suoi amici, il suo lavoro, il suo paese, la sua fidanzata. In realtà egli vive, fin dalla nascita, in un reality show televisivo di cui è l'unico inconsapevole protagonista e le persone con le quali ogni giorno comunica sono semplicemente delle comparse del programma.\nNel film Il tredicesimo piano, viene trovato morto un famoso programmatore di mondi virtuali, immense simulazioni di città del passato abitate da esseri virtuali con personalità umana. L'unico indizio sul delitto è stato lasciato all'interno di uno di questi mondi ed un collega della vittima dovrà entrarvi per recuperarlo, facendo attenzione a non rivelare alle entità in esso viventi la loro reale situazione: se, infatti, una di queste entità scoprisse la verità, le conseguenze sarebbero imprevedibili.\nIn Arancia meccanica, il protagonista Alex è sottoposto alla 'cura Ludovico van': legato con una camicia di forza ad una sedia, la testa fissata con lacci e gli occhi tenuti aperti forzosamente, è costretto a guardare per ore la proiezione di filmati estremamente violenti dagli scienziati che decidono per lui cosa è bene e cosa è male. Come incatenato nella caverna, può solo guardare sulla parete ombre proiettate dagli artefici/giganti.\nIn Tutta la vita davanti c'è un richiamo diretto al mito della caverna. La protagonista Marta, laureata in filosofia, prima lo racconta alla piccola Lara e poi, venendo delusa da Giorgio, il sindacalista, gli dice che lo riteneva l'uomo che l'avrebbe salvata dalla caverna.\nNel libro La caverna, lo scrittore José Saramago rivisita il mito della caverna, e lo porta ai giorni nostri. È la storia di un vasaio cui viene rifiutata la solita fornitura di stoviglie da parte del Centro - una città-centro commerciale quasi infinita e maligna. L'artigiano si troverà così costretto a inventarsi un altro prodotto e, soprattutto, a confrontarsi con il Centro stesso.\nUna tematica simile è sviluppata nell'anime di fantascienza Zegapain (ZEGAPAIN -ゼーガペイン-) in cui il protagonista scopre che il genere umano, così come credeva di conoscerlo, non esiste più e gli ultimi sopravvissuti sulla Terra vivono sotto forma di apparizioni virtuali in enormi elaboratori quantistici che simulano la vita di intere città (ognuna immagazzinata in un server) e ignorano la verità del mondo esterno. I nemici contro cui il protagonista e i suoi compagni combattono a bordo di grandi robot antropomorfi (mecha), nella speranza di una futura 'resurrezione' o 'risveglio', sono esseri umani evoluti capaci di rigenerarsi e privi di individualità ed emozioni, che tentano di adattare la Terra alle proprie necessità e di eliminare i resti della vecchia civiltà umana.\nNel film V per Vendetta la protagonista Evey Hammond viene imprigionata e torturata per estorcerle delle informazioni. Poi si scoprirà che quel luogo di prigionia era solo un'illusione creata dal suo mentore V affinché Evey potesse liberarsi dalle paure che la tenevano incatenata. Come un novello Platone, il personaggio di V scopre un inganno volto a sottomettere l'umanità e tenta di liberarla, a cominciare dalla sua discepola Evey Hammond e dall'ispettore Eric Finch.\nNel film Dark City il protagonista John scopre che la città in cui vive è in realtà un laboratorio extraterrestre. Gli alieni stanno conducendo esperimenti sugli esseri umani per carpirne il segreto dell'individualità.\nNel film Essi vivono il protagonista John Nada trova degli strani occhiali che gli permettono di vedere la verità: gli alieni hanno invaso la terra e mediante il controllo sui mass media stanno sottomettendo gli esseri umani.\nNel film greco Dogtooth, una famiglia non ha mai fatto uscire i propri figli che, cresciuti, vivono in un mondo tutto loro creato dai genitori. Sarà la sorella maggiore, tramite alcune videocassette, a superare la barriera che separa la famiglia dal mondo esterno.\nNel film Sbucato dal passato, la famiglia Webber si rinchiude per 35 anni in un rifugio antiatomico per salvarsi dai bombardamenti. All'interno del rifugio nascerà Adam che, una volta adulto, uscirà e scoprirà che non c'era stato alcun bombardamento ma semplicemente un aereo era precipitato sulla casa dei Webber. Adam si impegnerà quindi per far uscire i genitori dalla caverna.\nNel film eXistenZ un game designer crea mondi virtuali, nei quali è possibile entrare tramite connessione diretta al proprio midollo spinale, la cui continua frequentazione provoca la progressiva perdita del contatto con la realtà. Alla fine del film, una volta concluso il viaggio nella realtà virtuale, uno dei personaggi manifesterà il dubbio di trovarsi ancora all'interno del mondo illusorio.Nell'anime Gurren Lagann il mito della caverna è richiamato in almeno due occasioni: all'inizio della serie quando gli abitanti del villaggio di Jiha rifiutano di andare verso la superficie perché non credono nella sua esistenza e successivamente al villaggio di Adai, dove un religioso convince la popolazione a restare sottoterra a causa del divieto imposto dalla divinità locale.Nella serie televisiva Wayward Pines il protagonista vive in ciò che crede essere una cittadina del 21º secolo, ma viene a scoprire che in realtà è nel futuro e l'umanita si è evoluta. Si trova davanti al dover mantenere il segreto con gli altri cittadini, che invece pianificano di scappare. Mentre nel mito il mondo esterno è migliore delle ombre, in questo caso il mondo in cui i personaggi vivono è anche una sorta di riparo dal mondo esterno, in cui appunto la società è collassata.Nella serie di videogiochi Fallout l'umanità è sopravvissuta ai bombardamenti atomici rifugiandosi in bunker sotterranei completamente autosufficienti denominati 'Vault' per svariati secoli, fino a ritenerli l'unico modo di sopravvivere nel mondo e rifiutare di uscire all'esterno. In particolare, nel primo capitolo della serie, il protagonista è costretto a uscire per cercare un chip per riparare il macchinario di produzione dell'acqua, e al suo ritorno il sovrintendente del Vault lo esilia per sempre, in modo da impedire che il suo eroico esempio spinga altri abitanti ad avventurarsi all'esterno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mito della nascita di Eros.\n### Descrizione: Il mito della nascita di Eros è un mito platonico presente all'interno del Simposio di Platone.\n\nL'eros prima di Platone.\nL'eros per i greci.\nCome nota George M. A. Hanfmann , «i Greci non distinguevano nettamente la passione d'amore e il dio che la simboleggiava». Il termine eros (in greco, ἔρως) compare per la prima volta nei poemi omerici ad indicare il desiderio fisico.\nCon Esiodo esso acquisisce uno statuto divino, risultando quel dio primordiale in grado di domare con la passione sia gli dèi che gli uomini.Nei lirici greci eros viene celebrato come quel desiderio irrefrenabile dalle caratteristiche crudeli e ingestibili. Manifestandosi improvvisamente, l'eros agita in modo cupo le sue vittime .\nSi aggiunga anche che la nozione generale di 'amore' veniva coniugata nella cultura greca in modo diversi:.\n\nL'amore nei confronti di chi ci è vicino o affine era definito philìa;.\nL'amore nei confronti chi è diverso da noi oppure è 'straniero' era la xenìa;.\nl'amore nei confronti di chi appartiene alla nostra famiglia si definiva storghé;.\nl'amore incondizionato pronto al sacrificio veniva considerato agàpe;.\nl'amore inteso come desiderio fisico era invece eros.\n\nEros come divinità.\nEros come dio primordiale è soprattutto 'meraviglioso' (il termine greco è kàllistos). Come nota infatti Silvana Fasce, la sua 'bellezza', quando indicata in Esiodo, suggerisce la «sua superiorità e dignità divina e del privilegio di appartenere ad una cerchia di figure particolari di rango celeste». In questo senso il termine lysimelès ('colui che scioglie le membra') si ricollega a Eros. Quest'ultimo è dio del desiderio sessuale, eterosessuale ed omosessuale, dio generativo e forza primordiale, passione cupa dai risvolti amari e dolci.\nNonostante ciò Eros rimane un elemento fondante anche nella Teogonia orfica che, secondo George M. A. Hanfmann, è alla base del racconto platonico anche nel Simposio. Di questa 'teogonia' la più antica giunta a noi è riportata negli Uccelli di AristofaneIl rapporto strettissimo tra Platone e i misteri è riportato, oltre che da studiosi come Colli, Reale e Hanfmann, dallo stesso Platone nel Fedone . Giorgio Colli rileva come la conclusione del Simposio (218b) alluda letteralmente ad un verso orfico antico .\n\nIl dialogo.\nLa natura dell'amore.\nPlatone fa sì che il dialogo inizi con l'abile confutazione, da parte di Socrate, di Agatone, che nel dialogo stesso aveva parlato prima. Socrate spiega che l'amore non è mai a sé stante, ma necessita di un oggetto: ha perciò sempre bisogno di ciò che ama, e attualmente non lo possiede. Ciò di cui necessita non può tuttavia essere brutto, e pertanto non può che essere buono e bello. L'amore è pertanto mancanza del bello, quindi tendenza ad esso e poiché ciò che bello è anche necessariamente buono, l'amore si traduce in una mancanza del buono.Socrate quindi continua nell'esporre la sua teoria sull'amore, affermando che tutto ciò che sa sull'amore lo ha imparato da Diotima, con la quale aveva discusso al riguardo.\nNel corso della discussione con Diotima riportata ai presenti da Socrate, il filosofo dichiara che ciò che non è bello è necessariamente brutto, al che viene corretto dalla donna di Mantinea, che lo costringe ad ammettere che esistono anche le vie di mezzo (per esempio, non esistono solo i sapienti e gli ignoranti, ma anche coloro che hanno una 'retta opinione' pur non sapendola giustificare, cosicché non è possibile definirli sapienti - 'come può darsi scienza senza ragione?' - ma non si può neppure chiamarli ignoranti - 'come può essere ignoranza il pervenire al reale?').\nAllo stesso modo, Amore non può essere un mortale ma neppure un dio, perché è sprovvisto di quelle qualità (il bene e il bello) di cui va alla ricerca. In questo modo, Amore non è altro che 'un gran demone', un'entità intermedia tra il mondo dei mortali e quello degli dei con funzione di mantenere in contatto entrambe le sfere, altrimenti inconciliabili.\n\nL'origine di Amore e le sue caratteristiche.\nIl dialogo continua poi con la trattazione sull'origine di Amore: egli infatti venne concepito durante il banchetto per la nascita di Afrodite grazie all'unione tra Poros (Espediente o Ingegno) e Penia (Povertà). L'unione tra i due si concretizzò quando Poros, ubriaco per aver bevuto troppo nettare, si addormentò ebbro sul prato e fu visto da Penìa, che approfittò dello stato di Poros per unirsi a lui. Da quel momento Eros è seguace di Afrodite, per via del fatto che fu concepito nel giorno della sua nascita. E poiché Afrodite è bella, Amore è per sua natura amante del bello.\n\nLa procreazione nel corpo e nell'anima.\nDunque, Amore, essendo alla ricerca della sapienza, che è 'fra le cose più belle', è di conseguenza alla ricerca del bello. «E se – si domanda Diotima – sostituiamo il bello con il bene? Chi desidera il bene non lo fa per essere felice? E chi è felice non vuole restarlo per sempre?» Di conseguenza chi desidera il bene desidera che questo divenga suo per sempre, desidera quindi l'immortalità, e l'unico modo per ottenere ciò è la procreazione del bello nel corpo e nell'anima. In questo senso, il bene porta l'uomo a riprodursi e il bello stimola la generazione, la contemplazione dell'Assoluto. Ne consegue che l'amore è aspirazione a riprodursi.\n\nFigure e simbolismi.\nSecondo alcuni studiosi, il mito della nascita di Eros rappresenterebbe una sorta di omaggio di Platone ad Aristofane, allora da poco scomparso. Questi compare quale personaggio nel dialogo platonico, alla fine del quale Socrate descrive la figura del filosofo come compartecipata di tragedia e commedia, in una sorta di 'poeta del vero'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mito della nobile menzogna.\n### Descrizione: Il mito della nobile menzogna è presente nel III libro della Repubblica di Platone e rientra nel progetto paideutico dell'autore riguardante la kallipoli, la 'la città bella' immaginata da Socrate nel dialogo.\n\nLa menzogna artefice dello Stato ideale.\nIl mito della nobile menzogna (in greco γενναῖον ψεῦδος) si differenzia dagli altri perché il narratore (Socrate) pone come esplicita premessa che esso è falso, tant'è vero che, al termine dell'esposizione della menzogna, il suo interlocutore, Glaucone non può che dichiarare:.\n\n\nMa se Socrate - che il suo allievo Platone ci ha sempre descritto come un campione della verità - mente dichiaratamente, c'è un motivo: nell'ottica dello Stato ideale, bisogna abituare i cittadini dello stesso a coltivare il legame di fratellanza e renderli più sensibili alla stretta connessione che sussiste tra loro e la patria. Non solo, è necessario che gli abitanti accettino la gerarchia dello Stato considerandola legittima non in quanto frutto acritico della tradizione, bensì in quanto direttamente legata alla natura.\nÈ dunque questo il motivo per cui Socrate elabora una vera e propria bugia: rafforzare la coesione statale:.\n\nLa terra patria degli uomini.\nIl mito-menzogna narrato da Socrate prende le mosse dall'origine degli uomini. Essi hanno solo sognato – argomenta Socrate – di essere allevati ed educati da noi. In verità essi si trovavano nelle viscere della terra, la loro madre, dove furono creati insieme alle loro armi e al loro equipaggiamento. Quando poi furono pronti – continua il filosofo – la terra li portò alla luce e da quel momento il compito degli uomini è difendere la terra, loro vera patria, e di preoccuparsi dei concittadini, che sono come fratelli.Tuttavia, la gerarchia dello Stato non è immutabile, visto che." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mito delle cicale.\n### Descrizione: Il mito delle cicale viene raccontato da Platone nel dialogo Fedro.\n\nNarrazione.\nSi racconta, in questo mito, che un tempo le cicale altro non erano che esseri umani appassionati a tal punto della musica da dimenticare perfino di nutrirsi, disposti finanche a morire pur di continuare a cantare. Per ricompensare l'amore di questi uomini verso la musica, le Muse decisero di trasformarli in cicale, degli animali che potessero trascorrere l'intera loro breve esistenza cantando. Dopo la morte questi insetti avrebbero poi avuto il compito di riferire alle Muse quali uomini sulla Terra le onoravano e quali no.\nAd Urania e Calliope le cicale riferiscono che alcuni uomini passano la loro vita terrena filosofando. In tal modo dunque essi praticano la forma più nobile ed elevata dell'arte musicale (unica arte alla quale Platone attribuisce un giudizio positivo in quanto non è 'imitazione dell'imitazione'). Queste due Muse infatti 'sopra tutte le altre Muse presiedono alle cose celesti ed occupandosi dei discorsi divini ed umani, sanno il canto più soave' (Fedro, 259).\n\nVoci correlate.\nPlatone.\nFedro.\nMusica nell'antica Grecia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mito di Aristofane o dell'androgino.\n### Descrizione: Il mito di Aristofane (o mito dell'androgino) è presente nel celebre dialogo platonico Simposio, che si propone di trattare l'immortale tema dell'amore.\n\nEsposizione.\nDopo l'esposizione di Fedro, Pausania di Atene ed Erissimaco, inizia a parlare Aristofane, il famoso poeta comico, che sceglie il mito come veicolo della sua opinione su Eros. Tempo addietro - espone il poeta - non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), bensì tre, tra cui, oltre a quelli già citati, il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili. In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due facce orientate in direzione opposta e una sola testa, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi. Per via della loro potenza, gli esseri umani erano superbi e tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e divise, a colpi di saetta, gli aggressori.\n\nIn questo modo gli esseri umani furono divisi e s'indebolirono. Ed è da quel momento - spiega Aristofane - che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le 'parti' non fanno altro che stringersi l'una all'altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire 'fittiziamente' l'unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.\n\nSiccome i sessi erano tre, due sono oggi le tipologie d'amore: il rapporto omosessuale (se i due partner facevano parte in principio di un essere umano completamente maschile o completamente femminile) e il rapporto eterosessuale (se i due facevano parte di un essere androgino).\nLa caratteristica interessante del discorso di Aristofane risiede nel fatto che la relazione erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere a un fine quale potrebbe essere la procreazione, ma ha valore per se stessa, prescindendo così dalle conseguenze." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mito di Er.\n### Descrizione: Il mito di Er è uno dei miti descritti nelle opere del filosofo greco Platone. Narrato in una delle sue opere più ampie, La Repubblica, in conclusione del Libro X, l'ultimo, è considerato uno dei più importanti miti escatologici dei dialoghi di Platone. I suoi contenuti sono ispirati in maniera rilevante dal mito orfico e pitagorico della metempsicosi, ma contiene anche l'affermazione di una nuova responsabilità morale nei confronti del proprio destino dopo la morte, concetto questo in parte estraneo alla concezione tradizionale greca della vita e della morte.\n\nRacconto.\nIl mito narra di Er, figlio di Armenio, un soldato valoroso originario della Panfilia, morto in battaglia che, mentre stava per essere arso sul rogo funebre, si ridestò dal sonno mortale e raccontò quello che aveva visto nell'aldilà. La sua anima appena uscita dal corpo si era unita a molte altre e camminando era arrivata in un luogo divino dove i giudici delle anime sedevano tra quattro aperture, due per chi andava e veniva dal cielo e le altre due per chi andava e veniva dalle profondità della terra. I giudici esaminavano le anime e ponevano sul petto dei giusti e sulle spalle dei malvagi la sentenza ordinando ai primi di salire al cielo e agli altri di andare sottoterra. Avevano quindi ordinato a Er di ascoltare e guardare ciò che avveniva in quel luogo per poi raccontarlo.\nDalle voragini intanto uscivano delle anime sporche e lacere che avevano viaggiato per 1000 anni, in cielo o sottoterra, per espiare le loro colpe. Chi in vita aveva commesso ingiustizie veniva punito con una pena 10 volte superiore al male commesso, mentre le buone azioni venivano premiate nella stessa misura. Tutti i castighi inflitti erano temporanei, meno quelli riservati ai tiranni come Ardieo, despota di una città della Panfilia che aveva ucciso il vecchio padre e il fratello maggiore e aveva compiuto molte altre nefandezze. Quando i più malvagi, come i tiranni, tentavano di uscire dalla voragine questa emetteva una sorta di muggito e allora venivano presi, scorticati e rigettati negli Inferi.\n\nLe anime rimaste per sette giorni in quel luogo venivano poi costrette a camminare per quattro giorni fino a quando giungevano in vista di una specie di arcobaleno dove a un capo pendeva il fuso, simbolo del destino, posato sulle ginocchia della dea Ananke (Necessità). Il fuso aveva come peso otto vasi concentrici rotanti disposti uno dentro l'altro. Su ogni cerchio vi era una Sirena che emetteva il suono di una sola nota che unendosi alle altre formava un'armonia.\nLe figlie di Ananke, le tre Moire, sedevano in cerchio poco distanti dalla madre: Cloto filava e cantava il presente, Lachesi, il passato, e Atropo, 'colei che non può essere dissuasa', il futuro.\nUn araldo presentava le anime disposte in fila a Lachesi e, dopo aver preso dalle sue ginocchia un gran numero di sorti e modelli di vita, procedeva al sorteggio dell'ordine di scelta, avvertendo che ognuno sarebbe stato responsabile della sua scelta e che nessuno sarebbe stato troppo svantaggiato, poiché anche chi avesse scelto per ultimo avrebbe comunque avuto più modelli di vita tra cui scegliere.\nEr raccontava poi come le anime sceglievano, oltre che in base alla fortuna del sorteggio, secondo le abitudini contratte nella vita precedente. Un'anima che era venuta dall'alto dei cieli e che era stata virtuosa solo per abitudine e che aveva vissuto in una città ben governata, per desiderio di novità aveva scelto frettolosamente la vita di un tiranno per accorgersi poi, rimproverando la sua cattiva sorte, come questa fosse carica di dolori. Le anime provenienti dal basso invece avevano imparato dalle loro esperienze terrene e avevano scelto con maggiore giudizio. Ad esempio, Agamennone, per ostilità verso il genere umano dovuta alle sofferenze patite aveva scelto di vivere come un'aquila; Orfeo, che non voleva nascere da grembo di donna per l’odio che nutriva verso il sesso femminile che aveva cagionato la sua morte, aveva preferito la vita di un cigno; Odisseo, stanco di rischiose avventure, aveva preferito la vita di un qualsiasi uomo tranquillo.\nDopo aver compiuto la scelta, ogni anima riceveva da Lachesi il daimon, il genio tutelare, che avrebbe sorvegliato che si compisse la vita prescelta; quindi l'anima doveva andare da Cloto, a confermare il suo destino, e infine da Atropo che lo rendeva immutabile. Le anime poi s'incamminavano attraverso la deserta e calda pianura del Lete e, fermatesi per riposare sulle sponde del fiume Amelete, tutte, tranne Er, furono obbligate a bere l'acqua che dà l'oblio, e chi non era saggio ne beveva smodatamente. Giunta la notte, le anime stavano dormendo quando a mezzanotte un terremoto le gettò nella nuova vita assieme a Er, che, svegliatosi sulla pira funebre, poté raccontare come, conservando la memoria dell'esperienza passata, si può vivere serenamente una vita giusta e saggia in questo e nell'altro mondo.\n\nInterpretazione del mito.\nIl mito, che in Platone è una forma letteraria-filosofica per teorizzare in modo verosimile ed attraente ciò che non può essere dimostrato razionalmente, può essere inteso come un tentativo di dimostrare la presenza contemporanea nella vita umana della libertà, del caso e della necessità, come insegnano le parole della Moira Lachesi:.\n\nQuindi il caso non assicura una scelta felice, mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell'ultima reincarnazione. Scegliere, nella visione platonica, significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato, per non commettere più errori e avere una vita migliore. Le Moire renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile: nessuna anima, infatti, una volta operata la scelta, potrà cambiarla e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità.\nLe anime si disseteranno con le acque del fiume Lete, ma quelle che lo hanno fatto in maniera smodata dimenticheranno la vita precedente, mentre i filosofi, che, guidati dalla ragione, hanno bevuto poco o niente, manterranno il ricordo del mondo delle idee, di modo che, riferendosi ad esse, potranno ampliare la loro conoscenza durante la nuova vita ispirata e guidata dal proprio genio tutelare." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mito di Theuth.\n### Descrizione: Il mito di Theuth (o mito di Thamus) è un mito presente nel Fedro di Platone.\n\nIl mito.\nSul finire del dialogo, Platone affronta il problema del discorso scritto e, più precisamente, della differenza che intercorre tra conoscenza e sapienza. Appare interessante notare che, nonostante l'autore approdi a un giudizio negativo sulla scrittura, il filosofo delle Idee abbia sempre utilizzato la forma scritta (contrariamente all'antico maestro Socrate) per veicolare le sue tesi filosofiche.\nSocrate racconta che Theuth, l'ingegnosa divinità egizia, si recò presso re Thamus, allora sovrano dell'Egitto, per sottoporgli le proprie invenzioni, consigliandogli di diffonderle presso il suo popolo, che ne avrebbe tratto grande giovamento. Le svariate arti che la divinità proponeva al re ricevevano molti commenti da parte di quest'ultimo, che o lodava o criticava le stesse.\nQuando Theuth propose a Thamus l'arte della scrittura, la divinità si espresse con queste parole:.\n\nLa risposta del re non tardò ad arrivare:.\n\nL'interpretazione di Jacques Derrida.\nDegna di nota è anche la lettura che del mito di Theuth, così come del Fedro in generale, fa Jacques Derrida all'interno della sua opera La farmacia di Platone. Nella sua rilettura decostruttiva assolutamente originale del testo platonico, Derrida mette in luce l'assoluta centralità della questione della scrittura all'interno del Fedro, alla luce di un disegno rigoroso ideato da Platone stesso. In particolare il filosofo francese studia la valenza della scrittura in quanto farmaco, con tutta l'ambiguità e la polivalenza a cui questo termine può portare.\n\nLe dottrine non scritte di Platone.\nAlcuni studiosi sostengono che questo mito del Fedro sia utile per provare l'effettiva esistenza delle cosiddette 'dottrine non scritte' di Platone. Di questo aspetto si è occupato Giovanni Reale." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mitologia di Tebe.\n### Descrizione: La mitologia di Tebe è formata dalla lunga serie di miti riguardanti la città greca. Essa include anche la cosiddetta saga dei Labdacidi, ossia le vicende di Edipo, dei suoi genitori e dei suoi figli (i capitoli La storia di Edipo e I sette contro Tebe in questa trattazione). Era raccontata dai poemi epici del Ciclo Tebano, oggi completamente perduti, ad eccezione di qualche riassunto e pochissimi, brevi frammenti.\nViene qui riportato un riassunto delle vicende raccontate dal mito. Va tuttavia tenuto presente che il mito stesso si presenta in varie versioni differenti, ed è dunque inevitabile una cernita, a volte arbitraria, nell'impossibilità di dare conto di ognuna delle varianti. Si è comunque in generale cercato di riportare la versione più nota.\n\nLa fondazione di Tebe.\nIl ratto di Europa.\nFiglia di Agenore, re di Tiro, Europa era famosa nel suo regno come giovane di grande avvenenza. Zeus, colpito dalla sua bellezza, decise di sedurla sotto mentite spoglie, come soleva fare con le mortali. Trasformatosi in un toro si recò presso la spiaggia, dove la giovane giocava insieme ad alcune sue compagne, e si adagiò presso di lei. Europa, meravigliata per la bellezza del fiero animale, accettando la sfida delle amiche, si posò sul suo dorso. In quello stesso istante il toro divino si rialzò e si gettò in acqua, nuotando velocemente per tutta la notte, giungendo infine presso la costa cretese, dove, senza essere visto da nessuno, prese le sembianze di un'aquila e si unì a lei. Europa divenne così madre di Minosse, Radamante e Sarpedonte.Agenore, impensierito per il destino della figlia, decise di farla cercare, così ordinò agli altri suoi figli di percorrere la Grecia in lungo e in largo, intimando loro di non tornare senza di lei. Nessuno di loro sarebbe più tornato in patria.\n\nIl viaggio di Cadmo.\nIl giovane Cadmo, uno dei figli di Agenore, partito in cerca della sorella perduta, insieme a un nutrito gruppo di compagni, salpò dalla Fenicia diretto verso le coste greche. L'unico strumento in grado di rivelargli l'ubicazione di Europa si trovava a Delfi: era l'oracolo sacro al dio Apollo. Il responso della sibilla fu però alquanto bizzarro: doveva infatti seguire una vacca solitaria che avrebbe trovato in un campo vicino, e dove questa si fosse poi nuovamente fermata, avrebbe dovuto erigere una città e darle il nome di Tebe.Facile fu trovare l'animale della predizione, il cui manto sembrava raffigurare un cielo stellato, difficile fu però seguirlo. Dopo molti giorni di duro cammino, la mucca sacra si fermò infatti in una terra collinosa, denominata Beozia. Grato agli dei, Cadmo preparò un piccolo altare nel quale compiere sacrifici di ringraziamento in onore della dea Atena. Avendo però bisogno d'acqua, ordinò ai suoi compagni di procurarsela presso una vicina fonte situata in un boschetto. Gli uomini però non tornarono indietro. Cadmo, impensierito, andò a cercarli, e nel boschetto scoprì che fine avessero fatta i compagni: divorati da un terribile drago, sacro ad Ares, guardiano della fonte. Senza farsi intimidire dal mostro, l'eroe gli schiacciò la testa con una pietra, uccidendolo.\n\nLa creazione della città.\nDopo aver sconfitto il mostro, Cadmo fece sacrifici ad Atena, chiedendo agli dei come poter costruire una città, essendo privo di compagni. La dea si mostrò all'eroe, invitandolo a staccare i denti dalle fauci del dragone defunto e a seminarli nel terreno circostante. Cadmo fece quanto gli era stato ordinato e, in poco tempo, vide sbucare dal terreno un intero esercito di uomini, armati di tutto punto. Visto il loro atteggiamento minaccioso, Cadmo pensò di scagliare delle pietre contro di loro. Non sapendo chi li colpisse, essi cominciarono ad accusarsi tra loro, uccidendosi così a vicenda. Sopravvissero soltanto cinque guerrieri, gli Sparti, 'i seminati', che, dotati di una forza sovrumana, costruirono la Cadmea, l'antica rocca di Tebe, divenendone i primi abitanti sotto la sovranità di Cadmo.Poco tempo dopo il giovane guerriero prese in sposa Armonia, figlia di Ares e Afrodite, dalla quale ebbe quattro figlie (Agave, Ino, Semele e Autonoe) e un figlio, Polidoro. Cadmo aveva però attirato contro il suo casato la maledizione di Ares, adirato per l'uccisione del suo drago, così, per placare il dio, il sovrano cedette il trono al nipote Penteo, figlio di Agave, rimanendo a Tebe come privato cittadino.\n\nLa discendenza di Cadmo.\nLa nascita di Dioniso.\nLa maledizione di Ares però non si concluse con la morte di Cadmo, ma si estese anche ai suoi discendenti. Semele, una delle figlie di Cadmo, venne sedotta da Zeus, che si unì a lei. Da questa unione nacque Dioniso, futuro dio del vino. Prima del parto però, Era, gelosissima, meditò vendetta contro l'amante dell'infedele marito: assunse l'aspetto di una vecchia nutrice di Semele, tale Beroe, e le consigliò di chiedere al dio, che le si era sempre accostato velato da una nuvola, di rivelarsi in tutto il suo splendore, come faceva quando si incontrava con Era stessa.Zeus, che aveva promesso di donare all'amante qualunque cosa avesse chiesto, dovette acconsentire, ma Semele venne uccisa dai fulmini che il padre degli dei emanava spontaneamente; Zeus estrasse allora dal corpo di lei il piccolo Dioniso, un feto di appena sei mesi, e se lo cucì dentro una coscia. Questi, nato in maniera prodigiosa, venne allevato dalla zia Ino e, giunto in età adolescenziale, si trasferì sul monte Olimpo dove venne onorato come dio dell'ebbrezza e dei divertimenti, acquisendo immediatamente un vasto seguito, fra le quali spiccavano anche le sue zie Ino, Agave e Autonoe. Penteo, divenuto re di Tebe spodestando il nonno, decise però di porre fine al culto di questo nuovo dio nelle sue terre.\n\nLe Baccanti e la morte di Penteo.\nEmpio verso gli dei, tirannico presso gli uomini, Penteo tentò in tutte le maniere di soffocare il culto di Dioniso, condannando a morte chiunque osasse celebrare riti in suo onore. Lo stesso Tiresia, saggio profeta tebano, venne rinchiuso in prigione per aver cercato di dissuadere il sovrano dalla sua tracotanza. Il dio Dioniso decise dunque di intervenire personalmente, instillando un germe di follia nelle donne tebane, che si riunirono sul monte Citerone a celebrare i culti dionisiaci, diventando quindi Baccanti, ossia donne che celebrano i culti di Dioniso (detto anche Bacco). Penteo però, non appena seppe dell'arrivo del dio nelle sue terre, ordinò al suo esercito di catturarlo e chiuderlo nelle segrete del suo palazzo. Dioniso riuscì però facilmente a liberarsi.Penteo, scoperta l'ubicazione delle celebranti, ispirato da un insano desiderio e convinto dallo stesso Dioniso, decise di recarsi lui stesso a osservare quelle misteriose celebrazioni, nascondendosi su un albero. Le Baccanti, però, invasate dal dio, si accorsero presto della presenza del sovrano e, catturatolo, lo fecero letteralmente a pezzi. Agave, la sua stessa madre, in preda alla follia, spezzò un braccio al figlio. Questa fu la terribile vendetta di Dioniso, che non risparmiò nemmeno Cadmo e Armonia: il dio li condannò all'esilio ed essi abbandonarono la città. Dopo varie vicissitudini, i due vennero trasformati per pietà divina in serpenti e accolti nei Campi Elisi.\n\nAnfione e Zeto.\nPenteo, pochi mesi prima di venire ucciso, aveva accolto nei propri domini due fratelli stranieri, Lico e Nitteo, che erano fuggiti a Tebe dopo aver commesso l'omicidio di Flegias, figlio di Ares, per motivazioni ignote. Penteo morì senza eredi, essendo ancora molto giovane, e la corona passò dunque nelle mani di suo zio Polidoro. Alla morte di questi, poiché il figlio Labdaco aveva solo un anno, il comando passò a Nitteo, che era stato molto amico di Penteo e che esercitò il comando come reggente di Labdaco.\nNitteo aveva una figlia, chiamata Antiope, di straordinaria bellezza. Anche lei ebbe una relazione segreta con Zeus, dall'unione con questi ella rimase incinta e, spaventata per una possibile reazione avversa del padre, decise di fuggire da Tebe, dirigendosi così nella terra di Sicione, sotto il dominio di Epopeo, del quale divenne sposa. Nitteo, convinto che Epopeo avesse rapito sua figlia, si tolse la vita, ma diede al fratello e successore Lico il compito di vendicarlo. Questi mosse le armate tebane contro quelle di Sicione. Durante il conflitto, Epopeo trovò la morte sul campo di battaglia. Lico riuscì a vincere la guerra, a conquistare la terra nemica e a riprendere con sé Antiope. Durante il viaggio di ritorno la giovane partorì due gemelli, che vennero però abbandonati dallo zio presso il monte Citerone, affinché morissero divorati dalle belve. I neonati vennero però ritrovati da un pastore che decise di adottarli, dandogli il nome di Anfione e Zeto. Il primo divenne grande musico e poeta, il secondo cacciatore e guerriero invincibile.Lico, divenuto re di Tebe (sia pure anch'egli come reggente di Labdaco), si comportò come un despota spregevole, schiavizzando persino la nipote, che divenne serva di sua moglie, Dirce. Anfione e Zeto, divenuti adolescenti, decisero di recarsi a Tebe per liberare la madre e sconfiggere il tiranno. I due, abilissimi combattenti, uccisero Lico, liberarono la madre Antiope e legarono Dirce a un toro furente, condannandola a essere dilaniata dalle sue corna. Divenuti liberatori di Tebe, decisero di divenirne, insieme, i nuovi re. Anfione prese in moglie la giovane e bellissima Niobe.\n\nLa punizione di Niobe.\nDall'unione fra Niobe e Anfione nacquero sette nobili figli e sette leggiadre figlie. Inorgoglita dalla sua prole, Niobe osò farsi beffe della dea Latona, che aveva avuto soltanto due figli. I due bambini erano però nientemeno che Apollo e Artemide, che la madre offesa chiamò a vendicare il suo onore contro la presuntuosa regina tebana. I due fratelli giunsero a Tebe dove, in un'arena all'aperto, fuori dalle mura della città, i sette figli di Niobe si stavano esercitando nella corsa dei carri e in altre attività sportive. In quel mentre il maggiore fra i figli di Niobe venne trafitto al cuore da una freccia caduta dal cielo, così fu anche per tutti gli altri figli, uno dopo l'altro.Appena avuto notizia dell'orrendo massacro, Anfione si uccise (e così fece anche Zeto, a causa del dolore per la morte di un figlio). Niobe, portando con sé le figlie, si precipitò nel campo dove i sette giovani giacevano senza vita. Ad una ad una però anche le sette ragazze vennero raggiunte dalle frecce e caddero morte. Sebbene non avesse ricevuto neppure un graffio, Niobe era sconvolta: si rifugiò su un monte, dove Zeus, mosso a pietà, la trasformò in statua, che prese a piangere a ogni inizio estate per il triste risultato della sua superbia.\n\nLa storia di Edipo.\nIl governo di Laio.\nEssendo Anfione e Zeto entrambi morti, i tebani chiamarono sul trono Laio, che era il legittimo pretendente e che si era nel frattempo rifugiato a Pisa (in Elide). Egli sposò Giocasta, la quale era figlia di un eroe della città, tale Meneceo. Su Laio pesava però una maledizione lanciata dal re di Micene (o Argo) Pelope, poiché Laio aveva rapito (e violentato) il giovane Crisippo, figlio illegittimo di Pelope, causandone poi indirettamente anche la morte. Per questo motivo l'unione tra Laio e Giocasta non avrebbe mai dovuto dare figli (come anche confermato da un oracolo), perché colui che sarebbe nato dal talamo di Laio avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la propria madre. Il sovrano tentò allora in tutte le maniere di non unirsi a Giocasta, ma un giorno, durante una festa, Laio si ubriacò e si unì alla moglie, che per oscuro disegno del fato rimase incinta.Per scongiurare la terribile prospettiva ventilata dall'oracolo, non appena Giocasta partorì un bambino il re Laio lo allontanò dal palazzo, facendolo abbandonare sul monte Citerone perché morisse. Ma il servitore a cui era stato affidato l'incarico si impietosì per quel bambino indifeso, e invece di abbandonarlo lo diede in custodia ad un pastore, il quale a sua volta lo portò in dono al suo signore Polibo, re di Corinto. Questi accolse l'infante, lo allevò nel suo palazzo con il nome di Edipo, che significa piedi gonfi a causa dei lacci che lo stringevano alle caviglie. Polibo e sua moglie Peribea, che erano senza prole, adottarono il trovatello crescendolo come se fosse loro figlio, e in breve a Corinto nessuno si ricordò più le vere circostanze dell'arrivo di Edipo in città.\n\nIl destino si compie.\nUn giorno Edipo ebbe una disputa con un corinzio, il quale per insultarlo, lo accusò di non essere figlio di Polibo ma un trovatello. Edipo, colpito da quelle parole, si rivolse ai genitori per sapere se l'insinuazione fosse vera. Essi, dopo molte reticenze, non poterono nascondergli che l'affermazione era corretta, ma essi non sapevano quali fossero le sue vere origini.Edipo, ansioso di sapere la verità, decise dunque di rivolgersi all'oracolo di Delfi. Lasciando segretamente Corinto, egli si recò a piedi fino a Delfi, dove la profetessa del tempio gli diede solo un'oscura e minacciosa risposta: meglio sarebbe stato per lui non ritornare in patria, poiché avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Temendo per coloro che credeva suoi genitori, Edipo decise allora di non tornare più a Corinto, ma di emigrare in qualche terra lontana, dove non avrebbe in alcun modo potuto nuocere loro.Giunto in uno stretto passaggio, dove si congiungevano tre strade, egli incappò in un uomo su un carro, davanti al quale andava un servitore arrogante che intimava ai passanti di farsi da parte. Edipo rispose con aspre parole all'intimazione e ne nacque una colluttazione in cui Edipo uccise l'uomo sul carro. Soddisfatto per la vittoria, Edipo proseguì il cammino, ignorando che l'uomo da lui assassinato altri non era che Laio, il suo vero padre.\n\nEdipo e la sfinge.\nEdipo giunse così a Tebe. Trovò la città in lutto, non solo per la morte del sovrano, ma anche a causa di un mostro che infestava le alture intorno alle sue mura. Si trattava della terribile sfinge, figlia di Tifone ed Echidna e sorella di Cerbero e delle Arpie. Era una sinistra creatura col corpo di leone, le ali d'aquila e la testa di donna, inviata sul monte Citerone dalla dea Era che voleva punire Laio per aver amato Crisippo di un amore omosessuale. Ad ogni viandante la sfinge poneva un indovinello, e se il malcapitato non sapeva trovare la risposta giusta veniva immediatamente divorato. Questo aveva provocato a Tebe terrore e carestia, poiché nessuno più coltivava i campi. Ogni giorno un cittadino di Tebe trovava la morte nel cimento con il mostro, e tra le vittime c'era stato anche il figlio di Creonte, reggente della città dopo la morte di Laio.Edipo, trovandosi al cospetto della sfinge, udì quindi il suo famoso enigma: 'Qual è l'animale che al mattino ha quattro zampe, a mezzogiorno ne ha solo due e alla sera tre, ed è tanto più debole quante più zampe ha?'. Edipo rispose: era l'uomo, che da bambino si muove carponi, da adulto sta in piedi sulle sue due gambe e da anziano ha bisogno di un bastone, terza gamba. Furiosa per la soluzione dell'indovinello, il mostro si uccise gettandosi da un'alta rupe.Grati a Edipo per averli liberati della sfinge, dovendo trovare un nuovo re dopo la morte di Laio, i tebani acclamarono Edipo nuovo sovrano, e vennero celebrate con gran fasto le sue nozze con la vedova Giocasta. Per molti anni egli regnò a Tebe in pace e prosperità, obbedito e rispettato dalla gente, che considerava il giovane straniero un favorito dagli dei. Dal suo matrimonio nacquero quattro bambini: i due maschi Eteocle e Polinice, e le due femmine Antigone e Ismene. Ma quando questi furono cresciuti, le sorti del paese volsero al peggio.\n\nLa rovina di Edipo.\nUn giorno una tremenda epidemia si abbatté sul regno; Edipo, non sapendo cosa fare, inviò Creonte a consultare l'oracolo di Delfi. La risposta dell'oracolo fu che l'epidemia era una conseguenza dell'assassinio ancora impunito di Laio. Edipo allora cominciò le ricerche per scoprire la verità su quel delitto. Si rivolse all'indovino Tiresia, il quale sebbene a malincuore, fu costretto a rivelare la verità: era Edipo l'assassino del re Laio. L'eroe in un lampo ricordò l'uomo alla guida del carro che egli aveva ucciso, ma la moglie Giocasta negò la veridicità di quanto detto dall'indovino, affermando che Laio avrebbe dovuto essere ucciso da suo figlio, morto però nell'infanzia per ordine dello stesso re. Gli oracoli potevano dunque sbagliarsi, e il responso di Tiresia era senza dubbio errato.Venne poi interrogato il servitore che a suo tempo era stato incaricato di abbandonare il neonato fra i monti, a conferma di quanto detto da Giocasta. Il vecchio però confessò che egli non aveva abbandonato l'infante e che l'aveva invece consegnato vivo a un servitore del re di Corinto. A queste parole Giocasta rimase sconvolta, poiché ella sapeva che suo marito era considerato figlio del re di Corinto. Ora sapeva che la terribile profezia era arrivata a compimento, col parricidio e l'incesto, e allora scappò verso i suoi appartamenti, dove si impiccò alla propria cintura.\nEdipo, disperato, si accecò con la spilla della cintura di Giocasta. I suoi capelli sbiancarono di colpo, facendone un vecchio cieco. Così ridotto, Edipo barcollò fuori dal palazzo, mentre la gente lo scansava ed anche i suoi figli si allontanavano da lui. Soltanto le figlie femmine, Antigone ed Ismene, lo seguirono; la prima fece voto di non abbandonare mai quel padre sfortunato, e al suo fianco ella vagabondò fuori dalla sua terra natale.\n\nLa scomparsa.\nDopo varie peregrinazioni, Edipo giunse a Colono, sobborgo di Atene, in ottemperanza ad una profezia secondo la quale lì sarebbero terminati i suoi giorni. Teseo, sovrano della città, gli offrì ospitalità (xenia) nonostante l'ostilità della popolazione. Un oracolo aveva affermato che il luogo dove Edipo sarebbe morto sarebbe stato benedetto dagli dei, così prima il re di Tebe Creonte (tornato momentaneamente sovrano dopo l'allontanamento di Edipo), poi il figlio Polinice si presentarono da Edipo per convincerlo a tornare nella sua città, ma vennero sdegnosamente respinti. Creonte tentò addirittura di organizzare un rapimento, sventato però da Teseo. Quando infine Edipo sentì che la fine era vicina, si recò in un boschetto sacro alle Eumenidi, e lì sparì per volontà degli dei, diventando così un prescelto ed un protettore di Atene. La triste vicenda umana di Edipo trovò così un lieto fine.\n\nI sette contro Tebe.\nFratello contro fratello.\nAllontanato Edipo, Creonte assunse provvisoriamente il ruolo di sovrano reggente della città, ma si pose il problema di chi sarebbe stato il successivo re di Tebe, poiché i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, erano entrambi decisi ad ottenere il trono. Alla fine si giunse ad un compromesso: i due si sarebbero alternati sul trono, un anno a testa. Il primo a diventare sovrano fu Eteocle, ma, allo scadere del proprio anno, egli si rifiutò di cedere il titolo, rompendo l'accordo. A Polinice non restò che allontanarsi, maledicendo il fratello, e recarsi nella città di Argo, dove giunse contemporaneamente a Tideo, fuggito dalla città di Calidone a causa di un omicidio. Tra i due scoppiò un litigio, cui assistette anche il re di Argo Adrasto. Quest'ultimo riconobbe quindi nei due il cinghiale ed il leone che un veggente gli aveva predetto che sarebbero dovuti diventare i suoi generi. Così Adrasto offerse a Polinice e Tideo come spose le sue due figlie Argea e Deipile. In questo modo Polinice poté ottenere, oltre al matrimonio, anche l'appoggio del re di Argo per l'impresa che intendeva compiere: marciare contro Tebe per detronizzare il fratello Eteocle e ottenere il titolo di re che gli spettava di diritto.Polinice quindi partì alla volta di Tebe, a capo dell'esercito di Argo, nonostante su di lui gravasse una maledizione lanciata dal padre Edipo: poiché né lui né il fratello Eteocle si erano opposti all'esilio del padre da Tebe, Edipo aveva affermato che i due fratelli sarebbero stati destinati a darsi la morte l'un l'altro. Essi quindi temevano che la profezia potesse avverarsi. A Nemea l'esercitò si fermò per rendere onore ad Ofelte, un bambino figlio di Licurgo, re della città, morto per il morso di un serpente. In suo onore vennero istituiti i giochi Nemei.Giunto l'esercito di Polinice sulle rive del fiume Asopo, Tideo venne mandato da Eteocle per consegnare un ultimatum. Trovandosi ad un banchetto di tebani alla presenza di Eteocle, per impressionare i suoi nemici Tideo li sfidò ad una serie di prove atletiche, dalle quali uscì nettamente vincitore. Quando infine l'eroe se ne andò per tornare dai suoi compagni, ben cinquanta guerrieri tebani gli tesero un'imboscata, ma egli con l'aiuto della dea Atena riuscì a sopraffarli tutti, lasciandone vivo solo uno perché potesse raccontare quello che era successo.\n\nLa battaglia.\nPrima dell'attacco, Polinice designò un eroe a presiedere ognuna delle sette porte di Tebe, e lo stesso fece Eteocle per difendersi. Presso la Settima Porta, destino volle che si trovassero di fronte proprio i due fratelli. Cominciò dunque l'attacco. Capaneo tentò di superare le mura tebane con una scala, ma venne folgorato da un fulmine scagliato da Zeus. I guerrieri di Polinice finirono per cadere ad uno ad uno, con le sole eccezioni di Anfiarao ed Adrasto. Il primo fu inghiottito dalla terra per volere di Zeus, e da allora visse nel sottosuolo emanando oracoli. Il secondo riuscì a salvarsi ed a tornare a casa solo grazie al suo ottimo cavallo Arione. Infine si seppe la sorte che era toccata ad Eteocle e Polinice: come aveva profetizzato Edipo, i due si erano uccisi l'un l'altro. L'attacco a Tebe si era dunque risolto con un fallimento, e con la morte dei due maggiori contendenti.\n\nAntigone.\nCreonte, fratello di Giocasta, ritornò allora ad essere il sovrano di Tebe. Egli decise di dare degna sepoltura ad Eteocle, ma non a Polinice, che aveva avuto il torto di coinvolgere una città straniera nelle vicende tebane. Tuttavia Antigone, sorella dei due guerrieri, nella convinzione spirituale e religiosa che a tutti spettasse la sepoltura, e a maggior ragione a suo fratello, coprì il cadavere di Polinice con alcune manciate di terra, atto sufficiente a considerare ottemperato il precetto religioso. Quest'atto mandò su tutte le furie Creonte, che aveva visto infranto il suo ordine: il re ordinò quindi che Antigone fosse rinchiusa viva nella tomba di famiglia, una caverna dove sarebbe vissuta lontana da tutti, o sarebbe morta di stenti. La donna venne dunque imprigionata.Per convincere Creonte a tornare sulla sua decisione, l'indovino Tiresia andò a parlare col re. Egli affermò che se Creonte non avesse liberato Antigone, si sarebbe macchiato di un crimine odioso agli dei: l'uccisione di un proprio consanguineo. Turbato da quelle parole, Creonte diede allora ordine di liberare la donna, ma troppo tardi: Antigone infatti si era nel frattempo impiccata, non volendo attendere di morire per fame e sete. Nella caverna dove la donna era imprigionata, Creonte trovò il proprio figlio Emone, promesso sposo di Antigone, disperato di fronte al cadavere. Nel vedere il padre, Emone tentò di colpirlo con la spada, ma, mancatolo, rivolse l'arma contro se stesso, uccidendosi. Lo stesso fece la moglie di Creonte Euridice quando venne a sapere di aver perso il figlio. Creonte rimase dunque privo dei suoi familiari, a maledire la propria stoltezza.\n\nLe ultime vicende.\nSotto la protezione di Eracle.\nLa città di Tebe ebbe anche l'onore di essere culla del grande eroe Eracle. Figlio di Zeus e di Alcmena, Eracle crebbe a Tebe, quando il padre adottivo Anfitrione (marito di Alcmena) fu costretto ad allontanarsi da Tirinto. L'eroe giovinetto fu inoltre causa dello scoppio di un grave conflitto tra i tebani e gli abitanti di Orcomeno. Il re di Tebe, Creonte, era infatti costretto a pagare un pesante tributo al sovrano di Orcomeno. Un giorno, mentre i suoi dispotici araldi si recavano nella città per riscuotere il tributo, incrociarono Eracle. Questi era stato costretto a vivere come pastore dopo aver ucciso il suo maestro di canto, Lino. Infastidito dalle cattive maniere degli araldi stranieri, Eracle li punì tagliando loro orecchie e naso. Il loro re decise allora di rispondere all'affronto muovendo guerra contro i tebani.Durante il conflitto, l'eroe, ancora molto giovane, dimostrò il proprio temperamento e la propria forza fisica, annientando le armate del re di Orcomeno, il cui nome era Ergino, e uccidendo il sovrano stesso. Sul campo di battaglia l'eroe perse però l'amato padre adottivo, Anfitrione. Il re Creonte, grato ad Eracle per il proprio contributo decise di premiarlo dandogli in sposa la più bella fra le sue figlie, Megara. Tuttavia in un momento di follia, scatenato su di lui dalla dea Era, sempre invisa ai figli illegittimi dell'infedele marito, l'eroe uccise la moglie e i figlioletti.Durante un'assenza di Eracle, disceso agli inferi per catturare Cerbero e liberare Teseo, Tebe venne invasa dall'usurpatore Lico, che uccise Creonte e prese la corona del regno. L'eroe, tornato dal suo viaggio, decise di vendicare il suocero, muovendo guerra contro il nemico e uccidendo l'usurpatore: fu così la pace a Tebe. Re della città divenne allora Laodamante, figlio di Eteocle.\n\nLa guerra degli Epigoni.\nDieci anni dopo i fatti dei sette contro Tebe, i figli dei guerrieri che avevano fallito la conquista della città si riunirono per vendicare i padri, ossia per tentare nuovamente l'assalto. Tali guerrieri, denominati Epigoni, erano: il capo Alcmeone e Anfiloco (figli di Anfiarao), Egialeo (figlio di Adrasto), Diomede (figlio di Tideo), Promaco (figlio di Partenopeo), Stenelo (figlio di Capaneo), Tersandro (figlio di Polinice) ed Eurialo (figlio di Mechisteo). L'esercito tebano era invece guidato dal re Laodamante.Dopo aver devastato le campagne attorno a Tebe, l'esercito degli Epigoni incontrò quello tebano a Glissa, a cinque miglia da Tebe. Laodamante riuscì ad uccidere Egialeo (unico degli Epigoni a cadere), ma venne ucciso da Alcmeone, e l'esercito tebano ne uscì sconfitto. Durante la notte seguente il popolo di Tebe fuggì, su consiglio di Tiresia, e l'indomani gli Epigoni poterono prendere possesso della città, saccheggiandola. L'assalto che dieci anni prima era fallito, aveva stavolta avuto esito vittorioso. Gli Epigoni misero a capo della città Tersandro, figlio di Polinice, e consacrarono gran parte del bottino ad Apollo.\n\nGli ultimi sovrani.\nDivenuto re di Tebe, Tersandro richiamò la popolazione che era fuggita e regnò per vari anni. Sposò Demonassa, figlia di Anfiarao, da cui ebbe come figlio Tisameno. Partecipò ad una prima spedizione contro Troia (antecedente alla guerra di Troia vera e propria), ma non riuscì nemmeno a raggiungere la città: sbarcato in Misia, fu ucciso da Telefo. Avrebbe dovuto succedergli il figlio Tisameno, ma era ancora troppo giovane, così il comando venne dato a Peneleo come suo reggente. Quest'ultimo partecipò alla guerra di Troia al comando di un contingente tebano e rimase ucciso nel conflitto. Tisameno ormai adulto divenne re, ed ebbe a sua volta un figlio, Autesione. Questi divenne il suo successore, ma solo per breve tempo, poiché si ritirò nel Peloponneso su consiglio di un oracolo, dove si unì ai Dori (secondo altre versioni del mito invece egli non diventò mai sovrano poiché si unì agli Eraclidi). Sovrano della città divenne quindi Damasittone, nipote di Peneleo. Ultimi re di Tebe furono infine Tolomeo e Xanto, discendenti di Damasittone. Xanto venne ucciso in duello, ma con l'inganno, da Melanto di Atene (o da Andropompo); dopo il suo omicidio, il popolo tebano decise di abbandonare la monarchia per andare verso una forma di governo repubblicana.\n\nLista dei re di Tebe.\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mitologia greca.\n### Descrizione: La mitologia greca è la raccolta e lo studio dei miti appartenenti alla cultura religiosa degli antichi greci e che riguardano, in particolare, i loro dèi ed eroi. I miti greci furono raccolti in cicli che concernono le differenti aree del mondo ellenico. Unico elemento unificante è la composizione del pantheon greco, costituito da una gerarchia di figure divine che rappresentano anche le forze o gli aspetti della natura. Gli studiosi contemporanei studiano e analizzano gli antichi miti nel tentativo di fare luce sulle istituzioni politiche e religiose dell'antica Grecia e, in generale, di tutta l'antica civiltà greca.\nSi compone di una vasta raccolta di racconti che spiegano l'origine del mondo ed espongono dettagliatamente la vita e le avventure di un gran numero di dèi e dee, eroi ed eroine e altre creature mitologiche. Questi racconti inizialmente furono composti e diffusi in una forma poetica e compositiva orale, mentre sono invece giunti fino a noi principalmente attraverso i testi scritti dalla tradizione letteraria greca.\nLe più antiche fonti letterarie conosciute, i due poemi epici Iliade e Odissea, concentrano la loro attenzione sugli eventi che ruotano attorno alla vicenda della guerra di Troia. Altri due poemi quasi contemporanei alle opere omeriche, la Teogonia e Le opere e i giorni scritti da Esiodo, contengono invece racconti che riguardano la cosmogonia, la cronologia dei sovrani celesti, il succedersi delle età dell'uomo, l'inizio delle sofferenze umane e l'origine delle pratiche sacrificali. Diversi miti sono contenuti anche negli Inni omerici, nei frammenti dei poemi del Ciclo epico, nelle poesie dei lirici greci, nelle opere dei tragediografi del V secolo a.C., negli scritti degli studiosi e dei poeti dell'età ellenistica e negli scrittori come Plutarco e Pausania.\nGli argomenti narrati dalla mitologia greca furono anche rappresentati in molti manufatti: i disegni geometrici sulla superficie di vasi e piatti risalenti anche all'VIII secolo a.C. ritraggono scene ispirate al ciclo della guerra di Troia o alle avventure di Eracle. Anche in seguito, sugli oggetti d'arte saranno rappresentate scene tratte da Omero o da altri miti, così da fornire agli studiosi materiale supplementare a supporto dei testi letterari.\nEbbe una grandissima influenza sulla cultura, le arti e la letteratura della civiltà occidentale e la sua eredità resta tuttora ben viva nei suoi linguaggi e nelle sue culture. È stata sempre presente nel sistema educativo, a partire dai primi gradi dell'istruzione, mentre poeti e artisti di tutte le epoche si sono ispirati a essa, mettendo in evidenza la rilevanza e il peso che i temi mitologici classici potevano rivestire in tutte le epoche della storia.\n\nDescrizione.\nMýthos e Lógos: origine dei termini e procedere del loro significato nella cultura greca.\nIl termine 'mito' (μῦθος, mýthos) possiede in Omero ed Esiodo il significato di 'racconto', 'discorso', 'storia'.\nUn racconto 'vero', pronunciato in modo autorevole perché «non c'è nulla di più vero e di più reale di un racconto declamato da un vecchio re saggio».\nNella Teogonia è μύθος ciò con cui si rivolgono le dee Muse al pastore Esiodo prima di trasformarlo in 'cantore ispirato'.\nDiversa è l'origine del lógos (λόγος) che si presenta piuttosto come un 'discorso calcolato, ragionato' non necessariamente 'vero':.\n\nSolo dopo il periodo 'omerico' si osserva un cambiamento radicale nei significati dei due termini:.\n\nCiò premesso, con Platone i due termini si incrociano in mythologia (il nostro usa anche mythous légein, mythologein) a significare quel genere di poiésis che si occupa di raccontare 'intorno a dèi, esseri divini, eroi e discese nell'aldilà'.\n\nCantori 'ispirati' dalle Muse: l'origine sacra della mitologia greca.\nLe più antiche attestazioni della 'mitologia' greca corrispondono ai poemi 'omerici' e alla Teogonia di Esiodo, ambedue questi contesti di letteratura sacra si contraddistinguono per un preciso incipit che richiama l'intervento di alcune dee indicate con il termine 'Muse' (Μοῦσαι, -ῶν).\n\nLe Muse sono le dee che rappresentano l'ideale supremo dell'Arte, create da Zeus secondo il volere degli altri dei. L'arte va intesa come una visione chiara su tutte le cose, terrestri e divine. Esse 'possiedono' i poeti; questi sono entheos (ἔνθεος 'pieni di Dio'), come ricorda lo stesso Democrito. Essere entheos, è una condizione che «il poeta condivide con altri ispirati: i profeti, le baccanti e le pitonesse».\nLe Muse, dunque, sono le dee che donano agli uomini la possibilità di parlare secondo il vero, e, figlie di Mnemosýne (Μνημοσύνη), la Memoria, consentono ai cantori di 'ricordare' avendo questa stessa funzione un valore religioso e un proprio culto.\n\nI personaggi e divinità della mitologia greca.\nLe fonti della mitologia greca.\nLa mitologia greca, ai giorni nostri, può essere conosciuta essenzialmente attraverso la letteratura. Oltre alle fonti scritte possono venire in aiuto anche le rappresentazioni artistiche a carattere mitologico, i cui reperti più antichi risalgono al cosiddetto periodo geometrico (tra il 900 e l'800 a.C.).\n\nFonti letterarie.\nLa narrazione di miti ricopre un ruolo molto importante in quasi tutti i generi letterari greci. Ciononostante, l'unico testo completo di genere mitografico a essere sopravvissuto è la Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, opera che tenta di conciliare tra loro i divergenti racconti dei poeti e fornisce un ampio compendio della mitologia greca tradizionale e delle leggende di argomento eroico.\nTra le fonti letterarie dell'epoca più antica, fondamentali sono i due poemi epici di Omero, l'Iliade e l'Odissea. Altri poeti provvidero in seguito a completare il Ciclo epico, ma questi poemi minori sono andati quasi interamente perduti. Nonostante il loro nome, gli Inni omerici non hanno alcun rapporto con Omero e sono degli inni di carattere corale, risalenti all'età dei lirici.\nEsiodo, poeta forse contemporaneo di Omero, nella Teogonia ('L'origine degli dei'), che tratta della creazione del mondo, offre la narrazione più completa a nostra disposizione dei miti più antichi, descrivendo la nascita di dei, Titani e Giganti, dettagliate genealogie, racconti popolari e miti eziologici. Un altro testo di Esiodo, 'Le opere e i giorni', che è un poema didascalico sulla vita agreste, contiene anche le leggende di Prometeo, Pandora e delle età dell'uomo. Il poeta dispensa consigli su come riuscire a vivere al meglio in un mondo pericoloso, reso ancora più pericoloso dagli dei che lo governano.\nI poeti lirici trassero talvolta ispirazione dai miti, ma con il trascorrere del tempo passarono da una trattazione più diretta e descrittiva all'uso di semplici allusioni e velati riferimenti. I lirici greci, tra i quali Pindaro, Bacchilide e Simonide, e i poeti bucolici come Teocrito e Bione nelle loro opere citano alcuni episodi mitologici. Inoltre, la tradizione mitica nell'antica Atene era spesso al centro delle trame delle opere teatrali classiche. Le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide si ispiravano all'età degli eroi e alle vicende della guerra di Troia. Molte delle grandi leggende tragiche (come quelle di Agamennone e i suoi figli, di Edipo, di Giasone, di Medea ecc.) assunsero la loro forma definitiva proprio grazie alla rielaborazione che ne venne fatta in questi lavori. Per parte sua, anche il commediografo Aristofane si servì dei miti tradizionali in opere come 'Gli uccelli' o 'Le rane'.\nGli storici Erodoto e Diodoro Siculo e i geografi Pausania e Strabone viaggiarono a lungo in varie zone del mondo greco e annotarono le storie di cui venivano a conoscenza: in questo modo poterono inserire nei loro scritti numerosi miti locali, spesso versioni alternative e poco conosciute di leggende più note. Erodoto, in particolare, esaminò le varie tradizioni che gli si presentavano di fronte, ricostruendone le radici mitologiche e confrontando la tradizione greca con quella orientale.\nLa poesia ellenistica e quella romana, sebbene ormai composte soltanto con finalità letterarie e non come supporto per il culto, contengono comunque molti importanti dettagli di tipo mitologico, che sarebbero andati altrimenti perduti. Questa categoria include:.\n\nLe opere dei poeti ellenistici Apollonio Rodio, Callimaco, Lo pseudo-Eratostene e Partenio di Nicea.\nLe opere dei poeti romani Ovidio, Stazio, Gaio Valerio Flacco, Seneca e Virgilio con il commentario di Servio Mario Onorato.\nLe opere dei poeti greci di epoca più tarda Nonno di Panopoli, Antonino Liberale e Quinto di Smirne.\nGli antichi romanzi di Apuleio, Petronio, Lolliano ed Eliodoro.Le Fabulae e gli Astronomica, opere dello Pseudo-Igino che adottava uno stile simile a quello classico romano, sono due importanti compendi mitologici scritti in prosa. Altre due utili fonti sono le Immagini di Filostrato il vecchio e Filostrato il giovane e le Descrizioni di Callistrato.\nPer concludere, un certo numero di scrittori greco-bizantini riportano importanti dettagli mitologici tratti da opere greche andate perdute: tra i loro testi più importanti si ricordano il Lexicon di Esichio, la Suda, i saggi di Giovanni Tzetzes e di Eustazio di Salonicco.\n\nFonti archeologiche.\nLa scoperta delle rovine della civiltà micenea, da parte dell'archeologo.\ntedesco Heinrich Schliemann (XIX secolo), e di quelle della civiltà minoica a Creta, per mano dell'archeologo britannico Arthur Evans (XX secolo), è stata di grande aiuto per capire meglio il contesto storico-culturale dei poemi omerici e grazie ai molti reperti archeologici rinvenuti nelle campagne di scavo è stato possibile comprendere alcuni particolari dei racconti mitologici. Sfortunatamente le testimonianze trovate nei siti micenei e cretesi sono esclusivamente di tipo monumentale, dato che la scrittura Lineare B (un'antica forma di lingua trovata sia sull'isola di Creta sia nella Grecia continentale) era principalmente utilizzata per redigere registri e inventari, anche se talvolta, non senza qualche incertezza, è possibile rintracciare su queste tavolette i nomi di dei ed eroi.\nI disegni geometrici sui manufatti di ceramica risalenti all'VII secolo a.C. ritraggono scene tratte dal ciclo troiano e dalle avventure di Eracle. Queste rappresentazioni grafiche di scene mitologiche sono importanti per due diverse ragioni: da un lato è stata trovata la testimonianza di molti miti greci su vasi di epoche anteriori a quelle delle fonti letterarie (delle dodici fatiche di Eracle, soltanto l'episodio con Cerbero è stato trovato prima su una fonte letteraria), dall'altro le fonti tratte da oggetti d'arte talvolta ritraggono miti e scene mitologiche che non sono affatto presenti in testi scritti. In alcuni casi la rappresentazione di un mito sui vasi del periodo geometrico ha preceduto di parecchi secoli la prima testimonianza scritta da noi conosciuta.\n\nAnalisi storica dei miti.\nLa mitologia dei popoli greci non è stata un 'corpus' immobile ed immutabile, ma nel corso del tempo è cambiata, adeguandosi all'evoluzione della loro cultura. I primi abitanti della penisola balcanica erano un popolo di agricoltori che tendeva ad attribuire il dominio di uno spirito ad ogni aspetto della natura. Queste vaghe entità spirituali finirono per assumere un aspetto umano ed entrarono a far parte della mitologia locale con il ruolo di dei e dee. Quando la zona venne invasa da tribù provenienti dal nord della penisola, queste popolazioni portarono con sé il culto di nuove e diverse divinità, che erano in relazione con la conquista, la forza, il valore in battaglia, l'eroismo e la violenza. Alcune delle vecchie divinità create dalla precedente società rurale fusero i propri aspetti con quelle portate da questi potenti invasori, altre finirono per essere soppiantate e dimenticate.\nVerso la metà dell'epoca arcaica divennero sempre più frequenti leggende riguardanti le relazioni tra divinità maschili ed eroi, fatto che indica il parallelo sviluppo in questo periodo dell'abitudine della pederastia pedagogica (Eros paidikos, παιδικός ἔρως), sebbene la pratica si sia largamente diffusa attorno al 630 a.C. Entro la fine del V secolo a.C. i poeti avevano attribuito un eromenos ad ognuno degli dei più importanti, eccettuato Ares, e a molti altri personaggi leggendari. Anche miti precedentemente esistenti, come quello di Achille e Patroclo, furono riletti in chiave omosessuale. In periodi successivi, dapprima i poeti Alessandrini e poi i mitografi della prima età imperiale romana adattarono spesso, adeguandoli alla loro cultura, la storia dei personaggi della mitologia greca.\nLa poesia epica creò una serie di cicli di leggende, con il risultato di sviluppare una qualche forma di cronologia mitologica: in questo modo le storie narrate dalla mitologia greca finirono praticamente per narrare una fase dell'evoluzione del mondo e dell'uomo. Le molte contraddizioni evidenti tra le varie leggende rendono impossibile ricostruire una linea cronologica completa, ma se ne può almeno abbozzare una approssimativa. Si può dividere la storia del mondo secondo la mitologia in 3 ampi periodi:.\n\n'I miti delle origini' ovvero 'L'età degli dei' (Theogonies, 'nascite degli dei') – Si tratta di miti riguardanti le origini del mondo, degli dei e della razza umana.\n'L'epoca in cui gli dei e gli uomini vivevano insieme liberamente' – Racconti delle prime interazioni tra dei, semidei e mortali.\n'L'epoca degli eroi' ovvero 'L'età eroica' – In questo periodo gli dei erano meno attivi e meno presenti. Le ultime e più importanti tra le leggende di questo periodo sono quelle legate alla guerra di Troia e agli avvenimenti successivi (alcuni studiosi tendono a considerarle in una categoria a parte).L'epoca degli dei è stata spesso considerata la più interessante dagli studiosi contemporanei, ma gli autori greci delle epoche arcaica e classica mostrano invece una spiccata preferenza per l'epoca degli eroi. Ad esempio l'Iliade e l'Odissea, per il successo riscosso e le stesse dimensioni dei testi, fecero apparire la Teogonia e gli Inni Omerici, le cui narrazioni erano incentrate sugli dei, come delle opere minori. Sotto l'influenza delle opere di Omero il 'culto degli eroi' portò ad una revisione di alcune concezioni religiose, che si tradusse nella separazione tra il regno degli dei da quello dei morti (gli eroi), e tra le divinità olimpiche da quelle ctonie. Ne Le opere e i giorni, Esiodo si serve dello schema delle quattro Età dell'uomo: L'età dell'Oro, dell'Argento, del Bronzo e del Ferro. Queste età sono state create dagli dei separatamente; l'età dell'oro si riferisce al regno di Crono, mentre quelle successive sono opera di Zeus. Esiodo pone l'età degli eroi subito dopo quella del bronzo. L'ultima, quella del ferro, è quella in cui viveva il poeta stesso. Egli la considera la peggiore, in quanto nel mondo ha fatto la sua comparsa il male, come viene spiegato dal mito di Pandora. Nella sua opera, Le metamorfosi, Ovidio segue lo stesso schema delle quattro età introdotto da Esiodo.\n\nL'Età degli dèi.\nCosmogonia e cosmologia.\n'I miti dell'origine', o 'miti della creazione', rappresentano un tentativo di tradurre l'universo in termini comprensibili all'uomo e di spiegare l'origine del mondo. Il racconto tradizionalmente più diffuso e accettato degli inizi del mondo è quello narrato nella Teogonia di Esiodo. Tutto comincia con il Caos, un enorme ed indistinto nulla. Dal vuoto del caos apparve Gea (la Terra) con alcune altre divinità primordiali: Eros (l'Amore), l'Abisso (il Tartaro) e i gemelli Nyx (la notte) ed Erebo (l'oscurità). Gea, senza la collaborazione di alcuna figura maschile, generò Urano (il cielo), che una volta nato la fecondò. Dalla loro unione per primi nacquero i Titani, sei maschi e sei femmine: Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe, Teti e Crono. Poi nacquero i monocoli Ciclopi (Bronte, Sterope e Arge) e gli Ecatonchiri (Briareo, Gige e Cotto) dalle cento mani. Urano getta i figli nel Tartaro per paura di perdere per causa loro il posto di re, in quanto marito di Gea, del creato.\nCrono – 'l'astuto più giovane e terribile dei figli di Gea' – venne salvato dalla madre Gea e poté così vendicare i suoi fratelli. Evirò il padre e divenne il sovrano dei titani prendendo come moglie la sorella Rea, mentre gli altri Titani andarono a comporre la sua corte. Da Rea ebbe diversi figli che, per paura che lo spodestassero, mangiò uno ad uno. Ma non il più piccolo, Zeus, che Rea riuscì a nascondere affidandolo alle cure della capra Amaltea e che sostituì con una pietra ravvolta in fasce e in panni. Crono, ignaro della sostituzione, ingoiò quello che credeva l'ultimo dei suoi figli. Una volta adulto Zeus affrontò suo padre e lo costrinse a bere un farmaco che gli fece vomitare tutti i figli che aveva divorato, infine lo sfidò scatenando una guerra per il trono degli dei. Alla fine, con l'aiuto dei Ciclopi (che aveva liberato dal Tartaro) e di Campe, Zeus e i suoi fratelli e sorelle riuscirono ad avere la meglio, mentre Crono ed i Titani furono gettati a loro volta nel Tartaro e lì imprigionati.\nNell'opinione dei primi antichi Greci che si occuparono di poesia, la teogonia era considerata un prototipo poetico – il prototipo del 'mito' – e non si era lontani dall'attribuirle poteri magici. Orfeo, l'archetipo del poeta, era considerato anche il primo compositore di teogonie, delle quali nelle Argonautiche di Apollonio si serve per placare i mari e le tempeste e per commuovere gli induriti cuori degli dei dell'oltretomba durante la sua discesa all'Ade. Quando Ermes nell''Inno Omerico ad Ermes' inventa la lira, la prima cosa che fa è usarla per cantare la nascita degli dei.\nLa Teogonia di Esiodo non è soltanto la più completa descrizione delle leggende sugli dei giunta fino a noi ma anche, grazie alla lunga invocazione preliminare alle Muse, una fondamentale testimonianza di quale fosse il ruolo del poeta durante l'epoca arcaica. La teogonia fu il soggetto di molti poemi andati perduti – tra cui quelli attribuiti ad Orfeo, Museo, Epimenide, Abaride e ad altri leggendari cantori – che venivano usati nel corso di segreti rituali di purificazione e riti misterici. Alcuni indizi suggeriscono che Platone conoscesse bene alcune versioni della teogonia Orfica. Di queste opere non restano che pochi frammenti all'interno di citazioni dei filosofi neoplatonici e su alcuni brandelli di papiro rinvenuti solo da poco nel corso di scavi archeologici. Uno di questi frammenti, il Papiro di Derveni, prova come almeno nel V secolo a.C. un poema teo-cosmogonico attribuito ad Orfeo esistesse veramente. In questo poema, che tentava di superare il valore di quello di Esiodo, la genealogia divina veniva ampliata con l'aggiunta di Nyx (la Notte), che nella linea temporale andava a posizionarsi prima di Urano, Crono e Zeus.\nI primi filosofi naturalisti si opposero, o talvolta le usarono come base di partenza per le loro teorie, alle convinzioni popolari basate sulla mitologia e diffuse nel mondo greco. Alcune di queste idee possono essere rintracciate nelle opere di Omero e di Esiodo. In Omero la terra è concepita come un disco piatto che galleggia sul fiume Oceano, sovrastato da un cielo emisferico su cui si muovono il sole, la luna e le stelle. Il sole, Elio, attraversava i cieli alla guida del suo carro, mentre di notte si pensava che si spostasse attorno alla terra riposando in una coppa d'oro. Il sole, la terra, il cielo, i fiumi e i venti potevano essere oggetto di preghiere e chiamati a testimoni di giuramenti. Le cavità naturali erano generalmente interpretate come degli ingressi verso il mondo sotterraneo dell'Ade, la casa dei morti.\n\nGli dèi olimpici.\nDopo la cacciata dei Titani, emerse un nuovo pantheon di esseri immortali composto da Dei e Dee. Tra le principali divinità greche spiccano gli Olimpi (la determinazione del loro numero a dodici sembrerebbe essere un'idea relativamente moderna), che risiedevano sulla cima del Monte Olimpo sotto la guida di Zeus. Oltre agli Olimpi, i Greci venerarono diverse divinità agresti come il dio-capra Pan, le Ninfe, le Naiadi (che abitavano le sorgenti), le Driadi (che dimoravano negli alberi), le Nereidi (abitatrici dei mari), gli dei fluviali, i Satiri e altre. Oltre a queste esistevano le oscure forze del mondo sotterraneo come le Erinni (o Furie), che si credeva perseguitassero chi avesse commesso crimini contro i propri consanguinei. In onore degli dei del pantheon greco, i poeti composero gli Inni omerici (una raccolta di 33 canti).\nNei moltissimi miti e leggende di cui si compone la mitologia greca, le divinità sono descritte come esseri immortali dotati di un corpo idealizzato ma assolutamente reale. Secondo Walter Burkert la caratteristica qualificante dell'antropomorfismo greco è che 'gli dei greci sono persone, non astrazioni, idee o concetti'. Al di là del loro aspetto, gli antichi dei greci erano dotati di fantastiche capacità; tra le più significative c'era l'immunità verso qualsiasi tipo di malattia e il poter essere feriti solo se si fossero verificate alcune circostanze straordinarie. I Greci pensavano che l'immortalità fosse una caratteristica distintiva dei loro dei; era assicurata loro, al pari dell'eterna giovinezza, dal costante consumo di nettare e ambrosia, che rinnovavano il sangue divino che scorreva nelle loro vene.\n\nOgni dio ha la propria genealogia, persegue i propri scopi e interessi, è dotato di specifiche capacità e possiede una personalità unica e chiaramente distinguibile da quelle degli altri; tuttavia queste descrizioni provengono da diverse varianti locali delle leggende, e queste varianti talvolta sono in contrasto tra di loro. Quando questi dei venivano invocati nei componimenti poetici, nelle preghiere o durante i rituali di culto, ci si rivolgeva loro combinando il loro nome con uno o più epiteti, che distinguevano tra le varie forme in cui gli dei stessi si potevano manifestare (ad esempio Apollo Musagetes indica 'Apollo la guida delle Muse').\nLa maggior parte degli dei era associata ad aspetti specifici della vita. Ad esempio, Afrodite era la dea dell'amore e della bellezza, Artemide dea della caccia, della luna e protettrice di animali, Ares della guerra, Ade dei morti e del sottosuolo e Atena della saggezza e delle arti. Alcune divinità, come Apollo e Dioniso, mostravano personalità complesse e si occupavano di vari aspetti della vita, mentre altre, come Estia o Elio, erano poco più che mere personificazioni. I templi greci più suggestivi e solenni furono dedicati per lo più ad un ristretto numero di dei, quelli il cui culto era centrale nella religiosità panellenica. Era comunque comune che singole regioni o villaggi fossero particolarmente devote anche a divinità minori considerate le loro protettrici. Inoltre, in molte città il culto delle divinità più note era praticato seguendo particolari rituali locali, che li associavano a strane leggende altrove del tutto sconosciute. Durante l'età eroica, il culto degli eroi e dei semidei si affiancò a quello delle divinità principali.\n\nL'età degli dèi e degli uomini.\nTra l'età in cui gli dei vivevano soli e quella in cui gli interventi divini negli affari umani diventarono limitati, ci fu un'epoca di transizione nella quale dei e uomini agivano fianco a fianco. Ciò accadde durante tempi immediatamente successivi alla creazione del mondo, in cui i due gruppi si unirono con molta più libertà di quanto non abbiano fatto in seguito. I racconti di queste vicende, la maggior parte dei quali fu successivamente riportata nelle Metamorfosi di Ovidio, possono essere suddivisi in due categorie tematiche: i racconti d'amore e i racconti delle punizioni.\nI racconti d'amore spesso narrano di incesti, oppure della seduzione o dello stupro di una donna mortale da parte di una divinità maschile, unioni dalle quali discendono gli eroi. L'insegnamento di queste storie generalmente è che le relazioni tra dei e mortali sono qualcosa da cui è meglio tenersi alla larga; anche le relazioni consensuali raramente terminano con un lieto fine. In alcuni casi è una divinità femminile che si accoppia con un mortale, come accade nell'Inno Omerico ad Afrodite, in cui la dea si giace con Anchise per generare Enea. Le nozze di Peleo e Teti, che portarono alla nascita di Achille, costituiscono un altro mito di questo secondo tipo.\n\nI racconti delle punizioni ruotano perlopiù attorno al furto o all'invenzione di alcune importanti scoperte culturali, come quando Prometeo ruba il fuoco agli dei, quando Tantalo sottrae il nettare e l'ambrosia dalla tavola di Zeus e li dà ai suoi sudditi rivelando loro i segreti degli dei, quando Prometeo o Licaone inventano i sacrifici, quando Demetra insegna i segreti dell'agricoltura e i Misteri eleusini a Trittolemo, o quando Marsia trova il flauto gettato sulla Terra da Atena e sfida Apollo ad una gara di abilità musicale. Un frammento di papiro anonimo, che si fa risalire al III secolo a.C., racconta in modo molto vivido la punizione che Dioniso infligge al re di Tracia Licurgo che aveva riconosciuto il dio con colpevole ritardo, ricevendone pene terribili che si sarebbero protratte anche nell'aldilà. La storia dell'arrivo di Dioniso in Tracia per fondarvi il proprio culto fu anche il soggetto di una trilogia tragica di Eschilo. In un'altra tragedia, Le Baccanti di Euripide, il re di Tebe Penteo viene punito da Dioniso perché gli ha mancato di rispetto ed ha spiato le sue Menadi.\nIn un'altra leggenda, basata su un antico racconto popolare dal tema simile, Demetra, mentre stava cercando la figlia Persefone, aveva assunto l'aspetto di una vecchia di nome Doso, godendo così dell'ospitalità del re di Eleusi Celeo. Per compensarlo dell'accoglienza offerta, Demetra progettò di trasformarne il figlio Demofoonte in un dio, ma non riuscì a completare il necessario rituale perché la madre Metanira, vedendo il figlio tra le fiamme del focolare, la interruppe gridando spaventata. Demetra se ne ebbe a male e si lamentò dell'incomprensione che gli stupidi mortali riservano ai riti divini.\n\nL'età degli eroi.\nLa poesia epica e genealogica creò dei cicli di leggende che si raggruppavano attorno alla figura di determinati eroi o che sviluppavano la storia di alcuni eventi. In questo modo si spiegavano inoltre le relazioni familiari e le discendenze di eroi che figuravano in leggende diverse, finendo per riordinare le leggende stesse in una successione abbastanza stabile.\nIn seguito all'incremento dell'abitudine al culto degli eroi, gli dei e gli eroi finirono per fare parte di un unico immaginario sacro, venendo invocati insieme nei giuramenti e nelle preghiere. Contrariamente a quanto accadde durante l'età degli dei, nel corso dell'età eroica il numero degli eroi non rimase fisso e non vi fu mai un loro elenco definitivo: mentre non si parlò più della nascita di nuovi grandi dei, eroi nuovi continuavano a sorgere nel corpus leggendario. Un'altra importante differenza tra i due culti è che l'eroe locale diventa il centro dei culti locali e le popolazioni delle varie zone e città si identificano in esso.\nLe grandiose avventure di Eracle secondo molti rappresentano l'inizio dell'età degli eroi. A quest'epoca può essere senz'altro attribuita anche la creazione dei miti di tre grandi leggendarie imprese militari: la spedizione degli Argonauti, la guerra di Troia e la guerra Tebana.\n\nEracle e i suoi discendenti.\nÈ possibile che ad ispirare la figura di Eracle e le complesse leggende che lo riguardano sia stato un uomo realmente esistito; forse si trattò di un condottiero militare al servizio del regno di Argo. Tuttavia, secondo la tradizione Eracle era figlio di Zeus e di Alcmena, la nipote di Perseo. Le sue incredibili imprese, molte delle quali tratte dal folklore locale, fornirono una gran mole di spunti per le leggende più note. Fu ritratto come molto devoto e dedito alla costruzione di altari, famoso però per il suo eccezionale appetito; questo è il ruolo in cui appare nei racconti più leggeri e divertenti, mentre la sua terribile fine è stata fonte di ispirazione per i tragediografi. Nelle opere d'arte e in quelle letterarie Eracle fu rappresentato come un uomo estremamente muscoloso e forte, ma non eccessivamente alto; l'arma di cui solitamente si serviva era l'arco, ma usava frequentemente anche una clava. Le decorazioni sugli oggetti ceramici dimostrano l'incomparabile popolarità raggiunta da Eracle: solo la sua lotta contro il Leone di Nemea venne dipinta centinaia di volte.\nLa figura di Eracle venne recepita anche dalle mitologie romana ed etrusca e l'esclamazione 'Mehercule!' divenne abituale tra i Romani come 'Herakleis!' lo era tra i Greci. In Italia fu venerato come una divinità protettrice di mercanti e commercianti, anche se alcuni continuavano ad invocarlo, secondo tradizione, perché concedesse loro fortuna e li salvasse dai pericoli.\nLa figura di Eracle fu accostata alle classi sociali più illustri attribuendogli il ruolo di progenitore della dinastia reale dorica. Questa leggenda probabilmente servì per legittimare a posteriori la migrazione del popolo dorico nel Peloponneso. Illo, l'eroe eponimo della stirpe dorica, fu trasformato nel figlio di Eracle e incluso tra gli Eracleidi (i numerosi discendenti di Eracle, specialmente dalla linea che fa capo ad Illo stesso – altri Eracleidi furono Macaria, Lamo, Manto, Bianore, Tlepolemo e Telefo). I sedicenti Eracleidi nel Peloponneso conquistarono i regni di Micene, Sparta e Argo rivendicando, secondo quanto sostenuto nelle leggende, il loro diritto a governare derivante dagli illustri progenitori. La loro ascesa al potere è stata spesso denominata come Invasione Dorica. In epoche successive anche gli appartenenti alle case regnanti di Lidia e Macedonia assunsero il titolo di Eracleidi.\nAltri esponenti di questa prima generazione di eroi, come Perseo, Deucalione, Teseo e Bellerofonte, condividono con Eracle alcuni tratti comuni: tutti compiono le loro imprese da soli e queste imprese, nelle quali sconfiggono mostri come Medusa o la Chimera, possiedono molti elementi fantastici e simili a quelli delle fiabe. Anche l'intervento degli dei che mandano l'eroe verso la morte è un tema ricorrente di questa prima tradizione eroica, come mostrano le leggende di Perseo e Bellerofonte.\n\nGli Argonauti.\nL'unico poema epico sopravvissuto dell'epoca Ellenistica sono Le Argonautiche di Apollonio Rodio (poeta, studioso e direttore della Biblioteca di Alessandria) che narrano la leggenda del viaggio di Giasone e degli Argonauti intrapreso per riprendere il Vello d'oro nel mitico paese della Colchide. Nelle Argonautiche Giasone è spinto all'impresa dal re Pelia, che aveva saputo da una profezia che un uomo con un solo sandalo sarebbe stato la sua nemesi. Giasone arriva a corte dopo aver appunto perso un sandalo nel fiume e da questo antefatto prende il via l'avventura. Quasi tutti gli eroi di questa seconda generazione accompagnano Giasone sulla nave Argo nella sua ricerca del Vello d'oro: tra gli altri ci sono Eracle, i Dioscuri, Atalanta e Meleagro al quale era stato dedicato un ciclo epico che rivaleggiava con Iliade e Odissea. Sia Pindaro che Apollonio che lo Pseudo-Apollodoro si sforzarono nelle loro opere di dare un elenco completo degli ArgonautiApollonio compose il suo poema nel III secolo a.C., ma la leggenda originaria è in realtà precedente all'Odissea, nelle cui pagine si possono trovare rimandi alle imprese di Giasone, tanto che la storia dei vagabondaggi e delle avventure di Odisseo potrebbe esserne stata ispirata. Nell'antichità la spedizione fu considerata un fatto storico effettivamente accaduto, ed interpretata come un episodio della storia dell'apertura al commercio e alla colonizzazione greca nell'area del Mar Nero. La leggenda godette comunque di una grande popolarità, anche grazie al gran numero di leggende locali che, fondendosi con essa, finirono per creare un ciclo epico. In particolare, il personaggio di Medea catturò l'immaginazione dei poeti tragici divenendo fonte di ispirazione per molti componimenti Ψ.\n\nLa Casa di Atreo e il Ciclo Tebano.\nTra quella degli Argonauti e quella che si cimentò nella guerra di Troia, ci fu una generazione di eroi conosciuta principalmente per essersi macchiata di orribili crimini: tra questi spiccano Atreo e Tieste. Dietro al mito della casata di Atreo (che insieme con quella di Labdaco è una delle due dinastie eroiche più importanti) si nasconde l'eterno problema del passaggio di mano del potere e delle modalità di accesso al trono. I due fratelli e i loro discendenti rivestono un ruolo fondamentale nel drammatico passaggio di potere nella città di Micene.Il Ciclo tebano tratta soprattutto delle vicende legate a Cadmo, il fondatore della città, e successivamente della storia di Laio ed Edipo; si tratta di una serie di vicende che portano alla fine al saccheggio della città per mano dei Sette contro Tebe (non è chiaro se le figure di questi sette eroi fossero già presenti nei miti antichi) e degli Epigoni. Per quanto riguarda Edipo, i miti originari sembrerebbero raccontare una storia diversa da quella che è diventata famosa attraverso la tragedia di Sofocle e le leggende più tarde: pare infatti che, dopo aver scoperto che Giocasta era sua madre, continuò ugualmente a governare la città, prendendo però in moglie un'altra donna che gli assicurasse la discendenza Ψ.\n\nLa Guerra di Troia e gli eventi successivi.\nLa mitologia greca raggiunge il suo momento più significativo con la guerra di Troia, combattuta tra Greci e Troiani, e le vicende ad essa successive. Le linee principali di questo ciclo di leggende furono tratteggiate da Omero, mentre in epoche successive altri poeti e drammaturghi elaborarono e svilupparono le storie di vari singoli personaggi. Grazie alla storia del condottiero troiano Enea, raccontata da Virgilio nell'Eneide, la guerra di Troia finì per rivestire una certa importanza anche nella mitologia romana.\nIl ciclo della guerra di Troia, una raccolta di poemi epici, narra il racconto degli eventi che fecero da prodromi alla guerra stessa: tra questi le leggende di Eris e la mela d'oro, del giudizio di Paride, del rapimento di Elena, e del sacrificio di Ifigenia in Aulide. Per riprendere Elena i greci organizzarono una grande spedizione militare sotto il comando del fratello di Menelao, il re di Micene Agamennone, ma i Troiani rifiutarono di restituire la donna. L'Iliade, ambientata durante il decimo anno di guerra, racconta della lite tra Agamennone e Achille, il migliore dei guerrieri greci, e delle conseguenti morti in battaglia dell'amico di Achille Patroclo, e di Ettore, figlio di Priamo e comandante in capo dell'esercito troiano. Dopo la morte di Ettore, alle forze troiane si unirono due esotici alleati: la regina delle Amazzoni Pentesilea ed il re degli Etiopi Memnone, figlio della dea dell'aurora Eos.\nAchille uccise entrambi questi nuovi guerrieri, ma Paride riuscì a sua volta ad abbattere l'eroe greco con una freccia. Prima di poter conquistare la città, i Greci furono costretti a rubare dall'acropoli di Troia la statua di lignea di Atena, il Palladium.\nAlla fine, con l'aiuto della dea, costruirono il celebre cavallo di legno che i Troiani, nonostante gli avvertimenti della profetessa Cassandra e del sacerdote Laocoonte, portarono entro le mura, persuasi da Sinone, un acheo fintosi disertore. Quella stessa notte la flotta greca ritornò in segreto ed i guerrieri nascosti nel cavallo fecero irruzione in città, che venne saccheggiata e poi distrutta. Priamo e i suoi figli rimasti furono uccisi, mentre le donne di Troia furono incluse nel bottino di guerra e portate in Grecia come schiave.\nGli avventurosi viaggi di ritorno dei capi dei greci sono narrati in due poemi epici: i Ritorni (Nostoi andato perduto) e l'Odissea di Omero. Il ciclo delle leggende relative alla guerra di Troia include anche le avventure di alcuni dei figli degli eroi, come Telemaco ed OresteLa Guerra di Troia fornì una notevole quantità di spunti per gli artisti delle epoche successive e fu fonte di ispirazione per opere come le metope del Partenone che rappresentano appunto scene tratte dal saccheggio della città; questa predilezione mostra piuttosto chiaramente l'importanza che questo ciclo di storie ebbe per l'antica civiltà greca.\n\nGenealogia degli dei.\nDivinità e altre figure mitologiche.\nDivinità dell'Olimpo.\nAde - fratello di Zeus e dio degli Inferi, dei morti e delle ricchezze della terra (a differenza dei fratelli non ha un trono sull'Olimpo).\nAfrodite - dea dell'amore, della seduzione e della bellezza.\nApollo - dio della luce, della musica, dell'arte, della poesia, della medicina, della malattia, della conoscenza e della scienza, del tiro con l'arco, dell'ordine e della profezia.\nAres - dio della guerra sanguinaria, degli spargimenti di sangue e della violenza.\nArtemide - sorella gemella di Apollo e dea della caccia, della natura selvaggia, degli animali e della luna.\nAtena - dea della saggezza, della strategia militare, delle arti utili, dell'ingegno, della guerra condotta per causa giusta e dell'artigianato.\nDemetra - dea dell'agricoltura, delle piante, della natura e della fertilità.\nDioniso - dio del vino, dell'energia vitale, dell'ebrezza, delle feste e dei banchetti.\nEfesto - dio del fuoco, delle armi, della tecnologia, dei fabbri e della metallurgia.\nEra - moglie di Zeus, dea della fedeltà coniugale e del matrimonio.\nEracle - dio della forza giunto all'Olimpo in seguito alla sua vita terrena. Figlio illegittimo di Zeus dalla forza straordinaria, che divenne un dio in seguito alle sue eroiche imprese.\nErmes - messaggero degli dèi, dio dei ladri, dei mercanti, delle strade, dei commerci, degli inganni, degli alchimisti, dell'eloquenza, della furbizia e dei viandanti.\nEstia - dea della casa e del fuoco sacro (acceso per onorare le divinità), cedette il suo posto tra le divinità dell'Olimpo a Dioniso.\nPoseidone - fratello di Zeus e dio del mare, delle acque, della navigazione e dei terremoti.\nZeus - re degli dèi e sovrano dell'Olimpo, dio dei fulmini, dei fenomeni atmosferici e dei cieli.\n\nAltri personaggi della mitologia.\nAcheloo - dio del fiume dell'Etolia, figlio di Oceano e Teti.\nAlfeo - dio del fiume con questo nome che scorre nel Peloponneso.\nAlfito - dea seminatrice del grano bianco.\nAmazzoni - gruppo di donne guerriere, che rifiutavano gli uomini.\nAsclepio - dio dei medici (per i Romani Esculapio).\nAstrea - dea della giustizia, trovando troppa iniquità tra gli uomini andò a vivere tra le stelle.\nBorea - dio del vento del nord e dell'inverno.\nCabiri - gruppo di divinità adorate in Samotracia, Egitto e Menfi.\nCariti, più note nella loro versione romana di Grazie - dee della bellezza e forze della vegetazione: Aglaia, Eufrosine, Talia.\nEbe - coppiera degli dei, dea della giovinezza.\nEcate - dea della profezia, della luna e della notte, della nebbia, degli incroci (trivii), della magia, della stregoneria e delle streghe e dei maghi.\nEnio - dea della guerra.\nEolo – dio dei venti.\nEos - dea dell'aurora.\nErinni o Eumenidi - divinità femminili delle pene e della vendetta.\nEris - dea del caos e della discordia.\nEros - dio dell'amore passionale.\nEsperidi - ninfe del tramonto figlie del titano Atlante, proteggono un albero dalle mele d'oro.\nGea o Gaia - dea primordiale della terra, madre dei Titani ed essenza della natura.\nGlauco - divinità marina.\nIacco - dio che guida la processione degli iniziati ai misteri eleusini.\nIlizia - dea che presiede il parto.\nImeneo - dio che guida il corteo nuziale.\nIris - dea dell'arcobaleno.\nMeti - figlia di Oceano, divinità dell'intelligenza astuta e della prudenza, madre di Atena.\nMnemosine - dea della memoria, madre delle Muse.\nMoire - personificazione del destino di ciascuno.\nMuse - cantatrici divine che presiedono al pensiero in tutte le sue forme.\nCalliope - musa della letteratura.\nClio - musa della storia.\nErato - musa della poesia erotica.\nEuterpe - musa della musica.\nMelpomene - musa della tragedia.\nPolimnia - musa della poesia religiosa.\nTalia - musa della commedia.\nTersicore - musa della danza.\nUrania - musa dell'astronomia.\nNaponos - divinità della intelligenza, adorata in Magna Grecia.\nNarciso - personaggio dell'amor di sé e della bellezza maschile.\nNefele - Dea delle nubi.\nNereo - divinità marina, figlio di Ponto e Gaia.\nNike - dea che personifica la Vittoria.\nNyx o Notte - dea della notte che ha generato Emera ed Etere assieme ad Erebo, nonché le Personificazioni.\nOre - divinità delle stagioni.\nPan - dio dei satiri e delle selve e dei greggi.\nPartenope - ecista fondatrice della città omonima (nucleo originario di Napoli) divinizzata dopo la morte.\nPersefone - figlia di Demetra rapita da Ade e divenuta sua moglie e la regina dei morte e la dea della primavera.\nLe Personificazioni, generate dalla Notte: sono Apate, Ker, Moros, gli Oneiroi, Tanato, Eris, Hypnos, Nemesi, Geras, Momo, Oizys, Philotes.\nPleiadi - 7 sorelle figlie del gigante Atlante.\nPluto - dio della ricchezza.\nPonto - personificazione maschile del mare.\nPrassidiche - Triade divina della giusta punizione e della vendetta.\nPriapo - dio agreste della potenza maschile.\nProteo - dio del mare incaricato di pascolare gli animali marini di Poseidone.\nSelene - divinità che guida il moto della Luna.\nSibilla - antichissima profetessa di Cuma divinizzata dopo la morte.\nStige - fiume degli inferi, dio dei giuramenti sacri, se si giura sullo Stige la promessa sarà sempre mantenuta anche dagli dei.\nTanato - dio alato che personifica la morte.\nTartaro - la personificazione regione più profonda del mondo, sotto gli inferi.\nTiche - dea della fortuna, il caso divinizzato.\nTitani e Titanidi - 6 figli e 6 figlie di Urano e Gaia.\nAtlante - Titano che reggeva il mondo sulle sue spalle.\nCrono - padre delle prime sei divinità dell'Olimpo, Titano.\nElio - patrono del sole, Titano.\nFebe - figlia di Urano, a cui si attribuisce la fondazione dell'oracolo di Delfi, Titana.\nGiapeto - Titano della prima generazione, figlio di Urano e Gaia.\nIperione - Titano dell'Oriente. Splende come il sole e può infiammarsi per attaccare.\nOceano - personificazione dell'acqua che circonda il mondo, Titano.\nRea - madre delle prime sei divinità dell'Olimpo, Titana.\nTemi - dea della legge, Titana.\nTeti – Titana.\nTritone - dio marino.\nUrano - primordiale dio dei cieli, padre dei Titani.\nZefiro - dio del vento di ponente.\nEuridice - ninfa.\nNemesi - dea della vendetta e del bilanciamento e dei sacrifici.\nHypnos - dio del sonno.\nPiria - battelliere di Itaca (protagonista di un famoso episodio)Vedi anche Semidei, le Driadi, i Fati, le Erinni, le Grazie, le Ore, le Muse, le Ninfe, le Pleiadi, i Titani, le Graie, le Gorgoni.\n\nL'importanza dei miti nella cultura greca.\nLa conoscenza della mitologia era profondamente radicata e faceva parte della vita quotidiana degli antichi greci. I Greci consideravano la mitologia come parte della loro storia. Si servivano dei miti per spiegare sia i fenomeni naturali, sia le diversità culturali e le inimicizie e alleanze politiche. Provavano un sincero orgoglio quando pensavano di essere riusciti a scoprire che la linea genealogica di uno dei loro re o leader risaliva fino ad un dio o a un eroe. Pochi credevano che i racconti dell'Iliade e dell'Odissea non corrispondessero ad eventi effettivamente accaduti. La profonda conoscenza dell'epica omerica era considerata dai Greci come la base del loro processo di accrescimento culturale. Omero era 'l'istruzione della Grecia' (Ἑλλάδος παίδευσις), e i suoi componimenti 'Il Libro'.\n\nLa filosofia e il mito.\nVerso la fine del V secolo a.C. videro la luce i primi scritti filosofici e storici ispirati a un pensiero razionale e il destino dei racconti mitologici si fece incerto, anche perché si stava facendo largo una concezione della storia, come quella di Tucidide, che tendeva a escludere dalle genealogie le discendenze sovrannaturali: mentre i poeti e i drammaturghi stavano rielaborando gli antichi miti, gli storici e i filosofi cominciarono a criticarli.\nAlcuni filosofi come Senofane di Colofone già a partire dal VI secolo a.C. avevano cominciato a bollare i racconti dei poeti come menzogne blasfeme; Senofane lamentava che Omero ed Esiodo attribuissero agli dei «tutto ciò che è vergognoso e riprovevole tra gli uomini: rubano, commettono adulterio e si ingannano l'un l'altro». Questo modo di pensare trova la sua più compiuta espressione nella Repubblica e nelle Leggi di Platone. Il filosofo creò una propria mitologia allegorica, attaccò i racconti tradizionali e si oppose al ruolo centrale che avevano fino ad allora nella letteratura greca. La critica di Platone (definiva gli antichi miti 'chiacchiere da donnette') rappresentò la prima vera sfida alla tradizione omerica. Da parte sua, Aristotele criticò l'approccio filosofico dei Presocratici, ancora influenzato dai miti, e sottolineò che «Esiodo e i compositori di Teogonie si occupavano solo di ciò che sembrava vero a loro stessi, senza avere rispetto per noi […] Ma non vale la pena prendere sul serio scrittori che si basano sulla mitologia; da buoni studiosi che si preoccupano di provare le loro affermazioni, dobbiamo mettere le loro teorie alle strette».\nNeppure Platone fu comunque in grado di sottrarre pienamente se stesso, né tantomeno la società del tempo, dall'influenza esercitata dai miti: la caratterizzazione che fa nei suoi scritti del personaggio di Socrate è infatti chiaramente basata su modelli omerici e tragici tradizionali, dei quali il filosofo si serve per celebrare la virtuosa vita del suo maestro.Alcuni studiosi ritengono che il rifiuto della tradizione omerica propugnato da Platone non sia stato comunque effettivamente recepito dalla società greca. Gli antichi miti continuarono ad essere mantenuti vivi nei culti locali e continuarono costituire fonte di ispirazione per poeti, pittori e scultori.Nel V secolo a.C. Euripide, muovendosi con maggiore leggerezza, spesso giocò con le antiche tradizioni, parodiandole e facendo notare i suoi dubbi in materia attraverso le voci dei personaggi dei suoi lavori, le cui trame sono comunque tutte ispirate ai miti stessi. Molte di queste opere furono scritte come risposta a precedenti versioni delle leggende: Euripide si occupa soprattutto delle storie che riguardano gli dei e le critica in modo simile a quello di Senofane, facendo notare come gli dei, nell'immaginario tradizionale, assomiglino agli uomini in maniera fin troppo grossolana '.\n\nIl razionalismo ellenistico e romano.\nDurante l'epoca ellenistica, la conoscenza della mitologia cominciò ad essere considerata come un segno di profonda cultura, e chi ne fosse stato in possesso come appartenente ad una classe sociale e culturale elevata. Allo stesso tempo, la virata verso un approccio scettico nei suoi confronti divenne ancor più accentuata. Il mitografo greco Evemero inaugurò l'abitudine di ricercare le basi storiche e reali a cui far risalire l'origine degli antichi miti. Nonostante la sua opera Sacra scrittura sia andata perduta, si è potuto ricostruirne gran parte del contenuto grazie a quanto riportato nelle opere di Diodoro Siculo e Lattanzio.La razionalizzazione dell'ermeneutica del mito fu un procedimento che diventò ancora più popolare in epoca imperiale romana, grazie alle teorie materialiste dei filosofi stoici ed epicurei. Gli stoici spiegavano gli dei e gli eroi come interpretazioni fantasiose di fenomeni naturali, mentre gli evemeristi li vedevano come adattamenti di figure storiche. Gli stoici e i neoplatonici valorizzavano però anche il significato morale posseduto dalle tradizioni mitologiche, spesso basandosi sull'etimologia dei nomi greci. Lucrezio, con il suo insegnamento ispirato alla filosofia epicurea, tentò di estirpare le paure dettate dalla superstizione derivante dalla mitologia dalle menti dei suoi concittadini. Anche Tito Livio si mostra scettico nei confronti della tradizione mitologica e afferma che non intende dare giudizi su queste leggende (fabulae).Per i Romani, caratterizzati di un forte senso religioso e dalla tendenza alla mantenimento delle tradizioni, la sfida consisteva nel riuscire a difendere le tradizioni stesse ammettendo al tempo stesso che spesso si trattava di storie che fornivano terreno fertile allo sviluppo di mere superstizioni. L'erudito Marco Terenzio Varrone, che considerava la religione come un'istituzione umana di grande importanza per la conservazione del bene sociale, studiò a lungo e con rigore le origini dei culti religiosi. Nella sua opera Antiquitates rerum divinarum (opera andata perduta ma della quale La città di Dio di Agostino d'Ippona riporta lo schema generale) Varrone sostiene che, mentre le persone superstiziose temono gli dei, chi è dotato di un vero sentimento religioso li venera come fossero i propri genitori. Con il suo lavoro individua tre tipi di divinità:.\n\nGli dei della natura: personificazioni dei fenomeni naturali come la pioggia ed il fuoco.\nGli dei dei poeti: inventati da cantori senza troppi scrupoli per accendere le passioni.\nGli dei della città: inventati da saggi legislatori per lusingare e fornire spiegazioni alla popolazione.Anche Cicerone si mostra generalmente sprezzante verso i miti ma, come Varrone, sostiene con entusiasmo la religione di Stato e le sue istituzioni. È difficile dire con sicurezza fino a quale gradino della scala sociale si fosse diffuso questo atteggiamento razionalista: Cicerone afferma che nessuno (neppure le vecchie e i bambini) è così folle da temere i mostri dell'Ade, Scilla, i centauri o altre simili creature ma, d'altra parte, in altri passi l'oratore si lamenta del carattere superstizioso e credulone del popolo.\n\nLe spinte sincretistiche.\nNel corso dell'epoca romana fa la sua comparsa la tendenza da parte di alcuni strati di popolazione a fondere tra loro varie divinità greche e straniere, dando così origine a nuovi e sostanzialmente irriconoscibili culti. Questo processo di sincretizzazione era dovuto innanzitutto al fatto che la mitologia romana originale era alquanto scarna, e aveva inglobato in sé buona parte delle tradizioni mitologiche greche: in questo modo si può dire che già le maggiori divinità romane erano fuse con quelle greche. Oltre a questa precedente combinazione delle due tradizioni, l'accostarsi della civiltà romana ad ulteriori forme di religiosità di origine orientale portò a nuove contaminazioni e sincretismi. Ad esempio, il culto del Sole fu introdotto a Roma dopo le vincenti campagne militari di Aureliano in Siria. Le divinità asiatiche Mitra (ovvero il sole) e Baal finirono per essere fuse con Apollo ed Elio, dando vita al culto del Sol Invictus che riunisce riti e attributi diversi. Apollo tendenzialmente venne sempre più identificato con il sole, o talvolta anche con Dioniso, ma i testi scritti che riportano i miti a lui legati raramente tengono conto di questi sviluppi. La letteratura mitologica tradizionale era sempre più lontana da quelli che erano i culti in realtà praticati.\nAnche la raccolta degli Inni Orfici e i Saturnali di Macrobio, risalenti al II secolo sono influenzati dalle teorie razionaliste e dalle tendenze sincretistiche. Gli Inni orfici sono una raccolta di componimenti poetici di epoca preclassica attribuiti ad Orfeo, a sua volta oggetto di un mito mutato e rinnovato. In realtà questi poemetti furono composti da molti poeti diversi, e contengono molti interessanti riferimenti alla mitologia europea di epoca preistorica.\n\nInterpretazioni moderne.\nLa nascita delle moderne interpretazioni della mitologia greca è vista da alcuni studiosi come effetto della reazione avvenuta alla fine del XVIII secolo contro il «tradizionale atteggiamento cristiano di ostilità» dal quale era stata da sempre intrappolata la reinterpretazione cristiana dei miti, che li riduceva quindi a semplici favole o bugie. Verso il 1795 in Germania vi fu un crescente interesse verso Omero e la mitologia greca in generale: Johann Matthias Gesner a Gottinga iniziò a sviluppare nuovamente gli studi sull'antica Grecia, mentre il suo successore Christian Gottlob Heyne lavorò insieme a Johann Joachim Winckelmann ponendo le basi per la ripresa degli studi mitologici sia nel proprio paese che nel resto d'Europa.\n\nL'approccio comparativo e psicoanalitico.\nLo sviluppo della filologia comparativa avvenuto nel XIX secolo insieme con le scoperte di carattere etnologico del secolo successivo posero le basi per la nascita di un'effettiva scienza che si occupa dei miti. A partire dell'epoca romantica tutti gli studi mitologici hanno avuto un carattere comparativo. Wilhelm Mannhardt, James Frazer, e Stith Thompson si servirono di questo tipo di approccio per raccogliere e classificare i diversi racconti popolari e mitologici, Nel 1871 Edward Burnett Tylor pubblicò il suo lavoro Primitive Culture nel quale, applicando il metodo comparativo, tentava di spiegare l'origine e l'evoluzione del pensiero religioso. La procedura seguita da Tylor, che consisteva nell'analizzare insieme resti, rituali e miti appartenenti a culture molto diverse tra loro, influenzò l'opera di Carl Gustav Jung e Joseph Campbell. Max Müller applicò questa nuova scienza allo studio dei miti, nei quali rintracciò i resti trasformati dell'antico panteismo di origine Ariana. Bronisław Malinowski pose l'accento sul modo in cui i miti adempiano a funzioni sociali comuni alle varie culture. Claude Lévi-Strauss e altri strutturalisti hanno comparato le relazioni formali e le strutture dei miti di tutto il mondo.\n\nTeorie sull'origine dei miti.\nEsistono varie teorie moderne riguardo all'origine della mitologia greca. Secondo una teoria tutte le leggende sono derivate dai racconti contenuti nei Testi sacri, sebbene i fatti siano stati in seguito fraintesi e alterati. Secondo la 'teoria storica' (evemerista) tutti i personaggi citati dalla mitologia furono in realtà persone umane realmente esistite, che in seguito i racconti che a loro si riferiscono hanno più o meno completamente trasfigurato. Così, ad esempio, la leggenda di Eolo si suppone che derivi dal fatto che Eolo nei tempi antichi sia stato il signore di alcune isole del Mar Tirreno. La 'teoria allegorica' suppone che tutti gli antichi miti siano interpretazioni allegoriche e simboliche dei fatti, mentre la 'teoria fisica' è sposata da coloro che ritengono che in antico gli elementi naturali come acqua, terra e fuoco fossero oggetto di adorazione religiosa e quindi le divinità principali non fossero che personificazioni di queste forze della natura. Max Müller tentò di ricostruire una forma di religione Indoeuropea risalendo all'indietro verso le sue origini di tipo Ariano. Nel 1891 egli affermò che «la più importante scoperta che è stata fatta nel corso del diciannovesimo secolo riguardo alla storia dell'umanità […] è questa semplice equazione: sanscrito Dyaus-Pitar = greco Zeus = latino Iupiter = norreno Týr». Anche in altri casi i parallelismi che è possibile riscontrare tra i personaggi e le loro funzioni suggeriscono che vi sia un'origine comune, sebbene la mancanza di riscontri di tipo linguistico renda difficile provarlo, come nei casi di Urano ed il sanscrito Varuṇa o delle Moire e le nordiche Norne.\nL'archeologia e la mitografia, da parte loro, hanno rivelato che i Greci subirono in parte l'influenza culturale di alcune delle civiltà dell'Asia Minore e del Vicino Oriente. La figura di Adone sembra in effetti essere la controparte greca – e la cosa è più evidente nel culto che nel mito – di un 'dio morente' asiatico. Cibele ha un'origine anatolica mentre l'iconografia di Afrodite è in larga parte tratta da quella di divinità semitiche. Alcuni studiosi ritengono che la mitologia greca sia debitrice anche nei confronti delle civiltà pre-elleniche: Creta, Micene, Pilo, Tebe e Orcomeno. Gli storici della religione furono affascinati dal gran numero di antiche leggende che, apparentemente, mostrano una connessione con Creta (il dio-toro, Zeus ed Europa, il mito di Pasifae ecc.): Martin P. Nilsson ne concluse che tutti i grandi miti greci classici erano legati ai centri della cultura micenea e trovano le loro radici in epoca preistorica. Tuttavia, secondo Burkert, l'iconografia risalente all'epoca dei palazzi cretesi in sostanza non fornisce alcun appoggio per queste teorie.\n\nLa mitologia greca nella cultura di massa.\nLa mitologia greca, grazie alla sua grande importanza storica e popolarità, è stata utilizzata come fonte o ispirazione per numerose opere d'arte figurativa, e in film, videogiochi e libri. Alcuni esempi sono il film colossal Troy il quale narra gli eventi della nota Guerra di Troia e il film d'animazione della Disney Hercules. I videogiochi più noti basati sulla mitologia greca sono quelli appartenenti alla saga di God of War con protagonista Kratos, un guerriero di Sparta, ispirato alla figura mitologica divina greca Cratos. Per quanto concerne le opere scritte, la mitologia greca ha dato l'ispirazione per numerose opere fra cui Il canto di Penelope della scrittrice Margaret Atwood, Cassandra di Christa Wolf e Circe di Madeline Miller.\nIn ambito videoludico, nella visual novel d'impronta noir Dry Drowning il protagonista dovrà cercare di risolvere una serie di delitti ispirati ai miti della mitologia greca.\n\nLa mitologia greca nell'arte e nella letteratura occidentale.\nL'amplissima diffusione del Cristianesimo non ostacolò comunque la popolarità dei miti. Con la riscoperta dell'antichità classica avvenuta nel Rinascimento, le poesie di Ovidio divennero una delle fonti di ispirazione principali per poeti, drammaturghi, musicisti e artisti. A partire dai primi anni dell'epoca rinascimentale artisti come Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello ritrassero scene pagane tratte dalla mitologia greca insieme a più convenzionali temi cristiani. Attraverso le traduzioni e le opere in latino, i miti greci influenzarono in Italia anche poeti come Petrarca, Dante e Boccaccio.\nNel nord dell'Europa, la mitologia greca non ebbe la stessa influenza nelle arti figurative, ma i suoi effetti furono evidenti in ambito letterario. L'immaginario inglese ne fu permeato a partire da Geoffrey Chaucer e John Milton, per continuare con William Shakespeare e con Robert Bridges nel XX secolo. In Francia e Germania Racine e Goethe riportarono in auge il dramma greco, rielaborando i miti antichi. Nonostante nel XVII secolo, l'età dell'Illuminismo vi sia stata una reazione di rigetto nei confronti dei miti greci, questi continuarono a rappresentare una fonte di materiali da rielaborare per i drammaturghi, tra i quali gli autori dei libretti di molte delle opere di Händel e di Mozart. Alla fine del secolo l'avvento del Romanticismo segnò uno scoppio di entusiasmo e di attenzione per tutto ciò che era greco inclusa, ovviamente, la mitologia. In Inghilterra le nuove traduzioni di Omero e delle tragedie classiche ispirarono poeti come Tennyson, Keats, Byron e Shelley. In epoche più recenti i temi classici sono stati reinterpretati da drammaturghi come Jean Cocteau e Jean Giraudoux in Francia, Eugene O'Neill in America e Thomas Stearns Eliot in Inghilterra, oltre che da romanzieri come James Joyce e André Gide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mitra (divinità).\n### Descrizione: Mitra è una divinità dell'induismo e della religione persiana e anche un dio ellenistico e romano, che fu adorato nelle religioni misteriche dal I secolo a.C. al V secolo d.C. Numerosi sono del resto gli aspetti in comune fra questi 4 culti.\n\nRapporti col mondo persiano, ebraico ed ellenistico.\nBenché 'Mitra' sia un nome di divinità molto antica, le notizie sui suoi culti sono scarse e frammentarie. Quello ellenistico/romano non ha lasciato alcun testo e sembra molto diverso dal Mitra dei Veda e dello zoroastrismo.\nAnche l'Avestā, il testo fondamentale della religione persiana, non è giunto fino a noi integralmente e le parti sopravvissute sono costituite solo da inni, trasmessi tramite la tradizione orale. La religione persiana è nota principalmente tramite il Denkard, un compendio scritto solo tra il IX e il X secolo. La difficoltà di utilizzare testi tardivi è ben illustrata dal caso del principale testo escatologico persiano, lo Zand ī Wahman yasn, spesso ma erroneamente chiamato Bahman yašt. In questo testo Mitra conduce la battaglia finale contro i demoni. Esso, inoltre, presenta somiglianze con il Libro di Daniele e con gli Oracoli di Istaspe (un testo ellenistico del I secolo a.C.) e perciò i suoi rapporti col mondo ebraico ed ellenistico sono oggetto di accese discussioni. Molti studiosi ritengono che il testo persiano porti i segni di ripetute revisioni e aggiunte a un non ben definito, e forse addirittura inesistente, 'substrato avestano'. Il testo originale, se è mai esistito, sembra ridursi ai soli capp. 3–5, in cui la battaglia escatologica di Mitra non compare.Alla fine del XIX secolo il contenuto della religione mitraica dell'età imperiale fu ricostruito da Franz Cumont come una combinazione in culto sincretico del Mithra persiano con altre divinità persiane e probabilmente anatoliche. Dopo il congresso di Manchester del 1971, invece, gli studiosi si sono orientati a sottolineare le differenze fra il nuovo culto e quello indo-persiano.\n\nMitra nel mondo indo-persiano.\nIl culto di Mitra nasce nel 1200 a.C. e compare nei Veda come uno degli Aditya, una delle divinità solari, dio dell'amicizia e degli affari, governatore del giorno. Nella civiltà persiana, dove il suo nome veniva reso come Mithra, assunse anche le caratteristiche marziali che i Veda assegnano a Indra e acquistò col tempo sempre maggiore importanza fino a diventare una delle maggiori divinità dello zoroastrismo, divenendo una delle divinità solari, dio dell'onestà, dell'amicizia e dei contratti.\nIn entrambe le culture, si distingue per la sua stretta relazione con gli dei che regnano sugli Asura (ahura in iranico) e proteggono l'ordine cosmico (Ṛta per i Veda, asha in iranico): Varuṇa in India e Ahura Mazdā in Iran. Mitra/Mithra, quindi, dovrebbe essere una divinità proto-indo-iranica il cui nome originario può essere ricostruito come Mitra.\n\nEtimologia e origini.\nLa parola mitra può avere due significati:.\n\namicizia;.\npatto, accordo, contratto, giuramento o trattato.Un significato generale di 'alleanza' potrebbe accordarsi adeguatamente a entrambi i significati. La prima alternativa è maggiormente enfatizzata nelle fonti indiane, la seconda in quelle iraniche.\nIl più antico riferimento conosciuto del nome Mitra si trova su un'iscrizione di un trattato risalente approssimativamente al 1400 a.C., stipulato tra gli Ittiti e il Regno hurrita di Mitanni nell'area sud-occidentale del lago di Van. Il trattato è garantito da cinque dei indo-iranici: Indra, Mitra, Varuṇa e i due cavalieri, gli Ashvin o Nasatya. Gli Hurriti erano guidati da una casta aristocratica guerriera che adorava questi dei.\n\nMitra nei Veda.\nNegli inni vedici, Mitra è spesso invocato insieme con Varuṇa, tanto che le due divinità sono combinate nel termine Mitravaruna. Un solo inno è interamente dedicato a lui, l'INNO LIX. br />Varuna è signore del ritmo cosmico delle sfere celesti, mentre Mitra genera la luce all'alba. Nel più tardo rituale vedico una vittima bianca viene prescritta per Mitra, una nera per Varuna.\nNel Śatapatha Brāhmaṇa l'Uno appaiato è descritto come 'il Consiglio ed il Potere': Mitra rappresenta il sacerdozio, Varuna il potere regale.\n\nMitra nel mondo iranico.\nLa riforma di Zarathustra mantenne molte divinità del più antico pantheon indo-iranico, riducendole di numero, in una complessa gerarchia, retta dagli Amesha Spenta. I 'Benefici Immortali' i quali erano sottoposti alla tutela del supremo Ahura Mazda, il 'Signore Saggio', come tutto il cosmo era parte del Bene o del Male.\nIn tarde parti dell'Avestā, Mithra si mette in luce tra gli esseri creati, guadagnandosi il titolo di 'Giudice delle Anime'. Come protettore della verità e nemico dell'errore, Mithra occupò una posizione intermedia nel pantheon zoroastriano come il più grande degli yaza ta, gli esseri creati da Ahura Mazdā per aiutarlo nella distruzione del male e l'amministrazione del mondo. Egli divenne il rappresentante divino di Ahura-Mazda sulla terra ed era incaricato di proteggere i giusti dalle forze demoniache di Angra Mainyu. Era quindi una divinità di verità e legalità e, nel trasferimento al regno fisico, un dio dell'aria e della luce. Come nemico degli spiriti del male e delle tenebre, proteggeva le anime e, come psicopompo, le accompagnava in paradiso (concetto e anche parola di origine persiana). Poiché la luce è accompagnata dal calore, era il dio della vegetazione e della crescita: ricompensava il bene con la prosperità e combatteva il male. Mitra era detto onnisciente, infallibile, sempre attento e che mai riposa. La nascita di Mitra veniva celebrata al solstizio d'inverno, chiamato in persiano Shab-e Yalda, come si addice a un dio della luce. In Mesopotamia, Mitra era facilmente identificato con Shamash, dio del sole e della giustizia.\nCome dio che concede la vittoria, Mitra era una divinità preminente nel culto ufficiale del primo Impero persiano, dove erano a lui consacrati il settimo mese e il sedicesimo giorno degli altri mesi. Mitra il 'Grande Re' era particolarmente adatto come dio tutelare dei regnanti: nomi regali che incorporano il nome del dio (es. 'Mitridate') compaiono nell'onomastica dei Parti e degli Armeni, nonché in Anatolia, Ponto e Cappadocia.\nIl suo culto si estese prima con l'impero dei Persiani in tutta l'Asia Minore, per poi propagarsi per tutto l'impero di Alessandro Magno e dei suoi successori.\nI principi parti dell'Armenia erano sacerdoti ereditari di Mitra: molti templi furono eretti al dio in Armenia, che rimase una delle ultime roccaforti del culto zoroastriano di Mitra fino a quando divenne il primo regno ufficialmente cristiano.\nSotto gli Achemenidi, a partire dalle iscrizioni di Artaserse II di Persia, la suprema terna divina Ahura Mazda-Mitra-Apam Napat venne spesso sostituita dalla terna Ahura-Mitra-Anahita grazie all'inserimento della divinità Anahita, che nella Persia occidentale corrispondeva alla mesopotamica Ishtar, il pianeta Venere. Talvolta Anahita sembra essere la consorte di Mitra. Non risultano, invece, fonti per affermare che Anahita ne fosse la madre, come afferma il noto polemista Acharya.\n\nMitra nel mondo greco-romano.\nLe origini del culto mitraico nell'Impero romano sarebbero state influenzate significativamente dalla scoperta della precessione degli equinozi da parte di Ipparco di Nicea, identificando in Mitra la potenza celeste capace di causare il fenomeno.\nIl culto si sviluppò forse a Pergamo nel II secolo a.C.; Ulansey, invece, ne localizza l'origine in Cilicia nei pressi di Tarso. Il dio entra nella storia greco-romana con l'espandersi dell'Impero romano: culti d'origine orientale vengono adottati dalla popolazione dell'Impero e interpretati in chiave misterica. Il culto di Mitra non divenne mai popolare nell'entroterra greco, mentre si diffuse a Roma all'incirca nel I secolo d.C., si propagò attraverso tutto l'Impero romano e in seguito fu accolto da alcuni imperatori come una religione ufficiale, di pari passo con la diffusione del cristianesimo.\nNella mitologia greca Mitra è una delle divinità solari, nonché protettore dei re del Ponto, degli imperatori dei Parti (molti dei quali ebbero il nome Mitridate = dono di Mitra) e delle armi dei pirati della Cilicia collegati a Mitridate VI del Ponto. Per gli attributi che lo accompagnano e per il valore simbolico delle azioni a lui attribuite, nella cultura ellenistica Mitra era spesso accomunato ad Apollo o alla divinità solare Elio. Il sacrificio caratteristico di questo nuovo culto, assente nel culto indo-persiano, era la tauroctonia. Il culto mitraico sembra essersi diffuso soprattutto nell'esercito e nella burocrazia imperiale.\nNella mitologia romana Mitra era il dio delle legioni e dei guerrieri.\n\nLa tauroctonia.\nIn ogni tempio romano dedicato a Mitra il posto d'onore era dedicato alla rappresentazione di Mitra nell'atto di sgozzare un toro sacro. Mitra è rappresentato come un giovane energico, indossante un berretto frigio, una corta tunica che s'allarga sull'orlo, brache e mantello che gli sventola alle spalle. Mitra afferra il toro con forza, portandogli la testa all'indietro mentre lo colpisce al collo con la sua corta spada. La raffigurazione di Mitra è spesso mostrata in un angolo diagonale, col volto girato verso l'alto.\nUn serpente e un cane sembrano bere dalla ferita del toro (dalla quale a volte sono rappresentate delle gocce di sangue che stillano); uno scorpione, invece, cerca di ferire i testicoli del toro. Questi animali sono proprio quelli che danno nome alle costellazioni che si trovavano sull'equatore celeste, nei pressi della costellazione del Toro, nel lontano passato ('era del Toro'), quando durante l'equinozio di primavera il Sole era nella costellazione del Toro." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Molorco.\n### Descrizione: Molorco, nella mitologia greca, era un uomo di umili origini che Eracle incontrò durante le sue dodici fatiche.\n\nNella mitologia.\nDurante una delle tante imprese impostegli da Euristeo, Eracle si ritrovò a Cleone, una città sperduta; l'eroe cercava rifugio e il povero Molorco lo ospitò. Molorco avrebbe voluto fare un sacrificio, anche se aveva poco da offrire vista la sua misera esistenza; Eracle gli consigliò allora di attendere trenta giorni prima di effettuare l'offerta voluta.\nMolorco accettò di pazientare, sperando nel ritorno dell'eroe.\nEracle riuscì a tornare dall'impresa, la sconfitta del leone di Nemea, proprio al trentesimo giorno quando Molorco aveva ormai perso le speranze di rivederlo in vita." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Molosso (mitologia).\n### Descrizione: Molosso (o Molotto) è una figura della mitologia greca.\nFiglio di Neottolemo e di Andromaca, la moglie di Ettore che Neottolemo aveva ottenuto come parte del bottino nella Guerra di Troia, fu Re dell'Epiro e progenitore del popolo dei Molossi che, per suo tramite, rivendicarono l'appellativo di Eacidi.\nEuripide tratta ampiamente la vicenda di Molosso nella sua tragedia Andromaca." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Molpadia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Molpadia è un'Amazzone, menzionata da Pausania e Plutarco come probabile assassina di Antiope.\n\nIl mito.\nSe si accoglie la tradizione più generica sulle origini delle Amazzoni, allora Molpadia sarebbe da identificare in una delle figlie di Ares e della ninfa Armonia e avrebbe un legame parentale con le compagne Antiope, Otrera, Ippolita e Pentesilea. Quando Teseo giunse a Temiscira e rapì la regina Antiope, Molpadia si unì alla forze schierate dall'Amazzone Orzia e marciò contro Atene per vendicare l'onta del rapimento.\nNel violento scontro che vide opposte le forze dell'eroe ateniese e l'esercito delle donne guerriere, Molpadia colpì a morte, forse volontariamente, la stessa Antiope, la quale aveva disertato le sue compagne e si era unita a Teseo perché innamorata. Quest'ultimo ne vendicò la morte, uccidendo a sua volta Molpadia. Il corpo di quest'ultima venne seppellito insieme a quello di Antiope presso il tempio della Madre Terra. In onore di Molpadia venne eretto un monumento che Pausania ricorda ancora ad Atene." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero della Grande Lavra.\n### Descrizione: Il monastero della Grande Lavra (in greco Μεγίστης Λαύρας?) o Grande Laura di sant'Atanasio è il più grande e il più antico dei venti monasteri ortodossi della Repubblica del Monte Athos, e occupa il primo posto nella gerarchia cenobitica della Montagna Santa. Posto all'estremo sud della penisola, è dedicato a Sant'Atanasio l'Atonita, che fu il fondatore del monastero e che perì tragicamente mentre stava edificando la chiesa del monastero.\nLe skita rumena di San Giovanni Battista e greca di Kavsokalyvia, Sant'Anna Maggiore e Sant'Anna Minore sono soggette a questo monastero.\nNel 2000 vi si contavano 362 monaci.\n\nStoria.\nIl monastero fu fondato nel 963 da Sant'Atanasio, con l'aiuto dell'imperatore bizantino Niceforo II.\n\nArchitettura.\nIl monastero è costruito sotto la forma di una cittadella fortificata. È lungo circa 250 metri e largo 80, a una altezza di 160 metri sul livello del mare. La cinta muraria conta quindici torri e all'interno vi si trovano trentasette cappelle.\nIl Katholikon (la chiesa principale), fu uno dei primi edifici costruiti. È un edificio a duomo su quattro colonne, che nel tempo è stato modificato per assumere la forma a croce. La chiesa fu inizialmente dedicata all'Annunciazione di Maria. Nel XV secolo venne dedicata al santo fondatore la cui tomba è collocata all'interno dell'edificio nella cappella dei Quaranta martiri di Sebaste. Gli affreschi sono di Teofane di Creta, vi sono custodite quattro icone regali dall'imperatore Andronico I Comneno, detto Andronikòs.\n\nPatrimonio artistico.\nOltre ai citati affreschi e icone, la biblioteca del monastero conta 2046 manoscritti, 165 codex e 30000 libri stampati.\nManuscritti:.\n\nCodex Coislinianus.\nCodex Athous Lavrentis.\n\nVoci correlate.\nRepubblica del Monte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sul Monastero della Grande Lavra.\n\nCollegamenti esterni.\n- La Grande Lavra it:, su ortodoxia.it.\nOrthodoxWiki - Great Lavra (Athos) fr:, su orthodoxwiki.org." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Agiou Pavlou.\n### Descrizione: Il monastero di Aghios Pavlos (Monastero di San Paolo, in greco: Μονή Αγίου Παύλου) è uno dei venti monasteri della penisola del Monte Athos, in Grecia.\nSorge a sud-ovest della penisola atonita ed occupa il quattordicesimo rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato alla Presentazione di Cristo al Tempio, che si festeggia il 2 febbraio (15 febbraio).\nIl complesso monastico conta una trentina monaci retti da uno statuto cenobitico dal 1839. Sottomesse al monastero vi sono due skite la Nea Skiti e la skita rumena di Lakkoskete.\n\nStoria.\nLa tradizione vuole che il monastero sia stato fondato nel IX secolo dall'anacoreta Paolo, che lasciato il Monastero di Xeropotamou venne in questo luogo a vivere vita eremitica. Il monastero porta il suo nome ma divenne indipendente da Seropotamou solo nel 1380 quando il monaco serbo Roman lo ampliò e vi piantò delle vigne per il sostentamento della comunità e vi costruì una chiesa. Il katholikòn venne edificato nel 1447 dal despota serbo Giorgio Brankovic, esso fu rifatto nel 1839. Gran parte degli attuali edifici furono costruito nel XVIII secolo con l'aiuto degli Zar Alessandro I e Nicola I.\n\nPatrimonio artistico.\nNella cappella di San Giorgio sono presenti affreschi cretesi del XVI secolo. La biblioteca conta 494 manoscritti e oltre 12.000 volumi.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Agiou Pavlou." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Dionysiou.\n### Descrizione: Il monastero di Dionysiou (in greco Μονή Διονυσίου?, Monastero di Denys) è uno dei venti monasteri del Monte Athos., in Grecia. È formato da una comunità monastica di tipo cenobitico dal 1907.\nÈ situato a sud-ovest della penisola ed occupa il quinto rango nella classe gerarchica dei monasteri del Santo Monte.\nÈ dedicato alla natività di San Giovanni Battista, festeggiata il 24 giugno.\nAttualmente conta 55 monaci.\n\nStoria.\nIl monastero venne fondato verso il 1375 dal monaco Dionisio di Korisos. Il santo monaco venne aiutato da Alessio III Comneno re di Trebisonda e da sua moglie Teodora. Ancora presente nel tesoro del tempio la pergamena dell'atto di fondazione con in miniatura il re e la regina che tengono in mano la crisobolla con i privilegi concessi alla costituita comunità monastica. In seguito il monastero fu sostenuto dai principi di Valacchia e di Moldavia che nel XV e XVI secolo contribuirono all'ampliamento del monastero. Le costruzioni attuali sono in gran parte state edificate con l'aiuto del principe di Moldavia Alexandru Lăpușneanu dopo la metà del XVI secolo.\n\nPatrimonio artistico.\nL'intero monastero è costruito sopra mura alte oltre ottanta metri a loro volta poste su uno sperone di roccia a strapiombo sul mare. Alla sommità fioriscono balconi e loggiati arditamente sospesi nel vuoto. L'esiguo spazio fa sì che l'intera struttura sia addossata attorno al ristretto spazio concesso dalla rossa katholikòn. Gli affreschi presenti nella chiesa e nel refettorio sono attribuiti a Zorzi il Cretese e sono datati 1547. La biblioteca del monastero conta 588 manoscritti.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Dionysiou.\n\nCollegamenti esterni.\nDionysiou monastery on website.\nGreek Ministry of Culture: Holy Monastery of Dionysiou.\nparrocchie.it, http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/MONTE%20ATHOS.htm#iviron." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Dochiariou.\n### Descrizione: Il monastero di Dochiariou (greca: Δοχειαρίου) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa oggi esistenti nella penisola del Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato nella parte ovest della penisola ed occupa il decimo rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna, è retto a regola idiorritmica.\nÈ dedicato agli arcangeli Michele e Gabriele, festa votiva l'8 novembre (21 novembre nel calendario gregoriano).\nNel 1990 contava 32 monaci, mentre nel 2011 erano 53.\n\nStoria.\nFu fondato nel X secolo o agli inizi dell'XI secolo da sant'Eutimio di Costantinopoli discepolo di sant'Atanasio. Fu parzialmente ricostruito nel XVI-XVII secolo. Il nome sembra far riferimento a dochiéris cantiniere in greco, che sembra essere stata l'attività del fondatore quanto viveva presso la Grande lavra.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn di questo monastero è la più grande chiesa presente sulla penisola. Fu edificato nel 1567 e venne affrescato da Teofane di Creta. Nella chiesa è custodita l'icona della Madonna Gorgoepikoos, (che risponde prontamente).\nNella biblioteca sono custoditi 545 manoscritti di cui 62 pergamene e circa 5 000 volumi stampati.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Dochiariou." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Esphigmenou.\n### Descrizione: Il monastero di Esphigmenou (in greco Εσφιγμένου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa nella Repubblica del Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato a nord-est della penisola atonita ed è il più settentrionale della penisola ed occupa il diciottesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato dall'Ascensione di Gesù.\nNel 1990 contava 42 monaci, è retto a regola cenobitica dal 1797.\n\nStoria.\nLa tradizione fa risalire la fondazione del monastero al V secolo da parte dell'Imperatrice Elia Pulcheria, questo primo insediamento monastico sarebbe stato distrutto da una frana. Il monastero, nella sua forma attuale, risale dall'XI secolo, come lo attestano tre documenti dell'epoca. Esso prosperò fino alla conquista ottomana della regione. Vi fu igumeno San Gregorio Palamas, grande teologo ortodosso. Ad Esphigmenou fu monaco anche un grande spirituale dei nostri giorni: padre Paisios del Monte Athos.\nAttualmente un conflitto oppone la comunità monastica del monastero e il Patriarca ecumenico di Costantinopoli massima autorità spirituale della Repubblica del Monte Athos. I monaci si oppongono al riavvicinamento tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica e all'ecumenismo praticato da alcuni rappresentanti della Chiesa ortodossa. In conseguenza di ciò, sono stati fatti diversi tentativi da parte del Patriarcato, che ha utilizzando pure la polizia, per evacuare il monastero dai monaci 'ribelli'. A tutt'oggi questi tentativi sono risultati vani. Il monastero, data la sua posizione di contestazione, non gode né dell'appoggio né dei finanziamenti concessi a tutti gli altri monasteri atoniti.\n\nPatrimonio artistico.\nNel monastero si custodisce una icona del Salvatore in mosaico che risale al XII secolo e un menologio (calendario dei santi) coevo riccamente miniato.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Esphigmenou.\n\nCollegamenti esterni.\nSito officiele, su esphigmenou.gr." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Hilandar.\n### Descrizione: Hilandar (in serbo Хиландар?, in greco Χιλανδαρίου?, Chilandari) è un monastero ortodosso serbo situato sul Monte Athos, in Grecia, fondato nel 1198 dal principe serbo Stefan Nemanja e da suo figlio, il monaco Rastko Nemanjić a seguito della cessione da parte dell'imperatore Alessio III Angelo delle rovine di un insediamento monastico preesistente e che pare risalire all'undicesimo secolo, il cui fondatore potrebbe essere stato il monaco Giorgio Chilandar (da cui il nome).\nHa subìto un grave incendio il 4 marzo 2004 che ha distrutto circa un quarto dell'edificio.\n\nRiferimenti in letteratura.\nIl monastero di Hilandar è una delle ambientazioni principali del romanzo Paesaggio dipinto con il tè (Milano, Garzanti, 1991) dello scrittore serbo Milorad Pavić.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Hilandar.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(SR, EL, RU, EN) Sito ufficiale, su hilandar.org.\nIl monastero di Hilandar [News: Appello per la ricostruzione del monastero di Hilandar e notizie sul luogo e l'incendio], su Međunarodni radio Srbija i Crna Gora / The International Radio Serbia and Montenegro, 14 aprile 2004. URL consultato il 22 agosto 2007 (archiviato il 28 settembre 2007)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Iviron.\n### Descrizione: Il monastero di Iviron o Iveron (in greco Ιβήρων?, in georgiano ივერთა მონასტერი?, iverta monasteri) è uno dei venti monasteri ortodossi del Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato a nord-est della penisola.\nIl monastero a statuto idiorritmico occupa il terzo posto nella gerarchia monastica della Repubblica. Da questo monastero dipende la skita di San Giovanni Battista Pròdromos omonima di quella che dipende dalla Grande Laura.\nÈ dedicato alla Dormizione di Maria, festa votiva ricorrente il 15 agosto.\n\nStoria.\nIl monastero è stato fondato nel 979.\nLe vicende della fondazione del monastero sono strettamente legate al burrascoso periodo che l'Impero bizantino attraversò alla morte di Giovanni I Zimisce. Un monaco presente presso la lavra di Sant'Atanasio, che prima di ritirarsi a vita monastica era stato un generale georgiano, venne sollecitato dal giovane monarca Basilio a accorrere in suo aiuto contro l'usurpatore Barda II Foca. Il monaco si chiamava Tornike Eristavi (Eristavi significa il Duca in Georgiano), egli dopo molte reticenze e sollecitato dai suoi compagni monaci, si recò presso il re georgiano David III e da lui ottenne un esercito di dodicimila cavalieri. Con questo esercito tornò in Cappadocia e nella battaglia di Pancaglia del 24 marzo 979 portò un decisivo supporto al giovane imperatore che riuscì a sconfiggere gli usurpatori. Tornike tornò alla Santa Montagna e con la ricompensa e l'appoggio dell'Imperatore iniziò la costruzione della lavra di Iviron. Fu aiutato nell'impresa da due suoi conterranei e parenti che prima di lui erano giunti presso Sant'Atanasio. Essi si chiamavano Giovanni e suo figlio Eutimio. Il padre fu il primo igumeno del nuovo monastero e suo figlio gli succedette alla sua morte. Iviron rimase un importante centro monastico georgiano fino al XVI secolo a cui fecero seguito monaci greci. Ancora oggi la biblioteca del convento possiede molte opere risalenti al periodo Georgiano.\n\nOrigine del nome Iviron.\nIviron significa il monastero 'degli Iberi', come il monastero degli ortodossi italiani viene chiamato Amalfion (degli amalfitani). Con 'iberi' non si intendono gli spagnoli o i portoghesi, in quanto è un antico termine per indicare i georgiani, ovvero gli abitanti dell'Iberia caucasica.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Iviron.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EL) Sito ufficiale, su imiviron.gr.\n(EN) Iviron, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Karakalou.\n### Descrizione: Il monastero di Karakalou (greco: Καρακάλλου) è uno dei venti monasteri della Santa Montagna, la Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nÈ situato a sud-est della penisola e occupa l'undicesimo posto nella gerarchia dei monasteri atoniti.\nÈ dedicato ai santi apostoli Pietro e Paolo, festeggiati il 29 giugno (12 luglio). Il monastero è retto a regola cenobitica dal 1813 e nel 1990 contava trenta monaci.\n\nStoria.\nVenne costruito alla fine del X o all'inizio dell'XI secolo, da un monaco chiamato Nicola Karakalas, da cui prende il nome. Nel XIII secolo mostra un forte declino causato da continui attacchi di pirati e crociati. Alla fine di questo secolo si riprende con l'aiuto degli imperatori bizantini. Dal XVI al XVII secolo fu sostenuto dai principi moldavi e georgiani.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn venne edificato tra il 1548 e il 1563. Nel complesso monastico sorgono cinque cappelle e custodiscono numerose reliquie di santi. La biblioteca conta 279 manoscritti e circa 2500 libri stampati.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Karakalou.\n\nCollegamenti esterni.\n\nSito ufficiale, su inathos.gr." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Konstamonitou.\n### Descrizione: Il monastero di Konstamonitou (in greco Κωνσταμονίτου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della penisola del Monte Athos in Grecia.\nSorge nel sud-est della penisola atonita.\nOccupa il ventesimo rango nella gerarchia della comunità monastica della Santa Montagna, ed è retto a regola cenobitica; nel 1990 contava 30 monaci.\nÈ dedicato a Santo Stefano protomartire (festa votiva il 26 dicembre (3 agosto)).\n\nStoria.\nLa tradizione vuole come suo fondatore Costantino I o suo figlio Costanzo II. Altre fonti fanno risalire la fondazione a un anacoreta di nome Kastomonites, da cui il monastero prende il nome. Le prime testimonianze scritte risalgono all'XI secolo. Fonti storiche possono tracciarne la storia solo a partire dal XIV secolo, quando il monastero cadde in rovina per le incursioni dei pirati. Nel XV secolo si riprese con l'aiuto dei principi serbi.\nPiù tardi le tassazioni da parte del governo turco costrinsero i religiosi a indebitarsi; questa situazione mise la comunità in grande difficoltà e la portò alla quasi completa rovina. Nel [1705], grazie all'intervento del console francese Armand, la comunità monastica si risollevò. Nel 1717 un incendio distrusse l'ala est. Nel 1818 con l'aiuto della moglie di Alì Pascià di Tepeleni, Kyra Vassiliki, l'abate Chrysanthos poté iniziare la riscostruzione. A metà dei quel secolo l'estrema povertà del monastero lo costrinse a mettersi sotto la tutela della Santa Comunità atonita. Un altro abate, Simeone, riuscì a raccogliere fondi per costruire nel 1867 un nuovo katholikon sulle rovine del precedente. Ancora oggi dei monasteri della Santa Montagna risulta essere il più povero, questa situazione è in gran parte dovuta alla sua posizione sfavorevole e difficilmente raggiungibile, sprofondata in una foresta a un'ora di cammino dalla costa.\n\nPatrimonio artistico.\nIl monastero consta di cinque cappelle edificate all'interno del monastero stesso e di quattro esterne. Famose sono le icone di Santo Stefano dell'VIII secolo e due icone della Vergine Maria chiamate Hodeghetria e Antiphonetria. Tra le reliquie un frammento della Vera Croce. La biblioteca possiede 110 manoscritti e oltre 5000 libri stampati.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Konstamonitou.\n\nCollegamenti esterni.\nKonstamonitou monastery at the Mount Athos website, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2016)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Koutloumousiou.\n### Descrizione: Il monastero di Koutloumousiou (in greco Κουτλουμουσίου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa del Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato al centro della penisola, presso il capoluogo Karyes ed occupa il sesto posto nella gerarchia dei monasteri atoniti.\nÈ dedicato alla Trasfigurazione di nostro Signore, che si festeggia il 6 agosto, (19 agosto).\nAttualmente conta una ventina di monaci che seguono la regola cenobita. Da questo convento dipende anche la skita di San Panteleimon.\n\nStoria.\nSecondo una corrente di pensiero il monastero venne fondato nell'XI secolo da un membro della famiglia turca dei Kutlumusìu. Altri fanno risalire la fondazione del monastero a una comunità monastica della Palestina in quanto Kutlumus in dialetto palestinese significa Cristo Salvatore. Il primo documento che porta il nome di un abate di questa comunità risale al 1169. Nei primi secoli subì molte depredazioni e devastazioni da parte dei pirati e dei crociati. Dal XIV secolo al XVII secolo fu abitato da monaci rumeni e sostenuto dei principi moldavi e valacchi. L'attuale katholikòn venne edificato nel 1540 dopo che il precedente fu distrutto da un incendio nel 1497. L'ultimo devastante incendio ebbe luogo nel 1767.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn e affrescato in stile della scuola cretese.\nLa biblioteca conta 662 manoscritti di cui 95 in pergamena e circa 3500 volumi.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Koutloumousiou.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Présentation du monastère sur le site du Patriarcat œcuménique de Constantinople, su ec-patr.org." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Osiou Grigoriou.\n### Descrizione: Il monastero di Osiou Grigoriou (in greco Μονή Γρηγορίου?, Moní Grigoríou) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa al Monte Athos in Grecia.\nÈ situato al sud-ovest della penisola atonita ed occupa il diciassettesimo rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato a San Nicola, festa votiva il 6 dicembre (19 dicembre).\nÈ retto a regola cenobitica dal 1840 e nel 1990 contava 71 religiosi.\n\nStoria.\nLa sua fondazione risale al 1345 ad opera di Gregorio il Siriano. In precedenza l'anacoreta Gregorio Sinaita vi aveva insediato una comunità di eremiti. Da questi monaci il monastero prende il nome. La comunità monastica dovette abbandonare pochi anni dopo il monastero per le minacce turche. La comunità trovò rifugio in Serbia sotto la protezione del despota Stefan Lazar Hrebeljanović. Agli inizi del XVI secolo il voivoda della Moldavia Ştefan cel Mare lo restaurò completamente. Nel 1761 subì un devastante incendio. Pochi anni dopo venne completamente ricostruito.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn edificato nel 1779 fu affrescato dagli artisti Gabriele e Gregorio di Castoria. Vi si venera una icona della Vergine che allatta detta Galaktotrofusa, tema molto raro nell'iconografia bizantina. La biblioteca conta 163 manoscritti.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Osiou Grigoriou.\n\nCollegamenti esterni.\nGregoriou monastery at the Mount Athos website, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).\nHoly Monastery of Gregoriou Greek Ministry of Culture.\nparrocchie.it, http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/MONTE%20ATHOS.htm#iviron." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Pantokratoros.\n### Descrizione: Il monastero di Pantokratoros (in greco Μονή Παντοκράτορος?) è uno dei venti monasteri ortodossi della repubblica del Monte Athos, in Grecia. Retto da una regola idorritmica fino al 1990, attualmente cenobitico vi vivono una sessantina di monaci.\nSituato al centro della penisola, occupa il settimo rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato alla Trasfigurazione di Gesù, festeggiata il 6 agosto.\nNel 1990, contava 66 monaci.\n\nStoria.\nIl monastero venne fondato nel 1363, da due fratelli, Alessandro e Giovanni con l'aiuto dell'imperatore Giovanni V Paleologo. I due fratelli prima di dedicarsi a vita monastica furono comandanti militari al servizio di Bisanzio. Venne chiamato Pandokratoros in ricordo del mausoleo e monastero fatto costruire a Costantinopoli da Giovanni II Comneno che portava lo stesso nome.\n\nPatrimonio artistico.\nIl monastero è di piccole dimensioni come il katholikòn. Gli affreschi della chiesa sono del XIX secolo. La biblioteca possiede 234 manoscritti e ca. 3400 libri. Tra i manoscritti si annovera il testo greco in scrittura onciale Codex 051.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Pantokratoros.\n\nCollegamenti esterni.\nGreek Ministry of Culture: Holy Monastery of Pantokrator, su culture.gr. URL consultato il 13 marzo 2009 (archiviato dall'url originale il 29 ottobre 2006).\nPantocrator on his website on Athos, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).\nPantocrator, su hri.org." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Philotheou.\n### Descrizione: Il monastero di Philotheou (greco: Φιλοθέου) è uno dei venti monasteri della Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nÈ situato a sud-est della penisola a un'altitudine di 370 metri. Possiede un porto sulla costa orientale.\nOccupa il dodicesimo posto nella gerarchia dei monasteri atoniti ed è dedicato all'Annunciazione, festa votiva il 25 marzo (7 aprile).\nÈ retto a statuto cenobitico dal 1973 nel 1990 contava settantanove monaci. Molte skite sono legate al monastero, attualmente cinque sono attive.\n\nStoria.\nLa tradizione indica come fondatore Filoteo, da cui il complesso monastico prende il nome, che verso la fine del X secolo con l'aiuto dei compagni Arsenio e Dionisio diede vita al complesso monastico. L'esistenza è documenta dal 1015. Dal XIV al XVI secolo fu abitato in prevalenza da monaci provenienti dalla Bulgaria. Nel 1871 un incendio devastò parte del complesso monastico risparmiando il katholikòn e gli edifici centrali.\n\nPatrimonio artistico.\nIl refettorio possiede degli affreschi di scuola cretese. Nella chiesa è custodita una icona della Madonna con bambino detta Glicofilusa (dal dolce bacio), dove Maria è dipinta mentre bacia il Creatore. La biblioteca possiede 250 manoscritti e circa 2500 libri di cui 500 in lingua russa e rumena.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Philotheou." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di San Panteleimon.\n### Descrizione: Il monastero di San Panteleimon (in greco Μονή Αγίου Παντελεήμονος?) o monastero russo (Ρωσσικόν/Rossikon) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nSorge a metà della penisola atonita sulla costa occidentale ed occupa il diciannovesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa montagna.\nÈ dedicato a San Panteleimon medico (Anargyre) e martire, festa commemorativa il 27 luglio (9 agosto).\nÈ retto dalla regola cenobitica. Nel 1990 contava 35 monaci contro i 1446 del 1903. In questi ultimi anni il cambio di regime in Russia ha fatto aumentare notevolmente il numero di monaci provenienti da quella nazione. Dal monastero dipendono le skite della Nuova Tebaide e di Xylùrgu o Bogoròditsa letteralmente la Madre di Dio, essendo dedicata alla Dormizione di Maria.\n\nStoria.\nIl grandioso monastero attuale, non circondato da mura, venne fondato nel 1765 e gran parte delle costruzioni risalgono dal XIX secolo. I primi insediamenti di monaci russi, risalenti all'XI secolo, occuparono l'attuale skita di Xylàrgu. Nel 1169 la comunità monastica atonita donò ai monaci russi il monastero di San Panteleimon, costruito nel X secolo. Dopo il 1237 con l'invasione tartara della Russia il flusso di monaci verso la Santa montagna cessò. Essi vennero sostituiti da religiosi serbi, che occuparono il monastero fino all'occupazione ottomana. Dal 1480 al 1735 il gruppo monastico tornò sotto protezione russa. La Guerra russo-turca (1735-1739) interruppe la presenza di monaci da quella regione. Fino al 1821 vennero rimpiazzati da religiosi greci sostenuti dai monarchi moldavi e valacchi, in quel periodo la comunità era retta a regola idiorritmica. Con il patrocinio del boiardo di Moldavia Scarlatos Kallimachis tra il 1812 e il 1821 venne costruito l'attuale katholikòn. Dal 1821 ritornò l'afflusso di monaci dalla Russia. Nel 1888 venne eretta la splendida chiesa in stile russo della Protezione della Vergine, la torre campanaria possiede una campana di oltre 8 metri di altezza e di 2.71 metri di diametro pesante tredici tonnellate. Nel 1892 venne costruito l'immenso refettorio e nel 1899 la chiesa della skite di Sant'Andrea. Agli inizi del XX secolo, dei settemila monaci presenti nella penisola, quasi la metà erano di provenienza russa. Con la rivoluzione sovietica del 1917, l'apporto di religiosi dalla Russia si interruppe e il monastero a poco a poco si spopolò. Nel 1968 un devastante incendio distrusse parte degli edifici. Il 9 settembre del 2005 venne visitato dal presidente russo Vladimir Putin alla vigilia della commemorazione della fondazione della Pečerska Lavra, il primo monastero russo fondato nel 1051 da monaci atoniti.\n\nPatrimonio artistico.\nLa biblioteca possiede 1320 manoscritti in lingua greca e 600 in lingua slava di cui 99 su pergamena. Tra i più antichi un Nuovo Testamento Codex Athous Panteleimonos (Codex 052) del X secolo in scrittura onciale.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di San Panteleimon.\n\nCollegamenti esterni.\nwww.parrocchie.it, su parrocchie.it." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Simonopetra.\n### Descrizione: Il monastero di Simonopetra o monastero di Simonos Petras (in greco Σίμωνος Πέτρας?) è uno dei venti monasteri ortodossi della Repubblica del Monte Athos in Grecia.\nÈ situato a sud-ovest della penisola atonita e occupa il tredicesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato alla Natività del signore, festa votiva il 25 dicembre (7 gennaio), viene detto la Nuova Betlemme.\nNel 1990 contava ottanta religiosi che vivono in regola cenobitica.\n\nStoria.\nIl monastero è stato fondato nel 1357 da un anacoreta di nome Simone. Il nome significa la pietra di Simone. L'eremita, durante la notte di Natale, ebbe la visione di una stella che si posava sopra la roccia dove oggi sorge il complesso monastico. Egli interpretò questa visione come la volontà divina di edificare un monastero. Con il sostegno del signore di Macedonia, Giovanni Ugles, e dal fratello il re di Serbia, Vukašin Mrnjavčević, riuscì a portare a termine l'ardita impresa. Il complesso monastico subì molti e devastanti incendi nel 1580, 1626 e 1891 ogni volta ricostruito nello stesso stile, tipico dei monasteri atoniti, con alte pareti sormontate da logge e ballatoi. L'ultimo intervento nel XIX secolo fu sostenuto dallo zar Nicola II.\n\nPatrimonio artistico.\nTutta la biblioteca è andata distrutta durante l'incendio del 1891.\n\nCoro.\nI monaci in questi ultimi anni hanno acquisito una certa notorietà con la pubblicazione di una decina di dischi di canti corali monastici bizantini.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Simonopetra." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Stavronikita.\n### Descrizione: Il monastero di Stavronikita (in greco Σταυρονικήτα?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa al Monte Athos, in Grecia.\nÈ posto al centro est della penisola atonita ed occupa la quindicesima posizione nell'ordine gerarchico dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato a San Nicola che si festeggia il 6 dicembre (19 dicembre).\nIl monastero è retto a statuto cenobitico che nel 1990 contava una trentina di monaci.\n\nStoria.\nIl complesso monastico è il più piccolo dei monasteri del Monte Athos, fondato probabilmente nel IX secolo inizialmente fu uno skita del Monastero di Philotheou. Nel 1533 il primo igumeno del monastero Gregorio Geromeriatis lo riscattò assieme a tutto il territorio circostante e ottenne nel 1541, dal Patriarca di Costantinopoli Geremina I, lo statuto di monastero a pari diritti con gli altri monasteri atoniti.\n\nPatrimonio artistico.\nIl katholikòn di Stavronikita è il più piccolo della penisola, dedicato a San Nicola, fu edificato nel XVI secolo sulle rovine di una chiesa molto più antica dedicata alla Vergine Maria (Theotókos). La chiesa è decorata da affreschi di Teofane di Creta (Theophanes), di questo pittore è presente anche una icona.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Stavronikita.\n\nCollegamenti esterni.\nStavronikita monastery at the Mount Athos website, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2016).\nGreek Ministry of Culture: Holy Monastery of Stavronikita, su odysseus.culture.gr." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Vatopedi.\n### Descrizione: Il monastero di Vatopedi (in greco Βατοπαιδί?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della Repubblica del Monte Athos.\nSi trova nella parte nord della penisola.\nOccupa il secondo posto nella gerarchia dei monasteri del Monte Athos. Il Katholikon principale è dedicato all'Annunciazione. Nel 1999 contava ottanta monaci molti dei quali originari di Cipro. Nell'agosto 2013 i monaci presenti sono 112 (fonte orale di un monaco).\nIl monastero è stato fondato nel 972. In passato ospitò comunità di monaci ortodossi dell'Armenia chiamati dzaith.\n\nIl monastero era proprietario fino al 1925 dell'isola di Ammouliani. Le principali skita soggette a questo monastero sono quella di sant'Andrea a Karyes e quella di san Dimitri presso lo stesso monastero. La biblioteca del monastero possiede 2.000 manoscritti e 35.000 volumi stampati. Tra i manoscritti si annoverano il Codex 063 e il Codex 0102 scritti in onciale.\nNel 2008 il monastero è stato coinvolto in uno scandalo immobiliare, per transazioni di permuta di terreni tra il convento e il governo greco del primo ministro Kōstas Karamanlīs." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Xenophontos.\n### Descrizione: Il monastero di Xenophontos (in greco : Μονή Ξενοφώντος?) è un dei venti monasteri della Chiesa ortodossa presenti sul Monte Athos, in Grecia.\nÈ situato al nord-ovest della penisola atonita ed occupa il sedicesimo posto nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna.\nÈ dedicato a San Giorgio, festa votiva il 23 aprile (6 maggio).\nNel 1990 contava 57 religiosi. Da questo monastero dipende la skita dell'Annunciazione, che sorge più in alto sulla montagna. Il monastero è retto a regola cenobitica.\n\nStoria.\nVenne fondato nel 1010 dal monaco Senofonte Xenofon, con l'appoggio dell'imperatore Basilio. L'ammiraglio di Niceforo III Botaniate Stefano, fattosi monaco con il nome di Simone, divenne igumeno del monastero e lo ingrandì. Subì un forte spopolamento nel XV secolo in seguito fu occupato da monaci serbi e bulgari. Nel 1817 un grande incendi distrusse gran parte delle strutture. Nel XIX secolo venne ricostruito.\n\nPatrimonio artistico.\nIl complesso monastico possiede due katholikòn il più moderno è anche la chiesa più grande della penisola, mentre quello antico risparmiato dagli incendi, possiede affreschi del XVI secolo del Antonios mentre la Cappella di San Giorgio, pure risparmiata, fu affrescata da Teofane di Creta. Sono presenti anche due icone del XII secolo a San Giorgio e San Demetrio. La biblioteca conta 163 manoscritti.\n\nVoci correlate.\nMonte Athos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Xenophontos.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EL) Sito ufficiale, su imxenophontos.eu." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Xeropotamou.\n### Descrizione: Il monastero di Xeropotamou (in greco Μονή Ξηροποτάμου?) è uno dei venti monasteri della Chiesa ortodossa della Repubblica del Monte Athos, Grecia.\nÈ posto a sud-ovest della penisola, duecento metri al di sopra del porto di Dafni.\nOccupa l'ottavo rango nella gerarchia dei monasteri atoniti ed è dedicato ai Quaranta martiri di Sebaste, che si festeggia il 9 marzo (22 marzo).\nNel 1990 contava quaranta monaci che vivevano sotto la regola idiorritmica.\n\nStoria.\nÈ uno dei monasteri più antichi della Santa Montagna. Una certa tradizione lo vuole fondato dalla regina Pulcheria nel V secolo. Altri la fanno risalire a un monaco di nome Paolo figlio dell'imperatore Michele I Rangabe, altri a un monaco di nome Paolo Xiropotaminos, che ebbe l'autorizzazione dall'imperatore Romano I Lecapeno nel X secolo.\n\nPatrimonio artistico.\nVi sono custodite molte reliquie tra le più famose uno dei frammenti più grandi della Vera Croce lunga 31 e larga 16 centimetri e con uno spessore di 25. La biblioteca conta 405 manoscritti e circa 600 libri stampati.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monastero di Xeropotamou.\n\nCollegamenti esterni.\nSite Web du monastère, su mountathos.gr (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2016).\nMinistère grec de la Culture : monastère de Xeropotamou, su culture.gr. URL consultato il 4 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2007)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monastero di Zografou.\n### Descrizione: Il monastero di Zografou (bulgaro Зографски манастир, Zografski manastir; greco Μονή Ζωγράφου, Moní Zográphou) è uno dei venti monasteri del Monte Athos, appartenente alla Chiesa ortodossa bulgara. Situato nel nord della penisola, occupa il nono rango nella gerarchia dei monasteri della Santa Montagna ed è dedicato a San Giorgio, patrono della Bulgaria festeggiato il 23 aprile (6 maggio).\n\nStoria.\nLa tradizione lo vuole fondato alla fine del IX secolo o agli inizi del seguente, da tre monaci bulgari provenienti da Ocrida ed è da sempre il monastero dei monaci della Bulgaria. Il nome proviene da San Giorgio che i monaci chiamano Zogrifos. La tradizione vuole che i tre fondatori del monastero Mosè, Aronne e Giovanni, per stabilire a chi dedicarlo, misero una tavola di legno nella chiesa e dopo lunghe preghiere la tavola si dipinse da sé con l'immagine di San Giorgio. L'icona è tuttora conservata nel monastero e fatta oggetto di grande venerazione. La comunità monastica subì una prima devastazione nel 1275, ad opera di crociati al soldo di Michele VIII Paleologo con l'uccisione di 26 religiosi, venerati come santi martiri dalla Chiesa ortodossa il 10 ottobre. Essi si opposero, come la gran parte del monaci della penisola, all'unione della chiesa di Bisanzio con quella di Roma, siglata dall'imperatore nel concilio di Lione. All'inizio del secolo successivo furono mercenari della Compagnia Catalana a devastare per due anni il Santo Monte.\nIl monastero si riprese con il sostegno dei Paleologi e dei Principati danubiani. Il monastero possedeva anche molte metochion (proprietà legate al monastero) in Romania, Bulgaria, Russia, Grecia e Turchia. Attualmente questi possedimenti sono presenti solo in Grecia.\nL'attuale monastero è stato costruito tra il XVI secolo e il XIX secolo: l'ala sud, edificata nel 1750, quelle a est nel 1758, la piccola chiesa nel 1764, e la più grande nel 1801. L'ala nord e ovest sono state costruite dopo la metà del XIX secolo, le costruzioni terminarono nel 1896 con l'edificazione della chiesa dei santi Cirillo e Metodio e del campanile. Tra i molti oggetti sacri e icone presenti nel monastero spicca l'icona lignea della Theotókos di Akathist, festeggiata il 10 ottobre (23 ottobre).\nNel 2011, la Bulgaria ha dedicato al monastero di Zografou una moneta fondo specchio (proof) da 10 leva, in argento 925 e prodotta in soli 6.000 pezzi dalla zecca di Sofia. Il peso è di 23,33 grammi, il diametro di 38,61 millimetri. I conii sono stati incisi da Ivan Todorov e Todor Todorov.\n\nBiblioteca.\nLa libreria del monastero contra 388 manoscritti in lingua slava e 126 in lingua greca e circa 10.000 libri stampati." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monetazione di Elis.\n### Descrizione: La monetazione di Elis è l'insieme di emissioni monetarie battute dall'antica città greca Elis. A Elis si trova Olimpia. Per questo motivo le emissioni sono anche indicate come monete di Olimpia.\nSi tratta di diverse serie di monete d'argento coniate in grande quantità. Gli stateri erano coniati secondo il piede eginetico, con un peso di circa 12,2 g. Le denominazioni comprendevano dracme, emidrachme e oboli. Frazioni minori furono monetate in una quantità più limitata e hanno nelle emissioni un ruolo minore.\n\nStoria delle emissioni.\nLe emissioni delle monete di Elis iniziano molto probabilmente poco dopo la fondazione della città verso il 471 a.C.Durante questo periodo, a quanto pare, ci fu una vasta ristrutturazione delle alleanze e si può supporre che, con l'inizio della costruzione del Tempio di Zeus a Olimpia ci sia stato un aumento della ricchezza degli abitanti del luogo. Questa crescente pretesa di rilevanza politica della polis può essere considerato come un aspetto importante per l'inizio della produzione di una serie di monete propria.\nCome nel resto del Peloponneso, ha inizio nella prima metà del IV secolo a.C., una sorta di periodo di massimo splendore nelle monetazioni. Dopo la fine della guerra del Peloponneso, che aveva avuto un forte impatto sull'economia locale, ora le singole entità politiche ottennero una maggiore indipendenza. Ciò portò tuttavia a un conflitto tra Elis e la Lega arcadica, che nel 365 a.C. attaccò il territorio di Elis. Olimpia fu occupata e fu instaurato un 'regime fantoccio', con sede in Pisa, che doveva prendere il controllo del santuario. Come pagamento dei protettori arcadici ci fu in seguito l'emissione delle uniche monete d'oro conosciute del Peloponneso (triemioboli e oboli). Per queste emissioni tuttavia fu usato abusivamente l'oro preso dal tesoro del tempio, il che fu considerato dalle altre polis come un sacrilegio; il che poi ha costretto la Lega arcadica a rinunciare all'occupazione.\nDopo questa breve fase Elis coniò ulteriori serie di monete fino alla fine del III secolo a.C.; al più tardi nel 191 a.C., dopo che Elis era stata costretta ad aderire alla Lega achea, ebbe fine la coniazione degli stateri di Elis.\n\nEmissioni templari?.\nQuasi tutte le monete di Elis hanno, nei tipi usati, un diretto riferimento a entrambe le divinità di Olimpia: Zeus ed Hera. Le emissioni sono in uno stretto rapporto con Olimpia, il principale santuario della Regione. Charles T. Seltman ha dedotto dalle raffigurazioni, che si tratti di cosiddette „coniazioni templari“ Da allora, numerosi numismatici hanno seguito questa teoria. Secondo questo punto di vista si dovrebbero identificare due zecche distinte, a seconda di quale divinità sia raffigurata al dritto. Quindi ci sarebbe stata un'officina associata al tempio di Zeus e una associata a quello di Hera, in cui erano prodotte le monete corrispondenti.\nSarebbe prendere come luogo di coniazione Olimpia e non la città di Elis, dopo tutto, perché né Zeus né Hera sono le principali divinità di Elis. Olimpia era di importanza fondamentale per Elis. Accanto ai Giochi olimpici, nella zona del santuario ci sono altri atti sovrani. Durante i Giochi si svolgeva regolarmente anche un grande mercato. Nel santuario bisognava preoccuparsi tutto l'anno per l'arrivo di numerosi visitatori, pellegrini e viaggiatori. Soprattutto il tempo dei giochi era associato a un grande sforzo organizzativo per gli abitanti. Ne consegue così una forte domanda, sproporzionata, di monete, il che potrebbe spiegare i benefici di officine di coniazione operanti localmente nell'area del santuario. Elis aveva la possibilità di stabilire che solo le monete coniate secondo il proprio standard potessero essere utilizzate per le transazioni finanziarie all'interno di Olimpia e al mercato. Con questo punto di vista si sarebbe potuto cambiare, entrando nel santuario, le monete degli altri stati in quelle coniate secondo il piede monetario locale. Gran parte del metallo per i tondello necessari alla coniazione, proveniva probabilmente dalla fusione di monete delle altre città greche.\nContro l'ipotesi, che situa la produzione delle monete di Elis a Olimpia, si può sostenere che le attività industriali sembrano piuttosto incongrue in un santuario. Finora gli scavatori a Olimpia non hanno trovato nessuna traccia archeologica che indichi una produzione di monete. Tuttavia, non è escluso che le officine di coniazione si siano potute trovare più lontano, alla periferia del santuario. Allo stesso modo non è ancora stato finalmente risolta la questione se le singole coniazioni possono essere attribuite esclusivamente ai rispettivi templi. Le 'monetazioni templari' erano più probabilmente coniate dai mezzi finanziari del santuario, il cosiddetto 'tesoro del tempio' di un Dio.\nDi norma, come autorità emittente, sulle monete ci avrebbe dovuto essere il nome del Dio, al genitivo. Tuttavia su nessuna monetazione olimpica c'è il nome di Zeus (in greco antico ΔΙΟΣ) o di Era (ΗΡΑΣ). C'è invece la legenda (ϜΑ digamma-alfa, le prime lettere del nome della città nel dialetto locale, cioè Ϝάλις, Walis).\nL'accoppiamento delle rappresentazioni sulle monete e templi non può essere dimostrato con assoluta certezza. Così l'immagine di Era su alcune monete di Elis potrebbe rappresentare solo una delle diverse sfaccettature, che si riferiscono al capo degli Dei, Zeus.\n\nTipi e datazione delle monete.\nLe monete di Elis impressionano per la loro qualità artistica e per la varietà dei tipi raffigurati. Lo studio della cronologia delle singole serie in un periodo di coniazione è controversa. La maggior parte degli approcci si basa ancora sulla cronologia relativa elaborata nel 1921 da Charles Seltman. Un problema per la datazione e la creazione di una cronologia assoluta è rappresentato anche dal fatto che spesso mancano gli accoppiamenti dei conii, che è il motivo per cui Seltman si era dovuto orientare verso criteri stilistici, che tuttavia non possono essere valutati con assoluta certezza in una sequenza cronologica.\nSoprattutto per quanto riguarda i ritmi di coniazione ed emissione delle monete, che a quanto pare non uscivano molto dal loro territorio, la questione di importanza se Elis abbia coniato solo o preferibilmente in concomitanza con l'allineamento dei giochi olimpici. Il rapporto tra la coniazione delle emissioni e i giochi non è stata stabilita ed è quindi problematico, mettere in rapporto cronologico le monete con una distinta Olimpiade. Inoltre, si può presumere che Elis, oltre ai giochi, avesse altri motivi importanti per la creazione di un proprio sistema monetario (ad esempio i lavori di costruzione a Elis e Olimpia).\nAl fine di separare i singoli tipi uni dagli altri, ha senso classificarli in diverse fasi di coniazione.\nCome prima monetazione dopo il 471 a.C., c'è una serie sul cui dritto è raffigurata l'aquila di Zeus.\nQuesto tipo è stato quindi coniato continuativamente per circa 50 anni in varie maniere. È sempre mostrata un'aquila che ha catturato qualcosa (serpente, coniglio, agnello, tartaruga). L'aquila è rappresentata con ali aperte o chiuse o stante sul terreno, che strappa la preda. Inoltre ci sono alcune raffigurazioni, tipo un ritratto, in cui c'è solo la testa dell'aquila. Le diverse rappresentazione dell'aquila si applicano come criterio per una differenziazione cronologica delle prime coniazioni. Le immagini sono elaborate dettagliatamente e sono molto vicine a una rappresentazione della natura estremamente precisa. Al rovescio della 'moneta con aquila' è rappresentato prevalentemente il fulmine di Zeus. La forma apparentemente ornamentale del cosiddetto 'fiore di fuoco' come insegna del Dio si sviluppò in una rappresentazione standardizzata e si trova, con poche varianti nel tipo, anche in numerose monete successive.\nUn altro tipo del rovescio, che si trova sulle monete sia presto che tardi, è la rappresentazione della dea della vittoria olimpica Nike, in diverse varianti. Una volta è mostrata la Nike in volo, dinamica, in fuga, che porta una corona. In altre immagini la Dea siede ferma, su una roccia, la corona tenuta nella mano poggiata.\nUna nuova tappa nella sequenza delle singole serie è segnata, dal 421 a.C. circa, dalle quasi contemporanea presenza delle teste-ritratto di Zeus ed Era. Zeus è incoronato da alloro e barbato, ed Era dal suo tipico diadema (polos). Nei ritratti di Era c'è un cambiamento stilistico, da cui si può desumere uno sviluppo cronologico. Nelle monete più recenti il diadema diviene progressivamente più piccolo.\nIn alcuni casi su queste monete successive, in combinazione con le teste del dritto, al rovescio è raffigurata l'aquila di Zeus seduta. L'aquila appare sulle monete come una specie di stemma, probabilmente un cenno alla maestosa potenza dell'immagine della divinità presente al dritto.\nNelle ultime serie di Elis al dritto è rappresentata una nuova testa femminile. La bellezza della testa di ninfa può essere interpretata come l'eroina eponima Olimpia, una ninfa che probabilmente dovrebbe rappresentare l'intera regione.\n\nPesi.\nSeltman ha pesato le monete conosciute al suo tempo e ne ha tratta la conclusione che il piede monetario usato è di 12,44 grammi, quindi vicino al piede eginetico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monetazione di Elis.\n### Descrizione: La monetazione di Elis è l'insieme di emissioni monetarie battute dall'antica città greca Elis. A Elis si trova Olimpia. Per questo motivo le emissioni sono anche indicate come monete di Olimpia.\nSi tratta di diverse serie di monete d'argento coniate in grande quantità. Gli stateri erano coniati secondo il piede eginetico, con un peso di circa 12,2 g. Le denominazioni comprendevano dracme, emidrachme e oboli. Frazioni minori furono monetate in una quantità più limitata e hanno nelle emissioni un ruolo minore.\n\nStoria delle emissioni.\nLe emissioni delle monete di Elis iniziano molto probabilmente poco dopo la fondazione della città verso il 471 a.C.Durante questo periodo, a quanto pare, ci fu una vasta ristrutturazione delle alleanze e si può supporre che, con l'inizio della costruzione del Tempio di Zeus a Olimpia ci sia stato un aumento della ricchezza degli abitanti del luogo. Questa crescente pretesa di rilevanza politica della polis può essere considerato come un aspetto importante per l'inizio della produzione di una serie di monete propria.\nCome nel resto del Peloponneso, ha inizio nella prima metà del IV secolo a.C., una sorta di periodo di massimo splendore nelle monetazioni. Dopo la fine della guerra del Peloponneso, che aveva avuto un forte impatto sull'economia locale, ora le singole entità politiche ottennero una maggiore indipendenza. Ciò portò tuttavia a un conflitto tra Elis e la Lega arcadica, che nel 365 a.C. attaccò il territorio di Elis. Olimpia fu occupata e fu instaurato un 'regime fantoccio', con sede in Pisa, che doveva prendere il controllo del santuario. Come pagamento dei protettori arcadici ci fu in seguito l'emissione delle uniche monete d'oro conosciute del Peloponneso (triemioboli e oboli). Per queste emissioni tuttavia fu usato abusivamente l'oro preso dal tesoro del tempio, il che fu considerato dalle altre polis come un sacrilegio; il che poi ha costretto la Lega arcadica a rinunciare all'occupazione.\nDopo questa breve fase Elis coniò ulteriori serie di monete fino alla fine del III secolo a.C.; al più tardi nel 191 a.C., dopo che Elis era stata costretta ad aderire alla Lega achea, ebbe fine la coniazione degli stateri di Elis.\n\nEmissioni templari?.\nQuasi tutte le monete di Elis hanno, nei tipi usati, un diretto riferimento a entrambe le divinità di Olimpia: Zeus ed Hera. Le emissioni sono in uno stretto rapporto con Olimpia, il principale santuario della Regione. Charles T. Seltman ha dedotto dalle raffigurazioni, che si tratti di cosiddette „coniazioni templari“ Da allora, numerosi numismatici hanno seguito questa teoria. Secondo questo punto di vista si dovrebbero identificare due zecche distinte, a seconda di quale divinità sia raffigurata al dritto. Quindi ci sarebbe stata un'officina associata al tempio di Zeus e una associata a quello di Hera, in cui erano prodotte le monete corrispondenti.\nSarebbe prendere come luogo di coniazione Olimpia e non la città di Elis, dopo tutto, perché né Zeus né Hera sono le principali divinità di Elis. Olimpia era di importanza fondamentale per Elis. Accanto ai Giochi olimpici, nella zona del santuario ci sono altri atti sovrani. Durante i Giochi si svolgeva regolarmente anche un grande mercato. Nel santuario bisognava preoccuparsi tutto l'anno per l'arrivo di numerosi visitatori, pellegrini e viaggiatori. Soprattutto il tempo dei giochi era associato a un grande sforzo organizzativo per gli abitanti. Ne consegue così una forte domanda, sproporzionata, di monete, il che potrebbe spiegare i benefici di officine di coniazione operanti localmente nell'area del santuario. Elis aveva la possibilità di stabilire che solo le monete coniate secondo il proprio standard potessero essere utilizzate per le transazioni finanziarie all'interno di Olimpia e al mercato. Con questo punto di vista si sarebbe potuto cambiare, entrando nel santuario, le monete degli altri stati in quelle coniate secondo il piede monetario locale. Gran parte del metallo per i tondello necessari alla coniazione, proveniva probabilmente dalla fusione di monete delle altre città greche.\nContro l'ipotesi, che situa la produzione delle monete di Elis a Olimpia, si può sostenere che le attività industriali sembrano piuttosto incongrue in un santuario. Finora gli scavatori a Olimpia non hanno trovato nessuna traccia archeologica che indichi una produzione di monete. Tuttavia, non è escluso che le officine di coniazione si siano potute trovare più lontano, alla periferia del santuario. Allo stesso modo non è ancora stato finalmente risolta la questione se le singole coniazioni possono essere attribuite esclusivamente ai rispettivi templi. Le 'monetazioni templari' erano più probabilmente coniate dai mezzi finanziari del santuario, il cosiddetto 'tesoro del tempio' di un Dio.\nDi norma, come autorità emittente, sulle monete ci avrebbe dovuto essere il nome del Dio, al genitivo. Tuttavia su nessuna monetazione olimpica c'è il nome di Zeus (in greco antico ΔΙΟΣ) o di Era (ΗΡΑΣ). C'è invece la legenda (ϜΑ digamma-alfa, le prime lettere del nome della città nel dialetto locale, cioè Ϝάλις, Walis).\nL'accoppiamento delle rappresentazioni sulle monete e templi non può essere dimostrato con assoluta certezza. Così l'immagine di Era su alcune monete di Elis potrebbe rappresentare solo una delle diverse sfaccettature, che si riferiscono al capo degli Dei, Zeus.\n\nTipi e datazione delle monete.\nLe monete di Elis impressionano per la loro qualità artistica e per la varietà dei tipi raffigurati. Lo studio della cronologia delle singole serie in un periodo di coniazione è controversa. La maggior parte degli approcci si basa ancora sulla cronologia relativa elaborata nel 1921 da Charles Seltman. Un problema per la datazione e la creazione di una cronologia assoluta è rappresentato anche dal fatto che spesso mancano gli accoppiamenti dei conii, che è il motivo per cui Seltman si era dovuto orientare verso criteri stilistici, che tuttavia non possono essere valutati con assoluta certezza in una sequenza cronologica.\nSoprattutto per quanto riguarda i ritmi di coniazione ed emissione delle monete, che a quanto pare non uscivano molto dal loro territorio, la questione di importanza se Elis abbia coniato solo o preferibilmente in concomitanza con l'allineamento dei giochi olimpici. Il rapporto tra la coniazione delle emissioni e i giochi non è stata stabilita ed è quindi problematico, mettere in rapporto cronologico le monete con una distinta Olimpiade. Inoltre, si può presumere che Elis, oltre ai giochi, avesse altri motivi importanti per la creazione di un proprio sistema monetario (ad esempio i lavori di costruzione a Elis e Olimpia).\nAl fine di separare i singoli tipi uni dagli altri, ha senso classificarli in diverse fasi di coniazione.\nCome prima monetazione dopo il 471 a.C., c'è una serie sul cui dritto è raffigurata l'aquila di Zeus.\nQuesto tipo è stato quindi coniato continuativamente per circa 50 anni in varie maniere. È sempre mostrata un'aquila che ha catturato qualcosa (serpente, coniglio, agnello, tartaruga). L'aquila è rappresentata con ali aperte o chiuse o stante sul terreno, che strappa la preda. Inoltre ci sono alcune raffigurazioni, tipo un ritratto, in cui c'è solo la testa dell'aquila. Le diverse rappresentazione dell'aquila si applicano come criterio per una differenziazione cronologica delle prime coniazioni. Le immagini sono elaborate dettagliatamente e sono molto vicine a una rappresentazione della natura estremamente precisa. Al rovescio della 'moneta con aquila' è rappresentato prevalentemente il fulmine di Zeus. La forma apparentemente ornamentale del cosiddetto 'fiore di fuoco' come insegna del Dio si sviluppò in una rappresentazione standardizzata e si trova, con poche varianti nel tipo, anche in numerose monete successive.\nUn altro tipo del rovescio, che si trova sulle monete sia presto che tardi, è la rappresentazione della dea della vittoria olimpica Nike, in diverse varianti. Una volta è mostrata la Nike in volo, dinamica, in fuga, che porta una corona. In altre immagini la Dea siede ferma, su una roccia, la corona tenuta nella mano poggiata.\nUna nuova tappa nella sequenza delle singole serie è segnata, dal 421 a.C. circa, dalle quasi contemporanea presenza delle teste-ritratto di Zeus ed Era. Zeus è incoronato da alloro e barbato, ed Era dal suo tipico diadema (polos). Nei ritratti di Era c'è un cambiamento stilistico, da cui si può desumere uno sviluppo cronologico. Nelle monete più recenti il diadema diviene progressivamente più piccolo.\nIn alcuni casi su queste monete successive, in combinazione con le teste del dritto, al rovescio è raffigurata l'aquila di Zeus seduta. L'aquila appare sulle monete come una specie di stemma, probabilmente un cenno alla maestosa potenza dell'immagine della divinità presente al dritto.\nNelle ultime serie di Elis al dritto è rappresentata una nuova testa femminile. La bellezza della testa di ninfa può essere interpretata come l'eroina eponima Olimpia, una ninfa che probabilmente dovrebbe rappresentare l'intera regione.\n\nPesi.\nSeltman ha pesato le monete conosciute al suo tempo e ne ha tratta la conclusione che il piede monetario usato è di 12,44 grammi, quindi vicino al piede eginetico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monte Athos.\n### Descrizione: Il Monte Athos, ufficialmente Stato Monastico Autonomo del Monte Athos (in greco Αυτόνομη Μοναστική Πολιτεία Αγίου Όρους?, Aftónomi Monastikí Politía Agíou Órous), è un territorio autonomo della Grecia, dotato di uno statuto speciale di autogoverno (art. 105 della Costituzione greca). Confina per una sottile striscia di terra con la Macedonia Centrale.\nL'amministrazione del territorio è affidata a un collegio, la Sacra comunità (Ιερά Κοινότητα, Ierà Kinòtita), che riunisce i rappresentanti dei 20 monasteri atoniti, alle cui dipendenze vi è un comitato esecutivo di quattro membri, la Ιερά Επιστασία (Ierà Epistasìa), presieduta a rotazione dal rappresentante di un monastero, il Protos. La repubblica è soggetta alla giurisdizione ecclesiastica del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e a quella politica del ministero degli affari esteri greco: lo Stato greco è infatti rappresentato da un Governatore con l'incarico di sovrintendere alla amministrazione del territorio e di farne rispettare lo statuto, con responsabilità esclusiva per la salvaguardia dell'ordine pubblico e della sicurezza.\nEssendo parte di uno Stato membro dell'Unione europea, il territorio del Monte Athos ne è esso stesso parte ed è soggetto, quasi interamente, alla legislazione comunitaria. Da un punto di vista fiscale, il suo territorio non rientra nell'area europea dell'Imposta sul valore aggiunto (art. 7 comma 1 lettera b numero 1 d.p.r. 633/1972), mentre è compreso nell'area Schengen. Tuttavia, è previsto che l'applicazione della normativa Schengen tenga conto dello status speciale del Monte Athos: 'Riconoscendo che lo statuto speciale accordato al Monte Athos, garantito dell'articolo 105 della Costituzione ellenica e dalla Carta del Monte Athos, è giustificato esclusivamente da motivi di carattere spirituale e religioso, le Parti contraenti cureranno di tenerne conto nell'applicazione e nella futura elaborazione delle disposizioni dell'Accordo di Schengen del 1985 e della Convenzione di applicazione del 1990'.\nPertanto l'ingresso è sottoposto a una peculiare giurisdizione restrittiva: per entrarvi è infatti necessario uno speciale permesso di soggiorno, il Diamonitirìon (Διαμονητηρίων), che permette di visitare Monte Athos per 4 giorni. Si può comunque richiedere in loco un rinnovo per altri 2-3 giorni. Inoltre è vietato l'ingresso alle donne. Proprio per il timore che potesse portare alla rimozione di questo divieto, che ha dietro di sé una storia secolare, i monaci dello Athos si erano strenuamente opposti all'ingresso della Grecia nell'area Schengen.\nL'Unione postale universale (U.P.U.) ha autorizzato, nel 2008, l'emissione di propri francobolli al Monte Athos, pur nell'ambito delle carte valori della Grecia, al fine di valorizzare le tradizioni ortodosse e far conoscere i tesori artistici conservati da secoli nei monasteri. La bandiera è gialla con l'aquila bicipite coronata nera, mentre la sigla automobilistica è AO.\n\nOrganizzazione.\nLa repubblica teocratica si trova nella lingua più orientale ('terzo dito') della penisola Calcidica ed è abitata da circa 1500 monaci ortodossi distribuiti in 20 monasteri o lavre, in 12 skite (comunità di monaci singoli sorte intorno a chiese) e in circa 250 celle (eremi isolati). Tutte le skite e le celle sono autonome per quel che riguarda la loro vita interna, ma ricadono sotto la giurisdizione di uno dei 20 monasteri principali per quel che riguarda i problemi generali della vita monastica e quelli amministrativi.\nOgnuno dei 20 monasteri elegge un proprio superiore e i rappresentanti per la Sacra Comunità che esercita il potere legislativo su tutto il Monte Athos.\nLa principale delle due città è Karyès, che funge da capoluogo: qui hanno sede le istituzioni della Repubblica Monastica, la tesoreria, gli alloggi dei rappresentanti dei vari monasteri, la farmacia, le poste, un piccolo ospedale, alcune botteghe e una foresteria. Vi risiede anche il Governatore dello Stato greco. La città, al centro della penisola dell'Athos e a 375 m. s.l.m., è stata costruita intorno al IX secolo, in un sito nelle cui vicinanze sorgeva nell'antichità un santuario dedicato alla dea Artemide. A Karyès è conservato il Tragos, un rotolo di pergamena redatto nel 971 dagli igùmeni dei monasteri athoniti e controfirmato e sigillato dall'imperatore Giovanni Zimisce, che sancisce l'indipendenza perpetua del Monte Athos.\nIl potere esecutivo delle diverse comunità monastiche è affidato a quattro segretari (epìstati). I monasteri sono di due tipi: i cenobi, dove i religiosi formano una stretta comunità governata da rigide regole, e gli idiorritmi, nei quali i monaci vivono di risorse personali, riunendosi solo per funzioni religiose e festività. L'abate eletto a vita (igúmeno) è assistito da un consiglio di monaci (epitropía). Vivono monaci veri e propri (calógeri), novizi (díkmi) e conversi dediti a lavori manuali (paramikri); il monaco incaricato di accogliere visitatori e ospiti è detto archontáris. Si devono poi aggiungere monaci eremiti che vivono in meditazione, preghiera e solitudine estrema. Sui monti, sulle pareti di roccia in grotte naturali o in celle inaccessibili vivono gli anacoreti. I sarabaiti formano gruppi di due/tre casupole isolate. Vi sono infine i 'girovaghi', monaci mendicanti senza fissa dimora.\n\nMezzi di trasporto.\nL'unico mezzo per arrivare in questa Repubblica è il traghetto proveniente quotidianamente dalla città greca di Uranopoli: questo arriva al porto di Dafne, l'altro centro abitato della repubblica, donde un torpedone porta alla minuscola capitale. Per spostarsi tra i vari monasteri occorre fare affidamento sulle poche corriere, sui mezzi degli stessi monasteri, che all'occorrenza trasportano i visitatori, sui battelli che collegano i monasteri o le skite sulla costa e, soprattutto, sulle proprie gambe. I sentieri, specie nella parte sud, sono spesso impervi e scoscesi, inadatti a chi soffre di vertigini.\nVi è un secondo battello, più piccolo, che collega i monasteri della costa di levante partendo dal porto di Ierissòs. Esso viaggia solo in caso di bel tempo e quindi i collegamenti non sono sempre garantiti e sicuramente mai nella stagione invernale.\n\nIl divieto di ingresso alle donne.\nTrattandosi di un territorio abitato da monaci, per tradizione nel Monte Athos possono entrare solo uomini. Il controllo viene effettuato all'imbarco da Uranopoli e, se necessario, viene ripetuto all'arrivo a Dafne. Questo divieto è stato così rigoroso nel corso della millenaria storia dell'Athos, che solo poche volte è stato infranto: ciò è capitato, per esempio, durante la seconda guerra mondiale, quando un gruppo di partigiani comunisti greci, tra cui alcune donne, entrò nella montagna sacra.\nL'interdizione si estende anche agli animali domestici di sesso femminile, ad esclusione di gatti, insetti e uccelli.\n\nL'ospitalità monastica.\nUna delle caratteristiche principali del Monte Santo è che i visitatori sono ospitati dai vari monasteri. Per questa ragione il loro ingresso è limitato e l'accoglimento delle richieste può richiedere molti mesi. Solo il 10% circa dei 30 000 visitatori annui ammessi sono stranieri. È buona norma assicurarsi, mediante prenotazione, che il monastero dove si è previsto di fare tappa abbia posti disponibili nella foresteria. Non è infrequente, infatti, che pellegrini provenienti dal paese di origine dei monaci di quel monastero (ne esistono di russi, serbi, bulgari eccetera) abbiano già riempito la foresteria. In tal caso il monastero è visitabile, ma occorre dormire in un altro luogo.\nI pellegrini vengono accolti al loro arrivo da un monaco che offre caffè greco, lokum (dolcetti molto zuccherati), rakı (acquavite) e acqua. Vengono poi accompagnati nell'archontarìke (foresteria), dove si viene alloggiati in camerate con servizi comuni.\n\nGli spostamenti fra i vari monasteri e la vita nel loro interno sono regolati dalle varie rigide regole monastiche, non ammettendosi solitamente deroghe nel comportamento che deve essere irreprensibile, anche dal semplice punto di vista dell'abbigliamento. Vigono, a seconda del posto, differenti calendari e misure del tempo. Il tramonto, secondo l'antica consuetudine, corrisponde alla mezzanotte e i monaci si svegliano all'ora sesta del loro orologio tradizionale per la preghiera. Il pranzo può essere servito in prima mattinata e la cena intorno alle 17. I visitatori possono mangiare con i religiosi e tutto si svolge in non più di 15 minuti in assoluto silenzio, mentre un monaco legge le Scritture; mangiare, infatti, distrae dalla preghiera, scopo principale della loro vita. Naturalmente i visitatori, che si comportano da veri e propri pellegrini religiosi, possono partecipare alle varie funzioni liturgiche.\n\nLe ricche testimonianze storiche, artistiche, documentali e mistiche.\nL'Athos custodisce numerosi tesori artistici: antichi manoscritti, icone e affreschi dipinti dai più illustri rappresentanti della pittura bizantina, come Teòfane il Greco e Manuel Panselinos. Fin dalle origini, la Santa Montagna ha ospitato mistici e maestri spirituali, i cui scritti - assieme a quelli di molti altri autori cristiani - furono raccolti nella Filocalìa, una celebre antologia del XVIII secolo, la quale ha influenzato profondamente il mondo ortodosso. Il penultimo monaco canonizzato (1988) della Santa Montagna è il mistico Silvano del Monte Athos (1866-1938), le cui opere sono state tradotte nelle principali lingue occidentali.\nL’ultimo monaco canonizzato il 27 novembre 2013 dal Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è Porfirio di Kafsokalyvia (1906-1991), la cui memoria si celebra il 2 dicembre (Vita e detti di san Porfirio ed. Lipa).\n\nIl canale di Serse.\nIl monte Athos è una penisola. Ma vi è stato almeno un lasso di tempo, in età non geologica ma storica, in cui è stata separata dal continente divenendo, tecnicamente, un'isola. Ciò è documentato dalla seconda spedizione delle guerre persiane, quando Serse, memore della precedente sfortunata missione navale di Mardonio, fece costruire un canale navigabile per risparmiare alla sua flotta il periplo del promontorio, le cui insidie avrebbero potuto rivelarsi ancora una volta determinanti.\n\nLista dei centri abitati.\nI venti monasteri.\nGrande Lavra (Μεγίστη Λαύρα, Megísti Lávra).\nVatopédi (Βατοπέδι o Βατοπαίδι).\nIvìron (Ιβήρων; ივერთა მონასტერი, iverta monasteri) - costruito dai georgiani.\nHilandar (Χιλανδαρίου, Chilandariou; Хиландар) - serbo.\nDionysiou (Διονυσίου, Dionusiou).\nKoutloumousiou (Κουτλουμούσι, Koutloumousi).\nPantokratoros (Παντοκράτορος, Pantokratoros).\nXeropotamou (Ξηροποτάμου).\nZografou (Ζωγράφου, Зограф) - bulgaro.\nDochiariou (Δοχειαρίου).\nKarakalou (Καρακάλλου).\nPhilotheou (Φιλοθέου).\nSìmonos Petra (Σίμωνος Πέτρα o Σιμωνόπετρα).\nSan Paolo (Αγίου Παύλου, Agiou Pavlou).\nStavronikìta (Σταυρονικήτα).\nXenophòntos (Ξενοφώντος).\nOsiou Grigoriou (Οσίου Γρηγορίου).\nEsphigmenou (Εσφιγμένου).\nSan Pantaleone (Αγίου Παντελεήμονος, Agiou Panteleimonos; Пантелеймонов; o Ρωσικό, Rossikon) - russo.\nKonstamonitou (Κωνσταμονίτου).\n\nPrincipali skite.\nKafsokalyvia.\nLakkoskete (Lacu, Sfântul Dumitru - romeno).\nNeà Skita.\nPròdromos o del Battista (Prodromu, Sfântul Ioan Botezătorul - romeno).\nProvata.\nSkita di Sant'Anna.\nSkita di San Basilio.\nSkita di Ivìron.\nSkita di Koutloumousiou.\nSkita di Pantokratoros.\nSketa di Vatopedi.\nSkita di Xenophontos.\nSkita di Sant'Andrea, conosciuto anche come Sarai (Σαράι).\n\nCentri abitati.\nKaryes (238 ab.), capitale della Repubblica Monastica.\nDafne (38 ab.), porto principale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monte Cinto (Grecia).\n### Descrizione: Il monte Cinto (in greco Kynthos) si trova sull'isola di Delo nell'arcipelago delle Cicladi.\nNella mitologia greca Latona diede alla luce sull'isola Apollo ed Artemide, dopo essere sfuggita ad Hera, la moglie di Zeus che era estremamente gelosa della relazione che il marito aveva avuto con lei.\nAi giorni nostri, l'isola è un importante sito archeologico, nonché una delle mete predilette dai turisti.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monte Cinto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monte Cronion.\n### Descrizione: Il monte Cronion è una collina, dell'altezza di meno di 100 metri, che domina l'antico sito di Olimpia, che si trova in una piccola pianura dell'Elide, sulla riva destra del Alfeo in Peloponneso.\nTrae il suo nome da Crono padre di Zeus.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monte Cronion.\n\nCollegamenti esterni.\nOlimpia in rapporto al monte Cronion, su educnet.education.fr. URL consultato il 30 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2006)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monte Ditte.\n### Descrizione: Il monte Ditte (in greco antico Δίκτη, Dìktis) è una montagna della parte orientale dell'isola di Creta.\nCon i suoi 2.148 m è la più alta delle cime dell'omonimo massiccio montuoso che sovrasta la piana di Lasithi.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia greca Rea partorì Zeus nella grotta di Psychro situata sul monte per nascondere il figlio dal padre Crono.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Monte Ditte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monte Eta.\n### Descrizione: Il monte Eta (in greco antico: Οἴτη?, anticamente anche Καταβόθρα) è una montagna sita nella parte meridionale della Tessaglia, che si dirama a partire dalla catena del Pindo in direzione sudorientale.\n\nGeografia.\nL'Eta si sviluppa verso sud-est e costituisce la barriera settentrionale della Grecia centrale: l'unico accesso alla Grecia centrale dal nord è quello stretto passo che si apre tra il Monte Eta e il mare, detto passo delle Termopili.\nIl monte Eta è oggi noto come Katavóthra ed è alto 2152 metri. La cima sopra le Termopili è invece chiamata monte Callidromo sia da Strabone sia da Tito Livio; quest'ultimo evidenziò come Callidromo fosse il nome dato alla cima più elevata del Monte Eta e Strabone concorda con lui nel descrivere come cima più elevata del gruppo quella che domina le Termopili. Quest'ultima affermazione risulta però essere scorretta in quanto il monte Patriótiko, che si innalza più ad ovest, è più elevato. Strabone afferma correttamente che la lunghezza del gruppo era pari a 200 stadi, ossia a circa 35,4 km.\n\nMitologia.\nIl monte Eta è indicato nella mitologia come il luogo della morte di Eracle. Lucio Anneo Seneca fu probabilmente l'autore della tragedia Hercules Oetaeus, dove il nome dell'eroe è affiancato dall'epiteto che prese per via del luogo di morte: secondo la tradizione Eracle, asceso il Monte Eta dopo che il veleno nel quale era stata immersa la tunica donatagli da Deianira ebbe fatto effetto, con le sue ultime forze sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il coraggio di accenderlo ed Eracle fu costretto a chiedere di farlo al pastore Filottete. Questi ubbidì, ed Eracle donò le sue armi al padre di questi, Peante: tali armi si renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone che non lo aveva mai abbandonato dall'età di diciotto anni salì sul rogo, mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri.\nMentre Eracle cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che morisse e lo portò con sé nell'Olimpo, dove l'eroe si riconciliò con Era e sposò Ebe, la coppiera divina. Si era avverata la profezia dell'oracolo, che prevedeva la fine terrena di Eracle ad opera di un morto.\n\nStoria.\nUna delle pendici orientali di questo monte, dominante il passo delle Termopili, nota in passato col nome di Anopea (Ἀνόπαια) e oggi con quello di Lithitza, deve la sua fama al fatto che attraverso una sua gola, lungo la sponda destra del fiume Asopo, passava un sentiero tortuoso, scoperto dagli abitanti del luogo al tempo delle lotte tra Tessali e Focesi. L'esistenza di questo sentiero non era conosciuta agli Alleati ellenici.\nQuesto sentiero fu indicato ai Persiani dal traditore Efialte durante la battaglia delle Termopili (480 a.C.): percorrendolo, i Persiani attaccarono la retroguardia nemica e riuscirono ad annientare i Greci guidati dal re di Sparta Leonida I.\nLa medesima gola venne attraversata nel 278 a.C. dai Galli.\n\nToponomastica.\nIl monte è eponimo pure del distretto meridionale della Tessaglia, che è detto Etea (dal greco Οἰταῖα, Oitâia) ed era abitato dagli Etei (Οἰταῖοι, Oitâioi).\nVi era pure una città che prendeva il nome da questo monte, Eta, che si dice sia stata fondata da Anfisso, figlio di Apollo e Driope, e che Stefano di Bisanzio descrive come una città della Malide. William Martin Leake affermò che tale città era sita alla base del monte Patriótiko, ed ipotizzò fosse quella che da Callimaco era stata menzionata come città sacra.\n\nParco nazionale.\nNel 1966, il Monte Eta è diventato il sesto dei parchi nazionali della Grecia in conformità con il regio decreto 218/1966. Con una superficie di 7.000 ettari, di cui 3.370 costituiscono la zona centrale e 3.630 la periferia, il parco copre circa un quarto dell'area montuosa ed è il terzo più grande della Grecia. Qualsiasi attività umana che abbia un impatto sull'ambiente locale in qualsiasi modo è vietata all'interno dei confini del parco nazionale.\n\nInfluenza culturale.\nAll'Eta è stato intitolato l'Oeta Chasma su Mimante." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monte Ida (Grecia).\n### Descrizione: Il monte Ida (in greco: Ἴδα), conosciuto anche come monte Psiloritis (in greco: Ψηλορείτης, 'il più alto') è il rilievo più alto dell'isola di Creta (2.456 m).\n\nDescrizione.\nAd est una sella a quota 2321 m lo separa dal vicino monte Agathias, mentre ad ovest il crinale continua verso il monte Stolistra (2336 m). Sulla sua vetta si trova una costruzione in pietra utilizzata come bivacco di emergenza e come cappella. Non lontano dal monte Ida, sulla cima secondaria di Skinakas, è collocato l'osservatorio astronomico dell'Università di Creta. Interessanti caratteristiche della montagna sono il pianoro di Nida e la foresta di Ruva sul versante orientale. Il monte Ida si trova sullo spartiacque che divide il versante meridionale dell'isola di Creta, affacciato sul Mar libico, da quello settentrionale, tributario del Mare Egeo.\n\nEtimologia.\nIl nome Ida è connesso con quello di un'antica dea Ida o Da il cui nome è conservato nella divinità di Demetra: la forma con cui noi conosciamo questo nome era quella dello ionico-attico, il dialetto di Atene, Dē-mētēr, mentre negli altri dialetti greci antichi il nome era Dā-mātēr, 'la Madre Da'; in miceneo è ancora attestato I-DA-MA-TE, cioè Idā-mātēr). Tracce del culto di questa divinità (I)da vi sarebbero anche nell'uso della sillaba da in antiche formule rituali.\n\nMitologia.\nLa montagna era sacra, secondo la mitologia greca a Demetra e successivamente, ai tempi dell'età di Pericle, alla titanide Rea, madre dei primi dei olimpici, tra cui Zeus. Per questo, nella mitologia romana, Rea (identificata con Opi) è detta Magna Mater deorum Idaea.\nSui fianchi del monte si trova la grotta di Psychro, visitatissima dai turisti, in cui secondo la leggenda lo stesso Zeus (partorito sul monte Dikti, sempre sull'isola di Creta) sarebbe stato nascosto al padre Crono, che era solito divorare i figli.\nNella mitologia, la montagna era anche la dimora dei Dattili, antiche divinità che scoprirono la lavorazione dei metalli.Nonostante l'omonimia, esso non va confuso con il monte Ida sito in Asia Minore, nei pressi di Troia, dove Paride (figlio del re Priamo) sarebbe vissuto pascolando gli armenti, e dove avrebbe ricevuto l'invito a giudicare la più bella tra Era, Afrodite ed Atena creando l'antefatto che portò poi alla guerra di Troia narrate nell'Iliade.\n\nTutela naturalistica.\nIl massiccio del Monte Ida, assieme ad una vasta zona che si stende fino alla costa nord di Creta, è incluso dal 2001 nel Parco naturale dello Psiloritis, un'area protetta della rete europea European Geoparks Network e della rete UNESCO Rete di geoparchi globale .\n\nAccesso alla vetta.\nIl monte Ida può essere raggiunto per sentiero da più parti. In particolare la sua cima è toccata dall'itinerario del Sentiero europeo E4.\n\nDediche.\nL'asteroide 243 Ida è stato così chiamato con riferimento al monte Ida." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monte Ida (Turchia).\n### Descrizione: Monte Ida (in turco: Kazdağı) è un monte nei pressi dell'antica Troia, nell'attuale provincia di Balıkesir, distretto di Edremit, nel nordovest della Turchia. Non va confuso con l'omonimo greco dell'isola di Creta.\n\nEtimologia.\nVi è ragione di credere che il monte micrasiatico sia stato ribattezzato Ida ad opera dei Teucri, una popolazione dell'Età del bronzo, che si sarebbero ispirati al monte cretese, mentre in precedenza esso avrebbe avuto un altro nome, forse Gargar. Se ciò fosse vero, l'etimologia sarebbe la stessa del monte di Creta, ossia deriverebbe da un'antica dea di nome Ida o Da. È comunque assodato che così come l'Ida greco, anche l'Ida micrasiatico fosse considerato fin dall'antichità sede di importanti culti di una dea locale.\n\nMitologia.\nFu qui che Paride visse da giovinetto tra i pastori, e fu dal monte Ida che Zeus avrebbe rapito Ganimede per farne il suo amante: qui infine si trasferì Arisbe, la moglie ripudiata di Priamo, col suo nuovo sposo Irtaco. Fu sempre su questo monte che si svolse la gara di bellezza tra le dee Era, Atena e Afrodite. La cima più alta era il Gargaro, menzionato anche nell'Iliade (Γάργαρον).\nNell'antichità era dedicato al culto della dea Cibele, che a Roma era nota come Idaea Mater.\nLa più antica collezione di profezie sibilline, i Libri sibillini, sembra essere stata prodotta all'epoca di Ciro a Gergis, sul monte Ida; attribuiti alla Sibilla d'Ellesponto, furono conservati nel tempio di Apollo a Gergis. Da Gergis passarono ad Erythrae dove divennero famosi come gli oracoli della Sibilla Eritrea. Pare che sia stata questa collezione di profezie ad essere portata a Cuma, dove fu associata alla Sibilla Cumana, e di lì a Roma.\n\nDall'Eneide.\nDal libro IX dell'Eneide:.\n'Nisus erat portae custos, acerrimus armis,.\nHyrtacides, comitem Aeneae quem miserat Ida.\nuenatrix iaculo celerem leuibusque sagittis,.\net iuxta comes Euryalus, quo pulchrior alter.\nnon fuit Aeneadum Troiana neque induit arma, 180.\nora puer prima signans intonsa iuuenta.'.\n(da The Latin Library)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Monte Menta.\n### Descrizione: Il monte Menta o Minthe o Minta (in greco Μίνθη) (1.221 m s.l.m.) si innalza nella regione detta Trifilia (Triphylia) appartenente al distretto dell'Elide in Grecia. È ricordato fin dall'antichità per la sua vicinanza ad un santuario di Ade.\n\nMenta e Ade.\nRobert Graves spiega il nome della zona in cui sorge il monte e quello del monte stesso col fatto che la pianta della menta cresceva nei pressi del santuario consacrato ad Ade.Del resto, la Menta ha un collegamento mitico evidente con l'aldilà, se si pensa alla sua discendenza dal Cocito, uno dei fiumi del regno dei morti, e al suo ruolo di amante di Ade.\nNell'antica Grecia, inoltre, la menta era usata nei riti funebri insieme al mirto e al rosmarino per bilanciare l'odore della decomposizione. Tuttavia aveva anche una funzione rituale in quanto veniva utilizzata nel kukeòn (in greco κυκεών), il preparato di orzo assunto dai partecipanti ai misteri eleusini, nei quali era offerta agli iniziati una vita nell'aldilà.Poiché l'elemento nth (traslitterazione del greco νθ) è caratteristico della classe di parole prese in prestito dal linguaggio pre-greco, come acanto, labirinto, Corinto ecc., si può ipotizzare che il sito dell'Elide sia un complesso cultuale molto antico. Così come il mito di menta contiene elementi ctonii che fanno parte di una religiosità arcaica.\n\nTrifilia.\nIl fiume Alfeo, secondo Strabone, divideva la Pisatide dalla Trifilia (Triphylia).\nIl distretto delle Trifilia o Triphalia, come lo chiama Polibio, facendone derivare il nome da Trifalo, garzone arcade, si estendeva lungo il mare dalla foce dell'Alfeo a quella della Neda, dove si racconta che Zeus appena nato fosse stato lavato, terminando l'Elide verso la Messenia.\nTra la città di Pilo e Scillunte sorge il monte Menta, detto dagli antichi Minthe, oggi Smyrne.\nAlle falde del monte era un luogo sacro ad Ade mentre di là dalla pianura di Pilo vi era un bosco sacro a Demetra.\nPare di leggere in questa topografia sacra che l'eros è infero, inconscio, viene da Ade, e Demetra vi presiede per organizzarlo. Mintha è una ninfa, amante del re degli inferi, e la pianta, frutto della sua metamorfosi, non può che mantenere questo potere afrodisiaco e di comunicazione con l'aldilà.Che si tratta di un luogo consacrato alle ninfe lo testimonia anche la presenza dell'antro delle Anigridi. Sempre secondo Strabone infatti la spiaggia fra l'Anigro e lo Iardano ebbe il nome di Samico. Nel Samico 100 stadi distante dall'Anigro e presso il mare si vedeva il tempio di Nettuno soprannominato Samio, situato entro un bosco di olivi selvatici ed un antro presso il fiume Anigro dove risiedevano le ninfe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monte Partenio.\n### Descrizione: Il monte Partenio ('monte della vergine', in greco antico: Παρθένιο?) è una montagna che confina con l'Arcadia e l'Argolide, nel Peloponneso in Grecia. Si eleva a 1 215 m. s.l.m. ed è situato tra i villaggi di Achladokampos a nord-est e di Parteni a sud-ovest. Si trova a 16 km ad est di Tripoli.\nNell'antica Grecia, divideva la piccola piana di Isie da quella di Tegea. Il monte Parenio è la montagna dove da bambino venne esposto l'eroe greco Telefo. Alle sue pendici si trova Tegea. Pan sembra vi abbia incontrato Filippide prima della battaglia di Maratona nel 490 a.C. Il dio lo chiamò e gli ordinò di chiedere agli Ateniesi che non gli riservassero alcun onore, anche se egli era ben intenzionato verso di loro, era stato loro utile molte volte in passato e lo sarebbe stato di nuovo in futuro. Di conseguenza gli Ateniesi realizzarono un altare a Pan, ai piedi del Partenone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Monti Rodopi.\n### Descrizione: I Monti Ròdopi (in bulgaro: Родопи, Rodopi, di solito accompagnati da un articolo definito posposto: Родопите, Rodopite, a volte chiamati Родопа, Rodopa o Родопа планина, Rodopa planina; in greco: Ροδόπη, Rodopi, 'aspetto rosso') sono una catena montuosa nell'Europa meridionale, compresa per più dell'83% nell'area della Bulgaria meridionale e per il resto in Grecia (vedi Parco nazionale dei Monti Rodopi).\nLa cima più alta della catena, il Goljam Perelik (Голям Перелик - 2.191 m s.l.m.), è la settima vetta più alta della Bulgaria. La regione è particolarmente importante e nota per le aree carsiche presenti, con le loro profonde gole solcate da torrenti, ampie caverne e particolari forme di scultura naturale, come quelle della gola di Trigrad. I Monti Rodopi sono altresì noti per la scoperta di una nuova pianta, (in Bulgaria), da parte del botanico Carl Constantin Christian Haberle.\n\nGeografia e clima.\nI Rodopi coprono un'area di più di 14.737 km², dei quali 12.233 km² sono in Bulgaria. Le montagne della catena si estendono per una lunghezza di circa 220 km in direzione ovest-est, mentre occupano un'area di larga circa 100–120 km in direzione nord-sud, con un'altitudine media di 785 m s.l.m. Le autorità hanno istituito ben 15 riserve naturali nella regione dei Monti Rodopi, alcune delle quali sotto la protezione dell'UNESCO. Sono presenti numerosi sorgenti d'acqua minerale, le più famose delle quali sono Velingrad, Devin e Narečen.\n\nSuddivisioni.\nRodopi occidentali.\nI Rodopi occidentali rappresentano l'area montana più estesa (66% del gruppo montuoso) e presentano le montagne più alte, dotate di maggiore infrastrutture e maggiormente visitate della catena. Le vette più alte e maggiormente conosciute sono comprese in questa regione, che vanta più di dieci cime superiori ai 2.000 m s.l.m. La più alta è il Goljam Perelik (2.191 m). Tra le altre vette più famose, si possono ricordare: il Širokolăški Snežnik (Широлъшки Снежник - 2.188 m), il Goljam Persenik (Голям Персеник - 2.091 m), il Bataški Snežnik (Баташки Снежник - 2.082 m) ed il Turla (Турла - 1.800 m).\nAlcune delle gole più profonde dei Rodopi si trovano nell'area occidentale. In particolare in quest'area va segnalato il fenomeno roccioso chiamato Čudnite Mostove (Чудните мостове - gli splendidi ponti). Alcune fra le maggiori aree lacustri sono i laghi Chaira e gli specchi d'acqua formati dalle dighe Dospat, Batak, Široka Poljana, Goljam Beglik e Toškov Čark.\nLa città bulgara di Batak è inoltre situata in questa zona, come del resto i frequentati luoghi di villeggiatura di Smoljan, Velingrad, Devin, Čepelare, la stazione turistica invernale di Pamporovo, il monastero cristiano ortodosso di Bačkovo, le rovine delle fortezze della dinastia Asen, le grotte di Djavolsko Gărlo, di Jagodinska e molte altre. Il villaggio più alto dell'intera Bulgaria, Manastir (sorto ad un'altezza di più di 1.500 m), è raggruppato ai piedi della vetta Prespa. Una serie di aree protette per la conservazione di architetture naturali, come Široka Lăka, Kovačevica, Momčilovci e Kosovo sono inoltre situate nella zona.\n\nRodopi orientali.\nI rilievi dei Rodopi orientali, molto più bassi, sono sparsi in un territorio che comprende il 34% della catena montuosa. Le grandi dighe artificiali Kărdžali e Studen Kladenec si trovano in questa zona delle montagne. La regione è ricca in sorgenti termali minerali. Le acque attorno a Džebel godono di fama nazionale come acque curative per diverse malattie e indisposizioni. Belite Brezi è un importante centro curativo per le malattie respiratorie e altre affezioni.\nLe maggiori città dell'area sono Haskovo e Kărdžali, seguite dalle più piccole Momčilgrad, Krumovgrad, Zlatograd e Kirkovo. I Rodopi orientali, essendo significativamente più bassi, sono più popolati di quelli occidentali.\n\nRodopi meridionali.\nI Rodopi meridionali sono la parte della catena montuosa situata in Grecia. La prefettura dei Rodopi, nella parte settentrionale del Paese, prende il nome della catena montuosa.\n\nClima.\nLa posizione dei Rodopi, localizzati nella parte sudorientale della Penisola balcanica, fa in modo che i monti subiscano l'influenza sia dell'aria fredda proveniente da nord sia della brezza più calda proveniente dal vicino Mar Mediterraneo.\nLa temperatura media annuale sui Rodopi orientali è di circa 12–13 °C, la massima quantità di precipitazioni è in dicembre, la minima in agosto. Nei Rodopi occidentali le temperature variano tra i 5° e i 9 °C e le precipitazioni più rilevanti sono nel periodo estivo.\nIl clima piacevole e relativamente temperato, unito ad altri fattori, facilita lo sviluppo di stazioni e attività turistiche. La località invernale di Pamporovo, dove un particolare microclima permette la caduta di massicce nevicate invernali che si prolungano per un lungo periodo, ne è un eccellente esempio.\nTemperature di −15 °C sono comunque comuni nel periodo invernale, e per questo i Rodopi sono il luogo più meridionale nei Balcani dove sono diffuse specie come l'abete rosso (Picea abies) e la betulla d'argento (Betula pendula).\n\nPopolazione.\nI Monti Rodopi sono abitati da popolazione sparsa e non particolarmente numerosa. Essi rappresentano un'area di diversità etnica e religiosa da secoli. Oltre ai Bulgari e ai Greci, cristiani ortodossi, i monti divennero il luogo dell'insediamento di alcune comunità musulmane, inclusi i Bulgari musulmani, chiamati localmente Pomacchi (помаци, pomaci), presenti in particolare nei Rodopi occidentali, mentre i Turchi di Bulgaria si sono stabiliti in maggioranza nelle aree orientali. Le montagne sono inoltre una delle regioni frequentate dai Sarakatsani, una popolazione nomade di religione cristiano-ortodossa e di origine incerta, che tradizionalmente erra tra la Tracia settentrionale e il Mar Egeo.\n\nMitologia.\nI Rodopi sono considerati molto spesso il luogo mitologico di nascita del leggendario cantante e suonatore di lira Orfeo e della moglie Euridice. In aggiunta, sono presenti siti archeologici relativi al culto di Dioniso, che si estendono in gran parte della regione; importante in particolare il sito dell'antica città tracia di Perperikon.\nSecondo la mitologia greca, la coppia formata dalla regina Rodope di Tracia e del re Emo si dimostrò particolarmente vanitosa e sdegnosa e per questo venne punita da Zeus ed Era che decisero di trasformarla nella catena dei Rodopi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mopso (figlio di Ampice).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Mopso (in greco Μόψος Mòpsos) era un oracolo ed indovino, figlio di Ampice e della ninfa Cloride.\nÈ a volte identificato con il suo omonimo, anch'esso indovino. Il loro mito è comunque presentato separatamente e in contesti diversi, per cui i due sono in genere considerati personaggi distinti.\n\nIl mito.\nMopso partecipò alla Centauromachia, ai giochi funebri in onore di Pelia e alla caccia al cinghiale calidonio. Nel corso della lotta con i Centauri Mopso uccise Odite e, in una fase successiva dello scontro, vide Ceneo librarsi in volo nelle sembianze di un uccello, dopo essere stato ucciso.\nPrese in seguito parte alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro e morì durante il viaggio di ritorno, morso nel deserto libico da un serpente." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Mopso (figlio di Manto).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Mopso (Μόψος in greco antico) era un indovino, figlio di Apollo (o Racio) e di Manto, a sua volta discendente da Tiresia. È a volte confuso con il suo omonimo, figlio di Ampice e argonauta, ma si tratta in realtà di due figure distinte.Secondo la leggenda, assieme alla madre Manto avrebbe fondato, a Claro, il Santuario dell'Oracolo di Apollo. A questo seguì un altro santuario ad Aspendo, nella regione della Panfilia e poi altri santuari in varie poleis della Cilicia, fra cui Mopsuestia, Mopsucrene e Mallo.\nRacconta Strabone che Mopso regnava sulla città cilicia di Mallo, da lui fondata assieme al fratello Anfiloco. Quando quest'ultimo aveva riguadagnato la sua città natale, Mopso assunse da solo le redini del comando - prima tenuto in coreggenza -, ma dovette presto far fronte alle richieste di Anfiloco, il quale, tornato in Cilicia, chiese di essere riassociato al trono. Mopso rifiutò e, addivenuti ad un duello, gli sfidanti si uccisero a vicenda.Dopo la morte, le ombre di Mopso e Anfiloco si unirono in amicizia, andando a costituire un oracolo che si diceva essere più veritiero di quello delfico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mori (Iliade).\n### Descrizione: Mori (in greco antico Μόρυς) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ippotione.\n\nMitologia.\nEra un giovane frigio che insieme ai fratelli Palmi e Ascanio prese parte alla difesa di Troia assediata dagli Achei.\nMori fu ucciso da Merione nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mormò.\n### Descrizione: La Mormò (Μορμώ, Μορμών) è una divinità minore dell'antica Grecia.\nNella superstizione greca Mormò era uno spettro femminile che si cibava del sangue dei bambini in fasce e che provocava disordine in case e botteghe; per questo motivo era generalmente nominata come spauracchio per i fanciulli.\n\nFonti.\nLa principale fonte relativa a Mormò è Aristofane e due sue commedie: Gli Acarnesi (582 sgg.) e La Pace (474 sgg.), ma sono anche presenti fonti minori, come gli scholia a Teocrito." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Mosaico di Dioniso.\n### Descrizione: Il Mosaico di Dioniso è il più grande mosaico del 'Complesso Archeologico di Dion' (Dion), ai piedi del Monte Olimpo. Raffigura il corteo trionfale del dio greco Dioniso. È stato sottoposto ad un accurato restauro tra il 2015 e il 2017." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Museo (autore mitico).\n### Descrizione: Museo (in greco antico: Μουσαῖος?, Mūsàios) è un personaggio leggendario associato ad Orfeo.\n\nIl personaggio tra mito e realtà storica.\nLe notizie su Museo sono diverse e spesso contrastanti, ma non si sa nulla della sua vita: il suo nome significa 'appartenente alle Muse' e gli studiosi moderni tendono a vedere in Museo un personaggio inventato per offrire la paternità a vari scritti orfici non attribuiti a Orfeo.\nLa Suda e Clemente Alessandrino lo ricordano come un poeta molto antico, che visse ai tempi di Cecrope II o di Acrisio; secondo Sesto Empirico visse prima di Omero, mentre secondo due Vitae omeriche Museo fu un suo predecessore. A seconda delle fonti è figlio di Orfeo oppure discepolo di questo e figlio di Selene oppure maestro di Orfeo oppure ancora figlio di Antiofemo; la mitologia narra sia stato cresciuto dalle ninfe. Non vi è una tradizione coerente neppure sulla provenienza: sarebbe di Atene o trace o nato ad Eleusi. L'associazione ad Eleusi è attestata anche in altri modi: secondo alcuni autori avrebbe presieduto ai misteri eleusini, mentre secondo altri sarebbe stato suo figlio Eumolpo (presentato più spesso come figlio di Poseidone) ad istituirli.\nA Museo, poeta e divinatore, la tradizione attribuisce oracoli, una Titanomachia, un Inno a Demetra, un poema di 4000 versi ricordato come Consigli (al figlio Eumolpo), una Eumolpia, una Sfera, un libro Sui Tesproti e l'introduzione dell'Attica dei misteri d'Eleusi. Delle opere attribuitegli si sono conservati pochi frammenti poetici di argomento teogonico e mitologico.\nSecondo Giorgio Colli la figura di Museo potrebbe essersi originata isolando gli elementi apollinei della figura dominante di Orfeo, che si sarebbe così caratterizzata più compiutamente in senso dionisiaco.\nNell'Eneide di Virgilio Enea e la Sibilla incontrano Museo nei Campi Elisi, tra gli spiriti beati più degni, 'che svetta con ampie spalle' (VI, 660-678). E sarà lui, su richiesta della Sibilla, a guidarli verso il sentiero che li condurrà ad Anchise. Museo spiega loro anche la non stabile sede delle anime del luogo (nulli certa domus), e la loro collocazione sparsa tra ameni e confortevoli luoghi naturali (...lucis habitamus opacis / riparumque toros et prata recentia rivis / incolimus)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Museo archeologico di Eleusi.\n### Descrizione: Il Museo Archeologico di Eleusi è un museo a Eleusi, in Attica, Grecia.\n\nIl museo.\nIl museo si trova all'interno del sito archeologico di Eleusi. Costruito nel 1890, su progetto dell'architetto tedesco Kaverau per conservare i reperti degli scavi, e dopo due anni (1892) fu ampliato sotto i piani dell'architetto greco J. Mousis.\nVi è una collezione di oggetti risalenti al V secolo a.C., quando la reputazione del tempio era panellenica, e il numero di credenti che si trasferirono lì per partecipare alle cerimonie dei misteri eleusini era aumentato significativamente.\n\nMolte delle scoperte sono associate a queste cerimonie. Il maialino votivo ricorda il sacrificio di questi animali per la purgazione dei credenti al Faleron, che ha avuto luogo in alcune fasi preparatorie delle cerimonie, e il kernos, un vaso cerimoniale che veniva usato per i sacrifici e alle offerte fatte per gli altari e i templi, durante il ritorno dei simboli sacri attraverso la via Sacra dall'Antica Agora, di nuovo sino al Santuario per l'iniziazione finale.Tra gli oggetti più importanti del museo sono inclusi: la monumentale anfora protoattica dalla metà del VII secolo a.C., con la raffigurazione della decapitazione della Medusa da parte di Perseo, il famoso 'kore in fuga' dal periodo arcaico, che deriva probabilmente dal progetto architettonico della Sacra Casa, la grande statua senza testa della dea Demetra, probabilmente l'opera della scuola di Agoracrito - uno studente di Fidia - e la Cariatide dal tetto del piccolo Propileo, portando in testa la ciste, il contenitore contenente gli articoli sacri della cerimonia, con un'apparizione in rilievo dei simboli del culto eleusino, che sono: la spiga del grano, i papaveri, i rozete e il kernos.\nLe due scoperte più importanti di Eleusi sono state trasferite al Museo Archeologico Nazionale di Atene mentre al Museo di Eleusi esistono solo le loro copie. Il primo è il rilievo del V secolo a.C., altezza 2,20 m, che mostra Demetra, Kore e il re di Eleusi Trittolemo, che si prepara a insegnare l'agricoltura al mondo, secondo le istruzioni della dea. Il secondo è il tavolo in argilla noto come Tavoletta di Ninnione con un timpano, dedicato da Ninnione, del IV secolo a.C., con scene delle cerimonie nel tempio di Demetra, il cui significato consiste nell'informazione che fornisce i rigorosi rituali segreti dei misteri eleusini.\nInoltre, il museo ospita una collezione completa di ceramiche, risalenti al Medio Evo elladico (2000 o 1950-1580 a.C.) fino ai primi tempi cristiani, con tavole scritte, oggetti metallici, iscrizioni e rilievi, tra cui l'importante rilievo votivo di Rheitoi, con Demetra, Kore, Athena e un uomo eleusino, che in fondo ha le istruzioni per colmare il lago di Rheitoi (lago Koumoundourou).\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Museo archeologico di Olimpia.\n### Descrizione: Il Museo archeologico di Olimpia è uno dei principali musei della Grecia ed ha sede ad Olimpia nell’Elide.\nDipende dal Ministero della Cultura greco (VII eforato delle antichità preistoriche e classiche). È stato il primo museo creato fuori dalla capitale. Ospita le scoperte fatte sull'Altis, nel sito di Olimpia: oggetti che vanno dalla preistoria all'epoca romana fino al VI - VII secolo. I suoi capolavori sono Hermes con Dioniso di Prassitele, i frontoni del tempio di Zeus, la Vittoria di Paionios e la coppa che apparteneva a Fidia. La dimensione della sua collezione di bronzi antichi la rende la più grande del mondo.Il museo è ospitato in due edifici: l'edificio principale con dodici sale espositive (organizzate tematicamente e cronologicamente: preistoria, geometrica e arcaica, arcaici e ceramiche classiche, scultura monumentale in terracotta, frontoni e metope del tempio di Zeus, 'Vittoria di Paionios', laboratorio di Fidia, Hermes con Dioniso di Prassitele, ellenistica, romana, statuaria romana e ultimi anni del santuario) e un'ala con servizi per i visitatori. Un altro edificio, dedicato al negozio del museo, è un po’ fuori mano, a metà strada verso il sito archeologico.\n\nStoria del museo.\nIl primo museo.\nIl museo fu costruito dalla parte opposta del sito degli scavi nella valle nord-ovest della collina Kronion. Il filantropo banchiere Andreas Sygros finanziò (per 220.000 dracme) e affidò il progetto a architetti e archeologi tedeschi, che hanno iniziato lo scavo del sito, Friedrich Adler e Wilhelm Dörpfeld. Un edificio neoclassico fu eretto sulla collina di Drouva all'uscita della città, sulla strada per il santuario. Completato nel 1888, fu il primo museo greco costruito fuori dalla capitale. Danneggiato da un terremoto nel 1954, era diventato troppo piccolo per ospitare tutte le collezioni. La costruzione di un nuovo museo fu decisa negli anni 70. Per lungo tempo inutilizzato, l'edificio ospita dal 2004 il Museo della storia dei giochi olimpici antichi.\n\nIl museo attuale.\nProgettato da Patroklos Karantinos e iniziato nel 1966, il 'nuovo museo' fu completato nel 1975, ma il trasferimento di opere richiese tempo. La mostra definitiva fu inaugurata solo nel 1982 dall'allora Ministro della Cultura, Melina Merkouri. La museografia fu dovuta a Nikolaos Gialouris, poi Eforo delle Antichità, a Ismini Trianti e allo scultore S. Trianitis che fu incaricato di installare la Vittoria di Paionios su un piedistallo specifico. Ma non è stata visibile fino al 1994. Il museo è stato rinnovato come parte dei preparativi per i Giochi olimpici del 2004 ed è stato chiuso da settembre 2003 al 24 marzo 2004. Le collezioni sono state riorganizzate mantenendo lo spirito della prima presentazione. Le stanze sono state ingrandite: luce, ventilazione e aria condizionata rivisti; il negozio è stato spostato; l'Hermes di Prassitele fu installato in una stanza interamente dedicata, su una base anti-terremoto; vennero create nuove stanze: il laboratorio di Fidia e gli ultimi anni del santuario, mentre la mostra sugli antichi Giochi Olimpici, trasferita in un museo specifico.L'attuale museo è organizzato in due edifici. Le collezioni sono nelle dodici sale espositive dell'edificio principale. L'ala est di quest'ultimo è dedicata ai servizi per i visitatori (caffetteria e servizi igienici), mentre i suoi scantinati contengono riserve e laboratori di conservazione (terracotta, bronzi, pietra e mosaici). Il negozio (oggetti e libri) è installato in un altro edificio, tra il museo e il sito archeologico.\n\nCollezioni.\nIl museo è preceduto da un grande peristilio a corte quadrata dove sono esposti vari elementi architettonici e statue (tra cui il busto di una statua colossale di Augusto dal Metrooon), mentre nella hall vi è un modello del sito al suo apice (epoca romana) con tutti gli edifici che sono stati costruiti, ciò permette di visualizzare meglio le due visite (quella del museo e quella del sito stesso).\n\nCollezione preistorica e protostorica.\nLa sala 1 (a sinistra della hall) è dedicata al periodo preistorico, grazie alle scoperte fatte sul sito ma anche nella regione di Olimpia. I frammenti esposti qui e risalenti al periodo neolitico (4300 - 3100 a.C.) sono stati rinvenuti nell'argine settentrionale dello Stadio Olimpico. Sono indicazioni di un'occupazione molto antica del sito. Gli oggetti più antichi (ceramiche fatte a mano e strumenti in pietra) risalgono agli Antico elladico II e III (2700-2000 a.C.). Alcuni provengono dal 'tumulo di Pelope' (tra il tempio di Hera e l'altare di Zeus sul sito archeologico) che viene proposta anche una ricostituzione. Altri sono stati scoperti anche in abitazioni, i più antichi edifici del sito. I vasi esposti sono caratteristici di questo periodo: brocche di tipo, vasi la cui forma è vicina all'anfora, phiale con un solo manico, cantharos e askoi. Le brocche e le phiiale hanno un decoro, in rilievo o inciso, sul labbro, sul manico o sulla base che mostra i rapporti con l'elladico antico tra Olimpia e la cultura di Cetina (nell'attuale Croazia). I legami con la regione dalmata continuarono a lungo, come dimostrano le ceramiche e gli strumenti del Medio elladico (2000 - 1600 a.C.).\nIl periodo miceneo (1600 - 1100 a.C.) è rappresentato da oggetti (terracotta, pietra o bronzo) trovati in varie tombe a tholos della regione, principalmente sulle colline di Zouni e Kalosaka vicino al museo. I vasi micenei, con una semplice decorazione lineare, qui presentati sono principalmente anfore che conservavano olio, anfore a staffe per oli aromatici, alabastro, ovoidali o cilindrici, per unguenti e kylix (vasi per bere). È inoltre possibile vedere gli idoli in terracotta delle donne a forma di ψ, gioielli (collane in pasta di vetro), utensili igienici (rasoi), intagli, armi (punte di lancia), elmi e zanne di cinghiale.La sala termina con tre lastre di bronzo dell'Assiria risalenti al periodo neo-ittita (VIII secolo a.C.). Testimoniano le relazioni tra le due regioni. I loro set evocano una processione con sacerdoti che portano animali al sacrificio e una sfilata di guerrieri (cavalieri e fanti con corazze). Sono stati riutilizzati per coprire oggetti in legno, ora mancanti.\n\nI bronzi.\nQuesta ampia camera (la nº 2) espone oggetti in bronzo, per lo più dei periodi geometrico e arcaico (X e VI secolo a.C.): armi, scudi, elmi, gambali, lebes (vasi) di tutte le dimensioni (miniatura, dimensioni normali o monumentali) come il più antico calderone monumentale superstite su un treppiede risalente al IX secolo a.C., treppiedi, statuette e targhe ornate. Questa è la più grande collezione di bronzi antichi al mondo. Le offerte a Zeus costituiscono la grande maggioranza e dimostrano l'influenza e la ricchezza del santuario in questo periodo.Le offerte a Zeus provengono dall'enorme altare fatto dalle ceneri degli animali sacrificati sull'Altis. Tra queste ceneri, gli archeologi hanno trovato un gran numero di figurine di bronzo umano e animale (e talvolta di argilla) provenienti da tutto il Peloponneso: sono rappresentati i laboratori di Argolide, Corinzia, Laconia ed Elide. I più antichi (IX secolo a.C.) sono quasi astratti. Quanto segue aggiunge poco a poco dei dettagli. Varie interpretazioni sono state proposte per queste statuette. Le figure maschili rappresenterebbero Zeus, a volte guerriero quando c'è l'elmo o la figura di un auriga, a volte un'epifania del dio. Potrebbero anche rappresentare i fedeli nella posizione di pregare. Le figure femminili potrebbero essere Era o un adoratore. Possiamo vedere una figura femminile che cavalca un'amazzone (2 ° quarto dell'VIII secolo a.C.). Un gruppo di sette donne nude che danzano in cerchio potrebbero essere ninfe (VIII secolo a.C.). Le figure animali sono spesso cavalli o tori. I calderoni (di tutte le dimensioni) erano anche un tipo di offerta ricorrente a Zeus. La stanza esibisce tutta la varietà, così come le maniglie (decorate con cavalli nei primi tempi e poi sempre più figure umane o divine come Telchini). Un cavallo (inizi del VII secolo a.C.) in bronzo (ghisa piena) più grande di altre statuette simili esteticamente (e fisicamente nella stanza) segna il passaggio dall'era geometrica all’epoca arcaica. Dal VII secolo a.C. sviluppa uno stile 'orientalizzante' che incorpora nuovi motivi, come leoni, sirene e soprattutto grifoni. Appare anche un nuovo tipo di calderone, il calderone a 'serbatoio inchiodato', che sostituisce il calderone 'serbatoio mobile'. I nuovi modelli sono applicati al bordo del serbatoio. Protomi di sirene o grifoni sono applicati nella decorazione.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nL'epoca arcaica segna un primo apogeo del Santuario e gli oggetti in bronzo di questo periodo sono abbondanti: figurine, placche di bronzo, ma anche armi e scudi (offerte reali o in miniatura). Gli oggetti in bronzo martellato presentati sono notevoli per la loro rarità, come il genio femminile alato. È lo stesso per le lastre di bronzo che coprivano gli oggetti di legno ora mancanti (cassapanche, porte). La placca martellata e scolpita raffigurante un grifone alato è un esempio unico. Le maniglie degli oggetti di uso quotidiano sono sempre più elaborate: il guerriero, il vecchio appoggiato al bastone (550 a.C.), korai (inizi del V secolo a.C.), sfingi opposte su ciascun lato di una pianta (570 - 560 a.C.), un sileno con una candela (530-520 a.C.). I guerrieri o le città vittoriose in battaglia hanno dedicato le loro armi e le armature a Zeus, o piuttosto armi e armature simboliche: non sono tutte sulla stessa scala. Spesso sono incise con un'incisione votiva (con il nome del donatore) o una decorazione. Un'armatura votiva (650-625 a.C.) trovata lungo l’Alfeo, opera di un laboratorio Ionio, dove è decorato in primo piano, Zeus e Apollo (con una cetra) e in secondo piano, dietro Zeus, due divinità maschili; dietro Apollo, due figure femminili identificate come Muse o Vergini iperboree, tutte sullo sfondo di piante e animali fantastici. Gli scudi votivi portano spesso le gorgoni come episodi apotropaici. Caschi votivi sono stati trovati anche a centinaia sul sito: i più numerosi sono quelli di tipo corinzio, poi arrivano gli Illiri e infine i Calcidici.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nLa sala espone anche il parterre centrale, restaurato, in terracotta del tempio di Hera. Le interpretazioni divergono. La più comune è che essa simboleggia la stella solare. Un capo monumentale della dea, in stucco, potrebbe anche venire dal tempio da quando è stato scoperto nelle vicinanze. Opera di un'officina del Peloponneso (circa 600 a.C.), è caratteristica della scultura arcaica, con un sorriso arcaico e occhi a mandorla. Alcune interpretazioni dicono che proviene da un gruppo votivo di Zeus e Hera all'interno del tempio stesso. Altri propongono di vedere una testa sfinge.Una tra le offerte votive più importanti per il santuario di Zeus sono gli elmi dei Dinomenidi offerti dal tiranno di Siracusa Ierone I in occasione della vittoria sugli etruschi nella Battaglia di Cuma del 474 a.C. Negli elmi, due corinzi e uno etrusco vi è un'iscrizione dedicatoria uguale per tutti gli elmi. Un terzo elmo è al British Museum. L'iscrizione recita: ΗΙΑΡΟΝ Ο ΔΕΙΝΟΜΕΝΕΟΣ / ΚΑΙ ΤΟΙ ΣΙΡΑΚΟΣΙΟΙ / ΤΟΙ ΔΙ ΤΙΡΡΑΝΟΝ ΑΠΟ ΚΥΜΑΣ (Ierone figlio dei Dinomenidi e dei siracusani a Zeus dal Tirreno a Cuma).\n\nLe terrecotte.\nLa piccola stanza n. 3 (l'ultima a sinistra) offre principalmente oggetti in terracotta: vasi (prodotti localmente o laconici) ma anche decorazioni architettoniche nei colori conservati dai tesori di Megara e Gela in particolare: frammenti di cornici e frontoni. Si possono anche vedere gioielli in bronzo. Tutti questi oggetti risalgono alla fine del periodo arcaico e all'inizio del periodo classico. Nel mezzo della stanza, un leone, opera di un'officina corinzia, è uno dei primi esempi di scultura monumentale (circa 680-670 a.C.). La parete sud propone il restauro della trabeazione di uno degli unici due tesori che sono stati identificati sul sito: quello di Megara, grazie ad un'iscrizione risalente al periodo romano sull'architrave. Il frontone (5,70 m di lunghezza e 0,75 m di altezza) rappresenta una gigantomachia di cui solo una delle undici figure (un gigante) si trova in un discreto stato di conservazione. Gli dei Zeus, Atena, Heracles, Poseidone e Ares, tuttavia, sono divinizzati. Serpenti e mostri marini completano l'arredamento agli angoli.\n\nSculture monumentali in terracotta.\nLa stanza n. 4 ospita esempi molto rari (a causa della loro fragilità) di terracotta monumentale statuaria. Il gruppo più famoso è quello di Zeus che rapisce Ganimede, rappresentato dello stile severo e opera di un laboratorio corinzio (480-470 a.C.): Zeus ha ancora il 'sorriso arcaico', ma i suoi occhi sono già espressivi. Deve essere stato l'acroterium centrale di uno dei tesori. Sono esposti anche altri tesori di acroteri: un delfino che salta sulle onde (circa 400 a.C.), un leone seduto (metà del V secolo a.C.) o una testa di Atena, con gli occhi a mandorla che indossa un elmo attico e una corona decorata con un fiore di loto (circa 490 a.C.). La stanza esibisce anche oggetti in bronzo. Gli elmetti di Milziade e Gerone erano dedicati a Zeus. Milziade offrì l'elmo (che si trovava nell'argine meridionale dello stadio) che indossava durante la battaglia di Maratona (490 a.C.). Un elmetto assiro, bottino di questa stessa battaglia, consacrata dagli Ateniesi, viene successivamente esposta. L'elmo offerto da Gerone celebra la sua vittoria contro gli Etruschi nella battaglia di Cuma (474 a.C.): un elmo con un'iscrizione simile è nel British Museum. Una testa di ariete di bronzo trovata vicino alla parete ovest dello stadio, un unico antico esempio, risalente alla prima metà del V secolo a.C., è decorato con una testa di ariete.\n\nFrontoni e metope del tempio di Zeus.\nLa grande sala centrale (n. 5) del museo è dedicata al Tempio di Zeus. La sua lunghezza corrisponde alla larghezza del tempio, in modo da esporre i frontoni (42 statue in totale), in stile severo, nella loro interezza. Il frontone è (sulla sinistra mentre entrate dalla sala) rappresenta i preparativi per la corsa dei carri tra Pelope ed Enomao. Il frontone occidentale rappresenta la battaglia tra i Centauri e Lapiti, sotto gli occhi di Apollo, la figura centrale. Le statue sono tutte di marmo Paros, tranne sul frontone occidentale dove le figure sono in marmo pentelico, un segno di restauro durante l'antichità: una donna nell'angolo sinistro (sostituita nel IV secolo a.C.). e le due donne nell'angolo destro (sostituite nel I secolo a.C.). Tracce di colore mostrano che i frontoni furono dipinti.\n\nFrontone est.\nQuesto frontone (datato 470-456 a.C.), con una larghezza di 26,39 m e un'altezza massima di 3,15 m, rappresenta, con 21 statue, i preparativi per la corsa dei carri tra Pelope ed Enomao, uno dei miti fondatori degli antichi Giochi Olimpici. Pausania lo attribuisce allo scultore Peonio di Mende. Le versioni più recenti parlano del 'maestro di Olimpia'. Il frontone risale alla metà del V secolo a.C. Le statue, nella scala 1,5, sono tutte a tutto tondo, tranne tre cavalli. Nessuna delle statue è completa. Nessuna traccia delle carrozze (in bronzo come le armi dei personaggi) è stata trovata tranne dove erano collegati ai cavalli. Il posto delle figure è stato fissato in base al luogo in cui sono stati trovati durante gli scavi, da cui le interpretazioni talvolta divergono contraddittorie.Le ricostruzioni più recenti propongono come figura centrale Zeus, con la saetta in mano. Considerato invisibile ai concorrenti, si rivolse a Pelope, che preferiva. Sulla sinistra, si trova Enomao, con elmetto, una lancia, scomparsa, in mano, poi sua moglie Sterope, con una mano sul mento, come segno di ansia. Poi vengono i cavalli di Enomao. Ai loro piedi c'è una statua le cui interpretazioni variano: alcuni vedono uno sposo sconosciuto, altri Mirtilo, l'auriga di Enomao. Poi vengono un indovino (Clizio o Amitaone), un giovane che potrebbe essere l'auriga Mirtilo di nuovo e, infine, la personificazione del fiume Cladeo in un angolo del frontone, o l'Alfeo secondo altre interpretazioni. Sulla destra, Pelope, con elmo, una lancia scomparsa, nella mano destra e uno scudo scomparso nella mano sinistra. Alla sua destra, la sua futura moglie, il premio per la corsa dei carri, Ippodamia, solleva una sezione del suo peplo, un gesto rituale della sposa. Una giovane donna si prende cura dei cavalli. Poi arriva un indovino (Clizio, Iamo o Amitaone), il viso esprime angoscia perché pianifica l'esito della gara. La seguente figura è di un bambino che gioca con il suo dito del piede. Infine, la personificazione del fiume Alfeo (o Cladeo) all'angolo del frontone.\n\nLe metope.\nAnche in questa stanza ci sono metope (1,50 m per 1,60 m) dal tempio l’opistodomo che rappresenta le opere di Ercole, alcune delle quali sono copie di quelle originali che sono state nel Museo del Louvre a fronte della campagna di Morea. Le quattro metope meglio conservate sono gli uccelli del lago Stinfalo, la terza metopa sul lato ovest (originale al Louvre e copia ad Olimpia); il toro di Creta, la quarta metopa sul lato ovest (originale al Louvre e copia ad Olimpia); le mele d'oro del Giardino delle Esperidi, la quarta metopa sul lato est (l’originale è ad Olimpia) le scuderie di Augia, la sesta metopa sul lato est (originale ad Olimpia). Tutte le metope sono in marmo pario e sono attribuite al 'maestro di Olimpia'.\n\nNike di Peonio.\nUna stanza speciale, la n. 6, è stata riservata alla 'Nike di Peonio', un esempio rappresentativo dello 'stile ricco'. A causa di Peonio, uno scultore di Calcide che firmò il piedistallo, fu dedicata a Zeus nel 421 a.C. dai Messeni e dai lepantini dopo la sconfitta di Sparta a Sfacteria nel 425 a.C. O una delle ultime battaglie della cosiddetta fase di 'guerra archidamica' nella guerra del Peloponneso. La statua, alta 2,11 o 2,90 m secondo le fonti, era su un piedistallo alto 8,81 m a sud-est del tempio di Zeus sull'Altis. È considerata la prima statua monumentale di Nike ('Vittoria') della storia. È anche la prima rappresentazione conosciuta di una Nike in volo. Realizzata in marmo Paros, è danneggiata. Mancano le ali, l'himation (cappotto) che galleggia dietro di lei e il suo viso, ma il suo movimento è ancora visibile. Lei scende dall'Olimpo e sta mettendo piede sul terreno. Ha ancora le ali spiegate. Il suo chitone (tunica), molto vicino al corpo, rivela tutte le forme e le proporzioni. Tracce di pittura hanno mostrato che era dipinto di rosso. Sotto i suoi piedi c'era anche un'aquila di cui rimane solo la testa (le sue ali erano fatte di metallo).\n\nBottega di Fidia.\nIl laboratorio dello scultore Fidia, nella parte occidentale del sito, fu definitivamente identificato nel 1958 grazie alla scoperta di un oinochoe recante il nome del suo proprietario. Questo oinochoe è esposto in questa stanza (n. 7) con strumenti e stampe che sono state usate per realizzare la statua crisoelefantina di Zeus, una delle sette meraviglie del mondo.\n\nL’Hermes di Prassitele.\nLa stanza 8 è stata progettata appositamente per ospitare la statua di Hermes con Dioniso di Prassitele. La statua in marmo di Paros alta 2,13 m ha infatti una base antisismica e un'illuminazione specifica basata sulla luce naturale. L'Hermes fu scoperto nel 1877 nella cella del tempio di Era e fu identificato grazie alla descrizione lasciata da Pausania. Tuttavia, questa attribuzione continua a suscitare polemiche tra gli specialisti. Quando fu scoperta, la statua era in discreto stato di conservazione. Tuttavia, la gamba sinistra sotto il ginocchio, l'intera gamba destra e la parte inferiore del tronco dell'albero dovevano essere restituite. Hermes, appoggiato a un tronco d'albero, è nudo e porta sul braccio sinistro Dioniso ancora piccolo. Nella sua mano sinistra, doveva tenere un caduceo che è scomparso oggi. La mano destra (scomparsa con l'intero braccio tagliato sopra il gomito) doveva contenere un grappolo d'uva che Dioniso stava cercando di afferrare. Tracce di vernice rosso-marrone sono state trovate nei capelli e su un sandalo di Hermes, così come tracce delle intonaco.\n\nLa collezione ellenistica.\nLa collezione ellenistica che copre il periodo dal IV al I secolo a.C. è raggruppata nella piccola stanza n. 9. La collezione è davvero molto ridotta rispetto alle statue offerte al santuario nel corso del tempo. I pezzi sono quasi tutti scomparsi: forse rimossi per adornare Costantinopoli, come la statua crisoelefantina di Zeus, forse distrutta in seguito all'editto di Teodosio II e poi terremoti o forse scomparsi nelle fornaci di calce nei secoli seguenti. In questa stanza, oltre alla ceramica, possiamo vedere una piccola statua maschile allungata, talvolta identificata in Dioniso (IV o III secolo a.C.), una statua di una donna seduta (I secolo a.C.), una testa di Afrodite del tipo 'Afrodite cnidia', così come altri frammenti di statue ed edifici (Leonidaion e Philippeion).\n\nIl ninfeo.\nLa sala 10 contiene la prima parte della collezione romana del museo: le statue del ninfeo eretto da Erode Attico e sua moglie Regilla nel 160 per risolvere i problemi di approvvigionamento idrico del santuario.Su un lato della stanza, le statue, più o meno complete, del piano superiore della fontana dell'esedra sono presentate secondo un arco che richiama la forma originale del monumento. Rappresentano la famiglia allargata di Erode Attico: la testa di M. Appio Bradua (nonno di Regilla); il corpo senza testa di Régillus (figlio di Erode e Regilla); Athenais (figlia minore di Erode), del tipo 'piccola Ercolanese'; il corpo senza testa di Tito Claudio Attico Erode (padre di Erode); una statua centrale di Zeus, del tipo 'Dresda', una copia marmorea di un originale in bronzo del 430 a.C.; una statua femminile senza testa del tipo 'grande ercolanese' e identificata come quella di Regilla; la statua anche acefala di Appio Annius Gallo (padre di Regilla); Attilia Caucidia Tertulla (anch'essa appartenente alla famiglia) e infine Elpinice (figlia maggiore di Erode). Al centro della stanza, come il centro del bacino superiore del toro-fontana, in marmo con una scritta che indica che è stato dedicato a Zeus da Regilla, moglie di Erode e sacerdotessa di Demetra Chamyne. Dall'altra parte della stanza, accanto alle finestre, sono esposte le statue del livello più basso del ninfeo che rappresenta i membri della famiglia imperiale: la statua acefala di Marco Aurelio è stata posta in un naiskos (da cui proviene anche un capitello corinzio esposto nella stessa stanza); Faustina la vecchia (moglie di Antonino Pio); Faustina la Giovane (figlia di Antonino Pio e moglie di Marco Aurelio); una statua di una ragazza che potrebbe rappresentare Lucilla o Annia Faustina, le figlie di Marco Aurelio; la testa di Lucio Vero giovane. È anche possibile vedere una statua completa di Marco Aurelio, una statua di Adriano e, infine, una statua acefala identificato come Erode Attico e anche dal naiskos.\n\nMetrooon ed heraion.\nIl Metroon è un piccolo tempio dorico situato sull'Altis tra i tesori e il tempio di Era. Fu dedicato alla Madre degli dei nel IV secolo a.C. e poi convertito in epoca romana nel tempio di Augusto e Roma. La piccola stanza n. 11 su un lato espone statue di questo edificio (Agrippina minore, madre di Nerone, sacerdotessa, la testa coperta con la sua imazione e Tito) e l'altra quelli del tempio di Era (Herai): una statua di una nobile non identificata, una statua di Poppea (la seconda moglie di Nerone) e una statua di Domizia (moglie di Domiziano).\n\nGli ultimi anni del santuario.\nLa stanza 12 è dedicata agli ultimi 'anni' o ai secoli del santuario. Si può vedere vasi e utensili per la casa in terracotta, così come gli oggetti in bronzo e altri metalli (asce, zappe, vanghe, martelli, ecc) che coprono un periodo che va dal II secolo fino alla fine del VI secolo, inizio del VII secolo quando il sito fu definitivamente abbandonato. Oggetti trovati durante gli scavi del cimitero romano di Frangonissi, due chilometri a est di Olimpia, usati dal I al IV secolo d.C., sono in mostra qui: gioielli, giocattoli (bambole e figure di animali) e soprattutto vasi di vetro, che a volte i vasi più grandi, come un'oinochoe in vetro del V secolo a.C. Gli ultimi articoli cronologicamente e museograficamente sono vasi di terracotta, fatti a mano e prodotti da tribù slave ambientate nella regione nel VI e VII secolo.\n\nI pezzi famosi.\nL'Hermes con Dioniso di Prassitele.\nLa Nike di Peonio di Mende.\nZeus e Ganimede.\nFrontoni del tempio di Zeus.\nIl casco di Milziade.\nMiniatura in bronzo di un cavallo.La statua di Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus era raffigurata sulla banconota da 1000 dracme dal 1987 al 2001." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Museo di Troia.\n### Descrizione: Il Museo di Troia (in Turco Troya Müzesi o Truva Müzesi) è un museo archeologico situato vicino al sito archeologico dell'antica città di Troia, nel nord-ovest della Turchia. Inaugurato nel 2018, espone sette sezioni in un edificio contemporaneo i manufatti storici di Troia e di altre antiche città limitrofe e dalle isole vicine. Il direttore del museo è Ali Atmaca.\n\nEdificio del museo.\nIl Museo di Troia si trova a circa 800 m a est del sito archeologico della città di Troia nel villaggio di Tevfikiye, nel distretto di Ezine nella provincia di Çanakkale, Turchia nordoccidentale.Il concorso di progettazione per l'edificio del museo è stato vinto da Yalın Mimarlık nel 2011. Mimarlık ha progettato l'edificio in uno stile architettonico semplice e contemporaneo. La costruzione è iniziata nel 2013, si è interrotta nel 2015 e ha ripreso nel 2017.\nL'edificio a forma di cubo di quattro piani a pianta quadrata è rivestito in acciaio antichizzato color ruggine per dare l'impressione che sia stato estratto dal sito archeologico. L'altezza dell'edificio è equivalente alla profondità dello scavo nel sito archeologico di Troia. Le aree espositive coprono 2,700 m per un totale di 12,750 m di area interna. Le aree espositive di 32 m × 32 m sono racchiuse da luoghi di lavoro, magazzini e sale conferenze. Il piano interrato è riservato alle funzioni di servizio. L'ingresso al museo è a 12 m tramite un'ampia rampa che conduce a un cancello sotterraneo.\nIl costo totale dell'edificio è stato di ₺ 45 milioni (circa $ 8 milioni). Il museo è stato inaugurato il 10 ottobre 2018, l ''Anno di Troia' come dichiarato in Turchia.\n\nL'esposizione.\nLe nicchie sui muri della rampa d'ingresso contengono lapidi, statue di grandi dimensioni, scene e fotografie di dimensioni murali provenienti dai vari livelli degli scavi di Troia. All'ingresso vengono spiegate al visitatore le informazioni sulla scienza archeologica, i metodi di datazione e i termini come la conservazione e il restauro del patrimonio culturale, i tumuli e i periodi preistorici del Neolitico, Calcolitico, Età del Bronzo ed Età del Ferro a scopo di orientamento. Il museo presenta anche design grafici visivi, diorami e display interattivi.\nIl museo contiene sette sezioni. Il piano terra è riservato ai manufatti della regione della Troade, oggi penisola di Biga. Si tratta di resti archeologici delle antiche città di Asso (Behramkale), Tenedo (Bozcaada), Pario, Alessandria Trode (Eski Stambul), Smintheion, Lampsaco (vicino a Lapseki), Thymbra, Tavolia e Imbro (Gökçeada). In mostra ci sono circa 2.000 pezzi della collezione del museo di circa 40.000 manufatti diversi, che sono stati trasferiti dal Museo Archeologico di Çanakkale, Musei Archeologici di Istanbul e Museo delle Civiltà Anatoliche. È stato richiesto il trasferimento di monete di Troia dal Museo archeologico di Smirne. Le mostre includono raccoglitori di lacrime, bottiglie di profumo in vetro e terracotta, statuette, pezzi d'oro, collane e braccialetti, monete, ornamenti, oggetti e strumenti in osso, contenitori di metallo, ceramiche in terracotta, armi, asce e taglierine, pietre miliari, iscrizioni, altari, sarcofagi sculture e molti altri pezzi speciali della storia di 5.000 anni della zona. Tra i pezzi notevoli ci sono il sarcofago di Polissena scavato nel 1994 e la statua del dio greco Tritone scoperta nel 2012. Manufatti in pietra, colonne, stele e capitelli di colonne sono esposti nel cortile del museo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nannaco.\n### Descrizione: Nannaco (in greco antico Ναννακός Nannakos), in mitologia, è un re antediluviano della Frigia.\n\nLa leggenda.\nSecondo un oracolo, alla sua morte sarebbe avvenuto il Diluvio universale. Per evitare che la profezia si avverasse, il re cercò di convincere gli dei con incessanti preghiere, assieme a tutto il suo popolo. Nacque così l'espressione proverbiale 'lamentarsi con Nannaco'.\nSecondo un'altra versione del mito, Nannaco morì all'età di 300 anni e, immediatamente dopo, un'imponente alluvione distrusse completamente il territorio della Frigia.\n\nFonti.\nIpponatte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Napee.\n### Descrizione: Le Napee (dal greco ναπη, 'valle boscosa') sono le ninfe che presidiano nelle valli e nei prati. Amano la solitudine, ma a volte avevano delle relazioni d'amore con qualche eroe, dal quale esigevano un'assoluta fedeltà.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Napaea, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Naponos.\n### Descrizione: Nàpònòs fu una divinità adorata nelle colonie sicule della Magna Grecia, tipicamente tra Gela e Butera.\n\nDescrizione.\nMorfologicamente Naponos tendeva ad assumere sembianze umane, ma era dotata di tre occhi, di cui il terzo simboleggiava la conoscenza interiore.\n\nResti archeologici.\nTra i ritrovamenti delle fattorie greco-romane nelle campagne buteresi sono state trovate numerose incisioni inneggianti a Naponos; i siti archeologici di Fontana Calda, Desusino e Suor Marchesa hanno dei reperti che citano direttamente la divinità.\nNaponos viene citato nei manoscritti ritrovati nella tomba di Eschilo, a Gela, oltre che nelle numerose incisioni sulle Mura Timoleontee.\nQuesti manoscritti raffigurano la divinità impegnata a concedere la sua saggezza interiore al figlio Minchas, nato dalla sua unione con Stichia, ancella di Venere." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Narciso (mitologia).\n### Descrizione: Narciso (in greco antico: Νάρκισσος?, Nárkissos) è un personaggio della mitologia greca, un giovane cacciatore, famoso per la sua bellezza. Figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso (o, secondo un'altra versione, di Selene ed Endimione), nel mito appare incredibilmente crudele, in quanto disdegna ogni persona che lo ama. A seguito di una punizione divina, s'innamora della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d'acqua e muore cadendo nel lago in cui si specchiava.\nEsistono diverse versioni del mito: una proviene dai Papiri di Ossirinco ma non è attribuita a Partenio; un'altra si trova nelle Narrazioni di Conone, datata fra il 36 a.C. e il 17 d.C., mentre le più note sono la versione di Ovidio, contenuta nelle Metamorfosi, e quella di Pausania, proveniente dalla sua Guida o Periegesi della Grecia.\n\nLa versione ellenica.\nLa versione ellenica del mito appare come una sorta di racconto morale, nella quale il superbo e insensibile Narciso viene punito dagli Dei per aver respinto tutti i suoi pretendenti di sesso maschile e, in un certo qual senso, lo stesso Eros. Il racconto è quindi pensato come una storia di ammonimento rivolto ai giovani.Fino a poco tempo fa, le due fonti per questa versione del mito erano un compendio delle opere di Conone, un greco contemporaneo di Ovidio, conservato nella Biblioteca di Fozio e un brano di Pausania, vissuto circa 150 anni dopo Ovidio. Un racconto molto simile è stato però scoperto nel 2004 tra i papiri di Ossirinco, che si crede messi per iscritto da Partenio. Questa versione precede quella di Ovidio di almeno cinquant'anni.\nIl mito greco narra che Narciso aveva molti innamorati, che lui costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo un giovane ragazzo, Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse l'addome davanti alla sua casa, avendo prima invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta.La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di se stesso. Completando la simmetria del racconto, preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise trafiggendosi il petto. Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue, si dice che spuntò per la prima volta l'omonimo fiore.\n\nLa versione romana.\nNel racconto di Ovidio, probabilmente basato sulla versione di Partenio, ma modificata al fine di aumentarne il pathos, Eco, una ninfa dei monti, si innamorò di un giovane vanitoso di nome Narciso, figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e della ninfa Liriope. Cefiso aveva circondato Liriope con i suoi corsi d'acqua e, avendola così intrappolata, aveva sedotto la ninfa, che diede alla luce un bambino di eccezionale bellezza. Preoccupata per il futuro del bimbo, Liriope consultò l'indovino Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia 'se non avesse mai conosciuto se stesso.'Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età era un giovane di tale bellezza, che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, s'innamorava di lui; ma Narciso, orgogliosamente, respingeva tutti. Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra i boschi, desiderosa di rivolgergli la parola, ma era incapace di parlare per prima, perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto; era stata infatti punita da Giunone, perché l'aveva distratta con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove, si nascondevano.\nNarciso, quando sentì dei passi, gridò: 'Chi è là?', Eco rispose: 'Chi è là?' e così continuò, finché Eco non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo modo la ninfa, dicendole di lasciarlo solo. Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce.Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso. Il ragazzo, mentre era nel bosco, s'imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, s'innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso. Solo dopo un po' si accorse che l'immagine riflessa apparteneva a se stesso e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell'amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia.\nQuando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore, al quale fu dato il nome di narciso. Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso.\n\nLa versione di Pausania.\nPausania individua la fonte di Narciso a Tespie, in Beozia. Lo scrittore greco trova poco credibile che qualcuno non sia in grado di distinguere un riflesso da una persona reale e cita una variante meno nota, alla quale dà più credito.\nIn questa versione, Narciso aveva una sorella gemella, del tutto somigliante a lui, con la quale andava spesso a caccia. Narciso alla fine s'innamorò di lei e, quando questa morì, recandosi alla fonte, capì di vedere la propria immagine, ma quel viso assomigliava così tanto alla sorella amata, che gli era di grande consolazione.\nPausania, inoltre, fa notare che il fiore narciso doveva esistere ben prima del personaggio omonimo, visto che il poeta epico Pamphos, vissuto molti anni prima, nei suoi versi narra che, quando Persefone fu rapita da Ade, stava raccogliendo proprio dei narcisi.\n\nNella cultura di massa.\nIl mito di Narciso è stato un'assidua fonte d'ispirazione per gli artisti fino ai giorni nostri, anche ben prima che il poeta latino Ovidio includesse una versione del mito nel libro III delle sue Metamorfosi.\n\nPittura.\nFra i principali pittori che hanno dedicato opere al mito di Narciso si possono citare: Caravaggio (Narciso, 1600 ca.), Nicolas Poussin (Narciso ed Eco, 1630 ca.), François Lemoyne (Narciso, 1728), William Turner (Narciso ed Eco, 1804), John William Waterhouse (Eco and Narciso, 1903), Salvador Dalí (Metamorfosi di Narciso, 1937).\n\nLetteratura.\nIl mito e la figura di Narciso sono stati ripresi in secoli più recenti da vari poeti, ad esempio John Keats e Alfred Edward Housman.\nIl mito ha influenzato la cultura omoerotica dell'era vittoriana, attraverso lo studio di André Gide del mito (Il Trattato di Narciso, 1891) e l'opera di Oscar Wilde, soprattutto il romanzo Il ritratto di Dorian Gray.\nFëdor Dostoevskij utilizza in alcune poesie e romanzi personaggi con un carattere simile a Narciso (come Jakov Petrovic Goljadkin ne Il sosia, 1846).\nNel romanzo di Stendhal Il rosso e il nero (1830) il personaggio di Mathilde mostra un tipico carattere narcisista; dice difatti il principe Korasoff a Julien Sorel: 'Guarda solo se stessa, invece di guardare voi, e così non vi conosce'.\nHerman Melville fa riferimento al mito di Narciso nel suo romanzo Moby Dick, quando Ismaele spiega che il mito è la chiave di tutto, riferendosi alla questione se sia possibile ritrovare l'essenza della verità all'interno del mondo fisico.\nNei Poemi Conviviali il poeta italiano Giovanni Pascoli dedica il poemetto I Gemelli a Narciso, traendo ispirazione dalla variante riportata da Pausania.\n\nLo scrittore e poeta Rainer Maria Rilke visita il carattere e il simbolismo di Narciso in molte delle sue poesie.\nNarciso ha ispirato anche Edgar Allan Poe nel suo William Wilson.\nNel 1930 la figura di Narciso è riproposta dallo scrittore tedesco Hermann Hesse col romanzo Narciso e Boccadoro, nel quale il personaggio è presentato in veste di monaco medievale; qui il 'narcisismo' si basa sulla sua intelligenza, piuttosto che sulla bellezza fisica.\nUn personaggio del Santuario (1931) di William Faulkner viene denominato Narcissa; è la sorella di Orazio, la quale prova una sorta di amore incondizionato nei confronti del fratello.\nAnche il libro di Paulo Coelho L'alchimista (1988) inizia con un riferimento a Narciso.\nSéamus Heaney cita Narciso nel suo poema Personal Helicon dalla sua prima collezione Death of a Naturalist.\n\nMusica.\nA Narciso è dedicato il secondo pezzo del trittico dei Miti op. 30 per violino e pianoforte, del compositore polacco Karol Szymanowski.\nSono state dedicate varie canzoni a questo tema: License to Kill di Bob Dylan si riferisce indirettamente a Narciso; il gruppo metal greco Septic Flesh ha inciso una canzone su Narciso (intitolata Narcissus) nel suo album Communion; il testo della canzone Reflection dei Tool è parzialmente incentrato sul mito di Narciso; altre canzoni inerenti al mito sono: Narcissus di Alanis Morissette, The daffodil lament di The Cranberries e Deep six di Marilyn Manson.\nFra gli autori italiani si può citare: Narciso, tratta dall'album Pierrot Lunaire del gruppo omonimo, La lira di Narciso, tratta dall'album Bianco sporco dei Marlene Kuntz, Parole di burro tratta dall'album Stato di necessità di Carmen Consoli, Una storia d'amore e di vanità di Morgan (Da A ad A. Teoria delle catastrofi), La Cantata del Fiore di Nicola Piovani, Eco e Narciso di Francesco Camattini ed Eco e Narciso-il musical di Nicola e Gianfranco Salvio. Tra i brani di rap italiano ispirati alla figura di Narciso, figurano Specchio di KenKode & Rancore, Narciso di Mattak, Narciso di Beba e Narciso di Lanz Khan presente nell'album Jack Di Fiori.\n\nSu pellicola.\nPink Narcissus (1971) è un film artistico di James Bidgood sulle fantasie di un ragazzo dedito alla prostituzione maschile.\nL'autore Norman McLaren ha concluso la sua carriera nel 1983 con un cortometraggio intitolato Narciso, nel quale racconta la leggenda greca attraverso il balletto.\nNel film tunisino del 2005 Bab'Aziz - Il principe che contemplava la sua anima diretto da Nacer Khemir il mito di Narciso viene interpretato dalla figura di un antico principe, il quale sta seduto davanti ad un laghetto cercando di guardarvi dentro, giorno dopo giorno, il riflesso della propria anima.\n\nAdozione del termine 'narcisismo' in psicologia.\nNel 1898 Havelock Ellis, un sessuologo inglese, usa il termine narcissus-like in un suo studio sull'autoerotismo, in riferimento alla 'masturbazione eccessiva', in cui la persona diventa il proprio unico oggetto sessuale.Nel 1899, Paul Näche è la prima persona ad utilizzare il termine 'narcisismo' in uno studio sulle perversioni sessuali.\nNel 1911, Otto Rank pubblica il primo scritto psicoanalitico specificamente centrato sul narcisismo, collegandolo alla vanità e all'auto-ammirazione.Nel 1914, Sigmund Freud pubblica un saggio sul narcisismo, intitolato Introduzione al narcisismo, nel quale amplia il significato del termine, introducendo i concetti di narcisismo primario e di narcisismo secondario o protratto.\nAttualmente un disturbo della personalità è denominato disturbo narcisistico di personalità e, in generale, col termine 'narcisismo' si viene ad indicare l'amore, spesso esagerato, che una persona prova per la propria immagine e per se stesso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nasso (isola).\n### Descrizione: Nasso (detta anche Naxos o in greco Νάξος?) è la più grande (428 km²) delle Cicladi, isole della Grecia situate nel Mar Egeo. Faceva parte della Prefettura delle Cicladi e attualmente fa parte dell’unità periferica di Nasso che fa a sua volta parte della Periferia dell'Egeo Meridionale.\nLa sua città più grande nonché capitale è Chora (Χώρα) che conta 12.000 abitanti. I più importanti villaggi sono Filoti, Apiranthos, Tragea, Koronos, Sangri e Apollonas.\nNasso è una conosciuta destinazione turistica con diverse località archeologiche di facile accesso, degni di nota sono la Portara, ovvero la porta del Tempio di Apollo, il Tempio di Demetra e la chiesa di San Giorgio Diasoritis. Possiede molte spiagge considerate molto belle dai turisti quali Sant'Anna, San Procopio, Alikos, Kastraki, Mikri Vigla, Plaka e San Giorgio, la maggior parte delle quali situate sul lato occidentale dell'isola.\nÈ l'isola più fertile delle Cicladi e al suo interno si erge il monte Zas (1004 m).\n\nGeografia.\nIsola montuosa (la cima più alta è quella di Zas, 1004 m), la più alta di tutte le Cicladi.\n\nStoria.\nPrimi abitanti ed epoca arcaica.\nSecondo il mito, raccontato spesso con alcune varianti, Arianna, che aveva aiutato Teseo a uccidere il Minotauro, fu abbandonata a Nasso (da cui l'espressione 'piantare in Nasso', diventata poi 'piantare in asso'), allora chiamata Dia. Dopo poco sopravvenne Dioniso su un carro tirato da pantere che, conosciutala, volle sposarla.\nNasso fu abitata per la prima volta, secondo la tradizione, dai Traci che vi portarono anche il culto del dio Dioniso. Furono seguiti dai Cari. Fu anche il centro della civiltà cicladica (3200-2100 a.C.).\nIn località Apollonas e Fleriò sono stati rinvenuti 2 Kouroi del VII secolo a.C.. E sempre tra il VII secolo a.C. e il VI secolo a.C. vennero costruiti i magnifici 5 leoni (che in origine erano 9) donati al santuario di Apollo a Delo.\nNel 547 a.C., con l'aiuto di Pisistrato, Ligdami divenne tiranno di Nasso. Ligdami inoltre iniziò la costruzione della Portara nel 530 a.C. e sempre nello stesso anno iniziò la costruzione del tempio di Demetra che insieme a quello di Apollo erano atti a simboleggiare lo sviluppo urbanistico prendendo ispirazione da Pisistrato ad Atene. Il tempio situato.\nnelle vicinanze del villaggio di Angri, venne poi abbandonato e riutilizzato come chiesa nel V secolo d.C. per poi essere saccheggiato e distrutto dai pirati ed infine i suoi marmi essere usati per le abitazioni durante il periodo veneziano e ottomano.\n\nGuerre persiane.\nNel 502 a.C. gli abitanti di Naxos si ribellarono al giogo dell'impero persiano. Questa rivolta incitò in Asia Minore la rivolta ionica che a sua volta condusse alla I Guerra Persiana. Nel 499 a.C. Aristagora e Artaferne assediarono l'isola dando il via alle guerre persiane.\n\nPeriodo bizantino.\nDurante il VII e VIII secolo Naxos è il centro commerciale più importante delle Cicladi. Sempre sotto il dominio bizantino, nell'XI secolo nelle vicinanze del villaggio di Halki venne costruita la chiesetta di agios Georgios Diasoritis sui resti di un tempio paleocristiano. L'edificio all'interno è ricoperto di affreschi del secolo rappresentati il cristo coronato dagli arcangeli, le principali scene dei Vangeli e ovviamente san Giorgio. La chiesa è a croce greca e la cupola è sorretta da 4 pilastri.\n\nI Duchi di Naxos.\nDopo la quarta crociata essendo sul trono di Costantinopoli un imperatore favorevole alla Serenissima, il veneziano Marco Sanudo conquistò l'isola e di lì a poco anche il resto delle Cicladi, nominandosi Duca di Naxos o anche Duca dell'Arcipelago. Le Cicladi furono governate fino al 1566 da 21 duchi divisi in due dinastie, fino a quando il pirata ottomano Khayr al-Dīn Barbarossa la conquistò ponendola sotto il dominio ottomano. Il controllo veneziano dell'Egeo continuò su alcune isole fino al 1714. Sull'isola sono presenti varie abitazioni in stile veneziano in particolare il capoluogo conta alcune splendide residenze veneziane con i rispettivi stemmi nobiliari; una di queste ospita il 'Museo Veneziano della Rocca-Barozzi'. Grazie ai veneziani inoltre si diffuse il cattolicesimo nelle Cicladi e in particolare sull'isola che conta anche una cattedrale, nonostante la maggioranza rimanga ortodossa.\n\nNaxos ottomana.\nL'amministrazione ottomana che successe al Ducato di Naxos lasciò sostanzialmente tutto nelle mani dei veneziani, essendo soddisfatti con le entrate fiscali delle isole. Pochi furono i turchi che si trasferirono alle cicladi e l'influenza turca è tutto sommato trascurabile. La sovranità turca durò fino alla rivolta del 1821.\n\nCucina.\nNel territorio dell'isola è coltivata una patata, IGP dal 29 novembre 2011.\n\nIl mito di Arianna e la possibile origine della locuzione 'piantare in asso'.\nSecondo una nota ricostruzione, la frase idiomatica italiana 'piantare in asso' deriverebbe per corruzione linguistica dall'originaria espressione 'piantare in Nasso' e affonderebbe le proprie radici nella mitologia greca: Arianna, dopo aver aiutato con il suo filo l'eroe ateniese Teseo a sconfiggere il Minotauro e a uscire dal labirinto di Cnosso, fuggì insieme agli ateniesi, ma fu abbandonata ('piantata') da Teseo sull'isola di Nasso, per motivi che il mito non chiarisce.\nStudi più recenti, tuttavia, suggeriscono un etimo differente per la locuzione popolare, ossia «fare il punto più basso (l'uno)» alle carte o ai dadi». In base a tale ricostruzione, per 'piantare in asso' deve intendersi «lasciare solo, abbandonare inaspettatamente o bruscamente, presa la similitudine dall'asso, che sta solo ed è il punto peggiore (...)».\nSecondo l'Accademia della Crusca, 'piantare in asso' avrebbe apparentemente un'origine anteriore a 'piantare in Nasso': l'impiego della seconda forma risulta comunque formalmente corretto, essendosi attestato nel corso dei secoli parallelamente alla prima.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nauplio (mitologia).\n### Descrizione: Nauplio (in greco antico Ναύπλιος, Nàuplios) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Clitoneo e padre di Palamede, Eace e Nausimedonte.\n\nMitologia.\nFu il fondatore della città di Nauplia e re dell'Eubea. Per vendicare il figlio lapidato dai suoi stessi compagni insinuò il dubbio tra le donne dei comandanti greci circa la condotta dei loro mariti, i quali a suo dire spendevano buona parte del tempo in compagnia di concubine locali che in seguito intendevano riportare in Grecia. Conseguenza di questo gesto fu tra l'altro il tradimento di Clitennestra con Egisto.\nFu sempre Nauplio che fece pervenire ad Anticlea, madre di Ulisse, la falsa notizia che il figlio era morto in combattimento, cosa che portò la donna al suicidio. Non pago ingannò la flotta achea di ritorno da Troia: durante la notte fece accendere dei fuochi lungo la scogliera, sul monte Cafareo; molte navi della flotta, credendo di essere in prossimità di un porto, vi andarono a naufragare.Lo scopo principale di Nauplio era la morte di Ulisse, il responsabile dell'inganno contro Palamede, ma saputo che egli si era salvato, il re dell'Eubea si uccise. Secondo un'altra versione fu lo stesso Zeus che, per punire la vendetta troppo cruenta, gli fece fare un'analoga fine a quella che aveva procurato ai nemici, facendo schiantare la sua nave contro alcuni scogli.\nNauplio è citato anche fra gli Argonauti e, grazie alle sue abilità al timone, guidò in alcune occasioni la nave Argo dopo la morte del timoniere Tifi.\n\nNauplio figlio di Poseidone.\nNella mitologia greca è presente un altro Nauplio, figlio del dio del mare Poseidone e della danaide Amimone. I miti sui due a volte si confondono, e anche questo Nauplio è indicato come fondatore della città di Nauplia e provetto navigatore. Apollonio Rodio però distingue chiaramente tra i due e fornisce anche una linea genealogica che li collega: Nauplio I –Preto – Lerno – Naubolo – Clitoneo – Nauplio II." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Neade.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le neadi (Νηαδες, Nêades) erano animali mitologici che avevano abitato Samo in tempi antichi. Si trattava, secondo le leggende, di mostri giganteschi, feroci e pericolosi, il cui ruggito assordante era in grado di squarciare la terra, provocando terremoti. Tale caratteristica era proverbiale; Claudio Eliano cita infatti un modo di dire tipico dell'isola di Samo, ossia 'ruggisce più forte delle neadi'. Secondo alcune versioni del mito, riportate dallo storico greco Euagone, le creature vennero tutte uccise da una grande frana provocata da un terremoto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nebris.\n### Descrizione: Nebris (o nebride, sostantivo femminile, dal greco νεβρίς-ίδος, derivato da νεβρός, cerbiatto) è una pelle di cerbiatto, simile a un'egida, originariamente indossata come capo d'abbigliamento di cacciatori e poi attribuito a Dioniso (Euripide, Le Baccanti, 99, 125, 157, 790; Aristofane, Le rane, 1209; Dionigi il Periegeta, 702, 946; Rufo Festo Avieno, 1.129), e adottato di conseguenza dai suoi adepti in processioni e cerimonie che si tenevano in suo onore durante le celebrazioni liturgiche delle Dionisie.\nUna xilografia dall'opera Vases di Sir William Hamilton (I, 37), riproduce una sacerdotessa di Bacco nell'atto di offrire un nebris al dio o a uno dei suoi ministri.\nNelle opere di arte antica la si vede non solo indosso a menadi e baccanti maschi, ma anche a figure di Pan e di Satiri.\nÈ comunemente indossata allo stesso modo dell'egida, o pelle di capra, legando le due zampe anteriori sopra la spalla destra in modo da permettere al corpo della pelle di coprire il lato sinistro di chi la indossa (Ovidio, Metamorfosi, VI, 593)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Neikea.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Neikea (in greco: Νείκεα; singolare: Νεῖκος Neikos) erano le dee di litigi, faide e rancori. La Teogonia di Esiodo le identifica come figlie di Eris attraverso partenogenesi e sorelle di Ponos, Lete, Limós, Algos, Hysminai, Makhai, Phonoi, Androktasiai, Pseudea, Logoi, Amphillogiai, Disnomia, Ate e Horkos." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nekyia.\n### Descrizione: Nella cultura e nella letteratura greca, la Nekyia (in greco antico: νέκυια?) è un rito attraverso il quale spettri o anime di defunti venivano richiamati sulla terra e interrogati sul futuro, ovvero un rito che oggi definiremmo 'necromantico'. Una Nekyia, tuttavia, non è necessariamente assimilabile ad una catabasi (discesa nel mondo degli inferi).\n\nBenché entrambe le possibilità offrano l'occasione di parlare con i defunti, solo la catabasi è il viaggio fisico vero e proprio nell'aldilà, intrapreso da diversi eroi della mitologia greca e romana, come ad esempio Enea (Eneide, VI).\nIn ogni caso, nella sua comune accezione, il termine Nekyia è usato per riferirsi ad entrambi gli eventi, e ciò accade fin dalla Tarda Antichità, visto che Olimpiodoro il Giovane (vissuto tra il 495 e il 570 d.C.) affermava che tre miti platonici erano classificati come Nekyia.\n\nInterrogare i fantasmi.\nUn certo numero di siti, in Grecia e in Italia, erano interamente o in parte dedicati a questa pratica. 'L'Aldilà comunicava con la terra tramite canali diretti. Questi erano caverne le cui profondità erano insondate, come quella di Eraclea Pontica. Il più importante era il Necromanteion, nella città di Ephira (attuale Kichyro), nella Grecia Nord-occidentale. Altri oracoli della morte si trovavano a Capo Matapan e a Cuma, in Italia. Queste località specializzate, tuttavia, non erano le sole dove la Negromanzia era praticata. Il rito poteva essere celebrato anche vicino ad una tomba. Gli dèi associati con la Nekyia erano Ade e sua moglie Persefone, così come Ecate ed Hermes (nel suo ruolo di psicopompo, ovvero la figura che accompagna i defunti nell'Oltretomba).\n\nL'Odissea.\nIl più antico riferimento a questa pratica ci viene dal Libro XI dell'Odissea, che nell'antichità classica era chiamato Nekyia. Odisseo era stato incaricato di compiere un viaggio di un tipo molto diverso rispetto a quello cui era abituato, trovando la via per le sale dell'Ade, attraverso il Fiume Oceano, passando per la terra dei Cimmeri. Lì egli consulta l'anima dell'indovino Tiresia (egli, infatti, mantiene la sua facoltà intellettiva solo perché Persèfone glielo concede) riguardo alle possibilità di ritornare a casa, ad Itaca, in un contesto oscuro di sacrificio negromantico, pieno di rumori inquietanti e circondato da spiriti. Odisseo sacrifica un montone ed una pecora nera (e prima di questi una offerta di latte e miele, poi di vino, una terza di acqua, il tutto cosparso di farina d'orzo) in una fossa, per permettere a Tiresia di berne il sangue e incontrare e parlare con le anime degli eroi defunti.\nLa storia del viaggio di Odisseo nell'Ade fu seguita da altri racconti di viaggi simili intrapresi da altri eroi, come quello di Enea, sebbene ve ne siano altri, come la Catabasi (dal greco κατάβασις) di Eracle, che, nella sua tradizione, presenta elementi vistosamente diversi dalla Nekyia. Questo viaggio nel mondo dei morti è diventato un topos (in grecο τόπος).\nIl drammaturgo ateniese Eschilo rappresentò l'uso di 'Nekyiai' vicino alle tombe in due sue opere, I Persiani e le Coefore. fine da mei.\n\nJung.\nCarl Gustav Jung usò il concetto di Nekyia come parte integrante della sua Psicologia Analitica. 'La Nekyia (...) è l'introversione della mente cosciente negli strati più profondi della psiche incosciente'. Per Jung 'la Nekyia non è una caduta nell'abisso distruttiva e priva di scopo, ma una significativa Catabasi, il cui obiettivo è il ripristino dell'intero uomo'.\nJolande Jacobi aggiunse che 'Questa 'grande Nekyia' è intrecciata con innumerevoli esperienze di Nekyiai minori'.\n\nUn Viaggio Notturno sul Mare.\nJung usò le immagini della Nekyia, del 'viaggio notturno sul mare, la discesa nell'ombelico del Mostro (viaggio all'inferno)' e della Catabasi (discesa nel mondo inferiore) in modo quasi interscambiabile. I seguaci a lui più vicini le vedevano come indistinguibili metafore per 'una discesa nei caldi, oscuri orizzonti dell'inconscio, un viaggio verso l'inferno e la morte', enfatizzando per esempio il fatto che 'il grande arco del viaggio notturno sul mare include diversi ritmi minori, archi minori sullo stesso modello primordiale'. Proprio come la Nekyia.\nIl Post-Jungiano James Hillman, in ogni caso, fece alcune chiare distinzioni tra le due cose:.\n'La discesa nell'Oltretomba può essere distinta in diversi modi dal viaggio notturno sul mare dell'eroe: egli ritorna dal viaggio in una forma migliore per affrontare i doveri della vita, dove invece la Nekyia trascina l'anima nel profondo solo per la sete di se stessa, e quindi non ha un 'ritorno'. Il viaggio notturno è ulteriormente marcato dalla costruzione di un impeto interiore, dove invece la Nekyia va al di sotto di questo contenimento sotto pressione, temperando il fuoco della passione, fino ad una zona di freddo assoluto. L'immagine del Diavolo ancora perseguita le paure del nostro inconscio e le latenti psicosi che presumibilmente si celano lì, e ancora ci rivolgiamo ai metodi del Cristianesimo (moralizzazione, varietà di emozioni, condivisione, e ingenuità infantile) come propiziazione contro le nostre paure, invece della classica discesa al loro interno, la Nekyia dentro l'immaginazione. Solo dopo questa Nekyia Freud, come Enea, che ha trasportato l'anziano padre sulla spalle, può finalmente entrare a 'Roma''.\n\nRiferimenti Culturali.\nLa concezione della Nekyia di Thomas Mann attinge abbondantemente dalle dottrine dell'Oriente, dalla Gnosticismo e dall'Ellenismo.\nJung considerava il primo periodo blu di Picasso come un simbolo della Nekyia, una discesa nell'inferno e nell'oscurità.\nOggi 'Nekyia' è un nome assunto da diversi gruppi artistici e musicali.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su nekyia.\n\nCollegamenti esterni.\n\nnèkyia, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\nnékyia, su sapere.it, De Agostini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Neleo.\n### Descrizione: Neleo (in greco antico Νηλεύς Nēlèus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Tiro, figlia di Salmoneo, fratello gemello di Pelia e fratellastro di Esone, Fere ed Amitaone, che Tiro ebbe da Creteo.\n\nMitologia.\nLa madre di Neleo, Tiro, si innamorò di Enipeo, il dio-fiume della Tessaglia. Poseidone, che desiderava Tiro, saputo ciò assunse le sembianze del fiume e la sedusse. Terminato l'atto prese nuovamente le proprie sembianze e le rivelò la verità, profetizzandole che avrebbe avuto entro l'anno due 'splendidi figli'. Tiro così partorì Pelia e Neleo per poi sposare lo zio paterno Creteo, che adottò i gemelli.\nSecondo Apollodoro invece, una volta partoriti i gemelli Tiro li espose. Mentre i bambini giacevano abbandonati, una cavalla ne colpì uno con lo zoccolo e gli provocò un livido. Il mandriano che raccolse i bambini chiamò Pelia (dal greco πελιόν peliòn, livido) quello colpito e Neleo l'altro. Divenuti adulti ritrovarono la madre e uccisero Sidero, la seconda moglie del nonno Salmoneo, che maltrattava Tiro. In seguito però i due gemelli entrarono in conflitto tra loro e Neleo fu costretto dal fratello ad abbandonare Iolco.\nNeleo trovò ospitalità presso lo zio Afareo, che gli cedette la parte costiera della Messenia, dove fondò Pilo. Per Pausania invece, non fu Neleo a fondare Pilo, ma si limitò a governarla.\nIn Messenia Neleo sposò Clori, figlia di Anfione, dalla quale ebbe una femmina, Però, e dodici maschi, dei quali il più noto è Nestore. Un altro dei figli di Neleo, Periclimeno, ottenne dal nonno Poseidone, il potere di cambiare aspetto a suo piacimento. Gli altri suoi figli sono: Ipsenore, Alastore, Asterio, Pilaone, Deimaco, Euribeo, Epilao, Frasio, Eurimene, Evagora e Tauro.\nApollodoro racconta poi che Eracle, in seguito all'omicidio di Ifito a causa di uno dei suoi ricorrenti accessi di follia, per purificarsi da quel delitto si recò a Pilo da Neleo, che però lo scacciò a causa dei rapporti di amicizia che lo legavano a Eurito, che aveva accusato Eracle di averlo derubato delle sue mandrie. In seguito, durante la guerra contro Pilo, Eracle uccise Neleo e tutti i suoi figli eccetto Nestore, che allora si trovava a Gerenia. Pausania riferisce però un'altra versione della morte di Neleo, che non sarebbe stato ucciso da Eracle, ma che sarebbe morto a Corinto 'a causa di una malattia, e fu sepolto presso l'istmo.'.\n\nLetteratura latina.\nLa vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nemea.\n### Descrizione: Nemea (in greco Νεμέα?) è un comune della Grecia situato nella periferia del Peloponneso (unità periferica della Corinzia) con 7.286 abitanti secondo i dati del censimento 2001A seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni, la superficie del comune è ora di 205 km² e la popolazione è passata da 4.249 a 7.286 abitanti.\nA pochi chilometri a nord-est dell'attuale paese sorge il sito archeologico della Vecchia Nemea, chiamata anche Eraclea o Iraklion, in onore dell'eroe che qui compì una delle sue dodici fatiche.\n\nStoria.\nNella mitologia greca, Nemea, retta dal re Licurgo, forse lo stesso Licurgo divenuto famoso come legislatore di Sparta, e dalla regina Euridice, è famosa per essere la patria del Leone Nemeo, ucciso dall'eroe Eracle in una delle sue dodici fatiche. Nemea era inoltre la sede dei Giochi Nemei, una delle maggiori manifestazioni sportive dell'Antica Grecia. Tali giochi si tenevano ogni due anni ed erano dedicati a Zeus. Secondo la leggenda, questa manifestazione venne creata dai sette guerrieri capeggiati da Polinice, protagonista della tragedia di Eschilo, I sette contro Tebe, colpevoli accidentalmente della morte del principe Ofelte, morto in tenera età.\nUna seconda versione della leggenda narra che i giochi siano stati creati da Eracle dopo aver sconfitto il Leone Nemeo.\n\nLa Battaglia di Nemea.\nNel 394 a.C., durante la guerra di Corinto, vi si combatté una battaglia tra le truppe della Lega Peloponnesiaca, comandate dallo spartano Aristodemo, e una coalizione di città formata da Atene, Argo, Tebe e Corinto, decisa a mettere fine all'egemonia spartana, alla cui origine vi era la vittoria su Atene nella guerra del Peloponneso.\nNonostante l'evidente inferiorità numerica, 18000 opliti tra spartani e alleati contro 24000 opliti della coalizione guidata dagli ateniesi, la battaglia fu vinta dalla Lega Peloponnesiaca, che alla fine della giornata lasciò sul campo 2800 guerrieri nemici, contro le 1100 perdite subite.\n\nIl sito archeologico.\nL'Antica Nemea, chiamata anche Eraclea, è posta immediatamente a est-sudest dell'attuale sito. Nell'antico centro aveva sede il Tempio di Zeus di Nemea, presso il quale, dal 573 a.C., si tenevano ogni due anni i Giochi di Nemea. Del tempio rimangono ancora 3 colonne risalenti al IV secolo a.C. mentre altre sei sono state restaurate e nuovamente erette, due nel 2002 e altre quattro nel 2007. Il complesso attorno al tempio è stato recentemente riportato alla luce, facendo emergere l'altare, i bagni e l'albergo destinato ai facoltosi spettatori dei Giochi. Il tempio si erge sul sito di un precedente tempio, risalente al periodo arcaico, del quale rimane visibile oggi solamente una parte di fondamenta.\nLo stadio adibito ai Giochi, è stato scoperto recentemente, insieme al suo ben conservato tunnel d'accesso, datato intorno al 320 a.C. e su cui sono stati trovati antichi graffiti.\nNel 2021 il sito archeologico ha ottenuto il Marchio del patrimonio europeo.\n\nEconomia.\nL'economia locale è basata principalmente sull'agricoltura e sulla viticoltura, caratteristica comune anche agli altri piccoli villaggi della zona, come Koutsi, Petri, e Leriza. Nemea ospita inoltre una sede della DK Distributors.\n\nRegione vinicola.\nCollocata nel Peloponneso, poco distante da Corinto, la zona di Nemea, era già nota in tempi antichi per la fiorente produzione vinicola, tanto che Omero chiamo la zona Ampelóessa, 'colma di vini'. Oggi la denominazione di Nemea è la più importante tra le Denominazione di Origine Controllata della Grecia meridionale, e probabilmente di tutta la Grecia. A Nemea l'Agiorgitiko, un tipo di uva a bacca rossa, è utilizzato per produrre un vino noto come Sangue di Eracle o di San Giorgio, famoso per il suo colore rosso profondo tendente al blu e al viola, per il suo aroma complesso e per il suo gusto persistente." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nerito.\n### Descrizione: Nerito o Nerite (in greco antico: Νηρίτης?, Nērítēs), è un personaggio della mitologia greca ed unico figlio maschio di Nereo e di Doride e quindi fratello delle cinquanta Nereidi.\n\nMitologia.\nDalle sorelle e dai genitori aveva ereditato un bellissimo aspetto, tanto da far innamorare Afrodite nel periodo in cui la dea viveva nel mare. Quando Afrodite dovette salire sull'Olimpo volle portare con sé Nerito ma il giovane preferì restare con il padre Nereo e le sorelle e la dea lo trasformò in una conchiglia.\nIn un altro mito tale metamorfosi è attribuita alla gelosia che Elio provava per la rapidità con cui Nerito, amante di Poseidone, seguiva il dio tra le onde." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nesea.\n### Descrizione: Nesea è un personaggio della mitologia greca. È una delle Nereidi, ninfe del mare figlie di Nereo e protettrici dei naviganti. Fu la nutrice di Aristeo e compagna di sua madre, la ninfa Cirene." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nestore (mitologia).\n### Descrizione: Nestore (AFI: /nèstore/; in greco Νέστωρ) è una figura della mitologia greca. Appare nell'Iliade e nel III libro dell'Odissea.\n\nIl personaggio.\nFiglio del re di Pilo Neleo e di Cloride, divenne re dopo l'uccisione del padre e dei fratelli da parte di Ercole.\nFu il più vecchio e il più saggio tra i sovrani greci che, sotto la guida di Agamennone, assediarono Troia. Ancora oggi molti modi di dire lo citano come sinonimo di vecchio saggio.\nIn gioventù Nestore fu un valente guerriero e partecipò a molte imprese importanti, tra le quali la lotta dei Lapiti contro i centauri, la caccia al cinghiale di Calidone sotto la guida di Meleagro e la ricerca del vello d'oro con gli Argonauti.\nSalito al potere a Pilo, Nestore sposò Anassibia (o Euridice, a seconda delle versioni), la quale gli diede numerosi figli: Antiloco (che morì a Troia), Trasimede (che fu tra coloro che entrarono nel cavallo di legno), Echefrone, Stratio, Perseo (omonimo dell'eroe figlio di Zeus), Areto, Pisistrato (che Omero ci dice essere l'unico scapolo), Pisidice e Policasta (la più giovane).\nBenché già anziano, quando iniziò la guerra di Troia partì con gli altri eroi greci per combattere contro i Troiani. Avendo governato per generazioni, godeva fama di uomo saggio e giusto e dispensò consigli ai Greci durante il conflitto. Dopo la caduta di Troia, Nestore ritornò a Pilo, dove ospitò Telemaco quando il giovane vi si recò per informarsi sul destino di suo padre Ulisse. Dopo questo punto non si hanno più fonti riguardo alla storia e al destino di Nestore.\nIl nome di Nestore ricorre anche in un'iscrizione poetica incisa su una coppa detta appunto di Nestore, il più antico documento di lingua greca, coevo ai poemi omerici." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ninfa (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le ninfe (in greco antico: νύμφη, -ης?, nymphē ('fanciulla, sposa'); in latino nympha, -ae) sono divinità femminili minori legate alla natura. A differenza delle altre dee greche, le ninfe sono generalmente considerate personificazioni della natura e sono tipicamente legate a un luogo o a una forma di terra specifica. Erano immortali come le altre dee, ad eccezione delle amadriadi, la cui vita era legata a un albero specifico. Oltre che potenze divine legate ai boschi, ai monti, alle acque, alle sorgenti e agli alberi, le ninfe erano personificazione anche delle regioni o delle città o degli stati.\nLa natura delle ninfe corrisponde all'ambito della potenza divina dell'aidos (in greco antico: αἰδώς?, aidōs ('pudore')), dunque alla riservatezza e allo stupore di fronte a ciò che è immacolato e quindi silenzioso. Compagne della dea Artemide, essa stessa appellata come Αἰδώς, sono caratterizzate, come la dea, da una bellezza incomparabile.\nLe ninfe sono spesso suddivise in gruppi (a loro volta suddivisi in sottogruppi): le epigee (ninfe terrestri), le idriadi (ninfe acquatiche), le uranie (ninfe celesti), e, talvolta, le ninfe ctonie (ninfe appartenenti agli Inferi).\n\nEtimologia.\nLa parola greca νύμφη (nýmphē, 'fanciulla, sposa') ha la stessa radice del verbo latino nubere, 'prendere marito' (da cui la nostra 'nubile'). Altri lettori riferiscono la parola (e anche il latino nubere e il tedesco Knospe) ad una radice che esprime l'idea di 'gonfiore' (secondo Esichio di Alessandria uno dei significati di νύμφη è 'bocciolo di rosa'). Ciononostante, l'etimologia del sostantivo νύμφη rimane agli studiosi ancora incerta. La forma dorica ed eolica (omerica) è νύμφα (nýmphā).\n\nNella mitologia greca.\nNella concezione greca, le ninfe sono bellissime e snelle giovinette, dalle movenze graziose, dalla testa leggiadra ornata di fiori, dalle vesti leggere e svolazzanti, raramente nude. Sono benefattrici e rendono fertile la natura. Proteggono le coppie di fidanzati che vanno a bagnarsi nelle loro sorgenti, ispirano gli esseri umani, alcune di esse, in particolare le Naiadi, sono anche guaritrici di mali e di ferite. Amanti di dei e di comuni mortali, le ninfe cantano felici nel luogo a loro consacrato. Dalle loro unioni con mortali nacquero molti semidei ed eroi. Teoricamente potevano accoppiarsi anche con divinità, e in tal caso sarebbero nati figli immortali.\nTra le ninfe più celebri, si può nominare Eco, la ninfa del monte Elicona; Era le tolse la possibilità di proferire parola, così Eco non poté più ripetere altro che le ultime parole pronunciate da altri. Un'altra ninfa famosa, mortale, fu Euridice, moglie di Orfeo (vedi: Orfismo). Molto nota è la ninfa Calipso menzionata nell'Odissea: essa trattenne Ulisse per sette anni nell'isola di Ogigia. Nella mitologia romana la ninfa Egeria fu la segreta consigliera del re Numa Pompilio. Si ricordano inoltre le Naiadi che rapirono il giovane argonauta Ila.\nLe ninfe greche sono state assimilate in epoca successiva alle divinità romane delle fontane, sorgenti e fiumi.\n\nLe ninfe sono personificazioni della creatività e del favorire le attività della natura, il più delle volte identificato con il deflusso vitale dei corsi d'acqua a seguito di inondazioni:.\n\nGenealogia.\nLe ninfe, il cui numero è incalcolabile, sono classificate in tre macrocategorie: le ninfe terrestri, le ninfe acquatiche e le ninfe celesti, ripartizione già presente in Omero e nei poeti più antichi. Come il mitologo Herbert Jennings Rose afferma, tutti i nomi per le varie classi di ninfe sono aggettivi femminili plurali concordando con il sostantivo nymphai, e non v'era un tipo di classificazione unica che potesse essere vista come canonica ed esauriente. Così le classi di ninfe tendono parzialmente a sovrapporsi, il che viene a complicare il compito di una classificazione precisa. Rose parla di driadi e amadriadi come ninfe degli alberi in generale, meliai come ninfe dei frassini e di naiadi come ninfe d'acqua, ma non ne aggiunge altre in particolare. Le ninfe meliadi erano figlie di Urano ed i loro miti sono legati a divinità maggiori come Artemide, Apollo, Poseidone, Demetra, Dioniso, Pan, Ermes o a divinità minori come Fonto.\n\nClassificazione.\nA seconda dell'ambiente naturale in cui vivono, le ninfe si distinguono nello specifico. Tutti i nomi delle varie categorie di ninfe presentano forme aggettivali al femminile plurale. Non esiste una classificazione univoca e completa che possa essere considerata canonica: alcune categorie di ninfe tendono a sovrapporsi, rendendo così complesso il compito di una classificazione precisa. Ad esempio, le driadi e le amadriadi sono considerate ninfe degli alberi in generale, mentre le meliadi sono specificamente associate ai frassini.\n\nEpigee.\nLe epigee comprendono tutto l'insieme delle ninfe terrestri. Si dividono in due gruppi: le driadi (con le amadriadi) e le oreadi.\n\nIdriadi.\nLe idriadi sono identificate come le ninfe acquatiche. Si dividono in tre gruppi: le naiadi, le nereidi e le oceanine.\n\nUranie.\nLe uranie sono le ninfe celesti.\n\nAltre ninfe.\nOfferte e sacrifici.\nI rituali d'offerta alle ninfe comprendevano sacrifici di agnelli e capretti, ma in prevalenza queste offerte consistevano in latte, olio, miele, frutta e offerte rustiche.\n\nConnotazioni sessuali moderne.\nA causa della rappresentazione delle ninfe mitologiche come femmine che si accoppiano con uomini o donne di loro spontanea volontà, e che sono completamente al di fuori del controllo maschile, il termine è spesso usato per le donne che sono percepite come comportarsi allo stesso modo (per esempio, il titolo del romanzo poliziesco riguardante Perry Mason 'Il caso della ninfa negligente' (1956) di Erle Stanley Gardner è derivato da questo significato della parola).\nIl termine ninfomania è stato creato dalla moderna psicologia come riferito a un 'desiderio di impegnarsi in comportamento sessuale umano ad un livello abbastanza alto da essere considerato clinicamente significativo', ninfomane essendo la persona che soffre di un disturbo. A causa dell'ampio uso del termine tra laici (spesso abbreviato in ninfo) e gli stereotipi collegati, i professionisti al giorno d'oggi preferiscono il termine ipersessualità, che possono fare riferimento a maschi e femmine allo stesso modo.\nLa parola ninfetta viene utilizzato per identificare una ragazza sessualmente precoce. Il termine è stato reso famoso nel romanzo Lolita da Vladimir Nabokov. Il personaggio principale, Humbert Humbert, usa molte volte il termine, di solito in riferimento al personaggio del titolo, una ragazzina appena tredicenne di cui è fortemente invaghito.\n\nNella letteratura.\nQuando il dio Pan suona il flauto divino, echeggiando l'armonia del silenzio primordiale, le ninfe muovono passi di danza, vagando sui monti e cantando in modo melodioso. Le ninfe sono le potenze di un fiume oppure di un mare o di un lago e anche quando la loro potenza divina risiede sulla terra, il loro collegamento con l'acqua resta fondante:.\nSempre in forma di fanciulle, facevano parte spesso del corteo di un dio, come Dioniso, Ermes o Pan, o di una dea, in genere la cacciatrice Artemide. La mitologia greca annovera molte ninfe, il cui aspetto di bellissime fanciulle eternamente giovani attirava molti uomini mortali ed eroi.\nVi è un'ampia varietà di miti su di esse; questi racconti le associano spesso ai satiri, di cui erano il frequente bersaglio e da cui proviene il nome moderno dato alla tendenza sessuale della ninfomania.\n\nNelle arti.\nIconografia nelle arti visive.\nNelle arti visive le ninfe sono di solito rappresentate come bellissime fanciulle, generalmente nude e incoronate di fiori. Le ninfe dell'acqua in particolare sono mostrate mentre tengono delle giare o brocche sulle loro teste (vedi ad esempio in La sorgente di Ingres. Opere d'arte famose dell'antichità sono alcune statue di Prassitele, un gruppo marmoreo di Arcesilao e bassorilievi eseguiti da diversi maestri.\n\nFrancesco Albani: Venere con ninfe e amorini.\nJacob Jordaens: Ninfe alla Fontana d'Amore.\nJacob Jordaens: Ninfe e Cupido nel sonno.\nLucas Cranach il Vecchio: Menzogne di ninfa.\nPieter Paul Rubens: Diana e le sue ninfe sorprese da un Fauno.\nRembrandt: Il Bagno di Diana e Atteone e Callisto.\nArnold Böcklin: Il gioco delle Naiadi (e molte altre immagini).\nJean-Baptiste-Camille Corot: Danza delle Ninfe.\nJean-Baptiste-Camille Corot: Una ninfa gioca con Cupido.\nWilhelm Neumann Torborg: Fauno e Ninfa (1890).\nÉdouard Manet: Sorpreso dalla ninfa (1861).\nAuguste Rodin: Fauno e Ninfa (1886).\nTiziano: Ninfa e pastore (1570).\nHenryk Siemiradzki: Il gioco delle naiadi (1880).\nPaul Aichele: Nymph (1891).\n\nMusica.\nIl compositore francese Jean-Philippe Rameau ha composto nel 1745 l'opera 'Platée', una commedia musicale. L'ingenuità di una ninfa è utilizzata da Giove per ingelosire la moglie Giunone.\nIl compositore francese Claude Debussy ha composto nel 1913 il pezzo 'Syrinx' per flauto. Il pezzo breve si riferisce alla leggenda di Pan e Siringa; la ninfa sfugge alle insidie del dio lubrico e si trasforma in una canna che suona al vento. Pan inventa allora lo strumento musicale che porta il suo nome.\nIl compositore finlandese Jean Sibelius compone nel 1894 il poema sinfonico per orchestra, Op. 15, Skogsrået (The Nymph Wood).\nRusalka (Dvořák) è l'opera di maggior successo di Antonín Dvořák. Il libretto risale ai miti slavi popolari sul Rusalki (spiriti dell'acqua, sirene), ed è simile al racconto tedesco 'Undine' di Friedrich de la Motte Fouqué e alla fiaba di Hans Christian Andersen intitolata La sirenetta.\nIl compositore italiano Claudio Monteverdi compose nel 1614 'Lagrime d'amante al Sepolcro del Amata', il lamento funebre del pastore Glauco davanti alla tomba della sua amata ninfa Corinna.\n\nLetteratura.\nLa figura della ninfa appare innumerevoli volte, soprattutto durante il Rinascimento e l Romanticismo.\nNel suo romanzo Lolita (Nabokov) Vladimir Nabokov inventa i termini ninfetta e lolita (termine) per indicare un tipo di ragazzina precoce e sessualmente attraente.\n\nFantasy.\nNei libri di Licia Troisi le ninfe sono bellissime ragazze fatte d'acqua. Hanno occhi puri e capelli molto lunghi. Nelle Leggende del Mondo Emerso, si scopre che il loro sangue è immune al morbo (malattia), che invece contagia gli altri popoli del Mondo.\nNei romanzi delle Cronache di Narnia sono divinità della natura: sono quindi graziose, esili; abitanti delle fonti (Naiadi) e degli alberi (Driadi e Amadriadi); sono le figlie di dei e dee; servono Aslan. Nel libro sono presenti anche ragazze associate alle ninfe ma che sono in realtà creature femminili delle foreste (come le donne-alberi).\nNei libri di Geronimo Stilton esistono le Ninfe dei Boschi: Alena, una delle protagoniste dei suoi libri, è la prima Ninfa dei Boschi a diventare Cavaliere della Rosa d'Argento.\nPossono anche essere rappresentate come elementi della natura, fatte d'acqua, aria e luce. In Paranormalmente, libro di Kiersten White, la madre del fidanzato di Evie (protagonista) è l'equivalente di una ninfa: dimora in un lago, è fatta solamente d'acqua e pratica la magia.\nNei libri di Rick Riordan - la serie Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo e poi, in seguito, Eroi dell'Olimpo - vi sono diverse apparizioni di ninfe, spesso interagenti e aiutanti dei personaggi protagonisti. Sono presenti ninfe dei boschi, dell'acqua e perfino dell'aria. Nota è, ad esempio, la driade Juniper, fidanzata del satiro Grover. Viene descritta come completamente verde, inclusi gli occhi, i quali hanno rivoli - ovvero, venature - di clorofilla. Molte di loro sono timide e finiscono per tramutarsi in pianta (ciascuna diversa a seconda della ninfa) per nascondersi.Un altro esempio è quello di una ninfa che fa parte delle esperidi, mitologiche figlie di Atlante. Si tratta di Zoe Nightshade.\nNella serie animata Winx Club la sorella di Bloom, Daphne è la Ninfa Suprema delle nove ninfe di Magix, onnipotenti fate che controllano la Dimensione Magica. Custode della Fiamma del Drago fino alla nascita della sorella. Perse il suo corpo a causa delle Tre Streghe Antenate che maledirono il suo potere di Fata/Ninfa Sirenix. Successivamente sua sorella Bloom spezzò la maledizione restituendole la vita. Altra Ninfa di Magix è Politea che si trasforma in un mostro a causa delle Tre Streghe Ancestrali, dopo aver abbandonato Daphne. Successivamente scomparirà quando le Trix le succhieranno il potere Sirenix." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Niobe.\n### Descrizione: Niobe (in lingua greca: Νιόβη Niòbē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Tantalo e sorella di Pelope, punita dagli dei per la sua superbia.\nIl nome di sua madre è discusso dai mitografi; talvolta è ritenuta Eurianassa, figlia del dio fluviale Pattolo, oppure Euritemiste, figlia del fiume Xanto; ma sono conosciute ancora altre variazioni: una la vuole figlia di Clizia, una delle figlie di Anfidamante, un'altra della ninfa Dione.\nSecondo un'altra tradizione, era invece figlia di Assaone.\n\nMitologia.\nApollo aveva il potere di mandare i mali a coloro che voleva punire, come le morti improvvise. Per esempio lanciò frecce col suo arco d'argento per l'ingiusto oltraggio fatto al sacerdote Crise e così diffuse la peste nel campo greco, come è detto nel I libro dell'Iliade. La sua vittima più infelice fu Niobe. Nella Frigia c'era un ricco re, Tantalo, che era protetto dagli dèi celesti, tanto da essere invitato sull'Olimpo. Tuttavia Tantalo fraintese la benevolenza divina e divulgò alcuni segreti che Zeus gli aveva confidato. Per questo fu cacciato nel Tartaro e condannato a un eterno supplizio. Tantalo, in vita, aveva avuto parecchi figli, tra cui Pelope e Niobe, che aveva sposato Anfione dal quale aveva avuto sette robusti figli maschi e sette bellissime figlie femmine. Niobe si vantava di essere più feconda di Leto, madre di Apollo e Artemide, e pretendeva che a lei spettassero gli onori divini. Questa superbia arrivò alle orecchie di Leto che incaricò i suoi figli di punire Niobe. Infatti Apollo uccise con il suo arco di argento i suoi sette figli e successivamente anche Artemide sterminò le sette figlie (o, secondo una variante del mito, ne lasciarono in vita solo due, rispettivamente un maschio, Amicla, ed una femmina, Cloride). La sventurata Niobe pianse amaramente, riconoscendo ormai troppo tardi la propria colpa e, ammettendo di essere stata punita giustamente, pregò Zeus di trasformarla in pietra. Il suo corpo venne tramutato in roccia conservando la sua forma. Anche in pietra Niobe continua a piangere e piangerà in eterno.Secondo l'Iliade di Omero i giovani uccisi rimasero insepolti per dieci giorni, finché gli dèi stessi non si occuparono della tumulazione. Secondo quanto narra Ovidio, oppure anche Anacreonte, Niobe, in lacrime, si tramutò in blocco di marmo dal quale scaturì una fonte. In una roccia che si trova sul monte Sipilo in Lidia, presso Magnesia, si è voluta scorgere la Niobe divenuta pietra.\nIl mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni, e il suo significato pedagogico (evitare la superbia) è evidente. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute.\n\nInfluenza culturale.\nIl mito di Niobe ispirò gli artisti greci dell'età classica, che raffigurarono la strage dei Niobidi nei vasi e in gruppi di sculture altamente drammatiche, di cui restano alcune copie romane come la Niobide degli Horti Sallustiani a Roma e la Niobe che protegge la figlia agli Uffizi.\nIl mito di Niobe era noto agli etruschi, come dimostra la rappresentazione della strage dei suoi figli sul sarcofago di Velthur Vipinana, ritrovato nella Necropoli di Carcarello a Tuscania.\nDa Niobe prende il nome la Niobe Planitia su Venere.\nNiobe compare nella Divina Commedia di Dante Alighieri, nel XII canto del Purgatorio (versi 37,39) come esempio di superbia contro gli dei.\nCarducci, nella poesia Per la morte di Napoleone Eugenio nelle Odi barbare definisce corsa Niobe (cioè Niobe della Corsica) Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, a causa delle morti dei suoi figli.\nAlberto Savinio, La morte di Niobe, tragedia mimica in un atto; compone la musica e scrive il libretto. L'opera va in scena a Roma il 14 maggio 1925 al Teatro Odescalchi (dal nome del palazzo che lo ospitava) con la compagnia del Teatro dell'Arte, gruppo di autori e attori nato nel 1924 e guidato da Luigi Pirandello.\nNel 2005, il compositore italiano Marco Taralli, su commissione dell'Associazione Operation Smile ha composto la cantata “Niobe – In memoria dei bambini di Beslan”, per mezzosoprano, ottavino, coro di voci bianche ed orchestra, su libretto di Fabio Ceresa. La cantata è stata eseguita nel marzo 2005 dall'Orchestra del Teatro di Rostov sul Don diretta da Maurizio Dones presso l'Auditorium del Parco della Musica di Roma.\n\n\n\n\n\n\n\nNiobe è il nome di uno dei capitani più abili della flotta di Zion dell'universo di Matrix. Il personaggio riflette le caratteristiche dell'omonimo mitologico tra cui la superbia, il carattere forte e la determinazione.\nNiobe è anche il titolo di un'opera lirica, in due atti, del compositore Giovanni Pacini.\nIl niobio, elemento chimico di numero atomico 41, prende il nome da Niobe, trovandosi sopra il tantalio, il cui nome deriva proprio da suo padre Tantalo.\nNiobe è un personaggio del manga Saint Seiya, tipico nel fare riferimenti alla mitologia greca." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nireo.\n### Descrizione: Nireo (in greco antico: Νιρεύς?, Nireas) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Simi ed un capo acheo nella guerra di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Caropo e della ninfa Aglea.\nNon ci sono notizie su spose o progenie.\n\nMitologia.\nDi origini semidivine, governava sull'isola di Simi ed era un giovane capo greco. Era un giovane di straordinaria avvenenza ed Omero racconta che per bellezza fosse secondo solo ad Achille tra tutti i guerrieri greci che lottarono nella guerra di Troia.\nCome numerosi altri pretendenti desiderò sposare Elena che però divenne sposa di Menelao.\nNireo, legato per un giuramento quando la donna fu rapita da Paride, si unì alla flotta achea con un ausilio di solo tre navigli come si legge dal Catalogo della Navi nell'Iliade.\nDurante lo sbarco in Misia, gli Achei si scontrarono con Telefo (figlio di Eracle e re della Misia) che mosse il suo esercito e quello di donne guerriere guidato da sua moglie Laodice (o Iera od Astioca) contro di loro.\nNireo uccise Laodice e vide Telefo essere colpito da una lancia da Achille.\nSecondo una tradizione, Nireo venne ucciso la notte della caduta di Troia da Euripilo, figlio di Telefo, il quale era giunto in aiuto di Priamo dalla Misia, insieme ai suoi uomini. I Greci lo seppellirono con onore.\nPare che in epoca storica moltissimi viaggiatori si fermassero nella Troade ad ammirare la sua presunta tomba. Una seconda versione sostiene che Nireo non morì ucciso in questa guerra ma che avesse accompagnato l'amico Toante nei suoi viaggi, dopo la presa di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nisa (monte).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, il Monte Nisa (in greco Νῦσα, Nysa) era la dimora delle ninfe dette appunto 'ninfe Nisee' e della ninfa Nisa. La sua esatta ubicazione varia di molto nelle fonti, ed esso è localizzato alternativamente in Etiopia, Libia, Frigia, India, Arabia, Beozia, Eubea o Nasso.\nSul Monte Nisa Dioniso trascorse la fanciullezza; da qui l'epiteto di 'Niseo'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Nisa (ninfa).\n### Descrizione: Nisa è il nome attribuito alla ninfa che allevò Dioniso sul monte Nisa assieme alle sorelle.\nZeus, volendo proteggere dalla rabbia di Era il figlio Dioniso concepito con Semele, lo affidò ad Ermes, il quale lo portò dalle ninfe che abitavano sul monte Nisa.\nIn seguito Zeus trasformò le ninfe in stelle per ringraziarle, costituendo la costellazione delle Iadi.\nOmero fa riferimento alle ninfe nel suo XXVI inno dedicato a Dioniso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nittimene.\n### Descrizione: Nella mitologia romana, Nittimene (chiamata anche Nyctimene o Nictímene) era la figlia di Nitteo, il re di Lesbo. Sedotta dal padre, fu trasformata da Atena in una civetta e scelta come animale a lei sacro.La sua storia - e l'unica fonte a cui possiamo fare riferimento - viene raccontata da Coronea nel II Libro delle Metamorfosi ovidiane (II.589-595):.\n\nCuriosità.\nOltre ad essere legato ad una specie di pipistrelli (Nyctimene), il nome di Nyctimene è stato dato anche ad un asteroide (2150 Nyctimene)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nodo gordiano.\n### Descrizione: L'espressione nodo gordiano trae origine da una tradizione letteraria e leggendaria a cui è legato anche un aneddoto sulla vita di Alessandro Magno. Con il tempo, l'espressione ha assunto, in varie lingue, una valenza metaforica, andando a indicare un problema di intricatissima soluzione, che si presta a essere risolto, alla maniera di Alessandro, con un brutale taglio. Da questo aneddoto derivano espressioni come «recidere, o tagliare, il nodo gordiano...»:.\n\n'Portategli il discorso su argomenti,che richiedano acume e sottigliezza,.\nvi saprà sciogliere il nodo gordianodi tutto, come la sua giarrettiera'(William Shakespeare, Enrico V, Atto primo, scena prima. 45-47).\n\nTradizione leggendaria.\nL'aneddoto risale già all'VIII secolo a.C., periodo in cui il popolo dei Frigi stava costituendo un proprio Stato con una struttura politica, nell'entroterra dell'Anatolia (l'attuale Turchia), ma non era ancora stato eletto un re.\nL'oracolo di Telmisso (o Telmesso, l'attuale Makri), l'antica capitale della Licia, predisse che il primo uomo che fosse entrato in quella nuova città su un carro trainato da dei buoi sarebbe diventato re. Il primo a entrare fu un misero contadino di nome Gordio, che, in conformità all'oracolo, fu nominato re e la cittadina prese il suo nome (che oggi corrisponde all'attuale Yassihüyük). Tale previsione fu interpretata anche mediante un segno degli dei, attraverso un'aquila atterrata sul carro stesso. Secondo lo storico Arriano, il figlio adottivo di Gordio, Mida (il noto re che trasformava in oro tutto ciò che toccava), dedicò quindi il sacro carro del padre alla divinità frigia Sabazio (che i Greci identificavano con Dioniso).\nIl carro fu legato permanentemente a un palo, assicurandone la stanga con un intricato nodo di robusta corda in corteccia di corniolo (Cornus mas), rimanendo così il saldo simbolo del potere regale e politico dei successivi re di Frigia, ben saldo nel tempio di Gordio, fino a quando non vi giunse Alessandro Magno nel IV secolo a.C., epoca in cui la stessa Frigia fu ridotta a satrapia (provincia) dell'impero persiano.\nLa profezia oracolare volle che chi fosse stato in grado di sciogliere quel nodo sarebbe diventato imperatore dell'Asia minore.Dopo l'inverno 333-332 a.C., l'esercito di Alessandro Magno, in espansione dalla Licia verso l'entroterra, entrò prima a Sagalassos e poi a Gordio. Qui, il condottiero provò a sciogliere il nodo, ma, non riuscendovi, decise semplicemente di tagliarlo a metà con la spada. Da questo, ancor oggi, si usa dire soluzione alessandrina per indicare la risoluzione di un problema intricato in modo netto, semplice, rapido e deciso.\nLo storico Plutarco mise comunque in discussione la pretesa secondo cui Alessandro Magno avrebbe tagliato il nodo con un colpo di spada, e riferisce che, secondo Aristobulo di Cassandrea, Alessandro lo avrebbe semplicemente sfilato dalla staffa. Ad ogni modo, Alessandro andò alla conquista dell'allora Asia conosciuta, fino all'Indo e all'Oxus, facendo, così, avverare la profezia.\n\nFonti.\nAlessandro era un personaggio di eccezionale celebrità, e l'episodio del nodo gordiano era noto a ogni persona istruita dell'antichità e senza dubbio anche a tanti altri che non lo erano, dal III secolo a.C. fino alla fine dell'antichità e ben oltre. Le fonti letterarie sono Arriano, il propagandista di Alessandro (Anabasis Alexandri 2.3.1-8), Quinto Curzio Rufo (Historiae Alexandri Magni Macedonis, 3.1.14), Giustino nella sua epitome delle Storie Filippiche di Pompeo Trogo (11.7.3), e Claudio Eliano (Sulla natura degli animali 13.1).\n\nInterpretazioni.\nIl nodo potrebbe esser stato, in realtà, un monogramma in forma di nodo, conservato da sacerdoti e sacerdotesse di Gordio. Robert Graves suggerisce che esso avrebbe potuto simboleggiare il nome ineffabile di Dioniso che, annodato come un monogramma, si sarebbe trasmesso attraverso generazioni di sacerdoti per essere rivelato unicamente ai re di Frigia.\nA differenza della fiaba, pochi elementi di un mito risultano completamente arbitrari: questo, ad esempio, preso nel suo complesso, sembra essere concepito per conferire una legittimazione a un cambio dinastico in questo regno centro-anatolico: così il 'taglio brutale del nodo... pose fine a un antico ordinamento.' Il carro trainato da buoi sembra alludere a un viaggio più lungo, piuttosto che a uno spostamento locale, forse collegando Gordio/Mida con un mito di fondazione attestato in Macedonia, di cui è molto probabile che Alessandro fosse consapevole. A giudicare da questo mito, la dinastia frigia non poteva vantare un'origine risalente a tempi immemorabili, ma solo una genesi maturata all'interno di una classe subalterna locale, estranea alla casta sacerdotale, rappresentata dal contadino Gordio sul suo carro di buoi. Altri miti greci legittimano una dinastia sulla base del diritto di conquista, come nel caso di Cadmo, ma il tema dell'oracolo che conferisce legittimità, declinato in questo mito, suggerisce che la dinastia precedente fosse una casta di re-sacerdoti connessa alla divinità oracolare.\nEsiste un'altra interpretazione legata ad Alessandro, in contrasto con la precedente, che sostiene che il macedone non risolse il nodo, aggirando il problema, per cui non riuscì a conquistare l'intera Asia, dovendo ritirarsi giunto 'solamente' in India.«Le nature forti - o dovremmo piuttosto dire deboli? - non amano sentirsi porre questo problema; preferiscono quindi escogitare un qualche eroico al di lá del bene e del male, e tagliano il nodo gordiano invece di scioglierlo.» Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell'inconscio collettivo, ed. ristampa marzo 2019, traduzioni di Elena Schanzer e Antonio Vitolo, pag. 39.\nUn'ultima interpretazione giustificherebbe la tradizione del nodo credendo che la cultura gordiana fosse una cultura dell'attesa, esattamente come quella ebraica nei confronti del Messia (identificato qui con colui che scioglierà il nodo). In questo modo si recupera la piena storicità dell'episodio, la sua valenza ideologica e anche una piccola parte delle strutture mentali dell'antico popolo frigio-gordiano." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nomos (mitologia).\n### Descrizione: Nella religione dell'antica Grecia il Nomos (in greco: Νόμος) era lo spirito delle leggi, degli statuti e delle ordinanze. La moglie di Nomos è Eusebia (pietà) e la loro figlia è Dike (giustizia).\nUn chiaro modo di concepire il nomos è ben descritto da Erodoto:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Notte (mitologia).\n### Descrizione: Notte o Nyx (in greco antico: Nύξ?, Nýx, 'notte') è una delle divinità primordiali della mitologia greca.\n\nMitologia.\nSecondo la Teogonia di Esiodo, Notte era figlia di Caos, mentre nella cosmogonia orfica era figlia di Phanes; nelle Fabulae, Igino la dice figlia di Caos e di Caligine. Sempre secondo Esiodo, Notte era la personificazione della notte terrestre, in contrapposizione al fratello Erebo, che rappresentava la notte del mondo infernale. Era inoltre contrapposta ai suoi figli Etere (la luce) ed Emera (il giorno).\nNotte era una delle divinità più antiche, e dimorava nel cielo; secondo Omero, anche Zeus ne aveva paura. Ad essa è intitolato il Nyx Mons su Venere, così come uno dei satelliti naturali di Plutone, Notte.\nQuesta divinità fu ripresa nella mitologia romana con il nome di Nox.\n\nFigli di Notte.\nNotte fu madre di alcune delle altre divinità primordiali: secondo Esiodo (Teogonia) e Cicerone (De natura deorum), da suo fratello Erebo Notte ebbe Etere ed Emera; secondo Cicerone e Igino fu madre anche di Eros, sempre da Erebo; Bacchilide afferma invece che Emera la concepì con Crono.\nOltre a questi figli, le è attribuita la maternità anche di numerose altre figure della mitologia greca, perlopiù daimones (a volte detti 'personificazioni'). Nella Teogonia, Esiodo dice che, senza controparte maschile, Notte da sola generò:.\n\nOrfeo la dice madre del cosmo e di Eros dall'Uovo cosmico.\nAnche Igino le attribuisce più o meno gli stessi figli, ma stavolta generati con Erebo:.\n\nCicerone le attribuisce, sempre con Erebo:.\n\nAltre fonti le attribuiscono poi diversi altri figli: ad esempio, sia da Cicerone che nell'Argonautica Orphica è detta madre di Urano; Bacchilide (Frammento 1b) le attribuisce Ecate; la maternità delle erinni le viene attribuita da Eschilo (Le Eumenidi), Licofrone (Alessandra), Ovidio (Le metamorfosi) e Virgilio (Eneide). Nell'Eracle di Euripide è detta anche madre di Lissa, concepita quando venne a contatto col sangue che Urano perse quando venne evirato da Crono.\n\nDai romani era considerata anche madre di Erumna (Aerumna in latino), la dea dell'incertezza e dell'inquietudine, in costante compagnia del Dolore e del Timore." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Nuli.\n### Descrizione: I Nuli, conosciuti anche con i nomi di Nuloi o Nouloi (in greco: Νυλοι, Νουλοι) erano una leggendaria razza di uomini dotate di piedi con otto dita rivolti all'indietro, che vivevano in India, sul monte Nulus, per certi versi simili agli Antipodi.\n\nFonti antiche.\nIl popolo dei Nuli viene descritto dallo storico greco Megastene nella sua Indica.\nVengono menzionati anche in certi bestiari medievali, come per esempio nelle Cronache di Norimberga." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Numa Pompilio.\n### Descrizione: Numa Pompilio (Cures Sabini, 754 a.C. – 673 a.C.) è stato il secondo re di Roma, e il suo regno durò 42 anni.\n\nLeggenda.\nNuma Pompilio, di origine sabina, per la tradizione e la mitologia romana, tramandataci grazie soprattutto a Tito Livio e a Plutarco, che ne scrisse anche una biografia, era noto per la sua pietà religiosa e regnò dal 715 a.C. fino alla sua morte nel 673 a.C. (ottantenne, dopo quarantatré anni di regno) succedendo, come re di Roma, a Romolo.\nNuma era un re pio, e in tutto il suo regno non combatté nemmeno una guerra.\n\nRegno (715 - 673 a.C.).\nAscesa al potere.\nL'incoronazione di Numa non avvenne immediatamente dopo la scomparsa di Romolo. Per un certo periodo i Senatori governarono la città a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità di governo, dopo un anno i Senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re.La scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori Romani che proponevano il senatore Proculo ed i senatori Sabini che proponevano il senatore Velesio.\nPer trovare un accordo si decise di procedere in questo modo: i senatori romani avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, che abitava nella città sabina di Cures ed era sposato con Tazia, l'unica figlia di Tito Tazio. Sembra che egli fosse nato nello stesso giorno in cui Romolo fondò Roma (21 aprile). Numa, concittadino di Tito Tazio, era noto a Roma come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine, tanto da meritare l'appellativo di Pius. I Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome.Furono dunque inviati a Cures Proculo e Velesio (i due senatori più influenti rispettivamente fra i Romani ed i Sabini) per offrirgli il regno. Inizialmente contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei costumi di Roma, Numa vi acconsentì solo dopo aver preso gli auspici degli dei, che gli si dimostrarono favorevoli; Numa fu quindi eletto re per acclamazione da parte del popolo.\n\nRiforme politiche e religiose.\nLa leggenda afferma che il progetto di riforma politica e religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale, ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al punto da renderlo suo sposo.A Numa viene attribuito il merito di aver creato una serie di riforme tese a consolidare le istituzioni della nuova città, prime tra tutte quelle religiose, raccolte per iscritto nei commentarii Numae o libri Numae, che andarono perduti nel sacco gallico di Roma (387 a. C.).Sulla base di queste norme di carattere religioso, i culti cittadini erano amministrati da otto ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici.Numa stabilì di unificare ed armonizzare tutti i culti e le tradizioni dei Romani e dei Sabini residenti a Roma per eliminare le divisioni e le tensioni fra questi due popoli, riducendo l'importanza delle tribù e creando nuove associazioni basate sui mestieri.Appena divenuto re nominò, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio Quirino, gli dei più importanti dell'epoca arcaica. Riunì poi questi tre sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini, a cui diede precise regole ed istruzioni.Proibì ai Romani di venerare immagini divine a forma umana e animale perché riteneva sacrilego paragonare un dio con tali immagini e, durante il suo regno non furono costruite statue raffiguranti gli dei. Istituì il collegio sacerdotale dei Pontefici, presieduti dal Pontefice Massimo, carica che Numa ricoprì per primo e che aveva il compito di vigilare sulle vestali (vedi sotto), sulla moralità pubblica e privata e sull'applicazione di tutte le prescrizioni di carattere sacro.Istituì poi il collegio delle vergini Vestali assegnando a queste uno stipendio e la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro della città; le prime furono Gegania, Verenia, Canuleia e Tarpeia (erano dunque quattro, Anco Marzio ne aggiunse altre due portandole a sei).Istituì anche il collegio dei Feziali (i guardiani della pace) che erano magistrati-sacerdoti con il compito di tentare di appianare i conflitti con i popoli vicini e di proporre la guerra una volta esauriti tutti gli sforzi diplomatici.Nell'ottavo anno del suo regno istituì il collegio dei Salii, sacerdoti che avevano il compito di separare il tempo di pace e di guerra (per gli antichi romani il periodo per le guerre andava da marzo ad ottobre). Era, questa funzione, molto importante per gli abitanti dell'antica Roma, perché sanciva, nel corso dell'anno, il passaggio dallo stato di cives (cittadini soggetti all'amministrazione civile e dediti alle attività produttive) a milites (militari soggetti alle leggi ed all'amministrazione militare e dediti alle esercitazioni militari) e viceversa per tutti gli uomini in grado di combattere. Migliorò anche le condizioni di vita degli schiavi, per esempio permettendo loro di partecipare alle feste in onore di Saturno, i Saturnalia assieme ai loro padroni.La tradizione romana rimanda a Numa Pompilio la definizione dei confini tra le proprietà dei privati, e tra queste e la proprietà pubblica indivisa, statuizione che fu sacralizzata con la dedica dei confini a Jupiter Terminalis, e l'istituzione della festività dei Terminalia.Nel Foro, fece costruire il tempio di Vesta, e dietro di questo fece costruire la Regia e lungo la Via Sacra fece edificare il Tempio di Giano, le cui porte potevano essere chiuse solo in tempo di pace (e rimasero chiuse per tutti i quarantatré anni del suo regno).Secondo l'enciclopedista Marco Verrio Flacco (secc. I a.C. - I d.C.), riportato dal lessicografo Sesto Pompeo Festo, il re, ordinando la costruzione del tempio di Vesta, volle che fosse di forma rotonda (ad pilæ similitudinem), cioè della stessa forma del mondo, in quanto egli era un convinto sostenitore della sfericità della terra, tesi dunque evidentemente già in voga in quei lontani tempi.Secondo Dionigi di Alicarnasso Numa poi incluse nella città il Quirinale, anche se questo a quell'epoca non era ancora cinto da mura.\n\nCalendario Romano.\nA lui viene ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355 giorni (secondo Livio invece lo divise in 10 mesi, mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo), con l'aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo dicembre (l'anno iniziava con il mese di marzo; da notare la persistenza dei nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre).\nIl calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e nefasti, durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re seguì i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste decisioni.\n\nL'anno così suddiviso da Numa, non coincideva però con il ciclo lunare, per cui ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze politiche.\n\nFeste religiose.\nCome sopra scritto, Floro racconta che Numa insegnò i sacrifici, le cerimonie ed il culto degli Dei immortali ai Romani. Creò anche i pontefici, gli auguri ed i Salii. La tradizione vuole che Numa abbia istituito, tra l'altro, anche la Festa di Quirino e la Festa di Marte. La prima festa si celebrava a febbraio, mentre la festa dedicata a Marte si celebrava a marzo, e veniva officiata dai Salii. Numa partecipava di persona a tutte le feste religiose, durante le quali era proibito lavorare.\nA queste riforme di carattere religioso corrispose anche un periodo di prosperità e di pace che permise a Roma di crescere e rafforzarsi, tanto che durante tutto il suo regno le porte del tempio di Giano non furono mai aperte.\n\nMorte e sepoltura.\nMorì ottantenne e non di morte improvvisa, ma consunto dagli anni (per malattia secondo Livio), quando suo nipote, il futuro re Anco Marzio, aveva solo cinque anni, circondato dall'affetto dei romani, grati anche per il lungo periodo di prosperità e pace di cui avevano goduto. Alla processione funebre parteciparono anche molti rappresentanti dei popoli vicini ed il suo corpo non fu bruciato, ma seppellito insieme ai suoi libri in un mausoleo sul Gianicolo.Dopo la bellicosa esperienza del regno di Romolo, Numa Pompilio seppe con la sua saggezza fornire un saldo equilibrio alla nascente città.\nDurante il consolato di Marco Bebio Tamfilo e Publio Cornelio Cetego, nel 181 a.C., due contadini ritrovarono il luogo della sua sepoltura, contenente sette libri in latino di diritto pontificale, ed altrettanti in greco di filosofia. Per decreto del senato i primi furono conservati con cura, mentre i secondi furono pubblicamente bruciati.\n\nDiscendenza.\nIl senatore sabino Marcio, che aveva sposato la figlia Pompilia, si candidò alla successione ma fu superato da Tullo Ostilio e si lasciò morire di fame per la delusione. Dal matrimonio fra Pompilia e Marcio era nato Anco Marzio che diverrà re dopo Tullo Ostilio. Alcune fonti raccontano di un secondo matrimonio di Numa Pompilio con una certa Lucrezia da cui sarebbero nati quattro figli: Pompone, Pino, Calpo e Memerco dai quali avrebbero avuto origine le casate romane dei Pomponi, dei Pinari, dei Calpurni e dei Marci.\n\nLa critica storico-archeologica.\nLa reale esistenza di Numa Pompilio, come accade per quella di Romolo, è discussa. Per alcuni studiosi la sua figura sarebbe principalmente simbolica; un re per metà filosofo e per metà santo, teso a creare le norme e il comportamento religioso di Roma, avverso alla guerra e ai disordini, diametralmente opposto al suo predecessore, il re guerriero Romolo. L'origine stessa del nome (secondo alcuni Numa viene da Nómos = 'legge' e Pompilio da pompé = 'abito sacerdotale') indicherebbe l'idealizzazione della sua figura." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: O protos thanatos.\n### Descrizione: La prima morte (Ο πρώτος θάνατος) è un romanzo dell'autore greco Dimitris Lyacos, che costituisce la terza parte della trilogia Poena damni. Il libro narra la storia di un uomo abbandonato su un'isola deserta in una sequenza di quattordici sezioni di poesie che raccontano la sua incessante lotta per la sopravvivenza e la sua disintegrazione fisica e mentale. L'opera allude contemporaneamente a un moderno Filottete, a una versione rovesciata di Crusoe e al mito dello smembramento di Dioniso. Le immagini dense e da incubo della poesia, come di senso allucinatorio, delirio, sinestesia e putrefazione, sono paragonabili a opere di Lautréamont, Trakl e Beckett. Nonostante sia il primo della trilogia di Poena damni in ordine di pubblicazione, La prima morte è cronologicamente l'ultimo nella sequenza narrativa.\n\nTitolo.\nIl titolo del libro si riferisce alla contraddizione tra prima e seconda morte nell'Apocalisse di San Giovanni il Divino, la prima morte riferita al fine naturale della vita (morte del corpo) contrapposta alla seconda morte (annientamento e morte dell'anima). La prima morte non è di tipo spirituale, non è considerata come 'morte reale', cioè annientamento. In tale senso spirituale, il protagonista del libro vive in un tipo di esistenza 'infernale', presumibilmente in attesa del verificarsi della futura redenzione o dell'estinzione definitiva. Il titolo si riferisce anche al realizzarsi della prima morte nel contesto della storia biblica del genere umano, ovvero l'assassinio di Abele da parte del fratello Caino.\n\nTrama.\nLa prima morte racconta la prova di un uomo di 40 anni arenato su un'isola deserta. Il libro inizia con una descrizione del suo corpo mutilato che macina contro le rocce. Il poema approfondisce il tema del suo continuo degrado, fisico e mentale, poiché anche i meccanismi della memoria sono dislocati e smembrati. Eppure, il legame tra persona e corpo fa sì che la vita persiste, 'in quel punto senza sostanza / dove il mondo si scontra e decolla', gli istinti meccanici del cosmo rimbombano e rifilano questa sostanza irriducibile nello spazio; suggerendo, forse, una futura rigenerazione.\n\nTemi.\nLa prima morte racconta il risultato del viaggio del protagonista verso l'annientamento. Il suo corpo e la sua mente sono sull'orlo della dissoluzione mentre combattono per la continuità e la sopravvivenza. Indicato come una vittima della natura e presumibilmente espulso dalla società, è rappresentato sia come un naufrago che come un aborto, morto prima di aver mai raggiunto la nascita. L'opera descrive la sua tortura, mappando un deserto e un'isola rocciosa come luogo della sofferenza. La sua esclusione e solitudine alludono alla tragedia greca, soprattutto a Filottete, mentre le immagini di mutilazione e smembramento si riferiscono a sacrifici e rituali dell'antica Grecia. Viene anche accennato al mito dello smembramento di Dioniso da parte dei Titani poiché il testo ricorre al concetto di sparagmos (in greco antico: σπαραγμός?, da σπαράσσω sparasso, 'stracciare, strappare, fare a pezzi'), un atto di lacerazione o maciullamento, Altri riferimenti classici obliqui sono ugualmente incorporati nel testo, come la presenza di Orfeo. Nel suo ruolo di epilogo della trilogia Poena damni, il poema testimonia anche le conseguenze dell'imminente violenza del primo volume, Z213: Exit.\n\nStile.\nIl testo originale in greco utilizza una lingua moderna non convenzionale, accogliendo una varietà di parole greche antiche e integrandole nel flusso del testo. Contrariamente al precedente libro della trilogia, Me tous anthropous apo ti gefyra, che fa uso di frasi semplici e prevalentemente nude in un contesto teatrale, La prima morte è scritto in uno stile denso. Ciascuna sezione poetica dipana una stratificata concatenazione di immagini per illustrare il tormento incessante del protagonista del libro. Spesso, la pesantezza dell'astrazione surreale conferisce all'opera un'atmosfera metafisica, investendo così la prova subita dal protagonista con una qualità simile al sublime mentre, nonostante tutto, continua la sua lotta per la limiti dei suoi poteri. Immagini di natura viziata, marcia e mutilata, manufatti, architettura e soprattutto corpi sono descritti con dettagli così ricchi da assumere una dimensione inquietante, atroce e paradossale. Il libro mette in evidenza aspetti descrittivi che sono a loro volta accoppiati con rappresentazioni feroci ed espressionistiche di un'ambientazione da incubo. La prima morte è considerata una delle opere più violente della letteratura neogreca.\n\nStoria editoriale.\nIl libro è stato originariamente pubblicato in greco nel 1996 ed è stato tradotto in inglese, tedesco, spagnolo e italiano. La prima edizione inglese è apparsa nel 2000 ed è andata fuori stampa nel 2005. Una seconda edizione inglese rivista è stata lanciata come e-book nella primavera del 2017 e successivamente è stata data alle stampe nell'autunno dello stesso anno. La nuova edizione contiene delle note di traduzione che spiegano i riferimenti al greco antico del testo greco originale.\n\nCritica.\nEssendo il primo libro a essere stato pubblicato della trilogia di Poena damni, La prima morte ha ricevuto una serie di recensioni che abbracciano oltre due decenni. Alcuni critici sottolineano lo stretto legame dell'opera con la letteratura greca antica per il suo carattere linguistico ibrido e le sue allusioni alla tragedia' mentre altri vedono un forte legame con l'attualità. Il critico Toti O'Brien osserva: 'Mentre leggo La prima morte immagino il tappeto di cadaveri lungo il Mediterraneo. Strati e strati di arti, ora ossa, si sono accumulati negli ultimi decenni, tutti appartenenti a carichi di navi di migranti in cerca di fuga attraverso l'Europa. Non posso fare a meno di collegare la poesia sotto i miei occhi con questo preciso scenario. Le immagini più potenti e inquietanti che Lyacos dipinge hanno senso in questo contesto in cui si inseriscono naturalmente.'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Occupazione di Poti.\n### Descrizione: L'occupazione di Poti fu una battaglia tra le forze russe e georgiane svoltasi tra il 9 e il 19 agosto 2008.\n\nBattaglia.\nGli attacchi aerei iniziali.\nPoti è un importante porto della Georgia che si affaccia sul Mar Nero.\nNella giornata del 9 agosto 2008 l'aviazione russa bombardò il porto e le sue strutture e una base aerea che si trovava lì vicino.\n\nLa conquista di Senaki.\nLa città di Senaki, che è distante molte miglia da Poti, fu occupata dalle forze russe l'11 agosto. Così Poti fu isolata dall'intera Georgia perché l'unica strada principale passava proprio da Senaki. Anche se i russi si ritirarono il giorno dopo, l'occupazione di questa città dimostrò l'impotenza e l'incapacità di resistere dei georgiani.\n\nLa vittoria russa.\nIl 14 agosto fu il giorno in cui le truppe russe occuparono la città e affondarono le navi della Marina georgiana.\nIl 19 agosto 2008, le truppe russe catturarono 22 soldati georgiani e sequestrarono quattro Humvee blindati nella città di Poti.\n\nRisultati.\nL'UNOSAT, un progetto dell'UNITAR attuato per la ricerca nucleare, ha effettuato l'analisi di immagini satellitari di Poti, trovando sei barche sommerse georgiane. Oltre a questo non ci sono altri danni visibili nella valutazione.." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ocipete.\n### Descrizione: Ocipete (in greco antico: Ὠκυπέτη?, Ōküpètē) è un personaggio della mitologia greca era una delle Arpie, figlie di Taumante e di Elettra.\nOcipete viene da ὠκύπους (ōkupous), 'piede veloce' e inoltre vuole significare 'scorrere' quindi significa 'colei che scorre veloce' ὠκύθοος (ōkuthoos).\n\nMitologia.\nOcipete sorvegliava le sue sorelle e le aiutava a tormentare Fineo, accecato e punito dagli dei, impedendogli di mangiare alcun cibo. Fineo aveva il dono della profezia e gli Argonauti andarono a consultarlo.\nFineo chiese loro di liberarlo dalle arpie e i due figli di Borea, Calaide e Zete uscirono per attaccarle. Ocipete fu sconfitta e cadde nel Peloponneso.\nOcipete chiese agli dei pietà per lei e le sue sorelle, Iris si rivolse a Calaide e Zete per fermarli e, in cambio della pace, le Arpie promisero di smettere di tormentare Fineo. Dopodiché si nascosero in una grotta di Creta." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ociroe (figlia di Chirone).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ociroe fu una figlia del centauro Chirone e della ninfa Cariclo: era nata sulle rive di un ruscello. Ebbe il dono della divinazione, e si lasciò sfuggire la rivelazione delle vicende segrete legate al futuro di Asclepio. Per punizione, venne trasformata in cavalla." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oclaso.\n### Descrizione: Oclaso è il nome di un personaggio della mitologia greca. È citato come pronipote di Cadmo, fondatore e primo re di Tebe.\nÈ figlio del re Penteo, a sua volta figlio di Agave (figlia di Cadmo), e dunque appartenente alla famiglia reale di Tebe.\nNon gli sono attribuite gesta, è nominato in relazione alle vicende del padre, smembrato dalla propria madre e le sue sorelle, per volere e vendetta di Dioniso. Non fu mai re .\n\nLa stirpe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ocno.\n### Descrizione: Nella mitologia greca e romana, Ocno (in greco Ὄκνος, in latino Ocnus), noto anche con il nome di Bianore, era il figlio del dio Tiberino e dell'indovina Manto.\n\nCitazioni.\nSecondo Virgilio fu il fondatore e primo re di Mantova: egli compare tra gli alleati etruschi di Enea nella guerra contro i Rutuli:.\n\nMitologia.\nFu condannato a trascorrere l'eternità nel Tartaro, intrecciando una corda di paglia. Come raffigurato nell'immagine di Polignoto, dietro di lui c'è il suo asino che mangia la corda con la stessa velocità con cui viene realizzata.\nA differenza di altri detenuti del Tartaro, non viene menzionato alcun crimine che spieghi la condizione di Ocno. Il filologo classico ed epigrafista Reinhold Merkelbach suggerisce che ciò sia dovuto al fatto che Ocno era stato 'ritardatario' nel chiedere l'iniziazione ai Misteri Eleusini, ma non ci sono prove dirette di ciò nelle risorse letterarie superstiti. Il filologo classico Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff considera la condizione di Ocno come una punizione per la debolezza morale, la mancanza di coraggio e la timidezza nei confronti di ciò che egli concepisce come obbligo di decisione. Secondo Wilamowitz, questo potrebbe avere effetti positivi se tiene lontano dalle azioni malvagie, ma è egoistico perché l'evitare gli ostacoli che richiedono una decisione di agire fondamentalmente non aiuta nessuno. Il filosofo Norbert Wokart rifiuta tuttavia questa nozione e ritiene che Ocno sia solo un'immagine o un mero simbolo, che mostra allegoricamente il creativo e il distruttivo, e astrattamente il fragile equilibrio tra il positivo e il negativo, perché il positivo diventerebbe positivo solo attraverso il contrasto del negativo.Julius Evola, un esoterista italiano, ritiene che la storia sia una rappresentazione simbolica della nascita e della morte dell'uomo come forma di immortalità accidentale, che elude l'individuo. In questo caso, Evola vede Ocno come l'eterna madre, che tesse la corda infinita dell'umanità fino alla bocca dell'asino, che simboleggia la morte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ofiotauro.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, l'Ofiotauro (dal greco Οφιοταυρος, Ofiotauros, composto di ὄφις, ofis, 'serpente', e ταῦρος, tauros, 'toro') era un essere mostruoso, il cui corpo taurino terminava con una coda di serpente.\nL'unico frammento testuale pervenutoci riguardo alla creatura si trova nei Fasti di Ovidio. Qui viene detto che le viscere dell'animale, partorito dalla Terra, conferiscono, a chi le brucia, il potere di rovesciare gli dei. Lo Stige, avvertito dalle Parche, imprigionò l'Ofiotauro (per impedire che fosse ucciso) in un bosco circondato da un triplice strato di mura. Durante la Titanomachia, il mostruoso ibrido fu ucciso con un'ascia adamantina da Briareo, un alleato dei titani, ma prima che le interiora potessero essere bruciate Zeus inviò gli uccelli a trafugarle. Quello che gliele riportò fu il nibbio: allora, per ricompensarlo del servizio resogli, Zeus lo elevò al cielo trasformandolo nella costellazione dell'Aquila.\n\nInfluenza culturale.\nL'Ofiotauro compare ne La maledizione del Titano, il terzo libro della serie di 'Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo'. Percy Jackson lo salva e, credendolo una femmina, lo battezza 'Bessie'. L'Ofiotauro crede che Percy sia il suo guardiano. Più tardi, la creatura viene portata sull'Olimpo e posta sotto la tutela del padre di Percy, Poseidone. L'Ofiotauro appare brevemente anche ne La battaglia del labirinto e Lo scontro finale." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ogigia.\n### Descrizione: Ogigia (in greco antico: Ὠγυγίη? Ōgyghìē), nel libro V dell'Odissea di Omero, è l'isola dove Ulisse si trovò a sostare per sette anni dopo lunghe avventure e pericoli corsi durante il suo ritorno dalla guerra di Troia. Quest'isola viene descritta da Omero come un posto paradisiaco della felicità e dell'immortalità, benché Ulisse trascorra la maggior parte della sua prigionia piangendo per la distanza dalla sua patria, per l'impossibilità della sua partenza e per la mancanza dei suoi cari - Penelope e Telemaco -; spesso si rifugiava sul promontorio dell'isola dal quale osservava i flutti in attesa di partire. Altri luoghi dell'isola sono la grande spelonca, ove risiedeva la ninfa, che vi dormiva con Ulisse, benché nolente; attorno alla grotta vi erano un lussureggiante bosco, pieno di uccelli e svariati prati di sedano e viole, e dei rigogliosi tralci di vite domestica con quattro sorgenti d'acqua nei pressi.\nUlisse vi giunse a causa di un naufragio che lo fece andare alla deriva fin sulle coste dell'isola, ove Calipso lo salvò e lo accolse. Essa s'invaghì dell'eroe itacese a tal punto da trattenerlo quasi come prigioniero, fin quando giunse un ordine esplicito di Ermes, in qualità di messo di Zeus a lasciarlo tornare in patria. La ninfa malvolentieri ne informò Ulisse, ma questi diffidava di lei, paventando infatti un attentato alla propria vita come vendetta; dopo il solenne giuramento di Calipso, Ulisse, rinfrancato, si preparò a partire. Costruitosi una zattera (e qui reperiamo preziose informazioni sulle tecnologie dell'epoca), partì, ma avendolo visto il suo acerrimo nemico Poseidone, gli scatenò una tempesta contro; ciononostante, grazie all'intervento salvifico di Atena e della ninfa Leucotea, giunse alle coste di Scheria, l'isola dei Feaci, ove otterrà di essere finalmente accompagnato e sbarcato alla natia Itaca.\n\nIdentificazione.\nSono diverse le collocazioni attribuite a Ogigia nella geografia reale: appena fuori dallo stretto di Gibilterra oppure, secondo tradizioni locali della Dalmazia, l'isola di Meleda; secondo altri autori invece è l'isola di Gozo nell'arcipelago maltese, dove è possibile visitare la grotta 'di Calipso' che sovrasta la spiaggia rossa della Baia di Ramla; ancora, l'isola di Gavdos a sud della Grecia. Secondo alcuni recenti studi, Ogigia si troverebbe di fronte ai monumenti alla costa calabra del Mar Ionio, in corrispondenza della Secca di Amendolara o nei pressi di Punta Alice a Cirò Marina. Per altri ancora si tratterebbe dell'isola di Pantelleria. Ciò che deduciamo da Omero, vero o no che sia, è che era un'isola assai remota, distante da centri abitati: così Ermes diceva a Calipso presentandosi: 'Zeus m'ha costretto a venire quaggiù, contro voglia;/ e chi volentieri traverserebbe tant'acqua marina,/ infinita? Non è neppure vicina qualche citta di mortali,/ che fanno offerte ai numi, elette ecatombi.'Sulla base di un passo del 'De facie in orbe Lunae' dello scrittore greco d’età romana Plutarco del II secolo d.C., lo studioso italiano Felice Vinci ('Omero nel Baltico', 1995) ha ipotizzato che l’isola di Ogigia si trovi, citando letteralmente Plutarco, 'a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, in direzione Occidente' ossia 'verso il tramonto del sole', identificandola in una delle attuali Isole Fær Øer anche sulla base di altre considerazioni, ad esempio di carattere storico, geografico, meteorologico, linguistico. A partire da quest’affermazione di Plutarco, il Vinci arriva a ipotizzare lo svolgersi di tutte le vicende narrate da Omero nell’attuale Mar Baltico, ipotesi che, pur non priva di critiche, è corredata da tutta una serie di calzanti e affascinanti coincidenze che meriterebbero ulteriori approfondimenti.\n\nInfluenza culturale.\nAll'isola Ogigia è intitolato l'Ogygia Chasma su Teti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ogigo.\n### Descrizione: Ogigo (in greco antico: Ὤγυγος?) oppure Ogige (in greco antico: Ὠγύγης?) è un personaggio della mitologia greca, di antichissime origini e probabilmente autoctono della Beozia, che fu considerato un re delle terre della Beozia quando la città di Tebe non era ancora stata fondata e quando le terre al suo intorno erano inabitate.\nSecondo altre tradizioni fu un re dell'Attica e durante il suo regno si sarebbe verificato un diluvio.\n\nMitologia.\nAnche le storie della sua discendenza sono molto diverse e se a volte viene considerato un figlio di Poseidone, per altri è invece un figlio di Beoto o di Cadmo mentre Teofilo di Antiochia nell'Apologia ad Autolico scrive che sia stato uno dei Titani.\nEusebio di Cesarea nei suoi scritti cita la Chronographia di Giulio Africano e stima l'esistenza Ogigo ai tempi dell'Esodo degli Ebrei dall'Egitto.\nFu il marito di Tebe (probabilmente eponima della stessa città di Tebe) e padre dei maschi Eleusi (eponimo dell'antica città di Eleusi) e di Cadmo (che potrebbe invece essere il padre e che è considerato l'eponimo della Cadmea) e delle femmine Alalcomenea (eponima di Alalcomene in Beozia), Aulide (eponima di Aulide) e Telsinia (o Delcinia); queste ultime sono definite anche Prassidiche, nutrici di Atena e dispensatrici della 'giusta punizione'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oileo.\n### Descrizione: Oileo (in greco antico: Ὀϊλεύς?, Oīlèus) è un personaggio della mitologia greca. Re della Locride ed Argonauta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Odoidoco (figlio di Cino e nipote di Opo) e di Agrianome (figlia di Perseon), sposò Eriope (figlia di Fere e detta anche Alcimache) e fu padre di Aiace Oileo e di Medonte, quest'ultimo avuto dalla ninfa Rene.\nSecondo Igino, Rene è anche la madre di Aiace.\n\nMitologia.\nViaggiò con gli Argonauti verso la Colchide alla ricerca del vello d'oro ed al suo ritorno fu ferito alla spalla durante l'attacco degli uccelli del lago Stinfalo mentre si trovava sulla nave Argo e ricevette aiuto dal compagno Eribote.\nSuo figlio Medonte combatté nella guerra di Troia con Aiace ed i greci quando parlavano di loro li chiamavano gli Olionidi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oinotrope.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Elaide, Eno e Spermo, dette le Oinotrope (o le Vignaiole; letteralmente 'trasformatrici in vino') erano le tre figlie di Anio, figlio di Apollo e re di Delo, e di sua moglie Dorippa.\nSiccome il padre le aveva consacrate a Dioniso, il dio dotò rispettivamente Eliade, Spermo ed Eno del potere di trasformare tutto quanto veniva toccato in olio, grano e vino; i loro nomi si riferiscono per l'appunto a questi tre beni. Grazie a questa dote delle sue figlie, Anio poté soddisfare le richieste di rifornimenti dei greci in partenza per la guerra di Troia.\nAgamennone inviò a Delo Menelao e Odisseo per chiedere ad Anio di consegnargliele, cosicché potesse portarle con sé in guerra per garantire il nutrimento ai soldati, ma il padre delle Oinotrope rispose che, secondo il volere degli dèi, Troia non sarebbe stata conquistata prima di dieci anni ed invitò i Greci a rimanere nella sua isola per tutto quel periodo, promettendo che sarebbero stati nutriti dalle sue figlie. Tuttavia, il condottiero acheo aveva dato il preciso ordine di requisirle con la forza, qualora Anio non avesse accondisceso al suo desiderio. Odisseo allora incatenò le giovani, caricandole sulla propria nave. In seguito, riuscirono tutte a fuggire; due ripararono in Eubea, la terza ad Andro. Di fronte alle intimazioni di Agamennone, che inviò delle navi e minacciò la guerra, si arresero, ma, dopo aver invocato Dioniso, furono tramutate dal dio in colombe bianche. Da quel momento Anio ruppe definitivamente con gli Achei e iniziò a parteggiare per i Troiani." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oizys.\n### Descrizione: Oizys (in greco antico: Οϊζύς?, Oizýs) nella mitologia greca era la dea della miseria e della sventura.\nEra una figlia della Notte e gemella del dio Momo.\nIl suo nome latino era invece Miseria.\nÈ anche la dea dei veleni, ed è rappresentata seduta su una roccia, magrissima con le vesti lacere. Le guance sporche di sangue, come se se le fosse graffiata lei stessa. Tiene appoggiato a terra lo scudo di Ercole, dove è rappresentata lei in quella stessa posizione. La leggenda dice che Ercole pose Oizys sul suo scudo, così l'ultima immagine che i suoi nemici avessero avuto prima di morire sarebbe stata proprio la dea della Miseria.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Oizys, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oleno (cantore).\n### Descrizione: Oleno (in greco antico: Ὠλήν?, Olēn) è un personaggio della mitologia greca.\nÈ menzionato come mitico cantore di esistenza anteriore ai più noti Panfo, Museo, Lino, Orfeo ed Omero.\n\nMitologia.\nOriginario della Licia o del paese degli Iperborei, già Erodoto lo reputava il primo autore di inni e canti epici, inventore dell'esametro, profeta di Apollo a Delo, Delfi ed a Creta. In particolare, avrebbe trasportato il culto di Apollo e di Artemide dalla Licia a Delo, dove celebrò la loro nascita tra gli Iperborei con inni mitologici e cosmogonici che, secondo Erodoto, a Delo si tramandarono a lungo.\nAnche Pausania lo ricorda come il primo innografo, menzionando i suoi inni a Giunone ed a Lucina." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oleno (figlio di Efesto).\n### Descrizione: Oleno (in greco antico: Ὤλενος?, Olĕnus) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Efesto e di Aglaia fu padre delle ninfe Elice ed Ege.\n\nMitologia.\nLe sue figlie (Elice ed Ege) furono le nutrici di Zeus sul monte Ida a Creta.\nIn alcune fonti è citata come sua figlia anche Amaltea, dai più rammentata invece come la capra che allattò Zeus (in Eustazio Oléniè aïx, la «capra Olenia»).\nDa questo Oleno deriverebbe il nome una città in Aulide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Olimpo Orientale.\n### Descrizione: Olimpo Orientale (in greco Ανατολικός Όλυμπος?) è un ex comune della Grecia nella periferia della Macedonia Centrale di 9.374 abitanti secondo i dati del censimento 2001.È stato soppresso a seguito della riforma amministrativa, detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011 ed è ora compreso nel comune di Dion-Olympos." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Olimpo.\n### Descrizione: Il Monte Olimpo (in greco antico: Ὄλυμπος?) è, con i suoi 2917,727 m, la montagna più alta della Grecia. È situato nella parte settentrionale del paese, tra la Tessaglia e la Macedonia, non lontano dal mare Egeo. Nel 1938 è diventato sede del parco nazionale del Monte Olimpo.\nNella mitologia greca, la vetta del monte (perennemente circondata da nubi bianche) era considerata la casa degli dei olimpi, ed era dunque ritenuto impossibile raggiungerla senza il permesso degli dei stessi.\n\nEtimologia.\nIl nome Όλυμπος (olympos) non ha origine certa. È stata accostata a termini greci come ollumi (tagliare, radere, distruggere), oloos (distruttore), oulē (intaglio), mentre il suffisso -mpos, è attestato in diversi linguaggi indoeuropei nella formazione degli aggettivi con significato di posizione. Queste tesi tenderebbero a concepire la parola olympos come 'impedimento', 'ostacolo', 'barriera', e infatti dagli antichi l'Olimpo era considerato una frontiera che separava la Tessaglia dalla Macedonia.\nUn'altra etimologia si avvale di parole più prettamente indoeuropee come le radici *wel- ('girare') e *ombh- ('rotondità', ma anche 'sommità'). Il senso quindi potrebbe essere 'dalla cima circondata', con riferimento alle nubi che ne nascondevano spesso la cima. Secondo altri, invece, 'cima circondata dalla neve', e da qui il concetto di 'Olimpo luminoso', per il consueto bagliore delle nevi.\n\nClima.\nIl clima dell'Olimpo varia a seconda della stagione e dell'altitudine. Sulle basse pendici è tipicamente mediterraneo, con estati calde e secche e inverni miti ma abbastanza piovosi. Nella zona di media montagna l'estate è fresca e piuttosto secca. Piove spesso in primavera e in autunno, mentre l'inverno è abbastanza rigido e freddo, con frequenti nevicate.\nNella zona alta, sopra i 2000 m, le estati sono brevi, con piogge frequenti. Pioggia e freddo prevalgono in primavera e autunno, mentre l'inverno è estremamente pesante e lungo, con frequenti nevicate.\n\nAlpinismo.\nLa prima ascensione del Monte Olimpo avvenne il 2 agosto 1913 ad opera del greco Christos Kakkalos e degli svizzeri Frédéric Boissonas e Daniel Baud-Bovy.\nLa via normale di accesso alla Cima Mitikas risale il versante orientale della montagna. Le almeno 13 ore di percorrenza fanno tipicamente prevedere uno svolgimento di minimo 2 giorni con pernottamento in quota. Parte dalla località Prionia a 1100 m s.l.m., raggiungibile in auto dalla città di Litochoro, dalla quale si raggiunge il rifugio Spilios Agapitos a 2100 m s.l.m.. Dal rifugio si raggiunge la Cima Skala a 2866 m s.l.m., terza vetta della Grecia e punto di arrivo per la maggior parte degli escursionisti. L'itinerario prosegue poi verso nord per la Cresta Kakoskala diventando alpinistico, le difficoltà aumentano e la forte esposizione al vuoto richiede di procedere legati in sicurezza mediante tecniche alpinistiche, fino alla celebre Cima Mitikas, vetta più alta della Grecia, posta a quota 2917 m s.l.m..\n\nMitologia.\nUn'ipotesi sul perché l'Olimpo sia stato considerato sede degli dèi della Grecia è presente nel Trattato fisico-storico dell'Aurora Boreale, ponderoso lavoro dell'astronomo e géomètre francese Jean Jacques Dortous de Mairan, discepolo 'eretico' del padre Malebranche, nonché successore di Bernard le Bovier de Fontenelle come segretario dell'Accademia delle Scienze di Parigi.\nDal 1716, per oltre un decennio, nei cieli europei fu ben visibile il fenomeno dell'aurora boreale. A esso Fontenelle riservò per cinque anni consecutivi l'apertura dell'Annuario dell'Accademia parigina delle Scienze, sottolineando tra l'altro come il fenomeno potesse chiarire anche una serie di credenze popolari:.\n\nAncora nel 1726 Fontenelle e l'Histoire de l'académie royale des sciences tornarono ad occuparsi del fenomeno in questi termini:.\n\nPer Mairan è proprio l'aurora boreale, vista incombere dai greci pre-omerici sulle pendici della catena montuosa dell'Olimpo, ad aver determinato la nascita del mito che ivi localizza la sede degli dèi.\nLa luminosità a cui l'Olimpo dovrebbe il suo nome non è il consueto bagliore delle nevi inondate dal sole, o lo splendore di una cima che emerga improvvisa al di sopra delle nubi, ma la più sorprendente e fantastica luce che l'aurora boreale accende nel cuore della notte.\nIl monte Olimpo, accompagnato dal motto FIDES, venne utilizzato come impresa dal duca di Mantova Federico II Gonzaga." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Omofagia.\n### Descrizione: Con omofagia (dal greco ὠμοϕαγία, da ὠμός ōmós 'crudo' e ϕαγεῖν phagêin 'mangiare') si intende il consumo di carne cruda.\nOmofagia è un termine riferito ad un insolito rituale caratterizzato dalla consumazione di carni crude, in uso presso gli antichi Greci ed adottato da associazioni mistiche (per esempio il 'menadismo') dedicate al culto del dio Dioniso, visto come liberatore dell'energia vitale, colui che torna dall'oltretomba alla vita. Normalmente, il sacrificio di animali a favore delle divinità, così come era istituzionalizzato all'epoca, prevedeva anche la consumazione delle carni della vittima, che avveniva dopo regolare cottura. L'omofagia, al contrario, si proponeva come una “rivisitazione trasgressiva” del rituale ordinario. Il rito si svolgeva con la caccia a un animale selvatico, in genere di piccola taglia, che veniva ucciso, spesso fatto a pezzi a mani nude e poi divorato crudo dai partecipanti. L'animale era identificato con la divinità ed il rito simboleggiava l'unione con la stessa. Tale pasto sacrificale realizzava non solo l'unione tra il sacrificante e la divinità destinataria del sacrificio, ma consentiva anche una sorta di fratellanza mistica tra tutti i commensali. Tale comunione mistica di gruppo avveniva attraverso l'identificazione dei sacrificanti con la vittima sacrificale, a sua volta già coincidente con la divinità stessa.\nI rituali di comunione mistica sono rintracciabili anche tra le culture primitive, come la comunione totemica delle popolazioni australiane.\nSaranno più tardi rintracciabili nel cristianesimo, dove il termine comunione è usato nel senso di eucaristia (uno dei sacramenti della religione cristiana), con particolare rilevanza al carattere comunitario (greco koinonía) della Santa Cena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Onfalo.\n### Descrizione: Col termine ònfalo (in greco ὀμφαλός omphalòs, ossia 'ombelico') nell'antichità si indicava una pietra o un oggetto dal valore religioso. Nell'antica Grecia la pietra scolpita era situata a Delfi, nel Tempio di Apollo, da cui la Pizia diffondeva i suoi vaticini. Nel museo di Delfi si conserva una copia marmorea della pietra, raffigurata coperta da cordoni intrecciati.\n\nIl mito.\nIl tempio di Apollo delfico era il più importante di tutto il mondo greco, e l'onfalo indicava che Delfi, col suo santuario, era il centro del mondo, il suo ombelico. Secondo il mito, Zeus, per determinare il centro del mondo, aveva liberato due aquile che erano volate in direzioni opposte e si erano ritrovate a Delfi.\nInoltre, con lo stesso termine ci si riferiva anche al masso che Rea fece ingoiare a Crono al posto del figlio Zeus e che venne rigettato dallo stesso Crono. Ciò avvenne quando Zeus nell'intento di liberare i fratelli ingoiati dal padre, nel timore d'essere spodestato, secondo il mito, gli fece bere con l'inganno un veleno che fece vomitare a Crono dapprima la pietra, ingoiata al posto di Zeus in fasce, per poi liberare le altre divinità." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Onihitokuchi.\n### Descrizione: Gli Onihitokuchi (鬼一口) sono degli Oni carnivori con un solo occhio.\n\nLeggenda.\nNella sesta parte dei racconti di Ise del Periodo Heian, è riportato ciò:' Un uomo frequentava una donna da tanti anni, ma il loro differente status sociale ne proibiva l'unione. Così, una notte fuggirono assieme nel cuore di una notte tempestosa e si ripararono dalla pioggia in una grotta sperduta e, fatta entrare la donna al suo interno, il giovane fece la guardia all'ingresso con l'arco di sua proprietà. Quando all'alba entrò nella caverna, non trovò la sua compagna, perché lei era stata divorata in un sol boccone da un Oni che viveva lì e le sue urla erano state coperte dal frastuono dei fulmini'.La storia fu illustrata da Sekien Toriyama nel Konjaku Hyakki Shūi sotto il titolo 'Onihitokuchi'.Inoltre, nella collezione di setsuwa è raccontato come un Onihitokuchi si sia camuffato da giovane per sedurre una donna e divorarla, mentre nel Konjaku Monogatarishū la ragazza viene semplicemente rapita mentre passeggiava di notte.Si ipotizza che queste storie cercassero di spiegare le sparizioni improvvise nei periodi di guerre o carestie." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oniri.\n### Descrizione: Nella mitologia greca gli Oniri (Ὄνειροι), talvolta in italiano anche nella traduzione diretta Sogni, sono dèi minori generati da Notte, consistendo nei sogni dei mortali. Essi ne sono la personificazione e si troverebbero sulle sponde dell'oceano dell'ovest, in una caverna confinante con il dominio di Ade, il dio degli Inferi. Questi dèi inviano i sogni ai mortali attraverso due cancelli o portali: l'uno costruito con corna, l'altro in avorio. Dal primo prendono forma i sogni veri, dal secondo quelli ingannatori.\nI tre fratelli Oniri sono:.\n\nMorfeo (Morpheus).\nFobetore (Phobetor), chiamato anche Ìcelo (Icelus).\nFantaso (Phantasos)Ognuno di essi ha il proprio ruolo nel plasmare i sogni dei mortali.\n\nL'influenza degli Oniri nei sogni.\nMorfeo.\nIl più potente degli Oniri, è 'il modellatore', colui che fa prendere forma al sogno. Permette la manifestazione di esseri umani all'interno dei sogni.\nSecondo la mitologia, Morfeo sfiorava le palpebre dei sognatori con un mazzo di papaveri per assumere la forma della persona sognata e si riteneva che fosse circondato da folletti che creavano l'immaginazione.\n\nFobetore.\n'Lo spaventoso'; egli compare nei sogni sotto forma di esseri aberranti, quali bestie o mostri.\n\nFantaso.\n'L'apparizione'; sono generati da lui tutti gli oggetti inanimati sognati dai mortali." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oniro.\n### Descrizione: Oniro, nella mitologia greca più arcaica, è la personificazione del sogno. Figlio del Sonno (Hypnos) e della Notte, riunisce in sé i poteri dei tre oneiroi (Morfeo, Fobetore e Fantaso); forse anche per questo, non possiede una personalità ben definita.\nNei culti oracolari, grazie al rito dell'incubazione, faceva da tramite tra il volere divino ed il fedele attraverso il sogno, trovando la sua collocazione adeguata.\nIl personaggio di Oniro viene rappresentato nell'Iliade come un messaggero di Zeus." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Opistodomo.\n### Descrizione: Nel tempio greco l'opistodomo è lo spazio posto dietro la cella (dal greco ὀπισθόδομος, composto da ὄπισθεν 'di dietro' + δόμος 'stanza').\nEsso poteva contenere le suppellettili utili al rito e ai sacrifici. Dato che l'opistodomo ospitava anche le ricche offerte consacrate agli dei, era chiuso con cancellate metalliche. Vi potevano accedere solo i sacerdoti. Ma solitamente e principalmente l'opistodomo era costruito solamente per creare quella perfezione, identificata nell'analoghìa. Infatti, la sua costruzione creava simmetria, in relazione al pronao.\nNei templi di età arcaica l'opistodomo è più ampio del pronao e le sue ante non sono allineate con le colonne laterali della peristasi, mentre in età classica esso tende ad assumere dimensioni uguali o minori e ad allinearsi con la terza colonna del colonnato laterale. Generalmente si trova nella configurazione del vano 'distilo in antis' ovvero con due colonne (distilo) tra le ante.\nC'era anche un opistodomo nel tempio periptero, cioè interamente circondato da colonne, e nello pseudoperiptero; nel tempio dei ditteri, cioè con due ordini di colonne.\nIl Partenone, che era un tempio periptero, aveva un opistodomo in cui era custodito il tesoro pubblico di Atene .\nL'opistodomo, caratteristico all'inizio dell'ordine dorico, iniziò ad essere costruito per la prima volta nel tempio ionico di Atena a Priene, dall'architetto Pitide intorno al 340 - 330 a.C." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Opsicella.\n### Descrizione: Opsicella (talvolta anche Ossicella) è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nOpsicella fu compagno del troiano Antenore durante la fuga da Troia distrutta dagli Achei e assieme a lui risalì l'Adriatico ed il Medoacus (l'attuale Brenta). Separatosi da Antenore, secondo la leggenda, fondò la città di Monselice. Ripreso quindi il suo viaggio giunse in Biscaglia dove avrebbe fondato un'altra città dandole il suo nome.\n\nIl personaggio nelle arti visive.\nAd Opsicella è dedicata una delle statue presenti in Prato della Valle a Padova eretta per volere degli abitanti di Monselice nel 1777. Eseguita da Pietro Danieletti, la statua tiene in mano il bastone del comando e ai piedi vi sono uno scudo e una faretra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oracoli caldaici.\n### Descrizione: Gli Oracoli caldaici sono una raccolta di rivelazioni sapienziali appartenenti alla tradizione misterica greco-romana realizzata probabilmente alla fine del II secolo d.C. da Giuliano il Teurgo.\n\nContenuto.\nLa raccolta si compone di esametri omerici in cui viene rivelata la sapienza divina.\n\nA differenza del Corpus Hermeticum che si ricollega alla sapienza egizia, gli Oracoli caldaici fanno riferimento alla sapienza babilonese, tanto che furono attribuiti al profeta Zoroastro dal filosofo umanista Giorgio Gemisto Pletone.Pervenutaci soltanto in frammenti, l'opera è incentrata sul culto del Sole e del fuoco, oltre che sulle pratiche della teurgia, tipiche dell'età ellenistica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oracoli sibillini.\n### Descrizione: Gli Oracoli sibillini (latino: Oracula Sibyllina), talvolta detti Pseudo-sibillini, sono 12 libri in greco di contenuto assai eterogeneo, scritti in esametri e contenenti varie profezie circa eventi storici futuri; prendono il nome dai Libri sibillini.\nGeneralmente catalogati tra gli apocrifi dell'Antico Testamento, sono suddivisibili in due parti in base al loro contenuto: giudaico-ellenistico quello più antico, giudaico-cristiano quello più recente. Il loro nucleo originario (libri 3-5) fu composto tra il II e il I secolo a.C., ed è da mettere probabilmente in relazione con le comunità della diaspora giudaica in Egitto; il testo originario fu poi rielaborato e ampliato in ambiente cristiano, tra il I e il VI secolo, con evidente scopo apologetico.\nEbbero grande fortuna presso i Padri della Chiesa, tra cui pseudo-Giustino, Teofilo di Antiochia, Clemente Alessandrino, Lattanzio, Eusebio di Cesarea, Agostino d'Ippona e Ambrogio da Milano, che li ritennero oracoli autentici.\n\nContenuto.\nIl contenuto degli Oracoli è stato definito «una straordinaria miscellanea il cui contenuto rispecchia una varietà di dottrine, assimilando le caratteristiche della letteratura profetica orientale e della cultura ellenistica».Il nucleo più antico è infatti il risultato della rielaborazione delle collezioni di oracoli attribuiti alle Sibille, che tanta fortuna avevano presso il mondo ellenistico-romano; gli oracoli furono prodotti a scopo propagandistico, in modo che ne fosse esaltato il senso apocalittico e che potessero convogliare un messaggio monoteistico e messianico. Questo nucleo, infatti, è riconducibile al mondo culturale ebraico di Alessandria d'Egitto, dove gli Ebrei della diaspora vissero a contatto con la cultura ellenistica, a partire dal III secolo a.C. o dalla prima metà del II secolo a.C.Successivamente il materiale fu rielaborato in ambiente cristiano, adattando le profezie giudaiche (profezie apocrife) in modo che prefigurassero l'avvento del Cristianesimo (come avvenuto nel caso della reinterpretazioni delle profezie dell'Antico Testamento all'interno dei vangeli canonici). La Sibilla, in particolare la Sibilla Eritrea, diventa dunque un'occasionale medium per la trasmissione delle profezie ispirate da Dio.\nI primi otto libri furono raccolti insieme da un autore anonimo, che compose anche il Prologo, il cui intervento si fa risalire al VI secolo.I libri più antichi sono quelli attualmente numerati come III, IV e XI; successivamente furono composti i libri I e II, collocati prima dei precedenti in quanto fanno riferimento alle fasi della creazione del mondo. Un gruppo a parte è costituito dai libri XI-XIV, nei quali si nota una fusione di temi escatologici-apocalittici con un carattere prevalentemente storico. A partire dall'antichità fino all'epoca romana, gli oracoli riportano eventi, storici o inventati, riconducibili a eventi luttuosi che colpiscono coloro che si oppongono al popolo scelto da Dio; in particolare sono evidenziate le difficoltà incontrate dai Romani, di cui viene sottolineata l'ostilità nei confronti degli Ebrei e la contrapposizione tra il loro dominio e il Regno del Figlio di Dio.\n\nComposizione.\nLa data e il luogo di composizione dei libri che compongono gli Oracoli sono i seguenti.\n\nStoria del testo.\nI primi otto libri degli Oracoli sibillini furono ritrovati in un manoscritto della biblioteca di Augsburg (oggi a Monaco di Baviera) da Betuleius, il quale li pubblicò nel 1545; l'anno successivo Sebastiano Castellione stampò a Basilea, presso l'editore riformato Oporino, una traduzione metrica latina degli oracoli. Lo stesso Castellione curò poi nel 1555 una riedizione del testo greco, per la quale mise a frutto un nuovo codice (oggi a Vienna) che era stato segnalato da Marco Antonio Antimaco. Una nuova edizione fu poi pubblicata a Parigi dal filologo calvinista Johannes Opsopoeus nel 1599 (ma è probabile che già nel 1589 vi sia stato un primo tentativo di pubblicazione, abortito per via della guerra di religione divampata): Opsopoeus per primo mise in dubbio il fatto che si trattasse effettivamente di testi divinamente ispirati e che le Sibille avessero predetto l'avvento di Cristo con alcuni secoli di anticipo.\nL'edizione di Opsopoeus, pur contestata in ambienti cattolici, divenne canonica e fu, ad esempio, ristampata nel 1689 da Gallaeus, insieme ad un fittissimo apparato di annotazioni storiche e antiquarie. Non molto aggiunse l'edizione curata da Andrea Gallandi nella Bibliotheca Veterum Patrum (1765, 1788). La vera novità si ebbe quando nel 1817 l'allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Angelo Mai, identificò un nucleo di quattro nuovi libri (numerati da XI a XIV), che riconobbe anche in due manoscritti della Biblioteca Vaticana allorché vi si trasferì. Così nel corso del XIX secolo si successero altre edizioni (Charles Alexandre, Alois Rzach) fino a quella, oggi fondamentale, di Johannes Geffcken (1902).\nNelle moderne edizioni degli Oracoli i libri sono 12, numerati da I a VIII e da XI a XIV. Il IX libro generalmente non è pubblicato poiché coincide con il VI e con alcune parti del VII e dell'VIII, mentre il X coincide con il IV. Un presunto XV libro è formato da pochi versi ad inizio del libro VIII.\n\nEdizioni.\n(LA, GRC) Charles Alexandre (a cura di), ΧΡΗΣΜΟΙ ΣΙΒΥΛΛΙΑΚΟΙ. Oracula sibyllina, 2ª ed., Parigi, Firmin Didot, 1869.\n(LA, GRC) Alois Rzach (a cura di), ΧΡΗΣΜΟΙ ΣΙΒΥΛΛΙΑΚΟΙ. Oracula sibyllina, Vienna, F. Tempsky, 1891.\n(DE, GRC) Johannes Geffcken (a cura di), Die Oracula Sibyllina, Lipsia, J.C. Hinrichs'sche Buchhandlung, 1902.\nMariangela Monaca, Oracoli sibillini, Città Nuova, 2008, ISBN 978-88-311-8199-0." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oracolo di Anfiarao.\n### Descrizione: L’oracolo di Anfiarao (in greco antico: Ἀμφιαρε��ον?, Amphiarèion) ad Oropo è un sito archeologico, descritto da Pausania nel I libro della Periegesi della Grecia. Esso fa parte del santuario di Oropo, collocato vicino Psafi, consacrato all'eroe Anfiarao, divinizzato dopo la morte.\nSi narra infatti che Anfiarao, uno dei Melampodidi, ovvero i discendenti di Melampo, dal quale aveva ereditato il dono di prevedere gli eventi futuri, sopravvisse alla battaglia per Tebe. Inseguito da Periclimeno, fuggì sul cocchio, guidato da Batone, un altro dei Melampodidi (o Melampidi), in direzione dell'Ismeno; qui, grazie alla protezione offerta da Zeus ed Apollo, la terra si aprì e lo inghiottì insieme al suo carro.\nSecondo alcuni, l'eroe argivo avrebbe continuato a vivere sotto terra come un dio.\n\nIl complesso architettonico.\nDal V al I secolo a.C. Oropo, città confinaria tra l'Attica e la Beozia, ha assunto una notevole importanza grazie soprattutto al santuario (Amphiareion) che ospitava l'oracolo di Anfiarao.\nIl tempio di Anfiarao risale al IV secolo a.C. Il bomòs (l'altare) sorgeva a est del tempio, a sua volta disposto verso oriente.\nPausania sostiene che l'altare fosse dedicato a cinque gruppi di divinità:.\nHeracles, Zeus e Apollo Παιών.\nEroi e consorti degli eroi.\nEstia, Ermes, Anfiarao e Anfiloco, uno dei figli dell'eroe.\nAfrodite, Panacea, Iaso, Igea e Atena Παιώνα.\nLe ninfe e Pan; i fiumi Acheloo e CefisoA est dell'altare si trova una struttura avvolgente a gradoni che potrebbe essere stata utilizzata come area teatrale prima della costruzione del teatro del II secolo a.C. Immediatamente a est di questo insieme si trova lo fonte sacra.\n\nLa fonte di Anfiarao.\nLa fonte, in prossimità del tempio, è consacrata ad Anfiarao, perché si dice che se ne fosse servito per risalire sulla terra dall'Ade.\nQui non venivano mai fatti sacrifici né si faceva uso dell'acqua per le lustrazioni o le abluzioni.\nTuttavia, ancora Pausania, riferisce l'uso di coloro che, una volta riacquistata la sanità per l'oracolo di Anfiarao, gettavano monete d'oro e di argento nella fonte.\n\nLa stoà.\nÈ datata nello stesso periodo del tempio e presenta 39 colonne doriche esterne e 17 colonne ioniche interne. Lungo il perimetro della struttura sono presenti delle panche in marmo dove i pellegrini dormivano adagiandosi nelle pelli di arieti appena sacrificati, attendendo il sogno in cui la divinità dava indicazioni per l'ottenimento della guarigione. Prima della sua distruzione, ai lati del portico, sono state ricavate due piccole stanze separate dal resto della struttura da due colonnati, probabilmente destinati anche questi all'accoglienza dei pellegrini.Nel territorio italiano, una struttura simile è presente nell'area archeologica La Cuma, a Monte Rinaldo.\n\nTradizione e uso dell'oracolo.\nLa tradizione dell'oracolo nascerebbe dalle profezie che Anfiarao avrebbe pronunciato davanti agli Argivi in occasione della spedizione contro Tebe. Iofonte Gnossio avrebbe poi provveduto a trascrivere gli oracoli in versi esametri.\nAnfiarao, oltre che veggente, era anche interprete di sogni, tanto che stabilì la loro divinazione.\nIl rito, finalizzato al manifestarsi del sogno risanatore che, debitamente interpretato, doveva guarire il pellegrino, consisteva nell'incubazione, ovvero nel riposo notturno, all'interno delle apposite strutture del santuario definite λουτρὰ Ἀμφιαράου.\nPrima dell’incubatio era necessario eseguire una purificazione. La lunga stoà che si trova oltre la fonte, edificata contemporaneamente al tempio, composta da 41 colonne e due file di panche di marmo, serviva al sonno rituale dei pellegrini.\n\nAnche il figlio di Anfiarao, Anfiloco, aveva un oracolo a Mallo, in Cilicia, che Pausania considera il più veridico ai suoi tempi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oracolo di Delfi.\n### Descrizione: L'Oracolo di Delfi o “Delfo” è l'oracolo più prestigioso della religione greca del periodo arcaico.\n\nFondazione nella tradizione letteraria.\nCon l'eccezione dell'autore degli inni omerici ad Apollo, che gli attribuisce la fondazione dell'oracolo, i mitografi sono divisi in due gruppi: per il primo il dio ricevette l'oracolo in dono da altre divinità, come Pan o Zeus,.\nl'altro, parla di una lotta col serpente Pitone (Πύθων) che era il guardiano dell'oracolo, allora posseduto da Gea (Γῆ, la principale divinità ctonia) per ottenerne il controllo.\nPito (Πυθώ o anche Πυθών) era in effetti l'antico nome dell'oracolo e deriverebbe dal πύθω (far imputridire, marcire). Per scontare l'uccisione del serpente, Apollo dovette adattarsi a servire come pastore per sette anni sotto il re Admeto, che peraltro lo trattò sempre con rispetto e considerazione. Alla fine del periodo di pena, Apollo rientrò trionfalmente a Delfi sotto forma di delfino, il che va interpretato come una spiegazione paraetimologica per il nuovo nome dell'Oracolo.\n\nStoria.\nCollocato a 500 metri di altitudine, in linea d'aria, a 8 km dal Golfo di Corinto, il santuario panellenico di Delfi, di cui il tempio è la principale costruzione, risale all'Età micenea, mentre le prime figurine testimonianti della sua attribuzione ad Apollo risalgono al VIII secolo a.C.. Dipendente dalla città di Delfi (che decideva ad esempio la promanzia), a partire dal VI secolo a.C. il santuario passò sotto il controllo dell'Anfizionia (ἀμφικτυονία) pilaico-delfica.\nAlla metà, nel 548 a.C., il tempio fu distrutto da un incendio. Nel 505 terminerà la sua ricostruzione, avviata grazie ai finanziamenti dei Greci e non solo (contribuì anche il faraone Amasis), e prenderà il nome di tempio degli Alcmeonidi, per via dell'importante ruolo svolto nella ricostruzione dalla famiglia ateniese degli Alcmeonidi, qui esiliata. Nel 373 a.C., il tempio venne nuovamente distrutto, questa volta quasi certamente da un terremoto. La sua ricostruzione tarderà fino al 325 a.C. per via della Terza guerra sacra (356-346).\nI Persiani nel 480 a.C. e in seguito i Galli, nel 279 a.C., razziarono la regione del golfo di Corinto, ma il santuario subì pochi danni. L'elevazione nel 168 a.C. di un monumento alla vittoria di Pidna da parte di Lucio Emilio Paolo Macedonico, trasformando una statua equestre di re Perseo di Macedonia, segna l'appropriazione del santuario da parte dei conquistatori Romani. Interventi di riparazione e ripristino del culto vennero da parte di Augusto, Domiziano e Adriano. Il culto di Apollo perdurò a Delfi fino al III secolo.\n\nDescrizione.\nAnche se il tempio più antico scavato dagli archeologi risale al VII secolo a.C., il tempio più recente (e le cui rovine sono visibili a Delfi) risale al IV secolo a.C.Il tempio è periptero, misura 21,64 per 58,18 metri, ha sei colonne doriche sulla facciata e 15 per ogni lato. All'entrata del tempio c'era la scritta: 'ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ', 'Conosci te stesso'.\nIl suo interno è diviso in tre vani: il prónaos (πρόνᾱος), dal lato delle colonne ancora rimaste in piedi), il naós (νᾱός) e l'opisthódomos (ὀπισθόδομος). Il prónaos raccoglieva le 'massime' dei Sette Sapienti. Il naós, dalla pianta molto allungata, ospitava invece alcuni altari tra cui quello di Estia e quello di Poseidone. Un locale posto sotto il tempio fungeva da ádyton (ἄδυτον), il luogo dove la Pythía (Πυθία, anche 'pizia') pronunciava gli oracoli (χρησμός, chrēsmós).\nNella cella del tempio, davanti alla statua di culto, bruciava un fuoco perenne, alimentato solo da legno di abete. Dal tetto pendevano innumerevoli ghirlande d'alloro. Al centro del pavimento vi era una crepa, detta Χάσμα, da cui si sprigionavano vapori capaci di indurre una specie di trance. Al di sopra di questa crepa era piazzato il tripode su cui la pizia sedeva durante le sessioni oracolari. L'effetto dei fumi viene descritto come molto ineguale. Per lo più si limitava a indurre un delirio durante il quale la pizia pronunciava suoni e parole sconnesse, che venivano accuratamente trascritte e successivamente interpretate e comunicate all'interrogante. Talvolta l'effetto dei fumi era talmente violento da provocare alla pizia forti convulsioni, giungendo anche a ucciderla. Erodoto e altri riferiscono di occasioni in cui la voce del dio era stata udita direttamente da postulanti, senza il tramite della pizia. All'interno vi era anche una fonte d'acqua: la Kassotis, alla quale si abbeveravano la Pizia, i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli.\n\nL'oracolo.\nEvidenze archeologiche hanno dimostrato che il sito in cui era collocato l'oracolo fu luogo sacro fin dall'epoca pre-greca. In epoca antica la consultazione dell'oracolo conservava una periodicità annuale avvenendo il 7 del mese di Bisio (febbraio/marzo), in epoca classica tale periodicità acquisì una regolare cadenza mensile più le consultazioni considerate straordinarie. L'organizzazione templare risultava articolata: i sacerdoti (ἱερεύς) di Apollo erano due e venivano nominati a vita, essi avevano cura del culto al dio e conservavano la sua statua; seguivano gli hósioi (Ὄσιοι) in numero di cinque, nominati anch'essi a vita controllavano il rispetto dei riti lì celebrati; i prophétes (προφήτης) assistevano invece la Pizia, che viveva nel santuario; seguiva altro personale addetto ai sacrifici (μάγειροι), alle pulizie, all'amministrazione.\nLa personalità più in vista era la Pizia, la profetessa, scelta tra le donne di Delfi senza alcuna selezione in base all'età e nominata a vita. Potevano esservi più profetesse, fino a tre, la loro esistenza sacra era regolata dalla purezza rituale e dalla continenza, condizione esibita anche per mezzo di un preciso abbigliamento e per un'alimentazione regolata.\nNel caso delle consultazioni ordinarie (mensili), chiunque poteva chiedere responsi e il sacrificio che precedevano i riti era offerto dalla città di Delfi; per quanto attiene invece le consultazioni 'straordinarie', il sacrificio che le precedeva era a spese proprie del consultante il quale, se straniero, poteva procedere solo se accompagnato da un prosseno di Delfi. L'ordine della consultazione seguiva secondo alcune rigide regole: i Greci avevano la precedenza sui barbari e tra i Greci, i cittadini di Delfi avevano la precedenza; a seguire, i cittadini dell'anfizionia pilaico-delfica. Nel caso si fosse presentata la condizione di uguale diritto, si tirava a sorte. La città di Delfi si riservava comunque il diritto di riconoscere per decreto la promanzia (προμαντεία), ovvero la possibilità offerta a un consultante di essere ricevuto dall'oracolo prima di altri.\nPrima di ogni singolo oracolo, il consultante doveva offrire il πέλανος (pelanós), una libagione in natura, e pagare una tassa il cui ammontare si differenziava in base al fatto se il consulto atteneva alla sfera privata o a quella pubblica. Seguiva un primo sacrificio cruento detto πρόθυσις (próthysis) che corrispondeva generalmente a una capra e, infine, il consultante doveva deporre sul tavolo sacro un'ulteriore parte di un'altra vittima sacrificale. A questo punto si avviava la consultazione: secondo i testi, la pizia entrava nel tempio e faceva bruciare farina d'orzo e foglie di alloro sulla hestía (εστία) dal fuoco perenne, quindi scendeva nell'ádyton (ἄδυτον), il sacro locale posto sotto la pavimentazione del tempio dove era collocato anche l'omphalós (ὀμφαλός), la sacra pietra che indica il centro del mondo. Lì, seduta su un calderone sacrificale (lebēs, λέβης) chiuso da un coperchio e poggiato su un tripode (trípous, τρίπους), tenendo un ramo d'alloro (dáphnē, δάφνη) tagliato fresco e circondata da misteriosi vapori provenienti da una fenditura del terreno che salivano verso un'apertura verticale come quella di un pozzo, ella pronunciava gli oracoli che il προφήτης metteva per iscritto in esametro 'omerico', un verso che sarebbe anzi stato inventato da Phemonoe, la prima pizia. La lingua era generalmente dialetto ionico, ma sono noti oracoli in dorico. Non si sa dove il consultante si collocasse, né se la sua domanda venisse o meno trascritta, ma questa domanda era proposta per mezzo di un'alternativa a cui la pizia rispondeva.\n\nI responsi celebri.\nDiversi sono i responsi dell'oracolo riportati dalla tradizione greca e giunti a noi sino a oggi.\nUn responso riguarda la fondazione di Siracusa e di Crotone. Gli ecisti Archia e Miscello che insieme chiesero un consiglio su dove fondare le nuove colonie. Ma l'oracolo prima di dare responso chiese cosa stessero cercando se ricchezza o salute. Archia scelse la ricchezza, mentre Miscello la salute. L'oracolo quindi indirizzò il primo a Siracusa e il secondo a Crotone.\n\nVicende legate all'oracolo di Delfi.\nLa contesa del tripode.\nUn episodio mitologico riguarda l'eroe Eracle giunto a Delfi un tempo nota come Delfo, per un responso mentre era in preda ad uno stato di alterazione, tanto da indurre la pizia a non formulare il responso. Eracle, adiratosi, prese il tripode su cui sedeva la pizia con la volontà di impossessarsene, ma in quel momento giunse Apollo a difesa. Ne nacque una contesa per cui ebbe la meglio Apollo, salvando il tripode sacro.\n\nPitagora.\nNella sua biografia di Pitagora delle Vite e dottrine dei filosofi illustri, Diogene Laerzio (III secolo d.C.) cita la dichiarazione di Aristosseno (IV secolo a.C.) per cui la sacerdotessa delfica Temistoclea insegnò a Pitagora le sue dottrine morali:Porfirio (233-305 d.C.) la chiama 'Aristoclea' (Aristotele), anche se si riferisca alla stessa persona che è stata l'insegnante di Pitagora." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oracolo.\n### Descrizione: L'oracolo (dal latino oraculum) è un essere o un ente considerato fonte di saggi consigli o di profezie, un'autorità infallibile, solitamente di natura spirituale. Lo stesso termine può riferirsi anche a una predizione del futuro dispensata dagli dei attraverso oggetti o forme di vita ma anche grazie a delle sacerdotesse che, cadute in estasi, assumevano il dio nel proprio corpo.\nIl volere degli dei veniva comunicato agli uomini in vario modo: con segni sulle viscere delle vittime sacrificali, con i movimenti della statua del dio durante la processione o degli oggetti gettati in una fonte, attraverso lo stormire delle fronde di un albero sacro, oppure attraverso la bocca di un essere umano, come nel caso di Delfi, in Grecia. Nell'antichità molti luoghi guadagnarono la reputazione di dispensare oracoli: divennero noti anch'essi come 'oracoli', così come le profezie stesse.\n\nGli oracoli nel mondo ellenico.\nI grandi templi oracolari dell'antichità erano soprattutto greci. Nella civiltà ellenica l'oracolo più noto era la Sibilla Delfica, o più esattamente la Pizia del tempio del dio Apollo a Delfi, da cui deriva l'oracolo. Oltre a questo si ricordano quelli di Zeus a Dodona e Olimpia.\nUn aspetto caratteristico, non solo della religione greca ma anche della società ellenica, fu la grandissima diffusione degli oracoli, dei quali Delfi fu il più ricco e il più prestigioso. Santuari di consultazione oracolare sorgevano in ogni angolo del mondo greco, alcuni di importanza locale, altri noti e visitati da folle di pellegrini. Il fenomeno inoltre fu durevole nel tempo: se talvolta un oracolo cadeva in rovina, altri nascevano, anche in epoca tarda. La risposta dell'oracolo era di solito espressa in termini allusivi, poco comprensibili nell'immediato: la traduzione infatti seguiva diversi metodi di divinazione.\nL'oracolo di Dodona, in Epiro, era posto sotto la tutela del padre della famiglia divina, Zeus, e collocato in un luogo misterioso e arcano. A gestire questo oracolo erano dei sacerdoti chiamati Selli (Σελλοί), sottoposti a severe regole di comportamento (non potevano lavarsi i piedi e dovevano dormire sulla terra senza alcuna forma di protezione contro gli insetti, come un telo o una stuoia). Più tardi, le mansioni divinatorie passarono a un collegio di profetesse.\n\nGli oracoli in Tibet.\nGli oracoli tibetani sono molto consultati dai monaci buddhisti e dal governo in esilio, un tempo presieduto dal Dalai Lama, per richiedere il parere delle divinità tutelari.\nTramite il medium che presta il suo corpo in uno stato di sacra trance, la divinità in questione si manifesta per esprimere un giudizio sull'identificazione della reincarnazione di un influente lama defunto o sui rapporti con l'estero.\n\nGli oracoli in Arabia.\nL'oracolo arabo nasce nella Bassa Mesopotamia negli anni 2600-2700, diffondendosi poi in tutto il bacino del Mediterraneo e trasformandosi progressivamente sino a scomparire, nel corso dei successivi secoli, in modo quasi definitivo. Solo sul territorio italiano, e in particolare in Sicilia, all'interno della quale l'occupazione araba è sopravvissuta sino all'XI secolo, si sono conservate alcune tracce e scritti di astrologia che fanno riferimento al sapere ancestrale e alla cultura millenaria dell'oracolo arabo. Secondo l'astrologia araba l'uomo è collocato in posizione intermedia tra i concetti di destino e di libero arbitrio. Ogni segno zodiacale è associato a un determinismo di partenza e uno di arrivo, ma ogni uomo può, nel corso della propria vita e sulla base delle proprie scelte, determinare il proprio percorso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oreadi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Oreadi od Orestiadi (in greco antico: Ὀρεάδες?, a sua volta da ὄρος, 'montagna' o Όρεστιάδες), erano le ninfe che vivevano sulle montagne e nelle valli. Erano figlie di Gea, avute per partenogenesi.\nLe Oreadi differivano tra loro a seconda del luogo dove vivevano: le Idee abitavano il monte Ida, le Peliadi il monte Pelio, le Ditee il monte Ditte, le Corice una grotta del Parnaso, ecc.\nLa più nota delle Oreadi è forse Eco, compagna di Pan, innamoratasi di Narciso.\nQueste ninfe erano associate ad Artemide, divinità che cacciava preferibilmente tra le montagne ed i precipizi.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Oreadi.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Oread, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oreste (Händel).\n### Descrizione: Oreste ('Orestes', HWV A11, HG 48/102) è un'opera di Georg Friedrich Händel in tre atti. Il libretto in italiano è di anonimo, adattato da 'L'Oreste' di Giangualberto Barlocci (1723, Roma), che a sua volta era stato adattato da Ifigenia in Tauride di Euripide.Quest'opera è un pasticcio (pastiche), il che significa che la musica delle arie è stata assemblata da lavori precedenti, soprattutto altre opere e cantate anche di Händel stesso. I recitativi e parti di danze sono gli unici pezzi originali composti appositamente per questo lavoro. Händel aveva messo insieme opere simili prima, unendo la musica di arie preesistenti alle nuove parole, ma questa fu la prima volta che fece un'opera in questo modo, utilizzando interamente la propria musica. Assemblò una raccolta delle sue arie degli anni precedenti, che vanno da Agrippina del 1709 a Sosarme del 1732, unendo la musica preesistente senza soluzione di continuità con i recitativi di recente scritti, per creare un nuovo dramma musicale.L'opera è in italiano, sebbene scritta ed eseguita in Inghilterra. Il ruolo principale fu scritto per il castrato Giovanni Carestini. Viene al giorno d'oggi eseguita indifferentemente da un controtenore o da un soprano.\n\nStoria delle esecuzioni.\nL'opera debuttò al Covent Garden Theatre il 18 dicembre 1734. Una notizia nella stampa locale diceva:.\n\n\nIl lavoro fu eseguito tre volte durante tutta la vita di Händel e fu ripreso per la prima volta solo nel 1988. Fra le altre esecuzioni, Oreste fu messo in scena dal English Bach Festival al Linbury Studio Theatre nella Royal Opera House, Londra nel 2000, e fu messo in scena per la prima americana negli USA alla Juilliard School nel 2003.\n\nRuoli.\nOrchestra.\nLa partitura dell'opera è scritta per due oboi, due corni, archi, liuto e gli strumenti del basso continuo: (violoncello, liuto, clavicembalo).\n\nTrama.\nLuogo.\nTauride (l'attuale Crimea),.\nPeriodo.\nnella leggendaria antichitàAnni prima che si svolgano i fatti raccontati in quest'opera, la giovane principessa Ifigenia aveva scampato la morte cui era destinata per un sacrificio dalla mano stessa di suo padre, Agamennone. All'ultimo momento la dea Diana, alla quale il sacrificio doveva essere fatto, era intervenuta e aveva sostituito Ifigenia sull'altare con un cervo, salvando la ragazza e trascinandola via a Tauride. È stata poi fatta sacerdotessa nel tempio di Diana a Tauride, una posizione in cui aveva il compito raccapricciante di sacrificare ritualmente gli stranieri che sbarcavano sulle coste del re Toante.\nIfigenia odia la sua servitù religiosa forzata e ha avuto un sogno profetico di suo fratello minore Oreste e crede che sia morto. Nel frattempo, Oreste ha ucciso la madre Clitennestra per vendicare il padre Agamennone con l'aiuto del suo amico Pilade. Egli viene perseguitato dalle Erinni per aver commesso il reato e passa attraverso attacchi periodici di follia.\nA questo materiale mitologico tratto da Ifigenia in Tauride di Euripide, Oreste aggiunge il personaggio della moglie di Oreste Hermione, che lo cerca per aiutarlo nel suo tentativo di recuperare la sua mente e la pace dello spirito, e aggiunge anche un altro personaggio, Filotete, non presente nella tragedia di Euripide.\n\nAtto 1.\nBosco Sacro di Diana con una statua della dea - Oreste è tormentato sia dal rimorso personale per l'uccisione di sua madre che dalle Furie. Vagando per il mondo in una ricerca inquieta per trovare sollievo, è naufragato sulla costa della Tauride. Egli prega la dea per la pace ed il perdono (Aria:Pensieri, voi mi tormentate). Ifigenia entra con un seguito di sacerdoti e non riconosce lo sconosciuto come suo fratello, che lei non ha visto fin dall'infanzia e che crede essere morto (Aria:Bella calma). È dovere di Ifigenia sacrificare sconosciuti che compaiono nel regno di Diana, ma lei non lo vuole fare e consiglia lo straniero di rifugiarsi nel tempio di Diana, al che lui acconsente (Aria:Agitato da fiere tempeste). Filotete, capitano delle guardie del re Toante, che è innamorato di Ifigenia e lei di lui, arriva e promette di aiutarla a cercare di salvare il giovane straniero dalla morte, per cui Ifigenia gli è grato (Aria:Dirti vorrei). Rimasto solo, Filotete è felice che Ifigenia si fidi che lui l'aiuti ed attende il suo amore come un premio (Aria:Orgogliosetto va l'augelletto).\nUn porto con le navi alla fonda - Ermione è arrivato in Tauride, alla ricerca del marito Oreste (Aria:Io sperai di veder il tuo volto). Lei incontra Pilade, fedele amico di Oreste, ma vengono entrambi arrestati da Filotete come stranieri. Re Toante decreta che a norma di legge sia Ermione e Pilade devono essere messi a morte come sacrifici umani alla dea Diana, ma cambia idea, ed ordina che solo Pilade sarà ucciso. Rimasto solo con Ermione, lui le dice che è innamorato di lei e salverà la sua vita se lei sarà sua. Lei rifiuta questa offerta, al che lui la mette in guardia di stare attenta alla sua ira (Aria:Pensa ch'io sono). Rimasto solo, Ermione si lamenta del suo destino (Aria:Dite pace e fulminate). L'atto si conclude con una serie di danze per i marinai greci.\n\nAtto 2.\nIl piazzale del tempio di Diana - L'atto comincia con una sinfonia iniziale. Oreste è nel tempio dove ha trovato rifugio per consiglio di Ifigenia, quando vede il suo amico Pilade trascinato in catene pronto per essere sacrificato alla dea. Oreste giura che combatterà per salvare il suo amato amico (Aria: Empio, se mi dai vita). Ifigenia interviene tuttavia, e sfruttando l'amore di Filotete per lei, lo persuade a consentire a Oreste di lasciare il tempio liberamente (Aria: Se'l caro figlio). Oreste è riluttante a lasciare Pilade in pericolo, ma Pilade insiste perché Oreste salvi se stesso (Aria: Caro amico, a morte io vo), e viene poi portato via. In Un recitativo accompagnato e aria, Oreste si scaglia contro gli dei per la loro crudeltà (Aria: Un interrotto affetto).\nGiardino reale con un cancello che porta al mare - Ifigenia mostra ad Oreste la strada per il mare e lo spinge a fuggire (Aria: Sento nell'alma). Da solo, Oreste esprime i suoi ringraziamenti agli dei per avergli inviato la 'nobile vergine' che lo ha salvato, ma si sente in colpa per aver lasciato il suo amico Pilade in pericolo di morte (Aria: Dopo l'orrore). Ermione ha seguito i passi di Oreste ed è felice di aver trovato il marito (Aria: Vola l'augello). Re Toante entra e vedendoli abbracciati ordina che vengano giustiziati. Oreste ed Ermione si salutano l'un l'altro affettuosamente e si dicono addio (Duetto: Ah, mia cara). Un insieme di danze conclude l'atto.\n\nAtto 3.\nLa stanza del Re - Toante offre a Ermione di liberare lei e Oreste se lei sarà sua (Aria: Tu di pietà mi spogli) Lei disprezza questa offerta, preferendo le catene e la morte e, rimasta sola, si lamenta per il suo crudele destino (Aria:Piango dolente il sposo).\nIl tempio di Diana con un altare e una statua - Ifigenia, il cui compito sarà quello di sacrificare ritualmente vittime umane, vorrebbe invece poter morire lei (Aria: Mi lagnerò, tacendo). Viene portato Oreste per essere sacrificato e Ifigenia ora lo riconosce come suo fratello. Ermione e poi il re arrivano e lei gli chiede pietà, come fa Pilade che si offre di morire al posto di Oreste. Toante respinge tali richieste, anche quando Ifigenia rivela che Oreste è suo fratello. Il Re le ordina di uccidere sia Oreste che Pilade, ma Ifigenia minaccia invece di ucciderle lui invece, aiutata in questo da Filotete. Ne consegue un combattimento e il re viene ucciso. I sacrifici umani saranno ora terminati, fratello e sorella, marito e moglie possono essere riuniti. Oreste esprime la sua gioia (Aria: In mille dolci modi). Una suite di danze segue, poi un coro conclusivo con tutti che festeggiano il buon esito degli eventi.\n\nContesto e analisi.\nHändel, di origine tedesca, dopo aver trascorso una parte della carriera iniziale in Italia, nella composizione di opere e altra musica, si stabilì a Londra, dove nel 1711 aveva portato l'opera italiana per la prima volta con la sua opera Rinaldo, che aveva riscosso un enorme successo. Rinaldo aveva creato una vera e propria mania per l'opera seria italiana a Londra, una forma musicale all'epoca basata prevalentemente sulle arie solistiche per i cantanti virtuosi. Nel 1719, Händel fu nominato direttore musicale di un'organizzazione chiamata la Royal Academy of Music, non collegata con l'attuale conservatorio di Londra, una società sotto la protezione del re per la produzione di opere italiane a Londra. Händel non doveva solo comporre opere, ma assumere i cantanti migliori, supervisionare l'orchestra e i musicisti e adattare le opere provenienti dall'Italia per le esecuzioni a Londra.La Royal Academy of Music fallì alla fine della stagione 1728-1729, in parte a causa degli enormi compensi pagati ai cantanti più in vista. Händel entrò in società con John James Heidegger, l'impresario teatrale che deteneva il contratto di locazione del King's Theatre di Haymarket, dove venivano rappresentate e diede vita ad una nuova compagnia d'opera con una nuova prima donna, Anna Maria Strada.\nNel 1733 fu fondata una seconda compagnia d'opera, L'Opera della Nobiltà, per rivaleggiare con Händel, impiegando molti degli ex cantanti di Händel, tra cui il celebre castrato Senesino. Il contratto di locazione di Händel al King's Theatre di Haymarket era scaduto alla fine della stagione 1733-1734 e l'Opera della Nobiltà si trasferì in quella che era stata la casa artistica di Händel per anni. Oltre al Senesino, l'azienda d'opera rivale aveva anche assunto il celebre castrato Farinelli, che ha creato una sensazione. Questi furono considerati gravi contrattempi per Händel come l'autore francese Antoine François Prévost scrisse nel 1734:.\n\nma, imperterrito, Händel si trasferì in un nuovo teatro, il Theatre Royal Covent Garden, costruito da John Rich in gran parte del ricavato della grande successo de L'opera del mendicante che aveva parodiato l'opera italiana del genere che Händel aveva scritto per Londra. Rich aveva dotato il suo nuovo teatro delle ultime tecnologie in macchine da palcoscenico e anche impiegato una troupe di ballerini, che non c'erano al King's Theatre di Haymarket. Händel aprì la sua prima stagione al Covent Garden con una rielaborazione del suo precedente Il Pastor Fido con un prologo completamente nuovo, Tersicore, con la ballerina francese di fama internazionale Marie Sallé. Il pasticcio Oreste, che seguì, prevede anche delle danze a differenza delle opere che Händel aveva precedentemente composto per Londra. Anna Strada, sola fra le star della compagnia precedente di Händel che non aveva disertato per andare alla compagnia d'opera rivale, era nel cast di Oreste, com'era stata in tutte le grandi opere vocali di Händel dal 1729 al 1737. Fu raggiunta dal celebre castrato Carestini, del quale Charles Burney, musicologo XVIII secolo scrisse:.\n\nUn altro che si unì al cast di Oreste c'era il diciassettenne tenore John Beard, che in questa stagione iniziò una collaborazione con Händel che durò fino alla fine della vita del compositore, creando molti ruoli nelle sue opere. Un conoscente di Händel scrisse al suo amico in quel periodo:.\n\nRegistrazioni.\nMary-Ellen Nesi (Oreste), Maria Mitsopoulou (Ermione), Mata Katsuli (Iphigenia), Antonis Koroneos (Pilade), Petros Magoulas (Toante), Nicholas Spanos (Filotete).Camerata Stuttgart, George Petrou, direttore. CD:MDG Cat:LC 6768 registrato 2003." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oreste (figlio di Agamennone).\n### Descrizione: Oreste (in greco antico: Ὀρέστης?, Oréstēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio del re Agamennone e di Clitennestra e fratello di Ifigenia, Elettra e Crisotemi.\nLa sua leggenda si è particolarmente arricchita insieme a quella della sorella Ifigenia. Il suo ruolo di vendicatore del padre era già conosciuto nei poemi omerici, sebbene Omero non citi l'episodio dell'uccisione della madre Clitennestra, se non per un passo nel quale Nestore, dopo aver ricordato l'uccisione di Egisto, aggiunge: 'offrì un banchetto funebre ai Danai, per la madre indegna e per Egisto il vile'.\n\nMito.\nIl piccolo Oreste venne alla luce in occasione della festività delle Erinni. Si racconta che, ancora in fasce, Oreste fu sottratto dalla culla e sfiorato dalla spada di Telefo, con la complicità di Clitennestra, che giurò di uccidere il neonato se Achille non avesse acconsentito a risanarlo.\nOreste era ancora molto giovane quando Agamennone di ritorno dalla guerra di Troia venne assassinato dall'amante della madre, Egisto.\nElettra, preoccupata per la sorte del fratello, con l'appoggio del vecchio tutore di Agamennone, avvolse il fratello in un lenzuolo ricamato con effigi di bestie feroci, che essa stessa aveva intessuto, strumento con il quale sarà operato il riconoscimento di Oreste da parte della sorella, e lo fece evadere segretamente dalla città per affidarlo alle cure dello zio Strofio, re della Focide. Alcuni affermano che la sera stessa in cui fu consumato il delitto, Oreste, che aveva dieci anni, fu salvato dalla misericordia della sua nutrice Arsinoe (citata anche come Laodamia o Gilissa) che, fatto coricare il proprio figlio nel letto del principino, lasciò che Egisto lo uccidesse al posto del bambino. Per alcuni Clitennestra stessa lo mandò nella Focide all'indomani dell'eccidio per sbarazzarsene.\nDopo essere rimasto nascosto per qualche tempo tra i pastori presso il fiume Tano, che delimita il confine tra l'Argolide e la Laconia, il tutore riuscì a raggiungere la meta trasportando Oreste nella reggia di Strofio, simpatizzante della casata di Atreo, che dominava Crisa. Costui aveva sposato la sorella di Agamennone, Anassibia (citata anche come Astiochea o Cindragora).\nA Crisa Oreste conobbe un inseparabile compagno di giochi in Pilade, il figlio di Strofio, che era di qualche tempo più giovane di lui, con cui strinse un'amicizia che divenne proverbiale celebrata nell'immaginario collettivo. Tramite il vecchio tutore venne a sapere che il corpo di Agamennone era stato confinato fuori dal palazzo e riservato a una sepoltura frettolosa da parte di Clitennestra senza libagioni e rami di mirto, e che la stessa aveva vietato al popolo di Micene di presenziare alle esequie. La notizia lo sconvolse profondamente.\nEgisto dominò Micene per sette anni, sedendo sul trono di Agamennone, impugnando il suo scettro, dormendo nel suo letto, sperperando il suo patrimonio. Quando era ubriaco, Egisto lanciava pietre sulla tomba di Agamennone, esclamando: 'Vieni, Oreste, vieni a prenderti quel che ti spetta'. Elettra stessa mandava frequenti messaggi a Oreste implorandone il soccorso per concretizzare la vendetta che si aspettava da lui.\nOrmai adulto, Oreste visitò l'oracolo di Delfi per sapere se doveva riservare una punizione agli assassini di suo padre. Il responso emesso da Apollo, autorizzato da Zeus, diede consenso annunciando che se non avesse onorato la memoria di Agamennone vendicandone la morte sarebbe stato relegato ai margini dalla società.\nDiventato adulto, Oreste decise di tornare in patria, per assolvere il compito affidatogli dall'oracolo di Delfi. In compagnia del cugino Pilade, tornò ad Argo e vendicò la morte del padre, uccidendo Egisto e Clitennestra.\n\nReso pazzo dal matricidio, Oreste venne perseguitato dalle Erinni e giunse ad Atene. Qui subì un processo, dal quale venne assolto, grazie all'intervento di Atena.\n\nLe altre versioni del mito.\nSugli eventi, però, vi sono diverse versioni.\nOmero, secondo la tradizione greca, e anche il poeta Stesicoro, che nella sua Orestea ambienta questi avvenimenti a Sparta, narra che le Erinni o Furie (il cui compito era di punire i gravi delitti) lo assalirono ma Apollo diede a Oreste un arco con cui scacciarle lontano.Eschilo ed Euripide narrano invece che le Furie fecero impazzire Oreste immediatamente dopo la morte della madre e lo perseguitarono senza tregua. Prima della pazzia, secondo altri autori Oreste fu giudicato a Micene per volere di Tindareo, padre di Clitemnestra. Eace, che ancora odiava Agamennone per la morte di Palamede, chiese l'esilio di Oreste.\nMa, secondo Euripide, Oreste ed Elettra vennero condannati a morte. Furono salvati da Menelao il quale, costretto da Apollo, convinse la gente di Micene ad accontentarsi di punire i due fratelli con un anno d'esilio.\nAtena, in quanto presidente dell'Areopago (l'antico tribunale fondato dagli dei dopo la morte di Alirrozio, figlio di Poseidone), diede il suo voto in favore di Oreste, giudicando la morte della madre meno importante di quella del padre.\nMa nemmeno allora le Furie abbandonarono Oreste.\nAllora Apollo gli disse che per trovare pace doveva recarsi nel Chersoneso, terra dei Tauri, rubare l'antica statua lignea di Artemide e poi recarsi in un luogo ove scorreva un fiume formato da sette sorgenti, Metauros (oggi Petrace), indicato dall'oracolo di Delfi. Questo è tutt'oggi un fiume alimentato da sette sorgenti. Appena vi si immerse, Oreste riacquistò il senno. La leggenda narra che in quel luogo vi fondò una città che da lui prese il nome (Porto Oreste).\nAl ritorno gli spettò il trono di Micene e Argo (dopo avere ucciso il fratellastro Alete) e, alla morte di Menelao, anche quello di Sparta. Pilade sposò Elettra, e Ifigenia divenne sacerdotessa di Artemide in Grecia.\n\nLa tomba di Oreste.\nSecondo quanto riportato da Erodoto, Oreste sarebbe stato sepolto a Tegea: ritrovandone il corpo, Lica, uno dei cinque Spartiati detti Valenti, riuscì a procurare la vittoria di Sparta sulla città di Tegea, in conformità con quanto detto dalla Pizia.\n\nGenealogia.\nNell'arte.\nLetteratura.\nOrestea - opera di Stesicoro.\nOrestea - trilogia di tragedie di Eschilo (Agamennone, Coefore ed Eumenidi).\nOreste - tragedia di Euripide.\nOreste schiavo - tragedia di Marco Pacuvio.\nOreste - tragedia di Blossio Emilio Draconzio.\nOreste - tragedia di Vittorio Alfieri.\nOreste - tragedia di Giovanni Rucellai.\nOreste - tragedia di François-Marie Arouet ('Voltaire').\nLe mosche - opera teatrale di Jean-Paul Sartre.\n\nMusica.\nOreste - opera musicale di Domenico Cimarosa rappresentata a Napoli nel 1783.\nOreste - opera musicale di Francesco Morlacchi rappresentata a Parma nel 1808.\nOreste - opera musicale di Konradin Kreutzer del 1818.\n\nCinema.\nLuna rossa - film di Antonio Capuano del 2001 ispirato all'Orestea di Eschilo che è qui trasposta nella Campania dei giorni nostri e dove Oreste, interpretato da Domenico Balsamo, è giovane membro della famiglia camorrista dei Cammarano." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (Cocteau).\n### Descrizione: Orfeo (Orphée) è un'opera teatrale di Jean Cocteau, portata al debutto a Parigi nel 1926.\n\nTrama.\nOrfeo tenta di decifrare il messaggio che un cavallo bianco cerca di trasmettere battendo lo zoccolo. La moglie Euridice è gelosa del fatto che il marito passi così tanto tempo dedicandosi ad attività supernaturali, ma Orfeo risponde seccato affermando che il cavallo gli comunica versi migliori di tutte le poesie del mondo. La poesia che il cavallo sta componendo recita 'Madame Euridice tornerà dall'inferno' ('Madame Eurydice Reviendra Des Enfers'), ma la commissione a cui Orfeo la sottopone la rifiuta, dato che le prime lettere della poesia formano l'acrostico 'MERDE'.\nMentre Orfeo si trova al concorso, Euridice viene uccisa dalle sue vecchie amiche, le baccanti. Ritornato a casa, Orfeo decide di salvare la moglie dalla morte e, passando attraverso lo specchio, arriva nell'aldilà. Il poeta ci riesce, ma gli dei dell'oltretomba gli hanno imposto la condizione che una volta sulla terra Orfeo non guardi più Euridice. Ciò rende la vita di coppia impossibile ed Orfeo viene perseguitato dalle baccanti, che lo accusano di aver scritto una poesia oscena. Le donne decapitano Orfeo ed Eudice lo guida nell'oltretomba attraverso lo specchio. Un angelo pone la testa mozzata di Orfeo su un piedistallo; un commissario di polizia chiede di chi siano i resti umani e la testa risponde 'Jean Cocteau'.\n\nLa prima.\nOrphée fu portato al debutto al Théâtre Hébertot di Parigi il 17 giugno 1926. L'allestimento della pièce, prodotta da Georges Pitoëff e Ludmilla Pitoëff, si avvaleva dei costumi di Coco Chanel e le scenografie di Jean Hugo. I coniugi Pitoëff interpretarono i due protagonisti, mentre gli altri ruoli erano ricoperti da Marcel Herrand (Heurtebise), Mireille Havet (Morte), Jean Hort (impiegato), Leon Larive (commissario di polizia), Alfred Penay (Azrael) e Georges de Vos (Raphael).\n\nAdattamento cinematografico.\nNel 1950 Cocteau diresse un adattamento cinematografico omonimo del suo dramma con Jean Marais nel ruolo di Orfeo e François Périer in quello di Heaurtebise.\n\nEdizioni italiane.\nOrfeo, traduzione di Marisa Zini, Collezione di teatro, Einaudi, Torino 1963, ISBN 9788806065102." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (Ducasse).\n### Descrizione: Orfeo (Orphée) è un mimodramma in tre atti, con la musica di Jean Roger-Ducasse, autore anche del libretto. È la prima composizione per il teatro del compositore francese.\nL'azione teatrale si basa su un'insolita combinazione di pantomima, danza e musica.\nCommissionato da, e dedicato a, Aleksandr Il'ič Ziloti, importante musicista pietroburghese, il mimodramma fu pubblicato nel 1913 ma fu eseguito per intero solo nel 1926, a Parigi, con protagonista la celebre ballerina Ida Rubinstein.In precedenza furono eseguiti in concerto tre «Frammenti sinfonici» ricavati dal mimodramma: Orphée évoque le dieu, Hymen - Course du flambeau e Bacchanale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (Jáuregui).\n### Descrizione: Orfeo è un poema in cinque canti del poeta sivigliano Juan Martínez de Jáuregui, pubblicato a Madrid nel 1624, dedicato al mito di Orfeo.\nI cinque canti riprendono le vicende delle Metamorfosi di Ovidio. Il primo canto narra delle nozze tra Orfeo ed Euridice, nel secondo Orfeo scende agli inferi in cerca della sua sposa, nel terzo Orfeo ritrova Euridice ma poi la perde di nuovo per aver infranto la condizione di non guardarla, il quarto canto è incentrato sulla musica di Orfeo, e il quinto sulla morte del protagonista causata dalle Baccanti.\nL'opera, pur criticata da Félix Lope de Vega, suscitò molto interesse, al punto da spingere il rivale Juan Pérez de Montalbán, discepolo di Lope de Vega, a pubblicare nello stesso anno un Orfeo en lengua castellana sullo stesso tema." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (Moreau).\n### Descrizione: Orfeo è un dipinto a olio su legno del pittore simbolista francese Gustave Moreau, realizzato nel 1865 e conservato al Museo d'Orsay di Parigi.\n\nDescrizione.\nIn quest'opera, presentata al Salon del 1866, Moreau si riallaccia a un celebre mito classico, quello di Orfeo, di cui la versione più nota era quella dell'undicesimo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Era Orfeo un sommo cantore e musico, talmente abile da aver piegato al suono della sua lira le bestie più feroci e l'intero regno dei Morti. Il suo fascino magnetico non venne meno neanche dopo la morte dell'amata Euridice: egli, infatti, infatuò le Menadi, senza tuttavia cedere alle loro offerte. Avvelenate dal rifiuto del musico, le Menadi lo avrebbero sbranato.\nMoreau in quest'opera decide di prolungare leggermente il racconto mitologico di Orfeo. Secondo la tradizione, infatti, le Menadi dopo aver ucciso il musico ne avrebbero gettato immediatamente le membra nel fiume Ebro. Secondo l'interpretazione proposta da Moreau, invece, il suo corpo mutilato viene scovato da una donna tracia che, mossa a pietà e indignata dal truce delitto delle Menadi, depone il capo dell'illustre musico su quella che fino a poco tempo prima era la sua lira. Gli occhi ormai esanimi di Orfeo e lo sguardo della donna si incontrano e, anzi, si contemplano vicendevolmente, dando vita a una compenetrazione indissolubile che probabilmente durerà per sempre. Sullo sfondo si estendono sereni paesaggi di leonardesca memoria, i quali con la loro bucolica calma stemperano l'atrocità del delitto appena perpetrato. Nell'angolo in basso a destra, infine, troviamo due tartarughe: sono stati i loro intestini, secondo il mito, ad aver fornito le corde della prima lira mai esistita, fabbricata dal dio Ermes.Il vago sapore mistico-fantastico che permea l'opera, la sua atmosfera suggestiva, sensuale, eppure lievemente inquietante, i dolci passaggi chiaroscurali e la tavolozza giocata sulle tonalità dorate sono tutte peculiarità riscontrabili in questo quadro e in una parte abbastanza rilevante della quadreria di Gustave Moreau, che a ragione si può definire uno degli interpreti più convinti e sensibili del Simbolismo in pittura. L'Orfeo, non a caso, fu tra le prime opere del Moreau a essere consacrata all'ufficialità del museo del Luxembourg, che lo aveva acquistato nel 1866 in ragione delle sue singolari qualità stilistiche.\n\nIl canto di Orfeo, che echeggia dopo la sua morte, simboleggia la sua simbiosi con la natura e l'eternità della poesia.\nMoreau interpreta liberamente il mito, cinge la testa di Orfeo con alloro apollineo, simbolo d'immortalità. Il tema della vittoria del canto sulla caducità della vita rinvia al potere universale dell'arte.\n\nOrfeo e Michelangelo.\nMoreau realizzò il volto di Orfeo dopo aver eseguito numerosi studi su quello dello Schiavo morente di Michelangelo, di cui aveva un calco in gesso. La rielaborazione della scultura dell'artista fiorentino ne evidenzia la componente eterna ed immateriale, ossia l'idea divina. Infatti Moreau riteneva che l'evocazione dell'ideale in Michelangelo fosse una caratteristica delle più significative.\nMoreau pare identificare il disagio del proprio secolo nel torpore mortale della dolorosa malinconia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (Rossi).\n### Descrizione: Orfeo è un'opera lirica in un prologo e tre atti di Luigi Rossi su libretto di Francesco Buti rappresentata in prima assoluta il 2 marzo 1647 nel palazzo del defunto Cardinale di Richelieu (Palais Cardinal), divenuto da poco Palais-Royal, a Parigi.\n\nVicende e caratteristiche dell'opera.\nFu il cardinale Mazarino a chiamare Luigi Rossi a Parigi, affidandogli il libretto di Buti, nel quale il mito di Orfeo era stato liberamente adattato al fine di inserirvi alcune simbologie volte a glorificare il potere sovrano del re di Francia, paragonando in particolare la lira d'Orfeo al giglio di Francia. Lo spettacolo durò sei ore, inframmezzato da azione coreografiche, secondo il gusto del teatro musicale francese alle cui convenzioni l'opera di Luigi Rossi, benché in lingua italiana, si adattò completamente. La coreografia fu affidata a Giovan Battista Balbi e la scenografia a Giacomo Torelli. L'esito fu trionfale nonostante il libretto sia stato sin da allora giudicato disorganico. Accanto alle arie, l'opera include cori e terzetti (quelli fra le tre Grazie e le tre Parche) di fattura eccellente, dai quali emerge la sapienza contrappuntistica del compositore pugliese.\nLa partitura, considerata a lungo perduta, fu ritrovata nel 1888 da Romain Rolland presso la Biblioteca Chigi di Roma, ma inizialmente non fu attribuita a Luigi Rossi. La prima ripresa in tempi moderni ha avuto luogo l'11 giugno 1985 al Teatro alla Scala, sotto la direzione di Bruno Rigacci e per la regia di Luca Ronconi.\n\nPersonaggi e interpreti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (film 1950).\n### Descrizione: Orfeo (Orphée) è un film del 1950 diretto da Jean Cocteau.\nIl film tratta in chiave moderna la tragedia di Orfeo ed Euridice.\n\nTrama.\nLa morte, impersonata da una principessa, si innamora di Orfeo, mentre il suo autista, Heurtebise, si innamora di Euridice. Attraverso uno specchio nella sua camera da letto, Orfeo compie un viaggio nel regno dei morti dove incontra la principessa e gli confessa il suo amore. Heurtebise riuscirà a far uscire Orfeo dal mondo dell'aldilà e fargli incontrare Euridice. Ma i due verranno severamente puniti per la loro trasgressione.\n\nCritiche.\nIl film ha ricevuto critiche contrastanti. Il Dizionario Morandini gli conferisce un voto scarso; definendolo un film bislacco, artificioso, recitato con teatralismo esecrabile oltre ad essere terribilmente datato. Al contrario la guida Farinotti lo definisce una poeticissima rivisitazione del mito classico realizzata dal grande uomo di cinema e di teatro francese." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (film 1985).\n### Descrizione: Orfeo è un film del 1985 diretto da Claude Goretta.\nLa pellicola, di genere musicale, trae ispirazione dal mito classico di Orfeo ed Euridice.\n\nTrama.\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Orfeo, su IMDb, IMDb.com.\n(EN) Orfeo, su AllMovie, All Media Network.\n(EN) Orfeo, su Box Office Mojo, IMDb.com." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo (musica).\n### Descrizione: Il mito di Orfeo è stato sin dalle origini legato all'elemento musicale. In epoca moderna la storia del cantore solitario, capace di comunicare attraverso il suono della sua lira con gli animali della terra e le creature dell'oltretomba, è stato oggetto di innumerevoli versioni musicali.\nSulla sua storia d'amore con la ninfa Euridice si basa il libretto della prima opera: Euridice di Ottavio Rinuccini (1600); ma il soggetto ha avuto grande fortuna durante tutta la fase iniziale della storia dell'opera, sia per il legame tra il nuovo genere teatrale e il dramma pastorale, sia perché la presenza di un musico come protagonista era in grado di soddisfare il principio di verosimiglianza.\nIl soggetto tornò in auge nel teatro musicale del Settecento, grazie all'Orfeo ed Euridice di Gluck, prima delle opere della riforma gluckiana. Nel tentativo di riportare il melodramma alle sue origini ideali, ripristinando un equilibrato rapporto tra musica e dramma, Gluck e il librettista Calzabigi scelsero non a caso il mito di Orfeo.\nAltrettanto significativa è la scelta di questo soggetto da parte di Igor' Fëdorovič Stravinskij, per uno dei più importanti lavori del suo periodo neoclassico.\nLa fortuna musicale della favola di Orfeo ebbe la sua fase di maggiore eclissi nell'Ottocento, rivisitata in teatro solo da Jacques Offenbach, in chiave parodistica.\n\nMusica classica.\nEuridice - La favola di Orfeo scritta da Poliziano nel 1479.Favola drammatica di Ottavio Rinuccini, messa in musica da Jacopo Peri (Palazzo Pitti, Firenze, 6 ottobre 1600).\nEuridice - Giulio Caccini (Palazo Pitti, Firenze, 1 dicembre 1602). È considerata la prima opera lirica in senso stretto, il cui libretto sia stato musicato da cima a fondo.\nL'Orfeo - Favola in musica di Claudio Monteverdi su libretto di Alessandro Striggio. L'opera è tratta dalla Fabula di Orfeo di Poliziano. Si compone di un prologo ('Prosopoea della musica') e cinque atti. Fu rappresentata per la prima volta il 24 febbraio del 1607 nel Palazzo Ducale di Mantova.\nOrfeo dolente - Opera musicale di Domenico Belli. La composizione - suddivisa in cinque intermezzi - fu eseguita per la prima volta a Palazzo della Gherardesca di Firenze, abitazione di Ugo Rinaldi, nel carnevale del 1616.\nLa morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale in cinque atti di Stefano Landi su libretto di Alessandro Mattei. La prima ebbe luogo il 1º giugno 1619 a Roma.\nOrfeus und Euridice - Opera-ballo di Heinrich Schütz. La prima ebbe luogo a Dresda il 20 novembre 1638.\nOrfeo - Opera musicale di Luigi Rossi (marzo 1647). Presentata al Palazzo reale di Parigi sotto gli auspici del cardinale Mazarino, fu una delle prime opere italiane rappresentate in Francia. Lo spettacolo durò sei ore, inframmezzato da strani ed eterogenei balletti, secondo il gusto del teatro francese dell'epoca.\nOrfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e Louis Lully. Jean-Baptiste pose mano all'opera del fratello Louis, che ne fu ufficialmente l'autore. L'opera fu rappresentata a Parigi l'8 aprile 1690, ma non ebbe fortuna.\nOrfeo ed Euridice - Opera lirica di Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de' Calzabigi. L'opera nacque dall'incontro tra lo scrittore ed il musicista a Vienna, nel 1761, dove fu rappresentata al Burgtheater il 5 ottobre 1762.\nOrfeo ed Euridice - Ballo di Florian Johann Deller scritto secondo le nuove teorie mimico-drammatiche del coreografo francese Jean-Georges Noverre (1763).\nOrfeo ed Euridice (Orpheus og Eurydike) - Opera lirica di Johann Gottlieb Naumann, su libretto di Charlotta Dorothea Biehl liberamente basato su quello di Ranieri de' Calzabigi per Gluck. La prima assoluta ebbe luogo a Copenaghen il 31 gennaio 1786, l'opera fu replicata per dodici sere.\nL'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Franz Joseph Haydn. Scritta nel 1291, su libretto di Carlo Francesco Badini, fu rappresentata postuma al Teatro della Pergola di Firenze il 11 giugno 104.\nOrpheus - Poema sinfonico di Franz Liszt (1854).\nOrfeo all'inferno - Operetta in due atti e quattro quadri di Jacques Offenbach, su libretto di Hector Crémieux. Fu rappresentata a Parigi nel 1858. Fu ripresa e rimaneggiata dagli autori in quattro atti e dodici quadri nel 1874.\nOrphée - Mimodramma in tre atti di Roger Ducasse, su libretto dello stesso Ducasse (1913). L'azione teatrale si basa su un'insolita combinazione di pantomima, danza e musica. Fu pubblicato nel 1913 ma fu eseguito per intero solo nel 1926, a Parigi, con protagonista la celebre ballerina Ida Rubinstein. In precedenza furono eseguiti in concerto tre «Frammenti sinfonici» ricavati dal mimodramma: Orphée évoque le dieu, Hymen - Course du flambeau e Bacchanale.\nOrpheus und Eurydike - Opera lirica di Ernst Křenek su libretto di Oskar Kokoschka. Scritta nel 1923, fu rappresentata a Kassel nel 1926.\nOrpheus - Balletto neoclassico in tre quadri di Igor' Fëdorovič Stravinskij, composto nel 1947. La prima ebbe luogo il 28 aprile 1948 al New York City Center of Music and Drama per la Ballet Society di New York, con la coreografia di George Balanchine.\nOrfeu da Conceiçāo - Dramma musicale di Vinícius de Moraes (1947). Ha ispirato il film di Marcel Camus Orfeo negro (1959).\nOrfeo9 - Opera rock teatrale scritta da Tito Schipa Jr. da cui è stato tratto il film prodotto dalla RAI nel 1973, ambientato in una Roma percorsa dal fermento dei nuovi musicisti pop, tra cui alcuni dei cantanti protagonisti sono diventati famosi.\nJackie O - Il mito di Orfeo rivisitato - al contrario - nell'opera del 1995 di Michael Daugherty e Wayne Koestenbaum che ha come personaggio protagonista Jacqueline Kennedy Onassis.\nLa nuova Euridice (2015) di Salvatore Sciarrino mette in musica versi di Rilke (tratti da Orpheus, Euridike, Hermes e da An die Musik), in una traduzione messa a punto dal compositore.\n\nMusica leggera.\nL'onnicomprensività del mito è riuscita a lasciare una traccia non banale anche nella musica leggera.\nLa canzone Euridice, di Roberto Vecchioni, trova in Orfeo un anti-eroe che decide apposta di voltarsi, nella comprensione del fatto che la donna appartiene ormai alla dimensione della morte, e nulla potrebbe tornare come prima.\nCarmen Consoli, dal canto suo, ha proposto Orfeo (dall'album del 2000 Stato di necessità), un brano in cui chiede all'amato di rinascere alla vita.\nLa band canadese Arcade Fire, nell'album Reflektor (2013), ha inserito due canzoni ispirate al mito di Orfeo ed Euridice.\nAll'interno del videogioco Hades è presente una soundrack, Lament of Orpheus, composta da Darren Korb ed ispirata al mito di Orfeo ed Euridice." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo 9.\n### Descrizione: Orfeo 9 è un'opera rock scritta e composta da Tito Schipa Jr. e messa in scena per la prima volta al Teatro Sistina di Roma, il 23 gennaio 1970.\nÈ una versione moderna del mito di Orfeo ed Euridice.\nNel 1973 l'opera divenne prima un doppio album e poi un film. Fra gli interpreti Penny Brown, Edoardo Nevola e gli ancora sconosciuti Loredana Bertè e Renato Zero.\nLa direzione musicale fu curata da Bill Conti. Fra i musicisti dell'album Tullio De Piscopo alla batteria.\nNel 2015 è uscito per la prima volta in dvd, autoprodotto dall'Associazione Culturale Tito Schipa. Nel cofanetto, composto di tre dvd, è compresa una ricostruzione integrale dello spettacolo originale del 1970.\nNel 2005 Editrice Zona ha pubblicato il libro Orfeo 9, Il making che racconta storia, personaggi e aneddoti dell'opera.\n\nTrama.\nAtto I.\nIn una regione indefinita, tra le rovine di una vecchia chiesa sconsacrata che domina una collina, un gruppo di ragazzi ha eletto il proprio rifugio, lontano dalla città industriale e da ogni impurità della civilizzazione massificante (Tre Note – Overture).\nTre voci narranti invitano l’ascoltatore/spettatore a passare oltre la porta e visitare quel mondo (Invito).\nL’inizio della vicenda trova i ragazzi ancora immersi nel sonno, negli attimi magici immediatamente precedenti il nascere del sole. Poi le prime voci, i primi movimenti del risveglio, i primi pensieri. E, uguale per tutti, il desiderio del sole e della sua luce vivificatrice (L’Alba).\nQuando il primo raggio fende la penombra delle rovine, mettendo fine all’incertezza dell’aurora, il canto sommesso di ognuno si tramuta in un’ovazione scatenata di saluto e di festa (Primo Raggio Di Sole).\nE il violento, improvviso acquazzone che si scatena inaspettato sul gruppo nulla può contro la luce che ormai risplende in una dimensione interiore, acquisita saldamente e a prova di ogni tipo di perturbazione, meteorologica o psichica che si voglia (Vieni Sole).\nL’unico a restarsene in disparte, indifferente a tanta gioia collettiva, è Orfeo, uno dei tanti, ma con tutti i suoi problemi ancora sulle spalle, chiuso in una scorza di solitudine ed egotismo che gli impediscono ogni possibilità di evasione dalla tristezza (Il Risveglio Di Orfeo).\nL’unico momento diverso per lui, l’unico incontro della giornata, sembra essere il dialogo con il ragazzo del pane, colui che ha l’incarico di provvedere ai rifornimenti del gruppo facendo la spola tra la chiesa e la grande città che sorge in lontananza (Pane Pane).\nÈ con questo instancabile camminatore che Orfeo si abbandona ad un attimo di contatto umano, ascoltandone il racconto di una città fantastica, libera e deserta, dove la vita sembra essere di nuovo possibile e piacevole (La Città Sognata).\nMa è solo un sogno, precisa l’altro, e la vera metropoli è quella di sempre, ossessiva ed abbrutente (La Ragazza Che Non Volta Il Viso).\nLa comparsa di Euridice è per Orfeo la folgorazione. Per chiunque altro è soltanto l’arrivo di una ragazza nuova che si aggiunge alla tribù, ma negli occhi indescrivibilmente azzurri di lei Orfeo si scontra con la sintesi di ogni possibile, travolgente, assoluta liberazione dalle prigioni dell’individuale (Conflitti - Si Rinnovi Il Vetusto Concetto).\nLei è La Realtà, pura e autentica, che non ha bisogno di parole. Per un attimo solo, ma infinito, ama. E decide di unirsi per sempre alla creatura che gli ha donato la sola certezza della sua esistenza (Eccotela Qui).\nIl rito nuziale è subito celebrato (Dio), officiante lo stesso ragazzo del pane, con una cerimonia insieme semplicissima e profonda, cui tutti partecipano con auspici di felicità e amore per la nuova coppia (Senti Orfeo).\nMa attirato dai canti di gioia, giunge sul luogo dell’azione un bizzarro personaggio, venditore ambulante di felicità in gocce, che con l’ipnotica esposizione della sua filosofia basata sul “Bisogna essere PIÙ felici”, irretisce Orfeo in un magma di nuove incertezze, e dopo averlo portato sull’orlo della disperazione, gli vende Euridice stessa, gabellandogli per grosso affare quello che Orfeo possedeva già. Poi abbandona soddisfatto la zona, ma ormai l’irreparabile è compiuto. Euridice è per Orfeo un qualcosa che non nasce né si giustifica più in lui. E questo equivale ad averla perduta (Venditore Di Felicità).\nL’atto si chiude sulla disperazione di Orfeo, che non ritrovando più l’oggetto del suo amore e la Realtà vaga fra le sue allucinazioni (Senti Orfeo (ripresa)).\n\nAtto II.\nOrfeo decide di abbandonare la chiesa sulla collina per ritrovare il bene perduto (Ciao).\nSi trova per strada, da solo, incamminato verso un luogo che non conosce, sostenuto soltanto dalla sua ferma fede in ciò che vuole, “deve” ritrovare. E la strada gli porta una serie di nuovi incontri, esseri come lui in cammino, come lui tesi verso qualcosa che sia l’alternativa al vuoto della solitudine. Ognuno di loro offrirà ad Orfeo la propria soluzione, proponendogli di spartirla fraternamente per il bene comune. Ma Euridice è troppo impressa nella mente, e nessun paragone regge ogni volta che Orfeo si volta a confrontarne l’immagine con ciò che di volta in volta gli viene offerto (Per La Strada).\nRifiuta così l’amore di una coppia di autostoppisti, che di amore dicono di averne tanto da poterlo dividere anche in tre (Seguici).\nE se talvolta barcolla e sta per cedere alle proposte liberatorie dei suoi nuovi amici, è il Venditore che interviene ricomparendo dal nulla e riaccendendo in lui l’ossessione della fanciulla perduta. (Venditore Di Felicità, (ripresa)).\nRifiuta poi l’alternativa esoterica di una chiromante illuminata, che cerca di metterlo in guardia sui pericoli della strada che sta percorrendo (La Chiromante).\nRifiuta anche il soggiorno nella città favolosa immaginata dal Vivandiere (Tema Delle Stelle) in favore di un ricordo sfuggente di Euridice (Eccotela Qui-Ripresa), nonostante quella città ora sia divenuta reale, un luogo “liberato” tramite il superamento dell’angoscia nucleare, una dimensione mentale attraverso la quale Orfeo si trova a passare durante il suo viaggio interiore. Così, con ogni rifiuto che oppone a chi gli offre una nuova verità, Orfeo distrugge in sé l’immagine di chi gli parla, e tira avanti (La Bomba A).\nL’alba seguente lo coglie alla periferia della città infernale, nei primi fumi delle ciminiere assassine (Da Te Per Te).\nIn un girone di ombre senza volto, incapaci di esprimersi e di comprendere, la sua ricerca assume i caratteri di una domanda vuota, vana, ossessiva. Nessuno ha visto questa ragazza. Per l’ultima volta il Venditore cerca di irretirlo, facendo leva sulla sua debolezza, ma Orfeo riesce ad opporsi. L’unica parola che riecheggia nel suono sordo della metropoli, però, è il NO. Distrutto, Orfeo si accascia all’angolo di una via (La Città Fatta A Inferno).\nIl risuonare di un vecchio blues, gli accordi semplici di una chitarra e il calore di una voce umana, paiono un miracolo sublime nell’inferno dei suoni metallici. Un nero canta la vecchia favola del tale che perse la sua bella per essersi voltato indietro invece di fidarsi di lei. Con lui, un chitarrista semi addormentato e una ragazza vestita con una giacca da uomo troppo grande per lei. Nel ritorno della musica, della sua musica, è l’ultima occasione che Orfeo avrebbe per riconoscere Euridice, mai veramente trovata, mai veramente perduta (Una Vecchia Favola).\nMa i due si sfiorano ancora una volta senza che i loro occhi si incontrino. Forse la musica del blues era troppo povera, forse il venditore è ricomparso in lontananza, forse lo smog ha velato gli occhi chiari di lei (Ritorno Ad Un Sogno).\nOrfeo riprende il cammino e scompare tra i vapori oscuri della “città fatta a inferno” (Eccoti Alla Fine).\n\nNumeri musicali.\nAtto primo.\n\nTre Note (Ouverture) [solo nella versione cinematografica].\nInvito.\nL'Alba.\nPrimo Raggio Di Sole [solo nella versione teatrale].\nVieni Sole.\nIl Risveglio Di Orfeo.\nPane Pane.\nLa Città Sognata.\nLa Ragazza Che Non Volta Il Viso.\nConflitti [solo nella versione teatrale].\nSi Rinnovi Il Vetusto Concetto [solo nella versione teatrale].\nEccotela Qui.\nDio [solo nella versione teatrale].\nSenti Orfeo [solo nella versione cinematografica].\nVenditore Di Felicità.\nInvocazione Del Santone [solo nella versione teatrale].\nSenti Orfeo (Ripresa) [solo nella versione cinematografica].\nFinale Atto IAtto secondo.\n\nCiao.\nPer La Strada.\nLa Coppia [solo nella versione teatrale].\nSeguici [solo nella versione cinematografica].\nVenditore Di Felicità (Ripresa).\nLa Chiromante.\nTema Delle Stelle.\nMa Perché, La Cerchi Ancora? [solo nella versione teatrale].\nEccotela Qui (Ripresa) [solo nella versione cinematografica].\nLa Bomba A.\nVoci Dalla Città [solo nella versione teatrale].\nDa Te Per Te.\nLa Città Fatta A Inferno.\nUna Vecchia Favola.\nRitorno Ad Un Sogno [solo nella versione cinematografica].\nEccoti Alla Fine.\n\nMusicisti.\nVersione teatrale del 1970:.\n\nBill Elliott - pianoforte, organo, direzione musicale.\nMarco Piacente - chitarra acustica.\nRomeo Piccinno - chitarra elettrica.\nBob O'Toole - chitarra elettrica.\nMario Piccinno - batteria.\nClaudio Barbera - basso.\nPatrick Goldsztejn - flautoVersione album del 1972:.\n\nTito Schipa Jr. - voce, pianoforte, sintetizzatore, percussioni.\nGiovanni Ullu - voce in L'alba.\nSantino Rocchetti - voce in Vieni sole.\nDino Comolli - voce del Cittadino in La città fatta a inferno.\nRonnie Jones - voce del blues-singer in Una vecchia favola.\nAnn Collin - voce vocalizzante in Eccotela qui (ripresa).\nJoel Van Droogenbroek - organo Hammond, sitar, flauto traverso.\nAndrea Sacchi - chitarra acustica, chitarra elettrica.\nErnesto Massimo Verardi - chitarra acustica, chitarra a 12 corde.\nSergio Farina - chitarra elettrica.\nMario Fales - chitarra acustica in Una vecchia favola.\nBruno Crovetto - basso.\nTullio De Piscopo - batteria, timpani.\nPasquale Liguori - percussioni.\nBill Conti - tastiera, sintetizzatore.\nAngelo Faglia - tromba.\n\nDiscografia.\n33 giri.\n1972 - Orfeo 9 (Fonit Cetra, LPX 16/17).\n\n45 giri.\n1972 - Per La Strada/Da Te Per Te (Fonit Cetra, SP 1514).\n1979 - Venditore Di Felicità/La Città Fatta A Inferno (Fonit Cetra, JB 722)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo all'inferno (Offenbach).\n### Descrizione: Orfeo all'inferno (titolo originale francese Orphée aux Enfers) è un'operetta in due atti composta da Jacques Offenbach nel 1858. La trama riprende, in chiave comico-satirica, la vicenda mitologica della discesa di Orfeo agli inferi per riportare alla vita l'amata Euridice. Nel presentare gli dei dell'Olimpo come meschini e ridicoli personaggi, Offenbach diede all'opera un sapore che a parte del pubblico borghese dell'epoca poté apparire addirittura scandaloso e dissacrante; ma la maggior parte avvertì anche che, sotto la farsa, si celava una satira corrosiva del Secondo Impero e della nuova 'nobiltà' borghese di Napoleone III.\nQuesta operetta è famosa soprattutto per il can-can (in realtà, un galop), uno scatenato ballo che divenne molto popolare, caratterizzato dal movimento delle ballerine che alzavano le gambe (che così si scoprivano parzialmente alla vista degli spettatori entusiasti) seguendo il tempo di una musica molto veloce e ritmata.\n\nTrama.\nAtto I.\nScena I: Tebe, in un'epoca indefinita.La prima scena dell'atto I, detta scena del consiglio municipale, si apre con un coro di pastori che invita tutti a rientrare nelle loro dimore e a fare spazio al passaggio del consiglio comunale. Udiamo un'introduzione orchestrale che introduce i primi elementi umoristici al ritmo di una marcia baroccheggiante.\nFa il suo ingresso in scena Euridice intonando la sua malinconica canzone, da molto tempo, infatti, Orfeo e Euridice sono stanchi l'uno dell'altra e la loro convivenza è molto cambiata: Euridice si sente abbandonata ed è molto arrabbiata con il marito per la sua ossessione per la musica. Orfeo, invece, è offeso perché la moglie si rifiuta di riconoscere le sue doti musicali.\nLa relazione della coppia è a tal punto deteriorata che ciascun coniuge cerca fuori di casa una soluzione al proprio abbattimento interiore e alla noia. Tanto Euridice quanto Orfeo non nascondono la loro attrazione per altri uomini e donne. Si chiacchiera che Orfeo abbia un affaire con la ninfa Chloè ed Euridice abbia una relazione amorosa con l'affabile pastore e produttore di miele Aristèe, da poco divenuto vicino di casa della coppia.\nAristèe intona allora la sua canzone pastorale, un brano che con il suo gradevole profumo bucolico serve a Offenbach per rivelarci l'erronea visione che ha di lui Euridice: erronea poiché dietro alla mite personalità di Aristèe si nasconde il dio Plutone, che intende portare la donna con sé negli inferi. Allorché la graziosa Euridice decide di andarsene con Aristèe, Orfeo non pare eccessivamente afflitto.\nAppare allora l'opinione pubblica, che minaccia Orfeo di rovinare la sua reputazione come personaggio pubblico, in quanto artista e professore di violino se non parte subito alla ricerca di Euridice per esigere il suo ritorno. L'opinione pubblica consiglia a Orfeo di rivolgersi, qualora fosse necessario, anche alla massima autorità, ossia Jupiter (Giove) in persona. Infine l'opinione pubblica decide di accompagnarlo nella sua avventura per mostrargli il cammino che conduce all'Olimpo.\n\nScena II: Sul Monte Olimpo.Udiamo un breve intermezzo che si altalena tra il lirismo dolce e sonnolento e l'arcano tenebroso. Gli dei si svegliano dal loro torpore e si ribellano, sulle note del La Marsigliese, al regime imposto da Jupiter; sono perfino contrari alla ridicola e noiosa dieta a base di nettare e ambrosia imposta dal dio supremo.\nLungi dal comportarsi con la dignità propria di un dio, Jupiter non può trattenersi dal fare numerose scappatelle nel mondo esterno e persino sua moglie, Junon (Giunone), lo riprende per il suo comportamento, convinta che il marito abbia una relazione con Euridice.\nQuando Junon accusa Jupiter, costui si mostra nello stesso tempo adulato e infuriato. In quel momento sopraggiunge Orfeo accompagnato dall'opinione pubblica e chiede, senza troppa convinzione, che gli venga restituita la moglie (cita allora il tema principale 'Che farò senza Euridice' da Orfeo ed Euridice di Gluck). Jupiter convoca gli dei in tutta urgenza, proponendo loro una gita negli inferi. Il dio supremo intende ritrovare Euridice ma non per consegnarla al marito, bensì per tenersela per sé.\n\nAtto II.\nScena I: Nell'Ade, la dimora di Plutone.Qui il dio tiene rinchiusa Euridice, sorvegliata da un eunuco chiamato John Styx, che rimpiange i tempi passati, allegri e felici. Euridice si mostra completamente indifferente nei confronti di Styx, senza prestare la benché minima attenzione alle sue lagnanze. Anzi, la giovane è più indispettita che mai poiché la noia è ancor più grande di quando viveva con Orfeo: indossati gli abiti di Plutone, Aristèe, ha smesso di mostrare interesse per la donna una volta che costei ha accettato le sue condizioni.\nMentre tutti gli abitanti dell'Olimpo cercano disperatamente Euridice, quest'ultima è attratta da un insetto che si è posato su buco della serratura che le nega la libertà. Si tratta di una mosca dalle ali dorate che si fa prendere facilmente fra le mani della ragazza. In realtà è Jupiter che, così come in altre occasioni, ha mutato le proprie sembianze per raggiungere il suo scopo. Il dio promette ad Euridice che le rallegrerà la vita.\n\nScena II: Nell'Ade, oltre il fiume Stige.Plutone ha organizzato un banchetto infernale per i suoi invitati dell'Olimpo. Incoraggiato dal suo recente successo come seduttore, Jupiter viene acclamato dagli astanti allorché si esibisce in un vivace minuetto che ben presto degenera in un selvaggio can-can. Ma il mondo umano interrompe il divertimento degli dei: l'opinione pubblica è riuscita a spingersi fino agli inferi con sommo disappunto di Orfeo, che si sente immensamente felice per la sua separazione da Euridice.\nAdesso Orfeo, contro la propria volontà dato che agisce sotto l'ingiusta imposizione dell'opinione pubblica, si vede costretto a chiedere a Jupiter che gli venga restituita la moglie. Sotto lo sguardo attento degli dei, Jupiter concede il proprio assenso ma ad una condizione: Orfeo non deve guardare indietro durante il suo viaggio di ritorno a Tebe.\nQuando la coppia, guidata dalla trionfale opinione pubblica, sta per raggiungere il fiume Stige, Jupiter scaglia un fulmine: Orfeo si volta impaurito e, così facendo, perde Euridice. Jupiter non può prenderla con sé, dato che deve mantenere la propria reputazione di seduttore, e così dispone che la donna passi al servizio di Bacchus (Bacco) il dio del vino.\nAffascinata dal futuro che la attende, Euridice, intona la melodia del celeberrimo galop (conosciuto come can-can), sulle cui note si conclude il finale festante dell'operetta. La nuova baccante viene quindi accolta dalla comitiva ubriaca e giubilante che accompagna il dio Bacchus.\n\nRappresentazioni.\nQuest'operetta avrebbe dovuto essere rappresentata solo poche volte al Théâtre des Bouffes-Parisiens di Parigi con il soprano Lise Tautin, il baritono Désiré, il mezzosoprano Marguerite Macé-Montrouge, Marie Cico, il tenore Jean-François Berthelier e Léonce diretta dal compositore, venne tuttavia stroncata da un critico dell'epoca, con l'accusa di aver infangato la più aulica delle opere liriche (Orfeo - nella versione di Claudio Monteverdi - , infatti, è la prima Opera nella storia del melodramma, autogiustificato per il fatto di rappresentare il 'dio' della poesia in persona); in seguito a queste critiche si scatenò una bagarre nella società francese pari forse solo alla Querelle des bouffons. Questo suscitò immenso interesse nei confronti dell'operetta che quindi venne replicata per 228 volte, prima che gli attori dessero forfait per la troppa fatica.Altro elemento di aspra critica nei confronti dell'autore nasce dai richiami musicali all'Orfeo ed Euridice di Gluck; richiami al minuetto dei Campi Elisi, che diventa il celebre galop (normalmente indicato come can-can), e all'aria 'Che farò senza Euridice', nel momento in cui Orfeo entra negli Inferi, seguito dall'Opinione Pubblica.\n\nDiscografia parziale.\n1973 - Orchestre de l'Association des Concerts Lamoureux e Choeur Raymond Saint-Paul Orphée aux Enfers (Pathé, 2C 051-12108).\n1979 - Orchestre National du Capitole de Toulouse e Les Petits Chanteurs à La Croix Potencée Orphée aux Enfers (La Voix de son Maître, 2C 167-16341/3).\n1995 - Charpentier, Les Arts Florissants La Descente d'Orphée aux Enfers (Erato, 0630-11913-2).\n1998 - Orphée aux Enfers - Choeur & Orchestre de L'Opéra National de Lyon/Natalie Dessay/Véronique Gens/Ewa Podleś/Laurent Naouri/Marc Minkowski/Orchestre de Chambre de Grenoble, (EMI Classics, 5 56725 2).\nOrphée aux Enfers - Mady Mesplé/Jane Rhodes/Jane Berbié/Michel Sénéchal/Charles Burles/Michel Trempont/Campidoglio (Tolosa)/Michel Plasson.\n2002 - Günter Schlienz Orphée aux Enfers (Moon Glyph, MG109).\n2020 - Orchestre Philharmonique de Paris Orphée aux Enfers (Preiser Records, 20021).\n2020 - Charpentier, Vox Luminis, A Nocte Temporis, Reinoud Van Mechelen, Lionel Meunier Orphée aux Enfers (Alpha Classics, ALPHA 566).\n\nDVD parziale.\nOrpheus in der Unterwelt (Deutsche Oper Berlin, 1984) - Jesús López-Cobos/Donald Grobe/Julia Migenes-Johnson/Hans Beirer/Astrid Varnay/George Shirley, Arthaus/Naxos.\nOrpheus in the Underworld - Davin/Badea/Vidal, Theatre de La Monnaie/De Munt, 1997 Image/Arthaus/Naxos.\nOrphee aux enfers - Marc Minkowski/Natalie Dessay/Yann Beuron/Jean-Paul Fouchécourt, Opéra National de Lyon, 1997 Arthaus/Naxos.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Orfeo all'inferno.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Betsy Schwarm, Orpheus in the Underworld, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.\n(EN) Spartiti o libretti di Orfeo all'inferno, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.\n(EN) Orfeo all'inferno / Orfeo all'inferno (altra versione), su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.\nTeatro Verdi Trieste, su teatroverdi-trieste.com. URL consultato il 7 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2014)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo ed Euridice (Canova).\n### Descrizione: Orfeo ed Euridice, un gruppo scultoreo in pietra di Vicenza (altezza m 2,04) di Antonio Canova, realizzato nel 1775 - 1776 e custodito nel Salone da ballo del Museo Correr a Venezia. Rappresenta la principale opera giovanile dell'artista, nato a Possagno nel 1757.\nLe sculture sono ispirate al mito di Orfeo, contenuto ne Le metamorfosi di Ovidio e nelle Georgiche di Virgilio; lungo il basamento, un'iscrizione riporta alcuni versi dei due poeti latini.Le due figure sono complementari e raffigurano l'attimo in cui Orfeo, tornando in superficie dall'Ade è preso dal dubbio che l'ombra della moglie Euridice lo segua veramente e si volta. In quell'istante disperato vede per l'ultima volta la moglie Euridice, che con un gesto di sgomento e rimprovero, comincia a svanire, perché è costretta a tornare indietro nell'Ade.\nL'opera prese forma a Venezia, dove Canova compì i primi studi, alternandosi tra la città dei dogi e Asolo.\nIl gruppo era destinato a decorare il giardino della casa di campagna della famiglia veneziana dei Falier. L'opera procurò un'iniziale notorietà all'artista, a seguito dell'esposizione presso la fiera della Sensa del 1776." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo ed Euridice (Tiziano).\n### Descrizione: Orfeo ed Euridice è un dipinto a olio su tavola (39x53 cm) attribuito a Tiziano, databile al 1508 circa e conservato nell'Accademia Carrara di Bergamo.\n\nStoria.\nL'opera proviene dalle collezioni Lochis. Venne a lungo attribuita a Giorgione o a un suo seguace, finché Roberto Longhi, nel 1927, la riferì al giovane Tiziano, seguito da Suida, Morassi e Pallucchini. Fa eccezione Coletti, che nel 1955 la attribuì a Palma il Vecchio.\n\nDescrizione e stile.\nIn un dolce paesaggio pastorale è raccontato in due fasi il mito di Orfeo: in primo piano a sinistra la morte di Euridice, morsa da un drago bipede e privo di ali (Lindworm), che sostituisce il serpente del mito, mentre a destra Orfeo esce dagli Inferi con la moglie al seguito, ma volgendosi a guardarla la perde per sempre.\nIl sentimento per la natura, vera protagonista della scena, deriva da Giorgione: essa si adatta ai sentimenti dei personaggi, infatti a sinistra è tranquilla e pacifica, mentre a destra balugina per il furore delle fiamme degli inferi.\nL'attribuzione a Tiziano si basa sulle affinità, nella disposizione delle figure, con altre opere giovanili, quali soprattutto gli affreschi del Fondaco dei Tedeschi e quelli della Scuola del Santo a Padova.\nIl verde della vegetazione si è ossidato nel tempo fino a diventare bruno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo negro.\n### Descrizione: Orfeo Negro (in francese Orphée noir; in portoghese Orfeu negro) è un film del 1959 diretto da Marcel Camus.\nIspirato a Orfeu da Conceição, pièce teatrale di Vinícius de Moraes, il film traspone in epoca moderna il mito di Orfeo ed Euridice.\nVincitore della Palma d'Oro 1959, si aggiudicò anche l'Oscar 1960 come miglior film in lingua non inglese in rappresentanza della Francia benché girato in portoghese, lingua che al 2020 vanta il suo unico Academy Award proprio grazie a tale film.\n\nTrama.\nOrfeo è un giovane tranviere di Rio de Janeiro che ama cantare e suonare la chitarra, e tra i ragazzini della favela dove abita circola la voce che sia lui, con l'armonia della sua musica, a far sorgere il sole. Alla vigilia del Carnevale arriva a Rio una graziosa ragazza, Euridice, venuta ufficialmente a trovare la cugina, ma in realtà lì per sfuggire a un uomo misterioso che la perseguita. Orfeo, pur essendo fidanzato con Mira, se ne innamora e la invita a danzare con lui nel Carnevale.\nDurante le danze riappare l'uomo misterioso e, col suo costume raffigurante la Morte, terrorizza Euridice, che fugge e si nasconde nel deposito dei tram. Orfeo sopraggiunge e vorrebbe accendere le luci ma per errore innesta l'alta tensione ed Euridice muore folgorata. Orfeo cerca disperatamente il suo corpo e si fa aiutare da un anziano che lo conduce in una casa, consigliandogli di non voltarsi ma, sentendo la voce di Euridice, non resiste alla tentazione e guarda dietro le sue spalle: c'è solo una vecchia fattucchiera che, in un rito di macumba, emette la voce della donna morta. Finalmente Orfeo ritrova Euridice in un obitorio, la porta tra le braccia fino alla sua capanna sulla collina, ma Mira e le sue amiche lo aggrediscono facendolo precipitare nel burrone. Orfeo ed Euridice sono uniti nella morte, e un ragazzino amico di Orfeo prende la sua chitarra e, prima dell'alba, prende il posto di Orfeo sulla collina e con dita incerte inizia a suonare. La magia si compie ed ecco spuntare il sole, dando inizio a un nuovo giorno.\n\nColonna sonora.\nUn elemento importante del film sono le canzoni di Antônio Carlos Jobim e Vinícius de Moraes e di Luiz Bonfá e Antônio Maria. Il film diede notorietà ai ritmi del samba e della bossa nova, decretando il successo di brani come Samba de Orfeo, Manhã de carnaval e A Felicidade cantati da Agostinho dos Santos. La musica del Brasile arrivò così ad attirare l'attenzione su di sé e nel 1962 due noti jazzisti, Stan Getz e Charlie Byrd, incisero il disco Jazz Samba, grazie al quale la bossa nova si diffuse negli Stati Uniti e nel mondo.\n\nRiconoscimenti.\nCannes 1959: Palma d'oro.\nOscar 1960: Miglior film straniero.\nGolden Globe 1960: Miglior film straniero." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeo.\n### Descrizione: Orfeo (in greco antico: Ὀρφεύς Orphéus, pronuncia: [or.pʰeú̯s]; in latino: Orpheus, pronuncia: ['or.pʰeus]; ) è un personaggio della mitologia greca, fondatore e figura chiave dell'orfismo. Si tratta dell'artista per eccellenza, che dell'arte incarna i valori eterni, ma anche di uno «sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte». I molteplici temi chiamati in causa dal suo mito - l'amore, l'arte, l'elemento misterico - sono alla base di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria, filosofica, musicale, culturale e scultorea dei secoli successivi.\n\nOrfeo e l'Orfismo.\nIl primo riferimento a noi pervenuto sulla figura di Orfeo è nel frammento 25 del lirico di Rhegion (Reggio Calabria) Ibico vissuto nel VI secolo a.C. nella Magna Grecia, nel quale appare già 'famoso'. Attorno alla sua figura mitica, capace di incantare persino gli animali, si assesta una tradizione che non gli attribuisce un normale modo di fare musica, bensì la psychagogia, che si estende alle anime dei morti. Il papiro di Derveni, rinvenuto negli anni 1960 vicino a Salonicco, offre un'interpretazione allegorica di un poema orfico non a caso in concomitanza con un rituale per placare i morti.\nAssociato alla figura di Dioniso, divorato dai Titani con i quali rappresenta da un lato la componente dionisiaca della vita – ossia l'elemento divino o 'anima'– e dall'altro il corpo mortale, Orfeo è la figura centrale dell'Orfismo, una tradizione religiosa che, per prima nel mondo occidentale, introduce la nozione di dualità fra corpo mortale e anima immortale.\n\nIl mito.\nLe origini.\nIl nome di Orfeo è attestato a partire dal VI secolo a.C., ma secondo Mircea Eliade «non è difficile immaginare che sia vissuto 'prima di Omero'».\nSecondo le più antiche fonti Orfeo è nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria, terra nella quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di trance tramite la musica.\nFiglio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro (o, secondo altre versioni meno accreditate, del dio Apollo), appartiene alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia, tra i quali ci sarebbe stato il cugino Reso. Secondo un'altra versione Orfeo fu il sesto discendente di Atlante e nacque undici generazioni prima della guerra di Troia. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto, placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.\nGli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo.\nOrfeo fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi di una fanciulla (Euridice nel caso di Orfeo e la madre Semele in quello di Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia e può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Dioniso).\nLa letteratura, d'altra parte, mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto; tornato dagli Inferi, Orfeo abbandona il culto del dio Dioniso rinunciando all'amore eterosessuale. In tale contesto si innamora profondamente di Calaide, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai Traci. Per questo motivo, le Baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi. Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di Virgilio la causa della sua morte è invece da ricercarsi nell'ira delle Baccanti per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.\n\nLe imprese di Orfeo e la sua morte.\nSecondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti: durante la spedizione Orfeo diede innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fece salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, diede coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placò a Cizico l'ira di Rea, fermò le rocce semoventi alle Simplegadi, addormentò il drago e superò la potenza ammaliante delle sirene.\nLa sua fama è legata però soprattutto alla tragica vicenda d'amore che lo vide separato dalla driade Euridice, che era sua moglie. Come Virgilio narra nelle Georgiche, Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi per riportarla nel mondo dei vivi. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da Caronte: Orfeo, per oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Raggiunse poi la prigione di Issione, che, per aver desiderato Era, era stato condannato da Zeus a essere legato a una ruota che avrebbe girato all'infinito: Orfeo, cedendo alle suppliche dell'uomo, decise di usare la lira per fermare momentaneamente la ruota, che, una volta che il musico smise di suonare, cominciò di nuovo a girare.\nL'ultimo ostacolo che si presentò fu la prigione del crudele semidio Tantalo, che aveva ucciso il figlio Pelope (antenato di Agamennone) per dare la sua carne agli dei e aveva rubato l'Ambrosia per darla agli uomini. Qui, Tantalo è condannato a rimanere legato a un albero carico di frutta ed immerso fino al mento nell'acqua: ogni volta che prova a bere, l'acqua si abbassa, mentre ogni volta che cerca di prendere i frutti con la bocca, i rami si alzano. Tantalo chiede quindi a Orfeo di suonare la lira per far fermare l'acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato rimane immobilizzato e quindi, non potendo sfamarsi, continua il suo tormento. A questo punto l'eroe scese una scalinata di 1000 gradini: si trovò così al centro del mondo oscuro, e i demoni si sorpresero nel vederlo. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade (Plutone) e Persefone (Proserpina).\nOvidio racconta nel decimo libro delle Metamorfosi come Orfeo, per addolcirli, diede voce alla lira e al canto. Il discorso di Orfeo fece leva sulla commozione, richiamando alla gioventù perduta di Euridice e l'enfasi sulla forza di un amore impossibile da dimenticare e sullo straziante dolore che la morte dell'amata ha provocato. Orfeo assicurò anche che, quando fosse venuta la sua ora, Euridice sarebbe tornata nell'Ade come tutti. A questo punto Orfeo rimase immobile, pronto a non muoversi finché non fosse stato accontentato.\n\nMossi dalla commozione, che colse persino le Erinni stesse, Ade e Persefone acconsentirono al desiderio.\n\nEssi posero però la condizione che Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino all'uscita dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, temendo che lei non lo stesse più seguendo, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e si voltò per assicurarsi che la moglie lo stesse seguendo. Avendo rotto la promessa, Euridice viene riportata all'istante nell'Oltretomba.\nOrfeo vide scomparire Euridice e si disperò, sapendo che non l'avrebbe mai più rivista. Decise allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Tornato sulla terra, espresse il dolore fino ai limiti delle possibilità artistiche, incantando nuovamente le fiere e animando gli alberi. Pianse per sette mesi ininterrottamente, secondo Virgilio, mentre Ovidio riduce il numero a sette giorni. Sa che non potrà amare più nessun'altra, e malgrado ciò molte ambiscono a unirsi a lui. Secondo la versione virgiliana le donne dei Ciconi videro che la fedeltà del Trace nei confronti della moglie morta non si piegava; allora, in preda all'ira e ai culti bacchici cui erano devote, lo fecero a pezzi (il famoso sparagmòs) e ne sparsero i resti per la campagna. La sua testa, insieme alla sua lira, vengono gettate nel fiume Evros.\nLa testa di Orfeo cadde proprio sulla lira galleggiante, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo evento commovente, prende lo strumento e lo pone in cielo, formando una costellazione (la quale in alternativa, secondo le Fabulae di Igino, sarebbe non la lira di Orfeo ma quella di Arione). Secondo quanto afferma Virgilio nel sesto libro dell'Eneide, l'anima di Orfeo venne accolta nei Campi Elisi.\nUn po' diversa è la rivisitazione del poeta sulmonese, che aggiunge un tassello alla reazione anti-femminile di Orfeo, coinvolgendo il cantore nella fondazione dell'amore omoerotico (questo elemento non è di invenzione ovidiana visto che ne abbiamo attestazione già nel poeta alessandrino Fanocle). Orfeo avrebbe quindi ripiegato sull'amore per i fanciulli, facendo innamorare anche i mariti delle donne di Tracia, che venivano così trascurate. Le Menadi si infuriarono dilaniando il poeta, nutrendosi anche di parte del suo corpo, in una scena ben più cruda di quella virgiliana.\nIn entrambi i poeti si narra che la testa di Orfeo finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare, simbolo dell'immortalità dell'arte, scendendo (qui solo Ovidio) fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l'isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protesse da un serpente che le si era avventato contro. Il sofista del III secolo Filostrato nell'Eroico (28,8) racconta che la testa di Orfeo, giunta a Lesbo dopo il delitto commesso dalle donne, stava in una grotta dell'isola e aveva il potere di dare oracoli. Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Tornando a Ovidio, eccoci al punto culminante dell'avventura, forse inaspettato; Orfeo ritrova Euridice fra le anime pie, e qui potrà guardarla senza più temere.\n\nEvoluzione del mito.\nIl mito di Orfeo nasce forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del riscatto della Kore e dello σπαραγμος (sparagmòs) al greco antico 'corpo fatto a pezzi') che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il riportare la vita sulla terra dopo l'inverno.\nLa prima attestazione di Orfeo è nel poeta Ibico di Reggio (VI sec a.C.), che parla di Orfeo dal nome famoso.\nIn seguito Eschilo, nella tragedia perduta Le bassaridi, fornisce le prime informazioni attinenti alla catabasi di Orfeo. Importanti anche i riferimenti di Euripide, che in Ifigenia in Aulide e ne Le baccanti rende manifesta la potenza suasoria dell'arte di Orfeo, mentre nell'Alcesti spuntano indizi che portano in direzione di un Orfeo trionfatore. La linea del lieto fine, sconosciuta ai più, non si limita a Euripide, dato che è possibile intuirla anche in Isocrate (Busiride) e in Ermesianatte (Leonzio).\nAltri due autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio.\nNel discorso di Fedro, contenuto nell'opera Simposio, Platone inserisce Orfeo nella schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per questa ragione gli viene consegnato dagli dèi degli inferi un phasma di Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti poiché il suo eros è falso come il suo logos.\nLa sua stessa morte ha carattere antieroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza che può essere conseguita solo tramite le forme superiori dell'eros.Apollonio Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche, presentato anche qui come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo attribuito a Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini: attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra gli argonauti cantando una personale cosmogonia.\nNell'Alto Medioevo Boezio, nel De consolatione philosophiae, pone Orfeo a emblema dell'uomo che si chiude al trascendente, mentre il suo sguardo, come quello della moglie di Lot, rappresenta l'attaccamento ai beni terreni.\nNei secoli successivi, tuttavia, il Medioevo vedrà in Orfeo un'autentica figura Christi, considerando la sua discesa agli Inferi come un'anticipazione di quella del Signore, e il cantore come un trionfante lottatore contro il male e il demonio (così anche più tardi, con El divino Orfeo di Pedro Calderón de la Barca, 1634). Dante lo colloca nel Limbo, nel castello degli 'spiriti magni' (Inf. IV. 139).\nNel 1864 compare la prima rivoluzionaria avvisaglia di un tema che sarà caro soprattutto al secolo successivo: il respicere di Orfeo non è più frutto di un destino avverso o di un errore, ma matura da una precisa volontà, ora sua, ora d'Euridice. Nel componimento Euridice a Orfeo del poeta inglese Robert Browning, lei gli urla di voltarsi per abbracciare in quello sguardo l'immensità del tutto, in una empatia tale da rendere superfluo qualsiasi futuro.\nIl XX secolo si è appropriato della tesi secondo cui il gesto di Orfeo sarebbe stato volontario. Come è d'uopo, i primi casi non sono italiani. Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo tutta la propria parabola artistica, nel 1925, diede alle stampe il proprio singolare Orfeo, opera teatrale che è alla base di tutte le rivisitazioni successive. Qui Orfeo capovolge il mito; decide di congiungersi con Euridice tra i morti, perché l'al di qua ha ormai reso impossibile l'amore e la pace. Laggiù non ci sono più rischi.\nGli fa eco il connazionale Jean Anouilh, in un'opera pur molto diversa, ma concorde nel vedere la morte come unica via di fuga e di realizzazione del proprio sogno d'amore: si tratta di Eurydice (1941).\nNel dialogo pavesiano L'inconsolabile (Dialoghi con Leucò, 1947), Orfeo si confida con Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo sgancia da ogni esigenza terrena. Totalmente estraneo alla vita, egli ha compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più nulla per lui, e non potrebbe che traviarlo da siffatta realizzazione di sé: ha nelle fattezze ormai il gelo della morte che ha conosciuto, e non rappresenta più l'infanzia innocente con cui il poeta l'identificava. Voltarsi diviene un'esigenza ineludibile.\n\nPiù cinico, l'Orfeo delineato da Gesualdo Bufalino nel 1986 intona, al momento del 'respicere', la famosa aria dell'opera di Gluck (Che farò senza Euridice?). La donna così capisce: il gesto era stato premeditato, nell'intenzione di acquisire gloria personale attraverso una (finta) espressione del dolore, in un'esaltazione delle proprie capacità artistiche.\n\nOpere in cui appare o è trattata la sua figura.\nLetteratura.\nSimposio (discorso di Fedro) - opera filosofica di Platone.\nArgonautiche - poema epico di Apollonio Rodio.\nElegia n.1 Powell - Orfeo e Calais - elegia contenuta ne Gli amori o i belli di Fanocle.\nGeorgiche (libro IV) - poema di Virgilio.\nEneide (libro VI) - poema di Virgilio (Orfeo è tra gli spiriti dei Campi Elisi; Virgilio lo chiama sacerdote di Tracia, senza dunque nominarlo).\nMetamorfosi (libri X e XI) - poema di Ovidio.\nFabula di Orfeo - Opera teatrale di Angiolo Poliziano.\nOrfeo - idillio di Giovan Battista Marino.\nEuridice ad Orfeo - epistola lirica di Antonio Bruni.\nSonetti a Orfeo - raccolta poetica di Rainer Maria Rilke.\nOrfeo, Euridice ed Hermes - poesia di Rainer Maria Rilke.\nLa persuasione e la rettorica - saggio di Carlo Michelstaedter (il rimando al mito di Orfeo è centrale anche nel ciclo di poesie A Senia, del medesimo Michelstaedter).\nCanti orfici - raccolta poetica di Dino Campana.\nOrfeo Vedovo - opera teatrale di Alberto Savinio.\nTutte le cosmicomiche di Italo Calvino (racconti Senza Colori, Il cielo di pietra, L'altra Euridice).\nIl ritorno di Euridice (da L'uomo invaso) - racconto di Gesualdo Bufalino.\nEurydice to Orpheus - poesia di Robert Browning.\nEurydice (da Collected Poems) - poesia di Hilda Doolittle.\nOrphée - opera teatrale di Jean Cocteau.\nEurydice - opera teatrale di Jean Anouilh.\nOrfeo - poema di Juan Martínez de Jáuregui.\nRacconto di Orfeo - poema di Robert Henryson (o Henderson).\nBestiaire ou Le cortège d'Orphée - raccolta poetica di Guillaume Apollinaire.\nLa presenza di Orfeo - prima raccolta poetica di Alda Merini.\nOrfeo emerso - romanzo di Jack Kerouac.\nLa terra sotto i suoi piedi - romanzo di Salman Rushdie.\nIl lamento d'Orfeo - opera teatrale di Valentino Bompiani.\nDialoghi con Leucò - raccolta di racconti di Cesare Pavese (Orfeo appare nel dialogo L'inconsolabile).\nLa discesa di Orfeo (Orpheus Descending), opera teatrale di Tennessee Williams.\nLa Saga dei Mitago - Il Tempio Verde - di Robert Holdstock.\nOrfeo africano - romanzo breve di Werewere Liking.\nLei dunque capirà - monologo di Claudio Magris.\n'Schatten' Euridyke sagt - opera teatrale di Elfriede Jelinek.\nPoema a fumetti, (racconto per immagini del mito di Orfeo in chiave moderna) di Dino Buzzati, Mondadori.\nOrfeo - Sogno e Morte (Vol. 1) di Luca Tarenzi, Giunti Editore, 2024.\n\nMusica.\nEuridice (opera) - opere teatrali su libretto di Ottavio Rinuccini musicate da Iacopo Peri e da Giulio Caccini (1600).\nL'Orfeo - Melodramma di Claudio Monteverdi (1607).\nOrfeo dolente - Opera musicale di Domenico Belli (1616).\nLa morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale di Stefano Landi (1619).\nOrfeus und Euridice - Opera-ballo di Heinrich Schütz (1638).\nOrfeo - Opera musicale di Luigi Rossi (1647).\nOrfeo (Sartorio) - Opera musicale di Antonio Sartorio, su libretto di Aurelio Aureli (1673).\nOrfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e Louis Lully (1690).\nOrfeo ed Euridice - Opera musicale di Christoph Willibald Gluck (1762).\nOrfeo ed Euridice - Ballo di Florian Johann Deller (1763).\nOrfeo ed Euridice - Opera lirica di Johann Gottlieb Naumann (1786).\nL'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Franz Joseph Haydn (1791).\nOrpheus - Poema sinfonico di Franz Liszt (1853-54).\nOrfeo all'inferno - Operetta di Jacques Offenbach (1858).\nOrfeo - Mimodramma di Roger Ducasse (1913).\nOrpheus und Eurydike - Opera lirica di Ernst Křenek (1926).\nLa favola di Orfeo - Opera in un atto di Alfredo Casella (1934).\nOrpheus - Balletto di Igor' Fëdorovič Stravinskij (1947).\nOrfeu da Conceiçāo - Dramma musicale di Vinícius de Moraes (1947).\nOrfeo 9 - Opera rock di Tito Schipa Jr. (1970).\nOrpheus - Canzone di David Sylvian (1987) contenuta nell'album Secrets of the Beehive.\nEuridice - Canzone di Roberto Vecchioni dall'album Blumùn (1993).\nOrfeo - Singolo di Carmen Consoli (2000) contenuta nell'album Stato di necessità.\nOrfeo a Fumetti - Opera da camera di Filippo del Corno (2001).\nAbattoir Blues/The Lyre of Orpheus - album del 2004 di Nick Cave and The Bad Seeds, che contiene la traccia The Lyre Of Orpheus.\nMetamorpheus - Concept album dedicato al mito di Orfeo di Steve Hackett (2005).\nEurydice - singolo d'esordio del progetto Sleepthief (2006).\nOrfeo Coatto - Mp3dramma di Francesco Redig de Campos 2009.\nCaliti junku, canzone dell'album Apriti sesamo di Franco Battiato, 2012.\nAwful Sound (Oh Eurydice) e It's Never Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album Reflektor degli Arcade Fire, 2013.\nKing of Shadows - track 1 dell'album R-Evolution 2014 - Martiria featuring ex Black Sabbath Vinny Appice.\nOpheus - Singolo di Fabio Mengozzi (2022).\n\nPittura.\nOrfeo morto - Dipinto di Jean Delville.\nLe ninfe ritrovano la testa di Orfeo - Dipinto di John William Waterhouse.\nOrfeo - Dipinto di Tintoretto.\nOrfeo solitario - Dipinto di Giorgio de Chirico.\nOrfeo all'inferno - Dipinto di Rubens.\nLa leggenda di Orfeo - Trittico di Luigi Bonazza.\nRagazza tracia con la testa di Orfeo - Dipinto di Gustave Moreau.\nOrfeo - Dipinto di Pierre Marcel-Béronneau.\n\nScultura.\nOrfeo, Euridice ed Hermes - Rilievo fidiaco.\nOrfeo, formella di Luca della Robbia per il Campanile di Giotto.\nOrfeo ed Euridice, scultura di Auguste Rodin, New York, Metropolitan Museum of Art, 1893.\nLa morte di Orfeo scultura di Michele Tripisciano, Caltanissetta, Museo Tripisciano di Palazzo Moncada, 1898.\n\nCinema.\nLe sang d'un poète, di Jean Cocteau.\nOrfeo (Orphée, 1949), di Jean Cocteau.\nIl testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!, 1959), di Jean Cocteau.\nPelle di serpente (The fugitive kind) di Sidney Lumet, dal dramma di Tennessee Williams Orpheus Descending.\nOrfeo negro (Orfeu Negro, 1959), di Marcel Camus; dal dramma di Vinícius de Moraes.\nHarry a pezzi di Woody Allen.\nTre colori - Film blu (Film bleu, 1992) di Krzysztof Kieslowski.\nAl di là dei sogni (Where dreams may come, 1997) di Vincent Ward.\nSolaris di Steven Soderbergh.\nRitratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma.\nFrammenti dal passato - Reminiscence di Lisa Joy.\n\nFumetti e animazione.\nOrfeo della Lira è un personaggio del manga e anime Saint Seiya (I cavalieri dello zodiaco).\nOrfeo è figlio di Sogno nei fumetti Sandman scritti da Neil Gaiman.\n\nVideogiochi.\nOrfeo (Orpheus) è il Persona iniziale del protagonista del videogioco Shin Megami Tensei: Persona 3, mentre una sua versione al femminile compare nell'edizione Portable in caso di scelta di una protagonista.\nOrfeo (Orpheus) compare anche nel videogioco Hades come personaggio secondario, legato ad una questline che, riprendendo il mito greco, coinvolge anche il personaggio di Euridice." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfeu da Conceição.\n### Descrizione: Orfeu da Conceição (in portoghese: Orfeo dell'Immacolata Concezione) è un dramma musicale in tre atti, presentato per la prima volta nel 1956 a Rio de Janeiro.\nL'opera, scritta da Vinícius de Moraes nel 1954 e musicata da Antônio Carlos Jobim nel 1956 e con la partecipazione del chitarrista di Luiz Bonfá, è basata sul dramma della mitologia greca di Orfeo ed Euridice.\n\nStoria e significato.\nVinícius de Moraes scrisse il suo Orfeo in un arco di tempo di oltre dieci anni a cominciare dal 1942. Verso la metà degli anni '50 Lucio Rangel e Haroldo Barbosa presentarono al poeta il giovane compositore Antônio Carlos Jobim, insieme diedero vita alla prima rappresentazione dell'opera.\n\nPrima edizione.\nLa prima edizione del Orfeu da Conceição risale al 25 settembre 1956 e fu rappresentato al Teatro Municipal di Rio de Janeiro, con la scenografia di Oscar Niemeyer.\nIl cast della prima edizione era formato dal Teatro Experimental do Negro di Abdias Nascimento, fu la seconda volta che un cast di attori neri aveva occupato il più famoso teatro brasiliano.\nIl cast della prima edizione era composto da:.\nAttore/PersonaggioHaroldo Costa (Orfeu da Conceição).\nDaisy Paiva (Eurídice).\nPérola Negra (Proserpina).\nAbdias do Nascimento (Aristeu).\nAdalberto Silva (Plutão).\nCiro Monteiro (Apolo).\nZeny Pereira (Clio).\nFrancisca de Queiroz (A Dama Negra).\nLéa Garcia (Mira De Tal).\nMaiorais do Inferno (Principi dell'inferno) - 7 attori.\nMaiorais do Inferno, Fúrias (Principi dell'inferno, Le Furie) - 5 attrici.\nMulher do morro (Donne della collina) - 4 attrici.\nHomem da Tendinha - 2 attori.\nCoro - 6 attori.\nGaroto Engraxate (Lustrascarpe) - 3 attoriDirezione.\nLéo JusiScenografiaOscar NiemeyerCostumistaLila de MoraesColonna sonoraTom Jobim.\nVinícius de MoraesAccompagnamento con la chitarraLuiz BonfáCoreografiaLina de LucaProduzioneTeatro Experimental do Negro.\nVinicius de Moraes.\n\nIl film.\nDa quest'opera furono tratti i film Orfeo negro (1959), premiato con la Palma d'oro, l'Oscar e il Golden Globe, e Orfeu (1999), oltre ai musical Orfeu (Brasile, 2010) e Black Orpheus (Broadway, 2014).\nOrfe negro deve grandissima parte del suo successo all'opera del poeta e alle musiche di Jobim e di Luiz Bonfá, già presenti nell'edizione teatrale del 1956.\nAnche se è inevitabile il confronto con i due film-opera degli anni Cinquanta dedicati al mito di Orfeo scritti e diretti da Jean Cocteau, Orphée (1950) e il suo seguito Le testament d'Orphée (1960)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orfeu.\n### Descrizione: Orfeu è film drammatico del 1999 di Carlos Diegues.\nLa sceneggiatura si basa sul dramma Orfeu da Conceição, scritto nel 1954 dal poeta Vinícius de Moraes, adattato da João Emanuel Carneiro, Cacá Diegues, Paulo Lins, Hamílton Vaz Pereira e Hermano Vianna. Le musiche del film si devono a Caetano Veloso.\n\nTrama.\nCast.\nToni Garrido: Orfeu.\nPatrícia França: Eurídice.\nMurilo Benício: Lucinho.\nZezé Motta: Conceição.\nMilton Gonçalves: Inácio.\nIsabel Fillardis: Mira.\nMaria Ceiça: Carmen.\nStepan Nercessian: Pacheco.\nMaurício Gonçalves: Pecê.\nLúcio Andrey: Piaba.\nEliezer Motta: Stallone.\nSérgio Loroza: Coice.\nCastrinho: Oswaldo.\nNelson Sargento: ele próprio.\nCássio Gabus Mendes: Pedro.\nEd Oliveira: Paraíba." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orfismo.\n### Descrizione: L'orfismo è un movimento religioso misterico, sorto in Grecia, presumibilmente verso il VI secolo a.C., intorno alla figura di Orfeo, considerato il fondatore.\nLa figura di Orfeo – collegata a quella di un antico 'missionario' greco in terra tracia, che vi perse la vita nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, potrebbe essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C.\nIl suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell'antichità»; frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla 'possessione' divina, propria dell'esperienza dionisiaca, dall'altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di 'purezza', che erano proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche:.\n\nla credenza nella divinità e quindi nell'immortalità dell'anima, la quale è 'caduta' a causa della colpa originaria dei Titani (dalla cui combustione da parte di Zeus nascono gli uomini) che hanno divorato Dioniso nella sua prima incarnazione;.\nda cui consegue, al fine di evitare la perdita di tale immortalità o finire nella continua rinascita in stati di sofferenza, la necessità di condurre un'intera vita di purezza per ottenere l'accesso ad una vita ultraterrena felice; Nel mito, Orfeo, istruito dalle muse e da Apollo, è maestro nel suonare la lira; dopo aver preso parte alla spedizione degli argonauti e aver tentato di riportare in vita la moglie Euridice, persuadendo Ade e Persefone con la sua musica, fallisce e viene poi ucciso da un gruppo di donne seguaci di Dioniso (il culto del quale viene dalla Tracia). La religione orfica è appunto un addolcimento dei misteri dionisiaci: Dioniso è figura centrale ma a differenza del dionisismo dove si pratica il sacrificio animale cruento ('sparagmòs'), le danze orgiastiche e si beve il vino nei riti, nell'orfismo la dieta carnea è vietata, in quanto sgradita a Persefone per il ricordo dell'omicidio di Dioniso, divorato dai Titani e poi risuscitato, e quindi comportante l'impossibilità di entrare nei campi elisi nonché per la credenza nella metempsicosi in maniera simile al pitagorismo.Famosi orfici o vicini all'orfismo nel mondo greco-romano furono Platone, Socrate, Ovidio, Eraclito, Empedocle e Virgilio. Influenzò la filosofia platonica, finendo per influenzare poi il neopitagorismo e il neoplatonismo e forse anche il cristianesimo, per poi essere riscoperto nella sua interezza dottrinale in ambienti esoterici e filosofici del Rinascimento.\n\nOrigine storica.\nPer quanto le tradizioni più recenti lo indichino come 'Tracio' è opinione di alcuni studiosi, come William Keith Chambers Guthrie, che la figura di Orfeo vada piuttosto collegata a quella, non si sa quanto 'storica', di un antico 'missionario' greco in terra tracia che, nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, perse la vita.\n\nOrigini dell'orfismo secondo Eric R. Dodds.\nNell'Orfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a un''anima' (ψυχή, psyché), contrapposta al corpo (σῶμα sōma) e di natura divina, resta però non chiara l'origine di questa nuova nozione. Eric R. Dodds ritiene di individuare questa origine nella colonizzazione greca del Mar Nero avvenuta intorno al VII secolo a.C. che consentì alla cultura greca di venire a contatto con le culture sciamaniche proprie dell'Asia centrale, in particolar modo con quella scita. Tale sciamanesimo fondava le proprie credenza sulle pratiche estatiche laddove però non era il dio a 'possedere' lo sciamano quanto piuttosto era l''anima' dello sciamano che aveva esperienze straordinarie separate dal suo corpo. Alla base di queste conclusioni, Dodds pone l'analisi di alcuni personaggi, degli ἰατρόμαντες ('iatromanti'), veggenti e guide religiose, che, come Abari, giunsero dal Nord in Grecia trasferendo il culto di Apollo Iperboreo; o anche di alcuni Greci come Aristea, il quale, originario dell'Ellesponto, si trasferì, almeno idealmente, nel Nord, sede delle sue percezioni sciamaniche, così come un altro Greco d'Asia, Ermotimo di Clazomene. Questi personaggi erano talmente diffusi nell'Atene del VI-V secolo a.C. che Sofocle nell'Elettra vi allude senza la necessità di nominarli.\n\nInfluenza dell'orfismo nella storia religiosa europea.\nL'importanza dell'orfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale è enorme. Da Pindaro in poi, appare la concezione – sconosciuta ai Greci – della natura divina dell'uomo, il quale alberga in sé una parte mortale, umana, e una parte immortale e divina.\nIl testo di Pindaro che per primo riporta l'idea della natura divina della vita umana è un frammento, il 131 b, che così recita:.\n\nAnche se il concetto di psyché, nella Grecia antica, rappresentava il soffio vitale che animava il corpo e quindi aveva una vaga connotazione supernaturale, il nuovo concetto di un'anima divina contrapposta al corpo mortale ed umano portava un'interpretazione puritana della vita e della religione.\n\nOrfeo.\nOrfeo è considerato il fondatore dell'orfismo. Egli fonde in sé l'elemento apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi della Kore ('fanciulla', attributo di Persefone ma in questo caso riferito ad Euridice per Orfeo e alla madre Semele per Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia, i mostri, può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se nelle versioni più celebri alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Eracle, Demetra e Dioniso).\nIstruito dalle muse (tra cui sua madre Calliope) e dallo zio (o padre) Apollo, è il più grande musicista, tramite la sua lira; dopo aver preso parte alla spedizione degli argonauti, cerca di riportare in vita la moglie Euridice, persuadendo Ade e Persefone con la sua musica, ma fallisce per essersi voltato a guardarla prima dell'uscita (rompendo la condizione imposta); decide di abbandonare quindi l'amore e il culto dionisiaco, per dedicarsi alla musica e alla predicazione religiosa (per altri anche all'omoerotismo): per questo viene poi ucciso da un gruppo di menadi, donne seguaci di Dioniso. La sua lira viene posta fra le stelle, il corpo, smembrato come fu quello di Dioniso dai Titani, la testa (che continua a cantare) trasportata dal fiume e custodita e poi sepolta da Apollo, dalle muse o dalle ninfe, mentre la sua anima si ricongiunge ad Euridice, non nell'ade ma in un aldilà beato.\n\nDivinità venerate.\nLe principali figure religiose orfiche, venerate attraverso la vita etica, sono tre divinità figlie di Zeus: Apollo, Dioniso e sua madre Persefone (anch'essa figlia di Zeus); e difatti come detto l'apollineo e il dionisiaco, vengono combinati nell'orfismo.\n\nL'orfismo si diffuse nel mondo romano dopo la proibizione dei baccanali; Ovidio e Virgilio parlano di Orfeo e delle dottrine orfiche (le divinità greche diventano quelle romane di Giove, Apollo, Bacco (Liber) e Proserpina) nelle Metamorfosi, nelle Georgiche e nell'Eneide.\n\nLe cosmogonie, le teogonie e le antropogonie orfiche.\nLa tradizione orfica, come quella mitologica greca, si dispone non secondo un modello unificato frutto di un sistema teologico, quanto piuttosto come un insieme di varianti. Così nella Storia della teologia, testo andato perduto opera di Eudemo da Rodi, allievo di Aristotele, sarebbero state raccolte le varie teogonie come quelle di Omero, Esiodo, Orfeo, Acusilao, Epimenide, Ferecide, ma anche quelle non greche come le babilonesi, persiane e fenicie, a dimostrazione della presenza delle diverse tradizioni teogoniche e cosmogoniche che attraversavano il mondo greco.\n\nUna cosmogonia e teogonia di tipo 'parodistico', ma di derivazione orfica la si riscontra in Aristofane (V-IV secolo a.C.) negli Uccelli (vv. 693-702). Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'Orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle Teogonie orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo».\n\nNel 1962 viene rinvenuto un rotolo di papiro all'interno di una tomba macedone collocata a Derveni (nei pressi di Salonicco) datata al IV secolo a.C. Per quanto semicarbonizzato parte del contenuto del papiro è stato recuperato: conterrebbe un commento a una teogonia orfica e forse all'opera di Eraclito.\nIl testo di Derveni coincide per molti contenuti con un altro, presente nel trattato titolato Sul mondo (Peri kosmou) datato alla prima metà del I a.C. e attribuito allo [pseudo]-Aristotele. Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose. Un'altra teogonia di stampo orfico è quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico, di datazione incerta e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio nel VI secolo d.C. dove il Tempo (Chronos) (da non confondere con Kronos) genera l'uovo e da esso nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile, con le ali d'oro, le teste del toro sui fianchi, un enorme serpente sul capo, questo essere conteneva in sé tutti i semi delle creature future, il nome di questo essere nato dall'Uovo era Phanes (Protogono), anche chiamato Zeus o Pan (Πάν). Un'ulteriore teogonia orfica emerge dai Discorsi sacri (hieroi logoi, in ventiquattro rapsodie detta anche Teogonia rapsodica), di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo, ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C..\n\nNel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da una sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi, successivamente, ancora una totalità rappresentata da Phanes (Luce, 'vengo alla Luce') androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso, tuttavia dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso il quale, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto.\nNell'Orfismo, l'origine delle cose prende radice nella Notte e nell'Uovo primordiale che rappresenta l'unità, il microcosmo. La dischiusura dell'uovo degrada l'unità dell'essere ed impone che al suo smembramento in più elementi venga affiancata una ricerca di ricomposizione dell'unità. Questo ritorno allo stato originario di purezza, presente unicamente alla nascita, è rispecchiata dall'avvento del Dioniso orfico che riconquista lo stato di purezza perduto solamente alla sesta generazione.\n\nDioniso Zagreo.\nIn antropologia Dioniso rappresenta il mito della 'resurrezione del Dio ucciso'. La versione religiosa orfica della venuta al mondo di Dioniso ribattezza il dio col nome di Zagreo. Secondo Ovidio, Zagreo (Zαγρεύς) è il figlio che Ade, sotto forma di serpente, ebbe dalla moglie Persefone (o, secondo altre versioni, nato da Persefone e il padre Zeus) Tale nome appare per la prima volta nel poema dal VI secolo Alcmenoide, nel quale si dice: Potnia veneranda e Zagreo, tu che sei sopra tutti gli dei. Secondo Diodoro Siculo, i Cretesi consideravano Dioniso figlio di Ade, o Zeus, e Persefone e loro conterraneo. Di fatto gli epiteti di Dioniso a Creta erano Cretogeno, Ctonio, in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo, e appunto Zagreo.\nSecondo questo mito, Zeus aveva deciso di fare di Zagreo il suo successore nel dominio del mondo, provocando così l'ira di sua moglie Era. Zeus aveva affidato Zagreo ai Cureti affinché lo allevassero. Allora Era si rivolse ai Titani, i quali attirarono il piccolo Zagreo offrendogli giochi, lo rapirono, lo fecero a pezzi e divorarono le sue carni. Le parti rimanenti del corpo di Zagreo furono raccolte da Apollo, che le seppellì sul monte Parnaso; Atena invece trovò il cuore ancora palpitante del piccolo e lo portò a Zeus.\nIn base alle diverse versioni:.\n\nZeus avrebbe mangiato il cuore di Zagreo, poi si sarebbe unito a Semele e questa avrebbe partorito Dioniso.\nZeus avrebbe fatto mangiare il cuore di Zagreo a Semele che avrebbe dato al dio divorato una seconda vita, generando appunto Dioniso.Zeus punì i Titani fulminandoli, e dal fumo uscito dai loro corpi in fiamme sarebbero nati gli uomini. Questa versione è narrata anche da Nonno di Panopoli nelle Dionisiache.\nNegli Inni orfici gli dei non emergono dal Caos o dalla Notte ma da Chronos come in altre teogonie orfiche; nell'elenco dei sovrani degli dei riportate negli Inni, Dioniso è il sesto, dopo Fanes, Notte, Urano, Kronos e Zeus); «l'ultimo re degli dei, investito da Zeus; il padre lo pone sul trono regale, gli dà lo scettro e lo fa re di tutti gli dei». Sempre negli Inni Orfici, che differiscono sia dalle Dionisiache che dalla teogonia esiodea dalle Metamorfosi di Ovidio, per l'ordine cronologico, Dioniso viene fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo. E, parlando della nascita di Dioniso: «La prima è dalla madre [Persefone o Semele], un'altra è dalla coscia [di Zeus, dopo la fine di Semele], la terza avviene quando, dopo che è stato straziato dai Titani, e dopo che Rea ha rimesso insieme le sue membra, egli ritorna in vita». Nelle altre versioni, nasce da Persefone come Zagreo, viene ucciso dai Titani, rinasce da Semele e poi cresce nella coscia del padre per poter completare la gravidanza dopo che Semele, ingannata da Era, è stata fulminata e bruciata dallo splendore di Zeus. Dioniso viene perciò chiamato 'il fanciullo dalla doppia porta' o il nato due volte (digènes).\nUn'antica etimologia popolare, farebbe risalire invece da di-agreus (perfetto cacciatore), il nome Zagreo.\n\nLa 'salvezza' orfica e il bios orphikos.\nSecondo l'antropogonia orfica, l'umanità prende origine nei resti dai Titani fulminati da Zeus, colpevoli di aver sbranato il dio Dioniso.\nQuesto mito è al fondamento della dualità fra corpo e anima introdotta dall'Orfismo: Dioniso è l'anima (tendenzialmente legata al bene), mentre i Titani sono il corpo (tendenzialmente legato al male) che va purificato.\n\nIl valore dell'anima immortale rispetto al valore del corpo che la imprigiona fa conseguire un nuovo paradigma rispetto ai valori dell'esistenza umana. Ma la morte di per sé non porta la liberazione dell'anima immortale. Essa, per le dottrine orfiche, è destinata a rinascere periodicamente (dottrina della reincarnazione o metempsicosi).\nTale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una 'vita pura', la 'vita orfica' (bios orphikos Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell'astinenza dalle uccisioni da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale, implicando un'alimentazione a base di vegetali.\nConsiderando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l'unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l'offerta di incenso, preghiere e talvolta ascetismo; vi è anche il rifiuto di mangiare fave (anche qui come nel pitagorismo) e uova, e di bere vino, o meglio, di ubriacarsi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Oricalco.\n### Descrizione: In metallurgia, l'oricalco (dal greco antico: ὀρείχαλκος?, oréichalkos, 'rame della montagna') è un particolare tipo di ottone, molto utilizzato in numismatica. Si tratta di una lega col 90% di rame e il 10% di zinco.Il nome indicava inizialmente un metallo leggendario in Grecia, menzionato ad esempio dall'inno omerico ad Afrodite e poi ripreso da Platone nel racconto del mito di Atlantide; il termine in seguito è stato ripreso per altri usi.\n\nOrigine leggendaria.\nNel dialogo Crizia di Platone l'oricalco è un metallo rossastro, che veniva estratto ad Atlantide ma che era conosciuto soltanto per nome dopo la scomparsa dell'isola. Il minerale era presente in molte parti di Atlantide ed era considerato secondo per valore soltanto all'oro.Le due mura esterne del tempio di Poseidone e Clito erano placcate rispettivamente con ottone e stagno, mentre le mura della terza cinta, che comprendevano l'intera cittadella, «risplendevano con la rossa luce dell'oricalco».Lo scoliaste di Esiodo lo definisce un «metallo candido». Plinio il Vecchio afferma addirittura, che il bronzo e il rame di Cipro perdettero molto del loro valore, quando fu scoperto l'oricalco.Secondo la leggenda le varie armi, come spade, frecce e lance, non riuscivano neppure a scalfire gli scudi fatti di oricalco, che risultavano infrangibili per qualunque arma: era inoltre un materiale ignifugo.Con la trascrizione in latino del nome, il prefisso óros venne adattato ad āurum, 'oro', cosicché aurichalcum significava letteralmente 'rame d'oro' o 'rame dorato'.\n\nArcheologia.\nNel dicembre 2014 sono stati rinvenuti, sulla costa sud della Sicilia a Gela, diversi lingotti di oricalco in una nave di circa 2.600 anni fa. Il metallo è composto da una lega di 75-80% di rame, 15-20% di zinco, con piccole percentuali di nichel, piombo e ferro.\n\nUso contemporaneo del nome.\nCon il termine oricalco è stato denominato nel 2001 il primo tessuto a memoria di forma a trama ortogonale mai realizzato, basandosi su un filato in lega metallica di nichel e titanio. Il tessuto è stato studiato in vista dell'applicazione nel settore medico, in particolare per gli stent cardiovascolari. La prima realizzazione con questo tessuto è stata citata anche sul TIME del 2001, come una delle migliori invenzioni di quell'anno.\nNel 2010 due copie della camicia a memoria di forma, realizzate in tessuto Oricalco, sono entrate a far parte della collezione permanente del Museo della Scienza e dell'Industria di Chicago nell'area 'Science, Storms, Atoms'.\n\nNumismatica.\nIn numismatica l'oricalco è una lega di rame e zinco, simile all'ottone (anch'esso lega di rame e zinco, ma con percentuali molto superiori di zinco e altri elementi chimici), di color oro e usata per coniare il sesterzio e il dupondio.\nEra considerato di valore superiore al rame, di cui era invece fatta la moneta da un asse.\n\nMusicologia.\nL'oricalco è stato usato nel Medioevo per la fabbricazione di strumenti musicali, come, ad esempio, trombe, chiarine ed altri simili; per tale motivo è stato dato il nome di 'Oricalchi' agli strumenti metallici a bocchino, che può essere considerato un sinonimo di ottoni.\n\nRiferimenti culturali.\nMusica.\nArrigo Boito cita l'oricalco nell'opera Otello di Giuseppe Verdi (1887):.\nFranco Battiato cita l'oricalco nella sua canzone 'Atlantide' (album Caffè de la Paix, 1993):.\n\nLetteratura.\nNel sonetto Orvieto,I di Gabriele D'Annunzio: «Gli angeli formidabili di Luca/ domani soffieran nell'oricalco/ l'ardente spiro del torace aperto.».\nNel sonetto Lassar vo' lo trovare de Becchina, Cecco Angiolieri, parlando del mariscalco, scrive: «ch'e' par fiorin d'or, ed è di ricalco», per indicare l'apparenza sontuosa e pregevole e la sostanza di ben poco valore del personaggio in questione.\nIl rimbombo de' bellici Oricalchi (A. Manzoni: I promessi sposi - Introduzione).\nIn Occidente, di Mario Farneti, le ambite insegne imperiali dell'Impero Romano d'Occidente sono forgiate nell'oricalco. Nel libro tale metallo è descritto come avente proprietà straordinarie e soprannaturali e ne è spesso sottolineata la curiosa luminescenza verdastra.\nNel romanzo L'Atlantide di Pierre Benoît la regina Antinea ricopre di oricalco i corpi dei suoi amanti morti.\n\nFilm.\nNel film Gamera - Daikaijū kuchu kessen, il mostro omonimo viene raffigurato con la capacità di formare un legame psichico con gli esseri umani, attraverso un talismano di oricalco. Lo stesso vale per il mostro Iris nel sequel Gamera 3 - Iris kakusei.\nNel film Aquaman e il regno perduto, è un materiale pericoloso un tempo usato come fonte di energia e combustiible.\n\nRiferimenti nella cultura di massa.\nOricalco è anche il titolo di una canzone di Slego del 2022.\n\nFumetti e cartoni animati.\nNella sesta stagione dell'anime Yu-Gi-Oh!, l'Orichalcos è una pietra verde capace di svelare la cattiveria degli esseri umani, che diecimila anni prima dell'inizio della storia fu la causa della distruzione del regno di Atlantide. Il suo potere verrà in seguito infuso dall'antagonista Dartz ne 'Il Sigillo di Orichalcos' (una carta raffigurante un esagramma unicursale verde inscritto in un cerchio runico), capace di concedere molteplici poteri al suo utilizzatore e di privare il duellante sconfitto dell'anima come tributo alla bestia leggendaria, Leviathan;.\nNel manga e anime I Cavalieri dello zodiaco, l'oricalco è il materiale con cui sono state forgiate le armature dei Generali degli abissi e dei Cavalieri di Athena;.\nNell'anime Nadia - Il mistero della pietra azzurra, la giovane protagonista Nadia porta sempre al collo un gioiello azzurro di forma romboidale fatto di oricalco, chiamato anche Trismegistos, pietra filosofale o pietra azzurra (Blue Water nella versione originale);.\nIn Black Cat, l'oricalco è traslitterato in orihalcon e indica il materiale di cui sono composte le armi indistruttibili dei Kronos;.\nIn StarDriver, i Cybody (enormi robot che i protagonisti possono comandare in uno luogo chiamato 'Spazio Zero') sono fatti di oricalco, che pare avere qualità quasi autorigeneranti;.\nIn Slayers (o Un incantesimo dischiuso fra i petali del tempo per Rina), i protagonisti all'inizio trovavano una statuetta del suddetto metallo;.\nIn Toriton, il protagonista possiede un pugnale magico fatto di orihalcon;.\nIn Spriggan, il materiale viene 'ribattezzato' (anche causa traslitterazione dal giapponese) omihalcon ed anche li è un metallo resistentissimo che viene dai tempi di Atlantide. Viene utilizzato per fare armi, armature e altri oggetti resistentissimi;.\nNella storia Topolino e le miniere di fantametallo di Casty l'oricalco è al centro della vicenda;.\nNella storia in quattro parti (luglio – ottobre 2011) di Mauro Boselli sulla serie Zagor, nel numero intitolato Il dio della polvere, lo scrigno che trattiene il dio al suo interno ha la serratura forgiata in oricalco;.\nNella storia di Tex 'Il ritorno del Morisco', l'ankh trovato da El Morisco nella tomba del grande sacerdote è fatto di oricalco;.\nNel film Metal Fight Beyblade VS Taiyō Shakunetsu no Shinryakusha, Ryo Hagane nomina l'oricalco riferendosi al materiale di cui è fatto il beyblade Sol Blaze.\n\nGiochi di ruolo.\nL'oricalco è citato anche in Exalted in cui questo materiale è usato dai Solari, personaggi semidivini con poteri soprannaturali, per creare armi o artefatti; l'arma più potente costruita con l'oricalco è il Daiklave, tipica arma dei solari.\n\nVideogiochi.\nIn vari videogiochi, specialmente nei giochi di ruolo, l'oricalco può essere lavorato in monili; esempi di giochi che impiegano questo dispositivo includono:.\n\nStar Ocean: The Second Story per PlayStation;.\nHarvest Moon: Friends of Mineral Town per Game Boy Advance.Inoltre:.\n\nIn Assassin's Creed: Odyssey, l'oricalco è una pietra color turchese piuttosto rara, rinvenibile in specifiche località od ottenibile in apposite missioni a tempo. Inoltre è l'unica pietra valuta accettata nella Casa olimpica;.\nIn Age of Mythology, l'oricalco viene usato nel potenziamento delle mura difensive della civiltà atlantidea;.\nIn Indiana Jones e il destino di Atlantide, i nazisti sperano di usare l'oricalco per generare un'arma potente quanto la bomba atomica, ma senza la radiazione. Ciò è suggerito in una scena iniziale, dove un singolo pezzetto di oricalco dà ad una piccola macchina abbastanza potenza da scavare una galleria attraverso una spessa parete in pochi secondi;.\nIn Sacrifice, il monte Oricalco (Mt. Orichalchis) è il più alto sotto l'egemonia del dio Stratos;.\nNel videogioco per PlayStation 2 Kingdom Hearts II, l'oricalco è uno dei materiali più rari per la creazione di armi e amuleti. Con l'oricalco è possibile forgiare la spada più potente di Sora, la Ultima Weapon (lo stesso nome delle armi di Tidus in Final Fantasy X e di Gidan di Final Fantasy IX, che sono sempre della Squaresoft);.\nNel videogioco Soulcalibur II per PlayStation 2, Nintendo Gamecube e Xbox, la spada Orichalcum (Oricalco) è l'arma finale della guerriera greca Sophitia Alexandra. Nella descrizione dell'arma che ne fa il gioco, si accenna alle sue origini Atlantidee;.\nNell'espansione di Signore dell'Olimpo - Zeus, ovvero Signore di Atlantide - Poseidon, fra i nuovi minerali c'è anche l'oricalco, adoperabile per decorare le piramidi che per costruire lanciafiamme;.\nIn Titan Quest, l'oricalco fa la sua comparsa, dopo aver finito la prima volta il gioco con difficoltà normale e ricominciando con difficoltà epica. Si inizieranno a trovare armi e armature costituite da tale metallo con un potere di offesa o difesa maggiore rispetto a quelle normali;.\nNel RPG Dragon Quest, esiste un oggetto chiamato orichalcum, descritto come un metallo resistentissimo (ma di colore azzurro, non rosso), utile come ingrediente alchemico;.\nNel videogioco The Elder Scrolls V: Skyrim, l'oricalco è un minerale esistente raccolto e lavorato dagli Orchi e dal giocatore per produrre armi, armature, lingotti. Tuttavia qui è rappresentato con un colore verde scuro tendente al nero;.\nIn Pandora's Tower, l'oricalco è probabilmente il materiale da cui è stata forgiata la misteriosa catena di Aeron, il cui nome originale è appunto 'Orichalcum Chain';.\nIn Guild Wars 2, l'oricalco è il metallo usato per migliorare le armi;.\nNel videogioco per Wii Sonic e il Cavaliere Nero, l'oricalco è ottenibile come oggetto da collezione dopo ripetuti match perfetti (quindi minor tempo, assenza di danni e colpi perfetti) contro il boss finale, ovvero la Regina Oscura. Dopo averlo ottenuto, è visualizzabile nel Tesoro;.\nNel videogioco Terraria, l'oricalco è un minerale color magenta presente solo in modalità difficile.\nNel videogioco per mobile Frostborn, l'oricalco è un minerale difficile da reperire con cui si possono creare vari oggetti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Origine della Via Lattea (Rubens).\n### Descrizione: L'origine della Via Lattea è un dipinto a olio su tela (181x244 cm) realizzato tra il 1635 ed il 1638 dal pittore Pieter Paul Rubens.\nÈ conservato nel Museo del Prado.\nIl Filippo IV, re di Spagna, commissionò al pittore la decorazione del nuovo padiglione del palazzo, la Torre de la Parada, con una serie di quadri. I soggetti erano tratti per lo più dalle Metamorfosi di Ovidio e dai miti classici: Apollo e Marsia, Cefalo e Procri, Orfeo ed Euridice.\nRubens iniziò solo i bozzetti, e ne dipinse soltanto una quindicina lasciando ai discepoli l'ultimazione degli altri.\nIl dipinto raffigura la scena mitologica della creazione della Via Lattea.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Origine della Via Lattea.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN, ES) Museo del Prado – Sito ufficiale." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Origine della Via Lattea (Tintoretto).\n### Descrizione: L'origine della Via Lattea è un dipinto a olio su tela (148x165 cm) realizzato tra il 1575 ed il 1580 dal pittore italiano Tintoretto. È conservato nella National Gallery di Londra.\n\nStoria e descrizione.\nIl dipinto, commissionato dall'imperatore Rodolfo II, ritrae la nascita della Via Lattea secondo la mitologia greca.\nIl mito narra che Zeus, approfittando del sonno della moglie Era, attaccò al seno il figlio Eracle, avuto con la mortale Alcmena, perché solo succhiando dal petto della madre degli dei, il semidio avrebbe potuto ottenere l'immortalità.\nIl piccolo agguantò un seno della dea con troppa forza e la svegliò, facendo schizzare parte del latte verso il cielo, creando così la Via Lattea, mentre le gocce cadute a terra diedero origine a gigli. Il dipinto è infatti incompleto, dato che la parte inferiore della tela fu asportata in data imprecisata.\nOltre ai protagonisti si nota la presenza di alcuni amorini e dei due simboli animali dei coniugi divini, l'aquila con il fulmine, simbolo di Zeus, e due pavoni, l'uccello sacro ad Era.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Origine della Via Lattea.\n\nCollegamenti esterni.\nImmagine ad alta risoluzione su Google art, su googleartproject.com.\nNational Gallery, su nationalgallery.org.uk.\nVia Lattea, su iconos.it. URL consultato il 31 ottobre 2019." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ornizione.\n### Descrizione: Ornizione (in greco antico: Ὀρνυτίων?, Ornütíōn) o Ornito (in greco antico: (Ὄρνυτος?, Órnütos) è un personaggio della mitologia greca. Fu re di Corinto.\n\nGenealogia.\nFiglio di Sisifo e di Merope, divenne padre di Foco e di Toante.\nNon sono noti nomi di mogli o concubine.\n\nMitologia.\nIl suo nome significa 'uccello della luna' o 'uccellino'. La derivazione del nome dai volatili si deve al fatto che nella vecchia Daulide (in seguito chiamata Focide) esisteva un credo diffuso riguardante gli uccelli.\nPartendo dall'Aonia, si alleò con la città di Iampoli nella battaglia contro gli abitanti di Locride Opunzia per il regno di Daphnus.\nOrnizione vinse e consegnò il nuovo regno al figlio Foco, prima di fare ritorno a Corinto con Toante che in seguito fu il suo successore.\nFu il capostipite dei successivi re di Corinto attraverso il figlio Toante, e dei re di Focide attraverso Foco. Il suo orgoglio era una mandria di bestiame che pascolava sull'istmo di Corinto." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orpheus (Liszt).\n### Descrizione: Franz Liszt compose il poema sinfonico Orpheus nel 1853-54, ed esso porta il n. 4 del ciclo di dodici poemi sinfonici composti nel cosiddetto periodo di Weimar. La sua prima esecuzione avvenne il 16 febbraio 1854, sotto la direzione dello stesso compositore, come anteprima alla prima esecuzione a Weimar dell'opera Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck. La rappresentazione avvenne per festeggiare il compleanno della granduchessa Marija Pavlovna di Russia, che era una musicista dilettante e strenua sostenitrice di Liszt a Weimar.\n\nDescrizione.\nOrpheus è uno dei quattro poemi sinfonici di Liszt composti su uomini del passato dal genio creativo, eroici o leggendari. (Gli altri tre poemi sono Tasso. Lamento e trionfo, Prometheus e Mazeppa). Nella prefazione Liszt descrive un vaso etrusco riproducente Orpheus, ed esalta l'azione di civilizzazione sull'umanità. Questo riferimento per l'effetto nobilitante di Orfeo e della sua arte può essere derivato dall'Orfeo descritto dal filosofo di Lione Pierre-Simon Ballanche in Orphée nel 1829. Con l'introduzione di leggi civilizzatrici, l'Orfeo di questo lavoro in nove volumi conduce l'umanità nell'era moderna; questo è stato inteso da Ballanche come l'enunciazione di una nuova filosofia per tutta l'Europa. Liszt era un conoscente e sostenitore di Ballanche, e l'entusiasmo di Liszt fu condiviso dai membri dei salotti francesi durante gli anni 1830, in particolare da George Sand.\n\nStrumentazione.\nParticolarmente degna di nota è la strumentazione dell'Orpheus, che comprende due arpe; esse stanno a rappresentare la lira di Orfeo in un'apertura di 14 battute che concentra immediatamente l'attenzione dell'ascoltatore su questo strumento. Arpista Jeanne Pohl, uno degli strumentisti virtuosi portati a Weimar da Liszt per incrementare l'orchestra di corte, ispirò al compositore alcuni effetti particolarmente difficili.\n\nOrganico.\nOttavino, due flauti, due oboi, corno inglese, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, tre tromboni, basso tuba, timpani, due arpe, archi.\n\nStruttura.\nOrpheus non è un pezzo molto lungo e prende la struttura di un crescendo seguito da un calmo finale che torna poi sulla struttura iniziale della composizione. Diversamente da altri poemi sinfonici di Liszt, la musica rimane molto contemplativa. Per questa ragione, esso divenne il pezzo favorito del genero di Liszt, il compositore Richard Wagner.Formalmente, Orpheus è una forma sonata modificata con una chiave secondaria che contiene due temi. Il secondo tema meno energico del primo, rimane uno statico leitmotiv oscillante fra maggiore e minore. Tuttavia, esso contiene una qualità particolarmente toccante. Questo tema è presentato da vari strumenti solisti con l'accompagnamento dell'arpa. L'orchestrazione, insieme allo stile, propone una interpretazione di questo tema come la voce di Orfeo.L'etereo cromatismo ascendente nelle battute finali attenua l'eventuale chiusura attesa da un'armonia più convenzionale. Combinato con il tema di chiusura del secondo gruppo, questo fa concludere il lavoro come una visione enigmatica che ricorda gli ultimi momenti della storia di Ballanche. Lì, il narratore della storia, Tamiri, testimonia la scomparsa di Orfeo tra le nuvole, lasciando agli uomini il compito di sviluppare i suoi insegnamenti di civiltà." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Orpheus (balletto).\n### Descrizione: Orpheus è un balletto neoclassico in tre quadri su musica di Igor' Fëdorovič Stravinskij e coreografia di George Balanchine del 1947. Per il compositore questo lavoro fu una riconquista ideale dell'antichità classica in cui trovò una rinnovata ispirazione.\n\nStoria.\nStravinskij scrisse Orpheus su richiesta del Ballet Society, associazione fondata da Balanchine e Lincoln Kirstein; l'opera fu iniziata a Hollywood nell'ottobre del 1946 e terminata il 26 settembre 1947. La coreografia, realizzata da Balanchine in pieno accordo con il compositore, si attenne a elementi molto semplici, attenta soprattutto alla partitura e al soggetto drammatico del lavoro.\nLa prima rappresentazione del balletto avvenne a New York il 28 aprile 1948 al New York City Center of Music and Drama con scene e costumi di Isamu Noguchi, le luci di Jean Rosenthal. Interpreti principali furono Nicholas Magallanes nella parte di Orfeo, Maria Tallchief in quella di Euridice, Francisco Moncion rappresentò l'Angelo nero e Herbert Bliss, Apollo. La direzione orchestrale fu dello stesso Stravinskij.\n\nTrama.\nOrfeo, davanti alla tomba di Euridice, implora gli dei per ritrovare l'amata. Gli appare un Angelo Nero che lo conduce attraverso lo Stige imponendogli però una maschera d'oro che non dovrà mai togliere. Nell'Ade le Furie gli sbarrano la strada; l'Angelo incita Orfeo a suonare la lira ed alla sua musica celestiale le Furie si quietano; Plutone conduce quindi Euridice ad Orfeo. I due si incamminano tenendosi per mano tra mille difficoltà, ma Euridice cade; non avendo più contatto con lei Orfeo toglie la maschera per poter vedere e l'amata cade a terra senza vita. Orfeo disperato perde la lira e viene attaccato dalle Baccanti che lo fanno a pezzi. Apollo ritrova le spoglie di Orfeo, alza verso l'alto la maschera d'oro e dalla tomba del cantore la sua lira risale verso il cielo.\n\nStruttura del balletto.\nQuadro primo1. Lento sostenuto. Orfeo piange Euridice; è immobile, con la schiena rivolta al pubblico. Gli amici portano dei doni e lo confortano.\n2. Andante con moto. Air de danse.\n3. Lo stesso tempo. Danza dell'Angelo Nero. L'Angelo conduce Orfeo dell'Ade.\n4. Lo stesso tempo. Interludio. L'Angelo e Orfeo riappaiono nell'oscurità del Tartaro.\n\nQuadro secondo5. Agitato in piano. Sempre alla breve ma meno mosso. Pas des Furies. Movimenti e minacce delle Furie.\n6. Grave. Un poco meno mosso. Air de danse (Orfeo).\n7. Lo stesso tempo. Interludio. Le anime incatenate nel Tartaro tendono le braccia verso Orfeo e lo implorano di cantare ancora.\n8. Lo stesso tempo. Air de danse (Orfeo, conclusione).\n9. Andatino leggiadro. Pas d'action. Le anime si placano al canto di Orfeo. Le Furie lo bendano e gli conducono Euridice. Il sipario si abbassa.\n10. Andante sostenuto. Pas de deux. Davanti al sipario abbassato Orfeo si toglie la maschera. Euridice cade morta.\n11. Moderato assai. Interludio.\n12. Vivace. Pas d'action. Le baccanti assaltano Orfeo, lo afferrano e lo fanno a pezzi.\n\nQuadro terzo13. Lento sostenuto. Apoteosi di Orfeo. Apparizione di Apollo che prende la lira di Orfeo, quindi innalza la maschera e il suo canto al cielo.\n\nOrchestrazione.\nIl compositore inizialmente avrebbe voluto un'orchestra sinfonica di sessanta elementi, ma poiché a New York soltanto il Metropolitan Opera House avrebbe potuto ospitare una rappresentazione con un tale organico e i costi erano molto elevati, Kirstein chese a Stravinskij di realizzare qualcosa di simile all'Apollon musagète con un organico ridotto. Il musicista optò così solo per 43 musicisti. Sebbene l'organico sia quindi simile a quello di una normale orchestra, la partitura è scritta secondo gli schemi di una musica da camera.\nOltre agli archi, sono presenti l'arpa e i timpani; i legni comprendono tre flauti, due clarinetti, due oboi, due fagotti;.\ngli ottoni quattro corni, due trombe, due tromboni. L'arpa ha un ruolo simbolico in quest'opera poiché viene utilizzata per dare sonorità alla lira di Orfeo.\n\nAnalisi.\nIl carattere classicheggiante del soggetto portò Stravinskij ad avvalersi di modalità che vanno dal modo dorico all'eolio; la polifonia sfugge in tal modo alle strette regole della tonalità.Nei primi due quadri la musica è calma, quasi tenera ma distaccata; anche nel Passo delle Furie la minaccia è sottolineata da una musica inquieta, ma senza accenni di violenza, il tempo infatti è indicato Agitato in piano. Solo nel Passo d'azione delle Baccanti l'accentuazione ritmica e le caratteristiche aspre sonorità di Stravinskij prendono il sopravvento e ci riportano in parte al clima de La sagra della primavera e della sua Danse sacrale; solo in questo momento la dinamica della partitura arriva a un fortissimo che si quieta comunque subito dopo la morte di Orfeo. Nel terzo quadro infatti si ritorna al tema iniziale e la musica ritrova la calma e una delicatezza apollinea.Gli estremi opposti della natura dell'uomo, il 'dionisiaco', rappresentato da Le sacre du printemps, e l''apollineo' che ha riscontro in Apollon musagète, sono presenti e contrastanti tutti e due nell'Orpheus, impersonati nelle figure delle Baccanti e in quella di Apollo.\n\nAltre versioni coreografiche.\nPer la prima europea Stravinskij affidò la coreografia a Aurel Milloss che debuttò con il balletto al Festival di musica contemporanea della Biennale di Venezia al Teatro La Fenice nel 1948, grazie all'interessamento di Ferdinando Ballo, allora direttore artistico della Biennale.\nErich Walter realizzò una nuova versione con il Balletto di Wuppertal nel 1954John Cranko nel giugno 1970 creò una nuova coreografia con il Balletto di Stoccarda." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Orpheus - La finestra di Orfeo.\n### Descrizione: Orpheus - La finestra di Orfeo (オルフェウスの窓?, Orufeusu no mado) è un manga di Riyoko Ikeda serializzato tra il 1975 e il 1981 sulla rivista Margaret di Shūeisha e in seguito raccolto in 18 volumi tankōbon.\nGrazie alla realizzazione de La finestra di Orfeo, il più lungo dell'autrice, ambientato in Germania, Austria e Russia, che Tezuka definì come la sua 'opera della vita', l'autrice vinse il 9º Premio d'Eccellenza da parte dell'Associazione dei fumetti giapponesi nel 1980.\n\nTrama.\nLa storia narra le vicende legate alle vite di alcuni studenti di conservatorio nella città di Ratisbona, in Germania, negli ultimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento. Nel corso dell'opera, da uno scenario caratterizzato dall'ambiente borghese della Germania post-Bismarck, si passa al palcoscenico delle due rivoluzioni russe, alla prima guerra mondiale e alla fine del casato dei Romanov.\nLa protagonista di questa storia è Julius: una ragazza che è costretta dalla madre a fingersi maschio sin dalla nascita, per poter così ereditare l'intero cospicuo patrimonio del padre ormai prossimo alla morte, a discapito delle due sorellastre, figlie di primo letto.\nJulius è iscritta a un conservatorio maschile dove da generazioni si tramanda una leggenda: chiunque si affacci alla cosiddetta 'finestra di Orfeo' sarà vincolato in un amore con la prima fanciulla che vedrà al di sotto. Un amore che però finirà in tragedia, come il mito di Orfeo ed Euridice.\nLa prima parte della storia, ambientata in Germania, è incentrata sul rapporto fra tre ragazzi protagonisti e sulla questione dell'eredità del padre di Julius. Vi sono poi come contorno altre storie d'amore minori che s'intrecciano con le principali, oltre a rivalità e ipocrisie.\nLa storia si sposta poi dalla Germania in Austria seguendo le vicende di Isaak, uno studente povero che studiò alla stessa scuola di Julius grazie a una borsa di studio a favore del suo talento. Klaus è il terzo protagonista, compagno di scuola di Julius e Isaak. Nella terza parte del manga, quasi interamente ambientata in Russia: le vicende personali dei protagonisti, Julius e Klaus, a questo punto s'intersecano con quelle dei bolscevichi e della rivoluzione russa.\nMolti sono i personaggi realmente esistiti che vengono appaiono in queste pagine: la famiglia imperiale dei Romanov, il monaco Rasputin, il capo dei rivoluzionari Lenin, o il musicista Wilhelm Backhaus.\n\nPersonaggi.\nJulius Leonherd von Ahlensmeyer (ユリウス・レオンハルト・フォン・アーレンスマイヤ?, Yuriusu Reonharuto fon Ārensumaiya) è la protagonista della serie.Isaak Gotthilf Weisheit (イザーク・ゴットヒルフ・ヴァイスハイト?, Izāku Gottohirufu Vaisuhaito) è il co-protagonista della serie.Alekseij Mihailov (アレクセイ・ミハイロフ?, Arekusei Mihairofu), conosciuto anche come Klaus Friedrich Sommerschmitt) (クラウス・フリードリヒ・ゾンマーシュミット?, Kurausu Furīdorihi Zonmāshumitto).\n\nStorie fuori serie.\nDi questo manga negli anni successivi la Ikeda, così come accadde anche per Le rose di Versailles, creò delle storie fuori serie, che si inserivano a posteriori negli interstizi della continuità principale. In Orpheus no mado gaiden (オルフェウスの窓外伝?), l'autrice cerca di svelare alcuni punti che nella serie principale non avevano avuto una conclusione compiuta. In questi episodi la Ikeda si è limitata a rivestire il ruolo di sceneggiare affidando i disegni a Erika Miyamoto, una sua ex assistente.\n\nVolumi.\nEdizione giapponese.\nIn Giappone la prima pubblicazione è avvenuta nel corso di cinque anni sulla rivista settimanale Shukan Margaret, edita dalla Shūeisha, per poi essere ospitata dalla rivista Seventeen, rivolta a un pubblico più maturo. Successivamente l'opera è stata raccolta in diciotto tankōbon di duecento pagine l'uno, i quali da allora hanno conosciuto numerose ristampe.\n\nEdizioni italiane.\nIn Italia è stato pubblicato da Panini Comics sotto l'etichetta Planet Manga dall'8 aprile 2004 al 5 maggio 2005 a cadenza mensile, per un totale di 14 volumi da 256 pagine l'uno. Questa versione si basa sulla ristampa giapponese in 4 volumi. La lettura proposta è all'occidentale, con le tavole ribaltate simmetricamente rispetto all'originale nipponico.\n\nUna nuova edizione viene annunciata da J-Pop nel 2020 ed è composta da nove volumi (ciascuno dei quali comprendente due tankōbon originali) pubblicati dal 24 marzo 2021 al 6 luglio 2022.\n\nTematiche.\nOscar e Julius sono donne cui la famiglia hanno imposto di vestire i panni di uomini, ma mentre l'identità femminile di Oscar è però conosciuta, Julius vivrà drammaticamente il suo segreto di essere una ragazza. Inoltre, Oscar accetta di essere stata cresciuta come un maschio mentre la più costretta Julius si dedica completamente al suo lato femminile che si manifesta nel suo esasperato amore per Klaus.\nNella parte iniziale è notevole il ritratto dettagliatissimo dell'alta società della Baviera post-bismarckiana, caratterizzata da una borghesia imprenditoriale; l'amore per la musica, di cui la Ikeda è capace di dare descrizioni davvero toccanti; la derelizione e la dignità delle classi più povere, ai margini dello splendore luccicante della ricchezza e dell'arte.\nAi tempi dell'università, l'autrice aveva studiato Marx e Lenin, ed era nel ramo giovanile del Partito Comunista Giapponese." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ortro.\n### Descrizione: Ortro (in greco antico: Ὄρθρος?, Òrthros) (oppure Otro od Orto) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Tifone ed Echidna, fratello di Cerbero, della Chimera e dell'Idra di Lerna.\nSecondo Esiodo è anche il padre della Sfinge e del Leone di Nemea, creature che probabilmente generò accoppiandosi con sua madre Echidna.\n\nAspetto.\nGli si attribuiscono talvolta diverse teste, altre volte un corpo di serpente, ma la descrizione che si usa più spesso è quella di un grosso cane bicefalo con un serpente come coda.\n\nMitologia.\nOrtro (figlio di Echidna e di conseguenza fratello della Chimera, dell’Idra e di Cerbero e di tutti gli altri mostri generati da Echidna) era il cane del pastore Euritione, posto a guardia della mandria di Gerione, Fu ucciso da Eracle nella sua decima fatica.\nSecondo Apollodoro Eracle uccise Ortro con la sua clava, ma in molti dipinti che raffigurano l'episodio il cane viene trafitto da una o più frecce." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Oscar Wilde Memorial Sculpture.\n### Descrizione: L'Oscar Wilde Memorial Sculpture è una collezione di tre statue in Merrion Square a Dublino, in Irlanda, che commemora il poeta e drammaturgo irlandese Oscar Wilde. Le sculture sono state progettate e realizzate da Danny Osborne e sono state presentate nel 1997.\n\nStoria.\nLo scultore inglese Danny Osborne venne incaricato dal Guinness Ireland Group di creare una statua commemorativa di Oscar Wilde, che è stata inaugurata nel 1997 dal nipote di Wilde, Merlin Holland. Il budget iniziale era di £ 20.000 ma è stato successivamente aumentato a £ 45.000. Poiché il solo marmo era ritenuto inadeguato, la statua è stata creata con diverse pietre provenienti da tre continenti. Il torso è di giada nefrite verde proveniente dalla British Columbia, Canada, mentre il thulite rosa proveniva dalla Norvegia. Le gambe sono in granito norvegese di colore perla blu con le scarpe nere fatte di charnockite dell'India e rifinite con punte in bronzo. La statua indossa anche una cravatta in porcellana smaltata arrivata dal Trinity College e tre anelli: l'anello nuziale di Wilde e due con degli scarabei, uno per rappresentare la fortuna, l'altro la sfortuna.\nLa statua è montata con Wilde sdraiato su un grande masso di quarzo ottenuto dallo stesso Osborne dalle Montagne di Wicklow. La scultura comprende anche due pilastri con statue che fiancheggiano il masso. Una delle due che rappresenta la moglie incinta di Wilde e nuda, Constance Lloyd mentre l'altra è un torso maschile che rappresenta Dioniso, il Dio greco del dramma e del vino. Entrambe le sculture sono in bronzo e granito, ed entrambi i pilastri hanno delle iscrizioni basate su delle poesie di Wilde scolpite su di esse.Tre persone, che vivevano in quel momento vicino allo studio dell'artista, hanno posato come modelli per le tre sculture.\nQuando la statua fu inaugurata, nel 1997, fu la prima statua a commemorare Wilde, morto 97 anni prima. Ha ricevuto quasi unanime apprezzamento per i materiali usati e per la sua posizione vicino alla sua casa d'infanzia all'1° di Merrion Square. Nel 2010 la testa di porcellana di Wilde ha dovuto essere sostituita perché su di essa si erano sono formate diverse crepe. La testa di porcellana fu sostituita da una nuova in giadeite bianca.\n\nImpatto e significato.\nIn un articolo del maggio 2001 nell'edizione irlandese del Sunday Times, Mark Keenan ha commentato la sorprendentemente lunga attesa per una commemorazione di Wilde nella sua città natale e ha suggerito una spiegazione per il ritardo, '... un decennio fa gli elementi più conservatori tra il pubblico di Dublino non avrebbero potuto permettere alla città di commemorare il suo nome.'.\nParlando del lavoro nel suo articolo del 2012 'Scolpire l'irlandese: una discussione sulle statue commemorative di Dublino di Oscar Wilde e Phil Lynott' per il Sculpture Journal, Sarah Smith scrive:Un'altra distinzione è l'espressione facciale della figura, che, interrompendo il realismo della figura, potrebbe essere descritta come un ghigno piuttosto contorto. Destinato dall'artista a rappresentare due lati antitetici di Wilde, una metà della sua faccia sta sorridendo ampiamente ... mentre l'altra reca un'espressione cupa ... e questa divisione è risuonata nella sua postura su entrambi i lati. A causa del suo posizionamento all'angolo del parco alla svolta del percorso esterno, il visitatore del monumento vede un lato di Wilde quando si avvicina e un altro quando si allontana. Uno è lo Wilde spiritoso che è più spesso ricordato nella cultura popolare, l'altro 'l'uomo distrutto' dopo la sua incarcerazione di due anni per aver commesso la propria omosessualità.Smith sostiene che 'non possiamo fare a meno di leggere questo lavoro secondo le convenzioni odierne sull'abito e sul gesto', dicendo:La scelta della posa per Wilde, che richiama immagini familiari e storiche conosciute della 'mascolinità femminizzata', l'uso del colore per questo 'personaggio colorato' e il suo sguardo diretto sul torso nudo maschile si fondono con la nostra conoscenza della sua omosessualità. Di conseguenza vediamo un'enfasi eccessiva sulla sua sessualità in questo lavoro, aumentata dai soprannomi che gli vengono dati dai dublinesi.La statua di Wilde, in armonia con altre statue di Dublino, è stata soprannominata dai dublinesi 'The Queer with the Leer', 'The Fag on the Crag' e 'The Quare in the Square'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ossilo (figlio di Ares).\n### Descrizione: Ossilo (in greco antico: Ὄξυλος?, Oxilos) è un personaggio della mitologia greca.\nDi Ossilo parla Apollodoro, che lo definisce figlio di Ares, dio della guerra, e di Protogenia (figlia di Calidone). Nient'altro viene detto su questo personaggio, che potrebbe però essere identificato con un altro Ossilo, di cui narrano Pausania e lo stesso Apollodoro." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ossilo (figlio di Oreio).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ossilo (greco antico: Ὄξυλος Òxylos) era una divinità rustica delle foreste e delle montagne.\nÈ indicato come figlio di Oreio, che in greco significa 'montagna'. Sposò la propria sorella Amadriade, e dalla loro unione nacquero otto figlie, ognuna delle quali aveva il nome che ricordava un dato albero, le Amadriadi.\nAntonino Liberale ambienta la storia sul Monte Eta, nella Grecia centrale, e aggiunge il figlio Andremone, che secondo il mito sposò Driope, la figlia del re dei Driopi, e divenne re di tale popolo. Andremone adottò inoltre Anfisso, figlio di Driope e del dio Apollo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Otreo.\n### Descrizione: Otreo (in greco antico: ?) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Dascilo e di Antemisia.\n\nMitologia.\nFu un personaggio secondario all'interno della vicenda degli Argonauti e fu ucciso da un brigante locale, Amico, figlio del dio Poseidone. Deciso a vendicarlo, il fratello aizzò contro Amico gli Argonauti, i quali erano giunti al suo cospetto durante il loro viaggio alla ricerca del Vello d'oro. Grazie alla forza di Polluce, uno dei viaggiatori, Amico venne sconfitto e la morte di Otreo vendicata." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Otri.\n### Descrizione: Il Monte Otri (in greco Όθρυς?, Óthrys) è una montagna della Grecia centrale, alta 1726 m.s.l.m.. Si trova tra le unità periferiche della Ftiotide e della Magnesia.\n\nMitologia.\nIl Monte Otri era, nella mitologia greca, la base dei Titani nella Titanomachia, la guerra dei Titani contro gli dei del Monte Olimpo.\nSi dice che nel Monte Otri si trovasse il trono di Crono, Signore del Tempo e dei Titani, sorvegliato da Crio, Titano Signore del Sud.\n\nInfluenza culturale.\nIl Monte Otri è presente nella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. Percy Jackson combatte nell'Otri contro il Titano Atlante nel libro Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: la maledizione del Titano." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pafo (mitologia).\n### Descrizione: Pafo, nella mitologia greca, è la figlia di Pigmalione, re di Cipro, e di Galatea, una statua della dea Afrodite. Galatea fu resa viva da Afrodite per esaudire la preghiera di Pigmalione che si era innamorato della statua che aveva scolpito lui stesso.\nLa storia è narrata da Ovidio (Le metamorfosi, X, 243) e, poi, con qualche variante dallo scrittore cristiano Arnobio (Adversus nationes, VI, 22).\n\nVoci correlate.\nPigmalione.\nAfrodite." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Palatino.\n### Descrizione: Il Palatino è uno dei sette colli di Roma, situato tra il Velabro e il Foro Romano, ed è una delle parti più antiche della città. Il sito è ora un grande museo all'aperto e può essere visitato durante il giorno. L'ingresso si trova in via di San Gregorio (ingresso a pagamento), oppure si può salire sul Palatino entrando nel Foro Romano (ingresso a pagamento) e poi salendo per il Clivo Palatino, a destra dell'Arco di Tito.\n\nGeografia.\nIl Palatino è uno dei colli centrali di Roma, ma a differenza del Campidoglio e dell'Aventino è vicino al fiume ma non adiacente ad esso. L'altezza massima è di 51 metri s.l.m.. Il colle guarda da un lato sul Foro Romano e dall'altro sul Circo Massimo.\nIl Colle presentava due sommità separate da un avvallamento; la sommità centrale, la più elevata, era detta Palatium, mentre l'altra, situata verso il pendio che digrada verso il Foro Boario e il Tevere, era chiamata Germalus (o Cermalus).\nUn tempo era collegato al retrostante Esquilino, tramite il colle della Velia, sbancato quando fu costruita la via dei Fori Imperiali.\n\nStoria.\nLeggende e periodo arcaico.\nLa leggenda vuole che Roma ebbe le sue origini sul Palatino. In effetti, scavi recenti hanno mostrato che delle popolazioni vi abitavano già nel 1000 a.C. circa. Si trattava di un villaggio di pochi ettari, circondato da paludi, dal quale era possibile controllare il corso del Tevere. Da questo primo agglomerato urbano si formò la cosiddetta 'Roma quadrata', così chiamata dalla forma approssimativamente romboidale della sommità del colle su cui si trovava.\nIl Palatino, ed il suo abitato (probabilmente abitato dai Siculi nelle sue fasi iniziali), rimasero centrali nel successivo sviluppo della città, tanto che le sue due cime, il Palatium ed il Cermalus, rientravano negli originari sette monti del Septimontium.\nNell'Eneide e in altre fonti si narra di come sul Palatino vivessero Greci immigrati dall'Arcadia, comandati da Evandro e suo figlio Pallante: vennero in contatto con questi 'Arcadi' Ercole e poi Enea. Non si sa come queste leggende siano nate, però è un dato effettivo che nel pantheon arcaico esistano le divinità minorenni di Evandro e Pallante. Può darsi che questa zona fosse frequentata in tempi remoti da mercanti e marinai greci, o prima della colonizzazione della Magna Grecia, come confermano anche alcune scoperte archeologiche del XX secolo.\nSecondo la mitologia romana, il Palatino (più precisamente il pendio paludoso che collegava il Palatino al Campidoglio, chiamato Velabro) fu il luogo dove Romolo e Remo vennero trovati dalla Lupa che li tenne in vita allattandoli nella 'Grotta del Lupercale', forse recentemente localizzata. Secondo questa leggenda, il pastore Faustolo trovò gli infanti e, assieme a sua moglie Acca Larentia, allevò i bambini. Quando Romolo, ormai adulto, decise di fondare una nuova città, scelse questo luogo (si veda Fondazione di Roma per un resoconto più dettagliato del mito). La casa Romuli effettivamente era una capanna ricostruita e restaurata più volte, situata nell'angolo nord-ovest della collina, dove poi sorse la casa di Augusto. Scavi del 1946 hanno effettivamente trovato in questo sito resti di capanne dell'età del Ferro, confermando appieno la tradizione leggendaria.\n\nIl nome del colle aveva la stessa radice di quello della dea Pales, alla quale era dedicata l'antichissima tradizione della festa delle Palilia o Parilia, che si tenevano il 21 aprile e che coincidevano col giorno della fondazione della città. Per altri studiosi la derivazione del nome Palatino si ricava da Palus, poiché molte costruzioni di quegli antichi popoli erano fatte su palafitte, ma la derivazione più logica è quella dalla radice Pala, ossia altura.Aveva sede qui anche la festa dei Lupercalia, legata alla mitica Lupa: partendo dalla grotta del Lupercale, ai piedi del Palatino, una processione di sacerdoti-lupi vestiti di pelli caprine si dirigeva verso il Tevere e poi faceva il giro del colle frustando chiunque venisse a loro tiro soprattutto le donne: era un rito di fecondità. La leggenda dei mitici gemelli allattati dalla lupa ci è pervenuta in redazioni ben più tarde di queste tradizioni, a partire da Tacito.\nGli imperatori romani costruirono i loro palazzi sul Palatino. Le rovine dei palazzi di Augusto, Tiberio e Domiziano sono ancora visibili. Lo stesso termine palazzo deriva dal Palatium latino, a sua volta derivante da Palatino.\nAugusto acquistò la casa dell'oratore Ortensio, situata accanto alla cosiddetta 'casa di Romolo' ancora esistente, secondo la tradizione, nel 31 a.C., la ampliò con l'acquisto di case vicine e vi dimorò senza tuttavia farne un palazzo vero e proprio. Una parte della residenza era riservata alla moglie Livia, la cosiddetta 'Casa di Livia'. Nell'ambito della residenza, Augusto edificò il tempio di Apollo Palatino, con un ampio portico e biblioteche.\n\nEpoca repubblicana.\nIn epoca repubblicana il Palatino fu sede di vari culti. In particolare era importante quello della Magna Mater (Cibele), introdotto dall'Asia Minore al tempo della seconda guerra punica, e quelli di Apollo e Vesta, i cui santuari vennero fondati da Augusto nella propria casa (tempio della Magna Mater, tempio di Apollo Palatino, tempio di Vesta).\nIn epoca repubblicana il colle divenne la sede delle abitazioni della classe dirigente romana. Vi abitarono infatti:.\n\nMarco Valerio Massimo, console nel 505 a.C.\nGneo Ottavio, console nel 165 a.C.\nTiberio Sempronio Gracco, padre dei due famosi tribuni della plebe.\nMarco Fulvio Flacco, console nel 125 a.C.\nMarco Livio Druso, tribuno della plebe nel 91 a.C.\nCicerone e suo fratello Quinto.\nTito Annio Milone, amico di Cicerone e uccisore di Publio Clodio Pulcro, che pure viveva sul colle.\nQuinto Ortensio Ortalo, oratore, la cui casa fu poi acquistata da Augusto.\nMarco Antonio, il triumviro.\nTiberio Claudio Nerone, padre di TiberioTra le tante case repubblicane sono stati trovati resti sotto la Domus Flavia, tra i quali spiccano la Casa dei Grifi e l'Aula Isiaca, decorate da importanti affreschi.\n\nPeriodo imperiale.\nL'avvenimento fondamentale per la storia del colle fu il fatto che Augusto, che qui era nato, lo scelse come residenza, acquistando prima la casa di Ortensio e poi ampliando la proprietà con altre abitazioni vicine: la Casa di Augusto si trovava sull'angolo sud-occidentale della collina.\nDa allora divenne naturale per gli altri imperatori risiedere sul Palatino. Sorsero da allora, uno dopo l'altro, i palazzi imperiali di Tiberio (Domus Tiberiana, ampliata da Caligola), di Nerone (la Domus Transitoria e una parte della Domus Aurea), dei Flavi (Domus Flavia e Domus Augustana) e di Settimio Severo (Domus Severiana e Settizonio).\nAlla fine dell'età imperiale la collina era ormai un unico susseguirsi di edifici imperiali e giardini, che formava un unico grande complesso ad uso degli imperatori. Da allora la parola Palatium iniziò a indicare il 'palazzo' per eccellenza, prima inteso come residenza imperiale e poi come nome comune, presente in tutte le lingue europee.\nTra l'anno 375 e il 379 d.C. le spoglie mortali di san Cesario di Terracina furono traslate, con l'assistenza di papa Damaso intro Romanum Palatium, in optimo loco, imperiali cubicolo, ossia nella Domus Augustana di Roma sul colle Palatino - nel sito di Villa Mills, distrutta. All'interno di questo palazzo imperiale venne eretto un oratorio in onore del martire chiamato “San Cesareo in Palatio”. Esso fu il primo luogo di culto cristiano, regolarmente ed ufficialmente costituito sul Palatino: fu il segno palese della consacrazione cristiana del palazzo imperiale perché sostituì il larario domestico degli imperatori pagani ed ebbe vero e proprio carattere di cappella palatina. In esso si esponevano le immagini che i nuovi imperatori eletti a Bisanzio mandavano a Roma, come ad altre città principali dell'impero.\n\nEpoca medievale e moderna.\nDal XVI secolo il colle, acquistato da Alessandro Farnese, fu proprietà della famiglia Farnese, a cui si deve la realizzazione deagli Horti Palatini Farnesiorum, o Giardini, tuttora in parte conservati al di sopra dei resti della Domus Tiberiana. Gli Horti Farnesiani furono commissionati a Jacopo Barozzi da Vignola.Elisabetta Farnese, ultima erede dei Farnese, nel 1714 si sposò con Filippo V di Spagna, cui portò in dote gli Horti Farnesiani, che poi entrarono del patrimonio dei Borbone di Napoli. Nel 1861 il deposto re delle Due Sicilie Francesco II si trovò costretto a vendere gli Horti a Napoleone III, cultore dell'antica Roma.Napoleone affidò gli scavi archeologici sul Palatino a Pietro Rosa, noto anche in Francia per i suoi studi topografici sull'antica Roma. Al Rosa, futuro Soprintendente agli scavi e monumenti della provincia di Roma e Senatore del Regno, si devono, tra gli altri, gli scavi al Tempio della Magna Mater, alla Domus Tiberiana e alla Domus Flavia.Sconfitto nel 1870 nella battaglia di Sedan ed esilitato in Inghilterrà, Napoleone III il 2 settembre dello stesso anno vendette gli Horti allo Stato italiano per 650.000 lire; artefici dell'operazione, che mirava a creare un grande parco archeologico che illustrasse il Regno, furono il Rosa e Quintino Sella, l'illustre politico italiano.Gli scavi archeologici intensivi della zona, iniziati nel XVIII secolo, culminarono alla fine del XIX secolo, dopo la proclamazione di Roma capitale del Regno d'Italia. Le scoperte sono continuate per tutto il XX secolo, come la Casa di Augusto e XXI, come il recentissimo rinvenimento di un ambiente sotterraneo, forse il Lupercale. Resta completamente da scavare il palazzo di Tiberio, sotto i giardini farnesiani.\nAlla sommità del colle, tra la Domus Flavia e la Domus Augustana, fin dal Cinquecento si era installata una villa Stati Mattei, acquistata poi, attorno al 1830, dallo scozzese Charles Mills che ne aveva fatto un incredibile villino neogotico; a fine Ottocento sulla villa fu costruito un convento, che fu però demolito a partire dal 1928, per far luogo agli scavi. Nella parte superstite della costruzione è stato allocato l'Antiquarium del Palatino, che espone materiali relativi al Palatino dalle origini all'età repubblicana (piano terreno) e al Palatino in età imperiale (primo piano).\n\nEdifici antichi.\nCapanne del Palatino.\nLupercale.\nScalae Caci.\nTempio di Apollo Palatino.\nTempio di Cibele o Tempio della Magna Mater.\nElagabalium.\nTempio di Giunone Sospita.\nTempio di Vesta.\nTempio della Vittoria.\nCasa di Livia.\nCasa di Augusto.\nCasa dei Grifi.\nAula Isiaca.\nDomus Tiberiana.\nPalazzo di Domiziano.\nDomus Flavia.\nAula Regia.\nDomus Augustana.\nStadio palatino.\nDomus Severiana.\nSettizonio.\n\nVisitatori.\nNel 2016 il circuito archeologico del Colosseo, Foro Romano e Palatino ha ottenuto 6 408 852 visitatori, risultando il secondo sito museale statale italiano più visitato, alle spalle del Pantheon. Qui di seguito è riportato un andamento complessivo del 'Circuito archeologico Colosseo, Foro romano e Palatino' degli ultimi quindici anni, sulla base dei dati dell'ufficio statistico dei beni culturali italiani:." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Palemone (argonauta).\n### Descrizione: Palemone è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti di Giasone.\nProveniente dall'Etolia, era, a seconda delle versioni, figlio del dio Efesto, figlio di Etolo, o ancora figlio di Lerno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Palemone (divinità).\n### Descrizione: Palemone era una divinità minore della mitologia greca, protettore dei porti.\nÈ da identificare con Melicerte, figlio di Atamante e di Ino, divinizzato da Poseidone sotto il nome di dio Palemone. In quanto dio dei porti, i Romani lo assimilarono a Portuno.\n\nGenealogia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Palestino (mitologia).\n### Descrizione: Palestino (in greco antico: Παλαιστῖνος) nella mitologia greca era figlio di Poseidone e padre di Aliacmone. Dal dolore per la morte di suo figlio, Palestino si buttò nel fiume, che da lui prese il nome: Palestino, chiamato successivamente Strimone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Palioxis.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Palioxis (In greco: Παλίωξις) era il simbolo della ritirata in battaglia (al contrario di Proioxis). Viene citata insieme ad altre personificazioni che hanno a che fare con la guerra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pallade (figlia di Tritone).\n### Descrizione: Pallade (in greco antico: Παλλας?, Pallas) è un personaggio della mitologia greca. È una ninfa del Lago Tritonide in Libia.\n\nGenealogia.\nFiglia di Tritone o di Poseidone e Tritonide.\nNon risulta sia stata sposa o madre.\n\nMitologia.\nTritone allevò sia lei che Atena ed entrambe le ragazze coltivarono la vita militare, che una volta le portò ad una disputa controversa. Così mentre Pallade stava per colpire Atena, Zeus lanciò freneticamente l'egida e Pallade alzò lo sguardo per proteggersi ma dimenticò di proteggersi anche da Atena che la colpì mortalmente. Estremamente rattristata dal fatto, Atena modellò un'immagine di Pallade di legno e attorno al petto legò l'egida che l'aveva spaventata. Poi posò la statua accanto a Zeus e la onorò. Più tardi Elettra, dopo la sua seduzione da parte di Zeus cercò rifugio in questa statua e Zeus gettò sia lei che il palladio nella terra di Ilio, che costruì un tempio per questa statua e la onorò. Questa è la leggenda del Palladium.\nPlatone identificò Atena patrona di Atene con la dea libica Neith ed Erodoto scrive che le sacerdotesse vergini di questa, annualmente si impegnavano in un combattimento per disputarsi il titolo di 'Gran Sacerdotessa' della Dea. Tritonide potrebbe così significare 'terza regina', cioè il membro più anziano della Triade sacra: Kore, Persefone, Demetra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pallade Atena (Rembrandt).\n### Descrizione: Pallade Atena è un dipinto an olio su tela (118x91 cm) realizzato nel 1657 circa dal pittore Rembrandt Harmenszoon Van Rijn.\nÈ conservato nel Museu Calouste Gulbenkian di Lisbona.\n\nAttribuzione.\nIl soggetto della rappresentazione è la dea Atena della mitologia greca. Tuttavia, come ogni grande e famosa opera d'arte, le sono già state attribuite le più diverse teorie: dalla dea romana Minerva all'imperatore del mondo Alessandro Magno.\nSi sa che è appartenuto allo zar russo Caterina II, prima di giungere nelle mani del magnate armeno Calouste Gulbenkian nel XX secolo, entrando a far parte della sua personale collezione d'arte, oggi esposta nel museo che porta il suo nome, che conserva tuttora opere di altri grandi nomi come Rubens, Monet, Renoir, Manet, Turner e Rodin.\nLa prova della raffigurazione di Atena include lei che indossa un elmo decorato con una corona e tiene uno scudo alla volta del pesce Medusa. L'incisione di Pallade Atena nel corteo nuziale di Henriette Katarina van Nassau e Johann Georg II, principe di Anhalt-Dessau nel 1659 è simile per posa e costumi a quest'opera. La dea è stata interpretata dal figlio di Rembrandt, il che ha portato all'ipotesi che Rembrandt abbia basato un dipinto sull'aspetto di Titus quando è apparsa alla parata. Titus può essere posizionato come modello.\nUn'ipotesi recente è che un dipinto possa rappresentare una Venere innamorata del Louvre (1660), Giunone (inizio 1660) e questa Atena, alcuni dicono fosse una trilogia. Le tre opere furono probabilmente commissionate a Rembrandt dal mercante d'arte Herman Becker (c. 1617–1678).\nPer la similitudine con l'Alessandro Magno di Glasgow, datato 1655, si stima che l'esecuzione sia stata contemporanea." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Palladio (mitologia).\n### Descrizione: Il Palladio (in greco antico: Παλλάδιον?, Palládion) è un simulacro ligneo che, secondo le credenze dell'antichità, aveva il potere di difendere un'intera città.\nIl più famoso era custodito nella città di Troia, a cui garantiva l'immunità: la città fu distrutta infatti solo dopo che Ulisse e Diomede riuscirono a rubarlo. Un'altra versione del mito dice che il Palladio era custodito nell'antica città di Roma, dove giunse portato da Enea.\n\nIl primo Palladio.\nEra una statua di legno (più precisamente uno xoanon), alta tre cubiti, che ritraeva Pallade Atena, reggente una lancia nella mano destra e una rocca e un fuso nella sinistra; il suo petto era coperto dall'egida.\nSecondo il mito, Atena, uccidendo per sbaglio la compagna di giochi Pallade, come segno di lutto assunse ella stessa il nome di Pallade e fece costruire questa immagine, ponendola sull'Olimpo a fianco del trono di Zeus.\n\nIl Palladio a Troia.\nElettra, la nonna di Ilo (il fondatore di Troia), venne violentata da Zeus e sporcò del suo sangue verginale il simulacro della vergine Pallade ed Atena, infuriatasi, scaraventò Elettra e il Palladio sulla Terra.\n\nIlo aveva chiesto un segno a Zeus, mentre marcava i confini della città e lo ottenne. Apollo Sminteo consigliò a Ilo: Alcuni dicono che fu Elettra stessa a donare il Palladio a Dardano.\nNell'occorrenza di un incendio, Ilo si tuffò tra le fiamme per recuperare il Palladio ma Atena, infuriata che un mortale si avvicinasse incauto al suo simulacro, accecò Ilo. Questi, tuttavia, riuscì a placare la dea ed a riottenere la vista.\nSecondo la leggenda, durante la guerra di Troia, gli achei seppero da Eleno, figlio di Priamo, che la città non sarebbe stata conquistata fin tanto che il Palladio si trovasse in città. Ulisse e Diomede si travestirono allora da mendicanti ed entrarono nella città, presero l'immagine della dea e, scavalcando le mura, la portarono nel loro accampamento: questa avventura viene menzionata come una delle cause della sconfitta troiana.\n\nIl Palladio ad Atene.\nPallade Atena era anche patrona della città di Atene. Gli ateniesi raccontavano che Pallante, un eroe che volle ambire al trono di Atene, ebbe una figlia, Crise, che sposò Dardano, considerato il capostipite dei troiani. Ma era solo una propaganda politica: in tal modo si faceva di Troia e dello stretto dei Dardanelli proprietà achea.\nSi racconta inoltre che Crise portò con sé, nel viaggio dalla Grecia a Troia, i suoi idoli e numi tutelari, tra i quali il Palladio. Ma i miti principali non fanno di Crise la sposa di Dardano. Questo comunque descrive come le due città avessero un culto comune: ad Atene i figli di Pallante eran detti Pallantidi ed erano cinquanta, così come cinquanta erano i figli di Priamo. Ciò potrebbe significare che in entrambe le città esistevano dei collegi di cinquanta sacerdoti che officiavano il culto alla dea Atena.\nIl Palladio rubato da Diomede venne dato a Demofonte e infine a Buzige, l'eroe ateniese che per primo soggiogò i buoi all'aratro, affinché lo portasse ad Atene.\n\nIl Palladio di Roma.\nVirgilio attribuisce il furto del Palladio a Diomede e Ulisse.Secondo la tradizione di Arctino di Mileto, citato da Dionigi di Alicarnasso, invece, Ulisse e Diomede non rubarono il vero Palladio poiché Enea portò con sé la statua in Italia, che venne più tardi trasferita nel tempio di Vesta nel foro romano.La tradizione latina voleva invece che Diomede riconsegnasse il simulacro a Enea, in Calabria (Apulia) o in agro Laurenti.\nSu alcune monete dell'epoca di Cesare, Enea viene rappresentato con il padre Anchise sulle spalle e il Palladio nella mano destra.\nDurante il regno dell'imperatore Eliogabalo (218-222), che era il gran sacerdote della divinità solare siriana El-Gabal, il Palladio venne portato coi più importanti oggetti sacri della Religione romana nel tempio di questa divinità a Roma, l'Elagabalium, in modo che solo questo dio venisse adorato.Durante il tardo impero una tradizione bizantina affermava che il Palladio venne trasferito da Roma a Costantinopoli da Costantino I e seppellito sotto la Colonna di Costantino.Altri sostengono che il Palladio fosse invece distrutto dalle ultime Vestali nel 394 per evitarne la profanazione.\n\nPalladio nelle altre città.\nSecondo alcune versioni della leggenda, esistevano due Palladio, uno troiano e uno ateniese, ricavato dalle ossa di Pelope. Altri dicono vi fossero tanti palladi: una volta capite le potenzialità del talismano, è molto probabile che questo oggetto (o questi oggetti) venisse rubato e mutilato.\nOppure erano dei palta, ossia 'cosa caduta dal cielo'. Infatti i palta dovevano essere sempre esposti alla volta celeste: così la sacra pietra di termine a Roma stava sotto un'apertura del tetto nel tempio di Giove, e un'identica apertura era stata praticata nel tempio di Zeus a Troia.\nComunque, per estensione con il termine Palladio si iniziò a indicare statue o altri oggetti o edifici, la cui presenza faceva da 'talismano' nella protezione della città.\nUno dei palladi più famosi, oltre quello romano, era quello di Napoli, che nel medioevo si credeva costruito da Virgilio-mago e nascosto sottoterra. Esso era una riproduzione in miniatura della città contenuta in una bottiglia vitrea dal collo finissimo, che la protesse da sciagure e invasioni, finché non fu trovato e distrutto da Corrado di Querfurt, cancelliere dell'imperatore Arrigo VI e mandato a conquistare il Regno di Sicilia.\nUn altro 'palladio' conosciuto è la Statua di Marte di Firenze, presunta vestigia della Florentia romana citata da Dante Alighieri, che venne travolta da un'inondazione dell'Arno nel 1333; da alcuni ciò fu interpretato come un oscuro presagio della peste nera (1348).\n\nNella Divina Commedia.\nIl palladio di Troia è citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia nel XXVI canto dell'Inferno a proposito di Diomede, che sconta la sua pena insieme ad Ulisse nell'ottava bolgia in cui sono puniti i consiglieri fraudolenti; sempre nella Commedia la seconda zona del Cocito si chiama Antenora, dal nome di colui che in una leggenda avrebbe permesso ai due greci di rubare il palladio, e in essa sono puniti i traditori della patria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pallante (eroe).\n### Descrizione: Pallante (in greco antico: Πάλλας?, Pállas) o Pallade è un personaggio della mitologia greca. Fu l'eponimo di Pallene, nell'Arcadia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Pandione II e di Pylia figlia del re di Megara Phylas.\nFu padre dei Pallantidi.\n\nMitologia.\nNato a Megara, dove suo padre si recò in esilio dopo che i figli di Metione presero il trono di Atene, alla morte del proprio padre e con i suoi tre fratelli (Egeo, Niso e Lico), scacciò i figli di Metione e riprese il controllo dell'Attica.\nNella successiva suddivisione del regno tra i quattro fratelli, ad Egeo spettò il trono di Atene ed a Pallante spettò Paralia (o Diacria, oppure condivise il potere su diversi Demo dell'Attica meridionale con il fratello Egeo).\nPiù tardi e dopo la morte di Egeo, tentò di prendere il trono dall'erede legittimo (suo nipote Teseo, figlio del defunto Egeo) ma fallì e dallo stesso Teseo fu ucciso così come furono uccisi tutti i suoi cinquanta figli.\n\nConfusioni ed altre versioni.\nVi è una certa confusione tra questo Pallante e gli altri suoi omonimi e spesso questo problema già affliggeva gli stessi autori greci.\nMa a questo va aggiunto che oltre ai 'Pallante' (dal greco 'Παλλας' = Pállas, che diventa il latino 'Pallas' e quindi l'italiano 'Pallante'), vanno considerati anche i 'Pallade' che altro non sono che una diversa trascrizione dell'originale 'Παλλας'.\nE non è finita, perché alcuni miti sono stati ripresi da autori latini e questo ha generato delle errate associazioni del nome di ogni personaggio e della sua genealogia e così sono a noi pervenute delle versioni dello stesso personaggio che ne deviano il destino, la genealogia e la collocazione geografica e temporale:.\nServio Mario Onorato scrive che Pallante non fosse fratello di Egeo bensì il figlio (quindi fratello di Teseo) e che da lui fu cacciato dall'Attica. Così si recò in Arcadia, dove divenne re e fondò una dinastia alla quale appartenevano Evandro ed un altro Pallante." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pallantidi.\n### Descrizione: I Pallantidi (in greco antico: Παλλαντίδαι?, Pallantídai) sono dei personaggi della mitologia greca e furono i cinquanta figli di Pallante.\n\nGenealogia.\nFigli di Pallante, di tutti loro sono noti solo due nomi, Clito e Bute.\nNon ci sono notizie su spose o progenie.\n\nMitologia.\nNobili dell'Attica, furono rivali del loro zio Egeo e di suo figlio Teseo per trono di Atene.\nAmici di Androgeo (figlio di Minosse), che conobbero durante i Giochi panatenaici, suscitarono i timori di Egeo che potessero utilizzare questa amicizia per poterlo sostituire nella guida del suo regno, così Egeo fece assassinare Androgeo.\nPersa questa possibilità, si divisero in due gruppi e marciarono contro Egeo per prendere il trono di Atene. Metà di loro e con Pallante alla guida, sfilò apertamente passando per Sfetto mentre l'altro gruppo preparò un'imboscata vicino a Gargetto ma il piano fallì poiché il loro araldo (Leos, che viveva ad Agnunte), avvertì Teseo di ciò che avevano preparato per sconfiggerlo e così, il gruppo appostato a Gargetto fu assalito e sconfitto da Teseo, mentre il gruppo capitanato da Pallante si ritirò.\nDa allora i cittadini di Pallene non permisero più che gli araldi dessero inizio ad un proclama con le parole Akouete leoi (ascoltate cittadini), per via dell'assonanza tra leoi e 'Leos' ed inoltre tra gli abitanti delle due Demo venne posto il divieto di matrimonio come simbolo dell'inimicizia tra queste due città.\nAltre versioni del mito dicono che Teseo uccise tutti i Pallantidi compreso il padre.\nI due Pallantidi che hanno un nome (Bute e Clito) furono compagni di viaggio di Cefalo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pan (astronomia).\n### Descrizione: Pan è il satellite naturale più interno del pianeta Saturno; scoperto nel 1990 da Mark Showalter grazie all'analisi di immagini scattate nel precedente decennio nel corso del programma Voyager, deve il suo nome alla divinità Pan, presente nella mitologia greca. Il satellite era precedentemente noto con la designazione provvisoria S/1981 S 13.\n\nStoria.\nL'esistenza di un satellite all'interno della divisione di Encke era stata suggerita per la prima volta da Jeffrey Cuzzi e Jeffrey Scargle nel 1985, osservando la presenza di strutture dall'aspetto ondulatorio nell'anello A del pianeta chiaramente riconducibili alla presenza di un corpo perturbante; la sua orbita e la sua massa sono state calcolate in seguito da Showalter e da altri colleghi astronomi. I dati teorici indicavano un semiasse maggiore pari a 133603±10 km ed una massa pari a 5×10−12 volte quella di Saturno. Pan presenta effettivamente un semiasse maggiore pari a 133583 km ed una massa equivalente a 4,7×10−12 volte quella di Saturno.\nPan fu individuato entro un margine di 1° dalla posizione prevista, grazie all'analisi di tutte le immagini catturate in precedenza dalla Voyager 2 e all'utilizzo di simulazioni al computer per verificare se in ciascuna di esse sarebbe stato effettivamente possibile individuare la presenza di un satellite naturale. Pan è risultato chiaramente visibile in tutte le immagini dalla risoluzione superiore a ~50 km/pixel, ed appare complessivamente in undici fotografie.\n\nParametri orbitali.\nPan orbita all'interno della divisione di Encke, nell'anello A di Saturno; funge da satellite pastore per l'anello, e la sua presenza mantiene la divisione libera dalle particelle ghiacciate che compongono gli anelli. La sua attrazione gravitazionale forma inoltre strutture dall'aspetto ondulatorio all'interno dell'anello." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pan.\n### Descrizione: Il dio Pan (in greco antico: Πάν?, Pán) era, nelle religioni dell'antica Grecia, una divinità non olimpica dall'aspetto di un satiro, legata alle selve, alla pastorizia e alla natura. Era solitamente riconosciuto come figlio del dio Ermes e della ninfa Penelope.\nNella religione romana esiste una divinità che ha molte similitudini con la raffigurazione di Pan, è il dio Silvano. Anche i fauni venivano identificati con Pan o con i satiri.\n\nEtimologia ed elementi del culto.\nIl nome Πάν deriva dal greco paein, cioè 'pascolare', e infatti Pan era il dio pastore, il dio della campagna, delle selve e dei pascoli. Il nome è però simile a πᾶν, che significa 'tutto'. La figura mitologica ricalca l'eroe solare vedico Pushan, il cui nome, dal verbo sanscrito pūṣyati, significherebbe 'colui che fa prosperare'. Inoltre è assimilato a Phanes (Φάνης, da φαίνω phainō, 'che porta la luce'), altro nome di Protogonos (Πρωτογόνος, 'primo nato'). In alcuni miti infatti è descritto come il più antico degli Olimpi, se è vero che aveva bevuto con Zeus il latte da Amaltea, allevato i cani di Artemide e insegnato l'arte divinatoria ad Apollo. Venne inoltre notoriamente associato a Fauno, versione maschile (poi figlio, fratello o marito, a seconda del mito) di Fauna, e come tale era lo spirito di tutte le creature naturali, più tardi legato anche alla foresta, all'abisso, al profondo.\nDal suo nome deriva il sostantivo panico, originariamente timor panico o terror panico, poiché il dio si adirava con chi lo disturbasse emettendo urla terrificanti, provocando così una incontrollata paura. Pausania scrive che i Galli, saccheggiando la Grecia, videro nel tempio di Delfi la statua del dio Pan e ne furono così tanto spaventati che fuggirono; alcuni racconti ci dicono che lo stesso Pan venne visto fuggire per la paura da lui stesso provocata. Ma il mito più famoso legato a questa caratteristica è la titanomachia, durante la quale Pan salva gli Olimpi emettendo un urlo e facendo fuggire Delfine.\nDio dalle forti connotazioni sessuali - anche Pan infatti come Dioniso e Priapo era generalmente rappresentato con un grande fallo - recentemente Pan è stato indicato come il dio della masturbazione, da James Hillman, noto psicologo americano, che sostiene essere Pan l'inventore della sessualità non procreativa.\nInfatti Pan, trovando difficoltà di accoppiamento a causa del suo aspetto, era solito esercitare la sua forza generatrice mediante la masturbazione, oltre che con la violenza sessuale. Era un dio potente e selvaggio, raffigurato con gambe e corna caprine, zampe irsute e zoccoli ungulati, mentre il busto è umano, il volto barbuto e dall'espressione terribile. Vaga per i boschi, spesso per inseguire le ninfe, mentre suona e danza. È molto agile, rapido nella corsa, imbattibile nel salto.\nÈ principalmente indicato come dio Signore dei campi e delle selve nell'ora meridiana, protegge le greggi e gli armenti, gli sono sacre le cime dei monti. Tradizionalmente, indossa una nebris, una pelle di cerbiatto.\nCome dio legato alla terra e alla fertilità dei campi è legato alla Luna e alle forze della grande Madre. Fra i miti che lo accompagnano uno che lo vede seduttore di Selene, cui si presentò nascondendo il pelo caprino sotto un vello bianco. La Dea non lo riconobbe e acconsentì all'unione.\nPan è un dio generoso e bonario, sempre pronto ad aiutare quanti chiedono il suo aiuto.\nQuesto dio pagano sarebbe stato ripreso in seguito dalla Chiesa Cristiana per utilizzare la sua immagine come iconografica di Satana.\nNarra una leggenda che nell'età dell'Oro Pan giunse nel Lazio, dove venne ospitato dal dio Saturno.\nIn Grecia la presenza del dio viene collocata in Arcadia.\n\nGenealogia.\nLa genealogia di Pan è controversa. La più comune è probabilmente quella di Erodoto, in cui vengono indicati quali genitori il dio Ermes e la ninfa Penelope.\n\nNell'Inno omerico A Pan, la madre di Pan non viene nominata, ma viene definita semplicemente 'figlia di Driope', nome che significa 'uomo-quercia'. Il mito vuole che la ninfa sia fuggita terrorizzata dall'aspetto deforme del figlio, mentre Ermes lo raccolse e, avvoltolo amorevolmente in una pelle di lepre, lo portò sull'Olimpo, dove fu accolto con gioia da tutti gli dei, e in particolare da Dioniso.\nAltri autori apparentemente confondono la ninfa Penelope con la più nota Penelope, moglie di Ulisse, e attribuiscono a lei la maternità di Pan. Altri mitografi come Duride di Samo e Servio affermano che Penelope ebbe Pan dai suoi pretendenti, i Proci, con cui avrebbe avuto rapporti in attesa del marito Ulisse.\nUn'altra versione, sostenuta da Igino, afferma che Zeus, dopo essersi unito ad una capra di nome Beroe, ebbe per figlio il dio Egipan, ovvero la forma caprina di Pan.\n\nMitologia.\nPan e Eco.\nUn suo mito narra del suo amore per la ninfa Eco dal quale nacquero due figlie, Iambe e Iunce.\nPan non viveva sull'Olimpo: era un dio terrestre amante delle selve, dei prati e delle montagne. Preferiva vagare per i monti d'Arcadia, dove pascolava le greggi e allevava le api. Pan era un dio perennemente allegro, venerato ma anche temuto. Legato in modo viscerale alla natura e ai piaceri della carne, Pan è l'unico dio con un mito sulla sua morte. Plutarco, nel suo De defectu oraculorum, racconta infatti che, durante il regno dell'imperatore romano Tiberio (14–37), la notizia della morte di Pan venne rivelata a tale Tamo (Thamus), un mercante fenicio che sulla sua nave diretta in Italia sentì gridare, dalle rive di Paxos: 'Tamo, quando arrivi a Palodes annuncia a tutti che il grande dio Pan è morto!'. Gli studiosi si dividono tra il significato storico e quello allegorico. Secondo Robert Graves per esempio, il grido non fu Thamous, Pan ho megas tethneke, 'Tamo, il grande dio Pan è morto', ma Tammuz Panmegas tethneke, 'L'onnipresente Tammuz è morto', cioè il dio babilonese della natura. Graves nella nota 5 riporta anche che Plutarco (de defectu oraculorum 17) credette a questa storia e la riportò, invece Pausania nel suo Viaggio in Grecia circa un secolo dopo citando Plutarco testimonia che i santuari dedicati a Pan erano ancora molto frequentati.\nGli autori cristiani riportando tale episodio lo misero in relazione alla fine di un'oscura era politeista, della quale aver 'timor panico' (non a caso le sembianze e gli attributi del diavolo, piede caprino, coda e corna sono gli stessi di Pan), e all'inizio di un nuovo mondo sotto la luce di Cristo, morto appunto sotto l'impero di Tiberio (così Eusebio di Cesarea nel suo Praeparatio Evangelica).\n\nPan nella Titanomachia: le origini del Capricorno.\nPan partecipò alla Titanomachia, avendo un ruolo fondamentale doveva scappare più veloce di tutti nella vittoria di Zeus su Tifone.\nTifone era un mostro che era nato da Gea e Tartaro, che volle vendicarsi della morte dei figli, i Giganti.\nQuando tentò di conquistare il monte Olimpo, gli Dei fuggirono terrorizzati da questo mostro. Si recarono in Egitto, dove assunsero forme di animali per nascondersi meglio:.\n\nZeus si fece ariete,.\nAfrodite si fece pesce,.\nApollo si fece corvo,.\nDioniso si fece capra,.\nEra si fece vacca bianca,.\nArtemide si fece gatto,.\nAres si fece cinghiale,.\nErmes si fece ibis,.\nPan trasformò solo la sua parte inferiore in un pesce e si nascose in un fiume.Solo Atena non si nascose e, denigrando gli altri dei, convinse il padre Zeus a scendere in battaglia contro il mostro. Nonostante il dio fosse armato, il mostro riuscì ad avere la meglio su di lui, e lo rinchiuse nella grotta dove Gea lo aveva generato. Con le sue Spire Tifone gli aveva reciso i tendini di mani e piedi, che aveva poi affidato a sua sorella Delfine, il cui corpo terminava con la coda di un serpente.\nIl dio Pan spaventò questa creatura con un tremendo urlo, ed Ermes le sottrasse i tendini di Zeus.\nZeus, recuperate le forze e i tendini, si lanciò su un carro trainato da cavalli alati contro Tifone, bersagliandolo di fulmini.\nZeus riuscì a uccidere il mostro e lo seppellì sotto il monte Etna, che da allora emette il fuoco causato da tutti i fulmini usati in battaglia, così come racconta lo Pseudo-Apollodoro.\nPer ringraziare Pan, Zeus fece in modo che il suo aspetto fosse visibile in cielo: creò così il Capricorno.\n\nPan e le Ninfe.\nPan è un dio con una forte connotazione sessuale, amava sia donne che uomini, e se non riusciva a possedere l'oggetto della sua passione si abbandonava all'onanismo.\nMoltissimi racconti mitologici ci parlano di questo dio e del suo rapporto con le Ninfe che cercava di possedere. Tanto che queste si salvavano solo trasformandosi, anche se spesso non disdegnavano le attenzioni del dio.\n\nEco generò con lui Iunge e Iambe, per poi innamorarsi di Narciso e struggersi per lui fino a diventare solo una voce.\nEufeme, nutrice delle muse, ebbe Croto, inventore degli applausi.Il mito ci riporta il nome di altre di queste Ninfe: Pitis, Selene. La più importante resta forse Siringa.\n\nPan e la ninfa Siringa.\nUno dei miti più famosi di Pan riguarda le origini del suo caratteristico strumento musicale. Siringa era una bellissima ninfa dell'acqua di Arcadia, figlia del dio dei fiumi Ladone. Un giorno, di ritorno dalla caccia, incontrò Pan. Per sfuggire ai suoi disturbi, la ninfa scappò senza ascoltare i complimenti del dio. Corse attraverso il bosco fino a trovare un canneto e pregando si trasformò in una canna. Quando il vento soffiò attraverso le canne, si udì una melodia lamentosa. Il dio, ancora infatuato, non riuscendo a identificare in quale canna si era trasformata Siringa, ne prese alcune e ne tagliò sette pezzi di lunghezza decrescente (alcune versioni sostengono nove) e li unì uno di fianco all'altro. Creò così lo strumento musicale che portò il nome della sua amata Siringa. Da allora Pan fu visto raramente senza di esso; lo strumento è anche noto come flauto di Pan.\n\nPan nella letteratura.\nGabriele D'Annunzio, nell’Alcyone, traccia uno stretto parallelismo tra il dio Pan e sé stesso, individuando nel dio la simbiosi perfetta tra uomo e natura, denominata perciò «panismo».\nLa figura di Pan ha avuto anche un notevole successo in campo letterario, innumerevoli sono le opere che parlano di questo dio.\nNel libro Saggio su Pan di James Hillman, l'autore traccia una netta contrapposizione tra la figura di Pan e quella di Cristo.\nPan compare anche nella saga di Percy Jackson.\n\nDio Pan nella cultura di massa.\nNel Medioevo Pan e i suoi aspetti vennero demonizzati dal Cristianesimo, tanto che nei secoli successivi il diavolo nella cultura occidentale assunse progressivamente i tratti iconografici di questa antica divinità: corna, zampe caprine, barba a punta.\nCome spiega il professor Ronald Hutton nel suo fondamentale studio sulla Wicca, a partire dall'epoca romantica, soprattutto in Inghilterra, la figura di Pan venne però enormemente rivalutata. In un mondo avviato verso l'industrializzazione e la distruzione progressiva dell'ambiente naturale, come reazione vi fu una ricerca della purezza delle origini e così il Pan romantico divenne quasi il dio della natura per antonomasia.\nIl successivo passaggio di rivalutazione viene spiegato da Hutton con i lavori dell'antropologa Margaret Murray. Il dio divenne il fulcro degli studi dell'autrice, in particolare di una sua tesi molto controversa:Pan sarebbe stato al centro di un culto pagano, sopravvissuto all'avvento del Cristianesimo, un culto poi catalogato e perseguitato dall'inquisizione come stregonesco. In seguito a queste premesse, la figura di Pan venne quindi sincretizzata con quella di altre divinità cornute come Dioniso e Cernunnos, divenendo la divinità principale dell'odierna religione Wicca." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Panacea.\n### Descrizione: Panacea (in greco antico: Πανάκεια?, Panákeia) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Asclepio e di Epione (o Lampezia), è la dea e personificazione della 'guarigione universale e onnipotente', ottenuta per mezzo delle piante.\n\nMitologia.\nSi diceva che Panacea avesse una pozione con cui poteva curare tutti i malati, ed è da ciò che in medicina arriva il concetto di panacea universale intesa come una sostanza in grado di curare tutte le malattie.\nLa parola viene anche usata in senso figurato per indicare un presunto rimedio universale, capace di risolvere qualsiasi problema." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pandaro e Bizia.\n### Descrizione: Pandaro e Bizia sono due personaggi dell'Eneide di Virgilio, menzionati nel nono libro.\n\nIl mito.\nLe origini.\nPandaro e Bizia erano due semidei figli di Alcanore e della ninfa oreade Iera, giovani troiani dalla statura gigantesca, che alla caduta della loro città seguirono Enea nel Lazio.\n\nLa morte.\nScoppiato il conflitto contro i Rutuli di Turno, i due fratelli si distinguono nella difesa della cittadella troiana, ma vengono uccisi proprio da Turno. Bizia muore trafitto da una falarica, mentre Pandaro perisce in seguito a un violentissimo colpo di spada calatogli sul cranio nel corso di un intenso duello.\nDopo aver ucciso Pandaro, Turno irrompe nel campo troiano, facendo quindi strage dei fuggitivi per poi decapitare Linceo, l'unico che tenta di affrontarlo.\n\nOmonimie.\nPandaro e Bizia sono talora confusi, rispettivamente, col principe di Zelea nell'Iliade e con un notabile cartaginese citato nel primo libro del poema virgiliano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pandaro.\n### Descrizione: Pandaro (in greco antico: Πάνδαρος?; in latino Pandarus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Licaone e di Licia.\n\nIl mito.\nLe origini.\nPrincipe di Zelea, ai piedi del monte Ida, era un abile arciere, premiato dal dio Apollo con il dono di un bellissimo arco, derivato dalle corna di uno stambecco, ornato da borchie d'oro.\n\nLa morte.\nIl IV e V canto dell'Iliade tracciano di questo personaggio un ritratto non molto edificante.\nDopo il duello tra Menelao e Paride, venne stabilita la pace fra i due schieramenti. Pandaro però, sotto inganno di Atena, violò i patti colpendo con una freccia al fianco Menelao. Durante la battaglia che ne seguì ferì Diomede a una spalla. L'eroe acheo pregò allora la dea Atena, sua protettrice, di potersi vendicare uccidendo il suo feritore. Assistito da Enea, che gli prestò il suo carro, Pandaro funse per lui da auriga. Pandaro ed Enea mossero insieme contro Diomede. Pandaro, scoraggiato dal fatto di non avere ucciso il re di Argo col suo arco, scagliò invano il suo giavellotto contro il figlio di Tideo: questi invece riuscì a colpire il nemico in pieno volto, uccidendolo. Dopo la sua morte vi fu un combattimento presso il suo cadavere, combattimento nel quale Enea venne quasi ucciso da Diomede, ma fu salvato dalla madre Afrodite e da Apollo.\n\nPandaro nella cultura moderna.\nPandaro è uno dei personaggi nella tragedia shakesperiana Troilo e Cressida: vi appare come zio della protagonista.\n\nCuriosità.\nA Pandaro è intitolato l'asteroide troiano 2674 Pandarus.\n\nOmonimi.\nNon va confuso con un guerriero troiano menzionato nell'Eneide, che muore in guerra per mano di Turno.\n\nVoci correlate.\nPandaro e Bizia.\n\nCollegamenti esterni.\n\nPàndaro, su sapere.it, De Agostini.\n(EN) Pandarus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pandia.\n### Descrizione: Pandia (in greco antico: Πανδία?, Pandía) o Pandeia (in greco antico: Πανδεία?, Pandeía) è un personaggio della mitologia greca. È la personificazione del plenilunio.\n\nGenealogia.\nFiglia di Zeus e Selene, e secondo la maggior parte delle versioni, sorella di Ersa.\nUna tradizione ateniese fa di Pandia la sposa di Antioco, figlio di Eracle e eroe eponimo della tribù ateniese Antiochide.\n\nCulto.\nVeniva celebrata con il padre Zeus in una festa ateniese nel mese di Elafebolione." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pandione II.\n### Descrizione: Pandione (in greco antico: Πανδίων?, Pandìōn) è un personaggio della mitologia greca. Fu l'ottavo re mitologico di Atene.\n\nGenealogia.\nFiglio di Cecrope II e di Metiadusa, sposò Pilia, figlia del re di Megara Pila, e fu padre di quattro figli Lico, Egeo (il futuro padre di Teseo), Niso e Pallante.\n\nMitologia.\nSuccesse a suo padre ma fu esiliato da Atene dai figli di suo zio Metione (che prese il suo posto sul trono) e dovette fuggire a Megara dove sposò Pilia, figlia del re Pila e gli succedette quando questi andò in esilio in Messenia.\nDopo la sua morte, a Megara fu succeduto da Niso mentre gli altri figli tornarono ad Atene e cacciarono i figli di Metione ed il figlio Egeo divenne il nono re di Atene.\nLa tomba di Pandione fu eretta nel territorio di Megara, vicino alla roccia di Atena Aἴθυια, sulla costa vicino al mare. Una sua statua faceva parte dell'Acropoli come le altre degli eroi eponimici.\nAlcuni studiosi ritengono che Pandione II più di altri re mitologici fu una figura inventata allo scopo di colmare un'importante lacuna cronologica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pandora (figlia di Deucalione).\n### Descrizione: Pandora (in greco antico: Πανδώρα?, Pandốra) è un personaggio della mitologia greca. Fu la nipote della più nota Pandora della leggenda del Vaso di Pandora.\n\nGenealogia.\nFiglia di Deucalione e Pirra e sorella di Tia, Elleno, Protogenia e Anfizione.Diede a Zeus i figli Greco, Latino, Melera e Pandoro.\n\nMitologia.\nGreco e Latino erano fratelli, (figli di Zeus e Pandora), e da loro derivano i nomi di Greci e Latini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pandora.\n### Descrizione: Pandora (dal greco antico Πανδώρα?, Pandṓra, a sua volta da πᾶv, pân, 'tutto' e δῶρον, dôron, 'dono', ovvero «tutti i doni») è un personaggio della mitologia greca.\nIl suo mito è legato a quello del celebre quanto nefasto vaso (spesso rappresentato anche come scrigno o forziere) che le fu affidato da Zeus con la raccomandazione di non aprirlo mai, poiché la sua apertura avrebbe liberato tra gli uomini tutti i mali in esso racchiusi; ma Pandora lo aprì.\n\nGenealogia.\nCreata da Efesto su ordine di Zeus, sposò Epimeteo e divenne madre di Pirra.\n\nIl mito di Pandora.\nIl poema di Esiodo Le opere e i giorni narra che Zeus si infuriò contro Prometeo per il furto del fuoco. Il Titano aveva forgiato il primo uomo impastandolo con la terra e la pioggia, gli aveva infuso astuzia e timidezza, forza, fierezza e ambizione e l'aveva poi animato col fuoco divino. Ma il fuoco divino sarebbe dovuto restare privilegio degli dei e non essere offerto a creature terrene. Per questo Zeus era in collera. Riservò a Prometeo un castigo atroce: incatenato sul Caucaso, avrebbe visto un'aquila divorargli il fegato, che sarebbe ricresciuto ogni notte per perpetuare il dolore; agli uomini inviò un dono infido e alla donna fu affidato il compito di portare con sé, nel mondo, infinite sofferenze. Ordinò ad Efesto di forgiare la fanciulla, Pandora. A lei ogni dio offrì un dono divino: bellezza, virtù, abilità, grazia, astuzia, ingegno.\nErmes, che aveva dotato la giovane di astuzia e curiosità, venne incaricato di condurre Pandora dal fratello di Prometeo (che nel frattempo era stato liberato da Eracle), Epimeteo. Questi, nonostante l'avvertimento del fratello di non accettare doni dagli dei, la accolse, si innamorò, la sposò ed ebbe da lei una figlia, Pirra, destinata a diventare la sposa di Deucalione e madre della nuova umanità dopo il diluvio che aveva sommerso l'Ellade.\nPandora recava con sé un vaso regalatole da Zeus, il quale però le aveva ordinato di lasciarlo sempre chiuso. Tuttavia, spinta dalla curiosità, Pandora disobbedì: aprì il vaso e da esso uscirono tutti i mali, che si avventarono furiosi sul mondo: la vecchiaia, la gelosia, la malattia, il dolore, la pazzia ed il vizio si abbatterono sull'umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la speranza, che non fece in tempo ad allontanarsi perché il vaso fu chiuso nuovamente.\nPrima di questo momento l'umanità aveva vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta, e gli uomini erano, così come gli dei, immortali. Dopo l'apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato, cupo ed inospitale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Panfila di Epidauro.\n### Descrizione: Panfila (in greco antico: Παμφίλη?, Pamphílē, in latino Pamphĭla; Epidauro, ... – ...; fl. I secolo) è stata una storica greca antica.\n\nBiografia.\nBenché la Suda la descriva come nativa di Epidauro, secondo Fozio Panfila era di origine egiziana; probabilmente la famiglia di Panfila, proveniente dall'Egitto, si era trasferita ad Epidauro.\nFiglia del filosofo Soteride di Epidauro, sarebbe vissuta durante il regno di Nerone; sempre Fozio scrive che Panfila, che visse tredici anni col marito, fu sempre e costantemente al lavoro sul suo libro.\n\nOpere.\nPanfila scrisse alcune opere, elencate da Suda di cui non restano che 10 frammenti.\nIn primo luogo, i Commentari storici (ὑπομνήματα), che trattavano di storia greca in 33 libri. Nonostante l'opera sia andata perduta, alcuni scrittori citano alcuni passiː ad esempio Aulo Gellio cita l'undicesimo e il ventinovesimo libro, Diogene Laerzio il venticinquesimo e il trentaduesimo.\nFozio scrive di leiː.\n\nSecondo la Suda scrisse anche una Epitome di Ctesia in 3 libri; Epitomi di storie ed altri libri (ἐπιτομαὶ ἱστοριῶν τε καὶ ἑτερῶν βιβλίων); un'opera intitolata Sulle dispute (Περὶ ἀμφισβητήσεων); e un'altra Sulle cose d'amore (Περὶ ἀφροδισίων)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Panopea.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Panopea (anche Panope, Pinope o Panopeia) era una delle Nereidi, figlia di Nereo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Panopea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Panozio.\n### Descrizione: Il panozio (dal greco pan e othi, significa tutto orecchi) è un mostro antropomorfo del folklore medioevale, chiamato anche panozo (al plurale panozi, dal latino panotii). In tempi antichi si riteneva vivessero nelle isole all'estremo nord del continente europeo, come scrive Plinio (libro IV, capitolo 95). Avrebbero orecchie talmente grandi da toccare terra, e le userebbero come giaciglio e coperta, al momento di dormire. Essendo molto timidi, alcune fonti dicono che all'avvicinarsi di qualcuno le spiegano come ali e volano lontano dal pericolo.\nIl termine viene utilizzato per la prima volta da Pomponio Mela, ma già Scilace di Carianda e Megastene riferivano di popolazioni con le medesime caratteristiche. Non sono però inseriti da Sant'Agostino nel suo De civitate dei, catalogo fondamentale dei mostri medievali, fatto questo che limita la loro diffusione: come pure la mancanza di auctoritas e la mancanza di una vera e reale mostruosità nei loro caratteri e nelle loro personalità, sia fisiche che spirituali.\nAnche in Malaysia si trova una figura che si distingue per le dimensioni dei padiglioni auricolari: uno dei guardiani degli inferi li avrebbe talmente grandi da permettere alle anime dei morti di trovarvi rifugio. In Giappone, invece, possiamo incontrare i choji e in Melanesia degli esseri pelosi e con orecchie talmente spropositate da poterle usare come arpioni da pesca.\nAnche Pigafetta, cronista a seguito di Magellano nel suo viaggio, scrive di aver sentito dire che.\n\nLa caratteristica principale di questo essere sono le enormi orecchie, usate dalle femmine dei panozi per coprire i propri seni. Per il resto i panozi sono molto simili agli umani. Come molte altre creature mostruose, vedono la loro nascita da altre razze con caratteri insoliti o mostruosi, che, per la sovrabbondanza di tali caratteri atti già da soli a renderli sufficientemente alieni, vengono suddivisi dando origine ad altri miti. In questo caso, Ctesia parla di pandae o macrobi, le cui donne hanno un solo figlio nella vita, neonato che presenta i capelli già bianchi, otto dita per ogni arto, e orecchie gigantesche, fino ai gomiti. Essendo l'insieme abbastanza spaventoso, il tratto delle orecchie ipersviluppate viene separato, dando origine a una nuova specie, i panotii, appunto.\nUna rappresentazione di questa razza mitologica si ha in Francia, sul timpano del portale centrale della chiesa di Sainte-Madeleine a Vézelay (dell'XI secolo), sul percorso del pellegrinaggio verso Gerusalemme. Centro del portale sono gli apostoli, separati per mezzo dell'oceano dal mondo del caos, esemplificato per mezzo dei panotii e dei pigmei: a lato del Cristo, troviamo invece una coppia di uomini senza naso e una di cinocefali. Il tutto li fa rientrare in una prospettiva cristiana e li rende parte del piano della creazione divina, in un contesto familiare e intimo; vi si vede infatti un'intera famiglia di questi cosiddetti mostri.\nLe Gesta romanorum, invece, (una specie di antologia di storie anonime morali e pseudo antiche, scritte in Inghilterra in ambiente francescano prima del 1342) cercano di moralizzare, appunto, i panotii e le altre 15 razze di Plinio: nel capitolo 175, le enormi orecchie sono un mezzo per meglio ascoltare la parola di Dio e preservare corpi e anime dal peccato.\nSono citati anche in tempi moderni, nel romanzo Baudolino di Umberto Eco, dove addirittura grazie ad un lungo addestramento riescono ad usare i loro apparati uditivi per planare, con effetti disastrosi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pantoo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pantoo o Panto, figlio di Otriade, era il nome di uno dei personaggi presenti nella guerra di Troia, nata per colpa del rapimento di Elena effettuato da Paride (figlio del re troiano Priamo) ai danni di Menelao, il marito e sovrano acheo. Si fa riferimento a Pantoo quando si parla di Euforbo, probabilmente suo figlio. La guerra fra i due regni viene raccontata da Omero.\nnell'Iliade.\n\nMitologia.\nPantoo era il sacerdote troiano di Apollo ai tempi di re Priamo, ma sembra che fosse greco di nascita. Servio Mario Onorato racconta che quando Priamo era da poco divenuto re della città dopo la sua distruzione da parte di Eracle, credendo che la conquista della città fosse dovuta alla sua infausta ubicazione e non alla collera degli dèi mandò Antenore a Delfi per chiedere alla Pizia se avrebbe dovuto costruire la cittadella sulle fondamenta della città distrutta. Si dice però che Pantoo, che era sacerdote di Apollo a Delfi, fosse di una tale avvenenza che l’amico di Priamo, scordatosi della sua missione, si innamorò di lui e lo portò con sé a Troia. Per rimediare all'offesa fatta all'oracolo di Delfi, il re elesse Pantoo sacerdote del tempio di Apollo a Troia. Stando ad alcune fonti postomeriche, Pantoo sarebbe stato tra i fautori della restituzione di Elena a Menelao.\n\nNell'Iliade.\nSecondo Omero, egli non prese parte alla guerra di Troia, essendo già avanti negli anni, ma vi combatterono diversi suoi figli fra cui Polidamante (il primogenito), Iperenore, Euforbo. Si presuppone che sua moglie fosse Frontide. Il suo nome viene pronunciato più volte nel discorso fra Euforbo e Menelao prima del loro combattimento nel libro XVII dell'Iliade. Per discendenza spesso ai nomi dei figli viene affiancato il patronimico “Pantoide'.\n\nNell'Eneide.\nPantoo compare in carne e ossa nell'Eneide, unico testo pervenutoci in cui è narrata la sua morte. Nella notte della caduta di Troia è tra i concittadini che Enea cerca di mettere in salvo. Imbattutisi in un gruppo di soldati achei, molti di loro soccombono, Pantoo compreso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Papiro di Derveni.\n### Descrizione: Il papiro di Derveni è un papiro macedone antico contenente un trattato di natura religiosa, filosofica e rituale, principalmente sotto forma di un commento a un inno orfico. Datato tra il 340 e il 320 a.C., è il manoscritto più antico rinvenuto in Europa.\n\nStoria.\nI resti del papiro furono rinvenuti semicombusti il 15 gennaio 1962 nella necropoli probabilmente dell'antica località di Lete, scavata nei pressi della località di Derveni, in Macedonia, a circa 10 km da Salonicco. Il papiro è oggi conservato presso il Museo archeologico di Salonicco. Il luogo di ritrovamento del papiro è anche vicino a Pella, il centro dove intorno al 400 a.C. Archelao aveva trasferito la capitale macedone, precedentemente collocata ad Aigai (oggi Verghina).\nIl papiro è stato rinvenuto in una tomba appartenente ad un gruppo di due tombe di notevole rilevanza, affrescate e con corredo sontuoso, probabilmente appartenenti all'alta aristocrazia. Le tombe accoglievano i vasi dove erano state raccolte le ceneri dei defunti dopo la loro cremazione, in accordo con la credenza orfica del corpo inteso come 'tomba' dell'anima. Il papiro, rinvenuto nella tomba A quella tra le due relativamente meno sontuosa, non faceva parte del corredo, anzi risulta semicombusto, rinvenuto insieme ad altri oggetti semicombusti prima dell'apertura della cassa: esso faceva quindi parte dei residui del rogo funerario.\nIn origine, il Papiro doveva essere lungo più di tre metri, scritto su numerose colonne disposte verticalmente, ogni colonna conteneva tra le undici e le sedici righe, composte a loro volta da una decina di parole. Ciò che è stato rinvenuto è probabilmente solo un decimo dello scritto originale. La lingua del testo è in dialetto ionico con elementi in attico. La sua datazione è confermata dalla presenza di una moneta di Filippo II rinvenuta nella tomba B. L'origine orfica del testo è confermata dalla presenza del nome di Orfeo (nella colonna 14 citato per ben due volte).\n\nIl testo.\nIl papiro contiene un inno indirizzato solo agli iniziati (τὴν ἀκοὴν ἁγνεύοντας, lett. i 'puri di udito'), escludendo dalla lettura i profani. L'oggetto del componimento, la cui redazione originale può essere fatta risalire alla fine del V secolo a.C., sono le opere di Zeus, che il dio compì su consiglio della nera Nyx (Notte); gli dèi nacquero da Zeus che udì da Nyx le 'segrete profezie' e quindi inghiotti il 'demone glorioso'. Questo 'demone glorioso', Prōtógonos (Πρωτογόνος ― il 'primogenito'), che primo balzò nell'Etere, aveva generato Gaia e Urano che fu il primo a regnare. Zeus, che deteneva il ruolo di re tra gli dèi, quindi inghiottì Protogono stesso, suo antenato.Da questo momento si assiste a una nuova Cosmogonia generata da Zeus stesso, la prima che precede è quella che ha Nyx come origine:." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Paride ed Elena.\n### Descrizione: Paride ed Elena è un'opera lirica di Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de' Calzabigi rappresentata per la prima volta come Parid und Helena al Burgtheater di Vienna, il 3 novembre 1770. L'opera era dedicata al duca portoghese Giovanni di Braganza. È la terza opera della riforma gluckiana dopo Orfeo ed Euridice e Alceste.\n\nPersonaggi ed interpreti.\nGenesi e temi dell'opera.\nÈ il terzo ed ultimo frutto della collaborazione di Gluck e Ranieri de' Calzabigi e presenta caratteristiche del tutto dissimili dai due precedenti lavori. In Orfeo ed Euridice ed Alceste i caratteri sia dei personaggi che dei valori proposti sono spiccatamente marcati, forti; qui invece questa caratterizzazione forte manca. In tutte e tre le opere si parla di unioni amorose, ma nelle prime due è la fedeltà coniugale il fulcro della vicenda, mentre nell'ultima è l'amore inteso come Eros nella sua massima esaltazione, contrapposto all’Agape, quest'ultimo descritto, in parole povere, come 'amore disinteressato'. Avviene dunque uno spostamento dal tema simbolico al tema umano, forse anche qui con un germe del romanticismo, ma prematuro e appena abbozzato.\nCalzabigi aveva una particolare predilezione per il poeta Ovidio e da questo, e dalla famosa Ars amatoria, aveva ricevuto molta influenza per quest'opera. Nel dettaglio vi era una serie di elegie che egli era convinto fossero opera autentica del poeta, ma sono quasi certamente frutto di altre mani, magari ad esso vicine: si trattava di composizioni che narravano degli scambi epistolari tra Paride ed Elena (infatti uno scambio epistolare avviene anche nel dramma). Inoltre è il personaggio di Paride a risentire più di tutto il resto di questa influenza latina: egli è gaudente e languido, mentre Elena si mostra in termini del tutto opposti, molto più robustamente fiera e portatrice di una stretta moralità dell'epoca romana. Ad un confronto con i caratteri descritti da Omero, questa contrapposizione non si riscontra affatto.\n\nLa prefazione di Gluck.\nCiò viene espresso chiaramente nella prefazione dell'opera, firmata da Gluck (anche se sappiamo che è in realtà Calzabigi a parlare, come per Alceste).\n\nCommento.\nDalle parole dell'autore scopriamo indizi interessanti sulla realizzazione dell'opera. In questa prefazione vi è un riscontro immediato di quella ricerca del “bello” e del “vero” che propugnavano i due autori, espressa a chiare parole:.\nViene poi sottolineata la funzione della musica, che dev'essere controllata dal compositore con grande abilità, a rischio di far continuare la pessima pratica musicale che si cercava di superare. D'altra parte, l'attenzione del musicista per gli arrangiamenti e le sottolineature del testo potevano potenziare davvero la percezione del dramma:.\nInfine troviamo una vera e propria ammissione per quanto riguarda la collocazione, in relazione alle precedenti, di quest'opera, la quale.\nAddirittura vi è una presa di coscienza quasi premonitrice sugli scarsi risultati e sviluppi di quest'ultimo lavoro:.\nNon si riscontrano, quasi per nulla, particolari colorature, ma piuttosto una certa rigorosità benché vi sia una novità, rispetto al passato, che è da notare: l'abolizione dei forme chiuse, il che denota invece una maggiore flessibilità di struttura. L'ouverture anticipa l'atmosfera del dramma, com'è auspicato nella prefazione dell'Alceste, ma impiega anche musica che verrà sentita nel corso dell'opera. Per quanto riguarda i contenuti vi è implicitamente la rappresentazione della bipolarità tra Europa e Asia: la rude barbarie spartana, descritta dalla fermezza del canto di Elena, si contrappone alla bellezza e dolcezza asiatiche, rappresentata dal canto armonioso di Paride.\n\nTrama dell'opera.\nIl taglio è in cinque atti – il che può sicuramente già indicare parte dell'indirizzamento al periodo francese di Gluck – e la vicenda si mostra esile e priva di avvenimenti di rilievo: Paride giunge nel Peloponneso per ottenere, come promesso dalla dea Venere, i favori amorosi della bella Elena, regina di Sparta.\nDa notare che nel dramma Elena è promessa sposa di Menelao e non già moglie: questo accorgimento venne adottato prudentemente dagli autori per non incorrere nella censura dell'imperatrice Maria Teresa che non avrebbe tollerato un'offesa al pubblico pudore tramite l'esaltazione di una storia adulterina.\nAccompagna il racconto, quasi da narratore esterno, il dio Amore, sotto lo pseudonimo di Erasto, che fa da intermediario e accende la scintilla tra i due giovani.\nIn sostanza il dramma narra del corteggiamento di Paride verso Elena, il primo rifiuto di questa e il successivo abbandono alla passione, grazie all'azione di Amore, e l'intervento finale di Pallade – la dea Atena – che preannuncia la guerra e l'incendio di Troia. Oltre a questo l'opera è condita da alcuni balli e interventi del coro: fra questi il balletto nel primo atto che mostra lo sbarco dei troiani e una danza, nel terzo atto, definita nella partitura “Aria per i atleti”, nella quale Elena organizza a palazzo una dimostrazione degli esercizi ginnici degli atleti greci e prega Paride di premiare i migliori. Nella parte che tratta del corteggiamento vi si riscontrano evidenti elementi comici, segno che quel genere stava insinuandosi sempre di più nelle voluttà artistiche degli autori drammatici di quegli anni.\nOccorre rilevare che i personaggi sono tutti interpretati da voci bianche, soprani: nella prima rappresentazione, in particolare, troviamo Katharine Schindler nella parte di Elena, il castrato Giuseppe Millico in quella di Paride e, per i ruoli minori vi erano Teresa Kurz, moglie del comico viennese Kurz-Bernardon, nella parte di Amore-Erasto e Gabriella Tagliaferri in quella di Pallade. Jean-Georges Noverre era il coreografo e Alessio Contini lo scenografo.\n\nDiscografia.\n2005 - Paul McCreesh, Gabrieli Consort and Players - Magdalena Kožená (Paride), Susan Gritton (Elena), Carolyn Sampson (Amore), Gillian Webster (Pallade/Un Trojano) - Deutsche Grammophon Archiv." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Paride presenta Elena alla corte di re Priamo.\n### Descrizione: Paride presenta Elena alla corte di re Priamo è un dipinto (53x66 cm) firmato I.B.G. in basso a destra, realizzato dal pittore olandese Gerard Hoet.\nIn questo dipinto l'autore rappresenta un momento ben preciso nello svilupparsi della Guerra di Troia: dopo il rapimento, Paride, ritornato in patria, presenta Elena al padre Priamo, re di Troia, ed alla madre Ecuba, in presenza della corte.\nLa scena si svolge all'esterno del palazzo reale, che fa da sfondo ad essa, mentre sulla destra si intravede il mare con alcune navi all'ancora: nel punto focale del quadro si trovano Paride ed Elena in attesa della reazione del re. Paride con il braccio destro spinge gentilmente la donna verso Priamo e con il sinistro conduce lo sguardo dell'osservatore verso le sue navi ferme in porto, presagendo l'imminente arrivo delle navi achee.\nPriamo si precipita fuori, impaziente d'incontrare il figlio, seguito da Ecuba e da tutta la corte.\nOltre ai personaggi principali, Gerard Hoet ha rappresentato un'ampia varietà di figure, con le loro differenti reazioni all'arrivo di Paride. Uomini, donne e bambini di varie età sono ritratti in più posizioni della scena. Tra la ressa dei cortigiani, le emozioni espresse spaziano dalla contentezza ad un sentimento più contenuto o interessato.\nComunque, il dipinto è costruito in modo da guidare lo spettatore verso le due coppie protagoniste, da una parte Paride ed Elena che appaiono nervosi ed in attesa della reazione del re, dall'altra Priamo ed Ecuba, felici ed incuriositi. Anche in questo quadro è espresso il contrasto tra vecchiaia e giovinezza, un contrasto ricorrente nelle opere di Hoet, come ad esempio in Vertumno e Pomona." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Parnaso.\n### Descrizione: Il Monte Parnàso, o – raramente – Parnasso (dal greco Παρνασσός / Parnassós), è una montagna del centro della Grecia, che domina la città di Delfi.\nParticolarmente venerato durante l'antichità, il Parnaso era consacrato al culto del dio Apollo e alle nove Muse, delle quali era una delle due residenze. Secondo la mitologia greca, su questo monte era situata una fonte sacra alle Muse, la fonte Castalia.\nL'origine del nome è probabilmente pre-ellenica. Da reperti ittiti si è rivelata l'esistenza di un toponimo anatolico comparabile: Parnašša, che pare derivare dall'ittita e dal luvico parna che significa 'casa', 'dimora'. Parrebbe che, in origine, la vetta del Parnaso, come quella dell'Olimpo, sia stata considerata il sacro luogo della ierogamia del cielo (Urano) e della terra (Gaia), essendo noto che il santuario di Delfi era consacrato a Gaia, prima di esserlo ad Apollo.\nNella tradizione classica, i due gioghi in cui il monte si biforca sono chiamati Cirra ed Elicona (o anche Nisa, spesso erroneamente confuso con Pieria, altro monte dove era in uso un simile culto alle Muse), rispettivamente sacri ad Apollo il primo e a Bacco il secondo. Parnaso è caratterizzato tutt'oggi dal suo colorito giallognolo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Paro (Grecia).\n### Descrizione: Paro o Paros (in greco Πάρος?, Páros) è una delle più grandi isole dell'arcipelago delle Cicladi, situata nel Mar Egeo, famosa per una particolare varietà di marmo bianco (detta marmo pario) e per essere patria del poeta Archiloco. Dal punto di vista amministrativo costituisce un comune della periferia dell'Egeo Meridionale (unità periferica di Paro). La principale città è Paroikia.\n\nStoria.\nDopo la battaglia di Maratona, conclusasi con la vittoria da parte degli Ateniesi sui Persiani, il comandante greco Milziade ricevette l'incarico di guidare una spedizione per la conquista di Paro. L'assalto però fallì, e lo stesso comandante ne rimase ferito. Per questo, Milziade venne accusato di inganno contro gli Ateniesi, e sottoposto a processo. Il verdetto fu a sfavore del comandante, che venne condannato al pagamento di un'ingente somma. Poco tempo dopo egli morì di gangrena, in seguito alle ferite riportate nello scontro.\nNel XV-XVI secolo rimase sotto la signoria della potente famiglia veneziana dei Venier.\nÈ oggi separata da Nasso, ma unita ad essa nel linguaggio comune sotto il nome di Paronaxia.\n\nAmministrazione.\nIl comune omonimo è formato da Paro e da numerosi isolotti disabitati nei dintorni con una popolazione, al censimento 2001, di 12.853 abitanti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Parteno (figlia di Crisotemi).\n### Descrizione: Parteno (in greco antico: Παρθένος?, Parthénos, 'Vergine') è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nParteno era figlia di Stafilo e Crisotemi e sorella di Emitea (conosciuta anche come Molpadia) e Reo.\nDopo un tentativo di suicidio, lei e Molpadia furono portate da Apollo a Cherson, città dove Parteno divenne una dea locale.Anche Strabone e Stefano di Bisanzio citano una dea oscura di nome Parteno come divinità venerata nelle zone di Cherson nei tempi successivi.Secondo la versione di Igino, il padre era invece Apollo, e dopo la sua morte, fu portata dal dio in cielo, dove divenne la costellazione della Vergine." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Partenope (sirena).\n### Descrizione: Partenope (in greco antico: Παρθενόπη?; in latino Parthenŏpe) era, nell'antica mitologia greca, una sirena.\n\nIl mito classico.\nSecondo Esiodo, era figlia di Forco, mentre altre fonti indicano che fu generata da Acheloo e la Terra oppure dalla musa Melpomene.\nSecondo la tradizione raccolta nelle Argonautiche orfiche (V secolo d.C.), le tre sirene, Partenope, Ligea e Leucosia, vengono battute nel canto da Orfeo e per la disperazione si buttano in mare, dove vengono trasformate in scogli. Nelle più note Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), la loro morte viene attribuita all'insensibilità di Ulisse alla malia del loro canto.\nIn origine le tre sirene erano tre fanciulle, ancelle della dea Persefone e vivevano nell’antica Hipponion (odierna Vibo Valentia). Dopo il rapimento della dea da parte di Ade che la portò nel suo regno per sposarla, le tre fanciulle vennero trasformate in sirene dalla dea Demetra per non aver impedito il rapimento della figlia Persefone. Le tre sirene persa la loro umanità iniziarono ad ammaliare i marinai che passavano lungo la costa vibonese per poi divorarli, fino all’incontro con Ulisse. In tale occasione le sirene non riuscirono nel loro intento e si suicidarono gettandosi in mare per la frustrazione. I loro corpi vengono trasportati dal mare, sicché Ligea finisce a Terina, Leucosia a Posidonia e Partenope alle foci del fiume Sebeto, dove poi i Cumani, con l'espulsione degli oligarchi nell'ambito del clima di stasis presente sotto il tiranno Aristodemo, avrebbero fondato Neapolis.\n\nPartenope e Napoli.\nIl corpo esanime della sirena sarebbe giunto nel luogo in cui oggi sorge Castel dell'Ovo e proprio lì le sarebbe stata dedicata una corsa con le fiaccole, che ogni anno si compiva in suo onore (le cosiddette Lampadedromie). Il Suida, lessicografo bizantino del decimo secolo, ci fa sapere che a Napoli fu eretta una statua della sirena («Νeapolis, urbs Ιtalie celebris, in qua Parthenopes Sirenis statua collocata est»), ma non spiega se ai suoi tempi detto monumento era ancora esistente.\nA Napoli Partenope era venerata come dea protettrice; per esempio, Virgilio utilizzava il suo nome in senso metonimico e, da qui a partire dalla prima età moderna, con storici e cronisti aragonesi e barocchi, la sirena veniva utilizzata come esempio antonomastico della doppiezza della natura dei meridionali o della loro lascivia.\nIl cantante Liberato ha intitolato Partenope una delle sette canzoni che ha pubblicato il 9 maggio 2022. La protagonista del video musicale è una sirena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pasifae.\n### Descrizione: Pasìfae (in greco antico: Πασιφάη?, Pasipháē) è un personaggio della mitologia greca. È la moglie del re di Creta Minosse e la madre del Minotauro.\n\nGenealogia.\nFiglia di Elio e della ninfa oceanina Perseide.\nDal marito Minosse ebbe otto figli: Androgeo, Arianna, Acacallide, Catreo, Deucalione, Fedra, Glauco e Senodice. Fu inoltre anche la madre del Minotauro.\n\nMitologia.\nSecondo la versione più comune del mito, Poseidone inviò a Minosse un bianchissimo toro affinché venisse sacrificato in suo onore. Il re di Creta però non obbedì al dio, ritenendo il dono troppo bello e ne sacrificò un altro al suo posto. La vendetta divina non tardò ad arrivare: nella moglie di Minosse, Pasifae, si sviluppò ben presto una passione così folle per l'animale da spingerla a desiderare ardentemente di unirsi a esso.\nDecisa a soddisfare il proprio impulso mostruoso, la regina chiese aiuto a Dèdalo, rifugiatosi a Creta per sfuggire a una condanna per omicidio, che le costruì una vacca di legno cava, rivestita della pelle dell'esemplare di femmina da lui più amato, nella quale entrare per consumare il rapporto. Il toro, montando la finta vacca, fecondò Pasìfae che diede alla luce il Minotauro.\n\nCulto.\nA Pasìfae era dedicato un culto oracolare in Laconia. Secondo Pausania si trattava non della moglie di Minosse ma di un epiclesi della dea lunare Selene, e da identificarsi anche con Leucotea, mentre Plutarco nel suo Vite parallele sostiene si tratti di una figlia di Atlante, dalla cui unione con Zeus sarebbe nato Ammone.\n\nNelle arti e nella cultura di massa.\nOvidio la cita nel suo Ars amatoria.\nDante la ricorda nella Divina Commedia (Inferno XII, 13; Purgatorio XXVI, 41-42 e 86-87).\nPasifae è anche il soggetto di un dipinto di Jackson Pollock, Pasiphaë (1943 circa).\nPasifae compare nel quarto libro della saga degli Eroi dell'Olimpo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Patroclo e Menelao.\n### Descrizione: La scultura Patroclo e Menelao nota anche come Aiace che sorregge il corpo di Achille si trova a Firenze, al centro della Loggia dei Lanzi, in Piazza della Signoria.\nPer lungo tempo si è pensato che il personaggio sorreggente il cadavere di Patroclo fosse Menelao, ma ultimamente è stato ipotizzato che si tratti di Aiace Telamonio. L'opera è comunque basata sull' Iliade di Omero, dove sono descritte l'uccisione di Patroclo ad opera di Ettore e la lotta accesasi fra Achei e Troiani per il possesso del suo cadavere, recuperato poi dai primi.\n\nStoria.\nL'opera, copia romana di un originale greco, fu ritrovata nel Foro di Traiano (ma c'è anche chi dice che venne rinvenuta nei pressi di Porta Portese), molto danneggiata. Pio V ne fece dono a Cosimo I de' Medici, che ne ordinò il trasporto a Firenze nel 1579. Il restauro fu commissionato a Pietro Tacca e a Ludovico Salvetti, i quali lo terminarono, basandosi su una scultura simile che si trovava a Palazzo Pitti e ad una Testa di Menelao, conservata nel Musei Vaticani, risalente al IV secolo a.C.\nLa statua fu completata soprattutto nel dorso del guerriero e nel braccio cadente del morto, oltre ad altre parti minori. Il gruppo fu nuovamente restaurato da Stefano Ricci e, dal 1841, è stato collocato nella Loggia della Signoria.\nQualcuno afferma che la celebre statua di Pasquino a Roma facesse parte di un'altra copia di questo gruppo.\n\nDescrizione." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Patroclo.\n### Descrizione: Patroclo (in greco antico: Πάτροκλος?, Pátroklos o Πατροκλῆς, Patroklễs, lett. 'la gloria [κλέϝος] del padre [πατήρ]'; in latino Patroclus o Patrocles) è una figura della mitologia greca, tra le più importanti nella guerra di Troia. Figlio di Menezio e di Stenele, indossò le armi del suo amico fraterno Achille quando questi, offeso dal re di Micene Agamennone, che gli aveva sottratto la sua schiava Ippodamia (chiamata anche con il patronimico Briseide), simbolo del valore dimostrato, rifiutò di continuare a combattere contro i Troiani. Presentatosi in battaglia al posto di Achille per dare coraggio agli Achei, Patroclo provocò scompiglio nelle file nemiche, che respinse vittoriosamente, ma venne indebolito dal dio Apollo, ferito da Euforbo e infine ucciso da Ettore. Il desiderio di vendicare Patroclo indusse Achille a riprendere la guerra e a uccidere lo stesso Ettore.\n\nIl mito.\nLe origini.\nLa tradizione più autorevole, sostenuta da Omero, afferma che Patroclo era figlio di Menezio, re di Opunte, nella Locride. Una tradizione erronea, talvolta posta in alternativa a questa prima, attribuisce la paternità dell'eroe ad Eaco. Sua madre pare fosse Stenele, figlia d'Acasto, oppure Piope, figlia di Ferete, oppure Polimela (o Periapide), figlia di Peleo, oppure Filomela, figlia di Attore. Patroclo fu maggiore di Achille per età, ma, al pari di quasi tutte le figure della guerra di Troia, non ne eguagliava le virtù fisiche e belliche.\n\nLa guerra di Troia e la morte.\nCostretto ad abbandonare la sua città, si rifugiò presso Peleo dove conobbe Achille. Patroclo si recò nel palazzo di Tindaro per chiedere la mano di Elena. Secondo una versione al suo ritorno dal palazzo di Tindaro un giorno mentre si divertiva con un 'giocattolo' regalatogli da una guardia di Tindaro, un ragazzo, della presunta medesima età di Patroclo lo avrebbe aggredito per rubarglielo, ma facendo ciò il ragazzo andò a sbattere contro un macigno incontrando la morte. La famiglia del morto incolpò Patroclo richiedendo come riscatto o l'esilio del principe o la sua morte. Menezio, il padre di Patroclo, allora per sprecare meno soldi possibili decise di rinnegarlo come figlio e lo esiliò dal regno, così Patroclo fu 'adottato'/accolto dal piccolo regno del grande sovrano Peleo.\nInsieme all'amante, Achille, si recò alla guerra di Troia, dove si conquistò gloria e rispetto, e quando Achille si ritirò dalla battaglia, Patroclo, indossate le sue armi, si spacciò per il compagno, portando terrore e scompiglio nelle schiere avversarie e ribaltando le sorti della battaglia. Ma non tenne conto del consiglio di Achille, ossia limitarsi a respingere i troiani dall'accampamento acheo, e questo ne causò la fine. In un primo momento Apollo lo stordì, colpendolo due volte e respingendolo alle mura di Troia, che altrimenti avrebbe conquistato, poi Euforbo lo ferì con un colpo di lancia e infine Ettore gli diede il colpo di grazia, trapassandolo con la lancia dalla propria biga.\nSpogliato delle armi, il cadavere di Patroclo fu conteso dai due schieramenti nel corso di una lotta furiosa che si concluse solo con l'arrivo di Achille: al suo grido, i troiani fuggirono in preda al terrore all'interno delle mura della città. Sconvolto dal dolore, Achille decise di tenere il corpo di Patroclo con sè nella sua tenda per poi scatenare la sua ira contro i troiani umiliando Ettore trascinando il suo corpo morto davanti le mura della città di Troia.\nQuando la morte giunse anche per Achille essi vennero bruciati insieme e le loro ceneri furono mischiate insieme.\n\nCarattere di Patroclo.\nNell'Iliade Patroclo è una figura abbastanza particolare: infatti le sue caratteristiche dominanti sono la bontà e la dolcezza, un fatto abbastanza inusuale se si pensa agli altri eroi del poema, come Agamennone, Odisseo, Diomede, Achille, Aiace Oileo, Ettore e Deifobo, tutti piuttosto rudi. Molti personaggi lo lodano, come Briseide, che lo definisce 'sempre dolce', e persino i cavalli di Achille lo piangono, poiché era stato un buon auriga per loro. Un episodio che evidenzia la gentilezza di Patroclo è quello descritto nel libro XVI (versi 1-100), in cui egli corre in lacrime da Achille, dicendo che molti Achei stanno morendo in battaglia e altri sono feriti; si preoccupa, quindi della sorte dei suoi compagni. Inoltre il poeta lo apostrofa spesso, tradendo una certa simpatia per il suo personaggio, come quando gli si rivolge direttamente, citandogli Melanippo e altri troiani da lui uccisi (libro XV, verso 695), prima del suo scontro con Apollo. Tuttavia durante la guerra non mancano momenti di ferocia da parte di Patroclo, come le efferate uccisioni dei troiani Testore e Stenelao.\n\nL'amore tra Patroclo e Achille.\nIl rapporto tra Achille e Patroclo è uno degli elementi chiave dei miti associati alla guerra di Troia: quale sia stata la sua effettiva natura e fino a che punto si sia spinta questa stretta amicizia tra i due eroi è stata oggetto di controversie sia nel periodo antico sia nei tempi moderni.\n\nNella cultura di massa.\nNel film Troy Patroclo appare come cugino di Achille(quando nessuna fonte trovata narra di una loro pura parentela se non per l' 'adozione' di Patroclo da parte di Peleo ma ciò li renderebbe solo fratellastri), che ha per lui una predilezione ma nessun tipo di implicazione amorosa.\nNel film Alexander la storia di Patroclo e Achille è presentata come esempio di relazione omosessuale.\nNel libro La canzone di Achille di Madeline Miller, Patroclo è narratore e protagonista: egli racconta la sua vita trascorsa insieme ad Achille, dal primo incontro fino alla fine, mostrando una relazione d'amore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Peana.\n### Descrizione: Il peàna è un canto corale in onore di Apollo, il cui termine è oggi usato per indicare un discorso di esaltazione.\n\nSignificato storico.\nCanto corale in onore di Apollo, il peana veniva intonato con funzione di propiziazione in occasione di sacrifici o di invocazione del dio per ottenerne la protezione o di ringraziamento per la vittoria conseguita.\nVeniva intonato dagli spartani quando muovevano all'attacco del nemico: il ritmo del canto aveva lo scopo di mantenere l'ordine della formazione e di infondere terrore nell'avversario, che sentiva il loro avvicinarsi dal canto che si faceva via via più forte. Vedi, ad esempio, il movimento in battaglia degli Spartani guidati da Brasida, ne 'La guerra del Peloponneso' di Tucidide (scrittore e stratego ateniese). Con il tempo si estese ad altre divinità, tra cui Artemide.\n\nSignificato odierno.\nIl termine è oggi usato per indicare un discorso o uno scritto di vittoria o di esaltazione. Viene spesso usato inoltre per indicare un discorso in cui non sono presenti critiche, ma solo lodi.\n\nEtimologia.\nIl termine deriva dal latino paeāna, che a sua volta viene dal greco παιάν (paián) - in dialetto ionico παιήων (paiéon)- che significa 'colui che guarisce', epiteto di Apollo. In origine, però, tale sarebbe stato il nome di un antico dio guaritore di età micenea, identificato in seguito con Apollo.\n\nAltri progetti.\nWikizionario contiene il lemma di dizionario «peana».\n\nCollegamenti esterni.\n\npeana, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\nEttore Bignone, PEANA, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935.\n(EN) paean, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Peante.\n### Descrizione: Peante è una figura della mitologia greca, padre di Filottete e figlio di Taumaco il Magnesio. Fece parte degli Argonauti e fu un grandissimo arciere. Noto per aver salvato i compagni uccidendo il gigante di bronzo Talo lanciandogli una freccia nel suo tallone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pederastia tebana.\n### Descrizione: La pederastia tebana era un costume sociale-educativo volto a educare gli adolescenti di classe elevata nell'antica polis di Tebe, capitale regionale della Beozia, alle responsabilità della vita adulta attraverso un rapporto di tipo sentimentale-amoroso con un uomo aristocratico adulto. Si ritiene che questa pratica sia stata introdotta per la prima volta al tempo dell'invasione del Dori da Nord nel 1200-1100 a.C., o in alternativa durante il periodo arcaico (VIII-VII sec a.C.) come derivazione della pederastia cretese.\nQuesta tradizione si riflette in tutte le pieghe della religione greca, come indicato dai molteplici miti greci a sfondo pederastico che la costellano. Infine, venne integrata nella vita militare delle città, sia nella formazione dei soldati che sul campo di battaglia.\n\nMitologia.\nLa pratica, non solo pederastica ma anche pedofila, è presente già in uno dei miti di Tebe, che racconta la vicenda di Laio, futuro padre di Edipo. Questi, innamoratosi del giovane principe Crisippo mentre si trovava ospite del re Pelope, lo rapì con la forza e abusò sessualmente di lui.\nGli dèi, per punire il doppio crimine di tradimento nei confronti del padre di Crisippo e di violenza verso il ragazzino, mandarono una maledizione sull'intera discendenza di Laio; maledizione che arriverà a colpire, in tutta la sua virulenza, anche Edipo e i suoi figli.\nIn quello che sembra un tentativo di sottolineare il reato compiuto da Laio, Euripide, a quanto risulta dai frammenti pervenutici della sua tragedia Crisippo, sceglie di rappresentare la giovane vittima non come un adolescente, così come usava apparire l'eromenos (l'amato) nella ceramica greca, bensì come un bambino. Il racconto tebano di Laio e Crisippo si guadagna così il primato di mito fondativo della pedofilia nell'Antica Grecia continentale.Un altro mito a tema pederastia, sempre proveniente dalla Beozia, è quello riguardante Narciso e Aminia, che doveva avvertire gli adolescenti di non essere eccessivamente crudeli nei loro rifiuti.\nUn eroe pederasta molto onorato a Tebe era infine Iolao, riconosciuto niente meno che come l'eromenos di Eracle. In sua memoria venne eretto un mausoleo, il quale divenne meta di pellegrinaggio da parte degli erastès (gli amanti) che venivano qui a giurare eterna fedeltà ai propri giovani compagni; sempre in questo luogo, gli amanti donavano un'armatura completa ai loro amati quando questi raggiungevano la maggiore età. La tomba esisteva ancora nel II sec. d.C. ed è descritta dettagliatamente da Pausania nella sua opera. Inoltre, in nome dei due eroi amanti venne costruito un doppio gymnasium, in cui si svolgeva un festival annuale di atletica chiamato yolea.\n\nStoria e pratica.\nI legislatori tebani istituirono la pederastia come strumento in certo qual modo educativo per i cittadini: l'obiettivo era quello 'd'ammorbidire, mentre erano ancora giovani, la loro naturale ferocia e temprarne così i costumi'. Senofonte dice che 'è usanza tra i beoti che uomini e ragazzi vivano assieme come fossero persone sposate'. Quando il giovane giungeva all'età richiesta per svolgere il servizio militare (20 anni) il suo amante gli consegnava, come 'regalo d'addio', un'armatura completa.Un legislatore noto per il suo rapporto omoerotico fu un certo Filolao, corinzio di nascita ma che venne a stabilirsi a Tebe mantenendo la relazione omosessuale col proprio amante per la vita intera.Verso la fine del periodo classico della storia tebana, Gorgida, un famoso statista del suo tempo, formò un battaglione militare composto da 150 coppie di uomini con i loro giovani amanti, conosciuto col nome di battaglione sacro degli immortali. Questi guerrieri mantennero la loro fama di invincibilità fino a quando non caddero nella battaglia di Cheronea contro Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, nel 338 a.C. Costui rimase talmente impressionato dal valore dimostrato dagli amanti guerrieri da voler innalzare loro un tumulo ad imperitura memoria sul luogo del combattimento.\nFonti contemporanee, per lo più ateniesi, suggeriscono che la pederastia fosse più libera a Tebe rispetto alle altre polis greche e per lo più consideravano i tebani come 'bastardi beoti' per i loro modi alquanto 'ruvidi e contadineschi', da bifolchi.Nel Simposio di Platone, il personaggio di Pausania spiega che le regole vigenti a Tebe incoraggiano sempre i ragazzi a soddisfare sessualmente i propri amanti adulti. Moderni studi comparativi suggeriscono però che una tale visione estrema della pederastia tebana possa essere alquanto imprecisa, in quanto frutto di atteggiamenti xenofobi da parte degli scrittori ateniesi.Il poeta Pindaro risulta essere una delle poche fonti primarie riguardanti la pederastia tebana, in quanto lui stesso originario di Tebe. Questi la viene difatti a presentare in un modo un po' più convenzionale, in cui la ginnastica, l'atletica e l'espressione sessuale sono strettamente correlati. Allo stesso modo, i dipinti su ceramica sembrano mostrare una serie di pratiche del tutto simili a quelle che si possono osservare sui vasi ateniesi e corinzi.\n\nPersonaggi famosi.\nIl generale Epaminonda era, secondo Cornelio Nepote, in intimi rapporti con un ragazzo di nome Micitos. Plutarco cita i nomi di due altri suoi eromenos: Asopico, che combatte al suo fianco nella battaglia di Leuttra, e Capisdoros, che cadde assieme al comandante durante la battaglia di Mantinea e col quale venne sepolto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pegaso (mitologia).\n### Descrizione: Pegaso (pronuncia /ˈpɛɡazo/; in greco antico: Πήγασος?, Pḗgasos) è una figura della mitologia greca. È il più famoso dei cavalli alati. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato quando Perseo tagliò il collo di Medusa. Secondo un'altra versione, Pegaso sarebbe balzato direttamente fuori dal collo tagliato del mostro, insieme a Crisaore.\n\nMitologia.\nAnimale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all'Olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera. Dopo la morte dell'eroe, avvenuta per essere caduto da Pegaso, il cavallo alato ritorna tra gli dei.\nNella famosa gara di canto tra le Muse e le Pieridi, Pegaso aveva colpito con uno zoccolo il monte Elicona, che si era ingigantito fino a minacciare il cielo dopo aver udito il celestiale canto delle dee. Dal punto colpito dallo zoccolo di Pegaso nacque una sorgente, chiamata Ippocrene, o 'sorgente del cavallo' Nello stesso modo, Pegaso fece scaturire una sorgente a Trezene.\nTerminate le sue imprese, Pegaso prende il volo verso la parte più alta del cielo e si trasforma in una nube di stelle scintillanti che hanno formato una costellazione, tuttora chiamata Pegaso.\nCon il nome di Pegaso sono definite numerose figure mitologiche minori, tutte deformazioni del Pegaso greco. Nella letteratura latina, Plinio descrive come Pegasi degli uccelli dell'Etiopia con teste di cavallo. Sempre Plinio descrive sotto lo stesso nome un cavallo dotato di ali e corna. Per Gaio Giulio Solino e Pomponio Mela sarebbe invece un uccello con orecchie di cavallo.\n\nLa cattura di Pegaso.\nPolido disse a Bellerofonte che avrebbe avuto bisogno di Pegaso. Per ottenere i servizi del cavallo alato selvatico, Polido suggerì a Bellerofonte di dormire presso il tempio di Atena. Mentre Bellerofonte dormiva, sognò che Atena metteva una briglia d'oro accanto a lui, dicendo: «Dormi, principe della casa di Aiolo? Vieni, prendi questo incantesimo per il destriero e mostralo al Domatore tuo padre e come sacrificio ponigli un toro bianco». Quando si svegliò trovò effettivamente la briglia d'oro. Per catturarlo Bellerofonte avrebbe dovuto avvicinarsi a Pegaso mentre beveva da una fonte; Polido gli disse quale fonte, ossia quella di Pirene nella cittadella di Corinto, la città di nascita di Bellerofonte.\nAltri racconti dicono che Atena portò Pegaso già domato e imbrigliato, o che fu Poseidone come domatore di cavalli, segretamente il padre di Bellerofonte che gli portò Pegaso, come affermava Pausania.\n\nAlbero genealogico.\nSimbologia.\nL'idea di un cavallo alato è molto antica e proviene dall'Asia Minore. La vitalità e la forza del cavallo, unite alla capacità di volare e quindi di svincolarsi dal peso della gravità fanno di Pegaso un simbolo della vita spirituale del poeta e della sua ispirazione che si eleva indomabile, incurante di qualsiasi ostacolo terreno.\n\nPersonificazione dell'acqua.\nIl legame tra Pegaso e l'acqua è noto da molto tempo poiché alla fine del XII secolo, un mitografo del Vaticano assicura che il nome di Pegaso si applicava a tutti i fiumi perché evoca la velocità della corsa dei cavalli. Nel 1857, Louis-Ferdinand-Alfred Maury accostò Pegaso a 'una personificazione di acqua sorgiva che precipita e muore', come tutti i cavalli dell'antica Grecia. Gli antichi greci simboleggiano l'acqua e le fontane sotto l'emblema del cavallo, motivo per cui questo animale è dedicato a Poseidone che lo ha creato con il suo tridente. Il fulmine, cioè 'l'arma d'oro di Zeus', nasce, come Pegaso, dalle acque fluenti, rappresentate dal sangue di Medusa, e si precipita in cielo.Nel XX secolo, il Dizionario dei Simboli evidenzia questo legame tra Pegaso e l'acqua: il lampo e il tuono che trasporta per Zeus creano le tempeste, quindi la pioggia. È il figlio del dio del mare Poseidone, il suo nome è preso dalla parola 'fonte', è nato alle 'fonti dell'oceano', può creare fonti con uno zoccolo e viene catturato da Bellerofonte mentre beve alla fontana di Pirene (questo episodio presenta una relazione tra la fertilità e l'elevazione). Il libro conclude che è una 'fonte alata' e una 'nuvola che trasporta acqua fertile'.Carl Gustav Jung vede nello zoccolo del cavallo Pegaso 'il dispensatore del fluido fertile', che Jean-Paul Clébert interpreta come il sesso maschile, mentre il ferro di cavallo rappresenta a suo parere la vagina femminile. Il piede di Pegaso, creatore di fonti, avrebbe potuto essere un simbolo dell'atto riproduttivo, fonte di ogni vita.\nIn Le bestiaire divin, Jacques Duchaussoy vede nelle fonti create da Pegaso e dal cavallo Bayard un calcio alle 'fonti di conoscenza spirituale' che finiscono per diventare l'acqua pura destinata a dissetare il pellegrino o il viaggiatore lungo il cammino.\n\nAnalisi del mito di Bellerofonte.\nBellerofonte e Pegaso condividono un'origine comune poiché secondo Pindaro, Poseidone era il padre divino di Bellerofonte. Sono quindi fratellastri. Jacques Desautels aggiunge che l'associazione di Bellerofonte e Pegaso inizia con la storia delle Odi di Pindaro, vicino alla fonte di Pirene a Corinto, mentre l'eroe fa più tentativi per catturare il cavallo alato. Succede solo grazie alle briglie d'oro fornite da Atena.Nella versione della storia di Bellerofonte fornita dall'Iliade, Pegaso non è menzionato. Robert Graves presume tuttavia che l'eroe abbia adempiuto agli altri compiti imposti dopo la morte della Chimera con l'aiuto del cavallo alato. Quindi, secondo lui, Bellerofonte sconfigge le Amazzoni e i Solimi volando lontano sopra di loro, fuori dalla portata delle loro frecce e superando i molti proiettili. Per sconfiggere i pirati di Caria e la guardia reale licia, Bellerofonte non fa appello all'aiuto di Pegaso.\n\nPoseidone e Atena.\nUn altro punto che rileva Jacques Desautels sta nel rapporto tra le divinità Atena e Poseidone con il cavallo nella mitologia greca. Poseidone è associato all'epiteto hippio, 'equestre' o 'equestre', e condivide la sua imprevedibilità con il suo animale preferito che ha creato con un colpo di tridente (questo primo cavallo, apparso alla fondazione di Atene che viene facilmente confuso con Pegaso). È lui che rimane l'unico dio in grado di controllare e dominare i corrieri prima dell'invenzione del morso da parte della sua rivale, Atena, che porta l'epiteto 'al morso' e forse, quindi, sovrapposto a Pegaso. Pertanto, dopo aver donato il morso a Bellerofonte, la dea gli avrebbe chiesto di sacrificare il dio del mare per placarlo, prima di insegnargli l'arte di condurre un cavallo in guerra. La città di Corinto, dove si svolse l'addomesticamento di Pegaso da parte di Bellerofonte, era famosa per il culto di queste due divinità.\n\nAntiche fonti archeologiche.\nI più antichi cavalli alati rappresentati sembrano essere di origine orientale. Appaiono sui sigilli assiri nel XIII secolo a.C., ma in assenza di altri elementi, è impossibile sapere se hanno una qualche relazione con Pegaso. La prima rappresentazione attestata di Pegaso risale al VII secolo a.C.: è una lotta a terra contro la Chimera. Dalla metà del VII secolo a.C., Pegaso è rappresentato in volo, che rimane la regola fino al periodo arcaico, dove è spesso solo a combattere contro la Chimera. Nelle vecchie rappresentazioni può apparire senza ali, il che rende difficile l'identificazione. La sua iconografia potrebbe essere stata influenzata da quella di Ippogallo, creatura ibrida mezzo gallo e mezzo cavallo.Pegaso è rappresentato principalmente da solo, o accompagnato da Bellerofonte che combatte la Chimera, nel qual caso la più classica illustrazione mostra l'eroe in sella, brandendo una lancia di fronte al mostro. Una tradizione dell'era arcaica vuole che l'eroe scenda da cavallo prima di combattere. Troviamo rappresentazioni nell'antica arte greca mettendo in scena la lotta contro la Chimera. Pegaso è rappresentato anche accanto alle Muse, quando è nato da Medusa, catturato vicino alla fontana di Pirene o ancora abbeveratosi da quest'ultima. La Periegesi della Grecia di Pausania attesta che Pegaso era una figura ornamentale nell'antica arte: a Corinto, dove ne avevano reso un culto eroico di Bellerofonte, una statua dell'eroe e il cavallo Pegaso che decorava il tempio di Poseidone. 'La fontana più importante di Corinto' era un Bellerofonte posto vicino ad Artemide, montato su Pegaso, con l'acqua che usciva da uno zoccolo del cavallo.\nIl mito fu ripreso dai Romani che ne fecero delle aggiunte prima dell'ascesa del Cristianesimo, specialmente nel simbolismo psicopompico e nella sua associazione con l'imperatore Augusto. Il cavallo alato è anche l'emblema di diverse legioni romane come Legio II Adiutrix o Legio II Augusta.\n\nNell'arte.\nPerseo uccide Medusa sotto gli occhi di Atena, metopa da Selinunte, 540 a.C., Museo Archeologico di Palermo.\nLe statue gemelle di Pegaso sulla facciata della Stazione di Milano Centrale.\nIl Pegaso è stato spesso usato nel conio delle monete della Locri Epizephirii in Magna Grecia (300 a.C.)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pegee.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Pegee sono ninfe che vivono nelle sorgenti e le proteggono. Sono spesso considerati grandi zie degli dei fluviali (Potamoi), stabilendo così una relazione mitologica tra un fiume stesso e le sue sorgenti.\nIl nome sembra derivare dalla cascata di Pegea; le ninfe Pegee furono responsabili del rapimento di Ila nel bel mezzo della spedizione degli Argonauti: una delle ninfe lo prese e lo tirò verso l'acqua per baciarlo, trascinandolo poi nel fiume." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pelasgo.\n### Descrizione: Pelasgo (in greco antico: Πελασγός?, Pelasgós) è un personaggio della mitologia greca. È considerato il primo abitante dell'Arcadia ed uno dei primi re.\n\nGenealogia.\nÈ considerato un autoctono dell'Arcadia (oppure un figlio di Zeus e Niobe) ed è il padre di Licaone e di Temeno, avuti da Melibea o da Cillene o Deianira.\n\nMitologia.\nConsiderato il capostipite dei Pelasgi ed uno dei primi abitanti dell'Arcadia, fu anche la prima figura culturale ad introdurre l'utilizzo delle capanne, del vestiario fatto di pellicce di pecora e della nutrizione con foglie e radici, anziché mangiare le ghiande, come era consuetudine nei tempi antichi.\nPer questi motivi gli abitanti del luogo lo elessero re." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Peleiadi.\n### Descrizione: Nell'antica Grecia, le Peleiadi (colombe), erano le donne consacratesi a Zeus ed alla Dea Madre Dione presso l'Oracolo di Dodona.\nPindaro cantò delle Pleiadi chiamandole 'pelaiades', ovvero paragonando anch'esse ad uno stormo di colombe, ma la connessione sembra dovuta più all'uso di un arguto linguaggio poetico che all'esistenza di un'effettiva relazione sul piano mitologico. Anche il carro di Afrodite era tradizionalmente trainato da uno stormo di colombe.\nNel V secolo a.C. Erodoto sentì parlare di una leggenda relativa ad una colomba nera che avrebbe avuto a che fare con la fondazione dell'Oracolo di Dodona, ma potrebbe semplicemente trattarsi di un tentativo a posteriori di trovare una giustificazione etimologica per il nome di queste sacerdotesse, il cui significato originale era in effetti andato ormai perduto. È tuttavia possibile che la sillaba pel- presente nel nome fosse originariamente collegata con la radice che significa 'nero' od 'oscuro' in nomi come quelli di Peleo o Pelope." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Peleo.\n### Descrizione: Peleo (in greco antico: Πηλεύς?, Pēléus) è una figura della mitologia greca. Figlio di Eaco, re dell'isola di Egina, il quale era figlio di Zeus, e di Endeide, fu re di Ftia, in Tessaglia, e sposò una Antigone, poi Teti, che gli diede il famoso figlio Achille.\n\nMito.\nGiovinezza.\nPeleo e Telamone erano i fratellastri di Foco, a cui andavano le simpatie del padre Eaco, a causa della sua bellezza e della sua bravura nelle gare atletiche.\nEndeide, temendo che il re scegliesse Foco come erede al trono, convinse i figli ad ucciderlo. Costoro sfidarono quindi Foco a una gara di pentathlon, e il giovane fu colpito a morte da un disco lanciato da Telamone. I due nascosero il corpo di Foco in un bosco, ma Eaco lo trovò e cacciò i fratricidi da Egina. Peleo e Telamone dovettero subire lunghe persecuzioni a causa del loro delitto.\nSecondo Diodoro Siculo e Pausania, invece, il disco che uccide Foco fu lanciato da Peleo, ma per il primo il colpo è accidentale, per il secondo intenzionale.\n\nEsilio.\nTelamone si rifugiò a Salamina e Peleo riparò presso Attore, re di Ftia, il cui figlio, Euritione, lo purificò dall'empio fratricidio (Secondo altre fonti, fu lo stesso Attore a purificare Peleo e gli diede in matrimonio sua figlia Polimela). In seguito sposò Antigone, figlia del re.\nDurante la caccia al cinghiale calidonio, Peleo colpì accidentalmente Euritione uccidendolo. Costretto nuovamente a fuggire arrivò a Iolco e si rifugiò presso il re Acasto. Qui la regina Astidamia si innamorò di Peleo, che però la respinse. Per vendicarsi la donna lo accusò di averla sedotta. Acasto allora lo invitò a caccia presso il monte Pelio, frequentato dai centauri, e, mentre Peleo dormiva, gli sottrasse la spada. Una volta svegliatosi, Peleo si ritrovò disarmato di fronte ai mostri, ma grazie all'intervento di Ermes inviato da Zeus (o di Chirone secondo altre versioni), il quale gli consegnò una spada con poteri divini, riuscì a fuggire. Tornato in città, si vendicò assassinando Acasto e la moglie.\n\nNozze con Teti.\nDopo aver sposato Antigone, figlia di Attore, ed aver partecipato alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, conobbe una nereide di nome Teti (o Tetide). Il loro matrimonio fu celebrato con solennità alla presenza di tutti gli dei, tranne Eris. La dea della discordia, infuriata per essere stata esclusa, intervenne alle nozze lasciando il pomo d'oro, oggetto del giudizio di Paride e origine della guerra di Troia.\n\nDa Teti ebbe sette figli, tra cui Achille. Teti ustionò le parti mortali dei suoi sei figli, li rese immortali e li fece ascendere all'Olimpo uno dopo l'altro. Peleo si intromise quando Teti operò il rito magico sul settimo, rendendo il suo corpo immortale, salvo il tallone, ponendolo sul fuoco e ricoprendolo di ambrosia. L'osso del tallone, leggermente ustionato, non subì la parte finale del rituale. Sdegnata, Teti respinse Peleo e fece ritorno alla sua dimora marina, dando al figlio il nome 'Achille', perché non aveva posato le labbra sul suo seno. Peleo, (secondo altre versioni il centauro Chirone), s'accinse a sostituire l'osso del bambino con quello tratto dallo scheletro del velocissimo gigante Damiso, ma il tallone si rivelò in seguito l'unico punto vulnerabile attraverso cui sarà privato all'affetto del padre.\nLe nozze di Peleo con Tetide sono state un tema figurativo interessante e frequente della iconografia greca. Crateri, coppe e vasi in ceramica sparsi nei vari musei del mondo celebrano questo evento. Un cratere a calice proveniente da Spina, ora al Museo archeologico di Ferrara, e in cui viene raffigurata una scena di questo matrimonio, ha dato il nome a un pittore vascolare della II metà del V secolo a.C., conosciuto appunto come Pittore di Peleo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pelia.\n### Descrizione: Pelia (in greco antico: Πελίας?, Pelíās) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Poseidone e di Tiro e fratello gemello di Neleo.\nSposò Anassibia e da lei ebbe i figli Acasto, Alcesti, Anfinome, Antinoe, Evadne, Hippothoe, Pisidice, Pelopia e Sterope.\n\nMitologia.\nAncora neonato, venne abbandonato con suo fratello su una montagna dalla madre Tiro spaventata dalle angherie della matrigna Sidero. Allevato da un pastore e divenuto adulto, volle vendicarsi della crudeltà subita e uccise Sidero presso l'altare del tempio di Era dove si era rifugiata.\nNeleo lo scacciò a causa del sacrilegio e Pelia si stabilì in Tessaglia, dove divenne re di Iolco.\nUn giorno indisse dei giochi in onore di Poseidone ai quali invitò anche Giasone. Questi arrivò in città senza un calzare, perso attraversando un fiume. Pelia, ricordandosi d'una profezia in cui si dice di diffidare dell'uomo dal piede scalzo, lo inviò alla ricerca del vello d'oro, con l'intento di sbarazzarsi di lui.\nNel frattempo Pelia uccise il proprio fratellastro Esone (padre di Giasone), per consolidare il proprio potere nel regno.\n\nL'assassinio di Pelia.\nGiasone riuscì nell'impresa di tornare in patria con il vello d'oro e con l'aiuto della moglie Medea, trovò il modo di uccidere Pelia. Entrata a Iolco mentre gli Argonauti erano ancora al largo del porto, Medea si presentò a palazzo sotto mentite spoglie, come vecchia mendicante, dopodiché, una volta accolta, cambiò magicamente aspetto e si mostrò qual era in realtà, una giovane e bellissima donna. Poi, rivelatasi come se fosse una maga, mostrò a Pelia un metodo per ringiovanire magicamente e prese un ariete, lo fece a pezzi e lo mise in un pentolone bollente da cui uscì un agnello.\nPelia entusiasta volle sottoporsi allo stesso trattamento. Medea lo fece addormentare e convinse quindi le figlie presenti al palazzo, Evadne e Anfinome, a farlo a pezzi e metterlo a bollire nel calderone. Queste convinte eseguirono risolutamente la procedura; una volta fatto a pezzi Pelia, Medea disse loro di andare in cima al palazzo a invocare la divinità agitando delle fiaccole, per propiziare il buon esito dell'incantesimo. Questo gesto servì in realtà come segnale per Giasone, che aspettava ancora al largo, che la nave potesse entrare in porto, perché Pelia era morto. Medea infatti fece in modo che Pelia non resuscitasse.\nAcasto sostituì il padre Pelia sul trono, organizzò in suo onore dei giochi ginnici e bandì Giasone e Medea, nonché le sorelle parricide da Iolco.\nLa vicenda di Neleo, Pelia e Tiro è alla base di un'opera letteraria latina di cui non ci restano che pochi frammenti, il Carmen Nelei." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pelope.\n### Descrizione: Pelope (in greco antico: Πέλοψ?, Pèlops) è una figura della mitologia greca. Egli era figlio di Tantalo e Dione. Il suo dominio si estese a tutta la penisola greca, che da lui prese il nome di Peloponneso (Πέλοπος Pélopos + νῆσο�� nḕsos, l'isola di Pelope); egli fu, inoltre, fondatore dei giochi olimpici e signore della città greca di Pisa.\n\nIl mito.\nLe origini.\nTantalo, figlio di Zeus, per provare l'onniscienza degli dei li invitò a un banchetto in cui offrì loro le carni del giovane figlio Pelope. Essendosi accorti del macabro inganno, tutti i celesti allontanarono i piatti, eccetto Demetra che, sconvolta dalla perdita della figlia Persefone, non vi badò e si cibò di una spalla. Dopo aver punito Tantalo – condannandolo ad avere per sempre nel Tartaro una fame e una sete impossibili da placare – gli dei resuscitarono Pelope, fornendogli una spalla d'avorio, creata da Efesto. Secondo altri autori Pelope era nato con quella malformazione e dopo essere stato assassinato, Rea, la divinità della terra gli diede con un soffio nuovamente la vita. Secondo un'altra versione, al banchetto indetto dal padre Tantalo, al quale partecipavano anche gli dei, Poseidone vedendo Pelope se ne innamorò, portandolo con sé sull'Olimpo. A causa della colpa del padre venne però rispedito sulla terra.\n\nLa gara.\nPelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia, dove governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione di barbari, intraprese un viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao. Questi, re di Pisa (in Elide) e figlio del dio Ares, non aveva mai acconsentito a concedere la mano della figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano del proprio genero. Enomao possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice), perciò, sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero sposato Ippodamia; in caso contrario sarebbero stati uccisi. Già tredici giovani avevano perso la vita (Pausania elenca diciotto nomi). Quando Pelope arrivò a Pisa con un carro leggerissimo munito di cavalli alati datigli da Poseidone, vide Ippodamia e se ne innamorò.\nTerrorizzato però dalla vista delle teste inchiodate alle porte del palazzo d'Enomao e mozzate agli sfortunati pretendenti, decise di vincere la gara slealmente: corruppe Mirtilo (figlio di Hermes, auriga del sovrano e anch'egli infatuato di Ippodamia), promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli avrebbe permesso di passare una notte con la principessa.\nMirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i perni degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera; durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò e Enomao morì. Successivamente Pelope, certamente geloso dell'amore d'Ippodamia, annegò l'auriga che, in punto di morte e invocando Ermes, maledisse l'usurpatore e tutta la sua discendenza. Pelope, diventato re, accumulò sì ricchezze e onori ma fu causa della rovina dei suoi figli (Atreo e Tieste) e della sua intera stirpe; e questo nonostante avesse tentato di procurarsi i favori di Zeus istituendo le Olimpiadi. L'auriga di Pelope era Cilla.\n\nI figli di Pelope.\nPer placare l'ira di Hermes, Pelope eresse subito un tempio per onorarlo e, tentando di soffocare il rimorso della propria coscienza tributò onori eroici a Mirtilo, dando onori anche ai tanti morti che avevano sfidato Enomao e avevano perso.\nDalla moglie Ippodamia ebbe venti figli, tra cui Pitteo, Alcatoo, Atreo, Tieste, Ippalco, Copreo, Scirone, Trezene, Ippalcimo, Cleonte e Lisidice.\nDalla ninfa Astioche ebbe invece Crisippo.\n\nIl culto di Pelope.\nLe sue ossa sono conservate in un santuario del Peloponneso; il suo culto fu praticato a lungo, venendogli ogni anno sacrificato un ariete nero; inoltre i giovani partecipanti al rito si flagellavano offrendo a Pelope il proprio sangue.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nIl mito di Pelope riassume in sé diversi leit-motiv della mitologia classica. Per evidenziarne solo alcuni: il mondo dei semidei (cui suo padre appartenne) che vive in maniera congiunta tra uomini e immortali, l'amore pederastico tra una divinità e un fanciullo (per la variante che include l'infatuazione di Poseidone: cf. Ganimede), la colpa da espiare, e infine, che è poi il nodo centrale della storia e il motivo per il quale l'eroe era ricordato nella Grecia antica, la fondazione delle corse equestri e, per antonomasia, dei giochi stessi di Olimpia.\nNella iconografia classica Pelope è raffigurato sempre in relazione alla gara sul carro, qualche volta in compagnia di Ippodamia. Una sua statua a Olimpia, nel tempio di Zeus, lo presentava nudo mentre si accingeva a gareggiare. Una sua effigie era posta anche sul frontone del suddetto tempio.\nLa spalla d'avorio era in realtà il simbolo della sua regalità, tanto che successivamente venne identificata con uno scettro usato dai discendenti di Pelope, sino a Agamennone.Pelope viene chiamato nei miti anche Cromio e si presuppone che sia il progenitore di tutti gli Achei." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Peneleo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Peneleo o Penelo (in greco antico: Πηνελέως?, Pēneléōs), figlio di Ippalcimo, era uno degli Argonauti, che in seguito prese parte alla guerra di Troia, come comandante dei Beoti. Compare sia nell'Iliade sia nell'Eneide.\n\nIl mito.\nGli Argonauti.\nQuando Giasone, incaricato del recupero del vello d'oro, inviò gli araldi a chiedere aiuto a tutti gli eroi dell'epoca, per salpare con lui con la nave Argo per la Colchide, uno degli eroi che risposero all'appello fu il prode Peneleo. Egli non si distinse nelle varie avventure, ma riuscì a finirle in vita, ritornando vittorioso.\n\nLa reggenza di Tebe e la guerra di Troia.\nAlla morte del re Tebe Tersandro, ucciso da Telefo, il comando di tutte le truppe beote passò nelle mani di Peneleo, in quanto reggente del giovane Tisameno, figlio di Tersandro. Essendo stato tra i pretendenti alla mano di Elena, Peneleo partecipò all'assedio di Troia dopo che la donna venne rapita dal principe troiano Paride. Nei combattimenti egli si distinse uccidendo barbaramente Ilioneo e Licone; venne poi gravemente ferito da Polidamante. Durante la presa di Troia, Peneleo colpì a morte il giovane principe frigio Corebo, e il figlio di Telefo, Euripilo; secondo altre tradizioni, fu ucciso da quest'ultimo.\n\nDiscendenza.\nPeneleo ebbe per figlio Ofelte, e il figlio di quest'ultimo, Damasittone, divenne re di Tebe.\n\nOpere antiche.\nIgino, Fabulae.\nOmero, Iliade.\nVirgilio, Eneide.\nOvidio, Metamorfosi.\nPseudo-Apollodoro, Libro III.\nDiodoro Siculo, Libro IV.\nPausania, Libro IX." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Penelope.\n### Descrizione: Penelope (in greco antico: Πηνελόπεια, -ας?, Pēnelópeia, -as, poi Πηνελόπη, -ης; in latino Pēnĕlŏpe, -es) è una figura della mitologia greca, figlia di Icario e di Policaste (o di Peribea), moglie di Ulisse (Odisseo), regina di Itaca, madre di Telemaco, Poliporte e Arcesilao. Discendeva da parte di padre dal grande eroe Perseo (Icario era suo nipote) ed era cugina di Elena. Prende il nome da un mito riguardante la sua infanzia: quando nacque fu gettata in mare per ordine del padre e venne salvata da alcune anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la spiaggia più vicina. Dopo questo evento, i genitori la ripresero con loro e le diedero il nome di Penelope (che significa appunto 'anatra'). Tuttavia per alcuni il nome è connesso all'evento della tela che la vide protagonista nell'Odissea (dal gr. pēné, tela).\nAttese per vent'anni il ritorno di Ulisse, partito per la guerra di Troia e disperso nel ritorno, crescendo da sola il piccolo Telemaco e evitando di scegliere uno tra i proci, nobili pretendenti alla sua mano, anche grazie al famoso stratagemma della tela: di giorno tesseva il sudario per Laerte, padre di Ulisse, mentre di notte lo disfaceva. Avendo promesso ai Proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro, rimandava all'infinito il momento della scelta. L'astuzia di Penelope, tuttavia, durò meno di quattro anni a causa di un'ancella traditrice che riferì ai proci l'inganno della regina. Alla fine, Ulisse tornò, uccise i proci e si ricongiunse con la moglie. Tornato nuovamente a casa dopo l'estremo viaggio, Ulisse poté nuovamente godere della moglie e secondo una versione la rese incinta di altri due figli: Poliporte e Arcesilao.\nNella Telegonia, opera che concludeva il ciclo troiano di cui sono rimasti pochissimi versi ed il riassunto in Proclo, Penelope, dopo la morte di Odisseo per mano di Telegono (figlio di Odisseo e Circe, che non lo aveva riconosciuto), sposa Telegono, mentre Telemaco sposa Circe.\n\nLa simbologia di Penelope.\nPenelope è il simbolo per antonomasia della fedeltà coniugale femminile, contrapposta ad Elena di Troia. La sua astuzia con i Proci e la sua prudenza, che si spinge fino a tentare di ingannare Ulisse su una particolare caratteristica del letto nuziale, ne fa una degna compagna dell'eroe prediletto da Atena. La posizione anomala di potere di Penelope, che governa da regina l'isola di Itaca in assenza del marito e ha il potere di scegliersi il nuovo sposo tra i giovani e nobili pretendenti, è l'eco di un antico matriarcato, di cui restano tracce anche nella civiltà minoica.\n\nLa tela di Penelope.\nLa tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, creato da Penelope, che per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il sudario di Laerte, padre di Ulisse. Per impedire che ciò accadesse la notte disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Tutt'oggi si cita la tela di Penelope per riferirsi ad un lavoro buono nelle intenzioni ma 'impossibile', che non potrà mai avere termine perché ogni volta ricomincia dall'inizio.\n\nPareri secondari.\nNon tutte le versioni sostengono la castità e la fedeltà di Penelope verso il marito; secondo alcune leggende la donna amò il dio Ermes, con il quale condivise il suo letto e dal quale fu addirittura resa incinta, concependo il dio Pan; un'altra versione sostiene invece che cedette al proco Anfinomo.\nNella stessa Odissea, infatti, Penelope ha un comportamento ambiguo nei confronti dei proci: secondo un'interpretazione, desiderosa di risposarsi non prende questa decisione perché teme il giudizio del popolo. Nell'epitome della Biblioteca di Apollodoro è riportato che Ulisse, tornato in possesso di Itaca, rispedisce la moglie dal padre Icario perché si era fatta sedurre da Antinoo, uno dei proci.\n\nInfluenza culturale.\nPer Dante Alighieri neppure l'amore di Penelope trattenne Ulisse dal folle viaggio oltre le colonne d'Ercole, descritto nel famoso canto dell'Inferno nella Divina Commedia. Boccaccio non crede alle sue infedeltà e la inserisce tra le donne famose nel suo De mulieribus claris.\nA Penelope è intitolato il cratere Penelope su Teti." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Peone (divinità).\n### Descrizione: Peone. Antica divinità greca, il cui nome compare già nei testi micenei in lineare B; nella mitologia greca divenne il medico degli dei dell'Olimpo e fu identificato con Apollo o Asclepio. Nel canto V dell’Iliade curò Ade, attaccato da Eracle, e le ferite di Ares procurategli da Diomede. Secondo Plinio, è il creatore del fiore di Peonia, una pianta in grado di curare gravi ferite e malattie." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Periclimeno (argonauta).\n### Descrizione: Periclimeno (in greco Περικλύμενος?) è un personaggio della letteratura greca antica.\nCompare nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, come partecipe della spedizione argonautica alla ricerca del vello d'oro.\n\nNella mitologia.\nPericlimeno, figlio di Neleo e di Clori, aveva ricevuto da Poseidone la capacità di assumere la forma di qualsiasi animale.\nQuando Eracle devastò Pilo, Periclimeno si trasformò in un'ape, in una formica, in una mosca, in un montone, in un serpente ed infine in un'aquila per sfuggire alla sua ira, ma lui lo colpì con una freccia e lo uccise.Secondo Pausania tra i suoi discendenti ci sono Ergino e Pentilo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Periclimeno (tebano).\n### Descrizione: Periclimeno (in greco Περικλύμενος, Periklimenos) era un personaggio della mitologia greca che partecipò alla guerra dei Sette contro Tebe.\nFu lui, secondo alcune fonti, ad uccidere Partenopeo. Inseguì inoltre Anfiarao che però, per volere di Zeus, fu inghiottito dalla terra." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Perifante (re dell'Attica).\n### Descrizione: Perifante (in greco antico: Περίφᾱς?, Períphās) è un personaggio della mitologia greca, un leggendario re dell'Attica che Zeus trasformò in un'aquila.\n\nMitologia.\nOltre a un riferimento di passaggio nelle Metamorfosi di Ovidio, l'unica fonte conosciuta per questa storia è del II secolo d.C. oppure nelle successive Metamorfosi di Antonino Liberale.\nUn tempo prima di Cecrope, che per la tradizione fu il primo re di Atene, dalla terra nacque autoctono Perifante che regnò sull'Attica.\nEra un sacerdote devoto ad Apollo ed al quale faceva molti sacrifici. Era un re giusto ed al di sopra di ogni rimprovero, il suo governo era accettato di buon grado da tutti ed i suoi giudizi onesti erano sempre numerosi.\nEra così amato dal suo popolo che cominciarono a tributargli gli onori che di solito appartenevano solo a Zeus, e costruirono templi dedicati a lui ed a chiamarlo 'Zeus Salvatore' o 'Sovrintendente di Tutti' ed anche 'Grazioso', ma tutto questo fece arrabbiare il dio Zeus.\nZeus era determinato a colpire Perifante con un fulmine ed a divorarlo nel fuoco con tutta la sua casa, ma poiché Perifante era stato così fedele, Apollo intervenne in sua difesa e Zeus fu d'accordo.\nCosì Zeus non lo uccise ma scese nella sua casa e trovandolo assieme alla moglie Fene lo trasformò in un'aquila mentre a lei, che lo supplicò di potergli stare ancora vicino, la tramutò in un avvoltoio.\nE Zeus fece di Perifante il re di tutti gli uccelli e lo mise a guardia del suo sacro scettro, mentre a Fene, l'avvoltoio, concesse di diventare un buon auspicio per gli uomini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Perifete (figlio di Anticlea).\n### Descrizione: Perifete è un personaggio della mitologia greca, figlio di Efesto o di Poseidone e di Anticlea. Era anche detto Corunete per la sua grossa clava di bronzo che utilizzava per uccidere le sue vittime, che il più delle volte aggrediva alle spalle.\nNei dintorni di Epidauro incontra Teseo, che lo uccide con la sua stessa clava che poi conserverà e diventerà anche una delle sue armi preferite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Perifete (guerriero troiano).\n### Descrizione: Perifete, (in greco Περιφήτης), personaggio dell'Iliade (XIV, v. 515), fu un guerriero troiano.\nPerifete fu ucciso da Teucro nell'azione bellica descritta nel libro XIV dell'Iliade relativo all'Inganno a Zeus." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Perito (leggenda).\n### Descrizione: I pèriti sono creature immaginarie descritte da Jorge Luis Borges come abitanti di Atlantide dall'aspetto di grandi uccelli dal piumaggio verde scuro (o azzurro) con la testa di cervo.\nQuando si mettono alla luce del sole, però, non proiettano quella che dovrebbe essere la loro ombra, ma quella di un essere umano. Per questo motivo si pensava che i pèriti fossero le anime di uomini morti senza la protezione degli dei. Per riacquistare il favore divino uccidono un uomo ciascuno, riacquistando la propria vera ombra, e si rotolano nel sangue della vittima per poi fuggire in alto. A volte si nutrono di terra secca e sono soliti volare a stormi.\nSecondo Borges, che dedica loro una voce del suo Manuale di zoologia fantastica, avrebbero un giorno distrutto i Romani stando a un perduto oracolo della Sibilla Eritrea (non riportato nei Libri sibillini); inoltre, sempre secondo Borges, sarebbero stati descritti da un autore arabo la cui opera bruciò nell'incendio della Biblioteca di Alessandria e da 'un rabbino di Fez (indubbiamente Aaron ben Chaim)', che avrebbe citato il primo in un documento conservato all'università di Monaco e poi distrutto 'in un bombardamento o per via dei nazisti'.\nIl termine è del tutto sconosciuto nelle fonti dell'antichità classica e, sulla base delle sue caratteristiche morfologiche e tematiche, si dovrebbe concludere che, se non si tratta di un'invenzione totalmente moderna, non ha comunque un'origine più antica del periodo medievale.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Perito." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Persefone.\n### Descrizione: Persefone (in greco antico: Περσεφόνη?, Persephónē), detta anche Kore (Κόρη, giovinetta), Kora, o Core, è una figura della mitologia greca, fondamentale nei Misteri eleusini, entrata in quella romana come Proserpina. Essendo la sposa di Ade, era la dea minore degli Inferi e regina dell'oltretomba.\nSecondo il mito principale, nei sei mesi dell'anno (Autunno e Inverno) che passava nel regno dei morti, Persefone svolgeva la stessa funzione del suo consorte Ade, cioè governare su tutto l'oltretomba; negli altri sei mesi (Primavera ed Estate) ella andava sulla Terra da sua madre Demetra, facendo rifiorire la terra al suo passaggio.\n\nIl mito di Persefone.\nPersefone era figlia di Demetra e Zeus, o, secondo un'altra leggenda, di Zeus e della dea omonima del fiume infernale Stige. Venne rapita da Ade, dio dell'oltretomba (la tradizione associa diverse località al rapimento: Eleusi, Ermione, Feneo, Cnosso, Hipponion (Vibo Valentia), Enna e Siracusa). Mentre raccoglieva dei fiori nella piana di Nysa insieme alle sue compagne, figlie di Oceano, dal prato fiorito spuntò un narciso di straordinaria bellezza. Persefone, immersa in un sacro stupore (θαμβήσας), protese le mani per raccogliere il meraviglioso fiore. Dalla base del narciso si aprì una voragine da cui emerse il re dei morti, Ade, che la portò via negli inferi per sposarla, ancora fanciulla, contro la sua volontà. Una volta negli inferi le venne offerta della frutta: ella mangiò senza appetito solo sei arili di melagrana. Ignorava però che chi mangia i frutti degli inferi è costretto a rimanervi per l'eternità.\nIl significato del melograno può certamente rimandare al matrimonio e alla fertilità. Secondo altre interpretazioni, il frutto che nel mito stabilisce il contatto con il regno dell'oltretomba non è il melograno ma, a causa delle sue virtù narcotiche e psicotrope, l'oppio, la cui capsula, a parte le minori dimensioni, è straordinariamente simile proprio al frutto del melograno.\n\nLa ricerca di Demetra e il ritorno (periodico) di Persefone.\nLa madre Demetra, dea della fertilità e dell'agricoltura, che prima di questo episodio procurava agli uomini interi anni di bel tempo e di raccolti, reagì disperata al rapimento, impedendo la crescita delle messi, scatenando un inverno duro che sembrava non avere mai fine. Furente nei confronti di Zeus, Demetra rifiutò quindi di tornare sull'Olimpo e, trasformatasi in una vecchia, si recò a Eleusi in Attica, dove venne accolta dal re Celeo.\nCon l'intervento di Zeus si arrivò a un accordo, per cui, visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno. Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra. Demetra allora accoglieva con gioia il periodico ritorno di Persefone sulla Terra, facendo rifiorire la natura in primavera e in estate.\nSe si suppone che Persefone sia rimasta con Ade per quattro mesi e con Demetra per otto mesi, corrispondenti agli otto mesi di crescita e abbondanza per essere seguiti da quattro mesi di assenza di produttività, si può vedere il parallelo con il clima mediterraneo dell'antica Grecia. I quattro mesi durante i quali Persefone è con Ade corrispondono alla secca estate greca, un periodo durante il quale le piante sono minacciate di siccità. All'inizio dell'autunno, quando i semi sono piantati, Persefone ritorna dagli inferi e si riunisce con sua madre, e il ciclo di crescita ricomincia.\n\nQuesta lettura del rituale, tuttavia, non quadra con il documento centrale di fondazione del mistero, l'Inno omerico a Demetra, verso 415, in cui si dice esplicitamente che Persefone ritorna nella primavera dell'anno, non nella caduta: «Questo fu il giorno [del ritorno di Persefone], proprio all'inizio della generosa primavera.».\nLa rappresentazione del suo ritorno in terra era locata presso i prati di Enna (in Sicilia), celebri per i fiori dai colori sgargianti e per la loro bellezza. Un elemento supplementare della vicenda consiste nel fatto che Demetra non seppe che la figlia aveva mangiato il melograno, finché non fu un giardiniere dell'Oltretomba, Ascalafo, a rivelarlo: vuoi che Persefone avesse mangiato di sua volontà, vuoi che fosse stata persuasa da Ade, in questo modo Demetra perse la possibilità di avere la figlia con sé tutto il tempo, e castigò Ascalafo trasformandolo in un barbagianni.\nPersefone contese ad Afrodite il bell'Adone, riuscendo a trascinare la questione fin davanti a Zeus che preferì, per non scontentare nessuno, affidarlo separatamente a entrambe, in modo simile alla permanenza di Persefone stessa che era divisa fra gli dei dell'Olimpo e l'Ade.\nUna tradizione diversa faceva di Persefone una figlia di Zeus e di Stige. Fu generata dal dio dopo la sconfitta dei Titani, avvenuta durante la Titanomachia.\nNella mitologia romana a Persefone corrispondeva Proserpina e a sua madre Demetra la dea Cerere, al cui culto era preposto un flamine minore.\nVi sono comunque altre versioni della leggenda. Secondo una di queste è Ecate a salvare Persefone. Una delle più diffuse dice che Persefone non fu indotta a mangiare i sei semi con l'inganno, ma lo fece volontariamente perché si era affezionata ad Ade.\nIl mito di Persefone trae alcuni suoi elementi dalla mitologia mesopotamica, riassunti ne la Discesa di Inanna negli Inferi. In tale opera Inanna, recatasi nel Kurnugea (gli inferi sumeri) per recare le condoglianze alla sorella Ereshkigal, vi rimane intrappolata. Grazie a un sotterfugio riesce a tornare in superficie ma, in un momento d'ira nel trovare Dumuzi, il suo compagno, intento a oziare e non a preoccuparsi per la sua assenza, lo condanna a prendere il suo posto. Dumuzi riesce a fuggire dalla sorella Geshtinanna la quale si offre per passare sei mesi dell'anno negli inferi al posto suo. Dato che Dumizil e Geshtinanna erano considerati le divinità del malto e della vite, il mito spiega l'alternanza delle stagioni e fa riferimento ai diversi periodi di raccolta e produzione rispettivamente della birra e del vino.\n\nFigli di Persefone.\nNella tradizione orfica e in quella dei misteri eleusini, Persefone è madre di alcuni figli, in genere avuti da Zeus, ma in qualche caso anche dal marito Ade (da notare che le due divinità nella tradizione orfica venivano assimilate); in tali tradizioni i figli di Persefone sono Dioniso, Iacco, Melinoe, Zagreo, e in alcune versioni Pluto e le Erinni.\n\nCulto in Italia.\nIl maggiore culto nel mondo greco fuori dalla Grecia continentale era localizzato a Catania, come testimoniato da Cicerone nelle Verrine, e in Calabria.Nel centro storico di Catania è venuto alla luce il più esteso deposito votivo greco esistente. Nel quartiere di Cibali, a nord della città, era presente una grotta da cui si diceva che fosse fuoriuscito il dio Ade per rapire la fanciulla Persefone. Tale cavità, talora identificata con la Grotta di San Giovanni nel quartiere di Galermo, è andata perduta.\nIl mito di Demetra e Kore è strettamente legato al territorio di Enna e in particolare alla sua frazione del lago Pergusa. Diversi santuari di notevole importanza sono stati ritrovati all'interno dell'area archeologica di Morgantina, sita in Aidone, mentre a Enna si può ammirare la 'Rocca di Cerere'.Testimonianze magno-greche del culto dedicato a Persefone sono, senza dubbio, i molti reperti rinvenuti nell'area di Reggio Calabria, soprattutto presso gli scavi di Locri Epizefiri, dei quali uno smisurato numero di pinakes (tavolette votive in terracotta) è custodito al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e nel Museo nazionale di Locri.\nI pinakes calabresi di Locri Epizefiri rappresentano una delle produzioni artistiche numericamente più consistenti dell'arte magnogreca, nonché una testimonianza unica di un complesso di devozione popolare. La produzione di un numero così cospicuo di esemplari in un torno di tempo piuttosto limitato lascia supporre che i pinakes costituissero il dono prediletto dei fedeli alla divinità.\nIl soggetto più ricorrente tra i frammenti conservati è proprio il ratto di Kore. Kore, “la fanciulla”, è l'epiteto che i poeti greci riservano a Persefone quando costei è ancora la giovane e innocente figlia di Demetra, prima che Ade la rapisca facendone la propria sposa. Le tavolette di Locri riproducono uno schema grossomodo fisso a cui ricorrono centinaia di rappresentazioni figurative greche: Ade, rappresentato come un uomo adulto dalla lunga barba, afferra per la vita la fanciulla riluttante caricandola di peso sul suo carro trainato da cavalli alati.\nBen altra atmosfera domina un altro consistente gruppo di pinakes, in cui la coppia divina siede in trono pacificata e celebra la propria hierogamia, le proprie nozze sacre. Talvolta la dea è raffigurata da sola, seduta in trono in atteggiamento maestoso, segno della sua preminenza nella devozione dei locresi.\nPiù discussa è invece la natura delle scene raffigurate negli altri gruppi. Un nucleo consistente di tavolette ha per soggetto delle giovani donne impegnate nella preparazione di un complesso cerimoniale; mentre un gruppo apparentemente a sé stante è poi quello costituito dai pinakes in cui una figura femminile seduta solleva il coperchio di una cesta nella quale giace un bambino. L'archeologa Paola Zancani Montuoro identifica la protagonista di questa scena con la stessa Persefone e colloca i pinakes di questo gruppo all'ideale punto di arrivo di un racconto mitico di cui le singole scene riprodurrebbero le diverse sequenze. Secondo la studiosa, infatti, i pinakes locresi costituiscono un ciclo unitario che narra la leggenda di Kore-Persefone, “che si compendia nel trasformarsi della fanciulla per antonomasia nella donna e dea sovrana del mondo sconosciuto ai sensi”. La violenza del ratto sarebbe dunque preliminare, attraverso il passaggio per le cerimonie di preparazione alle nozze, al compimento della theogamia e all'insediamento di Persefone sul trono degli inferi.Secondo lo storico Diodoro Siculo, uno dei più famosi santuari d'Italia dedicato alla dea Persefone, il Persephoneion, si trovava proprio in Calabria, a Locri Epizefiri. La sua scoperta e la conseguente collocazione ai piedi del colle della Mannella si devono all'archeologo Paolo Orsi che portò a compimento nella zona, tra il 1908 ed il 1911, una minuziosa serie di scavi ed esplorazioni che gli permisero di fugare ogni possibile dubbio sulla reale origine delle strutture e degli straordinari reperti riportati alla luce. Si tratta propriamente di un temenos, ovvero di un recinto sacro senza un vero e proprio edificio templare, frequentato almeno dal VII secolo a.C. e con particolare intensità nel VI secolo a.C. e nella prima metà del V secolo a.C. A questo lasso di tempo appartiene infatti la maggior parte dei materiali votivi restituiti dagli scavi.\nLa magnifica Statua di Persefone esposta oggi all'Altes Museum di Berlino, fu rinvenuta a Taranto, in Via Duca degli Abruzzi (n. 73), e dalla città trafugata nel 1912. Secondo alcuni studiosi, tra cui l'archeologo Paolo Orsi, il professore Vincenzo Casagrandi e gli scrittori Gaudio Incorpora, Adriano Scarmozzino e Giuseppe Macrì, sarebbe stata invece ritrovata, per la prima volta, nei primi del '900 da un contadino in una vigna del territorio di Locri, in Calabria, e in seguito fu segretamente trasportata a Taranto. A Taranto, dopo varie vicissitudini, fu acquistata dal Governo tedesco per un milione di marchi.\nUn'ulteriore testimonianza del culto di Persefone ci viene da Oria, dove fu presente e attivo dal VI secolo a.C. fino all'età romana, un importante santuario (oggi sito presso Monte Papalucio), dedicato alle divinità Demetra e Persefone. Qui vi si svolgevano culti in grotta legati alla fertilità. Gli scavi archeologici svolti negli anni ottanta, infatti, hanno evidenziato numerosi resti composti di maialini (legati alle due divinità) e di melograno. Inoltre, a sottolineare l'importanza del santuario, sono state rinvenute monete di gran parte della Magna Grecia, e migliaia di vasi accumulatisi nel corso dei secoli come deposito votivo lungo il fianco della collina. Di particolare interesse sono alcuni vasetti miniaturistici e alcune statuette raffiguranti colombe e maialini sacri alle due divinità cui era dedicato il luogo di culto.\nAltri esempi di ritrovamenti della Kore si hanno a Gela, una delle colonie greche di Sicilia. Diversi reperti sono custoditi presso il Museo archeologico regionale.\n\nNell'arte, letteratura e musica.\nIl pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti dipinse Persefone in diversi quadri, uno dei quali è assai celebre, mentre il suo amico Algernon Swinburne dedicò alla dea due liriche: l'Inno a Proserpina e Il giardino di Proserpina.\nIgor' Stravinskij dedicò al mito di Persefone una composizione musicale, scritta fra 1933 e il 1934, dal titolo Perséphone.\nIl cantante belga di origini egiziane Tamino ha dedicato al mito una canzone, intitolata Persephone presente nell'album di esordio.\n\nNella cultura di massa.\nPersefone è la principale antagonista del videogioco God of War: Chains of Olympus, in cui vuole far crollare i pilastri che sostengono il mondo, causando la distruzione di tutto e di tutti, incluso degli dei e degli inferi, così da liberarsi per sempre del marito Ade.\nPersefone fa una breve apparizione nella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo.\nPersefone compare come antagonista nel videogioco Assassin's Creed: Odyssey nel primo episodio 'Campi Elisi' del DLC 'Il destino di Atlantide'.\nPersefone è un personaggio chiave nel videogioco Hades, in questo titolo viene presentata come la madre del protagonista Zagreus.\nPersefone compare anche come personaggio nel musical Hadestown.\nPersefone è la protagonista femminile del webcomic Lore Olympus di Rachel Smythe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Perseo con la testa della Medusa.\n### Descrizione: Perseo con la testa della Medusa (noto anche come Perseo che tiene in mano la testa della Medusa) è un tema ricorrente dell'iconografia artistica, che rappresenta un evento tratto dalla mitologia greca, in cui l'eroe Perseo solleva la testa mozzata della gorgone Medusa. Il tema è presente fin dall'antichità, come dimostra un affresco ritrovato in una villa di Stabia, ma ha avuto uno sviluppo fortunato in ambito scultoreo dopo la creazione della statua di Benvenuto Cellini. Esiste inoltre una statua contemporanea di Luciano Garbati nella quale i ruoli dei personaggi si invertono, ed è Medusa a reggere il capo decollato di Perseo.\n\nPittura.\nIl Volterrano, Perseo con la testa di Medusa, XVIII secolo.\nEugène Romain Thirion, Perseo vincitore di Medusa (Persée vainqueur de Méduse), 1867.\nEdward Burne-Jones, La morte di Medusa I (The Death of Medusa I), 1876-1885.\nEdward Burne-Jones, La morte di Medusa I (The Death of Medusa II), 1881-1882.\n\nScultura.\nBenvenuto Cellini, Perseo con la testa di Medusa, 1553.\nAntonio Canova, Perseo trionfante, 1797-1801.\nFeodosij Fëdorovič Ščedrin, Perseo (Persej), 1801.\nAuguste Rodin, Perseo e Medusa (Persée et Méduse), prima del 1889.\nCamille Claudel, Perseo e la Gorgone (Persée et la Gorgone), 1902.\nSalvador Dalí, Perseo, XX secolo.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Perseo e Andromeda.\n### Descrizione: L'episodio della mitologia greca di Perseo e Andromeda è stato fonte di ispirazione per molti pittori, scultori e musicisti a partire dall'epoca tardo-medievale. In realtà il tema è presente fin dall'antichità, come testimoniato da alcune anfore greche (la più nota delle quali proviene da Cerveteri ed è attualmente conservata nell'Altes Museum di Berlino) e da un affresco pompeiano.\n\nDescrizione.\nQuesto tema artistico raffigura il salvataggio di Andromeda, figlia di Cefeo e Cassiopea e principessa d'Etiopia, da parte dell'eroe Perseo in groppa a Pegaso, il cavallo alato. Secondo il mito, raccontato anche da Publio Ovidio Nasone nelle sue Metamorfosi, Andromeda venne incatenata ad uno scoglio per essere offerta in pasto ad un mostro marino chiamato Ceto: questo mostro devastava le coste del regno d'Etiopia perché la regina Cassiopea aveva sostenuto di essere più bella delle Nereidi, provocando così l'ira di Poseidone, che inviò il mostro come punizione. L'eroe Perseo, di ritorno dalla sua impresa precedente, ovvero l'uccisione di Medusa, notò la donna incatenata ad uno scoglio e il mostro pronto a divorarla, perciò decise di intervenire. Alla fine, Perseo uccise il mostro e salvò Andromeda, da lui sposata in seguito. Il tema raffigura proprio il salvataggio di Andromeda, incatenata allo scoglio.\nNelle raffigurazioni di epoca classica e medioevale Andromeda appare perlopiù vestita mentre è incatenata allo scoglio. È a partire dall'epoca rinascimentale che la donna viene mostrata nuda, secondo quando raccontato nel quarto libro delle Metamorfosi di Ovidio.Nonostante Andromeda sia etiope, la donna viene quasi sempre raffigurata con la carnagione chiara. Una delle poche raffigurazioni del personaggio con la pelle scura è una stampa, conservata al Rijksmuseum, tratta da un'illustrazione del fiammingo Abraham van Diepenbeeck.Il tema ebbe un grande impatto sulla letteratura postclassica, a tal punto da ispirare altre storie nelle quali una fanciulla rischia di essere divorata da una creatura mostruosa, con relative rappresentazioni artistiche: la lotta di san Giorgio contro un drago per salvare una principessa, e la liberazione di Angelica e Olimpia rispettivamente salvate da parte da Ruggiero e Orlando, come si legge nell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Gli episodi con Angelica e Olimpia sono quelli più vicini al mito classico, dato che la creatura mostruosa è una bestia marina, nota come Orca di Ebuda, molto simile a Ceto; inoltre entrambe le donne sono incatenate a uno scoglio, proprio come Andromeda.\n\nPittura.\nPiero di Cosimo, Liberazione di Andromeda, 1510 circa.\nTiziano Vecellio, Perseo libera Andromeda, 1554-1556.\nJan Keynooghe, Perseo e Andromeda (Perseus en Andromeda), 1561.\nGiorgio Vasari, Perseo libera Andromeda, 1570-1572.\nBartolomeo Passarotti, Perseo libera Andromeda, 1572-1575.\nPaolo Veronese, Perseo libera Andromeda, 1576-1578.\nAnnibale Carracci, affresco di Perseo e Andromeda alla Palazzo Farnese, 1597.\nCarlo Saraceni, Andromeda incatenata liberata da Perseo, 1600-1605 circa.\nGiuseppe Cesari, Perseo e Andromeda, 1602.\nJoachim Wtewael, Perseo soccorre Andromeda (Perseus und Andromeda), 1610.\nPieter Paul Rubens, Perseo libera Andromeda,1620 circa.\nDomenico Fetti, Andromeda e Perseo, 1621-1622 circa.\nPieter Paul Rubens, Perseo e Andromeda (Perseus und Andromeda), 1622.\nThomas Willeboirts Bosschaert, Salvataggio di Andromeda (Die Befreiung der Andromeda), 1640 circa.\nGuido Reni, Andromeda, prima del 1642.\nTheodoor van Thulden, Perseo libera Andromeda, 1646.\nFrancesco Maffei, Perseo libera Andromeda, 1657-1658.\nPierre Mignard, Cefeo, Cassiopea e Perseo (Délivrance d'Andromède), 1679.\nMichael Willmann, Uwolnienie Andromedy, dopo il 1682.\nLouis Silvestre II, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1719.\nFrançois Lemoyne, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1723.\nGiambattista Tiepolo, Perseo e Andromeda, 1730-1731.\nBalthasar Augustin Albrecht, Befreiung der Andromeda, 1732.\nCharles-Amedee-Philippe van Loo, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), prima del 1753.\nUbaldino Gandolfi, Andromeda e Perseo, 1770.\nKarl Pavlovič Brjullov, Perseo e Andromeda (Persej i Andromeda), 1820 circa.\nEugène Delacroix, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1853 circa.\nÉmile Bin, Persée délivrant Andromède, 1865.\nJean-Auguste-Dominique Ingres, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), prima del 1867.\nGustave Moreau, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1870.\nHenri-Pierre Picou, Andromède attachée à un rocher, 1874.\nEdward Burne-Jones, Lo scoglio del destino (The Rock of Doom), 1885.\nEdward Burne-Jones, Perseo (Perseus), 1888.\nCharles Napier Kennedy, Perseo e Andromeda (Perseus and Andromeda), 1890.\nFrederic Leighton, Perseo e Andromeda (Perseus and Andromeda), 1891.\nFélix Vallotton, Perseo che uccide il drago (Persée tuant le dragon), 1910.\nFélix Vallotton, Andromeda in piedi e Perseo (Andromède debout et Persée), 1918.\nGustave Courtois, Perseo libera Andromeda (Persée délivrant Andromède), 1913.\n\nScultura.\nPierre Puget, Perseo e Andromeda (Persée et Andromède), 1684.\nJoseph Chinard, Persée délivrant Andromède, 1791.\nJames Forsyth, Fontana di Perseo e Andromeda (Perseus and Andromeda fountain), 1860 circa.\nJohannes Pfuhl, Perseo e Andromeda (Perseusz uwalnia Andromedę), 1891.\nHenry Charles Fehr, The Rescue of Andromeda, 1893.\n\nMusica.\nClaudio Monteverdi, Andromeda, 1618-1620 (opera perduta).\nJean-Baptiste Lully, Persée, 1682.\nGeorg Philipp Telemann, Perseus und Andromeda, 1704.\nAntonio Maria Bononcini, Andromeda, 1707.\nAntonio Vivaldi e altri, Andromeda liberata, 1726.\nGiovanni Paisiello, Andromeda, 1773.\nCarl Ditters von Dittersdorf, Sinfonia n. 4 sulle Metamorfosi di Ovidio, 1781 circa.\nJacques Ibert, Persée et Andromède, ou le Plus heureux des trois, 1929.\nSalvatore Sciarrino, Perseo e Andromeda, 1990.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Perseo.\n### Descrizione: Perseo (in greco antico: Περσεύς?, Perséus) è un eroe della mitologia greca, figlio del re degli dei Zeus e di Danae e nipote del re di Argo Acrisio.\nPerseo viene ricordato soprattutto per l'uccisione della gorgone Medusa, per aver salvato Andromeda, poi diventata sua sposa, da un mostro marino e per essere stato re di Tirinto, dopo aver rinunciato al trono di Argo a favore di Megapente, e di Micene, città che fondò lui stesso. Dalla moglie Andromeda ebbe molti figli, tra cui Elettrione (suo erede e nonno di Eracle) e Gorgofone (madre di Icario e nonna di Penelope, sposa di Odisseo).\n\nIl mito.\nNascita e infanzia.\nAcrisio, nonno di Perseo e re di Argo, temeva per le sorti del proprio regno: aveva infatti avuto dalla moglie Aganippe una sola figlia femmina, Danae, e in assenza di eredi maschi non sapeva a chi avrebbe trasmesso il titolo di sovrano. Spinto dal desiderio di conoscere il destino della sua città, chiese all'Oracolo di Delfi come avrebbe potuto avere figli: il dio gli rispose che sua figlia Danae avrebbe avuto un figlio che avrebbe raggiunto la gloria, ma anche lo avrebbe ucciso. Preso dal più grande sconforto e terrore, Acrisio rinchiuse la figlia in una torre ben fortificata, con porte di bronzo guardate da cani ferocissimi, con la speranza di aggirare la profezia.\nMa nonostante queste precauzioni, Danae concepì un figlio: alcuni sostengono che Perseo era nato per opera di Preto, fratello d'Acrisio, e che qui è da ricercare l'origine della disputa sorta fra i due fratelli; ma per lo più si racconta che il seduttore fu lo stesso Zeus, il quale, trasformato in pioggia d'oro, penetrò attraverso una fessura del tetto e ottenne l'amore della ragazza. Rinchiusa nella prigione con la propria nutrice, Danae poté avere il figlio di nascosto e allevarlo per vari mesi. Un giorno, però, mentre stava giocando, il bambino emise un grido, udito da Acrisio, il quale, non sapendo chi fosse il responsabile di questa nascita misteriosa, pensò che il fratello Preto avesse sedotto sua figlia per fargli un dispetto. Danae insisteva nel dire che il padre del bambino non era un mortale, ma Acrisio non le credette e, terrorizzato dalla rivelazione dell'oracolo, fece uccidere la nutrice e chiudere Danae e il figlioletto in una cassa di legno che mise su una nave lasciata alla deriva.\nLa cassa navigò verso l'ignoto con la madre e il bambino, e atterrò sulla riva dell'isola di Serifo, dove fu fermata da un pescatore di nome Ditti, fratello del tiranno dell'isola, Polidette. Vedendo la cassa e credendo che contenesse qualcosa di prezioso, Ditti la portò a riva; apertala, vi trovò Danae e Perseo miracolosamente vivi, quindi li aiutò a riprendere le forze e li condusse al cospetto del re che, preso da pietà per i due, offrì loro ospitalità.\nPassarono gli anni e Perseo cresceva forte e valoroso, imparando a pescare, navigare, nuotare, combattere e cacciare, sotto la guida del padre adottivo Ditti. Danae, che la maturità aveva reso ancora più bella, era oggetto dei desideri del re Polidette che cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo; ma la donna, il cui unico pensiero era il figlio Perseo, non ricambiava il suo amore.\n\nLa proposta e l'impresa di Perseo.\nPolidette pensò di eliminare Perseo con un piano astuto: disse di aspirare alle nozze con Ippodamia per il bene del regno e, dopo aver radunato gli amici confinanti e lo stesso Perseo, annunciò i suoi propositi di nozze e chiese a tutti un cavallo come regalo da ognuno dei presenti. Mortificato perché non possedeva nulla di simile da donargli, Perseo affermò che, se il re non avesse più insidiato sua madre Danae, gli avrebbe procurato qualunque cosa avesse chiesto. Polidette fu molto lieto in cuor suo pensando che questo fosse il mezzo per liberarsi di lui, ed espresse l'estroso desiderio di avere come dono di nozze la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni.\nPer poter raggiungere Medusa, Perseo doveva procurarsi tre cose: i sandali alati per spostarsi a gran velocità, una sacca magica (la kibisis) per riporvi la testa recisa e l'elmo di Ade (kunè) che rende invisibili. Intanto Atena gli aveva fornito uno scudo lucido come uno specchio, raccomandandogli di guardare Medusa solo di riflesso. Ermes gli regalò un falcetto di diamante affilatissimo, col quale l'eroe avrebbe decapitato il mostro. Quegli oggetti erano custoditi dalle ninfe dello Stige che abitavano in un luogo noto solo alle Graie: nate già decrepite e grinzose, esse erano in tre, ma disponevano di un solo occhio e di un solo dente che usavano a turno, e abitavano in un palazzo custodito da Atlante. Allorché Perseo le raggiunse, attese il momento dello scambio di occhio e di dente, quindi li rubò entrambi, e le Graie, prive dei loro organi, si trovarono in grande difficoltà e accettarono di rivelare dove risiedevano le ninfe Stigie in cambio del maltolto. Secondo una versione, Perseo si rifiutò di rendere l'occhio e il dente alle Graie.\nDopo che le Ninfe gli consegnarono i sandali, la sacca e l'elmo, Perseo si diresse verso il paese degli Iperborei, una popolazione che abitava nelle regioni fredde e spoglie del Nord, un luogo dove la terra, le erbe, il cielo e la natura in generale avevano un colore grigio e sinistro. La foresta nella quale si incamminò per giungere presso Medusa era pietrificata e cosparsa di strane statue color piombo rappresentanti uomini e donne in diversi atteggiamenti; anzi, Perseo si accorse subito che quelle non erano statue, ma esseri umani che avevano avuto la sventura di guardare il volto di Medusa.\nResosi invisibile grazie all'elmo di Ade, avanzò camminando all'indietro, guardando nello scudo sorretto da Atena; quando fu abbastanza vicino al mostro da sentirne sibilare i serpenti che gli si agitavano sul capo, lo decapitò col falcetto mentre dormiva. Dal collo mutilato della Medusa scaturirono un cavallo alato, Pegaso, e un gigante, Crisaore. Perseo prese con sé la testa di Medusa e la avvolse in un telo, in segno di pietà affinché la nuda terra non la insozzasse, poi si alzò in volo con i suoi sandali alati per allontanarsi il più in fretta che poteva da quel luogo sinistro. L'eroe raccolse pure il sangue colato di Medusa, che aveva proprietà magiche: quello che era colato dalla vena sinistra era un veleno mortale, mentre quello colato dalla vena destra era un rimedio capace di resuscitare i morti. Inoltre, un solo ricciolo dei suoi capelli, mostrato a un esercito assalitore, aveva il potere di sconfiggerlo.\n\nLa liberazione di Andromeda e la contesa con Fineo.\nStando a una versione, Perseo, avendo la testa di Medusa nelle sue mani, si recò da Atlante che non aveva voluto aiutarlo nell'impresa: estratta la testa micidiale dalla sacca, lo trasformò in montagna. Sulla via del ritorno, deviò sopra il deserto libico, dove fece cadere il dente e l'occhio delle Graie e alcune gocce del sangue di Medusa, popolando in tal modo il deserto di serpenti, scorpioni e orribili animali dotati di un veleno micidiale.\nMentre volteggiava sul territorio della Filistia, vide incatenata a uno scoglio una donna nuda e bellissima di nome Andromeda, figlia del re di Etiopia Cefeo e di Cassiopea. La giovane era condannata a essere divorata da un mostro marino perché sua madre, orgogliosa dell'avvenenza di sua figlia, aveva affermato che superava in bellezza tutte le Nereidi: le ninfe del mare si erano offese e Poseidone, dopo aver mandato sulle coste una forte mareggiata che aveva spazzato via l'abitato, aveva inviato un orribile mostro che faceva stragi e terrorizzava gli abitanti, al che l'integerrimo Cefeo, per salvare il suo popolo, consultò l'oracolo e fu costretto a offrirgli la propria figlia per placarne l'ira. Quando Perseo giunse, Andromeda era ormai rassegnata alla sua terribile sorte, ma l'eroe si offrì di liberare la fanciulla e il luogo da quella calamità purché il re gli consentisse di sposare Andromeda. Cefeo e Cassiopea sulle prime non erano favorevoli, poiché avrebbero preferito darla in moglie ad un pretendente più ricco e più potente, ma furono costretti dagli eventi ad acconsentire.\n\nPerseo ingannò il mostro marino che doveva divorare Andromeda con dei giochi d'ombra sull'acqua, quindi riuscì ad ucciderlo e riportò la giovane dai genitori. Durante i successivi festeggiamenti di nozze, Agenore, un ex pretendente alla mano di Andromeda, giunse alla reggia accompagnato da uomini armati, pronto a tutto pur di averla; fu Cassiopea, che non gradiva Perseo come genero, a dare il segnale della battaglia. Per difendersi, l'eroe estrasse ancora una volta la testa di Medusa ottenendo l'effetto voluto: Cassiopea divenne una statua inerte, così come Agenore e tutti quelli tra i suoi seguaci che non erano stati precedentemente uccisi da Perseo.\nSecondo una diversa e più diffusa tradizione, presente già in alcuni mitografi greci e accolta anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi, fu invece Fineo, zio paterno e aspirante sposo di Andromeda, a fomentare disordini; scontento del matrimonio con Perseo, ordì un complotto contro di lui, venendo per questo criticato sia da Cassiopea che da Cefeo. La reggia divenne così un grande campo di battaglia, finché Perseo, mostrando la testa della Gorgone a Fineo e ai suoi amici ancora in vita, li trasformò in altrettante statue di pietra. Il vincitore prese per mano Andromeda, e grazie ai sandali alati fece rotta verso la Grecia atterrando a Serifo. Autori greci più antichi identificano anch'essi il nemico di Perseo con Fineo, che avrebbe però tentato il rapimento di Andromeda con l'aiuto di un solo suo amico, Abaride; Perseo convertì entrambi in statue (mentre secondo Ovidio Abaride era solo uno dei tanti seguaci di Fineo e fu tra le prime vittime dell'eroe greco, quelle non pietrificate dalla testa di Medusa).\n\nLa vendetta di Perseo a Serifo e il ritorno ad Argo.\nAl ritorno nell'isola, Perseo trovò in un tempio la madre Danae e Ditti che si nascondevano per sfuggire a Polidette il quale, non avendo nessuna intenzione di sposare Ippodamia, non aveva smesso di insidiare la madre. Perseo allora fu preso da un'ira incontenibile, e dopo aver nascosto Andromeda, si avviò alla reggia di Polidette: giunto al palazzo e portando il dono di nozze, venne deriso ed insultato dal sovrano, ma egli, per vendicarsi dei torti subiti, tirò fuori ancora una volta dalla sacca magica la testa della Medusa, pietrificando così il re e i suoi cortigiani. Quindi consegnò al patrigno il potere sull'isola di Serifo, e donò poi ad Ermes i sandali, la bisaccia e l'elmo di Ade, ossia gli oggetti che gli avevano permesso di uccidere la Gorgone, e che Ermes rese alle ninfe. La testa di Medusa fu donata invece ad Atena, che la pose in mezzo al proprio scudo (l'Egida).\nVolendo rivedere suo nonno Acrisio, Perseo ritornò in seguito ad Argo insieme alla moglie Andromeda e alla madre Danae. Ma Acrisio, venendo a sapere le intenzioni dell'eroe suo nipote e temendo sempre l'oracolo che gli aveva predetto la morte per sua mano, partì per Larissa, nel paese dei Pelasgi, all'altra estremità della Grecia. Perseo lo raggiunse, lo rassicurò perché non gli portava rancore e riuscì a convincerlo a tornare ad Argo. A Larissa, il re Teutamide dava giochi in onore di suo padre, e Perseo vi giunse come competitore. Al momento di lanciare il disco, s'innalzò un vento violento, e il disco, deviato malauguratamente, finì tra gli spettatori e colpì Acrisio ad un piede; il dolore fu talmente grande che il vecchio sarebbe morto dopo poco tempo, cosicché il vaticinio dell'oracolo si compì. Pieno di dolore, Perseo gli tributò onori funebri e lo fece seppellire fuori dalla città di Larissa.\nDivenuto signore di Argo, ma non sentendosela di regnare su quella terra, Perseo si recò a Tirinto e propose a Megapente, succeduto a suo padre Preto, di scambiarsi i regni: secondo una variante Megapente salì al trono dopo che Perseo ebbe pietrificato Preto con la testa di Medusa, mentre un'altra riporta che Perseo fu ucciso da Megapente che in tal modo volle vendicare il padre .\nPerseo fondò Micene, dotandola quindi di mura invincibili costruite dai Gasterochiri, come quelle di Tirinto. Egli ebbe da Andromeda molti figli maschi e una femmina: Perse, Alceo, Stenelo, Eleio, Mestore, Elettrione e Gorgofone.\nAlla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione cui pose a fianco la sua amata Andromeda, Cefeo e Cassiopea, la cui vanità aveva fatto sì che i due giovani si incontrassero. Ancor oggi queste costellazioni portano i loro nomi.\n\nPareri secondari.\nSecondo altri, invece, Perseo sarebbe figlio di Poseidone, fratello di Zeus.\nSecondo altri le ninfe che aiutarono l'eroe erano le Naiadi.\nSecondo altri ancora, nel mito di Medusa è completamente assente la presenza delle Ninfe. I doni sarebbero quindi stati dati direttamente da Atena e da Ermes, compresi lo scudo levigato della prima e i calzari volanti del secondo. Infatti è proprio Ermes che è solito, come messaggero degli dei, indossare calzari con ali che permettano di volare in modo straordinariamente veloce.\nAltre versioni raffigurano l'elemento dell'invisibilità come una cappa, e non come un elmo.\n\nAlbero genealogico di Perseo.\nGenealogia argiva.\nuomo donna divinità.\n\nGenealogia dei Perseidi.\nIconografia antica.\nPerseo è raffigurato come un giovane (completamente armato o con un abito corto) che tiene in mano una spada ricurva, dono di Ermes. Talvolta indossa calzari alati o viene raffigurato in sella al cavallo Pegaso.\n\nPerseo nell'arte.\nIl mito di Perseo è un soggetto ricorrente nelle opere d'arte, dove viene perlopiù rappresentato mentre libera Andromeda. Si ricordano inoltre:.\n\nPerseo uccide Medusa in presenza di Atena (540 a.C.), metopa da Selinunte, conservata al Museo archeologico di Palermo.\nPerseo con la testa di Medusa (1545-54), statua bronzea di Benvenuto Cellini, esposta sotto la Loggia dei Lanzi a Firenze.\nPerseo trionfante (1797-1801), statua in marmo di Antonio Canova, collocata nei Musei Vaticani a Roma.\nPerseo affronta Fineo con la testa di Medusa, dipinto di Sebastiano Ricci conservato nel Getty Museum di Los Angeles.\nPerseo, protetto da Minerva, pietrifica Fineo, dipinto di Jean-Marc Nattier del 1718 conservato a Tours.\nPiatto con lotta tra Perseo e Fineo, opera decorativa di autore ignoto conservata nel Museo del Bargello a Firenze.\nun'intera serie dedicata al mito di Perseo del preraffaellita Edward Burne-Jones.\n\nPerseo nel cinema.\nPerseo l'invincibile (1963), film diretto da Alberto De Martino con Richard Harrison.\nPerseo (Персей) (1973), cortometraggio di cartoni animati prodotto da Sojuzmul'tfil'm e diretto da Aleksandra Snezhko-Blotskaya (Александра Снежко-Блоцкая, 1909-1980).\nScontro di titani (1981), film in cui il personaggio di Perseo è interpretato da Harry Hamlin.\nScontro tra titani (2010), film con Sam Worthington.\nLa furia dei titani (2012), sequel del precedente.\nPercy Jackson è chiamato così in riferimento a Perseo, sebbene il personaggio di Riordan sia figlio di Poseidone e una mortale chiamata Sally Jackson, e non di Zeus. La ragione per cui Sally ha deciso di chiamarlo così è di buon augurio in quanto Perseo è uno dei pochissimi eroi della mitologia greca ad aver condotto una vita felice fino in fondo morendo di vecchiaia e non tragicamente come la maggior parte degli altri eroi. Tra le somiglianze con Perseo, Percy uccide Medusa e incontra Crono, inoltre si innamora perdutamente di Annabeth, figlia di Atena che era la dea protettrice di Perseo.\n\nOmaggi.\nGli sono state intitolate vie in diverse città italiane, tra cui Verona, Palermo, Siracusa." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Persepoli (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Persepoli o Perseptoli (in greco antico: Περσέπ(τ)ολις?, Persép(t)olis) è figlio di Telemaco e di Nausicaa o secondo altri di Ulisse e di quest'ultima. Altre tradizioni lo ritengono invece essere figlio di Telemaco e di Policasta, la più giovane delle figlie di Nestore.\n\nPareri secondari.\nPersepoli viene chiamato anche Ptoliporto.\nAlcune tradizioni ritengono che Ptoliporto e Persepoli siano due fratelli nati, appunto, dall'unione di Telemaco e di Nausicaa (o di Policasta)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pharmakos.\n### Descrizione: Pharmakos (greco φαρμακός) era il nome di un rituale largamente diffuso nelle città greche, simile a quello del capro espiatorio, che mirava ad ottenere una purificazione mediante l'espulsione dalla città di un individuo chiamato pharmakos (qualcosa come 'il maledetto').\nNe parla, per esempio, il poeta Callimaco (fr. 90 Pf.): egli dice che un uomo scelto per la sua bruttezza veniva nutrito a spese della città, poi, un giorno stabilito, era scacciato a frustate; in altri luoghi ogni anno uno sventurato veniva 'comprato' e nutrito a spese pubbliche, poi lo si espelleva a sassate dalla città.\nAd Atene, durante le feste Targelie (greco θαργήλια), in onore di Apollo, venivano scelte due persone di aspetto ripugnante, un uomo e una donna, adornate con collane di fichi e infine scacciate fuori dalle mura.\nSul significato del rito si è molto discusso; si è pensato che esso fosse un residuo di primitivi sacrifici umani; secondo altri sarebbe invece un rito legato alle pratiche agricole, posto in atto per allontanare dalle messi la sfortuna e le calamità naturali. In sostanza, si tratta di un rito simbolico destinato a placare l'angoscia per la contaminazione incombente sopra la comunità. Così il gruppo scarica la propria aggressività su un emarginato, scelto per la sua deformità come simbolo del male. Evidentemente egli non è colpevole di nulla, ma il suo compito è proprio quello di essere il rappresentante di ogni forma possibile di sventura: espellendolo, la città si libera di un essere tabù, un intoccabile, un perturbatore della pace, che assume su di sé le colpe e le maledizioni di tutti. Perciò il pharmakos è contemporaneamente il reietto e il salvatore, che con il suo sacrificio permette alla comunità di ritrovare la propria sicurezza e ne garantisce la pace.\nWalter Burkert e René Girard hanno fornito interpretazioni moderne notevoli del rito del pharmakos. Burkert mostra come le persone erano sacrificate o espulse dopo essere state ben nutrite e, secondo alcune fonti, le loro ceneri erano sparse nell'oceano. Era un rituale di purificazione, una forma di catarsi sociale.Il Pharmakos è un termine fondamentale anche nel decostruzionismo di Jacques Derrida. Nel suo famoso saggio 'La farmacia di Platone' , Derrida decostruisce molti testi di Platone, come il Fedro, e rivela l'interconnessione tra la catena significante pharmakeia-pharmakon-pharmakeus e la notevole assenza della parola pharmakos. Così facendo, Derrida attacca il confine tra interno ed esterno, dichiarando che il fuori (pharmakos, parola mai usata da Platone) è sempre-già presente proprio all'interno (pharmakeia-pharmakon-pharmakeus). Si può dire che, come concetto, pharmakos è collegato ad altri termini di Derrida, come 'traccia'.\nPer alcuni studiosi al rito del pharmakos si ricollega la pratica dell'ostracismo, procedura con cui si esiliava da Atene un uomo politico importante, dopo una votazione in cui si scriveva il suo nome su pezzi di coccio. Però l'ostracismo era un episodio puntuale, contrariamente all'esecuzione o espulsione del pharmakos.\n\nPharmakos e farmacologia.\nPiù tardi il termine Pharmakos si trasformò in pharmakeus, che indica una droga, pozione magica, guaritore, avvelenatore, per estensione un mago o uno stregone. Una variante di questo termine è 'pharmakon' (φάρμακον), che significa pianta curativa, veleno o droga. Da questa variante deriva il termine moderno 'farmacologia'.\n\nL'analisi decostruttiva di Derrida.\nNel 1968 la rivista francese Tel Quel pubblicò un lungo saggio di Jacques Derrida, intitolato La farmacia di Platone , che poi fu inserito nel suo libro del 1972, La dissémination. Questo libro ha come punto di partenza il Fedro di Platone.\nAnche se la catena significante pharmakeia-pharmakon-pharmakeus compare molte volte nei testi di Platone, il filosofo non usa mai un termine strettamente collegato, pharmakos, che significa 'capro espiatorio'. Secondo Derrida, il fatto che Platone non usi quel termine non indica che la parola è necessariamente assente, o piuttosto, è sempre-già presente come 'traccia'. Certe forze o tendenze di associazione linguistica uniscono le parole che sono 'in pratica presenti' in un testo con tutte le altre parole del sistema lessicale, indipendentemente dal fatto di comparire o meno in tale testo. Derrida evidenzia che la catena testuale non è semplicemente 'interna' al lessico di Platone. È possibile affermare che tutta la catena significante 'farmaceutica' (un altro componente della stessa catena) si manifesti effettivamente nel testo, anche se sempre nascosta nello sfondo, mostrandosi sempre furtivamente. 'È sempre nella stanza nascosta, nelle ombre della farmacia, antecedente rispetto alle opposti conscio e inconscio, libertà e costrizione, volontario e involontario, parola e linguaggio, che queste 'operazioni' testuali hanno corso' Quello che è in gioco qui è proprio l'idea della dicotomia interno/esterno; se la parola pharmakos che Platone non usa pur risuona all'interno del testo, allora non ci può essere possibilità di chiusura per quanto riguarda il testo. Se l'esterno è sempre-già presente all'interno, in opera all'interno, allora qual è lo status dei concetti 'presente' e 'assente', 'corpo' e 'anima', 'centro' e 'periferia'? Però è importante ricordare che Derrida classifica i farmaci come qualcosa 'nello sfondo'; in altre parole, l''esterno' sempre presente nell''interno' non diventa mai pura presenza, ma resta nascosto come 'traccia', un'allusione, un''aporia'. Con questo insistere tenacemente su questo punto, Derrida evita la trappola di quello che lui chiama 'Metafisica della Pura Presenza', o 'Logocentrismo'Nell'antica Atene il rito del pharmakos era usato per espellere e allontanare il male (fuori dal corpo e fuori dalla città). Per raggiungere questo scopo, gli ateniesi mantenevano a spese pubbliche alcuni poveri diavoli. Quando si verificava una calamità, ne sacrificavano uno o più come rituale di purificazione e rimedio curativo. Il pharmakos, il 'capro espiatorio', era condotto fuori dalle mura della città e ucciso al fine di purificare l'interno della città. Il male che aveva infettato la città dall''esterno' è rimosso e restituito all''esterno', per sempre. Ma, paradossalmente, il rappresentante dell'esterno (il pharmakos) era ciononostante mantenuto nel cuore stesso dell'interno, la città, e anche a spese pubbliche. Per essere cacciato dalla città, il capro espiatorio doveva essere già stato dentro la città. 'La cerimonia del pharmakos si svolge sulla linea di confine tra l''interno' e l''esterno', e il suo compito è di tracciare e rintracciare incessantemente quella linea'. Similmente, il pharmakos sta sulla sottile linea rossa tra sacro e maledetto, '...benefico in quanto cura - e per questo temuto e trattato con cura - dannoso in quanto incarna i poteri del male - e per questo, temuto e trattato con cautela'. Il pharmakos è il guaritore che cura ed è il criminale che è l'incarnazione dei poteri del male. Il pharmakos è come una medicina, pharmakon, nel caso di una malattia specifica, ma, come la maggior parte delle medicine, è allo stesso tempo un veleno, allo stesso tempo un male. Pharmakos, pharmakon: essi sfuggono a entrambi i lati con l'essere e non essere allo stesso tempo su un lato. Tutte e due le parole hanno in sé più di un significato, cioè dei significati confliggenti.\nPharmakos non significa solo capro espiatorio. È un sinonimo di pharmakeus, una parola spesso ripetuta da Platone, che significa 'stregone', 'mago', perfino 'avvelenatore'. Nei dialoghi di Platone, spesso Socrate è rappresentato e definito pharmakeus. Socrate è considerato uno che sa come fare magia con le parole e, in particolare, non con le parole scritte. Le sue parole agiscono come un pharmakon (come una sostanza curativa, o anche un veleno) e trasformano, curano l'anima di chi ascolta. Nel Fedro, Socrate si oppone fermamente agli effetti negativi della scrittura. Socrate paragona la scrittura a un pharmakon, una droga, una pozione: scrivere ripete senza sapere, crea abominevoli simulacri. Qui Socrate trascura deliberatamente l'altro significato della parola: la cura. Socrate suggerisce un pharmakon diverso, una medicina: la dialettica, la forma filosofica del dialogo. Questo, sostiene Socrate, può condurci alla verità dell'eidos, ciò che è identico a se stesso, sempre se stesso, immutabile. Qui Socrate di nuovo trascura l''altra' lettura della parola pharmakon: il veleno. Socrate agisce come un mago (pharmakos) - lui stesso parla di una voce soprannaturale che parla attraverso di lui - e la sua medicina (pharmakon) più famosa è il discorso, la dialettica e il dialogo che conduce al sapere e alla verità ultima. Ma paradossalmente Socrate diventa anche il più famoso 'altro' pharmakos di Atene, il capro espiatorio. Diventa uno straniero, perfino un nemico che avvelena la repubblica e i suoi cittadini. È un abominevole 'altro'; non l'altro assoluto, il barbaro, ma l'altro (l'esterno) che è molto vicino, come quei poveri diavoli, che è sempre-già nell'interno. Egli è allo stesso tempo la 'cura' e il 'veleno' e, proprio come lui, gli ateniesi scelsero di dimenticare uno di quei significati in base alla necessità. E, alla fine, Platone colloca Socrate in quello che per Socrate era il più vile di tutti i veleni: nella scrittura, che sopravvive fino a oggi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Philotes.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Philotes è una dea minore, figlia della Notte, ed è personificazione dell'affetto e della passione.\nIl suo nome deriva dalla parola greca φιλότης, il termine con cui, anticamente, i Greci indicavano il rapporto di affetto.\n\nVoci correlate.\nDivinità dell'amore.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Philotes, su Theoi Project." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Phonoi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Phonoi (in greco antico: φόνοι?, phónoi, 'assassini'; al singolare φόνος, phónos) erano gli spiriti maschili di assassinio, omicidio e macello. Le loro sorelle, Androktasiai. Erano figli di Eris, dea della discordia, attraverso la partenogenesi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Phrike.\n### Descrizione: Phrike (in greco:Φρίκη), era lo spirito orribile della paura e del terrore per le cose che fanno tremare.\nIl suo nome significa letteralmente tremori, brividi, e ha la stessa radice del verbo φρίττω (phrittō) tremare. Il termine Phrike è ampiamente usato in tragedia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Piatto di Euforbo.\n### Descrizione: Il piatto di Euforbo è il nome di un piatto della ceramica greco-orientale, dipinto con una scena mitologica in stile orientalizzante (stile delle capre selvatiche).\nProdotto forse a Coo, fu rinvenuto a Camiro, nell'isola di Rodi. È stato datato circa al 600 a.C.; ha un diametro di 39 cm. ed è esposto nel British Museum di Londra.\n\nDescrizione.\nNell'Iliade si racconta che Menelao, dopo aver ucciso il giovane troiano Euforbo, ne avesse poi portato via il cadavere con la sua armatura: il piatto rappresenta il successivo duello tra l'eroe acheo ed Ettore sul corpo di Euforbo. Vicino alle figure sono dipinti i nomi dei personaggi rappresentati. Il fatto che il cadavere sia più vicino a Menelao indica che questi starebbe vincendo il duello, anche se Ettore non verrà ucciso in tale confronto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pieridi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Pieridi (in greco antico: Πιερίδες) erano le nove figlie di Piero, re di Emazia in Macedonia, e di Evippa.\nI loro nomi sono Colimba, Iunce, Cencride, Cissa, Cloride, Acalantide, Nessa, Pipo, Dracontide.\nAbilissime nel canto, si recarono sul monte Elicona, la sede delle Muse per sfidarle in una gara di canto; ma le Pieridi persero grazie al canto melodico di Calliope, e le Muse per punirle le trasformarono in uccelli gracchianti, secondo Ovidio in gazze, secondo Nicandro in vari uccelli. Pausania invece afferma che le Pieridi portassero gli stessi nomi delle Muse e che per questa ragione i figli attribuiti alle Muse siano invece figli delle Pieridi, mentre le dee rimasero sempre vergini.\n\nIl racconto mitologico.\nPierios ebbe nove figlie che chiamò con il nome delle nove Muse. Divenute in grado di leggere e scrivere Pierios convocò i migliori maestri delle arti delle Muse. Quando il padre organizzava i banchetti, le ragazze si esibivano e ricevevano complimenti da tutti. Col passare del tempo, si insuperbirono e si spinsero sino ad arrivare al monte Elicona, la sede delle Muse, per sfidarle in una gara di canto; come giudici erano state convocate le ninfe dei fiumi. Alla fine della gara vennero decretate vincitrici le Muse; le Piche, allora, lanciarono ingiurie contro le Muse e gli Dei trasformarono le nove ragazze in gazze.\n\nFonti.\nOltre alla tradizione greca Ovidio nelle sue Metamorfosi, libro V: vedono dalle proprie unghie spuntare / penne, le braccia coprirsi di piume, e l'una all'altra / vede sporgere dal volto un becco rigido e adunco / e quelle andarsene nei boschi, diventate uccelli.\nE mentre vogliono battersi il petto, agitando le braccia / si librano nell'aria: gazze, che schiamazzano nei boschi. / Ancor oggi in questi uccelli è rimasta la primitiva facondia: / una loquacità roca, una voluttà smodata di ciarlare.) descrive la loro mutazione in uccelli.\nAnche Dante nel Canto primo del Purgatorio (Purg. I, 7 e sg: Ma qui la morta poesia resurga / o sante Muse, poi che vostro sono; / e qui Calïopè alquanto surga, / seguitando il mio canto con quel suono / di cui le Piche misere sentiro / lo colpo tal, che disperar perdono.) cita le Piche come ascoltatrici del canto di Calliope. Il poeta invoca la Musa Calliope ad accorrere in suo aiuto.\n\nCitazione di Ovidio nelle Metamorfosi.\n'La più illustre fra noi aveva finito il suo dotto canto. E le ninfe dichiararono in coro che avevamo vinto noi, dee che abitiamo sull'Elicona. Poiché le perdenti lanciavano insulti, disse Callìope:' Già meritavate una punizione per averci sfidato. Dato che non vi basta e alla colpa aggiungete le invettive, e la nostra pazienza ha pure un limite, provvederemo a punirvi e andremo fin dove ci spinge l'ira'. Ridono le giovani dell'Emazia, con fare sprezzante, di quelle minacciose parole. Ma mentre tentano di parlare e di alzare sfrontatamente con grandi strida le mani contro di noi, si accorgono che delle penne spuntano loro da sotto le unghie, che le braccia si coprono di piume, e ciascuna vede le altre sporgere il viso in un duro becco e andarsene, uccelli nuovi, verso la selva. E mentre vogliono battersi il petto, col moto delle braccia si sollevano e si librano in aria, insolenti abitanti dei boschi: gazze.'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Piero (re di Emazia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Piero (in greco antico: Πίερος) fu l'eponimo della regione della Pieria e un re di Emazia.\n\nGenealogia.\nSecondo Marsia di Pella, Piero era figlio di Macedone, e fratello di Emato. Nella Suda è detto essere figlio di Lino e padre, da Metone, di Eagro, a sua volta padre di Orfeo. Secondo Antonino Liberale, era invece autoctono, ovvero nato dalla terra.\nPiero è noto soprattutto come padre delle Pieridi, nove sorelle che sfidarono le Muse in una gara di canto. Sconfitte, furono trasformate dagli dei in gazze." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pigmei (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, i Pigmei (dal greco pygmâios, 'alto un cubito') erano un popolo di nani che si pensava abitassero in Africa (in Libia o a sud dell'Egitto) o in India. Erano alti poche spanne, e a otto anni erano già vecchi.\n\nMitologia.\nErano perennemente in guerra con le cicogne (o le gru) che devastavano i loro campi; le donne nascondevano i bambini in buche nel terreno per proteggerli dagli uccelli.\nGerana (od Enoe) era la loro regina e fu trasformata da Giunone in una gru e condannata a combattere in tale forma contro il suo popolo.\nMarito di Gerana fu Nicodama, con cui ebbe Mopso.\nErcole uccise il loro re Anteo ed i Pigmei lo assalirono ma egli li mise nella sua pelle di leone e li portò a suo cugino Euristeo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pilade.\n### Descrizione: Pilade (in greco antico: Πυλάδης?, Pyládes) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nIl padre, Strofio, era Re della Fòcide e la madre, Anassibia, era figlia di Atreo e sorella di Agamennone e Menelao.\nPilade crebbe con il cugino Oreste, con cui era legato da un'amicizia profonda. Lo affiancò infatti nella vendetta su Clitennestra ed Egisto per l'uccisione di Agamennone e lo accompagnò nelle successive peregrinazioni in Tauride dalle quali riportarono a casa Ifigenia.\nSposò la cugina Elettra, sorella di Oreste.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Pilade.\n\nCollegamenti esterni.\nPilade, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 16 aprile 2016." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pileo (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pileo (in greco antico: Πύλαιος) era il nome di un condottiero pelasgo, figlio di Leto e fratello di Ippotoo, insieme al quale intervenne a favore dei Troiani nel conflitto scatenatosi per la contesa di Elena.\n\nIl mito.\nLe origini.\nSorgono dubbi sull'identità del padre di Pileo; Omero lo cita esplicitamente col nome di Leto, figlio di Teutamo, mentre Pseudo-Apollodoro lo chiama Pelasgo.\n\nLa morte.\nPileo morì in battaglia per mano di Achille, come riportato da Ditti Cretese." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Piramo e Tisbe.\n### Descrizione: Piramo e Tisbe (Πύραμος, Pyrămos; Θίσβη, Thisbe) sono due personaggi delle Metamorfosi di Ovidio (IV liber, vv 55-166), il quale ne ambientò la storia nell'antica città mesopotamica di Babilonia. Secondo alcune ricostruzioni il racconto proviene da ignota fonte ellenistica ed era precedentemente collocato nella regione anatolica della Cilicia o, in alternativa, nell'isola di Cipro.\n\nMito.\nSecondo la leggenda nella versione ovidiana, l'amore dei due giovani era contrastato dai parenti, e i due, che erano vicini di casa, erano costretti a parlarsi attraverso una crepa nel muro che separava le loro abitazioni. Questa difficile situazione li indusse a programmare la loro fuga d'amore. Nel luogo dell'appuntamento, che era vicino ad un gelso, Tisbe, arrivata per prima, incontra una leonessa dalla quale si mette in salvo perdendo un velo che viene stracciato e macchiato di sangue dalla belva stessa. Piramo trova il velo macchiato dell'amata e, credendola morta, si suicida lanciandosi su una spada. Sopraggiunge Tisbe che lo trova in fin di vita e, mentre tenta di rianimarlo, gli sussurra il proprio nome. Piramo riapre gli occhi e riesce a guardarla prima di morire. Per il grande dolore, anche Tisbe si lancia sulla spada dell'amato sotto il gelso. Tanta è la pietà degli dei nell'ascoltare le preghiere di Tisbe che trasformano i frutti del gelso, intriso del sangue dei due amanti, in color vermiglio.\nAltri autori della Tarda Antichità (Nonno di Panopoli o la novella cristiana Recognitiones) raccontano una versione sensibilmente diversa da quella di Ovidio. La scena si svolge in Cilicia, dove Tisbe - per timore dei genitori - si suicida quando scopre di essere incinta di Piramo, che si suicida a sua volta. Piramo si trasforma in fiume, mentre Tisbe in una fonte. Di fatto, in Cilicia c'è un fiume che si chiama Pyrămus (Ceyhan), cosa che potrebbe indicare che questa versione corrisponde a una ancora più antica di quella raccontata da Ovidio.\n\nAlla memoria di questo importante fiume è legato anche un oracolo riferito da Strabone (Geografia, 1,3,7.52; 12,2,4.536):«Verrà tempo che il Piramo,.\ndalla rapida e vasta corrente,.\nspingendo sempre più innanzi la spiaggia,.\n\nperverrà alla sacra Cipro.».\n\nIl mito nel Medioevo.\nDurante il Trecento, gli autori Giovanni Boccaccio e Geoffrey Chaucer ripresero il mito di Piramo e Tisbe per alcuni dei loro racconti. Nel Decameron di Boccaccio la quinta novella della settima giornata è assai simile al racconto dei due sfortunati amanti. Infatti due innamorati sono costretti a comunicare per non farsi scoprire dal marito di lei, attraverso una fessura nel muro. Tuttavia la storia finirà diversamente dal mito originale. Nei Racconti di Canterbury Chaucer nella sezione di Amori infelici elabora una novella dai toni drammatici simili a quelli di Piramo e Tisbe. Un vecchio non sopporta che la figlia s'incontri con il suo innamorato e la obbliga a concentrarsi su un partito migliore. Dato che la ragazza resiste, il vecchio fa uccidere la ragazza in un accesso di follia, di seguito il ragazzo amante si toglierà la vita per la disperazione.\nDante, nel Purgatorio (canto XXVII, vv. 37-39) fa riferimento alla vicenda di Piramo, che morente apre per un attimo gli occhi all'udire il nome dell'amata Tisbe. Come Piramo, anche Dante, spaventato dall'idea di dover attraversare un muro di fuoco, prende coraggio quando Virgilio nomina Beatrice che lo attende al di là del muro.\n\nRomeo e Giulietta.\nLa trama di Romeo e Giulietta, la celebre tragedia di William Shakespeare, è quasi del tutto identica al mito di Piramo e Tisbe. Infatti lo scrittore teatrale elisabettiano trasse il suo spettacolo dal poema Romeus and Juliet di Arthur Brooke che a sua volta derivava dalla novella su Romeo e Giulietta di Luigi da Porto, punto di arrivo di una lunga schiera di racconti di amanti suicidi che ha la sua prima traccia in Piramo e Tisbe. Come i due amanti, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti non possono passare momenti sereni a causa dell'odio tra le due famiglie, e tristi e sfavorevoli situazioni (in questo caso l'arrivo in ritardo di una lettera importante) faranno sì che gli amanti si uccidano per restare per sempre uniti.\n\nSogno di una notte di mezza estate.\nSempre nell'opera di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate si fa riferimento alla storia di Piramo e Tisbe. Questa volta la scena si sposta nell'Antica Grecia alla corte dell'eroe mitologico Teseo e della regina delle Amazzoni Ippolita che annunciano proprio all'inizio della commedia le loro nozze. Un gruppo di artigiani ateniesi ha quindi l'idea di allestire una rappresentazione teatrale classica in occasione dell'evento. Viene dunque messa in scena, sia pure con toni comici, la vicenda di Piramo e Tisbe.\n\nPoemi e opere letterarie.\nLa storia di Piramo e Tisbe, oltre a Romeo e Giulietta e ad alcune novelle di Boccaccio e Chaucer, ha ispirato diverse opere:.\n\nPiramus et Tisbé - novella cortese medievale.\nPiramus et Tisbe - poema di Mathieu de Vendôme (XIV secolo).\nFavola di Piramo e Tisbe - poemetto di Bernardo Tasso (1493-1569).\nHistoria de los dos leales amadores Piramo y Tisbe (stampata solo nel 1615) - poema di Cristóbal de Castillejo (1490-1550).\nFabula de Piramo y Tisbe - traduzione da Le Metamorfosi di Ovidio di Pedro Sánchez de Viana (metà del XVI secolo – primo terzo del XVII).\nLa Historia de Piramo y Tisbe - poema di Antonio de Villegas (1522-1551).\nHistoria de los muy constantes y infelices amores de Píramo y Tisbe (nella raccolta di idilli La Sampogna, 1620) - poemetto di Jorge de Montemayor (1520-1561).\nPiramo e Tisbe (1582) - poema di Gregorio Silvestre de Mesa.\nin Cancionero de romances (1584) - raccolta di poemi di Luis de Sepúlveda.\nPyramvs and Thisbe (1597) - poema di Dustan Gale.\nCancionero llamado Flor de Enamorados (1601) - poema di Juan de Linares.\nPíramo triste, que de Tisbe mira (1602) - Soneto XVIII da Rimas di Félix Lope de Vega y Carpio (1562-1635).\nFábula de Píramo y Tisbe (1618) - poema di Luis de Góngora (1561-1627).\nFábula de Píramo y Tisbe (1621) - poema di Miguel Botelho de Carvalho (1595-?).\nPiramo e Tisbe (1621) - poema (?) di Juan Antonio de Vera y Figueroa Ávila y Zúñiga, conosciuto come Conde de la Roca (1583 - 1658).\nTragicall History of Piramus and Thisbe (1628?) - romanzo epico di Abraham Cowley (Londra, 1618 – Chertsey, 28 luglio 1667).\nIlustración y defensa de la «Fábula de Píramo y Tisbe» (1636) - poema (?) di Cristóbal Salazar Mardones (?-1670).\nFábula de Píramo y Tisbe in Deleitar aprovechando (Dilettare con giovamento, 1635) - poema di Tirso de Molina, pseudonimo di Gabriel Téllez (1579-1648).\nFabula de Piramo y Tisbe burlesca (1640) - Pedro Carral y Sotomayor (?).\nFabula de Piramo y Tisbe (1640?) - poema di Jerónimo de Barrionuevo de Peralta (1587-1671).\nPiramo y Tisbe - poema (?) di Antón González Reguera (conosciuto come Antón de Marirreguera) (?-1662?).\nPiramo y Tisbe (1656) - poema (?) di Miguel de Efren y Quevedo.\nObras de varios asuntos (1660) - poema di Josef Geronimo Valmaseda y Zarzosa.\nFabula de Piramo y Tisbe in Ocios de Castalia (1663) - poema (?) di Juan de Ovando Santaren y Gomez de Loaysa (1624-1706).\nA Piramo y Tisbe - sonetto di Jerónimo de Cáncer y Velasco (1599–1655).\nLa fábula de Píramo y Tisbe (agli inizi del XVIII secolo) - Carrillo de Mendoza.\nTraducció en vers de la fabula de Piramo y Tisbe (1779) - David Causse.\nPyrame et Thisbé, poème comique en quatre chants - poema di Eugène Berthier.\nRomance de Piramo y Tisbe - poema di Agustín Durán (1789-1862).\nFabula de Piramo y Tisbe (1863) - poema (?) di Pedro Manuel Nicolás Paz Soldán y Unanue (1839-1895).\nLastimosa historia de Piramo y Tisbe o El amor y el infortunio (1868?) - poema (?) di Alonso y Buján.\nLa chambre des dames. Contes et romans du Moyen Âge (1922) - traduzione dal francese antico di André Mary.\nLa fuga di Piramo e Tisbe (2006) - racconto per bambini di Martino Menghi.\n\nOpere teatrali.\nPiramo e Tisbe (1621) - tragedia in 5 atti di Théophile de Viau (1590-1626).\nLe Pyrame (1633) - opera teatrale di Jean Puget de la Serre (1594-1665).\nhttp://dehesa.unex.es/bitstream/handle/10662/4315/0210-8178_4_233.pdf?sequence=1&isAllowed=y - opera teatrale (?) di Alonso de Olmedo y Ormeño (1626?-1682).\nComedia famosa de Píramo y Tisbe (stampato nel 1668) - opera teatrale di Pedro Rosete Niño, poeta e drammaturgo spagnolo del secolo XVII.\nPyrame et Thisbé (1674) - opera teatrale di Jacques Pradon (a volte Nicolas Pradon, 1644-1698).\nPiramo e Tisbe - tragedia di François Joseph de Lagrange-Chancel (1677-1758).\nLa Tisbe (1722) - tragedia di Francesco Maria Frangiossa.\nPyrame et Thisbé (1726) - parodia di Pierre-Francois Biancolelli (1707-1772) e Jean-Antoine Romagnesi (1690-1742).\nPyrame et Thisbé (tra il 1726 e il 1740) - parodia di autore sconosciuto, forse Louis Fuzelier (1672-1752).\nQuiproquo, ou Polichinelle Pyrame (1740) - parodia (opera comica?) di Adrien-Joseph le Valois d'Orville (1715-1780).\nPyrame et Thisbé (1740) - parodia (opera comica?) di Charles-Simon Favart (1710-1792).\nPyrame et Thisbé (1759) - parodia di Antoine-François Riccaboni (1707-1772).\nPyrame et Thisbé (1783) - melodramma di Jean Mauduit, detto Larive (1747-1827).\nPyrame Et Thisbe: Tragedie En Trois Actes Et En Vers (1823) - tragedia in tre atti di Jean-Edouard Bruneaux.\nDrei Deutsche Pyramus-Thisbe-Spiele (1911) - opera teatrale di Alfred Schaer.\nPyramus And Thisbe: A Tragedy in Three Acts (1939) - opera teatrale di Laurence Dakin (1904–1972).\nLos amores de Piramo y Tisbe (2001) - tragedia in 4 atti di Manuel Maria Rosal Nunez.\n\nOpere liriche.\nPyramus und Thisbe getreue und festverbundene Liebe (1697) - Opera lirica di Johann Sigismund Kusser (anche Cousser, 1660-1727).\nPirame et Tisbé (1713) - Opera lirica di Louis-Nicolas Clérambault (1676-1749).\nThe comick mask of Pyramus and Thisbe (1716) - Opera parodica di Richard Leveridge (o Leueridge, 1670-1758).\nLa Tisbe (1718) - Opera lirica di Giuseppe Antonio Brescianello (1690-1758) su libretto di Pier Jacopo Martello (1665-1727).\nPyrame et Thisbé (1726) - Opera lirica di François Rebel (1701-1775) e François Francœur (1698-1787) su libretto di Jean-Louis-Ignace de La Serre (1662-1756).\nPyramus and Thisbe (1745) - Opera parodica di John Frederick Lampe (1703-1751).\nPiramo y Tisbe, drama por musica (1748) - Antonio Gras.\nPiramo e Tisbe (1768) - Opera lirica di Johann Adolf Hasse (1699-1783).\nPiramo e Tisbe (1775) - Opera lirica di Venanzio Rauzzini (1746-1810).\nPiramo e Tisbe (1783) - Dramma per musica in 3 atti e 32 scene di Francesco Bianchi (1752-1810).\nPiramo e Tisbe (1784) - Opera lirica di Vincenzo Righini (1756-1812).\nPyramus und Thisbe: ein musikalisches Duodram (1787) - di Daniel Gottlob Türk (1750-1813) su libretto di Friedrich Anton Franz Bertrand.\nPiramo e Tisbe (1788) - Opera di Angelo Tarchi (1760-1814) ???.\nPiramus und Tisbe: ein Melodrama (1788) di Stanislaus Franz Xaver Spindler (1763-1819).\nPyramus und Thisbe, oder, Das Schloss Hünfeld di Gottlob Benedict Bierey (1772-1840).\nPyramus und Thisbe: Ein musikalisches Duodrama (1795) - di Anton Eberl (1765-1807).\nPiramo e Tisbe (1803) - Opera lirica di Gaetano Andreozzi (1755-1826) su libretto di Giovanni Schmidt (1775?-1839?).\nPyramus und Thisbé (1816) - Opera lirica di Karl Traugott Eisrich (1775–1835) su libretto di Rudolf von Bergen.\nPiramo e Tisbe - Opera lirica di Vincenzo Fiocchi (1767-1843).\nPyramus und Thisbé (1875?) - Opera lirica di Ludwig Gellert (1827 - 1913) su libretto di Heinrich Oswalt.\nPyramus and Thisbe (2015) - Opera lirica di Barbara Monk Feldman.\n\nArie, cantate e brani musicali.\nThisbe claeght over de doot van Piramus - contrafact di Willem Reijersz de Lange (1570-1605).\nPyrame et Thisbé (1716) - 6 cantate da Le Deuxième Livre de Cantates di Michel Pignolet de Montéclair (1667–1737).\nPiramo y Tisbe - Zarzuela di Luis Misón (o Missón, 1727-1766).\nTisbe (1789/1796) - Cantata di Bonifazio Asioli (1769-1832).\nPyrame et Thisbé (1823) - cantata di Louis-Constant Ermel (1798–1871).\nPyrame et Thisbé (1823) - cantata di Edouard Boilly (1799-1854).\nPiramo e Tisbe (1824) - Cantate con cori composte da Luciano Fontana del liceo filarmonico di Lugo.\nPyramme et Thisbé (1840) - duo comico di Henri Streich.\nPaysage avec Pyrame et Thisbé - per oboe di Gilles Silvestrini (1961).\nThisbe (1953-54) - brano di Bill Russo per l'orchestra di Stan Kenton.\nFlute Song (Pyramus and Thisbe) (1989) - brano contenuto nel disco 'Big Theatre' di Peter Erskine.\nPyramus and Thisbe (1990) - brano contenuto nel disco 'A Midsummer Night's Dream' dei Twice a man.\nPyramus and Thisbe (1993) - brano contenuto nel disco 'The Return of Red Emma' di Lida Husik.\nThus Thisbe Ends (1999) - brano contenuto nel musical 'A Midsummer Night's Dream' di Andrew Sherman e Rusty Magee.\nPyramus and Thisbe (2010) - composizione di Daniel Kellogg.\nPyramus and Thisbe (2013) - brano contenuto nel disco 'Trees, Walls, Cities' del Brodsky Quartet e Loré Lixenberg.\n\nCitazioni.\nNelle sue Fabulae (Le favole, I secolo a.C.) lo scrittore romano Igino cita Piramo nel capitolo dei Suicidi (CCXLII. Qui se ipsi interfecerunt): 'Piramo a Babilonia si uccise per amore di Tisbe.' E quindi cita anche Tisbe nel capitolo successivo sulle suicide (CCXLIII. Quae se ipsae interfecerunt): 'Tisbe di Babilonia si uccise perché Piramo a sua volta si era suicidato.'.\nNello scritto filosofico De Ordine (L'Ordine), Sant'Agostino (354-430) parla del suicidio di Piramo.\nNel XXVII canto del Purgatorio della Commedia di Dante Alighieri, vv. 37-42 si fa riferimento alla storia di Piramo e Tisbe.\nNel Don Chisciotte di Miguel de Cervantes (1547-1616), quando Cardenio racconta la sua storia con Lucinda, paragona i genitori di lei a quelli della 'tanto cantata' Tisbe, e quando Don Lorenzo recita '... questo sonetto sulla favola, o storia che dir si voglia, di Piramo e Tisbe'.\nNe Les Filles de Minée in 'Le Favole' (XII,28) Jean de La Fontaine (1621-1695).\nNe El Poeta (1785) di Vicente Antonio García de la Huerta (1734 - 1787).\nNe Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas (1802-1870), nel capitolo 50 intitolato Piramo e Tisbe l'autore descrive l'amore segreto tra Maximillian Morrel e Valentine de Villefort.\nNella Scena VI del primo atto de Il figlio assassino per la madre (Trieste 1824) di August Friedrich Ferdinand von Kotzebue.\nNel Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand (1868-1918), nella tirata del naso, Cyrano dice: Enfin parodiant Pyrame en un sanglot: «Le voilà donc ce nez qui des traits de son maître a détruit l'harmonie! Il en rougit, le traître! ».\nNelle sue Poésies libres (1945) Guillaume Apollinaire (1880-1918) dedica dei versi a Piramo e Tisbe.\nNel 1964 i Beatles recitarono la scena di Piramo e Tisbe dal Sogno di una notte di mezza estate per il quattrocentesimo anniversario dalla nascita di William Shakespeare.\nIl mito viene citato più volte nel corso dell'episodio La figlia sorge ancora della ventitreesima stagione de I Simpson, dove svolge tra l'altro un certo ruolo tematico all'interno della trama." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pirene (naiade).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pirene (Peirene, forse da πειραίνω, peirainô, 'legata' o 'che lega') era una naiade.\n\nMito.\nLa madre di Pirene era Metope, mentre il padre, a seconda delle fonti, viene indicato come Acheloo, Ebalo o Asopo. Da Poseidone ebbe Leche e Cencrea; alla morte di quest'ultimo, pianse così tanto da trasformarsi in una fonte, situata alle porte di Corinto, la cosiddetta fontana Pirene." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Piritoo.\n### Descrizione: Piritoo (in greco antico: Πειρίθοος?, Peiríthoos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re dei Lapiti e viveva nella città di Larissa in Tessaglia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Issione e di Dia, Omero invece, nell'Iliade lo fa concepire da Zeus. Era fratellastro di Euritione e fu sposo di Ippodamia e padre di Polipete.\n\nMitologia.\nPartecipò alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro e fu un grande amico di Teseo. Durante il suo matrimonio con Ippodamia, figlia di Bute, Piritoo invitò alle nozze i centauri che ubriacatisi cercarono di molestare la sposa. Nella guerra che seguì fu aiutato da Teseo e dai Lapiti e una volta vinta scacciò il re dei centauri Euritione e i suoi seguaci dal monte Pelio e dall'intera Tessaglia.\nDopo la morte di Ippodamia (che morì poco dopo la nascita di Polipete)si recò nell'oltretomba insieme a Teseo nel tentativo di rapire Persefone ma furono catturati dal dio Ade che li fece sedere su due troni di pietra e che si rivelarono essere i seggi dell'oblio.\nQuando Eracle scese negli inferi per rapire Cerbero li incontrò e liberò Teseo ma non poté fare altrettanto con Piritoo poiché la terra iniziò a tremare, segno che per gli dèi inferi il Lapita doveva restare nell'Ade.\nSecondo Virgilio, alla morte di Teseo questi fu nuovamente condannato a sedersi sul trono dell'oblio da Ade (e stavolta per sempre), mentre Piritoo oltre a non essere stato liberato in precedenza da Eracle, rimase incollato sul seggio fino alla morte terrena e dopodiché (e sempre nel Tartaro), venne condannato a sostare sotto una rupe, sulla cui sommità c'era una pietra in bilico, sempre sul punto di cadergli addosso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pirra.\n### Descrizione: Pirra (in greco antico: Πύρρα?, Pýrra) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglia di Epimeteo e di Pandora, fu moglie di Deucalione che la rese madre di Protogenia, Elleno (che si narra fosse figlio di Zeus) ed Anfizione che regnò sull'Attica dopo Cranao.Esiodo aggiunge le figlie Pandora e Tia.\n\nMitologia.\nQuando Zeus decise di porre fine all'età dell'oro con il grande diluvio, Deucalione e Pirra furono gli unici sopravvissuti, grazie all'arca che Prometeo, padre di Deucalione, aveva suggerito al figlio di costruire. Si arenarono sul Monte Parnaso, l'unico luogo risparmiato dall'inondazione.\nDopo il diluvio, Deucalione chiese all'oracolo di Temi come ripopolare la terra. Gli fu detto di lanciare le ossa di sua madre dietro le sue spalle. Deucalione e Pirra capirono che la madre era Gea, la madre di tutti i viventi, e che le ossa erano le pietre. Lanciarono perciò sassi alle loro spalle, che presto iniziarono a cambiare forma. La loro massa aumentava, e cominciava ad emergere una forma umana. Le parti tenere ed umide divennero pelle e carne, le venature della roccia divennero vasi sanguigni, e le parti più dure divennero ossa. I sassi lanciati da Pirra divennero donne, quelli tirati da Deucalione uomini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pisistrato (mitologia).\n### Descrizione: Pisistrato (in greco antico: Πεισίστρατος) è un personaggio della mitologia greca ed è figlio più giovane di Nestore il re di Pilo.\nI suoi fratelli sono Antiloco, Areto, Echefrone, Perseo, Trasimede, Pisidice, Policasta e Stratio.La madre, a seconda dei miti è Anassibia oppure Euridice.\n\nMitologia.\nDiventa un amico intimo di Telemaco, il figlio di Ulisse, ed è il primo ad accoglierlo quando giunge alla reggia accompagnato da Mentore, sotto le cui spoglie si celava la Dea Atena. Serio e giudizioso, è ancora celibe. Accompagnerà il principe itacense nella sua infruttuosa ricerca di notizie riguardanti la sorte del padre scomparso.Come il suo quasi coetaneo compagno di viaggio, anche Pisistrato non era che un infante quando suo padre e i fratelli maggiori Antiloco e Trasimede hanno dovuto lasciare la propria patria per andar a combattere nella guerra di Troia.\nNel Canto IV i due giovani si recano assieme a Sparta a cercar notizie alla corte di Elena e Menelao.Nel Canto XV Telemaco e Pisistrato fanno ritorno a Pilo.\n\nStoria.\nLa famiglia del tiranno ateniese Pisistrato affermava di discendere da lui, a quel che ne dice Erodoto nelle sue Storie." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pistrice.\n### Descrizione: La pistrice nella mitologia greca e romana è un leggendario mostro marino, dotato di coda di serpente.\nSi trova nelle raffigurazioni dei cortei di Nettuno e altre divinità marine, oppure nelle mappe nautiche greche, riprese fino al Rinascimento.\nLa pistrice era un grande mostro che simboleggiava anche la paura verso l'ignoto.\nNel Medioevo la pistrice divenne nel periodo carolingio un ibrido tra volpe e serpente marino." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pitarchia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Pitarchia (in greco Πειθαρχία) era la personificazione di obbedienza.\nÈ stata citata una volta da Eschilo, che cita un proverbio secondo il quale Peitharchia è la moglie di sorella e madre di Euprassia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pitone (mitologia).\n### Descrizione: Pitone (in greco antico: Πύθων?, Pǜthōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Gea, prodotto dal fango della terra dopo il Diluvio Universale.\n\nMitologia.\nEra un drago-serpente di dimensioni impressionanti e custodiva l'Oracolo di Delfi. Morì in seguito ad un combattimento epico contro Apollo che per questo, si impossessò dell'oracolo e diede alla sacerdotessa il nome di 'Pizia' (Pitonessa).\nTra i motivi della morte di Pitone per mano di Apollo, dobbiamo considerare anche una possibile vendetta di Apollo verso il serpente, il quale, prima della nascita del dio, aveva perseguitato Latona (Leto), madre di Apollo, fino l'isola di Delo. Pitone era in una grotta presso una sorgente. Quando vide Apollo si attorcigliò ad un lauro. Secondo i commentari rabbinici, si tratta della stessa figura mitica del serpente del Giardino dell'Eden.\nApollo stesso a causa della sua impresa si guadagnò l'appellativo pitio, infatti tra le varie feste e celebrazioni in onore di Apollo (Apollo Carneo, le Targelie, ecc.) ricordiamo in particolare quella di Apollo Pitico.\nInoltre vi erano i famosi Giochi Pitici (Pythia) che si celebravano ogni quattro anni nella pianura Crissea presso Delfi, che consistevano in una gara musicale, a cui si aggiunsero col tempo anche gare ginniche ed equestri e che prevedevano come premio per il vincitore una corona di alloro.\nPitone ebbe un figlio di nome Aix." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pizia.\n### Descrizione: Nell'antica Grecia la Pizia o Pitia (in greco antico: Πυθία Pythía, pronuncia: [pyːtʰí.aː]) era la sacerdotessa di Apollo che dava i responsi nel santuario di Delfi, situato presso l'omphalos (l'«ombelico del mondo»).\nLa posizione venne ricoperta da donne scelte nella città di Delfi, senza limiti di età, per circa 2000 anni, dal 1400 a.C. fino al 392 d.C. quando la pratica venne proibita dall'imperatore romano Teodosio I che, dopo aver reso il Cristianesimo religione di Stato nel 380, aveva soppresso i culti pagani attraverso i decreti teodosiani.\nL'oracolo di Delfi è una delle istituzioni religiose del mondo classico meglio documentate, nonché probabilmente la più nota di questo tipo. Secondo Plutarco, nel periodo di maggior popolarità del santuario di Delfi, c'erano almeno tre donne che svolgevano contemporaneamente il ruolo di Pizia.\nTra gli scrittori che lo menzionano possiamo ricordare, in ordine alfabetico: Aristotele, Diodoro Siculo, Erodoto, Euripide, Giustino, Lucano, Ovidio, Pausania, Pindaro, Platone, Plutarco, Senofonte, Sofocle, Strabone e Tito Livio.\n\nOrganizzazione dell'oracolo.\nIl suo ruolo di tramite divino conferiva alla Pizia un prestigio e una posizione sociale inusualmente elevati in una cultura maschilista come quella greca. Gli obblighi che le venivano richiesti erano la purezza rituale e la continenza.\nI supplici che si presentavano a Delfi per consultare l'oracolo, spesso dopo un lungo viaggio, erano selezionati dai sacerdoti che valutavano l'effettiva necessità della loro richiesta.\nPrima della consultazione era costume sacrificare una capra, il cui corpo sarebbe stato lavato con l'acqua della sorgente del santuario e dai cui organi, in particolare dal fegato, i sacerdoti, nel ruolo di aruspici, avrebbero divinato la buona riuscita o meno dell'incontro con la veggente. Era inoltre consuetudine versare una generosa offerta in denaro al santuario, la cui entità condizionava anche la priorità di ammissione al cospetto della Pizia.\nFinalmente soddisfatti tutti i requisiti, il supplice veniva condotto nell'ἄδυτον àdyton, la '[camera] inaccessibile' del tempio, che, nel caso particolare di Delfi, consisteva in una cella sotterranea dove egli avrebbe potuto consultare la Pizia e ottenere l'agognato vaticinio. All'interno vi era anche una fonte d'acqua, la Kassotis, alla quale si abbeveravano sia la Pizia, sia i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli.\n\nOrigine dell'Oracolo.\nIl primo autore classico che narra dell'origine del santuario è Diodoro Siculo, scrittore del I secolo a. C., il quale riferisce che un pastore, tale Kouretas, si accorse un giorno che una delle sue capre - caduta in una cavità rocciosa - belava in modo strano.\nIl capraio, entrato nella grotta, si sentì pervadere dalla presenza divina e da quell'istante iniziò a ottenere visioni del passato e del futuro. Eccitato dalla scoperta, Kouretas avvertì gli abitanti del suo villaggio, molti dei quali si recarono più volte nella grotta fino a che uno di loro morì. Da quel momento, l'accesso alla cavità fu permesso solo alle ragazze più giovani e successivamente, con la fondazione del santuario, regolato rigidamente da un gruppo di sacerdoti.\nDiodoro afferma che in un primo tempo il ruolo di Pizia era riservato alle vergini, ma dopo che Echecrate di Tessaglia rapì e violentò la veggente di cui si era invaghito, fu decretato per legge che nessuna vergine avrebbe più vaticinato e il ruolo venne riservato alle donne d'età matura che avrebbero continuato a indossare le vesti da vergine in ricordo delle originarie sacerdotesse.\nCome illustrato da Joseph Eddy Fontenrose e altri mitografi, il termine Pizia deriva da Pito (Πῦθώ), il nome del santuario nel principale mito di fondazione che vede Apollo uccidere il serpente oracolare Pitone posto a guardia del santuario di Delfi, dedicato a una divinità femminile, e costruire con la carcassa il nuovo oracolo a lui stesso intitolato.Un altro significato dell'espressione si potrebbe trovare nell'albanese: Py(e)tja significa 'Domanda' cioe domandare all'oracolo di predire il futuro.Le fonti più antiche, come gli inni omerici ad Apollo (ma anche alcune raffigurazioni artistiche), citano anche un serpente femminile (drakaina), Delfina (Δελφινης), custode dell'oracolo e dal cui nome sarebbe derivato il toponimo Delfi/Delfo. L'aspetto e gli attributi di questo serpente si confondono, forse volutamente, con quelli dell'Echidna e Károly Kerényi lo interpreta come la sovrapposizione del mitema del racconto apollineo su quello precedente.\n\nLa figura mitologica del serpente Pitone, si modella, quindi, su quella più arcaica di Delfina, riprendendone in parte alcuni attributi, in primis il ruolo di custode dell'oracolo che in alcune raffigurazioni più antiche conserva assieme ad Apollo pur diventando successivamente l'avversario sconfitto ed ucciso, e si sovrappone progressivamente anche a livello linguistico. Il nome del tempio di Apollo conserva il legame col racconto mitologico più antico: per esempio, il tempio di Apollo ad Atene veniva chiamato Δελφίνιoν (Delfinio) dall'epiteto Δελφίνιος (Delfinio) attribuito ad Apollo negli inni omerici; ma altresì, la figura preminente della nuova casta sacerdotale, è divenuta la Pizia con un chiaro riferimento al nuovo culto.\nPitone (il cui nome deriva dal verbo πύθειν col significato di far imputridire) è, nella versione più canonica, il nemico ctonio del dio del Sole e lo scrittore Robert Graves legge in questa contrapposizione il riferimento all'occupazione da parte dei greci di un santuario pre-ellenico esistente a Delfi. Il culto già esistente con la sua casta sacerdotale femminile sarebbe stato preservato, per evitare le rivolte della popolazione, ma si sarebbe adattato - spiega Graves - al nuovo contesto religioso. L'uccisione dell'eroe Pitone da parte di Apollo nel mito sarebbe diventata di conseguenza una sorta di rappresentazione simbolica finalizzata a sancire e a far accettare questo cambiamento.\nSostegno alla lettura del racconto mitologico come sovrapposizione/sostituzione del culto apollineo su uno più antico, è fornito anche dai reperti archeologici ritrovati presso il santuario di Delfi: le statuette votive di sesso femminile (create a immagine di una divinità analoga) vengono progressivamente sostituite tra l'XI e il IX secolo a.C. da analoghi simulacri esclusivamente maschili.\nPer estensione, la Pizia viene indicata anche con il termine di Pitonessa (dal latino tardo pythonissa) con riferimento alla maga («che prediceva il futuro invasata da un demone chiamato Python») consultata da Saul nel racconto biblico (I Samuele, 28, 7 28).\n\nIpotesi scientifiche sull'oracolo.\nÈ stato spesso supposto che la Pizia emettesse i suoi vaticini in uno stato di alterazione mentale, allucinazione o trance, indotta aspirando i vapori che fuoriuscivano da una fessura nel suolo o masticando vegetali allucinogeni come l'alloro, e poi riferisse i vaticini in forma confusa al sacerdote che li interpretava per il supplice.\nSi è suggerito che pure l'atmosfera suggestiva del luogo, la liturgia sacra con i vari rituali, le aspettative e l'entusiasmo degli stessi supplici, contribuissero a far raggiungere alla veggente lo stato di esaltazione mistica.\nSebbene le fonti classiche siano concordi nel fornire l'immagine di una donna che si esprime in modo intelligibile e direttamente al supplice, in merito all'ipotesi dei gas allucinogeni, già lo storico greco Plutarco, che aveva servito come sacerdote al tempio, affermava (Moralia 436c) che la Pizia - per ottenere le visioni - si rinchiudeva in un antro dove «dolci vapori» fuoriuscivano dalle rocce. Ricerche, anche di tipo geologico, per verificare questa ipotesi sono state condotte più volte nel sito di Delfi, senza risultati significativi.\nSembra chiaro che la struttura del santuario di Delfi differisse da quella usuale dei templi greci presentando, come adyton accessibile solo alla veggente, una particolare soluzione consistente in una camera sotterranea che poteva essere effettivamente stata creata in corrispondenza di una preesistente cavità naturale. Le prime campagne di scavo francesi nel sito di Delfi non trovarono, tuttavia, evidenze di fessurazioni e cavità naturali, ma un riesame recente del corredo fotografico degli scavi ha contestato queste conclusioni.Nel 2000, Luigi Piccardi, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, formulò l'ipotesi che la voragine oracolare citata nel mito fosse il risultato di una rottura del terreno creatasi a seguito di un terremoto lungo la faglia sismica di Delfi, e che i 'vapori' che avrebbero ispirato la Pizia fossero gas comunemente rilasciati da simili fratture sismiche, come acido solfidrico e anidride carbonica, capaci di indurre moderati effetti psicoattivi nell'uomo.Nel 2001, un gruppo interdisciplinare di geologi, archeologi e tossicologi della Wesleyan University di Middletown (Connecticut) rilevò una concentrazione di 15,3 ppm di metano e 0,3 ppm di etilene nella sorgente di Kerna, adiacente al tempio di Delfi (Spiller, Hale, de Boer, Chanton, 2002). Secondo l'équipe della Wesleyan, l'abbondante presenza di etilene (un gas odoroso che potrebbe ben adattarsi alla descrizione di Plutarco) era dovuta alla conformazione geologica locale. Lo strato roccioso su cui sorge il tempio sarebbe stato interessato, infatti, dal passaggio di due importanti sistemi di faglie (le linee di Kerna e Delfi) e costituito da calcari bituminosi con un alto tasso di idrocarburi. Poiché il santuario si trova in una zona tettonicamente molto attiva, l'area estensionale di Corinto, la roccia risulterebbe particolarmente cataclasata e, a causa delle fratture, permeabile all'acqua e ai gas intrappolati negli strati bituminosi. Studi tossicologici sull'inalazione d'etilene mostrano, in effetti, che questo idrocarburo - letale ad alti dosaggi - potrebbe provocare, se assunto a piccole dosi, euforia, sensazione di leggerezza e allucinazioni.L'ipotesi di una significativa emissione di etilene a Delfi, così come la particolare conformazione geologica sottostante al tempio di Apollo (in particolare, l'esistenza della faglia di Kerna), è stata successivamente contestata e smentita da diversi studi scientifici che hanno messo in risalto la mancanza di evidenze geologiche e geochimiche a supporto dell'impianto speculativo di Spiller, Hale e de Boer e una sostanziale implausibilità dello stesso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Plistene (figlio di Atreo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Plistene era uno dei figli di Atreo. Divenne poi secondo alcune fonti padre di Agamennone, Menelao e Anassibia, mentre Omero indica Atreo stesso come padre dei tre.\nSua madre invece era Cleola, prima moglie di Atreo.\n\nLa morte.\nCleola era morta dando alla luce Plistene, nato malato per colpa di Artemide. Venne in seguito ucciso dai sicari che lo stesso Atreo aveva mandato per uccidere un altro Plistene, quello avuto da Erope, sua seconda moglie, da Tieste il suo amante precedente.\nAtreo però non demorse nella sua ricerca di vendetta, alla fine trovò lui stesso quel Plistene II insieme a Tantalo II, li uccise, li tagliò a pezzi, e li porse come pietanza a Tieste che prima mangiò di gran lena e poi vomitò maledicendo Atreo.\n\nPareri secondari.\nAlcune fonti indicano Plistene come sposo di Erope e padre di Agamennone e Menelao, sebbene i due siano invece indicati da Omero come figli di Atreo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pluto (mitologia).\n### Descrizione: Pluto, la cui etimologia deriva dal greco antico Πλοῦτος?, Plū̀tos ('ricco'), è una figura della mitologia greca, dio della ricchezza, il cui culto, di carattere agrario, aveva come sede principale l'isola di Samotracia.\n\nOrigini.\nEra figlio di Demetra e Iasione, nipote di Dardano fondatore di Troia.\nLa sua figura, dapprima legata alla prosperità dei campi, si estese ad ogni forma di benessere, accrescendo il suo valore augurale. Quale dio agrario, era legato alle ricchezze minerarie e al sottosuolo in generale, quindi spesso confuso e identificato con Plutone (divinità degli inferi corrispondente ad Ade), in particolar modo col diffondersi dei Misteri Eleusini.\nGià presso i romani si trovano ben pochi riferimenti diretti a Pluto, perlopiù identificandolo con Dite, anch'esso poi confluito in Plutone.\n\nPluto nella Teogonia di Esiodo.\nPluto, quale Dio dell'abbondanza, appare nella Teogonia di Esiodo come figlio di Demetra e Giasione:.\n\nL'unione di Demetra e Giasione è descritta anche nell'Odissea.\n\nPluto nella commedia di Aristofane.\nA lui si intitola una famosa commedia di Aristofane del 388 a.C. ed è incentrata sulla diseguale distribuzione tra gli uomini del denaro, movente principale delle azioni umane.\n\nPluto nella Divina commedia.\nNella Divina Commedia, Dante lo pone come guardiano del IV cerchio dell'Inferno (Canto VII), in cui vengono puniti avari e prodighi. La sua descrizione è molto vaga (non si sa nemmeno se il poeta si confondesse con Plutone), ma gli fa recitare uno dei versi più famosi dell'intero poema: 'Pape Satàn, pape Satàn aleppe'.\n\nIconografia.\nGli antichi lo rappresentavano con una cornucopia per la ricchezza, obeso per l'intrinseca abbondanza, bendato o cieco per l'imparzialità e la casualità nel distribuire le ricchezze, zoppicante per la lentezza dell'accumulo, alato per la rapidità del dispendio.\n\nDivinità greche correlate.\nAde - Dio dei morti e dell'Oltretomba.\nDemetra - Madre di Pluto, Dea del grano e dell'agricoltura.\nRea - Dea impersonificatrice della Terra, madre di Demetra.\n\nDivinità latine correlate.\nPlutone - Signore dell'Averno.\nDis Pater - antico e benevolo Dio romano della ricchezza agraria.\nOrco - antico ed oscuro Dio romano del sottosuolo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Podalirio.\n### Descrizione: Podalirio (in greco antico: Ποδαλείριος?, Podalèirios) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Asclepio ed Epione. Celebre medico imparò le sue arti guaritrici dal padre e dal maestro Chirone.\nEra tra i pretendenti di Elena.\nCoinvolto nella guerra di Troia poiché vincolato dal giuramento di Tindaro giunse al porto di Aulide insieme al fratello Macaone, portando con sé trenta navi.\n\nMitologia.\nGiunto a Troia si distinse tra le file achee come brillante medico liberando i Greci da una violenta epidemia sotto le mura della città ed insieme al fratello curò l'ulcera di Filottete, portato via dal suo isolamento nell'isola di Lesbo.\nMacaone veniva considerato un chirurgo mentre lui un medico generico.\nPodalirio vendicò la morte di Macaone uccidendo l'amazzone che l'aveva trafitto anche se secondo la tradizione più accreditata fu invece Euripilo figlio di Telefo ad uccidere Macaone e quest'ultimo venne poi ucciso a sua volta da Neottolemo.\nDopo la guerra Podalirio si stabilì in Caria, perché un oracolo (si presume l'oracolo di Delfi) gli aveva predetto di stabilirsi in un paese dove il cielo cade sulla terra ed in Caria ci sono montagne così alte che sembrano sostenere il cielo.\nQui, il re Dameto lo accolse felice in quanto aveva una figlia malata di un male che pareva incurabile ma il giovane riuscì facilmente a guarirla e Dameto in segno di riconoscenza gli diede in moglie la figlia Sirna, dalla quale denominò la città che fondò nella regione, Sirno.\nI nomi di Podalirio e di suo fratello Macaone sono stati attribuiti da Linneo a due specie di farfalle: Iphiclides podalirius e Papilio machaon." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Poema a fumetti.\n### Descrizione: Poema a fumetti è un romanzo a fumetti dello scrittore e pittore italiano Dino Buzzati edito nel 1969; l'opera sperimentale è considerata uno dei primi graphic novel mai pubblicati.L'opera ripropone i classici temi buzzatiani del mistero, della poesia, dell'erotismo, della melanconia e le riflessioni sulla vita rielaborando in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice.\n\nStoria editoriale.\nDino Buzzati era un artista poliedrico e il suo approccio al mondo dei fumetti, e prima a ancora a quello dell'illustrazione, è ben documentato; la moglie, Almerina Antoniazzi, ricordava che il marito era solito leggere Diabolik e lo stesso artista dichiarava la sua incondizionata stima nei confronti degli eroi disneyani, in particolare di Paperino e di Paperon de' Paperoni, affermando: 'La loro statura, umanamente parlando, non mi sembra inferiore a quella dei famosi personaggi di Molière, o di Goldoni, o di Balzac, o di Dickens.'L'idea di realizzare un romanzo a fumetti traspare da una lettera dell'autore del novembre 1965 indirizzata a Vittorio Sereni, l'allora direttore letterario della Mondadori, nella quale Buzzati anticipa il progetto, ispirato al mito di Orfeo ed Euridice, basato sulla rielaborazione grafica di fotografie, pitture e altro materiale iconografico appositamente raccolto. Il progetto, inizialmente, non accoglie lo sperato consenso presso la casa editrice e Buzzati, seppure continui a lavorare al romanzo a fumetti, decide di non insistere a volerlo pubblicare e affida il manoscritto nelle mani della moglie, con la raccomandazione di non pubblicarlo per almeno vent'anni. La moglie di Buzzati, invece, convinta della bontà dell'opera, inizialmente intitolata La cara morte, insiste presso Mondadori affinché la pubblichi; ciò avviene nel 1969 ma l'editore volle un titolo meno 'lugubre' e convinse lo stesso Buzzati a modificarlo in Poema a fumetti. Mentre la critica si divise in merito, ritenendo alcuni critici, uno fra tutti Indro Montanelli, i disegni troppo licenziosi, al contrario il pubblico accolse subito positivamente quest'esperimento espressivo, considerato oggi uno dei primi graphic novel (romanzi grafici) mai realizzati.\n\nTrama.\nLa trama ricalca quella del mito ma in chiave moderna: Orfi è un cantautore rock che suscita l'entusiasmo dei giovani frequentatori del locale milanese 'Polypus'. Una sera, casualmente, vede l'amata Eura Storm attraversare una misteriosa porta, ubicata nell'inesistente via Saterna, della centrale Milano. Il giorno dopo assiste a una lunga parata di carri funebri e da un misterioso uomo verde riceve la tremenda notizia della morte della fidanzata; Orfi non si dà pace e quella sera, recatosi a via Saterna, trova la porta serrata, presidiata dallo stesso uomo verde che aveva conosciuto la mattina. A nulla valgono i tentativi di aprire la porta, fino a quando Orfi non si mette a cantare. La porta si apre finalmente e il giovane, scendendo una buia scalinata, si trova in un giardino in cui avvenenti ragazze lo dissuadono dal continuare la ricerca di Eura, proponendosi in cambio. In particolare la bella Trudi lo porta al cospetto di un diavolo che assume le sembianze di un cappotto. Il 'Diavolo custode' spiega che l'aldilà è pieno di anime il cui maggiore rammarico è di non poter più aspirare a morire ancora e quindi di essere costrette a vivere in eterno.Orfi convince il Diavolo custode, con le sue canzoni, a farsi concedere un giorno intero per cercare Eura. La lunga ricerca dà finalmente i suoi frutti: i due giovani si ricongiungono ma il tempo sta per terminare e i due devono varcare la soglia per tornare alla vita prima che le ventiquattr'ore siano trascorse. Eura non è convinta di poter tornare in vita ma il giovane insiste; il tempo però non è sufficiente e solo Orfi ritorna alla luce mentre Eura rimane nell'aldilà. Dietro la porta c'è l'uomo verde che tenta di convincere Orfi che l'avventura sotterranea altro non era che un sogno. Orfi, però, ha la prova che l'incontro con Eura era reale: nella sua mano è rimasto l'anello della giovane, sfilatosi durante un ultimo abbraccio prima della separazione.Il titolo originariamente pensato (La cara morte) era stato scelto a sintetizzare il tema centrale dell'opera, ossia la tristezza dei defunti e il loro unico rimpianto: il non poter più ambire alla morte.\n\nTemi e influenze.\nLe 208 tavole a colori, copertina inclusa, del Poema a fumetti sono una serie di dichiarate citazioni ad artisti le cui esatte opere, fonte di ispirazione e rielaborazione di Buzzati, sono oggetto di costante ricerca da parte degli appassionati: le tavole anatomiche di Waldemar Weiman e Otto Prokop tratte dal loro Atlante di medicina legale, le foto dell'indossatrice Runa Pfeiffer (ispirazione per il personaggio di Trudi), il progetto della Torre Velasca di Milano dello Studio BBPR, Salvador Dalí e il suo Telefono aragosta, la stripper Mademoiselle Féline, ritratta nel libro Métaphysique du strip-tease dal fotografo Irving Klaw e altre foto fetish tratte da riviste da questi pubblicate, il pittore Caspar David Friedrich, l'illustratore Arthur Rackham, il dipinto simbolista Il diavolo mostra al mondo la sua donna di Max Klinger, la celebre scena di Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau, alcune tavole dell'illustratore italiano Achille Beltrame, il disegnatore Wilhelm Busch, le bambole di Hans Bellmer, alcune idee tratte dalla sceneggiatura realizzata con Federico Fellini per il film, mai realizzato, Il viaggio di G. Mastorna.Il poema nel suo ibridismo compositivo riflette anche trame cinematografiche sul mito di Orfeo. Un'influenza si può cogliere nel momento della catabasi di Orfi, precisamente nell'illustrazione della scala. Per l'impostazione essa rievoca la scala nell'Orfeo Negro di Marcel Camus (1958)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Poiné.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Poiné (in greco antico: Ποινή, Poinḗ), in italiano Poina, Poena o Pena, era il demone delle pene, delle vendette, delle condanne e delle espiazioni, specialmente per omicidi colposi. Nella mitologia romana, corrisponderebbe a Ulzione, dea della vendetta il cui culto era associato a Marte.\n\nEtimologia.\nIl nome viene dal termine poinḗ, che in greco antico significa «pena, multa, penitenza».\nDa questa parola deriva il sostantivo latino poena, da cui derivano pena, cioè «tristezza, dolore, afflizione», penale, come nell'espressione diritto penale («branca del diritto che riguarda l'erogazione di sanzioni»), e il verbo punire in italiano e pain, cioè «dolore», e sub poena, espressione specifica del diritto anglosassone, in inglese." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polemos.\n### Descrizione: Polemos (in greco antico: Πόλεμος?), nella mitologia greca, era il demone della guerra - e probabilmente della guerra civile - , padre di Alalà, personificazione del grido di battaglia. Faceva parte del gruppo di entità guerresche che infestavano i campi di battaglia, tra le quali, oltre alla figlia Alala, c'erano il dio della guerra Ares, le Makhai, gli Hysminai, le Androctasie, Enio, Eris e le Chere.\nSecondo alcuni studiosi, Polemos non sarebbe un'entità a sé stante, ma si tratterebbe di uno degli epiteti di Ares.\nDa polemos deriva la parola italiana 'polemica'.\n\nVoci correlate.\nDivinità della guerra.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Polemos in Theoi.com, su theoi.com.\nPolemos in Disinformazione.it, su disinformazione.it." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Polibo di Corinto.\n### Descrizione: Pólibo (in greco antico: Πόλυβoς?, Pόlybos), re di Corinto, è una figura della mitologia greca.\nSposò Peribea. Secondo la leggenda, un giorno un servitore gli portò un bambino che aveva trovato legato nel bosco. A causa dei legacci, i piedi del bambino si erano gonfiati; per questo Polibo gli diede il nome di Edipo, che in greco antico voleva dire colui che ha i piedi gonfi. Il re e sua moglie lo allevarono come un figlio.\nNella sua opera Storie d'amore (Erotika Pathémata), Partenio di Nicea racconta le vicende della figlia di Polibo, Alcinoe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polidamante.\n### Descrizione: Polidamante (in greco antico: Πολυδάμας -αντος?, Poludámas -antos) è un personaggio della mitologia greca. Fu un indovino, consigliere e valoroso guerriero che combatté nella guerra di Troia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Pantoo e di Frontide o di Pronoe (o Pronome), fu padre di Leocrito.\n\nMitologia.\nPolidamante fu un indovino troiano, amico e luogotenente di Ettore nella guerra di Troia, le cui gesta sono narrate soprattutto nell'Iliade.\nSi dimostrò un valoroso guerriero uccidendo numerosi greci come Protoenore, Mecisteo, Oto,Eurimaco. Secondo il libro XVII egli trafisse il capitano Peneleo, trapassandogli la spalla con la lancia: Peneleo sopravvisse, benché rimasto seriamente ferito. In precedenza, come narrato nel dodicesimo libro dell'Iliade, Polidamante trovò il modo corretto di attraversare il largo e pericoloso fossato che faceva parte della difesa al porto acheo e inoltre interpretò il segno inviato da Zeus (un'aquila vola con un serpente tra gli artigli, ma questo le si ritorce contro e la morde) come un presagio funesto, per cui consigliò a Ettore di non continuare l'assedio.\nL'ultima apparizione di Polidamante nel poema omerico è nel XVIII libro, dove si dice che dopo la morte di Patroclo egli esortò Ettore a non impegnare le truppe troiane nella battaglia presso le navi, non venendo però ascoltato.\nLa morte dell'eroe è descritta dagli autori successivi. Fu ucciso da Aiace Telamonio, con un colpo di lancia che gli trapassò l'inguine." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polidamna.\n### Descrizione: Polidamna (Πολύδαμνα) è una figura della mitologia greca.\nMenzionata nell'Odissea di Omero, è la moglie del nobile Tone (Θῶν). Entrambi sono egiziani. Polidamna dette a Elena, moglie di Menelao, il nepente, una droga con 'il potere di spazzare via ogni angoscia e ira e di cancellare ogni ricordo doloroso' che Elena versò nel vino che Telemaco e Menelao stavano bevendo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Polifemo (argonauta).\n### Descrizione: Polifemo (in greco antico: Πολύφημος?, Polúphemos) è un personaggio della letteratura greca antica. Compare nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, come partecipe della spedizione argonautica alla ricerca del vello d'oro.\n\nBiografia.\nGioventù.\nNel catalogo degli argonauti, presente nel primo libro del poema: si dice che suo padre è Elato, proveniente da Larissa, località tessala. Da giovane si scontrò gloriosamente contro i centauri, essendo alleato dei Lapiti.\n\nSpedizione argonautica.\nNella spedizione argonautica è però già abbastanza anziano. Egli è il testimone uditivo della scomparsa di Ila, di cui sente il grido disperato in Misia, per poi cercarlo ed avvertire Eracle, che lo sostiene nella ricerca. Durante questa la nave Argo parte e, pur sempre per volere divino, rimane a terra con Eracle e lo scomparso Ila. Successivamente fonda in Misia una città e parte alla ricerca degli Argonauti, per ricongiungersi a loro, ma muore presso il popolo dei Calibi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Polifemo.\n### Descrizione: Polifemo (in greco antico: Πολύφημος?, Polýphēmos, letteralmente «che parla molto, chiacchierone» oppure «molto conosciuto»), è un ciclope della mitologia greca citato da vari autori antichi: Omero, Teocrito, Euripide, Ovidio, Virgilio.\n\nNell'Odissea.\nPolifemo è figlio del dio del mare Nettuno e di Toosa, una bellissima ninfa. Ma non assomiglia alla madre. È altissimo, ha il corpo massiccio coperto di peli rossi, i capelli aggrovigliati e un unico occhio in mezzo alla fronte. Appartiene alla famiglia dei Ciclopi, giganti con un occhio solo. Polifemo si nutre con il formaggio che ricava dal latte delle sue pecore. Quando però capitano dalle sue parti degli stranieri, li divora senza pietà.\n\nOmero narra che Ulisse, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, sbarcò nella Terra dei Ciclopi. Spinto dalla curiosità, Ulisse raggiunse e visitò la grotta. Curioso di conoscere il padrone di casa di tale rifugio, Ulisse decise di restare in attesa. Al sentire la terra tremare sotto i passi del gigante, l'eroe e i suoi compagni si nascosero, venendo però presto scoperti. Ulisse si fece pertanto avanti, chiedendo ospitalità al ciclope. Polifemo era tuttavia il più grande, il più forte e il più feroce della sua specie e in quanto figlio di Poseidone si vantava di essere più forte persino di Zeus (dimostrando di peccare di hybris). In segno di disprezzo verso la Xenìa, afferrò e divorò quattro compagni del re di Itaca e imprigionò i Greci nella grotta, intenzionato a mangiarli uno per uno.\nIntrappolato con i suoi compagni nella caverna del Ciclope, il cui ingresso era bloccato da un masso enorme, Ulisse escogitò un piano per sfuggire alla prigionia di Polifemo. Come prima mossa, egli offrì del vino dolcissimo e molto forte al Ciclope, per farlo cadere in un sonno profondo. Polifemo gradì così tanto il vino che promise a Ulisse un dono, chiedendogli però il suo nome. Ulisse, astutamente, gli rispose allora di chiamarsi 'Nessuno'. 'E io mangerò per ultimo Nessuno', fu il dono del ciclope.\nDopodiché Polifemo si addormentò profondamente, stordito dal vino. Qui Ulisse mise in atto la seconda parte del suo piano. Egli infatti, insieme ai suoi compagni, aveva preparato un bastone di notevoli dimensioni ricavato da un ulivo che una volta arroventato fu piantato nell'occhio del Ciclope dormiente dai Greci. Polifemo urlò così forte da destare dal sonno i ciclopi suoi fratelli. Essi corsero allora alla porta della sua grotta mentre Ulisse e i suoi compagni si nascondevano vicino al gregge del ciclope Polifemo. I ciclopi chiesero a Polifemo perché avesse urlato così forte e perché stesse invocando aiuto, ed egli rispose loro che 'Nessuno' stava cercando di ucciderlo. I ciclopi, pensandolo ubriaco o in preda al dolore di Zeus, lo lasciarono allora nel suo dolore e gli raccomandarono di pregare aiuto a suo padre. La mattina dopo, mentre Polifemo faceva uscire il suo gregge per liberarlo, giacché lui non sarebbe stato più in grado di guidarlo, Ulisse e i suoi soldati scapparono grazie a un altro abile stratagemma, che faceva parte della terza parte del suo piano. Ognuno di loro si aggrappò infatti al vello del ventre di una pecora per sfuggire al tocco di Polifemo, poiché il Ciclope si era posto davanti alla porta della caverna, tastando ogni pecora in uscita per impedire ai Greci di fuggire. Ulisse, ultimo ad uscire dalla grotta, la fece aggrappato all'ariete più grande, il preferito del Ciclope.\nAccortosi della fuga dei Greci, Polifemo si spinse su un promontorio, dove, alla cieca, iniziò a gettare rocce contro il mare, nel tentativo di affondare la nave. Qui Ulisse commise un errore. All'ennesimo tiro a vuoto del Gigante, Ulisse, ridendo, ebbe a gridare: «Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Outis ('Nessuno'), ma Ulisse d'Itaca!», rivelando così il suo vero nome. Polifemo, venuto allora a conoscenza dell'identità del Greco, ebbe a maledirlo, invocando il padre suo Poseidone e pregandolo di non farlo mai ritornare in patria oppure, se scritto nel destino che debba tornare, di far durare il suo viaggio per anni, che perda tutti i compagni e che in patria trovi solo sciagure (che è esattamente quanto capiterà al figlio di Laerte).\n\nNelle opere antiche successive.\nPolifemo è il protagonista dell'unico dramma satiresco a noi pervenuto, Il ciclope, di Euripide, dove viene caratterizzato in modo conforme al poema omerico, esagerando nei caratteri grotteschi e comici che già erano presenti nella Odissea.\nNel III secolo a.C. Teocrito, nell'idillio XI, descrive Polifemo in un modo più amichevole e simpatico, dipingendolo con un carattere gentile, come innamorato non corrisposto di Galatea, per la quale intona un canto pastorale. Da Teocrito e dalla storia di Polifemo e Galatea riprendono lo spunto Metamorfosi di Ovidio, raccontando di Aci, un pastore siciliano innamorato della bella Nereide, ricambiati. Il ciclope Polifemo, che ama anch'egli la ninfa, venuto a sapere della storia, uccide con un grande masso Aci, dal cui sangue nascerà l'omonimo fiume siciliano.\nIl ciclope fa, poi, una brevissima apparizione nel terzo libro dell'Eneide. Enea e i suoi compagni sbarcano nell'isola dei ciclopi, dove sulla riva incontrano Achemenide, un compagno di Ulisse che non era riuscito a fuggire con lui; i Troiani fanno salire quindi Achemenide a bordo della loro flotta, proprio mentre Polifemo avverte la loro presenza.\n\nLocalizzazione del paese dei Ciclopi.\nSin dall'antichità, i Greci situavano il paese dei Ciclopi in Sicilia, ai piedi dell'Etna, così come del resto attesta lo stesso Tucidide: «La più antica popolazione che la tradizione riconosce come aver vissuto una parte della Sicilia sono i Ciclopi». In effetti lo storico non fece altro che riprendere le conoscenze diffuse dai navigatori greci sin dai tempi delle prime spedizioni coloniali nell'VIII secolo a.C., conoscenze che riflettono la loro rappresentazione dei mari e delle terre occidentali.\nDi fronte alla 'terra dei Ciclopi' Ulisse ed i suoi uomini sbarcano su un'isola disabitata ma peraltro ricca di risorse: terre fertili, pascoli per il bestiame, colline per i vigneti, sorgenti di acqua limpida, porto naturale dal facile ancoraggio, senza ormeggio difficoltoso né manovre lunghe e delicate. Tutto questo sviluppo del poema dell'Odissea sembra progettato per suggerire come l'isola offra ogni possibile vantaggio per mercanti in cerca di approdi e punti vendita. Ellenisti e studiosi hanno dunque cercato di individuare quale fosse effettivamente il paese dei Ciclopi.\n\nI nomi che appaiono su tutte le carte marine ed i dati di navigazione situano il paese dei Ciclopi alle pendici dell'Etna, di fronte ai Faraglioni dei Ciclopi presso Aci Trezza. Molti studi permettono di assimilare il ciclope Polifemo ad un vulcano dall'unico cratere tondeggiante, l'Etna: del resto, come il vulcano, Polifemo sprofonda nel sonno dopo un'eruzione e nei suoi terribili risvegli erutta e scaglia lontano massi e rocce.\n\nA sua volta Victor Berard, basandosi su una breve indicazione di Tucidide, situa la terra dei Ciclopi lievemente a nord di Napoli, laddove si trova l'isola di Nisida e, fra le scogliere di Posillipo, molte grotte servirono come abitazioni rupestri sino al ventesimo secolo. Una di queste grotte, particolarmente grande, erroneamente chiamata Grotta di Seiano, potrebbe essere, secondo l'ellenista, la grotta di Polifemo.\nInfine, fra le varie ipotesi, Ernie Bradford opta per l'arcipelago delle Egadi, composto da Marettimo, Favignana e Levanzo; su quest'ultima isola si trova la Grotta dei Genovesi, abitata sin dal Paleolitico e dal Neolitico. L'isola montagnosa di Marettimo in particolare, costellata di grotte, ha un aspetto piuttosto impressionante. Dinnanzi, sulla costa della Sicilia, le rovine dell'antica città di Erice attestano peraltro una presenza greca molto antica.\nNessuna di queste tre differenti ipotesi si è tuttora affermata definitivamente. Vi sono però dei dati certi: dei navigatori Greci provenienti da Eubea, Calcide ed Aulide in Beozia dall'VIII secolo a.C. promuovono spedizioni coloniali verso le terre d'Occidente ed arricchiscono il mito arcaico tramite le proprie effettive esperienze marittime; nel suo racconto, l'autore dell'Odissea arricchisce questa materia tramite una forma epica. Nella vicenda di Ulisse in quanto navigatore e del ciclope Polifemo in quanto luogo e popolazione locale si ritrova dunque una rappresentazione del mondo Mediterraneo e dei suoi confini, limiti e rischi, quali i Greci conoscevano nei secoli VII secolo a.C. e VI secolo a.C..\n\nInfluenza culturale.\nA Polifemo è intitolato il cratere Polifemo su Teti.\nIl ciclope compare in Il mare dei mostri, secondo libro della saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo di Rick Riordan, del quale è l'antagonista principale, avendo catturato il satiro Grover, migliore amico del protagonista Percy." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Poliido.\n### Descrizione: Poliido (in greco antico Πολύειδος, 'che vede molte cose') o Polido è un personaggio della mitologia greca e fu un celebre indovino della mitologia greca. Divenuto famoso per il mito che lo vede protagonista della resurrezione di Glauco.\nLe sue origini sono avvolte dal mistero, infatti esistono due diverse possibili ascendenze per lui.\n\nGenealogia.\nPoliido era discendente di Melampo, un altro veggente di grande fama e dato che quest'ultimo era padre di Abante e Mantio, diverse fonti dicono che Cerano era il padre di Poliido e quindi uno di questi due era suo nonno. Secondo uno scoliaste di Omero Iliade, Poliido aveva due figli, Euchenore e Clito, da Euridamia, figlia di Fileo. Pausania, invece, dice che Poliido era padre di Cerano, Mantio (che presero parte alla guerra di Troia, nonostante le tetre predizioni che il padre rivolgeva al primo di questi) e Asticrateia ed inoltre racconta che da suo figlio Cerano aveva avuto un nipote di nome Euchenore. In breve, le due linee alternative sono:.\n\nMelampo – Abante – Cerano – Poliido.\nMelampo – Mantio – Clito – Cerano – Poliido.\n\nIl mito di Poliido e Glauco.\nGlauco, figlio di Minosse, quando era piccolo, mentre cercava di catturare un topo, cadde in una botte di miele e vi morì. Minosse lo cercò invano dappertutto, così alla fine decise di affidarsi alla divinazione dei Cureti. Questi parlarono per enigmi e gli dissero la seguente frase: 'A che cosa rassomiglia il vitello delle mandrie del re, capace di cambiare colore ogni quattro ore, passando attraverso il bianco, il rosso e il nero? Chi saprà paragonare nel modo più esatto questo colore a qualcos'altro, sarà capace di riportarti Glauco ancora vivo!'.\nVennero così radunati al palazzo di Minosse tutti i saggi e gli indovini che ci fossero in circolazione e tra questi vi era Polido, che riuscì nell'intento di paragonare il colore del vitello alla mora del rovo che inizialmente è bianca, poi diventa rossa e infine, quando raggiunge il colmo della maturazione, raggiunge il colore nero. Per questo gli fu ordinato di cercare Glauco.\nL'indovino, siccome poteva contare su alcuni segni divinatori, riuscì a trovare il figlio del re. Minosse, nonostante ciò, non era ancora pienamente soddisfatto e così ordinò a Polido di resuscitare il bambino, rinchiudendolo in un sepolcro (secondo altre versioni in un giardino-prigione) con il cadavere e con la minaccia di non farlo uscire fino a quando non fosse riuscito a ridonargli la vita. Ovviamente l'indovino non aveva idea di come si potesse fare.\nPoliido si disperò per la situazione, inoltre, ad un tratto, vide un serpente avvicinarsi e ciò lo turbò molto e così, temendo che l'animale potesse nuocergli, con una spada che gli aveva lasciato Minosse (secondo altri con un sasso raccolto) e, scagliandolo contro la biscia, la uccise.\nDopo poco un altro serpente arrivò e si accostò a quello morto, lo guardò e se ne andò, per poi fare ritorno con un rametto magico con il quale risuscitò l'altro animale. Allora Poliido, estremamente sorpreso, prese il ramo e poggiandolo su Glauco riuscì a farlo tornare in vita.Secondo un'altra versione del racconto, Glauco fu resuscitato non da Poliido ma da Asclepio.\n\nDopo il ritorno in vita di Glauco.\nL'avventura alla corte di Minosse di Poliido, purtroppo per lui, non finisce qui. Infatti il re nella sua arroganza non volle che partisse nemmeno dopo aver adempito al suo compito e lo trattenne ad Creta cosicché potesse insegnare a Glauco l'arte della divinazione e della predizione del futuro. Dopo aver fatto ciò, gli fu finalmente consentito di allontanarsi dal palazzo di Minosse, ma prima di partire chiese al giovane Glauco di sputargli dentro la bocca: il fanciullo, stupito dalla richiesta, obbedì e di colpo dimenticò tutto quello che gli era stato insegnato dall'indovino.\n\nInterpretazione.\nSecondo alcuni questo mito cela la formula per la fusione del rame, infatti, il vitello è paragonato ad una mora (in greco συκάμινον 'sykàminon'), ma in questo caso si pensa che sia stato usato un gioco di parole proprio perché in greco il termine κάμινος ('kàminos') è usato per indicare il forno del fonditore. Glauco (dal greco Γλαῦκος, 'Glàukos') significa anche verde (dal greco γλαυκός 'glaukòs') e rappresenta simbolicamente la malachite. La botte contenente il miele in cui cade il ragazzo è il crogiolo. La giovenca dei tre diversi colori è il mantice composto dal cuoio che permette di dare le tre varie colorazioni al forno: il nero per l'arrostimento, il bianco per la fusione e il rosso per l'affinazione. Anche il ramo magico ha un significato importante, infatti rappresenta l'usanza dei fonditori di ridurre gli ultimi ossidi del metallo in fusione mescolando con un bastone di legno appena intagliato. Tutta la misteriosità del procedimento consiste nel trasformare una pietra verde (la malachite) in un metallo rosso 'vivo'.\n\nOmonimi.\nPoliido era anche il nome di un guerriero troiano, figlio di Euridamante e fratello di Abante. I due fratelli vennero uccisi in combattimento da Diomede durante la guerra di Troia.\nUno dei Proci che insidiano Penelope durante l'assenza di Ulisse si chiamava Poliido." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polimestore.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Polimestore, detto anche Poli(m)nestore (dal greco Πολυμήστωρ, latinizzato in Polymnestor), era il nome di uno dei re del Chersoneso di Tracia.\n\nIl mito.\nPolimestore si imparentò con Priamo, il re di Troia, sposando Iliona, una sua parente (figlia o cognata a seconda delle fonti). Il re troiano affidò a Polimestore uno dei suoi figli, Polidoro, affinché lo proteggesse durante la guerra di Troia. Agamennone, prima che la guerra iniziasse, cercò di corromperlo e di farlo schierare dalla propria parte, offrendogli oro e sua figlia, la bella Elettra, per moglie. Secondo la versione più comune, il re riuscì a fare uccidere Polidoro. In altri autori uccise per sbaglio il suo amato figlio, Deipilo, al posto del principe troiano: quando poi questi comprese la realtà delle cose prima rese cieco il traditore e poi lo uccise.\nIn realtà altri miti raccontano che sia stata Iliona stessa ad uccidere Polimestore, da sola o insieme a Ecuba.\n\nFonti.\nIgino, Fabulae 109,240.\nAnna Ferrari, Dizionario di mitologia, Litopres, UTET, 2006, ISBN 88-02-07481-X.\n\nVoci correlate.\nAgamennone.\nIliona.\nPolidoro (figlio di Ecuba).\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Polimestore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polinice.\n### Descrizione: Polinice (in greco antico: Πολυνείκης?, Polynèikēs) è un personaggio della mitologia greca (parte integrante del ciclo tebano), figlio di Edipo e di Giocasta, fratello di Eteocle, Antigone, Ismene e padre di Tersandro, Adrasto e Timea.\n\nLa cacciata di Edipo e la diarchia.\nNel dodicesimo anno in cui Edipo regnava su Tebe, una virulenta pestilenza colpì la città: interrogando l'indovino Tiresia, Edipo scoprì che la città era contaminata da un μίασμα (mìasma, in greco, 'contaminazione') inviato dal dio Apollo, e che questi non l'avrebbe richiamato fino a che non fosse stato scoperto e punito l'assassino di Laio, predecessore di Edipo sul trono. L'indagine portò a un risultato agghiacciante: Edipo scoprì di essere il figlio di Laio e Giocasta, di aver ucciso inconsapevolmente suo padre per una lite a un crocicchio, ed essendo divenuto re al suo posto, dopo aver sconfitto la Sfinge, di aver sposato e aver giaciuto con sua madre Giocasta. Sconvolto per il parricidio e l'incesto, Edipo si cavò gli occhi e, per allontanare la pestilenza, fu bandito ed esiliato dalla città; sulla porta cittadina, pressato dalla folla, avrebbe scagliato maledizioni sugli dèi, su Creonte e in particolare sui suoi figli, 'augurando' loro di uccidersi vicendevolmente. Secondo una variante del mito Edipo non avrebbe abbandonato Tebe dopo essersi accecato, ma si sarebbe rinchiuso in una delle camere più remote del palazzo. Giocasta, invece, disgustata dalla relazione avuta con il figlio e omicida del precedente marito, si impiccò.\nIl regno, dunque, fu gestito da Creonte, il fratello di Giocasta, per un breve periodo d'interregno. Una volta raggiunta l'età per regnare, Eteocle e Polinice, essendo gemelli e non potendo vantare un diritto certo sul trono, si accordarono per istituire una forma di diarchia, regnando insieme, a turno, un anno alla volta. Fu estratto a sorte chi avrebbe iniziato per primo: Eteocle.\n\nEsilio di Polinice ad Argo.\nE la spartizione avrebbe funzionato, se, nel momento in cui Polinice doveva salire al trono, Eteocle non l'avesse fatto imprigionare e allontanare dalla città, tacciandolo d'incompetenza e malvagità ed escludendolo dalla successione al trono.\nIniziò così l'esilio di Polinice, che allontanandosi dalla Beozia raggiunse il Peloponneso e quindi la rocca di Argo, dove regnava Adrasto. Qui era radunato uno stuolo di pretendenti che si contendeva le figlie di Adrasto, Argia (o Egia) e Deipile; per non farsi nemici potenti, Adrasto aveva domandato alla Pizia di Delfi quale pretendente dovesse scegliere, ottenendo questa risposta:.\n'Aggioga a un carro a due ruote il cinghiale e il leone che combattono nel tuo palazzo.' Essendo un leone l'emblema di Tebe e un cinghiale quello di Calidone, da cui proveniva un altro principe esiliato, Tideo, quando Adrasto vide i due principi litigare e giungere quasi ad uccidersi per motivi futili, memore della profezia assegnò Egia a Polinice e diede Deipile a Tideo. Non solo: promise ai due principi di restaurare il potere che era stato loro usurpato.\n\nLa guerra contro Tebe.\nRiunì dunque i capi argivi: Capaneo, Ippomedonte, il veggente Anfiarao, l'arcade Partenopeo; pose se stesso e il genero Polinice al comando.\nMarciarono verso Tebe, nonostante le resistenze di Anfiarao, il quale aveva previsto che quella spedizione non avrebbe portato nulla di buono ai suoi comandanti; fu convinto da sua moglie Erifile, sorella di Adrasto, corrotta da Polinice con il dono della collana magica di Afrodite, che si diceva capace di conservare l'eterna bellezza, e che la dea aveva in passato donato all'ava tebana Armonia.\nAttestatisi gli argivi sul monte Citerone, Adrasto inviò Tideo come messo a Eteocle, affinché questi rinunciasse al trono in favore di Polinice. Vedendo la richiesta respinta, Tideo sfidò a duello tutti i capi tebani, li sconfisse uno dopo l'altro incutendo in essi un forte timore. Vedendo fallire le vie diplomatiche, l'esercito di Adrasto e Polinice si dispose ad attaccare la città: un campione per ciascuna delle sette porte di Tebe.\nTiresia, consultato dai tebani, garantì che i tebani sarebbero stati vittoriosi se un principe di sangue reale si fosse volontariamente offerto in sacrificio ad Ares; si dice allora che Meneceo, uno dei figli di Creonte, si uccise davanti alle porte. La profezia di Tiresia si rivelò veritiera: pur essendo i tebani sconfitti in una scaramuccia e respinti in città, nel momento in cui Capaneo appoggiò una scala alle mura e cominciò a salirvi, gloriandosi della propria forza, fu abbattuto da un fulmine inviato da Zeus. I tebani ripresero vigore, si scagliarono fuori dalle porte uccidendo altri tre dei sette eroi; il tebano Melanippo ferì al ventre Tideo; Atena, profondamente affezionata al suo protetto, si affrettò a ottenere da Zeus un miracoloso filtro che gli avrebbe consentito immediatamente di riprendersi: ma Anfiarao, che odiava Tideo per l'impegno con cui aveva spinto a favore di questa spedizione, uccise Melanippo staccandogli la testa, che offrì astutamente all'alleato comandandogli di spaccarne il cranio e inghiottirne le cervella. Tideo obbedì e Atena, disgustata, rovesciò a terra il filtro e fuggì via.\nSolo Anfiarao, Adrasto e Polinice restavano in vita: proprio il principe tebano si offrì di stabilire la successione al trono in duello con il fratello, che accettò la sfida. Nel corso di un'aspra battaglia, i due contendenti si uccisero a vicenda. Creonte, il loro zio, assunse la reggenza e si scagliò con l'esercito contro i nemici, ormai demotivati e demoralizzati. Anfiarao, che fuggiva con un cocchio lungo le rive del fiume Ismeno, fu inghiottito da un buco scavato nel terreno da una folgore divina, e divenne uno dei sovrani del regno dei morti.\n\nI cadaveri insepolti: l'eroismo di Antigone, l'astuzia di Teseo.\nPolinice, dichiarato nemico della patria, doveva restare, per ordine di Creonte, insepolto, alla mercé di vermi e animali; Antigone, impietosita dalla sorte dell'amato fratello, disobbedì, accingendosi a salutarlo con una sepoltura simbolica (secondo altre versioni, invece, allestendo una pira e cremando il cadavere). Arrestata dalle guardie, ammise di fronte allo zio le proprie responsabilità, richiamandosi alle 'norme non scritte degli dèi', che prevalgono sempre su quelle poste dagli uomini. Condannata a essere sotterrata viva, l'adolescente Antigone non resse di fronte alla sua sventura, e s'impiccò; il suo promesso sposo, Emone, che aveva tanto insistito perché venisse graziata e aveva infine ottenuto di andare a liberarla, la scoprì suicida e si tolse a sua volta la vita.\nAdrasto era sfuggito dalla disfatta in sella al suo cavallo alato, Arione. Quando scoprì che, per editto di Creonte, vigeva il divieto di dar sepoltura ai corpi dei nemici, si recò ad Atene e impetrò da Teseo che marciasse contro Tebe e punisse l'empietà del nuovo tiranno. Teseo lo fece immediatamente, attaccò la città di sorpresa, fece prigioniero Creonte e affidò i cadaveri insepolti al rogo funebre. Evadne, moglie di Capaneo, si gettò sul rogo comune e arse viva, per giacere vicino al luogo in cui era stato fulminato suo marito.\nA distanza di anni, furono i figli degli eroi sconfitti nella prima spedizione a impadronirsi di Tebe (nel corso della spedizione degli Epigoni, vale a dire 'discendenti'), guidata da Tersandro, figlio di Polinice ed Egia, che riconquistò così il trono, riuscendo nell'impresa che il padre aveva fallito.\n\nGenealogia.\nCuriosità.\nBen duecento anni prima che nascesse il detto vittoria di Pirro, per indicare una vittoria pagata a caro prezzo i greci si servivano dell'espressione vittoria cadmea (cfr. Erodoto, Storie I, 166).\nIl suicidio per impiccagione di Giocasta deriva forse da un'immagine trasfigurata nel mito: quella delle mezzelune che i tebani appendevano agli alberi per onorare la dea Selene." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polipete.\n### Descrizione: Polipete (in greco antico: Πολυποίτης?, Polypoítēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Piritoo e di Ippodamia, re dell'antica città di Ghirtòne in Tessaglia.\n\nMitologia.\nFu fra i pretendenti di Elena e partecipò alla guerra di Troia con 40 navi da Argisa, dove uccise alcuni guerrieri troiani minori come Pilone, Astialo ed Ormeno, ma soprattutto il giovane e valoroso eroe Damaso:.\n\nPolipete fu tra coloro che entrarono nel Cavallo di Troia. Dopo la presa di Troia, egli seguì Calcante, che non salpò con gli altri eroi greci bensì preferì viaggiare a piedi, prevedendo un ritorno a casa difficile per causa dell'ira di Atena. Arrivò così a Colofone, dove, assieme al compagno lapita Leonteo, seppellì Calcante, morto di crepacuore dopo una sfida con Mopso l'indovino. Al seguito di Mopso quindi, Polipete e Leonteo fondarono la città di Aspendo, nella regione della Panfilia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Polissena.\n### Descrizione: Polissena (in greco: Πολυξένη) è una delle figlie di Priamo e di Ecuba, principessa troiana di mirabile bellezza. La si ritiene responsabile della vaticinata e precoce uccisione di Achille, eroe mitico di proverbiale coraggio. Figura assente nell'Iliade, fu sviluppata dai poeti tragici, che ne temperarono la leggenda sino a definirla un personaggio corrispondente a Ifigenia, la fanciulla con la quale condivise la sorte di vittima di un sacrificio umano per la propiziazione del favore degli dèi.\nIl suo mito fu ripreso da Euripide in due fortunate tragedie, Le Troiane e l'Ecuba, nonché nella Polissena di Sofocle, di cui rimangono pochi frammenti.\n\nMito.\nPolissena era la figlia più giovane di Priamo e di Ecuba. Darete Frigio, nella stesura del capitolo in cui esamina i protagonisti del conflitto troiano, ha delineato il ritratto di una giovinetta graziosa, alta, ben proporzionata, che con la sua bellezza superava molte altre donne. I suoi capelli erano sciolti, il collo esile, le gambe aggraziate e le mani sottili, ma la sua indole era ingenua e nascondeva un temperamento da bambina.Polissena era legata da un affetto morboso al bellissimo fratellino Troilo, la cui folgorante avvenenza aveva fatto sorgere dibattiti sulla sua effettiva natura umana. Alcuni autori lo definiscono persino il frutto di un amplesso della regina Ecuba con Apollo, ma in ogni modo l'anziano Priamo lo pose sotto la sua protezione, annoverandolo tra i suoi rampolli favoriti. La figlia di Priamo pare già godesse di liete prospettive di matrimonio, ma solo una di queste sarebbe stata presa in seria considerazione dal padre, quella di Eurimaco, figlio di Antenore, che l'ospitò nella sua dimora in attesa delle regali nozze.Venne l'inverno del decimo anno di guerra e gli eroi greci si imbattevano nei notabili troiani quando si recavano al tempio di Apollo Timbreo, che era territorio neutro; un giorno, mentre Ecuba stava sacrificando al dio, Achille arrivò al tempio con il medesimo proposito e si innamorò perdutamente della stessa Polissena.\nOra, era destino che Troia non potesse cadere se Troilo avesse compiuto venti anni di età. Nei primi nove anni di assedio, Achille tese un agguato al principe troiano per impedire che la profezia si avverasse. Troilo, che era solito riservare ogni sorta di amore ai suoi cavalli, si era recato ad abbeverarne uno con sua sorella Polissena presso una fontana che si trovava vicina al tempio di Apollo Timbreo. Mentre il giovinetto e sua sorella attingevano acqua, Achille, che attendeva nascosto il loro arrivo alla fontana, si precipitò fuori dal suo nascondiglio e assalì Troilo rovesciandolo dal suo cavallo, prendendolo per i capelli. Ma il figlio di Priamo sfuggì all'assalto dell'eroe e riuscì a nascondersi nel santuario di Apollo, trovando asilo sull'altare del dio. Achille, incurante di commettere un sacrilegio in un luogo consacrato al dio, trafisse Troilo con la sua lancia sullo stesso altare e lo decapitò sul posto.\nLa raffigurazione vascolare ha colto Polissena di frequente mentre in piedi e con un'anfora sul capo si reca presso una fontana insieme a Troilo giovinetto, l'uno per abbeverare i cavalli e la stessa per attingere l'acqua.\nUna delle leggende sulla morte di Achille racconta come l'eroe, innamorato della fanciulla, si sarebbe recato al Tempio di Apollo a Timbra per averla in sposa; qui avrebbe trovato la morte per mano delle frecce, forse avvelenate, di Paride.\nIl figlio di Achille, Neottolemo (noto anche come Pirro), immolò sulla sua tomba Polissena per onorare la memoria del padre.\n\nPolissena nelle Arti.\nSebbene non particolarmente frequentata nelle arti e nella letteratura, la vicenda di Polissena ne è rimasta comunque un tema fin dai tempi più antichi.\nGià dal VI secolo a.C. ci sono pervenuti alcuni vasi a figure nere, sicuramente ispirati dai Canti Ciprii, attenti ora ad un particolare ora ad un episodio. Abbiamo Achille in agguato di Troilo mentre Polissena riempie l’anfora d’acqua nella hydria del “Pittore di Londra B 76” al Metropolitan o il dinos del “Pittore dei Cavalieri” al Louvre, oppure i due fratelli che fuggono da Achille nel kylix detto Coppa di Siana del “Pittore C” , o semplicemente Achille che spia Polissena alla fonte nel lekythos del “Pittore di Athena”, ambedue al Louvre, oppure la scena sanguinosa di Neottolemo che sgozza la giovane principessa nell'anfora del British Museum attribuita alternativamente al “Pittore di Timiades” oppure al “Gruppo Tirrenico”. Una rappresentazione del sacrificio estremamente simile a quest'ultima, ma di più raffinata fattura, è scolpita a bassorilievo sul cosiddetto Sarcofago di Polissena del Museo Archeologico di Çanakkale.\nUn centinaio d’anni dopo furono composte le già citate delle tragedie di Euripide e quella perduta di Sofocle. Più o meno contemporaneamente Polignoto di Taso dipinse, fra le altre, la scena di «Polissena, che sta per essere sacrificata vicino alla tomba di Achille» in un edificio dell'Acropoli di Atene.\nDall’epoca romana ci è giunta in primis la scena del sacrificio in un riquadro della Tabula Iliaica Capitolina (I secolo a.C.) cui seguono la tragedia di Seneca Le Troadi e, soprattutto, le Metamorfosi di Ovidio che resteranno una fonte primaria fino ai tempi moderni. Molto interessante è il sarcofago scolpito ad altorilievo con le storie di Achille e Polissena (250 d.c. circa) ora Museo del Prado, proveniente probabilmente da Napoli.\nAgli albori della letteratura italiana la storia di Polissena viene indirettamente citata da Dante nella Divina Commedia, quale causa della morte di Achille, per questo condannato tra i lussuriosi, e come una delle cause della folle disperazione della madre Ecuba, considerata tra i superbi quale rappresentante della sfida troiana ai greci.\n\nPrima di Dante la vicenda era stata ripresa da Guido delle Colonne nella Historia destructionis Troiae. Poi anche Boccaccio ricordò Polissena dedicandole un capitolo delle sue De mulieribus claris ed in un passaggio dei De casibus virorum illustrium dove narra, come già Dante, la disperazione di Ecuba alla morte dei figli. Nelle codici manoscritti delle opere di Guido delle Colonne e Boccaccio ci sono pervenute alcune miniature a rappresentare il Sacrificio di Polissena.\nLa vicenda riscosse una fortuna sempre maggiore tra barocco, classicismo e rococò in Italia e Francia. Per la pittura si possono ricordare tre opere dedicate al Sacrificio di Polissena eseguite da Pietro da Cortona (1623-1624, Musei Capitolini), Giovanni Francesco Romanelli (dopo il 1630) e Charles Le Brun (1647, ambedue al Metropolitan Museum of Art) e quella di Nicolas Prevost al Musée des Beaux-Arts d'Orléans.\nMolto varia è la ripresa nella letteratura a cominciare dal genere epistolare. Pietro Michiel nel suo Dispaccio di Venere (1649) immagina una serie di epistole in versi tra amorosi, una serie di domande e risposte, iniziata nel 1632: nelle epistole III e IV immagina prima le profferte di Achille e quindi la ingannevolmente seducente risposta di Polissena. Più impegnata nei significati è Madeleine de Scudéry nelle sue Les Femmes illustres ou les Harangues héroïques. All’inizio della seconda più estesa edizione (1644) mette la severa lettera di Polissena a Pirro. Qui la giovinetta afferma di preferire la morte che vivere come schiava, che mai ha voluto essere l’amante dell’uccisore dei fratelli Ettore e Troilo e di considerarlo soltanto un nemico. Chiede solo che il suo corpo sia restituito alla madre e di non essere legata in quanto si offre volontariamente alla morte. Alla fine con un moto d’orgoglio rivendica di essere una principessa e ordina a Neottolemo di affondare il pugnale rinfacciandogli d’essere esperto nello spandere sangue reale.Nel teatro abbiamo diversi approcci piegati ad esigenze degli autori. Samuel Coster nel suo dramma letterario Polyxena (1619) si mantiene fedele alle fonti storiche invece Tomas Corneille ne La Mort d’Achille cambia parzialmente il ruolo del personaggio: Polissena è amata da Pirro senza ricambiare ma con una serie di intrighi diplomatici viene promessa sposa ad Achille, alla fine la principessa esce di scena meditando il suicidio mentre Paride uccide Achille.Nelle tragedie liriche venne utilizzata la variante del suicidio di Polissena così fa Jean Galbert de Campistron nel libretto di Achille et Polixène di Lully e Collasse (1687) ripresa da Jean-Louis-Ignace de La Serre nel Polyxène et Pirrhus scritto per Pascal Collasse nel 1706. Anche lo sconosciuto Fermelhuis adotta questa soluzione per l’opera Pyrrhus di Pancrace Royer che sebbene incentrata sulla figura di Polissena evita di citarla nel titolo in quanto l’atto unico Polixéne di Jean Dumas d'Aigueberre, in scena con successo l’anno precedente, era stato troppo presto ripreso in farsa dalla Comédie-Italienne.Le pitture del Sacrificio di Polissena della prima metà del Settecento, pur mantenendo lo stesso impianto teatrale tipico del rococò, restano indecise tra supplizio e suicidio, preferendo mostrare una dignitosa principessa accompagnata davanti all’urna di Achille alla presenza di Pirro. È reso sicuro il supplizio dal carnefice con il coltello sguainato nel dipinto di Sebastiano Ricci (1720/30) ad Hampton Court ma in quello di Giovanni Antonio Pellegrini a Poznan (1730) il finale resta aperto. Giambattista Pittoni, il più prolifico e richiesto in questo soggetto sia negli originali che nelle repliche, presentò soluzioni alterne. Nel grande quadro (1720), distrutto nella seconda guerra mondiale, di Palazzo Caldogno Tecchio a Vicenza mostrava un anziano con un coltello pronto alla mano e Polissena in atteggiamento di abbandono e con le mani legate, nel piccolo quadro dell’Ermitage e nella replica del Getty Museum (1733/34) il carnefice veste un abito sacerdotale e sembra discutere con Pirro se affidare l’arma ad una altezzosa Polissena. In quello della Staatsgalerie di Stoccarda, e nelle repliche della Národní Galerie di Praga e del Walters Art Museum (1735 circa), Polissena attende paziente che i sacerdoti preparino l’incenso mentre in disparte un paggio reca, quasi dissimulato in un piatto, il coltello scarificale. Negli altri dipinti le armi destinate al sacrificio non sono visibili: in quello della Residenza di Würzburg Polissena si offre inginocchiata all’altare sacrificale ed in quello gigantesco di Palazzo Taverna a Roma, come nella più piccola replica del Louvre (1730 circa), si fa dignitosamente accompagnare al sacrificio da Neottolemo. In tutti resta invariabile l’atteggiamento autoritario di Pirro.\nAi primi dell’Ottocento la vicenda viene ancora più rivoluzionata nell’opera Ecuba (1812) di Nicola Manfroce su libretto di Giovanni Schmidt. Polissena si innamora di Achille nonostante la recente morte di Ettore e Priamo accetta che si sposino in cambio della pace sebbene Ecuba cerchi di convincere la figlia ad uccidere l’amato. Durante la cerimonia delle nozze giunge la notizia che i greci hanno invaso Troia e Achille, che tenta invano di convincere tutti di non essere partecipe dell’inganno, viene fatto uccidere da Ecuba. Infine i greci entrano nel tempio, uccidono Priamo e rapiscono Polissena. Ecuba rimane sola a lanciare maledizioni mentre la città viene distrutta.\nIl mito di Polissena continua ad essere un soggetto nelle arti visive romantiche e tardo-romantiche in maniera più limitata e con connotazioni retoriche diverse. Si va dal bel dipinto di Blondel al Lacma con lo svenimento di Ecuba contrapposto all’atteggiamento contrito ma dignitoso di Polissena, al violento contrasto tra Ecuba e Pirro, che ghermisce la principessa, nella scultura (1865) di Pio Fedi nella Loggia dei Lanzi a Firenze. per finire nel gusto simbolistico che ritrae la principessa morta ai piedi dell’urna di Achille nella versione notturna di Joseph Stallaert (1875) al Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa e in quella arcadica di Paul Quinsac (1882 - ubicazione ignota).\nPolissena ritorna marginalmente come uno dei personaggi nella pièce pacifista di Jean Giraudoux La Guerre de Troie n'aura pas lieu. A Polissena è dedicata anche una delle tavole disegnate da Pablo Picasso per illustrare le Metamorfosi di Ovidio (1931, Musée national Picasso).\nUna interpretazione originale del personaggio di Polissena, come prototipo della bellezza indifesa, si trova nel romanzo Cassandra di Christa Wolf. Nell'interpretazione dell'autrice tedesca la ragazza, costretta a cedere al rude Achille per non meglio precisate 'ragioni di stato', trascorre quel che le resta da vivere (prima di essere uccisa da Neottolemo) in una sorta di pazzia che tollera soltanto suoni bassi e luci sfumate." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Polisso (moglie di Tlepolemo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Polisso (in greco antico: Πολυξώ) era la moglie dell'eraclide Tlepolemo, re di Rodi.\n\nMito.\nPolisso era nativa di Argo, e fuggi a Rodi assieme a suo marito, diventandone regina; Tlepolemo morì durante la guerra di Troia, lasciandola vedova. Polisso, considerando Elena responsabile della morte di suo marito, la invitò a Rodi con lo scopo di ucciderla: accoltala con finta gentilezza, successivamente fece travestire alcune sue ancelle da Erinni che, dopo averla prelevata nuda dall'acqua dove era solita fare il bagno, la impiccarono ad un albero." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Polite (figlio di Priamo).\n### Descrizione: Polite, (in greco Πολίτης, [la pronuncia è polítes], letteralmente 'cittadino') è un personaggio della mitologia greca.\n\nIl mito.\nPolite fu uno dei diciannove figli di Priamo e di Ecuba, citato in diversi passi dell'Iliade. Si racconta che durante la guerra ebbe un figlio, che chiamò Priamo come suo padre. Nei combattimenti che si susseguirono presso Troia nel decimo anno di guerra, aiutò Deifobo, suo fratello, ad abbandonare la battaglia, essendo questi stato ferito da Merione. Durante l'assalto alle navi achee uccise un guerriero acheo, Echio.\nLa morte del principe troiano è narrata da Virgilio nel secondo libro dell'Eneide. Nella notte della presa di Troia, Polite, rimasto ferito, cerca di raggiungere il padre per salvargli la vita, ma inseguito viene ucciso da Neottolemo, figlio di Achille, sotto gli occhi del re.\n\n(Virgilio, Eneide, II, traduzione di Luca Canali).\nSuo figlio Priamo sopravvive invece alla caduta della città: Virgilio cita il fanciullo tra le persone che vengono messe in salvo da Enea e che si uniscono a lui.\n\nNell'arte.\nTra i dipinti dove appare il principe troiano, si ricordano Polite in osservazione di Hyppolite Flandrin e La morte di Priamo di Léon Perrault, nel quale il giovane è appena stato ucciso.\n\nVoci correlate.\nFigli di Priamo.\nPriamo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Polite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Pollon.\n### Descrizione: Pollon (ポロン,?, Poron) è la protagonista del manga omonimo giapponese (intitolato in originale Olympus no Pollon) e dell'anime C'era una volta... Pollon di Azuma Hideo.\n\nBiografia.\nPollon è una semi-dea di circa 6-7 anni con riccioli biondi, vispa, intelligente e curiosa. È l'unica figlia del dio Apollo, che ha messo al mondo con una mortale che l'ha poi lasciato per un tassista, e vuole a tutti i costi diventare una dea a tutti gli effetti. In qualità di figlia di un dio, abita sull'Olimpo e vive storie ispirate a quelle della mitologia greca. Suo compagno di avventure e giochi è Eros, il dio dell'amore (ironicamente racchio considerando la professione e la madre).\nSia nel manga che nell'anime, le sue disavventure relative ai tentativi di diventare dea la vedono co-protagonista di miti pre-esistenti (che crescono di numero nella serie animata) con una certa vena comica e un po' moderna sia nei personaggi che negli eventi, che hanno perlopiù anche un finale meno tetro che nei miti. Tuttavia, entrambi i media culminano in punti diversi.\nNel manga, Pollon è alfine sottoposta a una serie di prove che suo nonno Zeus e gli altri dei le preparano, ma l'ultima sfida (battere Zeus in duello) viene truccata da Apollo, che si sostituisce alla figlia per il timore che ella possa essere ferita dai fulmini. Non appena Zeus lo scopre, lo licenzia (a tempo indeterminato) dal suo ruolo di dio del Sole e nomina Pollon come sostituta.\nNell'anime, a metà della serie Pollon entra in possesso di un fermaglio che la mette in contatto con la 'Dea delle Dee', la quale le conferisce dei poteri magici che userà per aiutare gli altri protagonisti dei miti. Scoperto ciò, Zeus le fa dono di un salvadanaio a forma di trono che cresce ad ogni moneta: quando il trono sarà abbastanza grande da permetterle di sedercisi, Pollon sarà nominata dea. Come ultima prova, Zeus le chiede di sbarazzarsi dell'Idra di Lerna, ma, sebbene Pollon riesca a distruggere il corpo del mostro, le sue teste continuano a seminare zizzania per la Grecia ed è indirizzata dalla Dea delle Dee verso il Vaso di Pandora, dentro il quale dovrà trovare qualcosa che le faciliti la sconfitta dell'Idra, finendo però in questo modo per liberare dei demoni. Sul fondo del vaso trova tuttavia la speranza, che scopre essere la Dea delle Dee in persona, e con il suo potere sbaraglia l'Idra e i mostri del vaso, diventando così la nuova dea della speranza." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Poltide.\n### Descrizione: Poltide è un personaggio mitico, figlio di Poseidone, che regnò su Eno, in Tracia.\nOffrì generosa ospitalità ad Eracle che, di ritorno dalla sua vittoriosa spedizione contro le Amazzoni, era passato attraverso la Troade. L'eroe fu sul punto di imbarcarsi per riprendere il viaggio, quando fu infastidito da Sarpedonte, insolente fratello di Poltide, che uccise sulla costa trace.\nUn mito racconta che i Troiani si rivolsero a lui in un'ambasciata per richiedere il suo sostegno nella guerra di Troia, in cambio di ricchi doni. Poltide offrì il suo soccorso se Paride avesse acconsentito a donargli Elena, promettendogli di risarcirlo con due belle fanciulle della sua città. Le autorità troiane respinsero naturalmente la condizione e Poltide rifiutò di intervenire in guerra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pomo della discordia.\n### Descrizione: Il pomo della discordia o mela della discordia è, secondo il mito, la mela lanciata da Eris, dea della discordia, sul tavolo dove si stava svolgendo il banchetto in onore del matrimonio di Peleo e Teti che causò una lite tra le dee presenti e che condusse, per una serie di eventi, alla Guerra di Troia.\nIn senso figurato, il pomo della discordia è un oggetto o un fatto che è causa di disaccordo, di contrasto e di lite fra le persone.\n\nIl pomo d'oro.\nLa dea Eris, furiosa per l'esclusione dal banchetto nuziale, per vendicarsi, incise sulla mela d'oro (secondo alcuni presa nel giardino delle Esperidi) la frase 'Alla più bella' e la lanciò non vista, sul tavolo imbandito, causando così una lite furibonda fra Era, regina degli dei, Afrodite, dea della bellezza, e Atena, dea della saggezza.\nLe tre dee andarono da Zeus, ma lui si astenne dal pronunciare il giudizio su chi fosse la più bella, perché avrebbe scatenato le ire delle dee 'perdenti' in eterno. Zeus decise quindi di affidare il compito ad un mortale. Scelse Paride principe di Troia, perché, come avevano testimoniato eventi passati, il giovane era abile e giusto nel giudicare.\nLe tre dee, per ingraziarsene il giudizio, promisero svariate ricompense: Atena lo avrebbe reso sapiente e imbattibile in guerra, consentendogli di superare ogni guerriero; Era promise ricchezza e poteri immensi, tanto che a un suo gesto interi popoli si sarebbero sottomessi, e tanta gloria che il suo nome sarebbe riecheggiato fino alle stelle; Afrodite gli avrebbe concesso l'amore della donna più bella del mondo. Paride scelse come vincitrice Afrodite ed ottenne così l'amore della donna più bella della terra. La dea dell'amore aiutò quindi Paride a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, e il fatto fu la causa scatenante della guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ponos.\n### Descrizione: Ponos (in greco: Πόνος) era lo spirito del lavoro duro e della fatica. Sua madre era la dea Eris (discordia), che era la figlia di Nyx (notte). Era il fratello di Algos, Lete, Limos, e Horkos." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Popoli mostruosi.\n### Descrizione: Con il termine popoli mostruosi viene designato un corpus mitologico omogeneo, sviluppatosi esclusivamente nella mitologia occidentale greco-latina e medioevale, che include diversi tipi di popolazioni fantastiche che abitano terre lontane o sconosciute (al lettore e all'autore che li descrive), quelle regioni che le mappe del tempo designano con la nota locuzione latina hic sunt leones.\n\nOgni popolo di questa categoria è caratterizzato da una deformità fisica che è specchio di un comportamento o di comportamenti umani precisi, che vengono enfatizzati e stereotipati in queste creature.\n\nCaratteristiche.\nIn dettaglio, i caratteri omogenei di queste popolazioni sono:.\n\nsono composte da esseri umanoidi con una o più specifiche ed evidenti deformazioni del corpo, che conferiscono il nome proprio alla popolazione stessa. Le deformazioni sono le più varie, dall'assenza di alcuni organi (occhi, naso, bocca, testa, giunture, mani) alla duplicazione o moltiplicazione degli stessi, dall'ipertrofia (torso, piedi, collo, orecchie enormi) all'accostamento di membra di diverse proporzioni (corpo gigantesco e testa minuscola), per terminare con ibridi, comunque sempre umanoidi, che hanno parti del corpo animalesche (teste di cane, di gallo, corna di capra, corpo peloso).\nsono, generalmente, privi di qualità divine o sovrannaturali.\ngli sono attribuiti, generalmente, comportamenti ed emozioni umane negative.\nabitano terre lontane o sconosciute.\nvivono, generalmente, in modo abbrutito, senza creare società o insediamenti più che primitivi.\n\nElenco dei popoli mostruosi.\nPer ogni popolazione viene indicata la mostruosità caratteristica. Nomi diversi affiancati, come per esempio Panozi e Pande indicano il nome più comune e la variante più significativa del mito. I nomi sono italianizzati e si rimanda alle rispettive voci per i termini originali.\n\nAigipani (Pan caprini: corna caprine sulla fronte e zampe di capra).\nAmicteri o Arrini (privi di narici o privi di naso).\nAntipodi o Abarimo (con i piedi rivolti all'indietro).\nArimaspi o Monoculi (con un solo occhio sulla fronte).\nArtabatici (quadrupedi).\nAstomi (privi di bocca).\nBlemmi (privi di testa e con la faccia sul ventre).\nBrachistomi (dalle labbra saldate).\nCiclopi (giganteschi con un solo occhio. Il riferimento è limitato ai ciclopi omerici e ai ciclopi costruttori di Tirinto e Argo, non ai figli di Urano. Si veda anche la voce Arimaspi).\nCinocefali (con la testa di cane).\nFomori (con la testa di capra).\nGegetoni (con corna sulla testa).\nGorgadi o Gorille (col corpo coperto di peli. Generalmente solo popolazioni di sesso femminile).\nImantipodi (hanno le gambe fini e piatte come delle 'strisce di cuoio').\nIppopodi (zoccoli di cavallo al posto dei piedi).\nNuli (piedi dotati di otto dita rivolti all'indietro).\nNāga (uomini serpente).\nNisicaste (tre o quattro occhi).\nPanozi o Pande (con enormi orecchie).\nPigmei (alti un cubito, in greco πυγμή).\nSciapodi o Monopodi (con una sola gamba e un unico grande piede).\n\nSignificato, diffusione e fonti storiche del mito.\nTra i riferimenti più antichi, troviamo le opere di Ctesia, di cui rimangono pochi frammenti originali e i riassunti contenuti nella Biblioteca, un vasto compendio storico-letterario redatto da Fozio nel IX secolo. Nella sua Indikà e nella storia della terra, Ctesia traccia una prima mappa dei popoli fantastici elencandoli. L'elenco verrà ripreso, in parte o del tutto, modificato e ampliato, da diversi autori greci e latini, tra cui: Esiodo, Strabone, Megastene, Gaio Plinio Secondo, Tertulliano.\nPur essendo le narrazioni di popolazioni con deformità fisiche abitanti luoghi favolosi o lontani, diffuse nelle mitologie di tutto il mondo, solo nella mitologia occidentale, si configurano chiaramente come un insieme compatto e ben omogeneo.\nNel periodo storico che va dal termine della classicità al termine del Medioevo, il corpus dei popoli mostruosi si struttura in modo compiuto: sono riconoscibili tutti i caratteri omogenei sopra descritti e viene sancita esplicitamente, nelle fonti, la relazione fra questi popoli e le terre lontane e incognite.\nIn questo lungo periodo, in cui si diffonde il Cristianesimo in Europa, si matura un duplice atteggiamento verso i popoli mostruosi.\nPrincipalmente, come già per gli autori classici greco-latini, i popoli mostruosi rappresentano tutto ciò che ostile, lontano e alieno, al mondo dell'uomo europeo; la caratterizzazione mostruosa di questi popoli rimarca la loro diversità; i loro comportamenti ferini, la loro sostanziale inferiorità. Come conseguenza, i popoli mostruosi, vengono, per estensione, identificati o accomunati da alcuni autori cristiani medievali, a popolazioni conosciute, ma ostili alla Cristianità, come i Mongoli o i Saraceni.\nIn secondo luogo, tuttavia, altri autori cristiani come Ratramno, sull'esempio di Agostino, cercano di ricondurre queste popolazioni all'interno della Cosmogonia biblica. Agostino d'Ippona in De Civitate Dei, infatti, pur nel dubbio se riconoscerne l'esistenza, essendo un mito pagano, afferma che queste creature, se esistono, devono avere necessariamente un loro posto nel disegno divino, attenuandone quindi l'aspetto negativo.\nLe fonti medioevali più significative sul corpus dei popoli mostruosi sono il Liber Monstrorum, di un Anonimo dell'VIII secolo, il Liber de Monstruosis Hominibus Orientis di Thomas van Bellenghem, lo Speculum Maius di Vincent de Beauvais, gli Ethimologiarum libri, sive Origines di Isidoro di Siviglia.\nL'identità fra mostruosità e popoli che vivono in terre sconosciute, si manterrà costante nei secoli successivi, mentre l'ubicazione geografica di questi popoli si sposterà, mano a mano che il confine delle terre conosciute viene ampliato.\nQuesto processo di traslazione del confine geografico del mito è simile a quello che interessa gli animali favolosi dei Bestiari, in special modo dopo il XV secolo, quando con le esplorazioni delle Americhe, dell'Africa e in seguito dell'Oceania, diversi animali reali subiscono, fino a che non vengono ben conosciuti e descritti dai naturalisti, un processo di mitizzazione, tanto più elaborato quanto più scarse sono le notizie che li riguardano." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Porte Scee.\n### Descrizione: Le porte Scee erano, secondo il mito, le porte della città di Troia, riportata alla luce nell'Ottocento dal tedesco Heinrich Schliemann. Erano la maggiore forza difensiva di Troia e devono la loro fama a Omero e alla sua Iliade.\nErano le porte monumentali della città ed era un luogo di culto del Sole. Erano state costruite, come il resto delle mura, dagli dei Poseidone e Apollo. Sotto di esse, si svolsero alcune tra le battaglie più importanti della guerra di Troia e fu proprio qui che Achille trascinò il cadavere di Ettore dopo averlo sconfitto in duello e attaccato al suo carro; sempre qui, secondo la predizione fattagli in punto di morte dallo stesso Ettore, Achille sarebbe stato ucciso per mano di Paride guidato dal dio Apollo:.\n\nResistettero sempre agli attacchi degli Achei, ma furono distrutte dagli stessi Troiani per far entrare in città il gigantesco cavallo di legno col quale i Greci alla fine espugnarono la città e vinsero la guerra.\n\nSignificato attuale.\nLe porte troiane hanno dato il nome a un elemento architettonico; propriamente una porta scea è un'apertura sghemba che presenta il suo lato destro più avanzato e a quota superiore rispetto a quello sinistro; in tal modo, in primo luogo, non si poteva arrivare al suo fornice secondo una direzione perpendicolare, quindi con la massima forza d'urto, ma obliqua e, in più, si sarebbe mostrato il lato del corpo non protetto dallo scudo (che, se si brandisce la spada con la mano destra, si porta con il braccio sinistro proteso in avanti), proprio verso l'avancorpo difensivo; questo permetteva un migliore controllo degli attacchi esterni e, in definitiva, una tattica difensiva più efficace.\nUn esempio di porta scea in Italia è l'arco di ingresso all'Acropoli di Arpino, visitata anche da Heinrich Schliemann nel settembre del 1875 e la porta scea di Siracusa, nonché quella di Monte Vairano, in Molise, area archeologica che ha messo in evidenza un centro abitato osco-sannita, frequentato già a partire dal VI e V sec. a.C., di cui è stato possibile individuare le mura, risalenti al IV sec. a.C., e che visse il maggior periodo di sviluppo tra il IV e il II sec. a.C., prima del suo totale abbandono." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Porte del Sonno.\n### Descrizione: Le Porte del Sonno sono le due uscite dall'Ade nel VI libro dell'Eneide di Virgilio (893-897); i Mani concedono anche l'invio ai mortali di sogni veri (dalla porta di corno) e falsi (dalla porta d'avorio). L'ombra di Anchise indirizza la Sibilla ed Enea, che stanno uscendo dall'oltretomba, alla porta d'avorio, dei sogni falsi.Virgilio riprende le Somni portae dalle due vie di uscita dei sogni descritte nel XIX libro dell'Odissea di Omero, secondo le parole di Penelope:.\n\nLa porta Cornea è fatta di corno (ovvero di osso oppure di cheratina), e da essa fuoriescono i sogni veri. La porta Eburnea è fatta di avorio, e da essa escono sogni falsi. Virgilio quindi attraverso questo esempio vuole sottolineare la questione delle false apparenze e di non fidarsi mai di esse.\nAnchise farà uscire Enea e la Sibilla dalla porta eburnea: essendo ancora vivo, infatti, Enea non può uscire dalla porta di corno, da dove escono le immagini dei defunti per apparire in sogno agli uomini e annunciare loro la verità.\n'Ivi Anchise, parlando, accompagna il figlio e insieme la Sibilla, e li fa uscire dalla porta eburnea: quello s'affretta alle navi e torna a vedere i compagni'.\n(Eneide, VI 897-899)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Porto marittimo di Poti.\n### Descrizione: Il porto marittimo di Poti (in georgiano ფოთის საზღვაო ნავსადგური?, p’ot’is sazghvao navsadguri) è un importante porto marittimo della costa orientale del Mar Nero, nei pressi della foce del fiume Rioni a Poti, in Georgia. Il codice UN/LOCODE è GEPTI e si trova alle coordinate geografiche 42°09′18″N 41°39′16″E.\nIl porto marittimo di Poti è un punto d'incrocio del corridoio trans-caucasico/TRACECA, un progetto multinazionale che collega il porto rumeno di Constanţa e il porto bulgaro di Varna con i paesi senza sbocco sul mare della regione del Caspio e dell'Asia centrale.\n\nStoria.\nLa costruzione di un porto marittimo a Poti fu concepita poco dopo il 1828, quando l'Impero Russo conquistò la città dall'Impero Ottomano che la controllava sin dal frazionamento del Regno di Georgia. Nel 1858 Poti ottenne lo status di città portuale, ma fu solo nel 1899 quando, sotto il patrocinio del suo sindaco Niko Nikoladze, la costruzione fu accelerata e infine completata nel 1907. Da allora il porto marittimo è stato ricostruito più volte, l'ultimo con il patrocinio del governo olandese e dell'Unione Europea.Nel 2007, la portata totale era di 7,7 milioni di tonnellate e la movimentazione dei container si aggirava sui 185.000 TEU.\n\nPrivatizzazione.\nNell'aprile 2008, la Georgia ha venduto una quota del 51% dell'area portuale di Poti alla Ras Al Khaimah Investment Authority (RAKIA), una società di proprietà dell'emirato di Ras al-Khaimah, appartenente agli Emirati Arabi Uniti (EAU). RAKIA è stata incaricata alla gestione del nuovo terminal portuale e, attraverso la sua controllata georgiana RAKIA Georgia Free Industrial Zone LLC, per lo sviluppo di una Zona Industriale Libera (FIZ) e per una concessione della durata di 49 anni. La nuova FIZ è stata ufficialmente inaugurata dal presidente della Georgia Mikheil Saakashvili il 15 aprile 2008. Nel 2009, RAKIA UAE ha acquisito la restante quota del 49% del porto. Tuttavia, a seguito della crisi del debito di Dubai del novembre 2009, lo sceicco Sheikh Saud Bin Saqr ha deciso di vendere la maggior parte delle attività detenute all'estero nell'ottobre 2010. Questa attenzione alle priorità interne è stata spiegata dalla controversa successione a Ras al-Khaimah in seguito alla morte del padre di Saud, lo sceicco Saqr Bin Muhammad Al Qasimi. Successivamente, l'80% del porto è stato venduto nell'aprile 2011 ad APM Terminals, un'unità della danese AP Moller-Maersk. L'8 settembre 2011, RAKIA Georgia FIZ ha deciso di alienare il 15 per cento delle sue azioni a favore dell'uomo d'affari georgiano Gela ('Zaza') Mikadze in riconoscimento della sua gestione, rendendolo un partner di minoranza nella FIZ. Mikadze possiede queste azioni attraverso la società britannica Manline Projects LLP, di proprietà di società offshore appartenenti a Mikadze." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Poti.\n### Descrizione: Poti (in georgiano: ფოთი), è una città portuale di 41.498 abitanti appartenente al Mkhare di Samegrelo-Zemo Svaneti in Georgia.\nPoti è la principale base navale e sede del quartier generale della Marina militare georgiana.\nSecondo gli accordi sottoscritti nell'aprile 2008 l'area portuale di Poti è destinata ad essere parte di una zona di libero scambio fra Georgia ed Emirati Arabi Uniti.\n\nStoria.\nFondata nei pressi del sito dell'antica colonia greca di Phasis (in greco: Φάσις) sul mar Nero, la città nel corso del XX secolo è divenuta un importante centro industriale ed il principale porto della Georgia.\nSituata a poca distanza dalla regione contesa dell'Abcasia, Poti è stata coinvolta nel conflitto fra Russia e Georgia dell'agosto 2008 ed è stata occupata da truppe russe sino al mese successivo.\n\nSport.\nCalcio.\nLa squadra principale della città è il K'olkheti-1913 Poti.\n\nVoci correlate.\nPorto marittimo di Poti.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Poti.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(KA) Sito ufficiale, su poti.gov.ge.\n(EN) Poti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pramno.\n### Descrizione: Il pramno (o pramnio) era un vino proverbialmente noto per la sua finissima qualità e per le proprietà curative, di cui si fa cenno nell'Iliade e nell'Odissea.\nAteneo di Naucrati utilizza il termine in maniera generica per riferirsi a un vino rosso corposo, invecchiato, di buona qualità.\n\nOrigini e caratteristiche.\nUtilizzato come dono di ospitalità (xenia), era prodotto soprattutto nell'isola di Lesbo, ma anche nella città di Smirne e nell'isola di Icaria. Secondo Omero era prodotto nella terra di Pramnos, che era probabilmente una zona montuosa della Caria (attuale Turchia) o la vicina isola Icaria (Grecia).\nEra un vino corposo, dolce e profumato (ἀνθοσμίας, anthosmías).\n\nIn Omero.\nNell'Iliade (XI, 836-863) Ecaméde, figlia di Arsínoo, lo miscela a formaggio e cipolle e miele per togliere ai suoi ospiti 'la sete ardente'.Nell'Odissea (X, 303-310) il vino di Pramnio, mescolato a latte rappreso, farina e miele, fu offerto dalla maga Circe ai compagni di Ulisse prima di trasformarli in porci." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Prassidiche.\n### Descrizione: Con l'appellativo di prassidiche o triade divina, venivano definite le tre dee dell'antica religione ellenica, nutrici di Atena, dispensatrici della 'giusta punizione'.\nLa triade era costituita dalle sorelle Alalcomenea, Telsinia (o Delcinia) e Aulide, figlie del leggendario eroe greco Ogigo, re di Tebe.\nAl culto delle Prassidiche era consacrato un tempio nella città di Aliarto, in Beozia, dove si prestavano i giuramenti di vendetta.\nA loro è stata dedicata una delle lune di Giove del gruppo di Ananke." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Prati di asfodelo.\n### Descrizione: I prati di asfodelo sono un luogo dell'oltretomba greco.\n\nDescrizioni.\nSecondo Omero, le ombre dei trapassati si aggirano nell'Ade su prati di asfodelo. Nel libro XI dell'Odissea, in cui Ulisse evoca gli spiriti dei defunti, si hanno brevi scorci dell'oltremondo. Si ha un primo accenno quando si allontana Achille:.\n\ne un secondo quando appare Orione:.\n\nNel libro XXIV, le anime dei morti giungono a prati di asfodelo immortale:.\n\nLa classicista Edith Hamilton scrive di questi asfodeli che sono 'presumibilmente strani, pallidi, spettrali'.\nNell'antica Grecia, l'asfodelo era inoltre coltivato sulle tombe, forse anche per la credenza che i morti se ne cibassero.\nCorrado Govoni, in Poesie Elettriche, nella poesia Tristezze Notturne, cita l'asfodelo in relazione ai morti:.\n'Da una casa si sente un gramolare;.\ne sono i poveri i pallidi morti.\nche laggiù fanno il loro triste pane.\nil loro bianco pane d'asfodelo.'.\n\nInfluenza culturale.\nI prati di asfodelo compaiono anche nel videogioco Hades, in cui il protagonista, il dio ctonio Zagreus, cerca di evadere dall’oltretomba, dovendo attraversare anche i Prati d’Asfodelo. In questo videogioco l’uscita dei Prati è sorvegliata dalle ossa della leggendaria Idra di Lerna. Sconfiggendola riuscirà ad emergere nei Campi Elisi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Priamo.\n### Descrizione: Priamo (in greco antico: Πρίαμος?, Príamos; in latino Priamus) è un personaggio della mitologia greca. Fu il Re di Troia durante la guerra di Troia e morì nella notte della caduta della città.\n\nGenealogia.\nPriamo era il figlio ultimogenito di Laomedonte e di Strimo o Placia (figlia di Otreo) o Leucippe.\n\nMatrimoni, concubine e progenie.\nPriamo si sposò tre volte ed ebbe numerose concubine e schiave. La sua progenie fu numerosissima. Secondo la versione più diffusa il numero totale dei suoi figli arriverebbe al numero tondo di cinquanta mentre altre fonti parlano di cinquanta maschi e cinquanta femmine.\nIn prime nozze sposò Arisbe da cui nacque il figlio Esaco : i due erano giovanissimi e a quanto pare Priamo non era ancora re. Priamo in seguito ripudiò Arisbe in favore di Ecuba (o Ecabe) da cui ebbe Ettore (l'eroe dell'Iliade ed erede al trono), Paride, Deifobo, l'indovino Eleno, Pammone, Polite, Antifo, Hipponoo, il primo Polidoro, Troilo e le figlie Creusa, Laodice, Polissena, Cassandra (gemella di Eleno) e Iliona.\nL'ultima moglie fu Laotoe (da lui sposata senza ripudiare Ecuba), che gli diede i maschi Licaone e il secondo Polidoro che fu il suo ultimogenito.\nTra i figli avuti da schiave o concubine i più noti sono Democoonte, Gorgitione (avuto da Castianira), Cebrione, Mestore e Medesicaste.\n\nMitologia.\nLa guerra di Eracle.\nApollodoro scrive che fu il quinto ed ultimogenito avuto dal padre (re Laomedonte) con la moglie Strimo e che fu chiamato con il nome Podarce (il pié veloce).\n\nDurante la sua infanzia, suo padre non mantenne la parola data ad Eracle (riguardo al pagamento di un debito) e da costui fu attaccato, subendo così una guerra dove finì ucciso assieme ad alcuni dei suoi figli.\nEracle inoltre, finita la guerra, premiò il compagno Telamone con Esione (una figlia di Laomedonte e Strimo) alla quale permise di portare con sé un prigioniero (Podarce) per il quale fu però deciso che doveva essere riscattato come schiavo: così lei, come prezzo del riscatto diede il velo che le copriva la testa ed il giovane Podarce fu chiamato Priamo vale a dire ' il riscattato '.\nIn seguito a questi fatti Priamo salì al trono della città di Troia. Diodoro Siculo scrive invece che Priamo si oppose alla guerra con Eracle e che disse al padre di pagare il debito ad Eracle.\n\nLa guerra di Troia.\nOmero racconta che prima della guerra di Troia, re Priamo ebbe una rispettabile carriera militare combattendo a fianco del re Migdone di Frigia contro le Amazzoni (quest'ultime divenute sue alleate nel conflitto contro gli Achei) e che fu un esperto guidatore di carri bellici.\n\nNella guerra di Troia era invece già anziano e non combatté sul campo di battaglia ma la osservò seduto sulle mura delle Porte Scee della città assieme ai suoi fratelli (Lampo, Clizio ed Icetaone) e con altri vecchi saggi del Consiglio.\nPriamo era inoltre un uomo buono e giusto ed a differenza dei suoi consiglieri si rifiutò di attribuire ad Elena la responsabilità dello scoppio della guerra (dandola invece a sé stesso); nell'Iliade si legge che addirittura le chiese di essere presentato ai comandanti nemici.\nL'unica volta che scese sul campo di battaglia fu per giurare i patti del duello tra il figlio Paride e Menelao; un'altra sua uscita dalle mura fu quando si recò all'accampamento dei nemici greci per chiedere ad Achille la restituzione del corpo del figlio Ettore (ucciso in precedenza da Achille) che riportò indietro su un carro..\nPrima della caduta di Troia perse quasi tutti i suoi figli maschi, uno dei quali, Licaone, subì anche il disonore della mancata sepoltura essendo finito nelle acque del fiume Scamandro.\n\nLa morte.\nLa morte di Priamo non è narrata nei poemi omerici, ma in altre opere come l'Eneide di Virgilio o la tragedia Le troiane di Euripide.\nNella notte in cui i greci riuscirono a penetrare a Troia, che venne data alle fiamme, Priamo rivestì la sua vecchia armatura desiderando cercare la morte nella mischia, ma la moglie Ecuba in lacrime lo convinse a rifugiarsi con le donne sull'altare di Zeus Erceo. Così egli vide la morte del figlio Polite, inseguito da Pirro Neottolemo fin sui gradini dell'altare. Il vecchio re vibrò allora debolmente l'asta contro Neottolemo, senza riuscire a colpirlo: l'acheo lo afferrò e gli conficcò la spada in un fianco, uccidendolo. Sempre secondo il testo latino, al cadavere venne poi recisa la testa, ma non si dice se fu Neottolemo l'esecutore di tale atto.\n\n(Virgilio, Eneide, libro II, traduzione di Luca Canali).\nIn alcune raffigurazioni artistiche (vasi e anfore del VI secolo avanti Cristo), invece, il re troiano viene percosso a morte da Neottolemo col cadavere di Astianatte. Nessuna fonte letteraria pervenutaci descrive questa versione del mito.\n\nIl tesoro di Priamo.\nIl tesoro di Priamo è un insieme di oggetti in metalli preziosi che Heinrich Schliemann scoprì nel sito dell'antica Troia e che egli attribuì al re Priamo. Gli oggetti, ritrovati nel livello denominato Troia II, appartengono in realtà alla seconda metà del III millennio a.C. e sono dunque molto più antichi degli avvenimenti narrati nell'Iliade (che secondo la tradizione risalgono all'inizio del XII secolo a.C.)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Priapea.\n### Descrizione: I Priapea sono una raccolta anonima di 95 carmi latini, per lo più inni ed epigrammi di carattere salace dedicati a Priapo, dio agreste della fertilità.\n\nStruttura e contenuto.\nNei Priapea è quasi sempre il dio stesso che prende la parola per esibirsi in scherzose variazioni su pochi temi, continuamente ricorrenti: commenti alle enormi dimensioni dei suoi attributi virili e alle sue iperboliche prestazioni erotiche, minacce di punizioni ai ladri, consistenti in violenze sessuali di vario tipo; descrizioni di offerte votive a lui dedicate; attacchi contro le donne troppo vecchie o troppo libidinose. Ovviamente, tutto è giocato attraverso doppi sensi e giochi di parole.\nI metri sono gli stessi di Marziale: distici elegiaci, endecasillabi falecèi e coliambi; i componimenti sono per lo più molto brevi (dai due ai sei versi; il più lungo ne conta 38).\n\nAutore e datazione.\nTradizionalmente gli studiosi ritenevano che i Priapea fossero un'antologia di componimenti di diversi autori, poi raccolti perché accomunati dal medesimo argomento. Tuttavia alcuni studi più recenti hanno cercato di dimostrare che i primi 80 carmi costituirebbero un'opera unitaria di un singolo ignoto autore, cui in seguito furono aggiunti in coda altri 15 componimenti.\nLa datazione dell'opera è tuttora discussa, ma generalmente collocata nel corso dell'intero I secolo d.C.: motivazioni di carattere linguistico tenderebbero a collocarli in età neroniana o successiva. Nel XX secolo fu sostenuta una datazione di poco posteriore a Marziale.\n\nAltri Priapea.\nLa raccolta, comunque notevole per la sua particolare unitarietà, non lo è invece per quanto riguarda l'argomento; infatti ci sono giunti altri componimenti 'priapei' nella produzione letteraria antica: sia nell'Antologia greca sia nei poeti latini Catullo, Orazio, Tibullo e Marziale.\nAnche nella cosiddetta Appendix Vergiliana figurano tre carmi priapei.\n\nTradizione.\nIl più antico testimone dei Priapea che ci sia pervenuto è un codice vergato dalla mano di Giovanni Boccaccio: si tratta del Laur. 33.31." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Priapismo.\n### Descrizione: Il priapismo è un'erezione persistente involontaria ed anomala (di durata superiore a 4 ore), spesso dolorosa, dei soli corpi cavernosi del pene, non accompagnata dal consueto desiderio sessuale o eccitazione, che invece contraddistinguono la normale erezione maschile. La locuzione priapismo è talora impiegata, in modo più generico ma inesatto, come sinonimo di satiriasi.\n\nEtimologia.\nIl termine deriva dal nome della divinità greca della potenza virile Priapo, spesso rappresentato con un fallo di proporzioni esagerate. Opposta al priapismo (in termini medici e non figurativamente) è la disfunzione erettile o impotenza.\n\nEziologia.\nSi distinguono due tipi di priapismo a eziologia somatica, uno a basso flusso (o priapismo venoso) e uno ad alto flusso (o priapismo arterioso), oltre a una terza forma di origine psicogena. Ci può anche essere una causa farmacologica (Trazodone, antidepressivo atipico).\n\nIl priapismo venoso è dovuto ad affezioni organiche come leucemia, anemia falciforme, lesioni midollari o neurologiche, infiltrazioni tumorali, abuso di psicofarmaci (ad esempio Fluoxetina), o può essere dovuto a cause iatrogene come un'imperfetta terapia contro la disfunzione erettile.\nIl priapismo arterioso è di solito di natura traumatica, da rottura di un'arteria cavernosa (una delle arterie che si trovano all'interno dei corpi cavernosi del pene e che permettono la normale erezione).\nIl priapismo doloroso essenziale, qualificato anche come “idiopatico”, non è dovuto a cause organiche ma a fattori psicologici.\n\nTerapia.\nIl priapismo arterioso spesso non necessita di interventi in urgenza mentre il priapismo di tipo venoso è sempre un'urgenza urologica. L'erezione, che non riguarda l'uretra spongiosa, è spesso dolorosa e può rappresentare un'urgenza chirurgica che va trattata possibilmente entro le 6-8 ore dalla sua insorgenza, poiché si potrebbe verificare una scarsa ossigenazione dei tessuti che degenererebbero nella perdita, a volte definitiva, della funzione erettile. La procedura chirurgica d'urgenza, segue quella medica con vasocostrittori, una volta verificata la scarsa ossigenazione del sangue e dei tessuti tramite prelievo con siringa. Essa consiste principalmente nella tecnica dello shunt trans-glandale in anestesia totale, che permette di aspirare il sangue non ossigenato dai tessuti penieni, con successivi lavaggi a base di soluzione fisiologica. Il recupero post-operatorio, che può protrarsi anche per alcuni mesi, può essere totale o parziale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Priapo.\n### Descrizione: Priapo (in greco antico: Πρίαπος?, Príapos) è un dio della mitologia greca e romana, noto per la lunghezza del suo pene.\n\nGenealogia.\nEra figlio di Afrodite e, secondo buona parte delle fonti, di Dioniso. Leggende minori lo vogliono invece figlio di Afrodite e di Ermes, o Ares, o Adone, o Zeus, o Pan.\n\nMitologia.\nSecondo uno scholium alle Argonautiche di Apollonio Rodio, il suo aspetto derivava da una maledizione inflittagli da Era, gelosa perché Paride l'aveva giudicata meno bella di Afrodite. La dea si vendicò su Priapo, di cui Afrodite era incinta, e gli diede un aspetto grottesco, con enormi organi genitali, particolarmente pronunciati nelle dimensioni del pene e del glande, ritenuti nell'antichità l'origine della vita. All'eccezionale dote virile rispondevano però l'impotenza, un aspetto orribile e una certa debolezza mentale.\nPriapo, che si vuole proveniente dall'Ellesponto o dalla Propontide, dominava l'istinto, la forza sessuale maschile e la fertilità della natura. Non fu accettato fra gli dèi olimpici poiché tentò, ubriaco, di abusare di Estia e venne espulso. Anche l'asino, simbolo di lussuria, gli ragliò contro per farlo scappare, così da sottolineare quale intento criminoso avesse. Ad espiazione dell'accaduto il dio pretese il sacrificio annuale di un asino. Infatti ogni anno a Priapo veniva sacrificato un asino.\n\nCulto.\nIl culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno e fu largamente ripreso anche dai Romani, soprattutto collegato ai riti dionisiaci e alle orge dionisiache. Il suo culto era anche fortemente associato al mondo agricolo ed alla protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti. Spesso infatti, cippi di forma fallica o erme con in aggiunta simboli fallici nella parte inferiore venivano usati a delimitare gli agri di terra coltivabile. Questa tradizione è continuata nel corso dei secoli ed è resistita alla moralizzazione medievale del monachesimo. Infatti ancora oggi, possiamo trovare diversi esempi di cippi fallici in Italia, nelle campagne di Sardegna, Puglia (soprattutto nella provincia di Lecce) e Basilicata o nelle zone interne di Spagna, Grecia e Macedonia del Nord.\nIl suo animale era l'asino, sia a causa dell'importanza che esso aveva nella vita contadina, sia per una sorta di analogia fra il pene di Priapo e dell'asino.\nGià molto diffuse in Grecia e poi a Roma, le feste in onore di Priapo, definite falloforie, avevano un grande rilievo nel calendario sacro.\n\nArte.\nNell'arte romana, veniva spesso raffigurato in affreschi e mosaici, generalmente posti anche all'ingresso di ville ed abitazioni patrizie. Il suo enorme membro era infatti considerato un amuleto contro invidia e malocchio (fascinus). Inoltre, il culto del membro virile eretto, nella Roma antica era molto diffuso tra le matrone di estrazione patrizia a propiziare la loro fecondità e capacità di generare la continuità della gens. Per questo, il fallo veniva usato anche come monile da portare al collo o al braccio. Sempre a Roma, le vergini patrizie, prima di contrarre matrimonio, facevano una particolare preghiera a Priapo, affinché rendesse piacevole la loro prima notte di nozze." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Processione del cavallo di Troia.\n### Descrizione: Processione del cavallo di Troia è un dipinto di Giandomenico Tiepolo, conservato nella National Gallery di Londra.\n\nDescrizione.\nL'opera raffigura il celebre episodio del 'cavallo di Troia', descritto nell'Odissea di Omero e nell'Eneide di Virgilio. Dopo dieci lunghi anni di guerra, i Troiani trovano l'enorme cavallo di legno sulla spiaggia, lasciato dagli Achei: credendo che si tratti di un dono degli dei, decidono di portarlo dentro la città, ma la sacerdotessa Cassandra cerca di fermarli, in quanto con le sue doti profetiche ha capito che dentro il cavallo sono nascosti i migliori soldati Achei. La profetessa rimane inascoltata e il cavallo viene introdotto a Troia: quella stessa notte, i soldati Achei escono e aprono le porte al resto dell'esercito, conquistando quindi la città, che infine verrà data alle fiamme.\nLa scena qui rappresentata è proprio l'entrata del cavallo di legno nella città di Troia. Sul cavallo è riconoscibile la scritta PALADI VOTVM, che in latino significa 'dono per Pallade', ovvero la dea Atena. Sullo sfondo si nota Cassandra, che viene bloccata dai suoi concittadini.Oltre a questo quadro Giandomenico Tiepolo ne realizzò uno raffigurante la costruzione del cavallo di legno, anche questo conservato alla National Gallery." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Proci.\n### Descrizione: I Proci sono personaggi dell'Odissea, 108 giovani nobili di Itaca e delle isole e territori vicini che aspiravano al trono di Ulisse, contendendosi la mano di Penelope, sposa del re (Odisseo).\nIl termine è latino (procus, proci) ed è usato per tradurre letteralmente il termine originale μνηστῆρες mnēstḕres 'pretendenti'.\nLa narrazione di Omero, che li mostra come parassiti, dimoranti nella reggia per anni, sarebbe incomprensibile a noi contemporanei se non considerassimo la sacralità della ospitalità presso la civiltà greca. Perciò è rilevante lo stratagemma di Penelope, la quale, per ritardare il momento della scelta, inventa l'astuzia della tela. Infatti la moglie di Ulisse dice ai Proci che ne avrebbe scelto uno solo quando avesse finito di tessere la tela stessa, ma, segretamente, di notte, la disfa ogni volta, dovendo così sempre ricominciare il lavoro da capo e ritardando così il momento della scelta.\nAl ritorno, Ulisse, che si presenta sotto mentite spoglie vestendosi da mendicante, prevale sui Proci in una gara di tiro con l'arco organizzata da Penelope per scegliere definitivamente il futuro sposo. Solo Ulisse infatti si dimostra capace di tendere l'arco, incoccare e centrare il bersaglio. Quindi, col medesimo arco, inizia la strage dei Proci, con l'aiuto dei servitori fedeli Eumeo e Filezio, del figlio Telemaco e della dea Atena. Questi eliminano a uno a uno tutti i pretendenti e i traditori itacesi; soltanto l'aedo Femio e l'araldo Medonte, rimasti fedeli al re di Itaca, vengono risparmiati.\n\nI Proci citati nell'Odissea.\nAgelao: figlio di Damastore. È ucciso da Ulisse.\nAnfimedonte: figlio di Melaneo. È ucciso da Telemaco. In fonti non omeriche il padre di questo pretendente avrebbe ospitato Agamennone e suo fratello Menelao quando vennero ad Itaca per convincere Ulisse ad unirsi alla spedizione contro Troia.\nAnfinomo: il più bello dei Proci, principe di Dulichio. Prudente e assennato, mostra cortesia verso Ulisse travestito, che cerca di convincerlo ad abbandonare la reggia. L'avvertimento tuttavia non viene ascoltato e Anfinomo condivide il destino degli altri pretendenti; verrà ucciso da Telemaco.\nAntinoo: figlio di Eupite. Uno dei capi dei Proci; ordisce il complotto per uccidere Telemaco durante il suo ritorno dal continente, ed è tra quelli che istigano la lotta tra Ulisse travestito e il mendicante Iro. È la prima vittima di Ulisse.\nCtesippo: figlio di Politerse, è uno dei Proci più arroganti e scortesi. Possessore di una grande ricchezza, si prende gioco di Ulisse travestito da mendicante tirandogli una zampa di bue come dono d'ospitalità. Ulisse la schiva e Telemaco minaccia Ctesippo che se lo avesse colpito lo avrebbe trafitto con la sua lancia. È ucciso da Filezio.\nDemoptolemo: ucciso da Ulisse.\nElato: ucciso da Eumeo.\nEuriade: ucciso da Telemaco.\nEuridamante: ucciso da Ulisse.\nEurimaco: uno dei capi dei Proci, è raffinato e ingannevole. Dopo che Antinoo viene ucciso, egli vigliaccamente lo accusa di tutto quello che era successo, affermando che i Proci avrebbero potuto ripagare Ulisse di ciò che gli avevano fatto, ma viene ucciso dalla seconda freccia scagliata dal re.\nEurinomo: figlio di Egizio, non si sa da chi è ucciso. Suo fratello Antifo aveva accompagnato Ulisse nella guerra di Troia ed era stato divorato da Polifemo.\nLeocrito: ucciso da Telemaco.\nLeode: pretendente dotato di veggenza, predice l'uccisione dei Proci, compresa la propria. Durante la strage si getta ai piedi di Ulisse implorando pietà, ma il re rimane insensibile e gli taglia la testa.\nPisandro: uno dei Proci più ricchi, offre una collana a Penelope. È ucciso da Filezio.\nPolibo: omonimo del padre di Eurimaco. È ucciso da Eumeo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Proioxis.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Proioxis (In greco: Προΐωξις) era la personificazione dell'impeto in battaglia (al contrario di Palioxis). Viene citata insieme ad altre personificazioni che hanno a che fare con la guerra.\n\nVoci correlate.\nMakhai.\n\nCollegamenti esterni.\nTheoi Project - Proioxis, su theoi.com." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Promanteia.\n### Descrizione: Promanteia era il privilegio, conferito a città o individui dall'Oracolo di Delfi, di chiedere priorità alla Pizia.\n\nStoria.\nNel corso del periodo classico i sacerdoti di Delfi stabilirono una serie di onori conferiti a coloro che offrivano benefici al santuario, sia che fossero città o individui. L'istituzione della promanteia era uno dei privilegi offerti inizialmente alle città che avevano offerto un aiuto finanziario al santuario. La promanteia aveva infatti il diritto di acquisire un oracolo prima degli altri (eppure ancora dopo i sacerdoti e i cittadini di Delfi). Dato che il dare oracoli si svolgeva in periodi specifici e limitati, questo diritto poteva essere davvero molto importante. Dall'inizio del IV secolo a.C., questo diritto continuava ad essere accordato agli individui e ad essere combinato con altri privilegi, come la prothysi e la prossenia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Pronoo (Iliade).\n### Descrizione: Pronoo, (in greco Ρρόνοος), fu un guerriero troiano citato nell'Iliade nel libro relativo a Patroclo (XVI, v. 399).\nPronoo fu ucciso da Patroclo nell'azione bellica descritta nel libro XVI dell'Iliade." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Prosimno.\n### Descrizione: Prosimno o Polimno (in greco antico: Πρόσυμνος?/Πόλυμνος) nella mitologia greca era un pastore che viveva nei pressi del sacro lago di Lerna (nell'Argolide, sulla costa del golfo di Argo), reputato essere senza fondo e pertanto assai pericoloso per tutti quelli che vi si volevano avventurare in acqua.\nQuando il dio del vino Dioniso andò nell'Ade per salvare sua madre Semele, Prosimno lo guidò verso l'ingresso - conducendolo nella sua barca a remi - posto al centro del lago. Il premio richiesto da Prosimno per questo servizio sarebbe stato il diritto a giacere con il giovane Dio. Tuttavia, quando Dioniso tornò sulla terra per una strada diversa, trovò che Prosimno era nel frattempo morto.\nDioniso volle comunque mantenere la sua promessa; intagliò un pezzo di legno di ficus a forma di fallo utilizzandolo per adempiere ritualmente all'accordo che aveva in precedenza stipulato con Prosimno: si posizionò sulla sua tomba e ci si sedette sopra, auto-sodomizzandosi. Questo, si dice, è stato dato come spiegazione della presenza di falli di legno di fico tra gli oggetti segreti che venivano 'rivelati' nel corso dei Misteri dionisiaci.\nQuesta storia non è raccontata in pieno da una delle consuete fonti di racconti mitologici greci, anche se molti di loro accennano ad essa. Il fatto si è ricostruito sulla base di dichiarazioni di autori cristiani; questi devono essere trattati quindi con riserva in quanto il loro obiettivo era essenzialmente quello di screditare la mitologia pagana.\nRiti notturni annuali hanno avuto luogo presso il lago sacro, sulle rive della palude alcionia, ancora in età classica; Pausania il Periegeta si rifiuta però di descriverceli.\nIl mito di Prosimno è stato studiato da Bernard Sergent in L'omosessualità nella mitologia greca (1984), ristampato nella sua Omosessualità e iniziazione tra i popoli indo-europei (1996). Questo mito è comunque considerato essere il risultato dell'importanza del simbolismo fallico all'interno del culto dionisiaco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Prostomiaion.\n### Descrizione: Il Prostomiaion era il luogo dell'Acropoli di Atene, nei pressi dell'area nord dell'Eretteo, in cui erano visibili le impronte del tridente di Poseidone.\nDa quest'impronta era sgorgata la fonte di acqua salata, dono del dio agli Ateniesi durante la disputa con Atena per diventare la divinità protettrice della città." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Protogenia.\n### Descrizione: Protogenia (in greco antico: Πρωτογένεια?, Prōtoghèneia) è un personaggio della mitologia greca. Il suo nome significa la Prima Nata ed è la prima donna mortale nata dopo il Diluvio.\n\nGenealogia.\nFiglia di Deucalione e Pirra, fu madre di Etlio (avuto da Zeus) e di Opo.\n\nMitologia.\nNacque mentre il Diluvio era in corso e, dopo che l'arca si arenò sul monte Parnaso, discese con i genitori dalla montagna e si fermò vicino alla città di Oponte, in Tessaglia, chiamata anche, da Pindaro, la città di Protogenia.\nSecondo Strabone crebbe a Cino (Κῦνος Kýnos) dove si dice che sua madre Pirra sia stata sepolta.\nOpo ha come nipote un altro Opo, figlio di Locro (a sua volta figlio di Fisco, Φύσκος Phýskos) e di Cambise o un'altra Protogenia. Quest'ultima probabilmente è una discendente di questo personaggio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Psiche (mitologia).\n### Descrizione: Psiche (in greco antico: Ψυχή?) è un personaggio della mitologia greca, personificazione dell'omonimo concetto (psyché) con cui si indicava l'anima, i suoi moti sentimentali, e per estensione l'anima gemella, ossia l'amore umano.\n\nMito.\nFanciulla di straordinaria bellezza, Psiche scatena la terribile invidia di Afrodite, la quale ordina al figlio Amor (Eros) di suscitare in lei la passione per un uomo della più vile condizione.\nIl dio stesso però si innamora della fanciulla e la fa condurre in un favoloso palazzo dove ogni notte si reca a farle visita nell'oscurità più totale per non rivelare la sua identità. Eros (amore) chiede alla giovane di non tentare di conoscere la sua identità o sarebbe stato costretto ad abbandonarla.\nUna notte, tuttavia, Psiche, a causa della sua inarrestabile curiosità, si avvicina a Eros che dorme facendosi luce con una lampada ad olio. Nel vedere la sua bellezza e notando che era una divinità, rimane estasiata ed inavvertitamente fa cadere una goccia d'olio bollente dalla lucerna sulla spalla di Amore, che, ustionato e svegliatosi di soprassalto, abbandona subito la fanciulla.\n\nQuando Psiche disse alle sue sorelle maggiori che cosa era successo, esse gioirono in segreto e ognuna si recò in cima alla montagna per ripetere il modo in cui Psiche era entrata nella caverna, sperando che Eros avrebbe scelto loro. Il vento Zefiro, invece non le prese ed entrambe morirono precipitando fino ai piedi della montagna.\nPsiche andò in cerca del suo amante vagando per la Grecia, quando infine giunse a un tempio di Demetra, il cui pavimento era coperto da mucchi di granaglie mischiate. Psiche iniziò a suddividere i semi per tipo e quando ebbe finito, Demetra le parlò, dicendole che il modo migliore per trovare Eros era quello di trovare la madre di costui, Afrodite, e guadagnarsi la sua benedizione. Psiche trovò un tempio di Afrodite e vi entrò. Afrodite le assegnò un compito simile a quello del tempio di Demetra, ma le diede anche una scadenza impossibile per terminarlo. Eros intervenne, dato che la amava ancora, e fece sì che delle formiche sistemassero i semi per lei. Afrodite si infuriò per il successo e quindi inviò Psiche in un prato dove pascolavano delle pecore dorate per procurarsi della lana dorata. Psiche andò al pascolo e vide le pecore, ma venne fermata dal dio del fiume che avrebbe dovuto attraversare per entrare nel pascolo. Egli le disse che le pecore erano cattive e pericolose e l’avrebbero uccisa, ma se avesse aspettato fino a mezzogiorno, le pecore sarebbero andate a cercare l’ombra dall’altra parte del campo per mettersi a dormire; Psiche avrebbe quindi potuto raccogliere la lana rimasta impigliata tra i rami e sulle cortecce degli alberi. Psiche fece così e Afrodite si infuriò ancor più per lo scampato pericolo ed il successo. Alla fine Afrodite sostenne che lo stress del doversi prendere cura del figlio, depresso e malato per via dell'infedeltà di Psiche, le aveva fatto perdere parte della sua bellezza.\n\nPsiche doveva recarsi nell’Ade a chiedere a Persefone, la regina degli Inferi, un po’ della sua bellezza da mettere in una scatola nera che le era stata consegnata da Afrodite. Psiche andò fino ad una torre, avendo deciso che il modo più rapido per raggiungere gli inferi era quello di morire. Una voce la fermò all’ultimo minuto e le rivelò un percorso che le avrebbe permesso di entrare e fare ritorno ancora viva, oltre a dirle come passare oltre Cerbero, Caronte e altri pericoli sul percorso. Psiche placò Cerbero, il cane a tre teste, con un dolce al miele e pagò a Caronte un obolo perché la portasse nell’Ade. Lungo il percorso vide delle mani che spuntavano dall'acqua. Una voce le disse di lanciare loro un dolce al miele. Una volta arrivata, Persefone le disse che sarebbe stata lieta di fare un favore ad Afrodite. Al ritorno Psiche pagò nuovamente Caronte, gettò un dolce alle mani e ne diede un altro a Cerbero.\nPsiche lasciò gli Inferi e decise di aprire la scatola e prendere per sé una piccola parte della bellezza, credendo che così facendo Eros l'avrebbe sicuramente amata; nella scatola c'era però un 'sonno infernale' che la sopraffece. Eros, che l’aveva perdonata, volò da Psiche e le tolse il sonno dagli occhi, quindi implorò Zeus e Afrodite affinché dessero il loro consenso a sposarla. Essi accettarono; il re degli dei ordinò quindi a Ermes di andare a prendere Psiche e di condurla sull'Olimpo tra gli immortali, e trasformandola nella dea protettrice delle fanciulle. Afrodite danzò alle nozze di Eros e Psiche e i due ebbero una figlia chiamata Edoné, o (nella mitologia romana) Volupta che significa piacere.\n\nNell'arte.\nLa storia di Eros e Psiche, in particolare la versione presente nei libri IV, V, VI delle Metamorfosi di Apuleio, affascinò particolarmente gli artisti rinascimentali che la raffigurarono in tutti i suoi episodi nelle decorazioni dei palazzi nobiliari.\n\nRiprese letterarie del mito in età moderna.\nSulla favola di Amore e Psiche si basa la Psyche di Molière.\n\nVoci correlate.\nAmore e Psiche.\nApuleio.\nL'asino d'oro.\nClive Staples Lewis.\nA viso scoperto.\nPsyché.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Psiche.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Psyche, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.\n(EN) Psiche, su Theoi Project.\n(EN) Psiche, su Goodreads.\nPiù di 430 immagini di Amore e Psiche nel Database Iconografico del Warburg Institute, su warburg.sas.ac.uk. URL consultato il 25 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 17 maggio 2013)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Psychro.\n### Descrizione: La grotta di Psychro, conosciuta anche come grotta di Zeus, è un'antica grotta sacra minoica situata nel distretto di Lasithi, nella parte orientale di Creta. Essa viene associata alla grotta Dittea, quella che si dice essere stata il luogo di nascita di Zeus. Secondo Esiodo, Rea diede alla luce Zeus in una grotta del monte Egeo, nei pressi di Litto. Dalla fine del XIX secolo, la grotta che sovrasta l'attuale villaggio di Psychro è stata identificata con questa. Un'altra grotta tradizionalmente legata alla nascita di Zeus è quella sul monte Ida.\n\nGeografia.\nPsychro si trova a 1025 metri sul livello del mare, nel territorio della prefettura di Lasithi.\n\nMitologia.\nLa grotta Dittea è famosa nella mitologia greca per essere il luogo in cui la capra Amaltea nutrì il neonato Zeus col suo latte. Gli scavi archeologici hanno dimostrato un lungo utilizzo del sito come luogo di culto religioso. La nutrice di Zeus, che Rea incaricò di allevare qui in segreto per nasconderlo al padre Crono (Krónos), viene chiamata anche Adrastea in alcuni contesti.\nLa grotta Dittea si trova sul monte Ditte.\n\nArcheologia.\nLa grotta fu scavata la prima volta nel 1886 da Joseph Hatzidakis, presidente del Syllogos di Candia, e da F. Halbherr. Nel 1896, Arthur Evans studiò il sito. Nel 1899 J. Demargne e David George Hogarth della British School ad Atene effettuarono ulteriori studi. Il breve resoconto di Hogarth del 1900 fornisce una descrizione della distruzione operata da primitivi metodi archeologici: immensi blocchi caduti dal soffitto della grotta furono fatti saltare prima di essere rimossi; la preziosa terra nera era stata portata via. L'altare stuccato della grotta superiore fu scoperto nel 1900, circondato da strati di cenere, ceramiche e 'altri rifiuti', tra cui vi erano offerte votive in bronzo, terracotta, ferro e osso, con frammenti di trenta vasi per libagioni e innumerevoli ciotole coniche in ceramica per le offerte di cibo. Le ossa ritrovate tra la cenere dimostrano l'esistenza di sacrifici di tori, pecore, capre, cervi e cinghiali.\nLo strato inferiore della caverna superiore rappresenta la transizione tra la ceramica di stile Kamares del Tardo Minoico e i primi livelli micenei, fino ad alcuni reperti di stile geometrico del IX secolo a.C. Scavi più recenti fanno risalire l'uso della grotta fino al Minoico Antico, e gli oggetti votivi dimostrano che si trattava del più frequentato santuario del Minoico Medio (MM IIIA).La grotta inferiore scende rapidamente grazie a una scala scavata nella roccia fino a un lago, accanto al quale vi sono stalattiti e stalagmiti. 'Molta terra è stata buttata di sotto da chi scavò la grotta superiore', disse Hogarth, 'e in essa furono rinvenuti numerosi piccoli oggetti in bronzo'. Nelle fessure verticali delle stalattiti più basse la squadra di Hogarth trovò modellini di 'bipenni, lame di coltelli, aghi e altri oggetti in bronzo, posti qui come oggetti votivi. Anche il fango posto accanto al lago sotterraneo era ricco di oggetti simili, di statuette maschili e femminili e di pietre intagliate'.\nNel 1961 John Boardman pubblicò una descrizione dei reperti trovati in questi e altri scavi.\nNonostante le statuette umane in argilla siano comuni nei santuari montani, la grotta di Psychro e quella del Monte Ida sono le sole a contenerne. Psychro è anche nota per il ritrovamento di una gamba di bronzo, unico oggetto votivo rappresentante una parte del corpo mai trovato in un santuario di grotta. Tra i più comuni reperti della grotta sacra di Psychro vi sono lampade in pietra e in ceramica.\nPsychro ha fornito numerose pietre semi-preziose, tra cui corniola, steatite, ametista, diaspro ed ematite.\nI reperti recuperati a Psychro sono in mostra presso il museo di Candia, l'Ashmolean Museum, il Louvre e il British Museum." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,### Titolo: Ptocheia.\n### Descrizione: Ptocheia o Ptokheia (in greco: Πτωχεία) era l'antico spirito femminile della mendicanza. Lei era considerata come una compagna (e una sorella) di Penia e Amechania. I suoi opposti erano Euthenia e Pluto. È stata citato da Aristofane nella sua opera intitolata Pluto. +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ptoion.\n### Descrizione: Il monte Ptoion (in greco antico: Πτώϊον?, Ptóïon) o Ptoon (in greco antico: Πτῷον/Πτῶον?, Ptôon) o Ptoo (in greco Πτώο?, Ptóo) è una catena montuosa della Beozia situata ad est dell'antico lago Copaide e a nord del lago Yliki, un po' ad est dell'antica città di Acrefia. Le vette più alte sono il Petalás (781 m) ad est e lo Hagia Pelagia (726 m) ad ovest.\nQuesta catena montuosa era nota nell'antichità per un importante oracolo di Apollo, che era posto presso la sorgente di Perdikovrysi. Gli scavi, inizialmente portati avanti (con alcune interruzioni) da Maurice Holleaux tra il 1884 e il 1935, hanno riportato alla luce statue arcaiche (in particolare kouroi) del VI secolo a.C. e tripodi collocati in varie posizioni nell'area del santuario.\n\nStoria dell'oracolo di Apollo.\nL'oracolo di Apollo Ptoo (in greco antico: Πτώϊος?, Ptóïos) era collocato 3 km a nord-est di Acrefia. Pausania il Periegeta riferisce che originariamente era l'oracolo di Ptoo, un eroe locale figlio di Atamante e di Temisto, in seguito rimpiazzato da Apollo, che acquisì il nome Ptoo come epiteto locale. L'eroe, dunque, ricevette un suo piccolo santuario sul Kastraki, circa un km a ovest della collocazione originale, che mostra segni di attività umana dal VII fino al IV secolo a.C.Sul monte Ptoion ci sono resti di un insediamento neolitico-elladico e di una fortezza micenea, abbandonata durante il periodo arcaico.L'oracolo di Apollo è menzionato da Erodoto, che descrive una visita ad esso da parte di Mis di Europo, mandato dal generale persiano Mardonio per ottenere responsi da vari oracoli:.\n\nLo stesso episodio è menzionato anche da Pausania.L'area, compreso il santuario, fu controllata da Tebe fino alla fine del periodo classico, come dimostrano i resti di fortificazioni tebane sulle varie vette della catena montuosa (anche se non sul monte Ptoion). In seguito il santuario fu sotto il controllo della lega beotica e più tardi di Acrefia. All'epoca in cui Pausania visitò il sito, nel II secolo d.C., l'oracolo 'infallibile' non era più attivo.Secondo un decreto dell'anfizionia delfica, dal 228/226 a.C. in poi ogni cinque anni vicino all'oracolo si tennero le feste Ptoie (in greco antico: Πτώϊα?, Ptóïa), una competizione musicale in onore di Apollo. Queste feste in seguito si estinsero, ma furono ripristinate sotto gli imperatori della dinastia giulio-claudia come Ptoie e Cesaree (in greco antico: Πτώϊα καὶ Καισάρεια?, Ptóïa kài Kaisáreia) e continuarono ad essere celebrate fino all'inizio del III secolo d.C.In epoca bizantina il santuario fu rimpiazzato dal monastero cristiano di Santa Pelagia, che si spostò sulla cima del monte Ptoion durante il periodo ottomano.\n\nRitrovamenti archeologici.\nI resti del santuario dell'eroe Ptoo mostrano la presenza di due terrazze, quella inferiore dedicata all'eroe, quella superiore dedicata a una divinità femminile ancora non identificata; si tratta di uno stretto tempio del IV secolo a.C. costruito sopra un edificio preesistente risalente al VII/VI secolo a.C.Il santuario di Apollo Ptoo, invece, si sviluppava su tre terrazze. In cima al sito c'era un tempio di ordine dorico periptero con 8 × 13 colonne risalente alla fine del IV secolo a.C., costruito sulle fondamenta di un tempio arcaico; la sede dell'oracolo era nella grotta orientale della sorgente, dove i sacerdoti davano i responsi. Ci sono tracce di edifici ausiliari in quel luogo e nei livelli inferiori. L'importanza transregionale del santuario nel periodo arcaico è resa evidente dall'alto numero di kouroi e di tripodi rinvenuti negli scavi, oggi conservati al Museo archeologico di Tebe e al Museo archeologico nazionale di Atene. Il sito del santuario fu scoperto e scavato tra il 1884 e il 1891 da Maurice Holleaux." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Quattro Fontane.\n### Descrizione: Quattro Fontane è un incrocio di Roma tra le antiche Via Pia (oggi via del Quirinale-via XX Settembre, che prendeva il nome da Pio IV) e Via Felice (il percorso che da Trinità dei Monti porta alla Basilica di Santa Maria Maggiore, oggi via Sistina-via Quattro Fontane-via A.Depretis, che prendeva il nome di battesimo di Sisto V) è caratterizzato dalla presenza ai quattro angoli di quattro fontane, che danno il nome all'incrocio, all'omonima strada ed alla Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, che Francesco Borromini costruì tra il 1638 e il 1663 (talvolta chiamata San Carlino).\nCaratteristica unica a Roma, dall'incrocio si possono vedere, in lontananza, l'Obelisco Esquilino presso Santa Maria Maggiore (a sud-est), l'Obelisco Sallustiano presso Trinità dei Monti (a nord-ovest), l'Obelisco del Quirinale (a sud-ovest) e la michelangiolesca facciata interna di Porta Pia (a nord-est).\n\nStoria.\nSin dagli inizi del secolo XVI il colle Quirinale o, come in età contemporanea era conosciuto, Monte Cavallo, era interessato da una crescente attività edilizia a partire da quello che diventerà il palazzo papale, che a più riprese era fatto oggetto di ampliamenti condizionando tutta l'attività edilizia nell'area circostante. Successivamente ai grandi lavori di livellamento e rettificazione del percorso di crinale della Alta Semita iniziati e condotti a termine da Pio IV (sulla lapide di Porta Pia si legge: PIVS IIII / PONT. MAX. / SVBLATA NOMENTANA EXSTRVXIT / VIAM PIAM / AEQVATA ALTA SEMITA DVXIT), e alla vigorosa attività edilizia e urbanistica di Sisto V con il tracciamento di nuovi assi viari nella zona nord-orientale della città ancora in gran parte disabitata, venne successivamente terminato nel 1587 il restauro ed il ripristino dell'antico Acquedotto alessandrino, chiamato da allora “Acqua Felice” dal nome del papa, al secolo Felice Peretti, sotto il cui pontificato venne terminata l'opera. Come era stato fatto in precedenza per l'Aqua Virgo, furono iniziati i lavori per una ramificazione sotterranea secondaria del condotto, in modo da assicurare l'approvvigionamento idrico delle zone dei colli Viminale e Quirinale, allora scarsamente serviti, e venne di conseguenza progettata anche l'edificazione di un certo numero di fontane. Dopo la Fontana del Mosè e contemporaneamente alla Fontana dei Dioscuri posta davanti al palazzo del Quirinale, Sisto V volle che l'incrocio tra quelle due importanti arterie, pressoché ortogonale, avesse un degno ornamento. Inizialmente gli vennero proposte quattro statue sacre, ma il pontefice era talmente entusiasta del “suo” acquedotto che preferì una fontana. Il progetto (il cui autore ci è ignoto) sviluppò invece una fontana per ogni angolo del quadrivio, anche per non intralciare il traffico urbano.\nSisto V aveva però speso talmente tanto per la realizzazione dell'acquedotto e per la Fontana del Mosè che per questa nuova opera ricorse ad un espediente che in futuro riscosse un certo favore: affidarsi alla munificenza dei privati, in modo che le fontane fossero “semipubbliche”. Del resto dell'acqua fornita dall'acquedotto sistino fino a Monte Cavallo non godevano solo i proprietari del Quirinale, ma anche i proprietari dei terreni che insistevano in prossimità del percorso dell'acquedotto. Sicché Muzio Mattei, che già qualche anno prima aveva insistito ed ottenuto che si costruisse la Fontana delle Tartarughe davanti al suo palazzo di Sant'Angelo, e che possedeva, in corrispondenza dell'incrocio, terreni che la via oggi delle Quattro Fontane aveva ben valorizzato pur tagliandoli in due, offrì il suo finanziamento per la costruzione di due delle quattro fontane. Le altre due vennero finanziate da monsignor Grimani, e da un Giacomo Gridenzoni (o Gridenzani) cremonese, che avevano proprietà sull'incrocio.\nLe quattro opere in travertino (ma in realtà è più corretto parlare di una sola opera suddivisa in quattro parti) furono realizzate tra il 1588 e il 1593, sfruttando delle nicchie rettangolari di diversa dimensione, appositamente ricavate negli angoli dei palazzi. I soggetti, tutti diversi, sono però raggruppati a coppie analoghe: due figure maschili barbute, allegorie del Tevere e dell'Arno, che fronteggiano rispettivamente due femminili, che rappresentano Diana e Giunone. Le prime due simboleggiano Roma e Firenze, mentre quelle di Diana e Giunone sono simbolo rispettivamente di Fedeltà e Fortezza. Tutte le figure sono sdraiate su un fianco, con l'acqua che si riversa in piccole vasche semicircolari. Tevere e Giunone hanno un ricco sfondo decorato (nel primo gruppo è ovviamente presente la lupa), mentre quello dell'Arno è molto più piccolo, con un semplice rilievo di vegetazione da cui spunta un leone, e Diana non ne possiede affatto, ma è fornita di alcuni elementi caratteristici delle insegne di papa Sisto V (la stella e la testa di leone scolpiti sulla vasca e il trimonzio su cui la figura poggia il gomito).\nIl disegno delle fontane del Tevere, dell'Arno e di Giunone è forse di Domenico Fontana, che aveva progettato la via, anche se ormai gli storici dell'arte tendono ad attribuire a Pietro Paolo Olivieri l'Arno e il Giunone (ma esistono diversi dubbi sull'attribuzione del Tevere). La quarta, quella di Diana che volge le spalle a nord, è attribuita a Pietro da Cortona. Le realizzazioni sono state affidate a scultori sconosciuti.\nL'incrocio sul quale insistono le fontane è oggi il punto di raccordo di tre rioni diversi: Monti, Trevi e Castro Pretorio.\nNell'estate 2009 la fontana rappresentante il Tevere è stata danneggiata; il ritrovamento del frammento mancante ha tuttavia permesso l'avvio dei lavori di restauro.\n\nAltre immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Questione omerica.\n### Descrizione: La questione omerica si riferisce al dibattito che interessa filologi e storici della lingua greca arcaica circa l'attendibilità della composizione dell'Iliade e dell'Odissea da parte di Omero e sull'esistenza stessa di quest'ultimo.\nIl dibattito ha origini molto antiche, perché già in età classica si discuteva sulla paternità dell'Odissea di Omero. Negli ultimi secoli del medioevo, e nei primi del rinascimento, vi sarà uno sviluppo di questo dibattito, ma si potrà parlare di questione omerica solo con Wolf e con la suddivisione degli studiosi in unitari ed analitici (i primi riconoscono Omero come autore di almeno uno dei poemi o entrambi; i secondi disconoscono completamente la paternità omerica dei poemi).\nEssa è motivata, anzitutto, dall'interesse per la figura del poeta Omero, di cui gli antichi non dubitavano ma, allo stesso tempo, di cui avevano notizie insicure e che era al centro di vere e proprie rivendicazioni (per esempio sul luogo di nascita); soprattutto, però, trae origine dai dubbi testuali suscitati dagli stessi poemi omerici: in essi, infatti, si riscontrano incongruenze (per esempio l'uso del duale nel libro IX dell'Iliade, quando i membri dell'ambasceria sono in realtà tre), contraddizioni (per esempio Pilemene, condottiero dei Paflagoni, che muore in Iliade V 576 ma ritorna in XIII 658), frequenti ripetizioni di espressioni e interi blocchi di versi.\n\nIl dibattito presso gli antichi.\nTutti gli autori antichi ci informano che una fissazione per iscritto dei due poemi era avvenuta già al tempo di Pisistrato, ad Atene nel VI secolo a.C.: si trattò di una sorta di edizione nazionale che finì per prevalere su quelle dovute a singole comunità cittadine, che già da tempo circolavano in tutta la Grecia affiancate da quelle nate a cura di privati. La suddivisione dei poemi in 24 canti, contrassegnati da lettere maiuscole per l'Iliade e da minuscole per l'Odissea, è di età alessandrina.\nProprio a partire dalla redazione pisistratea e dalla composizione orale dei due poemi, nasce e si sviluppa la questione omerica.\nInoltre, a seguito di studi, si è scoperto che tra la scrittura dell'Iliade e dell'Odissea passarono alcuni secoli.\nSi pensa dunque che Omero possa aver scritto solo uno dei due poemi.\n\nI grammatici alessandrini.\nChi propende per un'origine antica fa risalire la questione omerica al III secolo a.C., in epoca ellenistica, quando due grammatici alessandrini, Xenone ed Ellanico, basandosi su discrepanze di contenuto fra Iliade e Odissea, giunsero a pensare che fossero stati scritti da due persone diverse, meritandosi così l'appellativo di χωρίζοντες (chorizontes), ovvero separatori. Le loro idee, che non arrivavano quindi alla decostruzione dei poemi, furono aspramente contrastate qualche secolo dopo da Aristarco di Samotracia insieme a Zenodoto di Efeso e Aristofane di Bisanzio. Questi, dall'alto della sua autorità di direttore della Biblioteca di Alessandria, con lo scritto Contro il paradosso di Xenone, liquidò le tesi come eresie. Le diversità fra i due poemi, però, permasero e furono spesso giustificate con motivazioni fantasiose ed ingenue; ad esempio l'anonimo autore del Sul sublime (chiamato Pseudo-Longino, del I secolo d.C.), attribuisce l'Iliade ad un Omero più giovane e l'Odissea ad una fase matura e senile della vita del poeta, giustificando questa affermazione con la diversità caratteriale dei protagonisti dei due poemi: da un lato l'irruente e iroso Achille e dall'altra il saggio ed accorto Odisseo.\n\nD'Aubignac e Vico.\nNel 1664 François Hédelin, abate d'Aubignac, lesse in pubblico un suo scritto dal titolo Conjectures accadémiques ou dissertation sur l'Iliade. La dissertazione, che fu pubblicata postuma solo nel 1715, nasceva dall'esigenza di difendere la qualità letteraria del poema dalla sottovalutazione e dal disprezzo allora imperante in Francia. D'Aubignac credeva che Omero non esistesse e che l'Iliade fosse una incoerente mescolanza di vari canti (petite tragedie) composti in età diverse; il valore letterario non andava quindi valutato con riferimento all'opera complessiva ma ricercato in relazione alle singole parti.\nD'Aubignac non conosceva il greco, ed aveva avuto, con i poemi omerici, solo rapporti mediati da traduzioni latine (in particolare quelle di Jean de Sponde), e basterebbe questo a indebolire le sue argomentazioni. Egli sosteneva inoltre che, dato che al tempo di Omero la scrittura non esisteva, l'Iliade, a motivo della sua lunghezza, non avrebbe potuto essere tramandata oralmente. Tuttavia d'Aubignac basava la sua intera tesi su una visione assolutamente antistorica (come del resto fecero altri dopo di lui).\nFu invece opposto il giudizio di Giambattista Vico che, anticipando teorie riprese poi dai Romantici, affermava che la poesia omerica non potesse essere opera di un solo autore ma di tutto il popolo greco nel suo Tempo Favoloso. Dopo aggiunte da parte di intere generazioni di cantori popolari, che si celavano sotto il nome di Omero, sarebbero nati i poemi omerici. Entrambi quindi, pur avendo visioni diverse della creazione dei poemi sostengono l'inesistenza di Omero.\n\nWolf.\nL'incomprensione del razionalismo dominante di Vico, da parte dei contemporanei, rese scarsamente popolare il pensiero del filosofo, e quindi le sue supposizioni sui poemi omerici. La stessa cosa non accadde per gli scritti di D'Aubignac, che coinvolsero la celebre opera del filologo tedesco Friedrich August Wolf (1759 – 1824), Prolegomena ad Homerum (Introduzione ad Omero), apparsa nel 1795 e considerata ancora oggi la prima trattazione del poema a livello scientifico.\nL'opera, che vuole essere un'introduzione ad un'edizione critica dei due poemi, è per circa metà costituita da un'approfondita omerologia antica, mentre nella seconda metà si affronta più direttamente la questione; la tesi dell'abate francese (l'inesistenza della scrittura e la cucitura di piccole rapsodie) è accompagnata da citazioni e testimonianze, che danno originalità all'opera laddove invece essa, senza ammetterlo esplicitamente, è sostanzialmente debitrice all'opera non solo di D'Aubignac, ma anche di T. Blackwell e R. Wood. Le quotazioni dell'opera wolfiana, dopo un'iniziale freddezza, cominciarono a salire fino a far proclamare Wolf padre della questione omerica.\nLa fortuna del filologo tedesco fu anche accidentalmente legata ad un evento letterario che aveva avuto un'influenza particolare sulla cultura contemporanea: l'anno successivo alla pubblicazione dello scritto di Wolf moriva il poeta scozzese James MacPherson, autore dei Canti di Ossian, una raccolta di poemetti che egli diceva esser stati tramandati per via orale da Ossian, un bardo (il corrispondente celtico dell'aedo greco) vissuto molti secoli prima (III secolo d.C.). MacPherson affermava di aver raccolto quei canti dalla viva voce dei contadini e pastori della sua terra: in realtà l'opera era un abile falso letterario, che ricreava l'atmosfera delle saghe celtiche, ma che era quasi integralmente dovuta alla mano dello scrittore moderno.\nQuesta opera offriva una precisa conferma della tesi di Wolf, equiparando Omero ad Ossian e colui che riportò in forma scritta i due poemi all'epoca di Pisistrato a MacPherson. Tuttavia, va riconosciuto a Wolf il merito di aver sviluppato tesi e spunti offertigli dai suoi predecessori e di aver indicato ai suoi successori una strada analitica. Da lui derivò un'intera corrente di filologi che portò ad una vera e propria vivisezione dei due poemi con l'intento di individuare qualsiasi elemento che potesse avvalorare la tesi anti-unitaria. Inoltre si delineeranno due strade diverse di pensiero che faranno da base agli studi omerici dell’'800 e '900. Nacquero così gli unitari (studiosi che attribuiscono ad Omero almeno uno dei due canti, generalmente l'Iliade, se non entrambi) e gli analitici (coloro che disconoscono Omero come padre dei due poemi).\n\nLa critica analitica.\nSi delineano, all'interno della critica analitica, due teorie, una di un nucleo a cui si legano altri canti, l'altra di canti autonomi uniti insieme. Secondo la teoria del nucleo primitivo inaugurata da Hermann, in origine ci sarebbero stati due canti sull'ira di Achille e sul ritorno di Odisseo, poco per volta ampliati da intere generazioni di rapsodi.\nBethe e Mazon sostengono che questo primo nucleo dovesse contenere almeno quattordici libri: l'ira di Achille, la cacciata dei Greci da Troia, l'uccisione di Ettore e la celebrazione di un eroe (i canti XIX, XX, XXI, XXII sono incentrati su quella di Achille). Secondo la teoria dei canti sparsi introdotta da Karl Lachmann e dal suo discepolo Kirchhoff, vi erano canti autonomi o poemetti minori, che formarono un agglomerato di canti che, ad opera di un ulteriore poeta, sarebbero stati cuciti nei due poemi epici attuali.\nVi è poi il tentativo di conciliare le teorie analitiche e quelle unitarie, da parte di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, con il suo scritto del 1916 Die Ilias und Homer. Egli accetta le teorie di Lachmann e Kirchhoff, afferma che, attorno all'VIII secolo, in ambiente ionico, un poeta (forse di nome Omero) attingendo alla tradizione rapsodica della sua terra avrebbe fuso i Kleinepen (primi nuclei) in un Grossepos (grande poema epico). A questo lavoro si sarebbero aggiunti poi nuovi canti; in questo modo si prova l'esistenza di Omero e della sua opera, al di là delle aggiunte e del materiale già esistente.\n\nParry: la teoria oralistica.\nLa questione omerica ebbe un'importante svolta con le teorie di Milman Parry (1902-1935). Secondo tale studioso i poemi omerici nacquero in una cultura orale, ossia in una società che non conosceva la scrittura. Egli esaminò le cosiddette 'formule' dei poemi omerici, ossia gruppi di due o più parole (talvolta svariati versi) che si ripetono in numerosi punti dei poemi omerici, immutati o con minime variazioni per adeguarsi al racconto e alla metrica. Tali formule erano spesso legate a temi anch'essi ricorrenti (la battaglia, il consiglio, lo scudo dell'eroe e altri) e spesso prevedibili. In questo modo Parry e i successivi studiosi arrivarono a dimostrare che le parti dei poemi omerici non legate a formule erano in realtà molto poche. Secondo tali studiosi, le formule erano legate alla cultura dell'oralità, poiché facilitavano ai rapsodi la memorizzazione di lunghi poemi.Tali rapsodi infatti non imparavano i poemi a memoria, ma erano in grado di ripeterli, ogni volta con poche variazioni, appunto cucendo insieme la varie formule. Questo sistema formulare non poteva essere il risultato della composizione (puramente orale) da parte di un singolo autore, ma era venuto formandosi col passare dei secoli e con il contributo di un numero indefinito di anonimi rapsodi. Secondo la teoria di Parry insomma i poemi omerici sono il prodotto della cultura di tutto un popolo e non avrebbero dunque un autore preciso.Questo modo di poetare favorirebbe quindi la ripetizione di formule precostituite, ossia gli epiteti. L'idea che opere poetiche di eccelso valore fossero essenzialmente costituite da stereotipi risultò sorprendente e poco credibile a molti studiosi, ma Parry spiegò che in una cultura orale, che non può mettere nulla per iscritto, le nozioni devono essere costantemente ripetute per evitare che vadano perse, e questo porta quindi allo stereotipo, al continuo ribadire concetti e parole già espressi. Insomma i poemi omerici contenevano stereotipi per il semplice fatto che la cultura orale era essenzialmente basata sullo stereotipo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Racconto di Orfeo.\n### Descrizione: Il Racconto di Orfeo (The Tale of Orpheus and Erudices his Quene), conosciuto anche con il titolo di Orfeo ed Euridice (Orpheus and Eurydice), è un poema dello scrittore scozzese Robert Henryson.\nL'opera - che viene fatta derivare da Boezio - fu pubblicata nel 1508 e tratta - come altri lavori coevi - il mito di Orfeo che, neppure un secolo dopo, sarebbe stato uno dei soggetti preferiti per le origini dell'opera." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Radamanto.\n### Descrizione: Radamanto (in greco antico: Ῥαδάμανθυς?, Rhadámanthys) o Radamante, è un personaggio della mitologia greca. Fu un re dell'isola di Creta.\nEra un semidio che godette di culto eroico a Creta, nelle isole egee ed in Beozia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e di Europa o di Efesto, così come i due fratelli (Minosse e Sarpedonte), fu adottato da Asterio dopo che questi sposò la madre.\nSposò Alcmena (la vedova di Anfitrione) e fu padre di Gortis (associato al paese di Gortina) ed Erythrus, che secondo Pausania era il fondatore di Eritre.\n\nMitologia.\nSecondo le leggende, forse dal periodo minoico, era un re potente e durante la sua vita, portò la legge e la giustizia a Creta e dopo la sua morte continuò nel Tartaro come un sovrano e giudice giusto.\nInizialmente era considerato un pronipote di Kres (l'eponimo dell'isola Creta) ma successive genealogie lo collocano accanto a Minosse e Sarpedonte come figlio di Zeus e di Europa.\nA volte si possono trovare riferimenti ai tre fratelli e giudici della morte indicati come Radamante, Minosse ed Eaco. Eaco però non è Sarpedonte, che sarebbe il vero terzo fratello.\nSecondo Omero, i Feaci lo portarono una volta su una delle loro navi da Scheria verso Eubea.\nSi recò anche a Calea, dove sposò Alcmena e si meritò la reputazione di legislatore sapientissimo.\nSecondo Omero dimora nei Campi Elisi (Isole dei Beati) e per questo fu considerato Signore del mondo ultraterreno.\nIn Platone troviamo una tradizione che fa di Radamanto, assieme ad Eaco, Minosse e Trittolemo, un giudice dei morti. Quando gli antichi volevano esprimere un giudizio giusto, quantunque severo, lo chiamavano 'giudizio di Radamanto', proprio a significare la sua grande equità. Nel Tartaro esso inquisiva sui delitti e li puniva, obbligava i colpevoli a rivelare gli errori della loro vita ed a confessare i delitti la cui espiazione doveva avvenire dopo la morte. Radamantini erano i giuramenti che si facevano invocando a testimoni animali o cose inanimate.Socrate ad esempio, giurava per il cane o per il papero e Zenone per la capra.\nRadamanto è rappresentato seduto su un trono al fianco di Crono con uno scettro in mano e sulla porta dei Campi Elisi.\n\nAltri media.\nRadamanto appare come boss da sconfiggere nel videogioco God of War III.\nNel manga Saint Seiya - I Cavalieri dello zodiaco, nell'anime tratto da esso e nel prequel Saint Seiya - The Lost Canvas, Radamante (a volte chiamato alla greca, Rhadamanthis) è, come Eaco e Minosse, uno dei 3 Giganti degli Inferi, (detti anche i 3 Giudici) che guidano gli Specter, le armate di Ade il dio dell'Oltretomba." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Rario.\n### Descrizione: Rario (Ράριον πεδίον) era un terreno che si trovava a Eleusi, e si supponeva fosse la prima porzione di terra dedicata alla coltivazione del grano dopo che Demetra aveva insegnato l'agricoltura all'umanità tramite Trittolemo. Questo luogo era associato ai Misteri di Eleusi.\nDemetra aveva come soprannome Rharias per il campo, o per il suo mitico eponimo Raro. (Ρᾶρος)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ratto di Elena (Reni).\n### Descrizione: Il Ratto di Elena è un dipinto realizzato tra il 1628 ed il 1629 da Guido Reni, attualmente conservato presso il Museo del Louvre di Parigi.\n\nStoria.\nNel 1627, per il tramite dei suoi emissari in Italia, precisamente a Roma, Filippo IV di Spagna aveva commissionato a Guido Reni una tela di grandi dimensioni raffigurante il rapimento di Elena di Troia. Trascorso poco tempo l'artista rientrò nella sua città natale, Bologna, dove peraltro si trovava anche il cardinale Bernardino Spada, lì presente in qualità di legato pontificio. Questa circostanza rese possibile per il cardinale seguire personalmente la realizzazione della tela, operazione di particolare interesse, soprattutto tenendo conto del rango del committente, che comportava implicazioni politiche di rilevanti per la corte pontificia. Alcuni storici dell'arte ipotizzano che - nella cornice della Guerra dei trent'anni - Papa Urbano VIII, notoriamente filofrancese, abbia colto l'occasione della tela per mandare dei messaggi al suo arcinemico spagnolo. Taluni ritengono che questo dipinto e la Morte di Didone del Guercino siano un'allegoria congiunta volta a veicolare messaggi diplomatici diretti a Filippo IV e Maria de' Medici.\n\nDopo aver portato a termine l'opera, gli emissari spagnoli non furono d'accordo sul suo pagamento e il dipinto rimase invenduto: di questo alterco colse l'occasione il cardinale Spada, che suggerì a Maria de' Medici di acquistare la tela. La regina consorte accettò il consiglio, pertanto il dipinto partì per la Francia. Quando il Ratto raggiunse il territorio francese non poté essere acquisito dalla regina Maria, che nel frattempo non aveva più alcun ruolo di rilevanza politica, e fu quindi acquistato nel 1654 (o antecedentemente) dal marchese Louis Phélypeaux de La Vrillière, che lo collocò nella sua galleria parigina, oggi non più esistente, commissionando un pendant a Pietro da Cortona, avente come titolo Cesare rimette Cleopatra sul trono di Egitto. Comparve in un inventario postumo del suo patrimonio e fu venduto dal nipote Louis III de La Vrillière (1672-1725) a Louis Raulin Rouillé, controllore generale delle poste, la cui vedova lo vendette a sua volta a Luigi Alessandro di Borbone, conte di Tolosa (1678-1737), figlio legittimo del re di Francia Luigi XIV e della sua amante Madame de Montespan. La tela fu ereditata dal figlio Luigi Giovanni Maria (1725-1793) nel 1737 e sequestrata durante la Rivoluzione francese insieme al resto della sua collezione. Trasferita al Louvre, fu inizialmente esposta nel Musée Central des Arts nel 1801 e poi, durante la Prima guerra mondiale, posta in sicurezza nel castello di Maisons-Laffitte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ratto di Ganimede (Correggio).\n### Descrizione: Il Ratto di Ganimede è un dipinto a olio su tela (163,5x70,5 cm) di Correggio, databile al 1531-1532 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.\nFa parte di una serie realizzata per il duca di Mantova Federico II Gonzaga avente per tema gli amori di Giove.\n\nStoria.\nLa serie degli Amori di Giove venne concepita dopo il successo riscosso dalla tela di Venere e Amore spiati da un satiro. L'artista fece in tempo ad eseguire quattro tele, accoppiabili a due a due per le dimensioni, e forse altre ne erano state programmate. La cronologia delle quattro tele è argomento alquanto controverso. Ciò che importa però è soprattutto il fondamentale contributo che esse diedero allo sviluppo della pittura a soggetto mitologico e profano, grazie al nuovo e straordinario equilibrio tra resa naturalistica e trasfigurazione poetica.\nNella prima edizione delle Vite (1550), Giorgio Vasari citò solo due delle opere del Correggio dedicate agli amori di Giove: la Leda (oggi alla Gemäldegalerie di Berlino) e la Venere (verosimilmente la Danae della Galleria Borghese di Roma), delle quali fece una descrizione piuttosto imprecisa. D'altronde, lo scrittore non conosceva tali opere se non attraverso le parole di Giulio Romano.\nL'aretino riferì che tali dipinti vennero commissionati all'artista emiliano dal duca di Mantova Federico II Gonzaga, che intendeva farne dono al Carlo V: malgrado egli non faccia menzione del Ratto di Ganimede e di Giove e Io, dal fatto che queste due tele si trovassero in Spagna a metà del XVI secolo insieme all'altra coppia di dipinti, è possibile dedurre che facessero tutte parte di un unico ciclo.\nCecil Gould ipotizzò che il Gonzaga abbia commissionato le tele con Io e Ganimede per sé e che le abbia cedute all'imperatore solo quando questi, verosimilmente durante la visita del 1532, ebbe modo di vederle e apprezzarle, promettendogli di ottenergliene altri due (Danae e Leda); per Verheyen i quattro dipinti sarebbero stati realizzati dal Correggio per la sala di Ovidio in palazzo Te a Mantova e sarebbero passati a Carlo solo dopo la morte del duca Federico (1540), forse in occasione delle nozze di suo figlio, l'infante Filippo, con Maria Emanuela d'Aviz.Tra il 1603 e il 1604 il dipinto venne fatto acquistare in Spagna da un intermediario di Rodolfo II d'Asburgo con il Cupido che fabbrica l'arco del Parmigianino, e portato a Praga. La tela è conservata a Vienna almeno dagli anni '10 del Seicento, quando, insieme alla Io, è menzionata in un inventario delle collezioni imperiali.\n\nDescrizione e stile.\nSecondo il mito greco, Ganimede era un bellissimo fanciullo troiano. Giove, innamoratosi di lui, prese le sembianze di un'aquila, lo rapì mentre era intento al pascolo sul monte Ida e lo condusse con sé sull'Olimpo, facendone il coppiere degli dei: mentre Senofonte leggeva nell'episodio l'allegoria morale della superiorità della mente sul corpo (il nome di Ganimede è formato dalle parole greche γάνυσθαι, 'gioire', e μήδεα, 'intelligenza'), per Platone il mito era stato inventato dai cretesi per giustificare le relazioni tra uomini adulti e ragazzi adolescenti, ma nel Rinascimento il ratto di Ganimede era arrivato a simboleggiare l'estasi dell'amore platonico, che 'libera l'anima dai suoi legami fisici e la solleva a una sfera di beatitudine olimpica'.Quella di Correggio è la prima grande rappresentazione del mito dell'età moderna (contemporaneamente Michelangelo stava pensando allo stesso tema per la decorazione della cupola della Sagrestia Nuova della basilica fiorentina di San Lorenzo, ma non portò a compimento l'opera). Difficile dire quale interpretazione l'artista desse del mito: la sua versione del tema, pur estremamente sensuale, è piuttosto diretta; il cane serve a ricordare l'attività terrena e il fatto che la sua figura sia ritagliata sull'orlo inferiore della composizione crea un effetto di maggiore immediatezza. L'estremo realismo con cui è resa l'aquila, animale araldico presente nello stemma di casa Gonzaga e, al contempo, emblema dell'autorità imperiale, potrebbe essere interpretato come un omaggio del duca Federico a Carlo V.\nL'iconografia rappresentò quindi per il Correggio una sfida per esibire la propria bravura. Se là si trattava di rappresentare la consistenza impalpabile di una nuvola, qui la difficoltà maggiore stava nel rappresentare convincentemente una figura in volo. Forse non c'era artista a questa data in Italia e all'estero che fosse più abile del Correggio per un compito siffatto. L'esperienza della decorazione della cupola di San Giovanni Evangelista e di quella del Duomo di Parma avevano fatto dell'artista un esperto in materia. Proprio dagli affreschi del Duomo è stato notato che deriva la figura del Ganimede, particolarmente da uno degli angeli efebici in volo sulle nuvole.\nRimane la delicatissima e solare invenzione figurativa del Correggio, giocata sulle tenere fattezze del Ganimede in volo, sulla sua fanciullesca ingenuità, sul mirabile giro – continuamente spostato – del punto di vista lungo la verticale della visione, e sui colori eccezionalmente preziosi. La tecnica infatti di sottili, calibratissime pellicole di colore conferma la datazione della scena agli stessi anni della Io." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ratto di Ganimede (Rembrandt).\n### Descrizione: Ratto di Ganimede è un dipinto olio su tela (177x130 cm) realizzato nel 1635 da Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, conservato nella Gemäldegalerie Alte Meister facente parte della Staatliche Kunstsammlungen Dresden.\nL'opera è firmata e datata 'REMBRANDT. FT 1635'.\nGanimede venne rapito da Zeus per la sua bellezza e portato sull'Olimpo: qui divenne il coppiere degli dei.\nL'artista raffigura il momento del rapimento del fanciullo da parte di Zeus, sotto forma di aquila. Ganimede stringe ancora in mano delle ciliegie: il suo terrore si legge sia nei lineamenti distorti del viso, sia nel fiotto di urina che scende incontrollata." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,### Titolo: Ratto di Ganimede (Rubens).\n### Descrizione: Il ratto di Ganimede è un dipinto a olio su tela (181x87 cm) realizzato tra il 1636 ed il 1638 dal pittore Pieter Paul Rubens.\nÈ conservato nel Museo del Prado.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ratto di Ganimede.\n\nCollegamenti esterni.\nMuseo del Prado – Sito Ufficiale. +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ratto di Proserpina (Bernini).\n### Descrizione: Il Ratto di Proserpina è un gruppo scultoreo realizzato da Gian Lorenzo Bernini, eseguito tra il 1621 e il 1622 ed esposto nella Galleria Borghese di Roma.\n\nStoria.\nL'opera, in candido marmo di Carrara, fu eseguita tra il 1621 e il 1622 dallo scultore ventitreenne Gian Lorenzo Bernini, su commissione del cardinale-protettore Scipione Caffarelli-Borghese. Scipione Borghese, che iniziò a retribuire il giovane Bernini a partire dal giugno del 1621, avrebbe infine collocato l'opera ultimata nella propria villa fuori Porta Pinciana il 23 settembre dell'anno successivo.La presenza di tale favola pagana nella casa del cardinale fu giustificata con un distico moraleggiante in latino di Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII e futuro committente di Bernini, che impressionato dalla qualità del marmo scrisse:.\n\nIl Ratto di Proserpina, tuttavia, rimase poco tempo a villa Borghese, poiché nel 1623 Scipione fece dono dell'opera al cardinale Ludovico Ludovisi, che la espose nella propria villa. È lo stesso inventario di Ludovisi ad attestare lo spostamento, includendo la descrizione di «una Proserpina di marmo che un Plutone la porta via alto palmi 12 in circa et un can trifauce con piedistallo di marmo con alcuni versi di faccia». Non si sa ancora perché Scipione abbia regalato il gruppo scultoreo a Ludovisi: c'è chi suppone che si sia trattato di un gesto mosso da considerazioni di opportunità politica, oppure chi ritiene sia stata una semplice attestazione di «buona volontà» da parte del Borghese.Il Ratto di Proserpina, in ogni caso, fu acquistato dallo Stato italiano solo nel 1908, e ricollocato nello stesso anno presso la galleria Borghese su un piedistallo disegnato da Pietro Fortunati.\n\nDescrizione dell'opera.\nMateria narrativa.\nIl mito della dea Proserpina.\nAll'inizio dei tempi, la dea Cerere seminava, innaffiava le piante e faceva sì che gli alberi fiorissero e dessero frutti. Secondo diverse antiche fonti letterarie, mentre Cerere lavorava, sua figlia Proserpina giocava in compagnia delle sue tre ancelle Ligea, Leucosia e Partenope e la sera tornava a casa insieme alla madre, cantando e ridendo con lei.\nPlutone, il dio dei morti, non viveva sul Monte Olimpo, ma regnava sotto terra, al freddo e al buio, da solo. Nessuna donna aveva infatti mai voluto rinunciare allo splendore della luce, al calore del sole e alle bellezze della natura per diventare regina dell'Oltretomba.\nUn giorno, Plutone scorse Proserpina mentre ella raccoglieva fiori nel verde della antica Hipponion (odierna Vibo Valentia), e quando la vide se ne innamorò. Sapendo però che se fosse andato a chiederla in sposa a Cerere, entrambe avrebbero rifiutato la sua proposta, decise di rapirla, col consenso di Giove. Salì quindi sul suo carro nero e, sporgendosi da questo, afferrò Proserpina per i capelli. Quando giunsero al fiume Acheronte, che divide il regno dei vivi dal regno dei morti, Proserpina gridò al punto che anche il fiume s'impietosì, e cercò di far cadere Plutone afferrandolo per le gambe. Proserpina, disperata, si tolse la cintura di fiori che indossava e la lanciò nel fiume, affinché le acque potessero portare alla madre il suo messaggio.\nPlutone e Proserpina giunsero nel regno dei morti e, mentre Plutone cercava di consolarla dicendole che sarebbe diventata regina, sulla Terra era sceso il tramonto. Cerere invano la cercò disperatamente in giro per il mondo, e intanto, per il dolore e la disperazione, lasciò appassire i fiori e smise di seminare, sicché il frumento e i frutti smisero di crescere. Dopo nove giorni e nove notti vissuti senza sonno e senza cibo alla ricerca della figlia scomparsa, il decimo giorno Cerere si sedette stanca e disperata lungo la riva di un fiume, e in quel momento scorse, accanto a lei, una piccola cintura di fiori. La verità le fu quindi raccontata da Elios, il dio Sole. Egli le rivelò lo svolgimento dei fatti avvenuti con il consenso di Giove. Per il dolore, Cerere non si curò più della terra, e quindi cessò la fertilità dei campi.\nGiove, vedendo la fame sterminare intere popolazioni, mandò i suoi messaggeri a rabbonire l'indignata Cerere, la quale, irremovibile, rispondeva che sarebbe tornata alle cure della terra solo se Proserpina fosse tornata con lei. Giove decise allora d'inviare immediatamente Mercurio ad avvisare la figlia affinché non toccasse cibo. Plutone infatti aveva fatto preparare un pranzo succulento e appetitoso, e malgrado Proserpina fosse troppo infelice per mangiare, infine, su insistenza di Plutone, cedette per la fame davanti a rossi e succosi chicchi di melograno che il dio dei morti, furbamente, le aveva messo in mano. Plutone gliene porse una dozzina e, quando arrivò Mercurio, Proserpina purtroppo ne aveva già assaggiati sei.\nLa fanciulla scoppiò in lacrime quando venne a conoscenza della legge divina per cui colui che mangia anche un solo boccone mentre si trova nel regno dei morti non può più ritornare sulla Terra. Giove, mosso a compassione, decise che Proserpina, avendo mangiato sei soli chicchi di melograno, avrebbe vissuto nel regno dei morti insieme a Plutone sei mesi all'anno e i rimanenti sei mesi avrebbe vissuto sulla Terra insieme alla madre Cerere.\n\nIl mito di Proserpina vuole quindi che l'arrivo della primavera sia sancito dall'arrivo di Proserpina sulla Terra, e che il suo ritorno nell'Ade, sei mesi dopo, coincida con l'arrivo dell'autunno. La primavera ritornerebbe allora l'anno successivo, assieme alla fanciulla.\n\nAnalisi.\nL'opera di Bernini coglie l'azione al culmine del suo svolgimento e offre all'osservatore il massimo del pathos: le emozioni dei personaggi sono infatti perfettamente rappresentate e leggibili attraverso la gestualità e l'espressività dei volti. Plutone è contraddistinto dai suoi attributi regali (la corona e lo scettro) mentre dietro di lui, il feroce guardiano dell'Ade, Cerbero, controlla che nessuno ostacoli il percorso del padrone, girando le sue tre teste in tutte le direzioni. Proserpina lotta inutilmente per sottrarsi alla furia erotica di Plutone spingendo la mano sinistra sul volto del dio, il quale, invece, la trattiene con forza, affondando letteralmente le sue dita nella coscia e nel fianco della donna. Con questo dettaglio, attraverso cui Bernini ha reso con notevole verosimiglianza la morbidezza della carne di Proserpina, lo scultore ha dimostrato il suo stupefacente virtuosismo.\nIl potente dio dell'Oltretomba sta guardando la fanciulla avidamente, con una bramosia suggerita dalle linee d'ombra e dalle puntine bianche presenti nei suoi occhi, profondamente scavati dall'artista; la visione della fanciulla, tuttavia, gli è impedita perché ella sta premendo con la mano sopra il suo sopracciglio sinistro. Proserpina, invece, è colta nell'attimo in cui sta gridando un'invocazione disperata alla madre Cerere e alle compagne. I suoi occhi, tumidi di commoventi lacrime di marmo per la perdita dei fiori, rivelano un caleidoscopio di emozioni: vi si legge, infatti, la vergogna per la sua nudità profanata dalla ferrea presa del rapitore, ma anche il terrore per l'oscurità degli Inferi, e la paura per la brutale violenza di Plutone.\nLa composizione del gruppo segue delle direttrici dinamiche sottolineate dai movimenti degli arti e delle teste, accentuate dal moto dei capelli e del drappo che scopre il corpo giovanile e sensuale della dea. Il corpo di Plutone è invece possente e muscolare e la sua virilità è accentuata dalla folta barba e dai riccioli selvaggi dei capelli, le cui ciocche, nettamente definite e in forte rilievo, rivelano un abbondante uso del trapano.\nBernini si prefiggeva di realizzare opere il cui virtuosismo fosse tale da far sì che i personaggi mitici raffigurati quasi sembrassero figure reali. Tuttavia, ciò che conferisce una certa artificiosità alla scena è la natura del movimento. La posa dei due è piuttosto innaturale e, idealmente, spiraliforme: un espediente, quello del moto a spirale, già utilizzato nel manierismo per esprimere al meglio un senso di moto e di dinamica all'interno di un'opera che, ovviamente, è caratterizzata dalla staticità. Tuttavia, pur essendo innaturale, la posa, nell'insieme, è indubbiamente molto teatrale e di grande impatto emotivo e visivo.\nIl gruppo, capolavoro di scultura barocca, ha un punto di vista privilegiato, ovvero quello frontale, che rende riconoscibili i personaggi e comprensibile la scena. L'opera, tuttavia, è leggibile da tutte le visuali, poiché ciascun punto di vista è in grado di continuare la narrazione della scultura: guardando Plutone da sinistra, infatti, si scopre che il dio sta iniziando appena a correre, mentre guardando Proserpina dalla diagonale del suo plinto si vede come i suoi occhi da quella posizione sembrino guardare esclusivamente lo spettatore. La scultura è anche perfettamente rifinita in tutte le sue parti e ricca di particolari che, ancora oggi, catturano l'attenzione dell'osservatore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ratto di Proserpina (Rembrandt).\n### Descrizione: Il Ratto di Proserpina è un dipinto a olio su tavola (84,5x79,5 cm) realizzato nel 1632 circa dal pittore Rembrandt Harmenszoon Van Rijn.\nÈ conservato nel Staatliche Museen di Berlino.\nProserpina, figlia di Cerere, viene rapita da Plutone, dio degli inferi, che si era invaghito di lei, il quale emerge dall'oltretomba da una grotta situata nel Lago di Pergusa nei pressi di Enna, dove secondo il mito Proserpina era intenta a cogliere fiori. La scena raffigurata è molto forte: il dio ha ghermito la fanciulla sul suo carro, mentre le fanciulle che la accompagnavano cercano disperatamente di trattenerla. Proserpina lotta, ma ormai i cavalli stanno già varcando le soglie del regno dei morti.\nLa drammaticità della scena è evidenziata dalla luce, che divide a metà il quadro: a sinistra, il mondo dei vivi, a destra, il buio dell'Ade." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Reso.\n### Descrizione: Reso (in greco antico Ῥῆσος Rhḕsos) è un personaggio della mitologia greca, signore di Tracia. Nella letteratura occidentale ha inizio con lui la serie dei giovani guerrieri destinati a venire uccisi nel sonno. La leggenda che lo riguarda si conclude con la sua singolarissima risurrezione.\n\nEtimologia.\nIl nome Reso (un antroponimo tracio) probabilmente deriva dalla radice Indoeuropea *reg-, 'governare' mutata secondo le caratteristiche tipiche di una lingua Satem. In Bitinia c'era anche un fiume chiamato Reso, al quale la mitologia greca attribuisce una divinità protettrice che porta lo stesso nome. Il semidio trace fu parimenti associato alla Bitinia grazie alla sua storia d'amore con la cacciatrice bitina Argantone, da lui sposata poco prima della partenza per Troia, come riportato dagli Erotika Pathemata (Pene d'amore) di Partenio di Nicea.\n\nIl mito.\nLe origini.\nReso era un giovane re della Tracia che, secondo l'Iliade, nel corso della guerra di Troia si alleò con i troiani di Priamo. Omero afferma che suo padre era Eioneo, un personaggio altrimenti sconosciuto, sebbene il suo nome sia evidentemente connesso con la città di Eione che si trova nella Tracia occidentale, alla foce dello Strimone. Scrittori di epoche successive attribuirono a Reso come padre il re trace Strimone, che era originario della città trace di Eione, il che può fare pensare che, in Omero, Eioneo non sia nome proprio di persona ma voglia dire in realtà 'l'uomo di Eione', ovvero appunto Strimone. Sempre nelle fonti postomeriche venne data a Reso anche un'origine semidivina, in quanto ritenuto figlio, come già Orfeo, di una delle nove Muse (le fonti oscillano tra Clio, Euterpe e Tersicore), che l'avrebbe fatto allevare da alcune Naiadi; in una variante invece l'eroe è figlio di una donna mortale e di Strimone dopo la trasformazione di costui in dio-fiume.\n\nLa morte.\nReso salì ancora adolescente sul trono di Tracia, succedendo al padre che aveva abdicato in suo favore. Era da poco diventato re quando giunse la notizia della guerra scoppiata tra greci e troiani, e allora inviò in aiuto del re Priamo un grande contingente di uomini guidati da due nobili in età matura, Acamante (zio di Cizico, il defunto sovrano dei Dolioni) e Piroo: se egli non poté subito intervenire direttamente in prima persona fu perché nel contempo si trovò a dover difendere il suo regno da un attacco degli abitanti della Scizia. Passarono così dieci anni, e finalmente Reso arrivò a Troia con un cocchio decorato in oro e argento, trainato da due cavalli bianchi che gli erano stati donati da Ares, dotati di una grandissima velocità. Gli Achei, preoccupati di questo, inviarono Ulisse e Diomede per rubarglieli. I due eroi, penetrati nell'accampamento con il favore del buio, si introdussero nella tenda di Reso: Diomede con la spada colpì alla gola il re e dodici suoi uomini mentre dormivano, per poi allontanarsi con i preziosi animali trafugati nel frattempo da Odisseo. Ironia della sorte, il giovane condottiero stava sognando di essere ucciso da Diomede, il che aveva contribuito ad agitare ulteriormente il suo sonno, essendo egli già di per sé grande russatore. Alla strage sopravvisse Ippocoonte, cugino e coetaneo di Reso, nonché suo consigliere. Questi fatti sono raccontati nel libro X dell'Iliade.\nNella tragedia Reso, la cui attribuzione ad Euripide è tuttora incerta e contestata, si dice che il giovane signore dei Traci fu ucciso la notte stessa del suo arrivo a Troia senza che egli avesse avuto il tempo di dissetare i cavalli con l'acqua dello Scamandro, nel qual caso la città sarebbe divenuta inespugnabile: esausto per le fatiche del viaggio, si era posto a dormire nel suo letto. In quest'opera viene inoltre celebrata la straordinaria bellezza dell'eroe, definito 'simile a un nume' mentre incede sul suo splendido carro da combattimento.\nEcco il passo omerico:.\n\n(Omero, Iliade X, traduzione di Vincenzo Monti).\nManca, nell'opera teatrale, la figura di Ippocoonte: la descrizione dell'uccisione di Reso viene fatta dal suo auriga, che nella strage è rimasto ferito:.\n\n(Pseudo-Euripide, Reso, traduzione di Ettore Romagnoli).\n\nLa risurrezione.\nStando al finale della tragedia pseudoeuripidea, la Musa madre di Reso (non se ne fa mai il nome) prese con sé il cadavere dell'eroe, e pur straziata per la sua morte prematura ne profetizzò l'imminente risurrezione ad opera degli dei inferi, che dopo aver riunito corpo e anima gli avrebbero anche dato l'immortalità facendolo però per sempre restare nelle viscere della terra, lontano dunque dagli uomini viventi ma anche dal regno dei morti, in un luogo misterioso e inaccessibile a tutti, divinità comprese, con un'oscurità inferiore a quella dell'Ade ma non luminoso come i Campi Elisi. Egli dunque diventerà un demone sotterraneo, e come tale verrà venerato dai Traci.\n\n(Pseudo-Euripide, Reso, traduzione di Ettore Romagnoli).\n\nFortuna dell'episodio.\nLetteratura latina e moderna.\nIl tragico assassinio di Reso è ben noto a Virgilio, che nel libro I dell'Eneide pone una sua raffigurazione in un tempio di Cartagine: Enea, che l'ha riconosciuto, non riesce a trattenersi dal pianto. Virgilio non si rifà solo a Omero ma anche all'opera teatrale, in quanto accenna alla fatale dimenticanza dell'eroe.\n\n(Virgilio, Eneide, libro I, traduzione di Annibal Caro).\nMa soprattutto il poeta latino crea, nel libro IX del poema, un episodio quasi del tutto analogo, in cui i due grandi amici troiani Eurialo e Niso seminano un'ingente strage nelle tende dei guerrieri italici addormentati. Due di questi in particolare richiamano il re trace: il condottiero Remo, che ha un cocchio da guerra trainato da cavalli, e l'augure Ramnete ('Amnete' nella traduzione di Adriano Bacchielli), sovrano come Reso, oltre a essere caratterizzato dal russare affannoso. Costituisce invece un'innovazione, rispetto al modello omerico, la morte, mediante decapitazione, di alcune vittime, Remo, Lamiro e Lamo, e il bellissimo Serrano: spettacolare quella di Remo, col sangue che intride tutto il letto su cui è coricato l'eroe.\n\n[...].\n\n(Virgilio, Eneide, libro IX, traduzione di Adriano Bacchielli).\nNon si deve dimenticare, nel poema virgiliano, il passo del sesto libro in cui l'anima di Deifobo racconta ad Enea, sceso vivo nell'Ade, la propria uccisione, avvenuta per mano di Ulisse e Menelao, che lo trucidarono nel sonno dopo essere entrati in casa sua la notte della caduta di Troia. L'episodio era narrato già nella Iliou Persis, opera perduta del ciclo troiano, che fu composta dopo l'Iliade, sicché la figura di Reso è alla base anche dello sviluppo del mito concernente Deifobo, benché le varie mutilazioni subite da costui siano un elemento di cui non si trova traccia nel modello di partenza.\n\n(Virgilio, Eneide, libro VI, traduzione di Luca Canali).\nOvidio rievoca la morte del semidio trace in due differenti opere. Nel tredicesimo libro delle Metamorfosi viene descritta la 'querelle' tra Aiace Telamonio e Ulisse per il possesso delle armi del defunto Achille; tra le ragioni addotte da Ulisse, c'è anche il merito per la strage ai danni di Reso e dei suoi uomini, che a suo dire sarebbe stata compiuta proprio da lui e non da Diomede.\n\n(Ovidio, Metamorfosi, libro XIII).\nL'altro riferimento ovidiano a Reso si trova nell' Ibis, in un passo dove l'episodio omerico viene accostato a quello dell'eccidio compiuto da Eurialo e Niso nell' Eneide.\n« Possa tu riposare di un sonno non migliore di quello di Reso e dei guerrieri, compagni di Reso prima nel viaggio e poi nella morte, e di quelli che col rutulo Ramnete furono uccisi dal non pigro figlio di Irtaco e dal compagno del figlio di Irtaco ».\n(Ovidio, Ibis, vv.627-31, traduzione di Francesco Della Corte).\nIn età moderna Ludovico Ariosto nel suo Orlando Furioso si ispira a Omero e in parte anche a Virgilio facendo dei due guerrieri saraceni Cloridano e Medoro gli autori di un massacro notturno di cui restano vittime diversi nemici cristiani sorpresi nel sonno. Qui le figure più vicine a Reso sono i due giovani fratelli Malindo e Ardalico, che come lui si sono appena aggiunti al resto dell'esercito.\n\n(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto XVIII, ottave 174-77, 180).\n\nArte.\nIn campo artistico va ricordato il dipinto Ulisse e Diomede nella tenda di Reso di Corrado Giaquinto, basato sulla versione del mito riferita dallo Pseudo-Euripide. Si trova custodito nella Pinacoteca di Bari.\n\nCinema.\nTobias Santelmann presta il proprio volto a Reso nel film del 2014 Hercules - Il guerriero, dove il protagonista (interpretato da Dwayne Johnson) interagisce con l'eroe trace, il che è un'evidente forzatura in quanto nel mito greco i due semidei appartengono a saghe differenti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Romolo e Remo.\n### Descrizione: Romolo e Remo (o, secondo alcuni autori antichi, Romo) sono, nella tradizione mitologica romana, due gemelli, uno dei quali, Romolo, fu il fondatore eponimo della città di Roma e suo primo re. La data di fondazione è indicata per tradizione al 21 aprile 753 a.C. (detto anche Natale di Roma e giorno delle Palilie). Secondo la leggenda, erano figli di Rea Silvia (Rhea Silvia), discendente di Enea, e di Marte.\n\nLa leggenda nelle fonti antiche.\nEsistono innumerevoli versioni della leggenda di Romolo e Remo e della fondazione di Roma, tutte tese alla glorificazione degli antenati dei Romani e della gens Iulia. Ci sono stratificazioni tra diverse leggende, dettagli diversi e 'rami laterali', di volta in volta tesi a togliere o ad aggiungere onore e diritti ai Romani. La leggenda della fondazione di Roma è riportata dallo storico romano Tito Livio nel libro I della sua Storia di Roma. Di essa riferiscono anche Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Varrone.\nQuesto racconto è da sempre stato ritenuto una favola, risalente al periodo fra il IV e il III secolo a.C.. Per alcuni critici la città vera e propria si sarebbe addirittura formata soltanto centocinquanta anni più tardi, all'epoca dei re Tarquini (fine del VII secolo a.C.). Tuttavia, sul colle del Palatino, durante alcuni lavori esplorativi, nel 2007 sarebbe stato ritrovato il lupercale: questo santuario, dove i Romani veneravano il Dio Luperco (Faunus lupercus), è collegato al racconto dell'allattamento di Romolo e Remo da parte della leggendaria lupa.\n\nDa Troia ad Alba Longa.\nCome si racconta nell'Eneide, Enea, figlio della dea Venere, fugge da Troia, ormai occupata dagli Achei, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio; mentre la moglie Creusa, figlia del re Priamo, perisce nell'incendio della città.\nDopo varie peregrinazioni nel Mediterraneo, tra le quali l'approdo a Cartagine dove viene accolto da Didone, Enea approda nel Lazio nel territorio di Laurento. Qui venuto in contatto con gli Aborigeni del re Latino, si scontra con Turno, re dei Rutuli, che resterà ucciso. Enea decise poi di fondare una nuova città, dandole il nome di Lavinium, in onore di sua seconda moglie, Lavinia.In seguito il figlio di Enea, Ascanio, fondò una nuova città di nome Alba Longa (trenta anni dopo la fondazione di Lavinium, secondo Tito Livio), sulla quale regnarono i suoi discendenti per numerose generazioni (dal XII all'VIII secolo a.C.), fino a quando si arrivò al regno di Amulio, che aveva usurpato il trono al fratello Numitore.\n\nRomolo e Remo.\nNumitore, essendo più vecchio di Amulio, aveva ricevuto in eredità l'antico regno della dinastia Silvia. Ma il fratello usurpò il trono, arrivando anche a commettere delitti:.\n\nCostrinse, infine, l'unica figlia femmina del fratello, Rea Silvia, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità, togliendole la speranza di diventare madre. Tuttavia il dio Marte s'invaghì della fanciulla e le fece violenza in un bosco sacro, dove era andata ad attingere acqua. Da quel rapporto nacquero i gemelli Romolo e Remo. Al secondo di questi due neonati fu dato lo stesso nome del condottiero rutulo decapitato nel sonno da Niso durante la guerra fra troiani e italici:.\n\nPer ordine dello zio, Rea Silvia fu seppellita viva, come prevedeva la legge per le vestali che non rispettavano il voto di castità. Il re Amulio, in seguito, affidò i bambini a due schiavi con l'ordine di metterli in una cesta, portarli nella parte più alta del fiume, e affidarli alla corrente. Per le piogge recenti il fiume era straripato e aveva allagato i campi nella zona del Velabro, quindi uno dei due uomini pensò di lasciarli nel punto dove erano arrivati. L'altro accettò la proposta e spiegò ai due bambini cosa stava per succeder loro; i due piccoli, allora, emisero un vagito come se avessero capito e vennero affidati alla corrente. La cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenò in una pozza d'acqua sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus. Quando le acque del fiume si ritirarono, la cesta rimase all'asciutto ai piedi di un albero di fico (il ficus ruminalis). Altre fonti fanno coincidere il punto dove si fermò la cesta con i gemelli con una grotta collocata alla base del Palatino, detta 'Lupercale' perché sacra a Marte e a Fauno Luperco.\n\nUna lupa, scesa dai monti al fiume per abbeverarsi, fu attirata dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e si mise ad allattarli. Vuole la tradizione che anche un picchio portò loro del cibo (entrambi gli animali sono sacri ad Ares). In seguito furono trovati da un pastore di nome Faustolo (porcaro di Amulio), il quale insieme alla moglie Acca Larenzia decide di crescerli come suoi figli. Esiste una supposizione sulla figura di Acca Larenzia. Alcune interpretazioni la identificano con la 'lupa', parola che in latino significa anche prostituta (da cui, 'lupanare', luogo dove si svolge la prostituzione). I Greci, anche se vinti e conquistati dai Romani, considerarono questi sempre dei rozzi barbari non all'altezza della loro raffinata civiltà e per loro la verità era che Romolo e Remo erano stati non raccolti ma figli di una prostituta, la quale, appena nati, li aveva esposti e abbandonati, e a raccoglierli e ad allevarli era stata non la leggendaria lupa ma una donna comune; tanto leggiamo infatti per esempio nella Suida, dizionario in lingua greca scritto nel X secolo d.C.\nIn ogni caso, incertezza della nascita a parte, i bambini crebbero inizialmente nella capanna di Faustolo e Larenzia, situata sulla sommità del Palatino, nella zona del colle chiamata 'Germalo' (o 'Cermalo'). Plutarco racconta infatti:.\n\nSi racconta che i due fratelli, un giorno furono assaliti dai banditi, i quali volevano vendicarsi dei bottini più volte perduti. Romolo si difese energicamente, ma Remo fu catturato e condotto di fronte al re Amulio, con l'accusa di furto e di aver compiuto numerose scorribande nelle terre di Numitore. Per questi motivi fu consegnato a quest'ultimo.\n\nNel frattempo, Faustolo aveva raccontato a Romolo delle loro origini e del sangue reale. Romolo radunò, pertanto, un gruppo consistente di compagni e si diresse da Amulio, raggiunto da Remo, che era stato liberato dallo stesso Numitore. Amulio venne ucciso e Numitore ritornò re di Alba Longa.\n\nMorte di Remo e fondazione di Roma.\nOttenuto dal nonno Numitore il permesso, Romolo e Remo lasciarono Alba Longa e si recarono sulla riva del Tevere per fondare una nuova città nei luoghi dove erano cresciuti. Lo stesso Livio aggiunge che del resto la popolazione di Albani e Latini era in eccesso, e riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:.\n\nLa versione raccontata da Plutarco è molto simile a quella di Livio, con la sola eccezione che Romolo potrebbe non aver avvistato alcun avvoltoio. La sua vittoria sarebbe pertanto stata per alcuni, frutto dell'inganno. Questo il motivo per cui Remo si adirò e ne nacque la rissa che portò alla morte di quest'ultimo.\n\nUna versione alternativa racconta che Romolo fece costruire sul solco (urvum/urbum, manico dell'aratro con il quale viene tracciato il confine; da qui Urbs, Città) tracciato con l'aratro, una cinta muraria, mettendovi a guardia Celere, cui impartì l'ordine di uccidere chiunque avesse osato scavalcarla. Purtroppo Remo non era venuto a conoscenza dell'ordine imposto dal fratello e quando si avvicinò alla cinta, notando quanto essa era bassa, la scavalcò con un salto. Il fedele Celere gli si avventò contro e lo trapassò con la spada. Romolo, saputo della disgrazia, ne rimase sconvolto, ma non osò piangere di fronte al suo popolo, essendo ormai un sovrano.\nFaustolo, il pastore che li aveva allevati fu inumato presso l'allora Comizio, mentre Remo fu seppellito sull'Aventino in una località chiamata Remoria, in ricordo del quale ogni 9 maggio era celebrata una festa Remuria (o Lemuria) per ricordare i defunti, come ci racconta Ovidio. Romolo diventava così il primo re di Roma.\n\nAlbero genealogico.\nLa tradizione letteraria e antiquaria.\nLa formazione di un'articolata “leggenda” riguardo alla fondazione di Roma conobbe un decisivo impulso in età augustea. Le ragioni di questo sviluppo sono abbastanza chiare: Roma era ormai diventata il centro politico, economico e culturale di tutto il Mediterraneo e Augusto, nella sua vasta opera di riorganizzazione della compagine statale romana, mirava ovviamente a nobilitarne il passato e a dare così ragioni “culturali” del suo dominio sul mondo. Frutto di questa politica propagandistica e culturale furono in particolare tre opere, ossia l'Eneide di Virgilio (modellata sui poemi omerici, l'Iliade e l'Odissea), gli Annali (chiamati anche Ab Urbe condita libri) di Tito Livio, e le Antichità romane di Dionisio di Alicarnasso. Questi tre autori concorsero a fornire un resoconto dettagliato e particolareggiato sulla fondazione di Roma, risalendo a tempi molto antichi (addirittura precedenti alla guerra di Troia, all'inizio del XIII secolo a.C.) e presentando una successione continua e omogenea di fatti per loro “storici” e attestati.\n\nLa critica storica moderna.\nAnche la leggenda di Romolo e Remo, all'inizio separata da quella di Enea, viene successivamente integrata nel suo mito. In un primo momento i due gemelli vengono indicati come suoi figli o nipoti. Eratostene di Cirene si accorse tuttavia che, essendo la data della caduta di Troia tra il 1250 e il 1196 a.C., né Enea né i suoi più diretti discendenti potevano aver fondato Roma attorno a queste date. Catone il Censore rende plausibile la storia. Secondo la sua versione, accettata poi come definitiva, Enea fugge da Troia e giunge nel Lazio. Qui, dopo aver sposato Lavinia, fonda Lavinium. Ascanio è invece il fondatore di Alba Longa e i suoi successori danno origine alla dinastia dalla quale, dopo varie generazioni, Rea Silvia darà alla luce Romolo e Remo e in seguito la gens Julia, con Giulio Cesare e il primo imperatore Augusto. In questo modo, la discendenza divina dei Romani e della stirpe Julia sarebbe rafforzata dalla discendenza da Venere e da Marte. Lo stesso Livio cercò, infatti, di colmare questo lasso di tempo di circa quattro/cinque secoli, 'creando' appositamente una dinastia albana dei Silvi, che regnò su Alba Longa da Ascanio (figlio di Enea) fino ad Amulio e Numitore (quest'ultimo nonno di Romolo e Remo).\n\nRomolo e Remo nell'arte, letteratura, teatro e cinema.\nStorie della fondazione di Roma (o Storie di Romolo e Remo), affreschi di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, (1590-1591), salone d'onore di Palazzo Magnani a Bologna.\nRomolo e Remo, dipinto di Pieter Paul Rubens (1615-1616).\nRomolo e Remo, film del 1961 di Sergio Corbucci con Steve Reeves nel ruolo di Romolo e Gordon Scott in quello di Remo.\nRemo e Romolo - Storia di due figli di una lupa, film del 1976 di Mario Castellacci e Pier Francesco Pingitore con Pippo Franco nel ruolo di Romolo e Enrico Montesano in quello di Remo.\nIl primo re, film del 2019 di Matteo Rovere.\nRomulus, serie televisiva del 2020 di Matteo Rovere." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sabazio.\n### Descrizione: Sabazio (greco antico: Σαβάζιος, romanizzato: Sabazios, pronuncia moderna Savázios; in alternativa, Sabadios) è il cavaliere e dio padre del cielo dei Frigi e dei Traci. Nelle lingue indoeuropee, come il frigio, l'elemento -zios nel suo nome deriva da dyeus, il comune precursore del latino deus (' dio ') e del greco Zeus. Sebbene i greci interpretassero Sabazio frigio sia come Zeus che come Dioniso, le sue rappresentazioni, anche in epoca romana, lo mostrano sempre a cavallo, come un dio cavaliere nomade, che brandisce il suo caratteristico bastone del potere.\n\nSabazio tracio/frigio.\nSembra probabile che i Frigi migratori abbiano portato con sé Sabazio quando si stabilirono in Anatolia all'inizio del primo millennio a.C., e che le origini del dio siano da ricercare in Macedonia e Tracia. Si ritiene che l'antico santuario di Perperikon nell'odierna Bulgaria sia quello di Sabazio. I macedoni erano anche noti cavalieri, allevatori di cavalli e adoratori di cavalli fino al tempo di Filippo II, il cui nome significa 'amante dei cavalli'.\nUn possibile conflitto iniziale tra Sabazio e i suoi seguaci e la dea madre indigena della Frigia (Cibele) può riflettersi nel breve riferimento di Omero alle imprese giovanili di Priamo, che aiutò i Frigi nelle loro battaglie con le Amazzoni.\nUna delle creature della religione nativa era il toro lunare. I rapporti di Sabazio con la dea possono essere ipotizzati dal modo in cui il suo cavallo pone uno zoccolo sulla testa del toro, in un rilievo marmoreo romano al Boston Museum of Fine Arts. Sebbene di data romana, l'immagine iconica sembra essere molto precedente.\n\nDio cavaliere.\nAltre stele del 'dio cavaliere' si trovano al Museo Burdur, in Turchia. Sotto l'imperatore romano Gordiano III il dio a cavallo compare sulle monete coniate a Tlos, nella vicina Licia, e a Istrus, nella provincia della Bassa Mesia, tra la Tracia e il Danubio. Si pensa generalmente che il nonno del giovane imperatore provenisse da una famiglia anatolica, a causa del suo insolito cognome, Gordianus. L'iconica immagine del dio o eroe a cavallo che combatte contro il serpente ctonio, sul quale il suo cavallo calpesta, compare su colonne votive celtiche e con l'avvento del cristianesimo fu facilmente trasformata nell'immagine di San Giorgio e il drago, le cui prime raffigurazioni conosciute risalgono alla Cappadocia del X e XI secolo e alla Georgia e all'Armenia dell'XI secolo.\n\nIconografia, raffigurazioni ed associazioni ellenistiche.\nTra le iscrizioni romane di Nicopoli ad Istrum, Sabazio è generalmente equiparato a Giove e menzionato insieme a Mercurio. Allo stesso modo nei monumenti ellenistici, Sabazio è esplicitamente (tramite iscrizioni) o implicitamente (tramite iconografia) associato a Zeus. Su una lastra di marmo di Filippopoli, Sabazio è raffigurato come una divinità centrale con i capelli ricci e la barba tra diversi dei e dee. Sotto il suo piede sinistro c'è una testa di ariete, e tiene nella mano sinistra uno scettro puntato con una mano nel gesto della benedictio latina. Sabazio è accompagnato da busti alla sua destra raffiguranti Luna, Pan e Mercurio, e alla sua sinistra Sol, Fortuna e Dafne. Secondo Macrobio, Liber ed Elio erano venerati presso i Traci come Sabazio; questa descrizione si adatta ad altri resoconti classici che identificano Sabazio con Dioniso. Sabazio è anche associato a numerosi reperti archeologici raffiguranti una mano destra in bronzo nel gesto della benedictio latina. La mano sembra avere un significato rituale e potrebbe essere stata apposta su uno scettro (come quello portato da Sabazio sulla lastra di Filippopoli). Sebbene ci siano molte varianti, la mano di Sabazio è tipicamente raffigurata con una pigna sul pollice e con un serpente o una coppia di serpenti che circondano il polso e sormontano l'anulare piegato e il mignolo. Ulteriori simboli occasionalmente inclusi nelle mani di Sabazio includono un fulmine sull'indice e sul medio, una tartaruga e una lucertola sul dorso della mano, un'aquila, un ariete, un ramo senza foglie, il tirso e l'Eroe a cavallo.\n\nI riti estatici orientali praticati in gran parte dalle donne ad Atene furono messi insieme per scopi retorici da Demostene per indebolire il suo avversario Eschine per aver partecipato alle associazioni di culto di sua madre:Quando hai raggiunto l'età adulta hai aiutato tua madre nelle sue iniziazioni e negli altri rituali, e hai letto ad alta voce gli scritti del culto... Hai strofinato i serpenti dalle guance grasse e li hai oscillati sopra la tua testa, piangendo Euoi saboi e hues attes, attes hues.\n\nTrasformazione in Sabazius.\nIl trasferimento di Sabazio nel mondo romano sembra essere stato mediato in gran parte da Pergamo. L'approccio naturalmente sincretico della religione greca offuscava le distinzioni. Scrittori greci successivi, come Strabone nel I secolo d.C., collegarono Sabazio con Zagreo, tra i ministri frigi e gli assistenti dei sacri riti di Rea e Dioniso. Il contemporaneo siciliano di Strabone, Diodoro Siculo, confuse Sabazio con il segreto 'secondo' Dioniso, nato da Zeus e Persefone, una connessione che non è confermata dalle iscrizioni sopravvissute, che sono interamente a Zeus Sabazio. Il cristiano Clemente di Alessandria era stato informato che i misteri segreti di Sabazio, come praticati presso i romani, riguardavano un serpente, una creatura ctonia estranea al dio celeste a cavallo della Frigia: ' 'Dio nel seno' è un contrassegno dei misteri di Sabazio agli adepti'. Clemente riferisce: 'Questo è un serpente, è passato in seno agli iniziati'.\n\nMolto più tardi, l'enciclopedia greca bizantina, Suda (X secolo), afferma categoricamenteSabazio... è lo stesso di Dioniso. Ha acquisito questa forma di indirizzo dal rito a lui spettante; perché i barbari chiamano il grido bacchico 'sabazein'. Quindi anche alcuni Greci seguono l'esempio e chiamano il grido 'sabasmos'; così Dioniso [diventa] Sabazio. Chiamavano anche 'saboi' quei luoghi che erano stati dedicati a lui e alle sue Baccanti... Demostene [nel discorso] 'Per conto di Ktesifonte' [li cita]. Alcuni dicono che Saboi sia il termine per coloro che sono dedicati a Sabazios, cioè a Dioniso, così come quelli [dedicati] a Bakkhos [sono] Bakkhoi. Dicono che Sabazio e Dioniso siano la stessa cosa. Così alcuni dicono anche che i greci chiamano i Bakkhoi Saboi. Nei siti romani, sebbene un'iscrizione murata nel muro della chiesa abbaziale di San Venanzio a Ceparana suggerisse ad un umanista rinascimentale che fosse stata edificata sulle fondamenta di un tempio dedicato a Giove Sabazio, secondo gli studiosi moderni non un solo tempio consacrato a Sabazio, il dio cavaliere dell'aria aperta, è stato localizzato. Piccole mani votive, tipicamente di rame o bronzo, sono spesso associate al culto di Sabazio. Molte di queste mani hanno una piccola perforazione alla base che suggerisce che potrebbero essere state attaccate a pali di legno e portate in processione. Il simbolismo di questi oggetti non è ben noto.\n\nCollegamento ebraico.\nI primi ebrei che si stabilirono a Roma furono espulsi nel 139 a.C., insieme agli astrologi caldei da Cornelio Hispalus secondo una legge che vietava la propagazione del culto 'corruttore' di 'Giove Sabazio', secondo l'epitome di un libro perduto di Valerio Massimo:Gneo Cornelio Hispalus, pretore peregrinus nell'anno del consolato di Marco Popilius Laenas e Lucius Calpurnius, ordinò agli astrologi con un editto di lasciare Roma e l'Italia entro dieci giorni, poiché per una falsa interpretazione degli astri turbavano le menti volubili e sciocche, così traendo profitto dalle loro bugie. Lo stesso pretore costrinse i Giudei, che tentavano di infettare l'usanza romana col culto di Giove Sabazio, a ritornare alle loro case. Con ciò si ipotizza che i romani identificassero l'ebreo YHVH Tzevaot ('sa-ba-oth', 'degli eserciti') come Giove Sabazius.\nQuesta connessione sbagliata di Sabazio e Sabaos è stata spesso ripetuta. Allo stesso modo, Plutarco sosteneva che gli ebrei adorassero Dioniso e che il giorno di sabato fosse una festa di Sabazio. Plutarco discute anche dell'identificazione del Dio ebraico con il Tifone 'egiziano', identificazione che però in seguito rifiuta. Gli Ipsistari monoteisti adoravano l'Altissimo con questo nome, che potrebbe essere stato una forma del Dio ebraico." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sacrificio d'Ifigenia (Giambattista Tiepolo).\n### Descrizione: Il Sacrificio d'Ifigenia è un affresco realizzato nel 1759 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza. Occupa la parete centrale della Sala di Ifigenia, il locale costituente l'atrio della residenza.\n\nDescrizione.\nLe fonti letterarie di riferimento per l'affresco sono l'Ifigenia in Aulide di Euripide e Le Metamorfosi ovidiane: al centro della scena, la giovane Ifigenia denudata, sta per essere immolata da Calcante, che tende il coltello verso il suo collo, mentre un inserviente è pronto a ricevere il capo su un piatto; a sinistra invece appaiono su una nube degli amorini con una cerva - inviata da Artemide -, che sostituirà la fanciulla come vittima sacrificale, tra lo stupore dell'esercito acheo; sulla destra, infine, Agamennone disperato, si copre gli occhi col mantello per non guardare il sacrificio della figlia, non rendendosi pertanto ancora conto, unico tra tutti, dell'intervento divino. La scena riprende un famoso quadro del pittore greco Timante." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sacrificio di Ifigenia (Pietro Testa).\n### Descrizione: Il Sacrificio di Ifigenia è il tema di una incisione e di un dipinto del pittore lucchese Pietro Testa.\n\nStoria.\nCome si evince nell'iscrizione contenuta nel primo stadio dell'incisione (eliminata poi nelle tirature successive), la stampa con il sacrificio di Ifigenia fu dedicata da Pietro Testa a Mario Albrizzi (o Alberici), ecclesiastico titolare della carica di referendario delle Due Segnature, organo giudiziario dell'amministrazione pontificia.\nLa complessa dedica all'alto prelato contiene un elogio alla purezza del disegno talora corrotta dall'uso inadeguato del colore.\nMenzionata dal Passeri come una delle prove più alte del Testa in ambito grafico (campo nel quale il lucchese fu tra gli artisti più apprezzati del suo tempo), l'incisione (come si legge sul gradino del basamento dell'altare) fu impressa nella stamperia impiantata da Giovanni Giacomo de Rossi a Roma, in via della Pace.\nLa stampa è firmata con il monogramma usato dall'artista (che sovrappone una P, una T e una L, Petrus Testa Lucensis, cioè lucchese) seguito dalle parole pinx.[it] e sculp.[sit].\nLa matrice in rame incisa dal Testa si è conservata ed è custodita presso l'Istituto nazionale per la grafica a Roma.\n\nDescrizione.\nL'episodio raffigurato è riportato da varie fonti antiche: l'Ifigenia in Aulide di Euripide, l'Agamennone di Eschilo (una delle tragedie dell'Orestea), Le metamorfosi di Ovidio.\nLa sostanza dei fatti è così sintetizzabile: i Greci, sotto il comando di Agamennone, si sono riuniti presso la città di Aulide, in Beozia, dalla quale poi salpare alla volta di Troia.\nLa perdurante bonaccia dei venti però impedisce alle navi greche di prendere il mare e la forzata promiscuità degli eserciti nella città favorisce il diffondersi di un'epidemia. Il malcontento monta e l'autorità di Agamennone vacilla. Il re allora interroga l'indovino Calcante per avere lumi sul da farsi.\nQuesti gli rivela che la difficile situazione è frutto dell'ira di Artemide verso lo stesso Agamennone reo di aver ucciso, durante una caccia, una cerva cara alla dea. Il solo modo per superare l'impasse – prosegue Calcante – è sacrificare ad Artemide Ifigenia, figlia di Agamennone.\nIl capo dei Greci accetta e fa in modo che la fanciulla, accompagnata dalla madre Clitennestra, raggiunga la Beozia: per indurre madre e figlia al viaggio Agamennone, mentendo, fa sapere loro che Achille ha chiesto Ifigenia in sposa.\nAll'arrivo di Ifigenia in Beozia l'inganno di Agamennone è presto svelato, ma la ragazza accetta egualmente di immolarsi per consentire all'esercito greco di raggiungere Troia.\nIfigenia è così condotta all'altare di Artemide per essere sacrificata mentre Clitemnestra e, nonostante tutto, lo stesso Agamennone si disperano.\nPartecipa al rito anche Achille pronto a strappare Ifigenia ai suoi carnefici se questa all'ultimo momento cambiasse proposito.\nQuando l'atto sacrificale sta per compiersi irrompe sulla scena la stessa Artemide che, mossa a pietà dalla abnegazione di Ifigenia, le salva la vita imponendo che in luogo della giovane principessa venga immolata una cerva.\nOgni elemento della storia trova posto nella stampa del Testa. Al centro, seduta, c'è Ifigenia, seminuda e con le spalle poggiate all'ara di Artemide, identificata anche dall'iscrizione in greco, che placidamente accetta il suo destino. All'estrema destra vi è Achille in posizione stante e con la mano alla spada. Sulla sinistra Clitemnestra ed Agamennone sono straziati dal dolore e non possono reggere la vista del sacrificio della loro figlia: il re di Micene si copre il volto col mantello mentre la madre di Ifigenia volge il capo in direzione opposta all'altare.\n\nQuando l'aguzzino si accinge a sgozzare la giovane vittima cala dal cielo Artemide che con la mano destra indica in direzione di una cerva, miracolosamente apparsa sul luogo, con la quale sostituire Ifigenia nel sacrificio. L'improvvisa apparizione della dea suscita lo stupore dei sacerdoti e dei carnefici che sorpresi volgono repentinamente lo sguardo in direzione di lei.\nSullo sfondo le navi greche alla fonda e una distesa di cadaveri sulla spiaggia - i morti mietuti dalla pestilenza che ha colpito Aulide - rammentano la causa della tragedia appena sventata. Nel cielo si addensano le nubi: la sfavorevole bonaccia sta per cedere il passo all'alzarsi dei venti.\nVari aspetti della composizione evidenziano l'erudizione per la quale Pietro Testa era apprezzato dai suoi contemporanei. La già menzionata figura di Agamennone che si fa schermo col mantello per non vedere la morte della figlia deriva dalle descrizioni di un dipinto di Timante, parimenti dedicato al sacrificio di Ifigenia, fatte da Plinio ed altri autori latini che concordemente riferiscono della velatura del viso del re.\nQuesto antichissimo dipinto, evidentemente celebre nel mondo antico, è ovviamente perduto ma una sua possibile derivazione è rinvenibile in un affresco pompeiano ove si vede, per l'appunto, Agamennone celato sotto il mantello mentre Ifigenia è condotta al sacrificio.\n\nAnche nella figura di Ifigenia raffigurata nella stampa del Testa si coglie un colto rimando, questa volta di tipo figurativo. Essa è infatti è una ripresa pressoché letterale della stessa Ifigenia scolpita in rilievo sul fregio di un pregevole cratere neoattico noto come Vaso Medici, ora agli Uffizi, ma nel Seicento ancora a Roma, nella villa pinciana dei Medici.\nLa familiarità del Testa con questo prezioso reperto, del resto, sembra essere provata anche da alcuni documenti relativi all'attività del pittore lucchese di riproduzione di antiche sculture romane da lui svolta su incarico di Cassiano dal Pozzo per la realizzazione del celebre Museo Cartaceo raccolto da quest'ultimo.\nPresso la Royal Library di Windsor Castle, inoltre, si conversa un disegno con una parziale riproduzione del fregio del cratere mediceo (probabilmente riferibile alle ricerche antiquarie promosse da Cassiano dal Pozzo) che secondo alcuni spetterebbe proprio al pittore lucchese.\nAnche il bel dettaglio del vaso della stampa (a sinistra, tra Ifigenia e Achille) decorato da un rilievo raffigurante Artemide impegnata nella caccia ad un cervo evoca le conoscenze e le passioni antiquarie di Pietro Testa.\n\nIl dipinto.\nIl sacrificio di Ifigenia fu oggetto anche di un dipinto del Testa - conservato nella Galleria Spada di Roma - che è nello stesso verso dell'incisione, mentre tutti i disegni preparatori noti della composizione sono in controparte (cioè speculari) sia all'incisione che al dipinto: se ne è dedotto che l'incisione fu realizzata per prima e che la tela è una derivazione della stampa.\nNella versione su tela sono state individuate alcune tangenze con la pittura di Pietro da Cortona, maestro nel cui entourage il Testa, anni addietro, aveva brevemente gravitato. Oltre ad alcuni dettagli decorativi - come le navi dorate e riccamente istoriate -, assimilabili ad alcuni precedenti cortoneschi, sembra possibile cogliere una certa assonanza compositiva con un'opera del Berrettini di tema analogo, il Sacrificio di Polissena, da questi realizzata una ventina di anni prima del sacrificio di Ifigenia del lucchese.\n\nSi ignorano le circostanze di realizzazione del dipinto ma è documentato che Mario Albrizzi, dedicatario dell'incisione, fosse in rapporti con il cardinale Bernardino Spada, iniziatore della celebre collezione di famiglia che si è quindi ipotizzato possa essere stato l'acquirente della tela di Pietro Testa.\nL'analisi degli inventari della collezione Spada tuttavia lascia pensare che questa tela del Testa (unitamente all'Allegoria della strage degli innocenti, altro dipinto del pittore lucchese conservato a Palazzo Spada) sia stata acquistata diverso tempo dopo la morte sia dell'artista che di Bernardino Spada. Di qui la diversa ipotesi che il dipinto sia entrato in possesso degli Spada per iniziativa di Fabrizio Spada, nipote di Bernardino e come questi cardinale.\nL'opera sarebbe stata comprata, in questa chiave di lettura, per comporre un ciclo pittorico collettaneo (secondo una moda all'epoca) dedicato alle donne illustri dell'antichità. Ciclo formato da opere già da tempo di proprietà degli Spada - come la Morte di Didone del Guercino e il Ratto di Elena di Giacinto Campana (copia da Guido Reni e da questi personalmente rifinita) -, da opere appositamente acquistate (come, per l'appunto, l'Ifigenia del Testa) e infine da dipinti commissionati ad hoc dal cardinal Fabrizio come il Banchetto di Antonio e Cleopatra di Francesco Trevisani.\n\nGalleria d'immagini.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n" +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Saga degli Atridi.\n### Descrizione: La saga degli Atridi o dei Pelopidi è formata dalla lunga serie di miti della mitologia greca riguardanti Atreo e i suoi figli (gli Atridi sono in effetti propriamente i figli di Atreo, Agamennone e Menelao). Essa include dunque le dispute e le terribili vendette reciproche di Atreo col fratello Tieste, figli di Pelope e nipoti di Tantalo (entrambi colpiti a loro volta dalla maledizione divina per i loro crimini), figlio di Zeus, l'ascesa al trono e poi l'uccisione di Agamennone (capo della spedizione greca contro Troia), le vicende di Menelao (sposo di Elena di Troia) e numerose altre storie come la vendetta di Elettra e Oreste con il matricidio contro Clitennestra, su ordine di Apollo, in quanto responsabile con Egisto della morte di Agamennone, con l'assoluzione finale del giovane grazie ad Atena, e la liberazione dalla maledizione della stirpe, per grazia di Zeus e Apollo.\nViene qui riportato un riassunto delle vicende raccontate dal mito. Va tuttavia tenuto presente che il mito stesso si presenta in varie versioni differenti ed è dunque inevitabile una cernita, a volte arbitraria, nell'impossibilità di dare conto di ognuna delle varianti. Si è comunque in generale cercato di riportare la versione più nota.\n\nGenealogia.\nIl mito.\nTantalo e Pelope.\nLe origini: Tantalo.\nTantalo, figlio di Zeus, per provare l'onniscienza degli dei li invitò a un banchetto in cui offrì loro le carni del giovane figlio Pelope. Essendosi accorti del macabro inganno, tutti i celesti allontanarono i piatti, eccetto Demetra che, sconvolta dalla perdita della figlia Persefone, non vi badò e si cibò di una spalla. Dopo aver punito Tantalo (condannandolo ad avere per sempre nel Tartaro una fame e una sete impossibili da placare) gli dei resuscitarono Pelope, fornendogli una spalla d'avorio, creata da Efesto. Secondo altri autori Pelope era nato con quella malformazione e dopo essere stato assassinato, Rea, la divinità della terra gli diede con un soffio nuovamente la vita. Secondo un'altra versione, al banchetto indetto dal padre Tantalo, al quale partecipavano anche gli dei, Poseidone vedendo Pelope se ne innamorò, portandolo con sé sull'Olimpo. A causa della colpa del padre venne però rispedito sulla terra. Ma anche i figli, Niobe e Pelope, incorsero in seguito nell'ira divina.\n\nPelope e la maledizione di Mirtilo.\nPelope, inizialmente viveva nella terra lasciata dal padre, la Paflagonia, dove governava con giustizia sia la Frigia sia la Lidia. Costretto da un'invasione di barbari, intraprese un viaggio attraverso la Grecia alla ricerca di un regno da governare. Giunse quindi alla corte del re Enomao. Questi, re di Pisa (in Elide) e figlio del dio Ares, non aveva mai acconsentito a concedere la mano della figlia Ippodamia ai giovani che la corteggiavano perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per mano del proprio genero. Enomao possedeva dei cavalli divini, Psilla (pulce) e Arpinna (razziatrice), perciò, sapendo di non poter essere mai battuto, proponeva ai pretendenti della figlia di gareggiare con lui in una corsa di carri: se avessero vinto, avrebbero sposato Ippodamia; in caso contrario sarebbero stati uccisi. Già tredici giovani avevano perso la vita (Pausania elenca diciotto nomi). Quando Pelope arrivò a Pisa con un carro leggerissimo munito di cavalli alati datigli da Poseidone, vide Ippodamia e se ne innamorò.\nTerrorizzato però dalla vista delle teste inchiodate alle porte del palazzo d'Enomao e mozzate agli sfortunati pretendenti, decise di vincere la gara slealmente: corruppe Mirtilo (figlio di Hermes, auriga del sovrano e anch'egli infatuato di Ippodamia), promettendogli che non appena avesse vinto la corsa, gli avrebbe permesso di passare una notte con la principessa.\nMirtilo, accettando l'offerta di Pelope, tolse i perni degli assali del carro di Enomao e li sostituì con dei pezzi di cera; durante la corsa le ruote si staccarono, il carro si rovesciò e Enomao morì. Successivamente Pelope, certamente geloso dell'amore d'Ippodamia, annegò l'auriga che, in punto di morte e invocando Ermes, maledisse l'usurpatore e tutta la sua discendenza. Pelope, diventato re, accumulò sì ricchezze e onori ma fu causa della rovina dei suoi figli (Atreo e Tieste) e della sua intera stirpe; e questo nonostante avesse tentato di procurarsi i favori di Zeus istituendo le Olimpiadi. L'auriga di Pelope era Cilla. Per placare l'ira di Hermes, Pelope eresse subito un tempio per onorarlo e, tentando di soffocare il rimorso della propria coscienza tributò onori eroici a Mirtilo, dando onori anche ai tanti morti che avevano sfidato Enomao e avevano perso, ma questo non pose fine alla maledizione divina. Dalla moglie Ippodamia ebbe venti figli, tra cui Pitteo, Alcatoo, Atreo, Tieste, Ippalco, Copreo, Scirone, Ippalcimo, Cleonte e Lisidice. Dalla ninfa Astioche ebbe invece Crisippo.\n\nAtreo e Tieste.\nL'uccisione di Crisippo.\nAtreo e Tieste erano due dei figli di Pelope, re di Pisa (in Elide), a sua volta figlio di Tantalo. Essi erano gelosi di un loro fratellastro, Crisippo, che il padre Pelope aveva avuto dalla ninfa Astioche. Temendo che, essendo il figlio prediletto del padre, il trono di Pisa potesse andare a lui, Atreo e Tieste uccisero Crisippo con l'aiuto della loro madre Ippodamia. Per questo motivo, essi furono banditi dalla città da Pelope, il quale pronunciò anche lui una maledizione contro di loro. Essi si rifugiarono ad Argo (o Micene), presso il loro parente Stenelo, re della città.\n\nL'ascesa al trono.\nQuando Stenelo morì senza figli, un oracolo consigliò agli abitanti di Argo di prendere come nuovo sovrano uno dei figli di Pelope. Ci si trovò quindi nella necessità di scegliere tra Tieste e Atreo: qui cominciarono le ostilità e i raggiri tra i due fratelli. Infatti, tempo prima, Atreo aveva trovato nel suo gregge un agnello dal vello d'oro, che aveva deciso di tenere per sé. Ma sua moglie Erope aveva trafugato il vello e l'aveva dato a Tieste, di cui era segretamente diventata amante. Così, quando Tieste propose ad Atreo che a prendere la corona di Argo fosse colui che avesse posseduto un vello d'oro, Atreo accettò rallegrandosene, poiché credeva di avere quell'oggetto. Ma a possedere il vello era in realtà Tieste, che venne così designato sovrano di Argo. Tuttavia Atreo, che godeva del favore degli dei, venne avvertito da Zeus tramite Hermes di proporre al fratello un altro patto: se il sole avesse invertito il suo corso e fosse tramontato a est, allora Tieste avrebbe dovuto cedere la corona ad Atreo, in quanto chiaramente prescelto dagli dei. Tieste accettò e quel giorno il sole effettivamente tramontò ad est, costringendo Tieste a rinunciare alla sovranità e proclamando Atreo re di Argo.\n\nLa vendetta di Atreo.\nUna volta divenuto re di Argo, Atreo si affrettò ad esiliare il fratello, per prevenire eventuali sue brame sul trono. Quando però venne a sapere della relazione che c'era stata tra sua moglie Erope e Tieste, escogitò una tremenda vendetta. Fece cercare e uccidere tre dei figli di Tieste (Aglao, Orcomeno e Callileonte) e ne fece cucinare le carni. Poi richiamò Tieste ad Argo con la scusa di una riconciliazione e, invitatolo ad un banchetto, gli servì come pietanza la carne dei suoi figli. Quando Tieste ebbe mangiato, Atreo gli mostrò le loro teste, rivelandogli di cosa si era cibato, poi lo cacciò dalla città.\n\nLa rivincita di Tieste.\nSconvolto dalla rabbia e dall'orrore, Tieste si rifugiò a Sicione, dove viveva un'altra sua figlia, Pelopia. Chiese a un oracolo in che modo avrebbe potuto vendicarsi del fratello e ottenne come responso che l'unico modo era generare un figlio con sua figlia Pelopia: da questa unione sarebbe nato colui che l'avrebbe vendicato. Rassegnatosi a dover compiere quell'atto incestuoso, Tieste decise di commetterlo senza farsi riconoscere. In una notte in cui Pelopia (che era una sacerdotessa) stava tornando a casa da sola dopo aver compiuto dei sacrifici, Tieste, mascherato, la violentò e la mise incinta. La ragazza riuscì però a sottrargli la spada.Atreo, nel frattempo, temeva che con i suoi crimini potesse essersi inimicato gli dei e si rivolse quindi all'oracolo di Delfi per un responso in merito. Esso gli intimò di richiamare Tieste da Sicione, sicché Atreo si recò personalmente in quella città, ma il fratello si era già allontanato. Qui si innamorò di Pelopia, che credette figlia del re Tesproto (ed era invece nipote dello stesso Atreo, essendo figlia di Tieste). Atreo giacque con lei, la chiese in sposa e il re la concesse, lieto di rendere un buon servigio a Pelopia e di amicarsi un re così valido, tacendo la verità. Vennero quindi celebrate le nozze con la fanciulla, che, alcuni mesi dopo, partorì il bambino che aveva precedentemente concepito con Tieste e lo abbandonò sulle montagne. Qui fu rinvenuto da alcuni pastori che si presero cura di lui e lo nutrirono. Atreo, una volta saputa la storia da Pelopia, decise di recuperare il bambino (chiamato Egisto) e allevarlo, poiché era convinto che egli fosse in realtà figlio suo.Quando Egisto divenne adulto, Atreo lo incaricò di andare a cercare Tieste, poiché aveva deciso di eliminarlo. Egisto eseguì l'ordine, rintracciò Tieste e lo riportò ad Argo, dove ricevette da Atreo l'ordine di ucciderlo. Quando già Egisto si apprestava a compiere l'atto, però, Tieste riconobbe quella che anni prima era stata la sua spada. Chiese a Egisto come se la fosse procurata e questi rispose che era una spada di sua madre. Allora Tieste supplicò di far convocare quella donna, poiché aveva capito essere sua figlia Pelopia, e rivelò ai presenti il segreto della nascita di Egisto. In seguito a queste notizie, Pelopia si tolse la vita, avendo scoperto di essere una madre incestuosa, mentre Egisto decise di uccidere Atreo, e così fece, mettendo al suo posto Tieste come sovrano di Argo. Si avverò così la profezia dell'oracolo, che aveva visto in Egisto, figlio incestuoso, colui che avrebbe vendicato Tieste.\n\nAgamennone e Menelao.\nL'esilio a Sparta.\nDopo la morte di Atreo, i suoi due figli Agamennone e Menelao furono esiliati e si rifugiarono presso il re di Sparta, Tindaro. Qui i due figli di Atreo si sposarono con due delle figlie di Tindaro, Elena e Clitennestra. Agamennone sposò Clitennestra dopo aver ucciso il suo primo marito Tantalo (che era un figlio di Tieste) ed aver ottenuto, sia pure a malincuore, il consenso della donna al matrimonio. A quel punto Agamennone, con l'aiuto militare di Tindaro, poté marciare su Argo e riprendersi il trono, dove regnò insieme alla moglie Clitennestra, cacciando Tieste (che morirà poco dopo) ed Egisto. Ebbe tre figlie, Elettra, Ifigenia e Crisotemi, e un figlio, Oreste. Menelao invece, sposo di Elena, ebbe il trono di Sparta.\n\nLa guerra di Troia.\nIn seguito al giudizio di Paride, la dea Afrodite indusse Elena ad abbandonare il marito Menelao, sovrano di Sparta, e ad unirsi a Paride, un bel giovane che abitava nella città di Troia. Secondo alcuni, Elena fu spinta ad andare a Troia dalla dea e non aveva quindi colpe, mentre per altri Elena era in realtà una donna di facili costumi, fuggita con Paride per lussuria. Venne quindi organizzata una grande spedizione, che coinvolse tutto il mondo greco, per andare a riprendere Elena. Tale spedizione, in cui Menelao era la parte lesa, era guidata da Agamennone.Prima di arrivare a Troia, la flotta si ritrovò però bloccata in Aulide da una bonaccia di vento. Interrogato l'indovino Calcante, Agamennone seppe che la dea Artemide era in collera con lui e l'unico modo per placarla era sacrificarle la figlia Ifigenia. Dapprima Agamennone rifiutò, ma poi, spinto da Menelao e Ulisse, si lasciò convincere e fece in modo di far arrivare la figlia in Aulide, col pretesto di farla fidanzare con Achille. Poco prima che venisse compiuto il sacrificio però, la dea Artemide, impietosita, sostituì la giovane con una cerva e portò Ifigenia in Tauride, dove ne fece una sua sacerdotessa. La flotta poté così ripartire.Ebbe così inizio la guerra di Troia, durante la quale Agamennone e Menelao compirono numerose azioni eroiche. Dieci anni dopo, alla fine della guerra, dopo aver saccheggiato la città Agamennone poté tornare ad Argo, portando con sé come schiava la profetessa Cassandra, con la quale aveva intrecciato una relazione, mentre Menelao poté ripartire per Sparta con Elena.\n\nIl ritorno di Menelao ed Elena.\nDopo il sacco di Troia, Menelao si mise in mare per il ritorno insieme alla sua flotta, ma al momento di doppiare Capo Malea, una tempesta li sbatté sull'isola di Creta, dove la maggior parte delle navi affondò. Menelao ed Elena scamparono alla morte e sbarcarono infine in Egitto, dove rimasero ben cinque anni e dove Menelao accumulò ingenti ricchezze. Infine lasciarono l'Egitto, ma fu un viaggio assai breve, perché una bonaccia di vento li costrinse a fermarsi sull'isola di Faro, presso le foci del Nilo. Rimasero per venti giorni sull'isola e quando già la fame cominciava a farsi sentire, il dio Proteo, che su quell'isola risiedeva, consigliò a Menelao di tornare in Egitto e lì offrire sacrifici agli dei. Menelao così fece e in questo modo poté tornare a Sparta. Erano passati otto anni dalla sua partenza da Troia e diciotto da quando la guerra era cominciata.Una volta tornato a Sparta, Menelao regnò per molti anni insieme a Elena, da cui ebbe i figli Ermione e Nicostrato. Alla fine della sua lunga vita egli fu portato nei Campi Elisi senza morire, onore accordatogli da Zeus per essere stato suo genero.\n\nIl ritorno e l'uccisione di Agamennone.\nAgamennone ritornò in patria poco dopo la fine della guerra (nonostante l'ombra di Achille avesse tentato di trattenerlo predicendogli le sue future disgrazie), portando con sé Cassandra e il bottino di guerra. Venne accolto con grandi festeggiamenti dalla moglie Clitemnestra, la quale però aveva nel frattempo intessuto una relazione con il già incontrato Egisto, figlio di Tieste. I due ordirono dunque un complotto per uccidere Agamennone. Secondo alcune versioni del mito fu Egisto a compiere materialmente l'omicidio, secondo altre fu Clitennestra a colpi di scure; in ogni caso, eliminando Agamennone i due si assicurarono il dominio su Argo. La stessa sorte toccò anche a Cassandra. Per paura che l'unico figlio maschio di Agamennone e Clitennestra, il piccolo Oreste, potesse essere coinvolto nel massacro, la sorella Elettra lo portò in Focide, affidandolo al sovrano Strofio, che lo crebbe assieme a suo figlio Pilade.\n\nLa vendetta di Oreste.\nDieci anni dopo l'omicidio del padre, Oreste, ormai divenuto adulto, ricevette l'ordine dal dio Apollo di tornare ad Argo insieme a Pilade, per vendicare la morte di Agamennone uccidendo i suoi assassini, spinto anche dalla sorella Elettra che odiava la madre ed Egisto. Travestito, Oreste riuscì a introdursi con l'inganno nel palazzo dove vivevano Egisto e Clitemnestra e li uccise entrambi. Invano la donna si scoprì il seno, ricordandogli di essere colei che gli aveva dato la vita.Una volta compiuta la vendetta, però, le Erinni, vendicatrici dei delitti tra consanguinei, cominciarono a perseguitarlo. Oreste allora si rifugiò ad Atene, dove la dea Atena, ascoltata la sua storia, decise di organizzare un processo, da celebrarsi davanti al tribunale dell'Areopago (il tribunale ateniese competente per i crimini di sangue), con Atena nei panni del presidente della giuria, le Erinni come accusa e Apollo come difesa. Alla contestazione di aver ucciso un consanguineo, Oreste poteva contrapporre l'argomento di aver ucciso su ordine del dio Apollo e per vendicare un crimine altrettanto odioso. Alla fine quest'ultima tesi prevalse e Oreste venne assolto.Dopo l'assoluzione, allo scopo di essere completamente riabilitato, Oreste fu mandato da Apollo in Tauride insieme a Pilade, a recuperare una statua di Artemide. Lì giunti, però essi furono fatti prigionieri dalla popolazione locale ed il re Toante decise di offrirli in sacrificio ad Artemide. Ma quando arrivò la sacerdotessa per compiere il sacrificio, Oreste subito la riconobbe: era Ifigenia, sua sorella (infatti, come già raccontato, ella era stata portata in Tauride da Artemide prima dell'inizio della guerra di Troia). Oreste allora le spiegò il motivo del suo arrivo in Tauride e venne ideato un piano per scappare. Con la scusa di purificare in mare secondo un rituale segreto l'uomo da sacrificare, Ifigenia congedò le guardie e poi scappò via mare insieme a Oreste e Pilade. Tornato a casa, Oreste regnò per lunghi anni ad Argo e anche a Sparta (come successore di Menelao). Sposò infatti la cugina Ermione, figlia di Menelao ed Elena, ed ebbe come figlio Tisameno, mentre Elettra sposò Pilade.\nTisameno regnò fino al ritorno degli Eraclidi a Sparta, evento simboleggiante l'invasione dei Dori e la fine dell'epoca micenea in cui sono ambientati molti miti greci, e l'inizio dell'epoca propriamente storica più antica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Salmoneo.\n### Descrizione: Salmoneo (in greco antico: Σαλμωνεύς?, Salmōnèus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eolo e di Enarete (ma a volte viene indicata Ifi), Fu re dell'Elide.\nSposò Alcidice dalla quale ebbe la figlia Tiro ed in seguito si risposò con Sidero.\n\nMitologia.\nInizialmente abitava in Tessaglia, ma si trasferì nell'Elide dove fondò la città di Salmonia.\nConsiderandosi pari a Zeus, volle che gli fossero tributati onori divini pretendendo sacrifici e la costruzione di un tempio in suo onore. Giunse persino ad imitare Zeus, procedendo per le vie della città su un carro trainato da quattro cavalli, tenendo in mano una fiaccola e imitando con la sua voce il rombo del tuono.\nPer tale motivo la sua città fu distrutta e venne mandato negli Inferi, dove, secondo Virgilio, lo incontrò Enea:." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sangue di toro.\n### Descrizione: Il sangue di toro è spesso menzionato nelle mitologie antiche, come elemento portante della variegata simbologia taurina.\nNella mitologia greca veniva talora considerato un veleno mortale, anche se è in realtà completamente innocuo.\n\nFonti antiche.\nMolte fonti antiche parlano di sangue di toro.Diodoro Siculo parla del giuramento di fedeltà che Temistocle avrebbe prestato a Serse I di Persia: sacrificando un toro, l'ateniese promise che avrebbe combattuto contro i Greci e la propria città natale; in compenso, Serse non doveva iniziare la battaglia senza la partecipazione di Temistocle. Subito dopo i giuramenti, Temistocle riempì una patera di sangue del toro sacrificato, bevve e morì.\nLa fonte più antica a riportare la morte di Temistocle per il sangue di toro è Aristofane ne I cavalieri (424 a.C.).\nIl Faraone egizio Psammetico III nel 525 a.C. provocò una guerra contro Cambise II di Persia e dovette come punizione bere sangue di toro; di conseguenza morì.Il persiano Smerdi, fratello di Cambise II, e anche il generale cartaginese Annibale sarebbero morti a causa del sangue di toro. Quest'ultimo caso però è molto controverso.\n\nSangue di toro nella mitologia greca.\nNella mitologia greca sia Giasone che Mida sarebbero stati vittime di sangue di toro. Esone voleva commettere suicidio; come sacrificio bevve sangue di toro e morì di conseguenza. Verso la fine del primo libro delle Argonautiche, anche Esone e sua moglie (Alcimede) commettono suicidio bevendo sangue di toro, seguendo il consiglio di Creteo, padre di Esone.\n\nSangue di toro nella Bibbia.\nIl sangue di toro è menzionato nella Torah. In Levitico 16,14 si legge: 'Poi prenderà un po' di sangue del giovenco e ne aspergerà con il dito il coperchio dal lato d'oriente e farà sette volte l'aspersione del sangue con il dito, davanti al coperchio.' Per gli ebrei il sangue non è casher. Viene solamente usato per il sacrificio, però in nessun caso bevuto.\n\nSangue di toro nel culto di Mitra.\nNel mitraismo, schizzare qualcuno con il sangue di un toro sacrificato era un importante rito di iniziazione. Questo uso nel concorrente culto di Mitra potrebbe aver ispirato in Paolo di Tarso il rito del vino nella liturgia cristiana.Nel sacro testo persiano Avestā, alla fine dei tempi appare un Messia che vince il male. Tramite un unguento fatto di grasso di toro ed ephedra darebbe l'immortalità. Sugli altari di Mitra nel Taurobolium si vede la raffigurazione di questa divinità che si lava con sangue di toro; la descrizione suona Voi ci avete salvati tramite lo spargimento del sangue eterno. Gli iniziati dei misteri di Mitra si mettevano a sedere sotto un'inferriata nel tempio mentre sopra un toro venne sacrificato: bagnati dal sangue gli iniziati raggiungevano la vita eterna; poi il toro sacrificato veniva anche mangiato. Per la gente povera invece esisteva un rituale simile nel Criobolium, in cui si usava il sangue di pecore; questi discepoli venivano detti 'lavati nel sangue di agnello'.Diversi simboli e espressioni del mitraismo trovarono applicazione anche nella prima Cristianità." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Saoco.\n### Descrizione: Saoco o Soco (in greco antico: Σῶκος?, Sôkos) è un personaggio della mitologia greca. È a volte descritto come una divinità rustica dell'isola di Eubea, altre volte come un sovrano mortale della stessa isola.\nFu il consorte della ninfa Combe, con la quale generò i sette Coribanti. In alcune versioni i figli della coppia erano invece cento.\nEspulse la moglie e i figli da Eubea, e alla fine fu ucciso da Cecrope di Atene, nel cui regno si rifugiarono i Coribanti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sarcofago di Raffadali.\n### Descrizione: Il sarcofago di Raffadali è un sarcofago di età romana che presenta una classica raffigurazione del ratto di Proserpina.\n\nStoria.\nFu ritrovato nel Cinquecento in contrada Grotticelle a Raffadali, nel cui territorio sono note anche altre testimonianze del periodo romano.Il sarcofago venne custodito prima nel palazzo dei principi di Montaperto, che in seguito lo donarono alla chiesa madre del paese, dove è tuttora conservato. Il sarcofago fu posizionato a destra dell’ingresso principale della chiesa, e lì rimase per secoli.Nella seconda metà del XIX secolo, l’arciprete Di Stefano fu sul punto di venderlo a un antiquario a un prezzo irrisorio, incurante del suo alto valore storico. Il sindaco del tempo, Salvatore D’Alessandro riuscì però a impedirlo.\n\nDescrizione.\nLa scena centrale raffigura il momento in cui Plutone rapisce Proserpina, protetta da Diana. L'estremità destra è occupata da Mercurio, che tiene con una mano i cavalli infernali e con l'altra il suo scettro, accanto a lui vi è Atena che punta il dito indice sulla bocca. Sul lato sinistro si vede Cerere, la madre di Proserpina, che brandisce due fiaccole. La biga sulla quale si trova è guidata da due figure allegoriche, Trepidatio e Amore. Nella parte bassa si trovano due figure, la Terra e l'Oceano. Nella parte alta invece si trova Venere che riceve da un amorino una corona di ghirlande.La figura di Venere e l'amorino rappresentano aggiunte successive. L’amorino fu realizzato dopo che lo scettro di Marte si era spezzato, forse durante il trasporto. Il volto della dea, disposto frontalmente, fu scolpito in modo da somigliare alla defunta." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sarpedonte (figlio di Europa).\n### Descrizione: Sarpedonte (in greco antico: Σαρπηδών?, Sarpēdṑn) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re della Licia.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e di Europa e così come i due fratelli (Minosse e Radamanto), fu adottato da Asterio dopo che questi sposò la madre.\nFu padre di Evandro.\n\nMitologia.\nSarpedonte combatté contro il fratello Minosse, secondo alcuni per il trono di Creta ma secondo altri perché erano entrambi innamorati di un giovane di nome Mileto.\nIl ragazzo preferiva Sarpedonte e così Minosse per vendicarsi conquistò l'intera isola e costrinse i due amanti a fuggire per riparare in Licia, dove il giovane fondò la città che oggi porta il suo nome.Nella stessa parte della leggenda il nome del giovane era Atminio, figlio di Zeus e Cassiopea, ma non fu con Atminio che Sarpedonte fuggì.In un'altra leggenda, Sarpedonte giunto in Licia si alleò con Cilice (suo zio, in quanto la madre Europa era sorella di Cilice), e conquistò la regione della Licia dove in seguito regnò come re.\nEbbe così un figlio che chiamò Evandro, il quale sposò Laodamia e divenne padre del Sarpedonte che prese parte alla guerra di Troia e che venne ucciso da Patroclo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sarpedonte (figlio di Laodamia).\n### Descrizione: Sarpedonte (in greco antico: Σαρπηδών?, Sarpēdṑn) è nella mitologia greca il nome di un semidio alleato di Troia durante la famosa guerra della mitologia greca: era figlio di Zeus e di Laodamia, a sua volta figlia di Bellerofonte e sorella di Isandro e Ippoloco.\n\nIl mito.\nNascita e infanzia.\nAncora giovane, Laodamia fu amata da Zeus, e da lui generò un figlio, il piccolo Sarpedonte. Gli zii del bambino, Isandro e Ippoloco, quando egli era ancora un bambino stabilirono di disputare una gara per vedere chi di loro sarebbe salito al trono. Insieme proposero di appendere al petto di un bambino un anello d'oro e di scoccare una freccia attraverso quel difficile bersaglio. Sorse tuttavia una lite a proposito del bambino da utilizzare come vittima; ciascuno di loro infatti reclamò il figlio dell'altro.\nPer impedire una lotta fratricida, Laodamia intervenne, offrendosi di legare al collo del figlio Sarpedonte il fatidico anello. Di fronte a questo gesto di puro coraggio, i due fratelli rinunciarono alle loro pretese e affidarono il regno a Sarpedonte, il quale, cresciuto, regnò sul suo popolo associando poi al trono il giovane cugino Glauco, figlio di Ippoloco.\n\nNella guerra di Troia.\nQuando Paride, figlio di Priamo, rapì da Sparta la regina Elena, moglie di Menelao e sorellastra di Sarpedonte, provocando una dichiarazione di guerra da parte di Agamennone e di tutti i capi Achei, il figlio di Zeus, pur avanti negli anni, abbandonò la moglie e il figlio ancora neonato nella sua terra per accorrere in aiuto dei Troiani. Egli partì insieme al figlio illegittimo Antifate (avuto da una schiava), ai due fratellastri Claro e Temone (figli di Laodamia e di un mortale non noto) e a Glauco (che gli fu sempre fedelissimo compagno) con grandi truppe di guerrieri della Licia, provenienti dall'intera regione dell'Asia Minore.\n\nCombattimento contro Tlepolemo.\nNel bel mezzo della battaglia, quando Pandaro venne ucciso ed Enea fu colpito gravemente da Diomede, Sarpedonte avanzò verso Ettore e lo rimproverò aspramente per il suo comportamento privo di ferocia e foga nei confronti dei nemici; le sue parole provocatorie irritarono particolarmente l'eroe troiano, il quale tornò in battaglia e continuò a fare vittime. Ad un certo punto Tlepolemo, il valoroso guerriero acheo, figlio di Eracle, quasi spinto dalla Moira, si apprestò a raggiungere Sarpedonte e lo oltraggiò, criticandolo per la sua vigliaccheria e il timore della battaglia.\n\nFurente, Sarpedonte replicò duramente in risposta. Poi scagliò l'asta di frassino contro di lui, nello stesso momento in cui Tlepolemo ricambiava il colpo. Sarpedonte colse il nemico in pieno collo, coprendogli gli occhi con la morte tenebrosa; l'asta scagliata da Tlepolemo non fu comunque vana, ma colpì l'avversario alla coscia, penetrando fino all'osso, tanto che la Moira passò davanti al giovane eroe, ma venne subito allontanata dal padre Zeus, che molto teneva alla vita del figlio.\nQuando i compagni di Sarpedonte videro il loro comandante caduto e ferito gravemente, accorsero e lo condussero fuori dalla battaglia per farlo riprendere.\nSarpedonte, accortosi ben presto che molti dei suoi uomini cadevano uccisi per mano di Ulisse, invocò Ettore, chiedendo al colmo delle lacrime il suo aiuto; ma l'eroe troiano rifiutò duramente, scavalcando il suo corpo e procedendo nei combattimenti. Ben presto il capo licio venne portato in salvo dai compagni e disteso sotto la sacra quercia del padre; qui, il fedele amico Pelagonte gli trasse fuori l'arma e, grazie al soffio di Borea, egli poté riacquistare i sensi.\nPartecipò allo scontro presso le navi, dove brillò per coraggio ed eroicità. Protetto dal padre Zeus, incitò i guerrieri lici a superare le mura di cinta greche e uccidendo il guerriero greco Alcmaone, figlio di Testore, mentre cercava di fermarlo ad ogni costo. Infine riuscì addirittura a respingere, senza uccidere, Aiace Telamonio e suo fratello Teucro e ad uccidere Euripilo trafiggendolo a morte. Insieme agli altri comandanti troiani portò soccorso ad Ettore ferito a causa di un macigno.\n\nContro l'accampamento acheo.\nNonostante i presagi e le condizioni fossero perlopiù sfavorevoli ai Troiani, Ettore contò solo sul suo valore in battaglia e sulla paura che incuteva nei nemici e stabilì di attaccare direttamente l'accampamento acheo, per giungere sino alle loro navi. Il suo consigliere Polidamante lo convinse ad essere più cauto nelle sue mosse, invitandolo a dividere in gruppi l'esercito e a posizionarne ciascuno di fronte alle varie porte della muraglia.\nL'eroe troiano ascoltò il saggio consiglio dell'amico e impartì a ciascun capitano troiano l'ordine di organizzare un proprio gruppo.\n\nLa morte.\nAffrontò Patroclo, che indossava le armi d'Achille, ma riuscì soltanto a uccidere Pedaso (l'unico cavallo mortale del Pelide) e finendo però egli stesso trafitto dalla lancia dell'eroe greco. Quando i greci iniziarono ad infierire sul corpo senza vita, intervenne Zeus che inviò Ipno (il Sonno) e Tanato (la Morte), i quali lo portarono in Licia dove ricevette gli onori funebri, come era stato stabilito dagli dei.\n\nApprofondimenti.\nGuerrieri lici giunti a Troia.\nL'elenco seguente nomina i più importanti guerrieri lici che accompagnarono Sarpedonte alla guerra di Troia.\n\nAgide, che si aggregò ad Enea dopo la caduta di Troia, morendo nella guerra italica (Virgilio, Eneide, libro X).\nAlastore, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 677).\nAlcandro, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 678).\nAlio, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 678).\nAntifate, figlio illegittimo di Sarpedonte, unitosi ad Enea dopo la caduta di Troia; ucciso da Turno nella guerra italica (Virgilio, Eneide, libro IX).\nAtimnio, ucciso da Antiloco (Omero, Iliade, libro XVI, versi).\nClaro, fratellastro di Sarpedonte, unitosi ad Enea dopo la caduta di Troia; ucciso da Turno nella guerra italica (Virgilio, Eneide, libri X, XII).\nCerano, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 677).\nCromio, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 677).\nEpicle, ucciso da Aiace Telamonio (Omero, Iliade, libro XII, versi 378-386).\nGlauco, cugino di Sarpedonte.\nMaride, ucciso da Trasimede (Omero, Iliade, libro XVI).\nMenete, ucciso da Achille (Ovidio, Metamorfosi, libro XII).\nNoemone, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 678).\nOronte, che divenne capo militare delle truppe licie dopo le uccisioni di Sarpedonte e Glauco; unitosi a Enea dopo la caduta di Troia, morì nel naufragio della sua nave (Virgilio, Eneide, libri I e VI).\nPelagonte, intimo amico di Sarpedonte (Omero, Iliade, libro V, versi 695-696).\nPritani, ucciso da Odisseo (Omero, Iliade, libro V, verso 678).\nScilaceo, ferito da Aiace d'Oileo (Quinto Smirneo, Posthomerica, libro X, versi 147 ss.).\nTemone, fratellastro di Sarpedonte, unitosi ad Enea dopo la caduta di Troia e ucciso da Turno nella guerra italica (Virgilio, Eneide, libri X, XII).\nTrasidemo, scudiero e auriga di Sarpedonte, ucciso da Patroclo (Omero, Iliade, libro XVI, versi 463-465).Atimnio e Maride erano i due giovani figli di Amisodaro, il custode della Chimera, che era stata uccisa da Bellerofonte, avo di Sarpedone.\n\nVittime di Sarpedonte.\nL'elenco seguente fa menzione dei guerrieri achei che Sarpedonte uccise lottando contro gli Achei: secondo Gaio Giulio Igino, egli uccise due guerrieri, ma le versioni riguardo a ciò sono piuttosto contrastanti.\n\nAntifo, capitano acheo, figlio di Tessalo e nipote di Eracle, fratello di Fidippo (Igino, Fabula, 113).\nTlepolemo, figlio di Eracle, rifugiatosi a Rodi dopo aver commesso un delitto involontario (Omero, Iliade, libro V, versi 655-659).\nAlcmaone, guerriero acheo, figlio di Testore (Omero, Iliade, libro XII, versi 393-396).\nFere, figlio di Admeto, valoroso guerriero acheo (Darete il Frigio, 26).\nPedaso, non si tratta di un guerriero nemico ma dell'unico cavallo mortale di Achille, a differenza di Balio e Xanto, cavalli immortali. Sarpedonte uccise l'equino (credendo che Patroclo fosse Achille, poiché aveva indosso le sue armi), finendo però egli stesso trafitto dalla lancia dell'eroe (Omero, Iliade, libro XVI, versi 466-469).\n\nCulto.\nNella Licia il suo nome era oggetto di culto eroico, a suo nome furono fondate diverse città del tempo a conferma dell'importanza che avesse il suo nome (o quello degli omonimi).\n\nSarpedonte nell'Eneide.\nVirgilio ricorda varie volte Sarpedonte nell'Eneide: nel libro I Enea, evocando i grandi morti di Troia, lo definisce 'grande' (ingens, v.100); nel IX libro è descritta la morte del figlio illegittimo Antifate, ucciso da Turno nel corso della guerra tra troiani e italici (v. 697); nel X libro, Giove rievoca con commozione ad Alcide (Ercole) la morte del proprio figlio Sarpedonte Troiae sub moenibus altis, come altri figli di dèi (vv. 469-471); nel XII, Turno uccide in combattimento anche i due fratellastri del re licio, Claro e Temone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Satiro versante.\n### Descrizione: Il Satiro versante era una statua bronzea, capolavoro giovanile dello scultore greco Prassitele (Atene, 400/395 a.C. – 326 a.C.), oggi perduta e nota attraverso copie.\n\nDescrizione.\nSi tratta della prima opera nota dello scultore, considerato il maggiore dei maestri del periodo tardo classico della scultura greca, databile attorno al 370 a.C. Secondo la testimonianza di Pausania, l'originale si trovava sulla via dei Tripodi ad Atene.\nOggi è noto grazie ad un cospicuo numero di copie romane in quanto, come tutte le opere di Prassitele, godette grande fama nella Roma antica. Fra le copie meglio conservate, vi è innanzitutto quella oggi conservata presso il Museo archeologico regionale Antonio Salinas di Palermo, proveniente dalla Villa romana di Sora a Torre del Greco, rinvenuta durante gli scavi del periodo borbonico. Altre copie notevoli si trovano presso l'Altes museum di Berlino, l'Albertinum di Dresda, il museo di Palazzo Altemps a Roma, il Louvre, il British Museum e il Walters Art Museum di Baltimore.\nLa statua raffigura un satiro, distinguibile grazie alle orecchie a punta, unico particolare che lo distingue da un efebo. La figura è rappresentata con il braccio destro sollevato nell'atto di versare il vino da un'oinochoe nella sottostante kylix, retta dalla mano sinistra abbassata. La testa è inclinata in avanti, mentre i capelli sono tenuti da una tenia e intrecciati con un tralcio di edere con corimbi.\nPur essendo un'opera giovanile, mostra già le caratteristiche che resero famoso Prassitele, quali il modellato finissimo che restituisce la morbidezza delle carni, l'atteggiamento e l'espressione meditativa e trasognata della figura, la delicatezza dei passaggi chiaroscurali sul corpo del giovane, in questo caso un adolescente molto distante dai giovani dalla muscolatura scolpita tipica delle sculture della precedente generazione di Fidia e Policleto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Satnio.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Satnio era un giovane semidio troiano, figlio di Enope, il quale prese parte alla guerra di Troia per combattere gli Achei. Il conflitto ebbe origine dal rapimento di Elena, regina spartana, figlia di Zeus, da parte del principe troiano Paride; Menelao, re di Sparta e marito della giovane, infatti, si vendicò di tale oltraggio riunendo un considerevole esercito e dichiarando guerra alla città asiatica. I momenti cruciali di questa guerra sono raccontati da Omero nell'Iliade.\n\nIl mito.\nOrigini e nascita.\nSatnio aveva origini semidivine, dato che suo padre, un pastore di buoi chiamato Enope aveva avuto una relazione amorosa con una Naiade, di cui non si sa il nome. Enope infatti, mentre era intento al suo lavoro sulle rive del Satnioento, un fiume della Troade, aveva intravisto la ninfa che, come racconta Omero, era di una straordinaria avvenenza. Innamoratosene, Enope non pensò ad altro che a stuprarla sul posto, cosicché la ninfa si ritrovò dopo alcuni mesi incinta di Satnio.\n\nLa morte in guerra.\nScoppiata la guerra che oppose per ben dieci anni Troiani e Achei, Satnio decise di prendervi parte, intenzionato a difendere la sua patria. Nel corso dei combattimenti nel decimo anno di guerra, il giovane venne preso di mira dal veloce e crudele Aiace d'Oileo, il quale aveva deciso di approfittare della mancanza di Ettore, capitano troiano, ferito dal grande Aiace, per seminare strage nelle file troiane. Il figlio di Oileo balzò dunque contro di loro e trafisse per primo Satnio, al fianco, con la sua lancia. Colpito mortalmente, il giovane guerriero cadde a terra.\n\nAlla vista del compagno morto, Polidamante, capitano troiano, si vendicò a sua volta trafiggendo con la sua asta Protoenore, un capo acheo, proveniente dalla Beozia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Scamandro (divinità).\n### Descrizione: Scamandro (in greco antico: Σκάμανδρος?, Skámandros) o Xanto è un personaggio della mitologia greca.\nSecondo Esiodo, è figlio di Oceano e Teti. mentre secondo altri sarebbe figlio di Zeus e padre di Teucro (la quale madre sarebbe la ninfa Idea).\nScamandro è riconosciuto anche come padre di Glaucia che a sua volta ebbe da Dimaco (uno degli amici di Eracle) un bambino a cui fu dato lo stesso nome del nonno (Scamandro).\n\nMitologia.\nSuo padre gli diede l'onore di festeggiare le giovani donne che in seguito al matrimonio andavano a bagnarsi nelle sue acque ed appena uscite dall'acqua, Scamandro usciva dal suo letto e le accompagnava nel suo palazzo.\nDurante la guerra di Troia, quando Patroclo viene ucciso da una lancia scagliata da Ettore, Achille, furioso, fa strage dei troiani e dei loro alleati; non essendo riuscito ad uccidere Ettore si rivolge contro i nemici superstiti che cercano di rifugiarsi sulla sponda opposta del fiume Scamandro. Achille si getta nel fiume inseguendo e falciando i fuggiaschi, riempiendo l'acqua di cadaveri, armi e scudi.\nIl dio Scamandro, sdegnato per la carneficina, scaglia le sue acque contro di lui ed Achille, appesantito dall'armatura, rischia di annegare e viene salvato dall'intervento di Efesto che prosciuga le acque del fiume con una tremenda pioggia di fuoco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Scamandro.\n### Descrizione: Lo Scamandro è un fiume situato presso la città di Troia e menzionato nei poemi omerici. Chiamato anche Xanto, il fiume è identificato con l'attuale fiume Karamenderes, a sud della collina di Hissarlik, sebbene il suo corso odierno sia più arretrato rispetto a quello dello Scamandro omerico.\nA questo fiume e al dio fluviale della mitologia greca Scamandro è dedicato il XXI canto dell'Iliade: il fiume si scaglia contro Achille, adirato per i molti corpi di giovani peoni gettati dall'eroe acheo tra le sue acque, ma viene fermato da Efesto con una pioggia di fuoco.\nEttore volle dare al suo unico figlio il nome del fiume: il bimbo si chiamò dunque Scamandrio, ma ebbe anche un altro nome, Astianatte. Sempre nell'Iliade viene narrata la morte in battaglia di Ipsenore, guerriero troiano che era anche il giovane sacerdote preposto al culto del dio fiume: a ucciderlo fu Euripilo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sciapode.\n### Descrizione: Gli sciapodi (σκιάποδες — dal greco σκιά 'ombra' e ποὑς 'piede') o monopodi sono esseri mitologici dotati di una sola gamba e di un solo enorme piede, che si supponeva abitassero l'India.\nCon questo termine s'indicavano in epoca greca (ad esempio in Alcmane, ma anche in Erodoto) alcuni leggendari abitanti dell'India caratterizzati da un solo enorme piede, col quale all'occorrenza essi si sarebbero fatti ombra.\n\nStoria.\nI monopodi compaiono nella commedia di Aristofane Gli uccelli, come vicini di casa di Socrate, eseguita per la prima volta nel 414 a.C.\nSono menzionati da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, un trattato naturalistico, in cui attribuisce a Ctesia la loro prima descrizione nel suo libro Indika (India), un resoconto basato sulle storie portate in Persia dai commercianti che percorsero la via della seta da Seri. Plinio li descrive in questo modo:.\n\nFilostrato cita i monopodi nella Vita di Apollonio di Tiana, e crede che vivano in India e in Etiopia e chiede al saggio indiano Iarchas della loro esistenza.\nSant'Agostino (354–430) li menziona nel sedicesimo libro della città di Dio, e afferma che non è sicuro dell'esistenza di tali creature.\nIn epoca medievale di essi si parla nei vari libri di storia, di geografia antropica o di zoologia e nei bestiari, particolarmente ricchi di esseri mostruosi e comunque straordinari che avrebbero abitato zone poco conosciute della Terra. Come, ad esempio:.\n\nLa Mappa di Hereford, disegnata tra il 1276 e il 1283, mostra uno sciapode su un lato del mondo, così come nella mappa del mondo disegnata da Beato di Liébana.\n\nNella cultura di massa.\nNella saga di Erik il Rosso, il gruppo di Thorvald Eriksson viene attaccato da un uomo con un piede solo.\nDegli Sciapodi compaiono anche nel libro di C. S. Lewis, Il viaggio del veliero.\nUmberto Eco, conoscitore delle letterature medievali, cita sciapodi, blemmi, panozi ed altre creature fantastiche nei romanzi Baudolino e Il nome della rosa." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Scilaceo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Scilaceo fu un guerriero della Licia, nel contingente di Glauco, giunto a Troia per difendere la città dall'assedio dei Greci.\nFu uno dei pochi Lici che sopravvissero alla caduta di Troia, benché fosse rimasto gravemente ferito da Aiace d'Oileo; ma mentre gli altri preferirono aggregarsi a Enea, egli decise di tornare in patria.\nAl suo ritorno dovette annunciare alle donne la terribile sciagura avvenuta, cioè che quasi tutti i loro congiunti erano morti o rimasti dispersi durante le battaglie.\nLe donne, avendo nel frattempo appreso che Scilaceo a Troia non aveva combattuto valorosamente, disperate e arrabbiate lo uccisero lapidandolo senza pietà nei pressi del santuario del culto eroico di Bellerofonte." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Scilla (mostro).\n### Descrizione: Scilla (in greco antico: Σκύλλα?, Skýlla) è un mostro marino della mitologia greca.\nSecondo la versione più comune, Scilla è figlia delle divinità marine Forco e Ceto. Secondo la tradizione riportata dall'Odissea, invece, sua madre è la ninfa Crateide. Altre leggende la dicono nata da Forbate e da Ecate, oppure da quest'ultima e Forco. La si considerava anche figlia di Tifone ed Echidna, oppure di Zeus e di Lamia, a sua volta figlia di Poseidone.\nScilla viene descritta da Omero nell'Odissea, XII, 112, da Ovidio nei libri XIII-XIV delle Metamorfosi e da Virgilio nell'Eneide, III.\n\nMito.\nSecondo i commenti di Servio e di Giovanni Tzetzes all'Eneide Scilla era una bellissima naiade rivendicata da Poseidone, ma la gelosa nereide Anfitrite, sposa del dio del mare, la trasformò in un terribile mostro versando una pozione nello specchio d'acqua dove Scilla era solita fare il bagno. Sempre Giovanni Tzetzes, così come fa anche Eustazio, registra un mito tardo greco nel quale Eracle uccise Scilla dopo averla incontrata durante un viaggio. Così suo padre Forco pose sul suo corpo delle torce fiammeggianti che la riportarono in vita.\nSecondo quanto raccontato da Igino e Ovidio, all'inizio Scilla era una ninfa dagli occhi azzurri, che viveva in Calabria ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno nell'acqua del mare. Una sera, vicino alla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, che un tempo era stato un mortale, ma oramai era un dio marino metà uomo e metà pesce. Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia. Il dio, vista la reazione della ninfa, iniziò ad esclamare il suo amore, ma Scilla fuggì lasciandolo solo nel suo dolore.\nAllora Glauco si recò dalla maga Circe e le chiese un filtro d'amore per far innamorare la ninfa di lui, ma Circe, desiderando il dio per sé, gli propose di unirsi a lei. Glauco si rifiutò di tradire il suo amore per Scilla e Circe, furiosa per essere stata respinta al posto di una ninfa, volle vendicarsi. Quando Glauco se ne fu andato, preparò una pozione malefica e si recò presso la spiaggia di Zancle, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora.\nQuando Scilla arrivò e s'immerse in acqua per fare un bagno, vide crescere molte altre gambe di forma serpentina accanto alle sue, che nel frattempo erano diventate uguali alle altre. Spaventata fuggì dall'acqua, ma, specchiandosi in essa, si accorse che si era completamente trasformata in un mostro enorme ed altissimo con sei enormi teste di cane lungo il girovita, un busto enorme e delle gambe serpentine lunghissime. Secondo alcuni dalla vita in su manteneva il corpo di una vergine, mentre per altri possedeva sei teste serpentine altrettanto mostruose. Per l'orrore Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio vicino alla grotta dove abitava anche Cariddi.\nNel XII libro dell'Odissea di Omero, Circe consiglia a Ulisse di navigare più vicino a Scilla, perché Cariddi potrebbe affondare l'intera nave, suggerendogli anche di chiedere a Crateide, madre di Scilla, di impedire alla figlia di balzare sulle navi più di una volta. Ulisse naviga con successo nello stretto, ma quando lui e il suo equipaggio vengono momentaneamente distratti da Cariddi, Scilla cattura sei marinai e li divora vivi.\n\nCultura di massa.\nNel videogioco Age of Mythology Scilla appare come unità mitica dei greci ed è la controparte acquatica dell'idra: entrambi i mostri hanno in comune l'abilità di acquisire più teste ogni volta che uccidono unità nemiche.\nIn God of War: Ghost of Sparta è il primo boss e si presenta come un mostruoso squalo corazzato con tentacoli sul torace.\nAppare in C'era una volta... Pollon.\nIo di Scilla, uno dei sette Generali degli abissi del manga dell'anime e manga I Cavalieri dello zodiaco, indossa un'armatura ispirata a Scilla.\nNella serie TV Prison Break, Scilla è il progetto della compagnia nella quale si incentra tutta la quarta stagione. È un progetto di livello mondiale ed è rappresentata da 6 schede.\nIn Castlevania: Symphony of the Night, titolo per PSX della Konami che riprende molte figure mitologiche e della narrativa, Scilla è uno dei boss del gioco, al termine di uno stage percorrendo il quale si deve evitare di rimanere sommersi dall'acqua che sale e scende. Il suo aspetto è quello di una donna fino al busto e, al di sotto, un groviglio di enormi serpenti e cani feroci.\nNel MOBA Smite Scilla (col nome di Scylla dato che il gioco è interamente in inglese) appare, ma è rappresentata come una bambina e non come una ninfa, i suoi poteri tuttavia derivano dalle teste di cane attaccate al suo corpo tramite un collo serpentino, proprio come racconta il mito.\nIn Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Il mare dei mostri. Nel film viene solo menzionata, mentre nel romanzo ghermisce alcuni dei soldati-zombie della nave di Clarisse mentre lei, Percy ed Annabeth stanno attraversando lo Stretto.\nIn Godzilla II - King of the Monsters e in Godzilla x Kong: The New Empire appare un mostro di nome Scylla, ispirato in parte alla creatura mitologica (nei film Scylla si presenta come una ammonite con le zampe da granchio).\nin Circe di Madeline Miller, possiamo trovare la storia di come la maga abbia trasformato l'aitante ninfa nel mostro mitologico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Scrittoio di Enrico VIII.\n### Descrizione: Lo scrittoio di Enrico VIII è uno scrittoio portatile, realizzato tra il 1525 e il 1526 per Enrico VIII d'Inghilterra. È esposto al Victoria and Albert Museum di Londra.\nLa scrivania è un prodotto delle officine reali ed è sontuosamente decorata con motivi ornamentali introdotti nel Regno d'Inghilterra da artisti continentali. La fodera di cuoio dorata è dipinta con figure e teste di profilo che sono vicine alle contemporanee miniature, mentre la figura di Marte in armatura e di Venere con Cupido sono tratte dalle xilografie dell'artista tedesco Hans Burgkmair (1473-1531), pubblicate nel 1510.\nLo scrittoio, inoltre, reca lo stemma e i distintivi personali di Enrico e della sua prima regina Caterina d'Aragona. Tali messaggi trasmettevano forti messaggi di fedeltà ed erano ampiamente utilizzate negli schemi decorativi dei palazzi reali di Enrico VIII. L'iscrizione latina sul coperchio interno recita 'Il grande Protettore dell'autorità della Chiesa Cristiana, il Dio dei Regni, dà al tuo servitore Enrico VIII Re d'Inghilterra una grande vittoria sui suoi nemici'.\nLa parte esterna dello scrittoio è coperta con della pelle di zigrino e munito di supporti angolari in metallo dorato, manici ad anello e piedi rotondi, tutti aggiunti nel corso del XVIII secolo. Le superfici interne dei cassetti sono rivestite con velluto in seta rossa, probabilmente aggiunto nel XIX secolo. Il piano di scrittura e lo scomparto maggiore sono stati rivestiti in modo molto approssimativo con velluto in seta cremisi, il cui aspetto è considerevolmente più antico rispetto al velluto rosso." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Scrofa di Crommio.\n### Descrizione: La scrofa crommionia, o di Crommio, chiamata Fea (in greco antico: Φαια?, Phaia) dal nome della vecchia che la allevò, è una creatura leggendaria della mitologia greca. Si trattava di un ferocissimo maiale, che si diceva discendesse da Tifone ed Echidna. Ebbe come figlio da un normale cinghiale, il Cinghiale calidonio. Altre dicono che lo abbia avuto dal cinghiale di Erimanto.\n\nStoria.\nLa creatura, che aveva già ammazzato molti uomini, fu affrontata da Teseo e uccisa con un colpo di spada.\nApollodoro riporta che la scrofa era detta essere figlia di Tifone ed Echidna.\nStrabone riporta che era detta essere madre del cinghiale calidonio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Scudo di Achille.\n### Descrizione: Lo scudo di Achille è lo scudo, utilizzato dall'eroe greco Achille per vendicare il compagno Patroclo uccidendo l'eroe troiano Ettore, descritto in un celebre passaggio del libro XVIII (versi 478-608) dell'Iliade.\nIl passaggio nel quale Omero descrive lo scudo è uno dei primi esempi di ekphrasis (lett. descrizione di un'opera d'arte figurativa) della letteratura occidentale e funse da modello di riferimento per altri autori: gli esempi più famosi di contaminatio omerica sono il poema Lo scudo di Eracle (Ἀσπὶς Ἡρακλέους - Aspìs Hēraklèūs), attribuito ad Esiodo, e la descrizione dello scudo di Enea nel libro VIII dell'Eneide di Virgilio.\nNel 1952, il poeta britannico Wystan Hugh Auden riscrisse, in chiave moderna, la descrizione dello scudo nel poema The Shield of Achilles (ital. 'Lo scudo di Achille').\n\nIl contesto mitologico.\nPerdute le sue armi dopo averle prestate a Patroclo, eroe ucciso da Ettore (grazie all'aiuto di altre due divinità), Achille è impossibilitato a vendicare la morte dell'amico. La madre Teti intercede per lui presso il dio del fuoco Efesto, affinché possa forgiare delle nuove armi per l'eroe. Il dio-fabbro riempie così il suo crogiuolo di rame e stagno (componenti del bronzo) frammisti ad oro e argento, realizzando una nuova, sontuosa panoplia per l'eroe. Tra i manufatti, spicca un grande scudo, del quale Omero fornisce un'accuratissima descrizione:.\n\nDescrizione.\nI soggetti secondo la descrizione omerica sono:.\nla terra, il cielo ed il mare, il sole, la luna e le costellazioni (483-489);.\n«due belle città di creature mortali», una scena di nozze ed un processo, un assedio e la battaglia che ne segue (490-540);.\nun campo arato per la terza volta (541-549);.\nla tenuta del re, dove vengono raccolte le messi (550-560);.\nun vigneto con dei raccoglitori di grappoli (561-572);.\nuna mandria di giovenche, attaccata da due leoni (573-586);.\nun bianco gregge di pecore al pascolo (587-589);.\nuna danza di giovani (590-606);.\nil gran fiume di Oceano (607-608)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Segugio infernale.\n### Descrizione: Il segugio infernale o cane infernale (in inglese, Hellhound) è una creatura leggendaria presente nelle mitologie di tutto il mondo. Sono esseri dalle fattezze canine, descritti come guardiani o servitori dell'inferno, del diavolo o degli inferi. Le caratteristiche fisiche specifiche variano da cultura a cultura, ma spesso includono il colore nero, il pelo innaturalmente folto, la forza sovrannaturale e gli occhi rossi o fiammeggianti. Tra gli esempi più noti di segugio infernale si possono senz'altro citare Cerbero, il cane di Ade nella mitologia greca, e Garmr, guardiano degli inferi nella mitologia norrena.\n\nNel mondo.\nEuropa.\nBelgio.\nOude Rode Ogen ('Vecchi Occhi Rossi'), conosciuto anche come Bestia delle Fiandre, era un demone che si credeva si aggirasse nelle Fiandre e in Belgio nel XVIII secolo. Secondo la leggenda era in grado di assumere la forma di un grande segugio nero dagli occhi rossi come fuoco. In Vallonia i racconti popolari menzionano poi il Tchén al tchinne (in vallone, 'Segugio incatenato'), un segugio infernale legato a una lunga catena, che si dice si aggiri per i campi durante la notte.\n\nCatalogna.\nNei miti catalani il Dip è un segugio malvagio, nero e irsuto, un emissario del diavolo che si nutre di sangue umano e che, come altri esseri demoniaci del folklore della Catalogna, è zoppo. La creatura è raffigurata sullo stemma del comune catalano di Pratdip.\n\nFrancia.\nNella Francia dell'856 d.C. si raccontava di un cane nero che si era materializzato all'interno di una chiesa le cui porte erano chiuse. Secondo il racconto, l'edificio si fece buio mentre il segugio setacciava la navata, come per cercare qualcuno, per poi scomparire improvvisamente. In Normandia si racconta invece di come uno spirito chiamato Rongeur d'Os (rosicchiatore d'ossa) vaghi per le strade di Bayeux nelle notti d'inverno assumendo la forma di un cane fantasma, masticando ossa e trascinandosi dietro delle catene. Nella Bassa Bretagna vi sono infine racconti che narrano di una nave fantasma il cui equipaggio è composto da anime di criminali, sorvegliati e torturati da diversi segugi infernali.\n\nGermania.\nIn Germania era credenza che il diavolo stesso potesse apparire sotto forma di segugio nero, soprattutto in occasione della Notte di Valpurga.\n\nGrecia.\nNella mitologia greca Cerbero è un cane policefalo, il cui compito è quello di sorvegliare le anime degli inferi e di impedire loro la fuga. Figlio dei mostri Tifone ed Echidna, è il segugio del dio Ade e viene spesso descritto come dotato di tre teste e di un serpente come coda. Numerosi serpenti emergono inoltre da diverse parti del suo corpo.\n\nRegno Unito.\nGalles.\nIl gwyllgi (termine composto da gwyllt, selvaggio o gwyll, crepuscolo e ci, cane) è un cane nero della mitologia gallese che ha l'aspetto di un mastino inglese dal fiato minaccioso e dagli occhi rosso fuoco.\n\nCŵn Annwn.\nNella mitologia gallese i Cŵn Annwn erano i cani spettrali dell'Annwn, l'aldilà. Erano associati a una forma della caccia selvaggia, presieduta da Gwynn ap Nudd. I cristiani soprannominarono queste mitiche creature come 'Segugi dell'Inferno' o 'Cani dell'Inferno' teorizzando quindi che fossero proprietà di Satana. Tuttavia, l'Annwn della tradizione gallese medievale non è una sorta di Inferno o di dimora per le anime dei defunti, bensì un vero e proprio paradiso ultraterreno.\nIn Galles, erano poi associati alle migrazioni delle oche, presumibilmente per via del loro verso udito durante la notte, che ricorda quello dei cani. Si diceva andassero a caccia in specifiche notti (le vigilie di San Giovanni, San Martino, San Michele Arcangelo, Ognissanti, Natale, Capodanno, Sant'Agnese, San Davide di Menevia e il Venerdì Santo), oppure, più semplicemente, in autunno e inverno. Il Cŵn Annwn venne anche considerato come scorta delle anime nel loro viaggio verso l'aldilà. Questi segugi sono talvolta accompagnati da una temibile megera di nome Malt-y-Nos, ossia 'Matilda della notte'. Un altro nome per queste creature è Cŵn Mamau,'Segugi delle madri'.\n\nInghilterra.\nIl mito è diffuso in tutta la Gran Bretagna nella forma dei cosiddetti cani neri del folklore inglese. Il primo riferimento scritto agli hellhound si trova nella versione di Peterborough della Cronaca anglosassone, risalente all'XI-XII secolo.\n\nScandinavia.\nNella mitologia norrena, Garmr o Garm (termine che in antico norvegese significa straccio) è un lupo o un cane associato sia alla dea degli inferi Hel che al Ragnarök. Viene descritto come un guardiano macchiato di sangue che sorveglia il cancello di Hel, il regno degli inferi.\n\nTerre ceche.\nSi riportano numerosi avvistamenti di segugi infernali in tutte le terre ceche.\n\nAmerica.\nAmerica Latina.\nSi racconta di segugi infernali neri dagli occhi infuocati in tutta l'America Latina, dal Messico all'Argentina. Queste creature vengono chiamate in vari modi, che includono Perro Negro (in spagnolo,'cane nero'), Nahual, Huay Chivo e Huay Pek(Messico), Cadejo (America Centrale), il cane fa (Argentina) e il Luison (Paraguay e Argentina). Si dice siano incarnazioni del Diavolo o, alternativamente, stregoni in grado di cambiare forma.\n\nStati Uniti.\nUna leggenda relativa a un segugio infernale persiste a Meriden, nel Connecticut, fin dal XIX secolo. Si racconta di come il cane infesti le Hanging Hills, una popolare area ricreativa che consiste in un sistema di creste rocciose e gole. Il primo resoconto non proveniente da un locale è arrivato da W.H.C. Pychon, che nella rivista The Connecticut Quarterly lo descrive come un presagio di morte. Si dice che incontrare questo cane nero per la prima volta porterà gioia, la seconda dolore, la terza morte.Il termine hellhound appare spesso anche nella musica blues americana, ad esempio nella canzone di Robert Johnson del 1937, 'Hellhound on My Trail'.\n\nAsia.\nArabia.\nIn Arabia si crede che i Jinn, entità non necessariamente malvagie ma spesso considerate tali, si servano di cani neri come destrieri. La rappresentazione negativa dei cani si deve probabilmente alla loro abitudine di masticare ossa (associata al 'mangiare i morti') e disseppellire tombe. Si dice anche che gli stessi jinn vaghino per i cimiteri nutrendosi di cadaveri, caratteristica che rende tale relazione ancora più stretta.\n\nIndia.\nIl Mahākanha Jātaka del canone buddista Pali contiene un racconto riguardo ad un segugio nero, chiamato con il nome di Mahākanha (in lingua pāli, 'grande nero'). Guidato dal dio Śakra sotto le spoglie di un abitante delle foreste, Mahākanha spaventa i malvagi, spingendoli verso la rettitudine in modo che meno persone rinascano all'inferno.\nLa sua apparizione è sintomo della degenerazione morale del mondo umano, quando monaci e monache non si comportano correttamente e l'umanità è corrotta e malvagia.\n\nNella cultura di massa.\nLetteratura.\nNel Faust di Goethe, il diavolo Mefistofele appare per la prima volta al protagonista sotto forma di un barboncino nero che lo segue fino a casa attraverso un campo.\nNe Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle, il mastino ha caratteristiche assimilabili a quelle di alcune descrizioni dei segugi infernali.\nNel romanzo di Thomas Mann del 1947 Doctor Faustus, l'eroe faustiano Adrian Leverkuhn possiede due segugi, Suso e Kaschperl, entrambi segugi infernali inviati da Mefistofele.\nNel romanzo fantasy di Piers Anthony On A Pale Horse, Satana manda dei segugi infernali ad attaccare Zane (la Morte) e riportarlo all'inferno. I cani sono immortali ma vengono eliminati dalla magica falce della Morte.\nI segugi infernali sono gli animali domestici delle arpie nella serie The Black Jewels di Anne Bishop. I segugi infernali (chiamati Shadow Hounds, segugi d'ombra) appaiono anche nella trilogia di Tir Alainn della medesima autrice.\nNe Le streghe di Roald Dahl, i barghest sono creature demoniache che appaiono insieme alle streghe. Questi non vengono mai descritti nel romanzo, ma potrebbero essere visti come cani.\nI segugi infernali sono presenti nella serie Merry Gentry di Laurell K. Hamilton.\nNel libro di Anthony Horowitz Raven's Gate, il protagonista, Matt, viene inseguito nella foresta da canidi demoniaci, dopo essere stato scoperto mentre origliava un rituale.\nCon il nome di Segugi neri (Darkhound nell'originale) compaiono più volte nella serie di libri fantasy di Robert Jordan, La ruota del tempo.\nGli Hellhound appaiono nel romanzo fantasy new wave di Roger Zelazny Nine Princes in Amber (1970).\nNel romanzo Buona Apocalisse a tutti! di Neil Gaiman e Terry Pratchett Adam (l'Anticristo) riceve un compagno segugio infernale che chiama semplicemente 'Cane'.\n\nCinema.\nNella webserie Helluva Boss, una dei protagonisti è una segugia infernale.\nDue segugi infernali di nome Zuul e Vinz sono elementi fondamentali della trama nel film Ghostbusters (1984), nel quale sono i tirapiedi dell'antica entità Gozer.\nUn cane infernale di nome Sammael è uno dei principali antagonisti del primo film di Hellboy.\nI segugi infernali appaiono nel film Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Il ladro di fulmini, come animali domestici di Persefone e Ade.\nUn cane infernale di nome Thorn è il guardiano del vampiro Max in Ragazzi perduti.\nI segugi appaiono anche nel film d'animazione di Don Bluth Charlie - Anche i cani vanno in paradiso. In un incubo, Charlie finisce all'inferno e incontra una bestia chiamata Hellhound, che lo umilia insieme ai suoi tirapiedi.\nNella fiction televisiva fantasy horror Maneater I segugi infernali appaiono come animali domestici di Ade.\nNei film Predators e The Predator, i segugi infernali sono i cani extraterrestri degli alieni Yautja.\n\nTelevisione.\nI segugi infernali appaiono nello show televisivo Supernatural, ad esempio nell'episodio della quinta stagione Lasciate ogni speranza....\nL'episodio 13 di Lost Tapes stagione 1, parla di cani infernali e del fatto che chi ne vede uno per tre volte è destinato a morire.\nI cani infernali appaiono nel ventesimo episodio della terza stagione di Buffy l'ammazzavampiri, Il ballo.\nI segugi infernali compaiono anche nella seconda stagione della serie Monsters and Mysteries in America, in cui vengono visti terrorizzare una comunità della California.\nUno dei personaggi della serie di MTV Teen Wolf è un segugio infernale.\nNella serie televisiva The X-Files un segugio infernale riveste un ruolo importante nell'episodio Famiglio (2018). Nell'episodio custodisce i cancelli degli inferi in un cimitero puritano segreto nel Connecticut e attacca diverse vittime.\n\nGiochi.\nIn Call of Duty: World at War, Call of Duty: Black Ops, Call of Duty: Black Ops II, Call of Duty: Black Ops III, Call of Duty: Black Ops IIII e Call of Duty: Black Ops Cold War, nella modalità Zombie, dei segugi infernali infuocati fanno un'apparizione come nemici. Appaiono per la prima volta all'inizio dei round 5, 6 o 7 e ricompaiono ogni 4 o 5 round.\nIn Heroes of Might and Magic III, il segugio infernale è un'unità di 3º livello reclutabile nella città dell'Inferno che può essere potenziata in un Cerbero.\nL'Hellhound è anche una creatura del caos nel gioco Master of Magic.\nIn Neverwinter Nights, il segugio infernale è disponibile come famiglio per maghi e stregoni.\nIn Eye of the Beholder, i segugi infernali appaiono in uno dei livelli più profondi dei dungeon.\nNel videogioco NiGHTS: Journey of Dreams, uno dei boss del sogno di Will si chiama Cerberus ed è, come affermato da Reala, un segugio infernale.\nNella serie Pokémon, i Pokémon Houndour e Houndoom sono ispirati al segugio infernale.\nNel MMORPG RuneScape, i segugi infernali sono una tipologia di demone, ma non sono legati al mondo sotterraneo.\nIl segugio infernale è un boss di The Witcher.\nI segugi infernali appaiono in The Elder Scrolls: Arena.\nI segugi Infernali sono servitori della Legione Infuocata in Warcraft III: Reign of Chaos.\nI cani infernali appaiono in The Elder Scrolls IV: Shivering Isles, un DLC per The Elder Scrolls IV: Oblivion.\nSegugi infernali chiamati Death Hounds (segugi della morte) appaiono in Dawnguard, il primo DLC per The Elder Scrolls V: Skyrim.\nIn War Commander, gioco di strategia in tempo reale su Facebook, Hellhounds è il nome di una fazione canaglia controllata dal computer.\nIn Dungeon Keeper appaiono esseri canini a due teste in grado di sputare fuoco.\nIn Dragon's Dogma, i segugi infernali sputafuoco iniziano ad apparire dopo aver sconfitto il drago.\nIn Ultima Online, i segugi infernali sono un tipo di creatura ostile che appare in alcune aree di dungeon.\nIn Don't Starve gli Hounds, nemici simili a lupi, sono basati sui segugi infernali.\nIn Age of Mythology i segugi infernali sono evocati dal potere divino di Ecate Tartarian, che crea un portale per il Tartaro.\nGli Hellhound appaiono nel MMORPG Anarchy Online, come cani bianchi particolarmente difficili da sconfiggere.\nI segugi infernali appaiono nel MMORPG Wizard101.\nIn Devil May Cry 3, uno dei primi boss è Cerbero.\nIn Fire Emblem: The Sacred Stones vi sono due segugi infernali nemici, Mauthe Dhoog e Gwyllgi.\nNella serie Final Fantasy Cerbero fa un'apparizione come un boss e in alcuni casi può essere evocato per combattere al fianco del giocatore con una mossa speciale. Allo stesso modo, altri segugi infernali fanno a volte la loro comparsa, come Garm di Final Fantasy VI .\nIn Ogre Battle: The March of the Black Queen, il segugio infernale è un mostro che può essere reclutato dai maghi e potenziato in un Cerbero. Quest'ultimo ha tuttavia ancora una sola testa, a causa delle limitazioni degli sprite.\nIn Blood, i segugi infernali sono presenti come nemici regolari a partire dall'episodio 3. Inoltre, Cerbero è presente come il boss dell'episodio 3 e fa apparizioni occasionali in seguito. In particolare, due di essi costituiscono lo scontro finale dell'espansione Cryptic Passage.\n\nDungeons & Dragons.\nNel gioco di ruolo fantasy di Dungeons & Dragons, il segugio infernale è una creatura simile a una iena che caccia in branco, in grado di sputare fuoco. È classificato come un esterno dei Nove Inferi. Il segugio infernale è stato introdotto nel gioco nel suo primo supplemento, Greyhawk, nel 1975.In Dungeons and Dragons, un segugio infernale assomiglia a una creatura rognosa, magra, per certi aspetti demoniaca, dall'aspetto simile a quello di una iena, con occhi rossi e orecchie da drago, con la capacità di sputare fuoco. Tuttavia, la Quarta Edizione li descrive come canidi quasi scheletrici avvolti dalle fiamme. Il segugio infernale adora causare dolore e sofferenza, cacciando di conseguenza. La tattica del branco è quella di circondare silenziosamente la preda, quindi far avvicinare due segugi infernali a spingere la vittima nel soffio infuocato di un terzo segugio. Attaccheranno con i loro artigli e denti, se necessario. Se la preda riesce a sfuggire, i segugi infernali la inseguiranno senza sosta, grazie anche alla loro velocità e agilità. Un altro tipo di segugio infernale è il segugio da guerra Nessian, un mastino nero come carbone grande quanto un cavallo da tiro, spesso protetto da una cotta di maglia. I segugi infernali non possono parlare, ma comprendono l'Infernale, una delle lingue del gioco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sehnsucht (sentimento).\n### Descrizione: Sehnsucht è una parola-chiave dello spirito romantico tedesco, che incarna un concetto tipico della cultura romantica, reso in italiano per lo più con il termine 'struggimento'.Deriva dall'antico alto tedesco Sensuht, nel senso di 'malattia del doloroso bramare' e indica un desiderio interiore rivolto ad una persona o una cosa che si ama o si desidera fortemente.\nQuesto stato d'animo è direttamente collegato al doloroso struggimento che si prova nel non potere raggiungere l'oggetto del desiderio.\nIn alcuni casi specifici, come per le persone che si lasciano consumare dalla Sehnsucht, essa può assumere tratti patologici e psicopatologici, molto simili alle molteplici forme di desiderio di morte, che possono raggiungere un proposito di suicidio.\n\nEtimologia ed uso linguistico.\nNell'uso linguistico in epoca altomedievale, la parola Sehnsucht ha uno stretto rapporto con il dolore, come attestato dalla 'visione' delle persone coinvolte in questo stato d'animo. In seguito, sotto alleviamento del significato patologico, il termine descrive un alto grado di forte e spesso doloroso desiderio verso qualcosa, in particolare laddove non ci sono speranze di raggiungerla o quando tale raggiungimento è ancora molto lontano.La parola Sehnsucht verrà accolta come 'germanismo' in numerose lingue. Proprio a causa della sua indeterminatezza, è infatti difficile trovare vocaboli che esprimano concetti analoghi o equivalenti a quelli legati a questo specifico termine.\n\nDefinizione.\nSecondo Ladislao Mittner, indica l''anelito' verso qualcosa di ancora mai attinto. Può ricordare la nostalgia (Heimweh), ma mentre la nostalgia è il desiderio di riappropriarsi del passato, spesso legato ad oggetti precisi, la Sehnsucht è la ricerca di qualcosa di indefinito nel futuro.\nPiù precisamente, si potrebbe tradurre Sehnsucht con 'desiderio del desiderio': deriva infatti dai termini das Sehnen, il desiderio ardente, e die Sucht, la dipendenza. Letteralmente, quindi, Sehnsucht potrebbe essere tradotto come dipendenza dal desiderio, ovvero il costante anelito che porta l'essere umano a non accontentarsi mai di ciò che raggiunge o possiede, ma lo spinge sempre verso nuovi traguardi. Un concetto affine è quello di malinconia. Heidegger, invece, ne individua un diverso significato, poiché Sucht è da intendere nel suo significato originario come 'dolore' : 'La nostalgia (Sehnsucht) è il dolore della vicinanza del lontano' (Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, in Saggi e discorsi, Mursia, p.71).\nC.S. Lewis descrive la Sehnsucht come 'l'inconsolabile desiderio' nel cuore dell'uomo 'per non si sa che cosa'.\n\nSehnsucht nella mitologia.\nNella mitologia greca è Pothos il Dio della Sehnsucht, che è da ricercarsi nel rapporto tra Eros ed Afrodite. La personificazione dei sentimenti umani, che secondo una spiegazione in chiave psicologica vengono rappresentati dai Miti, è piuttosto chiara nel mito degli androgini, creature con connotati maschili e femminili, dalle quali derivano gli uomini. Gli androgini sono descritti come esseri molto coraggiosi, poiché avevano osato prendere d'assalto l'Olimpo, riuscendo persino a sottomettere Zeus per un certo periodo di tempo. Dopo che Zeus riuscì a scacciarli non volle però annientarli, come fece con i giganti, ma decise di dividerli in due metà: una maschile ed una femminile. Diede ad Apollo il compito di guarire i nuovi esseri nati dalla loro divisione, gli uomini, che dopo la separazione persero la loro forza. Da quel momento furono eternamente legati dall'amore (Eros) e dalla lieve forma di Sehnsucht (Pothos)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Semele.\n### Descrizione: Sèmele (in greco antico: Σεμέλη?, Semèlē) è un personaggio della mitologia greca. Era figlia di Cadmo e di Armonia e amante di Zeus, con cui concepì Dioniso.\nIl culto di Sèmele potrebbe avere origini tracio-frigie ed essere connesso a una divinità ctonia.\n\nMitologia.\nSecondo il mito, Era, gelosa della relazione del suo sposo divino con Semèle, si trasformò in Beroe, nutrice della giovane e la convinse a chiedere a Zeus di apparirle come dio e non come mortale.\nZeus, conscio del pericolo che Semèle correva, tentò di dissuaderla, ma Semèle insistette per vederlo in tutto il suo splendore. Così il dio, che le aveva promesso di accontentare ogni sua richiesta, si trasformò e Semèle morì folgorata dal fulmine.\nZeus riuscì a salvare il bambino che Semèle aveva in grembo e nascose il piccolo Dioniso nella coscia. Diventato immortale grazie al fuoco divino, Dioniso discese nell'Ade e portò la madre sull'Olimpo, dove fu resa immortale con il nome di Tione.\nUn'altra tradizione narra che Semèle fu amata da Atteone, per questo punito da Zeus, che lo fece sbranare dai suoi cani.\n\nGenealogia (Esiodo)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sfinge.\n### Descrizione: La sfinge (in greco antico: σφίγξ) è una figura mitologica raffigurata come un mostro con il corpo di leone e testa umana (androsfinge), di falco (ieracosfinge) o di capra (criosfinge), talvolta dotato di ali.\nSolitamente il ruolo delle sfingi è associato a strutture architettoniche come le tombe surreali o i templi religiosi; secondo alcuni articoli presenti sul web la più antica raffigurazione di sfinge conosciuta (una scultura) sarebbe stata trovata vicino a Göbekli Tepe, nel sito di Nevali Çori, e datata al 9.500 a.C., ma non si hanno interpretazioni ufficiali o accademiche a conferma di tale ipotesi che rimane confinata nel campo della pseudo-archeologia.\n\nEtimologia.\nLa parola sfinge deriva dal termine in greco antico σφίγξ (sphínx; gen. σφιγγός, sphingós, beotico: φίξ (phíx), φικός (phikós)), termine che nella coscienza linguistica dei Greci viene messo in relazione col verbo σφίγγω che significa strangolare e quindi col senso di strangolatrice. Tuttavia è possibile avanzare l'ipotesi che il termine σφίγξ sia un adattamento fonetico dell'egizio šps-ˁnḫ da ricondurre all’antico nome egiziano 'Sps Ankh', ovvero immagine vivente, in cui il geroglifico che raffigura il leone (cane) è sovente sostituito dall'immagine della sfinge stessa.\n\nLa sfinge Egiziana.\nLa sfinge nella mitologia egizia era un monumento che veniva costruito vicino alle piramidi come simbolo protettivo, per augurare una serena vita nell'aldilà al faraone. Ha corpo canino (o leonino) e testa umana. La sfinge poteva essere maschile o femminile, a seconda del faraone o della regina che doveva proteggere.\nLa sfinge egizia più grande e famosa è la Grande Sfinge di Giza, situata sul plateau di Giza adiacente alle Grandi Piramidi. Si trova sulla riva occidentale del Nilo ed è rivolta verso est (29°58′31″N 31°08′15″E). La sfinge è situata nella parte nord del complesso delle piramidi e ai loro piedi anche se la data della sua costruzione è incerta, si pensa che la testa della Grande Sfinge sia quella del faraone Chefren.\nI nomi che i loro costruttori diedero a queste statue non sono noti. Presso il sito della Grande Sfinge è stata trovata un'iscrizione su una stele o.\nThutmose IV, datata 1400 a.C., che elenca i nomi dei tre aspetti della divinità locale del Sole di quel periodo, Khepri - Ra - Atum.\nThutmose IV, datata 1400 a.C., che elenca i nomi dei tre aspetti della divinità locale del Sole di quel periodo, Khepri - Ra - Atum.\nL'inclusione delle sfingi nelle tombe e nei complessi templari divenne una tradizione in maniera rapida. Molti faraoni fecero scolpire le loro teste in cima alle statue custodi delle loro tombe anche per mostrare la loro stretta relazione con la potente divinità solare Sekhmet, una leonessa. Famose sfingi egiziane comprendono quella recante la testa del faraone Hatshepsut, ora al Metropolitan Museum of Art di New York, e la sfinge di Menfi, situata all'interno del museo a cielo aperto di Menfi.\nGli egizi fecero anche corsi di sfingi custodi terminanti agli ingressi di tombe e templi. Una di queste avenue comprende novecento sfingi con teste di ariete (criosfingi), che rappresentano Amon. Il viale si trova a Tebe, dove il culto di Amon era infatti forte.\nLa prima sfinge egizia è stata quella raffigurante la Regina Hetepheres II della quarta dinastia, che regnò dal 2623 al 2563 a.C. La regina è stata uno dei membri più longevi della famiglia reale di quella dinastia.\nLa Grande Sfinge è diventata un emblema dell'Egitto, e viene frequentemente rappresentata su francobolli, monete e documenti ufficiali.\n\nLa sfinge nella cultura greca.\nGli Elleni hanno avuto scambi culturali e commerciali con l'Egitto fin dall'Età del Bronzo. 'Sfinge' è un nome greco (si veda Etimologia) e in Egitto venne applicato a queste statue da prima che Alessandro Magno occupasse la regione. I nomi di criosfingi per le sfingi a testa d'ariete e di ieracosfingi per quelle a testa di falco vennero coniati da Erodoto.\nStrabone riporta di aver visto varie sfingi egiziane.Nella mitologia greca vi era una singola sfinge, un demone di distruzione e mala sorte. La sua prima comparsa a noi pervenuta è nel mito di Edipo come descritto da Esiodo (il primo a parlare di Edipo fu Omero, che però non sembra consapevole di un qualche collegamento con la sfinge), secondo cui la Sfinge era la figlia di Ortro e di qualcuno tra Echidna, la Chimera e Ceto (Pseudo-Apollodoro riporta che la sfinge era figlia di Echidna e di Tifone). Tutte queste sono divinità ctonie appartenenti a epoche antecedenti a che gli dei dell'Olimpo governassero il panteon greco.\nEsiodo indica la sfinge anche come sorella del leone Nemeo e 'rovina dei Cadmei'. Non propone descrizioni fisiche e la parola che adopera per nominarla è φίξ, secondo lo scoliasta vocabolo del dialetto beotico.Sebbene l'etimologia della Sfinge possa portare a pensare allo strangolamento, Eschilo afferma che mangiasse uomini vivi (σφίγγ᾽ ὠμόσιτος).Da un punto di vista scultorio la sfinge risulta presente sia nel periodo miceneo che in quello minoico; in entrambi questi periodi le rappresentazioni sono sia maschili che femminili. Solo successivamente la figura femminile prese il sopravvento. Inizialmente poteva essere alata o non alata, con barba, con zampe di altri animali oltre al leone; Erodoto specifica la mascolinità di alcune sculture di sfingi, chiamandole ἀνδρόσφιγγες (androsphìnghes). La sfinge divenne alata e femminile solo dal VI secolo a.C. Una coppa del 550-540 a.C. prodotta da Glaukytes ed Archikles mostra sfingi femminili alate con accanto il nome ΣΦΙΧΣ (sebbene con forme arcaiche di sigma e phi).Pseudo-Apollodoro la descrive in modo classico, ossia come un leone con volto da donna ed ali da uccello.Fu l'emblema della città-stato di Chio e comparve sui sigilli e sul lato rovescio delle monete della città dal VI secolo a.C. al III secolo d.C.\n\nL'indovinello della sfinge.\nNel mito di Edipo la sfinge custodiva l'ingresso alla città greca di Tebe. Per consentire il passaggio ai visitatori poneva loro un indovinello cui si doveva rispondere correttamente. Nelle versioni più antiche di tale mito tale indovinello non viene specificato, mentre nei racconti più tardi venne standardizzato in quello citato di seguito.Era o Ares trasferirono la Sfinge dalla sua terra natale in Etiopia (l'origine straniera della Sfinge veniva sempre ricordata dai Greci) a Tebe in Grecia, dove questa chiedeva a tutti i passanti quello che forse è il più famoso enigma della storia: 'chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, tripede e bipede?' Il mostro strangolava o divorava chiunque non fosse in grado di rispondere. Nel mito Edipo risolse l'enigma rispondendo 'l'Uomo, che nell'infanzia cammina a quattro zampe, poi su due piedi in età adulta, e infine utilizza un bastone per sorreggersi in età avanzata'. Secondo alcuni resoconti c'era anche un secondo indovinello (molto più raro): 'Ci sono due sorelle: la prima dà alla luce l'altra e questa, a sua volta, dà vita alla prima. Chi sono le due sorelle?' La risposta è: 'il giorno e la notte' (in greco entrambe le parole sono femminili). Quest'ultimo enigma si trova anche in una versione guascone del mito di Edipo e potrebbe essere molto antico.Una volta battuta la sfinge, il racconto prosegue con la sfinge che si getta dalla sua alta roccia e muore. Una versione alternativa afferma invece che ella divorò se stessa. Edipo può quindi essere riconosciuto come una figura 'liminale' o di soglia, con l'effetto di aiutare la transizione tra le vecchie pratiche religiose e quelle nuove degli dei dell'Olimpo, transizione rappresentata dalla morte della Sfinge.\nNella rivisitazione della leggenda di Edipo di Jean Cocteau La machine infernale ('La macchina infernale'), la Sfinge riferisce a Edipo la risposta all'enigma, in modo da uccidersi e da non dover quindi più uccidere, e anche da far sì che egli la amasse. Egli però la lascia senza mai ringraziarla per avergli dato la risposta all'enigma. La scena termina con la Sfinge e Anubi che ascendono al cielo.\nCi sono interpretazioni mitiche, antropologiche, psicoanalitiche e parodistiche dell'enigma della Sfinge e della risposta di Edipo. Numerosi libri e riviste di enigmistica utilizzano la Sfinge nel titolo o nelle illustrazioni.Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli è custodito un cratere apulo che si ritiene illustri un altro mito (a noi non pervenuto) avente la Sfinge come protagonista: un sileno che porge al mostro un uccello chiuso nel palmo della sua mano. L'analogia con una favola di Esopo (la n. 55, in cui un contadino, per dimostrare l'onniscienza dell'oracolo di Delfi, si reca presso di lui con un passero in mano, e gli chiede se ha con sé una cosa vivente o non vivente, pronto ad uccidere l'uccellino nel caso la risposta sia la prima) ha fatto pensare che il sileno stia sottoponendo alla sfinge un enigma, cosa che rovescerebbe il mito di Edipo; ma i due potrebbero anche essere intenti ad una gara pacifica, antecedente all'episodio edipeo. Si è anche supposto che la figurazione possa essere collegata al dramma satiresco di Eschilo La sfinge, ma la sua interpretazione è ancora controversa. In ogni caso il cratere testimonia la diffusione del mito della Sfinge nell'area greco-italica.\n\nLa sfinge nel sud e nel sud-est asiatico.\nNella tradizione, mitologia e arte del Sud e Sud-Est asiatico è presente un essere mitologico composto da corpo di leone e testa umana. Esso è variamente noto come purushamriga (Sanscrito, 'uomo-bestia'), purushamirugam (Tamil, ancora 'uomo-bestia'), naravirala (sanscrito, 'uomo-gatto') in India, o come nara-simha (Sanscrito, 'uomo-leone') in Sri Lanka, manusiha o manuthiha (Pali, 'uomo-leone') in Birmania, e norasingh (pali, 'uomo-leone', in una variazione del sanscrito 'nara-simha') o thep norasingh ('dio uomo-leone'), o nora nair in Thailandia.\nIn contrasto con le sfingi egiziane, mesopotamiche e greche, le cui caratteristiche culturali sono andate largamente perdute per via delle discontinuità nella civilizzazione di queste regioni, le tradizioni relative alle sfingi asiatiche sono ancora oggi molto vive.\nLe prime raffigurazioni artistiche di sfingi del subcontinente dell'Asia meridionale sono state in qualche misura influenzate dall'arte e dagli scritti dell'età ellenistica; difatti l'arte buddista ha subito una fase di influenza da parte dell'ellenismo.\nNel sud dell'India, la sfinge è nota come purushamriga (in sanscrito) o purushamirugam (in Tamil); entrambi i termini significano 'uomo-bestia'. Si trova raffigurata nell'arte scultorea in templi e palazzi dove serve a scopo apotropaico, in maniera simile a quanto accadeva con le sfingi di altre parti del mondo antico. La tradizione afferma che tale sfinge tolga i peccati dei devoti che entrano nel tempio e in generale allontani il male. Si trova quindi spesso in una posizione strategica sul gopuram o sull'entrata del tempio.\n\nLa purushamriga gioca un ruolo significativo sia nei riti giornalieri che in quelli annuali che si svolgono nei templi scivaiti del sud dell'India. Nel rituale shodhasha-upakaara (o 'delle sedici lodi'), effettuato da 1 a 6 volte in momenti sacri significativi attraverso il giorno, la sfinge decora una delle lampade del diparadhana o lampada da cerimonia. E in molti templi la purushamriga è anche uno dei vahana o veicoli della divinità durante le processioni della Brahmotsava.\nNel Distretto di Kanyakumari, sulla punta più meridionale del subcontinente indiano, durante la notte del Shiva Ratri, i devoti corrono per 75 chilometri mentre visitano i dodici templi dedicati a Shiva. Questa Shiva Ottam (o 'corsa per Shiva') viene eseguita in commemorazione della storia della gara tra la sfinge e Bhima, uno degli eroi dell'epopea Mahābhārata.\nLa concezione indiana di sfinge che più si avvicina alla classica idea greca è il concetto di Sharabha, una creatura mitica, parte leone, parte uomo e parte uccello, in cui il dio Shiva si incarnò per contrastare la violenza di Narasiṃha.\nNello Sri Lanka la sfinge è conosciuta come narasimha, uomo-leone. In quanto sfinge, ha il corpo di un leone e testa di un essere umano, e non deve essere confusa con Narasiṃha, la quarta reincarnazione della divinità Visnù; quest'ultimo avatar o incarnazione è infatti raffigurato con corpo umano e testa di leone. Il Narasimha sfinge è parte della tradizione buddista ed è un guardiano della direzione nord; viene raffigurato anche sulle bandiere.\nIn Birmania la sfinge è conosciuta come manussīha (manuthiha). È raffigurata sugli angoli della stupa, e le sue leggende raccontano di come sia stata creata dai monaci buddisti per proteggere un neonato reale dalla morte per mano di orchi.\n\nNora nair, norasingh e thep norasingh sono tre delle denominazioni con le quali la sfinge è conosciuta in Thailandia. Questi esseri sono rappresentati come camminanti in posizione eretta, con la parte inferiore del corpo di leone o di cervo e la parte superiore in forma di esseri umani. Spesso si trovano in coppie di sesso femminile-maschile. Anche qui, le sfingi hanno funzione protettiva. Inoltre vengono enumerate tra le creature mitologiche che popolano la montagna sacra Himapan.\n\nLa sfinge in Europa.\nDurante il Rinascimento la sfinge ha goduto di un grande revival nell'arte decorativa europea.\nLe sfingi sono state fatte rivivere quando le decorazioni grottesche della Domus Aurea di Nerone sono state portate alla luce nel tardo XV secolo a Roma. La sfinge fu da allora incorporata nel vocabolario classico dei disegni arabescati che si diffuse in tutta Europa nell'ambito dell'incisione dei secoli XVI e XVII. La bottega di Raffaello incluse delle sfingi nella decorazione della loggia di Palazzo Vaticano (1515-1520), e anche tali sfingi aggiornarono il vocabolario delle grottesche romane.\nLa sfinge manieristica del XVI secolo è a volte chiamata sfinge francese. La sua testa, pettinata, è eretta e ha il seno di una giovane donna. Spesso indossa orecchini e perle come ornamenti. Il suo corpo è naturalisticamente reso come una leonessa reclinata.\nLa prima comparsa di sfingi nell'arte francese avvenne nella Scuola di Fontainebleau negli anni 1520 e 1530. Le sfingi permarranno poi anche nello stile francese tardo barocco della Régence (1715–1723).\nDalla Francia la sfinge si diffuse in tutta Europa, diventando una normale caratteristica della scultura decorativa all'aperto dei giardini di palazzo del XVIII secolo. Esempi di sfingi in tale ambito li si possono ritrovare nel Belvedere di Vienna, nel Parco di Sanssouci a Potsdam, nel Palazzo Reale della Granja de San Ildefonso in Spagna, a Palazzo Branicki a Białystok, o nel portoghese Palazzo Nazionale di Queluz (forse del 1760), in cui si trovano esempi del tardo Rococò con gorgiere e vestiti che terminano con un piccolo mantello.\nLe sfingi sono una caratteristica delle decorazioni interne nell'architettura neoclassica di Robert Adam e dei suoi seguaci, dove tornano ad essere più vicine allo stile svestito delle grottesche. Le usarono anche gli artisti e i designer del romanticismo e successivamente i movimenti del simbolismo del XIX secolo. La maggior parte di queste sfingi alludono alla sfinge greca, piuttosto che a quella egiziana, anche se non possiedono mai delle ali.\n\nLa sfinge nella massoneria.\nL'immagine della sfinge è stata adottata anche nell'architettura massonica. Tra gli Egizi le sfingi erano collocate all'ingresso dei templi per custodirne i misteri, avvertendo coloro che vi penetravano che avrebbero dovuto celare la loro conoscenza ai non-iniziati. Jean-François Champollion afferma che successivamente la sfinge diventò il simbolo di ciascuno degli dèi, e in tal modo avrebbe simboleggiato il fatto che gli dèi erano in generale nascosti al popolo e si rivelavano solo agli iniziati. La sfinge è stata adottata dalla massoneria nel suo carattere egiziano di simbolo del mistero, e come tale viene spesso ritrovata come decorazione scolpita sul fronte dei templi massonici, o incisa sull'intestazione di documenti massonici. Tuttavia non può essere definita correttamente come un antico simbolo riconosciuto dell'ordine. La sua introduzione è stata di data relativamente recente, e piuttosto come decorazione simbolica che come simbolo di un particolare dogma.\n\nCreature simili.\nLa Dea Löwenfrau dell'Aurignaziano, datata a 32 000 anni fa, è la più antica statua antropomorfa conosciuta. Un tempo nota come uomo leone, ha corpo umano e testa di leone.\nNon tutti gli animali con testa umana dell'antichità sono sfingi. Nell'antica Assiria, si facevano bassorilievi di shedu, tori con le teste barbute coronate dei re, agli ingressi dei templi.\nNella classica mitologia olimpica della Grecia, tutte le divinità avevano forma umana, anche se potevano assumere la forma di animali. Tutte le creature dei miti greci che combinano forma umana e animale - i centauri, Tifone, la Medusa, le lamie, ad esempio - sono sopravvivenze di miti più arcaici.\nIl Narasiṃha ('uomo-leone') è descritto come una incarnazione (avatara) di Visnù nei testi purāṇa dell'induismo, dove prende la forma di un mezzo uomo-mezzo leone asiatico, con torso e parte inferiore del corpo umani, ma con volto e artigli di leone.\nLa manticora è una creatura simile alla sfinge, che dispone di corpo di leone e volto umano.\nAnche la chimera (nella tradizione medievale) è una creatura simile alla sfinge, dotata di corpo di leone e volto femminile.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sfodri.\n### Descrizione: Sfodri è un personaggio della mitologia greca, presente nelle Argonautiche di Apollonio Rodio.\n\nMito.\nCizico, giovanissimo sovrano dell'omonima città asiatica nella Propontide, aveva accolto gli Argonauti durante il loro viaggio con destinazione la Colchide. Gli eroi quindi ripartirono, durante una notte di luna nuova: una violenta tempesta sospinse però la nave di nuovo sulla costa della città che essi avevano appena lasciato. Il re, affacciatosi dal suo palazzo, scambiò gli Argonauti per pirati, e con le sue guardie personali, tra i quali c'era anche Sfodri, mosse in armi per assalirli; gli Argonauti da parte loro non riconobbero Cizico. Gli uni e gli altri erano stati ingannati dalle avverse condizioni del tempo, oltre che dalla mancata luminosità della luna: lo scontro fu dunque inevitabile, e terminò con l'uccisione di Cizico e delle sue guardie. Sfodri cadde per mano di Acasto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sibari (mitologia).\n### Descrizione: Sibari o Lamia del Monte Cifri, in Grecia, era una leggendaria bestia gigante che abitava nelle caverne, divorando sia il bestiame che gli umani. Fu scagliato da una roccia strapiombante e ucciso dall'eroe Euribaro.\nSebbene nella fonte primaria sia fornita una descrizione fisica precisa, è stato ipotizzato dai commentatori moderni che dovesse essere un drago o un vampiro.\n\nMito.\nSecondo il mito, registrato da Antonino Liberale, Sibari o Lamia era una bestia gigante (in greco antico: θηρίον μέγα και υπερφυές?) che abitava sul monte Cirfi e terrorizzava le campagne di Krisa, antico nome di Delfi, divorando bestiame e persone.\nLa gente della regione chiese all'Oracolo di Delfi come porre fine alle depredazioni. Il dio Apollo rispose che un giovane doveva essere offerto alla bestia per ottenere la pace da essa. Il giovane e affascinante Alcioneo, figlio di Diomo e Meganeira, fu scelto per essere la vittima, ma l'eroe Euribaro, figlio di Eufemo e discendente del dio fluviale Axios, fu sopraffatto dall'amore per Alcioneo e decise di salvarlo prendendo il suo posto di vittima. Una volta lì lottò e scagliò il drago dal fianco della montagna, colpendolo contro le rocce dove sgorgava una fontana.\nQuesta sorgente fu poi chiamata 'Sibari' dagli abitanti del luogo, ed era l'omonima città di Sibari (nell'attuale Italia).\n\nInterpretazioni.\nSebbene il testo principale si riferisca solo a Sibari come a una bestia gigante, e non fornisca dettagli sulla sua descrizione fisica per quanto riguarda le caratteristiche serpentine, i commentatori moderni hanno fornito prove circostanziali che suggeriscono che fosse una dragonessa, a causa del parallelismo/delle storie del drago maschio, come il Pitone che spogliò anche la regione di Delfi.Antonino Liberale diede 'Lamia' come nome alternativo per la creatura, forse confondendo Sibari con la più nota Lamia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sibilla Appenninica.\n### Descrizione: La Sibilla Appenninica (detta anche Sibilla Picena o Sibilla di Norcia) è una figura dell'immaginario collettivo diffusasi a partire dal Medioevo nell'area montana del Piceno e di Norcia, in particolare appunto sui Monti Sibillini, ai quali questa ha dato il nome.\nNei testi medievali si parla di Sibilla o Regina Sibilla, la cui dimora è collocata sulle montagne tra Norcia e Montemonaco; mentre la definizione di Sibilla Appennina compare per la prima volta solo nel 1938, nel libro di Augusto Vittori Montemonaco nel Regno della Sibilla Appennina, con prefazione di Fernand Desonay.Probabilmente a causa di complessi processi di sincretismo culturale e letterario viene identificata come sibilla; ma in realtà essa non rientra nel canone delle dieci Sibille classiche riportato da Varrone.\n\nLeggenda e letteratura.\nSecondo la leggenda popolare, la Sibilla è una maga, incantatrice e indovina; regina di un mondo sotterraneo paradisiaco al quale si accede attraverso la grotta che si apre sulla vetta del Monte Sibilla.\nLe prime fonti scritte riguardanti questa leggenda risalgono al basso medioevo; i testi che contribuiscono alla definizione della figura della Sibilla Appenninica come la si conosce oggi sono fondamentalmente due:.\n\nIl Paradiso della Regina Sibilla (Le Paradis de la Reine Sibylle in La Salade), Antoine de La Sale, 1420.\nIl Guerrin Meschino, Andrea da Barberino, steso intorno al 1410, ma stampato postumo solo nel 1473Le due opere quattrocentesche riportano per iscritto voci e racconti provenienti dalla tradizione orale locale del tempo, delle cui origini non si hanno però ulteriori notizie, in quanto dal I secolo fino al Medioevo non esiste ancora alcun tipo di fonte storica o riferimento archeologico che possa aiutare nella ricostruzione dei processi culturali avvenuti in quel periodo.\nAltri aspetti e prerogative della Sibilla e delle sue damigelle, identificate nel folklore come fate, si apprendono dai racconti degli anziani di Montegallo, Montemonaco, Montefortino, Castelsantangelo sul Nera, Norcia, raccolti e messi per iscritto nel corso del XX secolo da molti autori, umbro marchigiani e non.\n\nIl racconto di Antoine de La Sale.\nIl gentiluomo francese Antoine de la Sale, in un capitolo de La Salade, redige la relazione di un viaggio che egli compì in Italia nella primavera del 1420, durante il quale visitò Montemonaco e la grotta del Monte Sibilla.\nLo scritto è dedicato alla duchessa Agnese di Borgogna (moglie di Carlo I di Borbone, sorella di Filippo il Buono, principessa Borgogna), alla quale l'autore sta inviando il suo resoconto per onorare una promessa fatta: da questo si evincerebbe la curiosità di detta signora di conoscere meglio la leggenda sul lago e la grotta dei Monti Sibillini, della quale era già a conoscenza per averli veduti raffigurati in un arazzo in suo possesso.\nDe La Sale descrive innanzitutto i luoghi e la prima parte accessibile della grotta, che egli stesso ha verosimilmente esplorato; poi riporta i racconti orali degli abitanti di Montemonaco (tra cui un sacerdote, tale Antonio Fumato) i quali narrano di varie spedizioni all'interno della grotta, più o meno fantastiche, compiute dagli abitanti locali e da un cavaliere tedesco e il suo scudiero che si avventurarono nella grotta giungendo al paradiso della Sibilla.\n\nEntrati nella grotta tramite uno stretto pertugio in parte occluso da una roccia, si giunge facilmente ad un primo vano quadrato dove tutt'intorno vi sono dei sedili intagliati nella roccia delle pareti. Da questa stanza si prosegue solo scendendo per stretti e ripidi cunicoli, i quali scoraggiarono de La Sale, che non proseguì oltre.\nTuttavia, dai racconti degli abitanti di Montemonaco, si apprende che questi cunicoli scendano per circa tre miglia per poi allargarsi in un ampio corridoio, fino a giungere ad una fessura dalla quale scaturisce un vento procelloso che ricaccia indietro anche i più audaci; quindici tese oltre la vena del vento la corrente d'aria cessa, dopodiché, proseguendo per ancora altre tre tese, si arriva sul ciglio di un baratro senza fondo dove scorre un fiume fragorosissimo, attraversabile solo tramite un ponte di materia indefinita, lunghissimo e non più largo di un piede. Ma come per incanto, appena imboccato il ponte questo si allarga e l'abisso si rimpicciolisce sempre più, finché ci si trova in una galleria fantasmagorica attraversata da una strada comodissima. Al termine della strada si trovano due statue di dragoni dagli occhi fiammeggianti che illuminano tutt'intorno; superati i dragoni si prosegue per ancora cento passi lungo un corridoio strettissimo, fino ad uno spiazzo quadrangolare dove si trovano due porte di metallo che sbattono violentemente l'una contro l'altra rischiando di schiacciare chi dovesse tentare di attraversarle.\nOltre le porte metalliche vi è una porta fastosissima e luminosissima che immette nel regno della Sibilla, la quale accoglie festosa l'intrepido viaggiatore insieme ad una moltitudine di soavi damigelle e giovani, tra lo sfolgorio abbagliante di vesti e gioielli.\nColoro che abitano nella grotta imparano a comprendere tutte le lingue del mondo dopo nove giorni, e dopo trecento giorni sanno parlarle tutte. Ed essi restano immortali fino alla fine dei tempi.\nChi entra nella grotta può decidere di andarsene solo dopo l'ottavo, il trentesimo o il trecentotrentesimo giorno, e chi dovesse decidere di rimanere nella grotta per un anno non potrà più tornare al mondo terreno.\nNella grotta non esistono vecchiaia e dolore, né sofferenza del caldo o del freddo, ma si gode fino al sommo della delizia. Tutti gli abitanti della grotta vivono immersi nelle più fastose ricchezze, allietati dalle splendide damigelle della Sibilla. Tuttavia alla mezzanotte di ogni venerdì essi si trasformano serpenti schifosi, e tali restano fino alla mezzanotte del sabato.\nIl cavaliere tedesco dei racconti di De La Sale si rende presto conto di vivere in un paradiso demoniaco, e decide infine di uscire prima dello scadere dell'anno, per salvare la sua anima dalla dannazione eterna. Egli si recò a Roma per chiedere l'assoluzione del Papa, il quale non la concesse immediatamente a salutare ammonimento; ma il cavaliere disperato lasciò delle lettere di addio ai pastori dei Monti Sibillini e si rituffò per sempre nel paradiso della Regina Sibilla.Un'altra storia riportata da Antoine de La Sale è quella del Sire di Pacs (o di Pacques) che si disperò dopo aver trovato incisa la firma del fratello all'interno dell'antro della Sibilla. Il De La Sale riferisce verosimilmente la presenza di queste firme di cavalieri Europei nel primo vano della grotta: il che testimonierebbe un importante flusso di visitatori anche durante il medioevo.\n\nIl Guerrin Meschino.\nQuasi in concomitanza al viaggio di Antoine de La Sale (circa una trentina di anni prima), il letterato fiorentino Andrea da Barberino compone Il Guerrin Meschino: un romanzo cavalleresco ambientato nell'anno 824 in cui si raccontano le gesta di Guerino, cavaliere presso la corte di Costantinopoli, soprannominato 'meschino' a causa del fatto che egli non conosceva i propri genitori, ragione per cui egli si mette in viaggio per l'Europa alla ricerca delle proprie origini. Durante le sue peripezie Guerino si ritrova a Norcia, dal qual paese parte alla volta della grotta della Sibilla per chiedere alla veggente di rivelargli il nome dei suoi genitori.\nLa descrizione che Andrea da Barberino dà della corte della Sibilla è molto simile a quella dei racconti popolari trascritti dal De La Sale, e anche le vicende del cavaliere all'interno della grotta non sono troppo dissimili da quelle del cavaliere tedesco di Antoine de La Sale.\nLa Sibilla trattiene Guerino senza rivelargli il nome dei suoi genitori, tentandolo a peccare e rinnegare Dio. Il cavaliere riuscirà infine a resistere alle tentazioni della maga grazie alla sua fede cristiana, e dopo un anno lascerà la grotta, ma senza aver raggiunto il suo scopo. Quando Guerino si recherà poi a Roma a chiedere perdono al Papa, il pontefice concederà l'assoluzione e lo invierà come penitenza lungo la via di Santiago de Compostela a proteggere i pellegrini.\nInfine Guerino scoprirà la sua identità in Irlanda, presso il Pozzo di San Patrizio.\nNella versione originale del romanzo si parla esplicitamente di Sibilla, mentre nelle versioni successive, sottoposte alla censura dell'Inquisizione, diversi capitoli vengono soppressi e il termine Sibilla viene sostituito con Alcina (maga dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, datato 1516). Il motivo di questa modifica è da ricercarsi nel fatto che nel XIV-XV sec. la figura della sibilla era già completamente affermata nella cultura cristiana come profetessa della nascita del Messia, e non poteva perciò ricoprire il ruolo demoniaco attribuitole nell'opera e nelle leggende popolari.\n\nAltri riferimenti letterari.\nSimplicianus.\nIn De nobilitate et rusticitate dialogus (redatto tra il 1444 e il 1450) Felix Hemmerlin racconta di un certo Simplicianus che si sarebbe recato alla grotta con due compagni. Egli descrive le asperità della montagna e delle caverne, parlando delle grandinate e delle tempeste scaturite dal monte quando qualcuno vi si reca presso. Hemmerlin parla esplicitamente di 'monte della Sibilla', posto tra Norcia e Montefortino, e lo paragona al 'monte di Venere' dove succubi e incubi sotto aspetto di avvenenti fanciulle irretiscono gli uomini inducendoli al peccato. L'autore riferisce che nel periodo in cui si trovava a Bologna si trovava lì anche il papa Giovanni XXII, il detto Simplicianus si presentò al pontefice confessando di aver vissuto per un anno tra i piaceri terreni con le dame della dea Venere: lui e i suoi compagni erano saliti al monte nel mese di marzo ed entrarono nella grotta a settembre, dove saziandosi di delizie paradisiache, avevano vissuto immersi in profumi e mollezze inebrianti, fin quando era apparso loro un vecchio che li ragguagliò sul fatto che allo scadere dell'anno non sarebbero più potuti uscire. Infatti Simplicianus afferma di aver incontrato gente proveniente dall'Inghilterra e da molte altre regioni condannata a restare in eterno in quel mondo meraviglioso: tra loro riferisce ci fosse un vecchio con suo figlio che se ne stava sempre in disparte dai piaceri mondani, preoccupato per il suo destino supremo. Simplicianus otterà la remissione dei peccati da un confessore del papa a San Petronio, e chiederà l'intercessione per i suoi due compagni rimasti imprigionati nel monte.I fatti narrati sarebbero riferibili agli anni 1410-1413.\n\nArnaldo di Harff.\nNella primavera del 1497 il nobile di Colonia Arnaldo di Harff (1471-1505), dopo aver visitato Roma, si incamminò per le Marche e la Romagna verso Venezia, da dove si sarebbe imbarcato per l'Oriente. La relazione di questo viaggio presenta imprecisioni geografiche tali da metterne in dubbio la veridicità; tuttavia in essa sono evidenti le tracce di un racconto simile a quello di Antoine de La Sale:.\n\nLa descrizione accenna al monte di Norcia, forse confusa con Nocera nelle cui vicinanze non vi sono luoghi riconducibili ad 'Arieet' e 'Norde' (forse Rieti e Norcia?); da queste ed altre considerazioni, Alfred Reumont sospetta che Arnaldo di Harff non si sia recato personalmente alla grotta della Sibilla, ma ne riporti un racconto di cui sarebbe venuto a conoscenza. Comunque il paragone tra le grotte descritte dal viaggiatore e quelle di Falkenberg (Fauquemont) o quelle del monte San Pietro presso Maastricht (Traiectum ad Mosam), potrebbero far credere che si tratti di cose viste di persona, anche se in altri punti della relazione si incontrano descrizioni altrettanto evidenti, ma delle quali non si può affermare che il viaggiatore sia stato testimone oculare. Comunque nella relazione si dice che i viaggiatori abbiano abbandonato la strada maestra dopo Nocera, il che potrebbe spiegherebbe l'assenza di un riferimento a Gualdo Taldino, borgo posto tra Nocera e Fossato, e l'imprecisione nel riportare le distanze tra i paesi, mentre nel resto dello scritto in genere si è molto esatti nelle indicazioni di luoghi e distanze.\n\nLa tradizione popolare.\nSecondo la tradizione locale, la Sibilla (nel dialetto locale indicata come 'Sibbilla') è una fata buona, Maga bella e maliarda, 'veggente e incantatrice,', ma non perfida e neppure demoniaca. Ella vive nella grotta circondata dalle sue ancelle, ovvero fate dai piedi caprini che escono dalla grotta per ballare il saltarello con i pastori, o scendono a valle per insegnare alle fanciulle del posto a filare e tessere le lane.\nSecondo un racconto locale, fu la Sibilla a provocare un intenso evento tellurico nel paese di Colfiorito, antico nome di Pretare, che distrusse il sito riducendolo ad un mucchio di pietre. Questo avvenne quando le sue fate rimasero a ballare nel borgo oltre l'orario consentito per il rientro nella grotta.\n\nIl lago di Pilato.\nOltre alle leggende legate alla Sibilla e alla sua grotta, si tramandano fatti e storie anche riguardo al lago di Pilato a lei intimamente legato e situato nel vicino Monte Vettore. Infatti nel XV secolo veniva ancora chiamato Lago della Sibilla come si evince sia da un documento amministrativo di quel periodo (una sentenza) sia da un disegno di Antoine de la Sale mentre nei secoli successivi si affermerà sempre più la dizione Lago di Pilato.\nE anche per il lago le leggende che ci sono pervenute provengono dal testo di Antoine de La Sale: è qui infatti che si racconta di come il corpo di Ponzio Pilato, dopo essere stato giustiziato per ordine dell'imperatore per non aver impedito la crocifissione di Gesù, fu caricato su un carro trainato da due bufali che da Roma lo trasportarono fino ai Monti Sibillini e si gettarono infine nel lago. Il De La Sale riferisce questa storia udita dagli abitanti di Montemonaco, dimostrando come questa non può essere vera in quanto la versione raccontata dal popolo voleva che l'imperatore che emise la condanna a morte fu Tito Vespasiano, quando Pilato visse invece sotto Tiberio.\n\nAntoine de La Sale racconta anche che al tempo della sua visita a Montemonaco (inizio XV sec), l'accesso al lago fosse vietato in quanto frequentatissima meta di negromanti che vi salivano per consacrare libri del comando ai demoni che abitavano quelle acque. Ogni volta che qualcuno evocava gli spiriti maligni del lago si scatenava una violenta tempesta che distruggeva tutti i raccolti della zona; ed era perciò interesse degli abitanti del luogo tutelarsi: per visitare il lago era necessario un salvacondotto rilasciato dalle autorità della città di Norcia, e il malcapitato che vi fosse stato sorpreso senza autorizzazione avrebbe perfino rischiato la vita. Si racconta di una volta in cui due negromanti (uno dei quali era un prete) vennero catturati presso il lago dai locali: uno venne condotto a Norcia e condannato, mentre l'altro fu fatto a pezzi e gettato nelle acque del lago.\nI primi riferimenti letterari al lago abitato da demoni e alla figura di Pilato si ritrovano nel Reductorium morale del benedettino Pierre Bersuire e nel Dittamondo di Fazio degli Uberti (nel quale si parla in realtà di Monte di Pilato, e non ancora di lago), opere risalenti al XIV secolo.Durante i secoli XV, XVI e XVII la letteratura italiana è prodiga di riferimenti, seppur spesso consistenti solo in semplici accenni, alle arti negromantiche praticate presso il lago di Pilato.\nConferma dell'importante afflusso di visitatori alla grotta e al lago è data da una sentenza di assoluzione del 1452, in cui l'inquisitore della Marca Anconitana De Guardariis assolve la popolazione di Montemonaco dalla scomunica in cui era incorsa per aver accompagnato 'ad lacum Sibyllae' (al lago della Sibilla) cavalieri 'provenienti dalla Spagna e dal Regno di Napoli' per consacrarvi libri proibiti mentre li ospitavano in Montemonaco ove praticavano, in casa di Ser Catarino, l'alchimia.\n\nTradizioni simili in Europa.\nPresso le Prealpi di Lucerna (Svizzera) esiste un massiccio chiamato Pilatus, del quale si raccontano fin dal medioevo storie molto simili a quelle riguardanti il lago appenninico.\nAnche nei monti del Massiccio Centrale francese esiste la catena del Pilat. All'inizio del XIII secolo, Stefano di Borbone rende popolare la leggenda del suicidio di Ponzio Pilato a Lione, ed è il primo a evocare l'impiccagione e l'abbandono del corpo nel pozzo del Monte Pilat, nel sud-ovest di Vienna o Vienne.\n\nOrigine del mito.\nLe sibille.\nIn genere per sibilla si intende una istituzione religiosa del mondo classico. Nell'Antica Grecia e poi presso i Romani, la sibilla era una sacerdotessa dotata di capacità profetiche ispirate da una divinità, solitamente Apollo o Ecate. La carica era ricoperta esclusivamente da donne vergini interamente consacrate al dio.\nLa sibilla più antica di cui si hanno documentazioni (circa XIV secolo a.C.) è la Pizia: profetessa dell'Oracolo di Delfi, ovvero una sacerdotessa che esercitava la divinazione del futuro presso il tempio di Apollo della città greca di Delfi, situato nella Focide alle falde del Monte Parnàso. La Pizia era coadiuvata da un gruppo di sacerdoti che amministravano il culto di Apollo ed interpretavano i vaticini che essa pronunciava invasata dalla spirito del dio. Per quasi due millenni il ruolo fu ricoperto dalle donne della città di Delfi, scelte senza requisiti di età. La pratica venne destituita nel 392 d.C., quando i decreti teodosiani soppressero i culti pagani.\nIn età antica le sedi oracolari presidiate dalle sibille proliferarono intorno al Mediterraneo. Nella seconda metà del I secolo a.C., l'autore romano Varrone, in un capitolo della sua opera Antiquitates rerum humanarum et divinarum, riporta un elenco delle dieci sibille esistenti in quel periodo: Cimmeria, Cumana, Delfica, Ellespontica, Eritrea, Frigia, Libica, Persica, Samia, Tiburtina. In seguito Lattanzio confermerà la stessa lista nel suo De Divinis institutionibus (304-313 d.C.).\nI responsi oracolari delle sibille erano raccolti in nove testi greci noti come Libri Sibillini, conservati a Roma e andati bruciati nell'83 a.C.; si tentò in seguito di ricostruirli, ma dei nuovi volumi si ha notizia solo fino al V secolo d.C..\n\nLe sibille italiche.\nIn Italia esisteva un centro oracolare presso l'acropoli magnogreca di Cuma, dove sorgeva dal VI secolo a.C. un tempio dedicato ad Apollo sulla sommità di un rilievo roccioso. Secondo il mito la Sibilla Cumana esercitava la sua attività divinatoria nei pressi del Lago d'Averno, all'interno di una caverna nota appunto come Antro della Sibilla: essa scriveva i vaticini in esametri su delle foglie di palma che venivano poi mescolate dai venti provenienti dalle cento aperture dell'antro, rendendo i responsi incomprensibili e misteriosi.\nLa Sibilla Cumana entra nella mitologia classica grazie all'Eneide di Virgilio (fine I secolo a.C.), in cui si racconta che la sacerdotessa, attraverso il lago d'Averno, discese con Enea nell'Ade, dove l'eroe troiano incontrerà il padre Anchise.\nAl II secolo a.C. risale invece il tempio della sibilla dell'acropoli di Tibur (Tivoli), dove esercitava la Sibilla Tiburtina.\n\nLe sibille nel cristianesimo.\nCon il sovrapporsi della religione cristiana a quella pagana, si tentò di estirpare i culti oracolari e lentamente si innescò un processo di sincretismo che trasformò le sibille classiche in profetesse della nascita del Cristo. Già dal II secolo i vaticini delle sibille erano andati gradualmente modificandosi, adattandosi alla sovrapposizioni di varie tradizioni, prima su tutte quella cristiana.\nTra il II e il I secolo a.C. compaiono i volumi più antichi degli Oracoli Sibillini: questi testi, fatti risalire alle comunità ebraiche di Alessandria d'Egitto (quindi classificati come 'tradizione giudaico-ellenistica'), riadattano gli oracoli del mondo greco-romano (attribuiti soprattutto alla Sibilla Eritrea) in un'ottica monoteista, fortemente connotata da tematiche apocalittiche.\nI primi Padri della Chiesa traggono ispirazione proprio da questi testi per la trasposizione della figura della sibilla dallo scenario pagano a quello cristiano.\nSaranno poi i testi ripresi dagli intellettuali cristiani ('tradizione giudeo-cristiana') a circolare fino al XIV secolo.\nNel suo De civitate Dei, Sant'Agostino di Ippona (uno dei padri fondatori della dottrina cristiana, vissuto dal 354 al 430 d.C.) riprese alcuni versi dalla IV Egloga delle Bucoliche di Virgilio (circa 40 a.C.), nei quali si parla di un responso oracolare attribuito alla Sibilla Cumana secondo il quale una Vergine partorirà un fanciullo che vivrà tra gli dèi e governerà il mondo come un padre, cancellando il timore e le colpe degli uomini, ponendo fine alla mitologica Età del Ferro e decretando l'inizio di una nuova Età dell'Oro in cui l'uomo vivrà in pace, sostentato dalle messi e dagli armenti elargiti dalla natura benevola. Il componimento venne interpretato da Agostino come un annuncio della venuta del Cristo redentore dell'umanità, predetto appunto dalla Sibilla Cumana.\nCon tecniche letterarie simili, anche la sibilla Eritrea diviene profetessa cristiana (ad essa è attribuito l'acrostrico di Cristo), e la sibilla Tiburtina diviene annunciatrice del Giorno del Giudizio. Ogni sibilla cristiana viene rappresentata con un cartiglio che riporta la particolare profezia a questi associata.\nDall'VIII secolo, teologi cristiani quali Isidoro di Siviglia, Rabano Mauro, Gervasio di Tilbury e Vincenzo di Beauvais, scrivono delle sibille come profetesse di Cristo in terre pagane. I testi degli oracoli sono trasmessi soprattutto da Rabano Mauro nel De Universo e da Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae. Quest'ultimo in particolare parla delle sibille antiche trasmettendo la lista di Varrone, e riporta inoltre che il termine 'sibilla' diventa appellativo di donna che pratichi la divinazione: questa associazione tra essere femminile e pratiche divinatorie costituisce un elemento importante per il delineamento dell'immagine della strega dal IX-X secolo.\nDurante il medioevo inoltre, in linea con le esigenze politiche del momento, viene nuovamente manipolata la tradizione sibillina e si diffonde un nuovo canone di dodici sibille, numero raggiunto aggiungendo la Sibilla Europea e la Sibilla Agrippina.\nLe sibille entrarono quindi a pieno titolo nella cultura religiosa cristiana. Tanto che con la riscoperta della cultura classica avvenuta durante il Rinascimento (XIV-XVI secolo) esse compariranno affiancate ai profeti biblici nelle opere di arte sacra: sono famose sibille affrescate da Michelangelo al fianco dei profeti biblici sulla volta della Cappella Sistina (1508-12), o quelle intarsiate nella pavimentazione del Duomo di Siena (1482-83). Altri esempi di sibille raffigurate nell'arte sacra si trovano negli affreschi della chiesa di S.Giovanni Evangelista a Tivoli (1483), o della Cappella di Marciac della chiesa di Trinità dei Monti a Roma (XVI sec), o ancora tra le sculture del pulpito della chiesa di Sant'Andrea di Pistoia (1298-1301).\nNel territorio dei Monti Sibillini ritroviamo le sibille affrescate nel Santuario della Madonna dell'Ambro (Montefortino) e nella chiesa di Santa Maria in Pantano (Montegallo).\n\nLa sibilla sull'Appennino.\nOracoli sull'Appennino.\nUn primo riferimento storico riconducibile a un qualche culto pagano sugli Appennini sembra potersi trovare nella Storia dei Cesari di Svetonio che, a proposito di Vitellio, accenna ad una veglia negli Appennini tenuta prima del suo ingresso a Roma nel 69:.\nAnche Trebellio Pollione nella sua Storia Augusta riporta un episodio relativo a Claudio il Gotico, che, nel 268, consultò sul suo futuro un oracolo negli Appennini:.\n\nPotrebbe aver consultato l'oracolo sibillino anche l'imperatore Aureliano (III secolo) figlio di Zenobia, sacerdotessa del tempio del Sole. Sempre nella Storia Augusta, Flavio Vopisco riferisce che l'imperatore voleva collocare una statua aurea di Giove nel tempio del Sole, in costruzione a Roma, seguendo il responso che gli era stato dato dall'oracolo degli Appennini:.\n\nTuttavia, in questi documenti non si fa nessun accenno ad una sibilla, tanto che all'inizio del IV sec, Lattanzio conferma il catalogo di Varrone (precedente di un paio di secoli), nel quale non compare nessuna sede sibillina sui monti dell'Appennino centrale.\nAlcuni studiosi addirittura sostengono che l'oracolo degli Appennini cui fanno riferimento le fonti sopra citate fosse in realtà collocato presso il tempio di Giove Appennino sul Monte Cucco (Scheggia, PG).\nInoltre, dopo il II secolo non si hanno fonti scritte né archeologiche che permettano di ricostruire i processi storici avvenuti nei seguenti mille anni, fino al medioevo, quando una sibilla compare negli scritti di Antoine de La Sale e di Andrea da Barberino.\n\nLa profezia della nascita di Gesù.\nDal XV sec almeno si diffuse una leggenda secondo la quale la Sibilla Cumana, vergine profetessa della nascita di Cristo, si adirò con Dio per non essere stata scelta come madre del Salvatore, e fu per questo esiliata sugli Appennini. Nel Guerrin Meschino si narra questa storia, che il protagonista sente raccontare da due uomini appena giunto nella città di Norcia:.\n\nIl trasferimento sull'Appennino.\nAnche Giovan Battista Lalli, poeta tardo rinascimentale di Norcia scrisse all'inizio del '600:.\nNelle Liriche di Ludovico Ariosto (secoli XV-XVI) è riportata la stessa storia dell'isolamento in una grotta presso Norcia:.\n\nNon si hanno fonti certe sull'origine di questa leggenda che vede la Sibilla Cumana spostarsi verso gli Appennini. Il primo documento in cui si trova un riferimento ad una storia simile è Le Livre de Sibile, attribuito al monaco francese Philippe de Thaon (XI-XII sec): egli tradusse in francese medievale (più esattamente in anglo-normanno) un poema latino riguardante la Sibilla Tiburtina, nel quale si narra che la profetessa fu chiamata a Roma e interpellata per interpretare un sogno fatto nella stessa notte da cento senatori che sognarono ognuno nove soli diversi; la Sibilla risponde che non era possibile svelare un tale segreto in un luogo contaminato e corrotto qual era il Campidoglio, ma era necessario spostarsi sul monte Aventino.\nNella traduzione francese medievale viene riportato 'mont Apennin' invece di 'mont Aventin'.\n\nIl lago e la grotta.\nL'associazione della Sibilla Cumana ai monti di Norcia deve aver determinato la sovrapposizione dell'antro della Sibilla di Cuma alla grotta del Monte Sibilla, e quindi l'identificazione del lago di Pilato con il lago d'Averno. Infatti nelle leggende locali dei Monti Sibillini il lago di Pilato è dimora di demoni e luogo di contatto con il mondo infernale, proprio come il lago d'Averno è per Virgilio l'ingresso dell'Ade, tramite il quale la Sibilla Cumana conduce Enea all'incontro con il defunto padre Anchise.\nAltre teorie sostengono che i racconti di riti demoniaci presso il lago, e sui Sibillini in genere, furono diffusi nel XIII sec. dai predicatori francescani per arginare quei fenomeni di dissidenza, molto presenti nella zona montana delle Marche, dovuti alla nascita delle teorie rinnovatrici gioachimite e ai movimenti spirituali, condannati come eretici, i quali vennero quindi a trovarsi in accordo con le forze ghibelline in opposizione al potere centrale avignonese.\n\nLa sibilla dell'Aspromonte.\nGli anziani che abitano alle pendici del massiccio dell'Aspromonte (in provincia di Reggio Calabria) tramandano da secoli una leggenda secondo la quale la Sibilla Cumana avrebbe abitato un antico castello posto nei pressi del Santuario della Madonna di Polsi, dove tramandava alle fanciulle lo scibile umano. Quando una delle sue allieve di nome Maria sognò di un raggio di sole che le entrava dall'orecchio destro e usciva da quello sinistro, la Sibilla divinò il segno e comprese che la fanciulla sarebbe diventata la madre di Gesù Cristo. La profetessa, fino a quel momento certa che sarebbe stata scelta lei come madre del Salvatore, si adirò con Dio e venne confinata per sempre nel suo castello, che con il tempo cadde in rovina.Ancora oggi sono vive le tradizioni legate alla Sibilla e al fratello Marco, che con la profetessa è condannato nel castello a battere sui cancelli delle celle con la mano destra, tramutata in mazza dopo che egli l'aveva usata per schiaffeggiare sulla guancia Gesù Cristo. Un'altra tradizione vuole che la statua della Madonna di Polsi, quando esce in processione, debba voltare le spalle al castello della Sibilla. Il castello è identificato con la Pietra Castello, lungo la valle della Fiumara Bonamico.\nNel Guerrin Meschino, l'eroe in cerca della Sibilla giunge in Italia passando per Messina e Reggio Calabria, dove apprende che la fata dimora tra i monti dell'Appennino al centro dell'Italia, nei pressi della città di Norza (o Norsia). Nel libro si riferisce esplicitamente che Guerino passa oltre l'Aspromonte prima di giungere a Norcia. Inoltre nella grotta della Sibilla Guerrino incontra Macco, tramutato in serpente e condannato per la sua accidia a vivere confinato nelle grotta fino al giorno del giudizio.\nAnche in Sicilia erano vivi fino al secolo scorso diversi racconti popolari riguardanti la Sibilla, molti simili a quelli calabri in cui la Sibilla insegnava a Maria e alle fanciulle. Vi è inoltre un racconto il cui la Sibilla viene paragonata al personaggio biblico Nimrod, nel tentativo di costruire una torre altissima per raggiungere Dio (vedi il racconto della Torre di Babele).Sotto la chiesa di San Giovanni Battista a Marsala si trova la Grotta della Sibilla Sicula o Lillibetana.\n\nTracce nella letteratura tedesca.\nNel Wartburgkrieg (sec XIII), in cui si racconta di una competizione tra menestrelli avvenuta in Turingia nel 1207, si dice che Klingsor ottiene dalla dèa vergine Felicia (detta 'figlia di Sibilla') informazioni su come il Re Artù trascorra la vita nella montagna insieme a lei e a Giunone:.\n\nE ancora:.\n\nCulti pagani precedenti.\nA riguardo dell'origine più antica della Sibilla Appeninica, la maggioranza degli studiosi (tra i quali Gaston Paris, Pio Rajna, Fernand Desonay e Domenico Falzetti) cita le tradizioni legate a Cibele: Magna Mater anatolica, dea dei laghi e delle fonti, importata a Roma dalla Frigia nel 204 a.C., venerata con riti orgiastici e cruenti. Alla dea sarebbe stata sostituita la sibilla, tenuta in grande onore anche dai cristiani come profetessa.\nSecondo gli apologeti di questa teoria, la stessa parola 'Sybilla' potrebbe esse morfologicamente connessa con 'Cybele'.\nAncora, la forma della corona rocciosa della vetta del Monte Sibilla ricorderebbe il polos che adorna il capo di Cibele nelle icone tradizionali, la quale circostanza avrebbe contribuito all'accostamento della divinità a questo particolare monte.\nAltri parlano di una dea Nemesi o Norzia, dea della fortuna e del fato, di origine etrusca, rappresentata da un idolo d'argento con il volto di pietra nera, affine a Cibele, e che era venerata sotto forma di roccia ma anche come uno straordinario idolo, prima di pietra e poi d'argento, noto a Norcia sin dall'epoca del bronzo tardo: la dea Orsa. Si tratta di un ricco complesso mitico-rurale (sino ad ora quasi ignorato, forse una traduzione italica paleoumbra del culto di Artermide Brauronia con possibili influenze celtiche) nato a Norcia ma trasferitosi sulle montagne nel VI secolo e che può costituire un antecedente significativo del culto sibillino. Il nome della cattedrale di Santa Maria Argentea testimonierebbe il culto di questi idoli dalla testa argentata.Forse il culto pastorale del Giove delle alture - o, secondo altri, della Dea della Vittoria - si fuse con altre tradizioni oracolari dei Pelasgi approdati sulle coste marchigiane e con quelle dei Celti presenti sul territorio sin dal V seccolo a.C., ma anche con arcaici culti solari e riti erotico-orgiastici a dominante femminile.Le cerimonie a carattere iniziatico femminile (legate alle nozze e più in generale alla propiziazione delle fecondità umana e animale) erano caratterizzate da riti orgiastici e sembrerebbero apparentate con i riti descritti nelle tavole iuguvine, il più importante testo rituale dell'antichità classica risalente al 1000 a.C., inciso in sette tavole di bronzo tra III e I sec a.C. L'intero complesso può costituire le basi del mito della Sibilla Appenninica la cui figura si definisce e si consolida in epoca medievale.\n\nMedioevo e letteratura cavalleresca.\nLa figura del cavaliere.\nNel medioevo viene a definirsi in Europa la figura del cavaliere: non solo inteso come un nuovo ruolo militare che in quel periodo iniziò a ricoprire un'importanza sempre crescente negli eserciti, ma anche come modello di valori ideale.\nI costi da sostenere per l'equipaggiamento e l'addestramento della cavalleria facevano del cavaliere un ruolo riservato a ceti sociali nobili e abbienti, finendo per delineare una vera e propria casta sociale elitaria. Gradualmente si diffusero i blasoni come segno distintivo del cavaliere in battaglia e nei tornei, vennero introdotte le liturgie iniziatiche dell'investitura, si costituirono gli ordini cavallereschi, e i cavalieri divennero gli eroi della letteratura epica medievale.\nQuesto nuovo stile letterario si sviluppò dai poemi e le canzoni del ciclo carolingio, che celebravano le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini e cavalieri, spesso rileggendo la storia in chiave leggendaria; e dal ciclo bretone, ovvero l'insieme dei racconti leggendari di origine celtica riguardanti le isole britanniche, e in particolar modo i cavalieri di Re Artù.\nQuesta celebrazione e mitizzazione della figura del cavaliere contribuì ad adergerla, da semplice ruolo militare quale effettivamente era, a modello ideale di virtù e valori: il cavaliere si attiene alle regole del codice cavalleresco, che gli impongono lealtà, onore e coraggio; egli è inoltre difensore della cristianità, e protettore dei deboli, delle vedove e degli orfani, è devoto ad una donna alla quale presta giuramento di fedeltà e in nome della quale compie le proprie gesta.Presto si sviluppano dei temi ricorrenti su cui la letteratura cavalleresca è imperniata: l'esaltazione del valore individuale dell'eroe, il desiderio di avventura, l'amore cortese per la dama che redime il cavaliere, la ricerca del Graal, metafora della ricerca di una conoscenza trascendente.\n\nElementi cavallereschi nella leggenda della Sibilla.\nNei racconti medievali di Antoine de La Sale e di Andrea da Barberino si ritrovano svariati elementi propri della cultura fantastica del tempo. Va anche ricordato che Andrea da Barberino, traduttore delle chanson de geste e autore de I Reali di Francia, era un cultore della letteratura cavalleresca, e questo potrebbe spiegare il fatto che nel Guerrin Meschino si rintracciano aspetti riconducibili ai miti celtici del ciclo bretone.\nAd esempio, l'esile ponte sull'abisso, sorvegliato dai dragoni di pietra, e che si allarga appena vi si mette piede, sarebbe assimilabile al ponte della spada in Lancilloto o il cavaliere della carretta (1177-1181), sorvegliato da due minacciosi leoni che spariscono appena l'eroe supera il baratro; oppure al ponte sospeso sull'inferno che l'eroe Owein (nel Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii, 1190) deve superare durante il suo viaggio nel regno dell'aldilà: anche in questo caso il ponte si allarga miracolosamente quando Owein pronuncia il nome di Cristo.Un'altra figura del panorama mitologico medievale che compare nei racconti sibillini è la melusina: ovvero una fata dell'acqua con la coda di pesce o di serpente al posto delle gambe.\n\nIl mito cavalleresco del Cavaliere e la Dea.\nUn tema che ricorre in diversi miti cavallereschi è quello dell'Eroe e della Dea, della quale il cavaliere ha bisogno per adempire alla sua missione, ma che al contempo lo tiene prigioniero con le sue arti erotiche in un paradiso malefico.Questa tematica ricorrente nel mito, definita mitèma, sarebbe comparsa originariamente nelle leggende tradizionali celtiche di Oisin, ma sulla sua diffusione in Europa ci sono due teorie:.\n\nla prima vorrebbe che il mitema celtico, venendo a contatto con le tradizioni popolazioni germaniche, sarebbe stato reinterpretato nella leggenda del cavaliere Tannhäuser, per poi giungere in Italia e subire gli influssi delle preesistenti leggende della Sibilla, trasformandosi nelle storie dei cavalieri narrate dal De La Sale, e poi su reinterpretazione letteraria di Andrea da Barberino, nella storia del Guerrin Meschino.\naltri sostengono invece che il processo sia avvenuto all'inverso: ovvero che il mitema si sia sviluppato prima nella leggenda della Sibilla, e solo in seguito, grazie alla divulgazione attuata dal romanzo di Andrea da Barberino, sarebbe stato trasposto nella leggenda del Tannhäuser. Questa teoria sarebbe avallata dal fatto che il primo riferimento scritto alla leggenda germanica si trova in un lied del XVI secolo (molto posteriore quindi al Guerrin Meschino) al quale poi Wagner si sarebbe ispirato per comporre la sua opera teatrale Tannhäuser und der Sängerkrieg auf Wartburg (1845). In questa versione inoltre, quando Tannhäuser si reca da Papa Urbano IV per avere l'assoluzione, il pontefice la negherà dicendo che il perdono sarebbe stato possibile solo quando il suo bastone sarebbe fiorito, metafora per indicare la necessità di un miracolo divino: questa particolarità della grazia divina necessaria per la salvezza dell'anima (in contrapposizione con il perdono ottenuto per merito delle sue azioni dal Guerrin Meschino) è un concetto tipicamente luterano, quindi introdotto dal XVI secolo, e per questo costituirebbe una prova della posteriorità della leggenda del Tannhäuser rispetto a quella del Meschino.\n\nLe fate dei monti Sibillini.\nLe dame della corte della Sibilla, che con essa dimorano stabilmente nella grotta, sono identificate nella tradizione locale come fate.\n\nLe fate nella tradizione orale.\nLe fate sibilline sono descritte nei racconti popolari come giovani donne di bell'aspetto, vestite con caste gonne che celano però zampe di capra: il calpestio dei loro passi ricorda infatti il rumore degli zoccoli degli animali sulle pietraie dei monti.Queste affascinanti creature si muovevano tra il lago di Pilato, dove secondo la tradizione si recavano per il pediluvio, ed i paesi di Foce, Montemonaco, Montegallo, e tra gli altopiani di Castelluccio di Norcia e Pretare.\nLe fate amavano danzare nelle notti di plenilunio, e appropriandosi segretamente dei cavalli dei residenti raggiungevano le piazze dei paesi vicini alla loro grotta per ballare con i giovani pastori. Sempre secondo questi ricordi si attribuisce alle fate l'aver introdotto il ballo del 'saltarello'.\nPresso il paese di Rubbiano c'è una località che in ricordo di questi balli (reso 'valli' nel dialetto locale) si chiama tutt'oggi 'Valleria'.Uscivano prevalentemente di notte, ma dovevano ritirarsi in montagna prima del sorgere delle luci dell'aurora, per non essere escluse dall'appartenere al regno incantato della Sibilla. Si racconta che in una notte, durante la quale si erano attardate nei balli, le fate furono sorprese dall'alba e costrette ad una precipitosa fuga verso la grotta: a questo evento la leggenda fa risalire la formazione della Strada delle Fate, una faglia che attraversa orizzontalmente la costa del monte Vettore intorno a quota duemila metri.\nSecondo un'altra versione, le fate fuggirono dalla festa dopo che un uomo, insospettito dallo strano rumore dei piedi delle donne durante le danze, alzò la gonna di una di esse e scoprì le parti caprine.Secondo una leggenda, uscendo dalla loro grotta, le fate si fermavano presso una stalla per impadronirsi degli equini ed utilizzarli per rapidi spostamenti. Il proprietario dei cavalli insospettito dal ritrovare al mattino le bestie sudate ed affaticate, nonostante la fresca temperatura del ricovero, si appostò per capire cosa succedesse durante la sua assenza e scoprì che erano proprio le fate a servirsi dei suoi animali.\nAncora si racconta che le fate intreccino i crini dei cavalli al pascolo o durante la notte, ed è assolutamente proibito sciogliere queste trecce, onde evitare di incappare in una ripicca da parte delle creature fatate.\nSecondo altri racconti le fate si recavano anche a valle per insegnare alle giovani la filatura la tessitura delle lane.Da questa abitudine delle fate di avere contatti con il mondo che le circondava nasce anche il tema del mito dell'amore che le legava agli uomini. Questi ultimi, una volta entrati in contatto con loro, sarebbero stati sottratti al loro mondo, abbandonando così la sorte di semplici mortali, ed investiti di una sorta di immortalità virtuale che li avrebbe lasciati in vita fino alla fine del mondo, così come succedeva alle fate, ma costretti a vivere nel sotterraneo regno di Alcina.Le fate sibilline furono demonizzate per lunghi secoli dalle prediche di santi e di frati e costrette a rifugiarsi nelle viscere della montagna e costrette ad entrare a far parte del mondo invisibile. Sempre secondo la ricerca di Polia, gli abitanti delle zone imputano la scomparsa delle fate ad una sorta di scomunica inflitta loro da Alcina che volle punirle per aver incautamente mostrato le loro parti caprine.\n\nRetaggi della leggenda.\nSui monti Sibillini ci sono oggi molti luoghi segnati dal passaggio e dalla leggenda delle fate, infatti, oltre alla grotta della Sibilla e la Grotta delle Fate di Pretare (Monte Vettore), ci sono la Fonte delle Fate (Monte Argentella), i sentieri delle fate e la già citata Strada delle Fate.\nA Pretare ancora oggi una rappresentazione detta “La discesa delle fate” custodisce e rievoca la memoria della presenza di queste creature.Anche in alcuni detti popolari sopravvive il ricordo di queste misteriose creature quando si dice: “Quanto sono belle queste fate, però jè scrocchieno li piedi come le capre.” Polia riporta questa frase nella narrazione del racconto in cui descrive l'avvenenza di queste donne ed il desiderio degli uomini di riaccompagnarle presso la loro dimora.\n\nIpotesi sull'origine delle fate.\nSono fate la cui storia è indissolubilmente legata alle tradizioni leggendarie e popolari che si originano dalla presenza dell'oracolo della Sibilla Appenninica. Di loro non si ritrovano tracce nei racconti e nei miti del contado ascolano, ma soltanto nelle narrazioni tramandate dal versante umbro, cioè dalle zone di montagna comprese tra il massiccio del Vettore e monte Sibilla.Erano creature avvezze alle asperità della montagna e, secondo l'antropologo Mario Polia, non sarebbero da considerarsi come figure assimilabili alle creature leggiadre delle tradizioni celtiche, alle donne-elfo della tradizione germanica fatte di luce solare, alle fate delle fiabe che ballano nelle radure dei boschi o alle figure minori delle ninfe greche.Secondo alcuni, le fate in realtà potrebbero essere state delle donne celtiche, che orfane dei loro guerrieri morti o fatti prigionieri dai Romani nella battaglia di Sentino del 293 a.C., si rifugiarono in migliaia sulle alture umbro-marchigiane dove trovarono ospitalità.Renzo Roiati le individua come “le Tria Fata”.\n\nLe zampe caprine.\nIl particolare zoomorfo attribuito alle fate potrebbe avere due spiegazioni:.\n\nuna demonizzazione dell'immaginario collettivo pagano operato dalla predicazione cristiana potrebbe aver attribuito alle fate, attraverso i piedi di capra, una prerogativa tipica dell'immagine del diavolo, che a partire dal medioevo inizia ad essere raffigurato con le sembianze caprine del dio Pan;.\noppure, ponendo che la figura della fata sia nata come archetipo dell'inconscio collettivo junghiano, e quindi risentirebbe della condensazione del sogno, in essa potrebbero essere confluite l'immagine mitica del femminino divino e un'immagine tipica della società bucolica dei Monti Sibillini, che ha sempre vissuto principalmente di pastorizia.\n\nRiferimenti letterari.\nNel Liber octo quaestionum di Giovanni Tritemio (Questio sexta, De potestate maleficarum) è elencata una classificazione dei demoni, tra i quali figurano quelli sotterranei, i quali presentano caratteristiche che a tratti ricorderebbero quelle delle fate sibilline (balli, tesori sotterranei, 'infatamenti'):.\n\nSpettacoli teatrali.\nAlla leggenda della Sibilla Appenninica sono anche ispirati i seguenti spettacoli teatrali:.\n\n'La storia del Guerrin Meschino', di e con Marco Renzi, musiche di M. Lambertelli, Regia di P. De Santi, (Premio Padova 1989 come miglior spettacolo Teatro d’Attore nell'ambito del “Festival Nazionale del Teatro per i Ragazzi” Città di Padova).\n'Fate Caprine e Cavalieri Erranti. Lezione-spettacolo su Miti e Leggende dei Monti Sibillini', un monologo di e con: Cesar Cat.\n\nLa Sibilla nel neopaganesimo italiano.\nLa Sibilla Appenninica è una figura celebrata come una sorta di dea madre e figura positiva anche nel neopaganesimo sincretico-eclettico e paganesimo naturale italiano, e in alcuni ambienti derivati dai movimenti ricostruzionisti o eclettici La Sibilla è vista al pari della cosiddetta Dea o del femminino sacro, avvicinata a volte alla figura di Circe come divinità." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sibilla Cumana.\n### Descrizione: La Sibilla Cumana (gr. Σίβυλλα, lat. Sibylla), sacerdotessa di Apollo, è una delle più importanti Sibille, figure profetiche delle religioni greca e romana.\n\nLeggenda e riferimenti letterari.\nIl titolo di Sibilla Cumana era proprio dalla somma sacerdotessa italica, che presiedeva l'oracolo di Apollo (divinità solare ellenica) e di Ecate (antica dea lunare pre-ellenica), situato nella città magnogreca di Cuma. Ella svolgeva la sua attività oracolare nei pressi del Lago d'Averno, in una caverna conosciuta come l''Antro della Sibilla' dove la sacerdotessa, ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell'antro, rendendo i vaticini 'sibillini', cioè difficili e incerti da interpretare. La sua importanza era nel mondo italico pari a quella del celebre oracolo di Apollo di Delfi in Grecia.\nTali Sibille erano giovani vergini, le quali si pensava potessero vivere più a lungo dei comuni mortali (per questo a volte sono raffigurate come vecchie decrepite), che svolgevano attività mantica, entrando in uno stato di trance (furor).\nL'etimologia dell'italiano Sibilla deriva dal latino Sibylla, che a sua volta si rifà al greco antico Σῐ́βυλλᾰ (Síbulla). Sebbene l'ipotesi resti incerta, ritornando a ritroso per il dorico Σίοβολλα (Síobolla), si ipotizza che il suo significato sia riscontrabile nell'attico Θεοβούλη (Theoboúlē), cioè “volontà divina”.\n\nAlcuni nomi che ci sono rimasti delle Sibille cumane sono: Amaltea, Demofila ed Appenninica (di cui abbiamo testimonianza in Licofrone e in Eraclito). Nel libro VI dell'Eneide, Virgilio, la definisce 'longeva sacerdotessa' col nome di «Deifobe di Glauco» e «Amphrysia», appellativo originato dal fiume tessalo Amfriso, presso il quale Apollo custodì il gregge di Admeto.\nNel poema la Sibilla Cumana funge prima da veggente: si rifugia nell'antro 'dalle cento porte' e viene invasata da Apollo, cambiando aspetto e timbro di voce. Ivi sollecita le domande di un impaurito Enea e risponde con oscuri vaticini, promettendogli l'arrivo alla meta, ma con nuove sanguinose battaglie e un nuovo Achille (Turno), ma anche un soccorso da una città greca (Evandro). La sibilla poi consiglia Enea di seppellire il compagno morto (Miseno) e di procurasi un magico ramo d'oro nel bosco sacro, da offrire a Proserpina regina dell'Ade. Con questo mitico lasciapassare, gli farà da guida nel Regno dell'Oltretomba, fino al ritorno. La presentazione dell'oracolo è accompagnata dal cupo ritratto dei luoghi in cui vive e che formano un tutt'uno, a suggerire un'immagine di paura ma allo stesso tempo di mistero.\n\nAlla sua figura è anche legata una leggenda: «Apollo innamorato di lei le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed ella gli chiese l'immortalità. Ma si dimenticò di chiedere l'eterna giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala. Così decisero di metterla in una gabbietta nel tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve e rimase solo la voce. Apollo comunque le diede una possibilità: se lei fosse diventata completamente sua, egli le avrebbe dato la giovinezza. Però ella, per non rinunciare alla sua castità, decise di rifiutare».\nIn Ovidio, inoltre, nel libro XIV delle Metamorfosi la Sibilla Cumana narra ad Enea del dono ricevuto da Apollo, di tanti anni di vita quanti i granelli di sabbia che era possibile stringere nella propria mano; dimenticando tuttavia di richiedere l'eterna giovinezza, la Sibilla era destinata a un invecchiamento lunghissimo nel tempo.\nDante, costante evocatore dei miti virgiliani, cita talora anche la Sibilla, con particolari riferimenti alla difficoltà di cogliere il filo dei suoi responsi:.\n\nViene ricordata anche in un celebre passo di Petronio, che viene citato in epigrafe da Thomas Stearns Eliot nel suo La terra desolata:.\n\nL'antro della Sibilla Cumana si trova nella frazione di Cuma, tra i comuni di Pozzuoli e Bacoli, nella città metropolitana di Napoli. È ricordata una Sibilla Cumana anche a Ponte Arche (Trentino), sede delle Terme di Comano.\n\nInfluenza culturale.\nLa traduzione italiana della saga di Harry Potter presenta un chiaro omaggio alla Sibilla Cumana: l'insegnante di Divinazione, che in originale si chiama Sybil Trelawney, è stata denominata Sibilla Cooman.Presso il piccolo Museo Biblioteca Sociale Giacomo Leopardi di Casalnuovo di Napoli è in esposizione permanente l’opera in bronzo “Sibilla Cumana” del maestro scultore Domenico Sepe. L’opera viene esposta temporaneamente all’Antro del Parco Archeologico di Cuma, per una iniziativa del Festival Antro 2022 organizzato dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sibilla Ellespontica.\n### Descrizione: La Sibilla ellespontica è una profetessa appartenente al mondo pagano e non cristiano (da qui la differenza tra Sibilla e profetessa), che si narra abbia predetto la morte del Cristo, ed è per questo che è presente in vari dipinti con l'iconografia della pietà, come quello di Tiziano.\n\nLetteratura.\nA. Morelli, Dei e miti: enciclopedia di mitologia universale, Milano 1972 e successive edizioni.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Sibilla Ellespontica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sibilla Eritrea.\n### Descrizione: La Sibilla Eritrea era la profetessa dell'antichità classica che presiedeva sopra l'oracolo di Apollo a Eritre, una città della Ionia di fronte a Chios. Una leggenda vuole fosse figlia di una ninfa e del pastore (Teodòro), ambedue del monte Ida. Essa, sotto il nome di Eròfila, avrebbe insegnato agli Etruschi l'arte della divinazione tramite i fulmini.\nLa parola Sibilla viene, tramite il latino, dal greco antico sibylla, che significava profetessa. Le Sibille fornivano delle risposte il cui valore dipendeva da come era stata posta la domanda - a differenza dei profeti che di solito fornivano risposte indirettamente collegate alle domande. Ci sono state molte Sibille nel mondo antico, ma questo oracolo, secondo la leggenda, profetizzò la discendenza divina di Alessandro il Grande.\nPresumibilmente c'era più di una Sibilla a Eritre. Una viene ricordata per essersi chiamata Bàcoe e Eròfila. Si dice che almeno una sia stata originaria della Caldea, una nazione nella parte meridionale della Babilonia, essendo la figlia di Berosso, che scrisse la storia della Caldea, e di Erimante. Apollodoro di Eritre, comunque, dice che una era sua connazionale e predisse ai Greci, al momento della loro partenza per Troia, che essi avrebbero distrutto quella città e che un giorno Omero avrebbe raccontato a tale proposito molte cose non vere.\nLa parola acrostico venne inizialmente usata per le profezie della Sibilla Eritrea, che venivano scritte su foglie e disposte in modo che le lettere iniziali delle foglie formassero sempre una parola.\nNell'iconografia cristiana la Sibilla Eritrea appare a volte come colei che profetizzò la Redenzione. Vi sono degli esempi già in dipinti medievali nella cattedrale di Salisbury e poi nei noti affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina e nel pavimento di marmo della Cattedrale di Siena. È menzionata anche nella celebre Sequenza della Messa per i defunti, il Dies irae." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sibilla Tiburtina.\n### Descrizione: In mitologia, la Sibilla Tiburtina è una delle profetesse dell'antichità classica, passata poi anche nella tradizione cristiana, in quanto avrebbe predetto la nascita di Cristo.\n\nNella mitologia romana.\nVarrone la inserisce, all'ultimo posto, nell'elenco delle Sibille a lui note:.\n\nSulla Sibilla Tiburtina, oltre a Orazio e Tibullo, viene citato di solito anche Virgilio:.\n\ned il conseguente commento di Servio Mario Onorato:.\nInfinite discussioni ha provocato il termine Albunea, tanto che qualche commentatore identificò erroneamente la sede della Sibilla Tiburtina nella zona delle Acque Albule (l'attuale Tivoli Terme, già Bagni di Tivoli). Non è però possibile che l'Albunea citata da Virgilio sia quella divinità oracolare che aveva dimora nell'acropoli di Tivoli e che fu vista come Sibilla (mancano le esalazioni solforose) e nemmeno identificabile nella zona delle Acque Albule, perché vi è troppa distanza tra le stesse ed il territorio del re Latino (il rex ricordato da Virgilio) ed è verosimile allora che Albunea, in questo caso, sia una selva posta nel territorio di Lavinio.\n\nLeggenda e riferimenti letterari.\nGli studiosi moderni non avrebbero problemi ad attribuire i libri esistenti alle Sibille della lista varroniana, fatta eccezione per l'oracolo della decima Sibilla, la Tiburtina. Tale oracolo si presenta in un manoscritto separato fuori dal corpo principale, probabilmente composto dopo la fondazione di Costantinopoli e quindi lontano dalla conoscenza di Lattanzio.\nIl testo è inserito nella redazione greca della profezia attribuita alla Sibilla Tiburtina, conosciuto inizialmente solo in redazioni latine ed orientali. La profezia della Tiburtina, di genere apocalittico, è l'interpretazione di un misterioso sogno, riguardante nove soli diversi per aspetto e colore, fatto da cento senatori romani, i quali ne chiesero spiegazione alla Sibilla, che le versioni latine identificano appunto con la Tiburtina. Fino alla metà del secolo scorso il testo era conosciuto esclusivamente attraverso le rielaborazioni medievali in lingua latina, databili tra la metà del XI e l'inizio del secolo XVI, fitte di modifiche sia riguardanti la successione, via via aggiornata, dei sovrani e degli imperatori occidentali, sia il cosiddetto Sibylline Gospel, ovvero la spiegazione del IV sole, che rappresenta l'età del mondo in cui si colloca la nascita di Cristo. Erano note due principali versioni latine del vaticinium: la prima si ritrova nel testo pubblicato da E. Sackur nel 1898, che per tale edizione si servì di sei manoscritti di cui il più antico pervenutoci, è datato al 1047, e una delle due versioni a stampa a nostra disposizione, è quella attribuita al venerabile Beda, ristampata da Jacques Paul Migne tra gli opera dubia et spuria, e che con poche varianti figura anche in Goffredo da Viterbo, la seconda è il Vaticinium Sibyllae, riportato in un manoscritto dell'XI-XII secolo che fu pubblicato da Unsiger nel 1870. Il testo greco della Tiburtina fu scoperto nel 1949 da Silvio Giuseppe Mercati, ma è merito del professor Paul J. Alexander dell'università del Michigan averne curato l’editio princeps con notevole impegno scientifico. Esaminando la redazione greca dell'oracolo, si accerta che risale ad una redazione sicuramente anteriore; gli studiosi sono d'accordo nel ritenere che risalisse alla fine del IV secolo, ma che già prima del 390 circolasse in occidente una versione latina.\nL'autore potrebbe essere sia un sibillista cristiano del 500 circa o un orientale di cultura greca, forse originario della Siria. L'autore sibillista, come nelle redazioni latine ed orientali, finge che la Sibilla, spieghi a cento Senatori romani il significato dei dieci soli (secondo la versione greca, mentre la latina ne menziona nove), visti in sogno da ciascuno di loro. Ogni sole corrisponde ad un periodo storico, il decimo segnerà la fine del mondo e l'inizio del regno messianico escatologico. È certo che si tratti di una finzione, tipica della letteratura apocalittico giudaica.\nNella versione latina del testo, Albunea, arsa di furore profetico, aveva annunziato pene ai malvagi e premi ai buoni, nelle sue peregrinazioni per il mondo, sconvolgendo con le sue profezie terre lontane come l'Asia, la Macedonia e la Cilicia. La sua fama indusse il Senato romano ad invitarla a Roma. Giunta nella capitale dell'impero, stupì tutti per la sua bellezza, resa superba dalla divinità. Si presentarono al suo cospetto cento Senatori perché interpretasse il sogno fatto da tutti contemporaneamente. La Sibilla invitò i Senatori a seguirla sull'Aventino (fra gli ulivi del Campidoglio nel testo greco). Questi avevano sognato nove soli diversi tra loro sia nella grandezza che nella forma: il primo inondava di luce tutta la terra; il secondo, di maggiori dimensioni emanava luce ultraterrena; il terzo balenava luci sanguigne; il quarto rappresentava la quarta generazione del tempo di Cristo; il quinto sole univa l'elemento tenebroso (sangue) a quello luminoso; il sesto privo di luce conteneva un aculeo come di scorpione; il settimo era solcato da una spada sanguinante; l'ottavo, enorme, racchiudeva un nucleo di sangue ed infine il nono, nero e tenebroso come gli altri, veniva attraversato da un folgorante raggio luminoso.\nLa Sibilla Tiburtina interpretò i soli come generazioni future. La prima generazione sarebbe stata tranquilla, libera e sapiente; la seconda religiosa, pura; nella terza sarebbero iniziate guerre funeste a Roma; la quarta, popolata da increduli, avrebbe visto nascere la Vergine, il suo futuro sposo Giuseppe e il figlio Gesù. Albunea afferma inoltre, mentre descrive questo sole, che Dio è uno e chi crede avrà la vita eterna; la quinta generazione vedrà l'espugnazione di Gerusalemme; la sesta generazione sarà tenebrosa, infausta e piena di guerre; la settima vedrà due regnanti che perseguiteranno la terra giudea; l'ottava vedrà il decadere di Roma; nella nona età i principi romani corrotti saranno la rovina di molti; in quest'ultima generazione sono indicati i diversi regnanti medievali (secondo l'età e la provenienza dei manoscritti le liste dei regnanti presentano le aggiunte più disparate).\nLa Sibilla indicò i sovrani con la sola iniziale di ciascun nome, per ognuna delle nove età, e tra questi, nel testo greco, si rivolge soprattutto all'impero bizantino.\nDopo l'ultimo sovrano (che viene citato dal manoscritto più antico, quello dell'Escuriale del 1047) Enrico III il Nero della dinastia salica, Rex Romanorum dal 1039 al 1056, e dal 1046 Imperatore del sacro Romano Impero, la Sibilla dichiara che giungerà il figlio della perdizione, l'Anticristo, che ucciderà Enoc, nipote di Adamo, particolarmente vicino a Dio ed Elia, profeta dell'antico testamento, mandati ad annunciare l'avvento del Signore. Secondo la tradizione cattolica, entrambi sarebbero tornati in vita per volere di Dio, che ucciderà l'Anticristo per mezzo dell'Arcangelo Michele ed infine si giungerà al giudizio universale.\n\nÈ con questa allusione alla fine del mondo che si chiude la profezia della Sibilla Tiburtina, anche se nella versione della Tiburtina edita da Sackur, dopo aver introdotto al giudizio finale, la Sibilla intona il Judicii signum tellus sudore madescet, che rappresentava in occidente l'oracolo sibillino per eccellenza, grazie all'autorevolezza conferitagli da S. Agostino, vescovo di Ippona, che lo aveva riportato nel suo De civitate dei, pur se attribuendolo alla Sibilla Eritrea.\nDelle Sibille e delle loro predizioni hanno tenuto conto i Padri della chiesa, soprattutto riguardo ai divini misteri trattati dalla Sibilla Tiburtina, quali l'incarnazione, morte e resurrezione di Gesù Cristo e il Giudizio universale.\nNella seconda metà del IV secolo apparve dunque in oriente una profezia sibillina ambientata a Roma, che ha avuto ampia diffusione anche in occidente, dove è stata tradotta in latino e dove, lungo i secoli, è stata oggetto di varie riscritture. Più di un centinaio sono i manoscritti noti che ne conservano il testo, che fu ricopiato ininterrottamente dall'XI fino agli inizi del XVI secolo.\nLe maggiori versioni latine furono prodotte tra l'XI e il XII secolo.\nGli oracoli sibillini godettero dunque di grande diffusione nel Medioevo. Nella tradizione greca non si parla mai esplicitamente della Sibilla Tiburtina; tuttavia, come accennato, la veggente pronunzia il suo oracolo a Roma: la profetessa rivela ad Augusto l'avvento prossimo del figlio di Dio. Di questo celeberrimo racconto, sono note due differenti versioni, una diffusa in oriente e l'altra in occidente. Nella versione orientale, attestata nel VI secolo dal Chronicon di Giovanni Malalas, autrice della rivelazione non è una Sibilla, bensì la Pizia: è a lei, infatti che si sarebbe rivolto Augusto per conoscere il nome del proprio successore. La sacerdotessa di Apollo, simbolo di tutti gli oracoli pagani, ridotti al silenzio dall'avvento di Cristo, avrebbe detto all'imperatore di allontanarsi dagli altari, perché un fanciullo ebreo le imponeva ormai di tornarsene nell'Ade. L'imperatore avrebbe in seguito eretto un altare sul Campidoglio dedicato al figlio di Dio.\nIl venerabile Beda (672 - 735 d. C.), invece, attesta nella sua opera che tale oracolo fosse attribuito alla Sibilla Tiburtina e non alla Pizia.\nTra i testi che riportano la versione occidentale dell'oracolo, vanno ricordati i Mirabilia Urbis Romae, risalenti alla metà del XII secolo; nel capitolo undici di questo testo, Augusto si sarebbe rivolto non alla Pizia, ma ad una Sibilla, identificata come la Tiburtina, per consultarla in merito alla proposta dei senatori di tributargli onori divini e dopo tre giorni la Sibilla avrebbe pronunciato l'oracolo Judicii signum.\nNella biografia di Ottaviano Augusto si riferisce appunto della predizione fatta dalla Sibilla Tiburtina all'imperatore che, essendo stato osannato dal popolo con l'appellativo di Divus, le chiese se fosse opportuno farsi venerare al pari di una divinità. La Sibilla sottopose l'imperatore ad un digiuno di tre giorni al termine del quale gli svelò il vero Dio, al quale Augusto dedicò un sacrificio, il primo compiuto al vero Dio dal primo dei pagani. L'ara usata diede il nome alla Chiesa detta appunto dell’Ara coeli (altare del cielo). A ricordo dell'evento, per molti secoli, i francescani della Chiesa portavano in processione un'insegna della Sibilla che indicava un cerchio all'interno del quale era rappresentata la Vergine con il bambino in grembo. Tale rappresentazione sarà di grande uso nell'iconografia medievale come specificheremo in seguito. I francescani cantano tuttora tali versi: Stellato hic in circulo Sibyllae tunc oraculo, te vidit, Rex in coelo durante le feste di Natale.\nLa leggenda godette di enorme fortuna: ad essa si riferisce un sermone sulla Natività di papa Innocenzo III (1198-1216) . Nel XII secolo, nei Cronica imperatorum, la Sibilla Tiburtina figura sia come la profetessa della leggenda dell'Ara coeli, sia come l'interprete del sogno dei nove soli.\nTra l'XI e il XII secolo, è attestata la confluenza, sulla figura di una Sibilla chiamata Tiburtina, di tre diverse tradizioni profetiche: il sogno dei nove soli, l'acrostico sul Giudizio Finale e la profezia della nascita di Cristo.\n\nRiferimenti nell'arte.\nPittura.\nLa Sibilla Tiburtina con Sibille e Profeti nell'Abbazia di Sant'Angelo in Formis (XIII secolo).\nLa Sibilla Tiburtina è ritratta, nell'affresco realizzato dal Perugino, con altre cinque nella sala dell'udienza nel Nobile Collegio del Cambio a Perugia.\nLa Sibilla Tiburtina e l'imperatore Augusto nella pala d'altare di Konrad Witz, 1435, nel Musée des Beaux-Arts di Dijon (Digione).\nLa Sibilla Tiburtina, con le altre undici, nella Casa Romei a Ferrara, 1450.\nL'imperatore Augusto e la Sibilla Tiburtina, 1476, tecnica mista su legno, opera del cosiddetto 'Maestro della Sibilla Tiburtina', pittore olandese attivo tra il 1468 ed il 1495, Städel Museum, Francoforte sul Meno.\nLa Sibilla Tiburtina e l'imperatore Augusto, fronte dell'arco della Cappella Sassetti in Santa Trinita a Firenze, opera di Domenico Ghirlandaio, 1480 circa.\nLa Sibilla Tiburtina con le Sibille Cumana, Libica e Delfica nella volta della Cappella Carafa nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma, opera di Filippino Lippi (1488-1493).\nLa Sibilla Tiburtina, Cappella Marciac, Chiesa di Trinità dei Monti, Roma, secolo XVI (post 1540), opera di un anonimo.\nLa Sibilla Tiburtina e l'imperatore Augusto, pala dell'altare maggiore della chiesa di Santa Maria in Araceli a Vicenza, opera del pittore Pietro Liberi.\nLa Sibilla Tiburtina, con le altre undici, negli affreschi della cattedrale di Santo Stefano di Passavia in Germania, opera (1682-1684) del pittore Carpoforo Tencalla (1623-1685).\n\nIncisioni.\nLa Sibilla Tiburtina e l'imperatore Augusto nelle Discordantiae Sanctorum doctorum Hieronymi et Augustini et alia opuscola di Filippo Barberi (Philippus Siculus), Roma, 1481.\nLa Sibilla Tiburtina e l'imperatore Augusto nelle Cronache di Norimberga (Liber Chronicarum o Die Schedelsche Weltchronik), 1493.\nLa Sibilla Tiburtina e l'Imperatore Augusto, incisione di Antonio da Trento (prima metà del XVI secolo).\n\nSculture.\nLa Sibilla Tiburtina di Nino ed Andrea Pisano, 1337-1341, fino al 1464 sulla facciata ovest del campanile di Giotto a Firenze, spostata quindi sul lato ovest, ora nel Museo dell'Opera del Duomo, sostituita sulla facciata da una copia, come le altre statue e le formelle.\nSibilla Tiburtina (1483), parte del complesso a tarsie marmoree del pavimento del Duomo di Siena.\nLoreto, rivestimento marmoreo della Santa Casa: statua della Sibilla Tiburtina scolpita da Giovanni Battista della Porta (1572-76)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sibilla.\n### Descrizione: Emma.\n\nLe sibille (in greco antico: Σίβυλλα?, Síbylla; in latino Sibylla) sono sia dei personaggi storicamente esistiti, sia figure mitologiche greche e romane. Erano vergini ispirate da un dio (solitamente Apollo) dotate di virtù profetiche e in grado di fare predizioni e fornire responsi, ma in forma oscura o ambivalente.\nLeggendarie profetesse, erano collocate in diversi luoghi del bacino del Mediterraneo come a Cuma in Italia, a Delfi in Grecia, o in Africa ed Asia Minore.\nTra le più conosciute, la Sibilla Eritrea, la Sibilla Cumana e la Sibilla Delfica che sono rappresentanti di altrettanti gruppi come gli ionici, gli italici e gli orientali.\nNella Roma repubblicana e imperiale un collegio di sacerdoti custodiva gli Oracoli sibillini, testi sacri di origine etrusca, consultati in caso di pericoli o di catastrofi.\nDal II secolo a.C. si sviluppa negli ambienti ebraici romanizzati un'interpretazione dei vaticini delle Sibille corrispondente alle attese messianiche. Successivamente i cristiani videro nelle predizioni delle veggenti pagane preannunci dell'avvento di Gesù Cristo e del suo ritorno finale.\n\nOrigini del nome.\nL'etimologia del nome è incerta. Varrone ce ne riporta una popolare che la farebbe derivare dal greco sioù-boùllan al posto di theoù-boulèn, che indicherebbe 'la volontà, la deliberazione del dio'.\nSecondo Varrone, nel dialetto eolico si usava chiamare gli dei non θεούς (theóus), ma σιούς (sióus) e consiglio non βουλήν (boulén), ma βυλήν (bylén), da cui Σίβυλλα (Síbylla) o Σίβιλλα (Síbilla). La parola 'Sibilla' indicherebbe perciò la 'manifestazione della volontà (βυλήν) divina (σιούς)'.\nAbbiamo anche la forma Sybulam, che è molto suggestiva ('segno, avvertimento di dio'), ma si tratta di una trascrizione errata che ricorre solo sui manoscritti medievali.\nIn origine Sibilla (dal greco Sibylla) era un nome proprio di persona. Probabilmente era quello di una delle sibille più antiche, la Sibilla Libica, come ci attesta Pausania. Pausania si rifà ad Euripide che nel prologo di una delle sue tragedie perdute (la 'Lamia') avrebbe riferito il gioco di parole Sibyl/Lybis, secondo la lettura palindroma.\nDa nome proprio, col tempo 'Sibilla' è diventata una definizione, un epiteto, passando a designare un tipo particolare di profetessa. Ciò avvenne in seguito al sorgere in diversi luoghi sacri di santuari nei quali venivano proferiti degli oracoli, ed al parallelo fiorire di raccolte di profezie. Così all'originario nome proprio di Sibylla fu necessario aggiungerne un altro (che divenne quello geografico della località interessata) che permetteva di distinguerle l'una dall'altra.\nMa poiché nell'immaginazione degli antichi qualche sibilla - a causa della sua longevità millenaria - passava da un luogo all'altro per soggiornarvi lunghi periodi, ogni volta venendo chiamata con un nuovo nome geografico benché fosse sempre la stessa persona, essi sentirono il bisogno di ridare un nome proprio alle sibille più conosciute (p. es. 'Erofile').\n\nNella mitologia greca e romana.\nCon la parola 'Sibilla' gli antichi greci e latini si riferiscono a tutta la classe delle profetesse, donne vergini e giovani, talora ritenute come decrepite, che svolgevano attività mantica in stato di trance. Tali donne mostravano abitualmente ai profani ed alle folle i loro responsi, sempre vani, lievi e numerosi come le foglie, che il vento disordinava disperdendone così il testo. Queste vergini, affidando al vento benevolo le loro verità non sempre gradite, lasciavano spazio alle illusioni dei questuanti che interpretavano a loro piacimento i responsi.\nIl perdurare della loro presenza dà risposte, nel mondo classico, al perdurare di domande alle quali i riti e i culti 'diurni' in onore degli dei del Pantheon patriarcale sia romano che greco, non sapevano dare risposte.\nNei suoi scritti Platone ne cita solo una, anche se in seguito le sibille divennero una trentina.\nLo scrittore reatino Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) ne enumera dieci in ordine di tempo: Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia, Tiburtina.\nEmblematica la definizione della Sibilla che ci proviene dall'antichità classica, che le conferisce caratteri simili alla Pizia di Delfi: “Sibylla […] dicitur omnis puella cuius pectus numen recipit”.\nNonostante nella tradizione letteraria non sia mai venuto meno il concetto della verginità della Sibilla, non si esclude l'unione della Sibilla col dio, che tuttavia non può che scegliersi una sposa vergine. Per la Sibilla la verginità non escludeva la gravidanza, infatti ella si univa ad Apollo ricevendo dal dio il πνεῦμα, un afflato amoroso che la rendeva gravida dell'oracolo di cui si liberava di volta in volta. Questa unione con il dio Apollo ha spesso messo a confronto le Sibille con le Pizie delfiche, ovvero con le eroine della leggenda col dono di profetare, come ad esempio Cassandra, che non erano legate ad alcun santuario e rivelavano il futuro senza essere interrogate. Queste Pizie, il cui nome derivava da Apollo Pizio (uccisore del serpente Pitone del quale aveva preso il posto a guardia del santuario di Delfi, divenuto suo centro oracolare), vaticinavano ex tempore, ed i loro versi non venivano scritti nel momento in cui li profetavano nel santuario delfico. Le Sibille invece riportavano i loro oracoli che circolavano in forma di libro; inoltre queste parlavano in prima persona nei loro vaticini, mentre la Pizia profetava in stato di estasi, posseduta da Apollo, e quando parlava in prima persona era il dio stesso a parlare.\n\nVarrone e l'elenco canonico delle Sibille.\nL'origine delle Sibille come personaggi di antica tradizione, che già figuravano nella mitologia greca, si evince dalle testimonianze di Eraclito di Efeso (secoli VI-V a. C.), Euripide (V secolo a.C.), Aristofane (V-IV secolo a.C.), e Platone (V-IV secolo a.C.). Con l'estendersi della civiltà greca degli Ioni nel bacino del Mediterraneo si ebbe il moltiplicarsi delle Sibille nelle diverse tradizioni locali. Un ampio brano di Lattanzio, notoriamente interessato alla rivelazione sibillina, che egli stesso ritiene ispirata dall'unico Dio e rivolta alle nazioni, riflette la lista compilata da Varrone (I secolo a.C.), riguardante dieci Sibille connesse ad importanti centri del mondo ellenistico-romano.\nLa prima delle dieci varroniane era originaria della Persia da cui il nome Persica, che fu più tardi identificata con la Caldea. La seconda è quella che si diceva risiedesse in Libia, zona dalla quale prende il suo nome Libica: essa è menzionata da Euripide nel prologo della Lamia e considerata da Pausania la più antica di tutte; la terza è quella di Delfi (Delfica), di cui parla Crisippo nel libro “sulla Divinazione”, una tradizione la identifica inoltre con Erofile da Eritre e tale notizia ci è fornita da Eraclide Pontico, che parla di una Sibilla frigia nota a Delfi col nome di Artemide. Secondo Plutarco invece, questa sarebbe giunta dall'Eliconia, fu lei a predire ai Greci, in partenza per Ilio, che questa città sarebbe stata distrutta e che Omero avrebbe scritto dai suoi oracoli.\nLa quarta Sibilla è quella Cimmeria situata in Italia, presso i Cimmeri intorno al lago Averno, di cui parlano Nevio nei suoi libri Bellum Poenicum e Pisone negli Annales. La quinta Sibilla è quella Eritrea che Apollodoro di Eritre afferma essere sua compatriota. La sesta era la Samia, di cui parla Eratostene affermando di aver scoperto uno scritto negli antichi Annales dei Sami.\nLa settima sibilla è la Cumana, detta anche Amaltea, Demofile o Erofile di cui abbiamo testimonianza in Licofrone, uno scrittore greco del IV secolo a.C. e in Eraclito. Fu la Sibilla Cumana a portare nove dei cosiddetti Libri Sibillini al cospetto di Tarquinio il Superbo.\nL'ottava Sibilla è quella dell'Ellesponto (Ellespontina), essendo nata nella campagna troiana nella cittadina di Marpesso, presso la località di Gergithium. Eraclide del Ponto scrive che questa visse al tempo di Solone e di Ciro. La nona è la Frigia, una Sibilla greca, più volte assimilata alla Marpessa, detta anche Cassandra o Taraxandra. La decima sibilla è quella di Tivoli (Tiburtina), dove era adorata come una dea sulle rive dell'Aniene, nei cui gorghi si dice fu trovata la sua statua che teneva un libro sibillino in mano; era chiamata anche Albunea.\nUna delle sibille non citate da Varrone in quanto sorta in epoca medievale è la Sibilla Appenninica, detta anche 'Oracolo di Norcia' che viene legata alla Grotta della Sibilla situata sul Monte Sibilla, nella catena dei Monti Sibillini nei comuni di Arquata del Tronto e Montemonaco.\n\nI nomi delle Sibille e alcune delle loro profezie cristologiche.\nSibille identificate da nomi geografici.\nSibille orientali.\nSibille che appartengono al gruppo orientale:.\nSibilla Babilonese.\nSibilla Caldea.\nSibilla Ebraica.\nSibilla Egizia.\nSibilla Libica o Libia: Erit Statera Cunctorum.\nSibilla Persica o Persiana: Erit Salus Gentium.\n\nSibille greco-ioniche.\nSibille che appartengono al gruppo ionico:.\nSibilla Claria o Sibilla di Klaros.\nSibilla Colofonia.\nSibilla Cumea.\nSibilla Delfica o Sibilla di Delfi: Absque Matris Coitu Ex Vergine Eius.\nSibilla Efesia o Sibilla di Efeso.\nSibilla Ellespontica o Sibilla Ellespontiaca: Prospexit Deus Humiles Suos.\nSibilla Eritrea o Sibilla di Erythre: Iacebit in Feno Agnus.\nSibilla Euboica o Sibilla Eubea.\nSibilla Frigia: Ex Olimpo Excelsus Veniet.\nSibilla Gergitica o Sibilla di Gergis.\nSibilla Macedone.\nSibilla Marpessia o Sibilla di Marpesso.\nSibilla Samia o Sibilla di Samo: Laudate Eum In Atriis Celorum.\nSibilla Sardica o Sibilla di Sardi.\nSibilla Tesprozia.\nSibilla Tessalica.\nSibilla Troiana.\n\nSibille greco-italiche.\nSibille che appartengono al gruppo italico:.\nSibilla Cimmeria detta anche Emeria o Chimica: Et Lac de Celo Missum.\nSibilla Cumana o Sibilla di Cuma: Surget Gens Aurea Mundo.\nSibilla Italica.\nSibilla Lilibetana.\nSibilla Sicula o Sibilla Siciliana.\nSibilla Tiburtina: Nascetur Christus in Bethlehem.\n\nSibille medievali.\nNomi di sibille sorti forse in epoca medievale, alcuni di essi si riferiscono ad una stessa sibilla:.\nSibilla Agrippina o Sibilla Agrippa Invisibile Verbum Palpabitur.\nSibilla Appenninica o Sibilla Picena o Sibilla di Norcia.\nSibilla Europea: Regnabit in Paupertate.\nSibilla Lucana.\nSibilla Rodia o Sibilla di Rodi.\n\nNell'arte.\nLe sibille hanno ispirato l'arte cristiana dall'XI secolo in numerosi cicli pittorici, scultorei ed incisori. Esse sono normalmente raffigurate come la controparte femminile dei profeti; l'esempio più famoso si trova nella serie dei Veggenti sulla volta della Cappella Sistina, affrescata da Michelangelo.\nMentre i profeti annunziarono il Messia agli ebrei, le Sibille lo comunicarono, seppur in modo oscuro, ai pagani, completando quindi l'opera di annuncio universale.\nL'iniziale verso del famoso Dies Irae cita assieme questi due aspetti della profezia: 'Dies irae, dies illa, solvet saeculum in favilla, teste David cum Sibilla.'.\nNella leggenda romana medievale di fondazione della basilica di Santa Maria in Ara Coeli ha un ruolo centrale la Sibilla, che spiega una visione celeste di una donna con bambino, apparsa ad Augusto mentre compiva un sacrificio agli dei. La sibilla annuncia che sarà il futuro unico signore del mondo e invita ad adorarlo nel luogo della futura basilica, costruendo un altare ('ara') del cielo ('coeli').\n\nPittura.\nla Sibilla affrescata (prima dei Profeti) nella Abbazia di Sant'Angelo in Formis (XIII secolo).\nle Sibille affrescate da un anonimo ferrarese nella Sala delle Sibille in casa Romei, Ferrara (1450 circa).\nle quattro Sibille dipinte da Domenico Ghirlandaio e bottega nella Volta della Cappella Sassetti in chiesa di Santa Trinita, Firenze, 1479-1485:.\nla Sibilla Cumana.\nla Sibilla Eritrea.\nla Sibilla Cimmeria.\nla Sibilla Agrippa.\nle dieci Sibille nel pavimento del Duomo di Siena, autori vari (1482-1483).\nIl ciclo di affreschi delle Sibille nell'abside centrale del Santuario di Nostra Signora Assunta di Piani (Imperia) ad opera di Tommaso Biazaci (1488-91).\nle quattro Sibille dipinte nella volta della Cappella Carafa nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma, di Filippino Lippi (1488-1493):.\nLa Sibilla Tiburtina.\nLa Sibilla Cumana.\nLa Sibilla Libica.\nLa Sibilla Delfica.\nle dodici sibille in coppia con altrettanti profeti affrescate da Pinturicchio in Vaticano (Appartamento Borgia, 1492-1494):.\nGeremia e la Sibilla Frigia.\nMosè e la Sibilla Delfica.\nDaniele e la Sibilla Eritrea.\nBaruc e la Sibilla Samia.\nZaccaria e la Sibilla Persica.\nAbdia e la Sibilla Libica.\nAggeo e la Sibilla Cumana.\nAmos e la Sibilla Europea.\nGeremia e la Sibilla Agrippina.\nIsaia e la Sibilla Ellespontica.\nMichea e la Sibilla Tiburtina.\nEzechiele e la Sibilla Cimneria.\nDio Padre in gloria tra angeli e cherubini sopra un gruppo di sei profeti e sei sibille, affresco del Perugino nella Sala delle Udienze del Collegio del Cambio a Perugia (1496-1500); sono raffigurate la Eritrea, la Persica, la Cumana, la Libica, la Tiburtina e la Delfica.La Sibilla con profeta, dipinto a tempera di Andrea Mantegna, conservato nel Cincinnati Art Museum (1495-1500 circa).\nle quattro Sibille negli spicchi della volta a crociera della Cappella Baglioni, Pinturicchio (1500-1501).\nle cinque famose sibille affrescate da Michelangelo per la Cappella Sistina a Roma (1509):.\nSibilla Delfica.\nSibilla Eritrea.\nSibilla Cumana.\nSibilla Persica.\nSibilla Libica.\nLa Sibilla dipinto a olio su tela attribuito a Vittore Carpaccio, conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze, che fa coppia con un Profeta (1510 circa).\nle Sibille e angeli affrescate da Raffaello nella cappella Chigi, chiesa di Santa Maria della Pace a Roma (1513-1515);.\nle Sibille Cumana, Cipria (o Eritrea), Cumea, Samia, Persica e Frigia dipinte insieme ai profeti tra le Storie della vita della Vergine da Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio nella volta della Sala del tesoro della Basilica della Santa Casa, a Loreto, (1605-10).\nle Sibille del Guercino (1647-1666).\nSibilla Persica, Musei Capitolini, Roma.\nSibilla Samia, Uffizi.\nSibilla Cumana, Londra, Collezione Denis Mahon.\nSibilla Ellespontica, Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle.\nSibilla, collezione di Elisabetta II.\naltre Sibille in collezioni private.\nla Sibilla Persica dipinta da Benedetto Gennari, in Collezione privata, 1647-50 ca.\nLe dodici Sibille negli affreschi della cattedrale di Santo Stefano di Passavia, opera di Carpoforo Tencalla (1682-1684).\nle dodici Sibille dipinte da Martino Bonfini all'inizio del XVII secolo nel Santuario della Madonna dell'Ambro, che ritrae le dodici sibille descritte dal domenicano Filippo Barbieri nell'opera 'Discordantiae nonnullae inter SS Hieronymus et Augustinum' datata attorno al 1481. Tra esse figura la Sibilla Chimica, da alcuni erroneamente associata all'alchimia, mentre in realtà altri non è che la Sibilla Cimmeria, che appunto nell'opera del Barbieri viene specificato chiamarsi anche Chimica o Emeria. Altra prova dell'identificazione della Sibilla Chimica con la Cimmeria si ha leggendo il vaticino, ovvero la previsione sulla venuta del Cristo a lei attribuita, in quanto quello riportato nella tavoletta che tiene in mano la Sibilla Chimica nel dipinto del Santuario della Madonna dell'Ambro corrisponde a quello della Sibilla Cimmeria riportato dal Barbieri nella sua opera.\nLa Sibilla Appenninica dipinta a tempera da Adolfo De Carolis, tra il 1907 ed il 1908, nel ciclo decorativo del salone di rappresentanza del Palazzo del Governo di Ascoli Piceno, oggi sede della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale.\n\nSculture e rilievi.\na Napoli nel Museo di San Martino tra le più antiche statue lignee presepiali vi è qualche figura di Sibilla (di Giovanni e Pietro Alamanno, 1478-1484).\nSanta Casa di Loreto: dieci statue di sibille nel rivestimento marmoreo della Santa Casa scolpite da Tommaso e Giovanni Battista della Porta (1572-76). Compaiono erette nel registro superiore del rivestimento marmoreo ad altezza quasi naturale la Sibilla Ellespontica, Frigia, Tiburtina, Libica, Delfica, Persica, Eritrea, Cumana, Pontina e Samia.\nPalermo, Chiesa di S. Maria degli Angeli (detta della Gancia): gruppo in stucco 'Visione della Sibilla Cumana da parte dell'imperatore Augusto' di Giacomo Serpotta (1710 ca.).\n\nIncisioni.\nDodici Sibille incise a bulino da Baccio Baldini verso il 1460.\nDodici Siblle incise in xilografia da Ugo da Carpi verso il 1520.\nDodici Sibille incise all'acquaforte da Johann Theodor de Bry figlio verso il 1610.\nDodici Sibille incise all'acquaforte da Romain de Hogue verso il 1660.\nDodici Sibille incise all'acquaforte da Jacopo Guarana verso il 1790.\n\nMusica.\nTutti i Requiem nel Dies Irae (Mozart, Verdi...).\nAnonimo, Dies irae, in Carmina Burana, sec. XIII.\nOrlando di Lasso (1532-1594) 'Prophetiae Sibyllarum... chromatico more'.\nEl cant de la Sibilla, Ensemble San Felice, Pueri Cantores della Cattedrale di Sarzana, direttore Federico Bardazzi, Brilliant Classics 2017." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sicano.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, con il nome Sicano (Σικανός in greco antico) è conosciuto un re antichissimo dell'isola di Sicilia. Secondo i mitografi, Sicano è figlio di Briareo (o Egeone), uno dei tre Ecatonchiri. Secondo questa genealogia, Sicano era nipote di Urano e Gea. Secondo un'altra versione, Sicano è ritenuto il padre dei Ciclopi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sigeo.\n### Descrizione: Sigeo o Sigeion (in greco antico Σίγειον / Sígeion, in latino Sigeum) è stata una città greca situata con un promontorio nella regione della Troade, alla foce del fiume Scamandro (nome attuale Karamenderes).\nÈ stata la prima colonia fondata da Atene, intorno al 610 a.C.; la sua importanza risiedeva nel fatto che fosse un avamposto fisso che garantiva le forniture di grano dalle regioni del mar Nero.Il sito è stato oggetto dal 2006 di una campagna di scavi portata avanti dall'Università di Tubinga sotto il patrocinio del Deutsches Archäologisches Institut.\n\nCittadini illustri.\nDamaste di Sigeo.\nHegesistrato o Egesistrato di Sigeo (Ἡγησίστρατος), figlio del tiranno ateniese Pisistrato e della concubina argiva Timonassa. Venne, a sua volta, fatto tiranno della città di Sigeo per volere del padre. Quando suo fratello Ippia fu espulso da Atene nel 510 a.C. si rifugiò a Sigeo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sileno.\n### Descrizione: Sileno (in greco antico: Σιληνός?, Silēnós), oppure Seileno (in greco antico: Σειληνός?, Seilēnós), è un personaggio della mitologia greca e corrisponde al vecchio dio rustico della vinificazione e dell'ubriachezza antecedente a Dioniso.\n\nAspetto.\nDall'aspetto di un anziano calvo, corpulento e peloso era spesso raffigurato con attributi animaleschi.\nDisprezzava i beni terreni, aveva i doni di straordinaria saggezza e della divinazione.\n\nGenealogia.\nNonno di Panopoli scrive che sia stato generato da Gaia mentre secondo altri autori è figlio di Pan e di una ninfa.Servio Mario Onorato sostiene che sia figlio di Hermes.\nCon la ninfa Melia generò Folo e Dolione e secondo Nonno di Panopoli lui solo è il padre dei Silenoi.\n\nMitologia.\nEra lo spirito della danza della spremitura dell'uva sul torchio ed il suo nome deriva dalle parole seiô, 'muoversi avanti e indietro' e lênos 'il trogolo del vino'.\nRicevette in cura da Ermes il piccolo Dioniso e lo fece allattare dalla ninfa Nisa in una grotta sul monte Nisa.\nAnni dopo, mentre accompagnava Dioniso in un viaggio attraverso la Frigia, Sileno si perse e fu ritrovato da re Mida che lo trattò in modo ospitale e gli diede una guida in grado di indicargli la strada da seguire per ricongiungersi alla carovana.\nSecondo gli autori latini, da Sileno discendono le tribù dei Satiri e delle ninfe.\nA volte veniva moltiplicato in una triade od in un grande gruppo (i Silenoi) o veniva spesso identificato con un numero di altre divinità rustiche minori come Hekateros (il nonno del Satiei) od Oreads, od anche Nysos e Lamos (che in alcuni casi sono citati come i genitori adottivi ed alternativi di Dioniso).\nAltre sue identificazioni sono Aristaios (il dio dei pastori), Oreios (un altro padre adottivo di Dioniso), l'essere padre degli Hamadryades, di Pyrrhichus, di un Curete della danza rustica ed il satiro Marsia che suona il flauto.\n\nI Silenoi.\nI Sileni (anche Silenoi) sono figure della mitologia greca, divinità minori dei boschi, di natura selvaggia e lasciva, imparentati con i Centauri e nemici dell'agricoltura.\nMolto spesso assimilati ai Satiri, tanto che il termine sileno viene anche usato per indicare un satiro anziano e sono chiamati anche Papposileni.\n\nSocrate.\nIn un celebre passo platonico Alcibiade, intervenuto al simposio filosofico in onore di Agatone, in preda all'ebbrezza, dichiara il suo amore intellettuale per Socrate. Per far questo esordisce proprio associando l'aspetto esteriore e interiore del filosofo a certe raffigurazioni scultoree di Sileno in vendita nei mercati, che, una volta aperte, svelano al loro interno un'immagine divina. E descrive il turbamento generato dall'ascolto delle parole di Socrate alle melodie dell'aulos di Marsia.\n\nNietzsche.\nIn La nascita della tragedia di Friedrich Nietzsche, Sileno è individuato come portatore della saggezza dionisiaca, ovvero del senso tragico dell'esistenza, celato dai greci stessi attraverso l'apollineo.\n\nEgli cita l'incontro di re Mida con Sileno:." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Simoenta (fiume).\n### Descrizione: Il Simoenta è un fiume situato presso la città di Troia e menzionato nei poemi omerici.\nIl fiume è identificato con l'attuale Dumrek Su, a nord della collina di Hissarlik.\nCome anche per lo Scamandro, in alcuni casi degli eroi omerici avrebbero ripreso il loro nome dal fiume: un esempio è Simoesio, giovinetto guerriero troiano figlio di Antemione, così chiamato perché partorito dalla madre proprio lungo il Simoenta (Iliade, canto IV).\n\nVoci correlate.\nSimoesio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Simplegadi.\n### Descrizione: Le Simplegadi (dal greco syn, insieme, e plésso, urtare, battere) sono, nella mitologia greca, un gruppo di isole, note anche come Isole Cianee, all'ingresso del Ponto Eusino. Si narrava che queste isole si scontrassero continuamente fra loro (da qui il nome), costituendo così un pericolo per i marinai che navigavano in quelle acque. Furono attraversate da Giasone e gli Argonauti durante la ricerca del Vello d'oro.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Simplegadi.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Symplegades, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Simposio (Platone).\n### Descrizione: Il Simposio (in greco antico: Συμπόσιον?, Sympósion) noto anche con il titolo di Convito, o a volte anche Convivio, è forse il più conosciuto dei dialoghi di Platone. In particolare, si differenzia dagli altri scritti per la sua struttura, che si articola non tanto in un dialogo, quanto nelle varie parti di un agone oratorio, in cui ciascuno degli interlocutori, scelti tra il fiore degli intellettuali ateniesi, espone con un ampio discorso la propria teoria su Eros ('Amore').\n\nL'ambientazione e lo svolgimento.\nIl contesto in cui si inseriscono i vari interventi è rappresentato dal banchetto, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria negli agoni delle Lenee, oppure alle Grandi Dionisie, del 416 a.C. Fra gli invitati, oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, troviamo il medico Erissimaco, il commediografo Aristofane, Pausania, l'amante di Agatone, e il suo amico Fedro, figlio di Pitocle ed esperto di retorica: ognuno di loro, su invito di Erissimaco, terrà un discorso che ha per oggetto un elogio di Eros.\nVerso la fine, fa una clamorosa irruzione anche Alcibiade, completamente ubriaco, incoronato di edera e di viole, accompagnato dal suo komos, che si presenta per festeggiare Agatone, e che viene accolto con cordialità. Alla fine del banchetto, la mattina seguente, Socrate (uno dei pochi rimasti svegli per tutta la notte) lascia l'abitazione e, seguito da Aristodemo, si dirige verso il Liceo, luogo nel quale Aristotele, molti anni dopo, fondò la sua scuola.\n\nPrologo.\nDurante una notte ad Atene due personaggi, Apollodoro e un suo amico indicato col semplice connotativo hetairos (= un amico), passeggiano conversando per le vie della città. A un certo punto, l'amico di Apollodoro gli chiede di raccontargli del famoso banchetto tenutosi in casa di Agatone con Socrate, Pausania, Fedro, Erissimaco, Aristofane e molti altri.\nPrima di iniziare il suo racconto, Apollodoro spiega che il banchetto si era svolto molti anni prima e che egli ne aveva sentito parlare da Aristodemo, un allievo di Socrate che vi aveva presenziato. La cornice del dialogo attesta così un triplice livello di 'incassamento' narrativo: Apollodoro racconta a un amico che Aristodemo gli ha raccontato che, nel corso del banchetto a casa di Agatone, si è svolta tra i commensali una discussione sulla natura dell'amore.\nUna sera, Aristodemo incontra per la strada Socrate, e nota che il filosofo si è fatto incredibilmente bello: è ben vestito, profumato e indossa perfino dei sandali, cosa davvero insolita per uno come lui. Socrate spiega che si sta dirigendo in casa di Agatone, il quale sta dando una festa per celebrare una sua vittoria teatrale e Aristodemo lo segue incuriosito.\nTuttavia per la strada Socrate rimane indietro a riflettere ed entra in casa solo a metà della festa, malgrado i continui richiami di Agatone. Dopo essersi puliti ed aver bevuto del buon vino mielato, il padrone di casa chiede agli invitati di che cosa vogliano discutere quella sera e uno di loro, Erissimaco, propone la discussione su Eros, ovvero sull'Amore. Tutti sono entusiasti dell'argomento e cominciano a dialogare.\n\nFedro.\nIl primo a parlare tra gli invitati è Fedro. Egli afferma che Eros è il più antico fra tutti gli dèi ad essere onorato, come attestano Esiodo, nella Teogonia, e Acusilao, i quali all'origine del mondo formano il Caos e la Terra e quindi anche Amore. Inoltre, Parmenide sostiene che la Giustizia «per prima, fra tutti gli dei, si prese cura di Amore». È Eros a spingere amante e amato a gareggiare in coraggio, valore, nobiltà d'animo: gli eserciti, se costituiti da tutti amanti e amati, sono imbattibili:.\n\nFedro porta alcuni esempi, primo fra tutti quello di Alcesti che superò in amore i genitori di Admeto, suo sposo, tanto da farli apparire estranei alla sua vicenda e da suscitare l'ammirazione degli dei; cosa che non avvenne a Orfeo, che tornò indietro dall'Ade senza risultato, poiché era apparso vile. Gli dei invece onorarono Achille, che per sua scelta morì in aiuto e vendetta di Patroclo, suo amante, riservando a lui l'Isola dei Beati.\nVerso la fine del discorso si assiste a un rovesciamento del concetto greco secondo il quale l'amato è superiore all'amante, perché autosufficiente, non soggetto a urti e scossoni. Perciò il greco ama l'uomo, ritenendo la donna indegna di un essere superiore. Qui invece la superiorità è dell'amante e perciò il merito maggiore è dell'amato che ama, Achille, mentre Alcesti non è amata, ma amante. L'ultima frase del discorso inoltre sottolinea l'importanza di Amore:.\n\nPausania.\nPausania è il secondo a parlare fra gli ospiti. Egli distingue due generi di Amore, poiché come esistono due Afroditi (l'Afrodite Urania, 'celeste', figlia di Urano, e l'Afrodite Pandèmia, 'comune', 'volgare', figlia di Zeus e di Dione) così esistono anche due Amori: il primo detto 'Celeste', si accompagna all'Afrodite 'Urania', il secondo detto 'Volgare', si accompagna invece all'Afrodite 'Pandèmia'.\nL'Amore Volgare è volto ad amare i corpi più che le anime e, partecipando di entrambe le nature dei suoi genitori, maschile e femminile, preferisce tanto le donne - considerate nella cultura greca antica oggetto inferiore d'amore - quanto i fanciulli imberbi, quindi facilmente plagiabili. L'Amore 'Celeste', invece, trascende quello corporale e si fa guida verso un elevato sentire: «è bello in tutti i modi dunque a causa della virtù mostrarsi compiacenti». Il suo discorso si conclude con una ricerca della giustificazione dell'amore omofilo basandosi sui nomoi (cioè le norme, siano esse leggi scritte o no) delle varie regioni della Grecia - 'In Elide, a Sparta e presso i Beoti, dove non vi sono abili parlatori risulta stabilita semplicemente la norma che è bello concedersi agli amanti', (182b) - mostrando come ciò sia disprezzato «nella Ionia e nelle altre regioni dominate dai barbari» , mentre ad Atene il nomos è più complicato, poiché è considerato lecito farlo in privato, riprovevole farlo in pubblico.\n\nErissimaco.\nCome terzo, in sostituzione di Aristofane che è colto dal singhiozzo, interviene Erissimaco, il quale, da buon medico, considera l'amore un fenomeno naturale e ne distingue gli aspetti normali da quelli morbosi. Nell'esporre la sua teoria si trova d'accordo sulle due specie d'Amore individuate da Pausania: «che Amore dunque sia duplice, pare a me che sia un distinguere bene», con una piccola differenza però: al posto dell’Afrodite Pandemia (Volgare), Erissimaco pone l'Afrodite 'Polimnia' ('dai molti inni', cioè portatrice di disordine). Amore infatti, come ogni cosa in natura, deve essere armonico ed equilibrato in ogni sua azione - «comunione di opposti»: infatti la 'soverchieria', 'il disordine' insiti in ogni forma di attrazione non possono riuscire a buon fine, ma determinano contagi, malattie, guasti e distruzione; «ma quando invece l'Amore diventa incontenibile e infuria violento durante le stagioni dell'anno, produce guasti e distrugge molte cose» (188a-b).\nAll'inizio del suo discorso, inoltre, Erissimaco ci propone una sua definizione di medicina, e di armonia, e afferma che «nella musica, nella medicina e in tutte le altre attività umane e divine, per quanto è dato, bisogna bene osservare l'uno e l'altro di questi amori: infatti sussistono ambedue».\nErissimaco infine, come Pausania, cerca anch'egli una giustificazione per l'amore omofilo, trovandola in maniera più fondata nella Physis (natura) piuttosto che nel Nomos.\n\nAristofane.\nCome quarto, rimessosi dal singhiozzo, interviene Aristofane, il quale spiega la sua devozione verso Amore per mezzo di un fantasioso, ma significativo mito. Per lui, all'origine del mondo, gli esseri umani erano differenti dagli attuali, formati da due degli umani attuali congiunti tramite la parte frontale (pancia e petto). Inoltre essi erano di tre generi: il maschile, il femminile e l'androgino, che partecipa del maschio e della femmina (cioè, appunto, ἀνδρόγυνος, 'uomo-donna'). La forma degli uomini era inoltre circolare: quattro mani, quattro gambe, due volti su una sola testa, quattro orecchie, due organi genitali e tutto il resto come ci si può immaginare. Questa natura doppia è però stata spezzata da Zeus, il quale fu indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza, al fine di renderli più deboli ed evitare che attentassero al potere degli dei (d'altro canto, eliminarli del tutto avrebbe comportato la perdita dell'unica forma vivente da cui gli dei erano venerati).\n\nMa da questa divisione in parti nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le 'parti' non fanno altro che stringersi l'una all'altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire 'fittiziamente' l'unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.\n\nAgatone.\nPer quinto parla il padrone di casa, Agatone, che definisce Amore il dio più bello e più nobile. Egli si incarica di dire «qual è e di quali beni artefice» è Amore. «Amore è il più felice perché è il più bello e il migliore. È il più bello perché è tale: anzitutto è il più giovane tra gli dei», e inoltre «è il più giovane e il più soave, e oltre a ciò è come flessuoso nell'aspetto. Non sarebbe infatti in grado di abbracciarsi ovunque, né di entrare in ogni anima di nascosto e poi uscirne se fosse inflessibile». Da sottolineare l'affermazione che «tra Amore e bruttezza c'è sempre guerra», poiché Amore simboleggia la bellezza, «la sua esistenza tra i fiori reca una testimonianza della bellezza della carnagione del dio». Egli non fa ingiustizia né la subisce, perché 'giustizia', 'morigeratezza', 'potenza' e 'sapienza' sono le virtù che lo contraddistinguono:.\n\nAgatone compone anche versi in onore di Amore:.\n\nE conclude il suo discorso tessendone un elogio molto poetico.\n\nSocrate.\nSocrate interviene per sesto e ultimo. Sulle prime tenta di schermirsi per la sua incapacità come oratore, ma sostenuto dalla convinzione che su ogni cosa «basta dire la verità», decide di fare lo stesso anche con Eros, scegliendo ed ordinando nel modo migliore le cose più belle. Infatti gli elogi di Eros fatti dai precedenti oratori poggiavano tutta la loro efficacia sul dispiego della retorica e su argomentazioni sofistiche, arrivando a gareggiare nell'associare ad Eros i migliori benefici. Socrate invece, come detto, partirà dalla verità.\nIn sostanza, «Amore è amore di alcune cose», in particolare «di quelle di cui si avverte mancanza». A questo punto sul discorso di Socrate si innesta quello di Diotima, sacerdotessa di Mantinea, maestra di Socrate della concezione di Amore. Secondo essa «Amore non è bello [...] e non è neanche buono», fu concepito da Penìa (Povertà), che come detto dalla sacerdotessa approfittò di Póros (la Via), ubriaco, alla festa del genetliaco di Afrodite: egli è quindi un essere intermedio tra il divino e l'umano che, assieme alle qualità positive, assomma in sé anche quelle negative. Socrate, come apprende da Diotima, era caduto nello stesso equivoco nel quale cadono tutti o quasi tutti gli uomini che in Amore vedono solo il lato più bello. Tutto questo deriva dal fatto che Amore viene identificato con l'amato e non con l'amante: il primo è delicato, compiuto, il secondo invece è quale appare nella descrizione che Diotima ne viene facendo. Ma qual è la molla che spinge l'amante verso l'amato? L'attrazione della bellezza può essere uno stadio, ma non se è fine a se stessa: tra gli uomini chi è fertile nel corpo è attratto dalla donna e cerca la felicità nella discendenza della prole e nella continuità, chi invece è fertile nell'anima cerca un'anima bella a cui unire la propria, e può creare con questa una comunanza più profonda di quella che si può avere con i figli. Su questo piano chi ama riuscirà «a capire che tutto il bello che riguarda il corpo è cosa ben da poco». Quindi accusa gli altri di aver attribuito false qualità ad Eros.\n\nAlcibiade: «Socrate è un sileno».\nDopo che Socrate ha concluso il suo discorso, irrompe nella sala del banchetto Alcibiade ubriaco e, dopo una breve schermaglia con Socrate, ne tesse il più splendido elogio. Pur senza aver udito le considerazioni di Socrate, Alcibiade viene a darne la più viva e diretta dimostrazione: Socrate gli è stato maestro, amico, gli ha salvato la vita in battaglia, gli ha fatto attribuire dagli strateghi, in guerra, quei riconoscimenti che avrebbe meritato per sé.\n\nSocrate gli ha resistito quando egli gli ha fatto dono della propria bellezza, perché non a questo mirava. Era attratto piuttosto «dalla bellezza in sé, genuina, pura, non mescolata, non incorporata di carni umane, né di colori, né di ogni altra vacuità mortale». Era desideroso di contemplare la «bellezza divina nel suo unico aspetto».\n\nFilm.\nNel 1988, il regista italiano Marco Ferreri ha trasposto filmicamente, per la televisione francese, alcuni dialoghi del Simposio ne Il banchetto di Platone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sindrome di Cassandra.\n### Descrizione: La sindrome di Cassandra è ritenuta una patologia che porta a formulare sistematicamente profezie avverse circa il proprio o altrui futuro.\nCiò denota una tendenza psicologica maniacale che spesso denota depressione da parte del paziente. Il nome della patologia deriva dal mito di Cassandra.\nQuella di Cassandra è una sindrome da fine del mondo tipica dei passaggi di crisi culturali. Come nella vicenda della mitica profetessa troiana condannata a non essere creduta, la previsione apocalittica esibisce anzitutto una singolare struttura prolettica: è la rivelazione stessa che, mentre annuncia la catastrofe, la rende ineluttabile per cause connesse, in definitiva, non al problema in sé ma ai modi della comunicazione e delle dinamiche dell'organizzazione sociale.\nLa sindrome di Cassandra contiene in sé complesse tendenze (auto/etero) colpevolizzanti, sullo schema della personalità corporativa e delle dinamiche vittimali del capro espiatorio e della sostituzione vicaria. Simile ad un eroe cosmico, il cui sentire esprime una sua misteriosa comunione con le più profonde energie collettive, la cassandra attira su di sé la punizione proponendosi come sostituto espiatorio a nome della collettività; fa leva sulle paure collettive e accentua i caratteri apocalittici della propria predicazione allo scopo di rendere più promettente l'offerta salvifica di sé.\nRichiamando l'attenzione sulla propria persona, e distogliendola, in definitiva, dal problema incombente e da una possibile soluzione preventiva, la cassandra mitizza i contorni del problema stesso celandone le vere dimensioni storiche e politiche. Il complesso esita in una profonda frustrazione per l'incapacità di agire tempestivamente ed efficacemente: Cassandra finisce per distruggere se stessa; mentre trova conferma della propria ideologia di salvezza, provoca, proprio per questo, la catastrofe collettiva annunciata.\n\nCaratteristiche.\nSecondo la psicoanalista junghiana Laurie Layton Schapira, chi soffre di sindrome di Cassandra ha la tendenza a creare relazioni disfunzionali, in particolare con quello che ella definisce archetipo Apollo. L'archetipo Apollo crea legami che vertono sulla distanza emotiva. Anche i partner scelti, dunque, tenderanno a creare una serie di conferme alle profezie di Cassandra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sirena di Modena.\n### Descrizione: La Sirena di Modena è un falso mostro, un ibrido artificiale realizzato nella prima metà dell'Ottocento. Si tratta di un manufatto mostruoso, in parte pesce e in parte di forma vagamente antropomorfa, assemblato per soddisfare il gusto per l'esotico ed il grottesco dei collezionisti ottocenteschi. Di probabile origine orientale, la sirena entrò a far parte delle collezioni del Museo civico di Modena nel 1875.\n\nOrigine dell'esemplare modenese.\nLa piccola sirena esposta al Museo di Modena è un pastiche ottocentesco di materiali eterogenei: gesso, parti di pesce e parti di scimmia.\nLa donazione della sirena al Museo civico di Modena per opera del nobile modenese Pietro Sghedoni è ricordata da Carlo Boni, primo direttore del Museo, nel suo rapporto di direzione per il 1875-76, dove descrive il curioso oggetto come 'imitazione, forse fatta da mano indiana del noto mostro favoleggiato dai nostri poeti classici e naturalisti poeti'. Boni era dunque perfettamente consapevole di avere a che fare con un manufatto creato dall'uomo.\nLa sirena si presenta adagiata in posizione prona, con il torso sollevato e sostenuto dalle braccia. Il volto grottesco è marcato da profonde ed esasperate linee d'espressione, le labbra socchiuse mostrano denti affilati e gli occhi sono resi da semplici impronte circolari con bordo rialzato. Il corpo della sirena è realizzato in modo da ricordare quello di un animale mummificato per essiccazione, con le ossa ben prominenti e un colorito bruno.\nQuesta pseudo-sirena era giunta nelle mani di Sghedoni probabilmente dal mercato antiquario francese, come testimonia una fotografia firmata con il cartiglio del fotografo parigino C. Lebert di Rue de Sevres 21, in cui la sirena è ritratta 'in posa' nell’ovale tipico delle carte de visite. Il manufatto arrivò a Modena negli anni '70 dell'Ottocento, accompagnata da ritagli di giornale degli anni '20 e '30 che riportavano notizie di avvistamenti e recuperi di esseri simili nel nord della Cina e nel Mar di Marmara. Questi articoli probabilmente volevano essere una sorta di certificato di autenticità, forse per convincere l'acquirente della reale esistenza di queste creature o forse, più verosimilmente, per rievocare il clima di metà secolo, quando si era verificata una vera e propria esplosione di interesse e curiosità nei confronti di questi piccoli ibridi dalle sembianze umanoidi. È in questo contesto che proliferò la creazione e la vendita di eclettici ibridi, spacciati come resti mummificati di creature misteriose.\n\nBarnum e la sirena delle Figi.\nAd alimentare l'attrazione per tutto ciò che era ritenuto raro, deforme o bizzarro, aveva contribuito in modo determinante Phineas Taylor Barnum, il geniale inventore dei musei popolari americani, luoghi di intrattenimento a basso costo che con intento ludico-educativo proponevano esposizioni di rarità, freak show con giganti, nani, albini, ventriloqui e animali ammaestrati, e anche la presentazione di qualche diorama e di una grande quantità di sofisticati automi androidi.\nAgli inizi degli anni '40 dell'Ottocento Barnum ottenne in prestito dal politico Moses Kimball un esemplare di sirena molto simile a quello del Museo di Modena: si diceva fosse stato recuperato in Cina, o che fosse stato realizzato da marinai giapponesi come scherzo o come oggetto di culto per cerimonie religiose, e che già negli anni '20 fosse stato esposto al pubblico in un caffè londinese. Barnum era pienamente consapevole che la piccola sirena fosse un falso, ma era deciso comunque a farne la star del suo museo, facendo leva sulla credulità della gente e sfruttando il fascino per l'eclettico molto in voga ai tempi. Lo strabiliante lancio pubblicitario da lui architettato per attrarre il pubblico pagante fu decisamente all'avanguardia per quei tempi: istruì il suo assistente affinché indossasse i panni di un sedicente Dr. Griffin del Liceo di Storia Naturale di Londra, per poi registrarsi in un hotel di Filadelfia e mostrare al direttore dell'albergo, in gran segretezza, la 'piccola sirena'. Seguendo le indicazioni di Barnum, il suo assistente descrisse il manufatto come un raro esemplare di sirena recuperato alle isole Figi e da lui acquistato in Cina per il suo Liceo. In breve tempo la notizia comparve sul New York Herald e su altri autorevoli testate dell'East Coast: nel 1842 la 'sirena delle Figi' (Feejee Mermaid), come era stata ribattezzata, fece registrare al museo Barnum il record di incassi. Oltretutto questo falso ibrido era stato presentato al pubblico dalla voce 'autorevole' Dr. Griffin come l'anello di congiunzione fra l'uomo e il pesce.\nPurtroppo la sirena originale esposta da Barnum non sopravvisse ad un incendio che alla fine del secolo distrusse la collezione di Kimball, alla quale il manufatto era ritornato.\n\nAltri esemplari.\nSulla scia del successo della sirena delle Figi, si generò un vero e proprio commercio di questi esemplari contraffatti, prodotti unendo alla coda di un pesce componenti di vari animali (piccole scimmie, uccelli) o integrando in cartapesta le parti del corpo mancanti, talvolta anche aggiungendo qualche ciuffo di pelo di colorazione chiara. È possibile che ad una iniziale produzione di questi ibridi artificiali in estremo oriente si sia poi affiancata una produzione quasi seriale in Europa e in America da parte di tassidermisti locali che lavoravano su commissione per conto di collezionisti privati, musei di curiosités e produttori di spettacoli dal vivo. A tale produzione in serie è da ricondurre l'utilizzo della medesima posa nella maggior parte degli esemplari.\nChe l'origine del fenomeno delle sirene delle Figi sia da ricercare nei paesi orientali è suffragata dalla presenza nella mitologia e nei racconti popolari giapponesi di creature soprannaturali, le ningyo, descritte con torso umano, denti e coda di pesce, e bocca di scimmia. Rappresentazioni di ningyo si potevano trovare in Giappone, in santuari scintoisti e buddhisti, e potevano essere acquistate anche da viaggiatori occidentali nel corso dei misemono, tradizionali eventi carnevaleschi, tra XVIII e XIX secolo. Le sembianze di queste creature ricordano evidentemente le piccole sirene delle Figi; altri aspetti, come il fatto che le ningyo abitavano negli oceani e possedevano dolci voci flautate, riecheggiano invece la figura mitologica della sirena secondo la tradizione occidentale.\nTra gli eccentrici esemplari di pseudo-sirene tuttora conservati, oltre a quello del Museo di Modena, si ricordano a titolo esemplificativo e non esaustivo: la sirena esposta al Peabody Museum dell'Università di Harvard, quella al Booth Museum di Brighton, quella presso il Horniman Museum and Gardens di Londra, quella conservata nei depositi del Nature Museum di Grafton, quella esposta al Buxton Museum & Gallery e quella custodita al British Museum, forse settecentesca.Infine è da segnalare l'impressionante somiglianza tra la piccola sirena di Modena e quella conservata nelle collezioni del Mead Art Museum dell'Amherst College, sia per quanto riguarda la fisionomia e la posa, che per i materiali utilizzati: la coda di pesce sembra essere della stessa specie in entrambi i manufatti; inoltre i solchi delle costole, delle clavicole, le rughe d'espressione sul volto e la fattura di altri elementi come orecchie e bocca sono talmente simili nelle due sirene da sembrare realizzati a stampo. Sulla base di ciò si può verosimilmente ipotizzare la provenienza di entrambi i manufatti dalla medesima bottega artigianale. Anche la sirena del Horniman Museum mostra grande somiglianza, soprattutto nella postura, mentre torso, testa e braccia, per quanto similari, danno prova di essere stati realizzati da una mano diversa.\nNella seconda metà dell'Ottocento i gusti dell'epoca iniziarono a cambiare e, parallelamente al progressivo declino delle esposizioni di bizzarre rarità ed esseri straordinari, anche la fama delle piccole sirene venne lentamente meno. Alle porte del Novecento nuove forme di divertimento guadagnavano l'attenzione del pubblico, come i primi film in bianco e nero. Ormai la maggior parte degli esemplari di false sirene in circolazione era entrata a far parte di collezioni pubbliche o private, sebbene la produzione di ibridi artificiali si protrasse in alcuni casi fino agli esordi del Novecento, con evidenti variazioni stilistiche rispetto agli originali ottocenteschi.\nManifestazioni tarde del fenomeno delle sirene delle Figi sono ad esempio l'esemplare del 1915 circa esposto in una vetrina presso l'Indian Trading Post di Banff e l'esemplare degli anni '20 del Novecento esposto al Ye Olde Curiosity Shop di Seattle.Di datazione incerta è l'esemplare conservato al Museo della scienza di Londra, appartenente al tipo prono come la maggior parte degli esemplari conservati, ma dotato di folti ciuffi di pelo.In aggiunta, si potrebbe dire anche che il fascino antiquario per le cosiddette sirene delle Figi non si sia mai esaurito del tutto: oltre ai già citati esempi novecenteschi infatti si può osservare come ancora adesso, nel XXI secolo, siano in commercio repliche e rivisitazioni di tali ibridi prodotte da artisti contemporanei.Anche in Italia non mancano falsi del genere, reperti confezionati con parti di animali; per esempio nel Museo civico di storia naturale di Milano, e nel Museo civico di storia naturale di Venezia.\n\nLa fortuna della sirena di Modena.\nGli ibridi artificiali presentati come sirene sembrano dunque essere nati in Giappone come rappresentazione religiosa e culturale delle ningyo, per poi nel tempo subire un'evoluzione di significato, diventando manufatti dalle forme quasi caricaturali, associati all'idea occidentale di sirena e realizzati appositamente per il collezionismo estero amante dell'esotico e dell'eclettico, fino a divenire nel corso del XX secolo il prodotto di un artigianato estremamente di nicchia svolto soprattutto da tassidermisti americani.L'esemplare modenese è certamente tra i meglio conservati e noti della sua specie in ambito europeo: ciò ha fatto sì che la sirena sia stata spesso richiesta in prestito da altri istituti museali per essere presentata nell'ambito di esposizioni temporanee, e in particolare nell'ambito di mostre che indagavano la tradizione e la fortuna nei secoli passati di tutte quelle figure definite mostruose o mitologiche. La pseudo-sirena modenese, permanentemente esposta all'interno del Museo civico di Modena nella bacheca delle collezioni orientali, ha dunque preso parte alle seguenti mostre temporanee:.\n\nAnimali. Tiere und Fabelwesen von der Antike bis zur Neuzeit, presso il Museo Nazionale Svizzero di Zurigo, 1 marzo - 14 luglio 2013.\nSangue di drago, squame di serpente, presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, 10 agosto 2013 - 6 gennaio 2014.\nMonster. Fantastische Bilderwelten Zwischen Grauen und Komik, presso il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga, 7 maggio - 6 settembre 2015Inoltre nel 2006 la sirena è stata l'indiscussa protagonista di una mostra allestita nel Museo civico di Modena nell'ambito del Festivalfilosofia, edizione dedicata al tema 'umanità'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sirene (mitologia).\n### Descrizione: La sirena (dal latino tardo sirēna, classico sīrēn – pl.: sīrēnes, trascrizione del greco Σειρήν, Seirḗn – pl.: Σειρῆνες, Seirênes) è una creatura favolosa della mitologia classica, raffigurata con la parte superiore del corpo di donna, e quella inferiore di uccello, o, a partire dal Medioevo, di pesce. Il canto melodioso delle sirene ammaliava i naviganti e provocava naufragi.\n\nEtimologia.\nDeriva dal latino tardo sirena, classico siren, dal greco Seirén. Secondo alcuni dalla radice del sanscr. svar (= cielo), gr. seírios (= splendente). Altri, partendo dal mito, hanno proposto il gr. syro (= io attraggo) o seiráo (= io incateno); altri ancora sono ricorsi all'ebr. sir (= canto); inoltre si è pensato a una radice indoeuropea svar- (= suonare), da cui lit. svirati (= suonare il flauto), anglo-sass. sarian (= parlare), gr. syflrincs (= flauto, zampogna) e syrízein (= suonare il flauto).\n\nLa cultura letteraria dell'antichità classica.\nL'origine letteraria, nell'antichità classica, della figura delle sirene è nell'Odissea di Omero dove vengono presentate come cantatrici marine abitanti un'isola presso Scilla e Cariddi, le quali incantavano, facendo poi morire, i marinai che incautamente vi sbarcavano. Le Sirene tentano Odisseo con l'invito 'a sapere più cose'. L'invito alla conoscenza 'onnisciente' che fa perdere i propri legami familiari e civili interrompendo il proprio viaggio nella vita è condannato da Omero. La loro isola mortifera era disseminata di cadaveri in putrefazione. Odisseo, consigliato da Circe, la supererà indenne.\n\nPer via del loro canto melodioso esercitavano sugli uomini un mortale incantesimo: Ulisse, ascoltando i consigli di Circe, si fece legare all'albero della nave per poterle ascoltare senza correre verso loro ché lo avrebbero in breve ucciso. Obbligò però i compagni a tapparsi le orecchie con cera. Già gli Argonauti erano sfuggiti al loro incantesimo perché Orfeo le aveva superate nel canto. Sconfitte una seconda volta, da Ulisse, si gettarono in mare dove divennero scogli, come aveva loro profetizzato un oracolo. Le Sirene, secondo Omero, erano due, ma successivamente divennero molte di più; la più famosa fra esse fu Partenope (= vergine), che diede il suo nome all'omonima città (l'attuale Napoli). Erano note anche Leucosia (= dea bianca), Aglaofeme (= voce meravigliosa), Ligea (= voce chiara), Molpe, Imeropa (= voce che suscita nostalgia), Pasinoe (= maliarda).Nella tradizione figurativa e in quella letteraria le sirene sono generalmente tre, si tratta delle sorelle Partenope, Leucosia e Ligea.\nSecondo un racconto antico le tre sirene che tentarono Odisseo si uccisero gettandosi in mare perché non erano riuscite a trattenere l'eroe. Una di esse, Partenope, si arenò sulla spiaggia di ciò che diverrà la città di Napoli e a lei vennero dedicati giochi annuali, le Lampadedromie. Il corpo di Leucosia emerse nelle acque del golfo di Poseidonia (Paestum) da cui il nome di Leucosia dato a un'isoletta presso quella città, Punta Licosa. Le onde del mar Tirreno avrebbero invece rigettato il corpo di Ligea sulla riva tirrenica della Calabria, presso l'antica città di Terina, dove ora sorge Lamezia Terme. La sirena Ligea, raffigurata con un busto di donna con le braccia nude ed il corpo di uccello con coda e ampie ali, compare in varie monete di Terina, seduta su un cippo mentre gioca con una palla, oppure mentre riempie un'anfora con l'acqua che sgorga dalla bocca di un leone.\nOmero non descrisse l'aspetto fisico delle sirene; a tal proposito si è presupposto che ciò sia dovuto al fatto che sia il cantore che l'uditore conoscessero bene le forme di queste creature grazie ad altri racconti mitici già diffusi, come le avventure di Giasone e degli Argonauti.\n\nCome Odisseo anche Orfeo, nelle Argonautiche riportate da Apollonio Rodio, salva il suo equipaggio composto dagli Argonauti. Arrivati nei pressi di Antemoessa, l'isola delle sirene, gli eroi avvistarono questi esseri 'simili a fanciulle nel corpo ed in parte uccelli'. Il canto delle sirene stava spingendo gli eroi a gettare gli ormeggi sulla riva, quando Orfeo prese la cetra Bistonia e risvegliò dalla malía i suoi compagni, intonando una canzone allegra e veloce. Omero riporta il canto delle sirene, intonato per causare la morte di Odisseo e del suo equipaggio:.\n\nAscendenza.\nApollonio Rodio riprende la narrazione delle sirene figlie di Acheloo (in altre fonti di Forco) che, come ricorda Károly Kerényi, era la divinità fluviale e marina, figlia di Teti e di Oceano ma che Omero pose una volta davanti allo stesso Oceano 'origine di tutte le cose'.\nLibanio, nella Progymnasmata IV, ricorda che Eracle aveva staccato un corno al dio acquatico quando lottò con lui per conquistare l'affascinante Deianira e dalle gocce di sangue cadute dalle ferite provocate al dio erano nate le sue figlie, le sirene.\n\nUn'altra tradizione, riportata da Pseudo-Apollodoro, le vuole figlie di Acheloo e di Melpomene, una delle Muse e dà loro la forma di uccello, dalle cosce in giù. Con il suono della cetra, dell'aulo e del canto, persuadevano i navigatori a fermarsi. Lo stesso racconto narra di una profezia per la quale le sirene sarebbero morte se una nave fosse riuscita a sfuggirgli.\n\nRappresentazione.\nSeirênes (Σειρῆνες), nome plurale femminile nella antica lingua greca, nella sua forma maschile significa 'vespe' o 'api', è collegato quindi alla figura di Penfredo: una delle Graie, le 'vergini simili a cigni'. I pittori vascolari rappresentavano le sirene anche come esseri maschili con la barba e sia se fossero di forme maschili o femminili, si può individuare la loro natura per il corpo che richiama sempre quello di un uccello (con le parti inferiori a volte a forma di uovo) con una testa umana, a volte con braccia e mammelle, quasi sempre con artigli ai piedi, artigli non aventi però la funzione del rapimento, funzione propria delle Arpie, in quanto, altra caratteristica loro fondante, le sirene sono strettamente collegate al mondo della musica, suonando la lira o il doppio flauto (aulos) e accompagnandosi con il canto.\nIl loro corpo per metà donna e metà uccello sarebbe frutto di un incantesimo vendicativo da parte di Afrodite disprezzata dalle vergini sirene per i suoi amori. Un'altra tradizione le vuole punite da Demetra per non aver impedito il ratto della figlia Persefone da parte di Ade mentre insieme coglievano dei fiori. Le vergini sirene chiesero agli dei, secondo Ovidio, di essere trasformate in uccelli per poter meglio cercare la perduta amica Persefone.\nLe sirene sono anche onniscienti e in grado di placare i venti, forse con il loro canto, cantando le melodie dell'Ade.\nIl rapporto tra le sirene e il mondo dell'Ade è presente anche in Euripide quando, nell'Elena, la protagonista invoca le 'piumate vergini' affinché la consolino con la musica del flauto e della cetra. Questo canto è in relazione con il ruolo delle sirene nei culti funerari: esse stazionavano alle porte degli Inferi con il compito di consolare le anime dei defunti con il loro dolce canto e di accompagnarle nell'Ade. Questo stretto collegamento con il mondo dei morti, testimoniato dalla ricorrente presenza delle loro immagini nel corredo delle tombe, fa supporre ad alcuni autori che le sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti. Ciò senza contare il ruolo che gli uccelli avevano nell'antichità come tramite fra il mondo dei morti e quello dei vivi.\n\nEsemplificativi di tale tradizione sono 2 askos del V sec. a.C. provenienti dalla chora meridionale di Kroton e dalle Murgie di Petelia da ambienti funerari; nell'askos di Petelia è raffigurata una sirena con il corpo di uccello e la testa di fanciulla, con le braccia distese con in mano un melograno ed un flauto di Pan (syrinx) a simboleggiare rispettivamente il legame l'oltretomba e lo strumento che la sirena usa per accompagnare il defunto, rappresentato come un giovane portato sulle spalle della sirena (si tratta del manico del vaso).\nL'identificazione delle loro sedi, non determinata nei poemi omerici, fu stabilita successivamente nelle regioni prossime allo stretto di Messina, per via della creduta vicinanza di sede fra le Sirene e Scilla e Cariddi. Dunque, si riteneva che le Sirene abitassero presso l'Etna, Catania e Capo Posidonio, dov'era localizzato il culto della sirena Leucosia, Terina, dove si venerava sirena Ligea. Un noto centro del loro culto era anche il tempio delle Sirene, che era ubicato nella penisola di Sorrento, in correlazione probabilmente con le difficoltà della navigazione delle bocche di Capri: le vicine isolette erano denominate Sirene o Sirenuse, identificate con gli scogli detti li Galli. Strabone, in Gheographikà I,22, ci dice che i popoli marinari di Napoli, Sorrento, della Calabria e della Sicilia, le veneravano.\nVi sono due tradizioni apparentemente contraddittorie, quindi, su queste figure mitiche: una le vuole mortifere e dannose per gli uomini, mentre l'altra le indica come consolatrici per gli stessi rispetto al proprio destino e, soprattutto, alla morte. Da notare, tuttavia, che nel primo caso nulla indica una loro natura volutamente crudele, bensì è il loro destino e la loro funzione di cantatrici/incantatrici ad essere disastroso per gli uomini.\nNel V secolo d.C., le Argonautiche orfiche riassumono il mito arricchendolo di particolari: Minii e Aneo, volendo conoscere il canto delle sirene, dirigevano la nave verso il promontorio funesto. Orfeo intona allora una canto a Zeus, accompagnato dalla sua lira e mette così a tacere le sirene che si gettano dalla rocca nell'abisso del mare, mutando il loro corpo in pietra.\n\nI nomi delle sirene.\nL'origine del termine sirena è dubbio. Tra le molte ipotesi Alessandra Tarabochia Canavero, collegandosi alle osservazioni di Kurt Latte secondo le quali cessando il vento all'approssimarsi della loro ierofania e quindi con l'approssimarsi dell'ora meridiana, sostiene che esse potrebbero indicare dei demoni del calore meridiano (daemones meridiani) indicazione che potrebbe suggerire un collegamento con l'aggettivo séirios (incandescente, splendente) da cui Sirio, a sua volta collegato al sanscrito Sūrya (il deva del Sole). Altra ipotesi lega tale termine al verbo syrízo ('fischiare', 'sibilare') quindi demoni della tempesta, collegati ai vedici Marut. Oppure da seirà ('corda', 'fune', da cui anche éiro, 'legare'), riprendendo il fatto che le sirene 'legano' a sé i naviganti, li irretiscono. O più semplicemente da un semitico sir ('cantare').\nLe sirene in Omero sono due, infatti il poeta greco utilizza il duale Seirḗnoiïn, ma senza nominarle. Alcuni tardi commentatori ne suggeriscono i nomi in Aglaophḗmē e Thelxiépeia, nomi che ne indicano la 'voce' (phoné/*óps) come 'splendida' (agláe) e 'incantatrice' (thélgo). Pseudo-Apollodoro, attribuisce loro i nomi di Pisinoe, Aglaope e Telsiepia.\nTradizioni successive di matrice 'pseudo-esiodea' portano il numero delle sirene da due a tre indicando la terza con il nome di Peisinóē (da peítho, 'persuadere' e noús 'mente').\n\nLe sirene nella teologia classica.\nLe sirene sono parte della teologia classica sin da Platone che nel Cratilo. Lì Socrate osservava che le sirene partecipano al desiderio delle anime dei morti, spoglie dei loro corpi, di permanere nel regno di Ade. Questo desiderio corrisponde al desiderio della virtù e alla figura del 'filosofo'.Nella Repubblica, Platone narra il mito di Er figlio di Armenio soldato della Panfilia che, morto in combattimento, torna tra i vivi e racconta ciò che ha visto nell'aldilà. Alla luce delle indicazioni teologiche di Platone, il medioplatonico Plutarco scrive di come Ammonio l'Egiziano rese coerenti le Sirene platoniche con quelle omeriche. Guida delle anime nell'aldilà, Sirene suonano una musica il cui incantesimo ha il potere di portare l'oblio dei ricordi mortali alle anime, avvicinandole al Cielo. Gli echi della musica delle Sirene, sulla Terra, porta ai mortali i ricordi delle vite passate.\nIl canto delle Sirene nei cieli è senza parole, è l'armonia, la musica delle sfere. Il neoplatonico Giamblico, scrive che queste stesse armonie Pitagora faceva ascoltare ai suoi allievi per purificarli e portare loro bei sogni. Lo stesso Giamblico riporta del ruolo importante delle Sirene per la scuola pitagorica degli acusmatici, per la quale esse fanno parte dell'armonia, ossia la tetrade e l'oracolo di Delfi.\n\nLa metamorfosi da 'donne-uccello' a 'donne-pesce'.\nNell'antica mitologia greca, le Sirene (Σειρῆνες Seirénes) erano creature dal volto di donna e il corpo di uccello, ma dotate di una voce dolcissima e ammaliante.\nA partire dal Medioevo, la tradizione cominciò a immaginarle e raffigurarle con l'aspetto di belle fanciulle con la coda di pesce al posto delle gambe.Secondo Edmond Faral, il Liber monstrorum de diversis generibus, scritto in ambiente anglosassone nell'VII secolo, è il primo testo nel quale le sirene vengono esplicitamente descritte come donne-pesce:.\n\nNel folclore, la sirena è una creatura acquatica con la testa e la parte superiore del corpo di donna e la coda di pesce. La sirena appare principalmente nel folclore europeo, ma trova figure affini in quasi tutte le culture del mondo.\nIn lingua inglese le fanciulle con la coda di pesce sono dette mermaid, mentre le originali sirene greche siren. Tuttavia nei secoli passati i due termini vennero frequentemente usati come sinonimi e durante il Rinascimento inglese erano intercambiabili.\n\nIconografia medievale.\nGli studiosi hanno dibattuto a lungo sul significato delle numerose raffigurazioni di sirene realizzate nel corso del Medioevo, soprattutto nelle costruzioni religiose. Assenti nella Bibbia, la loro origine affonda le sue radici nel paganesimo, non solo greco-romano, ma anche in quello etrusco, celtico e orientale. Deve la sua presenza nelle chiese a solide credenze popolari, più che ad insegnamenti religiosi.Le sirene nell'iconografia medievale apparivano ammaliatrici, grazie al loro bel corpo femminile (seppur terminante in una coda di pesce), canto ed arte seduttoria, ma allo stesso tempo false, tentatrici ed ingannevoli, pronte ad uccidere dopo aver incantato. Sono quindi simbolo di peccato che porta a morte e con l'avvento del Cristianesimo sono diventate sempre più simbolo di lussuria, tentazione che allontana da Dio e porta alla condanna divina.\nLe sirene furono quindi l'emblema della lussuria per la morale cristiana medievale, e secondo alcuni studiosi le comuni raffigurazioni di sirene sui capitelli e all'interno delle chiese romaniche, sono un monito contro i peccati carnali. Inoltre sono spesso raffigurate con in mano un pettine e uno specchio, l'uno a indicare la sensualità (nel gesto del pettinarsi i lunghi capelli, un tempo potente strumento di seduzione), l'altro a sottolinearne la vanità.Secondo un paganesimo più antico e di origine più incerta, la sirena rappresentava la dea madre, colei che dà e toglie la vita, guida, guarisce, nutre, custodisce, vede, sente e sa, ama, tesse e collega. Secondo altri studiosi la sirena è quindi simbolo positivo di fertilità e protezione negli edifici religiosi. In particolare, la sirena bicaudata rappresenta la madre che spalanca il ventre per generare ed immortalare il genere umano, la famiglia, la comunità.Il duplice significato delle immagini nell'arte medievale è assai ricorrente e talvolta è il contesto delle immagini vicine che fornisce il giusto simbolismo dato da un dato artista in una data chiesa.\n\nSirene nel mondo.\nCulture antiche.\nRaffigurazioni di entità con la coda di pesce, ma la parte superiore del corpo di esseri umani compaiono già nell'arte mesopotamica. Per il suo aspetto pisciforme, la dea assira Atargatis viene oggi considerata la prima 'sirena' della storia dell'umanità.\n\nEuropa.\nAll'interno della St. Senara's Church, chiesa di San Senara del XII secolo, a Zennor (Cornovaglia), si trova una delle più note rappresentazioni di una sirena, una scultura lignea in altorilievo, sul lato di una sedia, un simbolo che ha avuto diverse interpretazioni da parte dei fedeli medievali. La leggenda locale, La sirena di Zennor sostiene che questa figura commemori un evento reale dalla storia parrocchiale, quando il canto di un corista di nome Mathew Trewhella, avrebbe adescato una sirena a giungere a terra dalle profondità del mare. Secondo il racconto ogni domenica essa si sedeva in fondo alla chiesa, incantata dalla sua bella voce. Un giorno, non più contenendo la sua infatuazione, lo portò al piccolo ruscello che scorre ancora attraverso il centro del paese e porta in mare a Cove Pendour nelle vicinanze. Mathew Trewhella non fu mai più visto. Nelle calde serate estive, a piedi nella pittoresca insenatura ora chiamata 'Mermaid Cove', si dice che si sentano i due amanti cantare felici insieme, e le loro voci passano ascoltabili attraverso il fragore delle onde che si infrangono.\nNegli Annali dei Quattro Maestri, cronaca medievale della storia d'Irlanda, si narra di Lí Ban, una ragazza che venne trasformata in una sirena immortale, mentre stava affogando nel Lough Neagh. Dopo 300 anni la sirena fu battezzata da Comgall di Bangor e scelse di rinunciare alla sua immortalità per salire in paradiso. Nelle genealogie dei santi irlandesi Lí Ban compare canonizzata sotto il nome di Santa Muirgen (che significa 'nata dal mare'), il suo giorno onomastico è assegnato al 27 gennaio.\nNel folclore scozzese Ceasg è una sirena dalla coda di salmone che, se catturata, in cambio della libertà esaudisce tre desideri. Il folclorista Donald Alexander Mackenzie suggerì che Ceasg potrebbe essere stata anticamente una divinità delle acque a cui venivano offerti sacrifici umani.\nNella tradizione danese le sirene possono far sparire la loro coda di pesce, per poter camminare sulla terra come gli esseri umani. A volte vanno a bussare alle case dei pescatori, fingendosi ragazze bisognose d'aiuto. Chiunque sia abbastanza incauto da farle entrare, viene poi trascinato nell'acqua e annegato. Possiedono inoltre poteri particolari: secondo una leggenda una sirena predisse la nascita del Re Cristiano IV di Danimarca.\nLa Sirena di Varsavia, stemma ufficiale della città, è protagonista di una leggenda, narrata in innumerevoli versioni differenti. Secondo una versione, la sirena uscì dall'acqua per riposarsi ai piedi di quella che oggi è la Città Vecchia, il posto le piacque talmente che decise di stabilirvisi. I pescatori che vivevano nella zona ben presto si accorsero che quando pescavano qualcuno agitava le acque del fiume aggrovigliando le reti e liberando i pesci che vi si erano impigliati. Decisero allora di dare la caccia al colpevole e farla finita con questi danneggiamenti una volta per tutte; ma quando sentirono il canto ammaliante della sirena, se ne innamorarono, rinunciando ai loro propositi. Da quel momento, la sirena ogni sera intratteneva i pescatori con le sue meravigliose canzoni, finché un giorno un ricco mercante, che passeggiava lungo la riva del fiume, posò lo sguardo sull'affascinante creatura. Subito pensò che, se l'avesse catturata, avrebbe potuto guadagnare molto denaro, esibendola alle fiere. Il mercante mise in atto velocemente il suo piano malvagio: con un trucco catturò la sirena, e la rinchiuse in una baracca di legno senza accesso all'acqua. I pianti della donna-pesce arrivarono a un giovane bracciante, figlio di un pescatore, che con l'aiuto di un amico una notte riuscì a liberarla. La sirena, riconoscente dell'aiuto ottenuto dagli abitanti della città, promise che, se mai fossero stati in pericolo, lei sarebbe tornata per proteggerli. È per questo motivo che la sirena di Varsavia è raffigurata mentre brandisce una spada e uno scudo. Una versione più moderna della leggenda arriva fino a raccontare che le sirene fossero due, tra loro sorelle. Una delle due decise di allontanarsi nuotando verso lo stretto di Danimarca e oggi la si può ammirare seduta su uno scoglio all'ingresso del porto di Copenaghen. L'altra nuotò fino al fiume Vistola, e oggi la si può ammirare nel centro storico di Varsavia.\n\nAsia.\nSuvannamaccha è una principessa sirena, citata nelle versioni cambogiane e tailandesi dell'opera epica orientale Rāmāyaṇa, che racconta le vicende della guerra tra Rama e Ravana con il suo esercito di scimmie.\nSirene e Tritoni sono figure molto popolari nel folclore filippino, dove sono localmente noti rispettivamente come Sirena (deriva dallo spagnolo) e Siyokoy. Solitamente tartarughe marine e delfini nuotano assieme alle sirene filippine.\nIn alcuni racconti antichi provenienti dalla Cina, le lacrime delle sirene si trasformano in perle.\nLe ningyo (人魚? lett. 'pesce-umano', 'sirena') sono la controparte giapponese delle sirene.\n\nAfrica.\nMami Wata è una divinità delle acque venerata in molti paesi africani. È comunemente ritratta come una sirena, sebbene abbia anche altre forme.\nNelle antiche credenze dei popoli africani alcuni spiriti acquatici erano per metà pesci e per metà umani, ma molti altri sembravano serpenti o coccodrilli. Nel 1500 iniziarono ad arrivare dall'Europa navi con statue di sirene sulle prue, così le leggende africane si mescolarono con quelle europee.\n\nAmerica.\nIara o Mãe-d'Água è, secondo il folclore brasiliano e la mitologia Guaraní, una bellissima sirena che vive nel Rio delle Amazzoni.\n\nAvvistamenti.\nNel corso della storia si sono verificati diversi presunti avvistamenti di sirene.\nNel 1493 Cristoforo Colombo dichiarò di aver avvistato tre sirene mentre navigava. Secondo la trascrizione del suo diario di bordo, ad opera di Bartolomé de Las Casas:.\n\nDurante il secondo viaggio di Henry Hudson, il 15 giugno 1608, i membri del suo equipaggio riferirono di aver avvistato una sirena nell'Oceano artico, nel Mare di Norvegia o nel Mare di Barents.\n\nDue avvistamenti di sirene furono segnalati in Canada vicino a Vancouver e Victoria, uno tra il 1870 e il 1890, l'altro nel 1967.Nel giugno 1881 un pescatore della Pennsylvania riferì di ben cinque avvistamenti di una sirena nel fiume Susquehanna, vicino a Marietta.\nNel corso dell'Ottocento si diffuse in Europa e poi in America il fenomeno delle 'sirene delle Figi', ibridi artificiali e mostruosi creati per soddisfare il gusto per il bizzarro ed il grottesco dell'epoca e spacciati come prova dell'esistenza delle sirene. Per realizzare questi eclettici collage, che spopolarono all'interno dei sideshow americani e delle collezioni pubbliche e private di mezzo mondo, si utilizzavano parti di diversi animali mummificati e altri materiali, come cartapesta e legno. La 'sirena delle Figi' fu resa famosa per la prima volta da Phineas Taylor Barnum, che la mostrò all'interno dei propri spettacoli.Nel 1962 il pescatore genovese Colmaro Orsini riferì di essersi appostato per la pesca su una scogliera a Bocca di Magra, quando udì una dolce melodia provenire dal mare e poi vide emergere una testa di donna dai capelli verdi che lo fissava; dopo pochi istanti l'essere - che mostrava una coda di pesce azzurrognola - si allontanò, lasciando una sottile scia, verso Punta Bianca di Spezia.Nell'agosto del 2009, Natti Zilberman, portavoce del consiglio comunale di Kiryat Yam, promise un milione di dollari a chi fosse riuscito a dimostrare con prove tangibili l'esistenza delle sirene.«Molte persone ci dicono che sono certe di aver visto una sirena e si tratta di persone che non hanno alcun rapporto tra loro», dichiarò ai giornalisti. «La gente dice di aver visto una figura femminile, metà giovane donna e metà pesce che salta come un delfino e compie diverse acrobazie prima di scomparire». Zilberman negò che l'offerta del premio fosse un espediente pubblicitario, ma ammise di sperare in un massiccio aumento del turismo a Kiryat Yam.\n\nDal punto di vista scientifico.\nI principali parametri scientifici rendono impossibile l'esistenza delle sirene. Una delle spiegazioni più plausibili agli avvistamenti è che i marinai scambiassero la sagoma di alcuni mammiferi acquatici, come i dugonghi o i lamantini, per un corpo femminile dalla metà di pesce. Non a caso Sirenia, il nome dato ai mammiferi marini a cui appartengono i lamantini, è in riferimento alle sirene della mitologia (dal latino tardo Sirēna, trascrizione del greco Σειρήν Seirḗn).\n\nSirenomelia.\nLa sirenomelia, conosciuta anche con il nome di sindrome della sirena, è una rara malformazione congenita nella quale gli arti inferiori sono fusi insieme, assumendo così le sembianze della coda di una sirena.\n\nProblema della sirena.\nIl problema della sirena è un paradosso a volte citato in letteratura, in psicologia o in altri contesti, sull’incompatibilità dei rapporti sessuali tra un essere umano ed una sirena. Benché infatti le sirene siano spesso dipinte come attraenti e affascinanti donne (almeno nella loro parte fisicamente umana) e benché presentandosi sempre nude accrescano ulteriormente il potere seducente della loro bellezza, accettando l'anatomia tramandata in tutti i miti delle sirene, esse sono prive di organo riproduttivo femminile e quindi inadatte a soddisfare il desiderio che creano in chi le vede.\nPer estensione il problema è un paradosso che si ripete tutte le volte che una creatura mitica o di fantasia genera curiosità o interesse sessuale per alcune sue caratteristiche secondarie, ma manca della possibilità di una compatibilità con gli esseri umani normali.\nSe la sirena è, come pare, un pesce al di sotto della vita, teoricamente essa si riprodurrà come fa gran parte dei pesci ovvero con inseminazione esterna che prevede che il maschio della sua specie sparga il suo sperma sulle uova da essa deposte. Paradossale allora parrebbe la presenza di un ombelico e di un seno sulle sirene che non avrebbero motivazioni evolutive e pratiche nell'atto delle riproduzione.\nIn alcuni casi il paradosso è sciolto dal suggerimento che le sirene abbiano un apparato riproduttivo simile a quello dei delfini (mammiferi, come gli esseri umani) e questo farebbe pensare che anche le sirene appartengano a questa classe tassonomica di animali.\nLa femmina del delfino ha una apertura sotto la vita che contiene sia l'ano che la vagina, questo permetterebbe teoricamente un rapporto completo tra uomini e sirene.\nAltra teoria è che le sirene siano solite trasformarsi in forma umana, specificatamente la coda di pesce si trasformerebbe, se asciugata, in due gambe che, se bagnate, tornerebbero ad essere una coda di pesce.\nAd ogni modo è bene ricordare che, trattandosi di un antico mito, le spiegazioni di carattere scientifico non sono da prendersi in considerazione.\n\nNella cultura di massa.\nLa sirena è frequentemente ripresa in vari ambiti della cultura popolare, specie nel fantasy.\n\nLetteratura.\nNell'ambito delle fiabe, assai famosa è La Sirenetta scritta dal danese Hans Christian Andersen e pubblicata la prima volta nel 1837. La protagonista è una sirena che rinuncia alla sua bella voce per ottenere in cambio delle gambe umane.\nUna statua ispirata alla fiaba di Andersen è presente a Copenaghen dal 1913. La scultura è stata successivamente copiata in 13 località nel mondo, e quasi la metà delle copie si trova in America del Nord.\nNel 1891 Oscar Wilde pubblicò Il pescatore e la sua anima, una fiaba che racconta di un pescatore che si innamora della sirena che ha pescato.\nNel romanzo del 1911 Peter e Wendy di J. M. Barrie, le sirene vivono nella laguna dell'isola che non c'è. Sono ostili verso tutti, tranne Peter Pan.\nDel 1937 è la prima pubblicazione del racconto fantastico La verità sul caso Motta, di Mario Soldati, dove l'avvocato milanese Gino Motta, durante un soggiorno a Levanto, scompare misteriosamente e viene concupito da una sirena che lo tratterrà alcuni mesi sul fondo del mare.\nNel 1958 venne pubblicato postumo un racconto fantastico dello scrittore siciliano Tomasi di Lampedusa, incentrato sul tema, intitolato appunto La sirena.\n\nCinema.\nNel 1948 uscì Una sirena in società, una commedia che tratta di una bellissima sirena (interpretata da Glynis Johns) e dell'effetto che sortisce sugli uomini che incontra (interpretati da Griffith Jones, John McCallum e David Tomlinson).\nNel 1984 uscì Splash - Una sirena a Manhattan, diretto da Ron Howard, con protagonisti Tom Hanks e Daryl Hannah.\nNel 1989 uscì il classico Disney La Sirenetta, basato sull'omonima fiaba di Andersen. Nel corso della sua prima distribuzione, incassò 84 milioni di dollari nel Nord America, e fino ad oggi ha raggiunto un incasso totale di 211 milioni di dollari.\nNel 2006 uscì Aquamarine, una commedia fantasy con protagonista una sirena, interpretata da Sara Paxton.\nNel film del 2011 Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare le sirene sono ragazze bellissime con la coda di pesce, che seducono gli uomini, per poi tentare di annegarli.\nNel 2015 uscì Pan - Viaggio sull'Isola che non c'è in cui due sirene sono interpretate da Cara Delavingne.\nNel 2017 uscì Il segreto della sirena in cui la sirena Coral, interpretata da Sydney Scotia, viene salvata da Ryan (Caitlin Carmichael).\nSempre nel 2017 è uscito il film di animazione giapponese Lu e la città delle sirene.\nNel 2020 uscì Una sirena a Parigi in cui la sirena Lula è interpretata da Marilyn Lima.\nNel 2023 è uscito il live action della Disney La Sirenetta diretto da Rob Marshall, in cui la sirenetta è interpretata da Halle Bailey.\n\nTelevisione.\nTra le serie TV incentrate sulle sirene si possono ricordare Mermaid Melody, H2O, Mako Mermaids - Vita da tritone, Siren, Tidelands e l'italiana Sirene.\nNella serie animata Martin Mystere, un episodio ha come antagonista una sirena, che vuole vendicarsi dell'uomo che l’ha rifiutata.\nIl film televisivo Lei, la creatura, del 2001 rilegge la leggenda delle sirene in chiave horror, presentando una sirena (rapita dalla compagnia di un circo itinerante per divenirne l'attrazione principale) dalle abitudini antropofaghe, che seduce gli uomini per poi divorarli.\nZig & Sharko, serie TV francese prodotta dalla Xilam, la sirena Marina è vittima della iena bruna Zig, però è sempre protetta dallo squalo Sharko.\n\nMusica.\nNel 1998 la cantautrice italiana Carmen Consoli viene ritratta nelle vesti di una sirena sulla copertina dell'album Mediamente isterica.\nNel 2012 la cantante pop francese Nolwenn Leroy è apparsa come una sirena sulla copertina dell'album Ô Filles de l'eau e nel video musicale del suo singolo Sixième Continent.\n\nFumetti.\nNella serie a fumetti Martin Mystère, le sirene sono delle creature prodotte tramite l'ingegneria genetica dagli scienziati di Atlantide assieme ad altre figure che sono entrate nell'immaginario e nel folclore popolare come i Tritoni o i Centauri, con lo scopo di aiutare gli esseri umani. Sopravvissuti ai secoli i loro discendenti vivrebbero nascosti e solo occasionalmente vengono scorti da qualche umano.\nLa figura della sirena appare in molti manga, come La saga delle sirene, Mermaid Melody - Principesse sirene, Seto No Hanayome o Monster musume no iru nichijō, dove una delle protagoniste femminili è una sirena di nome Mero. Nei Cavalieri dello Zodiaco, specie nella serie dedicata a Nettuno, vengono mostrati due Cavalieri con delle armature ispirate alle Sirene: Titis ha un'armatura che raffigura una sirena metà donna e metà pesce, mentre Syria ha l'armatura delle sirene con aspetto umano e da uccello.\n\nVideogiochi.\nNel videogioco arcade Vampire Night, il penultimo boss è Diane, una sirena d'acqua dolce divenuta vampira per amore." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sisifo.\n### Descrizione: Sisifo (in greco antico: Σίσυφος?, Sísyphos; in latino Sisyphus) è un personaggio della mitologia greca, fondatore della città di Efira (l'odierna Corinto) della quale divenne re.\n\nRitratto come un uomo ingannatore e astuto, in una versione del mito viene addirittura considerato il padre di Ulisse.\n\nGenealogia.\nFiglio di Eolo e di Enarete, sposò Merope e divenne padre di Glauco, Ornizione, Tersandro, Almo e Profirione.\n\nEtimologia.\nIl nome di Sisifo è di incerta etimologia, sebbene i Greci gli attribuissero il significato di 'uomo saggio'; in realtà esso è una variazione greca del dio Tesup, personificazione ittita del sole e della luce, identificato con Atabirio, dio solare di Rodi, a cui era sacro il toro; Esichio di Alessandria invece riporta una scrittura diversa del nome, Sesephus. Alla figura del Sisifo di Rodi (ovvero Atabirio) si ricollegava anche il rinvenimento di preziose statuette di bronzo e bassorilievi del XV secolo a.C., raffiguranti un toro sacro accompagnato da numerosi attributi come lo scettro, due dischi sui fianchi e un trifoglio su un'anca.\n\nIl mito di Sisifo.\nIn tutti i miti che lo riguardano, Sisifo è ritratto come un uomo scaltro e senza scrupoli come nessun altro.\n\nSisifo e Salmoneo.\nAlla morte del padre Eolo, quando suo fratello Salmoneo usurpò il trono della Tessaglia, Sisifo, legittimo erede, si rivolse all'oracolo di Delfi, il quale gli consigliò di ingravidare sua nipote per avere la sua vendetta: Sisifo sedusse così la figlia di Salmoneo, Tiro, e dalla loro relazione nacquero due figli. Scoperto il verdetto dell'oracolo il risentimento della donna sarà tale da indurla ad assassinare la prole; Sisifo avrà quindi modo di presentarsi nella piazza del mercato di Larissa mostrando alla folla i cadaveri dei figli dicendo che Tiro li aveva generati con il padre e ottenendo per quest'ultimo l'esilio per incesto.\n\nSisifo e la pietra.\nMentre cercava di risolvere il problema della siccità di Corinto, un giorno Sisifo si ritrovò nei pressi della rocca della città mentre Zeus amoreggiava con una bella ninfa di nome Egina, figlia del dio fluviale Asopo e rapita dallo stesso Zeus.\nAsopo si presentò a Sisifo nelle sembianze di un vecchio e gli chiese notizie di sua figlia: Sisifo ammise di averla vista, senza però rivelare nell'immediato chi fosse il rapitore, scegliendo di chiedere prima una fonte d'acqua per la sua città in cambio dell'informazione. Asopo promise a Sisifo che gli avrebbe dato la fonte in cambio della rivelazione dell'identità di colui che aveva rapito la ninfa sua figlia. Mantenendo il patto, Sisifo rivelò che la ninfa era stata rapita da Zeus: soddisfatto, Asopo diede in dono al re la sorgente d'acqua perenne detta Pirene.\nQuando Zeus venne a sapere il tutto, chiese a suo fratello Ade di mandare Thanatos a catturare Sisifo per rinchiuderlo nel Tartaro, ma quando il dio della morte giunse a casa del re questi lo fece ubriacare e lo legò con delle catene imprigionandolo: con Thanatos incatenato la morte scomparve dal mondo e quando Ares si accorse che durante le battaglie non moriva più nessuno, e che quindi le battaglie stesse non avevano più senso, si mosse per catturare Sisifo e, liberato Thanatos, lo condussero nel Tartaro.\nSisifo aveva tuttavia imposto alla moglie Merope di non seppellire il suo corpo così da avere motivo per protestare con gli dèi dell'empietà della donna: Persefone, moglie di Ade, decise allora di farlo tornare sulla Terra per tre giorni così da imporre alla moglie i riti funebri. Sisifo tornò nel mondo dei vivi ma non obbligò la moglie a seppellirlo, così gli dèi inviarono Hermes per catturarlo e riportarlo negli Inferi: il dio messaggero obbedì con piacere dal momento che in questo modo avrebbe potuto vendicarsi di Sisifo, che in precedenza aveva smascherato suo figlio Autolico, il ladro supremo, e secondo alcune versioni anche per aver violentato sua figlia Anticlea. Altre versioni riferiscono che Sisifo avesse ricevuto la possibilità di tornare nel mondo dei vivi non da Persefone ma da Ade stesso a patto di tornare entro un giorno; come nell'altra versione Sisifo non tenne fede al patto e rimase nel mondo dei vivi: la morte sopraggiunse naturalmente e non è affatto menzionato Hermes.\nCome punizione per la sua sfrontata audacia, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte, ma ogni volta che avesse raggiunto la cima, il masso poi sarebbe rotolato nuovamente alla base del monte per l'eternità. La sua punizione è divenuta una figura retorica per indicare una 'fatica inutile'.\n\nPareri secondari.\nSecondo una tradizione, fu il padre di Ulisse, generato da una relazione con la madre Anticlea prima dell'unione di lei con il re di Itaca Laerte.\n\nLe interpretazioni del mito di Sisifo.\nIl re Sisifo viene considerato alla stregua del disco del sole che sorge ogni giorno a est e poi sprofonda verso ovest. Altri studiosi lo considerano una personificazione delle onde che salgono e scendono, o del mare infido. Il filosofo epicureo Lucrezio del I secolo a.C. interpreta il mito di Sisifo come la personificazione dei politici che aspirano a un ufficio politico ma ne vengono costantemente sconfitti. La ricerca del potere, di per sé una 'cosa vuota', viene paragonata al rotolare del macigno dalla collina. Lucrezio ritiene infatti che le ambizioni siano pericolose perché allontanano l'uomo dalla saggezza.\nFriedrich Gottlieb Welcker suggerì l'interpretazione secondo cui il mito di Sisifo simboleggiava la lotta vana dell'uomo nella ricerca della conoscenza, mentre Salomon Reinach ipotizzò che la sua punizione si basasse su un quadro in cui Sisifo era rappresentato mentre roteava un'enorme pietra dall'acrocorinto, simbolo del lavoro e delle abilità coinvolte nella costruzione del Sisifeo.\nAlbert Camus, nel suo saggio Il mito di Sisifo del 1942, vide in Sisifo la personificazione dell'assurdità della vita umana, ma Camus conclude 'bisogna immaginare Sisifo felice' come se 'la lotta stessa verso le vette fosse sufficiente per riempire il cuore di un uomo'.\nJ. Nigro Sansonese, basandosi sull'opera di Georges Dumézil, ipotizza che l'origine del nome 'Sisifo' sia onomatopeica del continuo suono di susurrant ('siss phuss') fatto dal respiro nei passaggi nasali, situando la mitologia di Sisifo in un contesto molto più ampio di tecniche arcaiche (vedi religione proto-indoeuropea) che inducono la trance legate al controllo del respiro. Il ciclo ripetitivo di inspirazione-espirazione è descritto esotericamente nel mito come un moto su e giù di Sisifo e del suo macigno su una collina.\nIn esperimenti che verificano come i lavoratori rispondono quando il significato del loro compito è diminuito, la condizione del test viene indicata come condizione Sisifousa. Le due conclusioni principali dell'esperimento sono che le persone lavorano di più quando il loro lavoro sembra più significativo e che le persone sottovalutano la relazione tra significato e motivazione.\n\nInfluenza culturale.\nCinema.\nSisyphus è il titolo del corto d'animazione candidato all'Oscar nel 1974 del regista, grafico, illustratore, scrittore, politico ungherese Marcell Jankovics.\n\nFilosofia.\nIl filosofo francese Albert Camus gli ha dedicato un importante saggio, Il mito di Sisifo appunto, all'interno del quale, negando qualsivoglia valore a un significato trascendente alla vita e al mondo, riconosce come assurda l'esistenza: senza un significato l'esistenza è irrazionale ed estranea a noi stessi. Resta dunque il suicidio, ma quello 'fisico' non risolve il problema del senso e quello 'spirituale' (Kierkegaard con la 'speranza' in Dio, e Husserl con la ragione portata oltre i limiti della propria finitudine) svia dal vero problema. La soluzione per Camus è la 'sopportazione' della propria presenza nel mondo, sopportazione che consente la libertà; e la protesta/ribellione nei confronti dell'assurdità dell'esistenza, quindi contro il destino, consegna alla vita il suo valore effettivo. Camus non cerca quindi più Dio o l'Assoluto, il suo obiettivo diviene 'l'intensità della vita'. Per Camus Sisifo è quindi felice perché nella sua condanna diviene consapevole dei propri limiti e quindi assume su di sé il proprio destino.\n\nFisica.\nIn fisica atomica l'effetto Sisifo (Sisyphus Cooling) è un meccanismo di raffreddamento laser tramite il quale è possibile raggiungere temperature inferiori a quella del limite Doppler. Fu sviluppato nel 1989 dal fisico francese Claude Cohen-Tannoudji.\n\nLetteratura.\nNel libro di Paolo Maurensig Canone inverso viene citato Sisifo a pagina 72, come stemma della divisa del protagonista Jenö Varga, e a pagina 79, per indicare che, per quanto riguarda la perfezione, all'uomo non sarà mai dato raggiungerla.\nNel libro di fantascienza di Greg Egan Distress Sisifo è un'intelligenza artificiale installata su un pad digitale o quello che si può ricondurre a un moderno tablet. La sua funzione nell'immaginario dello scrittore è molto vicina, anche se più sviluppata, a quella degli attuali assistenti vocali per smartphone.\n\nManga e Anime.\nNel manga e anime Saint Seiya - The Lost Canvas Sysyphus è il nome del cavaliere d'oro del Sagittario.\nSisyphe è il titolo del quinto episodio dell'anime 'ULISSE 31'. In questa versione, Sisyphe è stato condannato dagli dei a smantellare grossi macigni di metallo e buttarli in un pozzo senza fondo per aver cercato di scoprire i segreti degli dei, solo all'arrivo di Ulisse e Telemaco sul pianeta si rende conto dell'inutilità del suo lavoro e della beffa degli dei.\n\nMusica.\nA Sisifo è intitolata la suite strumentale d'avanguardia Sysyphus, pubblicata nel 1969 dai Pink Floyd nel disco Ummagumma e scritta dal tastierista Richard Wright.\nSisyphus è il titolo di una canzone del cantautore statunitense Andrew Bird.\nLa canzone Carve Away The Stone, ultima traccia dell'album Test For Echo dei Rush, tratta del mito di Sisifo e della pietra da lui sospinta.\nUn verso della canzone Zeit! dell'album Exuvia di Caparezza, recita: 'Dimmi, Zeit, cosa ti è successo? Non mi tieni il passo, ritorni indietro come Sisifo, non tieni il masso'. Il rapper si riferisce al noto detto che recita 'La storia si ripete'. Il tempo, proprio come il masso di Sisifo, non va mai avanti dal momento che la storia è una continua ripetizione di eventi.\nQuando fu ritrovato nella sua stanza, il 25 novembre 1974, il corpo senza vita del cantautore inglese Nick Drake, accanto al suo letto era presente una copia de Il mito di Sisifo, di Albert Camus." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Siwa (oasi).\n### Descrizione: Siwa (toponimo berbero, in caratteri arabi trascritto سيوة, Ammònia in italiano) è un'oasi del deserto libico, che appartiene all'Egitto e si trova a circa 300 chilometri dalla costa del Mar Mediterraneo, nel territorio del governatorato di Matruh, quasi al confine con la Libia. Una strada la collega al capoluogo Marsa Matruh a nord, nonché all'oasi di Bahariya a est.\nSituata in una profonda depressione (18 m sotto il livello del mare), Siwa è molto ricca di acque e produce grandi quantità di datteri di ottima qualità.\nLa sua fama deriva principalmente dal suo antico ruolo di sede di un Oracolo di Ammon, le cui rovine sono una popolare attrazione turistica che ha dato all'oasi il suo antico nome di 'Oasi di Amon-Ra', una delle principali divinità egizie.\n\nDescrizione.\nL'acqua di Siwa viene anche sfruttata da una impresa italo-egiziana che la imbottiglia e la commercializza in gran parte dell'Egitto.La grande ricchezza di acque dell'oasi presenta però il rischio di allagare i terreni coltivati e raggiungere le ampie distese di sale che si trovano ai suoi margini, rendendo sterili i campi. Per questo è necessaria una costante opera di drenaggio delle acque e un assiduo controllo.\nNel 1926 il villaggio di Siwa dovette essere abbandonato dopo tre giorni di piogge ininterrotte: l'acqua aveva reso inabitabili le case costruite in karshif, un fango essiccato impregnato di sale.L'oasi di Siwa presenta la caratteristica di essere il più estremo punto orientale dove venga parlata la lingua berbera (un tempo essa era diffusa in tutte le oasi del deserto orientale e giungeva fino al delta del Nilo). I suoi abitanti (circa 15.000) sono tutti berberofoni, e persino alcune tribù arabe nomadi che la frequentano (gli Awlad Ali) fanno uso del dialetto berbero locale (siwi) per dialogare con gli oasiti.\n\nStoria.\nNell'antichità Siwa era nota per il tempio dedicato al dio Sole (per gli Egizi Amon), che ospitava un celebre oracolo. Secondo Erodoto, la tribù libica che abitava l'oasi era quella degli Ammonii. Nel VI secolo a.C. il re persiano Cambise II, dopo avere sottomesso l'Egitto, cercò di conquistare l'oasi con un esercito che si perse nel deserto senza più fare ritorno.\nAll'oracolo del dio Ammone (assimilato dai Greci a Zeus) si rivolse, tra gli altri, Alessandro Magno, ricevendone vaticini particolarmente favorevoli e la consacrazione a figlio della divinità. Per i grandi vincoli che univano il conquistatore Macedone all'oracolo, molti sostengono che egli abbia scelto di farsi seppellire proprio nell'oasi, e non ad Alessandria, come comunemente si ritiene.\nLe prove dell'esistenza del cristianesimo a Siwa sono incerte, ma nel 708 i Siwani resistettero a un esercito islamico e probabilmente non si convertirono fino al XII secolo. Un manoscritto locale menziona solo sette famiglie per un totale di 40 uomini che vivevano nell'oasi nel 1203.\nNel XII secolo, Al-Idrisi la cita come abitata principalmente da berberi, con una minoranza araba; un secolo prima Al-Bakri affermava che vi abitavano solo berberi. Lo storico egiziano Al-Maqrizi si recò a Siwa nel XV secolo e descrisse come la lingua parlata lì 'è simile alla lingua degli Zenata'.\nIl primo europeo a visitarla dall'epoca romana fu il viaggiatore inglese William George Browne, che vi giunse nel 1792 per vedere l'antico tempio dell'Oracolo di Amon. La studiosa Bompiani, nella descrizione dell'esploratore ottocentesco Luigi Robecchi Bricchetti, chiamò questo sito l''Oasi di Giove Ammone'.Durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, per la sua posizione strategica, l'oasi fu teatro di aspre battaglie e venne occupata dal luglio 1942 fino alla seconda battaglia di El Alamein combattuta all'inizio di novembre dello stesso anno, dalla 136ª Divisione 'Giovani Fascisti' del Regio Esercito.\nOggi l'abitato di Siwa si stende ai piedi dell'antica cittadella (Shali), dall'architettura molto suggestiva, che però è costruita quasi tutta con materiali salini presi sul luogo, che con l'umidità tendono a sciogliersi, per cui ogni pioggia richiedeva lunghi restauri.\n\nSocietà.\nUna caratteristica della società tradizionale di Siwa era il divieto di sposarsi prima di una certa età imposto alla casta dei nullatenenti (zaggala), impiegati come braccianti nei lavori dei campi. Essi erano costretti a vivere segregati all'esterno dell'abitato, dove conducevano una vita promiscua, istituzionalizzando veri e propri 'matrimoni omosessuali'. Oggi queste pratiche sono quasi del tutto scomparse, e gli zaggala sono noti soprattutto per le loro canzoni, che allietano ogni festa e vengono anche registrate su cassetta e diffuse nell'oasi e altrove.\nDopo essere stata per tanti anni una località poco raggiungibile, anche per la vicinanza con la Libia, oggi Siwa si sta aprendo al turismo, con ottime prospettive, potendo offrire, oltre ai resti del tempio dell'oracolo e ad altri monumenti di epoca egizia, la sua vegetazione rigogliosa, numerose vasche di acqua dolce sorgiva a diverse temperature per i bagni, e anche sabbie particolarmente indicate per sabbiature curative.\n\nMedia.\nNel videogioco Assassin's Creed: Origins Siwa è il luogo di nascita del protagonista, Bayek di Siwa.\nNel videogioco Wolfenstein Enemy Territory la mappa di gioco 'Siwa Oasis' ricalca fedelmente l'oasi.\nNel videogioco Sniper Elite 3 la quinta missione è ambientata all'interno dell'oasi." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Soface.\n### Descrizione: Soface (in Greco antico: Σόφαξ) è un semidio o eroe della mitologia greca figlio di Eracle e di Tinga o Tingis, la vedova del gigante Anteo.\nFondò la città da Tingis, l'odierna Tangeri, chiamandola così in onore della madre.\nFu re dei Numidi ed ebbe un figlio, di nome Diodoro, il quale governò saggiamente la Mauritania e la Numidia con l'aiuto degli dèi.\nSecondo lo storico greco antico Plutarco, molti dei miti furono creati per nobilitare ed esaltare le origini divine del re dei Numidi Giuba II, il quale si riteneva discendente di Soface." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Soldati fra colonne.\n### Descrizione: Soldati fra colonne è un affresco realizzato nel 1757 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza.\n\nDescrizione.\nSituato nel corpo principale della villa, il dipinto occupa una delle porzioni nella Sala di Ifigenia ed è pertanto direttamente collegato al Sacrificio d'Ifigenia, che si trova sulla parete al centro. Vi sono rappresentati un cane e alcuni soldati achei che assistono al sacrificio della figlia di Agamennone, voluto da Artemide, che però all'ultimo momento salverà la fanciulla." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Sonetti a Orfeo.\n### Descrizione: I Sonetti a Orfeo (Die Sonette an Orpheus) sono un ciclo di 55 sonetti scritti da Rainer Maria Rilke a Muzot, in Svizzera, in meno di tre settimane nel febbraio 1922 e pubblicati l'anno successivo.\nIl poeta descrive questo periodo di ispirazione come 'un innominato turbine'. L'opera riprende le tematiche delle Elegie duinesi, concluse insieme ai Sonetti ma iniziate un decennio prima.\nRilke risponde alla caducità, alla morte come dato ineluttabile dell'esistenza con un'accettazione totale dell'esistenza che richiama Nietzsche.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Sonnets to Orpheus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sortes Sanctorum.\n### Descrizione: Quella delle Sortes Sanctorum («lotti» o «sorte dei santi»), oppure Sortes Apostolorum («sorte degli apostoli»), era una pratica tardoantica e altomedievale con cui in ambito cristiano si effettuavano predizioni di carattere divinatorio estraendo a sorte dei numeri o delle lettere dai Salmi, oppure aprendo a caso una pagina di un testo sacro in cui si sperava di trovare la risposta ad un proprio interrogativo.\nSi trattava di una forma di bibliomanzia, o al limite di sticomanzia, dato che secondo studi recenti le Sortes Sanctorum sarebbero consistite in una tecnica leggermente diversa da quella dell'uso della Bibbia, per la quale invece valeva più appropriatamente la denominazione di Sortes Biblicae.\n\nStoria.\nLa pratica deriva da un adattamento delle Sortes degli antichi romani, termine che significa «lotti», con cui si indicavano piccole tavolette simili a gettoni, posti in un secchio e poi estratti a sorte, oppure lanciati come fossero dadi, per trarne auspicia («predizioni»). Tali lotti potevano portare iscritti dei versi di Omero o di Virgilio (sortes homericae, o sortes virgilianae), oppure erano gli stessi poemi di costoro ad essere consultati a caso.\nSuccessivamente i primi cristiani vi sostituirono la Bibbia come libro da consultare a scopi divinatori.\nTalora sorse anche l'abitudine di recarsi in chiesa ad ascoltare le prime parole delle Scritture che venivano cantate appena entrati, come mezzo casuale per predire il futuro o la volontà divina, sulla falsariga della tipologia di divinazione ebraica chiamata Bath Kol. In genere tuttavia le Sortes consistevano nell'aprire casualmente le Sacre Scritture e leggere le prime parole a portata di mano, interpretando le quali il ricercatore prediceva il destino.Questa pratica poteva essere un evento pubblico, a volte accompagnato da cerimonie: ad esempio l'imperatore Eraclio nel 625 ordinò tre giorni di digiuno pubblico prima di una consultazione biblica, circa l'opportunità di avanzare o ritirarsi contro i Persiani, e interpretando il testo estratto a sorte come un'istruzione divina decise che avrebbe fatto stazionare l'esercito in Albania per quell'inverno.Si trattava di una pratica mantica spesso condannata dalla Chiesa sin dal V secolo, in particolare nei concili di Vannes (461 d.C., canone 16), e di Agde (506 d.C., canone 42), sebbene capace di sopravvivere a lungo, e fosse talora utilizzata dagli stessi sacerdoti, tra gli altri da sant'Agostino d'Ippona.La conversione di quest'ultimo al cristianesimo, per giunta, sarebbe stata propiziata dalle parole casuali di un bambino («prendi e leggi») che lo invitavano ad aprire un testo della Bibbia, in cui la prima frase che gli capitò sott'occhio era un passo della Lettera ai Romani di San Paolo. Anche San Francesco d'Assisi utilizzò questa tecnica, ad esempio per sapere se avesse dovuto rinunciare ai libri per vivere in povertà.Studi più recenti sostengono che la denominazione di Sortes Sanctorum in origine si riferisse specificamente alla pratica di scrivere i nomi dei santi su lotti o tavolette, che poi venivano estratti a sorte al fine di prendere una decisione, come testimonierebbe una collezione canonica del X o XI secolo nota come Collezione in cinque libri.Un'altra ipotesi, più radicale, sostiene che l'espressione Sortes sanctorum non si riferisse «né alla divinazione del lotto biblico né a nessun genere di divinazione», ma fosse semplicemente il titolo di un testo specifico, ancora circolante in numerosi manoscritti medievali." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sortes.\n### Descrizione: Le sortes (sors al singolare latino ) erano un metodo frequente di divinazione utilizzato dagli antichi romani.\nIl metodo implica una specie di lotteria (sortes), con cui l'appunto si tira o si estrae a sorte, onde ottenere auspicia, ossia la conoscenza degli eventi futuri: in molti antichi templi italici la volontà degli Dei veniva consultata in questo modo, come a Preneste, Cere, eccetera.\n\nLa lotteria delle sortes.\nQueste sortes o «lotti» erano di solito piccole tavolette simili a gettoni (o fiche), fatti di legno o altro materiale, ed erano comunemente gettati in una situla (secchio), o dentro un'urna, riempita con acqua, da cui poi venivano estratte a sorte. Viceversa le sortes venivano talvolta lanciate come fossero dadi.Sulla base del risultato si effettuava una predizione detta «cleromanzia», ed il nome sortes venne così assegnato ad ogni sorteggio utilizzato per determinare gli avvenimenti. Lo stesso metodo fu anche applicato per ricevere le risposte verbali di un oracolo.Varie parole venivano scritte sopra i lotti, secondo le circostanze, come per esempio i nomi delle persone che li usavano: sembra fosse stata una pratica prediletta nei tempi successivi quella di scrivere versi di poeti illustri sopra piccole tavolette, ed estrarli poi dall'urna insieme agli altri lotti, supponendo che i versi così ottenuti fossero adatti a una data persona o situazione; perciò noi leggiamo di sortes homericae, o sortes virgilianae, che indicano rispettivamente i lotti o versi di Omero e Virgilio estratti a sorte.Allo stesso modo questa era anche la pratica per consultare i poeti, come i musulmani facevano con il Corano e con gli Ḥāfiẓ, e molti cristiani con la Bibbia, vale a dire aprendo il libro a caso e applicando il primo passaggio che colpisce l'occhio a circostanze immediate riguardanti la propria persona. Questa pratica era molto comune tra i primi cristiani, i quali sostituivano la Bibbia e il Libro dei Salmi ad Omero e Virgilio.\nMolti concili ripetutamente condannarono queste, così allora definite, Sortes Sanctorum («sacri lotti»). I libri sibillini erano probabilmente anche consultati in questo modo. Coloro che predicevano gli eventi futuri per mezzo delle sortes venivano chiamati sortilegi («indovini»).\n\nSortes Conviviales.\nIn maniera simile, le Sortes Conviviales erano tavolette sigillate, che venivano vendute agli intrattenimenti, e dopo essere state aperte, togliendo il sigillo, concedevano all'acquirente il diritto a merci di valore molto diverso; perciò erano anch'esse un tipo di lotteria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sparta (mitologia).\n### Descrizione: Sparta (in greco antico: Σπάρτη?, Spártā) è un personaggio della mitologia greca ed eponimo della città di Sparta.\n\nMitologia.\nEra figlia di Eurota e di Clete e fu moglie di Lacedemone re e fondatore di Sparta e che diede il nome alla città proprio in suo onore.\nLacedemone e Sparta ebbero un figlio, Amicla (il secondo re di Sparta) ed una figlia, Euridice.\n\nGenealogia.\nuomo donna divinità." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sparti.\n### Descrizione: Gli Sparti (Σπαρτοί '[uomini] seminati', da σπείρω, speírō, 'seminare') sono personaggi della mitologia greca.\nLa leggenda narra che Cadmo abbia dovuto uccidere uno spaventoso drago per poter iniziare ad edificare la città di Tebe. Atena, per aiutarlo, gli suggerì di seminare i denti del drago ucciso e di attendere. Dalla terra uscirono all'improvviso uomini armati, gli Sparti, che si gettarono ferocemente gli uni contro gli altri, fino a che non ne sopravvissero cinque: Ctonio, Echione, Iperenore, Pelore e Udeo.\nCadmo chiese a questi di aiutarlo nella costruzione della cittadella di Tebe: la Cadmea. In seguito concesse in sposa sua figlia Agave a uno di loro, Echione." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Stafilo.\n### Descrizione: Stafilo (in greco antico: Στάφυλος?, Stáphylos) è un personaggio della mitologia greca. Fu uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio di Dioniso e Arianna, sposò Crisotemi che gli diede le figlie Parteno, Reo ed Emitea (conosciuta anche come Molpadia). Secondo una versione, Parteno era invece figlia del dio Apollo.\n\nMitologia.\nFu un Argonauta assieme al fratello Fano, la cui esistenza viene citata solo da Apollodoro nella lista degli Argonauti.\nStafilo fu un generale dell'esercito di Radamanto ed ebbe in dono l'isola di Scopelo dove fondò la città di Pepareto, poi visse a Nasso dove si sposò.\nQuando seppe che la figlia Reo aveva amato Apollo ed era rimasta incinta, lui, infuriato la rinchiuse in uno scrigno e la gettò alla furia del mare, questa però si salvò e diede alla luce Anio.\nSecondo Partenio, Stafilo visse a Bubasto ed un giorno ricevette Lirco (figlio di Foroneo) la cui moglie non poteva avere figli. Lirco, in precedenza aveva saputo da un oracolo di Apollo che avrebbe impregnato la prima donna con cui sarebbe giaciuto.\nStafilo, ignaro della cosa, gli fece bere dei vini e gli permise di adagiarsi con una figlia (Emiteia) che rimase incinta di Basileo.\nStafilo s'imbarcò sull'Argo quando Giasone mandò gli araldi in cerca di avventurieri ed un giorno che con gli Argonauti chiese aiuto al re di Delo, non si accorse che il re che aveva di fronte era suo nipote Anio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Statua di Medea.\n### Descrizione: La statua di Medea (in georgiano მედეას ქანდაკება?) è un monumento di Batumi, in Georgia.\nRaffigura Medea, personaggio della mitologia greca, figlia di Eete, re della Colchide. Nella mano destra tiene il vello d'oro, simbolo di prosperità. Fu realizzata nel 2007 da Davit Khmaladze, architetto georgiano attivo in Belgio, grazie ad uno stanziamento governativo di 1.230.000 lari. Secondo l'allora sindaco di Batumi, Irakli Tavartkiladze, la statua possiede un importante contenuto simbolico poiché: 'Medea è il simbolo dell'integrazione delle culture georgiana ed europea'. Fu inaugurata ufficialmente il 6 luglio 2007, alla presenza del presidente della Georgia Mikheil Saak'ashvili." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Statua di Teucro.\n### Descrizione: Teucro, è una statua creata dallo scultore spagnolo Cándido Pazos, che si trova a Pontevedra (Spagna). È situata in Piazza San Giuseppe sopra l'orologio dell'edificio centrale della Cassa di Risparmio Provinciale di Pontevedra ed è stata inaugurata il 15 luglio 2006.\n\nStoria.\nTeucro è il mitico fondatore della città di Pontevedra. La leggenda narra che il mitico arciere Teucro, figlio del re Telamone (re di Salamina), seguì una sirena, Leucoiña, in esilio nella Ria di Pontevedra e poi fondò la città.\nPrima della fondazione della città, Teucro, insieme al fratello Aiace e al cugino Achille, era partito per la guerra di Troia. Ma quando questa lunga guerra finì e tornarono a casa, gli eroi non furono ben accolti, anche dalle loro stesse famiglie. Teucro, respinto dal padre, andò quindi alla ricerca di una nuova patria in Occidente e arrivò in Iberia, viaggiò lungo la costa della Hispania, attraversò lo stretto di Gibilterra e fondò una colonia greca chiamata Hellenes, che in seguito divenne Pontevedra.\n\nDescrizione.\nLa scultura è in bronzo ed è alta 6 metri.Pesa 2 tonnellate ed è ancorata con un picchetto d'acciaio al piccolo padiglione dell'orologio nella parte superiore dell'edificio della Cassa di Risparmio di Pontevedra. La scultura dà una sensazione di leggerezza che fa pensare di galleggiare nell'aria nel vuoto.Teucro è rappresentato come un giovane atleta nudo con un arco modernista e l'espressione di essere arrivato a destinazione.\n\nTeucro in città.\nLa città ha dato il nome di Teucro nel 1843 alla piazza più antica del centro storico, che fino ad allora si chiamava piazza della città o piazza del pane.Sulla facciata del municipio di Pontevedra (1880) c'è un'iscrizione sulla fondazione della città da parte dell'arciere greco Teucro.\n\nNella Basilica di Santa Maria Maggiore c'è una statua di Teucro che porta la clava in cima al contrafforte destro della sua facciata principale. Nel 1956, una statua in granito di Teucro che rompe le fauci del leone di Nemea con una croce dietro di essa è stata aggiunta all'arco della fontana che chiude il piazzale della chiesa della Madonna Pellegrina.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Stenebea.\n### Descrizione: Stenebea (in greco antico: Σθενέβοια?, Sthenéboia), o Antea, è un personaggio della mitologia greca. Fu una regina di Tirinto.\n\nGenealogia.\nFiglia di Amfianasso o di Afeida, sposò Preto da cui ebbe le Pretidi (Lisippa, Ifinoe ed Ifianassa) e Megapente.\n\nMitologia.\nInnamoratasi di Bellerofonte, ospite del marito, fu da lui rifiutata. Per vendicarsi accusò l'eroe di aver cercato di sedurla e convinse Preto ad ucciderlo. Le leggi greche dell'ospitalità impedivano però l'uccisione di un commensale e quindi Preto inviò Bellerofonte da Iobate, con la scusa di consegnargli una lettera (che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione).\nAnche Iobate però ospitò Bellerofonte e sempre per osservanza delle leggi, non se la sentì di assassinarlo direttamente così preferì chiedere al giovane di uccidere la Chimera, un mostro dalla testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente che sputava fiamme.\nIn seguito gli venne chiesto di affrontare ulteriori prove mortali, come combattere contro il violento popolo dei Solimi, di uccidere le Amazzoni e di affrontare un attentato preparato dallo stesso Iobate.\nDopo averlo visto superare tutte le imprese, Iobate riconobbe la protezione divina di cui godeva Bellerofonte e gli diede in sposa una delle sue figlie.\n\nLa morte.\nSecondo una versione del mito, quando Antea scoprì che Bellerofonte era ancora vivo, in preda alla rabbia si uccise, mentre secondo un'altra versione fu Bellerofonte a vendicarsi di lei, tornando ad Argo e caricandola su Pegaso per poi farla precipitare.\nLe tre figlie di Preto e Antea divennero folli e condannate a vagare allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve gli sfortunati viandanti. Due di loro furono poi guarite da Melampo mentre Ifinoe morì.\n\nAltre vicende.\nAlla vicenda di Stenebea era dedicata una tragedia perduta di Euripide intitolata Stenebea.\nIl personaggio potrebbe comparire, o più probabilmente essere semplicemente citato, anche in un'altra tragedia perduta di Euripide, il Bellerofonte.\nLa relazione tra Stenebea e Bellerofonte ricalca quella biblica tra la moglie di Putifarre e Giuseppe." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Stenelo (figlio di Capaneo).\n### Descrizione: Stenelo (in greco antico: Σθένελος?, Sthénelos) è un personaggio della mitologia greca. Fu Re di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Capaneo, ebbe i figli Comete e Cilarabe.\n\nMitologia.\nFu uno degli Epigoni che presero parte alla seconda spedizione contro Tebe.\nPartecipò anche alla guerra di Troia come auriga di Diomede. Secondo il V canto dell'Iliade, Diomede uccise Pandaro e ferì Enea, che cadde svenuto. Su ordine di Diomede, Stenelo rubò quindi i valenti cavalli di Enea, discendenti dei cavalli offerti da Zeus a Troo. Secondo l'Eneide, Stenelo fu tra i guerrieri che si nascosero nel cavallo di legno. Alla caduta di Troia, fece ritorno nella sua terra." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Stentore.\n### Descrizione: Stentore (greco: Στέντωρ) era l'araldo dei guerrieri greci, descritti da Omero durante la guerra di Troia nell'Iliade.\nAveva la caratteristica di possedere una voce pari a quella di cinquanta uomini, tanto potente da sentirsi a miglia di distanza.\nLa dea Era prese le sue sembianze quando volle incoraggiare le truppe greche al combattimento. Morì in un duello vocale con Ermes.\nDal suo nome è scaturito l'aggettivo stentoreo, con riferimento a una voce potente: voce stentorea.\n\nFonti.\nOmero, Iliade, V, 783 ss." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sterope (ciclope).\n### Descrizione: Sterope (in greco antico: Στερόπης?, Sterópēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra).\n\nMitologia.\nEra un ciclope, viveva nell'Etna ed era colui che anticipava il fragore del tuono con i lampi.\nEsiodo lo descrive (insieme ai suoi fratelli Bronte e Arge) come una creatura prodigiosa e conoscitore dell'arte della lavorazione del ferro. Come i due fratelli forgiava i fulmini di Zeus." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Stige.\n### Descrizione: Lo Stige (in greco antico: Στύξ?, Stýx - dal verbo στυγέω, 'odiare'), noto anche come 'fiume dell'odio', è uno dei cinque fiumi presenti negli Inferi secondo la mitologia greca e romana.\n\nStoria.\nSecondo il mito lo Stige si estendeva in nove grandi meandri che formavano una palude, detta appunto 'palude Stigia', che ostacolava la strada per arrivare al vestibolo dell'oltretomba; gli altri fiumi infernali erano Cocito (fiume del pianto), Acheronte (fiume del dolore), Flegetonte (fiume del fuoco) e Lete (fiume dell'oblio).\nGli dei lo chiamavano a testimone nei loro giuramenti mettendo in palio la propria appartenenza ai principi informatori del cosmo, dato che la potenza del fiume era tale che anch'essi la temevano, e tale giuramento era una formula inviolabile: se un dio era sospettato di mentire Zeus gli faceva bere una brocca d'acqua di questo fiume e qualora Stige avesse scoperto che aveva mentito il dio passava un anno in coma e nove anni lontano dai simposi.\nLe sue acque avevano anche il potere di rendere invulnerabili: Teti infatti vi immerse il figlio neonato Achille tenendolo però per il tallone, che non essendo stato toccato dall'acqua divenne il suo proverbiale punto debole.\n\nInfluenza culturale.\nAstronomia.\nAd una delle lune di Plutone è stato dato il nome del fiume.\nAllo Stige è intitolato lo Styx Dorsum su Marte.\n\nLetteratura.\nCome molti altri luoghi della mitologia classica, anche lo Stige è stato ripreso da Dante Alighieri nella Divina Commedia: qui il fiume diventa il quinto cerchio dell'Inferno, nel quale sono immersi gli iracondi e sommersi gli accidiosi.\nAppare anche nella saga Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. Il protagonista, Percy Jackson, si tuffa nel fiume infernale, incontrando anche il fantasma di Achille, per ricevere le capacità necessarie per battersi contro Crono in 'Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo lo scontro finale'.\nNella Saga della spada di ghiaccio lo Stige non è un fiume ma un lago sotterraneo.\nUna caduta in uno Stige melmoso viene descritta nel L' irrimediable di Baudelaire, tra incubi, funebri angosce e umidi baratri:Une Idée, une Forme, un Etre/parti de l'azur et tombé/dans un Styx bourbeux et plombé/... un Ange... au fond d'un cauchemar énorme/... un damné descendant sans lampe,/au bord d'un gouffre dont l'odeur/trahit l'humide profondeur,/d'éternels escaliers sans rampe...\n\nMusica.\nDal nome del fiume hanno preso il nome gli Styx, gruppo rock statunitense.\n\nVideogiochi.\nNel videogioco Super Paper Mario, il Mondodigiù è molto ispirato all'Erebo, il regno dei morti di Ade secondo la mitologia greca. Qui c'è il fiume Ztige, palesemente ispirato allo Stige. Esso è pieno di fantasmi che tentano di trascinare nei suoi fondali chi ci va a nuoto chiamati Manomorta (Underhand) e per evitare queste creature e oltrepassare il fiume velocemente si può pagare il traghettatore Garonte, ispirato al famoso Caronte (il traghettatore del fiume Acheronte).\nNella campagna 'La Caduta del Tridente' di Age of Mythology, l'Oltretomba greco appare molte volte. Vi è un livello dove il protagonista Arkantos ne rimane intrappolato e ad un certo punto deve prendere la barca di Caronte per attraversare un tratto del fiume Stige. Dentro vi nuotano varie creature marine come Kraken e Leviatani. Nelle versioni più recenti del gioco è stata aggiunta una mappa scontro chiamata proprio Fiume Stige, ambientata appunto in una zona dell'Oltretomba vicina al fiume, e in più il fiume Stige è un tipo di tileset d'acqua che può essere messo in una mappa sull'editor.\nNel videogioco Hades, Zagreus, figlio di Ade,si imbatte delle volte nel traghettatore Caronte, che in cambio di oboli fornisce al protagonista equipaggiamento per potenziare il suo arsenale, nel primo livello del gioco (il tartaro) si nota il fiume percorrere delle stanze. Una volta emerso dai Campi Elisi, il protagonista si ritroverà sul Tempio dello Stige nel quale dovrà afforntare i Satiri e nel quale dovrà corrompere Cerbero per raggiungere la Grecia dove lo attende suo padre Ade per sfidarlo in un duello all'ultimo sangue.\nNel videogioco ULTRAKILL, lo Stige ricopre tutto il cerchio dell'Ira, dove si possono trovare parti dei corpi degli iracondi nell'acqua. Il primo livello comincia con il giocatore che si ritrova sott'acqua, e dopo essere risaliti in superficie ci si ritrova sulla superficie del fiume, nel secondo livello. Viene successivamente chiamata una nave dove si può combattere il Traghettatore, il secondo boss del cerchio dell'Ira. Il terzo livello si svolge all'interno della nave, che viene misteriosamente capovolta vicino alla fine. Nel quarto e ultimo livello si risale in superficie per combattere il secondo boss del cerchio, il Leviatano." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Stinfalia.\n### Descrizione: Lo Stinfalia (in greco Λίμνη Στυμφαλία, Límnē Stymphalía) è un lago paludoso della Grecia. È situato su un altopiano a 600-800 metri d'altitudine alle falde meridionali del monte Cillene, fra le alture del Peloponneso nord-orientale, presso Nemea.\nAlimentato solo in parte da sorgenti, il lago è drenato da vari collettori d'acqua sotterranei e da un canale, per cui il terreno risulta in gran parte asciutto e, nelle annate secche, totalmente prosciugato. L'area, un misto di macchie umide selvatiche e di zone coltivabili, viene utilizzata per l'agricoltura, la pastorizia e la caccia. Il sito è popolato soprattutto da uccelli (è un'importante stazione per la riproduzione, il transito e lo svernamento degli uccelli acquatici, fra cui specie protette come l'aquila di mare dalla coda bianca, l'Haliaeetus albicilla), da anfibi (in particolare le rane, che talora si mimetizzano a migliaia nell'erba), da piante e altri animali (come le donnole).\nVicino alle rive del lago sorgeva l'antica città di Stinfalo, nota soprattutto per una delle dodici fatiche di Eracle. Nel IV secolo a.C. fece parte prima della Lega arcadica e poi di quella di Corinto (338-337 a.C.); coinvolta nelle guerre dei diadochi, la città sostenne Poliperconte contro Cassandro I che, nel 315 a.C., la fece occupare da Apollonide. Nel 235 a.C. aderì alla Lega achea che, contrapponendosi alla Lega etolica, da un lato favorì la conquista del Peloponneso da parte di Filippo V di Macedonia e, dall'altro, provocò l'intervento romano nella regione e la sua occupazione nel 146 a.C. Qui, oltre un secolo dopo, l'imperatore Adriano fece costruire un acquedotto di 132 km per rifornire Corinto con l'acqua del lago.\n\nMitologia.\nAnticamente si riteneva che presso il lago vivessero grandi e mostruosi uccelli con penne, becco e artigli di ferro che aggredivano i viandanti, li rapivano e li portavano con sé nella selva circostante per ucciderli e divorarli. La sesta fatica di Eracle consistette appunto nel disperdere e uccidere gli uccelli di Stinfalia; l'eroe vi riuscì con un abile stratagemma: dapprima li stanò dalla fitta vegetazione del lago (la 'palude stinfalide') battendo sonoramente dei potenti sonagli di bronzo donatigli da Atena e poi li uccise con le sue frecce infallibili." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Storie di Enea.\n### Descrizione: Le Storie di Enea sono il tema di un fregio affrescato da Ludovico, Agostino e Annibale Carracci in una sala di Palazzo Fava (poi Fava Ghisilieri) a Bologna. Incerta è la data di esecuzione dell'opera, che le acquisizioni più recenti collocano ai primi anni dell'ultimo decennio del Cinquecento. Gli affreschi versano in condizioni conservative piuttosto compromesse, solo in parte migliorate da recenti restauri.\n\nStoria.\nDopo i fregi con le Storie di Giasone e Medea e di Giove ed Europa, si tratta della terza impresa decorativa commissionata ai Carracci dal conte Filippo Fava per la sua dimora bolognese.\nStando al racconto di Carlo Cesare Malvasia (Felsina pittrice, 1678), questo terzo incarico sarebbe stato affidato al solo Ludovico. Lo storico bolognese narra infatti che il conte Fava sarebbe stato negativamente influenzato dalle critiche mosse - in particolare da Bartolomeo Cesi - al fregio di Giasone e Medea, giudizi negativi che avrebbero risparmiato le sole parti del ciclo argonautico dovute a Ludovico Carracci. Di qui la decisione del Fava di escludere da questa terza commessa Annibale ed Agostino. Sempre secondo l'aneddotica malvasiana, Ludovico però avrebbe egualmente coinvolto i suoi cugini - e in particolar modo Annibale, cui avrebbe affidato l'esecuzione di tre riquadri del fregio - praticamente di nascosto.\nMolto controversa è la data di realizzazione delle Storie di Enea. Sempre il Malvasia riporta che alla loro esecuzione si mise mano subito dopo la conclusione del fregio di Giasone, portato a termine orientativamente nel 1584. Alcuni storici moderni, accettando la versione del Malvasia, datano quindi il fregio virgiliano intorno al 1585. Altri studi, però, spostano di qualche anno in avanti le storie di Enea, sia sulla base di rilievi stilistici, sia considerando che in Palazzo Fava vi sono altri tre ambienti decorati egualmente con storie tratte dall'Eneide.\nQueste altre tre stanze - dovute una all'allievo dei Carracci, Francesco Albani, un'altra a non meglio individuati discepoli degli stessi Carracci e la terza a Bartolomeo Cesi - costituiscono un continuum con la stanza affrescata da Ludovico, Agostino ed Annibale. Si tratta in sostanza di un unico ciclo virgiliano, suddiviso in più “capitoli” quante sono le stanze di Palazzo Fava dedicate alle vicende narrate nell'Eneide. Dal momento che gli altri tre fregi virgiliani sono con certezza collocabili nell'ultimo decennio del XVI secolo, sembra plausibile che anche quello dei Carracci si collochi in questo stesso periodo di tempo (apparendo poco probabile che la decorazione delle quattro stanze di Palazzo Fava dedicate all'eroe troiano - frutto di un progetto unitario - possa aver richiesto dieci anni e più). Conseguentemente, la datazione ad oggi più seguita per il fregio con le storie di Enea è ai primi anni novanta del XVI secolo.\nResta in ogni caso molto incerto se il terzo ciclo di casa Fava segua o preceda le Storie della fondazione di Roma di Palazzo Magnani, capolavoro collettivo dei Carracci a Bologna, anch'esso risalente al 1590-91.\n\nLa datazione più tarda potrebbe peraltro spiegare in modo più convincente del racconto del Malvasia - sul punto forse poco credibile - il ruolo preminente di Ludovico nell'impresa, comunque riconosciuto anche dalla critica moderna. Nei primi anni novanta del Cinquecento, infatti, Annibale è ormai un pittore affermato - pienamente autonomo dal più anziano cugino - ed impegnato in importanti commissioni che spesso lo portano fuori Bologna. Così come Agostino in quel tempo è già un incisore di grido, attività che del pari lo tiene a lungo lontano dalla sua città di nascita (e segnatamente a Venezia, dove mette su anche famiglia). Ludovico invece dei tre fu il più stanziale e forse per questo ebbe un ruolo maggiore nel terzo fregio voluto dal conte Fava.\nDei dodici riquadri con le vicende di Enea, infatti, ben nove sarebbero opera di Ludovico, tre di Annibale, mentre il contributo di Agostino è più incerto ed è forse concentrato nella realizzazione dei (pregevoli) termini monocromi che intervallano gli episodi narrativi.\nIl tema affrontato vantava già notevoli precedenti nella pittura locale tra i quali gli affreschi di Nicolò dell'Abate realizzati prima per la Rocca dei Boiardo a Scandiano (poi staccati ed ora nella Galleria di Modena) - che sono una delle più antiche raffigurazioni pittoriche tratte dall'Eneide a noi note - e in seguito per Palazzo Leoni a Bologna (questi ultimi forse opera di scuola).\n\nIl fregio dei Carracci.\nIl fregio si articola in dodici riquadri narrativi tratti dai libri II e III dell'Eneide. Le pareti lunghe ospitano quattro episodi e quelle corte due.\nLa narrazione ha avvio sulla parete lunga esposta ad Ovest e procede in senso antiorario.\nSotto ogni scena vi è un cartiglio con un motto latino che ne compendia il significato (elemento che si ritrova identico anche nelle Storie della fondazione di Roma, altra opera collettiva dei Carracci). In genere questi aforismi sono parafrasi di versi dell'Eneide, ma in alcuni casi si tratta di vere e proprie citazioni letterali del poema.\nGli affreschi sono collocati immediatamente al di sotto del soffitto dell’ambiente e poggiano su una trabeazione illusionistica. Ogni scena è inquadrata da una finta cornice in marmo che nella parte alta è riccamente istoriata.\nI singoli episodi narrativi sono separati uno dall'altro da otto complessi gruppi terminali, collocati su finte mensole aggettanti, composti da un guerriero nudo che sottomette un’arpia.\nIl tema di questi gruppi è quindi connesso ad una delle scene narrative del fregio dove i Troiani lottano con le terribili creature alate.\nIl monocromo col quale sono raffigurati e il loro illusionistico aggetto creano l'effetto visivo di sculture poggiate al muro.\nAgli angoli delle pareti, dato il minor spazio disponibile, in luogo del complesso gruppo guerriero/arpia, vi sono più semplici putti che reggono degli scudi sui quali sono raffigurati simboli araldici.\nNell'ornato del lato alto della finta cornice marmorea, tra volute di motivi vegetali, si vedono delle maschere dalle fattezze grottesche: è un elemento che si ritrova, ancora più caratterizzato, nelle già menzionate Storie della fondazione di Roma e poi pienamente sviluppato nella volta della Galleria Farnese, capolavoro romano di Annibale Carracci.\nLo stato di conservazione degli affreschi, specie in alcune parti, è piuttosto precario. Tra le cause che hanno contribuito al danneggiamento delle pitture vi è anche il rifacimento della travatura del soffitto (avvenuto in data imprecisata) che ha colpito soprattutto i termini (sulle pareti lunghe, in particolare, l'apposizione delle travi ha comportato la distruzione dell'affresco in corrispondenza della testa dei guerrieri).\nIgnoto è l'ideatore del ciclo: la minuta conoscenza dell'Eneide che esso tradisce (anche tramite le iscrizioni dei cartigli) lascia pensare che si tratti di un letterato, mentre è meno probabile (ma non da escludere) che l'impaginazione iconografica del fregio sia stata autonomamente definita dai pittori.\n\nSinone imprigionato.\nIl primo episodio del fregio raffigura l'evento culminante dell'inganno mediante il quale i Greci espugneranno Troia, dopo tanti anni di inutile lotta.\nI Danai fingono di abbandonare il campo e lasciano sulla spiaggia un immenso cavallo di legno. Sopraggiungono i Troiani che si interrogano sulla natura di questo insolito oggetto e già Laocoonte mette sull'avviso i suoi del pericolo («Timeo Danaos et dona ferentes»).\n\nProprio in questo momento irrompe sulla scena - come si vede nell'affresco di Ludovico - un gruppo di soldati troiani che trascina in ceppi il greco Sinone. Questi, con abili parole ingannatrici, convince i Troiani a portare il cavallo all'interno della città. Ciò ne determinerà la rovina: non solo al suo interno sono nascosti dei guerrieri greci, tra i quali lo stesso Ulisse, che al momento convenuto si daranno all'assalto, ma per portare l'enorme cavallo sulla rocca di Priamo sarà altresì necessario aprire una breccia nella mura di Troia, indebolendone la difesa dall'esterno.\nDomina la scena il gruppo in primo piano dei soldati che conducono Sinone verso Priamo e il suo seguito, visibili, in secondo piano, sulla destra. Sempre sul piano arretrato, su un alto basamento, si scorge Laocoonte che sembra brandire un'asta. Potrebbe essere la lancia scagliata dal sacerdote verso il cavallo, gesto che gli costerà la terribile punizione di Minerva, partigiana dei Greci.\nNell'accentuata tensione muscolare e nella violenza dei gesti che caratterizza il gruppo di Sinone e dei Troiani che lo tengono prigioniero è stata colta un'assonanza con la flagellazione di Douai, uno dei capolavori riconosciuti di Ludovico Carracci.\nSul cartiglio sotto la scena dipinta si legge «ECCE TRHAVNT MANIBUS VINCTVM POST TERGA SINONEM» (Ecco, essi trascinano Sinone con le mani legate dietro la schiena).\n\nIl Cavallo di Troia.\nI Troiani, ingannati da Sinone, sono ulteriormente fuorviati dal prodigio della morte di Laocoonte e dei suoi figli, stritolati dai serpenti marini inviati da Minerva. I sudditi di Priamo, infatti, interpretano questo evento come una punizione divina per la diffidenza di Laocoonte e quindi decidono senza ulteriore indugio di portare il cavallo dentro la città.\nL'evento è raffigurato (ancora da Ludovico) con piena aderenza al testo virgiliano (II, 234-240). Il cavallo è collocato su un carro dotato di ruote ed imbragato con delle funi per trainarlo, mentre tutt'intorno giovanetti e fanciulle cantano in coro. Il corteo avanza verso la città tra le cui mura si vede un'ampia breccia.\n\nUna ragazza danza in primo piano (a destra) e scuote un tamburello. Malvasia ipotizza che questa figura, animata dal furore, possa essere Cassandra, la figlia di Priamo dotata di poteri divinatori, che al pari di Laocoonte ha intuito la grave insidia che rappresenta il cavallo lasciato dai Greci. Il fatto che la fanciulla sia intenta nella stessa azione delle altre ragazze forse non avalla questa interpretazione, anche se l'accentuato primo piano e l'isolamento della figura possono far pensare che non si tratti di una qualunque delle danzatrici del seguito.\nIn effetti, la raffigurazione di Cassandra mentre il cavallo è portato in città vanta una consolidata tradizione che parte dalle illustrazioni grafiche dell'opera virgiliana - la si vede ad esempio nelle xilografie che corredano il commento alle opere di Virgilio di Sebastian Brant (1502) - e che si riscontra anche nei già citati affreschi della cerchia di Nicolò dell'Abate in Palazzo Leoni a Bologna.\nProprio questo precedente - al di là della presenza o meno di Cassandra nel riquadro di Palazzo Fava - sembra mostrare una complessiva assonanza compositiva con l'affresco carraccesco, del quale potrebbe essere stato un modello.\nIl cartiglio recita: «[S]CANDIT EQVVS RVPTOS FATALIS MACHINA MVROS» (Il cavallo, fatidica macchina da guerra, sale verso le mura infrante).\n\nLotta intorno a Cassandra.\nTroia è ormai in balìa dell'assalto dei Greci e qui è raffigurato uno degli eventi più tragici della notte che segna la definitiva caduta della città dei Dardani (II, 402-403). Aiace ha raggiunto Cassandra nel tempio di Minerva e dopo averla violentata la trascina via a forza. Il troiano Corebo indignato per quel che osserva si lancia coraggiosamente all'attacco per salvare la sacerdotessa. Sopraggiungono altri guerrieri, sia troiani che greci, e ne nasce un furioso scontro durante il quale molti trovano la morte, come lo stesso Corebo. Alla fine Cassandra è tratta in salvo.\nIl cartiglio non è più visibile a causa di una caduta di intonaco. Esso ci è egualmente noto grazie alla trascrizione fattane dal Malvasia nella Felsina pittrice: «CRINIBVS E TEMPLO TRAHITVR PRIAMEIA VIRGO» (La vergine figlia di Priamo è trascinata fuori dal tempio per i capelli).\n\nVenere soccorre Enea.\nLa battaglia continua ad infuriare ed Enea prende parte alla difesa della reggia di Priamo. La resistenza è vana e i Greci portano la strage, uccidendo lo stesso vecchio re di Ilio. Enea è ormai solo ed è colto dall'angoscia per la sorte dei suoi familiari indifesi. Mentre tenta di lasciare il palazzo reale in fiamme scorge Elena, causa della sciagura troiana. Egli è colto dal desiderio di ucciderla ma proprio in quell'istante gli appare Venere, divina madre di Enea, che lo dissuade da quel proposito e gli rammenta la necessità di accorrere in difesa della sua famiglia. Venere così, con un incanto, sottrae Enea dal fuoco e dai nemici e lo conduce illeso a casa sua.\nNessun elemento identifica la natura divina di Venere: la soprannaturalità dell'evento è resa solo dalla vistosa vampata di fiamme dentro la quale, per volere della dea, anche il mortale Enea si muove illeso.\nIl commento sottostante è «AT VENVS ÆNEAM CERTANTEM EX IGNÆ RECEPIT» (Ma Venere tirò fuori il combattente Enea dal fuoco).\n\nEnea abbandona la reggia.\nTornato a casa, Enea vorrebbe immediatamente fuggire dalla città con tutti i suoi familiari. Suo padre Anchise - il vecchio seminudo seduto sullo sfondo - però, si oppone fermamente all'idea di seguirli: non vuole lasciare la sua terra e non gli importa di essere ucciso dai Greci. Anzi egli si definisce già sepolto (positum) e a questo forse allude la sua raffigurazione che pare richiamare un rito funerario (o forse il proposito di suicidarsi).\nA sua volta Enea rifiuta di lasciare lì l'anziano padre ed altro partito non vede se non quello di imbracciare di nuovo le armi, tornare per le strade di Troia e riprendere la lotta contro gli Achei che ormai incombono: dalla porta a sinistra già si vedono entrare il bagliore e il fumo dell'incendio scatenato dagli invasori.\nSua moglie Creusa allora lo implora in ginocchio di non lasciare lei e il piccolo Ascanio, il figlio di Enea, di nuovo soli ed indifesi. Il motto sottostante l'affresco è proprio l'implorazione che Creusa rivolge al suo sposo: «SI PERITVRVS ABIS ET NOS RAPE IN OMNIA TECVM» (Se ti rechi a morire porta anche noi con te ovunque andrai) ed è un verso vero e proprio dell'Eneide (II, 675).\nUna fiammella spunta dalla testa di Ascanio: dettaglio che allude al prodigioso evento che vincerà l'irremovibilità di Anchise.\n\nEnea fugge da Troia in fiamme.\nSubito dopo l'invocazione di Creusa si verifica il prodigio annunciato nel riquadro precedente: la testa di Ascanio è avvolta dalle fiamme - che però non gli causano alcun danno - quindi nella stanza appare una stella cometa che indica la via da seguire. L'evento miracoloso convince Anchise a seguire il resto della sua famiglia nell'esilio.\nEnea si carica in spalla l'anziano padre, che porta via con sé la statuetta dei Penati, e con Creusa ed Ascanio lascia la città data alle fiamme dai Greci. Insieme ad altri Troiani che si uniscono a loro si recano alla volta del tempio di Cerere posto fuori dalle mura della città.\nSullo sfondo a sinistra, in lontananza, vi è la veduta di Troia avvolta dai bagliori dell'incendio che la sta divorando, mentre il cielo è solcato dalla cometa che indica la via della salvezza.\nNel cartiglio si legge: «ERIPIT ÆNEAS HVMERIS EX HOSTE PARENTEM» (Enea sottrae suo padre ai nemici portandolo sulle sue spalle).\n\nEnea e l'ombra di Creusa.\nNella concitazione della fuga da Troia Creusa scompare. Enea se ne avvede solo una volta arrivati al tempio di Cerere ed è preso dalla disperazione per la perdita della moglie. Decide allora di tornare a Troia per cercarla.\nLa visione che lo accoglie varcata a ritroso la porta dalla quale era fuggito è spaventosa: Troia è stata devastata e razziata, donne e bambini sono stati fatti prigionieri. Mentre osserva con sgomento la triste fine della sua patria, appare ad Enea Creusa trasfigurata in sembianze sovrannaturali. La moglie lo rassicura: ella non è stata uccisa dai nemici, ma portata da Cibele nel mondo ultraterreno. Creusa prosegue incitando Enea a riprendere la fuga e gli predice l'approdo all'esperia terra (l'Italia) e il regno che lì egli fonderà.\nNell'affresco si vede Enea che, seguendo il segno indicante della sua consorte, abbandona per la seconda e definitiva volta la città, mentre tutt'intorno imperversa la strage.\n«ÆNEAM ALLOQVITVR SIMVLACRVM ET VMBRA CREVSAE» (Un fantasma, l'ombra di Creusa, indirizza Enea) è il motto che descrive quel che si vede nel dipinto.\n\nSacrificio di Enea.\nLasciata per sempre Troia iniziano le peregrinazioni di Enea e dei suoi seguaci. Qui (omettendo alcune delle tappe iniziali del viaggio dei Troiani verso una nuova patria) la scena si svolge a Delo, l'isola sacra ad Apollo.\nProprio presso il tempio del dio, Enea implora che gli sia indicata la meta verso cui dirigersi e ove poter fondare una nuova Troia. L'invocazione è accolta, ma le parole di Febo non sono molto chiare: egli gli dice che deve recarsi nella terra da dove, in un remoto passato, gli antenati dei Teucri mossero verso la Troade, ma non dice di quale luogo si tratti. Infatti, Anchise mal interpreterà l'oracolo e individuerà questa antica patria avita nell'isola di Creta (e non nell'Italia, cui in realtà alludeva il vaticinio).\nIn primo piano Enea in ginocchio e in posa solenne ascolta il viatico di Apollo, il cui simulacro - dotato di cetra, tipico attributo del dio - poggia su un alto podio. Più arretrato, al centro, Anio, re del luogo e sacerdote di Febo, officia il rito. Al suo fianco c'è un altro vecchio, probabilmente identificabile in Anchise, antico amico di Anio. Entrambi hanno il capo cinto di alloro, pianta sacra al dio del sole.\n\nIl cartiglio recita: «CÆLICOLVM REGI MACTANT IN LITTORE TAVRVM» (Sacrifica un toro sulla spiaggia all'alto re dei Numi). Il motto, in questo caso, però non corrisponde a quanto si osserva nell'affresco. Esso infatti riprende il verso virgiliano: «Sacra Dionaeae matri divisque ferebam auspicibus coeptorum operum, superoque nitentem caelicolum regi mactabam in litore taurum» (III, 19-21). Verso che non si riferisce al rito in onore di Apollo raffigurato nel riquadro, ma al precedente sacrificio che Enea aveva celebrato appena sbarcato nella terra dei Traci (e durante il quale aveva scoperto la triste fine di Polidoro, figlio di Priamo).\nLa discrasia tra immagine e testo è forse dovuta ad un errore. Tuttavia la notevole conoscenza dell’Eneide che in generale caratterizza i dipinti di Palazzo Fava (non solo nel fregio dei Carracci, ma anche nelle altre stanze virgiliane), potrebbe far pensare che il disallineamento sia stato voluto, con l’intento di riferire ad Apollo l’appellativo di caelicolum regi, sottolineando così il valore della profezia di Delo.\nUna ripresa di questo riquadro si trova nel Sacrificio di Ifigenia del Domenichino, uno degli scomparti della volta della Sala di Diana del Palazzo Giustiniani-Odescalchi di Bassano Romano, affrescata dallo Zampieri nel 1609.\n\nOfferta a Nettuno.\nOttenuto il responso di Apollo i Troiani decidono di prendere subito il mare alla volta di Creta (la meta che errando credono sia quella indicata dall'oracolo). Per propiziarsi un esito positivo del viaggio è celebrato il sacrificio di due tori – uno per Nettuno e uno per Apollo – di una pecora nera per la Tempesta e una di pecora bianca per il Sereno.\nLa scritta nel cartiglio «NEPTVNO MERITOS ARIS INDICIT HONORES» (Sull'altare indice i dovuti onori a Nettuno) sintetizza i versi dell'Eneide (III, 117-119) che descrivono il rito sacrificale puntualmente raffigurato nell'affresco.\nPiù autori ritengono questo riquadro frutto della collaborazione tra Ludovico, cui si pensa spetti la parte destra della scena, ed Annibale, responsabile della parte di sinistra.\nIn effetti, nella figura in primo piano a sinistra, impegnata a sgozzare uno dei tori, è stata colta una vicinanza col garzone di bottega che si vede nella Grande Macelleria del più giovane dei Carracci (al centro in basso) a sua volta intento nell'uccisione di un capretto.\n\nLa mensa dei Troiani insozzata dalle arpie.\nRaggiunta Creta, l'isola si rivela tutt'altro che una terra promessa. Colpiti da una pestilenza e da altre avversità i Troiani iniziano a dubitare di aver inteso correttamente l'oracolo di Delo. Proprio in questo frangente Enea è raggiunto in sogno dai suoi Penati che gli dicono in modo chiaro che la meta da raggiungere è l'Italia.\n\nSenza indugio il figlio di Venere e i suoi seguaci riprendono di nuovo il mare ma sono costretti da una tempesta a far tappa nelle isole Strofadi, la patria delle arpie.\nAppena sbarcati, affamati, razziano gli armenti delle stesse arpie e se ne cibano. Le temibili donne-uccello si vendicano assalendo il banchetto dei Troiani.\nIn occasione del secondo attacco delle arpie Enea ordina ai suoi di reagire con le armi, come si vede nell'affresco. Le terribili creature sono così messe in fuga, al che Celeno, la loro regina, lancia ai Troiani una maledizione: raggiungeranno sì l'Italia come vogliono gli dèi, ma il viaggio sarà ancora lungo e pieno di difficoltà.\nIl riquadro è attribuito dal Bellori ad Annibale Carracci, conclusione confermata in termini pressoché unanimi dalla critica moderna che tende ad assegnare allo stesso Annibale anche il gruppo terminale a destra del dipinto. Non è esclusa tuttavia una collaborazione di Ludovico, forse desumibile dal disegno di un'arpia dubitativamente ritenuto preparatorio di questa composizione ed ampiamente ascritto al più anziano dei Carracci.\nLa didascalia del cartiglio recita: «ARPIÆ CELERI LAPSV DE MONTIBVS ADSVNT» (Con volo veloce le arpie arrivano dai monti).\n\nApprodo di Enea in Italia.\nTralasciando vari accadimenti verificatisi dopo l'abbandono delle Strofadi, è qui raffigurato il primo avvistamento della costa italiana. Sull'imbarcazione vi è evidente soddisfazione: a prua due marinai salutano l'evento dando fiato alle trombe mentre a poppa Anchise versa in mare del vino da una patera in segno benaugurale.\nSi tratta di uno degli episodi (come quello con Polifemo che immediatamente lo segue sulla stessa parete corta) peggio conservati di tutto il fregio: la parte bassa del riquadro e in particolare la decorazione della nave è ormai ampiamente compromessa.\nNonostante lo stato conservativo quanto mai precario Donald Posner (studioso statunitense e tra i massimi conoscitori dell'arte di Annibale) ha dubitativamente proposto l'attribuzione anche della penultima scena del fregio al più giovane dei Carracci.\n«ITALIAM, ITALIAM PRIMVS CONCLAMAT ACHATES» (Italia!, Italia! gridò per primo Acate) si legge nel cartiglio, che anche in questo caso cita letteralmente un verso di Virgilio (III, 524).\n\nPolifemo aggredisce la flotta troiana.\nEnea e suoi fanno tappa in Sicilia nei pressi dell'Etna. Qui incontrano un compagno di Ulisse che era stato abbandonato in quella terra dai suoi, datisi alla fuga dopo aver accecato il ciclope Polifemo. Costui mette sull'avviso i Troiani del grave pericolo rappresentato dai ciclopi e li sprona a lasciare quei luoghi.\nProprio in questo mentre si affaccia sulla scena Polifemo che, ormai cieco, usa come bastone un albero di pino. Il gigante si immerge in acqua e i Troiani, terrorizzati, alzano le ancore per lasciare precipitosamente l'inospitale lido. Sentendo il rumore dei remi sulle onde, Polifemo si accorge di quel che sta accadendo ma la flotta di Enea è già a distanza di sicurezza. Il ciclope non può fa altro che emettere uno spaventoso urlo di rabbia mentre i Troiani si mettono in salvo.\n\nNell'affresco la minacciosità di Polifemo è accentuata dal gesto di brandire l'albero di pino che sembra quasi stia per essere scagliato verso le navi in fuga (dettaglio che non figura nel racconto virgiliano), come fa pensare la torsione del ciclope.\nAnche in questo caso, come per il riquadro raffigurante lo scontro con le arpie, è il Bellori che per primo ha assegnato l'affresco ad Annibale, attribuzione tuttora condivisa e confermata anche dal disegno preparatorio per la figura di Polifemo, conservato agli Uffizi, la cui spettanza al più giovane dei Carracci appare certa.\nQuesto disegno significativamente venne dapprima inteso quale studio preparatorio della scena della Galleria Farnese con Polifemo che uccide Aci. In effetti è percepibile la vicinanza tra le due raffigurazioni del gigante, in entrambi i casi caratterizzate da un'accentuata torsione del tronco. Ciò lascia pensare che per l'affresco di Palazzo Farnese il pittore abbia tratto spunto proprio da questa sua precedente prova bolognese.\nCome per gli altri riquadri del fregio di Enea spettanti al più giovane dei Carracci anche in questo caso si apprezza nella composizione un notevole brano di paesaggio sullo sfondo. La visione in lontananza di alberi e monti - tra i quali anche l’Etna - contribuisce a rendere l’enorme mole del ciclope.\nSul cartiglio sotto il dipinto c'è scritto «HIC POLYPHÆMVS ADEST HORRENS GRADITVRQ[VE] PER ÆQVOR» (Qui appare il mostruoso Polifemo che incede attraverso le acque).\n\nTermini.\nCome già si coglie nelle divinità che inframezzano le storie di Giasone e Medea – esordio dei Carracci nella grande decorazione parietale – anche nelle storie di Enea i termini che separano gli episodi narrativi non svolgono una mera funzione divisoria ma, ad un tempo, sono un elemento della storia raffigurata ed hanno una fondamentale funzione illusionistica, dovuta alla realistica resa scultorea che li caratterizza.\nNella sala di Enea di Palazzo Fava si evince una notevole inventiva nella variazione dello stesso tema, cioè il guerriero che sottomette la mostruosa arpia, riprodotto in tanti modi diversi ma sempre producendo una forte carica emozionale.\n\nL'efficacia di questi gruppi è testimoniata innanzitutto dalla letterale ripresa che ne fece il Guercino - utilizzandoli con la stessa funzione - nelle sue Storie di Provenco realizzate a Cento, all'incirca nel 1614, per la dimora della famiglia Provenzali.\nDei guerrieri ed arpie in lotta di Palazzo Fava si conservano poi vari disegni che ne sono stati tratti (in passato da alcuni ritenuti studi preparatori autografi, ma oggi in larga prevalenza considerati delle copie tratte dagli affreschi) fino a ritrovarli in un notevole azulejo settecentesco realizzato dai maestri portoghesi Antonio e Policarpo de Oliveira Bernardes per la chiesa della Misericordia di Viana do Castelo.\nIdeati probabilmente da Ludovico Carracci, come fa pensare lo studio di Windsor Castle, il Malvasia attribuisce anche l'esecuzione dei termini del fregio di Enea - al pari delle già menzionate divinità della sala di Giasone - ad Agostino Carracci. Il biografo bolognese si basa essenzialmente sulla circostanza che il monocromo di questi elementi sarebbe stato più congeniale ad Agostino, al tempo già esperto incisore, quindi più versato del cugino e del fratello nella resa tridimensionale basata solo sul chiaroscuro e senza colore.\nLa tesi del Malvasia è forse eccessiva dal momento che almeno uno dei gruppi terminali è con ampio consenso ritenuto opera di Annibale. Si tratta in particolare del termine a destra della lotta tra Troiani ed arpie (anche il riquadro narrativo è pressoché unanimemente attribuito al più giovane dei Carracci), del quale peraltro si conserva un raro documento fotografico che mostra il gruppo ancora integro (prima che i termini delle pareti lunghe fossero semidistrutti a causa del rifacimento delle travi del soffitto).\nI termini della sala di Enea suscitarono anche l'attenzione di Goethe che li descrisse nei suoi Scritti sull'arte e sulla letteratura (1772-1827), giudicandoli però in modo non propriamente elogiativo.\n\nLo stile.\nÈ proprio l'analisi dello stile che, prima di tutto, ha spinto larga parte della comunità scientifica a rigettare il resoconto del Malvasia che vorrebbe le storie di Enea realizzate in immediata successione alle precedenti imprese decorative di Palazzo Fava.\nIl confronto con tali altri cicli di affreschi, e in particolare con il più rilevante di essi, le storie di Giasone e Medea, evidenzia una maggior maturità artistica che colloca necessariamente l'ultima opera creata per il conte Fava qualche anno più avanti (sia pure con tutte le riferite incertezze su quanto sia il tempo che distanzia le due prove).\nNel ciclo argonautico infatti si riscontrano delle imperfezioni tipiche in una prova di esordio: le scene sono piuttosto piccole e in taluni casi sovraffollate al punto che talora, guardate dal basso, non risulta chiarissimo cosa sia raffigurato nel dipinto.\nLe storie di Enea invece hanno un impianto decisamente monumentale: le scene sono più grandi, i protagonisti che le abitano sono generalmente pochi e l’azione risulta sempre chiaramente comprensibile.\nAnche la costruzione delle figure è molto diversa, qui connotata da una solidità delle masse che non si coglie negli affreschi giovanili. I corpi dei protagonisti sono caratterizzati da una pronunciata resa muscolare spesso raffigurata nella tensione del moto, come nelle scene di lotta.\nQuesta svolta stilistica è stata ritenuta il frutto di una riflessione dei Carracci - e segnatamente di Ludovico, principale artefice delle storie di Enea - sull’esempio locale di Pellegrino Tibaldi e in particolare su quella che è una delle sue opere maggiori, cioè gli affreschi con storie di Ulisse dipinti a Palazzo Poggi a metà del Cinquecento.\nImpresa che a sua volta rimanda alla rivoluzione pittorica inaugurata da Michelangelo nella Cappella Sistina che il Tibaldi - attivo a Roma per alcuni anni - contribuì più di tutti a diffondere a Bologna.\n\nLe incisioni di Giuseppe Maria Mitelli.\nDei cicli carracceschi di Palazzo Fava quello con le storie di Enea è l’unico ad essere stato riprodotto in incisione. Ideatore dell'impresa grafica fu Flaminio Torri che realizzò i disegni da utilizzare per l’incisione delle matrici. Il Torri tuttavia morì prima di portare a termine questo compito. Gli subentrò Giuseppe Maria Mitelli che attese all'intaglio dei rami sulla base dei disegni del primo. La serie - composta dalle dodici scene narrative e dagli otto gruppi dei guerrieri che sconfiggono le arpie - fu data alle stampe nel 1663 con dedica a Leopoldo de' Medici.\nLe pregevoli stampe del Mitelli sono anche una preziosa fonte di lettura del ciclo pittorico in quanto consentono di intuirne lo stato originario quale esso era prima del grave deterioramento subito dalle pitture.\n\nGli altri fregi virgiliani di Palazzo Fava.\nIn Palazzo Fava, come rilevato, oltre a quello dei Carracci vi sono altri tre fregi dedicati alle vicende di Enea, rispettivamente spettanti a Francesco Albani, a non ancora identificati allievi dei Carracci (e più segnatamente del solo Ludovico, perché al tempo di realizzazione di questi dipinti Annibale ed Agostino avevano già lasciato Bologna) e, infine, a Bartolomeo Cesi.\nQuesti altri tre fregi sono, nell'ordine indicato, in rapporto di continuità narrativa con quello dei Carracci (e tra loro): le quattro stanze virgiliane, quindi, costituiscono lo svolgimento di un unico programma decorativo ed iconografico.\nLa connessione di questi quattro ambienti tuttavia è stata chiarita dagli studi solo in tempi relativamente recenti ed è dovuta allo storico dell’arte Sonia Cavicchioli. In passato il nesso non era stato colto, probabilmente a causa dell’apparente “disordine”, in rapporto al poema virgiliano, della sequenza delle quattro stanze.\nQuella dei Carracci, infatti, narra dei fatti esposti nel secondo e nel terzo libro dell’Eneide, quella dell’Albani è dedicata al primo libro, quella degli scolari di Ludovico si apre con un episodio del primo libro per poi raffigurare vicende del quarto e del quinto libro, mentre il Cesi, da ultimo, inscena episodi tratti dal quinto e dal sesto libro.\nCiò che ha consentito di individuare la precisa sequenzialità delle stanze di Palazzo Fava è stata la comprensione del fatto che esse non seguono l’ordine del racconto come lo si legge nell'Eneide, bensì della loro disposizione secondo la cronologia “storica” degli eventi raffigurati.\nLa prima stanza quindi, quella di Ludovico, Agostino ed Annibale, parte dai libri secondo e terzo (e non dal primo), perché qui si narra della caduta di Troia e delle prime peregrinazioni di Enea, cioè degli accadimenti in ordine di tempo più remoti, anche se nell'Eneide sono descritti dopo quel che è narrato nel primo libro (i cui accadimenti sono pertanto raffigurati dall’Albani nella seconda stanza perché - nel tempo - successivi).\nAnche il salto apparentemente più brusco dal primo al quarto libro, che si osserva nella stanza degli allievi, si spiega allo stesso modo. La scena di apertura di questa stanza, cioè il banchetto che Didone offre in onore di Enea (I, 706) è immediatamente seguita da una scena del quarto libro (Didone che offre sacrifici agli dèi; IV, 58) perché tutto quanto sta nel mezzo è relativo al racconto di Enea a Didone delle traversie che hanno preceduto l'arrivo dei Troiani a Cartagine. Cioè il contenuto dei libri secondo e terzo già descritti nella stanza dei Carracci, in quanto fatti cronologicamente antecedenti al tragico amore tra Enea e la regina fenicia (tema dei primi riquadri della sala degli scolari).\n\nIn questa chiave la stringente connessione tra tutte le stanze si coglie in modo chiaro ponendo mente al fatto che - come dimostrato dalla Cavicchioli - se ogni singolo fregio sembra chiudersi con una brusca interruzione della storia, in realtà l'ultimo riquadro di ogni stanza apre al primo di quella successiva. Così l'abbandono della Sicilia a seguito della fuga da Polifemo (ultima scena della sala dei Carracci) introduce la richiesta di Giunone ad Eolo di una tempesta che allontani Enea dalle coste italiane (cioè il primo episodio della seconda stanza dell’Albani).\nAncor più evidente la continuità, in questa chiave di lettura, tra la terza stanza e la quarta del Cesi. Il fregio degli allievi, infatti, si chiude con una regata di navi (V, 66) - cioè il primo dei giochi fatti in onore della morte di Anchise - mentre la sala del Cesi si apre con una gara di corsa campestre, cioè la seconda competizione fatta durante le celebrazioni funebri dedicate al padre di Enea (cui seguono le altre gare fatte nella stessa occasione).\nL'unitarietà di tutti e quattro i fregi sembra poi ulteriormente confermata anche da un'impaginazione pittorica sostanzialmente sovrapponibile in tutti gli ambienti, pur al netto delle rilevanti differenze stilistiche dei diversi pittori coinvolti nell'impresa.\nCi si è chiesti, infine, come mai la narrazione si arresti al sesto libro e non vada oltre. In merito, pur non potendosi escludere che potesse esservi la volontà di proseguire il ciclo in altre sale del palazzo (progetto poi, sempre in ipotesi, abbandonato) si è notato che Cristoforo Landino nelle sue Disputationes camaldulenses (1475 ca.), aveva attribuito un particolare significato allegorico, in chiave neoplatonica, proprio ai primi sei libri dell'Eneide nei quali, secondo il Landino, le vicende di Enea possono essere viste anche come un esemplare percorso umano verso il raggiungimento della virtù. Tra il testo dell'umanista fiorentino e i fregi di Palazzo Fava sono state colte anche altre tangenze, giungendosi così a formulare l'ipotesi che di esso si possa essere tenuto conto nell'ideazione iconografica del ciclo bolognese.\nDel resto le riflessioni sul poema virgiliano formulate nelle Disputationes già erano state poste alla base di altre opere d'arte tra le quali in particolare il ciclo di dieci tele con episodi dell'Eneide eseguito da Dosso Dossi intorno al 1520 su commissione di Alfonso d'Este.\nAnche in tempi pressoché contemporanei alla decorazione di Palazzo Fava il testo del Landino era ancora utilizzato per l’ideazione di un ciclo di affreschi dedicati ad Enea, eseguito da Carlo Urbino intorno al 1585 nel Palazzo del Giardino di Sabbioneta: anche in questo caso le scene dipinte derivano solo dai primi sei libri dell’Eneide.\n\nIl fregio di Francesco Albani.\nIl fregio degli allievi.\nIl fregio di Bartolemo Cesi." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Sura (Licia).\n### Descrizione: Sura (in greco antico: Σούρα?, in Licio: Surezi) era un antico sito sulla costa della Licia, notevole per la presenza dell'oracolo di Apollo Surios. Oggi si trova alla periferia di Yuva Koyu, un sobborgo di Demre (l'antica Myra) nella provincia di Adalia in Turchia. Qui nell'evo antico c'era il famoso oracolo dei pesci di Apollo.\nLo scrittore greco Ateneo ha descritto nel suo 'Banchetto degli studiosi' (Deipnosophistai) il funzionamento dell'oracolo: sulle rive del mare si trovava un'area sacra ad Apollo e lì vicino, non lontano dalla spiaggia, un bacino con un gorgo.\nL'interrogante portava due spiedini di legno, ognuno con dieci pezzi di carne fritta, e li gettava nel bacino. Questo si riempiva di acqua salata e una grande quantità di pesci di vario genere vi si precipitava. Assistenti del sacerdote (προφήτης, prophetes) elencavano il numero e i tipi dei pesci che mangiavano i pezzi di carne e, secondo questo elenco, il sacerdote dell'oracolo dava all'interrogante la risposta dell'oracolo. Non solo il numero, ma anche la dimensione dei singoli esemplari e la varietà di specie rappresentate è abbastanza sorprendente.\nAteneo cita quindi il decimo libro del 'Geographoumena' di Artemidoro di Efeso, secondo il quale sulla spiaggia c'era una fonte d'acqua dolce, e sarebbe stata la miscela di sale e acqua dolce formatasi in questo vortice che avrebbe spiegato la straordinaria ricchezza di pesci in quel punto. La gente del posto avrebbe infilzato primizie di carne e di frutti dei campi su spiedini di legno e li avrebbero sacrificati lì. Infine, sia il porto locale che il sito dell'oracolo avrebbero preso il nome Dinos (vortice: 'δῖνος') da questo vortice.\nPlinio il Vecchio nella sua 'Naturalis Historia' descrive una procedura leggermente diversa: secondo lui, i pesci venivano attirati soffiando tre volte un flauto in direzione del bacino. Se i pesci avessero addentato avidamente la carne gettata loro, ciò sarebbe stato interpretato come un buon auspicio, ma se la avessero invece spinta via con la pinna caudale, si sarebbe trattato di un segno sfavorevole.\nI resti del sito dell'oracolo non si sono conservati: solo intagli nella roccia, presumibilmente provenienti dalle abitazioni dei sacerdoti o dagli alloggiamenti degli interroganti, sono ancora visibili. Nelle vicinanze si trovano i resti di due chiese bizantine.\n\nFonti.\nAteneo Deipnosophistai 8, 333.\nPlinio Naturalis historia 32, 8.\nWalther Ruge: Sura 3. In: Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft (RE). Vol. IV A,1, Stoccarda 1931, p. 960 f. (con altre fonti).\nTrevor Bryce: The Routledge Handbook of the People and Places of Ancient Western Asia. The Near East from the Early Bronze Age to the fall of the Persians Empire. Routledge, ISBN 9781134159086, p. 673." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tabula iliaca.\n### Descrizione: Una tabula iliaca era uno schema utilizzato per dividere tra le varie giornate gli episodi narrati nell'Iliade di Omero, inventato probabilmente da Zenodoto presso Alessandria d'Egitto.\n\nIl termine è convenzionalmente utilizzato per indicare una serie di piccoli rilievi in marmo con la raffigurazione in miniatura su più registri sovrapposti separati, degli episodi di opere letterarie epiche, con didascalie e corte iscrizioni esplicative in greco.\nSono noti 22 bassorilievi con queste caratteristiche: 15 si riferiscono ad episodi dell'Iliade, 3 dell'Odissea e le altre ai miti dei Sette contro Tebe, dell'apoteosi di Eracle o ad avvenimenti storici. Tutti, tranne due, attribuiti ad epoca antonina, sono datati ai regni di Augusto o di Tiberio.\nLa funzione dei rilievi è discussa: didattica (più probabile per i rilievi con scene di maggiori dimensioni), decorativa (per le biblioteche) o votiva (in particolare la 'Tabula iliaca capitolina').\nIl più celebre è la 'Tabula iliaca capitolina', un rilievo proveniente da Bovillae, conservato nei Musei Capitolini di Roma e databile in epoca augustea.\nIl rilievo venne rinvenuto nel 1683 e raffigura l'incendio di Troia e la fuga di Enea e altre scene della guerra di Troia, derivate dall'Iliade e da altri poemi del ciclo troiano (l'Etiopide e l'Iliou persis di Arctino di Mileto e la Piccola Iliade di Lesche)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tafi.\n### Descrizione: I Tafi (in greco antico: Τάφιοι) sono un popolo presente nella mitologia greca.\nSecondo il mito, vivevano sulle isole di Tafo e di Carno, ed avevano fama d'essere navigatori e pirati.\nSecondo Omero, i Tafi combatterono una guerra contro Anfitrione: quest'ultimo, infatti, decise di attaccarli per vendicare l'assassinio della famiglia della sposa Alcmena.\nNell'Odissea viene narrato che il capo dei Tafi fu Mente, di cui Atena prende le vesti per andare da Telemaco e rincuorarlo e far sì che vada a cercare suo padre." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tafo.\n### Descrizione: Tafo è un'isoletta appartenente alla mitologia greca, situata tra le coste dell'Acarnania e Leucade, abitata un tempo dai Tafi, popolo di trafficanti e predoni, insediatisi a Tafo e nelle isolette limitrofe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tagete (divinità).\n### Descrizione: Tagete (in latino Tages) è una divinità etrusca figlio di Genio e della Terra e nipote di Giove. Secondo il mito, insegnò l'arte della divinazione al popolo etrusco. Insieme alla lasa Vegoia, sarebbe autore dei libri sacri degli Etruschi.\n\nIl mito.\nIl mito di Tagete ci viene narrato da Cicerone nel De divinatione (Cic. de Div. 2.23), e da alcuni poeti, tra i quali Ovidio (Ov. M. 15, 558).\nUn giorno un contadino che arava un campo nei pressi del fiume Marta, in quei di Tarquinia, vide una zolla sollevarsi dal solco e assumere le sembianze di un fanciullo. Lo chiamò Tagete. Il fanciullo era dotato di grande saggezza e di virtù profetiche (per cui talvolta viene raffigurato con i capelli bianchi). Visse soltanto il tempo necessario per insegnare agli Etruschi, accorsi sul luogo dove era nato, l'arte di predire il futuro, scomparendo poche ore dopo la sua miracolosa apparizione. Le norme da lui dettate furono trascritte e raggruppate su tre serie di libri sacri: gli Aruspicini, i Fulgurali e i Rituali. Questi ultimi comprendevano anche i Libri Acherontici che costituirono le fonti ufficiali e misero in luce i due punti essenziali della religione etrusca: l'importanza della divinazione che permetteva di interpretare la volontà degli dei e la necessità di istituire un preciso rituale per ogni circostanza della vita sia pubblica che privata. A ciò erano preposti i sacerdoti, una casta privilegiata che si trasmetteva la carica di padre in figlio, ed erano divisi in due categorie: Aruspici ed Auguri.\nI libri scritti da Tagete probabilmente furono letti dallo scrittore greco del V secolo, Giovanni Lido, il quale nel suo De Ostentis (I, 3) ci descrive brevemente l'argomento e le caratteristiche stilistiche dell'opera. Per esempio, ci dice che fu scritta a modo di dialogo tra Tarconte, un aruspice da non confondere col Tarconte dei tempi di Enea, e Tagete, domandando l'uno quale fosse l'idioma degli italici (τῇ τῶν Ἰταλῶν ταύτῃ τῇ συνήθει φωνῇ), e rispondendo l'altro con lettere antiche e a me (scil. Tarconte) poco famigliari (γράμμασιν ἀρχαίοις καὶ οὐ σφόδρα γνωρίμοις ἡμῖν).\n\nEtimologia.\nIn quanto all'etimologia del nome, secondo l'etruscologo Massimo Pallottino, che basa la sua ipotesi su uno specchio etrusco conservato al Museo archeologico di Firenze, dove viene rappresentato un giovane aruspice osservando un fegato assieme ad altri personaggi, con la scritta pavatarchies (da tradursi forse come 'il bimbo Tarchies'), il nome latinizzato di Tages corrisponderebbe ad un Tarχies etrusco.\nGiulio Mauro Facchetti ha proposto un'ipotesi alternativa collegando il nome alla ripetitiva radice etrusca thac- / thax-, che interpreta come 'voce'.\n\nRappresentazioni di Tagete.\nLe rappresentazioni etrusche classificate come rappresentanti Tagete sono molto rare, e quasi altrettanto rare sono le scene chiaramente legate al mito di Tagete. Figure appoggiate al lituo, il bastone ricurvo dell'augure, o che esaminano le viscere indossando il cappuccio conico dell'aruspice, sono comuni, ma non sono necessariamente Tagete. Anche le figure alate, che rappresentano la divinità, sono comuni, soprattutto sulle urne funerarie di Tarquinia, ma è discutibile se qualcuna raffiguri Tagete. Supponendo che una certa percentuale di queste rappresentazioni sia effettivamente Tagete, non sembra esserci un modo standard per raffigurarlo. Gli storici dell'arte hanno inserito Tagete liberamente tra di esse, ma in modo del tutto speculativo.\nUn tipo di scena incisa su gemme del IV secolo un tempo incastonate in anelli di sigillo, sembra descrivere il mito di Tagete. Una figura barbuta (Tarconte?) si china come se stesse ascoltando la testa o la testa e il busto di un'altra figura senza barba, incastrata o che emerge dal terreno. Su un tema simile è una statuetta votiva in bronzo del III secolo a.C., proveniente da Tarquinia, che raffigura un infante seduto che scruta verso l'alto con la testa e il volto di un adulto.\n\nNella botanica.\nTagete dona il suo nome ad un genere di piante della famiglia delle asteracee, originarie degli Stati Uniti d'America sud-occidentali, del Messico e del Sud America. Fu descritta come genere da Linneo nel 1753. Il nome anglofono di questa pianta è marigold." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Talemene.\n### Descrizione: Talemene (in greco antico: Ταλαιμένης?, Talaiménēs) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMito.\nTalemene era un re della Meonia, menzionato nell’Iliade, dove però non appare in carne e ossa. Era un semidio, in quanto figlio della ninfa Gigea. Ebbe tre figli, che presero parte alla guerra di Troia: i primi due, legittimi, si chiamavano Mestle e Antifo, mentre il terzo, Elenore, l'aveva generato con una schiava. Di Mestle e Antifo riferisce il poema omerico; Elenore invece appare solo nell’Eneide, venendo appunto presentato come figlio del re di Meonia al tempo della guerra di Troia, ovvero Talemene, seppure non nominato." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Talia (grazia).\n### Descrizione: Talìa è una figura della mitologia greca. Era figlia di Zeus e di Eurinome.\nInsieme ad Aglaia ed Eufrosine costituiva le tre Cariti, divinità minori della bellezza della natura che facevano parte del corteggio di Afrodite. Talia nello specifico incarnava la prosperità, ed essendo le Cariti divinità collegate alla natura, Talia era anche la portatrice di fiori." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Talisio.\n### Descrizione: Talisio è un personaggio della mitologia greca, citato nell'Iliade di Omero.\nTalisio era un troiano, suddito di Priamo. Ebbe un figlio, Echepolo, che combatté nella guerra di Troia dove venne ucciso da Antiloco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Talo (mitologia).\n### Descrizione: Talo (in greco antico: Τάλως?, Tálōs) è un personaggio della mitologia greca, un gigante di bronzo, guardiano di Creta.\nNel dialetto cretese τάλως era un sinonimo di ἥλιος hḕlios, il sole; Esichio di Alessandria notava che 'Talo è il sole'. A Creta, Zeus era chiamato Zeus Talleo (Ταλλαῖος), ovvero 'Zeus Solare'.\n\nMito.\nLa statua vivente fu creata da Efesto per Zeus, che ne fece dono ad Europa. Si tratterebbe di un gigantesco automa di bronzo invulnerabile.\nTalo era stato incaricato da Minosse di sorvegliare l'isola, mettendo in fuga i nemici che tentavano di sbarcarvi, o di fermare i cittadini senza il consenso del re. Ogni giorno faceva il giro dell'isola armato e pronto per scagliare enormi pietre e non esitava a buttarsi nel fuoco fino ad una elevatissima temperatura per poi schiantarsi sui suoi nemici stritolandoli e bruciandoli.\nIl gigante era invincibile, tranne in un punto della caviglia, dove era visibile l'unica vena che conteneva il suo sangue. La leggenda vuole che quando la spedizione degli Argonauti giunse sull'isola, sia stato reso pazzo da Medea ed ucciso dall'argonauta Peante che trafisse la sua vena con un colpo di freccia. Un'altra versione narra che il gigante sia morto per la fuoriuscita del sangue, causata però dall'urto della caviglia con una roccia.\n\nIconografia.\nIn una moneta da Festo, è rappresentato come figura alata; nel vasellame greco e nei bronzi etruschi invece non lo è. La rappresentazione di Talos è molto varia, con alcune ricorrenze: fuori di Creta, Talos è sempre rappresentato come sconfitto. In generale, sembra essere stato una figura enigmatica anche per gli stessi greci.\nUno splendido cratere attico che raffigura la morte del celebre Talos è conservato nel Museo archeologico nazionale di Palazzo Jatta, a Ruvo di Puglia: si tratta dell'opera eponima del cosiddetto 'Pittore di Talos'.\n\nTalos nella cultura di massa.\nLa figura di Talos è citata in numerose manifestazioni della cultura di massa e della letteratura di genere:.\n\nQuesto gigante è stato ripreso nel film mitologico Gli Argonauti (Jason and the Argonauts) del 1963, in cui veniva animato con la tecnica dello stop-motion.\nGli antagonisti di Kyashan - Il ragazzo androide, nell'episodio 29 della serie fanno tappa in Grecia e si fanno costruire per il loro esercito un robot da una scienziata, Melina: essa ne progetta uno gigantesco e capace di rendersi incandescente, che chiama Talo in omaggio all'automa mitico.\nNella serie Morphogenesis dei Gormiti (creature fantasy ideate da Leandro Consumi), uno dei Gormiti del popolo della Terra si chiama Thalos il Combattente e indossa un elmo e un'armatura da oplita, inoltre al suo braccio sinistro è fissato uno scudo rotondo, mentre nel destro ha una lama di roccia al posto della mano.\nTalos è anche il nome di un missile terra-aria della marina americana.\nNel libro Lo scudo di Talos di Valerio Massimo Manfredi, il gigante Talos è visto come simbolo di speranza ed eroismo.\nNel libro Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo: la maledizione del Titano una copia difettosa e più piccola di Talo si scontra con Percy, Talia e gli altri componenti del gruppo.\nNel videogioco Castlevania: Harmony of Dissonance, Talos appare nel preludio per inseguire il protagonista Juste Belmont. Appare poi come boss nel livello della caverna sotterranea nel castello B, anche qui il suo punto debole è la caviglia, scoperta per colpa della caduta nel preludio.\nNel videogioco d'azione-fantasy Spartan: Total Warrior, Talo è il 'boss' del primo livello, che il protagonista del gioco, lo Spartano, deve sconfiggere usando le catapulte prima che distrugga le mura di Sparta.\nNel videogioco The Elder Scrolls V: Skyrim, Talos è il nome che i sacerdoti diedero all'imperatore Tiber Septim dopo la sua morte, all'atto della sua canonizzazione a divinità. Il divieto di professare il suo culto è uno dei temi alla base della guerra descritta nel gioco.\nInoltre, nella serie di The Elder Scrolls, esiste un gigante meccanico di bronzo dal nome di Numidium, noto anche come Torre di Bronzo o Dio di Bronzo; tale gigante venne creato come manifestazione della divinità dalla defunta razza dei Nani, e fu donato a Tiber Septim/Talos durante il suo regno.\nNel cartone Mummies Alive! - Quattro mummie in metropolitana, Talos è un gigante di bronzo invocato da Scarab. Appare nella serie TV per la prima volta nell'episodio 17 'Scontro fra titani'.\nNel V Libro de 'The Faerie Queene' di Edmund Spenser, il cavaliere Sir Artegal - allegoria della Giustizia magnanima - è accompagnato da Talus, allegoria invece della Giustizia spietata e inumana, diretto riferimento al mito greco.\nIl Pokémon leggendario di terza generazione Registeel è ispirato a Talos, date le sue fattezze e il suo tipo Acciaio.\nNel videogioco 'Wizard101' è possibile evocare Talos per i maghi della scuola Mitologia sotto forma di un enorme colosso di pietra scura.\nil Talos Festival è da anni uno dei maggiori festival Jazz italiani. Si tiene a Ruvo di Puglia, città ove è conservato l'omonimo vaso.\nThe Talos Principle è un videogioco di stampo filosofico in prima persona, nel quale il protagonista è un robot umanoide, che aggirandosi tra ambientazioni tipiche delle più antiche civiltà umane, è via via sottoposto a enigmi di crescente difficoltà, mentre parallelamente viene chiamato a sondare e mettere in discussione il senso ultimo dell'esistenza.\nNel videogioco Signore dell'Olimpo - Zeus, Talo è il gigante che viene richiamato da Efesto per proteggere o attaccare la città che si sta gestendo, a seconda che Efesto stesso sia o non sia un Dio favorevole.\nNel fumetto I Cavalieri dello zodiaco - The Lost Canvas - Il mito di Ade, il personaggio di Cor Tauri, presente nel volume degli Aneddoti dedicato al Toro, è un automa posto da Zeus a guardia di Creta e della sua amata Europa, ed è stato realizzato sulla falsariga del metodo di costruzione di Talos.\nNegli episodi 937-938 della ventisettesima stagione della seriea cartoni animati Detective Conan è il fulcro della storia.\nNel gioco di ruolo Dungeons and Dragons, Talos è una delle divinità dei Forgotten Realms, una delle ambientazioni ufficiali del gioco." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tamiri.\n### Descrizione: Tamiri (in greco antico Θάμυρις, Thamyris), figlio di Filammone e della ninfa Argiope, è una figura della mitologia greca.\nFu poeta e musico e, poiché si vantava di cantar meglio delle Muse, suscitò l'ira delle figlie di Zeus che, per punirlo, lo accecarono, gli tolsero la memoria e lo privarono delle sue capacità canore.\n\nNell'Iliade.\nLa vicenda di Tamiri è brevemente narrata nell'Iliade:.\n«E quelli che Pilo abitavano e l'amabile Arene,.\ne Trio, guado dell'Afeo, ed Epi ben costruita,.\ne Ciparissento ed Anfigénia abitavano,.\ne Pteleo ed Elo e Dorio, là dove le Muse.\nfattesi avanti al tracio Támiri tolsero il canto,.\nmentre veniva da Ecalia, da Euríto Ecaleo.\ne si fidava orgoglioso di vincere, anche se esse,.\nle Muse cantassero, figlie di Zeus egíoco!.\nMa esse adirate lo resero cieco e il canto.\ndivino gli tolsero, fecero sì che scordasse la cetra...».\n(Iliade, libro II, vv. 591-600).\n\nAltri miti.\nIn un'altra leggenda, Tamiri è trasformato dalle Muse in un usignolo.\nEra anche annoverato come uno degli amanti di Giacinto: i due sarebbero stati addirittura i primi mortali maschi legati da un rapporto omoerotico e il poeta il creatore della pederastia come istituzione sociale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tantalo.\n### Descrizione: Tàntalo (in greco antico: Τάνταλος?, Tàntalos) è un personaggio della mitologia greca.\nRe di Lidia (o della Frigia) che per i suoi numerosi peccati fu punito dagli dei e gettato nel Tartaro, la sua punizione è divenuta una figura retorica con cui si indica una persona che desidera qualcosa che non può raggiungere.\n\nEtimologia.\nSecondo Platone, accordandosi alla radice greca τλα-/τλη- del verbo greco τλάω (che significa 'soffrire'), il nome Tantalo deriverebbe da talànatos (infelicissimo).\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus o di Tmolo e della ninfa Pluto sposò la ninfa Dione (figlia di Atlante) o Eurinassa (figlia di Pattolo) o Euritemiste (figlia di Xanto) o Clizia (figlia di Anfidamante) e fu padre di Pelope, Brotea, Niobe e Dascilo.\n\nMitologia.\nI misfatti.\nTantalo visse presso il monte Sipylos in Anatolia, dove fondò la città di Tantalis.\n\nTantalo, che grazie alle sue origini era ben voluto dagli dei, si rese responsabile di diverse offese nei loro confronti e violò le regole della xenia cercando di rapire Ganimede, rubando dell'ambrosia che in seguito distribuì ai suoi sudditi ed organizzando il furto di un cane d'oro creato da Efesto e posto a guardia di un tempio di Zeus a Creta (di tale furto l'artefice materiale fu Pandareo ma Tantalo giurò il falso ad Hermes, inviato dagli dei proprio per recuperare l'animale; secondo un'altra versione il cane era in realtà Rea trasformata in quel modo da Efesto).\nIl re infine organizzò un banchetto a cui invitò gli dei stessi e, per mettere alla prova la loro onniscienza, uccise suo figlio Pelope e lo fece servire come pasto: Demetra, disperata per la perdita della figlia Persefone, non si accorse di nulla e consumò parte di una spalla del ragazzo, ma gli altri dei notarono immediatamente l'atrocità e gettarono i pezzi di Pelope in un calderone.\n\nIl supplizio.\nGli dei punirono Tantalo mandandolo nei campi della pena, una sezione degli inferi, e condannandolo ad avere per sempre una fame e una sete impossibili da placare schiacciato dal peso di un masso, legato ad un albero da frutto e immerso fino al collo in un lago d'acqua dolce: appena prova ad abbeverarsi il lago si prosciuga e non appena prova a prendere un frutto i rami si allontanano o un colpo di vento li fa volare lontano.\nIl sepolcro di Tantalo sorgeva sul monte Sipylos ma gli onori gli furono pagati ad Argo, la cui tradizione locale sosteneva anche di possedere le sue ossa.\n\nMiti successivi.\nI mitografi successivi cercarono in tutti i modi di discolpare gli dei da un possibile atto di cannibalismo stravolgendo in tutto la storia di Tantalo: secondo tale versione, infatti, egli era un sacerdote che rivelò ogni segreto ai non iniziati, al che colpirono suo figlio con una malattia orrenda. I chirurghi di allora, con varie operazioni, riuscirono a ricostruire il corpo originale anche se di lì in poi esso portò innumerevoli cicatrici.\n\nFilosofia.\nIl mito di Tantalo venne successivamente ripreso dal filosofo Arthur Schopenhauer nella sua opera più nota, Il mondo come volontà e rappresentazione, come esempio della eterna insoddisfazione dell'uomo per cui 'contro un desiderio che viene appagato ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito mentre l'appagamento è breve e misurato con spilorceria'.\n\nCuriosità.\nIl furto dell'ambrosia a vantaggio degli esseri umani lo accomuna a Prometeo, ma in questa veste il suo mito si trasforma da peccatore a benefattore.\nTantalo, alla stregua di Licaone, era uno dei re originali a cui era concesso, con il favore degli dei, di condividerne la mensa: il suo gesto viene visto come un atto di separazione fra divinità e umanità, che verrà poi ripreso da molti altri miti come nel caso di Achille.\nÈ possibile che il furto dell'ambrosia, fosse un modo per Tantalo nel cercare di ottenere l'immortalità.\nIl supplizio di Tantalo viene citato anche da Primo Levi in Se questo è un uomo nella frase: 'Si sentono i dormienti respirare e russare, qualcuno geme e parla. Molti schioccano le labbra e dimenano le mascelle. Sognano di mangiare (...). È un sogno spietato, chi ha creato il mito di Tantalo doveva conoscerlo.'.\nOriana Fallaci, in Se il sole muore, cita il mito di Tantalo dal momento che nella missione Apollo 11 l'astronauta Michael Collins sarà costretto ad avvicinarsi alla Luna senza avere la risposta a: 'Com'è la Luna? Assomiglia alla Terra? È più bella? Più brutta? Che effetto fa camminarci?'.\nLa tortura di Tantalo viene ripresa anche da Thomas Mann in La montagna incantata. Un personaggio dell'opera, la signora Stohr, riferendosi al prolungarsi indefinito delle prescrizioni per le cure, afferma: «[omissis] Dio buono si è sempre allo stesso punto, lo sa anche lei. Si fanno due passi avanti e tre indietro... Quando uno ha fatto cinque mesi, arriva il vecchio e gliene rifila altri sei. Ah, è la tortura di Tantalo. Si spinge, si spinge e quando si crede d'essere in cima...». È evidente la confusione che la signora, avvezza alle gaffes, fa tra Tantalo e Sisifo. L'interlocutore, il sarcastico e dotto umanista Settembrini, risponde sul punto: «Oh, brava e generosa! Finalmente concede al povero Tantalo un diversivo. Per variare gli fa spingere il famoso pietrone! È un atto di vera bontà! [omissis]».\nNe La valle dell'Eden John Steinbeck fa dire a Kate: 'Chi era quello che non riusciva a bere da un setaccio? Tantalo?' (cap. 46).\nTantalo appare come sostituto di Chirone nel secondo libro della Saga di Percy Jackson Il mare dei mostri.\nIl mito del supplizio di Tantalo viene citato anche da Luigi Pirandello ne Il fu Mattia Pascal (cap. XV) quando il protagonista si rende conto che la sua libertà implica la solitudine, a causa di un'incapacità di vivere in società essendone effettivamente uscito in seguito alla sua 'morte'. La solitudine è conseguenza della paura di ricadere preda degli affannosi vincoli della vita: 'La paura di ricadere nei lacci della vita, mi avrebbe fatto tenere più lontano che mai dagli uomini, solo, solo, affatto solo, diffidente, ombroso; e il supplizio di Tantalo si sarebbe rinnovato per me.' In questo caso le tentazioni negate non sono la fame e la sete, ma il desiderio di vivere in società.\nIl tantalio, elemento chimico di numero atomico 73, prende il nome da Tantalo, e si trova sotto il niobio, il cui nome deriva proprio da sua figlia Niobe.\nIl mito del supplizio di Tantalo viene citato anche ne Il conte di Montecristo, quando Dantès si priva volontariamente del cibo durante la sua prigionia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tarquito.\n### Descrizione: Tarquito (lat. Tarquitus) è un personaggio citato nel decimo libro dell'Eneide di Virgilio tra i nemici di Enea nella guerra combattuta nel Lazio che vede opposti i profughi Troiani alle popolazioni italiche.\n\nIl mito.\nLe origini.\n(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro X, vv.550-52).\n\n(traduzione di Annibal Caro).\nTarquito è un semidio italico, essendo figlio della ninfa Driope. Il padre dell'eroe si chiama Fauno: non si tratta del dio dei boschi ma di un mortale suo omonimo (altrimenti Tarquito risulterebbe nato da due divinità e ciò è impossibile dato che non è immortale). Egli figura tra i nemici di Enea: non è dato sapere a quale popolo appartenga, anche se la forma del nome, molto vicina a Tarquinio, fa propendere per un'origine etrusca. In tal caso il guerriero sarebbe uno dei sostenitori di Mezenzio.\n\nLa morte.\nGiovane orgoglioso e pieno di coraggio, Tarquito, che è semidio come Enea, sfida a duello il capo troiano che sta facendo scempio di italici per tutto il campo di battaglia. Tarquito affronta Enea, ma viene subito atterrato, poi disarmato completamente per subire quindi la decapitazione nonostante le suppliche; Enea infine fa ruzzolare la testa e il busto del nemico nella foce del fiume Tevere, impedendo così alla sua anima l'accesso immediato all'Ade, essendo questa la sorte riservata ai morti insepolti secondo la credenza del tempo, come del resto è detto nelle parole di scherno che il capo troiano rivolge alla sua vittima dopo averne gettato i resti in acqua:.\n\n(Publio Virgilio Marone, Eneide, libro X, vv.552-60).\n\n(traduzione di Antonio Buccelleni).\n\nInterpretazione e realtà storica." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tartaro (mitologia).\n### Descrizione: Tartaro (in greco antico: Τάρ��αρος?, Tártaros) indica, nella Teogonia di Esiodo, il luogo inteso come la realtà tenebrosa e sotterranea (katachthònia), e quindi il dio che lo personifica, venuto a essere dopo Caos e Gea.\nZeus vi rinchiuse i Titani, stirpe divina e padri degli dei dell'Olimpo, dopo averli sconfitti a seguito della Titanomachia. Lì, inoltre, si trovavano altri mostri come, ad esempio, le Arai, ma anche mortali puniti per i loro gravi misfatti come Tantalo (re della Lidia, punito dagli dèi per le sue colpe con una fame e una sete insaziabili: sebbene avesse accanto a sé frutti e acqua, non appena tentava di afferrarli questi si allontanavano da lui). Sempre in Esiodo, Tartaro è considerato il procreatore, insieme con Gaia, di Tifone.\n\nStoria.\nSecondo Graziano Arrighetti, Esiodo rende la posizione spaziale del Tartaro incongruente, dacché mescola descrizioni 'orizzontali' e 'verticali', ossia dipinge il luogo come 'ai confini della terra' (v. 731) e contemporaneamente come al di sotto della terra (v. 720 sgg.). La questione è insormontabile. Nella visione verticale viene descritto come una voragine buia, talmente profonda che lasciandovi cadere un'incudine questa avrebbe impiegato nove giorni e nove notti per toccarne il fondo.In Apollodoro (Biblioteca I,1,2) Tartaro è il luogo tenebroso dell'Ade dove Urano rinchiuse i Ciclopi.\nCol tempo la parola Tartaro venne confusa e assimilata a una generica definizione di inferno: già con Virgilio (70 - 19 a.C.) che, nell'Eneide, divide gli inferi fra Tartaro e Campi Elisi.\n\nInfluenza culturale.\nAl Tartaro sono intitolati i Tartarus Montes su Marte.\nNel videogioco roguelike Hades il protagonista, il dio ctonio Zagreus, figlio secondo il mito di Ade e Persefone, deve oltrepassare il Tartaro per riuscire a emergere dall'oltretomba; per superare l'uscita del Tartaro dovrà affrontare le Furie (Megera, Aletto e Tisifone) le quali si alternano a difesa dell'uscita. Sconfiggendole riuscirà a uscire dal Tartaro e ad accedere ai Prati d'Asfodelo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,### Titolo: Taso (figlio di Anio).\n### Descrizione: Taso (in greco antico Θάσος) è un personaggio della mitologia greca.\n\nMitologia.\nTaso era uno dei sei figli di Anio e Dorippa.\nMorì dilaniato da un branco di cani sull'isola di Delo. +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Taso.\n### Descrizione: Taso o Tasso (in greco Θάσος?, o Thasos) è un'isola della Grecia, posta nella parte nord del mar Egeo, separata dalla costa tracia dallo stretto omonimo. È l'isola greca più settentrionale e costituisce un'unità periferica.\n\nTerritorio e popolazione.\nL'isola si trova dirimpetto al delta del Mesta. È montuosa e nel punto più alto raggiunge i 1 045 m sul livello del mare; il clima è mediterraneo.\n\nProduzione economica.\nTaso produce cereali, uva, olive, frutta, tabacco, miele e altro. L'isola ha miniere di zinco e cave di marmo (marmo tasio).\n\nStoria.\nLa presenza umana sull'isola è attestata già in epoca neolitica. Erodoto riferisce che le miniere d'oro del monte Phanos (oggi Koynira) furono sfruttate dai Fenici, che diedero all'isola il suo nome attuale.\nNel VII secolo a.C. fu occupata nella parte nord da coloni provenienti dall'isola di Paro, guidati da Telesicle, padre del poeta Archiloco, secondo le indicazioni di un responso oracolare ottenuto al santuario di Delfi. L'isola aveva allora il nome di Aeria. La città venne fondata sui margini di una pianura ai piedi del massiccio del Profitis Ilias (1 108 m s.l.m.), dove esisteva sulla costa un porto naturale e fu dotata ben presto di una cinta di mura.\nCadde in possesso dei Persiani nel 491 a.C. e se ne sottrasse dopo la vittoria greca nella seconda guerra persiana nel 478 a.C. ed entrò a far parte della lega delio-attica. Si ribellò ad Atene nel 465 a.C. e fu punita perdendo quasi del tutto la sua indipendenza. Si staccò dalla lega nel 411 a.C. durante il 'governo dei Quattrocento', ma subentrarono conflitti interni tra oligarchici favorevoli a Sparta e democratici favorevoli ad Atene.\nSolo agli inizi del IV secolo a.C. le fazioni interne si riconciliarono e si ebbe un nuovo periodo di sviluppo, con un nuovo tracciato urbanistico e la sistemazione dei più importanti luoghi pubblici. Rimase formalmente indipendente dal Regno di Macedonia nel 356 a.C., ma perse i suoi possedimenti sulla costa tracia.\nFu ancora città fiorente sotto i Romani, e subì in seguito le incursioni dei Vandali (467-468). Nell'829 una flotta bizantina venne sconfitta dagli Arabi nelle sue acque. Nel 904 Leone di Tripoli vi preparò i macchinari che utilizzò nel successivo assedio di Tessalonica. Nel 1204 cadde sotto il dominio franco e nel 1307 sotto i Genovesi. Nel 1414 fu donata dall'imperatore bizantino Manuele II Paleologo a Jacopo Gattilusi, di origini genovesi, che era già signore di Lesbo.\nContesa tra il 1449 e il 1479 dalla Repubblica di Venezia e l'impero ottomano, cadde quindi in dominio di quest'ultimo. Nel corso del XVIII secolo si spopolò passando da circa 70 000 a poco più di 2 500 abitanti, in seguito alle incursioni dei pirati. Tra il 1813 e il 1902 fu proprietà del visir dell'Egitto Mehmet Alì e dei suoi discendenti. Fu toccata dalla guerra per l'indipendenza della Grecia (1821) e dalla guerra di Crimea. Nel 1912 fu conquistata dall'ammiraglio greco Koundouriotis e da allora fece parte dello Stato greco.\n\nSito archeologico.\nL'antica città di Taso si trova nel sito oggi occupato dal villaggio di Limena.\n\nMura di cinta.\nLe mura cittadine a forma di ferro di cavallo, vennero costruite nel V secolo a.C. in opera quadrata isodoma, con torri quadrate. Racchiudevano anche parte delle pendici del monte, che tuttavia non furono mai abitate.\nLe porte erano decorate con rilievi che hanno dato loro i nomi convenzionali moderni: porta 'delle dee con il carro' (probabilmente Ermes che guida il carro di Artemide), 'di Ermes e le Grazie', 'di Sileno' (della fine del VI secolo a.C.), 'di Eracle e Dioniso' (inizi del V secolo a.C.) e 'di Zeus e di Hera'.\nNel punto di maggiore elevazione le mura formano due piccole acropoli con i santuari dell'Apollo pitico e di Atena, entrambi danneggiati dai successivi lavori di fortificazione dei Bizantini e dei Gattilusi.\n\nAgorà.\nI resti dell'antica agorà cittadina si trovano al centro della città antica, non lontani dal porto, al quale la piazza commerciale era collegata per mezzo di una larga via. La piazza ha forma rettangolare ed era circondata sui lati orientale, meridionale e occidentale da stoai, mentre sul lato nord si trovavano diversi edifici pubblici.\nNella piazza si trovava il piccolo santuario di Zeus 'agoraios', con tempietto in antis e altare antistante, la cui prima fase risale al IV secolo a.C.\nVi furono eretti inoltre numerosi monumenti onorari, tra i quali un cenotafio in onore di Glauco, figlio di Leptine, fondatore della città insieme a Telesicle.\nNel II secolo a.C. una battaglia navale fu celebrata con un monumento a forma di prua e fu eretto un piccolo santuario, con un elemento cilindrico in marmo dedicato alle offerte dei fedeli, in onore di Teogene, figlio di Timosseno, vincitore tasio dei giochi olimpici.\nAll'angolo nord-orientale dell'agorà fu eretto intorno al 470 a.C. un passaggio monumentale ('passaggio dei Theoroi) tra due muri paralleli ornati di rilievi marmorei in stile severo, ora al museo del Louvre a Parigi. I rilievi raffigurano Apollo, le ninfe ed Ermes.\n\nQuartiere del porto.\nLungo la strada che si diparte dal 'passaggio dei Theoroi' si trovano:.\n\nun santuario dedicato ad Artemide, con statue onorarie, ora al museo archeologico di Istanbul, del III-I secolo a.C.;.\nun santuario dedicato a Dioniso, descritto da Ippocrate alla fine del V secolo a.C. con pianta triangolare e due ingressi;.\ndue monumenti coragici ornati di statue, del III secolo a.C.;.\nun santuario dedicato a Poseidone, con recinto trapezoidale a cui si accedeva da un propileo e con stoà sui lati e altare al centro, del IV secolo a.C.Verso nord-est, il cosiddetto 'campo di Demetriade', mostra i resti di un quartiere di abitazioni i cui resti vanno dall'VIII secolo a.C. al V secolo d.C.\n\nMuseo archeologico.\nIl museo archeologico è collocato in un edificio del 1934, in attesa di ampliamento, e ospita i resti rinvenuti negli scavi della città.\n\nTeatro.\nIl teatro venne costruito su un pendio rivolto a ovest verso il mare, adiacente alle mura cittadine. L'edificio originario, degli inizi del III secolo a.C., con scena dorica, venne in seguito trasformato nel I-II secolo d.C. per ospitare anche i giochi gladiatorii.\n\nQuartiere romano.\nVerso sud-ovest sono conservati i maggiori resti della città romana. In occasione di una visita dell'imperatore Adriano venne eretto un cortile pavimentato in marmo e circondato da portici di ordine ionico e a est di questo un odeion. Nello stesso quartiere sorse già nel V secolo a.C. il tempio dedicato a Eracle, patrono della città, con propilei di accesso.\n\nAmbientazioni.\nNell'isola di Taso è ambientato il romanzo Enigma di Clive Cussler, il primo del ciclo delle avventure di Dirk Pitt.\n\nAmministrazione.\nL'isola è un'unità periferica costituita dall'unico comune omonimo nella periferia della Macedonia orientale e Tracia di 13 765 abitanti secondo i dati del censimento 2001 che non è stato interessato alla riforma amministrativa in vigore dal gennaio 2011.\n\nLocalità.\nI centri abitati con più di 100 abitanti al censimento 2001 sono i seguenti:.\n\nAgios Georgios (pop. 149).\nAstris (129).\nKallirachi (651).\nKinyra (104).\nLimenaria (2 441).\nMaries (182).\nOrmos Prinou (122).\nPanagia (820).\nPotamia (1 216).\nPotos (688).\nPrinos (1 185).\nRachoni (365).\nSkala Kallirachis (631).\nSkala Marion (377).\nSkala Rachoniou (206).\nSkala Sotirou (368).\nTaso (Limenas Thasou) (3 130).\nTheologos (731)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Teano (figlia di Cisseo).\n### Descrizione: Teano (in greco Θεανώς Theanṑs, in latino Thĕăno, -ūs) è un personaggio femminile della mitologia greca.\n\nMitologia.\nEra figlia del re trace Cisseo e di Telecleia, sposò in prime nozze il re dei Berberici Amico, che la rese madre di Mimante, nato nella stessa notte in cui Ecuba partorì Paride. Ebbe anche una figlia, di nome Crino.\nRimasta vedova divenne moglie di un altro troiano, Antenore, dal quale ebbe numerosi figli, tutti maschi.Nella città di Troia era la sacerdotessa del culto di Atena.. Servio Mario Onorato scrisse che Teano navigò nel viaggio con Enea in Italia dove fondarono la città di Padova." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teatro antico di Epidauro.\n### Descrizione: L'Antico teatro di Epidauro è un teatro situato nella omonima città greca, all'estremità sud-est del santuario dedicato all'antico dio greco della medicina Asclepio. È considerato il miglior teatro greco antico per quanto riguarda l'acustica e l'estetica.\nÈ costruito sul lato ovest del monte Cinortion, vicino alla città di Lygourio, ma appartenente al comune di Epidauro.\n\nStoria.\nSecondo Pausania, che ne esalta la simmetria e la bellezza, fu costruito da Policleto il Giovane. Con una capacità massima tra i 13.000 e i 15.000 spettatori, il teatro ospitava musica, canti e giochi drammatici che erano inclusi nel culto di Asclepio; era anche usato come mezzo per guarire gli ammalati, poiché si credeva che osservare spettacoli drammatici avesse effetti positivi sulla salute mentale e fisica.\nOggi il teatro attira un grande numero di visitatori ed è utilizzato per l'esecuzione di drammi teatrali antichi: la prima esibizione moderna è stata la tragedia di Sofocle Elettra messa in scena nel 1938 sotto la direzione di Dimitris Rontiris con Katina Paxinou ed Eleni Papadaki. Gli spettacoli furono interrotti a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale e ricominciarono nel 1954; l'anno successivo fu istituito, come evento annuale per la presentazione del dramma antico, il Festival di Epidauro, che continua ancora oggi durante i mesi estivi.\nIl teatro è stato usato sporadicamente per ospitare importanti eventi musicali: nell'ambito del festival sono apparsi noti attori greci e stranieri tra cui il soprano Maria Callas, che eseguì Norma nel 1960 e Medea nel 1961.\n\nDescrizione.\nIl monumento conserva la caratteristica struttura tripartita di un teatro ellenistico con cavea (la parte riservata al pubblico), orchestra e palcoscenico; durante il periodo romano, a differenza di molti teatri, non subì alcuna modifica. L'edificio scenico è stato costruito in due fasi: il primo è collocato alla fine del IV secolo a.C. e il secondo a metà del II secolo a.C.\nLa cavea o kòilon è divisa verticalmente in due parti diseguali, separate da un corridoio orizzontale per il movimento degli spettatori (largo 182 cm), il diazoma. La parte inferiore della cavea è divisa in dodici sezioni mentre la parte superiore è divisa in ventidue; la mancanza di due tribune nella sezione superiore ha permesso di aggiungere due ulteriori ingressi per gli spettatori, che in questo modo possono accedere al teatro sia dal basso sia dall'alto.\nLa fila inferiori della cavea, subito a ridosso dell'orchestra, presenta posti d'onore riservati; il design dell'auditorium è unico e basato su tre centri di marcatura: grazie a questo gli architetti hanno ottenuto sia un'acustica ottimale che un'apertura per una visione migliore.\n\nL'orchestra circolare, con un diametro di 20 m, costituisce il centro del teatro. È circondata da una speciale condotta di drenaggio sotterranea di 1,99 m di larghezza chiamata èuripos, coperta in passato da una passerella circolare in pietra. Al centro dell'orchestra troviamo un piatto circolare di pietra, la base dell'altare dedicato a Dioniso o thymèle.\nDi fronte alla cavea e dietro l'orchestra si sviluppa l'edificio scenico del teatro. La forma della scena (che è in parte conservata oggi) è datata al periodo ellenistico e consisteva in un palcoscenico a due piani e un proscenio di fronte al palcoscenico; c'era un colonnato davanti al proscenio e, su entrambi i lati, i due retroscena leggermente sporgenti. A est e a ovest dei due retroscena c'erano due piccole sale rettangolari per le esigenze degli attori. Due rampe conducono al tetto del proscenio, il logeion, dove gli attori hanno recitato in un'epoca più tarda. Infine, il teatro aveva due porte, che ora sono state restaurate.\nI gradini del teatro sono raggruppati in due parti con pendenza diversa: allontanandosi dall'orchestra ci sono prima 34 gradini, poi una separazione, una diversa pendenza con gradinate doppie e poi una nuova serie di 21 gradini. Sommando le due serie si ottiene un totale di 55 gradini. Venne constatato che 34/21=1,619, mentre 55/34=1,617. Entrambi i valori, approssimati per eccesso e per difetto, danno il noto numero aureo: 1,618. Come viene detto nel Timeo: le due parti sono unite da 'il più bello dei legami'.\n\nScavi.\nIl primo scavo sistematico del teatro iniziò nel 1881 dalla Società Archeologica, sotto la direzione dell'archeologo Panayis Kavvadias e conservato in ottime condizioni grazie ai restauri di P. Kavvadias (1907), di A. Orlandos (1954-1963) e il Comitato di conservazione dei monumenti di Epidauro (Dal 1988 al 2016). Con il lavoro svolto, il teatro è stato recuperato - tranne la costruzione del palcoscenico - quasi interamente nella sua forma originale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tebe (città greca antica).\n### Descrizione: Tebe (in greco antico: Θῆβαι?, Thḕbai) fu una polis beotica, situata a nord del monte Citerone, che divide la Beozia dall'Attica, ai limiti meridionali della pianura della Beozia. Svolse un ruolo importante nella mitologia greca, luogo delle storie di Cadmo, Edipo, Dioniso e altri personaggi mitici.\nNel periodo miceneo attirò l'attenzione degli invasori dorici. La sua posizione centrale nella piana beotica fece diventare Tebe la polis dominante della Beozia, e sin dall'età arcaica i suoi abitanti cercarono di stabilire la supremazia completa sulle altre città che circondavano o erano nei pressi di Tebe.\nFu quindi la più grande città della Beozia e fu a capo della Lega beotica. Fu una grande rivale di Atene, e si schierò con l'Impero persiano durante la seconda guerra persiana. Con la vittoria nella battaglia di Leuttra nel 371 a.C., Tebe, sotto il comando di Epaminonda, divenne la città egemone greca, riuscendo a sconfiggere Sparta e la Lega peloponnesiaca, ma l'età d'oro della polis beotica non durò più di un decennio. Il battaglione sacro di Tebe, un'unità militare d'élite, è noto per esser caduto a Cheronea nel 338 a.C. contro Filippo II e Alessandro di Macedonia.\nSette vie della città di Tebe sono illusionisticamente rappresentate nel Teatro Olimpico di Vicenza (1580).\n\nStoria.\nMito fondativo.\nSecondo il mito, che non ha conservato memoria delle età precedenti quella micenea, Tebe sarebbe stata fondata da Cadmo, giunto dalla Fenicia. La notizia della venuta di Cadmo fu suggerita forse dall'esistenza della 'Cadmea'. A Tebe regnarono in successione, dopo Cadmo e i suoi discendenti, re di dinastia beota: Penteo e Polidoro, Nitteo e Laddamo, Nitteo e Laio, Lico e Laio, Anfione, Laio II, Creonte, Edipo, Eteocle, Creonte tutore di Laodamante, Tersandro, forse Autesione, poi Tisamene, Damasittone, Tolomeo e Xanto.\n\nOrigini.\nSui più antichi abitanti della Beozia, e quindi anche di Tebe, non si hanno dati sicuri. I reperti archeologici mostrano che l'acropoli della Tebe antica, la cosiddetta 'Cadmea', era abitata già nell'età elladica (III-II millennio a.C.). Sono stati rinvenuti manufatti del XVI secolo a.C., perfino affreschi, che mostrano contatti di Tebe con la Creta minoica. In seguito Tebe fu un potente centro miceneo fino a quando il palazzo e le mura non furono distrutti poco tempo prima della guerra di Troia (ca. 1200 a.C.).\nPiù tardi in Beozia fu costituita, probabilmente per difesa dalle mire espansionistiche di Orcomeno, la Lega beotica, una confederazione che comprendeva inizialmente 13 o 14 città, nessuna delle quali predominava sulle altre. A Tebe la monetazione è documentata a partire dal VII secolo a.C. Attorno al VI secolo a.C. Tebe divenne, all'interno della Lega beotica, la città egemone, ossia la città a cui spettava il comando in caso di guerra. L'egemonia tebana minacciava l'uguaglianza effettiva dei membri della lega, suscitando i tentativi separatistici di alcune importanti città della Beozia, in particolar modo di Platea, che cercò fin dal 519 a.C. l'appoggio di Atene.\n\nV secolo a.C.\nAlla fine del VI secolo a.C., i Tebani ebbero il primo contatto con gli Ateniesi, che aiutarono il piccolo villaggio di Platea a mantenere la sua indipendenza contro Tebe, mentre sempre gli Ateniesi nel 506 a.C. respinsero un'incursione nell'Attica. L'avversione e la rivalità con Atene spiega l'atteggiamento antipatriottico che Tebe adottò durante la seconda guerra persiana (480-479 a.C.).\nAnche se un contingente di 300 uomini fu inviato alle Termopili, l'aristocrazia tebana, subito dopo, unì le forze con Serse I di Persia e con grande forza e zelo combatté al fianco dei persiani nella battaglia di Platea nel 479 a.C. I Greci vittoriosi in seguito punirono Tebe privandola dell'egemonia sulla Lega beotica. Gli Spartani volevano addirittura espellere Tebe dall'anfizionia delfica ma questa proposta non fu attuata per intercessione di Atene; Pausania, dopo un assedio, la conquistò instaurandovi un governo democratico. Ma i tentativi di instaurare la democrazia a Tebe fallirono in quanto l'ordinamento democratico presupponeva una base sociale che non esisteva in Beozia: l'economia in questa regione era essenzialmente agricola e il potere era nelle mani di aristocratici latifondisti; l'artigianato e il commercio non erano sviluppati, le più grandi città in realtà non erano altro che grossi borghi privi di plebi urbane.\n\nNel 457 a.C. Sparta, nel cercare una polis che ostacolasse Atene nella sua avanzata nella Grecia centrale, cambiò la sua politica e Tebe divenne nuovamente la potenza dominante in Beozia. Gli Ateniesi occuparono la rocca Cadmea tra il 457 e il 447 a.C. Anche quando Atene tentò invano di occupare l'intera Beozia nel 431 a.C., incontrando una fiera resistenza tebana.\nTebe non riconobbe mai l'egemonia ateniese in Beozia e, dopo le sconfitte di Atene a Coronea (447 a.C.) e soprattutto a Delio (424 a.C.), la classe aristocratica riprese il potere a Tebe, che riconquistò il ruolo egemonico in seno alla Lega beotica.\nNella guerra del Peloponneso i Tebani, poiché Atene frustrava ogni loro tentativo di espansione in Beozia, furono fermi alleati di Sparta, che a sua volta li aiutò ad assediare Platea, città alleata di Atene, e permise loro di distruggere la città dopo la sua cattura nel 427 a.C. Nel 424 a.C., i Tebani inflissero una severa sconfitta su una forza d'invasione ateniese nella battaglia di Delio, e per la prima volta mostrò la sua forza militare, dovuta alla tattica della falange obliqua, che l'avrebbe elevata a potenza predominante in Grecia.\n\nAlleanza con Atene.\nDopo la caduta di Atene e la fine della guerra del Peloponneso, i Tebani, avendo saputo che gli Spartani non avevano intenzione di proteggere le città loro alleate, ruppero l'alleanza. Tebe, che aveva sollecitato Sparta a radere al suolo Atene, nel 403 a.C. aveva segretamente sostenuto il restauro della democrazia nella città dell'Attica, al fine di trovare in essa una buona alleata contro Sparta. Il mutamento nella politica estera può essere attribuito a un governo democratico moderato subentrato a Tebe a quello aristocratico.\nNel 395 a.C., forse influenzati in parte dall'oro inviato dai Persiani, formarono una lega contro Sparta: la città partecipò al fianco di Atene, Argo e Corinto alla guerra di Corinto e vinse la battaglia di Aliarto (395 a.C.). La successiva pace comune di Antalcida (386 a.C.), espressione dell'egemonia spartana, negava però a Tebe l'egemonia sulla Beozia e ordinava lo scioglimento della Lega beotica.\nNel 382 a.C. lo spartano Febida occupò la rocca Cadmea con un colpo di mano, sostituì i governanti democratici con aristocratici filo-spartani e pose quindi Tebe sotto il diretto controllo spartano; il re di Sparta Agesilao II avallò queste gesta permettendo che Ismenia, il principale democratico popolare tebano, fosse messo a morte. L'opposizione democratica in esilio ad Atene, guidata da Pelopida, si alleò con i moderati rimasti a Tebe, guidati da Epaminonda, e con una impresa audace riuscì a ripristinare lo Stato tebano (379 a.C.). L'episodio segnò l'inizio di una serie di eventi che culminarono addirittura con l'egemonia di Tebe, sia pure di breve durata, sul resto della Grecia.\n\nEgemonia tebana.\nNelle guerre seguenti con Sparta, l'esercito tebano, addestrato e guidato da Epaminonda e Pelopida, si dimostrò il migliore della Grecia. Tebe stabilì il suo potere su tutta la Beozia, e nel 371 a.C. riportò una notevole vittoria sugli Spartani a Leuttra e i vincitori furono salutati in tutta la Grecia come liberatori. Alla testa di una grande coalizione e della Lega beotica, Tebe paralizzò l'economia spartana liberando da Sparta molti Iloti, la base dell'economia di Sparta.\nNel 362 a.C. i Tebani sconfissero nuovamente gli Spartani nella battaglia di Mantinea, dove però Epaminonda morì. Poiché anche Pelopida era morto due anni prima, Tebe rimase senza i due personaggi artefici del successo militare e in poco tempo il dominio tebano si sgretolò (tra l'altro la Beozia era una delle regioni più povere della Grecia), anche sotto la pressione del Regno di Macedonia.\n\nDistruzione di Tebe.\nNella terza guerra sacra (356-346 a.C.) Tebe, non riuscendo nemmeno a mantenere il suo predominio sulla Grecia centrale, chiese l'aiuto di Filippo II di Macedonia, che sconfisse i Focesi ma nello stesso tempo s'intromise negli affari del mondo greco. Il pericolo macedone spinse Tebe ad allearsi con Atene, ma le forze greche furono sconfitte nella battaglia di Cheronea: la Lega beotica venne sciolta, e Tebe dovette versare alla Macedonia enormi riparazioni di guerra e accettare un presidio macedone nella città.\nNel 335 a.C. i Tebani e gli Ateniesi si ribellarono ancora una volta contro i Macedoni, ma il successore di Filippo, Alessandro Magno, creduto dall'ateniese Demostene (il principale fautore della politica antimacedone) un ragazzino sciocco (tra l'altro si era diffusa in Grecia la notizia della morte di Alessandro in una sua spedizione) reagì immediatamente; mentre le altre città si arresero, Tebe decise di resistere energicamente. Tuttavia questa resistenza fu inutile: la città fu rasa al suolo, con l'eccezione, secondo la tradizione, della casa del poeta Pindaro e dei templi dell'acropoli e il suo territorio fu diviso tra le altre città della Beozia. Inoltre, gli stessi Tebani furono venduti come schiavi. Alessandro risparmiò solo i sacerdoti, i generali favorevoli al dominio macedone e i discendenti di Pindaro. La distruzione di Tebe intimorì Atene, che si sottomise ad Alessandro.\n\nPeriodo ellenistico e romano.\nCassandro I permise ai Tebani di ricostruire la loro città nel 316 a.C. Tebe fu assediata e presa da Demetrio Poliorcete nel 293 a.C. La città riprese la sua autonomia nel 287 a.C. e divenne alleata di Lisimaco e della Lega etolica.\nNel 146 a.C. Tebe fu conquistata da Roma. Fece parte della provincia di Acaia. Tentò di ribellarsi ai Romani all'epoca delle guerre mitridatiche, per cui nell'87 a.C. venne occupata da Silla, che le tolse metà del territorio. Da allora la decadenza fu irreversibile.\nNel II secolo d.C., Pausania il Periegeta riferisce che Tebe e il territorio circostante erano ormai disabitati e che solo poche persone abitavano nella rocca Cadmea. La città fu rifondata nel 315, ma da quel momento non fu più parte importante della scena politica della Grecia.\n\nNel Medioevo.\nNell'XI secolo vi fiorì l'industria della seta e delle tintorie di porpora: il centro riacquistò l'aspetto di una città e attrasse mercanti stranieri (la vivacità economica che ne derivò favorì l'insediamento di una notevole comunità ebraica romaniota). Nel 1147 fu saccheggiata dai Normanni di Sicilia. Divenne poi capitale del Ducato di Atene, costituito nel 1205 sotto la signoria dei de la Roche, conoscendo un periodo di prosperità. A partire dal 1311 fu sotto il dominio catalano-aragonese. Nel 1388 il ducato passò alla famiglia fiorentina degli Acciaiuoli e per Tebe fu una nuova fase di floridezza. Nel 1460 fu conquistata dai Turchi, vi cessò il commercio e tornò a decadere.\n\nLa città moderna." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tebeo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Tebeo era uno dei vecchi guerrieri di Troia, al tempo della famosa guerra, era il padre di Eniopeo.\n\nIl mito.\nTebeo, forte ed esperto guerriero, quando Paride, figlio di Priamo re di Troia, decise di rapire Elena moglie di Menelao, e di conseguenza scoppiò la guerra fra la Grecia e il popolo troiano, era troppo vecchio per partecipare alle battaglie. Al suo posto combatté il figlio che trovò morte per mano di Diomede, abile nemico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tecmessa.\n### Descrizione: Tecmessa (in greco antico: Τέκμησσα?, Tékmēssa) è una figura della mitologia greca.\nViene citata nell'Iliade dove è descritta come la figlia di Teleutao, re di Frigia e alleato dei troiani. Gli Achei la fecero prigioniera durante un'incursione e la assegnarono, come schiava, ad Aiace Telamonio da cui ebbe un figlio, Eurisace. Quando Aiace si suicidò per lo smacco dovuto all'equivoca uccisione di una mandria di buoi, al posto dei capi greci, voluta dalla dea Atena, ella cercò inutilmente di farlo ragionare ma fu inutile.\nCompare anche nell'Aiace di Sofocle." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tegira.\n### Descrizione: Tegira (Τέγυρα) è una località che si trova nei pressi del lago di Copaide, non lontano da Orcomeno in Beozia orientale.\nÈ celebre nella storia dell'antica Grecia perché ivi si svolse, nel 375, una battaglia tra l'esercito di Sparta e quello di Tebe comandato da Pelopida, con quest'ultimo che s'impose nel combattimento." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tela di Penelope.\n### Descrizione: La tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, ideato da Penelope, la moglie di Ulisse che, per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il lenzuolo funebre del suocero Laerte. Per impedire che ciò accadesse, la notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno.\n\nOggigiorno si cita la tela di Penelope per riferirsi a un lavoro intrapreso e adottato a mo' di alibi o che non avrà mai termine." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Telamone (personaggio mitologico).\n### Descrizione: Telamone (in greco antico: Τελαμών?, Telamṑn) è un personaggio della mitologia greca. Fu un argonauta (così come il fratello Peleo), uno dei partecipanti alla caccia al cinghiale calidonio e divenne re di Salamina.\nAssieme a Peleo accompagnò Eracle nelle spedizioni contro le Amazzoni e contro Troia.\nTelamone fu accolto dal re di Salamina e ne divenne il successore dopo la morte di costui.\n\nGenealogia.\nFiglio di Eaco e di Endeide, sposò prima Peribea che lo rese padre di Aiace Telamonio ed in seguito sposò Esione da cui ebbe Teucro.\nAlcune fonti fanno riferimento ad un terzo figlio chiamato Trambelo e che, rifiutato da una fanciulla di Lesbo di nome Apriate, si vendicò di lei gettandola in fondo al mare.\n\nVita.\nDopo aver ucciso il fratellastro Foco, Telamone e Peleo dovettero lasciare Egina. Il re Cicreo di Salamina accolse Telamone e diventò suo amico. Telamone sposò la figlia di Cicreo, Peribea, da cui generò Aiace. In seguito Cicreo diede il suo regno a Telamone. In altre versioni del mito, la figlia di Cicreo si chiama Glauce, mentre Peribea è la seconda moglie di Telamone e figlia di Alcatoo.\nTelamone compare anche nelle due versioni del sacco di Troia da parte di Ercole, quando re della città era Laomedonte (o Troo). Prima che scoppiasse la guerra di Troia, Poseidone inviò un mostro marino per distruggere la città.\nNella versione del re Troo, Ercole, insieme a Telamone e Oicle, accettò di uccidere il mostro in cambio dei cavalli che Troo aveva ricevuto da Zeus come compenso per il rapimento di Ganimede (che era figlio di Troo) da parte di Zeus. Troo accettò, Ercole uccise il mostro e Telamone sposò Esione, figlia di Troo, generando da lei il figlio Teucro.\nNella versione del re Laomedonte, Laomedonte progettò di sacrificare Esione al dio Poseidone nella speranza di placarlo. Ercole salvò Esione all'ultimo minuto e uccise sia il mostro, così come Laomedonte e i figli di questi, tranne Ganimede, che era sul Monte Olimpo, e Priamo, che ebbe salva la vita donando a Ercole un velo d'oro tessuto da Esione. Telamone ebbe Esione in premio e la sposò, e da lei generò Teucro. Poiché Aiace si era suicidato a Troia, Telamone bandì Teucro da Salamina per non aver riportato suo fratello a casa.\nNella 'Biblioteca di Apollodoro' si legge che Telamone fu quasi ucciso durante l'assedio di Troia. Telamone fu il primo a entrare nelle mura di Troia e ciò fece infuriare Ercole, il quale avrebbe voluto quell'onore per sé. Ercole stava per uccidere Telamone, quando questi cominciò a costruire rapidamente un altare di pietre in onore di Ercole. Ercole fu così lusingato che dopo il sacco di Troia gli diede in moglie Esione. Esione chiese di poter portare con sé il fratello Podarce. Ercole acconsentì ma volle che Esione lo comprasse come schiavo. Esione riscattò il fratello pagando con un velo intessuto d'oro. Il nome di Podarce fu cambiato in Priamo - che, secondo l'autore greco Apollodoro, deriva dal verbo greco 'comprare'.\n\nArchitettura.\nIn architettura il telamone è una figura maschile colossale usata come colonna. È chiamato anche atlante ed è la versione maschile della cariatide." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Telchini.\n### Descrizione: I Telchini (in greco antico: Τελχῖνες?, Telkhînes) sono dei personaggi della mitologia greca. Furono i primi abitanti dell'isola di Rodi ed erano conosciuti anche a Creta e Cipro.\n\nGenealogia.\nFigli di Ponto e Gea o di Tartaro e Nemesi o del sangue di Urano. Oppure di Ponto e Thalassa od ancora figli di Poseidone e Alia.\nSecondo una fonte i Telchini erano in origine i cani di Atteone che furono trasformati in uomini.\n\nNomi e numero.\nPoiché più di un autore si è espresso sui nomi e sul numero dei Telchini, l'elenco che segue rappresenta la somma dei loro nomi con le varianti dello stesso nome messe tra parentesi.\nDemonax (Damon), Mylas, Atabyrius (Ataburon), Anteo (Aktaios), Megalesius, Ormeno, Lico (Liktos), Nicon, Mimon, Chryson, Argyron e Calcone, Skelmis e Damnameneus.\nCi sono inoltre le femmine Alia, Lysagora Macelo e Dessitea.\nDemonax e Macelo ebbero la figlia Dessitea.\n\nAttitudini ed aspetto.\nA seconda degli autori, i Telchini svolgevano una svariata varietà di ruoli, che partiva dai coltivatori del suolo ai ministri degli dei e, sotto alcuni aspetti, erano in grado di fare le stesse cose degli Ecatonchiri (come giganti delle tempeste) ed i Ciclopi (come lanciatori di tuoni e fulmini) ma erano anche abili nella metallurgia (costruttori del tridente di Poseidone e della falce di Crono) come i Cureti ed i Dattili.\nCon i Ciclopi inoltre aiutarono Efesto a costruire la collana di Armonia e fu per l'invidia delle loro capacità che gli uomini cominciarono a parlar male di loro.\nInfatti, erano anche definiti stregoni o demoni invidiosi e con un aspetto distruttivo così come lo era lo sguardo o che avessero pinne al posto delle mani e le teste di cani o che fossero figli dei pesci od anche dotati del potere di portare grandine, pioggia e neve nonché di assumere qualsiasi forma desiderassero.\nNella loro malvagità potevano produrre una sostanza velenosa ed erano paragonati ad Alastore per aver condizionato le incessanti peregrinazioni della gente o chiamati Palamnaioi per aver versato l'acqua avvelenata del fiume Stige sui campi coltivati rendendoli infertili, od ancora che fossero ricoperti di aculei velenosi come il riccio di mare.\n\nProvenienza e tracce.\nLa loro terra d'origine varia a seconda degli autori poiché alcuni scrivono che vennero da Creta per spostarsi prima a Cipro e poi a Rodi ed altri che una volta giunti a Cipro si spostarono in Beozia dove edificarono un santuario ad Atena.\nProbabilmente ogni autore diede un destino particolare ad ogni personaggio di cui raccontava (o solo ad alcuni). Di Lico ad esempio, Diodoro Siculo scrive che si recò in Licia, dove tra la città di Xanthos e l'omonimo fiume edificò un tempio dedicato ad Apollo.\n\nMitologia.\nAi Telchini Rea affidò Poseidone infante e loro lo accudirono con l'aiuto di Cafira ed un'altra versione dice invece che Rea li accompagnò nel viaggio da Rodi a Creta dove nove di loro (chiamati Cureti) furono scelti per educare il giovane Zeus (che era stato nascosto sull'isola per salvarlo).\nNella varietà dei miti a loro dedicati, gli stessi dei (Rea, Zeus ed Apollo) furono anche ostili verso i Telchini e sempre gli dei (Zeus, Poseidone ed Apollo), li avrebbero anche uccisi poiché avevano utilizzato più volte la magia per scopi malvagi tra cui l'esempio di avvelenare l'acqua del fiume Stige per poter distruggere campi, animali e raccolti, cosa questa che, secondo Nonno di Panopoli fu una loro vendetta per essere stati cacciati da Rodi per mano degli Eliadi.\nGli autori concordano sul fatto che i Telchini furono infine distrutti dagli dei ma ognuno ne da una versione diversa. Ovidio scrive con il Diluvio Universale, Pindaro con un fulmine di Zeus, Nonno di Panopoli con il tridente di Poseidone ed infine da Apollo nelle sembianze di un lupo.\nOvidio aggiunge che Macelo fu uccisa da un fulmine di Zeus, mentre Callimaco e Nonno di Panopoli che fu l'unica ad essere uccisa in quel modo mentre la figlia Dessitea sopravvisse ed ebbe il figlio Eussantio da Minosse." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Telefo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Telefo (in greco antico: Τήλεφος?, Tḕlephos) è figlio di Eracle e di Auge, figlia del re di Tegea, Aleo. Le vicende della sua vita, pur non essendo mai menzionate da Omero, sono narrate da vari autori classici, soprattutto dallo Pseudo-Apollodoro, da Ditti Cretese e da Igino (talvolta con differenze significative), e numerosi sono i riferimenti ad episodi della sua vita riscontrabili in opere antiche.\nL'episodio per cui divenne famoso è la battaglia contro l'esercito greco diretto a Troia, ma sbarcato per sbaglio sulle coste della Misia, della quale Telefo era diventato sovrano: lo scontro provocò numerose perdite in entrambi gli schieramenti ed il re misio fu ferito a una coscia da Achille. Il ferimento e la successiva guarigione per mano dello stesso Achille divennero un argomento usato da molti autori antichi, nonché base per alcune tragedie greche.\nTelefo divenne oggetto di culto eroico nella città di Pergamo, in Misia, e le sue gesta sono raffigurate sul fregio dell'Altare di Pergamo, oggi conservato a Berlino.\n\nIl mito.\nNascita e infanzia.\nSecondo la versione più diffusa del mito, Eracle, giunto a Tegea in Arcadia, ebbe un rapporto sessuale con Auge, figlia del re della città Aleo, senza conoscerne però la reale identità. Da questa unione nacque un bambino, che fu nascosto segretamente da Auge nel recinto di Atena. Ma Aleo scoprì la maternità della figlia quando, in seguito a una pestilenza che stava devastando il regno, si recò al tempio per pregare la dea Atena.\nAlcidamante racconta nell'Odisseo una versione più particolareggiata del concepimento, che in alcuni aspetti ricalca la storia di Danae e Perseo. Aleo, durante un viaggio a Delfi, era stato avvertito dall'oracolo che i suoi figli maschi sarebbero stati uccisi da suo nipote, il figlio di Auge. Per evitare che l'oracolo si avverasse, Aleo fece chiudere la figlia nel tempio di Atena, del quale la nominò sacerdotessa; dichiarò inoltre che sarebbe stata messa a morte se non si fosse mantenuta casta. Proprio in questo tempio Aleo organizzò un banchetto per Eracle, di passaggio mentre si dirigeva a portar guerra ad Augia in Elide: sotto l'influsso del vino, Eracle violentò Auge, che rimase incinta.Il bambino fu dunque preso ed esposto sul monte Partenio, lungo la strada tra Tegea ed Argo, dove, per volere divino, fu allattato da una cerva. Auge invece fu affidata al re Nauplio per essere venduta come schiava in terre lontane. Quest'ultimo, giunto in Misia, ricevette un riscatto dal re Teutrante, che la prese con sé. Secondo un'altra versione, riportata da Diodoro Siculo, Aleo ordinò a Nauplio di affogare la fanciulla, ancora incinta, che però riuscì a fuggire e partorì il piccolo in un boschetto, nascondendolo poi in mezzo ai cespugli. La giovane però, ricatturata, venne venduta a un ammiraglio di Misia che la donò al re Teutrante. Il piccolo, allattato, come detto prima, da una cerva, fu ritrovato da alcuni pastori che lo consegnarono al proprio re, Corito; questi chiamò il piccolo Telefo, in onore della prima nutrice (il suo nome infatti sembra derivare da θηλή thēlḕ, 'mammella' e ἔλαφος èlaphos, 'cervo' o 'cerva').A quest'ultima versione fa riferimento anche Pausania quando ricorda che gli abitanti di Tegea chiamano Ilizia Auge sulle ginocchia: nel punto in cui è il tempio di Ilizia, infatti, Auge avrebbe dato alla luce il figlio.\n\nIl passaggio in Asia.\nDiventato adulto, Telefo volle avere notizie sulla madre e si recò a Delfi per chiederne informazioni. L'oracolo gli consigliò di recarsi in Misia dal re Teutrante. Giunto dunque in Misia con l'amico Partenopeo (figlio di Atalanta e anch'egli esposto sul monte Partenio), vide come quella terra era minacciata dall'esercito di Ida, figlio di Afareo. Teutrante aveva promesso la mano di Auge a chi avesse sconfitto le schiere del rivale. Telefo affrontò dunque in duello Ida e lo uccise, ricevendo in premio Auge, senza sapere però chi fosse realmente. Ma la donna, riconoscendolo, non volle unirsi a lui e tentò di ucciderlo con una spada; il suo tentativo, però, fu vanificato grazie all'intervento di un grande serpente inviato dagli dèi che protesse Telefo; Auge, chiedendo allora pietà, invocò Eracle e fu così svelata al figlio la sua vera identità. Teutrante felice decise di adottarlo come suo erede e gli diede in moglie Astioche, sorella del re troiano Priamo, da cui nacque Euripilo. Alla morte del re, Telefo divenne sovrano di Misia.Strabone fornisce un'altra versione del passaggio di Telefo in Asia, che dipende da una tragedia perduta di Euripide. Quando Aleo scoprì che Auge era stata violata da Eracle, mise lei ed il figlio in una cesta e la abbandonò in mare; la cesta arrivò fino alla foce del fiume Caico, in Misia, dove madre e figlio furono salvati dal re Teutrante, che li trattò come se fossero la propria moglie ed il proprio figlio, futuro re. Un racconto simile è in Pausania, che dipende da Ecateo di Abdera e che ricorda che a Pergamo è la tomba di Auge, nei pressi del fiume Caico.Un frammento della già ricordata tragedia euripidea propone un'altra derivazione del nome Telefo, legata proprio alla lontananza dal luogo di nascita. In questo brano egli racconta che, divenuto sovrano di Misia, il suo popolo lo chiama Telefo per via della sua origine, poiché viveva lontano (in greco antico: τηλοῦ?, tēlù) da dove era nato.\n\nLo scontro con i Greci.\nDurante il suo regno, alcune navi greche salparono da Aulide verso Troia con l'obiettivo di assalirla a seguito del rapimento di Elena da parte di Paride; i Greci, però, giunsero per sbaglio in Misia e, credendo di essere giunti a Troia, la invasero. Secondo il racconto fornito da Ditti Cretese nella Storia della guerra di Troia, Telefo, avvisato dello sbarco dalle sentinelle poste a guardia delle coste, radunò tutti gli uomini che aveva a disposizione: ci fu una grande battaglia tra Greci e Misi, durante la quale Telefo uccise Tersandro, figlio di Polinice e nipote di Edipo, mentre Aiace Telamonio, che comandava una delle due parti in cui l'esercito greco era stato diviso, colpì a morte Teutranio, che, secondo Ditti Cretese, era figlio di Teutrante e di Auge (e dunque fratellastro del re di Misia). Telefo affrontò in duello Achille ma, non riuscendo a resistergli, indietreggiò e, rimasto avvinghiato in un tralcio di vite, fu ferito con un colpo di lancia alla coscia dal Pelide; rialzatosi rapidamente, riuscì ad estrarre la lancia ed a mettersi in salvo. Secondo lo scoliasta dell'Iliade, il tralcio fu fatto spuntare da Dioniso per punire il re, che aveva privato la divinità di alcuni onori.\nLa resistenza dei Misi costò ai Greci numerose vite, provocò molti feriti e li costrinse a tornare sulle navi; tuttavia una delegazione achea composta da Tlepolemo, Fidippo e Antifo riuscì a concordare una pace con Telefo: poiché nell'esercito greco vi erano vari discendenti di Pelope, tra cui Agamennone e Menelao, i Greci si presentavano come imparentati con il re di Misia, anch'egli discendente di Pelope (essendo Alcmena, la madre di Ercole, figlia di Pelope secondo alcune versioni del mito); chiarito il vero scopo del loro viaggio, poterono fare ritorno in Grecia.\nIl ferimento del re misio è raccontato con alcune varianti anche da Filostrato nel dialogo Eroico. Secondo il racconto del vignaiolo (il personaggio che nel dialogo riferisce le storie degli eroi), durante la battaglia Protesilao combatté contro Telefo e, nello scontro, riuscì a strappargli lo scudo; rimasto senza protezione, fu ferito da Achille, che non lo uccise solo a causa all'intervento dei compagni di Telefo, che lo portarono in salvo. Filostrato, a differenza di Ditti Cretese, riporta molte più perdite per i Misi che non per i Greci, e ricorda un tale spargimento di sangue al punto che le acque del fiume Caico si tinsero di rosso. Racconta inoltre che a fianco dei soldati misi combatté una schiera di donne misie a cavallo, paragonabili alle Amazzoni: a capo di queste donne era Iera, moglie di Telefo e donna di grande bellezza, che fu uccisa in battaglia da Nireo. Secondo questa versione fu proprio la bellezza di Iera, maggiore di quella di Elena, che sospinse Omero a non descrivere questa battaglia, giacché il suo intento era di cantare la bellezza di Elena ed il coraggio di Achille, argomenti che, sempre secondo il vignaiolo, nella battaglia di Misia non avrebbe potuto celebrare.\n\nLa guarigione della ferita.\nLa ferita di Telefo sembrava inguaribile e costrinse il re a recarsi di nuovo a Delfi per sapere se c'era qualche speranza di guarigione. L'oracolo rispose che solo chi l'aveva ferito avrebbe potuto risanarlo. Telefo, vestito da mendicante, partì per Argo, dove intanto si erano ritirati gli Achei tornando dalla Misia, e, secondo alcuni autori, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio d'Agamennone, minacciando di ucciderlo se Achille non l'avesse guarito dalla ferita. Nessuno osò toccarlo perché Calcante, l'indovino, aveva profetizzato che solo l'Eraclide sarebbe riuscito a guidarli verso Troia. Fu guarito grazie alla ruggine della lancia di Achille, (al quale Telefo donò, come ringraziamento, alcuni cavalli) o, secondo la notizia di Plinio il Vecchio, grazie a una pianta scoperta da Achille in grado di curare le ferite e che da lui prese il nome achillea; Telefo guidò quindi i Greci verso la spiaggia troiana, tornando in seguito in terra di Misia.\n\nLa spedizione a Troia di Euripilo, la morte di Telefo e la fondazione di Pergamo.\nQuando i Greci posero l'assedio a Troia, Telefo, pur imparentato con Priamo, proclamò lo stato di non belligeranza. Priamo decise allora di inviare alla sorella il tralcio di vite dorata che Troo (o Laomedonte) aveva ricevuto da Zeus in seguito al ratto di Ganimede, per convincerla a lasciar partire il figlio Euripilo: Astioche cedette ed Euripilo partì per Troia alla testa di un folto contingente di soldati misi. Durante la guerra il principe ammazzò molti nemici, tra cui Macaone, Peneleo e Nireo, ma fu poi ucciso da Neottolemo.Alla morte di Telefo, gli succedette il nipote Grino. Questi dovette fronteggiare le invasioni dai regni vicini e chiese aiuto a Pergamo, figlio di Neottolemo, divenuto suo alleato: respinti i nemici, i due fondarono in Misia una nuova città, che fu chiamata Pergamo e legata alla memoria di Telefo. I resti dell'eroe vennero infatti qui trasferiti e posti in un grandioso complesso funerario.\n\nVersioni secondarie.\nSecondo Esiodo, Telefo nacque direttamente in Asia. In un frammento del Catalogo delle donne, racconta infatti che Teutrante ricevette Auge nella sua casa e la trattò come una figlia; rimasta incinta da Eracle, che si trovava in Asia per conquistare i cavalli di Laomedonte, qui diede alla luce un bambino, Telefo. L'autore ne sottolinea però l'origine greca designandolo con il patronimico Arcaside, cioè discendente di Arcade.Darete Frigio racconta nella Distruzione di Troia che, dopo il rapimento di Elena, i Greci mandarono due delegazioni in Asia: la prima, guidata da Diomede e Ulisse, diretta a Troia per riavere Elena da Paride; la seconda, guidata da Achille e Telefo, diretta in Misia per saccheggiare il regno di Teutrante. I Greci di Achille si scontrarono con l'esercito dei Misi ed il re non rimase ucciso solo grazie all'intervento di Telefo, che lo salvò sotto il proprio scudo in segno di gratitudine per il favore che in precedenza gli aveva riservato; Teutrante aveva infatti ospitato Telefo quando questi ereditò il regno dal precedente re Diomede, spodestato ed ucciso da Eracle. Dopo essere stato protetto in battaglia, Teutrante, ormai in età avanzata, decise di lasciare il regno a Telefo ed egli, come re di Misia, aiutò i Greci nella guerra di Troia.\nSecondo Igino, la sposa dell'eroe era Laodice, figlia di Priamo mentre Apollodoro la chiama Astioche ed aggunge che Telefo si unì a lei in seconde nozze in quanto la prima moglie era stata invece Argiope, una figlia di Teutrante, dal quale ricevette la Misia come dote matrimoniale.\nAlcune versioni affermano che Telefo ebbe altri due figli da Iera, Tarconte e Tirreno (o Tirseno), che migrarono in Italia e fondarono numerose città etrusche. Un'altra versione mette tra i figli di Telefo anche Ciparisso, senza fare il nome della madre; Plutarco infine riferisce che, secondo alcune fonti, tra i figli di Telefo ci sarebbe stata Roma, sposa di Enea.\n\nLetteratura.\nAutori classici.\nMolti autori classici hanno preso ispirazione dalle vicende di Telefo per le loro opere o hanno fatto riferimento ad alcuni episodi della sua vita.\nTelefo è stato protagonista di almeno due tragedie di Euripide, entrambe perdute: Auge e Telefo. La prima, di cui rimangono una ventina di frammenti, racconta del concepimento e della nascita di Telefo e del primo periodo della sua vita: separato dalla madre e allattato da una cerva, fu poi riconosciuto da Eracle come proprio figlio grazie ad un anello, che probabilmente Auge gli aveva strappato durante la violenza e che poi aveva lasciato al figlio. La seconda, di cui rimangono circa trenta frammenti, racconta dell'attacco dei Greci, diretti verso Troia, alla Midia; Telefo, ferito da Achille durante un combattimento, si veste da mendicante e si dirige verso il campo dei Greci ad Argo, poiché un oracolo gli aveva annunciato che solo la lancia che lo aveva colpito avrebbe potuto guarirlo. A quest'ultima tragedia fa riferimento, parodiandola, Aristofane in varie occasioni, soprattutto negli Acarnesi (in cui il protagonista Diceopoli si traveste da mendicante per catturare la benevolenza del coro) e nelle Tesmoforiazuse (in cui Mnesiloco minaccia il coro di donne di uccidere una bambina - che poi si rivelerà un otre di vino - sottratta alla madre, analogamente a quanto fatto da Telefo nella tragedia con il piccolo Oreste per ottenere aiuto dagli Argivi e convincere Achille a guarirlo). Altri riferimenti alla tragedia euripidea sono nelle Nuvole e nelle Rane.\nSecondo alcuni studiosi, queste commedie seguirebbero molto da vicino la tragedia euripidea, riprendendone, seppur in via parodica, sia il linguaggio che le azioni.Telefo era protagonista anche di omonime tragedie greche di Eschilo, Sofocle,, Agatone,, Iofone (figlio di Sofocle), Cleofone e Moschione, delle quali rimangono pochissimi frammenti che non permettono di ricostruirne la trama. Di due commedie di Dinoloco e Rintone rimane solo il titolo, mentre sempre grazie a testimonianze frammentarie, si sa che Telefo compariva come personaggio di spicco anche nelle tragedie I Misi e Gli Aleadi ('i figli di Aleo') di Sofocle che, in base a un'iscrizione, sembra appartenessero alla trilogia o tetralogia Telepheia sulla vicenda di Telefo, che potrebbe includere anche l'Euripilo.\nSi conoscono inoltre frammenti di tragedie latine aventi per protagonista Telefo scritte da Quinto Ennio e da Lucio Accio.Le vicende legate alla battaglia con i Greci hanno ispirato vari autori, oltre ai tragici ed a quelli già ricordati come fonti principali del mito. Un frammento di circa 25 versi scoperto ad Ossirinco ed attribuito ad Archiloco racconta dello scontro tra Greci e Misi, mettendo in risalto la sconfitta degli Achei e la loro ritirata a seguito dell'attacco di Telefo.Il ferimento da parte di Achille è ricordato da vari autori, ad esempio Pindaro nelle Istmiche e Ovidio nelle Metamorfosi, nei Tristia e nei Remedia amoris.\nAnche la guarigione è variamente ricordata: ad esempio, l'Antologia palatina riporta due epigrammi, scritti da Macedonio di Tessalonica e Paolo Silenziario, in cui gli innamorati chiedono alle loro donne di essere guariti come Telefo da Achille, e un rimedio analogo propone Luciano nel Nigrino. Un riferimento al re che si traveste da mendicante per chiedere aiuto è anche in Orazio, che nell'Ars poetica lo paragona a Peleo esiliato.\n\nAutori italiani e stranieri.\nAlcuni riferimenti a Telefo sono presenti anche in opere di Dante e di Shakespeare. Paragonando il ferimento e la successiva cura da parte di Achille alla parola di Virgilio che prima ammonisce ma poi riconforta, Dante scriveva nel trentunesimo canto dell'Inferno:.\n\nLo stesso episodio è ricordato da Shakespeare nell'Enrico VI, parte II:.\n\nUn passo simile è anche nel Racconto dello scudiero, di Geoffrey Chaucer:.\n\nMolto probabilmente allo stesso episodio si riferisce anche Goethe nel Torquato Tasso:.\n\nParemiografia.\nDalla vita di Telefo hanno avuto origine anche alcune frasi proverbiali. A proposito del viaggio verso l'Asia, Erasmo da Rotterdam ricorda il proverbio ᾿Έσχατος Μυσῶν πλεῖν Èschatos Mysṑn plèin, 'l'ultimo di Misi naviga', spiegando che veniva usato con riferimento a compiti duri e difficili da svolgere. Secondo il lessico Suida si tratta dell'oracolo che spinse Telefo a partire per l'Asia in cerca della madre.Paolo di Egina informa nel suo trattato medico che le ferite difficili o impossibili a cicatrizzarsi erano chiamate Τηλέφεια θραύματα Tēlèpheia thràumata, in ricordo della ferita inferta da Achille a Telefo che non si rimarginò se non con l'intervento dello stesso Achille.Aristotele, ricordando nella Poetica che ciò che è convincente ma impossibile è da preferirsi a ciò che è possibile ma non convince, cita il caso di Telefo, che giunse in Misia senza parlare. La silenziosità di Telefo è anche menzionata anche da un frammento del comico Alessi, a proposito di un parassita che cena senza parlare, e dal comico Anfide, a proposito dei pescivendoli boriosi.Telefo è all'origine anche di un altro proverbio, Μυσῶν λεία (Mysṑn lèiā), 'preda dei Misi': come spiega Erasmo nella sua raccolta di adagi, era usato per coloro che erano danneggiati impunemente da altri e prende origine dalle incursioni che i Misi dovettero subire durante il periodo in cui Telefo aveva dovuto lasciare il suo regno diretto in Grecia. Tra gli esempi di uso di questo proverbio, si veda l'orazione XVIII (Sulla Corona) di Demostene.\n\nLa figura di Telefo nell'arte.\nUna delle più grandi case scoperte nel sito archeologico di Ercolano è stata chiamata Casa del Rilievo di Telefo: prende il nome da un altorilievo che è stato trovato in questa casa e che ritrae Achille mentre cura la ferita di Telefo.\nLa battaglia tra Greci e Misi era invece il tema rappresentato su uno dei frontoni del tempio di Atena Alea a Tegea: realizzati da Skopas tra il 345 ed il 335 a.C., i resti sono ora conservati al Museo archeologico nazionale di Atene.\n\nMa la più famosa rappresentazione artistica del mito di Telefo è immortalata nell'altare di Zeus a Pergamo, ora conservato al Pergamonmuseum di Berlino. L'eroe era considerato dagli abitanti di Pergamo come il fondatore della loro città; Pausania riferisce che si «ritenevano Arcadi, discendendo da quelli che approdarono in Asia con Telefo», mentre Elio Aristide afferma che Pergamo era una colonia di Telefo e dei suoi compagni. Un fregio rappresenta i momenti principali della storia di Telefo, dall'incontro tra Eracle e Auge all'istituzione di Pergamo. Curiosamente, una delle scene rappresenta il fanciullo mentre è allattato da una leonessa, anziché da una cerva secondo la leggenda comunemente accettata; questo episodio, che non è attestato altrove, potrebbe essere stato scelto con la volontà da parte degli Attalidi di mostrare la superiorità di Pergamo rispetto a Roma, attraverso un confronto dei rispettivi fondatori.Tra le altre rappresentazioni della storia di Telefo conservate, ci sono alcuni vasi, come quello che rappresenta Telefo ferito conservato al British Museum di Londra ed il cratere Telephus travestitus conservato all'Università di Würzburg, e alcune statue che rappresentano Eracle che tiene in braccio il figlio (conservate al Museo del Louvre di Parigi e al Museo Chiaramonti nella Città del Vaticano)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Telemo.\n### Descrizione: Telemo (in greco antico: Τήλεμος?, Telemos) è un personaggio della mitologia greca, un ciclope dotato di veggenza, figlio di Eurimo. Telemo avvertì Polifemo che avrebbe perso la vista a causa di un uomo chiamato Ulisse.\n\nInfluenza culturale.\nA Telemo è intitolato il cratere Telemo sul satellite di Saturno Teti." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Telesforo (divinità).\n### Descrizione: Telesforo (in greco antico: Τελεσφόρος?, Telesphóros) è un personaggio della mitologia greca, era figlio di Asclepio e dio della convalescenza. Spesso accompagnato da sua sorella, Igea.\n\nMitologia.\nEra rappresentato con il capo coperto da un cappuccio o berretto frigio ed un lungo mantello. Era un il dio della giovinezza e della guarigione. Probabilmente il culto è nato intorno all'anno 100 nell'area di Pergamo (a lui è infatti dedicato un tempio nell'Asklepieion di Pergamo), come parte del grande culto di Asclepio presente nella zona. La sua popolarità è aumentata nel secondo secolo dopo Epidauro.\nLe sue rappresentazioni si trovano principalmente in Anatolia e nelle regioni nei pressi del Danubio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Telesterion.\n### Descrizione: Il telestèrion (in greco τεληστήριον, luogo delle iniziazioni, da τελέω, esser portato a compimento, a perfezione, iniziato) è un edificio monumentale greco antico del santuario di Eleusi, in Attica, destinato alla celebrazione del complesso rituale dei misteri eleusini. Le evidenze archeologiche sono in accordo con le fonti letterarie, dimostrano cioè come le origini dell'edificio (insieme al culto che all'interno si celebrava) affondino le loro radici almeno nella piena età micenea. L'edificio è stato rimaneggiato più volte sino a raggiungere architettura stabile solo in età classica, quando il telesterion fu riedificato probabilmente da Ictino intorno al 445 a.C. e successivamente ultimato in età ellenistica con l'edificazione del portico da parte dell'architetto Filone.\nNel telesterion di Eleusi fu iniziato Eschilo, originario di Eleusi.\n\nStoria.\nDurante l'epoca micenea esisteva già un piccolo luogo di culto. Al tempo di Pisistrato (525 a.C.) l'edificio aveva raggiunto una forma quadrangolare e circondato da gradinate per accogliere i fedeli. Nel 480 a.C. fu distrutto dai Persiani dopo la battaglia delle Termopili.\nAl tempo di Cimone (465 a.C.) furono iniziati i lavori per l'ampliamento. Interrotti, furono in seguito ripresi da Pericle (447-438 a.C.) che li affidò all'architetto Ictino, autore della sistemazione monumentale dell'Acropoli di Atene. Nel 330 a.C. Filone aggiunse un portico con colonne doriche.\nIn epoca romana fu distrutto durante l'invasione dei Costoboci e ricostruito da Marco Aurelio nel 170.\nNel 396 i Visigoti di Alarico invasero l'Attica distruggendo il telesterion definitivamente.\n\nGli edifici di età arcaica e classica.\nVerso il 520 a.C. l'edificio di precedente edificazione e risalente al VII a.C. venne ampliato per accogliere un numero maggiore di fedeli. Esso acquisì una struttura quadrangolare, con l'anaktoron (un ambiente destinato a contenere l'immagine sacra di Demetra) situato in uno degli angoli e una serie di gradini addossati a tre pareti per permettere ai fedeli di assistere ai misteri. Uno dei lati si apriva all'esterno su un portico retto da colonne doriche; le colonne interne erano di ordine ionico.\nL'edificio dei Pisistratidi fu distrutto dai Persiani nel 480 a.C. e venne riedificato sotto Cimone già nel 465 a.C. Il progetto prevedeva un edificio ancora più grande del precedente, che riportava l'anaktoron al centro dello spazio ora rettangolare, ma non venne terminato e fu ripreso sotto Pericle dall'architetto Ictino. Ictino aveva previsto uno spazio quadrangolare, con l'interno articolato su due ordini per i fedeli, un deambulatorio mediano per le processioni e uno spazio centrale per il culto. La copertura doveva essere sostenuta da sole venti colonne, disposte in cinque file da quattro, in modo da liberare la vista verso il centro. Anche il progetto di Ictino non fu portato a termine.\n\nL'edificio di Filone.\nL'edificio completo, alla data dell'ultima modifica apportata nel 330 a.C., aveva una pianta quadrangolare di cinquantadue metri per lato ed era dotato di sette gradini che correvano lungo tutto il perimetro del quadrato. Al centro era posto l'anaktoron accanto al trono dello Ierofante, sede vera e propria dei rituali misterici. Le colonne di sostegno erano divenute quarantadue. A Filone spetta il completamento del portico costruito solo sul lato principale dotato di quattordici colonne in ordine dorico e sormontato da un frontone. L'accesso all'edificio era consentito da coppie di porte aperte sui lati nord, est e sud.\n\nFonti antiche.\nSembra che siano da ammettere due differenti luoghi di culto: un originario tempio realizzato da Ictino, pressappoco sul luogo in cui poi venne costruito il tempio 'L' di età romana, e il telesterion. Strabone e Vitruvio parlano di Ictino come realizzatore di una struttura con cella per Kore e Demetra, priva di colonne esterne (per guadagnare spazio e accogliere un maggior numero di fedeli): quindi un tempio vero e proprio (senza peristasi). Mentre sappiamo che il telesterion era un edificio, in nulla simile ad un tempio. Plutarco parla invece di Corebo come iniziatore del telesterion, completato poi da Metagene e Xenocle, autore quest'ultimo dell'opaion. Vi sono poi anche fonti iconografiche a conferma di questa ipotesi che menzionano Filegoro e Atenodoro come autori del portico del Telesterion e non Filone, (come vorrebbe invece Vitruvio): quest'ultimo sarebbe invece autore di un vestibolo, forse su committenza di Demetrio Falereo (fine IV a.C.), nel tempio di Ictino." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Temeno (figlio di Aristomaco).\n### Descrizione: Temeno (in greco antico: Τήμενος?, Tḗmenos), è un personaggio della mitologia greca. Fu il primo re di Argo della dinastia degli Eraclidi.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aristomaco, fu padre della femmina Irneto e dei maschi Archelao, Euripilo, Ciso, Agrao, Falche e Cerine.\n\nMitologia.\nPronipote di Eracle, partecipò e vinse (assieme ai fratelli Aristodemo e Cresfonte) nel quinto ed ultimo attacco degli Eraclidi contro Micene per la conquista del Peloponneso.\n\nLa guerra al fianco dei suoi fratelli.\nIn precedenza, e con i suoi fratelli, si era lamentato con l'oracolo per l'insattezza delle istruzioni date ad Illo (l'oracolo gli aveva suggerito di attaccare attraverso lo 'stretto passaggio' quando il 'terzo frutto' era maturo ma questo suggerimento si rivelò fatale) e dall'oracolo ricevettero la risposta che il 'terzo frutto' corrispondeva alla 'terza generazione' e che lo 'stretto passaggio' non era l'istmo di Corinto bensì lo stretto di Patrasso.\nDopo aver costruito una flotta a Lepanto ed appena prima di salpare, suo fratello Aristodemo fu colpito da un fulmine (od ucciso da Apollo) e l'intera flotta distrutta, perché uno di loro (Ippote, figlio di Filante) aveva ucciso l'indovino Carno e l'oracolo, nuovamente consultato da Temeno, gli ordinò di offrire un sacrificio espiatorio e di bandire l'assassino per dieci anni.\nIn seguito Temeno cercò un uomo con tre occhi che facesse da guida e facendo ritorno a Lepanto s'imbatté in Ossilo, un etoliano, che cavalcava un cavallo che aveva perso un occhio (o un mulo) e lo prese con sé, poi riarmarono la flotta e presero il mare verso il Peloponneso.\n\nVittoria e suddivisione.\nUna delle battaglie decisive fu combattuta contro Tisameno (il sovrano principale della penisola) e dopo la vittoria gli Eraclidi divennero i padroni del Peloponneso suddividendosi le terre a sorte.\nA Temeno spettò la città di Argo, Sparta (che in quei tempi si chiamava Lacedomone) spettò ad Euristene e Procle (figli gemelli del fratello Aristodemo), Messene spettò a Cresfonte (l'altro dei suoi fratelli) ed infine ad Ossilo fu data Elis.\n\nMorte e successione.\nDivenuto re di Argo, concesse i suoi affetti alla figlia Irneto ed al genero Deifonte e fu assassinato dai suoi figli.\nDopo la sua morte l'esercito dichiarò Deifonte (il comandante dell'esercito) come suo legittimo successore.\n\nTra leggenda e realtà.\nLa conquista del Peloponneso da parte dei dorici, comunemente noto come 'Ritorno degli Eraclidi', è una rappresentazione del potere ritrovato dai discendenti di Eracle, il loro antenato ed eroe greco. Questa mitica invasione sarebbe una versione leggendaria dell'invasione congiunta di Dori ed Etoli, in fuga dai Tessali, i loro ex oppressori nel nord.\nPer riassumere, di queste vicende Omero ed Esiodo ne parlano molto poco mentre Erodoto indica che alcuni poeti hanno sì celebrato queste imprese, ma anche che le storie a loro riguardanti erano limitate se confrontate a quelle della morte di Eracle.\nMolto probabilmente quindi questa leggenda è stata glorificata dai tragediografi greci, a loro volta ispirati alle leggende locali.\n\nCollegamenti con il Regno di Macedonia.\nTemeno è considerato un antenato dei re del Regno di Macedonia, attraverso i suoi discendenti Gauane, Etropo e Perdicca I di Macedonia, che sarebbero emigrati da Argo verso quella regione. Perdicca, il più giovane, sarebbe diventato re di Macedonia ed era un antenato di Alessandro Magno." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Temi LGBT nella mitologia classica.\n### Descrizione: I temi LGBT nella mitologia classica (mitologia greca e mitologia romana) presentano l'omosessualità, soprattutto maschile, in molti dei loro miti fondativi. Vi si possono inoltre rinvenire anche dei casi di crossdressing e androginia che - seguendo la terminologia di genere post-1990 - sono stati raggruppati sotto l'unico acronimo comprensivo 'LGBT'.\nQueste narrazioni sono state variamente descritte come cruciali per la storia dei temi LGBT nella letteratura occidentale, con i miti originali costantemente riprodotti e riscritti, con le relazioni e i personaggi coinvolti come autentiche rappresentazioni di icona gay. In confronto il lesbismo può venire scorto assai raramente nei miti classici.\n\nOmosessualità e bisessualità.\nDioniso, il dio che visse la propria gestazione all'interno della coscia di suo padre Zeus, dopo che la madre Semele morì per essere stata incendiata dalla vera forma del 'Signore dell'Olimpo, è stato soprannominato 'un dio protettore dell'ermafroditismo e del travestitismo' da Roberto C. Ferrari nell''Encyclopedia of Gay, Lesbian, Bisexual, Transgender, and Queer Culture' nel 2002.\nAltre divinità sono a volte considerate patroni dell'amore omosessuale tra maschi, come la stessa Dea dell'amore Afrodite e le figure divine presenti nel suo seguito, come gli Eroti: Eros, Imero e Pothos più Anteros. Il primo di questi fa anche parte di una trinità religiosa che recitava dei ruoli fondativi nelle relazioni omoerotiche, insieme a Eracle ed Ermes, che conferivano qualità di bellezza (e lealtà), forza ed eloquenza - rispettivamente - agli amanti maschi.\nNella poesia di Saffo la Dea dell'Amore viene quindi identificata anche come la patrona e protettrice delle lesbiche.\n\nCoppie omosessuali mitologiche.\nAchille e Patroclo.\nAgamennone e Argenno.\nAgataida e FalantoApollo e Branco di Mileto.\nApollo e Carno.\nApollo e CiparissoApollo e Giacinto.\nApollo e Imene.\nApollo e Iapige.\nAti e Licabas.\nCicno e Fetonte.\nCidone e Clizio.\nCrisippo e Laio.\nDafni e Pan.\nDioniso e Ampelo.\nDioniso e Prosimno.\nEracle e Abdero.\nEracle e Ila.\nEracle e Iolao.\nErmes e Croco.\nErmes e Perseo.\nEurialo e Niso.\nEuribaro e Alcioneo.\nIante e Ifi.\nOrfeo e i Traci.\nOrfeo e Calaide.\nPolido e Glauco.\nPoseidone e Nerito.\nPoseidone e Pelope.\nSilvano e Ciparisso.\nTamiri e Giacinto.\nZefiro e Giacinto.\nZeus (in forma di Artemide) e Callisto.\nZeus e Ganimede.\n\nTransgender e transessuali.\nNelle narrazioni della mitologia classica si è verificato anche il tema del cambio di sesso. La ragione della trasformazione varia, come nel caso di Sypretes (Συπρετεσ) o Siproite (Σιπροιτεσ), un cacciatore di Creta, che fu trasformato in una donna da Artemide dopo averne violato l'intimità avendola vista mentre si stava facendo il bagno.\nVi era anche un motivo per cui una donna che doveva camuffarsi da maschio e in seguito essere trasformata essa stessa in un maschio biologico da forze misteriose (principalmente gli Dei). Nei casi di Ifis e Leucippo (figlio di Pandione e Galatea), la madre della donna è stata costretta (da suo marito) a sopportare un figlio maschio cosicché il protagonista si è ritrovato costretto ad impersonare un maschio fin dalla nascita. Più tardi la virilità fu concessa attraverso la benedizione di una divinità (Giunone/Era nel caso di Ifis e Latona in quello di Leucippo).\nA Cenis e Mestra, ognuna delle quali era la compagna di un dio (Cenis era stata vittima di una violenza sessuale perpetrata da Poseidone/Nettuno; mentre Mestra era una delle amanti di Apollo), fu loro concessa la virilità dal dio suddetto. Mestra, tuttavia, aveva la capacità di cambiare la sua forma volontariamente, invece di rimanere esclusivamente in forma maschile come Cenis e le altre figure esemplari di cui sopra.\nTiresia, d'altra parte, divenne femmina perché colpì un paio di serpenti copulanti, dispiacendo con ciò Era, che lo punì trasformandolo in una donna. Più tardi la condanna venne rimessa, o colpendo nuovamente gli stessi serpenti durante l'accoppiamento o evitandoli; poté in tal modo ritornare ad essere nuovamente un maschio.\nIn un'altra versione il cambio di sesso è stato invece causato da una discussione svoltasi tra Zeus e Hera, in cui di chiedevano se avesse più piacere nel corso del rapporto sessuale il maschio o la femmina, tanto che lo trasformarono in una femmina per poterne sperimentare gli effetti.\n\nAndrogini e intersessuali.\n\nAfrodite possedeva anche una sua forma androgina a Cipro (la cosiddetta 'Afrodite barbuta').\nNella mitologia successiva divenne noto come Ermafrodito il figlio di Ermes e Afrodite dopo il suo congiungimento con una delle naiadi di nome Salmace.\n\nAgdistis e Attis.\nIl culto del Gallo (sacerdote) di Cibele.\nAfrodito.\nGli Enarei (lo sciamanesimo degli Sciti).\nI Machlyès libici.\nPhanes." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tempio di Apollo (Delfi).\n### Descrizione: Il Tempio di Apollo a Delfi era un complesso religioso risalente al IV secolo a.C. noto per il suo oracolo e per la sua lucentezza.\nIl tempio, di ordine dorico e periptero, venne edificato sui resti di un tempio anteriore, eretto nel V secolo a.C., che a sua volta venne eretto nella stessa posizione di un altro del VII secolo a.C. La sua costruzione è attribuita agli architetti Trofonio e Agamede.Nel secolo VI a.C. era conosciuto come il 'Tempio degli Alcmeonidi' in tributo alla famiglia ateniense che aveva finanziato la sua ricostruzione dopo che un incendio aveva distrutto la sua struttura originale. Il nuovo edificio era un tempio di stile dorico esastilo di 6 x 15 colonne che venne poi distrutto nell'anno 373 a.C. Le sculture del frontone sono attribuite a Praxias e Androstene, ateniensi. Di una proporzione simile, il secondo tempio mantenne il modello 6 x 15 colonne nello stilobate. Dentro vi stava l'adyton, il centro dell'oracolo e il sedile della Pizia. Il monumento è stato restaurato in parte nel 1938.\nSopravvisse fino al 390 d.C., anno in cui l'imperatore cristiano Teodosio I, fece tacere l'oracolo con la distruzione del tempio e la maggior parte delle statue e opere d'arte in nome del cristianesimo. Il santuario fu completamente distrutto dai cristiani zelanti della loro fede, nel loro tentativo di cancellare ogni traccia di paganesimo.\n\nGeografia.\nSul lato orientale del massiccio del Parnaso, a nord del Golfo di Corinto, sorge il Tempio di Apollo. Il Parnaso, la montagna scavata da profonde gole inaccessibili, era considerato dai tempi più remoti la sede delle Muse.\nDa un lato del Parnaso, ai piedi delle vette del Fedriade ('i Brillanti'), che dominavano Delfi, scorreva il torrente che alimentava la fonte di Castalia. Nelle acque di questa fonte i pellegrini dovevano fare il bagno in un rituale di purificazione, prima di entrare nel tempio per consultare l'oracolo di Apollo. Secondo l'Inno omerico di Apollo Pizio, il dio arrivò:.\n\nLa gola attraverso cui scorreva il fiume Pleistos, lasciò il posto al vasto complesso archeologico dell'antica Delfi.\n\nMito.\nPrima che il culto di Apollo fosse fondato a Delfi, una divinità femminile, Gea (la Terra), regnava come dea-serpente.\nSecondo il mito narrato nell'Inno omerico di Apollo, un drago (secondo alcune fonti Gea, secondo altri sua figlia Themis) viveva a Delfi accanto alla fonte Castalia.\n\nTifone, nella mitologia greca, personificava i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Apollo lo uccise e lasciò che il brillante Iperione (il Sole) lo mutasse in pitone. Da qui il nome di Pythium con il quale è stato anche designato il dio.Ucciso il mostro, Apollo fermò i tentativi di Gea di conservare la supremazia del luogo sacro, diventandone padrone assoluto, non senza aver lasciato la regione per un certo tempo onde purificare il delitto.\nUna versione del mito racconta che giunse un gruppo di persone di Cnosso, arrivati per nominare i chierici del loro oracolo nei pressi di Crisa, la città che per un certo periodo aveva prevalso su Delfi.\n\nStoria del tempio.\nEpoca neolitica.\nL'occupazione del luogo di Delfi risale al Neolitico, tra il VI e il V millennio a.C. Nelle vicinanze del santuario di Atena Pronaicos, del santuario di Hermes e ad ovest del tempio di Apollo sono stati trovati dei resti di utensili in pietra. Intorno a questo santuario, che appare dalle origini come il cuore di Delfi, sono stati anche scoperti dei frammenti di ceramica risalenti al periodo dell'Antico Elladico (3000-2000 a.C.) e del medio elladico (2000 a.C.-1600 a.C.) a sud e ad est del tempio.\n\nPeriodo miceneo.\nFino al recente periodo elladico (o periodo miceneo), sembra che non ci siano stati nel sito più che capanne di pastori fatte con legno e rami. Non ci sono prove che ci fosse allora un luogo di culto o un santuario oracolare. Sembra che le leggende della fondazione sorgano in questa epoca, narrando Diodoro Siculo della presenza di pastori.\nPausania riprende una vecchia credenza secondo la quale ci sono stati quattro templi prima dell'epoca classica, nello stesso luogo in cui è stato costruito quello di Apollo del IV secolo a.C.:.\n\nIl primo, costruito con rami di alloro portati dalla valle di Tempe, nella Tessaglia settentrionale, simulando una collina. Tra il medio o l'antico periodo elladico.\nIl secondo, allevato dalle api con cera e piume. Sarebbe un edificio a nido d'ape, simile alle tombe a tholos di Micene.\nIl terzo, di bronzo, eretto dal dio Efesto. Potrebbe essere collegato a un santuario ornato in bronzo del XIII secolo a.C..\nIl quarto, in pietra, costruito dai leggendari architetti già menzionati, originari di Orcomeno, in Beozia, contemporanei della guerra di Troia. Dovrebbe essere collocato nell'ultima parte del periodo miceneo o nel cosiddetto periodo geometrico, vale a dire dal XII al X secolo a.C.Gli scavi hanno permesso di scoprire attorno agli edifici a forma di abside rettangolare del tempio Apollo risalenti al XIII e XII secolo a.C. Si suppone che al posto del tempio vi fosse un mégaron, o residenza del capo della città, ma non vi è alcuna documentazione archeologica. Altre tombe sono state trovate ad ovest del santuario, verso Marmaria. Ed è qui che sono state trovate le tracce più concrete della presenza di un luogo di culto. Sembra che vi fosse un santuario dedicato all'Atena pre-ellenica, perché Gea doveva avere il suo culto nel luogo in cui si trova il tempio di Apollo. Le costruzioni erano in pietra e mattoni.\n\nSono state ritrovate molte statuette di sacerdotesse o di divinità. Una delle più importanti è di una donna nuda, seduta su un treppiede con le gambe divaricate. È la prima testimonianza della presenza di una profetessa nell'abisso oracolare. Il numero di idoli e in particolare di figure di tori che si trovano nelle fondamenta del Tempio di Apollo, ci permette di supporre che fosse già un luogo di culto, piuttosto che il quartier generale di un capo. Nello stesso luogo è stato un frammento di rhyton, contenitore che termina a testa di leone, di origine cretense. La costruzione è quella del preistorico Pitone.\nLa ceramica prova che ci sia stata continuità di occupazione durante il cosiddetto medioevo ellenico, corrispondente in termini archeologici a quella submicenea (1100-1025 a.C.), la protogeometrica (1025 - 900 a.C.) e l'inizio di quella geometrica, che va dal 900 al 700 a.C. Si pensa che il culto di Apollo arrivò nel santuario in questi secoli, ma senza sostituire un dio antico, chiamato Peana. Inoltre, è sconcertante notare che le restanti tracce del culto di Apollo delfico in tempi storici si trovano solo a Creta, e quindi sarebbe da dove Apollo si mosse secondo il mito per giungere a Delfi in epoca micenea.\nAi tempi di Omero, nell'VIII secolo a.C. al più tardi, Apollo regnò a Delfi e nell'Odissea vediamo che Agamennone consulta l'oracolo di 'Febo Apollo della buona Pizia', che ci conduce alla fine del periodo miceneo, sebbene possa benissimo essere un anacronismo. Indubbiamente, è quando Delfi entra nella anfizionia di Antela, vicino alle Termopili, il cui centro era il santuario di Demetra Pilaia. L'afizionia era una confederazione di città greche, di carattere religioso, attorno a un santuario.\nIl santuario si caratterizzò nel VII secolo a.C. per un sostegno d'un cratere argenteo che Aliatte II re di Lidia aveva donato al santuario di Delfi, realizzato da Glauco di Chio e ricordato da Erodoto (I, 25) che lo descrive costituito da pezzi saldati in modo da formare una specie di piramide tronca e collegati con traverse sbalzate e cesellate disposte su ciascun lato come i gradini di una scala.\n\nEpoca storica.\nGuerre sacre.\nNell'anno 600 a.C. scoppiò la prima guerra sacra durata dieci anni. Il popolo di Cirra, il porto con cui molti pellegrini andarono a Delfi, impose loro tariffe così onerose da danneggiare i delfi, a tal punto che l'anfizionia dichiarò guerra a Cirra. Dopo lunghe e incerte lotte, Cirra fu distrutta e il suo territorio fu confiscato a beneficio del santuario. I delfi rimasero come proprietari dell'oracolo, l'anfizionia assunse l'amministrazione del santuario.\nNel 548 a.C. l'antico tempio di Trofonio e Agamede venne bruciato. Un altro fu costruito con grandi mezzi, che fu completato nel 510 a.C.\nAl tempo delle Guerre persiane, l'oracolo fu così pessimista da essere stato accusato di essere filo-persiano. Nel 480 a.C., i persiani inviarono truppe cercando di arrivare a Delfi con l'intento di distruggerla per punire i Greci e gli Ateniesi, ma furono messi in fuga da una violenta tempesta.\nI focesi occuparono il santuario nel 448 a.C. con l'aiuto degli Ateniesi, e questa fu la causa della seconda guerra sacra. L'intervento spartano dell'anno successivo non ha impedito ai focesi di mantenere la supremazia politica di Delfi, grazie all'aiuto di Pericle. Fino al 421 a.C., dopo la pace di Nicia, nel mezzo della guerra del Peloponneso, Delfi non recuperò la sua indipendenza.\nLa valanga di rocce dei monti Fedriades, a seguito di un terremoto, distrusse in parte il tempio, la cui ricostruzione non ebbe inizio fino all'anno 369 a.C. I focesi scatenarono la terza guerra sacra nel 346 a.C., occupando Delfi e trincerandosi lì. Rimasero come proprietari dell'oracolo per 10 anni. Nel 352 a.C. circa, riprendono le opere di ricostruzione del tempio. Espulsi da Filippo II di Macedonia, i focesi furono costretti a pagare un gravoso risarcimento e persero i loro voti nell'anfizionia, dove entrò Filippo, che aveva incluso la Macedonia nell'anfizionia.\nLa quarta guerra sacra ebbe inizio nel 339 a.C. I locresi di Anfipoli, che avevano coltivato la piana di Cirra, pretendevano di far pagare una tassa ai pellegrini. Nel 328 a.C., Filippo II intervenne e pose fine a quest'ultima guerra sacra con la sconfitta dei locresi. Tutti questi incidenti hanno impedito il restauro del tempio che non è stato concluso fino al 330 a.C.\n\nTentativo di saccheggio da parte dei Celti.\nL'espansione dei Celti, che si stabilirono a nord dei Balcani nel IV secolo a.C., costituendo una minaccia per la Grecia. La Macedonia li ha tenuti a bada, ma nel 280 a.C. le lotte interne dell'antico regno di Macedonia di Filippo e Alessandro hanno indebolito questo scudo ellenico. I Celti, che nei testi greci sono denominati gálata, nell'anno 279 a.C. sconfissero i macedoni uccidendo Tolomeo Cerauno. La strada per la Grecia era diretta. I Celti calarono in Tessaglia sotto Brenno, raggiunsero le Termopili; dove inizialmente furono contenuti e quindi ritirati. Questa campagna si svolse in inverno, con il nevoso Parnaso. Queste condizioni climatiche, insieme al supporto degli Etoli e dei focesi, hanno salvato il tempio. Brenno, ferito, si ritirò dal combattimento. La leggenda narra che Atena e Artemide intervennero nella battaglia, e che le pietre cadute dal Parnaso, gettate senza dubbio dai greci stanziati sulle alture, seminarono il panico tra i Galati. Prima di andare ritirarsi, saccheggiarono i templi della Marmaria.\n\nDominio romano.\nPer tutto il III secolo a.C. e fino al 168 a.C., il santuario era controllato dalla Lega Etolica. Un'epoca ancora importante per il santuario di Apollo, grazie soprattutto ai doni dei re di Pergamo, che costruirono anche un portico, come per gli Etoli. Nel 167 a.C., i Romani, dopo la vittoria su Perseo, il loro ultimo re, fecero della Macedonia una provincia e controllarono Delfi.\nNel 86 a.C., mentre Silla guerreggiava contro Mitridate, re del Ponto in Asia Minore, i delfici erano costretti a consegnare le offerte in oro per finanziare le loro campagne. Nel 83 a.C., un popolo della Tracia, i Maedi, saccheggia il santuario e brucia il tetto.\nSotto la protezione di Augusto, il tempio ha recuperato un po' di importanza, nonostante i saccheggi subiti nel primo secolo, c'erano ancora nel santuario 3.000 statue. Nerone, nel 67, ritirò quasi 500 statue e divise la piana di Cirra tra i suoi legionari. Il tempio fu restaurato nell'87 sotto l'imperatore Domiziano.\nNel II secolo, gli Antonini, specialmente Adriano, furono i veri benefattori del santuario. Il suo contemporaneo, Erode Attico, un ricco nativo greco di Maratona e amico di Adriano, fece costruire a sue spese i gradini di pietra dello stadio. D'altra parte, l'oracolo era in pieno declino. In precedenza, erano le città che venivano a consultarlo, ora erano i privati a sollevare i loro problemi personali.\nSebbene i delfici eressero due statue in onore di Costantino I (306–337), quest'ultimo spogliò il santuario e prese il tripode di Platea (consacrato dopo la battaglia nel 479 a.C.) per decorare la sua nuova capitale, Costantinopoli. L'imperatore romano Giuliano (361–363) tentò invano di dare una certa vita al tempio, che fu chiuso nel 394 dopo l'editto di Teodosio, che vietava le sette considerate pagane. Poi a Delfi, fu istituito un vescovo e nel secolo successivo fu costruita una basilica a ovest del santuario abbandonato.\n\nIl tempio.\nI tre templi storici.\nIl tempio più antico, distrutto da un incendio nel 548 a.C., fu opera dei leggendari architetti: Trofonio e Agamede. Fu sostituito da quello ordinato dalla famiglia ateniese degli Alcmeonidi, alla fine del VI secolo a.C. Ma crollò dopo un violento terremoto nel 373 a.C. Tra il 373 a.C. e 340 a.C., venne costruito l'edificio, di cui si possono vedere i resti.\n\nL'ultimo tempio (IV secolo a.C.).\nCostruito in stile dorico, aveva sei colonne di tufo sul davanti e quindici sui lati. Vi si accedeva da tre gradini. La parte meridionale era sostenuta da un muro, che a sua volta poggiava su una terrazza inferiore sostenuta da un muro poligonale. Su questa terrazza, tra gli altri edifici, vi era probabilmente la sede della Pizia. Nella stanza sotterranea del tempio (l'adyton), dove si trovava l'onfalo e sgorgava l'acqua della fonte Castalia, la sacerdotessa di Apollo pronunciava i suoi oracoli sibillini, che i sacerdoti interpretarono e trascrissero.\n\nDescrizione del tempio.\nIl tempio di Apollo poggia a nord nella roccia e a sud e a ovest su sostruzioni grandiose a filari regolari. Lo stilobate presenta 3 gradini di calcare bluastro di Haghios Ilias. Il tempio è di ordine dorico, periptero esastilo (m 60,32 × 23,82) , con 15 colonne sui lati lunghi con pronao e opistodomo in antis. Nel pronao vi erano i motti dei Sette Savi e vi era anche una statua di Omero; nella cella si conservavano inoltre l'altare di Poseidone, le statue delle Moire, di Apollo Moiragètes, il focolare con il fuoco perpetuo, la sedia di Pindaro, in ferro (su cui il poeta aveva recitato le sue poesie).Nel pronào del santuario erano riportate delle massime di sapienza: 'nulla di troppo' (Meden Agan, μnδὲv ἄγav), 'La certezza porta rovina', ed il celebre motto ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seautón) che significa 'conosci te stesso' e che sarà poi fatto proprio da Socrate. All'interno del recinto erano presenti delle statue, tra le quali due scolpite da Patrocle di Crotone.\nL'adyton rispetto alla solita collocazione dei templi greci era posto in posizione ipogea. Si accedeva da un tunnel laterale al tempo e si giungeva in una sorta di cripta che conteneva l'omphalòs, le due aquile di Zeus, un Apollo dorato, il sarcofago di Dioniso e il tripode della Pizia; accanto all'àdyton vi era l'οἴκος (oikos) dove sostavano quelli che interrogavano l'oracolo. Sull'architrave erano infissi a est gli scudi presi a Platea ai Persiani, a ovest e a sud quelli presi ai Galli. All'interno vi era anche una fonte di acqua, la Kassotis, con cui la Pizia, i sacerdoti e chi richiedeva gli oracoli si dissetavano.\n\nLa via sacra.\nLa Via Sacra era la strada principale del gruppo di edifici che formavano il Santuario di Delfi. Cominciava nell'angolo sud-est del recinto sacro, per arrivare, per mezzo di un sentiero a serpentina di circa 400 m, all'ingresso del Tempio di Apollo.\nEra largo circa 4 o 5 metri ed era fiancheggiata su entrambi i lati da monumenti votivi e tesori, ordinati per essere costruiti dalle città greche e per proteggere le offerte dei loro abitanti.\nI donatori, con queste manifestazioni di ricchezza e potere, intendevano dimostrare la loro venerazione e il riconoscimento del dio, e costituivano la testimonianza più eloquente dell'individualità, della rivalità e della divisione del mondo greco antico. Un esempio: gli Spartani, per celebrare la vittoria sugli Ateniesi alla fine della Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), costruirono un ex voto dedicato ai loro ammiragli che sconfissero il nemico nella decisiva battaglia di Egospotami, proprio di fronte al monumento che aveva commemorato il trionfo degli Ateniesi sui Persiani a Maratona." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tempio di Apollo Epicurio.\n### Descrizione: Il tempio di Apollo Epicurio è un antico tempio greco che si trova nella municipalità di Ichalia, unità periferica della Messenia, in Grecia. L'edificio è inserito fra i Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Tradizionalmente viene attribuita la sua progettazione a Ictino, l'architetto cui si deve la costruzione del Partenone e del Tempio di Efesto, nei pressi dell'Acropoli di Atene. Secondo Pausania l'edificio fu costruito fra il 450 e il 425 a.C. per esprimere riconoscenza nei confronti di Apollo, dio del sole e della salute, per aver risparmiato la città dalla pestilenza che infuriava in Grecia sul finire del V secolo a.C. Recenti ricerche hanno mostrato delle maestranze peloponnesiache e ciò è dato dalle numerose particolarità quali la planimetria e gli ordini interni.\n\nStoria.\nIl sito fu occupato inizialmente nel periodo arcaico. Il primo tempio del santuario fu costruito alla fine del VII secolo a.C. e intorno ad esso si sviluppò un piccolo insediamento. Sebbene la storia preistorica del tempio sia incerta, è probabile che il tempio arcaico sia stato ricostruito almeno una volta o due tra il 600 e il 500 a.C. Il tempio classico fu costruito nel 420 a.C. circa.La parte superiore del santuario è situata sul Monte Kotilion. I templi furono abbandonati nel III secolo a.C., mentre il santuario di Apollo, rimase in uso nei periodi ellenistico e romano, come dimostrano le piastrelle utilizzate per riparare il tetto del tempio. Pausania visitò il santuario nel II secolo d.C. e descrisse i monumenti e la loro storia. Nei secoli successivi il santuario fu abbandonato e gravemente danneggiato dai una serie di terremoti che apportarono dei danni agli edifici.\n\nIl racconto di Pausania.\nIl poco che conosciamo di questo tempio viene da Pausania, un geografo greco del II secolo, che lo visitò. Questo autore ha attraversato la Grecia continentale e ha lasciato delle note raccolte in modo confuso, per quanto infinitamente prezioso per sua loro unicità. Le informazioni che ci fornisce sul Tempio di Apollo Epicurio portano più domande che risposte.\nPausania afferma che questo tempio fu consacrato dagli abitanti di Figalia ad Apollo Epicurio, un dio guaritore che venne in loro aiuto durante un'epidemia di peste, 'come fece durante le guerre del Peloponneso'. Questa spiegazione lascia scettici molti moderni archeologi.\nDichiara inoltre che l'architetto era Ictino, senza fornire alcuna prova a supporto di questa affermazione. Ora Ictino è l'architetto più famoso della Grecia classica: è stato autore del Partenone di Atene e del Telesterion di Eleusi. Pausania trascura di dire come e perché Figalia, una piccola città dell'Arcadia, abbia potuto assumere un architetto così prestigioso. Questo è il motivo per cui gli archeologi moderni sono riluttanti a confermare questa ipotesi. Ma se questa tesi fosse vera, la costruzione di questo tempio potrebbe essere datata precisamente al tempo di Pericle.\nPausania, inoltre, non spiega perché il tempio fosse separato tra le montagne, a 8 chilometri dalla città, in un luogo di accesso così difficile dato che ci vogliono diverse ore di cammino per raggiungerlo.\nInoltre, rende omaggio al tetto eccezionale del tempio, 'fatto esclusivamente di pietre', quando in realtà venivano utilizzate travi di legno per sostenere il soffitto. E infine, loda la bellezza delle pietre e l'armonia delle proporzioni, rimanendo silenzioso sul contrasto dei materiali, sull'innovativa combinazione delle colonne e soprattutto, isolata nell'asse dell'edificio, su questa primissima colonna corinzia nota dell'area greca, che costituisce un progresso storico, e che ha avuto un impatto globale sull'architettura dei secoli successivi.\n\nGli scavi archeologici.\nLe rovine del tempio vennero notate da viaggiatori francesi e tedeschi nella seconda metà del XVIII secolo, l'architetto francese Joachim Bocher nel novembre del 1765, viaggiando nel Peloponneso e attraversando questa regione montuosa, scoprì queste rovine per caso. Ma durante un secondo viaggio in questa regione, fu assassinato da banditi.L'architetto britannico Charles Robert Cockerell, accompagnato da numerosi amici, esplorò il tempio nell'agosto del 1811, durante il suo Grand Tour e scoprì il fregio, episodio che racconta nel suo diario. Si legge tutto l'entusiasmo romantico del tempo e la possibilità che sembra guidare qualsiasi scoperta di un tesoro archeologico:.\n\nFu durante l'esplorazione della tana che Cockerell scoprì un frammento del fregio (frammento n. 530 del catalogo di Marigold di Figalia al British Museum). Cockerell e i suoi amici hanno negoziato con il Pascià di Tripoli il diritto di cercare nel tempio. L'autorizzazione fu concessa nel 1812, in cambio della metà di ciò che la vendita dei tesori scoperti avrebbe riportato. Il tempio fu esplorato tra il giugno e l'agosto del 1812.Il fregio, trasportato a Zante, fu messo all'asta nel maggio 1814 e acquistato per 60.000 dollari dal governo britannico per il British Museum.\nGli scavi archeologici regolari non iniziarono prima del 1836, da parte di un gruppo russo diretto da Carlo Brullo. Parte dei ritrovamenti è oggi conservato al Museo Puškin di Mosca e al British Museum. Gli elementi lasciati sul posto (in particolare il capitello corinzio, l'esempio più antico di questo ordine) furono purtroppo distrutti durante gli anni seguenti (tra il 1814 e il 1819), e probabilmente trasformati in calce. Dei frammenti furono trovati durante gli scavi sul sito nel 1902-1908.\n\nA partire dal 1902 vennero condotti scavi sistematici da parte della prima società archeologica di Atene, sotto la direzione di K. Kourouniotis, K. Romaios e P. Kavvadias. Ulteriori scavi vennero condotti nel 1959, nel 1970 e fra il 1975 e il 1979.\nLa distanza del tempio dalle principali vie di comunicazione ha giocato a suo vantaggio nel corso dei secoli: infatti, mentre altri templi vennero nel tempo adattati ai nuovi culti o distrutti dalle guerre, il tempio di Apollo non seguì questo destino. Inoltre, grazie alla sua distanza dalle maggiori aree metropolitane della Grecia, esso non è soggetto alle piogge acide, che sciolgono il calcare e danneggiano irrimediabilmente il marmo.\nÈ attualmente in corso un'importante opera di restauro.\n\nArchitettura.\nIl tempio sorge sul fianco di una montagna, a 1.131 m s.l.m. Ha un allineamento nord-sud, in contrasto con la maggior parte delle costruzioni simili che sono allineate nel senso est-ovest. Ciò non fu dovuto al limitato spazio disponibile, come si era pensato in passato, ma alla scelta di mantenere legami con la tradizione dei templi edificati sul luogo in epoca arcaica, tutti caratterizzati da un orientamento nord-sud e da un doppio ambiente dotato di accesso a est, forse per permettere ai devoti del dio Apollo di volgersi dove sorge il sole, o forse per lasciar entrare la luce del mattino a illuminare la statua del dio.\nIl tempio è di dimensioni relativamente modeste, con lo stilobate che misura 38,3 per 14,5 metri e con un peristilio di sei colonne per quindici, di ordine dorico. L'esterno è in gran parte costruito in pietra calcarea dell'Arcadia; il marmo venne impiegato per il fregio, i capitelli, i cassettoni dei vestiboli, le metope e per il tetto. Come tutti i templi maggiori è dotato di 3 'stanze': un pronao, un nao (che probabilmente ospitava una statua di Apollo) ed un opistodomo. Sul fondo la cella continua in un ampio vano (adyton) che conduce all'esterno tramite una porta laterale. Il tempio presenta alcune correzioni ottiche analoghe a quelle messe in atto nel Partenone, come ad esempio il pavimento incurvato.\nL'elemento più insolito di questo tempio è rappresentato dal fatto che in esso si ritrovano tutti e tre gli ordini dell'architettura classica greca: il dorico, lo ionico ed il corinzio. Le colonne doriche formano il peristilio; cinque semicolonne ioniche, del tutto prive di funzioni statiche, accompagnano i lati lunghi all'interno della cella, unite alle pareti di quest'ultima da brevi muretti (gli ultimi due sul fondo inclinati a 45°), con una soluzione già adottata e poi abbandonata nell'arcaico Tempio di Hera a Olimpia; hanno ampie basi a campana e le ultime due forse reggevano capitelli corinzi, come quella isolata e centrale sul fondo della cella. Si tratta del più antico esempio di capitello corinzio giunto fino a noi.Tutta l'attenzione dell'architetto era rivolta all'articolazione spaziale e luministica dell'interno mentre l'esterno era relativamente poco decorato. Dodici metope scolpite decoravano la trabeazione interna sopra il pronao e l'opistodomo. All'interno della cella, sopra le semicolonne, correva un fregio continuo (425-420 a.C.) costituito da 23 lastre, che mostrava i Greci in lotta con le Amazzoni e i Lapiti in battaglia con i Centauri, movimentato nel tema e nella forma espressiva. Lo stile mostra l'assimilazione della scultura e della pittura attica da parte delle maestranze locali. Tuttora in buone condizioni, il fregio è stato ricostruito ed è conservato al British Museum insieme ai frammenti degli acroteri e delle metope.Le domande ancora aperte su questo monumento riguardano il costruttore o i costruttori:.\n\nNon ci sarebbero stati in questo sito due distinti architetti in momenti diversi: un primo per la parte più antica e più rustica, vale a dire la parte dorica esterna, e una seconda per la parte interna più nuova e più elaborata?.\nOppure, se fosse stato davvero Ictino l'unico capomastro di questo lavoro, avrebbe poi iniziato la sua carriera dal Partenone, tra 447 e il 438, e sarebbe finito in Arcadia in questo tempio di Apollo tra il 429 e il 400, il che sarebbe stato un modo di procedere strano per una carriera come architetto.\n\nCinema.\nBassae (1964) de Jean-Daniel Pollet.\nBassae, Bassae (2014) de Fabien Giraud e Raphaël Siboni." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tempio di Asclepio (Epidauro).\n### Descrizione: Il tempio di Asclepio è un tempio del IV secolo a.C. dedicato ad Asclepio presso il sito di Epidauro in Grecia.\n\nIl tempio.\nFu costruito nelle vicinanze dell'abaton tra il 380 e il 375 a.C.. Era uno dei più piccoli peripteri dorici della Grecia, in marmo e tufo di Corinto, con undici colonne sui lati lunghi, sei sui lati minori e due colonne in antis. Si conservano le fondamenta e, nella cella a navata unica, resta visibile la base sulla quale doveva ergersi la statua di culto. Una fossa lungo la parete meridionale della cella ospitava probabilmente il tesoro di Asclepio. Una lastra in calcare, recante le iscrizioni relative alle spese di costruzione (I.G., IV², 102), riporta il nome di Teodoto quale architetto. La ricca decorazione interna del tempio era opera di Trasimede di Paro che fu forse anche autore della statua di culto crisoelefantina con l'immagine di Asclepio.Quest'ultima, descritta da Pausania (Paus. II.27.2) come una figura seduta, affiancata da un cane e da un serpente, è stata riprodotta sulle monete di Epidauro del IV secolo a.C. e su alcuni rilievi votivi, uno dei più fedeli conservato a Copenaghen (Ny Carlsberg Glyptotek 1425).Il tempio aveva sculture frontali e posteriori e acroteri figurali. Questi, opera di maestri scultori dell'epoca, occupano una sala di rilievo nel Museo Archeologico Nazionale di Atene.\n\nFunzione.\nIl tempio era la parte superiore in cui si svolgevano i riti principali aperti a tutti, mentre esisteva una parte più nascosta detta abaton divisa nella sezione accessibile solo ai sacerdoti e in quella accessibile ai malati. In questa seconda parte si eseguiva il rito dell'incubazione per cui Asclepio o altre entirà parlavano in sogno all'ammalato dando indicazioni per la cura.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tempio di Atena Nike.\n### Descrizione: Il tempio di Atena Nike o tempio della Nike Aptera è uno dei principali monumenti dell'Acropoli di Atene.\nSi trova sul lato ovest dell'acropoli, presso i Propilei, a pochi metri dall'orlo delle rocce a strapiombo che caratterizzano l'Acropoli. Costruito probabilmente intorno al 425 a.C. in ordine ionico, è un tempietto anfiprostilo tetrastilo (con quattro colonne libere sulla fronte e sul retro) ornato nei fregi di preziosi bassorilievi che narrano vicende di una battaglia fra Greci e Persiani (probabilmente Maratona).\n\nStoria.\nQuesto esempio di architettura dell'epoca classica, probabile opera dell'architetto Callicrate, coautore del Partenone, è stato il primo edificio in stile completamente ionico dell'Acropoli; tutti gli altri edifici presentano originali fusioni di stile ionico e dorico.\nIntorno al 410 a.C. fu circondato da una balaustra scolpita con motivi di Nike colte in varie attività (celebre quella che si riallaccia un sandalo) che assolveva inoltre allo scopo di evitare che i visitatori del tempio cadessero nel precipizio; i rilievi, ora al museo dell'Acropoli, eseguiti in un momento storico gravido di cattivi presagi per Atene, costituiscono un passo indietro sul versante dell'attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e delle vesti, e sembrano indicare che l'artista ricercava effetti diversi, di carattere pittorico, che ha spinto alcuni critici a parlare di protoellenismo.\nIl fatto che potessero venire osservati dalla ripida salita ai Propilei, unica via d'accesso all'acropoli, consentì la ricerca di particolari effetti prospettici. La statua di culto, come ci viene descritta da Pausania, era di legno e portava in mano una melagrana. La statua era aptera, cioè senz'ali, il che si spiegava col fatto che la dea non avrebbe dovuto mai più lasciare la città.\nSul sito dell'attuale tempio scavi archeologici hanno individuato nell'area una fossa per offerte dell'età del Bronzo; in epoca arcaica vi sorse un tempio che come il resto dell'Acropoli fu distrutto dai Persiani nel 480 a.C. La ricostruzione del tempio viene da alcuni collegata alla pace di Nicia, che avrebbe potuto inaugurare un periodo di grande gloria per la città infatti, alla firma del trattato di pace di quest'ultimo, la città finì di combattere temporaneamente con Sparta.\nMa la crisi creativa di Atene, che era come un presagio della sconfitta totale della città nella seconda parte della Guerra del Peloponneso pare echeggiata nella monotona ripetizione di Vittorie nella balaustra costruita solo pochi anni prima dell'Egospotami. Sotto la dominazione turca il tempio fu smantellato e le pietre riutilizzate nel 1687 per costruire un bastione difensivo; quest'ultimo rimase sul sito dell'antico tempio fino all'indipendenza della Grecia, quando nel 1831 fu decisa la (altamente simbolica) ricostruzione del sacello; il tempio è stato smontato ancora due volte (1930 e 1998) per permettere il restauro delle pietre e l'integrazione di altri pezzi ritrovati in successivi scavi.\n\nL'ultimo restauro del tempio.\nTra gli anni 2000 e 2010 il monumento ha avuto importanti lavori di restauro per fissare diversi problemi strutturali causati dagli interventi del 1835-1845 e del 1935-1940. Oltre ad essi sono state reintegrate parti della pietra, asportate le decorazioni e poste presso il Museo dell'Acropoli e inserite delle copie. Il lavoro definitivo si è compiuto nel 2011-2013.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tempio di Giunone (Agrigento).\n### Descrizione: Il tempio di Atena (ex tempio di Era), noto anche come tempio di Giunone (dal nome romano della dea) o tempio D, è un tempio greco dell'antica città di Akragas sito nella Valle dei Templi di Agrigento.\nAl nome della divinità viene spesso associato l'epiteto Lacinia, nome tradizionale ma probabilmente errato perché specifico invece del tempio dedicato a Era presso il promontorium Lacinium a Capo Colonna non lontano da Crotone. In realtà per anni si è dubitato della dedica del tempio a Era, fino a che non si è scoperto che fosse dedicato alla dea Atena.\n\nIl tempio.\nFu edificato nella seconda metà del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. e appartiene come epoca e come stile al periodo del dorico classico. Sono stati rilevati segni dell'incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle originarie tegole fittili con altre marmoree e con l'aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale.\n\nL'edificio è un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria ed utilizzato anche per il tempio 'gemello' della Concordia con il quale è accomunato anche dalle dimensioni generali e dalle misure, quasi standardizzate di alcuni elementi costruttivi. Le dimensioni complessive sono di circa m 38,15x16,90.\nIl fronte presenta interassi leggermente diversi con la contrazione di quelli terminali e l'enfatizzazione di quello centrale.\nIl peristilio di 34 colonne alte 6 metri e 44 centimetri e costituite da 4 rocchi sovrapposti, poggia su un crepidoma di quattro gradini.\nEdificato su di uno sperone con un rialzo risulta in gran parte costruito artificialmente.\nL'interno è costituito da un naos senza colonnato interno, del tipo doppio in antis, dotato di pronao e opistodomo simmetrici, entrambi incorniciati da gruppi di due colonne (distili). Due scale per l'ispezione alla copertura o per motivi di culto, erano presenti nella muratura di separazione tra naos e pronaos (diaframma).\nAll'inizio del XXI secolo, si conserva il colonnato settentrionale con l'epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente (mancano 4 colonne e 9 sono smozzate), e senza architrave. Pochi sono gli elementi rimasti della cella di cui rimane la parte bassa della muratura che la delimitata. L'edificio è stato così ricostruito mediante anastilosi fin dal Settecento ad oggi.\nDavanti al fronte principale (orientale) ci sono notevoli resti dell'altare.\n\nGalleria d'immagini." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tenete.\n### Descrizione: Tenete è un personaggio della mitologia greca, figlio di Cicno, il re di Colone, nella Troade, e di Procleia, e fratello di Emitea.\nLa matrigna Filonome, che si era invaghita di lui, fu dal giovane respinta. Allora Filonome lo calunniò presso il padre e portò come testimone il flautista Eumolpo. Cicno le credette e ordinò di gettare in mare Tenete e sua sorella. Salvati da Poseidone, del quale erano nipoti, approdarono nell'isola di Leucofri, di cui divenne re e che da lui prese il nome di Tenedo. Quando Cicno si accorse della calunnia fece seppellire viva Filonome e lapidare il flautista, riconciliandosi poi col figlio.\nAllo scoppio della guerra di Troia, Tenete, ostile ai Greci, cercò di impedire il loro sbarco, ma venne ucciso da Achille." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teoclimeno (figlio di Polifide).\n### Descrizione: Teoclimeno (in greco antico: Θεοκλύμενος), figlio di Polifide, è un personaggio dell'Odissea. Indovino che vive alla corte di Penelope, annuncia ai Proci la loro prossima morte.\n\nIl mito.\nDalla mitologia viene ritenuto discendente di Melampo: viene spesso confuso con il più famoso Teoclimeno, figlio di Proteo, protagonista dell'Elena di Euripide.\nCompagno di Telemaco nell'Odissea, si accoda a lui perché inseguito dai parenti di un uomo che egli avrebbe in precedenza ucciso. Importante la sua comparsa nel XX canto dell'Odissea dove, in seguito al riso inestinguibile dei Proci suscitato da Atena, profetizza la loro morte all'interno della reggia. Preso in giro e quasi malmenato da uno di essi, Eurimaco, esce quindi dal palazzo.\nSecondo alcuni studi del filone della questione omerica che tenta di restituire luoghi e circostanze reali ai due poemi di Omero, una frase detta in questa circostanza da Teoclimeno (Il Sole è stato tolto dal cielo e un'oscurità sinistra invade la terra) sarebbe la testimonianza di una eclissi di sole, verificatasi nel 1178 a.C." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teofane (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Teofane era una principessa della Tracia, figlia di Bisalte. Rapita da Poseidone e portata nell'isola di Crumissa, venne trasformata dal dio del mare in pecora, mentre egli stesso si trasformò in ariete; da questa unione fu concepito il Crisomallo (l'Ariete alato dal vello d'oro)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teogonia (mitologia).\n### Descrizione: Una teogonia (greco θεογονία, 'theogonía') è un racconto mitico che descrive l'origine e la natura della discendenza divina. Questi racconti nascono perché nelle mitologie antiche le divinità, pur essendo immortali, hanno però una nascita (a differenza del dio ebraico-cristiano-islamico) e di conseguenza una genealogia.\nLa prima e anche la più conosciuta di queste narrazioni è la Teogonia di Esiodo, ma nell'antichità ve ne erano anche altre, attribuite a Orfeo, Museo e Omero.\n\nLe altre Teogonie.\nAcusilao di Argo visse prima delle guerre persiane, compose la sua opera Γενεαλογίαι in cui riportò, modificandola, la Teogonia di Esiodo.La teogonia di Epimenide (Χρησμοί) possiede delle analogie sia con quella esiodea che con quella orfica, individuando le potenze prime nell'Aria e nella Notte, genitrici del Tartaro e quindi del restante cosmo. Taumaturgo, fu anche estatico vivendo al pari di Aristea esperienze di viaggio fuori dal corpo. Il dio principale di Epimenide era tuttavia lo Zeus cretese; Plutarco sostiene che lo stesso Epimenide veniva indicato come Κούρης νεός (nuovo Curete).\nFerecide, autore del poema cosmogonico Επτάμυχος (Le sette caverne, indicato anche come Θεοκρασία o Πεντάμυχος), individua invece come divinità primordiali ed eterne: Zas (Ζὰς, analogo a Zeus), Chthonie (Χθονίη, poi dopo aver avuto in dono la Terra diviene Gaia) e Chronos (Χρόνος). Dal seme di Chronos, defluirono gli elementi di terra, acqua e fuoco che allocati in sette (o cinque) antri dell'universo furono all'origine della restante generazione degli dèi e quindi del cosmo. La teogonia di Ferecide influì, o fu influenzata, sulle teogonie orfiche e quindi su quelle pitagoriche." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tereo.\n### Descrizione: Tereo (in greco antico Τηρεύς, pron. Teréus) è una figura della mitologia greca, re di Tracia, figlio di Ares e fratello di Driante.\n\nIl mito e le sue varianti.\nEsistono varie versioni del mito di Tereo, a seconda della fonte cui si attinge.\n\nApollodoro.\nQuesta è la versione del mito riportata da Pseudo-Apollodoro nella sua Biblioteca (III, 14, 8):.\n\nIgino.\nOvidio.\nOvidio, nelle sue Metamorfosi (VI, 420-675), fornisce una versione splendidamente narrata di questo mito. Qui se ne riporta un riassunto.\nAtene, assediata da non meglio specificati barbari, è stata liberata con l'aiuto di Tereo; in segno di riconoscenza, Pandione gli concede in sposa Procne, in un matrimonio in cui però a officiare non sono Giunone o Imeneo, ma le Eumenidi. Tereo e la moglie tornano dunque in Tracia, dove nasce il loro figlio Iti.\nPassano cinque anni felici, finché Procne prega Tereo di andare a Atene, a chiedere al vecchio Pandione di lasciare venire in Tracia Filomela, sua sorella, di cui sente grande mancanza. Tereo fa come chiede la moglie, ma appena vede Filomela ad Atene viene preso da una sconfinata passione per lei. Pandione non si accorge di nulla e permette a Filomela di lasciare Atene, sotto la promessa di un rapido ritorno, sebbene abbia dei presagi.\n\nI presagi sono ben motivati: appena sbarcati, Tereo porta in una stalla Filomela e la violenta. In preda alla disperazione, Filomela lamenta la sua condizione di anima ferita e colpevole contro la propria volontà, assicurando che rivelerà quanto è avvenuto agli uomini, ai monti, agli dèi. Tereo, preso da rabbia e paura, le mozza dunque la lingua con spada e tenaglia. Dopodiché si reca nuovamente da Procne, con la falsa notizia della morte di Filomela. Passa un anno e Filomela finalmente riesce ad ingegnarsi di scrivere su una tela la denuncia di quanto ha subito e a farla portare da una serva a Procne.\nProcne, scoperto il tutto, sfrutta la notte seguente, quella in cui la Tracia celebra i baccanali, per liberare la sorella. Quindi, in cerca di vendetta, uccide Iti, cucinandolo per Tereo. Dopo che questi ha mangiato, ignaro di tutto, la carne di suo figlio, Filomela salta fuori sozza di sangue e gli tira in faccia la testa recisa di Iti. Tereo si getta dunque dietro di loro, ma tutti e tre si trovano mutati in uccelli: Tereo in upupa, Filomela in usignolo, Procne in rondine.\n\nIl mito raccolto da Graves.\nNella grande raccolta ed elaborazione di miti di Robert Graves, I miti greci, è compresa anche una ricostruzione del mito di Tereo, come esso risulti riprendendo numerose fonti: Pseudo-Apollodoro, Tucidide, Nonno di Panopoli, Strabone, Pausania, Igino, i frammenti del Tereo sofocleo, il Commento di Eustazio a Omero, Ovidio.\nTereo, in questa versione, è il re dei Traci stanziatisi a Daulide. A causa dell'aiuto che Tereo ha prestato ad Atene nel ruolo di arbitro in una disputa territoriale, Pandione gli dà in sposa Procne, da cui ha il figlio Iti. Tereo però si innamora di Filomela a causa della sua voce e, nel giro di un anno, nasconde la moglie rinchiudendola e torna ad Atene con la falsa notizia della sua morte. Pandione allora gli offre pietosamente Filomela come sposa e la fa accompagnare a Daulide da guardie del corpo. Tereo però le uccide prima di essere giunto e costringe la ragazza ad unirsi a lui prima del matrimonio.\nProcne, pur essendo a conoscenza di tutto, non dovrebbe poter fare nulla, poiché Tereo le strappa la lingua e la rinchiude fra gli schiavi; ma si mette in contatto con sua sorella attraverso il peplo nuziale, su cui scrive: «Procne è fra gli schiavi».\nNel frattempo, Tereo, avvisato da un oracolo che un suo congiunto ucciderà Iti, crede di porre fine alla minaccia uccidendo il fratello Driante. Nello stesso tempo, Filomela legge il messaggio sul peplo e libera Procne, che consuma la sua vendetta uccidendo Iti e cucinandolo, per poi servirlo a Tereo. Tereo, dopo aver mangiato e scoperto cosa è avvenuto, sta per uccidere le due donne con l'ascia, ma gli dèi tramutano tutti e tre in uccelli: Filomela diviene usignolo, Procne rondine, Tereo upupa.\nSi aggiunge una spiegazione alla scelta degli uccelli: la rondine non ha lingua e vola in tondo, come Procne camminava in tondo, prigioniera; l'usignolo canta tristemente «Ἵτυ, Ἴτυ!», che vuol dire: «Iti, Iti!», lamentando la morte che ha involontariamente procurato al bambino; l'upupa grida: «Ποῦ, pou?», che significa «Dove, dove?», mentre dà la caccia alla rondine.\nGraves ricorda anche la versione di Igino, che vuole Tereo mutato in sparviero.\n\nInterpretazioni del mito.\nNel commento all'episodio contenuto nell'edizione della Biblioteca di Apollodoro edita dalla Fondazione Lorenzo Valla, l'attenzione è posta soprattutto sull'opposizione fra le nozze endogamiche di Pandione, che si unisce, secondo un costume attico, alla sorella di propria madre, e quelle iper-esogamiche di Procne e Filomela, che sposano un personaggio non solo totalmente estraneo alla propria comunità, ma anche alieno alla civiltà greca: Tereo è un Trace, quindi barbaro e del popolo più feroce fra quelli barbari ed è, per di più, un figlio di Ares. Il matrimonio «trasgressivo» con Tereo porta dunque in realtà ad una distruzione delle consuetudini greche e di tutti i legami familiari, in un crescendo di orrori che ha conclusione nel banchetto tecnofago e nell'ornitificazione (mutamento in uccelli) simbolo della definitiva caduta nella bestialità di tutti e tre i protagonisti della vicenda. A questo riguardo, Sofocle dichiara con molta chiarezza:.\n\nLa possibile bigamia di Tereo (in base alla lezione del testo di Apollodoro che si sceglie) rafforzerebbe ulteriormente la distinzione fra costumi barbari e greci; in Sofocle, la sposa lamenta la perdita del nome di greca. Dal canto loro, Procne e Filomela, offrendo in pasto a Tereo suo figlio, non si limitano a punirlo ferocemente, ma sanciscono la sua esclusione definitiva non tanto dal mondo civile, quanto dalla stessa comunità umana; si può notare come questa punizione presente anche nel mito di Atreo e Tieste sia legata a colpe di carattere sessuale (Tieste seduce Erope, la moglie del fratello).\nRobert Graves commenta la vicenda guardandola da una luce del tutto diversa. In essa, infatti, vede la spiegazione data dai Focesi a una serie di affreschi tracio-pelasgici che avrebbero ritrovato in Daulide e che in realtà avrebbero rappresentato diversi metodi oracolari. Dunque, secondo Graves, la mutilazione di Procne deriva da una scena in cui dalla bocca di una profetessa, il cui volto è stravolto dall'estasi, cade una foglia di alloro; il messaggio scritto sul peplo dalla rappresentazione di una sacerdotessa che, gettati dei bastoncini su un tessuto, cerca di trovare in essi delle lettere da leggere; la tecnofagia di Tereo, da quella di un sacrificio di un fanciullo; l'oracolo, da quella di un re che dorme in attesa di un sogno rivelatore; la morte di Driante, da quella in cui un sacerdote traeva auspici davanti ad una quercia sulla base della posizione del corpo dell'uomo sacrificato. Infine, la scena di metamorfosi deriva dall'immagine di una sacerdotessa vestita di piume che trae auspici dal volo di una rondine.\nInoltre, Graves avanza un'ipotesi legata al fatto che, fra tutti gli antichi mitografi, solo Igino faccia di Procne una rondine e di Filomela un usignolo. Ritiene la versione di Igino quella corretta e interpreta quelle di altri autori come maldestro tentativo di correggere un errore fatto da qualche antico poeta.\n\nIl mito nella letteratura.\nIl mito di Tereo, Procne e Filomela ha avuto, in letteratura, varie interpretazioni, sia attraverso opere specificamente dedicate ad esso che mediante numerosi riferimenti. Di seguito alcune delle opere in cui è citato.\n\nSofocle, Tereo.\nEschilo, Agamennone, 458 a.C.\nAristofane, Gli uccelli.\nFrancisco de Rojas Zorrilla, Progne y Filomela.\nT. S. Eliot, La terra desolata, 1922.\nWilliam Shakespeare, Tito Andronico, 1594." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tero.\n### Descrizione: Tero (in greco antico Θηρώ Thērṑ) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Filante, il figlio di Antioco e di Leipefilene.\n\nMitologia.\nAveva un fratello chiamato Ippote.\nParticolarità della ragazza era la importante discendenza che aveva grazie alle due famiglie: Ificle da parte della madre, Eracle da parte del padre.\nViene sedotta da Apollo e dall'unione nasce un figlio, Cherone, che diventerà un famoso domatore di cavalli." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teseo e Piritoo.\n### Descrizione: La storia di Teseo e Piritoo è un particolare momento della vita e delle imprese di questi due eroi.\n\nTeseo e Piritoo si conoscono - Prime avventure.\nLa fama delle imprese di Teseo giunse all'orecchio del re Lapita Piritoo, che decise un giorno di rubargli una mandria che stava pascolando presso Maratona e metterlo così alla prova. Teseo reagì e stavano quasi per scontrarsi, quando entrambi rimasero così colpiti dal rispettivo nobile aspetto, da pacificarsi subito e giurarsi eterna amicizia.\n\nLe nozze di Piritoo e Ippodamia.\nQualche tempo dopo Piritoo sposò Ippodamia, figlia di Bute, o secondo altri di Adrasto, e invitò molti eroi greci alle nozze, tra cui naturalmente Teseo.\nC'erano anche i Centauri, cugini di Piritoo; alle nozze non erano stati invitati gli dei Ares ed Eris, per evitare che gettassero discordia e sventure sul matrimonio: essi si vendicarono per l'affronto subito facendo uscire di senno i Centauri e scatenando una furibonda rissa.\nNestore, Ceneo, i Centauri e altri invitati, si trovavano in una grotta al di fuori del palazzo durante il banchetto nuziale, perché il palazzo di Piritoo non poteva contenere tutti i commensali; i Centauri, non avvezzi al vino, appena ne sentirono l'aroma furono a tal punto inebriati da esso da gettarsi a capofitto sugli otri e ne bevvero a tal punto da ubriacarsi. Quando la sposa Ippodamia comparve nella grotta per salutare i commensali il centauro Euritione si scagliò su di lei e cercò di violentarla, e così fecero anche gli altri Centauri con altre donne e ragazzini.\nI Lapiti e Teseo intervennero prontamente e ne nacque una lotta sanguinosa; alla fine i Centauri ebbero la peggio e furono cacciati dal monte Pelio.\n\nTeseo e Piritoo rapiscono Elena.\nDiversi anni dopo, in seguito alla morte di Ippodamia, Piritoo convinse Teseo, rimasto da poco vedovo in seguito al suicidio della moglie Fedra, a rapire Elena, la figlia di Zeus e Leda e sorella dei Dioscuri. Entrambi miravano infatti a unirsi a lei in matrimonio, e convennero di estrarre a sorte colui tra loro due che l'avrebbe effettivamente sposata, e di rapire poi un'altra figlia di Zeus da assegnare all'altro. Essi dunque riuscirono a catturarla mentre compiva sacrifici fuori da Sparta, e la sorte arrise a Teseo. Questi resosi però conto della sua giovanissima età la portò in Attica e la affidò alle cure dell'amico Afidno.\n\nTeseo e Piritoo nel Tartaro.\nIn seguito, i due si recarono a Delfi a chiedere indicazioni all'oracolo. L'ironica risposta fu 'Perché non scendete nel Tartaro e chiedete che Persefone, la moglie di Ade, diventi la moglie di Piritoo? Lei è la più nobile delle figlie di Zeus'. Piritoo prese sul serio il responso, e per quanto Teseo fosse incredulo, lo indusse a seguirlo nel Tartaro e tenere fede al giuramento. Essi dunque andarono e una volta penetrati nell'Oltretomba chiesero udienza al palazzo di Ade. Il dio degli inferi li accolse e stette a sentire la sfrontata motivazione della loro venuta; simulando quindi cordiale ospitalità li fece accomodare su due sedie, ma aveva preparato per loro una trappola. Quelle erano infatti le 'sedie dell'oblio': appena qualcuno si fosse seduto su una di esse sarebbe divenuta carne della carne del malcapitato, il quale quindi non avrebbe mai più potuto liberarsi.\nPassarono quattro anni in cui i due rimasero così imprigionati, finché Eracle, sceso nel Tartaro per catturare il cane Cerbero nell'ambito delle sue fatiche, espresso il desiderio di liberare Teseo, ebbe concessa la possibilità di tentare per volontà di Persefone, che lo accolse in qualità di fratello.\nEracle dunque si avvicinò alla sedia e iniziò a tirare, finché, con uno strappo lacerante riuscì a liberare Teseo.\nPoi tentò di liberare Piritoo, ma la terra cominciò a tremare: dopotutto era stato proprio Piritoo l'ispiratore di quella sciagurata idea; Eracle dunque desistette e Piritoo restò nel Tartaro per sempre.\nSecondo Virgilio, quando Teseo morì gli dèi inferi lo condannarono nuovamente a restare ancorato alla 'sedia dell'oblio', e questa volta definitivamente.\n\nAltre versioni.\nSecondo un'altra fonte Eracle Teseo e Piritoo si erano recati non nel Tartaro bensì nella città della Tesprozia chiamata Kichyro, dove avevano cercato di rapire la moglie del re Aidoneo, il quale scoperta la trama gettò Piritoo in pasto ai cani e rinchiuse Teseo in una torre, dalla quale venne liberato da Eracle.\n\nAltre imprese.\nAlcuni mitografi, ad esempio Apollodoro, citano Teseo e Piritoo anche tra i partecipanti alla caccia al cinghiale calidonio e alla spedizione degli Argonauti, tuttavia non c'è esplicita concordanza nelle fonti riguardo a questa presenza congiunta dei due eroi in queste imprese.\n\nInterpretazioni.\nI rapporti tra Teseo e Piritoo.\nEsistono diverse interpretazioni relative sia ai rapporti tra Teseo e Piritoo, sia ai significati sottesi ai singoli episodi mitici.\nSecondo alcuni (ad esempio Robert Graves) i due eroi erano in realtà rivali e sarebbero stati gli Ateniesi a riuscire a camuffare ciò presentando invece i due come legati tra loro da profonda amicizia; la rivalità sarebbe stata suscitata dal fatto che, nella visione esegetica propria di Graves, che pone l'accento sull'origine rituale dei miti, Piritoo sarebbe stato un 're sacro' destinato a essere ucciso al termine del suo regno, nell'usanza tipica che avrebbe caratterizzato la società matrilineare pre-indoeuropea in Grecia. Il suo successore-rivale sarebbe stato appunto Teseo.\nQuesta visione appare oggi in ribasso, in quanto spesso si tende piuttosto, in generale, a considerare molte figure di eroi greci come antiche divinità perlopiù locali, 'declassate' nel tempo a semplici figure umane o al massimo semidei, ma con caratteristiche particolari, 'eroiche'; dopo la morte spesso però si diceva nel mito che questi personaggi erano assunti al cielo o erano stati portati nelle isole Fortunate, e storicamente venivano venerati con un culto eroico. Nella fattispecie, riguardo a Teseo, si pensa che potesse essere stato in origine una divinità di tipo solare.\n\nLa lotta tra Lapiti e Centauri e la natura 'selvaggia' di Piritoo.\nPer quanto riguarda la lotta tra Lapiti e Centauri l'interpretazione più accreditata vi vede la trasfigurazione in forma di 'saga' di un reale scontro tra tribù preelleniche stanziate nelle regioni più remote della Grecia; a tal proposito forse è in parte vero che la mitografia ateniese abbia successivamente 'edulcorato' la storia, presentando l'amicizia tra un re 'selvaggio' quale Piritoo e il re di Atene, il ben più 'civile' Teseo. Tra l'altro con ciò si poteva sottintendere l''addomesticamento' delle tribù più arcaiche mediante la fusione anche e soprattutto culturale e mentale con le frange più progredite della grecità.\nForse quindi una certa 'tensione' tra i due poteva maggiormente emergere, nelle versioni più antiche del mito.\n\nLa discesa nel Tartaro.\nInfine, la storia della discesa al Tartaro di Teseo e Piritoo potrebbe essere stata inizialmente un tentativo di accreditare il loro eroe nazionale come semidio panellenico, in quanto disceso agli inferi ma sfuggito alla morte, nel tentativo di equipararlo al ben più famoso Eracle.\n\nVoci correlate.\nTeseo.\nPiritoo.\nLapiti.\nAtene.\nIppodamia (moglie di Piritoo).\nDori.\nEracle." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Teseo.\n### Descrizione: Teseo (in greco antico: Θησεύς?, Thēseus; in latino Thèseus) è un personaggio della mitologia greca e decimo mitologico re di Atene, figlio di Etra, Egeo e di Poseidone, con cui Etra aveva giaciuto la stessa notte in cui era andata a letto con il re di Atene. Il suo nome ha la stessa radice di thesis e tithenai, come Teti (in greco antico: Τηθύς?, Tēthýs), la Dea Creatrice, la quale, racconta Omero, si unì con Oceano per generare tutti gli Dei.\n\nMitologia.\nTeseo fu un eroe civilizzatore, come Perseo, Cadmo ed Eracle: come quest'ultimo fu l'eroe dei Dori, Teseo fu l'eroe degli Ioni e venne considerato dagli Ateniesi come il loro grande riformatore, padre della patria e garante della democrazia cittadina.\nIl suo nome condivide la radice con la parola 'thesmos' (θεσμός), il termine greco che sta per istituzione. Fu l'artefice del sinecismo (synoikismos, abitare insieme) – l'unificazione politica dell'Attica rappresentata dai suoi viaggi e dalle sue fatiche – sotto la guida di Atene. Una volta riconosciuto come Re unificatore, Teseo fece costruire sull'Acropoli un palazzo simile a quello di Micene. Pausania narra che, in seguito al sinecismo, Teseo istituì il culto di Afrodite Pandemos (Afrodite di tutto il popolo) e di Peito, che si celebrava sul lato meridionale dell'Acropoli. Diverse feste ateniesi erano legate a Teseo: le Panatenee, le Oscoforie, le Tesee, le Ecalesie, le Metagitnie, le Sinecie.\nNella sua opera Le rane, Aristofane lo indica come l'inventore di molte delle più note tradizioni ateniesi. Se la teoria che sostiene l'antica presenza di un dominio minoico sull'area Egea è corretta, allora la figura di Teseo potrebbe essere stata ispirata dalle vicende dovute alla liberazione da questa presenza straniera, piuttosto che da un singolo condottiero realmente esistito.\n\nLa nascita e il viaggio verso Atene di Teseo.\nEgeo, uno degli antichi re di Atene, scelse come moglie Etra, figlia di Pitteo, re di Trezene, una piccola cittadina che si trova a sud-ovest di Atene, e lì furono celebrate le nozze. Nella loro prima notte di nozze, Etra giacque col marito, camminò poi sulle acque del mare e raggiunse l'isola Sferia, dove giacque con Poseidone, il dio del mare e dei terremoti. Teseo aveva quindi due padri e una madre. Secondo un'altra versione della leggenda, Teseo è figlio di Egeo ed Etra soltanto. Il re, poiché ubriacato dal padre di Etra, si unì con la donna sull'isola di Samo, in Asia Minore. Questa versione del mito sembra testimoniare l'origine orientale dell'eroe e dei riti a lui dedicati (le Tesee).\nDopo che Etra rimase incinta, Egeo decise di tornare ad Atene ma, prima di partire, seppellì un suo sandalo e la sua spada sotto un'enorme roccia dicendole che, quando loro figlio fosse cresciuto, avrebbe dovuto spostare la roccia con le sue forze e prendersi le armi per dimostrare la sua discendenza reale. Ad Atene, Egeo si unì a Medea, che era fuggita da Corinto dopo aver ucciso i figli che aveva avuto da Giasone: lì dunque la sacerdotessa e il re rappresentavano lo strapotere e il vecchio ordinamento sociale.\nTeseo crebbe così nel paese materno. Una volta cresciuto e diventato un giovane forte e coraggioso, spostò la roccia e recuperò le armi del padre. Etra allora gli disse la verità sull'identità di suo padre, e gli spiegò che avrebbe dovuto riportare le armi a corte e reclamare i suoi diritti di nascita. Per recarsi ad Atene, Teseo poteva scegliere tra due opzioni: via mare (il modo più sicuro) o via terra lungo un pericoloso sentiero che costeggiava il golfo Saronico. Su questa strada si apriva una serie di sei entrate al mondo dei morti, ciascuna delle quali era sorvegliata da un demone ctonio che aveva assunto la forma di un ladro o di un bandito. Teseo, giovane coraggioso e ambizioso, decise di seguire questa via.\nPresso la città di Epidauro, sacra ad Apollo ed Esculapio, Teseo affrontò il bandito Perifete che era solito uccidere i viandanti con una grossa clava ricoperta di bronzo. Teseo riuscì a strappare la clava dalle mani di Perifete e la usò per colpirlo a morte. Decise poi di tenersi la clava, arma che lo caratterizza quando viene ritratto nelle decorazioni su vaso.. Teseo ripercorre passo passo i rituali compiuti da Eracle, il quale si ricavò la clava da un oleastro, pianta che in Grecia rappresentava l'inizio dell'anno nuovo. Perifete era zoppo come Dedalo, Talo ed Efesto, che erano fabbri, e la sua clava era di bronzo.\nAll'imboccatura dell'istmo di Corinto viveva un ladrone di nome Sini che legava i piedi delle sue vittime alle cime di due alberi di pino che aveva piegato fino a terra e fissato. Lasciava quindi tornare gli alberi alla loro posizione originale e i poveretti finivano squartati. Teseo lo sconfisse e sottopose lui stesso al suo trattamento prediletto. Quindi giacque con la figlia del brigante, che si chiamava Perigune generando così Melanippo.\nAppena a nord dell'istmo, in un paese chiamato Crommione, uccise un enorme e feroce maiale, la scrofa di Crommione, che secondo altre versioni della leggenda si chiamava Fea. Un'altra versione ancora dice che non si trattava di un animale, ma di una brigantessa chiamata scrofa a causa delle sue deplorevoli abitudini.\nVicino a Megara un vecchio brigante di nome Scirone costringeva i viaggiatori a lavargli i piedi su una scogliera. Mentre erano chinati, con un calcio li buttava giù dalla scogliera, dove venivano immediatamente divorati da un mostro marino (secondo alcune versioni da una testuggine gigante). Teseo gli rese pan per focaccia gettando il brigante giù dalla scogliera.\nIncontrò poi Cercione, il re di Eleusi, che aveva l'abitudine di sfidare i passanti a un incontro di lotta con lui e, dopo averli battuti, di ucciderli. Teseo sconfisse Cercione nella lotta e lo uccise.L'ultimo bandito che l'eroe affrontò fu Procuste il quale, ai viaggiatori incrociati sulla piana di Eleusi, offriva per riposare il suo letto. Quando si stendevano, li legava e provvedeva ad 'adattarli' al letto o stirando loro le membra con delle carrucole o mozzando loro i piedi e le gambe. Naturalmente Teseo riservò al furfante la stessa procedura che quest'ultimo applicava alle sue vittime.\nQueste prove che Teseo incontra richiamano la cerimonia dell'espulsione del sacro pharmakos dalla Roccia Bianca, ritualizzata nel lancio dei pharmakoi, bamboline bianche, chiamate argivi, che venivano gettate in acqua in primavera per i riti di purificazione dei tempi.\n\nMedea e il Toro di Maratona.\nQuando arrivò ad Atene, Teseo non rivelò subito la propria identità. Medea però lo riconobbe subito come figlio di Egeo e temette che potesse sostituire suo figlio Medo nella successione al trono: tentò così di provocare la morte di Teseo chiedendogli di catturare il Toro di Maratona, uno dei simboli del dominio cretese.\nLungo la strada che portava a Maratona Teseo si riparò da una tempesta nella capanna di una vecchia di nome Ecale che giurò di fare un sacrificio in onore di Zeus se l'eroe fosse riuscito nella sua impresa. Teseo catturò infine il toro ma, tornato alla capanna di Ecale, la trovò morta. In suo onore allora decise di dare il suo nome a una delle zone dell'Attica, rendendo i suoi abitanti in un certo senso figli adottivi dell'anziana.\nQuando tornò trionfante ad Atene ed ebbe sacrificato il toro agli dei, Medea tentò di avvelenarlo, ma all'ultimo momento Egeo lo riconobbe dai sandali e dalla spada e strappò la coppa di vino avvelenato dalle sue mani. Padre e figlio furono così finalmente riuniti.\n\nIl Minotauro.\nIl Re di Creta Minosse aveva vinto la guerra contro Atene. Ordinò allora che ogni nove anni (secondo alcune versioni ogni anno) sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi venissero inviati a Creta per essere divorati dal Minotauro. Quando venne il momento di effettuare la terza spedizione sacrificale, Teseo si offrì subito volontario per andare a uccidere il mostro. Promise al padre Egeo che, in caso di successo, al suo ritorno avrebbe issato sulla nave delle vele bianche. Quando arrivò a Creta Arianna, la figlia di Minosse, si innamorò di lui e lo aiutò a ritrovare la via d'uscita dal labirinto dandogli una matassa di filo che, srotolata, gli avrebbe permesso di seguire a ritroso le proprie tracce e una spada avvelenata. Trovato il Minotauro, Teseo lo uccise e guidò gli altri ragazzi ateniesi fuori dal labirinto. Teseo portò Arianna via da Creta con sé, ma poi l'abbandonò sull'isola di Nasso e la ragazza, quando si accorse di ciò che era successo, lo maledisse e pianse talmente tanto che Dioniso per confortarla le donò una corona d'oro, che venne poi mutata dal dio in una costellazione splendente alla sua morte: è la moderna costellazione della Corona Boreale.\nAl suo ritorno Teseo e il nocchiero della nave si dimenticarono di cambiare le vele nere con quelle bianche come promesso al padre Egeo; egli allora, credendo il figlio morto, si uccise lanciandosi dal promontorio di Capo Sunio nel mare che da allora porta il suo nome. Morto il padre, Teseo viene proclamato re di Atene.\n\nPiritoo.\nIl migliore amico di Teseo era Piritoo, principe dei Lapiti. In principio Piritoo aveva sentito raccontare del suo coraggio e del suo valore in combattimento, ma volle verificarlo di persona, così rubò le mandrie di bestiame dell'eroe, portandole via da Maratona: Teseo si mise allora a cercarle. Piritoo lo affrontò armi alla mano pronto a combattere, ma i due rimasero così ben impressionati l'uno dell'altro che anziché combattere si giurarono eterna amicizia e, insieme, parteciparono alla caccia al Cinghiale calidonio.\nNel primo libro dell'Iliade Nestore cita Teseo e Piritoo tra gli eroi più illustri della generazione di eroi che aveva conosciuto in gioventù «gli uomini più forti che la terra abbia mai nutrito, gli uomini più forti che andarono contro i più forti dei nemici, una tribù di selvaggi abitatori delle montagne che essi distrussero completamente». Di questa tradizione leggendaria orale citata da Omero, nell'epica letteraria non è sopravvissuto nulla.\n\nFedra e Ippolito.\nFedra, la prima moglie di Teseo, gli diede due figli, Demofonte e Acamante. Mentre questi erano ancora bambini, Fedra si innamorò di Ippolito, il figlio che Teseo aveva avuto in precedenza da Antiope. Secondo alcune versioni della leggenda, Ippolito aveva preferito diventare devoto ad Artemide piuttosto che ad Afrodite, così la dea della bellezza aveva deciso di punirlo suscitando l'amore di Fedra verso di lui. Ippolito però respinse la donna per mantenere il voto di castità fatto ad Artemide. Secondo la versione della leggenda fornita da Euripide è la nutrice di Fedra a rivelargli la passione per lui della sua padrona, e Ippolito le giura che non dirà a nessuno che è stata lei a farglielo sapere. Fedra allora decide di impiccarsi, ma prima manda un messaggio a Teseo sostenendo di averlo fatto perché Ippolito l'ha stuprata.\nTeseo le crede e rivolge contro il figlio una maledizione che Poseidone (il suo vero padre) aveva consentito di realizzare contro tutti i suoi nemici. A causa della sua maledizione un mostro marino terrorizza i cavalli che trainano il carro di Ippolito e questi, imbizzarriti, travolgono il giovane uccidendolo. Artemide rivela a Teseo la verità e promette di vendicare il suo leale e devoto Ippolito comportandosi allo stesso modo nei confronti di un fedele di Afrodite. Secondo un'altra versione della leggenda Fedra dice a Teseo che Ippolito l'ha stuprata e l'eroe uccide il figlio con le sue mani: la donna poi si toglie la vita vinta dal rimorso.\nGrazie a questa leggenda si sviluppò anche un culto di Ippolito, associato a quello di Afrodite: le ragazze in procinto di sposarsi gli offrivano ciocche dei loro capelli. I seguaci del culto credevano che Asclepio avesse fatto risorgere Ippolito, che dopo aver assunto il nome di Virbio era andato a vivere in una foresta sacra nei pressi di Ariccia nel Lazio.\n\nLa morte di Teseo e altre leggende.\nSecondo alcune fonti, Teseo partecipò alla spedizione degli Argonauti, anche se Apollonio Rodio nelle Argonautiche sostiene invece che all'epoca della spedizione Teseo si trovava ancora nel mondo dei morti. Insieme a Fedra, Teseo generò Acamante, che fu uno dei guerrieri greci che durante la guerra di Troia si nascosero all'interno del cavallo di legno.\nSi dice che Teseo venne ucciso dal re di Sciro, Licomede, che lo gettò con un tranello da una scogliera della sua isola, accordatosi con Menesteo che aveva usurpato il trono di Atene durante l'assenza dell'eroe.\nSecondo Virgilio, a Teseo dopo la morte fu imposta nuovamente la punizione, e questa volta per sempre, che già aveva dovuto subire quando con Piritoo era sceso da vivo nell'Ade per rapire Persefone.\n\nNella cultura di massa.\nPur non apparendo direttamente, Teseo è tra i personaggi menzionati più volte nella Divina Commedia di Dante. I passi in questione sono tre: nel nono canto dell'Inferno le Erinni ricordano il suo tentativo di rapire Proserpina e affermano che, se lo avessero ucciso, avrebbero scoraggiato altri viventi ad avventurarsi nel regno dei morti; nel dodicesimo si allude alla sua vittoria contro il Minotauro (il mostro infatti attacca Dante e Virgilio in quanto crede che uno di loro sia Teseo); infine nel XXIV Canto del Purgatorio viene ricordato come l'eroe che combatté contro i Centauri." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tesoro di Priamo.\n### Descrizione: Il tesoro di Priamo è un insieme di oggetti in metalli preziosi che Heinrich Schliemann scoprì nel sito dell'antica Troia e che egli attribuì al re Priamo. Gli oggetti, ritrovati nel livello denominato Troia II, appartengono in realtà alla prima metà del III millennio a.C. e sono dunque molto più antichi degli avvenimenti narrati nell'Iliade che, secondo la tradizione, sono collocabili all'inizio del XII secolo a.C.\n\nDescrizione.\nDopo tre anni di scavi il ritrovamento avvenne alla vigilia della chiusura della campagna archeologica, il 14 luglio 1873, e portò alla luce:.\n\nuno scudo di rame;.\nun calderone di rame con manici;.\nun oggetto di rame non identificato, forse la chiusura di una cassetta;.\nun vaso d'argento contenente due diademi d'oro, tre braccialetti, 8.750 anelli, due piccoli bicchieri, bottoni e altri piccoli oggetti d'oro, i cosiddetti gioielli di Elena;.\nun vaso di rame;.\nuna bottiglia d'oro battuto;.\ndue coppe d'oro, una battuta e una fusa;.\ndiversi bicchieri in terracotta rossastra;.\nuna coppa di elettro;.\nsei lame di coltello in argento battuto, che Schliemann ritenne fossero state monete;.\ntre vasi d'argento con parti fuse in rame;.\ndiversi bicchieri e vasi in argento;.\ntredici punte di lancia in rame;.\nquattordici asce in rame;.\nsette daghe in rame;.\naltri manufatti in rame tra i quali la chiave di una cassetta.L'autenticità degli oggetti è stata a più riprese messa in dubbio. In particolare Schliemann avrebbe raccolto e messo insieme nel cosiddetto tesoro di Priamo oggetti provenienti da luoghi diversi, confezionando un falso resoconto del ritrovamento. In particolare alcuni degli oggetti attribuiti al tesoro compaiono anche in foto di scavo scattate nell'anno precedente al ritrovamento.\n\nLa storia degli oggetti dopo la loro scoperta.\nSchliemann esportò gli oggetti rinvenuti senza permesso. Come conseguenza l'ufficiale ottomano incaricato di sorvegliare gli scavi fu imprigionato e il governo gli revocò la concessione di scavo da lui già ottenuta e gli richiese una parte del ritrovamento.\nIn seguito Schliemann inviò alcuni degli oggetti al governo ottomano, in cambio del permesso di scavare nuovamente a Troia. Questa parte del tesoro fu conservata nei musei archeologici di Istanbul.\nLa parte rimasta in possesso di Schliemann fu invece acquistata nel 1880 dagli allora 'Musei Imperiali di Berlino', e fu esposta al Pergamon Museum.\nNel 1945, tuttavia, gli oggetti scomparvero dal bunker nel quale erano stati sistemati a causa delle vicende belliche, sottratti dall'Armata Rossa sovietica. In tale occasione è probabile che alcuni degli oggetti fossero stati sottratti dai militari e immessi nel mercato nero dell'arte. Durante la guerra fredda i sovietici negarono di conoscere la sorte degli oggetti, ma nel 1993 questi riapparvero nel Museo Puskin di Mosca. Oggi sono conservati in parte in questo museo e in parte nell'Ermitage di San Pietroburgo. Nel 1996 si svolsero senza esito trattative per la loro restituzione alla Germania, ma i direttori dei musei russi dichiararono che dovevano essere trattenuti quali compenso per i danni di guerra nazisti alle città russe." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tesproto.\n### Descrizione: Tesproto (in greco Θεσπρωτός) è una figura della mitologia greca, figlio di Licaone e re eponimo dei Tesproti.\nFondò l'antica capitale della Tesprozia Kichyro chiamata più tardi Efira." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tessalo (figlio di Eracle).\n### Descrizione: Nella mitologia greca Tessalo (in greco antico: Θεσσαλός) fu uno dei figli di Eracle, concepito con Calciope, figlia del re di Coo, Euripilo.\n\nMitologia.\nQuando Eracle sbarcò a Coo per sfuggire a una tempesta inviatagli da Era, gli abitanti dell'isola lo scambiarono per un pirata e lo attaccarono; in una battaglia che ne seguì, Eracle uccise il re dell'isola, Euripilo. In un'altra versione, Eracle pianificò l'attacco a Coo perché invaghitosi della figlia di Euripilo, Calciope. In entrambe le versioni, Calciope divenne poi la madre di Tessalo.Tessalo fu il successore di Euripilo come re di Coo. I suoi figli Fidippo e Antifo guidarono il contingente di Coo alla guerra di Troia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Testore.\n### Descrizione: Testore (in greco antico: Θέστωρ?, Théstor) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Idmone e di Laotoe sposò Polimela e divenne padre di Teonoe, Leucippe Teoclimeno e Calcante.\n\nMitologia.\nTestore partì alla ricerca di Teonoe che, rapita dai pirati cari, fu venduta ad Icaro il re di Caria ma naufragò durante il viaggio e fu a sua volta imprigionato dai pirati. Questi lo vendettero allo stesso re e lui non riconobbe la figlia che intanto si era guadagnata i favori del monarca.\nLeucippe in seguito, seguendo la predizione di un oracolo e nascosta in un abito religioso si recò alla corte di Icaro. Teonoe la vide, ma la scambiò per un uomo, se ne innamorò e ne fu respinta, così per vendetta ordinò al suo schiavo (Testore) di ucciderla.\nIntrodottosi nella camera di Leucippe e prima di alzare la spada, Testore si presentò a lei raccontandole la sua storia. In tal modo i due si riconobbero e decisero quindi di uccidere la concubina di Icaro ma, una volta giunto nella sua camera Teonoe riconobbe il padre.\nIn tre quindi si recarono da Icaro che, ricolmandoli di doni li rimandò in patria." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teti (Nereide).\n### Descrizione: Teti o Tetide (in greco antico: Θέτις?, Thétis), è un personaggio della mitologia greca.\nEra la più bella delle Nereidi, le ninfe dei mari figlie di Nereo e Doride, discendenti da Oceano.\n\nNella mitologia.\nLa titanide Temi predisse in una profezia che Teti era destinata a dare alla luce un figlio che sarebbe divenuto più potente, intelligente e ambizioso del padre. Climene confidò il segreto al figlio Prometeo. Quando Zeus e Poseidone si innamorarono di lei, Prometeo capì che sarebbe stata una disgrazia per l'Olimpo, chiunque fosse stato a darle quel figlio che avrebbe superato il padre; conoscendo questa preziosa informazione e temendo che le sorti di Urano e Crono si potessero ripetere con Zeus, Prometeo allora rivelò a Zeus il segreto in cambio della propria liberazione dal castigo a cui il dio lo aveva condannato.\nPoseidone ne fu informato a sua volta ed entrambi rinunciarono a possederla, destinandola a un matrimonio con i mortali, lasciando così al mondo degli uomini il destino ineluttabile di essere superati dal proprio figlio. Peleo, re di Ftia, dopo molte fatiche, poiché la divina Teti per sfuggirgli si mutava in bestie feroci e mostri spaventosi, riuscì ad averla in sposa. Il forzato matrimonio fu celebrato sull'Olimpo alla presenza di tutti gli dei. La dea della discordia Eris, unica degli dei a non essere stata invitata, in quella occasione lanciò il pomo d'oro che sarebbe poi stato oggetto del giudizio di Paride, causa della guerra di Troia.\nDall'unione di Teti e Peleo nacque Achille, il quale, nell'Iliade, si sfoga più volte con la madre trovando conforto nelle sue parole. Teti intervenne in aiuto del figlio principalmente in due occasioni: la prima, quando immerse il neonato nel fiume Stige, rendendolo invulnerabile tranne che nel tallone (per immergere Achille, la madre dovette tenerlo per il tallone, che rimase così l'unica parte vulnerabile: da qui la definizione di tallone di Achille); la seconda, quando chiese a Efesto di forgiare le armi per il suo combattimento contro Ettore. Inoltre, secondo alcune tradizioni, vendicò la morte del figlio uccidendo Elena, allorché la donna ritornava a Sparta col marito Menelao. In seguito, in Tessaglia, Teti uscì vincitrice da una gara di bellezza che la vide opposta a Medea e a cui prese parte, come arbitro, Idomeneo, re di Creta.Teti rimase coinvolta anche in alcune altre vicende divine: con sua sorella Eurinome accolse amorevolmente nelle acque del mare il piccolo Efesto, quando questo dio venne respinto da sua madre Era e scagliato giù dall'Olimpo. Una volta cresciuto, per ringraziarla, il fabbro divino creò dei magnifici gioielli per Teti e sua sorella. Quando in una occasione Era li vide addosso alla nereide, glieli invidiò e chiese quale bravissimo artigiano orafo li avesse creati. Di fronte alla regina degli dei, Teti fu costretta a rivelare che l'artefice di tali opere non era altri che Efesto, il figlio da Era stessa respinto. Perciò Era chiese a Teti di informare Efesto che lo voleva rivedere.\nIn greco il suo nome (Thètis) si differenzia chiaramente da quello di Teti la Titanide (Tēthỳs), ma probabilmente entrambe derivano da una stessa divinità delle acque di un culto più antico.\n\nNell'arte.\nTramonto del sole di François Boucher (1752)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Teti consola Achille.\n### Descrizione: Teti consola Achille è un affresco eseguito da Giambattista Tiepolo, nella Sala dell'Iliade di Villa Valmarana 'Ai Nani' a Vicenza.\n\nDescrizione.\nLe pitture che arredano le sale della villa furono realizzate nel 1757 su commissione di Leonardo Valmarana ed eseguite dal Tiepolo con il figlio Giandomenico e con la collaborazione del quadraturista Gerolamo Mengozzi-Colonna. Non si conosce quali parti fossero state eseguite da ciascun artista; fu Goethe a indicare quali fossero quelle dipinte da colui che definì ' il sublime ' e quali da quello definito ' il naturale ' cogliendone le differenti caratteristiche pittoriche.\nTutto il ciclo pittorico della villa si propone di presentare il concetto di sacrificio quale rinuncia al fine del raggiungimento di un bene più grande.Questa pittura a fresco fa parte di una serie di tre dipinti presenti nella Sala dell'Iliade che rappresentano episodi relativi al primo libro del poema omerico sulla Guerra di Troia. Il dipinto racconta l'incontro tra Achille e la madre. L'eroe acheo, rattristato per il rapimento della sua schiava Briseide da parte di Agamennone, è raffigurato posto su una terrazza nei pressi del mare, dove tra i flutti marini appare la ninfa Teti, sua madre, che cerca di consolarlo. Accanto a lei la ninfa Nereide.La raffigurazione di Minerva sul soffitto della sala sarebbe da attribuire a Mengozzi-Colonna, mentre i paesaggi furono probabilmente dipinti da Giandomenico." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tettamo.\n### Descrizione: Tettamo (in greco antico: Τέκταμος?, Tèktamos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Doro e nipote di Elleno.\nSposò una figlia di Creteo, che gli diede il figlio Asterio.\n\nMitologia.\nSecondo Diodoro Siculo, Tettamo invase Creta a capo di un'orda di coloni Eoli e Pelasgi e divenne il re dell'isola. Era la terza delle invasioni di Creta.\nSecondo un'altra versione, Tettamo era un capo delle tribù dei Dori ed Achei che si stabilirono nella Grecia continentale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Teutrania.\n### Descrizione: Teutrania, nella mitologia greca, è stata la capitale dell'omonima regione, parte della Misia in Asia minore.\n\nGeografia.\nLa città sarebbe stata collocata nella zona meridionale della Misia. Questa regione, entità storicamente più geografica che politica, si trovava all'estremo nord-ovest della Penisola anatolica ed era delimitata a nord dal Mar di Marmara e a ovest del Mar Egeo, dove si affaccia sullo Stretto dei Dardanelli. Per quanto riguarda la terraferma, la Misia confinava con Lidia, Frigia e Bitinia. La città di Teutrania, in particolare, si trovava presso il fiume Caico (l'odierno Bakirçay), davanti alle coste del fiume Lesbo. In questa zona sarebbe poi sorto l'importante centro di Pergamo." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: The Battle of Olympus.\n### Descrizione: The Battle of Olympus (オリュンポスの戦い, Olympus no Tatakai) è un videogioco di tipo avventura dinamica prodotto in Giappone per NES dalle software house Imagineer e Infinity nel 1988 e distribuito in Europa dalla Brøderbund nel 1991. Come il titolo lascia intuire, l'ambientazione è basata sulla mitologia greca.\nIl gioco è molto simile a Zelda II: The Adventure of Link per quanto riguarda l'impostazione di gioco (visuale laterale, possibilità di entrare nelle abitazioni per ricavare informazioni dagli occupanti, una mappa del mondo...), e ha anche qualche similitudine, anche se meno marcata, con il primo Castlevania per Nintendo Entertainment System.\n\nTrama.\nLa trama è vagamente basata sul mito di Orfeo ed Euridice: il giovane Orfeo ama la bella Elena (all'inizio di una partita però i nomi possono essere cambiati), ma questa in seguito al morso di un serpente velenoso viene trasformata in una statua di pietra. La dea Afrodite, mossa a compassione, rivela al giovane che Elena non è morta, ma è stata rapita dal dio degli inferi Ade. Orfeo si imbarca quindi in un'avventura che gli farà visitare tutta la Grecia, incontrare gli dei dell'Olimpo e lo porterà a scontrarsi con numerose creature mitologiche.\n\nModalità di gioco.\nIl protagonista del gioco è in grado di saltare, accovacciarsi e colpire i nemici con la propria arma come in un qualunque platform game, ma può anche parlare con le varie persone che incontrerà sul suo cammino, le quali daranno indicazioni oppure vorranno essere pagate per fornire qualcosa: la moneta corrente del gioco, curiosamente, sono le 'olive', che vengono rilasciate dai nemici eliminati; essi rilasciano anche dei frammenti di ambrosia, utile per rimpinguare la barra dell'energia vitale.\nOrfeo, per completare la sua avventura, ha bisogno di incontrare gli dei, primo fra tutti Zeus: visitando i santuari delle divinità sparse per le varie regioni della Grecia otterrà preziosi consigli per procedere oppure degli oggetti, per ottenere i quali dovrà compiere a sua volta svariate sotto-missioni; gli dei forniscono anche le password per riprendere dal punto in cui ci si era fermati (il gioco non consente di salvare la partita in corso).\nTra i vari oggetti vi sono nuove armi (che sostituiscono la clava di partenza), strumenti indispensabili per spostarsi da una zona all'altra (ad esempio la cetra di Apollo, che se suonata nei pressi dei monumenti consacrati al dio richiama il Pegaso, che funge da mezzo di trasporto), e i 'frammenti d'amore' che servono ad aprire la strada verso il Tartaro, non raffigurato sulla mappa e luogo dove è rinchiusa Elena.\n\nRiferimenti mitologici.\nOltre alla presenza degli dei dell'Olimpo, vi sono molti cenni alla mitologia greca nel corso del gioco:.\n\nl'Idra di Lerna: nel gioco è uno dei boss, si trova nella palude del Peloponneso e anziché avere più teste su un solo corpo è provvista di una sola testa che ricresce 8 volte.\nil Leone di Nemea: una delle dodici fatiche di Ercole, il leone nel gioco fa la guardia a Prometeo prigioniero (nel mito invece un'aquila rodeva il fegato a Prometeo ogni giorno).\nPrometeo: una volta liberato, insegnerà a Orfeo come lanciare fuoco dal bastone magico (in riferimento al mito secondo cui Prometeo aveva rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini).\nTalos: il gigante meccanico è qui rappresentato come una sorta di armatura semovente che fa la guardia al labirinto di Creta. Come nel mito che lo riguarda, deve essere colpito alla caviglia per poter essere sconfitto.\nil Minotauro: uno dei boss, lo si può trovare al centro del labirinto.\nLadone: il drago che fa la guardia al giardino delle Esperidi serve qui come una sorta di mini-boss che fa la guardia a una mela d'oro, la quale serve a portare l'energia al massimo e dimezzare il danno causato dai nemici.\nPegaso: ce ne sono due, uno bianco che serve da cavalcatura e uno nero che invece è un nemico.\nle Graie: un boss, le tre vecchie sono rappresentate come una specie di maghe che appaiono e spariscono lanciando strali di energia (in maniera del tutto analoga ai 'Wizzrobes' della serie di Zelda).\nCerbero: lo si trova nel Tartaro, nel gioco ha due teste anziché tre e bisogna distruggergliele entrambe per eliminarlo.\nAde è in possesso di un elmo che lo rende invisibile, come nei miti che lo riguardano: per colpirlo nella prima fase della battaglia contro di lui ci si deve servire di una sfera magica che permette di individuarne la posizione grazie alla proiezione della sua ombra.Tra le varie creature mitologiche appaiono dei satiri, un centauro, una sirena (correttamente rappresentata come incrocio tra donna e uccello rapace come nella mitologia greca, piuttosto che donna e pesce), due ciclopi, una lamia (il primo boss), e altre ancora.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) The Battle of Olympus (Game Boy) / The Battle of Olympus (Nintendo Entertainment System), su GameFAQs, Red Ventures.\n(EN) The Battle of Olympus, su MobyGames, Blue Flame Labs." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Theoi Project.\n### Descrizione: Il Theoi Project (noto anche come Theoi Greek Mythology) è una biblioteca digitale riguardante la mitologia greca e la sua rappresentazione nella letteratura classica e nell'arte greca. Questo sito web è stato creato dal neozelandese Aaron J. Atsma nel 2000 e contiene oltre 1500 pagine e 1200 immagini relative a divinità, demoni, creature mitologiche ed eroi della mitologia e della religione greca; inoltre, questo progetto raccoglie testi relativi alla mitologia greca tratti da varie opere della letteratura antica." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Thrasos.\n### Descrizione: Nella mitologia greca Thrasos (in greco antico: Θράσος?) è lo spirito dell'audacia o, quando in eccesso, dell'insolenza.\nAnche se la parola θράσος di per sé potrebbe essere utilizzata sia in positivo (audacia) che in negativo (insolenza), solo nel contesto in cui Thrasos appare come una personificazione di un demone è stato citato da Hybris e da Ate al contrario di Dike." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tia (figlia di Deucalione).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Tia (in greco antico Θυία Thýia) era una delle figlie di Deucalione e Pirra. Fu amata da Zeus e divenne con lui madre di Magnete e di Macedone, eponimi rispettivamente delle regioni della Magnesia e della Macedonia.\nIl suo mito è raccontato nel Catalogo delle donne di Esiodo, e ripreso da Stefano di Bisanzio.\nTia non va confusa con la titanide Teia, a volte identificata come Tia." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tifide.\n### Descrizione: Tifide di Sife o Tifi (in greco antico: Τῖφυς?, Tîphys) fu nella mitologia greca uno degli argonauti e il timoniere della nave.\n\nGenealogia.\nNelle fonti più antiche, Tifide proviene dalla città di Tespie, in Beozia, ed è figlio di un altrimenti sconosciuto Agnias. Successivamente è stato indicato invece come un eleo figlio di Forbante, e quindi fratello di Attore e Augia.\n\nMitologia.\nNelle Argonautiche di Apollonio Rodio, viene descritto come abilissimo pilota della Beozia, cui Atena insegnò l'arte della navigazione.\nQuando Giasone mandò gli araldi alla ricerca di avventurieri per recuperare il vello d'oro, cercava anche chi potesse diventare timoniere della nave Argo. Tifide si propose e diventò la guida degli Argonauti.\nDa esperto conoscitore del mare, era lui che decideva quale direzione prendere, come avvenne quando, in partenza dalla terra di re Cizico, la nave si scontrò con un forte vento contrario che impedì a Tifi di avanzare. Quindi egli decise di cambiare rotta cercando di tornare alla penisola. Una volta arrivati, a causa della nebbia, Cizico li scambiò per pirati e, nello scontro che seguì, gli Argonauti uccisero il Re (loro alleato) e molti suoi soldati.\nPrima di tornare, Giasone decise di abbandonare Eracle sulla terraferma. Molti Argonauti cercarono di far cambiare idea a Tifi, ma senza risultato.\nIl destino non gli permise di giungere nella Colchide con gli altri Argonauti, perché morì a causa di una misteriosa malattia nella terra del re Lico. Gli furono resi solenni onori funebri e gli altri Argonauti, dopo avergli alzato un tumulo, scelsero chi doveva prendere il suo posto al comando del timone. La scelta cadde su Anceo, che si dimostrò molto abile." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Timne.\n### Descrizione: Timne (in greco antico: Τύμνης?, Tymnes; III-II secolo a.C. – ...) è stato un poeta greco antico.\n\nVita e opere.\nNessuna fonte antica menziona Timne e non si hanno pertanto informazioni sulla sua vita. Anche la patria del poeta è dubbia: secondo Reiske l'autore sarebbe originario di Creta (o avrebbe ivi trascorso parte della sua vita) poiché in uno dei suoi componimenti (AP VII, 477) viene ricordata la città di Eleftherna, mentre altri commentatori considerano Timne di origine caria sulla base del suo nome.Dell'autore sono conservati 7 epigrammi all'interno dell'Antologia Palatina. Meleagro di Gadara ricorda nell'incipit della sua raccolta antologica il nome di Timne associandolo a un pioppo bianco.\n\nEpigrammi.\nI componimenti superstiti di Timne sono votivi, epidittici e sepolcrali. Timne è un autore alessandrino nei temi e nello stile: alcuni dei suoi componimenti riproducono gli argomenti di celebri epigrammisti ellenistici. Nei suoi epigrammi mostra di tenere presente la lezione di Anite, riprendendo dalla produzione epigrammatica della poetessa la composizione di epitaffi dedicati ad animali, e propone, coi toni ironici appartenenti al sottogenere letterario, il racconto della morte di un uccello e di un cucciolo maltese:.\n\nUn altro dei sette componimenti superstiti di Timne riguarda una statua di Priapo: sulla base di questo epigramma Reiske considerò l'autore successivo al 164 a.C., ma il carme è in realtà un'imitazione da modelli di Leonida di Taranto, che fu il primo autore a comporre carmi su questo tema." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Timoteo (scultore).\n### Descrizione: Timoteo (... – ...; fl. IV secolo a.C.) è stato uno scultore greco antico.\nNato forse a Epidauro, ma di formazione ateniese, fu attivo tra il 380 e il 350 a.C.\n\nBiografia.\nLa nostra conoscenza della sua biografia è legata alla partecipazione a due dei più importanti cantieri del IV secolo a.C.: il tempio di Asclepio a Epidauro e il mausoleo di Alicarnasso ai quali collaborò con fregi e sculture. Le scarse opere sicuramente attribuibili a Timoteo lo collocano nella corrente manieristica postfidiaca della quale mostra di aver ben assimilato il calligrafismo ed il gusto per il chiaroscuro; in particolare egli appare vicino a Callimaco presso il quale può aver svolto il proprio apprendistato a seguito di una comune origine peloponnesiaca. Tra le altre opere attribuite dalle fonti troviamo una immagine di Asclepio (o un Ippolito seguendo la tradizione locale) a Trezene (Pausania, II, 32, 4) e una Artemide che si conservava a Roma nel tempio di Apollo Palatino (Plinio, Nat. hist., XXXVI, 32), portatavi da Augusto e forse riprodotta sulla base di Augusto al Museo Correale di Terranova. Vitruvio riferisce di un Ares eseguito forse in collaborazione con Leocare per l'acropoli di Alicarnasso (De architectura, II, 8, 11).\n\nIl tempio di Asclepio a Epidauro.\nNessuna fonte letteraria menziona questa attività giovanile di Timoteo, la sua partecipazione alla decorazione del tempio di Asclepio è testimoniata soltanto dall'iscrizione con il resoconto delle spese, rinvenuta negli scavi del tempio da Panagiotes Cavvadias nel 1885 (I.G. IV2 102), dove risulta il pagamento a Timoteo come esecutore di non meglio specificati rilievi (typoi) e come scultore degli acroteri per uno dei frontoni del tempio, che si ritiene più frequentemente essere quello occidentale, benché permangano pareri non concordi. La lastra con l'iscrizione ricorda la presenza di altri tre scultori, inoltre la scarsa omogeneità stilistica che si riconosce tra i resti della decorazione del tempio ha condotto ad ipotizzare una collaborazione tra pari e l'assenza di una direzione stilistica unitaria. Nicholas Yalouris (e altri prima di lui) interpretando la parola typos come 'modello' o 'bozzetto' e considerando alcuni elementi che accomunerebbero i due frontoni, ha ritenuto possibile ipotizzare una partecipazione più ampia di Timoteo nella progettazione della decorazione scultorea, lasciandone tuttavia l'esecuzione alle differenti mani degli scultori nominati dall'iscrizione e alle rispettive botteghe.\nGli acroteri del frontone occidentale, in marmo pentelico, sono quasi interamente conservati al Museo archeologico nazionale di Atene (nn. inv. 155-157, rispettivamente acroterio centrale, destro e sinistro). Alla mano di Timoteo viene attribuita la figura centrale, una Nike, mentre le due laterali, due fanciulle con cavallo (probabilmente due Aure), sono ritenute opere di bottega.\n\nIl mausoleo di Alicarnasso.\nAncor più congetturali sono i tentativi di riconoscere la figura di Timoteo tra gli scultori del mausoleo di Alicarnasso (Plinio, Nat. hist., XXXVI, 30-31; Vitruvio, De architect., VII) dove doveva comparire come uno dei collaboratori più anziani.\n\nLeda con il cigno.\nTra le attribuzioni effettuate su base esclusivamente stilistica a partire dagli acroteri di Epidauro vi è la Leda con il cigno la cui tipologia è conosciuta attraverso una dozzina di copie ellenistiche e romane, e che non si allontana dal generico indirizzo attico al quale Timoteo si attiene. Alcuni studiosi (Adolf Furtwängler, ad esempio) pur mantenendo l'attribuzione a Timoteo ritengono quest'opera una rielaborazione di una tipologia appartenente già al V secolo a.C.\nIn base ai confronti stilistici con la Leda, per la complementarità nel trattamento del nudo e del panneggio, viene attribuito a Timoteo un originale in marmo proveniente da Epidauro e conservato al Museo archeologico nazionale di Atene, che si ritiene rappresenti Igea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tindaro.\n### Descrizione: Tindaro (in greco antico: Τυνδάρεος?, Tyndáreos) (o Tindareo) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re di Sparta.\n\nGenealogia.\nFiglio di Periere e di Gorgofone o di Ebalo e della ninfa Batea, sposò Leda e divenne padre di Castore, Clitennestra, Timandra, Filonoe e Febe.\nTindaro crebbe anche Elena e Polluce (avuti da Leda con Zeus).\nCastore e Polluce sono più noti come i Dioscuri.\n\nMitologia.\nL'offesa ad Afrodite.\nDurante un sacrificio, dimenticò di onorare Afrodite attirando su di sé le ire della dea che condannò le sue figlie a dover giacere o doversi sposare con più di un uomo.\n\nIl matrimonio di Elena.\nTindaro re di Sparta, fu destituito (insieme al fratello Icario) dal fratellastro Ippocoonte e fece ritorno in patria solo dopo che Ippocoonte fu ucciso da Eracle. Tieste intanto, preso il controllo di Micene, costrinse Agamennone e Menelao all'esilio nella città di Sicione dove vissero come ospiti di Tindaro per un certo numero di anni.\nIntanto la bellezza di sua figlia Elena (in età di matrimonio) attirò principi, re e pretendenti e lui, spaventato da quel numeroso interesse, ascoltò un suggerimento di Ulisse e pretese il giuramento di tutti i candidati di farsi l'obbligo d'intervenire in soccorso del prescelto al matrimonio in caso di sua necessità.\nTutti accettarono e fu scelto Menelao, che Elena sposò.\nQuando Alessandro (Paride) rapì Elena e la portò a Troia, Menelao fece appello a quel giuramento e gli ex pretendenti si schierarono con lui.\nCosì fu l'inizio della guerra di Troia.\nLa tomba di Tindaro era ancora visitabile durante la vita di Pausania.\nSecondo Tzetzes, Tindaro fu resuscitato da Asclepio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tiresia.\n### Descrizione: Tiresia (in greco antico: Τειρεσίας?, Teiresíās) è un veggente della mitologia greca, figlio di Evereo, della stirpe degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Tiresia ebbe una figlia, Manto, anche lei indovina.\n\nIl mito.\nTiresia è cieco, e sull'origine di questa sua condizione esistono tre tradizioni riportate dallo Pseudo-Apollodoro:.\nsecondo la prima fu reso così dagli dèi perché non volevano che profetizzasse argomenti 'privati';.\nnella seconda lui, figlio di una ninfa, viene reso tale da Atena per punizione in quanto lui la vide nuda farsi il bagno, ma poi, su supplica della madre, fu reso indovino dalla stessa dea;.\nnella terza tradizione Tiresia passeggiando sul monte Cillene (o secondo un'altra versione Citerone), incontrò due serpenti che si stavano accoppiando e ne uccise la femmina perché quella scena lo infastidì (secondo una variante egli si limitò solamente a dividerli percuotendo prima la femmina e successivamente il maschio). Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo a donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio e nello stesso istante ritornò uomo. Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi da una controversia: se in amore provasse più piacere l'uomo o la donna. Non riuscendo a giungere a una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l'uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l'unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo sia donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere si compone di dieci parti: l'uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché Tiresia aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per compensare il danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni: gli dei greci, infatti, non possono cancellare ciò che hanno fatto o deciso altri dei.\nNel corso dell'attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai tebani; sfiancato si riposò nei pressi della fonte Telfusa dalla quale bevve dell'acqua gelata e morì. In un'altra versione l'indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, venne fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, dove sarebbero stati consacrati al dio Apollo. Tiresia morì per la fatica durante il cammino.\n\nNell'Odissea il suo spettro è consultato da Odisseo affinché gli indichi la strada del ritorno. Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali (φρήν).\n\nLa storia di Tiresia è narrata tra gli altri da Ovidio nelle Metamorfosi e da Stazio nella Tebaide.\nDante Alighieri lo cita vicino al suo rivale in divinazione nella guerra di Tebe, Anfiarao, tra gli indovini nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio dei fraudolenti nell'Inferno (XX, 40-45). Il poeta fiorentino tuttavia non fa accenno alle sue arti divinatorie ma al solo prodigio del cambio di sesso dovuto all'aver colpito i due serpentelli, azione che rese necessario colpirli di nuovo sette anni dopo. Probabilmente l'intento di Dante è limitato a deprecare le attività dei maghi, i quali talvolta adulterano le cose naturali con il loro intervento. Tiresia è condannato a vagare eternamente con la testa ruotata sulle spalle, che lo obbliga a camminare indietro in contrappasso con il suo potere 'preveggente' avuto in vita. Anche sua figlia Manto si trova nello stesso girone.\n\nLetteratura classica.\nLa figura di Tiresia appare in molti miti classici;.\n\nEsiodo (fr. 276 M. - W.) racconta che egli visse per la lunghezza di sette generazioni.\nSofocle utilizza il suo personaggio drammatico in Edipo re e nell'Antigone. Appare anche in due opere di Euripide: Le Baccanti e Le Fenicie.\nNell'Odissea di Omero, appare nel libro X, quando Circe consiglia a Ulisse di consultare l'ombra di Tiresia, e nel libro XI, quando l'eroe lo incontra nel regno dei morti.\nNe Le metamorfosi, Ovidio racconta come Tiresia acquisì il dono della divinazione.\nNell'Anfitrione, appare nell'atto V quando Anfitrione è intento a consultarlo sul da farsi.\n\nInterpretazioni moderne.\nIl poeta Guillaume Apollinaire fu autore di un'opera teatrale surrealista intitolata Les Mamelles de Tirésias (1917).\nThomas Stearns Eliot riprende la figura di Tiresia nel suo The Waste Land (1922): lo si incontra nella sezione intitolata Il sermone del fuoco.\nTiresia è protagonista, insieme a Edipo, del terzo racconto, dal titolo I ciechi, dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese (1947).\nTiresia è il titolo di un capitolo del libro La chiave a stella di Primo Levi, dove si spiega la storia del mito, capitolo fondamentale per la comprensione del libro stesso.\nIl filosofo Mario Perniola è autore del romanzo Tiresia, Milano, Silva, 1968.\nConversazione su Tiresia è uno spettacolo teatrale scritto e interpretato da Andrea Camilleri, andato in scena unicamente al Teatro greco di Siracusa l'11 giugno 2018 e in seguito trasmesso al cinema il 5, 6, 7 e 22 novembre 2018 e in televisione su Rai 1 il 5 marzo 2019 e il 17 luglio 2019, giorno della morte dell'autore.\nThe Cinema Show, brano dei Genesis del 1973 incluso nel loro album Selling England by the Pound, riprende il mito di Tiresia.\nDimmi Tiresia è un brano di Vinicio Capossela, contenuto nell'album Marinai, profeti e balene. Il brano narra dell'incontro fra Ulisse e Tiresia, in cui l'eroe omerico interroga l'indovino circa il destino del suo vagare.\nNel film Edipo re il regista e autore Pier Paolo Pasolini, basandosi sull'opera di Sofocle, mostra Tiresia svelare ad Edipo di essere l'assassino del padre.\nLe parole di Tiresia de La terra desolata sono declamate dallo spirito dell'indovino di Kattegat nell'episodio Il profeta della serie televisiva Vikings.\nTiresia appare come personaggio nel film del 1995 La dea dell'amore di Woody Allen." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tirseno.\n### Descrizione: Tirseno (in greco antico: Τυρσηνός?, Tyrsēnós) è un personaggio della mitologia greca. Fu l'inventore della tromba.\n\nGenealogia.\nFiglio di Eracle e di una 'donna della Lidia' (presumibilmente Onfale) e padre di Egeleo.\n\nMitologia.\nDi lui ci racconta solo Pausania che lo cita come inventore della tromba e di cui il figlio Egeleo ne insegnò l'uso ai Dori assieme a Temeno.\nIl nome Tirseno viene a volte associato al personaggio di Tirreno il quale viene anch'esso citato come figlio di Eracle ed Onfale ed originario della Lidia nonché colui che, secondo quanto riporta Erodoto, portò gli Etruschi in Etruria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tirso (bastone).\n### Descrizione: Il sacro tirso era un bastone rituale attribuito al dio greco Dioniso e ai seguaci del suo culto, satiri e menadi. Di legno vario, ma più spesso di corniolo o formato da una grossa asta di ferula, era sormontato da una pigna ed attorno ad esso erano avviluppati edera e pampini di vite. A volte vi erano annodate anche bende di lana, simbolo di consacrazione. Il simbolismo legato a questo strumento è chiaramente fallico, tanto più che ad esempio ne Le Baccanti di Euripide viene affermato che da esso scaturiva miele; esso quindi rappresenta la forza vitale del dio che viene instillata nella vegetazione, negli animali e negli uomini." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tisadia.\n### Descrizione: Tisadia (o Fisadia) era sorella del re Piritoo, figlia di Issione e cugina di Menelao; divenne schiava di Elena, che la portò con sé a Troia.\nNe parla Igino, insieme a un'altra damigella di Elena, Etra, ma delle due i nomi variano secondo gli autori." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Titanomachia (poema).\n### Descrizione: La Titanomachia (in greco antico: Τιτανομαχία?; etimologicamente: guerra dei Titani) è un poema epico perduto in lingua greca, che fa parte del 'Ciclo delle origini' ed è quindi incluso nel Ciclo epico. Narrava la lotta di Zeus e gli altri dei dell'Olimpo per spodestare i Titani guidati da Crono.\nLa tradizione lo attribuisce a Eumelo di Corinto, un poeta greco antico, autore anche di un poema del 'Ciclo argonautico', i 'Canti corinzi', ma molti poeti hanno cantato questa storia, e l'attribuzione è molto incerta.\nLa Titanomachia era composta da almeno 2 libri, e il racconto della guerra era preceduto da una teogonia, ovvero dalla genealogia divina originata da Urano e Gea.\n\nVoci correlate.\nTitanomachia.\nEumelo di Corinto.\nTeogonia (Esiodo).\nCiclo epico.\nMitologia greca." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Titanomachia.\n### Descrizione: La Titanomachia (in greco antico: Τιτανομαχία?, Titanomakhia, 'Battaglia dei titani') è una guerra della mitologia greca, combattuta da Zeus e gli altri dei dell'Olimpo (cui si erano uniti i ciclopi e gli ecatonchiri) contro la generazione delle divinità precedenti, quella di Crono e dei titani. Tale guerra durò dieci grandi anni e si concluse con la vittoria degli dei dell'Olimpo.\nLa vicenda è narrata dalla Teogonia di Esiodo e da altri autori, tra cui Igino e Apollodoro. In tempi antichi esisteva anche un poema intitolato Titanomachia, attribuito a Eumelo di Corinto, oggi perduto.Viene qui riportato un riassunto delle vicende raccontate dal mito. Va tuttavia tenuto presente che il mito stesso si presenta in varie versioni differenti ed è dunque inevitabile una cernita, a volte arbitraria, nell'impossibilità di dare conto di ognuna delle varianti. Si è comunque in generale cercato di riportare la versione più nota.\n\nLa vicenda.\nAntefatto.\nAl principio dell'universo c'era solo il Caos, poi apparve Gea, Madre Terra, la quale generò Urano, il Cielo, e si unì a lui, dando alla luce la stirpe dei titani, sei maschi e sei femmine (dette titanidi). Oltre a questi, Gea diede vita anche ad alcune creature mostruose: tre ciclopi e tre ecatonchiri. Urano tuttavia odiava quelle creature e, per liberarsi di loro, le incatenava nel Tartaro non appena nascevano, provandone grande piacere. Per vendicarsi di tutto ciò, Gea allora invitò i titani a ribellarsi, ma essi erano tutti intimoriti dal potente padre: solo il più giovane di essi, Crono, accolse la richiesta. Armatosi di un falcetto creato dalla madre, Crono sorprese il padre mentre desiderava unirsi con Gea e gli tagliò i genitali, gettandoli poi in mare.In questo modo i titani ottennero il dominio sull'universo, sotto il comando di Crono, ma egli non si comportò bene con i ciclopi e gli ecatonchiri: li ricacciò nuovamente nel Tartaro, dove già li aveva confinati Urano. Crono sposò sua sorella Rea, tuttavia era stato profetizzato da Urano morente e da Gea che proprio uno dei figli di Crono sarebbe stato colui che lo avrebbe spodestato. Per questo motivo, ogni volta che la moglie Rea dava alla luce un figlio, Crono lo divorava. Fecero questa fine Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Quando fu la volta di Zeus, per evitargli la stessa sorte degli altri, Rea lo partorì di notte e lo affidò a Gea, che lo portò a Creta. Per ingannare Crono, inoltre, Rea avvolse una pietra nelle fasce e la consegnò al marito, che la divorò nella convinzione che si trattasse del piccolo Zeus.Zeus crebbe quindi a Creta e quando raggiunse un'età adeguata decise di vendicarsi di Crono. Con l'aiuto della madre Rea chiese e ottenne di diventare coppiere del padre (il quale evidentemente non lo riconobbe), ma approfittando di tale posizione, versò un emetico nelle bevande di Crono. Questi cominciò a vomitare e in questo modo tirò fuori prima la pietra e poi tutti e cinque gli dei olimpici che aveva divorato. Questi uscirono illesi e già adulti, e visto il trattamento subito, non potevano che provare un odio profondo per Crono e gli altri titani, tanto che fu subito chiaro che tra gli dei olimpici e i titani sarebbe scoppiata una guerra. Gli dei per gratitudine offrirono a Zeus di guidarli, mentre i titani scelsero come capo Atlante.\n\nLa battaglia.\nIl conflitto vedeva gli dei situati sul monte Olimpo e i titani sul monte Otri (con l'eccezione di Prometeo e Stige, che appoggiavano gli dei pur essendo figli di titani). La guerra infuriò per dieci grandi anni, ma a un certo punto Gea emanò una profezia: affermò che gli dei avrebbero vinto soltanto se avessero ottenuto l'appoggio dei ciclopi e degli ecatonchiri, che erano ancora nel Tartaro, dove li aveva confinati Crono. Zeus allora uccise Campe, l'anziana carceriera, e li liberò, rifocillandoli con nettare e ambrosia. I ciclopi per riconoscenza donarono a Zeus il fulmine, arma molto potente, ad Ade un elmo che rende invisibili e a Poseidone un tridente.I tre dei si introdussero poi nella dimora di Crono e mentre Poseidone lo teneva a bada col tridente, Zeus lo colpì col fulmine e Ade gli rubò le armi. Intanto gli altri titani furono bersagliati di pietre dagli ecatonchiri, che avendo cento braccia e cento mani potevano lanciarne un numero enorme. Intervenne infine un lacerante urlo del dio Pan che mise definitivamente in fuga i titani. La battaglia si concluse dunque con la vittoria degli dei olimpici, che confinarono gli sconfitti nel Tartaro, sotto la sorveglianza degli ecatonchiri. Atlante, capo della fazione perdente, fu condannato a reggere la volta del cielo, mentre le titanidi non subirono punizioni, per l'intervento di Rea e Meti. Cominciò così il dominio degli dei olimpici: Zeus divenne padrone del cielo, Poseidone del mare e Ade dell'oltretomba. I titani non ebbero mai più modo di prendersi una rivincita, portando così a una stabilizzazione definitiva delle divinità dominanti.\n\nEsegesi.\nSecondo il mitografo Robert Graves, Ade, Poseidone e Zeus, i fratelli che congiurarono contro il padre Crono e sconfissero i titani, potrebbero simboleggiare, in un'esegesi di stampo storico, le tre successive invasioni elleniche, comunemente note come ionica, eolica e achea. Le stirpi ioniche ed eoliche furono assorbite dalle culture pre-elleniche, ma ciò non avvenne con gli Achei, che le sopraffecero. Gli Eoli, attorno al II millennio a.C., erano probabilmente diventati sudditi degli Achei e avevano quindi dovuto accettarne gli dei olimpici. Pare inoltre che 'Zeus' fosse in tempi antichi un appellativo regale, e che solo in seguito sia stato riservato al padre degli dei.Secondo Tallo, storico del primo secolo, la vittoria di Zeus contro i titani avvenne 'trecentoventidue anni prima della guerra di Troia'. Questo porterebbe a un periodo attorno al 1500 a.C., una data verosimile per l'espansione ellenica in Tessaglia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tizio.\n### Descrizione: Tizio (in greco antico: Τιτυός?, Tityós) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Gigante.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e di Elara, fu partorito da Gaia e fu il padre di Europa (madre di Eufemo).\n\nMitologia.\nNascita.\nConcepito da Zeus e Elara, questa gravidanza fu celata da Era (moglie gelosa di Zeus) nascondendo la madre incinta nelle profondità della terra, ma Tizio nel suo grembo crebbe così tanto che le ruppe l'utero ed Elara morì, e la gestazione finì nella terra (Gea) da cui infine Tizio nacque.\nLa grotta nella quale si credeva che Tizio fosse giunto in superficie era situata in Eubea ed era chiamata Elarion.\n\nMorte.\nEra, per vendicarsi di Latona, che aveva dato alla luce i figli di Zeus Apollo e Artemide, ispirò un violento desiderio al gigante. Tizio andò alla ricerca di Latona e la trovò nel bosco di Panopeo. Ella si trovava lì per adempiere a un rito, quando il gigante Tizio irruppe, cercando di violentarla.\nLe sue grida furono udite da Artemide e Apollo, che uccisero il gigante con una moltitudine di frecce. Secondo Pindaro e Callimaco, fu la sola Artemide ad ammazzarlo; secondo Apollonio Rodio e Quinto Smirneo invece fu il solo Apollo.\nZeus considerò quest'uccisione un atto di giustizia dovuta, nonostante Tizio fosse suo figlio. Secondo un'altra versione, fu lo stesso Zeus a ucciderlo.\n\nSupplizio nel Tartaro.\nGiunto nel Tartaro, Tizio fu condannato a un'orribile tortura: il suo gigantesco corpo, che copriva due acri (o piuttosto nove, secondo Properzio e Claudiano), venne immobilizzato a terra costringendone braccia e gambe, mentre due avvoltoi, due aquile o un serpente avrebbero per l'eternità divorato il suo fegato.\n\nProgenie.\nSecondo una versione del mito, Tizio ebbe per figlio Taso, mentre dalla figlia Europa nacque Eufemo, uno degli Argonauti.\n\nAlcune interpretazioni del mito.\nIl nome del gigante (che in greco è Τιτύος, Tityos) potrebbe derivare dalla parola 'tisis' oppure essere legata ai 'Tityroi', una parola beotica per indicare i satiri che suonano il flauto. Ciò spiegherebbe come mai egli assomigli tanto a un altro dei rivali di Apollo, Marsia. In effetti, alcuni elementi della storia, in particolare il supplizio cui Tizio è condannato nel Tartaro, ricordano da vicino la vicenda del gigante beotico Orione o quella del titano Prometeo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tlepolemo.\n### Descrizione: Tlepolemo (in greco antico: Τληπόλεμος?, Tlēpólemos; in latino Tlepolemus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eracle e di Astioche (oppure di Astidamia).\n\nGenealogia.\nSecondo Omero, Tlepolemo era figlio di Eracle e di Astioche, a sua volta figlia di Filante re di Efira che, per sfuggire a una vendetta familiare per aver ucciso lo zio Licimnio, si sarebbe rifugiato nell'isola di Rodi ed avrebbe fondato le città di Lindo, Ialiso e Camiro.\nSecondo Pindaro invece, Tlepolemo era figlio di Astidamia a sua volta figlia di Amintore re di Dolopia e sarebbe partito per l'isola di Rodi in seguito al responso di un oracolo.\n\nMitologia.\nTlepolemo uccise Licinio, anziano zio materno del padre e per sfuggire alla vendetta dei parenti si trasferì da Argo, città di cui era re, in una zona disabitata dell'isola di Rodi dove fondò le tre città di cui divenne automaticamente il sovrano.\nTlepolemo compare nel secondo canto dell'Iliade come comandante delle truppe di Rodi e la sua morte è narrata nel quinto canto dell'Iliade dove Tlepolemo sfida il capo dei Lici Sarpedonte. Nel duello, Sarpedonte gli trafigge il collo con la lancia, ma Tlepolemo, prima di morire, ferisce gravemente l'avversario.\nIgino cita Tlepolemo anche fra i pretendenti di Elena e in quanto tale avrebbe partecipato alla guerra di Troia.\nDopo la sua morte ed in suo onore, la moglie e regina Polisso allestì splendidi giochi funebri a Rodi a cui ammise anche i bambini e dove il vincitore sarebbe stato coronato con foglie di pioppo bianco ed infine lo vendicò uccidendo Elena." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Toante (re di Corinto).\n### Descrizione: Toante (in greco antico: Θόας?, Thóas) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Ornizione ed a sua volta figlio di Sisifo.\n\nMitologia.\nFu re di Corinto succedendo al padre quando suo fratello Foco colonizzò Tithorea. Fu anche il padre di Damophon, che fu padre di Propodas e Propodas lo fu di Doridas e Hyantidas ma durante il regno di questi ultimi due, Corinto fu conquistato dai Dori capeggiati da Alete trent'anni dopo l'avvento degli Eraclidi. Doridas e Hyantidas consegnarono il controllo della città e gli fu concesso di rimanervi, mentre il resto degli abitanti fu espulso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Toosa.\n### Descrizione: Toosa (in greco antico: Θόωσα?, Thóōsa) è un personaggio della mitologia greca. È una bellissima ninfa dei mari, figlia di Forco e Ceto, e madre del ciclope Polifemo, avuto dal dio dei mari Poseidone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Toro androprosopo.\n### Descrizione: Il toro androprosopo (cioè il toro con il volto di uomo) è una delle figure mitologiche variamente rappresentate nell'antichità. Oltre al toro con volto umano è rappresentata anche la figura umana con la testa taurina.\nIl toro con volto umano è legato al mito di Acheloo, il dio dell'omonimo fiume greco.\n\nNumismatica.\nLa figura con il corpo umano e la testa taurina è presente nella monetazione di Metapontum, in uno statere datato 440-430 a.C.; la moneta presenta al dritto una spiga di grano, tipica della monetazione di questa comunità, e al rovescio una figura umana nuda, con testa di toro, che tiene una patera nella destra e una canna con la sinistra. La legenda è ΑΨΕΛΟΙΟ ΑΕΘΛΟΝ (Acheloio aethlon), in alfabeto greco arcaico.\nPiù frequente è la figura con il volto umano e il corpo di toro. Questo tipo si trova, nella monetazione degli italioti, nell'area campana e nella monetazione di Laos. In Sicilia è usato da molte città in particolare da Gelas." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Toro di Creta.\n### Descrizione: Il Toro di Creta (o Toro di Maratona dopo gli sviluppi della storia, in greco antico: Κρὴς ταῦρος?, Krḕs taûros) era un mostro taurino della mitologia greca. Aveva l'aspetto di un toro di grandi dimensioni e possedeva la capacità di soffiare fuoco dalle narici. Il Minotauro nacque da questo e da Pasifae.\nLa cattura del Toro di Creta fu la settima delle dodici fatiche di Eracle.\nIl mitico re di Creta, Minosse, concesse senza problemi all'eroe di portar via il feroce animale, dato che aveva creato problemi a Creta.\nEracle riuscì a catturarlo vivo soffocandolo con le mani, e lo portò con sé ad Atene. Qui Euristeo avrebbe voluto sacrificare l'animale ad Era, che odiava Eracle. Costei rifiutò perciò il sacrificio, per non riconoscere la gloria di Eracle. Il toro fu quindi lasciato libero di vagare, finché si fermò a Maratona, diventando noto come 'toro di Maratona'.\nQui fu rintracciato e sottomesso da Teseo, che lo condusse ad Atene per poi sacrificarlo ad Apollo.\n\nVoci correlate.\nDodici fatiche di Eracle.\nMinotauro.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Toro di Creta.\n\nCollegamenti esterni.\nShāhrazād - Le narrazioni del Progetto Bifröst - Eracle. 3. Le dodici fatiche (seconda parte), su narrazioni.bifrost.it. URL consultato il 1º febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016)." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Total War Saga: Troy.\n### Descrizione: Total War Saga: Troy è un videogioco di tipo strategico con elementi di tattica in tempo reale e arcade, sviluppato dalla Creative Assembly Sofia e pubblicato dalla SEGA. Il gioco, disponibile per Windows il 13 agosto 2020, è il quattordicesimo titolo in totale della serie Total War (e il secondo di Total War Saga, dopo Thrones of Britannia).\n\nModalità di gioco.\nIn maniera simile a tutti gli altri predecessori, il gioco, ambientato nell'Età del bronzo, durante la guerra di Troia, e che si estende fino alla civiltà egea, possiede anche diverse caratteristiche virtualmente inedite nella saga:.\n\nPer poter combattere non è più sufficiente muovere gli eserciti e basta: vanno riforniti anche di legno, bronzo e cibo.\nOra esistono i favori divini, necessari per appagare gli dei Era, Zeus, Ares, Apollo, Atena, Poseidone e Afrodite, in quanto è possibile stabilire dei rapporti con loro nel corso del gioco; nel caso gli dei siano abbastanza soddisfatti, il giocatore riceverà dei bonus nelle battaglie.\nIl gioco presenta il sistema degli Eroi già presente in Three Kingdoms, ognuno dei quali è equipaggiato con armi, abilità, unità e posizioni strategiche speciali sulla mappa.\nPer la prima volta si utilizzeranno unità mitiche come guerrieri ispirati a ciclopi, minotauri e centauri.\nOltre alle spie, il giocatore può usare anche i sacerdoti per infiltrarsi nelle città ostili.La modalità multigiocatore, in grado di supportare fino a 8 giocatori, è stata introdotta il 26 novembre 2020.\n\nFazioni ed eroi.\nLe fazioni giocabili nel gioco standard sono otto:.\nA queste si aggiungono altre due fazioni, le Amazzoni di Ippolita e quelle di Pentesilea, pubblicate come DLC a settembre 2020, disponibile gratuitamente per i giocatori che hanno connesso i loro account Epic Games e Total War Access. Il 17 settembre 2020, sul canale YouTube di Total War, è stata annunciata l'uscita del DLC, pubblicato una settimana dopo. Il 28 gennaio 2021 è stato pubblicato un DLC che consente di giocare con Salamina (Aiace Telamonio) e Argo (Diomede). Il 1º dicembre dello stesso anno è uscito il trailer sul nuovo DLC, uscito il 14 dicembre, che include due nuovi fazioni e relativi eroi: Reso di Tracia e Memnone d'Etiopia.\n\nSviluppo e pubblicazione.\nTroy come per il suo predecessore, è stato ideato per essere un gioco breve ma più focalizzato, la sua portata è stata ridotta ad un'epoca storica invece di un'era. La casa di sviluppo del gioco è Creative Assembly Sofia in Bulgaria, sussidiaria di The Creative Assembly, lo sviluppo del gioco ha richiesto circa due anni e nove mesi per essere ultimato. Secondo la game director del gioco Maya Georgieva, l'Età del bronzo era un ambiente molto difficile su cui lavorare a causa della mancanza di documenti storici dettagliati e fonti attendibili. Di conseguenza, il team di sviluppo ha dovuto ricorrere alla mitologia greca, in particolare all'antico poema epico dell'Iliade per riempire i dettagli storici mancanti. Nonostante gli elementi mitici, il team ha cercato di mantenere il gioco il più storicamente accurato. Georgieva disse: 'la verità dietro il mito', gli sviluppatori assecondarono questa frase verso 'spiegazioni probabili per i miti e le leggende per completare la storia'. Ad esempio, il cavallo di Troia avrebbe assunto più significati: un terremoto, un'arma d'assedio, oppure un'enorme struttura di legno invece del classico cavallo.Total War Saga: Troy è stato annunciato dall'editore SEGA il 19 settembre 2019. È stato pubblicato il 13 agosto 2020 per Microsoft Windows tramite l'Epic Games Store, come esclusiva per un anno, successivamente nel 2021 verrà pubblicato anche su Steam. The Creative Assembly in seguito ha confermato del suo accordo con Epic Games e ha aggiunto che non aveva alcuna intenzione di rendere i futuri giochi della serie Total War esclusive per una singola piattaforma di distribuzione digitale. Con questa mossa infatti Creative Assembly sperava di far approcciare al franchise un pubblico più ampio, il gioco nel suo giorno di lancio poteva essere riscattato gratuitamente per le prime 24 ore. Nella prima ora di lancio, su Twitter è stato comunicato dalla pagina ufficiale del gioco che più di un milione di persone avevano riscattato il gioco. mentre a fine giornata il gioco è stato riscattato complessivamente da 7.5 milioni di persone circa. The Creative Assembly e Epic Games stanno lavorando insieme per integrare il supporto delle mods ai giocatori.Il 2 settembre 2021 il videogioco è stato pubblicato anche sulla piattaforma Steam. In tale occasione, è stato reso disponibile anche Mythos, un DLC che aggiunge una modalità di gioco comprendente creature mitologiche quali l'Idra, il Grifone e Cerbero, oltre a centauri, arpie e ciclopi.\n\nAccoglienza.\nSul sito web aggregatore di recensioni Metacritic, il gioco ha ottenuto un punteggio medio di 75 su 100, basandosi su 50 recensioni." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Trace (mitologia).\n### Descrizione: Trace era un figlio di Ares da una madre sconosciuta.\nProbabilmente il mitico capostipite dei Traci, guidò il suo esercito Edone in una campagna marittima contro le isole dell'Egeo, saccheggiò Lemno e altre isole circostanti.\nMa quando attaccò il santuario di Apollo a Delo, il dio inflisse a lui e ai suoi uomini una 'orribile malattia' (probabilmente lebbra).\nQuando tornarono in Tracia non erano i benvenuti e fondarono una colonia nella piccola isola di Icaria." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Trattato di Poti.\n### Descrizione: Il trattato di Poti fu un accordo provvisorio fra l'Impero tedesco e la Repubblica Democratica di Georgia, con il quale i georgiani accettavano il riconoscimento e la protezione da parte della Germania. L'accordo fu firmato presso la città portuale di Poti il 28 maggio 1918 dal generale Otto von Lossow per la Germania e, per la Georgia, dal primo ministro Noe Ramishvili e dal ministro degli esteri Akaki Chkhenkeli." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Tricca (ninfa).\n### Descrizione: Tricca è una ninfa epònima dell'omonima città della Tessaglia occidentale.\nSi ritiene sia figlia del dio fluviale Peneo. Fu moglie d'Ipseo, re dei Lapiti e madre di Cirene e di Caneo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Trie (ninfe).\n### Descrizione: Le Trie (/ˈθraɪ.iː/; in greco antico: Θριαί?, Thriaí ) erano una delle numerose triadi di ninfe della mitologia greca. I loro nomi erano Melaina ('La Nera'), Cleodora ('Famosa per il suo dono') e Dafni ('Alloro') o Coricia.\n\nMitologia.\nErano le tre Naiadi delle sorgenti sacre dell'antro coricio del Parnaso a Focide, divinità protettrici delle api. Le ninfe avevano la testa e il torso di donna e la parte inferiore del corpo e le ali d'ape.Le tre sorelle erano romanticamente legate agli dei Apollo e Poseidone; Coricia, la sorella da cui prese il nome l'antro coricio, fu madre di Licoreo, generandolo con Apollo, Cleodora fu amata da Poseidone, e fu madre da lui (o da Cleopompo) di Parnasso, mentre Melaina era anche ella amata da Apollo, con il quale generò Delfo (sebbene secondo un'altra tradizione la madre dell'eroe fosse Tia. Il suo nome, che significa 'la nera', suggerisce che fosse a capo delle ninfe sotterranee.\nDelle 'fanciulle delle api' con il potere della divinazione e quindi in grado di conoscere e dire la verità sono descritte nell'Inno omerico a Ermes, nel quale il cibo degli dei è identificato con il miele; tali fanciulle erano in origine associate ad Apollo e probabilmente non sono identificate correttamente con le Trie. Sia le Trie che le fanciulle delle api hanno il merito di aver assistito Apollo nello sviluppo dei suoi poteri, ma la divinazione che Apollo ha appreso dalle prime è diversa da quella delle seconde. Il tipo di divinazione insegnato dalle Trie ad Apollo era infatti quello relativo al lancio delle pietre, mentre quella delle fanciulle delle api, associato anche a Ermes, era la cosiddetta cleromanzia, che faceva uso di dadi e simili." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Trifiodoro.\n### Descrizione: Trifiodoro (in greco antico: Τριφιόδωρος?, Triphiódōros; Egitto, ... – ...; fl. III secolo) è stato uno scrittore e poeta greco antico.\n\nBiografia.\nNato in Egitto, vissuto alla metà del III secolo, autore di svariate opere perdute (Marathoniaca, una storia di Ippodamia e una rielaborazione dell'Odissea, secondo una tradizione risalente a Timolao in età ellenistica e Nestore di Laranda nella prima età imperiale).\nIn effetti, quel poco che si conosce della vita di Trifiodoro proviene dal lessico bizantino Suda che indica che egli era di Panopoli (oggi Akhmim, Egitto) e che era un grammatico e poeta epico, ma non aiuta con la sua datazione.\nTradizionalmente era datato al V secolo, poiché da un lato si riteneva imitasse le Dionisiache di Nonno di Panopoli (a sua volta datato al IV-V secolo), dall'altro, appariva imitato da Colluto, vissuto sotto l'imperatore Anastasio, 491-518. Tuttavia, la pubblicazione nel 1970 di un frammento di papiro da Ossirinco, che contiene i versi 301-402 del Sacco di Troia e datato al III secolo o agli inizi del IV, ha fatto anticipare la sua datazione al III secolo.\n\nLa Presa di Troia.\nDi Trifiodoro rimane un epillio, dal titolo La presa di Troia (Ἰλίου Ἅλωσις, in latino Ilii excidium), in 691 esametri dattilici, stilisticamente vicino, come detto, a Nonno di Panopoli e a Quinto Smirneo, edito per la prima volta da Aldo Manuzio nel 1521 insieme a opere di Quinto Smirneo e di Colluto.\nIl poeta, dopo una brevissima invocazione a Calliope, parla della situazione disastrosa delle truppe dei Greci e Troiani (vv. 6-39): entrambi sono minati dalla stanchezza di anni di combattimenti e di pesanti perdite.\nPoi i greci catturano Eleno, veggente di Troia e, seguendo il suo consiglio, chiamano Neottolemo (figlio di Achille) per rinfrancare l'esercito e rubare il Palladio da Troia (vv. 40-56). La costruzione del cavallo di legno è ispirata da Atena e il poeta ne dà una lunga descrizione (vv. 57-107), dopodiché i greci tengono un'assemblea in cui Odisseo convince i combattenti più coraggiosi a nascondersi con lui nel cavallo e il resto delle truppe a fingere di fuggire da Troia, mentre si prepareranno a tornare nella notte seguente (108-234).\nIl mattino seguente i Troiani scoprono la scomparsa dell'esercito acheo, ispezionano il loro accampamento e ammirano il cavallo di legno (235-257). Sinone appare davanti a loro coperto di sangue e convince Priamo a prendere il cavallo nella loro cittadella per conquistare l'attenzione di Atena ed evitare che aiuti i greci a tornare (258-303). I Troiani decidono di trasportare il cavallo e rompono le mura, altrimenti indistruttibili, di Troia per portarlo nella loro cittadella (304-357), al che Cassandra cerca di farli rinsavire, ma, su ordine di Priamo, viene allontanata (358-443).\nMentre si festeggia la fine della guerra, Afrodite dice ad Elena di riunirsi a Menelao (che si nasconde nel cavallo): sicché Elena va al tempio di Atena, dove il cavallo è tenuto e chiama per nome gli eroi nascosti, fingendo di imitare le voci delle loro mogli, in modo da tentarli ad uscire. Uno di loro, Anticlo, sta per cedere e Odisseo deve strangolarlo, mentre per ordine di Atena Elena si reca nella sua stanza e accende una torcia per chiamare la flotta greca a Troia per la battaglia finale (454-498a).\nMentre i Troiani sono sopraffatti da un sonno profondo, gli dei abbandonano Troia ed Elena e Sinone accendono le torce per guidare il ritorno della flotta greca (498b-521). La flotta arriva e i guerrieri nascosti lasciano il cavallo, dando inizio ad una lunga notte di combattimenti, ricca di episodi drammatici (506-663).\nIl poeta poi decide di porre fine alla narrazione e concludere (664-667) con la una breve descrizione di come, all'inizio del nuovo giorno, i vincitori controllino i sopravvissuti e bottino, mettano Troia a fuoco, sacrifichino Polissena per placare lo spirito di Achille, distribuiscano il bottino e lascino la città per sempre (668-691)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Trionfo di Dioniso.\n### Descrizione: Il Trionfo di Dioniso è un affresco proveniente da Villa Carmiano, rinvenuto durante gli scavi archeologici dell'antica città di Stabiae, l'odierna Castellammare di Stabia e conservato all'Antiquarium stabiano.\n\nStoria e descrizione.\nRealizzato durante la prima metà del I secolo, durante l'età flavia, l'affresco ricopriva la parete sud e l'angolo sud-ovest del triclinio di Villa Carmiano: ritrovato ancora intatto durante l'esplorazione degli anni sessanta del XX secolo da Libero D'Orsi, fu staccato dalla sua collocazione originale e conservato all'interno dell'Antiquarium stabiano per preservarne l'integrità.\nL'affresco, il principale della stanza e che ispira anche gli altri due presenti, ossia Nettuno e Amimone e Bacco e Cerere, si divide in tre parti: nella zona centrale è posta la raffigurazione principale, purtroppo gravemente rovinata e di cui è visibile il mantello viola di Dioniso e parte del chitone azzurro di Arianna; la scena si completa con un carro trainato da due tori preceduti da un satiro che suona un doppio flauto e da un piccolo cavallo nero e diverse figure umane. Il pannello di sinistra e quello angolare di destra sono in rosso pompeiano, colorazione uguala quello centrale e presentano, nel mezzo, due figure femminili volanti, che sono racchiuse in un'ampia cornice floreale. La zoccolatura è in giallo e si divide anch'essa, come la parte superiore, in tre zone: in quella centrale è raffigurato un paesaggio lacustre, molto rovinato, mentre in quelle laterali, due mostri marini inseriti in una cornice marrone." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tritone (divinità).\n### Descrizione: Tritone è, nella mitologia greca, il figlio del dio del mare Poseidone e della nereide Anfitrite, e il progenitore dei Tritoni.\n\nCaratteristiche.\nTritone aveva un corno di conchiglia, il cui suono calmava le tempeste e annunciava l'arrivo del dio del mare. Notissimo per l'aiuto che diede a Giasone e agli Argonauti nel trovare la rotta da seguire, Tritone veniva raffigurato con la metà superiore umana e quella inferiore a forma di pesce, mentre tutta la pelle era verde. La sua origine è pregreca, probabilmente fenicia (vedi Dagon).\nNell'iconografia, con il nome di Tritoni si designa un ampio numero di divinità marine minori che accompagnano Poseidone, considerate la progenie di Tritone stesso.\n\nNella cultura di massa.\nIl personaggio di Re Tritone del film Disney La sirenetta è basato su Tritone." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Troade.\n### Descrizione: La Troade è il nome storico della penisola di Biga (turco: Biga Yarımadası, greco: Τρῳάς) situata nella parte nord-occidentale dell'Anatolia, Turchia.\nLa regione fa parte della provincia turca di Çanakkale. Delimitata a nord-ovest dai Dardanelli, a ovest dal mar Egeo ed è separata dal resto dell'Anatolia dal Monte Ida. Nella regione, bagnata da due fiumi principali, lo Scamandro (Karamenderes) e il Simoenta, si trovano le rovine dell'antica città di Troia. Grenikos, Kebren, Simoeis, Rhesos, Rhodios, Heptaporos e Aisepos erano sette fiumi della Troade e anche i nomi delle corrispondenti divinità fluviali.\n\nStoria.\nLa regione, nota in seguito con il nome di Troade, veniva chiamata Wilusa (la wilusa omerica) dagli ittiti. Questa identificazione venne per prima avanzata da Emil Forrer, ma ampiamente contestata dalla maggior parte degli esperti sugli ittiti fino al 1983, quando Houwink ten Cate mostrò due frammenti della stessa originale tavoletta cuneiforme e la sua analisi della lettera restaurata rivelava che Wilusa fosse correttamente posta nell'Anatolia nord-occidentale. Secondo Trevor Bryce, i testi ittiti indicano un numero di incursioni degli Ahhiyawa su Wilusa durante il XIII secolo a.C., che potrebbero avere causato la disfatta del re Walmu. Anche Bryce riferisce che le ricerche archeologiche condotte da John Bintliff negli anni settanta mostrano che un potente regno dominante l'Anatolia nord-occidentale fosse incentrato su Troia.\nI re di Pergamo (adesso Bergama) più tardi cedettero il territorio della Troade alla repubblica romana. Sotto l'impero, il territorio della Troade divenne parte della provincia d'Asia e poi con l'impero bizantino inclusa nel thema delle Isole Egee. In seguito alla conquista da parte dell'impero ottomano, la Troade venne a formare parte del sangiaccato di Biga.\n\nLa Troade secondo la mitologia greca.\nDopo la morte di Dardano (figlio di Zeus e di Elettra), fondatore della città di Dardania, il regno passò al nipote Troo, che chiamò la regione 'Troade' e gli abitanti 'troi' (o 'troiani' secondo alcuni autori latini).\nIlo, figlio di Troo, fondò la città di Ilio o, altrimenti detta, Troia. La città fu retta poi da Laomedonte e quindi da Priamo, durante il cui regno venne assediata dagli Achei; cadde dopo dieci anni di guerra, e gran parte della popolazione fu uccisa o fatta schiava. Le vicende legate alla città sono cantate nei poemi greci del Ciclo Troiano e nell'Eneide.\nIlion non fu l'unico insediamento della Troade a darsi uno statuto; nello stesso periodo sorsero altri regni, i cui sovrani intervennero poi in difesa di Priamo durante il decennale assedio. Il regno più grande era quello della città di Arisbe, governato da Asio, figlio della moglie ripudiata di Priamo (Arisbe, donde il nome della capitale) e di Irtaco; il giovane controllava anche le città di Sesto, Abido e Percote. Adrasto e Anfio, suoi zii materni, erano invece sovrani rispettivamente di Adrastea e Pitiea. A Colone regnava Cicno, mentre suo figlio Tenete aveva preso il potere a Tenedo, l'isola di fronte a Troia. Nella città di Zelea, infine, comandava Licaone: questi fu l'unico che non prese personalmente parte alla guerra di Troia, essendo già avanti negli anni, e vi inviò suo figlio Pandaro.\n\nLa Troade nel Nuovo Testamento.\nPaolo visitò la Troade e ad essa si riferisce quando chiede al suo amico Timoteo, fuori da Efeso, di portargli il suo mantello che aveva lasciato là a casa di Carpo. Questo era stato un viaggio di circa 500 km; Paolo venne accompagnato da Luca.\n\nCittà.\nAdrastea.\nArisbe.\nAstira.\nAzia.\nBerito (Troade).\nColone.\nPercote.\nPitiea.\nTroia.\nZelea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Trofonio.\n### Descrizione: Trofonio (Τροφώνιος) è stato un eroe greco divenuto poi un demone o un dio - non si sa esattamente quale dei due - con una ricca tradizione mitologica e un culto oracolare a Livadeia in Beozia.\n\nIl mito.\nIl nome etimologicamente deriva da trepho, 'nutrire'. Strabone e diverse iscrizioni si riferiscono a lui come Zeus Trephonios. Molti altri Zeus Ctoni sono noti nel mondo greco, tra cui Zeus Meilikhios (Zeus 'dolce come il miele') e Zeus Ctonio ( 'Zeus sotterraneo') .\nNella mitologia greca, Trofonio era figlio di Ergino. Secondo l'Inno omerico ad Apollo, Trofonio iniziò a costruire il tempio a Delfi con suo fratello, Agamede per dedicarlo ad Apollo. Una volta terminato, l'oracolo vaticinò ai fratelli di fare ciò che volevano per sei giorni e, il settimo, il loro più grande desiderio sarebbe stato concesso. Obbedendo all'oracolo, furono trovati morti il settimo giorno. Il detto 'coloro che gli dèi amano muoiono giovani' viene da questa storia.\nSecondo Pausania, invece, i due gemelli costruirono una camera del tesoro (con un unico ingresso segreto di cui solo loro conoscevano l'esistenza) per il re Iprieo della Beozia. Utilizzando l'entrata segreta, rubarono la fortuna di Iprieo poco alla volta. Egli era consapevole dei furti, ma non sapeva chi fosse il ladro e così escogitò una trappola. Agamede rimase intrappolato in questa; Trofonio gli tagliò la testa e se la portò via, in modo che Iprieo non avrebbe saputo di chi fosse il corpo caduto nel tranello. Poi si rifugiò nella caverna di Lebadaea: qui la terra lo inghiottì, ed egli scomparve per sempre.\n\nStoria e culto.\nSecondo Pausania, la grotta di Trofonio non era ancora conosciuta quando la Beozia venne colpita dalla siccità e furono inviati cittadini di varie città a consultare l'oracolo di Delfi. La Pizia rivelò loro che avrebbero dovuto trovare la tomba di Trofonio, presso Lebadea, e farsi dire il rimedio. Dopo diverse ricerche risultate infruttuose, proprio quando la siccità sembrava destinata a perdurare, un anziano inviato seguì una scia di api in un buco nel terreno. Invece di miele, trovò la divinità, e la regione fu libera dalla piaga.\nLa descrizione che Pausania fornisce dell'oracolo è la seguente. Dopo un periodo di ritiro e digiuno il consultante è ammesso a compiere sacrifici a Trofonio, successivamente viene portato a bere a due sorgenti, la prima di Lethe, per dimenticare la vita umana, la seconda di Mnemosyne, per conservare in memoria ciò che apprenderà nell'altro mondo. A questo punto penetra nella 'bocca oracolare' introducendovi prima i piedi e poi le ginocchia; il resto del corpo è 'tirato a forza'. Dopo qualche tempo in stato di semi-incoscienza il paziente viene tratto fuori dai preposti all'oracolo e fatto sedere sul trono della Memoria. Infine esce dallo stato comatoso, riprende la facoltà di ridere e può uscire con il suo responso.\nNel De genio Socratis Plutarco ci riferisce di un sogno-visione riguardante il cosmo e l'aldilà che è stato presumibilmente ricevuto dall'oracolo di Trofonio." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Troia.\n### Descrizione: Troia o Ilio (in greco antico: Τροία? o Ἴλιον, Īlĭŏn, o Ἴλιος, Īlĭŏs, e in latino Trōia o Īlium) è stata un'antica città dell'Asia Minore posta all'entrata dell'Ellesponto, su una collina di Hissarlik, nella moderna Turchia. Attualmente è un sito storico, chiamato Truva e popolato da un centinaio di abitanti.\nWilusa, termine presente in più parti negli archivi reali Ittiti, secondo una ricerca condotta da Frank Starke nel 1996, ormai universalmente accettata dal mondo accademico, da J. David Hawkins nel 1998 e da WD Niemeier nel 1999 era il nome, nella lingua luvia/ittita propria degli abitanti dell'area, della città poi passata alla storia come Troia.\nFu teatro della guerra di Troia narrata nell'Iliade, che descrive una breve parte dell'assedio (prevalentemente due mesi del nono anno di assedio, secondo la cronologia proposta dal poeta epico Omero, a cui viene attribuito il poema), mentre alcune scene della sua distruzione sono raccontate nell'Odissea. Dello stesso conflitto si canta in molti poemi epici greci, romani e anche medievali.\nAltri poemi ellenici arcaici notevoli sulla guerra di Troia sono i Canti Cipri, le Etiopide, la Piccola Iliade, la Distruzione di Troia e i Ritorni. Il poema latino Eneide inizia descrivendo l'incendio finale della città. Un inserto poetico, la Troiae Alosis (Presa di Troia), è contenuto nella Pharsalia del poeta latino Marco Anneo Lucano.\nFu abitata fin dal principio del III millennio a.C.. Si trova ora nella provincia di Çanakkale in Turchia, presso lo stretto dei Dardanelli, tra il fiume Scamandro (o Xanthos) e il Simoenta e occupa una posizione strategica per l'accesso al Mar Nero. Nei suoi dintorni vi è la catena del monte Ida e di fronte alle sue coste si può vedere l'isola di Tenedo. Le condizioni particolari dei Dardanelli, dove c'è un flusso costante di correnti che passano dal Mar di Marmara al Mar Egeo e dove è solito soffiare un forte vento da nord-est durante tutta la stagione che va da maggio a ottobre, suggerisce che le navi, le quali durante le epoche più antiche abbiano cercato di attraversare lo stretto, spesso abbiano dovuto attendere condizioni più favorevoli attraccate per lunghi periodi nel porto di Troia.\nDopo secoli di abbandono, le rovine di Troia sono state riscoperte sulla collina di Hissarlik durante gli scavi svolti nel 1871 dallo studioso tedesco di archeologia Heinrich Schliemann, a seguito di alcune indagini iniziali condotte a partire dal 1863 da Frank Calvert. Il sito archeologico di Troia è stato proclamato patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO nel 1998.\n\nTroia mitica.\nFondazione.\nSecondo la mitologia greca, la famiglia reale troiana trova i suoi capostipiti in Elettra, una delle Pleiadi, e in Zeus, i genitori divini di Dardano. Questi, nato in Arcadia, secondo la tradizione riportata dal mito, giunse in quella terra dell'Asia Minore proveniente dall'isola di Samotracia. Qui conobbe Teucro, che lo trattò con rispetto e instaurò con lui un rapporto di salda amicizia, tanto da donargli in sposa la propria figlia Batea.\nDardano fondò nelle vicinanze un primo insediamento urbano, che volle chiamare Dardania. Dopo la sua morte il regno passò al nipote Troo. Uno dei figli di quest'ultimo, il bel principe Ganimede, mentre si trovava a pascolare il gregge sul monte Ida, venne rapito da Zeus. Il re dell'Olimpo, rimasto ammaliato dalla sublime bellezza del giovinetto, lo volle perennemente al suo fianco sull'Olimpo per fargli da coppiere.\n\nIlo, un altro dei figli di Troo, diede le basi per la fondazione di quella che sarebbe stata conosciuta come Troia/Ilion, chiedendo al contempo al Signore degli dèi un segno della sua benevolenza e del suo favore riguardo all'impresa: ed ecco che del tutto casualmente venne rinvenuta nelle profondità della terra una grande statua lignea nota come Palladio (in quanto raffigurante Pallade, una cara amica, nonché compagna di giochi della dea Atena: si racconta che ancora fanciulla, Atena uccise incidentalmente la sua compagna di giochi Pallade, mentre si era impegnata con lei in uno scherzoso combattimento, armate di lancia e di scudo. In segno di lutto, Atena aggiunse il nome di Pallade al proprio), apparentemente caduta dal cielo. Un oracolo poi vaticinò che fino a quando la statua fosse rimasta all'interno del perimetro cittadino, Troia si sarebbe mantenuta invincibile, con delle mura inattaccabili. Ilo fece subito costruire un tempio dedicato ad Atena nel luogo esatto del ritrovamento.\nGli abitanti di Troia vennero chiamati collettivamente 'il popolo dei troiani', mentre Teucro, assieme ai discendenti di Dardano, Troo e Ilo, furono considerati i fondatori eponimi del sito. Gli antichi romani, a loro volta, successivamente associarono il nome del luogo con quello di Ascanio (in lingua latina Iulo), il figlio del principe troiano Enea e mitico antenato della Gens Giulia, a cui appartenne tra gli altri anche Giulio Cesare.\n\nLa costruzione delle mura e la prima conquista da parte di Eracle.\nFurono gli dèi Poseidone e Apollo a fornire la città di grandi mura e fortificazioni attorno al perimetro abitato, cosicché potesse divenire inespugnabile. Lo fecero per Laomedonte, figlio di Ilo e suo successore al trono. Eseguito quanto pattuito, al termine dei lavori Laomedonte si rifiutò però di pagare il salario concordato: Poseidone allora, per vendicarsi, inondò la campagna, distruggendone i raccolti, e scatenò un mostro marino che divorò gli abitanti. L'ira del dio, secondo l'oracolo che venne consultato, si sarebbe placata solo se Laomedonte avesse fornito come sacrificio umano al mostro la propria figlia Esione.\nLa vergine doveva essere divorata dal mostro e venne quindi incatenata a una roccia prospiciente la costa: ma giunse proprio allora al palazzo reale Eracle, che chiese al re cosa stesse succedendo. Questi gli spiegò la situazione e l'eroe si offrì di uccidere il mostro, ricevendo la promessa di ottenere in cambio i due velocissimi cavalli divini che Troo aveva ricevuto a suo tempo, in regalo dallo stesso Zeus a titolo di risarcimento per il rapimento del figlio Ganimede.\nEracle, giunto alla spiaggia, ruppe le catene che tenevano avvinta l'inerme fanciulla e la riconsegnò sana e salva tra le braccia del padre; poi si apprestò ad affrontare la terrifica creatura. Sostenuto dalla dea Atena riuscì dopo tre giorni di accesa battaglia ad aver la meglio sul mostro, uccidendolo. A questo punto, liberata la città e tutta la campagna circostante dall'essere sovrumano, si recò a reclamare la ricompensa: ma anche questa volta Laomedonte si rifiutò di saldare il debito contratto e cercò anzi d'ingannare l'eroe facendo sostituire i cavalli divini con degli animali ordinari.\nIn alcune versioni del mito questo episodio si situa all'interno della spedizione degli Argonauti: Eracle se ne andò irato e s'imbarcò alla volta della Grecia, minacciando però ritorsioni e promettendo che sarebbe ritornato. Alcuni anni dopo, l'eroe, dopo aver reclutato a Tirinto un esercito di volontari, tra cui vi erano Iolao, Telamone, Peleo e Oicle, guidò una spedizione punitiva composta da 18 navi. Dopo un aspro assedio, le mura furono violate ed Eracle conquistò Troia, facendo prigionieri gli abitanti e uccidendo il fedifrago Laomedonte con tutti i suoi figli, ad eccezione del giovane Podarce, l'unico tra i figli maschi di Laomedonte ad essersi a suo tempo opposto al padre, consigliandogli di rispettare i patti e consegnando le cavalle ad Eracle.\nEracle risparmiò anche la bella Esione, che diede in sposa al suo caro amico Telamone. Ella chiese che il fratello Podarce venisse fatto liberare dallo stato di schiavitù in cui era stato costretto assieme agli altri superstiti: da quel momento egli si volle chiamare Priamo (il salvato), perché fu liberato dalla schiavitù.\nInfine, dopo aver devastato tutta la campagna circostante, Eracle, finalmente pago di vendetta, se ne andò assieme a Glaucia, figlia del dio fluviale Scamandro, lasciando come effettivo re di Troia Priamo, in virtù del suo senso di giustizia.\n\nLa guerra di Troia: assedio e distruzione.\nSecondo Omero, come narrato nel suo poema epico Iliade, lo scontro che vide affrontarsi gli Achei provenienti dalla penisola greca e il popolo dei troiani avvenne proprio sotto il tardo regno del re Priamo; Eratostene ha datato la guerra di Troia tra il 1194 e 1184 a.C., il Marmor Parium tra il 1219 e il 1209 a.C., infine Erodoto attorno al 1250 a.C.\nLa città fu assediata per dieci lunghi anni dalla spedizione dei micenei al comando di Agamennone re di Micene, che voleva in tal modo vendicare l'onta subita dal fratello Menelao re di Sparta, ossia il rapimento di sua moglie Elena (definita la donna più bella del mondo) da parte del principe troiano Paride, il più giovane tra i figli di Priamo. La guerra fu vinta e la città cadde grazie allo stratagemma del cavallo di legno ideato da Ulisse, l'astuto signore di Itaca.\nSecondo la tradizione letteraria, la maggior parte degli eroi di Troia e dei suoi alleati morirono nel corso della guerra; solo alcuni riuscirono a porsi in salvo, dando origine secondo diversi autori ad alcuni popoli del Mediterraneo. Tucidide ed Ellanico di Lesbo riportano la narrazione per cui dei sopravvissuti si stabilirono in Sicilia, nelle città di Erice e Segesta, ricevendo il nome di Elimi.\nInoltre Erodoto dice che anche i Mashuash, una tribù della costa libica occidentale, rivendicavano il fatto di essere discendenti diretti di uomini arrivati da Troia. Alcune di queste storie mitiche, talvolta con contraddizioni tra loro, compaiono sia nell'Iliade che nell'Odissea, oltre che in altre opere e frammenti successivi.\n\nSecondo la leggenda romana narrata da Virgilio e Tito Livio un gruppo guidato da Enea e un altro da Antenore sopravvissero e navigarono prima fino a Cartagine e poi in direzione della penisola italiana. Enea raggiunse il Lazio dove è considerato il diretto antenato dei fondatori di Roma; il gruppo di Antenore proseguì invece lungo la costa settentrionale del Mar Adriatico ove gli viene anche attribuita la fondazione della città di Padova. Ai primi insediamenti di questi sopravvissuti in Sicilia e in Italia sono stati altresì dati il nome di 'Troia'. Le navi troiane su cui viaggiavano i marinai fuggiaschi vennero trasformate da Cibele in naiadi, quando stavano per essere affrontati da Turno, l'avversario di Enea in Italia.\n\nDatazione 'letteraria' della guerra di Troia.\nFonti letterarie greche parlano di una distruzione di Troia ad opera greca da collocarsi piuttosto nella fine del XII secolo a.C.\nTucidide parla di Agamennone e della guerra di Troia nel II libro della sua opera storica intitolata Guerra del Peloponneso (par. 9), ma la datazione è ricavabile piuttosto dal passo del libro V legato al cosiddetto 'discorso dei Meli'. Nel dialogo con gli Ateniesi, i Meli sottolineano di essere di tradizione dorica e di essere stati colonizzati dagli Spartani da settecento anni. Siccome l'avvenimento è del 416 a.C. e passano ottant'anni tra la guerra di Troia e la colonizzazione dei Dori ('ritorno degli Eraclidi'), la data attribuita da Tucidide alla caduta di Troia è il 1196 a.C.\n\nErodoto ricostruisce una datazione più antica, ma attraverso una ricerca meno storiografica: nel II libro delle Storie (lògos egizio, cap.145) egli sostiene di essere nato quattrocento anni dopo Omero ed Esiodo. La distruzione di Troia è così spostata più indietro: tra il 1350 e il 1250 a.C.\nEratostene di Cirene è autore della datazione che, dal III secolo a.C., riscuote maggiore successo. Non essendoci giunte opere complete di questo autore, la sua datazione viene riportata da Dionigi di Alicarnasso nelle Antichità romane, in un passato collegato all'arrivo di Enea in Italia e alla fondazione di Lavinio.\nDionigi riporta la data esatta, in termini antichi, della caduta di Troia, che corrisponderebbe all'11 giugno 1184-1182 a.C.. Ultima conferma sembra venire dalla Piccola Cosmologia di Democrito di Abdera, filosofo del V secolo a.C. e contemporaneo di Erodoto; egli dice di aver composto quest'opera 730 anni dopo la distruzione di Troia: essendo vissuto intorno al 450 a.C., la data in questione risulta essere il 1180 a.C..\n\nDiscendenti dei Troiani.\nIn passato non era raro che genti, popoli, nazioni, famiglie e uomini importanti cercassero di darsi un'origine nobile; normalmente era la letteratura antica che forniva gli 'agganci' giusti; così moltissimi sono i popoli, le genti, le nazioni, i re e le dinastie che hanno fatto derivare la propria origine genealogica ed 'etnica' da Troia:.\n\nantichi Romani – Romolo e Remo, i mitici fondatori della città di Roma, discendevano in linea diretta dal troiano Enea;.\nElimi, un popolo della Sicilia occidentale, come asserito da Tucidide e Dionigi d'Alicarnasso;.\nFranchi – antenati di parte dei francesi e tedeschi;.\nIliensi – popolo appartenente alla Civiltà nuragica della Sardegna centro-meridionale. Il loro nome deriverebbe proprio da Ilion, altro nome di Troia;.\nScandinavi e Islandesi, che riconducevano, con autori come Snorri Sturlusson, la genealogia di re e dinastie al mitico Re di Turchia, intendendo con questa denominazione il Re di Troia);.\nTurchi – ancora Ataturk amava sottolineare questa derivazione;.\nVeneti – il nobile principe Antenore avrebbe guidato un gruppo di troiani superstiti nella ricerca di una nuova patria nelle terre dell'alto Adriatico e qui fondato Padova;.\nBritanni – Bruto di Troia, figlio di Ascanio e nipote di Enea, secondo l'Historia Brittonum, dopo aver ucciso per errore il padre ed essere stato bandito per questo, avrebbe vagato in Etruria e per tutta la Gallia, fino a giungere nell'isola di Britannia divenendone il primo re attorno al 1100 a.C.\n\nStoricità della guerra di Troia.\nIl problema della storicità della guerra di Troia ha scatenato nel corso dei secoli speculazioni di ogni tipo. Lo stesso Heinrich Schliemann ammise che Omero era un autore di poesia epica e non uno storico, ma era anche fermamente convinto che non si fosse inventato tutto e che potrebbe aver esagerato per licenza poetica le dimensioni di un conflitto storicamente avvenuto. Poco dopo, l'esperto di archeologia Wilhelm Dörpfeld ebbe a sostenere che 'Troia VI' fosse stata vittima dell'espansionismo miceneo. A questa ipotesi si rifece Sperling ancora nel 1991.\n\nGli studi approfonditi di Carl Blegen e del suo team hanno concluso che una spedizione achea deve essere stata la causa della distruzione di 'Troia VII-A', avvenuta all'incirca attorno al 1250 a.C. – poi corretto in una data più vicina al 1200 a.C. –, ma non si è ancora in grado di dimostrare chi effettivamente siano stati gli aggressori di 'Troia VII-A'. Nel 1991 Hiller ha ipotizzato due diverse guerre, avvenute in differenti epoche, ad aver segnato la fine di 'Troia VI' e di 'Troia VII-A'. Nel 1996 Demetriou ha insistito sulla data del 1250 a.C. per una storica guerra di Troia, tramite uno studio che si basa su siti archeologici ciprioti.Al contrario Moses Finley ha più volte negato la presenza di elementi espressamente micenei nei poemi omerici e rileva l'assenza di prove archeologiche inconfutabili per dare piena storicità al mito. Altri studiosi di spicco appartenenti a questa corrente scettica sono lo storico Frank Kolb e l'archeologo tedesco Dieter Hertel.\nIl filologo classico e grecista Joachim Latacz, in uno studio che collega fonti archeologiche, fonti storiche ittite e passi omerici, come il lungo catalogo delle navi del Libro II dell'Iliade, ha testato l'origine micenea della leggenda, ma per quanto riguarda la storicità della guerra si è mantenuto cauto, ammettendo solo la probabile esistenza di un substrato storico nella generalità del racconto.\nAlcuni hanno cercato di sostenere la storicità del mito con lo studio di testi storici coevi dell'età del bronzo. Carlos Moreu ha interpretato un'iscrizione egizia proveniente da Medinet Habu, in cui si narra dell'attacco contro l'Egitto da parte dei cosiddetti popoli del Mare, in modo diverso dall'ermeneutica tradizionale. Secondo la sua interpretazione, gli Achei avrebbero attaccato diverse regioni dell'Anatolia comprese tra la città di Troia e l'isola di Cipro; i popoli attaccati si sarebbero poi accampati tra gli Amorrei e successivamente avrebbero formato una coalizione, che avrebbe affrontato il faraone Ramses III nel 1186 a.C..\n\nTroia storica.\nNelle fonti Ittite.\nLa città di Troia fu abitata con certezza fin dalla prima metà del III millennio a.C., ma il suo massimo splendore coincise con l'ascesa dell'impero ittita. Nel 1924, poco dopo la decifrazione della scrittura in lingua ittita, il linguista Paul Kretschmer aveva paragonato un toponimo che compare nelle fonti ittite, Wilusa, con il toponimo greco Ilios utilizzato come nome di Troia. Gli studiosi, sulla base di prove linguistiche, hanno stabilito che il nome di Ilios aveva perso un digamma iniziale e in precedenza era stato Wilios. A questo si unisce anche una comparazione col nome di un re troiano così come è scritto nei documenti ittiti (datati all'incirca al 1280 a.C.), denominato Alaksandu: Alessandro è utilizzato nell'Iliade come nome alternativo per indicare Paride, il principe troiano rapitore della regina Elena.Le proposte per l'identificazione di Wilusa con W-Ilios e Alaksandu con Alexander-Paride furono inizialmente motivo di accese controversie: era dubbia difatti la posizione geografica di Wilusa e nelle fonti ittite compare anche il nome di Kukunni come re di Wilusa e possibile padre di Alaksandu, personaggio che sembrerebbe non intrattener alcuna relazione apparente con la leggenda di Paride. Alcuni hanno suggerito che questo nome possa avere il suo equivalente in greco nel nome Κύκνος (Cicno, figlio di Poseidone), un altro personaggio presente nell'epica del Ciclo troiano.\nTuttavia, nel 1996, l'orientalista tedesco Frank Starke ha dimostrato che in effetti la posizione di Wilusa deve essere pressappoco situata nello stesso luogo di Troia, nella regione della Troade, cosicché oggi l'identificazione tra Troia e Wilusa sembra generalmente accettata. Una minoranza (tra cui l'archeologo Dieter Hertel) rifiuta però di accettare questa identificazione. I principali documenti ittiti che citano Wilusa sono:.\n\nil cosiddetto Trattato di Alaksandu, un patto stipulato tra il re ittita Muwatalli II e Alaksandu re di Wilusa, risalente al 1280 a.C. Dal testo decifrato di questo trattato è stato dedotto che Wilusa aveva un rapporto di subordinazione, ma anche di alleanza, nei confronti dell'Impero ittita.Tra gli dei i cui nomi vengono menzionati nel trattato come testimoni dell'alleanza figurano 'Apaliunas', da alcuni ricercatori identificato con Apollo, e Kaskalkur, cioè 'strada conducente agli inferi', una Dea dei flussi sotterranei. Su chi rappresentasse effettivamente Kaskalkur, l'archeologo Manfred Korfmann indica che in quella maniera vengono designati i corsi d'acqua che, scomparendo nel terreno di certe regioni, vengono poi a riemergere verso l'esterno (il fenomeno del carsismo), ma gli Ittiti hanno usato questo concetto anche per le gallerie d'acqua sotterranee costruite artificialmente. Questa divinità è stata quindi associata direttamente a Troia con la scoperta di una grotta con una sorgente d'acqua potabile sotterranea posta 200 metri a sud della parete dell'Acropoli cittadina.\nDopo aver analizzato le pareti di calcare, Korfmann ha stabilito che la grotta esisteva già fin all'inizio del III millennio a.C. e che potrebbe essere stata la fonte di alcuni miti. Ha inoltre preso atto della coincidenza che dovrebbe supporre l'allusione fatta dall'autore Stefano di Bisanzio a proposito di un tale 'Motylos', che potrebbe benissimo essere un'ellenizzazione del nome Muwatalli, colui che ospitò Alessandro e Elena.Una lettera scritta dal re della Terra del fiume Seha (uno stato vassallo degli ittiti) Manhapa-Tarhunta al sovrano Muwatalli II, anch'essa quindi datata intorno al 1285 a.C., che fornisce le informazioni che un certo Piyama-Radu (qui l'assonanza col nome di Priamo è notevole) aveva guidato una spedizione militare del regno acheo di Ahhiyawa contro Wilusa e l'isola Lazba, identificata dai ricercatori con Lesbo, conquistandole temporaneamente.\nNella Lettera di Tawagalawa (ca. 1250 a.C.), generalmente attribuita a Hattušili III, il re ittita si riferisce a precedenti ostilità tra gli Ittiti e gli Ahhiyawa (identificati con un non meglio precisato regno Miceneo) proprio a riguardo di Wilusa: «Ora abbiamo raggiunto un accordo sulla questione di Wilusa, rispetto a cui ci trovavamo in inimicizia.».L'ultima menzione di Wilusa conservata nelle fonti ittite appare in un frammento chiamato Lettera di Millawata, inviata dal re Tudhaliya IV (1237-1209 a.C.) a un destinatario ignoto, che gli studiosi ritengono essere il sovrano dello stato vassallo di Mira, Tarkasnawa. In essa il re degli Ittiti invita il destinatario, una sorta di supervisore regionale per conto ittita dell'area Arzawa, a reinstallare sul trono di Wilusa un certo Walmu, successore diretto o meno di Alaksandu, che era stato deposto ed esiliato. Tuttavia l'ittitologo australiano Trevor Bryce osserva che questo fatto è menzionato anteriormente, proponendo quindi una sua reinterpretazione anche della lettera Tawagalawa.\nInoltre, in un rapporto di re Tudhaliya I/II (ca. 1420-1400 a.C.) si afferma che, dopo una spedizione di conquista, un certo numero di paesi ha dichiarato guerra, la cui lista elenca di seguito: «... il paese Wilusiya, il paese Taruisa ...». Alcuni ricercatori, come Garstang e Gurney, hanno dedotto che Taruisa potrebbe identificarsi col sito di Troia: tuttavia tale corrispondenza non ha ancora il sostegno della maggioranza degli ittitologi.\n\nNelle fonti egizie.\nNon vi sono menzioni sicure di Troia nelle fonti egizie dell'età del bronzo. Tuttavia alcuni studiosi hanno indagato il rapporto che si potrebbe trovare con le iscrizioni di Medinet Habu, le quali raccontano della battaglia intrapresa dagli Egizi dei tempi di Ramses III contro i misteriosi popoli del Mare, che avevano tentato l'invasione del suo territorio nel 1186 a.C.. Secondo le iscrizioni, gli Egizi risultarono vincitori sia in una battaglia di terra che in una navale avvenuta presso il delta del Nilo contro una coalizione di popoli di identificazione dubbia. Tra i nomi dei gruppi che componevano la coalizione sono compresi anche i Weshesh – che potrebbero essere connessi a Wilusa – e i Tjeker che sono stati connessi ai troiani.\n\nNelle fonti greche.\nTroia fu conquistata anche da Ciro il Grande, Imperatore dei persiani. Come in tutte le altre città-Stato greche dell'Asia Minore, i suoi cittadini subirono innalzamenti delle tasse e l'obbligo alla partecipazione come soldati nell'esercito persiano (una città che, stanca della dominazione persiana, decise di ribellarsi nel 499 a.C. fu Mileto, e venne rasa al suolo). Dopo la fine delle Guerre Persiane intorno al 480 a.C. Troia entrò nell'egemonia ateniese e fece parte della Lega di Delo o Delio-Attica. Dopo la sconfitta di Atene nella Guerra del Peloponneso contro Sparta e alleati, le colonie greche dell'Asia Minore, tra cui anche Ilio (Troia), che facevano parte della Lega di Delo, passarono sotto il dominio persiano con il consenso di Sparta.\nDopo la morte di Filippo II di Macedonia, che aveva riunito tutte le poleis greche nella Lega Panellenica ad eccezione di Sparta, sale al trono il figlio Alessandro Magno che, appassionato dell'epica micenea, conquista l'Ellesponto e la Troade, dove si trovava Troia, che all'epoca esisteva ancora come piccola polis, e dove onorò le spoglie di Achille, assieme al carissimo amico Efestione.\n\nNelle fonti romane.\nLa città fu distrutta nel corso della prima guerra mitridatica da un certo Flavio Fimbria, comandante di due legioni romane, il quale secondo Appiano di Alessandria, dopo aver saputo che la città aveva richiesto la protezione di Lucio Cornelio Silla:.\n\nLa Novum Ilium (Nuova Ilio in latino) fu poi visitata da Giulio Cesare nel 48 a.C. A Troia si possono trovare vari resti archeologici risalenti all'epoca romana come l'Odeon, un piccolo teatro, terme e altri edifici.\n\nLa fine di Troia.\nDopo che l'imperatore Costantino I rese il cristianesimo religione lecita dell'Impero romano, l'imperatore Flavio Claudio Giuliano, sostenitore del paganesimo, visitò la città nel 354-355 e poté verificare che la tomba di Achille si trovava ancora lì e che vi si offrivano ancora sacrifici rivolti ad Atena. Tuttavia, nel 391 furono vietati per sempre i riti pagani.\nIntorno all'anno 500 si verificò un vasto terremoto, che causò il crollo definitivo degli edifici più emblematici di Troia. Sembra che l'antica città sia rimasta viva come un semplice villaggio durante tutto il periodo dell'impero bizantino fino al XIII secolo, ma pochissime sono le notizie di eventi successivi e a poco a poco l'esistenza stessa della città cadde nell'oblio.\nA seguito di varie sconfitte subite dai bizantini nel 1354, la Troade passò all'Impero ottomano. Dopo la definitiva caduta di Costantinopoli nel 1453, la collina su cui sorgeva Troia fu chiamata Hissarlik, che significa in turco 'dotata di forza'. Dal 1923 è parte della Turchia.\n\nGli scavi.\nIl dilemma Hissarlik-Bunarbaschi.\nFin dai primi anni del XIX secolo la scoperta di una varietà di iscrizioni aveva convinto Edward Daniel Clarke e John Martin Cripps che Troia fosse sulla collina di Hissarlik, circa 4,5 km dall'ingresso ai Dardanelli, nel sito dell'antica città di Troia. Nella sua dissertazione sulla topografia della pianura circostante pubblicato a Edimburgo nel 1822, il geologo scozzese Charles MacLaren aveva avanzato l'ipotesi che la posizione della Nuova Ilio greco-romana coincidesse con la rocca cantata da Omero.\nTuttavia non tutti i ricercatori sembravano essere d'accordo. Nel 1776 il giovane diplomatico francese Marie-Gabriel-Florent-Auguste de Choiseul-Gouffier credeva che Troia fosse invece situata sulla collina di Bunarbaschi a 13 km dai Dardanelli: questa seconda ipotesi fu resa popolare anni dopo da Jean Baptiste Le Chevalier. In quel momento entrambe le possibilità non erano prese in seria considerazione dalla maggior parte degli studiosi.\n\nSchliemann.\nNel 1871 l'archeologo dilettante tedesco Heinrich Schliemann (1822-1890), seguendo le indicazioni e le descrizioni dei testi omerici, organizzò una spedizione archeologica in Anatolia, sulla sponda asiatica dello stretto dei Dardanelli. I suoi scavi si concentrarono sulla collina di Hissarlik, dove era avvenuto un precedente scavo archeologico della scuola francese guidata da Calvert, poi interrotto per mancanza di fondi. Qui si trovò di fronte a più strati, che corrispondevano a differenti periodi della storia di Troia.\nArrivato al secondo strato (a partire dal basso), riportò alla luce un immenso tesoro e pensò di aver scoperto il leggendario tesoro di Priamo narrato nell'Iliade. I suoi ritrovamenti, però, risalivano a un periodo precedente a quello della Troia omerica, collocata intorno al XIII secolo a.C.. La città narrata nei poemi omerici, si scoprì in seguito, era collocata al settimo strato.\n\nMissioni archeologiche successive.\nLe successive campagne di scavo furono condotte da Wilhelm Dörpfeld (1893-1894) e Carl Blegen (1932-1938). Le ricerche portarono alla scoperta di nove livelli sovrapposti, con varie suddivisioni, datati con l'ausilio dell'analisi degli oggetti rinvenuti e l'esame delle tecniche costruttive utilizzate, e dei quali è stato possibile delineare le piante delle ricostruzioni.\n\nLe dieci città.\nDopo i vari scavi si è riusciti finalmente a ricostruire la storia di Troia, stabilendone dieci fasi di occupazione nel tempo. I primi quattro insediamenti, da Troia I a Troia IV, si sono sviluppati nel corso del III millennio a.C. e hanno una chiara continuità culturale anche con Troia V. Troia VI attesta una seconda fioritura della città, mentre Troia VII è la principale candidata a venir identificata con la città omerica.\nTroia VIII e IX coprono rispettivamente la Grecia arcaica, il periodo della Grecia classica rappresentato dalla cosiddetta 'età di Pericle', l'epoca dell'ellenismo e infine quello della civiltà romana. Troia X è il centro urbano al tempo dell'impero bizantino. Dal primo insediamento e fino a Troia VII non ci sono resti di documentazione scritta che possano aiutare la valutazione dello sviluppo storico e sociale della città.\n\nTroia I.\nLa cittadella originaria di Troia presenta differenti fasi di costruzione (almeno una decina), sviluppatesi, secondo Carl Blegen e altri, nel corso di cinque secoli tra il 2920 e il 2500/2450 a.C. circa. La sua stratigrafia misura più di quattro metri di profondità e occupa solo la metà della collina nord-occidentale.\nPortata alla luce da Heinrich Schliemann, è costituita da un recinto di mura in pietra fortificata dello spessore di 2 metri e 50 cm, probabilmente fatto di bastioni quadrangolari; le tracce trovate sul lato orientale misurano un'altezza di 3,5 metri e controllano l'ingresso. Si trattava di pietre irregolari e ridotte dal lato posto più in alto; altre parti rinvenute comprendono una pianta rettangolare con resti di un mégaron interno. Appaiono per la prima volta anche ceramiche decorate con facce umane schematiche. Ospitava una popolazione la cui cultura, chiamata Kum Tepe, si considera appartenente alla prima età del bronzo. È stata distrutta da un incendio e quindi ricostruita ha dato luogo a Troia II.\n\nTroia II.\nAnche se Troia I è stata bruscamente distrutta, non vi è alcuna interruzione né cronologica né culturale con l'immediatamente seguente Troia II, sviluppatasi tra il 2500/2450 e 2350/2300 a C. e comprendente almeno otto fasi costruttive, in cui è via via cresciuta fino a occupare un'area di novemila metri quadrati.\nQuesta fase di occupazione è stata scoperta inizialmente da Schliemann e recensita da Dörpfeld. Si tratta già di una vera e propria piccola città con case in mattoni crudi che recano segni di distruzione da incendio. Schliemann suppose immediatamente che potessero identificarsi con i resti della reggia di Priamo rasa al suolo dagli Achei.\nSecondo Dörpfeld era una città molto prospera, in quanto sono stati rinvenuti i resti anche della grande cinta muraria, oltre al palazzetto imperiale e ai suoi 600 pozzi e più, dove venivano abitualmente conservate le forniture: questi generalmente contenevano frammenti di grandi giare per la conservazione dei beni.\nIl muro poligonale è stato costruito con mattoni eretti su una base di pietra. Aveva due grandi porte d'accesso, che si potevano raggiungere attraverso rampe di pietra e torri quadrate agli angoli. La porta maggiore è posizionata sul lato sud-ovest, che attraverso un piccolo Propileo conduceva direttamente al palazzo reale, il megaron, l'edificio più importante. Originariamente di 35–40 m d'ampiezza, Dörpfeld vi ha trovato i resti di una piattaforma, che avrebbe potuto ospitare un'abitazione. L'altra struttura che lo affianca, sempre scoperta da Dörpfeld, dovrebbe essere l'insieme delle residenze private della famiglia reale e il magazzino centrale ove venivano portate le scorte in surplus.\nLa grande semplicità degli edifici di tutto il complesso di Troia II è comunque in netto contrasto con l'architettura ufficiale contemporanea dei re di Akkad (2300-2200 a.C.) della Mesopotamia, con il loro ricchissimo apparato scenico come residenze e templi che volevano celebrare i dominatori di Lagash, con la III dinastia di Ur e gli edifici monumentali dell'antico Egitto di epoca faraonica durante l'Antico Regno (2950-2220 a.C.). Questa semplicità degli edifici di Troia è ancor più sorprendente, se confrontata con l'abbondanza e la ricchezza della gioielleria e argenteria del tempo, attestata dal rinvenimento del celebre tesoro di Priamo, il patrimonio artistico più massiccio e di significativa importanza del III millennio a.C..\n\nQuesto tesoro rimane uno dei più importanti ritrovamenti della storia dell'archeologia. Composto da oggetti di valore in metalli pregiati e pietre preziose, Schliemann lo donò al suo paese natale, la Germania, che lo custodì in un museo di Berlino fino alla seconda guerra mondiale. Nel 1945, nonostante Hitler avesse ordinato di nascondere i reperti affinché non cadessero nelle mani dei russi, il tesoro fu segretamente trafugato dai sovietici come bottino di guerra e portato a Mosca.\nNessuno ne seppe più niente fino al 1993, quando Boris Eltsin – ospite del Presidente greco – rivelò inaspettatamente l'ubicazione del tesoro nel museo Puškin. La circostanza sarebbe stata confermata dallo stesso Eltsin alla Literaturnaja Gazeta, nonché dal ministro della cultura russo Sidorov. Dei nove lotti in totale, i più importanti comprendono le collezioni di coltelli, utensili e ornamenti per abiti oltre a molti vasi d'oro e d'argento.\nTra gli oggetti preziosi si trova anche un grande disco fornito di un omphalos – letteralmente 'ombelico': una sorta di rigonfiamento nel centro dell'oggetto – e di un largo manico piatto terminante con una serie di dischi più piccoli. Con grande probabilità fu utilizzato per setacciare l'oro ed è somigliante agli utensili simili trovati anche a Ur e a Babilonia, con una datazione che va tra la fine del III e l'inizio del II millennio a.C.\nTra le gemme vi sono due diademi atti ad adornare la fronte uniti con una frangia sottile, catene d'oro spesse ognuna delle quali termina con un ciondolo di lamine dorata a forma di foglia o di fiore: sono stati tutti recuperati assieme con una serie di collane e pendenti posti in una grande brocca d'argento.\n\nTroia III – IV – V.\nVerso la fine del III millennio a.C. una prima ondata di invasioni di popoli indoeuropei nel bacino del Mediterraneo segna notevoli cambiamenti, che vengono puntualmente registrati anche a Troia nelle fasi da III a V dell'esistenza della città. La sua vita culturale non sembra essere interrotta, ma si ritrova rallentata in modo drammatico. I resti degli edifici sono scarsi e notevolmente inferiori per qualità a quelli dell'epoca immediatamente precedente.\nL'immagine generale del sito risponde bene a quella di un centro commerciale di medie dimensioni piuttosto che alla prospera città del III millennio a.C..\n\nTroia III.\nSulle rovine di Troia II si cercò d'innalzare Troia III (2350/2300-2200 a.C.), sito più piccolo di quello che l'aveva preceduto, ma con un muro di pietra tagliata. Da quel poco che si sa si può dedurre che sia stata anch'essa costruita quasi interamente in pietra e non più in mattoni d'argilla. Caratteristici di questo breve periodo sono i vasi di forma antropomorfa, come quello trovato da Schliemann nel 1872 e che secondo lui avrebbe rappresentato un'arcaica 'Atena Iliade'.\n\nTroia IV.\nCon una superficie di 17.000 metri quadrati, Troia IV (2200-1900 a.C.) mostra la stessa tecnica di innalzamento delle mura peculiare dei siti II e III. Invece sono di uno stile del tutto nuovo i forni a cupola e un tipo di abitazione con quattro stanze.\n\nTroia V.\nTroia V (1900 - 1700 a.C. circa) è una ricostruzione totale e completa di Troia IV, sulla base di un piano urbano più regolare e con case più spaziose, ma rappresenta una rottura culturale rispetto agli insediamenti precedenti. Con esso si conclude la fase micenea della storia di Troia.\n\nTroia VI.\nTroia VI (1700-1300 a.C. o 1250 a.C.) è una grande città a pianta ellittica disposta su terrazze ascendenti, fortificata da alte e spesse mura costituite da enormi blocchi di pietra squadrati e levigati, con torri e porte, riemersa a nuova vita dopo la lunga fase precedente della cosiddetta 'città-mercato'. Corrisponde a un periodo cruciale della storia dell'Anatolia tra la fine delle colonie commerciali assire di Kültepe-Kanish (seconda metà del XVIII secolo a.C.) e la formazione e l'espansione dell'impero ittita fino alla prima metà del XIII secolo a.C., quando probabilmente un forte terremoto distrusse la città.\nFu un luogo prospero, sede di una corte reale, un principe o governatore e centro amministrativo, che si è gradualmente ampliato per raggiungere nel corso del XIV secolo a.C. la sua forma definitiva. Era abitata da una popolazione di immigrati proto-indoeuropei che s'impegnarono in nuove attività come l'allevamento e l'addestramento di cavalli, segnando ed imprimendo un notevole sviluppo nella tecnologia del bronzo e praticando il rito funebre della cremazione. La maggior parte dei frammenti di ceramica rinvenuti sono chiamati 'ceramica grigia dell'Anatolia'. Altri tipi di ceramiche appartenenti alla civiltà micenea sono state anche rinvenute e costituiscono prove dell'esistenza di relazioni commerciali tra Troia e i micenei.\nTra la strutture fondamentali di Troia VI sono evidenti le fortificazioni, con il monumentale bastione o baluardo di 9 m con angoli alti e molto affilati, in una posizione del tutto simile a quella di Troia II, in età del bronzo antico, che domina il corso dello Scamandro. In caso di assedio possedeva un enorme serbatoio di 8 m. di profondità all'interno del bastione centrale. La disposizione delle pareti con un diametro di circa 200 m. - il doppio del recinto più antico - si snoda in un secondo cerchio concentrico al precedente con un'altezza media di 6 m e uno spessore di 5.\nVi si accede da un portone, controllato da una torre fortificata e da altre tre secondarie, dalle quali partivano in senso radiale ampie strade convergenti verso il centro nord della città, oramai scomparsa. Passando attraverso le porte si incontravano pietre rettangolari in forma di pilastri, ciascuno incorporato in un altro blocco di pietra e delle dimensioni di una persona. Questo tipo di elementi architettonici è abbastanza comune nella zona ittita; l'archeologo Peter Neve crede che ciò potrebbe essere correlato al culto di divinità protettrici delle porte, mentre Manfred Korfmann suggerisce che potrebbero essere correlati al culto di Apollo.\nLa tecnica di costruzione è variamente complessa, con la struttura di base di pietra e la sovrastruttura di adobe ad un'altezza di 4-5 m. All'interno delle mura vi sono ancora poche case di piana rettangolare e comprendenti un portico, ma solamente il piano terra è rimasto conservato; tra le rovine più impressionanti di Troia VI va segnalata la cosiddetta 'casa delle colonne' di forma trapezoidale (di 26 m. di lunghezza e 12 di larghezza): si compone di un ingresso ad est e d'una grande sala centrale, terminante in tre stanze sul resto di dimensioni minori. Si trattava con tutta probabilità di un edificio pubblico per le cerimonie ufficiali reali.\nLa disposizione degli edifici e delle vie erano adattate alla forma circolare delle mura, il cui centro doveva essere costituito dal vasto palazzo reale col suo tempio. In un'altra collina chiamata Yassitepe, più vicina al mare, è stata rinvenuta una necropoli dello stesso periodo delle sepolture dell'età del bronzo con uomini, donne e bambini, così come corredi funerari costituiti dallo stesso tipo di ceramiche rinvenute a Troia VI. Qui sono stati trovati anche alcuni resti di cremazioni.\nLa vasta città inferiore, posta alla base dell'acropoli è stata scoperta dalla spedizione Korfmann a partire dal 1988, aiutata da una nuova tecnica chiama prospezione magnetica (vedi ricognizione archeologica). A seguito di questo rinvenimento si viene ora ad attribuire alla città nel suo complesso una superficie di 350.000 metri quadrati, cioè ben tredici volte superiore alla cittadella fino ad allora conosciuta. Dotata di dimensioni così considerevoli, la superficie di Troia ha superato un'altra grande città del tempo, Ugarit (di 200.000 metri quadrati) ed è attualmente una delle più vaste città dell'epoca del bronzo.\nLa sua popolazione sarebbe stata compresa tra le 5.000 e le 10.000 unità; durante un assedio si stima che potesse ospitare fino a 50.000 abitanti dell'intera regione. Prospiciente ad essa, nel 1993 e 1995, sono stati scoperti due pozzi paralleli di 1-2 metri di profondità, che avrebbero potuto servire come difesa contro un attacco perpetrato con carri da guerra; sono stati anche trovati una porta fortificata che parte dalle mura della città bassa ed una strada asfaltata che dalla piana del fiume Scamandro si dirige verso la porta posta ad ovest dell'acropoli.\nIl complesso di Troia VI fu probabilmente distrutto da un terremoto intorno al 1300 a.C., anche se alcuni ricercatori sono inclini ad indicare la sua fine verso il 1250.\n\nTroia VII.\nTroia VII a.\nLa città fu immediatamente ricostruita, ma ebbe vita breve (1300-1170 a.C.). I segni di distruzione da incendio hanno indotto Blegen a identificare questo strato come quello corrispondente alla Troia omerica. Dörpfeld si pose a favore della tesi che vuole l'insediamento di Troia VII A, in cui vi è uno spesso strato di cenere e resti carbonizzati, scoppiato improvvisamente ed in maniera violenta il quale può essere datato attorno al 1200 a.C.. Tra i resti trovati in questo strato erano compresi scheletri, armi, depositi di ghiaia che potrebbero essere le munizioni per il tiro con l'imbracatura - e, interpretato da alcuni come molto significativo, la tomba di una giovane ragazza coperta con una serie di teli da rifornimento, indicando una sepoltura urgente a causa di un assedio.\nInoltre, la data della sua fine non si discosta poi molto dalle datazioni che, in base alla durata delle generazioni, un insieme di studiosi greci quali Erodoto, Eratostene menzionano, mentre lo storico Duride di Samo e il filosofo Timeo suggeriscono il 1334 a. C. Pertanto, alcuni studiosi dicono che la città di Priamo corrisponde a Troia VII-A, nonostante l'inferiorità artistica ed architettonica indubbia che la distingue dal suo strato precedente.\n\nTroia VII b1.\nAl livello successivo, databile al XII secolo a.C. approssimativamente, sono stati trovati resti di una ceramica di tipo barbaro la quale non è stata fatta con l'utilizzo del tornio bensì a mano con argilla di grossolana fattura. Risultati simili sono stati ritrovati anche in altre zone e si presume pertanto che in questo momento un popolo straniero proveniente dai Balcani avesse preso il controllo del territorio.\nInoltre la città mostra un grande accumulo di terra bruciata fino ad un metro di profondità, con grandi e repentini sbalzi, che però non interrompono la continuità della vita nel sito, dove sono stati conservati i muri e le case; è stato dedotto che durante questo periodo vi siano stati almeno due incendi e che l'ultimo dei quali abbia prodotto la fine di questo cento urbano.\n\nTroia VII b2.\nLa più alta evidenza di una nuova componente di segno sociale e culturale è rappresentata dal livello di Troia VII-B-2, databile all'XI secolo a.C.. Vi sono state rinvenute ceramiche chiamate 'knobbed ware' (sebbene siano apparsi anche resti in ceramica simile a quello della fase precedente e anche un paio di resti di ceramica micenea) con le corna a forma di sporgenze decorative, diffuse principalmente nel territorio balcanico e probabilmente patrimonio delle nazioni dei nuovi arrivati, infiltrati pacificamente nella regione o a seguito del prodotto di scambi culturali tra Troia e altre regioni straniere. La tecnica di costruzione varia significativamente con pareti rinforzate nei corsi inferiori con monumentali megaliti.\nNel 1995 è stato trovato in questo strato un documento scritto costituito da un sigillo/timbro di bronzo, riportante segni di scrittura della lingua luvia. È stato decifrato nel suo senso generale, trovando che un lato contiene il termine 'scriba', mentre nella parte posteriore la parola 'donna' e, su entrambi i lati, un segno beneagurante. Si presume, pertanto, che il proprietario del sigillo debba essere stato un pubblico ufficiale. Troia VII-B-2 è caduta a causa di un incendio, probabilmente per cause naturali.\n\nTroia VII b3.\nDatabile fino a circa il 950 a.C.. La differenziazione di questo strato con il precedente indusse l'archeologo Manfred Korfmann a sostenere che dopo la fine della città urbana subito o poco dopo un'altra colonia doveva essersi distinta dalla precedente, caratterizzata dall'uso della ceramica geometrica e che scomparve a sua volta intorno al 950 a.C.. Successivamente il luogo dev'essere rimasto quasi disabitato fino a 750-700 a.C.. In contrasto con tale ipotesi, Dieter Hertel crede che alcune tribù di greci si possano esser stabilite nel sito immediatamente dopo la fine di Troia VII-B-2.\n\nTroia VIII.\nDatabile all'VIII secolo a.C., è una colonia greca priva di fortificazioni.\nUna fiorente attività architettonica, soprattutto di stampo religioso, appare in Troia VIII: il primo edificio di culto importante scoperto di quel tempo, chiamato temenos (il sacro recinto) di cui sopra, si trova ancora conservato nel centro solenne della zona in cui era posizionato l'altare ed un altro, a partire dall'epoca di Augusto, vi fu aggiunto sul lato occidentale. A seguire vi si intravede il témenos inferiore, con due altari, forse dedicati a sacrifici a due divinità rimaste sconosciute. Il santuario dedicato alla dea Atena, le cui origini potrebbero risalire al IX secolo a.C., è stato trasformato in un grande tempio in rigoroso stile di ordine dorico nel III secolo a.C.. Per questo, e per la costruzione della Stoà, alcuni edifici dell'Acropoli di epoche precedenti sono stati demoliti.\n\nTroia IX.\nLa città ricostruita dopo la distruzione di Fimbria, dal I secolo a.C. al IV d.C., presenta costruzioni romane edificate sulla sommità spianata della collina e rifacimento.\n\nTroia X.\nFu Korfmann a denominare lo strato caratterizzato dai pochi resti che appartengono e corrispondono al periodo dell'impero bizantino, tra il XIII e il XIV secolo, in cui Troia era una piccola sede vescovile. Questi erano già stati scoperti da Schliemann e Dörpfeld." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Troiani (popolo).\n### Descrizione: I Troiani erano gli abitanti di Ilio, città dell'Asia Minore facente parte dell'attuale Turchia moderna, situata in prossimità della costa occidentale sul mar Egeo. Sono chiamati anche 'Teucri'. È famosa la mitica guerra di Troia narrata nel poema omerico Iliade. Secondo la leggenda, un gruppo di Troiani, dopo la sconfitta subita dagli Achei nella guerra durata dieci anni e dopo la distruzione della città, fuggì guidato da Enea e raggiunse il Lazio dove si stabilì. Le gesta di Enea sono narrate da Virgilio nell'Eneide.\n\nI Troiani come possibile popolo storico.\nNella Troade vi sono diversi siti archeologici attribuibili alla media e tarda età del bronzo, tra cui spicca quello scoperto da Heinrich Schliemann, probabile fonte d'ispirazione per l'Iliade e i poemi greci relativi alla guerra di Troia. In particolare la città omerica sembra essere da riferirsi alla città storica Troia VI-VII, sorte sul tell di Troia dopo il 1900 a.C., quando l'intera regione fu attraversata da una grande fase di migrazioni di popoli.\nL'appartenenza etnica dei Troiani è, e resta, sconosciuta, molte sono state le ipotesi fatte nel corso dei secoli.\nIn quell'area, durante la tarda età del bronzo (e la prima età del ferro) sono noti popoli indoeuropei e non.\nPer esempio sono di lingua indoeuropea gli Anatolici, di ceppo antico (cui forse possono essere associati i Peoni nei Balcani), e in particolare i Cari, citati da Omero come alleati dei Troiani e associati sovente ai Lelegi, un'antica popolazione egea da cui proveniva Laotoe, una delle mogli di Priamo. Altre popolazioni indoeuropee giunsero nella regione nella tarda età del bronzo e soprattutto all'inizio dell'età del ferro, come ad esempio: gli Ellenici, i Macedoni, i Traci, i Daci, i Frigi (questi ultimi citati nell'Iliade e in altri poemi come alleati ai Troiani, ma ancora stanziati nei Balcani, mentre in epoca storica vivevano nell'odierna Turchia) e gli Illirici.\nTra le popolazioni della regione vi erano anche alcuni gruppi etnici di lingua non indoeuropea o preindoeuropea: probabilmente i Pelasgi, mitica popolazione cicladica, presumibilmente i Minoici ed altre popolazioni semi mitologiche come i Mini e i Lapiti. Uscendo dalla mitologia vi erano a Lemno dei parlanti la lingua lemnia, del gruppo delle lingue tirseniche affini all'etrusco. Inoltre, in Anatolia, ci sono buone probabilità di infiltrazioni semitiche, e di lingue ergative isolate o di difficile sistematizzazione come l'urrita e lingue sopravvissute all'arrivo, attorno al 2.000-1.900 a.C. degli indoeuropei di ceppo anatolico. Quest'area era quindi particolarmente frammentata da un punto di vista etnico-linguistico.\nIn Omero i Dardani sono i principali alleati dei Troiani, ma in molti poemi greci questi popoli sono fusi. Esisteva una tribù nota come Dardani anche in epoca storica, ma apparentemente non legata a quelli omerici. Appartenevano al gruppo illirico indoeuropeo ed abitavano i balcani meridionali, a nord di Peoni e Macedoni, in territori grossomodo corrispondenti con la regione di Skopje e la repubblica di Macedonia del Nord. Questa assonanza di nomi non è però definitiva.\nI Troiani potrebbero essere stato un popolo a sé stante, alleato con popoli di lingua simile o diversissima.\nLa principale fonte storica sui possibili troiani è rappresentata dagli archivi reali ittiti, se venisse dimostrata fuori d'ogni dubbio la corrispondenza tra Wilusa e/o Truwisa-Tarusia ed Ilios/Troia. Questa città era uno delle principali di una confederazione di regni (o una lega di città) nota nelle fonti ittite come Arzawa.\nLa lingua luvia, una lingua anatolica indoeuropea, è stata ipotizzata come possibile lingua parlata a Troia, in particolare a partire dagli studi di Calvert Watkins del 1986:.\nIl nome Priamo ha un'etimologia luvia (o meglio potrebbe essere l'ellenizzazione e la traslitterazione del nome luvio Pariya-muwa, che significa 'uomo eccezionalmente coraggioso'), così come quello di 9 dei suoi parenti più stretti su 16 nominati da Omero. Inoltre esisteva un sovrano Arzawa dell'età del bronzo con un nome simile e associato a Priamo, Piyamaradu, citato come sovrano in documenti ittiti scritti in luvio (il suo nome, in quella lingua, significa dono dei devoti). Alessandro (il secondo nome di Paride) nella forma di Alaksandu è noto come signore (ma forse non legittimo Re) di Wilusa nelle fonti ittite, nelle lingue anatoliche il suo nome è associabile, anche se con un'etimologia non del tutto chiara, al dio del sole e della guerra, Apaliunas, simile al dio Luvio Aplu, signore della peste, tutti attributi riconoscibili anche nell'Apollo greco classico (ma non nelle fonti micenee). Si tratterebbe dunque di un nome luvio o di origine anatolica affine ma distinta del luvio. Anchise (ed Ettore) potrebbero avere un'etimologia luvia, Achis in filisteo (lingua di cui si ignora l'origine, forse anatolica o indeoeuropea, ma presto assorbita dalle lingue semitiche circostanti) significava Re-Sovrano-Comandante. Va anche detto che i nomi sono cattivi indicatori della lingua parlata, semmai indicano rapporti culturali stretti; ad esempio molti nomi diffusi in Italia sono di origine semitico-ebraica (Davide, Mattia, Matteo, Gabriele, Daniele, Samuele, Giuseppe, Giovanni, Emanuele, Raffaele, Simone, Tobia, Maria, Rebecca, Ester, Elisa, Elisabetta, Eva, Maddalena, Marta, Sara, ecc.) per l'influenza fortissima che ha avuto la Bibbia, mentre la lingua italiana è indoeuropea e neolatina.\nNon disponiamo di archivi o di documenti scritti dell'età del bronzo troiana eccetto 1) un sigillo, di età indefinita, scritto in ittita, 2) un sigillo, in luvio geroglifico, associato a Troia VIIb, 3) due piccoli frammenti, forse in luvio cuneiforme, molto mal conservati e riferibili probabilmente a Troia VI o VII, rinvenuti nel XIX secolo, mal descritti ed in seguito perduti, 4) due tavolette d'argilla frammentarie coperte da segni poco leggibili che, secondo il linguista sovietico Nikolay Kazansky, vanno interpretati come una scrittura, forse lineare, distinguibili sia dal lineare A (minoico) che dal lineare B (miceneo), ma impossibili da interpretare per frammentarietà (pochissime sillabe) e cattivo stato di conservazione. Essi però potrebbero essere più antichi di Troia VI, ed anzi risalire al 2.000 a.C. (Troia V), ovvero all'età precedente alla comparsa del 'vero' lineare A. Tutti i documenti diplomatici ittiti che nominano Troia e Arzawa sono scritti in luvio.\nIl fatto che gli Ittiti associassero Troia-Wilusa-Ilio con la zona di Arzawa, corrispondente a tutta la costa mediterranea della Turchia nord-occidentale, rafforza l'ipotesi luvia (o altre similari come il cario, parente del luvio); Arzawa era però una confederazione di regni, che (forse) andava dalla Licia alla Troade, in cui potrebbero essere esistiti diversi popoli, ad esempio i Lici (la cui lingua, pur anatolica, fu molto contaminata da superstrati greco-frigi nell'età del ferro) chiamati Lukka in ittita, i Cari (Karkiya o Karkisia in ittita, Krk nei documenti di Ugarit) ed i Lelegi (Lulahi in ittita).\nQuesti popoli presumibilmente parlavano tutti lingue affini (ma distinte, e nel caso del Cario solo ora in via di decifrazione) al Luvio ed erano giunti in quelle zone attorno al 1.900 a.C., e sono anche sovente associati agli etruschi ed ai popoli del mare. Il Luvio (presumibilmente fortemente diviso in dialetti) potrebbe essere stata la lingua parlata in tutta l'Anatolia meridionale dell'età del bronzo, dalla costa prospiciente a Rodi fino ad Alessandretta, ma non si conoscono i confini settentrionali di questa parlata, difficili da identificare proprio per il suo essere anche una lingua franca del commercio e della diplomazia. Infatti era lingua ufficiale di molti stati anatolici (e lingua di cancelleria dell'impero ittita) anche quando la lingua vernacolare era un'altra.\nIn conclusione la possibilità che a Troia si parlasse una lingua anatolica, magari affine al luvio (o al cario-lelegio) esistono, così come è possibile, come afferma il linguista e filologo tedesco Joachim Latacz che il luvio fosse la lingua ufficiale, e di cancelleria, della troade e di Troia (essendo anche quella impiegata al riguardo della troade dalla cancelleria imperiale Ittita), quella impiegata per trattare con le altre realtà politiche anatoliche, mentre inconoscibile risulti ancora la lingua vernacolare della città.\nUn'altra teoria affermata, tra gli altri prima da Barry Strauss, poi, con maggior rigore metodologico da Louis Godart, immagina invece i Troiani come genti di lingua greca, affine o identica ai Micenei, anche se presumibilmente ibridata culturalmente e linguisticamente con le circumvicine civiltà anatoliche. Questa teoria si basa sulla conquista, cronologicamente sincronica, di Ilios e dei siti del Peneloponneso, che in quel caso è attribuita all'arrivo degli Achei/Micenei in Grecia. Soprattutto trae origine da Omero e dalle fonti classiche, in cui non vi è una forte differenziazione linguistica, culturale, etnica o di cultura materiale tra Greci e Troiani, come essenzialmente confermato dalle ricerche archeologiche, e dall'analisi dei nomi di persone comuni ritrovate nei documenti in Lineare B, dove accanto ad Achille e ad altri nomi 'tipici' degli eroi greci dell'Iliade, abbiamo anche Ettore e Priamo.Rimane però una teoria in buona parte speculativa e priva di prove inconfutabili al suo sostegno: allo stato attuale della ricerca l'origine etnica e le parentele linguistiche dei troiani non sono determinabili con certezza.\n\nI Troiani nel mito.\nLa mitica città di Troia riceve il nome dall'altrettanto mitico re 'Trōs' (in greco antico: Τρώς?, Trós). Quindi 'Troiano' deriva dalla parola 'Trōis' che significa, nipote del fondatore. La città e la guerra portata contro di essa da una coalizione di popoli greci nel XIII secolo a.C. sono state immortalate da Omero nell'Iliade. La Troia della saga omerica sarebbe stata fondata da Dardano, figlio di Zeus ed Elettra, il quale, giunto nella Troade, ebbe dal re Teucro in dono il territorio su cui fece innalzare l'acropoli che chiamò Dardania. I suoi successori ottennero che le mura di Troia fossero costruite da Apollo e Poseidone. Purtroppo Laomedonte non volle pagare la ricompensa pattuita alle divinità. Quindi Poseidone per punizione mandò nella città un mostro marino, che fu poi scacciato da Eracle. Ancora una volta Laomedonte rifiutò di pagare la giusta ricompensa ad Eracle. Quest'ultimo scatenò una guerra contro la città, che venne distrutta, la famiglia reale fu sterminata, tranne l'ultimogenito di Laomedonte, Priamo, che divenne re. Questi sposò prima Arisbe, da cui ebbe un figlio, poi Ecuba, con la quale generò diciannove figli tra maschi e femmine, e Laotoe, che gli dette due maschi; ebbe altri figli dalle varie concubine. Paride, figlio di Priamo e di Ecuba, rapì Elena, sposa di Menelao re di Sparta, provocando una nuova guerra contro Troia, terminata con la conquista e l'incendio della rocca dopo dieci anni di assedio. Dopo la caduta della città i superstiti fuggirono in Italia: parte con Enea, che giunse nel Lazio, parte con Antenore, destinato a fondare Padova." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Troilo e Cressida.\n### Descrizione: Troilo e Cressida (The Tragedy of Troilus and Cressida) è una tragedia in cinque atti, databile al 1601, composta dal drammaturgo inglese William Shakespeare e pubblicata nel 1609.\nA volte quest'opera, che ha in sé elementi sia di commedia sia di tragedia, viene catalogata come parte dei problem plays ('drammi problematici').\n\nTrama.\nIl dramma è ambientata nel corso degli eventi della guerra di Troia e ha due intrecci distinti. In uno Troilo, un principe troiano, corteggia Cressida, fa l'amore con lei e le giura eterno amore poco prima che sia consegnata ai Greci in cambio di un prigioniero di guerra. Quando tenta di andare a trovarla nell'accampamento greco, la sorprende in intimità con Diomede e decide che è solo una prostituta.\nNonostante questo intreccio sia quello che dà il titolo all'opera, in realtà si risolve in poche scene: la maggior parte dell'opera ruota attorno ad un piano ordito da Nestore e Odisseo per spingere l'orgoglioso Achille a scendere nuovamente in battaglia tra le file greche.\nL'opera si chiude con una serie di scontri tra i due schieramenti e la morte dell'eroe troiano Ettore.\n\nTitolo e genere letterario.\nL'edizione in quarto del 1609 la dichiara come un dramma storico storica con il titolo The (Famous) Historie of Troylus and Cresseid(a), ma il First Folio del 1623 la elenca sotto il titolo The Tragedie of Troylus and Cressida. La confusione è aumentata dal fatto che nel First Folio il titolo non compare nell'indice iniziale e l'opera, le cui pagine non sono numerate (tranne due erroneamente), fu tipograficamente inserita in un momento successivo tra le Histories e le Tragedies.\nL'opera non si presenta come una tragedia nel senso tradizionale del termine, dal momento che il suo protagonista, Troilo, non muore, ma si conclude comunque in modo molto triste, con la morte del nobile principe troiano Ettore e la distruzione del legame sentimentale tra Troilo e Cressida. Il tono dell'opera oscilla continuamente tra quello di una commedia piccante e quello di un'oscura tragedia, e gli spettatori e i lettori trovano spesso difficile decidere che reazione avere di fronte alle vicende dei personaggi. Tuttavia, varie caratteristiche di questo dramma (la più evidente delle quali è il continuo interrogarsi su valori fondamentali, come il rispetto della gerarchia, l'onore, l'amore) sono state spesso interpretate come distintive di un'opera 'moderna' o addirittura 'post-moderna'.\n\nFonti.\nLa storia di Troilo e Cressida è un racconto di origine medievale, non presente nella mitologia greca; Shakespeare tracciò la trama attingendo da varie fonti, in particolare dalla versione che del racconto fece Chaucer (Troilo e Criseide), ma anche dal Troy Book di John Lydgate e dalla traduzione di William Caxton del Recuyell of the Historyes of Troye.\nLa storia di Achille convinto a scendere in battaglia è tratta dall'Iliade di Omero (forse nella traduzione di George Chapman) e da varie rielaborazioni di epoca medievale e rinascimentale.\nLa storia era piuttosto popolare tra i drammaturghi dei primi anni del XVII secolo e Shakespeare potrebbe anche essersi ispirato ad alcune opere di autori a lui contemporanei. Anche l'opera in due atti di Thomas Heywood The Iron Age tratta della guerra di Troia e della storia di Troilo e Cressida, ma non si sa con certezza se sia anteriore o successiva all'opera di Shakespeare. Inoltre Thomas Dekker e Henry Chettle scrissero una rappresentazione chiamata Troilus and Cressida all'incirca nello stesso periodo di Shakespeare, ma ne è sopravvissuto soltanto un frammentario abbozzo di trama.\n\nDatazione e testo.\nSi pensa che la tragedia sia stata scritta verso il 1602, poco dopo l'allestimento dell'Amleto. Fu pubblicata nel formato in quarto in due diverse edizioni, uscite entrambe nel 1609. Non si sa se l'opera sia mai andata in scena all'epoca della sua stesura, in quanto le due edizioni si contraddicono: una annuncia nel frontespizio che la tragedia era stata da poco rappresentata, mentre l'altra nella prefazione sostiene che non c'era mai stato alcun allestimento.\nL'opera fu iscritta nel registro delle opere possedute della Stationers Company il 7 febbraio 1603 dal libraio e tipografo James Roberts, con l'annotazione che era stata messa in scena dalla compagnia teatrale di Shakespeare, la Lord Chamberlain's Men. Tuttavia a quest'iscrizione fino al 1609 non fece seguito alcuna pubblicazione; fu nuovamente messa a registro il 28 gennaio 1609 dai due commercianti Richard Bonian e Henry Walley e nello stesso anno fu pubblicato il First Quarto in due diverse edizioni: la prima dice che la tragedia fu 'recitata dai servi di Sua Maestà Reale al Globe'; la seconda omette di citare il Globe Theatre e riporta come prefazione una lunga lettera che afferma che Troilus and Cressida è 'un nuovo spettacolo, mai portato sulle scene...'.\nAlcuni commentatori (come Georg Brandes, lo studioso danese di Shakespeare della fine del XIX secolo) hanno cercato di ricomporre queste affermazioni contraddittorie, ipotizzando che l'opera sia stata originariamente scritta attorno al 1600-1602, ma che sia stata profondamente modificata poco prima della sua pubblicazione del 1609. La tragedia si distingue per il suo carattere amaro e caustico, simile a quello delle opere che Shakespeare scriveva nel periodo tra il 1605 e il 1608, come Re Lear, Coriolano e Timone d'Atene. Secondo questa ipotesi, la stesura originaria sarebbe stata simile ad una commedia romantica, sul modello di quelle che il bardo scrisse verso il 1600, quali Come vi piace e La dodicesima notte, mentre la revisione successiva aggiunse le scene più cupe e buie con il risultato di lasciare una certa confusione di toni ed intenti.\n\nFortuna.\nIl suo carattere abbastanza sconcertante e confuso ha fatto sì che raramente Troilo e Cressida sia stata popolare sulle scene e non si ricordano allestimenti né durante il corso della vita di Shakespeare né nel periodo che va dal 1734 al 1898. All'epoca della Restaurazione inglese fu duramente condannata da John Dryden, che la definì 'un cumulo di spazzatura' e decise di riscriverla. Fu anche malvista in epoca vittoriana per i suoi espliciti riferimenti di natura sessuale.\nNon venne mai rappresentata nella sua forma originale fino all'inizio del XX secolo ma, a partire da allora, la sua fama è andata costantemente crescendo grazie alla cinica descrizione che fornisce dell'immoralità e della disillusione dell'uomo, specialmente dopo la prima guerra mondiale. La sua popolarità raggiunse un picco negli anni 1960, quando il pubblico malcontento per la guerra del Vietnam aumentò in maniera esponenziale. La sua ambientazione generale durante un lungo periodo di guerra, il cinico infrangere i giuramenti dei personaggi e la mancanza di moralità di Cressida e dei Greci colpirono molto il pubblico, favorendo la frequente messa in scena dell'opera, che evidenziava l'abisso che separa gli ideali dallo squallore della realtà.\n\nTraduzioni italiane.\nTroilo e Cressida, testo riveduto, con versione a fronte, introduzione e note a cura di Mario Praz, Firenze, G. C. Sansoni, 1939.\nTroilo e Cressida: dramma in 5 atti, traduzione di Cesare Vico Lodovici, Torino, G. Einaudi, 1950.\nTroilo e Cressida, introduzione, traduzione e note di Gabriele Baldini, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1988, ISBN 88-17-16680-4.\nTroilo e Cressida, a cura di Demetrio Vittorini, Milano, Mursia, 1990, ISBN 88-425-0660-5.\nTroilo e Cressida, introduzione di Nemi D'Agostino, prefazione, traduzione e note di Francesco Binni, Milano, Garzanti, 1994, ISBN 88-11-58508-2.\nTroilo e Cressida, traduzione di Luigi Squarzina, saggio introduttivo di Anna Luisa Zazo, Milano, A. Mondadori, 1996, ISBN 88-04-40756-5.\nTroilo e Cressida, introduzione di Nadia Fusini, a cura di Iolanda Plescia, Milano, Feltrinelli, 2015, ISBN 978-88-07-90214-7." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Troilo.\n### Descrizione: Troilo (in greco antico: Τρωΐλος?, Trōìlos; in latino Troilus) è un personaggio leggendario associato alla storia della guerra di Troia. Il primo riferimento a lui si trova nell'Iliade, redatta in forma scritta nel VII o VIII secolo a.C..\nNella mitologia classica, Troilo è un giovane principe Troiano, uno dei figli del re Priamo (o talvolta di Apollo) e di Ecuba. Le profezie sulla sua vita erano strettamente connesse a quelle sul destino di Troia: una affermava che Troilo sarebbe stato ucciso da Achille, un'altra diceva che se egli fosse morto prima dei vent'anni la città sarebbe caduta. Sofocle è uno degli scrittori che si è interessato a questo mito, che era anche un tema molto diffuso tra gli artisti figurativi. Il personaggio viene raffigurato come prototipo della giovane bellezza maschile.\nNell'Europa occidentale del Medioevo e nelle versioni rinascimentali della leggenda, Troilo appare come il più giovane dei figli che Priamo ebbe da Ecuba, la seconda delle sue tre mogli. Benché non ancora ventenne, egli è uno dei più forti capitani militari. Troilo muore poi decapitato in battaglia per mano di Achille. In un'aggiunta popolare della vicenda, sviluppatasi dal XII secolo, Troilo s'innamora di Cressida, evoluzione medievale del personaggio di Criseide, il cui padre ha disertato i Greci. Cressida promette il suo amore a Troilo ma presto si concede all'eroe greco Diomede, per ottenere la libertà del padre, preso in ostaggio dai Greci. Chaucer e Shakespeare sono tra gli autori che scrissero opere incentrate sulla vicenda di Troilo e Cressida. Sin dalla tradizione medievale, Troilo era considerato un esempio di amante cortese e anche di virtuoso cavaliere pagano.\nPoca attenzione venne rivolta al personaggio durante il XVIII ed il XIX secolo. Troilo venne riconsiderato nel XX e XXI secolo da autori che scelsero elementi dalla versione classica e medievale della leggenda.\n\nLa vicenda di Troilo nelle fonti antiche e nei testi successivi.\nPer gli antichi Greci, la forma definitiva del racconto della guerra di Troia e le vicende di contorno comparivano nel Ciclo troiano di otto poemi epici dal periodo arcaico in Grecia (750 a.C. - 480 a.C.). La morte giovanile di Troilo in guerra, le profezie legate a lui, dimostrano che tutti gli sforzi del principe per difendere la sua casa si rivelano vani. Il carattere simbolico del personaggio è evidenziato dall'analisi linguistica del nome Greco 'Troilo'. Esso potrebbe essere interpretato come un'elisione dei nomi di Troo e Ilo, i leggendari fondatori di Troia, come un diminutivo o un ipocoristico 'piccolo Troilo' o come un'elisione di Troië (Troia) e Iyo (distruggere). Queste numerose possibilità enfatizzano il collegamento tra il destino di Troilo e quello della città in cui vive. Sotto un altro piano, il destino di Troilo può anche essere visto come un presagio delle conseguenti morti del suo uccisore Achille, di suo nipote Astianatte e della sorella Polissena, entrambi i quali, come Troilo, moriranno sull'altare almeno nelle più comuni versioni della leggenda.\n\nIl mito iniziale: il bel giovane ucciso.\nTroilo era un ragazzo adolescente o un efebo, figlio di Ecuba, regina di Troia. A causa della sua bellezza era creduto il figlio del dio Apollo. In ogni modo, il marito di Ecuba, il re Priamo, lo considerava come uno dei suoi figli prediletti.\nUn oracolo aveva predetto che Troia non sarebbe mai stata conquistata se Troilo avesse raggiunto l'età di vent'anni. Per questo la dea Atena incoraggiò il guerriero greco Achille a scovarlo il più presto possibile nella guerra di Troia. Il giovane era conosciuto per la delicatezza e la gentilezza con cui trattava i suoi cavalli. Achille tese un agguato a lui e a sua sorella Polissena mentre egli cavalcava con quest'ultima per attingere acqua alla fontana di Timbra - un'area all'esterno di Troia in cui sorgeva il tempio di Apollo.\nIl Greco rimase colpito dalla bellezza del giovane Troiano, riempiendosi di brama. Al vederlo, Troilo si mise in fuga, ma Achille lo sorprese e lo trascinò per i capelli dal suo cavallo. Il giovane principe rifiutò di cedere alle attenzioni sessuali di Achille e, in qualche modo, scappò, cercando rifugio nel vicino tempio di Apollo. Ma il greco lo seguì anche lì, riuscendo a metterlo con le spalle al muro. Achille dichiarò ancora una volta il suo amore per Troilo, ma al nuovo diniego del ragazzo fu preso da un attacco di ira e lo decapitò davanti all'altare, prima che i fratelli potessero soccorrerlo. L'uccisore mutilò anche il busto del giovinetto, amputandone tutti e quattro gli arti. Il compianto dei Troiani per la morte di Troilo fu immenso. Questo sacrilegio costò ad Achille stesso la morte, quando Apollo vendicò il giovane guidando la mano di Paride, il quale uccise Achille con una freccia diretta al tallone.\nL'episodio precede gli eventi narrati nell'Iliade, di dieci anni successivi, ma il nome di Troilo vi compare ugualmente sebbene in una rapida rassegna di Priamo. Quest'ultimo infatti, parlando con la moglie Ecuba, ricorda tristemente tutti i figli perduti fino a quel momento, prima di andare a chiedere ad Achille il riscatto del cadavere di Ettore (Il., XXIV, 257). In tale passo, tuttavia, non è specificato come sia morto Troilo e chi, eventualmente, lo abbia ucciso. Nonostante la giovanissima età, il ricordo che di Troilo ha suo padre è quello di un guerriero già esperto: lo definisce infatti 'furia di guerra'.\nSulle circostanze della morte di Troilo sono fiorite diverse varianti del mito, dall'antichità classica al Medioevo, spesso in contraddizione tra loro. Secondo una prima versione, sarebbe stato sorpreso da Achille mentre, di sera, portava i cavalli all'abbeveratoio non lontano dalle Porte Scee. In versioni più tarde, compare sulla scena anche la sorella Polissena, che avrebbe assistito impotente all'omicidio del fratello; di lei Achille si sarebbe innamorato vedendola fuggire. Polissena avrebbe poi approfittato di questa debolezza dell'eroe per convincerlo a rivelarle il suo unico punto debole (il «tallone di Achille»), così che il fratello Paride potesse colpirlo con una freccia vendicando la morte di Troilo. Tale episodio era già presente nel poema perduto Etiopide del Ciclo Troiano.\nIn altre varianti, Troilo viene decapitato da Achille in battaglia.\n\nRiprese del mito in età tardoantica, medievale e moderna.\nIn versioni più tarde, la figura di Achille risente di due caratterizzazioni soltanto accennate all'origine nel mito di Troilo: l'ira (tipica e argumentum dell'Iliade) e la pederastia. Achille, vedendo Troilo all'abbeveratoio, se ne sarebbe innamorato e, al rifiuto del giovane di ricambiare il suo amore, lo avrebbe inseguito. Troilo si sarebbe quindi rifugiato nel tempio di Apollo Timbreo. Le varianti, a questo punto, discordano. Secondo una prima, Achille - adirato per non poter possedere il giovane - lo uccise decapitandolo, oppure trafiggendolo con la sua lancia. In un'altra, Achille avrebbe violentato Troilo nel tempio, schiacciandogli poi senza volerlo il torace nella foga. Spesso sulla scena è nuovamente presente Polissena.\nLicofrone, nella Alessandra, descrive poeticamente e in modo criptico la sua morte. Invece Virgilio segue la versione che vuole Troilo perito in battaglia: nel primo libro dell'Eneide, lo scontro tra Achille e il principe troiano trova posto in una raffigurazione nel tempio di Cartagine e vede affrontarsi i due protagonisti a bordo dei rispettivi cocchi: il giovinetto inoltre non muore decapitato, ma colpito da una lancia del nemico, e il suo corpo, che nella caduta dal carro vi è rimasto in parte attaccato, finisce trascinato insieme ad esso per tutto il campo di battaglia dai cavalli imbizzarriti (una morte molto simile a quella del giovane paflagone Midone nell'Iliade). Ditti Cretese, infine, inserisce Troilo tra i dodici giovani troiani fatti prigionieri da Achille e da lui sgozzati sul rogo di Patroclo.\nNel XIII secolo, Alberto di Stade scrive un poema intitolato Troilus.\nNelle leggende medievali, il nome di Troilo si unisce indissolubilmente a quello della giovane Criseide/Cressida. I due vengono descritti come amanti, e Troilo sarebbe stato ucciso in un impari duello da Achille, nel tentativo di evitare la schiavitù alla fanciulla (nonostante le fonti antiche siano concordi nel dire che Criseide era schiava di Agamennone). A questa romantica variante si ispirò, tra gli altri, Shakespeare nella tragedia Troilo e Cressida e Boccaccio nel poema in ottave Filostrato.\n\nTroilo nell'arte antica.\nL'arte greca antica ha frequentemente privilegiato gli episodi legati alla tragica uccisione di Troilo, tralasciando la raffigurazione del giovinetto in contesti diversi da quelli sanguinosi. Inconsueto dunque risulta il soggetto dipinto su un vaso a figure rosse proveniente dalla Puglia, risalente all'incirca al 340 a.C., in cui egli, ancora fanciullo, vacilla intimorito tra le gambe dell'anziano padre Priamo.\nIn queste raffigurazioni, prevale la fisionomia di un giovinetto imberbe, spesso nudo, o ricoperto da un manto corto o una tunica. In un vaso etrusco risalente al VI secolo a.C., il pittore ha ritratto il possente Achille nell'atto di liberare uno stormo di colombe in direzione di Troilo, in piedi, occultato dalla colonna del tempio, in sintonia con l'aneddoto narrato da Servio.\nSu uno scudo prodotto tra la fine del VII secolo e la metà del VI secolo a.C. e rinvenuto a Olimpia, è inciso un guerriero armato che si accinge a immolare su un altare un fanciullo nudo. Un cratere contemporaneo a questo illustra Achille che trattiene sull'altare l'inerme vittima ignuda mentre Ettore, Enea e un troiano altrove ignoto, tale Deitino, accorrono invano nella speranza di impedire lo spargimento di sangue. In un'altra pittura vascolare, Achille e Ettore sono rappresentati in combattimento sui poveri resti del giovinetto, vigilati da Atena ed Ermes; Enea e Deitino, alle spalle di Ettore, chiudono la scena." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Troy - La caduta di Troia.\n### Descrizione: Troy - La caduta di Troia (Troy - Fall of a City) è una miniserie creata dalla BBC nel 2018. È basata sull'Iliade e la guerra di Troia in generale.\n\nProduzione.\nLa miniserie è stata girata a Città del Capo e comprende otto episodi. È stata scritta da David Farr, Nancy Harris, Mika Watkins, e Joe Barton, e diretta da Owen Harris e Mark Brozel.\n\nEpisodi.\nDistribuzione.\nAccoglienza.\nCritica.\nNonostante il basso numero di spettatori, Troy - La caduta di Troia è stato accolto positivamente dalla critica anglosassone. Sia The Guardian che The Daily Telegraph lo considerarono superiore al film del 2004 Troy, ritenendo più realista e dettagliata la psicologia dei personaggi e commentando favorevolmente sulla maggior fedeltà all'Iliade. La scenografia e i costumi ottennero l'apprezzamento della critica, che però si è espressa più tiepidamente sulla qualità dei dialoghi.La presenza di scene di guerra e di natura soprannaturale portarono alcuni giornalisti a paragonare la miniserie a Il Trono di Spade: mentre The Independent considerò Troy - La caduta di Troia inferiore alla serie dell'HBO per ritmo narrativo e azione, The Guardian lo considerò all'altezza della saga fantasy. La scelta di ricorrere ad attori di colore per i ruoli di Achille, Enea, Zeus e Patroclo portò ad alcune critiche da parte del pubblico e all'accusa di 'brown-washing', respinte dallo sceneggiatore David Farr.Sull'aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes, la miniserie ottiene il 71% delle recensioni professionali positive." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Tunica di Nesso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, la Tunica di Nesso fu la tunica (chitone) avvelenata che portò alla morte di Ercole. Un tempo il termine veniva utilizzato come riferimento popolare nella letteratura. Mentre nel folclore tradizionale, è considerato un 'vestito avvelenato'.\n\nMito.\nSecondo la mitologia greca, la tunica, contaminata dal sangue avvelenato del centauro Nesso, venne consegnata ad Ercole dalla sua ignara moglie, Deianira. Avendo indossato la tunica ed essendosi avvicinato alla fiamma di una pira funeraria, Ercole subì un bruciante dolore, causato dal riscaldamento del veleno stesso. Incapace di resistere, l'eroe e semidio si scagliò nelle fiamme della pira, per poi morire tra mille sofferenze.Metaforicamente, la tunica di Nesso rappresenta 'una fonte di sventura senza via di fuga', ma anche 'una forza distruttiva ed espiatoria'.\n\nNella storia.\nRibellione di Münster.\nDurante la ribellione di Münster degli anabattisti nel 1534, una quindicenne di nome Hille Feyken tentò di ingannare il principe-vescovo di Münster, Francesco di Waldeck, che aveva comandato un lungo assedio alla città. Il suo piano consisteva nel fingere di disertare, fornendo informazioni al vescovo sulle difese della città mentre gli dava una bella tunica imbevuta di veleno. Ancor prima che il suo piano potesse essere attuato, venne tradita da un altro disertore, la quale avvertì il vescovo, la Feyken prima di morire venne torturata.\n\nAttentato a Hitler.\nHenning von Tresckow, Maggior generale dello Heer, fu uno dei cospiratori principali nell'attentato del 20 luglio per assassinare Adolf Hitler, questo avvenimento viene associato come 'Veste di Nesso', dopo che l'attentato fu un fallimento, ne conseguì la morte sua e dei suoi compagni il 21 luglio.\n\nNella letteratura.\nWilliam Shakespeare.\nAlexandre Dumas.\nIl conte di Montecristo.\n\nT. S. Eliot.\nJohn Barth.\nRobert Duncan.\nHyam Plutzik.\nIn altri media." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Turno.\n### Descrizione: Turno (in latino Turnus) è l'antagonista di Enea nell'Eneide, il poema di Virgilio che narra delle avventure dell'eroe troiano dalla sua fuga da Troia, dopo che gli Achei l'avevano conquistata incendiandola, fino al suo approdo nel Lazio, presso l'antica città di Laurento, dove avrebbe dovuto sposare la figlia di Latino, Lavinia, già promessa al re dei Rutuli, che è appunto Turno.\n\nIl mito.\nLe origini.\nGiovane e bellissimo re dei Rutuli, Turno è anche semidio, essendo figlio di Dauno e della ninfa Venilia; ha due sorelle: la più giovane è sposata con un rutulo di nome Numano, mentre l'altra è Giuturna, che amata a suo tempo da Giove è stata da lui resa immortale. Il nome mitologico di Turno viene fatto derivare dal greco antico Touros, che ha significato di animo impetuoso; secondo talune fonti potrebbe invece intendersi come Turrenos; le versioni in lingua etrusca sono molteplici e vengono date come Tursnus, Turosnus, o ancora Turannus.Per un'altra versione, Turno, cugino di Amata moglie del re Latino, era un latino disertore, posto a capo dell'esercito dei Rutuli.\n\nLa morte in guerra.\nSecondo il racconto virgiliano, quando Enea giunge nel Lazio, il re Latino, volendo sancire con lui un'alleanza, gli dà in sposa la figlia Lavinia, peraltro già promessa a Turno. A ciò s'oppone decisamente Amata, madre di Lavinia e moglie di Latino, che aveva sempre prediletto il giovane italico come futuro sposo della fanciulla. A nulla servono le proteste della donna, aizzata follemente dalla furia Aletto per ordine di Giunone, che scatena orge bacchiche e canta le nozze di Lavinia e Turno.\nNel racconto di Tito Livio, Turno entra in guerra contemporaneamente contro Enea e Latino, perché Lavinia, che gli era stata promessa in sposa, è invece stata assegnata ad Enea, dopo lo sbarco dei troiani nel Lazio. Nel primo scontro, i Rutuli sono sconfitti, ma il re Latino cade morto in battaglia.\nNell'Eneide Turno, per rappresaglia, decide di dichiarare guerra ai troiani di Enea, con il quale si batte in duello mortale nell'ultimo libro, venendone sconfitto; nella drammatica scena finale, quando egli è già stato ferito, Enea si accorge che l'avversario indossa ancora il balteus del giovane amico Pallante, ed è per questo che l'eroe troiano, dopo l'iniziale intenzione di risparmiarlo per le suppliche del nemico (l'atteggiamento di Turno non è dettato dalla paura della morte, ma dal desiderio di evitare il più grande dei dolori al suo vecchio padre) spinto da un'ira vendicativa infligge dunque al Rutulo il colpo di grazia.\n\n(Virgilio, Eneide, XII, traduzione di Luca Canali).\nLivio invece non racconta della morte di Turno, ma solo della successiva battaglia combattuta dai Rutuli e dai loro alleati Etruschi, guidati dal re Mezenzio, contro i Latini, condotti da Enea, che rimarrà ucciso nello scontro.\n\nInterpretazione.\nNel poema virgiliano, Turno è presentato come l'alter ego di Enea, un eroe segnato dal fato. È un sovrano molto amato dai suoi guerrieri e anche dagli alleati, tra i quali ci sono i suoi due più grandi amici, il re italico Ramnete, che è anche l'augure dell'accampamento, e Murrano, un giovane di Laurento imparentato con la famiglia del re Latino. Il suo unico detrattore è il vecchio cortigiano latino Drance, sostenitore di un accordo di pace tra gli italici ed Enea.\nNella guerra Turno si batte con passione e ardore, cedendo occasionalmente alla ferocia (come nel noto episodio dell'uccisione di Pallante, al cui cadavere sottrae il balteo: per la qual cosa, come si è detto, Enea non avrà pietà di lui nella sfida finale).\n\nRealtà storica.\nIl personaggio virgiliano di Turno mostra forti analogie con la storiografia liviana di IV secolo a.C. Il suo duello mortale con Enea, e il luogo nel quale si svolge, mostra infatti perfette similitudini con i fatti occorsi tra Marco Valerio Corvo, nell'Eneide corrispondente ad Enea, e il Gallo, rappresentante del popolo celtico che invase l'Italia, identificabile proprio con Turno, figlio di Dauno della Daunia (parte dell'Apulia), terra influenzata dalla presenza siracusana in epoca dionigiana.\n\nVittime di Turno.\nTurno è il guerriero italico che più di ogni altro nell'Eneide fa scempio immane dei Troiani e dei loro alleati arrivando ad uccidere da solo quasi 50 nemici. Tra di loro ce ne sono due col nome 'Fegeo', e altri due col nome 'Amico'.\n\nElenore: giovanissimo guerriero, figlio illegittimo del re di Meonia, difensore del castrum troiano.\nLico: un difensore del castrum troiano.\nCeneo: un difensore del castrum troiano.\nIti: un difensore del castrum troiano.\nClonio: un difensore del castrum troiano.\nDioxippo: un difensore del castrum troiano.\nPromolo: un difensore del castrum troiano.\nSagari: un difensore del castrum troiano.\nIda: un difensore del castrum troiano.\nAntifate: figlio illegittimo del re licio Sarpedonte; difensore del castrum troiano.\nMerope: un difensore del castrum troiano.\nErimanto: un difensore del castrum troiano.\nAfidno: un difensore troiano del castrum.\nBizia: guerriero enorme, difensore del castrum; protetto da una corazza invulnerabile; Turno riesce a perforarla tramite una falarica, scagliata con estrema violenza.\nPandaro: fratello di Bizia, difensore del castrum; Turno gli si avventa contro e gli spacca letteralmente la testa, lasciando colare i brandelli di cervello sulla corazza e al suolo.\nFaleri: colpito da Turno all'interno del campo troiano.\nGige: ucciso insieme a Faleri; Turno lo colpisce a una gamba tagliandola di netto.\nAli: ucciso subito dopo Faleri e Gige; Turno lo trafigge alla schiena mentre fugge.\nFegeo: ucciso come Ali mentre fugge.\nAlcandro: ucciso di sorpresa mentre si trova sul muro di guardia.\nAlio: ucciso come il precedente.\nNoemone: ucciso come i precedenti.\nPritani: ucciso come i precedenti.\nLinceo: decapitato di netto dalla spada del re rutulo; la sua testa viene quindi lanciata lontano e fatta ricadere al suolo, dopo un lungo volo. Anche la sua uccisione avviene all'interno del campo troiano.\nAmico: guerriero e cacciatore. Ucciso nel campo troiano.\nClizio: ucciso nel campo troiano.\nCreteo: ucciso nel campo troiano.\nPallante: figlio del re Evandro, alleato principale di Enea, al quale strappa il balteo. In seguito Pallante sarà vendicato da Enea che farà scempio di italici, fino ad uccidere Turno.\nStenelo: prima vittima di Turno dopo la lunga assenza dal campo di battaglia.\nTamiro: guerriero troiano.\nFolo: guerriero troiano.\nGlauco: guerriero troiano.\nLade: guerriero troiano.\nEumede: figlio dell'antico Dolone (decapitato da Diomede).\nAsbite: guerriero troiano.\nCloreo: colui che aveva distratto la guerriera volsca Camilla, uccisa a bruciapelo da Arrunte.\nSibari: guerriero troiano.\nDarete: vecchio troiano, sacerdote e pugile.\nTersiloco: guerriero troiano.\nTimete: guerriero troiano.\nFegeo: decapitato mentre era trascinato dietro il suo carro ad opera di Turno, che, con un inganno l'aveva portato a ciò per poi lasciare il suo busto sulla sabbia e la sua testa ancora trainata dietro i cavalli.\nAmico: ucciso e poi decapitato; la sua testa viene conficcata in cima alla sua lancia, e quindi legata al carro che Turno porta via. Accade durante il confronto con Enea, alla fine del canto XII dell'Eneide.\nDiore: fratello di Amico, ne subisce la stessa identica sorte.\nClaro: fratellastro di Sarpedonte.\nTemone: altro fratellastro di Sarpedonte.\nMenete: giovane guerriero arcade, amante più della pace che della guerra.\nIllo: guerriero arcade.\nCreteo: guerriero arcade.\nEolo: guerriero troiano.\n\nNell'arte.\nIn campo artistico le fasi finali del duello tra Turno ed Enea sono state celebrate da Luca Giordano e Aureliano Milani; entrambi rappresentano il momento in cui il re rutulo, atterrato dal suo nemico, supplica di essere risparmiato.\n\nOmaggi.\nA Turno sono stati dedicati un cratere del satellite Dione, una via di Roma e una di Ardea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Ucalegonte.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Ucalegonte appare come un vecchio compagno di Priamo, a Troia, insieme ai tre fratelli del re e ad altri anziani, quali l'amico caro Antenore, Antimaco, Pantoo e Timete.\n\nIl mito.\nNell'Iliade.\nIl ruolo di Ucalegonte è sommariamente descritto nell'Iliade; insieme ad altri troiani dalla veneranda età, faceva parte del consiglio degli anziani che si radunava periodicamente presso le Porte Scee per discutere di guerra o per fornire sagge informazioni al re.\nNell'Iliade, Ucalegonte e gli altri anziani appaiono radunati per discutere su una possibile trattativa tra Achei e Troiani, che si sarebbe conclusa con un leale duello tra Paride, il provocatore della guerra, e Menelao, il re di Sparta.\n\nLa morte.\nLa fine del vegliardo è raccontata brevemente da Virgilio nell'Eneide; la notte della caduta di Troia la casa di Ucalegonte, che si trova vicino a quella di Enea, viene incendiata dal fuoco delle fiaccole nemiche e rasa al suolo.\nVirgilio non allude esplicitamente anche alla morte dell'anziano troiano, ma sicuramente la nota frase 'Già arde lì accanto Ucalegonte' fa capire che Ucalegonte è perito nel rogo della sua abitazione (intossicato o divorato dal fuoco)..\n\nPareri secondari.\nIn una versione oscura, Ucalegonte appare come il nome di un certo Tebano, il quale era ritenuto padre della Sfinge." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Uccelli del lago Stinfalo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca gli uccelli del lago Stinfalo (in greco antico Στυμφαλίδες ὄρνιθες / Stymphalídes órnithes) erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo. Essi si nutrivano di carne umana e catturavano le loro vittime trafiggendole con le loro penne di bronzo che fungevano da dardi. Avevano inoltre un finissimo senso dell'udito, cosa che Eracle sfruttò per sconfiggerli.\nLa caccia agli uccelli del lago Stinfalo costituì la sesta delle dodici fatiche di Eracle. Secondo il mito, Eracle fece alzare in volo gli uccelli disturbandoli con un crotalo di bronzo, donatogli dalla dea Atena e uccidendone una buona parte con delle frecce avvelenate con il sangue dell'Idra di Lerna. Gli uccelli sopravvissuti volarono via per sempre." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Ulisse e Diomede nella tenda di Reso.\n### Descrizione: Ulisse e Diomede nella tenda di Reso è un dipinto di Corrado Giaquinto, realizzato tra il 1753 e il 1762 e conservato nella Pinacoteca metropolitana di Bari.\nNel 2015 l'opera è stata esposta per alcuni mesi al Louvre di Parigi, nell'ambito della mostra 'L'épopée des rois thraces'.\n\nDescrizione.\nViene qui illustrato uno degli episodi più celebri della Guerra di Troia: Ulisse e Diomede, rappresentati al centro, sono appena entrati di notte nel sontuoso padiglione di Reso, il giovane semidio signore di Tracia, alleato dei troiani, che insieme ad alcuni dei suoi uomini sarà sgozzato nel sonno dai due eroi achei.\nLa fonte letteraria a cui Giaquinto attinge non è l’Iliade di Omero (dove si ha una disposizione diversa del contingente di Traci, col re che dorme al centro dell'accampamento, fra tre file di guerrieri) bensì il Reso pseudoeuripideo, in base a un elemento sicuro: a sinistra in basso, presso il letto a baldacchino in cui è coricato il semidio, presentato come un bellissimo giovane seminudo, si trova un uomo aitante e con folti capelli corvini, più o meno suo coetaneo, in tenuta militare, che dorme assiso su un seggio tenendo le briglie in mano; si tratta dell'auriga di Reso, personaggio che appunto appare soltanto nell'opera tragica. Nella tenda sono presenti anche altri due guerrieri traci, ugualmente dormienti: uno in basso a destra, armato di lancia e seduto a terra, l'altro più indietro, appoggiato alle cortine.\nAnziché immortalare l'eccidio vero e proprio, Giaquinto manda in scena il momento immediatamente precedente, ponendo al centro il significativo gioco di sguardi tra i due capi greci, incoraggiati dalla circostanza favorevole, ovvero l'imprudenza dei nemici destinati quindi a subire i loro colpi. Fra i Traci si rivela particolarmente riuscita la caratterizzazione dell'auriga - l'unico che resterà solo ferito - per la fedeltà al testo teatrale: la smorfia facciale di occhi e bocca non completamente chiusi, in tensione, riproduce magistralmente il sogno funesto che turba il giovane. Il letto del suo signore appare elevato e sfarzoso, trattandosi di cuscini e materassi ammucchiati accanto a un imponente drappo. Il guerriero in primo piano a destra, robusto come l'auriga, indossa un mantello militare piuttosto insolito, di colore verde. Sia la coppia achea che Reso vengono illuminati dal bagliore delle torce, diffondente un giallo intenso." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Una favolosa tenebra informe.\n### Descrizione: Una favolosa tenebra informe o Einstein perduto (The Einstein Intersection) è un romanzo di fantascienza di Samuel R. Delany pubblicato nel 1967, vincitore del Premio Nebula e candidato al Premio Hugo.\nNeil Gaiman ne ha scritto una prefazione per l'edizione della Wesleyan University Press del 1998, nella quale lo riassume in poche parole come «la storia di un giovane che va in una grande città, impara alcune semplici verità sull'amore, sul diventare adulti, e decide di tornare a casa» e lo definisce «un bellissimo libro, scritto in modo perturbante, capace di prefigurare molta narrativa che è venuta dopo e troppo a lungo trascurato», non solo buona sf ma «grande letteratura, poiché è una raffinata trascrizione di sogni, di storie e di miti».\n\nStoria editoriale.\nIl romanzo è stato scritto tra il settembre 1965 e il novembre 1966, a New York, Parigi, Venezia, Atene, Istanbul e Londra.L'autore aveva scelto come titolo A Fabulous, Formless Darkness ma dovette accettare l'imposizione di un titolo diverso, più pulp. L'edizione italiana della Fanucci Editore del 2004 recupera l'intenzione originaria di Delany.\n\nTrama.\nTemi.\nSecondo Gaiman, Una favolosa tenebra informe è «un'analisi dei miti, del perché ne abbiamo bisogno, dell'esigenza di raccontarli e dell'influenza che essi esercitano su di noi, che li comprendiamo o meno. Ogni generazione rimpiazza quella che l'ha preceduta. Ogni generazione riscopre i racconti e le verità che l'hanno preceduta, li passa al setaccio, scopre da sola cosa è grano e cosa è pela, senza sapere o preoccuparsi o perfino comprendere che la generazione che le subentrerà, scoprirà a sua volta che alcune delle sue verità eterne erano poco più che mode passeggere».Il romanzo «contiene idee che potevano uscire allo scoperto come sf, mentre non potevano farlo esplicitamente nella narrativa del reale, in particolare le idee riguardo alla natura del sesso e della sessualità».\n\nEdizioni.\nSamuel R. Delany, The Einstein Intersection, Ace, 1967, pp. 142.\nSamuel R. Delany, Einstein perduto, traduzione di Maria Teresa Guasti, Galassia, n. 147, Casa Editrice La Tribuna, 1971.\nSamuel R. Delany, The Einstein Intersection, prefazione di Neil Gaiman, Wesleyan University Press, 1998, pp. 135.\nSamuel R. Delany, Una favolosa tenebra informe, traduzione di Paolo Prezzavento, prefazione di Neil Gaiman, Collezione Immaginario. Solaria, n. 11, Fanucci Editore, 2004, pp. 182, ISBN 88-347-0927-6.\nUrania Millemondi autunno - inverno 2017 , Editore: Mondadori." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Valle di Tempe.\n### Descrizione: La valle di Tempe (in greco antico: Τέμπη?), celebrata dai poeti greci come uno dei luoghi preferiti da Apollo e dalle Muse, è l'antico nome di una gola nel nord della Tessaglia, in Grecia, localizzata tra il Monte Olimpo a nord, e il Monte Ossa a sud. La valle è lunga 10 chilometri, stretta circa 25 metri e con dirupi alti fino a 500 metri. Al centro scorre il fiume Peneo, nel suo corso che lo porta a sfociare nel vicino mare Egeo.\nSul lato destro del Peneo si trova un tempio di Apollo, vicino al quale veniva raccolto l'alloro usato per incoronare i vincitori dei Giochi pitici. La valle di Tempe fu anche il luogo di dimora di Aristeo, figlio di Apollo e di Cirene. Fu qui anche che fu morsa da un serpente la moglie di Orfeo, Euridice, la cui morte causò l'inizio delle peripezie e la discesa agli inferi del cantore greco. Nel XIII secolo nella valle fu eretta una chiesa in onore di Aghia Paraskevi.\n\nStoria.\nLa valle è un passo strategico nella Grecia, visto che è attraversata dalla strada principale che porta da Larissa alla costa. Per questo motivo è stata teatro di numerose battaglie attraverso gli anni. In ogni modo essa può essere aggirata attraverso il Passo Sarantoporo che però allunga la strada.\nNel 480 a.C. diecimila Ateniesi e Spartani vi si stanziarono per fermare l'invasione di Serse, ma i Persiani li evitarono proprio eseguendo una manovra di aggiramento attraverso il Sarantoporo. Questo causò il ripiegamento dei Greci più a sud e condizionò gli sviluppi successivi della seconda guerra persiana, determinando, fra le altre cose, lo svolgimento della battaglia delle Termopili.\nDurante la terza guerra macedonica nel 164 a.C. i Romani ruppero le difese di Perseo e più tardi lo sconfissero nella Battaglia di Pidna. Durante la rivolta di Andriskos nel 148 a.C. la valle fu il luogo di un altro scontro. Vi furono altre battaglie, combattute durante le invasioni barbariche, che segnarono la fine dell'influenza romana sulla Grecia, e all'epoca degli scontri tra l'Impero bizantino e l'impero ottomano. Ai giorni d'oggi la valle è conosciuta per le cattive condizioni delle strade che la attraversano e per il tremendo incidente che queste cattive condizioni causarono nel 2003 quando vi morì un'intera classe delle scuole superiori di Imathia.\nLe città di Tempe in Arizona e di Tempe nel Nuovo Galles del Sud prendono il nome da questo luogo.\nAntonio Vivaldi compose nel 1726 un'opera lirica dal titolo Dorilla in Tempe, ambientata, appunto, nella valle di Tempe.\n\nGalleria d'immagini.\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla valle di Tempe.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Vale of Tempe, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Vaso François.\n### Descrizione: Vaso François è il nome convenzionale attribuito, dal nome dell'archeologo che lo scoprì nel 1844-45 a Chiusi. Si tratta di un cratere a volute a figure nere di produzione attica, capolavoro della ceramografia arcaica, datato intorno al 570/565 a.C. Si tratta del più antico cratere a volute attico conosciuto (ma esistono precedenti vicini ad esso). Le sue dimensioni si sviluppano su un'altezza di 66 cm e un diametro massimo di 57 cm.\n\nRitrovamento e restauro.\nI numerosi frammenti del vaso furono rinvenuti nella necropoli etrusca di 'Fonte Rotella' a Chiusi nel 1844 e 1845, da parte di Alessandro François, lo scopritore della celebre Tomba François di Vulci, dispersi in due tumuli funerari saccheggiati già in antico. I cocci del vaso che, nonostante ripetute ricerche, non sono mai stati interamente ritrovati, furono inviati a Firenze dove un accurato restauro, per opera del restauratore Vincenzo Monni, permise un'ottima ricostruzione dell'oggetto che fu acquisito ed esposto presso il Museo archeologico nazionale di Firenze (inv. 4209).\nDopo la prima ricomposizione, il 9 settembre 1900 il vaso fu vittima della collera di un custode del museo che lo disintegrò proditoriamente in 638 pezzi; si rese necessario quindi un secondo restauro. L'opera non fu interessata dalla disastrosa alluvione dell'Arno del 1966.\n\nAttribuzione.\nUn'iscrizione dipinta sullo stesso vaso ne riporta gli autori: il ceramista Ergotimos e il ceramografo Clizia (Kleitías). L'iscrizione è riportata due volte: una prima con due frasi verticali inserite nella scena delle nozze di Peleo e Teti, e una seconda, non interamente conservata, sopra la nave di Teseo raffigurata sull'orlo.\n\nDescrizione.\nLa forma del vaso è nota come cratere a volute, cioè un cratere con anse a volute. Si tratta di uno dei primi crateri a volute attici. Più tardi i ceramisti amplieranno le volute, aggiungeranno un labbro all'apertura, cambieranno la forma del piede, la forma diverrà complessivamente più alta, ma il modello di Ergotimos rimase esempio insuperabile.\n\nScene dipinte.\nLa decorazione comprende la raffigurazione di scene mitologiche o decorative, i cui temi sono incentrati sul ciclo narrativo del personaggio di Achille (e di suo padre Peleo). Le scene si dispiegano su sette registri sovrapposti. Sono presenti 270 figure e 131 iscrizioni esplicative. La dimensione verticale dei registri decorativi è variabile per adattarsi con maestria alla tettonica del vaso e contribuendo così a conferire movimento alla decorazione. La narrazione si dipana linearmente su ciascuna banda, senza contrapposizioni antitetiche, fluida e narrativa, priva di ogni rigidità.\n\nCollo.\nTeseo fa da collegamento tra la scena con la danza degli ateniesi a Creta, nella fascia superiore, e la Centauromachia sotto di essa.Registro superiore:.\nSul lato posteriore troviamo i 14 giovani ateniesi che erano stati inviati a Creta come sacrificio per il Minotauro, i quali danzano al cospetto di Teseo che li ha salvati e che conduce la danza suonando la lira; di fronte a Teseo si trova Arianna. A sinistra la scena narra l'arrivo della nave che li riporterà in patria. Si tratta di un soggetto molto raro, gli unici altri esempi giunti sino a noi appartengono a Kleitias stesso. Piccoli frammenti di due vasi trovati sull'Acropoli di Atene provengono da immagini di danza più grandi di quelle del vaso François: parti dei ballerini su Acropolis 1.596, il volto di una donna e il retro di una testa con l'iscrizione [Eur]ysthenes, il nome del quinto danzatore a partire dalla sinistra del vaso François, su Acropolis 1.598.\nSul lato anteriore (quello che corrisponde alla sottostante processione degli dei verso la casa di Peleo e Teti) troviamo l'episodio della caccia al cinghiale calidonio, alla quale partecipano Meleagro e Peleo.\nRegistro inferiore:.\nSu un lato vi è la corsa dei carri, evento principale ai giochi funebri tenuti da Achille in onore di Patroclo, descritti nel XXIII libro dell'Iliade. In linea con una vecchia convenzione i premi, tripodi e lebeti di bronzo, vengono utilizzati nella composizione per riempire i vuoti sotto i cavalli. I cinque concorrenti indossano la lunga veste prescritta dal regolamento e tengono, oltre alle redini, il pungolo. In questo caso Kleitias si discosta molto dal racconto omerico, inoltre c'è poca varietà nella rappresentazione, come se fosse poco interessato alla narrazione e descrizione e maggiormente rivolto alla resa del movimento, in contrasto con la lenta processione della zona sottostante.\nSul lato opposto la scena della Centauromachia è una delle prime in cui il protagonista non è Eracle, ma sono i lapiti che combattono i centauri in Tessaglia. L'immagine di Kleitias è composta da sette gruppi (ora frammentari) con molte sovrapposizioni. Teseo, pur non essendo un lapita, partecipa alla battaglia come amico di Peirithoös, uno dei grandi guerrieri lapiti.\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\n\nSpalla.\nLa processione degli dei alle nozze di Peleo e Teti.Sulla spalla del vaso, nel suo punto di massima espansione, si trova la fascia decorativa principale, con la processione degli dei alle nozze di Peleo e Teti, che scorre lungo l'intera circonferenza del vaso. Teti si affaccia da una porta semiaperta; Peleo è in piedi di fronte all'edificio mentre accoglie gli dei invitati alle nozze. In funzione di una migliore leggibilità della scena Kleitias pone frontalmente la casa di Teti e Peleo: è uno dei tre edifici rappresentati sul vaso, importanti per la storia dell'architettura greca. È un edificio a timpano, con un portico formato dalla prosecuzione delle pareti laterali e con due colonne tra le estremità decorate. La lunga processione è guidata da Chirone (che stringe la mano a Peleo) e Iride. Seguono tre figure femminili affiancate che sono seguite a loro volta da Dioniso. In nessun altro luogo Dioniso è rappresentato in questo modo: ha il passo allungato e un'anfora piena di vino sulla spalla, il viso è rappresentato frontalmente e nel periodo arcaico il volto frontale non è mai usato a caso. Gli altri volti frontali di questo fregio sono riservati a Calliope, una delle nove Muse figlie di Zeus, che suona il flauto di Pan, e a Efesto che come nel precedente di Sofilo chiude la processione. Efesto giunge dietro i carri (il carro di Atena e Artemide accompagnate dalle Moire, il carro di Apollo, di Afrodite, di Poseidone e Anfitrite) in sella a un asino, come Dioniso sembra assumere una posizione inferiore rispetto agli altri dei, ma entrambi saranno ricompensati in seguito, con il loro trionfo nella scena del ritorno di Efesto. Il mito vuole che la dea della discordia non fosse stata invitata alle nozze e che per questo la dea avesse lanciato il pomo d'oro da cui sarebbe scaturita la guerra di Troia a causa del giudizio di Paride, e quindi la morte di Achille. Nei pressi delle anse il fregio finge di proseguire come se queste vi fossero sovrapposte.VentreRegistro superiore:.\nSul lato principale, sotto il matrimonio, sono rappresentati l'agguato di Achille a Troilo sotto le mura di Troia, l'ira di Apollo per l'uccisione di Troilo presso il santuario a lui dedicato, Priamo spaventato per ciò che accade. I fratelli di Troilo, Ettore e Polites, escono dalle porte della città; sugli spalti, nelle feritoie, ci sono cumuli di pietre da scagliare contro gli aggressori.\nSull'altro lato vi è il ritorno del dio Efesto sull'Olimpo, dal quale era stato scacciato dalla madre Era e al quale viene ricondotto da Dioniso e dal suo tiaso. Nella metà sinistra della scena Era è seduta con Zeus e Afrodite) alla presenza di altri dei; sulla destra Dioniso conduce il mulo su cui si trova Efesto accompagnato da satiri e ninfe. Quella di Dioniso sul Vaso François è una rappresentazione precoce, non ce ne sono prima del VI secolo a.C.; anche i satiri compaiono solo nella prima parte del VI secolo a.C. e quelli di Kleitias sono i più inusuali; non solo perché hanno gambe equine, oltre a coda e orecchie come i satiri sui vasi contemporanei, ma il loro intero aspetto è magro ed equino e, diversamente dalla maggior parte dei satiri a Figure nere, per nulla suino. Le teste di satiri di Kleitias, con i loro nasi aquilini e i capelli sulla fronte, sono molto simili alle teste dei suoi centauri, pur con qualcosa di più selvaggio e spaventoso.\nRegistro inferiore:.\nVi si trova un fregio decorativo animalistico, con gruppi di animali e piante. Nell'arte arcaica gli animali sono simboli di terrore e potenza; qui presentano una nuova eleganza, e vi compaiono alcune novità, come i grifoni, che sono i primi rappresentati sui vasi attici, e la pantera che dimostra nell'atto di sferrare la zampata felina in modo tutt'altro che convenzionale l'attenta osservazione dal vero da parte di Kleitias. Segue una fascia decorata a raggi.AnseI soggetti sono gli stessi su entrambe, con minime variazioni. Sulla superficie si trovano all'esterno due riquadri sovrapposti: in quello superiore Artemide alata come signora degli animali e in quello inferiore Aiace che porta il corpo di Achille ucciso; all'interno compare un riquadro con il Gorgoneion apotropaico nello schema arcaico della 'corsa in ginocchio'. Artemide alata (o Potnia Theron) era un soggetto frequente nella Grecia del VII e VI secolo a.C., ma non in Attica; è presente sul Vaso François perché appartenente allo stesso regno che viene rappresentato nel fregio inferiore del ventre del vaso. Il gruppo di Aiace e Achille la più antica rappresentazione del soggetto in Attica; fa parte del ciclo di Peleo e Achille ed è il momento conclusivo della narrazione incominciata con il matrimonio di Peleo e Teti. Le Gorgoni si rispecchiavano nel liquido contenuto all'interno del cratere, come sorvolando il mare; Kleitias ci ha lasciato altre due teste di gorgone: una, danneggiata, sullo scudo di Ettore nella scena con Troilo su questo stesso vaso, l'altra è il principale ornamento di un supporto di uso incerto che si trova a New York e che porta, come il vaso François, la doppia firma di Ergotimos e Kleitias (New York, Metropolitan Museum 31.11.4).PiedeSul piede del vaso, tra due fasce decorative è raffigurata la scena comica della vivace lotta tra pigmei e gru (o 'geranomachia'), prima raffigurazione di questo tema iconografico ripreso da una citazione nell'Iliade.\n\nTecnica.\nLe parti bianche e le sovradipinture brune sono in gran parte scomparse. Il Vaso François si pone all'inizio del periodo maturo delle Figure Nere attiche, ma allo stesso tempo ha in sé qualcosa del periodo precedente: l'uso del porpora per i volti degli uomini e la stesura del bianco direttamente sull'argilla (quest'ultima causa della perdita del pigmento) ne sono alcuni aspetti. Importante in questo senso è anche la suddivisione delle scene in tante fasce sottili che verrà abbandonata in favore di scene principali evidenziate, come nel protoattico. I frammenti dell'Acropoli di Atene (Acropoli 1.594) attribuiti a Kleitias e meglio conservati mostrano come le figure femminili dovevano apparire sul Vaso François." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Vaso di Pandora.\n### Descrizione: Il vaso di Pandora (chiamato anche scrigno di Pandora) è, nella mitologia greca, il leggendario contenitore di tutti i mali che si riversarono nel mondo dopo la sua apertura.\n\nIl mito.\nPer vendicarsi di Prometeo, il titano che aveva donato il fuoco agli uomini rubandolo a Zeus, il re degli dei decide di donare la prima donna mortale, Pandora, agli uomini. Si tratta di una sottile vendetta perché Pandora, resa bellissima da Afrodite, a cui Era aveva insegnato le arti manuali e Apollo la musica e che era stata resa viva da Atena, è destinata ad arrecare la perdizione al genere umano.\nSecondo il racconto tramandato dal poeta Esiodo ne Le opere e i giorni, il 'vaso' (pithos, πίθος in greco antico) era un dono fatto a Pandora da Zeus, il quale le aveva raccomandato di non aprirlo. Questo vaso, che dovrebbe contenere il grano, conteneva invece tutti i mali che affliggono l'uomo e che erano fino a quel momento separati da lui.\nPandora, che aveva ricevuto dal dio Ermes il 'dono' della curiosità, non tardò però a scoperchiarlo, liberando così tutti i mali del mondo, che erano gli spiriti maligni della 'vecchiaia', 'gelosia', 'malattia', 'pazzia' e il 'vizio'. Sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis), che non fece in tempo ad allontanarsi prima che il vaso venisse chiuso di nuovo. Aprendo il vaso, Pandora condanna l'umanità a una vita di sofferenze, realizzando così la punizione di Zeus.\nPrima di questo momento l'umanità aveva vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta e gli uomini erano, così come gli dei, immortali. Dopo l'apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato ed inospitale, simile ad un deserto.\nCon il mito del vaso di Pandora la teodicea greca assegna alla curiosità femminile la responsabilità di aver reso dolorosa la vita dell'uomo.\n\nNella cultura di massa.\nAl giorno d'oggi l'espressione 'vaso di Pandora' viene usata metaforicamente per alludere all'improvvisa scoperta di un problema o una serie di problemi che per molto tempo erano rimasti nascosti e che una volta manifestatisi non è più possibile tornare a celare. Un'altra espressione dal significato simile è 'far uscire il genio dalla bottiglia'.\nIl vaso di Pandora, come molti altri elementi della mitologia greca, è stato più volte ripreso nella cultura moderna, sebbene a volte la leggenda venga modificata riadattandola al contesto in cui è inserita. Rielaborazioni del mito si trovano ad esempio in alcune serie di videogiochi.\nAnche il fumettista Masashi Kishimoto ha utilizzato il mito del Vaso di Pandora nella sua nuova opera 'Samurai 8: La leggenda di Hachimaru'." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Vecchio del mare.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, il Vecchio del mare (in greco antico: ἅλιος γέρων?, hálios gérōn; o anche Γέροντας της Θάλασσας, trasl. Gérontas tēs Thálassas) è una figura che poteva essere identificata come una qualsiasi delle numerose creature acquatiche, generalmente Nereo o Proteo, ma anche Tritone, Ponto, Forco o Glauco. È il padre di Teti (la madre di Achille).\n\nMitologia.\nNel IV libro dell'Odissea di Omero, Menelao racconta a Telemaco il suo viaggio verso casa e come dovette chiedere consiglio al Vecchio del Mare. Il Vecchio può rispondere a qualsiasi domanda se catturato, ma catturarlo significa resistere mentre cambia da una forma all'altra. Menelao lo catturò e durante l'interrogatorio chiese se Ulisse, il padre di Telemaco, fosse ancora vivo.\n\nSinbad.\nSinbad il marinaio incontrò il mostruoso Vecchio del Mare (in arabo شيخ البحر‎?, Shaykh al-Bahr) durante il suo quinto viaggio. Si diceva che il Vecchio del Mare, com'è riportato nei racconti di Sinbad, ingannasse un viaggiatore facendolo cavalcare sulle sue spalle mentre il viaggiatore lo trasportava attraverso un ruscello. Tuttavia, il Vecchio non allentava la presa, costringendo la sua vittima a trasportarla dove preferiva e concedendole poco riposo. Tutte le vittime del Vecchio alla fine morirono a causa di questo trattamento miserabile, e il Vecchio le mangiò o le derubava. Sinbad, tuttavia, dopo aver fatto ubriacare il Vecchio con il vino, riuscì a scrollarlo di dosso e ad ucciderlo.\n\nPoesia e riferimenti lirici.\nIl Vecchio del Mare è menzionato nel poema narrativo King Jasper di Edwin Arlington Robinson. Nella terza parte della poesia, re Jasper sogna il suo defunto amico Hebron (che Jasper ha tradito) cavalcante sulla sua schiena. «Non puoi ancora cadere e sto guidando bene», dice Hebron a Jasper. «Se solo potessimo vedere l’acqua, / Diremmo che io sono il Vecchio del Mare, / E tu Sinbad il Marinaio». Hebron poi si trasforma in oro (un simbolo della motivazione di Jasper per averlo tradito) e convince Jasper a saltare attraverso un burrone con il pesante Hebron dorato sulla schiena.\n\nIl Vecchio del Mare figura anche in un'opera di Derek Walcott, poeta delle Indie Occidentali. In un articolo del 1965, The Figure of Crusoe, in cui scrive sulla poesia Crusoe’s Journal, Walcott osserva:.\nRiferendosi in successione alle figure di Adamo, Cristoforo (Colombo) e Venerdì, il narratore del poema osserva: «Tutte le forme, tutti gli oggetti si moltiplicavano dal suo,/il nostro Proteo dell'oceano;/nell'infanzia, la vecchiaia del suo derelitto/era come quella di un dio».\n\nNella cultura di massa.\nIl Vecchio del Mare viene brevemente menzionato in The Sorceress: The Secrets of the Immortal Nicholas Flamel di Michael Scott per impedire a Perenelle Flamel di fuggire da Alcatraz.\nChiamato Nereus, questo personaggio è presente in La maledizione del titano, il terzo capitolo della serie di romanzi Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo, in cui il protagonista lo combatte.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in The Navigator di Morris West.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in The Log from the Sea of Cortez (lett. 'Il tronco del mare di Cortez') di John Steinbeck.\nIl Vecchio del Mare è anche una carta del gioco di carte collezionabili Magic: The Gathering nell'espansione Arabian Nights basata sul personaggio di Sinbad Voyages, con l'artwork di Susan Van Camp, che dimostra chiaramente un carattere controllante e tortuoso.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in Avengers, vol. 1, n. 1 (1963) di Loki.\nIl Vecchio appare anche nel quarto episodio della serie anime giapponese Shirab il ragazzo di Bagdad. Questa versione è in grado di parlare ed eseguire atti di forza sovrumana e può trasformarsi in una capra umanoide.\nIl Vecchio del Mare è menzionato in Piccole Donne (1868-9) di Louisa May Alcott, da Jo in riferimento a zia March.\nIl Vecchio del mare è menzionato nel racconto di George Moore Mildred Lawson (1895): «[...] era diventata una sorta di Vecchio del mare [...]».\nIl Vecchio del Mare è menzionato più volte in Beware of Pity ('Attenti alla pietà') di Stefan Zweig. Un esempio può essere trovato a pagina 294.\nIl Vecchio del Mare è una carta seguace nel gioco da tavolo Talisman the Magical Adventure, 4ª ed. La carta impone al giocatore a perdere 1 vita, 1 mestiere o un punto forza ogni turno finché non viene consegnato alla Taverna.\nIl vecchio uomo del mare è menzionato ne I figli di Matusalemme di Robert Heinlein.\nIl Vecchio del Mare è menzionato anche ne La Chiave d'Oro di George MacDonald." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Vegoia.\n### Descrizione: Vegoia (in etrusco Vecu) è una lasa della mitologia etrusca, raffigurata come una giovane donna alata che tiene in mano una spiga di grano.\nIl sistema religioso etrusco rimane per lo più oscuro: essendoci pochi documenti bilingui paragonabili alla Stele di Rosetta che potrebbero facilitare la traduzione, la lingua etrusca è poco conosciuta. Pertanto, gli antichi documenti etruschi esistenti dell'VIII, VII e VI secolo a.C., che rivelerebbero le loro concezioni religiose, non danno grandi risultati. Inoltre, durante il periodo successivo, dal V al I secolo a.C., la civiltà etrusca assorbì pesantemente elementi della civiltà greca e alla fine si diluì nel mix culturale greco-romano con i potenti vicini romani. Infine, sebbene gli Etruschi abbiano formalizzato i loro concetti e le loro pratiche religiose in una serie di 'libri sacri', la maggior parte di essi non esiste più e sono conosciuti solo attraverso i commenti o le citazioni di autori romani della fine del I secolo, e quindi possono essere parziali.\nDue figure mitologiche sono state designate dagli Etruschi come autori dei loro libri sacri: Vegoia e Tagete, una figura infantile dotata della conoscenza e della preveggenza di un antico saggio. Questi libri sono conosciuti dagli autori latini in base a una classificazione del loro contenuto secondo il loro autore mitologico (se pronunciato attraverso discorsi o lezioni, come Tagete, o ispirazione).\n\nCitazione su Vegoia.\nA lei si attribuiscono i Libri Vegonici che vertevano sull'interpretazione dei fulmini; una copia di essi era conservata, secondo le testimonianze di Servio e di Ammiano Marcellino, a Roma all'interno del Tempio di Apollo Palatino, fatti lì collocare dall'imperatore Augusto. Anche due scritti relativi all'agrimensura sono presentati come ispirati dalla lasa: il primo sarebbe stato rivelato da Vegoia al punico Magone, l'altro a carattere profetico all'etrusco Arruns Veltumnus. Entrambi sono in parte conservati nei Gromatici veteres (V sec. d.C.), il secondo corrotto da lacune testuali e da errori tipici del latino tardo e con termini apparentemente impropri derivati verosimilmente da una non perfetta traduzione in latino di un testo originario in lingua etrusca:.\n\nGli attributi di Vegoia.\nLa figura di Vegoia è quasi del tutto offuscata nelle nebbie del passato. È conosciuta soprattutto grazie alle tradizioni della città etrusca di Chiusi (latino: Clusium; etrusco: Clevsin). Le rivelazioni della profetessa Vegoia sono designate come Libri Vegoici che comprendevano i Libri Fulgurales e parte dei Libri Rituales, soprattutto i Libri Fatales.\nViene appena designata come 'ninfa' e come autrice dei Libri Fulgurales, che forniscono le chiavi per interpretare il significato dei fulmini inviati dalle divinità utilizzando una cartografia del cielo che, come una sorta di divisione della proprietà e di assegnazione dell'uso, è attribuita a Vegoia. La sua assegnazione di settori dell'orizzonte a varie divinità è parallela al microcosmo che viene interpretato utilizzando il fegato di un animale sacrificato. Le divisioni sacre sembrano avere una corrispondenza anche nella misurazione e nella divisione della terra che, fin dagli albori della storia etrusca, obbediva a regole religiose. I suoi dettami insegnavano i corretti metodi di misurazione dello spazio.Vegoia è stata anche raffigurata come una sovrana dell'osservanza di queste regole, da rispettare sotto la minaccia di terribili sventure o maledizioni. Così, si è affermata come il potere che presiede alla proprietà della terra e ai diritti di proprietà della terra, alle leggi e ai contratti. Viene anche indicata come colei che ha stabilito le leggi relative alle opere idrauliche: avendo quindi un rapporto speciale con l'acqua 'domata'.\n\nInfluenza dei libri sacri etruschi.\nQuesto imponente sistema di 'rivelazione' e di 'testi sacri' lasciò un'impronta significativa sui vicini popoli italici. Ci sono ampie prove che la cultura etrusca abbia permeato profondamente le comunità meno avanzate dei vicini latini e sabini. Ad esempio, l'alfabeto etrusco, che derivava da quello greco, è stato solidamente riconosciuto come l'ispiratore dell'alfabeto latino. I principi e le regole strutturali del sistema numerico decimale etrusco, allo stesso modo, sono riconosciuti come l'origine dei numeri romani, che sono una versione semplificata del sistema etrusco. Derivano da questo sistema anche i simboli del potere supremo, la struttura del calendario romano così come tante parole (ad esempio dall'etrusco Kraeki sarebbe la fonte della parola latina Graeci).\n\nRelazione con i libri sibillini.\nSebbene la religione romana abbia poche basi scritte, aveva comunque un insieme di testi, noti come Libri Sibillini, che erano sotto il controllo esclusivo di speciali figure religiose, i duumviri (poi decemviri). A questi libri si ricorreva esclusivamente nei momenti di massima crisi. La trasmissione di questi 'libri sacri' ai Romani è stata attribuita a un etrusco, Tarquinio il Superbo, l'ultimo dei leggendari re di Roma: da qui la loro relazione con Vegoia." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Vello d'oro.\n### Descrizione: Il Vello d'oro è un oggetto presente nella mitologia greca che si dice avesse il potere di curare ogni ferita o malattia. Si tratta del manto dorato di Crisomallo, un ariete alato capace di volare che Ermes donò a Nefele. Il Vello fu in seguito rubato da Giasone.\n\nL'origine del mito.\nAtamante ripudiò la moglie Nefele per sposare Ino; quest'ultima odiava Elle e Frisso, i figli che Atamante aveva avuto da Nefele, e cercò di ucciderli per permettere a suo figlio di salire al trono. Venuta a conoscenza dei piani di Ino, Nefele chiese aiuto ad Ermes che le inviò Crisomallo, il quale caricò in groppa i due fratelli e li trasportò, volando, nella Colchide. Elle cadde in mare durante il volo ed annegò, mentre Frisso arrivò a destinazione e venne ospitato da Eete. Frisso sacrificò quindi l'animale agli dei donando il vello a Eete, che lo nascose in un bosco ponendovi un drago di guardia.\n\nGiasone e gli Argonauti.\nIl Vello venne rubato da Giasone e dai suoi compagni, gli Argonauti, con l'aiuto di Medea, figlia di Eete. Il mito sembrerebbe rifarsi ai primi viaggi dei mercanti-marinai proto-greci alla ricerca di oro, di cui la penisola greca è assai scarsa; da notare è il fatto che tuttora, nelle zone montuose della Colchide e delle zone limitrofe, vivono pastori-cercatori d'oro seminomadi che utilizzano un setaccio ricavato principalmente dal vello di ariete, tra le cui fibre si incastrano le pagliuzze di oro. Altri studiosi ritengono che si tratti di una metafora dei campi di grano, scarso in Grecia, e che gli antichi Elleni si procuravano sulle coste meridionali del Mar Nero; altri ancora lo ritengono l'oro degli Sciti.\n\nAltri progetti.\nWikiquote contiene citazioni di o su vello d'oro.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su vello d'oro.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Golden Fleece, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Venere e Adone (arte).\n### Descrizione: Venere e Adone (in francese Vénus et Adonis; in olandese Venus en Adonis; in tedesco Venus und Adonis), è un soggetto classico della pittura, della scultura e, in misura minore, della musica.\n\nDescrizione.\nIl tema deriva dalla mitologia greca e romana e raffigura Venere (o Afrodite), la dea dell'amore e della bellezza, e il suo amante Adone. Nella mitologia la dea si innamora perdutamente del giovane e ciò causa la gelosia di suo marito Marte (o Ares); pertanto, durante una battuta di caccia, il dio invia un cinghiale ad uccidere il giovane. La dea, avendo saputo cosa era successo, corre in suo soccorso, ma trova Adone già morto. Il tema, che era già presente in epoca classica, raffigura per lo più gli amori tra Venere e Adone, la dea che scongiura Adone di non partire per la sua battuta di caccia (come nei dipinti di Tiziano) o il ritrovamento del cadavere del giovane. In alcuni dipinti è anche presente la figura di Cupido (o Eros), il figlio della dea Venere. Molto spesso i due amanti si trovano in un paesaggio bucolico, dando al tema un tocco pastorale.\n\nPittura.\nTiziano Vecellio:.\nVenere e Adone di Madrid, 1553.\nVenere e Adone di Londra, 1555.\nVenere e Adone di Los Angeles, 1555-1560.\nVenere e Adone di Washington, 1560.\nVenere e Adone, collezione privata temp. Oxford, 1560.\nVenere e Adone di Roma, 1560.\nVenere e Adone di New York, 1560Paris Bordone, Venere e Adone, 1560 circaLuca Cambiaso, Venere e Adone, 1560-1565Luca Cambiaso, Venere e Adone, 1565-1568Paolo Veronese, Venere e Adone, 1562Paolo Veronese, Venere e Adone, 1580Annibale Carracci, Venere, Adone e Cupido, 1595Bartholomäus Spranger, Venere e Adone (Venus und Adonis), 1597Abraham Janssens, Venere e Adone, prima del 1632Joachim Anthonisz Wtewael, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1607-1610Cornelis van Haarlem, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1614Pieter Paul Rubens, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1614Antoon van Dyck, Venere e Adone (Venus poogt Adonis van de jacht te weerhouden), 1620 circaFrancesco Albani, Venere ed Adone, 1621-1633Niccolò Pussino, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1624-1625Niccolò Pussino, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1626Abraham Bloemaert, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1632Pieter Paul Rubens, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1635Christiaen van Couwenbergh, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1645Ferdinand Bol, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1657-1660Theodoor van Thulden, Venere e Adone (Venus en Adonis), prima del 1669Sebastiano Ricci, Venere e Adone, 1706-1707Mattheus Terwesten, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1718François Lemoyne, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1729Jacopo Amigoni, Venere e Adone, 1740 circaJacques Ignatius de Roore, Venere e Adone (Vénus et Adonis), prima del 1747Jacopo Amigoni, Venere e Adone con le Nereidi, prima del 1752Christian Wilhelm Ernst Dietrich, Adone e Afrodite (Adonis und Aphrodite), 1770 circaJuan Bautista Peña, Venere e Adone (Venus y Adonis), prima del 1773Jonas Åkerström, Venere, Adone e Cupido (Venus, Adonis och Amor), prima del 1795Pierre Paul Prud'hon, Venere e Adone (Vénus et Adonis), 1800 circa.\n\nScultura.\nAdriaen de Vries, Venere e Adone (Venus en Adonis), 1620-1621Salomone Gaetano, sculture dalla Fontana di Venere e Adone della Reggia di Caserta, 1784 - 1789Antonio Canova, Adone e Venere, 1795.\n\nMusica.\nJohn Blow, Venus and Adonis, 1683Henri Desmarets, Vénus et Adonis, 1697Hans Werner Henze, Venus und Adonis, 1997." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Verme dell'Indo.\n### Descrizione: Il verme dell'Indo, conosciuto anche con il nome di skōlex (in greco, σκώληξ), è un leggendario verme carnivoro gigante che si credeva abitasse il fiume Indo, descritto nelle opere di alcuni scrittori dell'antica Grecia.\n\nEtimologia.\nNel XIX secolo l'indologo tedesco Gustav Solomon Oppert ipotizzo come il termine skōlex potesse essere derivato da un vocabolo in lingua indiana dal suono simile, che era convinto essere il termine sanscrito culukī, col significato di pesce o focena. Secondo Oppert, la parola potrebbe essere stata, per estensione, utilizzata per indicare il coccodrillo. In un suo articolo del 1998, lo studioso Erik Seldeslachts ha suggerito un parallelo con la parola sanscrita kṛmiḥ, che oltre a significare 'verme' è anche il nome di un nāgarāja.\n\nDescrizione.\nCtesia di Cnido nella sua Indica descriveva lo skōlex come l'unica creatura che viveva all'interno dell'Indo. Assomigliava ai vermi che si trovano nei fichi, ma era in media lungo 7 cubiti (poco più di 3 metri). Possedeva due grandi denti quadrati, uno sulla mascella superiore e uno su quella inferiore, che misuravano un pigone (quasi 40 centimetri) ciascuno. Di giorno scavava nel fondale fangoso del fiume, mentre di notte divorava prede come cavalli, mucche, asini e cammelli. Filostrato, riferendosi alla creatura, la descrive come simile a un verme bianco.\nSi credeva che il verme venisse cacciato con l'esca e che da esso si estraesse un olio infiammabile e volatile. Tale sostanza era impiegata a scopo bellico dai re indiani, i cui eserciti incendiavano le città scagliando su di esse con i vasi sigillati colmi di olio come se fossero granate. Il cosiddetto 'olio di skōlex' potrebbe essere stato costituito petrolio o nafta e non derivare affatto da un animale. Tuttavia, supponendo che con il termine skōlex ci si riferisse a qualche specie di coccodrillo, sarebbe stato possibile estrarre olio da questo rettile. È noto infatti come gli oli di pesce o l'olio di delfino del Gange siano stati impiegati in passato in India, sebbene non a scopo incendiario.\nLa leggenda del verme dell'Indo potrebbe infine avere dato origine a un'altra creatura leggendaria, l'odontotiranno, che si dice abbia attaccato le truppe di Alessandro Magno mentre queste guadavano il Gange." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Via Lattea (mitologia greca).\n### Descrizione: Nella mitologia classica la Via Lattea nacque dalle gocce del latte fuoriuscito dal seno di Era, mentre allattava Eracle. Zeus, approfittando del sonno della dea, attaccò al seno suo figlio Eracle, avuto con la mortale Alcmena, perché solo succhiando dal petto della madre degli dei, il semidio avrebbe potuto ottenere l'immortalità. Il figlio di Zeus però, agguantò un seno della dea con troppa forza, svegliando Era e facendo schizzare parte del latte verso il cielo. Si creò così la Via Lattea. Questa da allora divenne la strada percorsa dagli dei per raggiungere il palazzo del re e della regina degli dei.\nSecondo Diodoro Siculo, quando Fetonte non fu più in grado di tenere le redini del carro solare, i cavalli di Helios cambiarono il percorso abituale ed attraversarono i cieli, incendiandoli e formando la Via Lattea." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Video meliora proboque, deteriora sequor.\n### Descrizione: La locuzione latina Video meliora proboque, deteriora sequor è traducibile in italiano come: 'Vedo il meglio e l'approvo, ma seguo il peggio'. I versi sono contenuti nelle Metamorfosi di Ovidio, pronunciati da Medea, la quale, pur conoscendo i suoi obblighi nei confronti del padre e della patria, decide di trasgredirli per amore di Giasone.Queste parole indicano la debolezza dell'essere umano, il quale, pur conoscendo ciò che è giusto, non riesce a seguirlo.\n\nSuccesso e rielaborazioni.\nI versi di Ovidio sono stati successivamente ripresi e rielaborati dal Petrarca: Et veggio 'l meglio et al peggior m'appiglio; da Matteo Maria Boiardo: Ch'io vedo il meglio ed al peggior m'appiglio e dal Foscolo: Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio.Si trova una rielaborazione di questi versi anche fuori dall'ambito poetico, in Paolo di Tarso: Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.Anche Sant'Agostino, nel 'De natura et grazia' (67,81), scrive: 'vede quello che esige la rettitudine delle azioni e lo vuole e non riesce a farlo'.\nIl verso, inoltre, è anche citato nel Saggio sull'intelletto umano di John Locke, nel celebre capitolo XXI, Sul potere.Anche Spinoza cita il passo di Ovidio, nella parte IV dell'Ethica.\nIl verso è reperibile anche ne 'I nuovi saggi dell'intelletto umano' di Leibniz (libro II, cap 21, par. 35) nel contesto della spiegazione di cosa Leibniz intenda per 'pensieri sordi'; e nella 'Confessio Philosophi'.\nIl passo viene utilizzato anche da Thomas Hobbes, nel suo Libertà e Necessità.\n\nNella psicologia sociale.\nSecondo Elster la massima designa il concetto di akrasia, cioè un'irrazionale 'impazienza di godere' simboleggiata mitologicamente dal desiderio di Ulisse di ascoltare il canto delle sirene.\nIl verso ovidiano è stato utilizzato sia per descrivere delle pulsioni psicologiche individuali, anche in letteratura, sia per spiegare il fenomeno della ripulsa in ambiti sociali in cui la conoscenza dovrebbe spingere ad un comportamento razionale." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Volpe di Teumesso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca la volpe di Teumesso (in greco antico: Τευμησ(σ)ία ἀλώπηξ?, Teumēs(s)íā alôpēx, o ἀλώπηξ τῆς Τευμησσοῦ, 'volpe di Teumesso'), 'volpe Teumessia' o volpe Cadmea, era una gigantesca volpe che era destinata a non essere mai catturata. Si diceva che fosse stata inviata dagli dei (forse Dioniso) per depredare i figli di Tebe come punizione per un crimine nazionale.\nCreonte, l'allora re di Tebe, impose ad Anfitrione l'impossibile compito di uccidere questa bestia. Anfitrione scoprì una soluzione apparentemente perfetta al problema recuperando il cane Lelapo, che era destinato a catturare tutto ciò che inseguiva, al fine di scovare la volpe. Zeus, di fronte a un'inevitabile contraddizione dovuta alla natura paradossale delle loro abilità che si escludevano a vicenda, trasformò le due bestie in pietra. Così entrambe divennero due costellazioni, il Canis Major (Lelapo) e il Canis Minor (la volpe di Teumesso)." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Vous n'avez encore rien vu.\n### Descrizione: Vous n'avez encore rien vu è un film del 2012 diretto da Alain Resnais.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su IMDb, IMDb.com.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su AllMovie, All Media Network.\n(EN) You Ain't Seen Nothin' Yet, su Rotten Tomatoes, Fandango Media, LLC.\n(EN, ES) Vous n'avez encore rien vu, su FilmAffinity.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su Metacritic, Red Ventures.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su Box Office Mojo, IMDb.com.\n(EN) Vous n'avez encore rien vu, su BFI Film & TV Database, British Film Institute (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2018).\n(DE, EN) Vous n'avez encore rien vu, su filmportal.de." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Warriors: Legends of Troy.\n### Descrizione: Warriors: Legends of Troy, in Giappone Troy musō (TROY 無双? lett. 'Troia senza rivali'), è un videogioco per PlayStation 3 e Xbox 360 del 2011. Il gioco è stato sviluppato da Koei Canada ed è stato pubblicato da Koei. Il titolo fa parte della serie Dynasty Warriors, ma è diverso dai precedenti capitoli della serie, in quanto contiene una maggior quantità di violenza grafica ed è il primo gioco della serie a ricevere un rating M da ESRB. È stato distribuito in Europa il 18 marzo 2011.\n\nTrama.\nIl gioco è ambientato durante la decennale guerra di Troia ed è caratterizzato da elementi sovrannaturali, come le apparizioni degli Dèi greci. Basato principalmente sull'Iliade, si articola attraverso ventuno capitoli che ripercorrono gli eventi del conflitto dall'arrivo della flotta greca sulle spiagge di Troia fino alla fuga di Enea a seguito della caduta della città.\n\nCapitoli.\nOgni capitolo vede protagonista uno degli otto eroi principali, e al termine di ciascuno di essi, salvo il capitolo 2, è presente un boss. Effettuando concatenamenti di colpi si guadagnano kleios, che tra una missione e l'altra permettono di acquistare oggetti con cui potenziare i propri eroi o sbloccare nuove combo. In ogni capitolo sono inoltre presenti delle missioni secondarie che, se completate, consentono di guadagnare punti aggiuntivi.\n\nApprodo: Achille raggiunge le spiagge di Troia alla testa dei suoi Mirmidoni, in modo da assicurare una testa di ponte al resto della flotta greca, oltre a neutralizzare alcune balliste che con i loro dardi infuocati minacciano di incenerire le altre navi. Boss: Guardiano.\nPerimetro: Guidati da Ulisse, Achille, Patroclo e Aiace devono mettere in sicurezza la spiaggia e la zona circostante per garantire l'allestimento dell'accampamento greco, oltre a respingere il primo tentativo di sortita degli assediati troiani. Boss: Nessuno.\nResistenza: Prima che i greci ottengano il controllo della regione antistante Troia, il principe Ettore organizza una sortita all'esterno delle mura per mettere in salvo quante più persone possibili all'interno della città, ma deve fare i conti con i Mirmidoni. Boss: Patroclo.\nOnore: Paride, consapevole di essere il principale responsabile della guerra che sta insanguinando Troia, decide di uscire dalla città e andare incontro a Menelao, cui intende proporre un duello faccia a faccia: chi vincerà avrà Elena, mentre il perdente sarà il prossimo passeggero della barca di Caronte. Boss: Menelao.\nConquista: Passano quasi dieci anni, ma Troia continua a resistere. Nel tentativo di favorirne la caduta, Achille guida i Mirmidoni alla conquista di tutte le altre città della regione, privando gli assediati di tutti i loro alleati. Alla fine, l'ultima rimasta è la potente città di Lirnesso, guidata da uno dei cugini del principe Ettore: Enea. Boss: Enea, Minete.\nSangue: Mentre tutti gli eserciti della Grecia sono impegnati a Troia, Pentesilea, principessa delle Amazzoni, guida le sue guerriere all'assalto di Atene per liberare la loro regina, Ippolita, catturata e ridotta in schiavitù dal re Teseo. Nell'infuriare dello scontro, però, un tragico errore segnerà per sempre la vita e l'onore di Pentesilea. Boss: Teseo.\nFama: Aiace Telamonio, bramoso di gloria e fama quanto suo cugino Achille, accompagna re Agamennone alla conquista di Tebe, ultima alleata dei troiani, la cui caduta metterebbe in seria difficoltà la resistenza di Troia dopo quasi nove anni di assedio. Boss: Eezione.\nPestilenza: Una pestilenza si abbatte sull'esercito greco, decimandone i soldati. Nel tentativo di capire l'origine del fenomeno, e di trovare una possibile soluzione, Achille e Patroclo vengono inviati al tempio di Apollo per consultare l'oracolo. Il tempio è però sorvegliato da Troilo, figlio di Priamo e favorito di Apollo, ma Achille, che ha disprezzo per tutti gli Dei, non ha timore a reclamare la sua vita, anche se questo significa sfidare la collera dei cieli. Boss: Troilo, Statua di Apollo.\nCampione: La notizia che Achille, furioso con Agamennone per avergli portato via la schiava Briseide, ha abbandonato l'esercito greco rinfranca gli assediati troiani, che con il favore degli Dei organizzano una controffensiva. Per Ettore, messosi alla guida della spedizione, è giunto il momento di ergersi a campione di Troia e guidare il suo popolo alla riscossa sui greci. Boss: Aiace.\nSortita: Nel tentativo di rinfrancare il morale di un esercito greco sull'orlo del collasso Ulisse, accompagnato da Menelao, organizza una spedizione notturna contro il campo dei Traci, alleati dei troiani, accampati lungo le rive del fiume Scamandro. Boss: Reso.\nBreccia: Nonostante la sconfitta dei Traci, il morale greco continua ad essere basso, e per i troiani sembra essere finalmente giunta l'ora della vittoria finale. Ettore, accompagnato dal fratello Deifobo, guida l'esercito troiano all'attacco dell'accampamento greco: ma Poseidone, alleato dei Greci, intenzionato ad impedire che i suoi protetti vengano sterminati, invia uno dei suoi figli ad occuparsi dell'eroe. Boss: Ciclope.\nDisperazione: L'assalto troiano sta per spazzare via l'esercito greco, e nel mezzo della battaglia re Agamennone rimane isolato dal resto delle sue truppe. Aiace, dopo essere riuscito a trarlo in salvo, deve portarlo al sicuro all'interno dell'accampamento greco, per poi occuparsi del grosso dell'esercito troiano al comando del semidio Sarpedonte, già affrontato tempo addietro da suo padre. Boss: Sarpedonte.\nRisolutezza: Mentre infuria la battaglia, Paride vuole poter concludere con le sue mani ciò che lui stesso ha provocato; così, accompagnato da Deifobo, si dirige all'accampamento greco per dare fuoco alle navi, tagliando al nemico ogni possibile via di fuga. Non ha però fatto i conti con la vendicativa dea Era, che non gli ha mai perdonato di aver favorito Afrodite in quel giudizio scellerato che è all'origine di tanta sventura. Boss: Idomeneo e Merione (in coppia con Deifobo), Grifone.\nGloria: Nel disperato tentativo di riportare Achille in battaglia, Agamennone gli restituisce Briseide, ma l'eroe rifiuta ancora di aiutare l'odiato nemico. Patroclo, per salvare l'onore di Achille e nel contempo correre in aiuto dei Greci, decide quindi di prendere il suo posto, ma durante la battaglia, preso dalla foga, infrange la promessa fatta al cugino di non spingersi oltre le rive dello Scamandro: quell'errore gli costerà caro. Boss: Sarpedonte, Ettore.\nPurificazione: Pentesilea, ora assorta a nuova regina delle Amazzoni, conduce il suo popolo sulla piana di Troia, dove la regina intende riscattare il proprio onore. Prima di poterlo fare, però, deve sottoporsi ad un rito di purificazione, e quindi, accompagnata da Deifobo e dal re Priamo, si dirige al tempio di Artemide, dove però, come ultima prova, dovrà confrontarsi con il peso del proprio peccato. Boss: Fantasma di Ippolita.\nIra: Achille, divorato dalla rabbia per la morte di Patroclo, riceve dalla madre Teti una nuova armatura e si lancia da solo contro l'intero esercito troiano, e neppure l'opposizione dello stesso Scamandro sarà in grado di placare la sua furia, né la sua insaziabile sete di vendetta. Boss: Ettore.\nGiustizia: Purificata da Artemide, Pentesilea è pronta a compiere il destino di tutte le regine delle amazzoni: morire sul campo di battaglia. Solo un guerriero, però, può darle quella morte gloriosa a cui aspira, scolpendo il suo nome nel mito e liberandola per sempre dal peso dei suoi peccati. Boss: Ulisse, Achille.\nRedenzione: Con la morte di Memnone, ultimo alleato dei troiani, Troia è ormai senza più difese, e i Greci, sotto la guida di Achille, sono pronti ad espugnare la città. Per Paride questa è l'ultima occasione per espiare al proprio peccato e salvare la sua città dall'inesorabile destino che l'attende. Boss: Achille.\nFollia: Nel tentativo di recuperare il corpo di Achille, Ulisse e Aiace riescono ad impossessarsi del Palladio, la sacra reliquia che proteggeva Troia da qualunque tentativo di invasione. Ma Atena, nonostante sia alleata dei Greci, considera tale atto un'offesa, e lancia una maledizione tramite la quale il seme della pazzia germoglia inesorabile nella mente di Aiace, già provata dall'essersi visto negare la gloria che ritiene sua di diritto. Boss: Lissa.\nCaduta: Dopo dieci anni di guerra, è giunto per i Greci il momento di espugnare finalmente le mura di Troia. Ulisse, illuminato da Atena, ha l'idea giusta, e a quel punto il destino della città è segnato. Boss: Paride.\nSopravvivenza: Mentre Troia brucia, Enea deve riuscire a portare in salvo, oltre la sua famiglia, quante più persone possibili, così da compiere l'ultima profezia di Cassandra: la profezia lo vede, un domani, fondatore di una nuova nazione, che oltre a garantire un futuro al popolo di Troia sarà destinata a governare il mondo per più di mille anni, diventando il più grande impero della storia. Boss: Agamennone.\n\nModalità di gioco.\nCaratterizzato da una quantità molto maggiore di sangue rispetto ai precedenti giochi di Dynasty Warriors, il gioco supporta il gioco online cooperativo e competitivo, per un massimo di quattro giocatori.. Il giocatore, che controlla i personaggi da una prospettiva in terza persona e affronta numerosi eserciti nemici, è in grado di utilizzare lo scudo come arma e utilizzare armi da lancio come giavellotti. Ogni personaggio controllato dal giocatore ha una propria personalità e stile di combattimento.\nOgni lato, sia greci che troiani, ha quattro personaggi principali, ovvero Achille, Aiace, Ulisse e Patroclo per i greci, ed Enea, Ettore, Pentesilea e Paride per i troiani.\n\nAccoglienza.\nLa rivista Play Generation diede alla versione per PlayStation 3 un punteggio di 68/100, apprezzando l'ambientazione interessante e insolita per un titolo del genere e come contro il fatto che fosse ripetitivo, graficamente povero e privo di opzioni multiplayer, finendo per trovarlo un titolo in cui l'ambientazione non riusciva a risolvere i difetti di una formula che aveva fatto il suo tempo, peggiorata dai problemi tecnici." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Xuto.\n### Descrizione: Xuto (in greco antico: Ξοῦθος, -ου?, Xùthos, in latino Xūthus, -i) è un personaggio della mitologia greca, secondogenito di Elleno e della ninfa Orseide, nonché fratello di Eolo e di Doro.Xuto è il capostipite (tramite i suoi figli Acheo e Ione) dei popoli Achei e Ioni.\n\nMitologia.\nFu re di Iolco in Tessaglia, ma ne fu poi allontanato dai suoi fratelli e recatosi ad Atene prestò aiuto a Eretteo nel corso della guerra con l'Eubea sposando in seguito la figlia Creusa che lo rese padre di Ione e Acheo e Diomeda.Alla morte del suocero gli fu chiesto di indicare un successore per Eretteo e scegliendo Cecrope (il suo cognato più anziano), vide il popolo rivoltarsi e fu costretto all'esilio.Recatosi nel nord del Peloponneso morì nella terra di Egialeo, il re di Sicione.Secondo Euripide, Xuto era figlio di Eolo e regnò ad Atene alla morte di Eretteo e suo figlio Ione fu in realtà concepito da sua moglie con Apollo. Ione fu dapprima allontanato da lui e in seguito (poiché sempre secondo Euripide Xuto non ebbe eredi) fu riconosciuto come figlio proprio dallo stesso Xuto." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Zagreo.\n### Descrizione: Zagreo (in greco antico: Ζαγρεύς?, Zagrèus) fu in origine una divinità agreste e ctonia, probabilmente di derivazione cretese. Il nome significa 'cacciatore di selvaggina' e, più precisamente, alluderebbe a un cacciatore che non uccide le sue prede, ma le tiene in vita, per poi dilaniarle nei culti dionisiaci.\nIl suo mito fu al centro della religione orfica. Utilizzato anche per soprannominare i cittadini di Nicosia.\n\nMito.\nSecondo il racconto narrato da Nonno di Panopoli nel libro VI delle Dionisiache, Zagreo era figlio di Persefone e Zeus Katakthonios (lett. 'Zeus del sottosuolo', che alcuni autori interpretano come epiteto di Ade, sebbene altri no in quanto nel mito sua moglie rimane Era), che si era unito a lei in forma di serpente.\nPer lui Zeus aveva una particolare predilezione e l'aveva destinato a regnare su tutto l'universo.\nI Titani vennero a sapere delle intenzioni di Zeus ed informarono Era, che, gelosa, ordinò loro di far sparire il bambino. I Titani lo attirarono con doni (una trottola, un rombo, una palla, uno specchio ed un astragalo), ma Zagreo cercò di fuggire trasformandosi in vari animali, fino a quando, diventato un toro, i Titani lo catturarono, lo fecero a pezzi e lo divorarono.\nAtena riuscì a strappare alla loro furia il cuore del ragazzo, lo portò a Zeus, che lo inghiottì e lo rese immortale, facendolo rivivere in Dioniso. Le sue ossa furono raccolte e sepolte a Delfi. I Titani, sconfitti, furono fulminati e dalle loro ceneri - o, più precisamente, dal fumo di esse - nacquero gli uomini.\n\nInterpretazione.\nIl mito di Zagreo, che possiede evidenti similitudini con quello di Osiride, può essere interpretato come il simbolo della morte della vegetazione in inverno e della sua rinascita in primavera.\nNei misteri Dioniso è, infatti, associato alle dee della fertilità, Demetra e Persefone, di cui sarebbe figlio Zagreo.\nIl mito orfico si basa sulla concezione arcaica della colpa ereditaria.\nSecondo l'orfismo, infatti, l'umanità parteciperebbe della natura malvagia dei Titani e di quella divina di Zagreo. L'elaborazione orfica in chiave escatologica e soteriologica trova nella purificazione e nelle pratiche rituali il mezzo attraverso cui l'anima può ricongiungersi con il divino.\n\nNella cultura di massa.\nZagreus è il protagonista di un videogioco, Hades, dove è il principe dell'Oltretomba che deve cercare di fuggire dal reame del padre Ade, grazie all'aiuto dei poteri degli dei dell'Olimpo.\nZagreus è il titolo di uno dei singoli pubblicati dal gruppo progressive metal Periphery in previsione dell'uscita del loro album Periphery V: Djent Is Not A Genre. Il titolo del brano è stato ispirato dal protagonista del videogioco sopracitato, a cui i membri del gruppo giocavano durante la scrittura dell'album." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Zarex.\n### Descrizione: Zarex (in greco antico: Ζάρηξ?) è stato un eroe della mitologia greca; era figlio di Caristo, nipote di Chirone.\nSposò Reo e divenne il padre di Anio. In alcuni resoconti, Zarex adottò il figlio di sua moglie, Anio, allevato dal suo divino padre Apollo.\nA Zarex è stato attribuito il merito di aver appreso la musica di Apollo e di aver fondato la città di Zarex in Laconia; ha anche avuto un tempio ad Eleusi, accanto a quello di Ippotoo. C'era anche una montagna nell'isola di Eubea, che si pensava avesse preso il nome da lui.\n\nVoci correlate.\nReo (mitologia).\nApollo." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Zefiro.\n### Descrizione: Zèfiro (in greco antico: Ζέφυρος?, Zéphyros) o Zèffiro è un personaggio della mitologia greca, la personificazione del vento che soffia da ponente (l'ovest), figlio del titano Astreo e di Eos.\nLe traduzioni latine riportano zephirum (cioè Zèfiro, personificazione del vento di ponente, che spirava leggero e quasi inavvertito) a indicare, per assonanza, il termine arabo ṣifr (صفر), che rappresenta il 'vuoto'. Grazie al matematico italiano Leonardo Fibonacci e alle traduzioni veneziane (zevero), il termine è stato poi usato per indicare il concetto di 'zero', attualmente in uso.\nNella lingua albanese “zë” indica la voce, mentre il verbo “fryj” rappresenta il soffio.\n\nGenealogia.\nSposò Clori e da lei ebbe Carpo.\nDall'arpia Celeno (che aveva preso le sembianze di una giumenta), ebbe Balio e Xanto, i cavalli immortali di Achille.\n\nMitologia.\nZefiro viene raffigurato come un giovane alato, che tiene in mano un mazzo di fiori primaverili, si diceva che vivesse in una caverna in Tracia.\nNell'Iliade Omero descrive Zefiro come un vento violento o piovoso, mentre più tardi sarà considerato leggero, simile alla brezza e messaggero della primavera.\nInnamoratosi del giovane principe spartano, Giacinto, lo contese ad Apollo. Un giorno, accecato dalla gelosia, Zefiro deviò un disco lanciato dal dio, che colpì Giacinto, uccidendolo.\nDai Romani Zefiro veniva chiamato Favonio (da cui il tedesco Föhn).\n\nZefiro nella cultura di massa.\nProprio nell'accezione di vento di ponente, Dante lo evoca in una perifrasi poetica per indicare la penisola Iberica [Par. XII, 46—48]." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Zeli.\n### Descrizione: Zeli è un personaggio della mitologia greca, presente nelle Argonautiche di Apollonio Rodio.\n\nMito.\nCizico, giovanissimo sovrano dell'omonima città asiatica nella Propontide, aveva accolto gli Argonauti durante il loro viaggio con destinazione la Colchide. Gli eroi quindi ripartirono, durante una notte di luna nuova: una violenta tempesta sospinse però la nave di nuovo sulla costa della città che essi avevano appena lasciato. Il re, affacciatosi dal suo palazzo, scambiò gli Argonauti per pirati, e con le sue guardie personali, tra i quali c'era anche Zeli, mosse in armi per assalirli; gli Argonauti da parte loro non riconobbero Cizico. Gli uni e gli altri erano stati ingannati dalle avverse condizioni del tempo, oltre che dalla mancata luminosità della luna: lo scontro fu dunque inevitabile, e terminò con l'uccisione di Cizico e delle sue guardie. Zeli cadde per mano di Peleo.\n\nOnomastica.\nIl nome del guerriero è forse da mettere in relazione con quello di una città non lontana da Cizico, Zelea, menzionata da Omero nell'Iliade, uno dei poemi incentrati sulla Guerra di Troia, di cui furono protagonisti molti eroi appartenenti alla generazione successiva a quella degli Argonauti, come Achille, figlio dell'uccisore di Zeli, Peleo: a Zelea in quel tempo regnava Licaone, padre di Pandaro, uno dei condottieri alleati dei Troiani, ma è possibile che essa fosse stata fondata subito dopo il tragico fatto narrato nelle Argonautiche, col proposito di onorare la morte di un uomo valoroso quale poteva essere appunto Zeli. Non pare invece aver collegamenti con questo personaggio la città di Zeli nella Locride." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Zete.\n### Descrizione: Zete (in greco antico: Ζήτης?, Zḕtēs) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Borea e di Orizia.\n\nMitologia.\nZete fu uno degli Argonauti e partecipò con Giasone alla ricerca del vello d'oro. Insieme al fratello Calaide, Zete scacciò le Arpie dalla tavola di Fineo, figlio di Agenore, e le inseguì fino alle isole Etole. Lì Iride, messaggera di Zeus, li avvertì di fermarsi nel loro inseguimento. Entrambi avevano ali ai piedi e una lunga capigliatura.\nAnni dopo la spedizione i due giovani vennero sorpresi in un agguato da Eracle, che li bastonò a morte con la sua clava volendo vendicarsi per il loro rifiuto di proseguire le ricerche sulla scomparsa di Ila; il figlio di Zeus, però, si pentì subito di ciò che aveva fatto e seppellì personalmente i corpi dei due giovani, erigendo in loro onore una stele funeraria." +@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.,"### Titolo: Zeto.\n### Descrizione: Zeto (in greco antico: Ζῆθος?, Zḕthos) è un personaggio della mitologia greca.\n\nGenealogia.\nFiglio di Zeus e Antiope, sposò Aedona (Apollodoro chiama sua moglie Tebe) e fu padre di Itilo e di Neis.\n\nMitologia.\nLa tradizione lo tramanda ruvido ed aspro nei modi, ma di lui si dice che fosse anche un cacciatore molto capace ed appassionato alla vita dura e faticosa.\nAntiope fu sedotta da Zeus; per la vergogna scappò di casa e si recò a Sicione, presso il re Epopeo. Durante la fuga nacquero due gemelli, Anfione e Zeto che vennero affidati ad un pastore che abitava sul monte Citerone, che li allevò come propri figli. Nitteo, padre di Antiope, per il dispiacere morì di crepacuore, pensando che la figlia fosse stata rapita ma prima di morire implorò il fratello Lico di riportare a Tebe la figlia. Lico conquistò Sicione, uccise Epopeo e riportò Antiope in Cadmea. Ma sua moglie, Dirce, la trattò crudelmente, e alla fine la condannò alla tortura del toro che volle fosse eseguita dai due gemelli che però poco prima dell'esecuzione seppero di essere i figli di Antiope dal pastore che li aveva allevati. Allori i figli vendicarono la madre, facendo trascinare Dirce da un toro, si impossessarono del regno tebano e costruirono una nuova città ai piedi della Cadmea. Zeto portava le pietre, mentre Anfione suonava la lira, il cui suono faceva disporre le pietre nel punto voluto magicamente.\nUna volta che la città fu costruita, i due fratelli la governarono in pieno accordo.\nCirca la morte di Zeto la tradizione tace, tuttavia era nota a Tebe la tomba comune dei due Dioscuri Tebani." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Zeus.\n### Descrizione: Zeus (in greco antico: Ζεύς?, Zeús AFI: [zdeu̯s]) nella religione greca è il re degli dèi olimpi, dio del cielo e governatore dei fenomeni meteorologici, in particolare del tuono. I suoi simboli sono la folgore, il toro, l'aquila, la quercia e l'olivo.\nFiglio del titano Crono e di Rea, è il più giovane tra i suoi fratelli e le sue sorelle: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Nel mito è sposato con Era (protettrice del matrimonio e dei figli), anche se nel santuario dell'oracolo di Dodona come sua consorte si venerava Dione (viene raccontato nell'Iliade che Zeus sia il padre di Afrodite, avuta con Dione).\nIl frutto dei suoi numerosi convegni amorosi furono i suoi molti celeberrimi figli, tra i quali Apollo e Artemide, Hermes, Persefone, Atena, Dioniso, Perseo, Eracle, Elena, Minosse e le Muse. Secondo la tradizione da Era, la moglie legittima, ebbe Ares, Ebe, Efesto, Ilizia ed Eris. Tali rapporti amorosi venivano consumati da Zeus anche sotto forma di animali (cigno, toro, ecc.), dato che tra i suoi enormi poteri egli aveva anche quello di tramutarsi in qualsiasi cosa volesse.\nLa figura equivalente a Zeus nella mitologia romana era Giove, mentre in quella etrusca era il dio Tinia.\n\nEtimologia ed elementi del culto.\nZeus, in passato anche italianizzato in Zeo, è l'evoluzione di Di̯ēus, il dio del cielo diurno della religione protoindoeuropea chiamato anche Dyeus ph2tēr (Padre Cielo). Il nome del dio deriva dalla radice Diovis (la di in greco) che significa luce, per questo Zeus è il dio della luce. Il dio era conosciuto con questo nome anche in sanscrito (Dyaus ove Dyaus Pita), in lingua messapica (Zis) e in latino (Jupiter, da Iuppiter, che deriva dal vocativo indoeuropeo *dyeu-ph2tēr) lingue che elaborano la radice *dyeu- ('splendere' e nelle sue forme derivate 'cielo, paradiso, dio'), nonché nella mitologia germanica e norrena (*Tīwaz, in alto tedesco antico Ziu, in norreno Týr) unito con il latino deus, dīvus e Dis (una variazione di dīves) che proviene dal simile sostantivo *deiwos.\nSi pensa che il radicale di grado zero di *Di̯ēus e l'epiteto 'padre' siano contenuti nel albanese Zot, che è considerato derivato dal Proto-albanese *dźie̅u ̊ a(t)t-, un antico composto per 'padre celeste', in lingua protoindoeuropea *dyew- ('cielo, cielo luminoso') + *átta ('padre'), quindi un affine nella religione protoindoeuropea con *Dyḗus ph₂tḗr e con i suoi discendenti: Illirico Dei-pátrous, Sanscrito द्यौष्पितृ (Dyáuṣ Pitṛ́), Proto-italico *djous patēr (da cui latino Iuppiter), Greco antico Ζεῦ πάτερ (Zeû páter).\nAlcuni linguisti hanno anche proposto l'etimologia proto-albanese *dzwâpt *w(i)tš-pati-, 'padrone di casa'; infine dal protoindoeuropeo *wiḱ-potis, 'capo del clan').Per i Greci e i Romani il dio del cielo era anche il più grande degli dei, mentre nelle culture nordiche questo ruolo era attribuito a Odino: di conseguenza questi popoli non identificavano, per il suo attributo primario di dio del tuono, Zeus/Giove né con Odino né con Tyr, quanto piuttosto con Thor (Þórr). Zeus è l'unica divinità dell'Olimpo il cui nome abbia un'origine indoeuropea così evidente.In aggiunta a questa origine indoeuropea, lo Zeus dell'epoca classica prendeva alcuni aspetti iconografici dalle culture del Vicino Oriente, come lo scettro. Gli artisti greci immaginavano Zeus soprattutto in due particolari posizioni: in piedi, mentre con il braccio destro alzato segue ad ampie falcate una folgore che ha appena scagliato, oppure seduto sul suo trono.\n\nIl ruolo di Zeus nella mitologia classica greca.\nZeus era il più importante degli dèi e comandava su tutto l'antico Pantheon Olimpico greco. Fu padre di molti eroi ed eroine e la sua figura è presente nella maggior parte delle leggende che li riguardano. Sebbene lo Zeus 'radunatore di nuvole' dei poemi omerici fosse un dio del cielo e del tuono al pari delle equivalenti divinità orientali, rappresentava anche il massimo riferimento culturale del popolo Greco: sotto certi aspetti egli era l'espressione più autentica della religiosità greca e incarnava l'archetipo del divino proprio di quella cultura.\n\nGli epiteti di Zeus.\nGli epiteti o i titoli attribuiti a Zeus enfatizzano i vari campi nei quali esercita la sua autorità. I più comuni sono:.\n\nZeus Aitnaîos – Zeus Etneo, relativo al monte-vulcano Etna, come l'Olimpo, sacro a Zeus.\nZeus Apómuios – Zeus scaccia-mosche, a cui, secondo Pausania, si facevano sacrifici per allontanare le mosche; comparato in Dictionary of Deities and Demons in the Bible alle teorie di Friedrich W. A. Baethgen e Karl Arvid Tångberg sul nome Ba' al Zebub (l'epiteto Àpómuios secondo il Dictionnaire étymologique de la langue grecque, di Pierre Chantraine, è attribuito anche a Eracle).\nZeus Nemeos – Zeus Nemeo, relativo a Nemea, città dell'Argolide, dove si disputavano i Giochi panellenici, dedicati a Zeus, che svolgevano a cadenza biennale.\nZeus Olympios – Zeus Olimpio, relativo al dominio di Zeus sia sugli altri dèi, sia sui Giochi panellenici che si tenevano a Olimpia.\nZeus Oratrios – dio del fulmine, il fuoco celeste, epiteto cretese della divinità.\nZeus Panhellenios – Zeus di tutti i Greci al quale era dedicato il famoso tempio di Eaco sull'isola di Egina.\nZeus Xenios – Zeus degli stranieri in quanto era il protettore degli ospiti e dell'accoglienza, sempre pronto a impedire che fosse fatto qualcosa di male ai forestieri.\nZeus Horkios, il dio che si occupava della veridicità dei giuramenti: i bugiardi che venivano scoperti dovevano dedicare una statuetta votiva a Zeus, spesso al santuario di Olimpia.\nZeus Agoraios, poiché vigilava sugli affari che si svolgevano nell'agorà e puniva i commercianti disonesti.\nZeus Meilichios – Facile da invocare: Zeus aveva assunto su di sé il culto dell'antico daimon Meilichio che in precedenza gli Ateniesi erano adusi propiziarsi.\nZeus Cronide – Figlio di Crono: patronimico di Zeus. Benché Crono (il Tempo) avesse avuto altri figli, il Cronide per antonomasia è Zeus.\nZeus Egioco – Zeus possessore dell'egida, lo scudo ricoperto con la pelle della capra Amaltea che secondo il mito aveva nutrito con il suo latte Zeus da bambino.\nZeus Soter – Zeus il salvatore, protettore, in quanto protettore e salvatore di tutta l'umanità.\nZeus Erceo – Zeus protettore della casa.\nZeus Eleutherios (Ἐλευθέριος): Zeus che dà la libertà', un culto venerato presso la Stoa di Zeus nell'agorà di AteneOltre alle forme presentate poco sopra, esistevano nel mondo greco anche epiteti tipicamente locali. Ne è un esempio l'epiteto Zeus Abretano, utilizzato nella regione della Misia e derivato dal nome della provincia Abretana. Inoltre esistevano anche alcuni culti locali dedicati a Zeus che mantenevano un loro proprio e singolare modo di concepire e adorare il re degli dèi. Seguono alcuni esempi.\n\nZeus a Creta.\nA Creta Zeus era adorato in alcune grotte che si trovano nei pressi di Cnosso, Ida e Paleocastro. Le leggende di Minosse ed Epimenide suggeriscono che queste grotte anticamente fossero usate da re e sacerdoti come luogo per fare divinazioni. La suggestiva ambientazione delle Leggi di Platone, che si svolge lungo la strada che conduce i pellegrini verso uno di questi siti, sottolinea la conoscenza del filosofo dell'antica cultura cretese. Nelle rappresentazioni artistiche tipiche dell'isola Zeus compare, invece che come un uomo adulto, con l'aspetto di un giovane dai lunghi capelli e gli inni a lui dedicati cantano del ho megas kouros, ovvero 'il grande giovane'. Insieme ai Cureti, un gruppo di danzatori armati dediti a rituali estatici, sovrintendeva al duro addestramento atletico e militare, nonché ai segreti riti iniziatici, previsti dalla Paideia cretese.\n\nIn Esopo.\nCreta è menzionata riguardo a Zeus anche nei racconti di Esopo: nella favola dell'Asino, Zeus esaudisce la preghiera di un asino, assegnandogli un fabbricante di vasi di Creta al posto dell'ortolano, che grava l'animale di pesi ancora maggiori. Il fabbricante viene infine sostituito con un conciatore di cuoio, che oltre a negare il perdono all'asino, lo priverà della vita.\nSecondo un'altra favola, Zeus plasmò l'uomo e la donna e poi ordinò ad Hermes di portarli sulla Terra e insegnare loro come procurarsi il cibo scavando, pur contro il volere di questa, che punì la loro ingiuria con pianti e dolore. Sia gli dei che gli uomini vennero puniti per avere mosso contro il volere di una divinità, Gea, madre dei Titani e dei Giganti che nel secondo racconto rivela al messaggero di Zeus una volontà espressamente discorde.\n\nZeus Lykaios in Arcadia.\nL'epiteto Lykaios è morfologicamente connesso alla parola lyke (luminosità), ma a prima vista si può facilmente associare anche a lykos (lupo). Quest'ambiguità semantica si riflette sul singolare culto di Zeus Lykaios, celebrato nelle zone boscose e più remote dell'Arcadia, nel quale il dio assume caratteristiche sia di divinità lucente sia lupina. Il primo aspetto si evidenzia nel fatto che è il signore del monte Licaone (la montagna splendente), che è la cima più alta dell'Arcadia e sulla quale, secondo una leggenda, si trova un recinto sacro sul quale non si sono mai posate ombre. Il secondo invece si rifà al mito di Licaone (l'uomo lupo), il re dell'Arcadia i cui leggendari antichi atti di cannibalismo venivano ricordati per mezzo di bizzarri riti. Secondo Platone una setta si sarebbe riunita sul monte ogni otto anni per celebrare sacrifici in onore di Zeus Lykaios durante i quali si mescolava un singolo pezzo di interiora umane a interiora animali e poi si distribuiva il tutto ai presenti: chi avesse mangiato il pezzo di carne umana si sarebbe trasformato in un lupo e avrebbe potuto recuperare la propria forma umana solo se non ne avesse più mangiata fino alla conclusione del successivo ciclo di otto anni.\n\nZeus Etneo in Sicilia.\nIl culto di Zeus Aitnàios (etneo) è riportato nelle odi di Pindaro ed è attestato dalla produzione numismatica locale. Il tempio del dio era ubicato nella città di Áitna (Etna), fondata da Gerone I di Siracusa. Alcuni scoli di Pindaro riportano che Gerone I donò al tempio una statua di Zeus, che potrebbe essere quella rappresentata nel tetradramma di Aitna.\n\nLo Zeus del sottosuolo.\nSebbene l'etimologia del nome indichi che Zeus originariamente era un dio del cielo, in diverse città greche si adorava una versione locale di Zeus che viveva nel mondo sotterraneo. Gli Ateniesi e i Sicelioti (Greci di Sicilia) veneravano Zeus Meilichios (dolce o mellifluo), mentre in altre città vigeva il culto di Zeus Chthonios (della terra), Katachthonios (del sottosuolo) e Plousios (portatore di ricchezza). Queste divinità nelle forme d'arte potevano essere visuale parimenti rappresentate sia come uomo sia come serpente. In loro onore si sacrificavano animali di colore nero che venivano affogati dentro a pozzi, come si faceva per divinità ctonie come Persefone e Demetra o sulla tomba degli eroi. Gli dèi olimpi, invece, ricevevano in olocausto animali di colore bianco che venivano uccisi sopra ad altari.\nIn alcuni casi gli abitanti di queste città non sapevano con certezza se il daimon in onore del quale effettuavano i sacrifici fosse un eroe oppure lo Zeus del sottosuolo. Così il santuario di Lebadea in Beozia potrebbe essere stato dedicato sia all'eroe Trofonio sia a Zeus Trephonius (colui che nutre), a seconda che si scelga di dare retta a Pausania oppure a Strabone. L'eroe Anfiarao era venerato come Zeus Amphiaraus a Oropo, nei pressi di Tebe, e pure a Sparta c'era un santuario di Zeus Agamennone.\n\nGli oracoli di Zeus.\nAnche se la maggior parte degli oracoli erano generalmente dedicati ad Apollo, a eroi oppure a dee come Temi, esistevano anche alcuni oracoli dedicati a Zeus.\n\nL'oracolo di Dodona.\nIl culto di Zeus a Dodona nell'Epiro, località per la quale vi sono prove dello svolgersi di attività cerimoniali a partire dal II millennio a.C., era bosco di querce sacre, memore del culto alla Titana Rea, madre di Zeus. All'epoca in cui fu composta l'Odissea (circa il 750 a.C.) l'attività divinatoria era condotta da sacerdoti scalzi chiamati Selloi, che si stendevano a terra e osservavano lo stormire delle foglie e dei rami dell'albero. All'epoca in cui Erodoto scrisse a sua volta di Dodona i sacerdoti erano stati sostituiti da sacerdotesse chiamate Peleiadi (colombe). L'oracolo di Dodona è considerato da Erodoto il più antico della Grecia, precedente anche al tempo in cui i Pelasgi avessero dato un nome agli dei.\n\nL'oracolo di Siwa.\nL'oracolo di Amon nell'Oasi di Siwa che si trovava nel lato occidentale del deserto egiziano non era situato entro i confini del mondo greco prima dell'epoca di Alessandro Magno, ma fin dall'età arcaica aveva esercitato una forte influenza sulla cultura greca: Erodoto nella sua descrizione della guerra greco-persiana dice che Zeus Amon fu consultato varie volte. Zeus Amon era tenuto in particolare considerazione a Sparta, dove fin dall'epoca della guerra del Peloponneso esisteva un tempio in suo onore.Quando Alessandro Magno si avventurò nel deserto per consultare l'oracolo di Siwa, scoprì l'esistenza di una Sibilla libica.\n\nAltri oracoli di Zeus.\nSi dice che entrambi gli oracoli figli di Zeus Trofonio e Anfiarao dessero responsi di tipo oracolare nei santuari a loro dedicati.\n\nZeus e le divinità straniere.\nZeus era l'equivalente del dio della mitologia romana Giove e nell'immaginario sincretico classico era associato con varie altre divinità, come l'egizio Amon, e l'etrusco Tinia. Insieme con Dioniso aveva assorbito su di sé il ruolo del principale dio frigio Sabazios dando vita alla divinità conosciuta nel sincretismo dell'antica Roma come Sabazio.\n\nZeus nella mitologia.\nLa nascita di Zeus.\nIl titano Crono ebbe molti figli dalla sorella e moglie Rea: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone, ma li divorò tutti appena nati, dal momento che aveva saputo da Gea e Urano che il suo destino era di essere spodestato da uno dei suoi figli così come lui stesso aveva spodestato suo padre. Quando però Zeus stava per nascere, Rea escogitò un piano per salvarlo, in modo che Crono ricevesse la giusta punizione per ciò che aveva fatto a Urano e ai suoi stessi figli. Rea partorì Zeus a Creta, consegnando al suo posto a Crono una pietra fasciata con dei panni che egli divorò immediatamente. La madre nascose Zeus in una cesta sospesa ad un albero, sorvegliato dai Cureti, creature danzatrici del monte Ide, dalle ninfe dei fiumi e dalla capra Amaltea. Il mito sarebbe, secondo Cicerone, un'allegoria: Krònos, altro non è che una leggera variante di chrònos, tempo. Quanto poi al nome Saturno deriva dal fatto che questo dio è saturo di anni. La finzione che divorasse i suoi figli sta a simboleggiare che il tempo distrugge i giorni che passano e fa degli anni trascorsi il suo nutrimento senza mai saziarsi. Analogamente si immaginò che il figlio Giove lo incatenasse per evitare che si abbandonasse a movimenti disordinati e per conservarlo avvinto ai moti degli astri.\nRea nascose quindi Zeus in una grotta sul Monte Ida a Creta e, a seconda delle varie versioni della leggenda:.\n\nfu allevato ed educato da Gea.\nfu allevato da una capra di nome Amaltea, mentre un gruppo di Cureti gridavano, danzavano e battevano le loro lance contro gli scudi perché Crono non sentisse il pianto del bambino.\nfu allevato da una Ninfa di nome Adamantea. Dato che Crono dominava la Terra, i cieli e il mare, lo nascose appendendolo a una fune legata a un albero in modo che, sospeso fra i tre elementi, fosse invisibile al padre.\nfu allevato da delle Ninfe di nome Cinosura e Elice. In segno di gratitudine Zeus, una volta cresciuto, le trasformò in stelle.\nfu allevato da Melissa, che lo nutrì con latte di capra.\n\nL'ascesa al trono degli dei.\nRaggiunta l'età adulta, Zeus costrinse Crono a rigettare prima la pietra che l'aveva sostituito, poi i suoi fratelli e sorelle nell'ordine inverso rispetto a quello in cui erano stati ingeriti. Secondo alcune versioni della leggenda Metide diede un emetico a Crono per costringerlo a vomitare i figli, mentre secondo altre ancora Zeus squarciò lo stomaco del padre. A questo punto Zeus liberò dalla loro prigione nel Tartaro anche i fratelli di Crono: gli Ecatonchiri e i Ciclopi. Insieme, Zeus e i suoi fratelli e sorelle, gli Ecatonchiri e i Ciclopi rovesciarono dal trono Crono e gli altri Titani grazie alla terribile battaglia chiamata Titanomachia. I Titani sconfitti furono da allora confinati nell'oscuro regno sotterraneo del Tartaro. Atlante, in quanto capo dei Titani che avevano combattuto contro Zeus, fu condannato a reggere il cielo sulle sue spalle.\nDopo la battaglia contro i Titani Zeus si spartì il mondo con i suoi fratelli maggiori Poseidone e Ade sorteggiando i tre regni: Zeus ebbe in sorte i cieli e l'aria, Poseidone le acque e ad Ade toccò il mondo dei morti. L'antica terra, Gaia, non poté essere concessa ad alcuno, ma venne condivisa da tutti e tre a seconda delle loro capacità.\nFuribondi perché Zeus aveva confinato nel Tartaro i loro fratelli Titani, i Giganti si ribellarono agli dèi Olimpi e scatenarono a loro volta la Gigantomachia, cominciando a scagliare massi e tizzoni ardenti verso il cielo. Era profetizzò che « [...] i Giganti non sarebbero mai stati sconfitti da un dio, ma soltanto da un mortale che vestiva con pelli di leone, e solo con una certa erba che rendeva invulnerabili.». L'uomo fu identificato con Eracle, e Zeus, vagando in una regione indicatagli da Atena, trovò l'erba magica. Così furono sconfitti anche i Giganti.\nGaia si risentì per il modo in cui Zeus aveva trattato i Titani e i Giganti, dato che erano figli suoi. Così, poco dopo essersi impossessato del trono degli dèi, Zeus dovette affrontare anche il mostro Tifone, figlio di Gaia e del Tartaro. Zeus sconfisse Tifone e lo schiacciò sotto una montagna, secondo una versione sotto l'Etna.\n\nZeus ed Era.\nZeus era sia il fratello sia il marito di Era. Con lei ebbe Ares, Ebe ed Efesto, anche se alcune leggende narrano che Era diede vita ai suoi figli da sola. Altri miti includono tra la loro discendenza anche Ilizia. Le numerose conquiste che Zeus fece tra le ninfe e le mortali, che diedero inizio alle più importanti dinastie greche, sono proverbiali. La mitografia gli attribuisce relazioni tra le divinità con Demetra, Latona, Dione e Maia, mentre tra le mortali con Semele, Io, Europa e Leda. (Per maggiori dettagli si rimanda ai paragrafi successivi).\nMolte leggende dipingono un'Era gelosissima delle conquiste amorose del marito e fiera nemica delle sue amanti e dei figli da loro generati. Una volta a una ninfa di nome Eco venne affidato il compito di distrarre Era dalle attività di Zeus, parlandole in continuazione: quando la dea se ne accorse, con un incantesimo costrinse Eco a ripetere le parole che udiva dagli altri.\n\nLa legge divina di Zeus.\nSebbene la mitologia greca non presenti precetti e comandamenti che gli dèi consegnano agli uomini, come accade invece nella storia del popolo ebraico con il dio d'Israele, Zeus è re della giustizia e presta sempre attenzione a coloro che non onorano la legge dell'ospitalità, a chi non accoglie i forestieri, e benedice coloro che rispettano la natura e chi difende e onora gli stranieri. I greci credevano che uomini di alto valore avessero interagito con gli dèi tanto da ricevere istruzioni sacre su come comportarsi in vita. Tra questi abbiamo Platone, Esiodo, Omero e molti altri. Essi nei loro dialoghi e poemi affermano il carattere degli dèi e come l'uomo debba seguirli. Inoltre il mito parla di precetti esatti dati da Apollo alla Pizia, le cosiddette Massime Delfiche.\n\nAltri racconti su Zeus.\nSebbene Zeus si comportasse talvolta in modo severo e irascibile, era in lui presente anche un profondo senso di giustizia sacra, che probabilmente è esemplificato al meglio negli episodi in cui fulmina Capaneo per la sua arroganza e quando aiuta Atreo ingannato dal fratello. Inoltre proteggeva forestieri e viaggiatori da coloro che intendevano fare loro del male.\nZeus trasformò Pandareo in una statua per punirlo del furto del cane di bronzo che, quando era un bimbo, lo aveva custodito nella grotta sacra a Creta.\nZeus uccise Salmoneo con un fulmine per aver tentato di impersonarlo andando in giro con un carro di bronzo e gridando per imitare il rumore del tuono.\nZeus trasformò Perifa in un'aquila, dopo la sua morte, come ricompensa per essere stato un uomo onesto e giusto.\nUna ninfa di nome Chelona rifiutò di presenziare al matrimonio di Zeus ed Era: per punirla Zeus la trasformò in una tartaruga.\nZeus ed Era trasformarono il re Emo e la regina Rodope di Tracia in due montagne per punirli della loro vanità.\nZeus condannò Tantalo a essere torturato in eterno nel Tartaro per aver indotto con l'inganno gli dèi a mangiare le carni di suo figlio.\nZeus condannò Issione a essere legato in eterno a una ruota infuocata per aver tentato di fare sua Era.\nZeus fece sprofondare i Telchini in fondo al mare per aver inaridito la terra con le loro terribili magie.\nZeus accecò il veggente Fineo e mandò le Arpie a tormentarlo insozzando i suoi banchetti per punirlo di aver rivelato i segreti degli dèi.\nZeus ricompensò Tiresia con una vita tre volte più lunga del normale per aver giudicato in suo favore la disputa sorta con Era su quale dei due sessi provasse più piacere durante l'amplesso.\nZeus punì Era appendendola a testa in giù dal cielo quando aveva tentato di affogare Eracle mandandogli contro una tempesta.\nTra i numerosi figli che aveva avuto, Eracle è stato spesso descritto come il preferito da Zeus. Infatti Eracle fu spesso chiamato sia dalla gente sia da vari dèi il figlio prediletto di Zeus: una leggenda narra come, quando una stirpe di Giganti nati dalla terra minacciava l'Olimpo e l'Oracolo di Delfi aveva detto che solo le forze riunite di un singolo mortale e di un dio potevano fermarli, Zeus scelse Eracle per combattere al suo fianco e, insieme, sconfissero i mostri.\nZeus ebbe molti figli, la maggior parte da relazioni clandestine, ma si narra che la dea Atena, sua figlia, sia nata senza amplesso. Zeus mostrava gelosia nei confronti della moglie Era, che aveva generato da sola il dio Efesto, senza ricorrere ad atti sessuali, quindi Zeus, decise di generare a sua volta un figlio senza bisogno di un'altra donna. Così nacque Atena, uscendo dal cranio spaccato di Zeus.\n\nElenco delle amanti e dei figli di Zeus.\nOltre a questo stuolo di personaggi femminili, divini, semidivini e mortali amati e/o rapiti, il Signore dell'Olimpo ebbe anche un amante maschio, il bel principe adolescente del popolo dei troiani Ganimede.\n\nAlberi genealogici di Zeus.\nGenealogia (Esiodo).\nGenealogia degli Inachidi.\nuomo donna divinità.\n\nGenealogia dei Perseidi.\nNella cultura di massa.\nZeus è l'antagonista principale dei videogiochi God of War II e God of War III. In God of War II Zeus tradisce Kratos, uccidendolo. Questo, dopo essere stato salvato da Gaia, si dirige presso l'isola delle moire dove, dopo averle uccise, ritorna indietro nel tempo, nel momento in cui Zeus l'ha tradito. In God of War III, Zeus è l'ultima divinità olimpica a cadere per mano di Kratos. Infatti la sua morte riporta l'Antica Grecia al Caos Primordiale.\nZeus compare anche nel nuovo videogioco del SIE Santa Monica Studio, God of War sotto forma di visione quando Kratos raggiunge il regno di Helheim.\nZeus appare nel film Scontro di titani, nel suo remake Scontro tra titani e in La furia dei titani, sequel del secondo.\nCompare anche nel celebre Classico Disney Hercules.\nZeus appare nella serie televisiva C'era una volta, al ventunesimo episodio della quinta stagione, dove riporta in vita Capitan Uncino come ricompensa per aver sconfitto Ade.\nNel film Wonder Woman l'omonima protagonista è figlia di Zeus.\nNei libri di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo di Rick Riordan, appare il padre divino della semidea greca Talia Grace; nei capitoli paralleli di Percy Jackson e gli eroi dell'Olimpo, Zeus è fondamentale, insieme al resto degli dei, per la sconfitta dei giganti figli di Gea. La forma romana di Zeus, Giove, si rivela anche essere il padre di Jason Grace, il fratello minore di Talia. Nel libro Le sfide di Apollo, sempre di Riordan, il divino Zeus punisce Apollo rendendolo mortale, dopo i fatti degli eroi dell'Olimpo.\nNel videogioco Apotheon è il principale antagonista insieme al resto degli dei.\nNel manga di Record of Ragnarok, Zeus è uno degli dei che combatte al torneo del Ragnarok.\nZeus compare nel film Thor: Love and Thunder (facente parte del MCU) ed è interpretato da Russell Crowe.\nZeus è una delle divinità giocabili in Smite." +@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.,"### Titolo: Zeuso.\n### Descrizione: Zeuso o Zeuxo (Ζευξώ) era nella mitologia greca una delle Oceanine, figlia del titano Oceano e della titanide Teti.\nMenzionata da Esiodo in Teogonia 352.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Oceanine, su homepage.mac.com. URL consultato il 14 febbraio 2007 (archiviato dall'url originale il 19 gennaio 2007).\n(EN) 'Zeuxo versa il vino a Crisippo' (vaso E 65), su mlahanas.de, del pittore di Brygos, ritrovato a Capua, oggi al British Museum (archiviato dall'url originale il 23 agosto 2011)."